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Erich Auerbach (Berlino 1892 - Connecticut 1957)

È senz’altro uno dei più importanti critici letterari del Novecento. Egli appartiene anzitutto alla grande tradizione germanica degli studi
di Filologia Romanza, tra cui anche Schulz Bushhaus e Jauss.
Auerbach è il fondatore della moderna critica stilistica che è un tipo di critica che analizza le caratteristiche linguistiche dei testi
attraverso le quali si forza di capire i tratti caratterizzanti dello stile dei singoli autori.
Auerbach utilizza un metodo detto di cerchi concentrici, dai dati linguistici agli orientamenti culturali che li governano, alla poetica e
all’ideologia dell’autore, alle linee dominanti della letteratura di quel tempo e al contesto storico. à la forza del suo metodo sta nella
completa adesione al testo, ma anche la capacitò di allargare la prospettiva verso la realtà sociale in cui il testo è inserito. Auerbach
pensa che il linguaggio in genere ma nello specifico il linguaggio letterario metta inevitabilmente radici in un contesto sociale, senza il
quale non verrebbe prodotto alcun significato. Per questo le strutture formali della letteratura sono al tempo stesso forme estetiche e
forme morali che si intrecciano con l’esperienza del reale, fanno parte della visione del mondo e delle ideologie.
Nasce in una famiglia della borghesia ebraica berlinese, inizialmente compie studi di legge e consegue la laurea nel 1913, poi
partecipa attivamente nell’esercito durante la guerra e dopo consegue il dottorato nel 1921 in filologia romanza. Diventa
successivamente bibliotecario a Berlino e infine docente di filologia romanza in università. Dopo l’avvento di Hitler, a causa delle leggi
razziali del 1935 è costretto ad abbandonare inizialmente l’insegnamento poi la stessa Germania. Per questo dal 1946 al 1957 insegna
filologia romanza all’università di Istanbul, nel ’47 si trasferisce negli USA dove insegna fino al ’49.
Tra i lavori di Auerbach ricordiamo
- Introduzione alla filologia romanza del 1949
- Quattro ricerche di storia della cultura francese del 1951
- Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel Medioevo del 1958
à nel primo Auerbach rende esplicite le proprie posizioni in materia di teoria letteraria.
La critica letteraria si caratterizza come “un’arte che lavora con materiale erudito” e in quanto storia, la critica studia il certum, a
differenza della filosofia che aspira la verum. La conoscenza della critica è una conoscenza di tipo argomentativo mentre quella della
filosofia e delle scienze esatte aspira ad essere dimostrativa. Il sapere storico riguarda gli uomini per cui “ciò che noi in un’opera
comprendiamo e ammiriamo è l’esistenza di un uomo”, d’altra parte ogni uomo costruisce il suo profilo personale in rapporto con un
determinato contesto e di conseguenza ogni opera ha dei rimandi al periodo storico in cui è stata scritta.
Auerbach è però consapevole che partendo da un particolare non si può arrivare ad una sintesi globale. Nel 1946 quando si trova ad
Istanbul, non ha una buona biblioteca ed è quindi in mancanza di riferimenti bibliografici à questo però lo porta ad affrontare un
tema amplissimo: il problema dell’interpretazione della realtà per mezzo della rappresentazione letteraria o imitazione, così nasce
Mimesis nel 1946 e il sottotitolo “la realtà rappresentata nella letteratura occidentale”
In quest’opera Auerbach analizza i cambiamenti delle concezioni della realtà così come manifestati dalle caratteristiche stilistiche delle
opere letterarie. Auerbach sa che non può scrivere una sintesi sulla letteratura occidentale ma è convinto della possibilità di compiere
un percorso per cerchi concentrici partendo da alcuni fenomeni linguistici, per passare poi alla cultura e alla società. Utilizza un metodo
per campioni casuali: sceglie in testo di una determinata epoca da cui risale alle caratteristiche stilistiche per poi arrivare all’analisi del
contesto in cui sono state scritte. Egli attraversa tutta la letteratura occidentale da Omero fino alla Woolf.
La storia del realismo letterario deve essere analizzata in termini stilistici: infatti il realismo moderno nasce dall’abbattimento delle
regole stilistiche classiche soprattutto dalla caduta del nesso livelli stilistici e argomenti. Nella letteratura classica lo stile alto era
riservato solo ad argomenti alti, mentre la realtà quotidiana era confinata allo stile basso, medio al massimo, ma il realismo moderno fa
“oggetto di rappresentazione seria e problematica le persone comuni della vita quotidiana, condizionata dal tempo in cui vivevano”.
La contestazione delle regole classiche avviene con i Vangeli che parlano di argomenti alti con uno stile medio basso. (“fu la storia di
Cristo con la sua spregiudicata mescolanza di realtà quotidiana ed altissima e sublime tragedia, a sopraffare le antiche regole
stilistiche”).
Auerbach analizzata un passo di un romanzo della Woolf chiamato To the Lighthouse, al faro o gita al faro, pubblicato nel 1927. Sia la
Woolf ma anche Proust segnano un radicale distaccamento dal realismo ottocentesco, anzi altri li considerano come coloro che
finiscono il realismo. Per lui invece si tratta ancora di romanzo realista, considerando quindi le scelte stilistiche della Woolf non
antirealista, ma un’ulteriore e spregiudicata rappresentazione della realtà così com’è.
Analizzando il passo della Woolf
- Mancanza quasi totale di interventi del narratore (commenti, sintesi, interventi)
- La rappresentazione procede a rallentatore, mescolando all’azione i cosiddetti moti interiori. La storia così risulta a salti
- Continue e frequenti interruzioni dal punto di vista della linea narrativa principale su cui si inseriscono linee narrative diverse
à Tutto questo è possibile perché non c’è un punto esterno unificante: tutti gli eventi sono rappresentati dall’interno della storia e
dall’interno delle coscienze dei personaggi.
La narrativa novecentesca si avvicina alla realtà attraverso “il filtro delle molte impressioni soggettive avute da molte persone e in
momenti diversi”. Avvicinarsi alla realtà significa dare rilievo anche ai fatti più insignificanti. Per questo si parla di trionfo
dell’insignificante e si attribuisce quindi meno importanza alle grandi svolte esteriori e ai colpi di scena, si ha invece fiducia che
qualsiasi avvenimento casuale della vita possa concorrere alla somma di un destino.
à N.B. Auerbach ci fa notare come il metodo dei romanzieri moderni sia // a quello che lui fa in Mimesis. I romanzieri moderni
estraggono dalla vita dei personaggi eventi casuali così fa lui stesso nell’opera.
Il brano di prosa narrativa tratto dal romanzo della Woolf vede la signora Ramsay moglie di un professore di filosofia a Londra con il
figlio minore di nome James di sei anni alla finestra di un’ampia casa al mare, nell’isola delle Ebridi. La casa è frequentata oltre che
dagli otto figli e dal personale domestico anche da amici quali William Bankes, un botanico, anziano e evedovo e la pittrice Lily
Briscoe. La mamma dice a James che domani se c’è bel tempo andranno al faro e preparano i regali per gli abitanti del faro tra cui
anche al figlio del guardiano. La mamma infatti sta misurando il calzerotto sulla gamba del figlio per due volte la mamma lo rimprovera
e gli dice di stare fermo. Solo all’ultimo richiamo James ubbidisce anche se il calzerotto risulta essere sempre troppo corto. La scena si
chiude con il bacio sulla fronte.
à azione di poca importanza affiancata da moti interiori non soltanto dei personaggi che partecipano all’azione esteriore ma anche di
quelli che non sono presenti o non vi prendono parte. + vengono inserite delle azioni esteriori, secondarie, luoghi e tempi
completamente diversi (es. la telefonata, i lavori di costruzione che servono da sostegno ai moti interiori nella coscienza delle terze
persone).
Ci sono due grandi digressioni, parentesi narrative

Dall’analisi del brano:


- L’autore, quale narratore di fatti obiettivi, passa quasi completamente in secondo piano, quasi tutto ciò che è detto è il
riflesso nella coscienza dei personaggi.
- Esiste solo una realtà soggettiva della coscienza dei personaggi non una realtà obiettiva
- I mezzi per esprimere il mondo interiore dei personaggi sono chiamati con nomi diversi o discorso vissuto o monologo
interiore
- Tutto questo insieme riguarda dunque la presa di posizione dell’autore di fronte alla realtà che ritrae, la quale è
completamente diversa dall’atteggiamento di quegli autori che interpretavano le azioni, il carattere dei personaggi con
sicurezza obiettiva (Goethe, Dickens, Balzac o Zola). Era gli autori stessi a guidarci nell’interpretazione di fatti e pensieri dei
personaggi. In questi casi non si dava spazio alla coscienza
- Già prima dell’Ottocento c’erano opere narrative che cercavano di darci nel loro insieme un’impressione individuale,
soggettiva, spesso eccentrica della realtà, e non avevano lo scopo di appurare qualche cosa di obiettivo e universale sulla
realtà (ad esempio A Ritroso di Huysmans)
- La caratteristica fondamentale della Woolf è che essa non tratta solo di un soggetto e delle impressioni del mondo esterno
sulla coscienza ma di molti soggetti che cambiano spesso
- C’è un intento molto forte di avvicinarsi a una vera realtà obbiettiva con l’aiuto di molte impressioni soggettive avute da
molte persone e in momenti diversi è una caratteristica essenziale del procedimento moderno della Woolf che è ≠ dal
soggettivismo unipersonale che cede la parola solo a una persona, quasi sempre molto caratteristica, il cui modo di pensare
e di vedere la realtà è l’unico che vale
- Il tempo ha un ruolo centrale. Esso non viene impiegato per l’azione stessa, che è molto concisa e sintetica, ma per le
interruzioni, vi sono infatti inserite lunghe digressioni il cui rapporto cronologico con il filo dell’azione sembra molto diverso.
- Prima digressione si ha quando viene descritto cosa avviene nell’animo della signora Ramsay mentre prende la misura del
calzerotto, esattamente fra il primo ammonimento distratto al figlio e al secondo. Per quanto semplici e quotidiane siano le
considerazioni che sorgono dalla coscienza della donna sono però essenziali: esse danno una sintesi delle relazioni di vita in
cui la sua incomparabile bellezza si è impigliata, nelle quali appare e allo stesso tempo si nasconde.
- Le caratteristiche nuove sono: un movente occasionale che provoca movimenti interiori o un’espressione naturale, o
naturalistica, dei medesimi nella loro libertà non limitata da nessuna intenzione, senza un preciso indirizzo del pensiero à
tutte queste caratteristiche hanno qualcosa in comune in quanto tradiscono l’atteggiamento dello scrittore. Lo scrittore,
infatti, si abbandona a un caso qualunque della realtà molto di più rispetto a prima, e anche se naturalmente mette in ordine
e stilizza il materiale che la realtà gli offre, questo non succede in modo razionale con l’intenzione di portare a compimento
un insieme concatenato di fatti
- In Virginia Woolf i fatti esteriori hanno perduto completamente il loro predominio e servono a provocare e interpretare i
movimenti interiori mentre prima servivano prevalentemente alla motivazione e alla preparazione di importanti fatti esteriori
- Il rapporto cronologico della seconda divagazione con l’azione stessa del romanzo è di carattere ≠ (il capoverso sulla
lacrima, i pensieri della gente sulla signora Ramsay, la telefonata con il signor Bankes, e i suoi pensieri mentre osserva la
costruzione di un albergo) non f parte dell’azione del romanzo, né dal punto di vista del tempo, né da quello del tempo e
del luogo. La divagazione però è priva di una tensione, non succede nulla di importante dal punto di vista drammatico, si
tratta della lunghezza del calzerotto (≠ in Omero in cui c’è un’alta tensione drammatica)
- Le tre divagazioni non hanno nulla a che fare l’una con l’altra, non hanno uno svolgimento comune e non sono collegate tra
di loro come in Omero in cui gli episodi della giovinezza di Ulisse sono legati tra di loro e si racchiudono intorno al racconto
sull’origine della cicatrice MA solo legati tra di loro dallo sguardo comune sulla signora Ramsey che con la sua espressione di
insondabile tristezza dietro a tanata bellezza si rende conto che il calzerotto è ancora troppo corto
- Ambedue le digressioni sono un tentativo di cogliere una realtà più vera e reale, non importa se il contenuto di esse sia la
sola coscienza
- È di importanza decisiva che un fatto esteriore insignificante provochi immagini o serie di immagini che si allontanano da
esso per muoversi liberamente nella profondità del tempo à si rivela il rapporto stretto tra il trattamento del tempo e la
rappresentazione della coscienza pluripersonale

La tecnica della Woolf consiste nella realtà obiettiva ed esteriore e che appare come un fatto sicuro, il misurare un calzerotto, che non
è che un movente di per sé insignificante ma importante è solo quanto da esso è provocato che non è visto chiaramente ma è legato
al filo dell’azione esteriore. Il primo a ritrovare nel ricordo la realtà perduta è stato Proust, il quale ricordo è provocato da un fatto
insignificante e apparentemente casuale. Ne primo capitolo di Du côté de chez Swann dove il gusto di un biscotto, petite Madelaine,
inzuppato nel tè in una triste sera di inverno desta nel narratore un entusiasmo travolgente. Alla base di questo entusiasmo c’è il
ritrovamento del gusto di quel piccolo biscotto che sua zia gli dava di domenica. Da questo ricordo ritrovato affiora più vero e reale di
ogni esperienza presente il mondo della sua fanciullezza. In Proust si mantiene la prima persona che racconta, non un osservatore al di
fuori, ma un personaggio, che fa da soggetto, coinvolto nell’azione a cui trasmette l’impronta particolare del suo essere. à Proust mira
all’obiettività e all’essenza dei fatti: egli cerca di raggiungere questo scopo affidandosi alla coscienza del ricordo, del passato. La realtà
passata vede e ordina il suo contenuto in un modo completamente diverso dal puro sentire soggettivo. A coscienza del passato,
staccata da mutevoli impacci di un tempo, vede in prospettiva i propri i propri strati passati, con il loro contenuto, confrontandoli
continuamente fra di loro, liberandoli dalla loro successione cronologica esteriore. La tecnica della molteplice riflettersi della coscienza
e della stratificazione dei tempi viene applicata nel modo forse più radicale. Spesso nei romanzi moderni non si tratta di uno o di alcuni
personaggi i cui destini vengono seguiti con coerenza, anzi spesso non si capisce il rapporto tra i vari fatti, a volte sfugge il filo
dell’azione al lettore. Nel romanzo non è possibile la concentrazione di spazio e tempo come è possibile invece nei film. Quindi le
caratteristiche del romanzo realista del periodo fra le due grandi guerre sono

- Rappresentazione pluripersonale della coscienza


- Stratificazione dei tempi
- Scioglimento dei rapporti nell’azione esteriore
- Cambio del punto di osservazione

C’è una tendenza molto spiccata della Woolf ad attenersi a fatti piccoli e insignificanti, casuali, il prendere la misura per il calzerotto, la
telefonata. Non si verificano quindi elementi o eventi grandi. à cambia quindi l’accento, molti scrittori rappresentano i fatti
insignificanti per l’amore del fatto stesso, o piuttosto come fonte di motivi per una digressione ambientale, temporale, rinunciando a
rappresentare la storia dei loro personaggi con una sorta di compiutezza esteriore, concentrandosi solo sulle importanti svolte esteriori
del destino. à questo spostamento di centro di gravità esprime quasi uno spostamento di fiducia, si attribuisce meno importanza alle
svolte esteriori e ai colpi del destino, come se non fossero motivo di novità o di cambiamento nel soggetto. Si ha invece fiducia che un
qualsiasi fatto della vita anche casuale contenga la somma dei destini e possa rappresentare la somma dei destini, si ha fiducia nelle
sintesi più che nella trattazione completa in ordine cronologico di fatti. Questi autori seguono l’opinione per cui è impossibile essere
completi nello svolgimento esteriore e di far trasparire l’essenza e di far sembrare la vita in ordine quando la vita stessa non lo è. È più
utile descrivere attentamente ciò che succede a tante persone nel giro di pochi minuti, poiché in tutti noi si compie ininterrottamente
un processo di formazione e di interpretazione il cui soggetto siamo noi stessi. Negli anni che precedettero e seguirono la Prima
guerra mondiale in una Europa priva di equilibrio, alcuni settori trovarono un modo per dissolvere la realtà che passando per il prisma
della coscienza si frange in aspetti e significati molteplici. Non è soltanto sintomo dello sbandamento e della confusione a seguito di
tale evento. Tante opere che seguono la tecnica del frangersi della coscienza danno l’idea di non esserci una via di uscita. à risulta
quindi importante la pienezza e la vitalità di ogni singolo istante. Quanto avviene in esso riguarda sì le persone che lo vivono ma
proprio perciò riguarda anche quanto negli uomini è universale e elementare. Quanto più lo si valorizza più i tratti elementari della vita
sono evidenti. Si compie quindi un livellamento economico e culturale

Jean Paul Sartre (Parigi 1905-80)

È stato uno dei maestri indiscussi della filosofia esistenzialistica e con il secondo dopo guerra anche uno dei più autorevoli promotori
del dialogo fra marxismo e esistenzialismo.

La vita

- Nasce in una famiglia della borghesia intellettuale


- Orfano di padre a soli 2 anni, la sua adolescenza fu psicologicamente difficile anche se economicamente agiata
- 1924-27 studia filosofia e psicologia all’ècole normale supérieur dove conosce anche Simone de Beavoir con la quale ebbe
una relazione amorosa
- 1938 diventa uno scrittore famoso grazie al romanzo filosofico “La Nausea” dove mette in scena la propria visione del
mondo attraverso la figura del protagonista, Roquetin, sopraffatto dalla pienezza e dall’opacità del reale: incapace di dare
senso alla propria esistenza e di progettare il futuro, affonda quindi nella nausea e nell’angoscia, intravedendo solo nell’arte
e nell’immaginazione una possibile via di salvezza

La riflessione sartriana. Il punto di partenza per la riflessione di Sartre è l’insoddisfazione sia per l’astrattezza della filosofia idealistica e
dello spiritualismo francese e per la psicologia positivistica. La specificità della filosofia esistenzialistica sta nell’attenzione al concreto e
nella singolarità, cioè nell’irriducibile differenza di ogni singolo individuo e quindi della sua singola esistenza. In L’essere e il nulla,
1943, Sartre sviluppa una analitica filosofica dell’esistenza con caratteri marcatamente etici. Egli studia la coscienza contrapponendola
all’essere attraverso il concetto di intenzionalità e il metodo della riduzione fenomenologica (// Husserl e Heidegger). Metodo della
riduzione à epoché, ovvero sospensione del giudizio da parte del soggetto che si sforza di capire l’evidenza dei fenomeni. Tale
sospensione implica sia la rinuncia ai giudizi prefabbricati. Quindi la coscienza sforzandosi di non usare teorie già pronte riesce a
cogliere il senso del mondo e degli oggetti, che vengono colti a partire dagli atti intenzionali della coscienza pura. Intenzione parola
chiave, così come i sensi sono sempre percezione di qualcosa (esempio: l’udito è sempre percezione di qualcosa che si sente), anche
la coscienza è sempre coscienza di qualcosa che si confronta inevitabilmente con il mondo esterno. Quindi gli atti della coscienza sono
sempre un tendere verso qualcosa, a specifici oggetti verso cui la coscienza si orienta o meglio si intenziona. Opposizione tra l’in-sé e
per-sé à in-sé per indicare il mondo definito come opaco, come brutta presenza e assoluta fattualità. Per-sé inteso invece come la
coscienza che dà significato alla realtà, coscienza concepita a sua volta come trascendenza assoluta rispetto al mondo e alle cose. La
filosofia di Sartre nasce in piena guerra e essa raffigura la responsabilità assoluta di ogni uomo di fronte agli avvenimenti storici. Infatti,
se l’esistenza individuale si configura come coscienza, percepita come principio attivo, come possibilità di azione, come “libertà”.
Libertà intesa come necessità di una scelta, dato che la coscienza è tesa a stabilire relazioni con i possibili che il mondo le presenta, ciò
significa che siamo, come Sartre scrive, condannati a scegliere. La curvatura etica che la coscienza prende in Sartre la fa avvicinare al
marxismo.

Sartre viene fatto prigioniero e rinchiuso dai tedeschi in un campo di concentramento, ma riesce a liberarsi e per poi combattere con la
Resistenza. Questo determina il suo avvicinamento all’impegno politico, all’engagement. Passaggio decisivo ulteriormente segnata
dalla conferenza “L’esistenzialismo è un umanismo” tenuta a Parigi nel 1945. Alla diffusione dei temi dell’esistenzialismo umanista e al
concetto di engagé avrebbe dato un contributo anche la rivista “Le temps modernes” fondata nel 1945. Impegno politico che porta
Sartre nel ’47 alla creazione di un partito politico di impronta marxista ma non classista che però fallirà. Impegno politico visibile anche
negli anni ’50 e ’60 quando si schiera contro la guerra di Algeria (è il conflitto che oppose tra il 1º novembre 1954 e il 19 marzo 1962
l'esercito francese e gli indipendentisti algerini guidati dal Fronte di Liberazione Nazionale), contro le guerre degli USA in Corea e in
Vietnam, e a favore della contestazione giovanile (// ribellarsi è giusto, 1974). Nel 1964 grazie alla narrazione autobiografica “Le
parole” ottiene il premio Nobel lo rifiuta per motivi politici.

Sartre parte dal marxismo interpretandolo in chiave etica, come strumento per la critica della società industriale aggiungendo
un’antropologia filosofica. In questo contesto nasce Che cos’è la letteratura? Pubblicata nella rivista tra il febbraio e il luglio del 1947.
Nei decenni successivi Sartre elabora il problema dei rapporti fra la filosofia marxista, la politica del movimento comunista e
l’umanesimo esistenzialista. Sul piano filosofica questo vede l’integrazione fra scienze umane e marxismo. Alla luce della concezione di
esistenza come coscienza e libertà, Sartre rilegge la realtà attuale come oggettivazione alienata della prassi dei soggetti.

Che cos’è la letteratura? à può essere considerato come una anticipazione dell’estetica della ricezione. Per lo scrittore la chance della
speranza si trova non nel salvataggio del passato ma nella ricezione produttiva del presente. La letteratura definita quindi come atto
comunicativo, come atto in cui la destinazione dell’uomo alla libertà riesce ad affermarsi nell’appropriazione e nella trasformazione del
mondo. (parole di Jauss ne La teoria della ricezione). Sartre non rifiuta di guardare alla letteratura come uno strumento per rileggere in
chiave sociologica la realtà ma la sua prospettiva è diversa studia il soggetto in quanto coscienza

Nella prima parte del saggio si domanda “che cos’è scrivere?” in cui sottolinea come l’arte produca degli oggetti concreti. La scrittura
però è un’arte particolare perché adopera come proprio materiale le sue parole. Ulteriore distinzione tra prosa e poesia in quanto la
prosa è un insieme di segni mentre la poesia è un insieme di pittura, scultura e musica. Il poeta usa il linguaggio come cose e non
come segni, come linguaggio-strumento come invece fa il prosatore. La prosa consente un uso funzionale del linguaggio. La prosa è
utilitaria per essenza, il prosatore si serve delle parole che usa. Viene inoltre dichiarata l’infondatezza tra parole e cose. Il linguaggio è
già una cosa in quanto è azione. Lo scrittore impegnato sa che la parola è azione che è quindi in grado di svelare e cambiare. Non si
tratta di un discorso sulla forma, di cui Sartre dice che non c‘è niente da dire a priori.

Inoltre, Sartre attacca i critici definendoli come custodi di cimiteri, infatti essi trattano sempre gli scrittori come morti, ma essi per molti
aspetti non lo sono, così come la letteratura non è così come la intendono i critici. I libri vengono definiti come un’impresa nella quale
lo scrittore lancia dei messaggi

Nella seconda parte “perché si scrive?” Sartre dice che proprio le caratteristiche dell’esistenza-coscienza fanno sì che tutti gli uomini
portino in sé l’aspirazione di sentirsi creatori del mondo. Questa è una delle principali ragioni per cui si producono le opere d’arte.
Eppure, nonostante siamo creatori dell’oggetto che produciamo esso ci sfugge, per dominarlo dovremmo metterceli dal lato di chi
non lo ha fatto, di fare parte del mondo che abbiamo creato. Per questo il lettore ha un ruolo fondamentale che abita il mondo del
testo è capace di ridargli quell’essenzialità che lo scrittore non può dargli.

à oggetto letterario definito come “una trottola che esiste quando in movimento”. Dalla necessaria correlazione tra lo scrivere e il
leggere, fra autore e lettore, derivano le caratteristiche del testo letterario. Si legge l’oggetto letterario, quantunque si realizzi
mediante il linguaggio non è mai nel linguaggio.

L’opera quindi si configura come un appello che chiama la libertà del lettore a dare un inizio assoluto al mondo del testo che altrimenti
non esisterebbe. La sezione sul perché si scrive si chiude con un elogio alla democrazia ritenuta necessaria per un’arte tesa al
l’impegno della difesa della libertà.

Terza e ultima sezione “per chi si scrive?” in cui in prima istanza si dice che lo scrittore si rivolge a un pubblico che vive nel suo stesso
mondo. L’opera, quindi, delinea l’immagine del lettore a cui si rivolge. Secondo le prospettive della critica sociologica l’autore può
essere considerato come qualcosa che è determinato dall’ambiente, ma questo non vale per il lettore perché non può essere
determinato completamente, nell’opera si configura come una ipotesi o meglio una attesa, un vuoto da colmare, un’aspirazione. Lo
scrittore è chiamato a rispondere all’esigenze che una società produce. Da qui la definizione di scrittore come parassita che consuma e
non produce. Lo scrittore mostrando le caratteristiche di una certa società la mette in pericolo esponendo i suoi vizi. Per questo lo
scrittore è sempre una voce critica e impone alla società una coscienza inquieta. Paradossalmente l’inutilità dello scrittore è ciò che gli
consente di assumere un ruolo sociale.

Nelle pagine successive a quelle antologizzate Sartre analizza sinteticamente la funzione degli scrittori in Europa, in Francia, dal
Medioevo al XIX secolo, quando si cerca di adattare la letteratura, di far sì che sia digeribile ai suoi lettori. Nel corso del XIX secolo per
effetto della scolarizzazione di massa, lo scrittore deve scegliere se scrivere per l’élite o se scrivere per la massa. In realtà il pubblico
risulta essere quello borghese, ma l’obbiettivo è quello di raggiungere una universalità concreta, cioè tutti gli uomini. Sartre sa che si
tratta di un’utopia ma sa anche che la letteratura rivela la sua forza liberatrice solo nel momento in cui esprime pienamente la propria
tensione utopica.

Testo antologizzato “Che cos’è la letteratura?”

2. perché si scrive?

Ognuno ha i suoi motivi per alcuni l’arte è una fuga, per qualcun altro invece è un mezzo di conquista. Ogni nostra percezione si
accompagna alla consapevolezza che la realtà umana è rivelante, grazie ad essa parte dell’essere “è”, oppure l’uomo è il mezzo per
cui le cose si manifestano, è la nostra presenza nel mondo che moltiplica le relazioni., siamo noi che mettiamo in rapporto le cose che
vediamo tra di loro. Siamo dunque i rivelatori dell’essere, ma sappiamo anche che non ne siamo i produttori, la terra rimarrà nel suo
letargo fino a quando non ci sarà un’altra coscienza che verrà a risvegliarla. Quindi oltre a sapere che siamo rivelanti dell’essere
sappiamo anche che siamo inessenziali della cosa svelata.

à per questo uno dei principali motivi della creazione artistica è il sentirsi essenziali nei confronti del mondo, eppure, anche la
creazione risulta essere inessenziale rispetto all’attività creatrice.

L’oggetto della creazione risulta essere sempre incompiuto perché si può sempre modificare e cambiare, l’oggetto non si impone mai.
Inoltre, se siamo noi stessi che produciamo le regole di produzione, le misure e i criteri, nella nostra opera troveremo sempre e solo
noi stessi. I risultati ce li mettiamo noi, non ci sembrano mai oggettivi, conosciamo fin troppo bene i procedimenti che hanno prodotto
quegli effetti.

Così nella percezione l’oggetto si dà come essenziale e il soggetto inessenziale in quanto quest’ultimo cerca l’essenzialità nella
creazione e la ottiene ma allora diventa inessenziale l’oggetto. Questa dialettica è evidente nell’arte dello scrivere. L’oggetto letterario,
infatti, è ina strana trottola che esiste quando è in movimento. Per farla nascere occorre un atto concreto che si chiama lettura. Lo
scrittore però non può leggere ciò che scritto. Leggendo si prevede, si attende, la lettura si pone come una moltitudine di ipotesi.
Quando le parole si formano sotto la penna dello scrittore egli non vede le parole come le vede il lettore, perché le conosce prima di
scriverle, le guarda con l’intenzione di controllare il tracciato dei segni. Lo scrittore non prevede e non fa congettura ma progetta.
Capita spesso che si aspetti che attenda quindi l’ispirazione ma non si aspetta come si aspettano glia altri. Così lo scrittore non
incontra altro che il suo sapere, la sua volontà, i suoi progetti e quindi sé stesso e la sua soggettività, l’oggetto che crea è dunque fuori
dal suo raggio di azione, non lo crea per sé. Può infatti solo valutare l’effetto della sua opera sugli altri ma non può sentirlo.

Per cui non è vero che si scrive per sé. L’operazione di scrivere implica che ci sia anche il lettore, infatti dallo sforzo di scrittore e lettore
esce fuori quell’oggetto concreto e immaginario che è l’opera dello spirito. à l’arte esiste per gli altri e per mezzo di altri

La lettura è una sintesi di percezione e di creazione. Sia l’oggetto, che impone le sue proprie strutture, che il soggetto, che fa sì che
l’oggetto si sveli, fa sì che vi sia un oggetto, ma anche perché è lui stesso che lo produce, sono essenziali.

Il lettore ha la coscienza di creare e di svelare creando e di creare svelando. Se la lettura non è sentita come meccanica oltre le parole
verrà proiettata una forma sintetica. Il senso non è più contenuto nelle parole ma nella totalità organica delle parole. L’oggetto
letterario non ha altra sostanza che la soggettività del lettore, ci si immedesima, l’attesa di un personaggio diventa la mia, di lettore,
attesa.

Dato che la creazione trova il suo compimento nella lettura e poichè l’artista deve affidare ad altri il compito e la cura di compiere
quello che lui ha iniziato e poiché può cogliersi come essenziale alla propria opera solo attraverso la coscienza del lettore, ogni opera
letteraria è un appello. Scrivere infatti è fare appello al lettore perché conferisca un’esistenza obbiettiva alla rivelazione che io ho
iniziato per mezzo del linguaggio. Quindi lo scrittore si appella alla libertà del lettore perché collabori alla produzione della sua opera.
Il libro non serve la mia libertà ma la esige. Il libro si pone come un fine alla libertà del lettore. Libertà intesa come atto creatore
richiesto da un imperativo. Se si fa appello al lettore perché conduca a buon fine l’impresa da me iniziata va da sé che lo consideri
come una libertà pura, una attività incondizionata.

Non c’è necessita di sconvolgere il lettore, se no si avrebbe una contraddizione, se vuole esigere deve limitarsi a proporre il compito
da assolvere. Di qui deriva il carattere definito come della pura presentazione ovvero del distacco artistico. Sono i sentimenti di chi
usufruisce dell’oggetto che ridanno vita all’oggetto stesso. La lettura viene definita come un sogno libero. Quindi gli affetti del lettore
sono tutti liberi e non condizionati da nessuna realtà esterna, sono quindi tutti generosi

La letteratura è un esercizio di generosità e lo scrittore esige che il lettore doni tutto il suo essere. L’autore, dunque, scrive per
rivolgersi alla libertà dei lettori e le chiede di dare un’esistenza all’opera. Esige inoltre dai lettori che gli restituiscano la fiducia da loro
accordata e che riconoscano la sua libertà. Altro paradosso dialettico della lettura: quanto più sentiamo la nostra libertà, tanto più
riconosciamo quelle altrui.

Scrivere è come svelare il mondo e al tempo stesso proporlo come compito alla generosità del lettore. È un ricorrere alla coscienza
altrui per farsi riconoscere come essenziale alla totalità dell’essere.
Errore del realismo è stato di credere che il reale si rivelasse nella contemplazione e che se ne potesse dare un quadro imparziale. Ma
questo non è possibile perché la stessa percezione è parziale

à tutta l’arte dell’autore tende a farmi creare ciò che lui svela. Insieme lettore e scrittore portano la responsabilità dell’universo, tenuto
insieme dallo sforzo di due libertà.

L’opera non è mai esigenza ma dono. Se mi si offre questo mondo con le sue ingiustizie io non devo contemplare con freddezza ma
con indignazione.

Opera d’arte definita anche come atto di fiducia nella libertà degli uomini, una presentazione immaginaria del mondo in quanto
esigenza della libertà umana. Non si scrive infatti per gli schiavi, l’arte della prosa è solidale con il solo regime dove la prosa conserva
un senso cioè la democrazia.

3. per chi si scrive?

Si direbbe che il lettore scriva per un pubblico universale. Lo scrittore anche se dentro di sé aspira agli allori eterni parla ai suoi
contemporanei. Un’opera è per natura allusiva. L’autore è anche storico, è impegnato nella storia. Ci sono molti riferimenti impliciti a
un mondo che il lettore e l’autore hanno in comune. Scegliendo il lettore, lo scrittore determina anche l’argomento del suo libro.

“dicono che le banane abbino miglior sapore appena colte: così le opere dello spirito vanno gustate sul posto” à l’ambiente produce
lo scrittore, il pubblico gli rivolge un appello, pone delle domande alla sua libertà, pubblico invece è una attesa, è un vuoto da
colmare, è l’altro.

Uno scrittore si dice impegnato se prende sul serio la sua opera di mediazione. Nessuno è costretto a scegliersi scrittore, c’è di mezzo
la libertà, questo va di pari passo che io debba rispondere a una domanda specifica, devo svolgere una determinata funzione sociale.
à esempio di R. Wright

I letterati sono parassiti delle classi che li opprimono. Se dunque un negro scopre la vocazione di scrittore scopre anche l’argomento di
cui scriverà. Richard non si rivolge di certo all’uomo universale. Lo scrittore consuma e non produce, anche se ha deciso di servire la
comunità. Non è affatto utile anzi è inutile che la società acquisti coscienza di sé, lo scrittore impone alla società una coscienza
inquieta.

Robert Escarpit (Gironde 1918 - Gironde 2000)

È stato maestro indiscusso della sociologia della letteratura del XX secolo, studia letteratura inglese all’école normale supérieure e si fa
conoscere come specialista di Byron. Successivamente passa alle letterature comparate e comincia a dedicarsi alla sociologia della
letteratura e ai problemi della diffusione del libro, infine si occupa anche dell’informazione e della comunicazione.

Fa nascere la Scuola di Bordeaux, 1960, nata in quello che sarebbe diventato l’ILTAM ovvero institut de litérature et de techniques
artistiques de masse.

Era marxista dichiarato e le sue originali posizioni di metodo e le ricerche socio-letterarie hanno influenzato tutto il mondo, i suoi libri
vengono tradotti in poco meno di 30 lingue. Già nell’opera Storia della letteratura francese, 1948, afferma che la letteratura o meglio
la comunicazione letteraria (// Jauss) vive necessariamente in uno spazio a tre dimensioni: gli scrittori, le opere e i lettori. Il libro come
già diceva Sartre esiste solo quando viene letto. La ricchezza del metodo sociologico fa sì che Escarpit si soffermi anche ad analizzare
le concrete circostanze economiche della diffusione del libro, cioè dello studio, supportato da dati sperimentali, della ricezione, della
diffusione del libro e della produzione editoriale.

Una prima sistematica opera in cui vengono racchiuse le sue idee è Sociologia della letteratura 1958, ultima edizione del 1992, che
sostiene di aver scritto quasi per caso su commissione di una nota collana di manuali divulgativi in cui ancora una volta emerge
l’importante mediazione editoriale nella produzione di libri. Nell’opera emergono i molteplici approcci che sono necessari per
comprendere il fenomeno della comunicazione letteraria. Si punta quindi alle caratteristiche dei mezzi attraverso cui si realizza questa
comunicazione, analizzando in particolare il ruolo dello scrittore nella modernità, gli atteggiamenti del pubblico, la funzione del libro e
la sua fortuna nell’epoca letteraria in cui si trova. L’opera ebbe molto successo anche se dichiaratamente provocatoria.

Escarpit entra anche in contatto con gli organismi internazionali preposti alla diffusione del libro e sollecitato dal presidente
dell’UNESCO, scrive nel 1966 La Rivoluzione del libro, dove mette a fuoco gli elementi che caratterizzano le opere nell’era della
modernità tipografica, sottoposte dalla produzione industriale a una specie di cristallizzazione fisica e processi di standardizzazione.
D’altra parte, è solo grazie alle moderne tecnologie industriali di produzione che il libro ha potuto conquistare un pubblico abbastanza
ampio.
Inchiesta del 199, Le livre et le conscrit, Escarpit presenta e analizza i risultati di una inchiesta sulla letteratura svolta ai soldati di leva da
cui emerge un rapporto fra la conoscenza degli scrittori contemporanei e il titolo di studio (titolo di studio più alto à maggior
conoscenza).

I dati sociologici impongono una riflessione sulla vita reale del libro, sui modi in cui essa può raggiungere, ma anche sui modi per cui
essa non raggiunge la percezione collettiva. In tal senso in Scrittura e comunicazione del 1973 Escarpit offre una sintesi delle sue idee
circa il ruolo della scrittura. Viene analizzato il ruolo della stampa e dell’apparato editoriale per poi affrontare il tema della diffusione
dei testi scritti nel mondo, con i connessi problemi socioculturali (alfabetizzazione, rapporti scrittura e comunicazione audiovisiva).

La sintesi più articolata si trova nell’opera Teoria dell’informazione e della comunicazione del 1976 dove egli descrive il funzionamento
del testo letterario all’interno del sistema di comunicazione, a partire della consapevolezza che il testo è polisemico, ha più significati, a
cui vanno aggiunte tutte le possibili interpretazioni che da esso derivano. La specificità della letteratura sta anche nel fatto che può
essere tradita nel senso di essere lette e interpretata più e più volte. Viene quindi analizzata la duplicità della scrittura letteraria che è
sempre necessariamente cosa e significato cioè linguaggio, in quanto fatta di parole, ma anche oggetto estetico, dotato di una sua
concreta fisicità. Dal conflitto tra queste due dimensioni nasce una particolarissima densità di significato, un sursignificato. L’opera
letteraria tende ad essere più del linguaggio e quindi di caricarsi di significati aggiuntivi andando oltre la propria immediatezza
linguistica, questa tensione nell’epoca moderna si intreccia anche con la contraddizione socioculturale fondamentale dello scrittore in
cui riflette e critica la società stessa.

Negli ultimi anni affronta i nuovi fenomeni del sistema mondiale della comunicazione. Egli si domanda se dobbiamo rassegnarci ad
assistere alla scomparsa della letteratura e si risponde di no ma che essa è destinata a subire un mutamento radicale.

È stato anche giornalista per Le Monde e autore di alcuni romanzi.

Nel 1970 progetta un’importantissima antologia, Letteratura e Società, che può essere considerata come un manifesto per la scuola di
Bordeaux.

Il saggio Successo e durata delle opere letterarie in cui mostra che la sopravvivenza dei testi letterari dipendono da una complessa
molteplicità di fattori, da cui deriva una fisiologica “mortalità” anche se pensati per rimanere eterni. I testi infatti vivono in relazione a
determinati fattori di diffusione e soprattutto in relazioni a determinati aspetti socioculturali. La loro presenza è determinata
dall’esistenza di un pubblico in grado di leggerli e di apprezzarli. Quando non c’è pubblico l’opera letteraria non sopravvive tanto a
lungo.

Escarpit affronta il tema della duplice natura o natura ambigua del libro, in quanto al tempo stesso prodotto commerciale, sottoposto
quindi a leggi economiche, e processo culturale, sottoposte alle dialettiche dei processi comunicativi.

Ci sono delle contraddizioni fondamentali, lo scrittore dovrebbe essere considerato come il fornitore della materia prima, la sua
materia prima di fatto però è un prodotto già finito, in secondo luogo ogni libro è diverso dagli altri e non può essere assimilato a libri
già conosciuti. Da qui deriva l’impegno rischioso dell’editore che deve vendere il proprio prodotto e per questo sviluppa delle
strategie per diminuire i propri rischi. (caso limite: editore delle opere d’arte che produce quella che viene definita come editoria di
conservazione). Per cercare di diminuire i rischi connessi con l’unicità di ogni opera, l’editoria ricorre alla pubblicità mostrando il libro e
lo scrittore come di successo dando quindi un’immagine sicura al pubblico. (da qui nasce il fenomeno per cui gli editori agli scrittori di
successo quasi impongono di scrivere opere simili a quelle di successo. Questo porta a una diminuzione del valore delle opere
prodotte) à editoria legata alla sperimentazione. Ecco perché l’editoria è solita costruire il cosiddetto catalogo cioè una lista di opere
di valore destinate a vendere anche negli anni successivi.

A questo punto viene affrontato il rapporto strettissimo fra le condizioni dell’economia dell’editoria libraria e l’avvento del romanzo
che cambia il sistema letterario, la cultura e le dinamiche economiche della stessa cultura. Il romanzo ha fatto sì che il pubblico si
allargasse ma allo stesso tempo c’è stato il rischio che la qualità si abbassasse. “il romanzo è il genere attualmente più vulnerabile
poiché è il più sollecitato”.

Inoltre, Escarpit ricorda come non esitano dei geni incompresi e che ogni autore è fatalmente costretto a inserirsi nelle determinazioni
economiche inevitabilmente presenti in ogni casa editrice. Viene sottolineato il tema delle contraddizioni fra il progetto letterario degli
scrittori e le esigenze dell’apparato editoriale senza il quale i libri non avrebbero una esistenza socialmente riconoscibile.

à questo è il primo paragrafo intitolato il successo commerciale

Nel paragrafo il successo e lo scrittore viene delineata una sintesi sul rapporto tra gli scrittori e l’editoria, o meglio tra gli scrittori e la
produzione commerciale dei libri, cominciando dal 17° secolo in cui gli scrittori era mantenuti dai mecenati o dalla stessa Corte, fino ai
giorni nostri in cui lo scrittore deve affrontare i rischi e le soddisfazioni di una indipendenza professionale.

Paragrafo antologizzato “la durata dell’opera” in cui vengono presi in considerazione alcuni studi del passato che fecero un’indagine e
raccolsero dati su cosa sia e come sia percepita la letteratura.
Ricerche citate

- Odin che agli inizi del secolo mise insieme un catalogo di 1136 scrittori conosciuti, ancora ricordati, nati fra il 1300 e il 1830,
fra questi solo coloro che hanno pubblicato nell’età della stampa (1445).
- Lehman che cercava di individuare l’età della migliore prestazione nei diversi campi dell’attività umana con l’intenzione di
fondare una teoria generale della creatività in funzione dell’età. I risultati non sono credibili se prese alla lettera, ma Escarpit
le considera come le date in cui uno scrittore viene riconosciuto come tale da un certo gruppo sociale. à indagine sul
rapporto fra pubblico e la sopravvivenza di un autore nella memoria collettiva. È evidente che ogni scrittore è sostenuto e
letto da un pubblico che invecchia insieme a lui. Da qui ne deriva che il successo è sì legato a gruppi sociali ma per lo più a
gruppi generazionali, secondo cicli della durata media di 15 anni. Quindi uno scrittore vive solo nel momento in cui c’è un
numero significativo di lettori che hanno n peso sufficiente nell’opinione pubblica per influenzarne le scelte.

Premessa decisiva: la letteratura è fatta per affrontare pubblici diversi, nello spazio e nel tempo, essa possiede un’attitudine al
tradimento, cioè alla possibilità di essere interpretata più volte. Nella società la possibilità di sopravvivenza di un’opera resta una
possibilità, che si realizza solo in piccolissima parte.
Inoltre, non è scontato che i libri che si conoscono sono anche quelli che vengono letti, esiste anche il fenomeno del “sentito dire” che
consente ai libri di sopravvivere.

Testo antologizzato da Letteratura e Società

Successo e durata delle opere letterarie

Scopo: insieme di ipotesi di lavoro riguardanti i problemi del successo e della durata delle opere letterarie. Due tipi di successo il
successo del libro in quanto oggetto commerciale e il successo dell’opera in quanto risultato di un processo dialettico di
comunicazione.

Il successo commerciale in apparenza è quantificabile. Il processo che avviene è il seguente: l’editore si procura in cambio di una
somma di denaro un testo che gli viene fornito da uno scrittore. In seguito, si procura sempre in cambio di soldi la prestazione di uno
stampatore, che trasforma l’oggetto in libri, materiale commerciabile. I libri vengono venduti, il guadagno va dunque all’editore che
deve pagare stampatore e scrittore. Agli inizi dell’industria capitalistica il centro economico della produzione si è spostato sull’editore.
Ed è in quel momento che la letteratura appare come fenomeno storico. le caratteristiche della letteratura sono una tendenza al
tradimento, alle molteplici interpretazioni. Il progetto dello scrittore non è che una possibilità e non si può mai predire con un grado di
certezza quel che ne farà il lettore. Per questo si dice che la realizzazione dell’opera è contingente. Lo schema a y dell’editoria
prevede: la fornitura di materie prime, la trasformazione e la distribuzione, ma è tuttavia impossibile assimilare lo scrittore come
fornitore di materie prime. Quello che fornisce lo scrittore è già un prodotto di per sé elaborato. Questo prodotto risponde a
specificazioni definibili solo per alcuni aspetti e per di più in maniera approssimativa come la collocazione nei generi letterari,
lunghezza del testo. Quindi è impossibile snaturarlo, purificarlo. Ogni libro è a sé. à l’industria del libro non è una industria come le
altre. L’editore quindi condannato ad essere un industriale deve scegliere se valorizzare la prestazione dello stampatore al punto che
l’incertezza inerente all’apporto dello scrittore divenga trascurabile, oppure affrontare direttamente l’incertezza cercando di
minimizzarla.

Nel primo caso à si tende verso il libro-oggetto, che può avere sia funzione artistica ma anche funzionale, di decorazione o
collocamento. L’oggetto prevale sulla comunicazione e un libro invenduto ha un valore quasi nullo, mentre la carta conserverà il valore
oggettivo delle illustrazioni, del suo carattere tipografico o della rilegatura. Il commercio dei libri di occasione si base su questo
accrescimento di valore di fatto esiste tutta una rete di librerie specializzate nella vendita delle giacenze la cui presenza è sufficiente a
metterle in commercio, indipendentemente dal contenuto.

Nel secondo caso à l’editore deve cercare di neutralizzare il carattere speculativo del “progetto” dello scrittore al livello del processo
letterario. Per fare ciò l’editore cerca di trasmettere allo scrittore un’idea di autore di successo attraverso la pubblicità diretta o
indiretta, ottenimento di premi letterari. Lo scrittore in vista diventa un valore sicuro fino a quando è percepito come tale dal pubblico.
La celebrità letteraria è rara e la sua immagine di successo è tanto più fragile quanto più è difficile ignorarla per uno scrittore. Tutto
questo va di pari pass con il fatto che l’editore spingerà lo scrittore a ripetere all’infinito la tipologia di opera più venduta. La sicurezza
di avere uno scrittore viene dopo la sua morte quando cioè è considerato un classico. Per questo le edizioni di consumo contengono
sia i classici che sia per i normali libri di consumo. L’ambizione di ogni editore è crearsi un catalogo, un fondo, un assortimento di titoli
che sa di poter sempre vendere. Ed è per questo che non cerca dei benefici immediati, ma il successo risiede nell’avvenire, quando
qualcuno tra gli scrittori scelti sarà parte del fondo.

Atteggiamento inverso invece è tipico di coloro che vogliono un guadagno immediato che vada di pari passo con le mode e le
sensazioni del pubblico. Questa accentuazione sulla brevità del successo fa sì che i libri sopravvivano poco, quelle opere di
rendimento prolungato, i best-sellers, caratterizzati da una concatenazione di successi sensazionali, immediati.

Livre de poche à edizione di consumo ≠ livre de club edizione di conservazione


Questo sistema che si è sviluppato nel mondo occidentale nel corso degli ultimi due anni ha abbastanza funzionato, impedendo la
ricerca del successo commerciale di ostacolare lo sviluppo di una letteratura viva e ricca. Il romanzo nel XX secolo è diventato il genere
letterario per eccellenza, attraverso cui avviene il dialogo fra scrittore e lettore. Per questo diciamo che il romanzo è il più vulnerabile
tra i generi perché il più sollecitato. Sia lo scrittore che l’editore sanno che l’opera sarà influenzata dalla situazione sociale ed
economica in cui. L’opera risulta essere collocata, ritmata e in quadrata a seconda di esigenze del mercato.

Nel caso in cui il successo non superi la soglia oltre la quale l’editoria ha deciso di rischiare, si lascia morire il libro, di marciare a passo
lento e quindi di assicurare un guadagno non immediato ma costante per anni.

La durata dell’opera

Vengono citate le ricerche di Odin e di Lenman. Dalla ricerca di quest’ultimo sulla sopravvivenza dell’opera letteraria si nota che più la
selettività dell’elenco è ampia, più il passato è favorito, d’altro più il livello di studi del campione esaminato è elevato più è favorito il
presente. Dal grafico che mette in relazione l’età dello scrittore e la sopravvivenza dell’opera si nota che le opere maggiormente
ricordate sono quelle scritte dopo i 40 anni. Non si nasce però biologicamente predisposti alla letteratura ma l si diventa nel momento
in cui si viene riconosciuti da un pubblico che è un gruppo sociale. Quando avviene una recognition

Relazione età scrittore ed età lettore à più il lettore è giovane più l’opera sarà duratura. Si è notato infatti che un lettore che riconosca
uno scrittore tra i 20 e i 25 non contesti più la sua esistenza in quanto tale. Una volta avvenuto il riconoscimento, i lettori più giovani,
arrivati ai 20 e 25 anni, tendono a dimenticare gli scrittori noti per riconoscerne altri. Ne deriva quindi che lo scrittore è sostenuto dal
medesimo pubblico che invecchia insieme a lui nel giro di qualche anno. Passano 15 anni circa dal successo iniziale al riconoscimento.
Ecco perché i 40 anni sono considerati l’età nella quale si può pensare a una certa notorietà.

David Pottinger ha esaminato la produzione letteraria reale di un campione di scrittori. Se si sovrappone la curva di produttività e la
curva di età si nota che esse coincidono quasi perfettamente con un minimo scarto. La curva di età dipende dagli avvenimenti politici e
storici.

Si nota che la letteratura è soggetta al tradimento ed è per questo contingente. I geni incompresi non esistono. Idea della conoscenza
della letteratura per sentito dire à l’avvento dei mass media, quindi con l’egemonia dei mezzi audio visivi, cambia la visione stessa
della letteratura.

Ulrich Schulz-Buschhauss (1941-2000)

La grande tradizione della filologia romanza di area germanica trova come suo continuatore Schulz-Buschhauss, critico e teorico della
letteratura. Ha scritto molti studi importanti, tra i quali i saggi raccolti nel volume “Il sistema letterario nella civiltà borghese” del 1999.
Studia ad Amburgo e si laurea nel 1968, lavora come assistente, e nel 1976 diventa professore ordinario e in un’altra università, quella
di Graz, diventa direttore del dipartimento di romanistica. Come di consueto tra i filologi tedeschi si muove attraverso tutti i secoli
della letteratura occidentale, come feroce già Auerbach, fino ad arrivare all’unità culturale europea. I suoni saggi critici sono su autori
francesi, come Flaubert, angloamericani, spagnoli, sudamericani e italiani. In seguito, pubblica saggi dedicati sia ad autori
rinascimentali che moderni, con particolare attenzione a quelli novecenteschi. Questo per quanto riguarda l’attività critica, ma egli ha
anche sviluppato una importante riflessione teorica capace di unire l’attenzione per il testo, le caratteristiche del filologo,
all’interpretazione dei nessi tra letteratura e società. Nella sua riflessione teorica gioca un ruolo chiave il concetto di genere letterario.
Questo è testimoniato dai numerosi lavori sulla letteratura di consumo o paraletteratura, che in tedesco viene reso con un termine che
letteralmente significa “letteratura banale”. Nella letteratura pre-borghese il sistema letterario era organizzato su una opposizione
tipologica o assiologia cioè c’era una netta divisione tra letteratura alta e bassa. Si tratta quindi di una distinzione verticale, legata alla
struttura del sistema sociale e influenzata dalla netta divisone tra classi. L’avvento della modernità, l’affermazione dei valori di libertà
individuale, il concetto di originalità artistica portano all’affermazione dei valori sul paradigma che oppone il nuovo al ripetitivo,
l’originale al convenzionale. —> il paradosso della letteratura moderna risiede proprio nel fatto che essa da un lato enfatizza il valore
dell’originalità, ma essendo ancorata e dipendente dalle strutture editoriali e dalle necessità di profitto, è per forza orientata alla
produzione di opere vendibili che vanno incontro al gusto già formato del lettore che ricade nella ripetitività. Da qui deriva il tentativo
di discriminazione di alcuni generi letterari ritenuti portatori di serialità, quelli della cosiddetta letteratura di genere, paraletteratura,
normalmente stigmatizzata come letteratura per un consumo effimero e quindi inferiore alla cosiddetta letteratura alta. (chiaro che il
concetto di letteratura di genere si fonda sull’illegittima sovrapposizione di categorie di genere e di giudizi di valore). Oltre al
concetto di genere la riflessione si concentra anche sull’opposizione fra la letteratura aristocratica dell’ancien regime, che riconosceva il
valore dei generi in quanto era un sistema altamente codificato, e la moderna letteratura borghese che pone l’accento sul nuovo. Il
passaggio all’età moderna non porta a una reale dissoluzione dei generi letterari, ma ha cancellato il loro carattere normativo. (//
Auerbach e Bachtin fa una riflessione sulla mescolanza di genere e stili). Questo rifiuto moderno delle regole viene cancellato negli
ultimi anni con il recupero dei generi promosso dalla letteratura negli ultimi decenni del XX secolo, nella cosiddetta cultura del
postmoderno che egli rifiuta e chiama postavanguardia. È grazie al concetto di genere che si può passare da una riflessione letteraria a
una di tipo sociologico. Il genere è una codificazione interna al sistema letterario. La riflessione di Schulz procede per ampie distinzioni
tipologiche, spesso strutturate in coppie oppositive. L’opposizione fra la letteratura aristocratica e la letteratura borghese,
caratterizzata dall’egemonia della forma romanzo, è al centro della maggior parte dei saggi scritti in italiano. Nel saggio Editoria ed
evoluzione dei generi del 1999 analizza l’interazione reciproca tra l’editoria e le forme letterarie: interazione in cui gioca un ruolo
decisivo il genere letterario. Il fenomeno più evidente e clamoroso della correlazione fra generi letterari e dinamiche editoriali è
l’affermarsi del romanzo che è un evento decisivo per lo sviluppo del sistema letterario borghese. Schulz si rifà a Watt che per primo
teorizza l’aspetto mediatico e imprenditoriale del romanzo. Il romanzo comporta un coinvolgimento della persona, consente alla
persona di vivere esperienze che altrove non avrebbe mai vissuto, è la prima forma letteraria che dipende dalla sua realizzazione a
stampa, la letteratura assume un carattere privato e individuale, quello che viene chiamato “fascino voyeuristico” cioè la possibilità di
assistere come se fossimo dietro il buco di una serratura alle vicende a tratti scabrose raccontate. Lo romanzo è anche affermazione di
libertà e irresponsabilità. La fortuna del pubblico va però di pari passo con l’ostilità della critica. Ecco perché le prefazioni dei romanzi
la maggior parte delle volte sono di natura apologetica per autolegittimassi. L’ostilità dell’establishment letterario conferma che il
romanzo ha fatto la sua strada da solo, si afferma grazie al favore del pubblico e all’appoggio della produzione editoriale ma non
grazie alla critica. Influsso dell’editoria evidente se si pensa al genere giallo inventato dall’editoria stessa per un genere che all’estero è
definito come romanzo poliziesco. L’editoria da un fondamentale contribuito all’evoluzione della letteratura. Tendenzialmente
l’atteggiamento del critico e dell’editore sono in opposizione. Il critico infatti cerca il valore estetico, il bello laddove trova il nuovo,
cioè delle caratteristiche originali. Questo viene definito da Buschhaus come nominalismo estetico ovvero l’atteggiamento della critica
e della teoria della letteratura a insistere sull’unicità dell’opera. L’editore invece ha bisogno che le opere siano vendute per cui
essendo l’acquisto basato su esperienze passate piacevoli guarda più al passato, insiste quindi sulla genericità delle opere quindi sulla
loro riconoscibilità. Per genericità si intende l’apparenza a un determinato genere conosciuto. Ogni opera, d’altronde non in può fare a
meno di richiamarsi a strutture già esistenti nella tradizione precedente. (// alle idee di Bachtin che ci ricorda che le parole prima di
essere nostre sono sempre state di altri non esiste perciò un nuovo in assoluto.) per questo polemizza con la scuola di Francoforte che
oppone rigidamente la ripetitività alienante della cultura di massa all’originalità delle opere storicamente valide MA ogni testo
letterario per quanto bello non potrebbe esistere senza ripetere alcuni aspetti e strutture precedenti. La questione della ripetizione
rimanda al concetto di avanguardia che per principio afferma una poetica improntata alla trasgressione. Ma la storia stessa insegna che
ogni trasgressione quando diventa regola subisce la ripetizione. Anche per questo nell’ultimo periodo si abbandona l’avanguardistica
per riconquistare i valori della comunicazione e della leggibilità. Negli ultimi anni gli scrittori e la critica sembrano essersi riavvicinati a
quella che è la prospettiva naturale degli editori cioè a tener conto del gusto del pubblico. —> come diva Vico la storia è fatta di corsi
e ricorsi storici in cui l’interesse per la leggibilità e per i lettori viene a fare da contrappeso a periodi in cui ha dominato la prospettiva
dell’innovazione. La postavanguardia è quindi ritornata a stare attenta alle convenzioni di genere. Inoltre, la rinnovata disponibilità
verso i generi va di pari passo con la rinnovata attenzione verso la traducibilità dei testi. (Le poetiche della trasgressione puntavano
sulla necessaria intraducibilità)

Testo antologizzato da Il sistema letterario nella civiltà borghese

EDITORIA ED EVOLUZIONE DEI GENERI

Il tema che verrà affrontato è il rapporto fra le attività e le istituzioni editoriali e la formazione di generi e di forme letterarie. Non si
prefissa lo scopo di essere esaustivo perché il tema è troppo ampio. Ci si limita a citare alcuni fenomeni ritenuti esemplari, esempi
anche passati, dato che solo una corretta ricostruzione del passato porta a una conoscenza profonda del presente. Quando si parla di
rapporti fra l’editoria e l’evoluzione dei generi letterari ci si concentra sull’importanza che l’editoria ha avuto per la storia delle forme
letterarie. Anche l’evoluzione delle forme letterarie esercita un influsso massiccio sull’evoluzione, l’incremento o la crisi dell’industria
editoriale.
La nascita del romanzo segna una tappa fondamentale tra la storia dei rapporti fra l’editoria e la morfologia letteraria. Il romanzo
all’inizio del ‘500 comincia ad avere la meglio sull’epopea e i poemi eroici. Questo scambio fra epopea e il romanzo rappresenta la
rottura più profonda nella storia delle letterature e delle mentalità europee. Una delle cause di questa rottura è quella degli interessi
dell’industria editoriale che nel ‘500 acquisisce sempre più importanza. Questi legami fra romanzieri ed editori diventano sempre più
evidenti quando dal ‘600-’700 la letteratura narrativa si fa letteratura di massa. Un esempio in tal senso è fornito dal ‘700 inglese,
dall’ascesa del romanzo, descritta da Watt che per primo sottolinea l’aspetto mediatico e imprenditoriale del romanzo che prima era
sottovalutato o addirittura disprezzato. Il romanzo comporta una estensione, un arricchimento delle possibilità di vita, per questo si
parla di esperienza letteraria come esperienza privata. Nel saggio “private experience and the novel” Watt sostiene che il romanzo sia
stato la prima forma letteraria che abbia rotto in maniera radicale con la tradizione orale della poesia in senso stretto. Grazie al
medium della stampa avviene, secondo Watt, un maggior grado di credibilità e autorità conferito ai testi stampati. Ancora più chiavi
sono la garanzia dell’anonimato e della segretezza che il libro stampato offre e che lo distingue nettamente da quella che può essere
una rappresentazione teatrale. È il fascino voyeuristico che il romanzo ha e che fanno sì che abbia un grado di libertà e irresponsabilità
inaudite che lo hanno sempre reso sospetto a ogni forma di potere. C’è dunque un rapporto assai evidente fra il genere del romanzo,
il medium della stampa, l’editoria e l’evoluzione di una società in cui mercanti e borghesi mirano ad un ruolo egemonico. Questo
rapporto si fa sempre più stretto tra ‘800 e ‘900. In quel periodo la letteratura si presenta più come una letteratura di romanzi e questo
dominio del romanzo significa anche che c’era un crescente peso delle decisioni editoriali nella comunicazione letteraria. Il trionfo del
romanzo, del resto, ha portato a un cambio della relativa incidenza della funzione editoriale e della funzione della critica. Durante
l’ancien regime il critico aveva una posizione di rilievo, era appoggiato dalle autorità della tradizione ed esercitava un potere che a
volte aveva tratti tipici e simili a quello di un legislatore. Quindi, l’ascesa del romanzo come genere egemonico della letteratura
moderna non si compie grazie alle suggestioni della critica letteraria. Ecco perché dopo un’analisi di un francesista tedesco su 800
prefazioni di romanzi francesi del 1800 ne nota uno stile difensivo e quasi apologetico. Il trionfo del romanzo deve ben poco all’istanza
della letteratura quanto invece deve molto all’attività editoriale che in questo momento prende il sopravvento sulla critica. L’editoria
stimola la produzione del romanzo e dei suoi sottogeneri. Ne è un esempio il genere letterario Giallo Mondadori (il termine derivato
dalla copertina del libro mostra il rapporto significativo tra la formazione di un genere letterario e l’istituzione di una nuova collana
editoriale). Questo comporta che l’istituzione di una collana letteraria presupponga l’esistenza di un genere e che, viceversa,
l’esistenza di un genere venga sempre affermata da dall’istituzione di una collana. Risulta evidente che l’editoria contribuisce alla
pratica della continuità dell’evoluzione letteraria. Questa funzione nel corso del Novecento si è rivelata particolarmente ed è il
momento in cui l’editoria entra nell’era dell’industrializzazione. L’editoria ha come legge fondamentale l’istituzione di nuovi generi,
collane e sottogeneri. Esiste una tensione mai risolta fra la norma critica di una trasgressione permanente e la realtà editoriale di una
continuità di testi letterari che solo in parte e solo relativamente sono pronti a realizzare il Nuovo richiesto dalle istanze della critica.
Dai primi dell’800 assistiamo a una tensione fra teoria poetologica e realtà della vita letteraria. La teoria si è da sempre abituata a
insistere su un nominalismo estetico che cerca di superare la genericità del testo letterario, mentre la realtà editoriale insiste sulla
genericità, ovvero sull’appartenenza dell’opera a un determinato genere letterario. Questa tensione fra nominalismo teorico e anti-
nominalismo pratico ha raggiunto l’apice con i saggi di Adorno e Horkheimer che suscitò poi la contro critica di Umberto Eco. Si fa
riferimento al saggio “industria culturale. Illuminismo come inganno delle masse” in cui emerge che quello che scandalizza i due è che
l’industria culturale è caratterizzata da un’enfasi esagerata verso il generico, del continuo, della collana, della serie. Questa posizione
non si spiega solo riferendosi all’anticapitalismo e all’antifascismo dei due autori, ma presuppone anche una determinata poetica,
estetica. Si tratta infatti del nominalismo della poetica moderna che valorizza in ogni opera d’arte il suo statuto di unicità e di
originalità, cioè di differenza in rapporto alla serie di un genere, di una tradizione retorica o tematica. D’altra parte, la critica di Eco fa
emergere il motivo ideologico cioè della perdita di prestigio del pensiero marxista e n motivo poetologico ovvero che negli ultimi anni
non solo l’idea di un’avanguardia politica ha perso il su prestigio, ma è venuto meno anche il fascino dell’avanguardia artistica e
letteraria. Ora, se gli ideali dell’avanguardia consisteva nei valori di un nominalismo estetico, del testo unico e dell’illeggibilità, la
letteratura della postavanguardia tende a una rivalorizzazione della leggibilità che presuppone l’accettazione di momenti generici, di
convenzione e di comunicazione. Grazie a questa poetica della leggibilità stiamo vivendo una fase letteraria in cui proprio i generi
rifiutati dall’avanguardia storica si sono nuovamente affermati come i principali mezzi di comunicazione fra autori e lettori. Si assiste a
un recupero di generi che va di pari passo con una riabilitazione della legittimità del continuo, della collana, della serie e di tutte le
istituzioni letterarie tipiche dell’editoria moderna. La cooperazione tra scrittori e istituzioni editoriali è sempre stata un po’ minata da
alcuni problemi. Ad esempio, dalla parte degli scrittori c’è sempre la volontà di cercare di sperimentare qualcosa di nuovo, mentre
l’editoria l’interesse per la letterarietà viene moderato da quello che Spinazzola chiama il realismo dei lettori. Quindi, all’editoria spetta
una funzione di mediazione che non è solo di natura economica, ma che coinvolge anche altri interessi, tra cui anche l’interesse per la
leggibilità. Questa poetica dell’illusione referenziale rende impraticabile il piacere di una doppia letteratura cioè di una letteratura che
si lascia sedurre dall’illusione, sperimentale, e da una letteratura che cerca di accorgersi della tecnica e delle abilità della scrittura. I
momenti in cui l’editoria fa meno fatica a livello di mediazione sono i momenti in cui prevale la leggibilità e l’interesse per i lettori,
anche se questi momenti non coincidono con l’entusiasmo della critica. Sul concetto di post-moderno bisogna fare chiarezza dato che
un conto è il concetto di modernism in senso anglo-americano e un conto è il post-moderno italiano, francese. Il modernism indica
infatti un’epoca chiusa, caratterizzata da scrittori come Eliot o la Woolf, mentre il moderno italiano, francese e tedesco serve a
designare un progetto storico non ancora avvenuto. Di conseguenza il postmoderno europeo non coincide con il post-modernism
anglo-americano. È più produttivo distinguere tra avanguardia e postavanguardia. Stiamo vivendo un momento in cui arte e la
letteratura non sono considerabili all’avanguardia, ma di post-avanguardia. Di conseguenza, c’è una attenzione maggiore alla
leggibilità e al carattere comunicativo dell’opera e quindi ance alla sua possibile traducibilità.

Micheal Bachtin (Russia, 1895-1975)

Di solito si parla di lui come critico letterario ma i suoi studi riguardano anche la filosofia del linguaggio e la linguistica, la sociologia, la
psicologia e l’antropologia. L’opera di Bachtin sembra costituire una specie di piattaforma per il riordinamento delle scienze umane.
Egli studia filologia a Pietroburgo, ma fin dagli anni giovanili si costruisce una solida e complessa formazione filosofica dove
confluiscono apporti marxisti, neokantiani e istanze di fenomenologia. Venne censurato dal regime sovietico e solo dopo anni si può
dire che la vocazione filosofica ha la priorità in quanto è stata questa a influenzare i suoi interessi critico letterari. Tra il 1920 e 1924 è
importante ricordare un suo saggio incompiuto “Per una filosofia dell’azione responsabile” in cui vengono delineate le basi della sua
filosofia del dialogo. Bachtin viene arrestato perché membro del circolo filosofico-religioso “resurrezione” dato che il regime sovietico
aveva iniziato la sua repressione di ogni tipo di dissidenza. Per questo avrebbe dovuto essere deportato in un Lager, ma fu graziato
dato che soffriva di una grave malattia (osteomielite cronica) che con il tempo gli avrebbe causato una cancrena e la conseguente
amputazione della gamba. Viene quindi mandato per una quindicina di anni in villaggio sperduto del Kazakhstan. Solo nel 1945 potè
di nuovo insegnare e ottenne un incarico di letteratura russa in un istituto magistrale.

Il dialogo è sia essenza del linguaggio ma anche struttura fondatrice di identità. Il linguaggio esiste solo come comunicazione in atto
ed è all’interno del linguaggio che nasce il soggetto come coscienza, che può esistere solo in relazione al linguaggio. Per questo la
critica di Bachtin si pone come una critica alla filosofia occidentale. Non esiste in fatti nessuna verità assoluta perché la verità è legata
ai singoli soggetti che la pongono e ogni oggetto è in relazione all’altro. Il linguaggio, inoltre, è sempre anche azione e per questo
viene chiamata in causa anche una dimensione etica. Quindi, criticando l’ontologia e la metafisica occidentale, Bachtin propone una
riconversione complessiva dalla filosofia all’etica e anche al linguaggio. Queste affermazioni hanno importanti conseguenze anche sul
piano psicologico, Bachtin in questo senso è in linea con il pensiero di Dostoevskij che concepisce la coscienza e il pensiero come una
specie di dialogo interiore. Si ricorda in questo senso il saggio L’autore e l’eroe, dove viene declinata una fenomenologia dei
complessi rapporti che ci sono tra lo scrittore e i personaggi, gli alter ego, dei suoi romanzi. I personaggi hanno per forza un legame
profondo con l’autore che li ha inventati. D’altra parte, essi non sono l’autore stesso, infatti l’autore, attraverso la creazione dei
personaggi, si ricolloca nel mondo. Solo se l’autore si immedesima con i personaggi questi risultano credibili. Il vero catalizzatore del
pensiero di Bachtin è senza dubbio Dostoevskij che per lui rappresentava una sorta di vivente incarnazione del dialogismo della
coscienza. Un libro importante su di lui è stato scritto nel 1929 “Problemi dell’opera di Dostoevskij” che fece sì che l’occidente
scoprisse questo pensatore. Ci sono altre opere su di lui in cui Bachtin scrive di aver trovato una sconvolgente messa in scena della
profonda scissione del soggetto nella modernità e l’intuizione precise di una stura dialogica della coscienza. I personaggi di
Dostoevskij quando pensano dialogano con gli altri, immaginando domande e risposte, attacchi e auto-difese, in un continuo alternarsi
di pensieri che mettono ben in luce la dinamica profonda della vita psichica. Attraverso l’analisi di Gargantua e Pantagruel (1542,
Rebelais, scrittore e umanista francese), Bachtin dimostra che il romanzo moderno deriva da due filoni: il filone colto e quello popolare
che rimandano a due strati molto diversi del sistema culturale. (colto intendendo la poesia bucolica, i dialoghi socratici, i simposi, la
satira romana). Con popolare Bachtin fa riferimento a quella che lui chiama “cultura del carnevale” che trova un esempio attuale
nell’opera di Rebelais. Carnevale non inteso come il carnevale ai giorni nostri, ma inteso come lo era alle origini cioè come portatore di
trasgressività e dotato di una forza critica nei confronti della società, a partire da quella medievale. La cultura del carnevale, fondata sul
riso e sulla comicità, nega innanzitutto la tradizione, assegnando maggior importanza al futuro e al proseguimento della vita, intesa
come una continua trasformazione della realtà. In questo modo viene negata la contrapposizione ascetica tra corpo e vita, crolla
l’opposizione tra vita e morte e fra vita e vita eterna. Chiaro è quindi che il carnevale si fa portatore di una visione vitalistica del mondo
e fortemente pagana e di un atteggiamento di demistificazione e radicalmente critico verso ogni forma di potere. Dunque, il romanzo
nascerebbe da una ”carnevalizzazione” della rappresentazione letteraria, cioè dall’abolizione di ogni vincolo stilistico e tematico e allo
stesso tempo la nascita del romanzo produce uno sconvolgimento complesso nel sistema letterario occidentale, dove tutti i generi si
confrontano con la forma romanzesca: ciò significa che nell’età del romanzo tutti i generi sono carnevalizzati o romanzizzati.

Nel saggio La parola nel romanzo (1934-35) Bachtin mostra in che modo la filosofia del dialogo possa riorientare profondamente le
metodologie di indagine linguistica sui testi romanzeschi. La forza del metodo di Bachtin sta nella capacità di mettere a fuoco con
grande esattezza i tratti linguistici dei testi senza mai perdere di vista la loro relazione con il contesto sociale. La direzione che prende
la sua linguistica è quella della dimensione pragmatica, la relazione fra il linguaggio e il contesto in cui viene usato. Bachtin ritiene
anche che ci debba sempre essere una sociolinguistica, capace di rendere conto delle radici sociologiche dell’uso del linguaggio. Nel
saggio si propone quindi la fondazione di una nuova stilistica del romanzo a partire dalla constatazione che la stilistica della letteratura
non sembra essere ancora in grado di confrontarsi con la complessità della forma romanzesca. Si parla quindi di una nuova stilistica di
Bachtin in contrapposizione a quella classica di Auerbach. Secondo Bachtin, la stilistica letteraria dovrebbe tenere conto della
specificità di genere, in quanto i generi rimandano non solo a variabili della poetica, ma anche al tono sociale. La stilistica in questo
senso ha mancato la specificità del romanzo come oggetto di studio: essa si è concentrata o sulla lingua del romanziere o su una
ipotetica lingua unitaria del romanzo MA la caratteristica del romanzo è proprio quella di non avere una lingua unitaria specifica,
paradossalmente, la sua specificità si fonda sulla mescolanza di vari strati del linguaggio, di varie unità stilistiche eterogenee. Secondo
Bachtin la filosofa sfera linguaggio, la linguistica e la stilistica semplificano la complessità del rapporto della lingua come sistema e
l’individuo che fa uso del linguaggio, dato che entrambe vengono considerate solo come unità astratte. In ogni atto comunicativo non
c’è mai solo il minimo linguistico astratto di una lingua comune, ma c’è in gioco la lingua ideologicamente saturata cioè la lingua come
concezione del mondo e come opinione concreta. Ciascuno di noi quando usa il linguaggio impiega uno strumento che non gli
appartiene, che gli preesiste. Ogni volta che parliamo o scriviamo usiamo usiamo sempre parole che gli altri hanno già usato.
Comunicare significa per molti versi citare parole altrui e dare loro un nuovo orientamento, appropriarsene marcandole con la nostra
visione del mondo. Questa situazione si accentua enormemente quando si parla di un’opera letteraria, nella quale ogni scelta
linguistica rappresenta una presa di posizione anche in opposizione alla tradizione precedente. Il romanziere questo lo sa bene perché,
come dice Bachtin, l’oggetto specificante e principale del genere del romanzo è l’uomo parlante e la sua parola. Il romanziere mentre
racconta delle storie cita inevitabilmente altri discorsi, legati ad altri personaggi e mette la sua scrittura in relazione ad altre
pretendenti alle quali non puoi fare a meno di alludere. Egli definisce il suo punto di vista attraverso la sua scrittura. Anche il lettore
percepisce che la lingua porta con sé anche una concezione del mondo e che in ogni istante la lingua si dispone lungo gradi di
maggior e minore vicinanza all’autore. Si concentra poi sulle caratteristiche dell’uomo parlante che, diventato oggetto della
raffigurazione romanzesca, non smette comunque di essere uomo sociale, storicamente concreto e determinato. L’uomo parlante è
sempre un ideologo e la sua parola è sempre un ideologema. Una lingua particolare usata nel romanzo si fa sempre portatrice di un
punto di vista particolare. Infine, vengono messi in luce fenomeni di polifonia cioè di mescolanza fra lingue, dove la parola sembra
essere a due voci.

Vittorio Spinazzola (Milano 1930-2020)

È stato un critico letterario, dopo aver studiato in statale a Milano, comincia un’attività di di redattore editoriale, di critico militante, sia
come critico letterario che come critico cinematografico. Dal 1970 diventa professore all’università degli studi di Milano di letteratura
italiana moderna e contemporanea. Spinazzola analizza i testi con una metodologia complessa, difficile da racchiudere in una forma,
una metodologia che usa strumenti di indagine formale, come la stilistica e soprattutto la narratologia, ma al tempo stesso si
preoccupa sempre di cogliere le dinamiche storico-sociali che vengono chiamati in causa. Tutta la sua riflessione muove dal fatto che
la letteratura è un complesso meccanismo comunicativo, in cui le scelte dall’autore hanno a che fare con molte variabili (la personalità
e la cultura degli autori, la tradizione letteraria, il pubblico, la dimensione editoriale). Sul piano teorico Spinazzola riprende alcuni
aspetti del pensiero marxista, rielaborando n particolare il pensiero di Gramsci. Spinazzola dice infatti che da lui gli è è venuto il
principio cardine che i gusti e le preferenze della gente comune vanno esaminati con serietà. Viene messo in luce il ruolo del lettore e
la costante attenzione negli studi sia sul lettore che sul tipo di testo ha fatto di Spinazzola un pioniere degli studi della paraletteratura.
Importanti sono i suoi studi sull’editoria, a lui si deve l’istituzione di un master in editoria in statale a Milano e l’ideazione e la cura di
due riveste annuali: Tirature e Pubblico. Produzione letteraria e mercato culturale. Per quanto riguarda gli studi propriamente critici,
l’attenzione per il rapporto tra testi e lettori ha spinto il critico milanese a studiare autori che scrivevano ponendosi in modo
consapevole in relazione con il loro pubblico. Ad esempio: Manzoni, De Marchi e De Roberto.Spinazzola indaga sulle modalità formali
attraverso cui si va costruendo in Italia una tradizione narrativa e realistica, sia sul complesso snodo socioculturale che viene a crearsi a
seguito dell’unità del 1861. Nei saggi feroci raccolti in Critica della letteratura del 1992 viene sottolineato il ruolo dei fruitori. La lettura
non è una dimensione esclusivamente individuale dato che si costruisce a partite da relazioni intersoggettive, in base a linguaggi e a
codici che che sono un patrimonio collettivo. Per questo dai dice che la letteratura è insieme un’esperienza di interiorizzazione e
socializzazione. In generale i testi letterari nascono a partire da codici condivisi: ogni atto di scrittura, e anche di lettura, implica un
atteggiamento nei confronti della tradizione. In questo senso il concetto di genere letterario è fondamentale: i generi infatti sono dei
modelli conosciuti che possono essere imitati. Essi agiscono come aggregati di strutture che, assimilati nelle strade memoria, ci
permettono di produrre strutture nuove. In questo senso i generi letterari rappresentano i fattori basilari di continuità del sistema
letterario e organizzano il complesso della tradizione in un insieme di sotto tradizioni. I generi sono dunque luogo privilegiato di
innovazione (un nuovo genere letterario testimonia un cambiamento nella letterarietà). La nascita del romanzo ha messo in questione il
sistema letterario. Spinazzola osserva una sorta di progressiva radicalizzazione della tensione al nuovo che è tipica della cultura della
modernità. In prima istanza la modernità letterari tende a rompere con i modelli classicisti e porta a compimento la lunga storia della
distruzione della gerarchia degli stili. Il romanzo si afferma in concomitanza a certe esigenze sociali, risponde a un ampliamento del
pubblico e alla nascita dell’editoria. Si parla infatti di narrativa realistica che pone fine al principio di imitazione. Il sistema letterario tra
gli ultimi decenni del XIX l’inizio del XX secolo è segnato dalle poetiche della trasgressione permanente, da cui nascerà il modernismo
e le avanguardie propriamente dette. Spinazzola come Schulz-Buschhaus mostra la contraddittorietà tendenziale della logica
dell’avanguardia che istituisce un’impraticabile negazione della norma. Gli antitradizionalisti in maniera paradossale hanno posizioni di
orgogliosa difesa della propria superiorità e quindi al rafforzamento dell’istituzione letteraria. Le dinamiche del sistema letterario
vengono analizzate tenendo conto di pubblico e di lettore senza il quale non ci sarebbe comunicazione letteraria. Ogni lettore quando
legge un testo letterario è chiamato a un’azione di valorizzazione, a percepire e a mettere in risalto il valore estetico. Leggere un testo
letterario implica anche accorgersi del bello, leggere comporta una gratificazione estetica. Da qui l’idea che l’esperienza stessa della
lettura debba produrre piacere e anche divertimento. (In contrasto con il criticismo esasperato). La lettura è anche gratificazione e
quando non c’è siamo tutti tentati di chiudere il libro e smettere di leggere. La gratificazione arriva solo dopo una fatica psicofisica.

Nel volume “la modernità letteraria”, 2001, troviamo studi di varia natura articolati in sezioni dedicate ai lettori, agli editori, agli
scrittori riconosciuti e ai problemi di leggibilità. Nel saggio Le articolazioni del pubblico novecentesco Spinazzola analizza l’espansione
verso il basso del pubblico librario, causata dall’ampliamento della scolarizzazione e dell’acculturazione, a loro volta legate al crescente
benessere a seguito degli anni del boom economico. Questo cambiamento è avvenuto anche in Italia e ha avuto conseguenze
clamorose. La critica, nonostante il progresso evidente in corso, non vede molto bene questo ampliamento, denunciando infatti uno
scadimento dell’esperienza letteraria. Spinazzola però sottolinea come questo ampliamento non significhi omologazione, ma anzi
differenziazione. La differenziazione dei prodotti culturali, del resto rappresenta la riposta a esigenze nuove e differenziate: a esigenze
sociali, ma anche culturali ed estetiche. Questa differenziazione non si verifica solo da lettore a lettore ma anche nel lettore stesso:
siamo liberi di leggere prima una poesia e poi dopo un giallo o un romanzo rosa. Sul piano storico si è verificata una profonda
trasformazione che coincide in buona sostanza con una democratizzazione dell’istituzione letteraria. Se si fa attenzione si nota come la
differenziazione dei prodotti culturali è molto visibile nella prosa, in particolare di quella narrativa e non nella poesia. In particolare, la
poesia novecentesca si rivolge a un pubblico molto ristretto, che coincide con gli scrittori stessi. Nell’ultimo periodo è avvenuta però
una complessiva modificazione dell’esperienza sia estetica che della letteratura letteraria, in termini di accelerazione alla quale
corrispondono delle tecniche narrative specifiche come l’ellissi, sintesi o in generale a una velocizzazione della lettura. Soprattutto le
prime opere del Novecento sembrano quasi essere una sfida al nuovo mezzo di comunicazione che andava affermandosi che è il
cinema. In questo senso Spinazzola sottolinea l’importanza del fumetto in quanto forma mista fatto sia di parole che di immagini. Dopo
queste premesse viene analizzata l’evoluzione del rapporto fra pubblico e letteratura dall’unità di Italia fino al XX secolo. Le tappe
principali del percorso sono D’Annunzio, il decadentismo in genere, le avanguardie del primo Novecento, il ventennio fascista in cui fu
evidente l’importanza dell’editoria, il neorealismo, la neoavanguardia, la contestazione e il ritorno a una maggior leggibilità negli anni
80. Il XX secolo è caratterizzato da una pressoché illimitata differenziazione di genere e forme. Spinazzola individua quattro principali
articolazioni del pubblico novecentesco, in relazione ai testi che, in base al grado di competenza culturale il pubblico è in grado di
apprezzare. Le categorie proposte marcano solo una differenza tecnica non estetica.

1. Letteratura avanguardistico-sperimentale o iperletteratura è caratterizzato da un’alta complessità formale, ma anche dalla


tensione alla sperimentazione permanente, da una strenua ricerca del nuovo, facendo cosi riferimento a un pubblico elitario
e colto
2. Letteratura istituzionale dove ci sono testi rivoltino a un pubblico scolarizzato, non specialistico che predilige una relativa
stabilita delle forme di genere.
3. Letteratura di intrattenimento dove la possibilità di raggiungere un pubblico ampio va di pari passo con la semplificazione
dei modelli di genere e dei registri stilistici. In questa categoria ci sono dei testi di letteratura vera e propria, ma anche libri
di confine, come quelli comici, biografie, autobiografie
4. Letteratura marginale o paraletteratura caratterizzata dalla relativa semplicità strutturale, in questa fascia influisce anche un
fattore distributivo, infatti essa è venduta non in libreria, ma in edicola. Appartengono a questa categoria il fumetto, il
romanzo rosa e il romanzo pornografico. Siamo davanti a una pluralità di forme che corrisponde a una pluralità di risposte a
esigenze diverse e tutte legittime.

Spinazzola suggerisce ai critici di commentare e valutate tutte le opere senza alcuni tipo di pregiudizio. La critica data l’attuale
situazione del mercato e dell’industria editoriale ha perso un po’ di punti. Per questo viene guardata non troppo bene la pedagogia
della letteratura che insegna e comincia il piacere e l’interesse per la lettura. Scrive che bisogna insegnare a leggere alfabeticamente
ma soprattutto a saper leggere. In questo senso spinazzola scrive tenendo conto dei diritti del lettore a oltre trascurati.

Testo antologizzato preso da La modernità letteraria, le articolazioni del pubblico novecentesco

Anche se in ritardo, anche in Italia i processi di acculturazione e di scolarizzazione connessi all’avanzata della civiltà urbano-industriale
hanno comportato una sensibile espansione verso il basso del pubblico librario. Questo aumento non è proporzionale all’incremento
della produzione editoriale né alla moltiplicazione degli scrittori. Questo allargamento del settore di popolazione attiva ha avuto
conseguenze dirompenti. L’insieme della nuova e della vecchia utenza non dà più l’immagine di una comunità organica che ha
comportato un abbassamento della qualità dei libri e di una produzione mediocre. La modernità porta sì degli esiti di omologazione su
livelli di mediocrità, ma produce anche differenziazione in risposta alle variegate esigenze di un pubblico nuovo. Di sicuro ci sono delle
diverse competenze tra il pubblico medio-basso e quello dei lettori professionisti, ma non per questo l’utenza maggioritaria costituisce
un tutto unitario, anzi è assai differenziata e variegata. Nel XX secolo la letteratura si è sviluppata soprattutto per quanto riguarda le
opere di intrattenimento ricreativo. Si assiste quindi a una relativizzazione dei gusti estetici, concepiti in modo diverso sia dai singoli
gruppi o sottogruppi, ma anche dal singolo lettore. Naturalmente, si avrà un lettore poco qualificato che resta in una condizione di
obbiettiva inferiorità, mentre il lettore colto è in grado di stabilire una graduatoria di merito. La differenza sta nel fatto che chi possiede
una consapevolezza critica ricca può comparare opere di alta o bassa letteratura, mentre chi non è molto abituato limita i suoi
paragoni ai prodotti di uguale qualità e portata. Si ha una concezione della letterarietà relazionale cioè comprensiva di tutti quei testi
volti ad assolvere la medesima funzione: la sollecitazione e l’appagamento estetico dell’opera. Questa trasformazione può essere
definita come una democratizzazione dell’istituzione letteraria che ha portato a una pluralità di tipo di pubblico, sia in senso orizzontale
sia in verticale. Lungo il corso del Novecento è avvenuta una forte distinzione tra pubblico della poesia e pubblico della prosa. Il
pubblico che apprezza la poesia risulta essere omologato specialisticamente. Per la prosa invece, e nello specifico nella narrativa, si
verifica una differenziazione notevole che è indice del fatto che il romanzo è capace di assecondare queste nuove esigenze prodotte
dalla nuova e moltiplicata utenza. La nuova utenza ha poi imposto delle nuove regole che rendono la lettura, che di per sé è una fatica
psicofisica, più leggera attraverso l’uso di ellissi. Questo anche per non essere indietro rispetto al nuovo modello cinematografico
ormai riconosciuto. La struttura del pubblico letterario tardo novecentesco può essere descritta suddividendo in fasce dall’alto verso il
basso a seconda della capacità di fruire di testi di maggior complessità tecnica, anche se, inevitabilmente, i prodotti di fascia inferiore
sono fruibili dal pubblico alto. Esistono quattro categorie. Qualche conclusione:

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