Sei sulla pagina 1di 37

LETTERATURE COMPARATE

DEFINIZIONI
•«La letteratura comparata è lo studio della letteratura di là dai confini di un paese particolare e lo studio
dei rapporti tra letteratura, da una parte, e, dall’altra, altre aree della conoscenza e delle opinioni, come le
arti (per es. la pittura, la scultura, l’architettura, la musica), la filosofia, le scienze sociali (la politica,
l’economia, la sociologia), le scienze, la religione etc. In breve, è il confronto tra una letteratura e un’altra o
altre, e il confronto tra la letteratura e altre sfere dell’espressione umana» HENRY REMAK

•«Ciò di cui ci occupiamo è la storia letteraria, ciò di cui ci preoccupiamo è la maniera di intenderla»
CLAUDIO GUILLÉN

•«Il comparatismo si applica altrettanto bene al singolo che alla coppia di autori […] o a un periodo storico.
È piuttosto un atteggiamento critico che un procedimento pratico. Di qui la varietà delle sue manifestazioni:
sono ugualmente comparatisti, almeno oggi, tanto chi studia la formazione dei generi letterari attraverso
l’evoluzione delle forme in una o più letterature, quanto chi spiega i generi sessuali attraverso i
procedimenti linguistici del narratore. In entrambi i casi si tratta di stabilire le tecniche dell’identità e i modi
della rappresentazione» NICOLA GARDINI

•«Senza alcuna volontà di fare provocazione, o dar sfoggio di paradosso, diremo che la letteratura
comparata non compara nulla: il comparatista è colui che mette in relazione, instaura rapporti, studia
scambi, riflette sui dialoghi tra letterature e tra culture. Ebbene, alla base di tutte queste attività, io
discerno un dato essenziale: la differenza, o per meglio dire il fatto differenziale» Daniel-Henry Pageaux

•«Per storia comparata della letteratura si intende generalmente una storia letteraria che ha come proprio
oggetto di studio e di scrittura la rete tra le interazioni tra diverse letterature. Anche la storia letteraria […] è
frutto di una precomprensione e di un interesse da parte dell’interprete. Nel caso della comparazione
storico-letteraria c’è bisogno di un tertium comparationis, cioè di un terzo elemento al di fuori di quelli che
vengono confrontati tra loro, il quale agisca come orizzonte direttivo della comparazione. Ciò significa che
la comparazione non è fine a se stessa, poiché non risiede nella mera giustapposizione di oggetti da
comparare, ma nella problematica che guida il confronto. La comparazione è quindi una norma teoretica»
Definizione data da Franca Sinopoli a partire dal saggio di HANS ROBERT JAUSS, Estetica della ricezione e
comunicazione letteraria, 1979

•«Dobbiamo decostruire la narrazione della nostra nazione, dobbiamo buttarci sul nostro passato e
reinterpretarlo, accettare le trasformazioni in corso per cercare di capirle. Dobbiamo prestare una nuova
attenzione alle molte e diverse culture che storicamente hanno fatto dell’Italia quello che essa è adesso»
REMO CESERANI

CI SONO 5 FASI DELLA DISCIPLINA (‘700-‘900)


1. Dalla seconda metà del Settecento alla storia letteraria nazionale si affianca la storia universale della
letteratura: accertamento filologico e nella composizione di documenti letterari all’interno della narrazione
della storia culturale di una nazione.

2. Nei primi decenni dell’Ottocento la storia universale della letteratura assume una grande importanza
nell’ambito dello studio delle fonti, in particolare delle fonti popolari della letteratura, sul modello di Voci di
popoli in canti di Johan Gottfried Herder (1807). In ambiente protoromantico Friedrich Schlegel e Madame
de Staël propongono quadri della letteratura europea come espressione delle facoltà spirituali delle diverse
comunità d’origine. L’opera più rilevante di questa fase è De la littérature du Midi de l’Europe di Sismonde
de Sismondi: primo caso di comparazione non solo tra le letterature romanze, tra loro, ma anche di esse
con le letterature mediorientali (soprattutto araba e persiana).
3. Parallelamente all’emergere dei nazionalismi, nasce la storia comparata della letteratura o letteratura
comparata, disciplina di ambito «accademico» volta all’esposizione didattica dei rapporti tra due o più
letterature. I capostipiti della disciplina sono Abel-François Villemain e Jean-Jacques Ampère: mirano ad
uno studio sincronico dei rapporti intercorsi tra letterature appartenenti alla cultura europea, individuando
il particolarizzarsi in senso nazionalistico di temi, motivi, miti e forme letterarie. Eurocentrismo.

4. Irrigidimento dei nazionalismi e funzione ancillare della letteratura comparata. Subordinazione della
disciplina alle singole filologie nazionali e alle storie letterarie nazionali che, sul modello di De Sanctis,
diventano storie della coscienza di un popolo.

5. Nel Novecento la letteratura comparata si dota di propri metodi, programmi e di una propria coscienza
storica. Si deve a Paul van Tieghem la prima definizione moderna della letteratura comparata come
disciplina. Negli anni Trenta e Quaranta del Novecento viene canonizzato lo studio comparato delle
letterature europee. Quattro opere esemplari:
-Paul Hazard: La crisi della coscienza europea (1934)
-Ernst Robert Curtius: Letteratura europea e Medioevo latino (1948)
-Leo Spitzer, Linguistica e storia letteraria (1948)
-Erich Auerbach: Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale (1946)

HAZARD – LA CRISI DELLA COSCIENZA EUROPEA

•La coscienza europea come storia dell’uomo occidentale legittimata dalla Bibbia entra in crisi nel Seicento:
la necessità di assimilare la presenza di altre civiltà e di altri popoli all’interno della filosofia della storia
occidentale provoca la nascita del relativismo.
•In tale senso risultano significativi fenomeni culturali come i racconti i viaggio, il rapporto tra clima e
costumi dei popoli, lo studio degli aspetti mondani della vita europea, la ribellione libertina, la
relativizzazione del carattere neutrale della storia.
•La nozione di «differenza» sostituisce quella di «superiorità» della civiltà europea.
CURTIUS-LETTERATURA EUROPEA E MEDIOEVO LATINO
•Scomposizione della letteratura europea nelle sue forme letterarie: generi, forme metriche e storiche,
motivi, tradizione retorica, topoi, formule fisse, personaggi.
•Critica stilistica comparata.
•Recupero dello studio della letteratura latina del primo Medioevo come anello di congiunzione tra il
mondo antico mediterraneo e il mondo moderno occidentale.
•Superamento degli studi filologici nazionali.

SPITZER-LINGUISTICA E STORIA LETTERARIA


•Analisi dell’influenza letteraria e del rapporto genealogico tra individualità artistiche.
•Spitzer si interessa a gran parte delle letteratura europee, senza discriminazione di epoche e poetiche (da
Dante a Cervantes, da Racine a Claudel, dalla Pop-Art a Maria di Francia).
•Atteggiamento di curiosità assoluta verso il particolare unito alla tendenza all’analisi sincronica, cioè allo
studio del fatto letterario fuori dagli schemi storiografici e, invece, all’interno di schemi linguistici che
riflettono il permanere o il mutare di certe situazioni storiche (Historial Lines – Linee storiche).

AUERBACH-MIMESIS
•Studio del «realismo» nella letteratura europea da Omero a Virginia Woolf.
•Critica stilistica: analisi minuziosa di pochi frammenti testuali nella convinzione che nel microcosmo della
pagina letteraria si possano ritrovare gli elementi fondamentali di un’intera epoca storica e che l’esame
stilistico di un’opera riveli lo spirito di tutto un periodo.
•Ampissima competenza sia diacronica che linguistica.
SECONDA METÀ DEL ‘900
•Crisi della storia letteraria: studio del «sistema letterario», ovverosia dei procedimenti formali e tematici
rispetto ai quali si definiscono i singoli testi letterari.
•Ricezione europea del formalismo russo.
•Nascita dello strutturalismo e della semiologia.
•Nascita della sociologia della letteratura (Goldmann; Bourdieu).
•Nascita della scuola di Costanza e della teoria della ricezione (Jauss, Iser, Eco)
•Crisi della letteratura comparata di stampo positivista: nel 1958 René Wellek critica l’artificiosità
metodologica degli studi di comparatistica letteraria, contestando la distinzione tra letteratura comparata e
letteratura generale; evidenzia inoltre la necessità dell’analisi estetico-formale del testo accanto alla studio
delle relazioni storico-letterarie
•Wellek, insieme ad Austin Warren teorizza la necessità dello studio intrinseco dell’opera letteraria
(macrostruttura stratificata di segni e significati) accanto allo studio estrinseco (rapporti tra l’opera e la
storia della società).

 La letteratura ha sempre avuto una vocazione mondiale: in un senso metaforico essa crea mondi
paralleli, visione della realtà, utopie.

IL CANONE 2 CAPITOLO

Canon, canonis
Dal greco kanon: l’etimo indica un’unità di misura costituita da uno strumento di misurazione, un bastone
di canna, un regolo (kane).

Dunque, in senso figurato: forma, modello e, per estensione, regola, prescrizione.

Già dall’etimo si deduce che il termine canone allude a due aspetti differenti:

•L’insieme di norme che fonda una tradizione


•Un elenco delle opere che implica un criterio di selezione e valutazione

A parte objecti (dal punto di vista delle opere)


•L’insieme delle norme (retoriche, di gusto, di poetica, ecc.) tratte da un’opera o da un gruppo di opere
omogenee, che fonda una tradizione.
•Ciò implica l’elaborazione di una serie di altre opere secondo ciò che Harold Bloom chiama The anxieties
of influence (1973).
•Spesso ciò implica anche la creazione di uno o più anticanoni che si oppongono al primo.
A parte subjecti (dal punto di vista dei lettori)
•La tavola dei valori prevalente che si traduce nell’elenco dei libri di cui si prescrive la lettura nell’ambito
delle istituzioni educative di una determinata comunità.
•Una tavola che muta col mutare del gusto e delle esigenze culturali.
•In questo senso il canone riflette e aggiorna la memoria selettiva di un popolo.

A parte objecti (dal punto di vista delle opere)


•Il canone è considerato diacronicamente nello sviluppo della tradizione (continuità e rottura)
•Identità delle opere.
•Specifico letterario.
A parte subjecti (dal punto di vista dei lettori)
•Il canone è considerato sincronicamente: fissa le scelte di gusto e di valore affermatesi in una certa
comunità in un determinato momento storico.
•Identità culturale della comunità che si riconosce nelle opere.
•Confitti interpretativi ed “egemonia” culturale.

A parte objecti (dal punto di vista delle opere)


•Per esempio, in Italia, il canone petrarchesco, fissato nel Cinquecento dall’opera Le prose della volgar
lingua di Pietro Bembo. Oppure il canone seicentesco fissato in Francia dall’Art poétique di Boileau (1674)
•«Automodello» (Segre): polarizzatore delle tendenze implicite nel sistema letterario.
A parte subjecti (dal punto di vista dei lettori)
•Per esempio le antologie scolastiche.

Canone letterario e memoria storica


Se il canone nel primo senso è la costruzione estetica e ideologica di ogni letteratura arrivata ad un certo
livello di autocoscienza e di maturità, per cui alcuni critici legislatori sentono il bisogno di esplicitare una
serie di norme (e implicitamente riconoscere gli scarti da essa), il canone nel secondo senso è una
costruzione politica che si esercita sulla memoria culturale in un determinato momento storico.

L’esercizio della memoria è, infatti, sempre un esercizio selettivo e discriminante: occorre scegliere ciò che
si vuole conservare.

Ethos & Ethnos


«Il canone fornisce, oltre che modelli di rappresentazione della realtà esterna, anche modelli di discorso
interiore, come si parla con sé e si rappresentano la memoria, emozioni, affetti e fluire del pensiero. Così il
canone definisce, attraverso la mimesi, i diversi modi di rappresentazione, le poetiche collettive epocali
dell’esistenza, l’estetica, l’etica, l’assiologia, ciò che è desiderabile ed elegante, e ciò che non lo è, ciò che è
politicamente corretto, ciò che non lo è»
MARIO DOMENICHELLI
Canone come depositario dei valori identitari che danno forma alla comunità e a ogni soggetto che ne fa
parte.

Convergenza delle due definizioni


•Storicamente le due definizioni di canone tendono a sovrapporsi, sino all’identificazione, in particolari
momenti storici.

•In età neoclassica o in età romantica, per esempio, la fedeltà a certe regole del canone fonda anche una
certa tipologia di ricezione e dunque una determinata gerarchia di opere.

Intermittenza storica delle due definizioni


•Già in età ellenistica il termine kanonikos indicava il repertorio dei libri degni di essere studiati e trasmessi.

•Ha prevalso poi, sino alla seconda metà del Novecento, l’accezione biblica del termine canone: il canone
biblico è, infatti, l’insieme di quei testi che nel corso dei primi concili della Chiesa sono stati considerati
portatori del messaggio originale di Dio.
•L’inserimento, l’esclusione e lo spostamento dei libri all’interno della Bibbia è frutto di aggiustamenti e
negoziazioni. (Canonico vs. Apocrifo).

Intermittenza storica delle due definizioni


•In età romantica, in corrispondenza, anche, con la nascita di alcuni Stati Nazionali come l’Italia e la
Germania, nonché con un cambio di paradigma relativo alla definizione stessa della letteratura, si assiste
alla costruzione di canoni letterari nazionali dal forte valore pedagogico: la storia della letteratura come
storia della coscienza di una nazione (valore morale dei testi della grande tradizione).

•In questo contesto cambiano molti dei modelli di riferimento e si rivalutano, ad esempio, figure come
quelle di Shakespeare e di Dante.

Canone e storie letterarie


«La storia della poesia di una nazione è l’Essenza della sua storia, politica, economica, scientifica e
religiosa» Carlyle, 1831

•IRLANDA: a cavallo tra Otto e Novecento si assiste al recupero di una tradizione folklorica dimenticata, che
si unisce a quella della letteratura in lingua irlandese portata avanti negli stessi anni da scrittori e
intellettuali come W. B. Yeats, Lady Gregory e altri. In questo quadro si cerca di contendere alcuni autori
irlandesi in lingua inglese, come Goldsmith e Swift, che vengono così utilizzati anche per dar forza alla causa
di indipendenza della Repubblica d’Irlanda

•ITALIA: in storie letterarie come quella di Francesco De Sanctis il cammino delle lettere è assimilato
hegelianamente al cammino dello spirito verso la costituzione dello Stato.

•Si tratta, davvero, della narrazione di una nazione, basata, evidentemente, su inclusioni (Dante, per
esempio, rispetto al canone bembesco), su addomesticamenti, o, infine, su esclusioni (per esempio Storia
della mia vita di Casanova, scritta in francese).

•STATI UNITI: la formazione e l’istituzionalizzazione di un canone letterario si può far risalire alla guerra di
secessione (1861-1865), ma l’introduzione nei programmi universitari di un canone distinto da quello
inglese avviene solo nei primi anni del Novecento. Ancora, nel periodo tra le due guerre, il canone
americano includeva assieme a testi di fiction anche testi patriottici e politici, rivelando tutta la propria
vocazione ideologica.

Canone e classici
•Che cos’è un classico?

La parola «classico» presuppone sin dalla sua comparsa (Aulo Gellio, Notti attiche) una certa gerarchia di
valori e una classificazione.

A tale classificazione, tradizionalmente, sono ricondotti anche generi e sotto-generi letterari, sin dalla
Poetica di Aristotele
Un poeta che non si fosse confrontato con le forme alte della tradizione non avrebbe potuto aspirare a
divenire un classico (si pensi a Marziale e all’epigramma).

Canone e generi letterari


•Hans Robert Jauss e la scuola di Costanza sostengono che per giudicare il fatto letterario è importante
concentrarsi sugli aspetti relativi alla comunicazione e alla ricezione (in opposizione col filologismo tedesco
che ne studiava la produzione). In questo senso è fondamentale il concetto di «orizzonte d’attesa»:
l’insieme di convenzioni, situate nel tempo e nello spazio, che fanno parte dell’esperienza condivisa di
lettori e produzioni di opere letterarie.

•Nel 1979 Alastair Fowler definisce con «canone» l’intero corpus letterario e con «canone accessibile» il
risultato dello sforzo comune di critica, istituzioni culturali ed editoria. La lettura di Fowler si basa sulla
reputazione dei generi letterari nella storia: i mutamenti del canone si devono intendere come processi di
rivalutazione o svalutazione dei generi letterari rappresentati dalle opere canoniche.

•Itamar Even-Zohar (Northrop Frye, Herrstain Smith): studio del cambiamento del gusto letterario
attraverso l’alternanza di generi e modi, canonizzati o non canonizzati, al centro e alla periferia del sistema
letterario (polisistema).

•Ancora alla fine dell’Ottocento, nell’opera di critici come Matthew Arnold e Armstrong Richards, il canone
rappresentava una verità universale e principale se non unico strumento capace di portare uguaglianza tra
gli uomini.

•Tuttavia, questa modellizzazione moralizzante del canone, entra in crisi per differenti ragioni, proprio con
la modernità letteraria.

CHE COSA È LA LETTERATURA? La nostra idea di letteratura è legata ad un mondo moderno sancito dalla
nascita della disciplina

I generi letterari

Che cos’è un genere:

▪GENERE deriva dal latino genus, generis che significa «stirpe» o «nascita».
▪Nella cultura occidentale potremmo definire un genere come una serie, una categoria di oggetti particolari
aventi in comune degli elementi essenziali e allo stesso tempo dei caratteri secondari che li distinguono tra
loro.
▪In campo letterario si è soliti far risalire alla Poetica di Aristotele la prima distinzione tra generi
fondamentali. Aristotele usa il termine eidos, cioè forma.
Loading…

La Poetica di Aristotele
▪Aristotele non faceva altro che descrivere un sistema letterario storicamente determinato (letteratura
greca attica).
▪Aristotele quindi non codifica le norme da applicare alla composizione letteraria. Piuttosto legge
criticamente i testi disponibili, osservandone forme e contenuti.
▪La canonica distinzione tra tragedia ed epica non ha alcuna ambizione normativa e riprende, con qualche
modifica, la distinzione platonica tra modo mimetico-drammatico, espositivo-narrativo e misto
(Repubblica).
▪La poesia è imitazione delle azioni umane (mimesis praxeos) e si differenzia in base a tre aspetti:
–I mezzi con cui imita (danza, linguaggio, musica)
–Gli oggetti dell’imitazione, cioè uomini che possono essere migliori di noi, peggiori di noi o come noi
–I modi in cui le cose possono essere imitate (narrativo, in cui il poeta parla a proprio nome, restando
sempre uguale; drammatico, in cui fa agire e parlare i personaggi sulla scena, trasformandosi in loro; misto,
in cui alterna le due modalità, raccontando o trasformandosi in qualcun altro, come Omero.
▪Come sostiene Genette, Aristotele lascia sullo sfondo la questione dei mezzi e si concentra
nell’intersezione tra oggetti e modi
▪Ne risulta un modello quadripartito, dal momento che Aristotele non si occupa dei livelli intermedi di
uomini come noi, rappresentati con modo misto:
–Drammatico superiore (tragedia)
–Drammatico inferiore (commedia)
–Narrativo superiore (Epopea)
–Narrativo inferiore (Genere poco determinato che Aristotele non nomina, ma illustra con parodie e con un
Margite attribuito ad Omero di cui dichiara che è per le commedie quello che Iliade e Odissea sono per le
tragedie.

Nascita e sviluppo del concetto di genere

▪È tuttavia sulla scorta della grande fortuna dell’opera di Aristotele che in epoca alessandrina (II secolo a.C.)
viene elaborata la prima definizione normalizzante di genere.
▪Sarà poi la cultura rinascimentale a riscoprirla e intenderla in maniera nomenclativa e classificatoria.
▪Fino al Settecento la funzione nomenclativa di genere avrà una forte valenza normativa. Tale funzione
verrà ripresa anche in epoche successive, come dimostrato dall’Estetica di Hegel, nella quale, tuttavia,
dramma, lirica e epica vengono misurate nelle fasi che scandiscono, per Hegel, la storia europea: periodo
orientale/simbolico, greco-romano classico, medioevale e moderno.

La frattura romantica
▪Il romanticismo introduce la dimensione storica nel discorso sui generi letterari, minando sostanzialmente
la visione atemporale di impronta classicista (Art poétique di Boileau, 1674).
▪La dimensione storica apportata dal romanticismo implica un’idea di evoluzione e di progresso della
letteratura attraverso il dispiegarsi dei generi, che culmina nella visione positivista dei generi come
organismi biologici.

Goethe, Divano occidentale-orientale


▪Insoddisfatto dei tradizionali generi poetici (allegoria, ballata, elegia, etc.) Goethe individua tre forme
naturali della poesia:
–Epos: poesia che narra con chiarezza
–Lirica: poesia che si accalora nell’entusiasmo
–Dramma: poesia che mette in azione i protagonisti
▪Nasce così il modello ternario epico, lirico e drammatico che dominerà e moderne teorie dei generi. Per i
romantici epico, lirico e drammatico sono archigeneri, universali poetici che contengono gerarchicamente i
generi storici (tragedia, commedia, ballata, etc.).

Hegel
▪Nell’estetica hegeliana epica, lirica e dramma costituiscono tre momenti della poesia secondo una
dialettica tra oggettivo (epica) e soggettivo (lirica). Il dramma sarebbe dunque una nuova totalità in cui noi
ci troviamo davanti sia uno svolgimento obiettivo che il suo originarsi dall’interno degli individui,
dimodoché l’oggettivo si manifesta come appartenente al soggetto (dramma).
▪Ciò si organizza entro uno schema diacronico: l’epica è il momento originario, la lirica il termine intermedio
e il dramma è, insieme, la sintesi concettuale dei primi due e il compimento necessario (razionale) di
un’evoluzione storica.

Il Novecento
▪Ad inizio secolo Benedetto Croce critica aspramente il concetto di genere letterario, definendolo uno
pseudoconcetto.
▪Soltanto a partire dagli anni Cinquanta, grazie a critici e teorici di estrazione ermeneutica o
fenomenologica (Luciano Anceschi, per esempio), il genere letterario torna al centro del dibattitto letterario
(«riscatto dell’empirico»).

Luciano Anceschi – Progetto di una sistemica dell’arte (1962)


▪Il progressivo venir meno della comprensione della letteratura «in contesto», in re, sta alla base del
recupero del concetto di genere letterario.
▪Secondo Anceschi l’irrigidimento dogmatico su categorie astratte impedisce alla critica di studiare e
comprendere ciò che gli si presenta come empirico. Donde la scomunica e la condanna da parte di critici
come Croce dello stesso empirico.
▪Anceschi propone allora ciò che chiama il «riscatto dell’empirico»: il tradizionale esorcismo della norma
contro il proliferare dell’empirico va rovesciato nell’esorcismo dell’empirico contro il rigor mortis della
norma.
▪Per comprendere la letteratura in re, occorre studiare la storia delle SITUAZIONI e delle INTENZIONI che
fanno vivere quella letteratura.
▪In tale prospettiva, una storia letteraria non può procedere di autore in autore, ma deve privilegiare
strutture di lunga durata, come appunto i generi, le forme, le poetiche e le istituzioni letterarie: tutti fattori
che trascendono il testo e l’autore.

Tzvetan Todorov – I generi del discorso (1978)


▪In linea con le visione anceschiana è anche il critico bulgaro naturalizzato francese Tzvetan Todorov. Per
Todorov il genere letterario è il luogo di incontro tra le poetiche generali e la storia della letteratura
evenemenziale.
▪In tal senso il genere letterario avrà un carattere dinamico e storico: esso è infatti il frutto di una scelta, di
una trasformazione e di una codificazione di determinati atti linguistici ricorrenti, che una società
istituzionalizza in quanto funzionali alla propria ideologia.
▪I generi letterari derivano quindi da altri generi.

Altri contributi fondamentali allo studio dei generi letterari


▪1979: Gérard Genette, Introduction à l’architeste: critica alla presunta «naturalità» del genere. Soltanto le
variazioni nel genere sono significative letterariamente. I generi, cioè, mutano continuamente e addirittura
non è possibile postularne nemmeno la coincidenza con i singoli testi.
▪Il genere letterario diviene fondamentale per la Scuola di Costanza e per la teoria della ricezione: la
ricezione è infatti condizionata da convenzioni ben determinate e caratterizzanti l’orizzonte d’attesa del
fruitore. Il genere letterario è, come si capisce, una di queste convenzioni.

Si potrebbe distinguere quindi


 Teoria classica: generi puri e non mescola ili tra loro
 Teoria moderna: trasformazione dei diversi generi nella storia

TEMI E MITI LETTERARI


Tematologia, critica tematica, studio del mito
CRITICA TEMATICA E CRITICA TEMATOLOGICA (O TEMATOLOGIA)
■Si deve distinguere (benché la comunità scientifica non sia concorde, in tal proposito) tra la tematologia,
che si occupa dello studio comparato dei temi e dei miti letterari e la critica tematica (o studio tematico)
che indica generalmente una metodologia applicabile anche all’analisi di un singolo testo o di un solo
autore.
■Come abbiamo già visto nelle lezioni sulla storia della disciplina, l’indirizzo di ricerca tematologico di tipo
storico-genetico (ricostruzione documentaria della trasmissione dei materiali tematici attraverso la
tradizione europea), è uno dei principali indirizzi della letteratura comparata Ottocentesca.
■Tale indirizzo è imparentato con gli studi sul folklore e sulla letteratura popolare (Stoffgeschichte).

Stoffgeschichte

■René Wellek fa risalire la nascita della Stoffgeschichte all’attività di ricerca dei fratelli Grimm che nei primi
decenni del XIX secolo si dedicarono allo studio della migrazione delle favole, delle leggende e delle saghe.
■Gli studi tematologici, nella loro forma originaria e in pieno ambito positivista, vennero identificati proprio
con il termine Stoffgeschichte. Naturalmente, tali studi, furono fortemente avversati da tutti gli studiosi
attenti alle forme letterarie e ai testi, poiché si risolvevano sovente in grandi cataloghi eruditi. Tra i massimi
oppositori merita ricordare Benedetto Croce, René Wellek e Austin Warren e Werner Sollors.
Tematologia
■Il primo studioso ad utilizzare il termine tematologia (thématologie) fu il belga Paul Van Tieghem. Con
questo termine il critico definiva la branca di studi comparatistici che si occupa dell’indagine dei temi e dei
miti letterari, e concludeva che tale branca restava comunque di interesse assai limitato da un punto di
vista critico, limitandosi a lavori di tipo catalografico e di schedatura.
■Fino agli anni Sessanta, insomma, la tematologia resta confinata entro una sfera marginale ed erudita,
nonostante la pubblicazioni di capolavori critici che presentano più di un punto di tangenza con tale ambito
di studi, come quelli di Mario Praz (La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, 1930) e di
Gaston Bachelard.

La svolta tematologica degli anni Sessanta


■Il recupero critico degli studi tematologici si deve principalmente al lavoro di studiosi come Raymond
Trousson e Henry Levin, che unirono al lavoro erudito di ricerca una più attenta teorizzazione
metodologica.
■Trousson, in particolare, col suo lavoro sul mito di Prometeo e con la sua riflessione teorica, invitò i critici
a riflettere sulle modalità e le cause della continua palingenesi che investe i temi letterari, andando oltre
l’accumulo documentaristico: «l’odissea di un tema assume il suo significato soltanto nel contesto della
storia, nel senso più largo del termine – storia politica, sociale, letteraria, estetica».
■Lo scopo dello studio tematologico è per Trousson quello di interpretare le variazioni e le metamorfosi di
un tema letterario nel tempo, alla luce delle relazioni che esso intrattiene con i contestuali orientamenti
storici, ideologici e intellettuali.
Raymond Trousson
■La tematologia non può darsi in tagli cronologici circoscritti.
■Si possono distinguere i «temi dell’eroe» (legati ad una figura mitica che si rende autonoma rispetto alla
situazione, p.e. Orfeo o Prometeo) dai «temi di situazione» (vertono su vicende mitiche in cui la figura
principale non assume un’esistenza indipendente dallo scenario narrativo, p.e. Antigone, Edipo, etc.).
■Trousson parla di tema a proposito di ciò che comunemente definiamo mito: nel passaggio dalla funzione
etno-religiosa del mito a quella antropologica del dominio letterario, infatti, il mito diventa tema.
Henry Levin
■Levin riabilita la critica tematologica sostenendo che gli elementi tematici non rappresentano soltanto
l’intrusione semplicemente contenutistica di materiali estrinseci rispetto al testo. Per Levin infatti il
contenuto si metamorfizza nella forma e la selezione e la disposizione dei temi diventa una parte organica
del processo artistico.
■Levin inoltre individua nella polisemia connaturata al concetto di tema letterario la fonte delle grandi
potenzialità critiche dello studio tematico.
La nouvelle critique e la critica tematica
■Per molti esponenti della nouvelle critique ginevrina e francese il tema letterario diventa strumento
fondamentale di indagine critica. La prospettiva di questi studiosi di ambito strutturalista riguarda tuttavia
lo studio del singolo autore o della singola opera, in una prospettiva di close reading.
■Il tema è per critici come Weber, Poulet, Richard e Starobinski la funzione chiave del processo
interpretativo di un’opera letteraria.
■Weber teorizza il monotematismo: l’intero atto creativo di un autore può essere interpretato come la
reiterata modulazione di un unico tema ricorrente, una immagine ossessiva.
■Georges Poulet interpreta le modulazioni individuali e soggettive di quei temi letterari che si configurano
come profonde e centrali categorie del pensiero (lo spazio, il tempo)
La nouvelle critique e la critica tematica
■Jean-Pierre Richard individua per ogni autore che studia dei nuclei tematici e genetici (oggetti, immagini,
sentimenti), legati a strutture profonde della sensibilità dell’autore
■Jean Starobinski ricostruisce attraverso l’indagine di temi, idee e immagini simboliche vere e proprie storie
dell’immaginario letterario.
■Sempre in area francese, ma su ispirazione psicoanalistica opera anche Charles Mouron, fondatore della
psicocritica. La sua ricerca si fonda sullo studio delle metafore ossessive, prevalentemente involontarie, che
si nascondono nel testo, indagando in questo modo l’inconscio dello scrittore. Tramite l’aggregazione di
queste metafore Mouron credeva possibile risalire ad una sorta di «mito personale» dello scrittore.
Pierre Brunel e la mitocritica
■Tra la metà degli anni Sessanta e gli anni Settanta, la grande fioritura di studi su temi e miti letterari, sia
per quanto riguarda la critica tematica che la critica tematologica, favorirà la nascita della cosiddetta
«mitocritica».
■Si tratta di una branca di studi che ha avuto in Pierre Brunel il suo massimo esponente e che si basa sullo
studio tematologico del mito: da Dafne a Elettra, da Napoleone a Faust, da Edipo a Don Giovanni, tali studi
trovano esito anche nel fondamentale Dizionario dei miti letterari diretto negli anni Ottanta dallo stesso
Brunel.

CHE COS’È IL MITO?
■Il problema terminologico è ancora oggi molto dibattuto dalla critica. Il termine greco Mythos indica il
racconto in accezione favolosa, qualcosa che si contrappone al Logos, al discorso razionale, e fa riferimento
a una realtà che eccede i limiti della ragione.
■In senso etno-religioso il mito racconta una storia sacra: un avvenimento che è avvenuto in un tempo
primordiale e favoloso. È quindi il racconto di una creazione: narra come qualcosa ha iniziato ad essere,
ovvero narra l’origine del mondo, degli animali, delle piante, dell’uomo, e di tutto quegli eventi primordiali
che hanno portato l’uomo ad essere ciò che è oggi.
■Il mito in senso etno-religioso è anonimo e collettivo, e assomma tre funzioni essenziali: una funzione
narrativa, una funzione esplicativa e una funzione di rivelazione.
Funzioni del mito
■FUNZIONE NARRATIVA attraverso la quale si configura uno scenario mitico in cui un sistema dinamico di
simboli e archetipi diventa racconto a partire da uno schema;
■FUNZIONE ESPLICATIVA per cui un mito è un racconto autoritario e eziologico, e si costituisce come
riferimento culturale permanente;
■FUNZIONE DI RIVELAZIONE per cui il mito si radica nella sfera del sacro, poiché descrive l’irruzione del
sovrannaturale nel mondo.
■Secondo Greimas il racconto mitico si differenzia da altri racconti anche per la sua «ridondanza»: il mito
infatti tende a reiterare certe formule e certe sequenze, e possiede il potere di generare altri racconti,
attraverso la ripresa di alcuni suoi elementi costitutivi e invarianti.
DAL MITO ETNO-RELIGIOSO AL MITO LETTERARIO
■Ma in che modo un mito etno-religioso diventa un mito letterario? Cosa succede al valore di verità
espresso dal mito in questo passaggio? Secondo l’antropologo Claude Lévi-Strauss la trasformazione di un
mito in mito letterario equivale alla sua desacralizzazione: la storia letteraria di un mito è la storia della de-
valorizzazione di un modello di comportamento o di condotta morale e sociale.
■Per Pierre Brunel, invece, le arti e la letteratura giocano un ruolo fondamentale nella conservazione di un
mito, che quindi può sopravvivere al tempo, come narrazione significativa, solo accettando trasformazioni e
metamorfosi.
IL MITO LETTERARIO
■In realtà il mito letterario non è una semplice trasposizione di un mito etno-religioso in letteratura:
rispetto al mito etno-religioso infatti esso perde le caratteristiche di anonimato e il carattere fondativo e
veridico, conservando d’altra parte lo scenario ricorrente, la strutturazione rigorosa, la caratterizzazione
simbolica e, talvolta, l’irruzione del sacro.
■Il mito letterario è un racconto esemplare capace di agire sulla coscienza collettiva: a contatto con la storia
culturale il mito viene riscritto e rifunzionalizzato determinando ciò che Piero Boitani definisce «campo
figurale».
TIPOLOGIE DEL MITO LETTERARIO
■Il mito letterario nella letteratura occidentale risponde essenzialmente a 4 tipologie:
–1. rielaborazione di racconti di origine mitica provenienti dal mondo greco e romano; rielaborazione di
racconti di origine mitica contenuti nelle Sacre Scritture
–2. racconto di origine già letteraria (Faust, Tristano e Isotta, Amleto, etc.)
–3. miti politico-eroici, nati attorno a figure storiche di particolare carisma (Alessandro Magno, Cesare,
Napoleone, etc.)
–4. miti parabolici, nati da minime indicazioni presenti nelle Sacre Scritture e poi germinati in narrazioni
autonome.
–(Secondo Brunel possiamo considerare miti letterari anche alcune parole chiave come Progresso,
Macchina, etc.)

TEMA
■Potremmo definire un tema come un soggetto di preoccupazione o interesse generale per l’uomo che si
deposita in un orizzonte storico-letterario e si trasmette in prospettive di breve, media o lunga durata (tipi
sociali, professionali, morali; luoghi comuni; spazi e ambienti ricorrenti; situazioni umane ricorrenti;
problemi fondamentali della condotta umana, etc.).
■Il tema è quindi un’entità mobile, flessibile, metamorfica, composta, secondo alcuni studiosi, di parti
minime invariabili chiamate motivi. I motivi, combinandosi tra loro creano nessi tematici: un tema è una
combinazione o una aggregazione di motivi.
■La combinazione stabilizzata di motivi è un topos. (Sul concetto di topos, non tutti i critici concordano:
Cesare Segre e Mario Domenichelli, per esempio, considerano i topoi come i luoghi della memoria
collettiva, dove di depositano, nel tempo, schemi di azioni, situazioni, invenzioni).
MOTIVO
■È stato Boris Tomaševskji a definire il concetto di motivo. Secondo il critico russo infatti i motivi
costituiscono le unità elementari e subordinate del materiale tematico, dalla cui associazione si generano i
«nessi tematici».
■Non tutti i critici concordano sull’utilità della nozione di motivo. Per esempio Mario Domenichelli
considera poco fruttuoso l’uso di tale concetto.
■In ogni caso tema e motivo, considerandone ricorrenza e recursività nella storia, costituiscono il segnale
più evidente di una sorta di memoria collettiva. Lo studio tematologico è quindi uno studio che attraverso la
letteratura può condurci ad una indagine culturale complessiva. Tuttavia l’esistenza stessa di un tema
letterario è legata alla sua mobilità e polisemia.
TEMA E TEMATIZZAZIONE
■Potremmo dire che un tema eccede e continuamente pone in discussione i concetti forgiati per
contenerlo. Per studiarlo compiutamente occorre quindi mettere in evidenza e precisare i molteplici
significati di cui esso è portatore, isolare i suoi elementi costitutivi, in modo da far risaltare la sua
polivalenza.
■In questo senso diventa essenziale l’attività di «tematizzazione» dell’interprete: in effetti ogni tema si
costituisce a partire dall’istanza autotematizzante del testo e l’interrogazione ermeneutica di chi lo decifra.
Gli orientamenti epistemologici e socioculturali del lettore divengono una chiave d’accesso critico
fondamentale, per cui si parla anche di tematologia reader oriented.
■Da tale presupposto nascono gli approcci tematologici degli studi di genere, postcoloniali e neostoricisti.

IMAGOLOGIA
Cenni introduttivi

Rappresentare «lo straniero»


●«Immaginare altri paesi, formulare giudizi sui loro abitanti, confrontare sé e i propri connazionali con gli
altri, «gli stranieri»: incontri con turisti e immigrati, impressioni lasciate da immagini televisive e filmiche,
notizie lette e ascoltate».
●Anche la letteratura contribuisce nella formazione di questo «immaginario»

Rappresentare «lo straniero»


●La letteratura è una fonte di «informazione» suggestionante che esercita una certa influenza sul nostro
pensiero: ci trasmette infatti pensieri e giudizi espressi in tutti i tempi e in tutte le culture.

-> Con «imagologia» si intende lo studio delle immagini, dei pregiudizi, dei cliché, degli stereotipi e in
generale delle opinioni su altri popoli e culture che la letteratura trasmette.
●Queste images, secondo gli imagologi, vanno al di là del puro valore letterario, dello studio delle idee e
dell’immaginazione artistica di un singolo autore

L’imagologia cerca di risalire al valore ideologico e politico che certi aspetti di un’opera letteraria possono
avere proprio in quanto in essi si condensano per lo più le idee che un autore condivide con l’ambiente
sociale e culturale in cui vive.
●Ogni image si costituisce attraverso un continuo confronto che muove dall’identità all’alterità: parlare
degli altri presuppone sempre un noi.
●Un testo contenente una o più images è detto imagotipico.

Testo imagotipico
●I testi canonicamente imagotipici (esempio fondamentale è il Viaggio in Italia di Goethe) possono
alimentare images idealizzanti oppure images negative o visioni distorte dell’altro, dette miraggi (mirages).
●L’imagologia studia quindi images, mirages e gli sviluppi diacronici delle stesse.

Tradizione positivista
●L’imagologia tradizionale, sviluppatasi nell’Ottocento, era di impianto decisamente positivista: concezione
deterministica dei caratteri nazionali.
●Studio delle ricezioni letterarie: come l’immagine di un’altra nazione potesse influire sulla fortuna di un
autore da quella proveniente.
●SCUOLA DI ACQUISGRANA, SCUOLA FRANCESE

Hugo Dyserinck
●Dyserinck è il primo critico ad avviare una profonda revisione della ricerca imagologica:
●Spostamento dell’attenzione dalla sociologia agli studi sulle traduzioni letterarie.
●Studio di images and mirages nella critica e nella teoria letteraria
●Analisi della manualistica scolastica
Joep Leerseen
●Revisione del concetto di «imagotipia»:
●Negli studi di imagologia non ha importanza il contenuto di verità di una data image, ma il suo valore di
riconoscimento (recognition value).
●Differenza tra empirical report statements (enunciati empirico-referenziali), che possono essere valutati
con le categorie di vero e falso e rappresentazione imagotipiche, che invece manipolano i primi operando
delle selezioni e simulando una referenzialità.
●L’imagologo deve concentrarsi sugli effetti che la pretesa referenzialità di una rappresentazione
imagotipica comporta.

Daniel-Henri Pageaux
●Studio della natura e delle funzioni del discorso critico sulle letterature straniere, nonché delle pratiche
culturali che si sostanziano delle immagini di un paese straniero.
●La saggistica sulle letterature straniere va quindi studiata nel proprio carattere di rappresentazione,
ovvero mettendo in risalto il fatto che essa è soggetta ai meccanismi di condizionamento propri della
cultura di appartenenza.
●L’analisi imagologica deve includere la paraletteratura.
●Tre modalità di rappresentazione dell’«altro»:
●MANIA: sopravvalutazione della cultura straniera
●FOBIA: disprezzo indifferenziato della cultura straniera
●FILIA: considerazione paritaria della cultura straniera
Loading…

LA TRADUZIONE
TEORIE E METODI

STATUTO CULTURALE DELLA TRADUZIONE


•«Le traduzioni hanno svolto e svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo delle letterature nazionali,
creando nuovi modelli, influenzando generi e producendo mutamenti nella cultura dei paesi»
•Tradurre è un’operazione di INTERSCAMBIO, dove vengono messi in gioco lingue, sistemi simbolici,
immaginari diversi.
•Uno scambio con l’altro come ricchezza espressiva e comunicativa tra lingue e sistemi culturali diversi, che
fa della MEDIAZIONE il paradigma della propria conoscenza
•Tradurre è anche accettare e mostrare la differenza attraverso un’operazione di rilievo conoscitivo: la
letteratura e la cultura in genere sono forme fluide, sottoposte a continua trasformazione

COS’È LA TRADUZIONE?
•Definizione ufficiale dell’European Translation Platform (1998): «LA TRASPOSIZIONE DI UN MESSAGGIO
SCRITTO IN UNA LINGUA DI PARTENZA IN UN MESSAGGIO SCRITTO NELLA LINGUA D’ARRIVO»
•La traduzione è quindi quel processo che trasforma un testo, detto PROTOTESTO in un altro testo, detto
METATESTO, generalmente mediante l’uso di una lingua diversa da quella in cui il testo originale è stato
scritto e per interagire in una cultura diversa da quella in cui è stato prodotto
•Di traduzione, però, si parla anche per un testo che venga riscritto nello stesso codice linguistico

BREVE STORIA DELLA TRADUZIONE


•La figura dell’interprete (che traduceva oralmente) e del traduttore (che agiva sulla lingua scritta) è
presente sin nelle civiltà arcaiche.
•Nell’antica Grecia il ruolo del traduttore non era tenuto in gran conto poiché il rapporto dei greci con le
altre culture era puramente strumentale: si imparavano le lingue soltanto per fini commerciali o pratici. Dal
punto di vista culturale i greci si disinteressavano dei popoli che non parlavano greco (barbari)
•L’Impero romano ebbe invece ben differente atteggiamento: l’opera di conquista e di colonizzazione di
Roma favoriva la conoscenza della lingua e della cultura dei popoli sottomessi politicamente
•I romani si considerarono gli ideali eredi dei greci, per cui il mondo romano assunse forme letterarie e
linguistiche già codificate:
•CONTAMINATIO: riproposizione in latino di opere greche attraverso rimaneggiamenti
•IMITATIO e AEMULATIO: traduzioni creative di opere greche in latino
•I primi autori latini – da Ennio a Nevio, da Plauto a Terenzio – si formarono effettivamente in centri di
cultura greca.

CICERONE – DE OPTIMO GENERE ORATORUM (46 A.C.)


•Cicerone è forse il primo intellettuale a trattare la traduzione da un punto di vista teorico: «ho tradotto da
oratore, non già da interprete di un testo, con le espressioni stesse del pensiero, con gli stessi modi di
rendere questo, con un lessico appropriato all’indole della nostra lingua. In essi non ho creduto di rendere
parola con parola, ma ho mantenuto ogni carattere e ogni efficacia delle parole stesse».
•Cicerone distingue quindi la traduzione dell’INTERPRES, che oggi chiameremmo traduzione letterale,
eseguita parola per parola, dalla traduzione dell’ORATOR, dell’oratore/scrittore, che invece è fedele al
senso e non alla lettera e che potremmo chiamare traduzione d’autore.

ATTENZIONE ALLA TERMINOLOGIA


•Cicerone utilizza i termini INTERPRES, che comunemente indicava l’interprete nel senso di traduttore della
lingua orale, e il verbo CONVERTO (composto di verto: appunto giro, muto, trasformo). In età imperiale
converto sarà affiancato da termini come MUTO o il più usato TRANSFERO (Quintiliano). Il verbo
TRADURRE – che oggi utilizziamo in tutte le lingue romanze – deriva invece dall’Umanesimo ed in
particolare dalla grande fortuna del trattato DE INTERPRETATIONE RECTA (1420 ca.) di Leonardo Bruni, nel
quale l’autore utilizza trans+duco: «portare al di là», propriamente per indicare la traduzione dal greco al
latino, nel senso di «portare da una lingua ad un’altra».

SAN GEROLAMO E LA TRADUZIONE DELLA BIBBIA


•Importantissimo traduttore e teorico della traduzione è San Gerolamo (347-420), il quale non soltanto
revisiona le antiche versioni latine del Vecchio e del Nuovo Testamento sulla versione greca dei Settanta,
ma porta anche a termine, nel 406, la traduzione del Vecchio Testamento dall’ebraico al latino: la
cosiddetta Vulgata.
•È molto interessante l’approccio metodologico di Gerolamo: «io per me non solo confesso, ma dichiaro a
gran voce che nelle mie traduzioni dal greco al latino, eccezion fatta per le Sacre Scritture, dove anche
l’ordine delle parole racchiude un mistero, non miro a rendere parola per parola, ma a riprodurre
integralmente il senso dell’originale»

MODELLI DEL TRADURRE NEL MEDIOEVO


•Cicerone e Gerolamo costituiranno i due principali modelli della traduzione medioevale.
•Ciò delinea quella distinzione tra traduzione letteraria come operazione artistica e traduzione sacra come
riproduzione fedele dell’originale.
•Questa distinzione tra «bella e infedele» e «brutta e fedele» si ritrova nel dibattito sulla traduzione fino
alla modernità e alla nascita dei cosiddetti translation studies e della traduttologia, che superano tale
polarizzazione

L’UMANESIMO E IL DE INTERPRETATIONE RECTA


•Con la riscoperta dei classici greci, la traduzione gode di un rinnovato interesse (si pensi a umanisti-
traduttori come Coluccio Salutati, Lorenzo Valla, Guarino Guarini, Marsilio Ficino). Si configura in questo
periodo l’idea di una traduzione che deve assimilarsi all’originale, attenendosi allo stile del suo autore, ma
contemporaneamente si inizia una profonda attività di volgarizzamento dei classici.
•In tale contesto Leonardo Bruni scrive il primo trattato moderno sul tradurre, appunto il De
interpretatione recta. Si tratta di un breve trattato di ordine prescrittivo in cui si indica la necessità della
perfetta conoscenza sia della lingua di partenza che di quella di arrivo, oltre che della assimilazione del
metatesto al prototesto.
Loading…

IMPLICAZIONI POLITICHE DELLA TRADUZIONE: LA BIBBIA


•Nel 1384 John Wycliffe traduce in inglese la Bibbia, e ne assume il testo come unico fondamento di fede,
condannando la ricchezza e la corruzione del clero.
•Dopo di lui John Purvey, William Tyndale, John Roger curano altre edizioni dei testi sacri con l’obiettivo di
rendere comprensibile a tutti la parola di Dio.
•Si arriverà così al primo esempio di inglese moderno con la celebre Bibbia di re Giacomo (1611).
•Tra il 1521 e il 1534 Lutero compie la prima traduzione completa della Bibbia in tedesco: la traduzione,
negli obiettivi di Lutero, sarebbe dovuta risultare il più vicino possibile alla lingua parlata.

LA SVOLTA ROMANTICA
•La grande spinta innovativa del dibattito dei romantici tedeschi sulla traduzione parte dalla tesi idealistica
(poi ripresa da Croce) dell’impossibilità della traduzione delle opere letterarie: a lingue diverse
corrispondono infatti diverse percezioni della realtà non completamente trasmissibili attraverso
l’espressione linguistica.
•Ma proprio perciò la traduzione è funzionale ad un arricchimento della lingua e della cultura in cui si
traduce, ed è capace di dare nuova energia alle opere originali.
•Tale prospettiva si inserisce in ciò che Goethe ha chiamato Weltliteratur – Letteratura universale
«il traduttore non lavora solo per la sua nazione, ma anche per quelle delle lingue da cui ha tradotto
l’opera. Infatti, più spesso di quanto non si creda, si dà il caso che una nazione assorba la linfa e la forza di
un’opera, ne assuma tutta la vita interiore, al punto di non poter più gioire di quest’opera né trarne
ulteriormente alimento. Ciò riguarda prima di tutto i Tedeschi, che elaborano troppo in fretta quel che
viene loro offerto e, nella misura in cui lo trasformano con ogni genere di limitazione, in un certo modo lo
annientano. Per questo è salutare che la loro opera originale appaia loro come nuovamente rivivificata
tramite una buona traduzione» Goethe

DIBATTITO NOVECENTESCO
•Idealismo crociano
•Formalismo russo e strutturalismo: la traduzione come atto linguistico
•Jakobson: «equivalenza nella differenza»
•Anni Settanta e Ottanta: superamento della prospettiva scientifico-prescrittiva degli studi di traduttologia.
•Berman: la traduttologia è la riflessione della traduzione su se stessa a partire dalla sua natura di
esperienza

MODI DEL TRADURRE


•Nel 1959 Roman Jakobson ha proposto di distinguere tre modi di interpretazione del segno linguistico
secondo che lo si traduca in altri segni della stessa lingua, in un’altra lingua o in un sistema di simboli non
linguistici:
•TRADUZIONE ENDOLINGUISTICA O RIFORMULAZIONE
•TRADUZIONE INTERLINGUISTICA O PROPRIAMENTE DETTA
•TRADUZIONE INTERSEMIOTICA O TRASMUTAZIONE (ADATTAMENTO)

TRADUZIONE / ALTRE FORME DI SCRITTURA


•VERSIONE
•IMITAZIONE
•RISCRITTURA
•ADATTAMENTO
•TRASPOSIZIONE
LA «DOMINANTE»
•Si deve ancora alla scuola strutturalista di Jakobson e al formalismo russo l’introduzione del concetto
fondamentale di dominante: accantonata la pretesa di una equivalenza assoluta tra testi, Jakobson
propone di scegliere, tra i molti, quell’elemento che è considerato più importante, rispetto al testo da
tradurre, cioè quell’aspetto peculiare intorno al quale si costruisce l’identificazione dell’intero testo
•È la dominante che determina se l’originale è interpretato e tradotto adeguatamente
•Nel testo letterario la dominante si distingue per avere una funzione estetica

PROSPETTIVE ATTUALI
•Colloquio di Lovanio, 1976: nascono ufficialmente i TRANSLATION STUDIES: campo di studi di carattere
analitico-descrittivo il cui obiettivo è quello di descrivere i fenomeni della traduzione come si manifestano
nella prassi (Lefevere, Holmes, Lambert)
•A partire dal 1980, i lavori di Bassnett-Mcguire (Translation Studies) di Theo Hermans (The Manipulation of
Literature) iniziano a considerare la traduzione come un «genere letterario primario» e fondamentale
nell’evoluzione dei sistemi culturali
•Alla fine degli anni Ottanta nasce la Manipulation School, che pone l’accento sulle implicazioni ideologiche
della traduzione, definendo il processo traduttivo non più come linguistic transcoding ma come cultural
transfer

•Con il volume Translation, History and Culture, Bassnett-McGuire e Lefevere connettono i translation
studies ai cultural studies: si inizia a considerare il valore ideologico non più solo dell’originale, ma della
stessa traduzione, all’interno di un determinato contesto culturale: «ogni scrittore di una particolare cultura
e di una specifica epoca e le sue opere riflettono fattori quali la razza, il genere, l’età, la classe».
•Lo studio della traduzione necessita di una pluralità di voci e di soggetti, così come lo studio della cultura
richiede sempre un esame di codificazione e decodificazione che comprendono la traduzione.

•Secondo Lawrence Venuti la traduzione è un atto culturale e politico autonomo: occorre perciò
riaffermare, specie nei contesti culturalmente colonizzati, l’alterità del testo straniero secondo un’etica
della traduzione:
•Le traduzioni basate sulla domesticazione (domesticating) del testo straniero sono etnocentriche,
conservatrici e portatrici della cultura dominante
•Al contrario le traduzioni che si basano sulla stranierificazione (foreignizing) mantengono la distanza
culturale per permettere l’incontro con l’altro, all’insegna della differenza

PRINCIPIO DI ADEGUATEZZA VS. PRINCIPIO DI ACCETTABILITÀ


•Nel 1980 il teorico della traduzione israeliano Gideon Toury ha proposto una distinzione in ambito di
traduzione tra:
•Principio di accettabilità: quando il testo originale deve subire una trasformazione che tende a omologarlo
ai canoni della cultura ricevente. In questo senso il testo prodotto risponde al criterio di massima leggibilità
e il prototesto viene avvicinato al lettore. Il testo accettabile tende a passare per originale, celando la
propria identità di testo tradotto
•Principio di adeguatezza: il metatesto si adatta al prototesto come elemento della cultura altrui. Il
metatesto, dipendente al massimo grado dal prototesto, denuncia apertamente la propria natura di testo
tradotto

DALLA TRADUZIONE SOURCE-ORIENTED ALLA TRADUZIONE TARGET-ORIENTED


•Le traduzioni source-oriented si prefiggono come obiettivo dominante la traduzione dei testi letterari con
l’accento posto sulla parola traduzioni e non su quella di testo: le esigenze filologiche dell’originale
comprometteranno la realizzazione di un testo vero e proprio, coeso e coerente
•Le traduzioni target-oriented hanno come obiettivo dominante la creazione di metatesti letterari, che
saranno coesi e coerenti, ma inevitabilmente distanti dai rispettivi originali
SUPERARE IL CONCETTO DI INTRADUCIBILITÀ
•Le prospettive contemporanee dei translation studies propongono un superamento del Leitmotiv
dell’intraducibilità dei testi letterari.
•Finché si intende la traduzione come sistema di equivalenze semantiche e formali è chiaro che l’atto del
tradurre sarà sempre inteso come misreading. Quando però s’intende la traduzione come attività linguistica
che presiede qualsiasi tipo di scambio comunicativo (come sostiene Susan Bassnett-McGuire), allora
originale e traduzione saranno due testi legati da un rapporto di mera anteriorità cronologica e non di
superiorità e inferiorità epistemologiche.
•In questo senso è bypassato il problema stesso dell’intraducibilità: come ha scritto Antoine Berman, anzi,
l’intraducibilità è la caratteristica fondamentale del testo letterario, ed è anche il motivo per cui merita
tradurlo.

ITAMAR EVEN-ZOHAR
•Concetto di «polisistema»: evoluzione del concetto di semiosfera introdotto da Lotman, secondo cui «la
cultura è un fascio di sistemi semiotici (lingue) formatisi storicamente […] La traduzione dei medesimi testi
in altri sistemi semiotici, l’assimilazione di testi diversi, lo spostamento dei confini fra i testi che
appartengono alla cultura e quelli che si trovano oltre i suoi limiti costituiscono il meccanismo
d’appropriazione culturale della realtà. Solo ciò che è stato tradotto in un sistema di segni può diventare
patrimonio della realtà».
•Il polistema letterario è quindi l’intero universo semiotico nel quale la letteratura tradotta costituisce un
sottoinsieme a sé stante, definito dal fatto che è la cultura ricevente a decidere quali testi debbano entrare
a far parte del proprio sistema mediante traduzione.
 Ciò significa che all’interno del sistema della cultura ricevente i metatestu hanno una vita del tutto
autonomo rispetto al prototesto
 I rapporti di influenza reciproca tra singoli sistemi dipendono dalla loro individuale staticità o
dinamicità e dalla loro posizione centrale o periferica.

Cultura Visuale

Prospettiva contemporanea
Genealogia
•Nelson Goodman, I linguaggi dell’arte (1968): studio delle convenzioni e dei codici che sottendono i
sistemi simbolici non linguistici e non assumono il linguaggio come paradigma del significato
•Jacques Derrida, La grammatologia (1967): decentramento del modello fonocentrico del linguaggio,
spostamento dell’attenzione sulle tracce visibili e materiali della scrittura
•Scuola di Francoforte: analisi sulla cultura di massa, sui media visuali e sugli aspetti ideologici della visione
•Michel Foucault: storia e teoria del potere/conoscenza che rivela il divario tra il discorsivo e il visibile come
frattura cruciale nei «regimi scopici» della modernità

La svolta visuale
•In Linguistic turn (1967) Richard Rorty aveva inteso ricondurre ogni questione gnoseologica a un problema
di linguaggio risolvibile con gli strumenti di una linguistica e di una semiotica su di essa fondata
•Le immagini non sono parole, non si comportano come parole, non sono strutturate (né semanticamente,
né sintatticamente) come il linguaggio
•Parola e immagine sono due modalità diverse di dare forma al reale: se io pronuncio la parola «verde», io
opero una sintesi di una infinita molteplicità di impressioni cromatiche nelle loro innumerevoli sfumature.
Al contempo depotenzio la mia esperienza, perché nella parola «verde» trascuro ciò che per così dire fa di
questo verde questo verde. L’artista visivo, al contrario, è interessato a portare a chiara conoscenza proprio
ciò che fa di questo verde questo verde.
Cultura visuale
•Con cultura visuale si intende un campo di studi transdisciplinare che nasce come reazione ad una serie di
trasformazioni che si sono verificate a partire dall’inizio degli anni Novanta nell’ambito dell’iconosfera
•Con ICONOSFERA si intende la sfera costituita dall’insieme delle immagini che circolano in un determinato
contesto culturale, dalla tecnologie con cui esse vengono prodotte, elaborate, trasmesse e archiviate e dagli
usi sociali di cui queste stesse immagini sono oggetto
•Regime scopico: nuovo oggetto di studio della cultura visuale, quale risulta dallo studio, ad un tempo, di
immagini, sguardi e dispositivi della visione.

La svolta visuale (area angloamericana)

William J. T. Mitchell:
- Iconology. Image, text, ideology (1986)
- Picture theory (1994)
- What do Pictures Want (2004)

•Pictorial turn (reazione al Linguistic turn)


•Image/Text: Imagetext (utopia della fusione) o image-text (relazione dialettica)
•Mixed media (ogni medium è misto)
•Image/Picture: immagine immateriale (figure, motivi, forme)/immagine che esiste concretamente con
supporti, media e dispositivi

Visual Culture Studies


•Eredità dei Cultural Studies
•Studio della dimensione sociale, culturale e politica delle immagini e delle pratiche della visione
•Studio della contemporaneità e della cultura popolare
•Postura critico militante volta a svelare la presenza latente di ideologie, identità rigide, logiche di
inclusione e esclusione

La svolta visuale (area germanofona)

Gottfried Boehm
Horst Bredekamp
•Iconic turn (opposizione al Linguistic turn)
•Studio del ruolo epistemico, conoscitivo delle immagini
•Volontà di comprendere la logica delle immagini
•Necessità di studiare la dimensione mediale dell’immagine

La svolta visuale (area francofona)

Michel Foucault
Roland Barthes
Jean Baudrillard
Gilles Deleuze
Jacques Rancière
Georges Didi-Huberman
•Area proteiforme
•Riflessione su iperrealtà, simulacri, simulazione
•Studio della temporalità delle immagini e sul rapporto tra visibilità e storia

PRESUPPOSTI TEORICI
•Studio di ogni tipo di immagine
•Evidenziazione della dimensione culturale della visione: la visione è sempre tecnicamente, socialmente e
storicamente situata (storicità, studio dei dispositivi, costruzione visiva del sociale e costruzione sociale del
visivo)
•Studio dei rapporti tra testo e immagine secondo una nuova prospettiva (W.J.T. Mitchell, Michele Cometa)
•Gli studi di cultura visuale non sono definiti dalla scelta dei propri oggetti di studio ma dall’attenzione
rivolta alle pratiche del vedere
•SHOWING SEEING: esporre e analizzare l’atto stesso del vedere nelle sue diverse declinazioni estetiche ed
epistemiche, culturali e sociali

Che cosa vogliono le immagini?


•I bisogni delle immagini sono espressione non di oggetti inerti sempre disponibili al nostro sguardo, ma di
soggetti animati, dotati di personalità. La sfera del desiderio, tradizionalmente intesa come appannaggio o
dei produttori delle immagini o dei loro fruitori, viene così riassegnata alle immagini stesse.
•Questa personificazione restituisce secondo Mitchell un «sintomo incurabile» dell’uomo: l’inclinazione
antropomorfica nei confronti degli oggetti animati rappresenta una strutturale disposizione dell’umano.
Una convinzione su cui si fonda il rinnovato interesse per idolatria, animismi e totemismo.

Implicazioni gender
•Secondo Mitchell, nella cultura occidentale si assiste, da Platone in poi, alla prevaricazione del verbale
(maschile) sul visuale (femminile).
•Come il colonizzato, il proletario, le donne, l’immagine è ciò che non ha parola, il non-risolto e il non-
assimilato.
•In questo senso l’ékphrasis si inscrive in una logica del «desiderio», che si declina così:
•Speranza ecfrastica: desiderio di superare l’alterità
•Paura ecfrastica: paura che scaturisce dal confronto con l’alterità dell’immagine (il suo mutismo, la sua
sensualità)
•Indifferenza ecfrastica: impraticabilità di questa trasgressione dei limiti

Spettatorialità
•Secondo Rancière l’esercizio dello sguardo, lungi dall’essere una passiva ricezione di uno spettacolo, opera
per selezione, comparazione, interpretazione: grazie ai processi di associazione e dissociazione può
realizzarsi l’emancipazione dello spettatore, ovvero il suo riconoscersi come attore.
•Occorre abbandonare le rigide opposizioni tra attività/passività, guardare/sapere, apparenza/realtà.
•«non vi è il reale in sé, ma delle configurazioni di ciò che è dato come il nostro reale, come l’oggetto delle
nostre percezioni, dei nostri pensieri e dei nostri interventi. Il reale è sempre l’oggetto di una finzione, cioè
una costruzione dello spazio in cui si connettono il visibile, il dicibile e il fattibile.

Sguardo, occhio, visione


•Lo sguardo nelle immagini: sguardo che ci proviene dai volti ritratti e autoritratti. Topos dello sguardo (Il
ritratto di Gogol’, Il ritratto ovale di Allan Poe, Il ritratto di Dorian Gray di Wilde). Ma anche
«interpellazione» dello spettatore cinematografico innescata dallo sguardo in macchina dell’attore.
•Ciò che guardiamo è ciò che ci riguarda
•Lo sguardo delle immagini: contrapposizione tra studium e punctum (Barthes): lo studium è la dimensione
informazionale, razionale, pubblica e oggettiva dell’immagine; il punctum è la capacità particolare
dell’immagine di «pungere me», di colpirmi e di provocarmi una reazione irrazionale. Puntura di sguardo.
•Mito di Medusa: la Gorgone dallo sguardo che pietrifica e che viene a sua volta pietrificata per mano di
Perseo tramite la messa in immagine dello specchio del suo stesso volto (potere mortifero dello sguardo e
sua neutralizzazione iconica)
Regimi scopici
•Se lo sguardo è sempre situato possiamo leggerne le diverse incarnazioni nel tempo.
•Foucault, ad esempio, distingueva tra: rappresentazione classica, avvento dell’immagine-oggetto, avvento
del simulacro
•Il termine regime scopico fu introdotto dallo studioso di cinema Christian Metz per caratterizzare il
«voyeurismo allo stato puro» del cinema in quanto sguardo desiderante che pone l’oggetto del desiderio
come costitutivamente inaccessibile
•Sarà Martin Jay che negli anni Ottanta riprenderà il termine come strumento categoriale volto a de-
naturalizzare la visione, in modo da mostrare lo statuto sempre culturalizzato e storicizzato della visione
•Secondo Jay c’è un forte legame tra il soggettivismo razionalistico cartesiano e la teoria rinascimentale
della prospettiva, tra la cultura visuale olandese e l’empirismo di matrice baconiana, tra il regime ottico del
barocco e la filosofia scettica e critica.
•Jay definisce tali legami come esperienze oculari differenziate oppure culture visuali ideal-tipiche. Nessuna
di esse può avanzare pretese di naturalità o realismo. La realtà ha la struttura della finzione.
•Secondo Régis Debray esistono tre regimi dello sguardo: il regime dell’idolo (sguardo magico, epoca della
scrittura), regime dell’arte (sguardo estetico, epoca della stampa), regime visivo (sguardo economico e
operativo, epoca dell’audiovisivo)

Supporti, media, dispositivi


•Con supporto intendiamo i materiali di varia natura che rendono possibile la visualizzazione di
un’immagine concreta (dalla parete di roccia, al muro della chiesa, dalla pala d’altare alla tela, dalle tessere
di un mosaico al marmo, alla creta, al bronzo ecc.)
•I supporti possono essere: fissi o mobili, opachi o luminosi, legati o indipendenti, penetrabili o
impenetrabili
•Un supporto particolarmente importante è lo schermo
•Con medium intendiamo un insieme costituito dai supporti materiali e dalle tecniche che possono essere
esercitate su tali supporti. Nel corso del XX secolo il medium è stato interpretato con le categorie di
normativo o prescrittivo. Con intermedialità intendiamo la fusione sinestetica di media diversi. Con
transmedialità intendiamo i processi di trasposizione o migrazione da un medium ad un altro. I media
possono essere caldi (quelli che procedono verso l’alta definizione) oppure freddi (che procedono in
direzione opposta)
•Con dispositivo intendiamo tutto ciò che concorre a disporre nello spazio l’immagine e a organizzare il suo
rapporto con lo spettatore, configurandone lo spazio
•La cornice, la sala cinematografica, il panopticon.
•Il dispositivo è allo stesso tempo materiale, spaziale e mentale.
•Secondo Giorgio Agamben, che riprende alcune proposte di Deleuze, le origini del concetto di dispositivo
vanno fatte risalire all’oikonomia della tradizione dei Padri della Chiesa, ovverosia al modo in cui Dio
amministra il creato. In questi termini il dispositivo è uno strumento d’azione e si concretizza in pratiche
che innescano dei processi di soggettivizzazione. Nella contemporaneità tali processi sono alterati sino alla
desoggettivizzazione: riduzione della soggettività in una società progressivamente panottica.

Il testo narrativo
Minimi elementi strutturali

Modello comunicativo
Un individuo empirico (autore) scrive un testo; nel testo l’atto di enunciazione (narrazione) di un soggetto
linguistico (narratore) produce una serie di enunciati narrativi (racconto) che designano dei contenuti in
forma di eventi, azioni, personaggi, eventi etc. (storia o diegesi); il racconto è indirizzato ad un destinatario
interno al testo (narratario), spesso invisibile, che è una controfigura del lettore empirico
Storia, racconto, narrazione
-La storia (fabula) è il contenuto narrativo, l’insieme degli eventi narrati in un testo
-Il racconto (intreccio) è l’enunciato narrativo, il discorso che riferisce la storia, il modo in cui viene
organizzata nell’effettiva sequenza verbale che troviamo sulla pagina
-La narrazione è l’enunciazione narrativa, l’atto enunciativo che produce il racconto e la situazione in cui si
colloca

Tempo
•Il tempo della storia è la cronologia dei fatti
•Il tempo del racconto è l’effettiva modalità temporale con cui i fatti sono messi in intreccio con
procedimenti riconducibili a 3 categorie:
•Anacronie : discordanze tra l’ordine del tempo della storia e l’ordine del tempo del racconto (analessi e
prolessi)
•Anisocronie: discordanze tra la durata del tempo della storia e quella del tempo del racconto (sommari,
ellissi, pause)
•Relazioni di frequenza degli eventi della storia e gli enunciati narrativi: racconto singolativo e racconto
iterativo
•Il tempo della narrazione indica il momento in cui il narratore racconta rispetto alla storia: ulteriore,
anteriore, simultaneo, intercalato

Modo e Voce
Occorre distinguere tra le modalità di rappresentazione con cui il racconto evoca i fatti della storia e le
parole dei personaggi (punto di vista) dai problemi di istanza narrativa (statuto del narratore, la posizione
da cui racconta e la sua relazione con la storia). Nel primo caso parliamo di modo, nel secondo di voce.

Punti di vista (modo)


•Racconto non focalizzato o a focalizzazione zero: il narratore ha più consapevolezza di qualsiasi
personaggio;
•Racconto a focalizzazione interna: il narratore restringe la propria prospettiva a uno o più personaggi
(riferendo solo ciò che il personaggio in questione percepisce e sa)
•Racconto a focalizzazione esterna: il narratore è meno informato dei personaggi e si limita a riferire le loro
parole e azioni esteriori come un osservatore anonimo o una macchina da presa

Livello diegetico del narratore (voce)


•Narratore extradiegetico: narratore di primo grado fuori dalla storia e dall’universo diegetico
•Narratore intradiegetico: narratore di secondo grado, il cui atto narrativo si colloca all’interno del racconto
primo (un personaggio che diventa narratore a propria volta, producendo un racconto nel racconto)

Rapporto del narratore con la storia (voce)


•Narratore eterodiegetico: il narratore è assente dalla storia (terza persona)
•Narratore omodiegetico: il narratore è un personaggio della storia

Letteratura e giornalismo

Due ambiti condannati a una costante intimità


●Il rapporto tra letteratura e giornalismo è un rapporto complesso e per certi versi forzato, caratterizzato
da evidenti antinomie:
–La letteratura ambisce alla durata / il giornalismo è effimero
–La letteratura ha il suo statuto nella menzogna / il giornalismo nella veridicità
–La letteratura è esercizio individuale / il giornalismo è collettivo
–La letteratura dà voce a oscillazioni, contraddizioni, istanze represse / il giornalismo è tenuto a seguire una
linea definita
–La letteratura appartiene al dominio dell’arte / il giornalismo appartiene alla comunicazione mediatica

Poteri a confronto
●La letteratura possiede un’autorevolezza profonda ma imponderabile
●Il giornalismo è un potere vero e proprio, che nelle società democratiche svolge un compito preciso e
fondamentale
●Studiare il rapporto tra letteratura e giornalismo permette di analizzare numerose questioni che
caratterizzano la modernità:
–Il disagio dell’intellettuale (rapporto tra necessità di intervento nel presente e distanza da esso)
–Funzione della comunicazione mediale nella letteratura
–Ricezione
–Etc.

Scrittori-giornalisti
●Sono molti gli autori che si muovono a cavallo fra letteratura e giornalismo.
●Con l’attività giornalistica di alcuni grandi scrittori si assiste alla nascita di nuove forme di giornalismo, così
come a innovazioni, modificazioni e nuovi impulsi a generi letterari tradizionali
●I giornalisti scrittori operano in tutti i principali settori della stampa: l’inchiesta, il reportage, la cronaca
nera

Interconnessioni tra letteratura e giornalismo


●La carta stampata, i giornali e i quotidiani consacrano alla letteratura uno spazio specifico. Ciò non
comporta solamente una contiguità materiale tra le due forme espressive, ma ha ripercussioni importanti
nella storia dei generi letterari:
–Romanzi o racconti a puntate
–L’elzeviro
–Il ricorso a strategie letterarie nelle opere giornalistiche (New Journalism) e le contaminazioni tra cronaca
e romanzo (reportage narrativo e non fiction novel)

Il giornalismo come tema letterario


●La narrazione letteraria tematizza il giornalismo:
–Giornalismo come potere
–Rapporto tra giornalismo e vocazione artistica
–Impatto tra giornalismo e pubblico
–La figura del giornalista

Scrittori-giornalisti
●Daniel Defoe, nel 1704, fonda il «the Weekly Review»
●Jonathan Swift, tra il 1710 e il 1711 dirige l’«Examiner»
●Nell’Ottocento, Balzac collabora con «le monde», «le voleur», «la caricature», «La Presse». Nel 1836
dirige «Chronique de Paris» e dal 1840 la «Revue parisienne».
●Il caso di Balzac è particolarmente indicativo della scissione emotiva dello scrittore rispetto all’attività
giornalistica. Nonostante le molte collaborazioni, infatti, Balzac arriverà a condannare senza appello la
pratica giornalistica. Tuttavia si servirà dell’informazione come di un grande serbatoio da cui attingere per la
sua Comédie Humaine.
●Èmile Zola lavora come giornalista tra il 1865 e il 1881, diventando celebre grazie alla campagna in favore
dell’ufficiale ebreo Alfred Dreyfus (accusato di spionaggio per false accuse a causa di un forte
antisemitismo)
●Charles Dickens fu legato a doppio filo con il mondo del giornalismo. Sul «Morning Chronicle» e più tardi
sul «Monthly Magazine» scriverà i celebri bozzetti di costume poi raccolti sotto il titolo di Sketches by Boz.
Negli anni successivi sarà direttore di «Household Words» e «All the Year Round»

●I rapporti tra letteratura e giornalismo nell’Ottocento trovano nel feuilleton (romanzo d’appendice) il
proprio punto di intersezione: si tratta, appunto, di romanzi pubblicati a puntate sui giornali
●Nel Novecento, in Italia, nasce la cosiddetta terza pagina, dedicata ad aspetti culturali. L’articolo, di
carattere misto e vario, che apre la terza pagina è detto elzeviro
●La data di nascita dell’elzeviro è il 1° dicembre 1901, quando il «Giornale d’Italia», allora diretto da Alberto
Bergamini dedica una pagina alla prima romana della tragedia Francesca da Rimini, di Gabriele d’Annunzio,
che veniva commentata relativamente alle musiche, gli allestimenti e il testo

L’elzeviro
●In generale potremmo definire un Elzeviro come un genere letterario che passa dalla tecnica della
recensione a quelle sfuggenti della divagazione saggistica o lirica, si imbeve di suggestioni remote
(l’antiromanzo di Sterne, le operette morali) o recenti (il poema in prosa).
●Si tratta di un ponte tra la cultura elitaria e quella divulgativa: diffonde sui quotidiani la prosa d’arte in
bilico tra svolgimento narrativo e libera riflessione.
●L’elzeviro muove spesso da fatti del giorno, però insignificanti o abbordati da una prospettiva insolita

Narrativa e giornalismo americano


●Per capire correttamente lo stretto rapporto tra narrativa e giornalismo delle opere che stiamo cercando
di commentare in questo corso, si deve far riferimento alla rivoluzione avvenuta nel giornalismo americano
a partire dagli anni Trenta nell’Ottocento.
●In questo periodo, infatti, i giornali cessano di essere bollettini di informazioni e avvisi pubblicitari per una
ristretta élite di lettori appartenenti al mondo dell’industria, della finanza e della politica.
●La svolta è data dal fenomeno della penny press

Penny Press
●La Penny Press inventa il moderno concetto di NOTIZIA
●Si tratta di un gruppo di editori che progetta giornali per un pubblico esteso al costo di un solo penny
(contro i 6 cents dei giornali tradizionali), allargando l’ambito delle notizie ad argomenti di carattere
popolare. L’impaginazione diventa più vivace e la vendita viene affidata a «strilloni» posti agli angoli delle
strade.
●Per la prima volta compaiono sul giornale articoli sulla polizia, sui tribunali, sulle case private. La stampa
non riflette più unicamente commercio e politica ma si allarga all’intera vita sociale

La rivoluzione americana
●Nel 1923 Briton Hadden e Henry Robinson fondarono il «Time»
●Nel 1925 nasce il magazine letterario «New Yorker» su iniziativa di Harold Ross
●Nel 1936, il gruppo «Time» fonda «Life», primo periodico in cui la fotografia diventa elemento centrale,
veicolando l’informazione, laddove l’articolo retrocede alla funzione di didascalia
●Nasce quindi il foto-reportage.

New Journalism
●Tra il 1962 e il 1972, Tom Wolfe e altri reporter danno vita ad una corrente volta a rinnovare la narrazione
giornalistica in anni in cui il boom economico, il neocapitalismo, modificano radicalmente la composizione
sociale nei paesi del Patto Atlantico.
●Wolfe intende rivalutare la funzione etica ed educativa del romanzo realista inglese di scrittori come
Defoe e Dickens.
●Inoltre intende riprendere da Hemingway la commistione tra tensione narrativa romanzesca e giornalismo
informativo.
●Il New Journalism intende superare la struttura canonica dell’articolo di giornale, che all’epoca si fondava
ancora sulla cosiddetta regola delle cinque W: who, what, when, where, why.
●Inoltre Wolfe intende superare la referenzialità pura degli articoli giornalistici per scavare nelle atmosfere
e nei personaggi con il ricorso a strategie tipicamente letterarie

LE 4 TECNICHE DEL NEW JOURNALISM


●COSTRUZIONE DEL TESTO SCENE-BY-SCENE (graduale susseguirsi di immagini volte a far immergere il
lettore dentro il pezzo)
●USO DI DIALOGHI COINVOLGENTI
●PUNTO DI VISTA INTERNO ALLA STORIA (la storia è descritta attraverso lo sguardo di personaggi diversi e
coinvolti nei fatti narrati; ne consegue dunque uno stile diverso a seconda del punto di vista adottato)
●REALISMO DESCRITTIVO (accuratissima attenzione per la resa dei dettagli presenti nella scena)

Debiti letterari
●Il New Journalism deve molto all’opera letteraria di scrittori come Henry James, Charles Dickens, ma
anche come Balzac e Flaubert, sia per l’attenzione autentica per la società, che per la rappresentazione
delle classi sociali e dei problemi che ciascuna di esse affrontava.
●Opere come Hard Times (1854) di Dickens o The American (1877) di James, che prendono spunto da veri
fatti i cronaca, rappresentano in un certo senso gli antenati del New Journalism

Hard News vs. Features


●Il New Journalism sbilancia il rapporto tra le notizie di politica economica, di finanza o di cronaca nera
(hard news) e le notizie di piccoli casi dal sapore locale (spesso eccentriche e piene di personaggi e
descrizioni) (features) a favore di quest’ultime.
● Le Features, normalmente, giocano la carta dell’emozione e tendono a coinvolgere il lettore, sollecitando
le sue reazioni personali. Seri o leggeri, d’attualità o meno, gioiosi o malinconici, parlano in genere della
condizione umana.
●Le Features, rispetto alle News, contengono energia creativa, sono meno obiettive, sviluppano la funzione
informativa attraverso la personificazione della notizia, tendono ad offrire al lettore uno spazio di
intrattenimento, non solo di informazione.

CAPOTE E IL NON-FICTION NOVEL


●Nel 1965, esce a puntate sul «New Yorker» In Cold Blood di Truman Capote.
●Per descrivere la sua opera, Capote, parla di non-fiction novel, ovverosia di un genere letterario nuovo che
consiste nella rielaborazione narrativa di materiali autentici, raccolti con metodi giornalistici

Non-fiction novel e New Journalism


●Entrambi nascono nel contesto di una società cambiata radicalmente: da un lato il giornalismo tradizione
sembra incapace di rendere conto di questi cambiamenti, dall’altro la narrazione romanzesca soggettiva,
introspettiva, intimistica e privata, appare improvvisamente insufficiente, drammaticamente fuori dal
tempo.
●Si assiste in questi anni ad una vera e propria SVOLTA OGGETTIVISTA

Non-fiction novel e New Journalism


●Il non fiction novel è la manipolazione creativa del reportage, al fine di creare un romanzo appassionante
e serrato, servendosi dell’intervista e di un approccio documentaristico (quasi scientifico) alle informazioni
●Il New Journalism è la manipolazione creativa delle tecniche della letteratura al fine di creare un
giornalismo nuovo, moderno, in grado di arrivare ad una nuova generazione di lettori
Reportage narrativo e non-fiction novel
●Resta assai complicato distinguere correttamente il reportage narrativo di alcuni scrittori e il nuovo
genere letterario di Capote.
●Molti critici hanno accostato In Cold Blood a opere come il Diario dell’anno della peste (1722) di Defoe o
Verdi colline d’Africa di Hemingway (1933). Il primo è un romanzo storico, presentato come cronaca dal
vivo, dell’epidemia di peste che colpì Londra nel 1665. Il secondo è un reportage autobiografico sul safari
che Hemingway fece nel 1934 con la moglie.

Non-fiction novel e legittimazione del reportage narrativo


●Il grande merito di Capote sta nell’aver legittimato, dandogli anche un nome, un genere narrativo prima di
quel momento privo di rilevanza nel panorama letterario mondiale.
●Solo uno scrittore capace di un controllo completo delle tecniche narrative, può, secondo Capote,
innalzare questo tipo di reportage, esistenti da tempo, al rango di arte.
●Il giornalismo si muove infatti secondo un piano orizzontale, raccontando una storia. La narrativa si muove
verticalmente, portando il lettore sempre più profondamente all’interno dei personaggi e degli
avvenimenti.

Non-fiction novel e legittimazione del reportage narrativo


●Trattando un avvenimento reale con la tecnica della narrativa è possibile unire orizzontalità e verticalità:
dato che gli scrittori di buona narrativa avevano di solito sdegnato la cronaca e la maggior parte dei cronisti
non sapevano scrivere buone narrazioni, il non-fiction novel tenta di fondere le due figure.
●Capote è stato il primo a mostrare cosa si poteva fare mettendo insieme materiale giornalistico e talento
letterario.
●A sangue freddo è così un romanzo-verità: Capote lo scrive come se fosse un romanzo, ma invece di trarre
personaggi e situazioni dalla propria fantasia li prende a prestito dalla vita reale

John Reed giornalista rivoluzionario


●Portland, 22 ottobre 1887 – Mosca, 17 ottobre 1920
●John «Jack» Reed è stato un poeta, uno scrittore e un giornalista, ma anche un uomo politico, un ribelle e
un rivoluzionario americano.
●Prima dei Ten Days That Shook the World, Reed era stato autore di importanti reportage.
●1913: a Paterson, New Jersey, gli operai dei setifici, in grande maggioranza immigrati italiani, sono in
sciopero sotto la guida degli Industrial Workers of the World. John Reed è sul posto come inviato della
rivista radicale per cui scrive «The Masses». In quel contesto Jack non solo documenta quanto sta
succedendo, ma partecipa attivamente allo sciopero, tanto da essere arrestato. Da quell’esperienza
deriverà il reportage War in Paterson e lo spettacolo teatrale Paterson Pegeant
●1914: a Ludlow, Colorado, 1200 minatori sono in sciopero da mesi, guidati dal sindacato dei minatori
americani. Dopo essere stati espulsi dalle abitazioni (di proprietà del petroliere Rockfeller) si accampano
per continuare lo sciopero. Il 20 aprile la polizia privata assoldata da Rockfeller e la Guarda Nazionale
incendiano le tende dei manifestanti e aprono il fuoco. Muoiono 19 persone. Jack raccoglie materiale e
testimonianze, da cui trarrà War in Colorado
●Sempre nel 1914 John Reed andrà in Messico, dove, sotto la guida di Pancho Villa e Emiliano Zapata si sta
sviluppando un processo rivoluzionario duramente osteggiato dalle classi dominanti messicane appoggiate
dagli Stati Uniti. Da quell’esperienza avventurosa e incredibile John Reed trarrà Insurgent Mexico
●Nel 1915 è in Europa, dove imperversa il primo conflitto mondiale. Si ferma nei Balcani e in Turchia. Nel
1916 scriverà The war in Eastern Europe.

Il genere letterario del reportage mukraking


●Con mukraking (letteralmente rivoltare il letame) si intende un genere giornalistico-letterario di denuncia,
assai diffuso tra gli scrittori reporter tra l’Ottocento e i primi del Novecento.
●Il mukraking si fonda sul tentativo di far luce sui vizi privati e le pubbliche virtù della vita sociale
statunitense: corruzione, sfruttamento del lavoro, devastazione dell’ambiente, illegalità poliziesche.
●Si inscrivono in questa ottica romanzi come La giungla di Upton Sinclair o Il popolo dell’abisso di Jack
London o ancora i lavori di Theodore Dreiser.

Cronologia minima degli eventi rivoluzionari


●8 marzo 1917: le operaie tessili di Pietrogrado scendono in sciopero accendendo la miccia della cosiddetta
«rivoluzione di febbraio» (dal calendario giuliano vigente allora in Russia. La rivoluzione di febbraio è il
culmine di una serie di sommosse contadine, operaie e dell’esercito impegnato nella Prima Guerra
mondiale, che risalgono addirittura al tentativo di rivoluzione (represso con violenza dal governo zarista)
del 1905.
●Nel corso del mese di marzo si susseguono scioperi, ammutinamenti, insurrezioni. II soviet dei deputati
operai forma un Esecutivo provvisorio (guidato dai menscevichi) mentre i partiti borghesi costituiscono un
Comitato provvisorio dei membri della Duma

GLOSSARIO 1
●SOVIET: assemblea eletta dalle organizzazioni economiche operaie. Esistono soviet locali (eletti in ogni
città e villaggio), soviet di rione (nelle grandi città), soviet regionali e provinciali. Infine, con sede nella
capitale, esisteva il Comitato centrale esecutivo dei soviet (CEC). I soviet dei contadini, autonomi rispetto ai
soviet operai, si fonderanno a questi dopo la rivoluzione bolscevica
●DUMA: organo deliberante attivo in periodo zarista. Dopo la prima rivoluzione sopravvisse per circa sei
mesi e cessò nel settembre 1917. Con Duma cittadina si intende il consiglio municipale riorganizzato
(autogoverno municipale)

GLOSSARIO 2
●MENSCEVICHI e BOLSCEVICHI sono due fazioni del PARTITO OPERAIO SOCILDEMOCRATICO RUSSO
(POSDR). Dal 1903, per ragioni tattiche, il partito si divise in una parte maggioritaria (bolscevica) e una parte
minoritaria (menscevichi), sebbene nella rivoluzione russa i bolscevichi furono sempre in minoranza. I
menscevichi erano convinti che la società dovesse progredire verso il socialismo per evoluzione naturale. I
bolscevichi sostenevano l’insurrezione proletaria nella convinzione che la creazione di uno stato socialista
esigeva il possesso da parte della classe operaia di industrie, terre, ricchezze naturali.

Cronologia minima degli eventi rivoluzionari


●15 marzo 1917: Lo Zar Nicola II abdica in favore del fratello, che però rinuncia al trono. Si forma un
Governo provvisorio retto dal principe Lvov
●16 marzo-11 aprile: la famiglia imperiale viene arrestata, il governo provvisorio viene riconosciuto da
alcuni stati sovrani. Stalin rientra dal proprio esilio.
●16 aprile: Lenin rientra dal proprio esilio svizzero. Il giorno successivo pubblicherà le celebri «tesi di
aprile»

GLOSSARIO 3
●TESI DI APRILE: nessun appoggio al Governo provvisorio, pace subito senza annessioni, tutto il potere ai
soviet, nazionalizzazione della terra da gestire attraverso i soviet dei contadini poveri, diritto alla
separazione delle nazionalità oppresse dallo stato russo, fondazione di una nuova Internazionale,
cambiamento al nome del partito che dovrà chiamarsi comunista

Cronologia minima degli eventi rivoluzionari


●17 maggio: Trotskij rientra dal proprio esilio
●Giugno: si riunisce il primo congresso dei soviet nel quale tutti si pronunciano per la formazione di un
nuovo governo di coalizione, tranne Lenin, che afferma che i bolscevichi sono pronti a prendere il potere da
soli.
●Il governo provvisorio indice le elezioni per l’Assemblea Costituente per il 30 settembre
●LUGLIO: moti spontanei di proletari, soldati e contadini poveri che il bolscevichi tentano di contenere.
Dura repressione del governo provvisorio, retto a partire dal 21 luglio da Kerenski

●Luglio: Lenin e i principali dirigenti del partito bolscevico vengono dichiarati fuorilegge. Trotskij e
Lunačarskij vengono arrestati. Lenin ripara in Finlandia.
●Agosto – settembre: Il generale Kornilov, capo dell’esercito, invia le truppe a Pietrogrado per schiacciare i
soviet e prevenire possibili azioni dei bolscevichi. I reparti vengono fermati e dispersi dagli operai, dai
ferrovieri e dai marinai che difendono la capitale.
●Kerenski destituisce Kornilov e il 14 settembre proclama la Repubblica.
●22 settembre: i bolscevichi conquistano la maggioranza del soviet di Pietrogrado. Trotskij ne diventa il
presidente.
●12 ottobre: alla prima riunione del nuovo parlamento democratico i bolscevichi, guidati da Trotskij,
abbandonano la seduta
●23 ottobre: Lenin rientra clandestinamente a Pietrogrado e partecipa ad una riunione del Comitato
centrale bolscevico, nel quale propone l’insurrezione armata. Solamente Zinoviev e Kamenev votano contro
(10 i voti a favore)
●25 ottobre: i bolscevichi il Comitato rivoluzionario di guerra, presieduto da Trotskji
●6 novembre: rottura definitiva tra Soviet e governo provvisorio, che fa appello a tutti i soldati rimasti
fedeli alla democrazia
●Notte tra il 6 e il 7 novembre: i bolscevichi occupano i principali punti strategici della città senza incontrare
particolari difficoltà
●7 novembre: il Comitato rivoluzionario assume il potere sciogliendo il governo provvisorio
●8 novembre: vengono emanati i decreti della Pace, della Terra e del controllo operaio, con i quali il nuovo
potere esce dal conflitto mondiale, confisca tutte le proprietà private sulla terra senza alcuna contropartita
e stabilisce che il potere è in mano alle organizzazioni proletarie
●14-17 novembre: i bolscevichi rifiutano qualsiasi proposta di formare un nuovo governo di coalizione.
Kerenski scappa dalla capitale. Vari membri del Comitato centrale si sospendono per protesta contro tale
rifiuto (Kamenev, Zinoviev, Rykov). Presto riassumeranno l’incarico.
●25 novembre: il nuovo governo sovietico organizza le elezioni per l’Assemblea Costituente. I bolscevichi
ottengono il 23,6% dei voti, con una maggioranza schiacciante tra gli operai, nei reparti militari al fronte
Nord e Ovest e nelle grandi città. I Socialisti Rivoluzionari populisti sono il partito più forte con il 40,9 % dei
suffragi. I menscevichi raccolgono il 3%, i liberali e i partiti di destra assommano l’8,4 % e i partiti nazionali e
i mussulmani il 20,1 %.
●Dicembre: vengono arrestati i dirigenti del partito cadetto accusati di preparare la guerra civile. I deputati
cadetti vengono cacciati dalla costituente; inizia formalmente la Conferenza di pace di Brest-Litovsk;
vengono nazionalizzate le banche e le grandi imprese metallurgiche; viene creata l’Armata rossa, la cui
organizzazione viene affidata a Trotskij.
●18 gennaio 1918: l’Assemblea costituente viene sciolta, di fronte all’evidenza del fatto che la maggioranza
moderata si oppone al potere dei soviet e pretende che si crei un nuovo governo di coalizione con i liberali.

John Reed nella Rivoluzione


In Cold Blood
●Nel 1959 Truman Capote è già uno scrittore affermato. Ha già pubblicato i romanzi Other Voices, Other
Rooms (Altre voci, altre stanze) 1948 e The Grass Harp (L’arpa d’erba) 1952, oltre ai racconti raccolti in A
Three of Night and Other Stories (Un albero di notte), 1949.
●Tuttavia, come dichiarerà nella prefazione a Music for Chamaleons (Musica per camaleonti) del 1980,
Capote è sempre più attratto dal giornalismo come forma di arte in sé.
1955-1959
●Tra il 1955 e il 1959 Truman Capote inizia a lavorare per il cinema: nel 1958 esce Breakfast at Tiffany’s, che
sarà poi adattato nella celebre pellicola con Audrey Hepburn e George Peppard da Blake Edwards nel 1961
●Nel 1956 segue la tournée sovietica di un quartetto jazz americano Porgy and Bess, da cui ricaverà The
Muses are Heard (Si sentono le muse)
●Ma la sua attenzione, come riporta Gerald Clarke (autore di una bellissima biografia di Capote) la sua
attenzione era rivolta al mondo non-finzionale
«Era come se nella camera accanto ci fosse una scatola di cioccolatini e io non resistessi. I cioccolatini erano
che volevo scrivere di fatti, non di cose immaginarie. C’erano tante cose su cui sapevo di voler fare indagini,
tante cose su cui sapevo di poter scoprire qualcosa. Improvvisamente i giornali diventarono vivi, e mi resi
conto che come scrittore di narrativa ero proprio nei guai»

Riportato in Gerald Clarke, Truman Capote.

16 novembre 1959
●Truman Capote legge nel «New York Times» che a Garden City, contea di Holcomb, l’intera famiglia
Clutter è stata assassinata da mano sconosciuta. Così, con l’approvazione del «New Yorker» parte, a metà
dicembre dello stesso anno, per recarsi sul posto, in Kansas, insieme all’amica Nelle Harper Lee (autrice del
celebre To kill a Mockingbird – Il buio oltre la siepe).
●Il contesto in cui Capote (newyorkese di adozione, snob, raffinato e omosessuale) arriva è quello di una
comunità contadina repubblicana e bigotta.

Adattamento
•Problema di dominante:
•Orchidee
•John Laroche
•Susan Orlean
•I problemi relativi all’adattamento di un reportage non-finzionale mostrano 2 aspetti specifici di tale
genere narrativo:
•Il primo riguarda ovviamente la natura non-finzionale del testo
•Il secondo la presenza del reporter o in generale il momento dell’indagine

Vero, falso, finto: urgenze contemporanee


•Sempre maggiore “liquidizzazione” dei rapporti tra verità e finzione
•L’offerta narrativa della contemporaneità abbonda di «format ibridi» che mescolano letteratura e
giornalismo (non fiction novel), marketing e politica (storytelling) autobiografia e fiction (autofiction),
documentario e fiction (docufiction), informazione e intrattenimento (infotainment), pubblicità e cinema
(product placement), pubblicità e arte contemporanea (emotional marketing), pubblicità e giornalismo
(contenuti sponsorizzati e native advertising), informazione e propaganda (fake news), discografia e tv
(talent show), vita privata e pubblica (social network), consumo e produzione (fan fiction), oltre a format
che riproducono la realtà (reality).
•man mano che il nostro rapporto con la realtà diventa più prospettivista, la narrazione al contrario cerca di
ancorarsi al reale. Man mano che la vita si finzionalizza, la fiction si definzionalizza.
•Marc Augé parla di “messa in finzione della realtà”: la verità di ciò che un soggetto ha vissuto (o non ha
vissuto) e persino quella di sé stesso come soggetto si trovano spesso trasposte nell’autorappresentazione
di sé che i media contemporanei e i social network richiedono. Ognuno diventa testimone di avvenimenti,
eventi e situazioni che, come ci ha insegnato Giorgio Agamben, non si convertono mai in esperienza.
Il reportage narrativo come genere
•1. Il reportage ha per oggetto una notizia già diffusa
•2. La sua novità non consiste dunque nell’informare su un fatto ignoto, ma nel portare il lettore nel fuoco
della vicenda
•3. Il reportage dilata la notizia trasformandola in una storia
•4. Il reportage insiste su atmosfere, sensazioni, emozioni, spingendo la scrittura giornalistica a ridosso di
quella della prosa di invenzione
•5. Il reportage è realizzato dalla figura dell’inviato speciale
•6. Il reportage è morfologicamente un racconto fattuale (coincidenza di autore e narratore)
•7. Il reportage presuppone ciò che Lejeune chiama «patto autobiografico»:
•Se l’autobiografia suppone che ci sia identità di nome fra l’autore (col suo nome in copertina), il narratore
del racconto e il personaggio di cui si parla, il reportage, esattamente come il racconto di testimonianza,
suppone che ci sia identità di nome fra l’autore, il narratore del racconto e il personaggio che compie
l’indagine.
•Come l’autobiografia, il reportage è sempre una visione retrospettiva del racconto, ma il più delle volte
simula un effetto di presa diretta che trasforma la rappresentazione del sé in un autoritratto.
•Se nell’autobiografia il soggetto principale della narrazione è la vita individuale o la genesi di una
personalità, nel reportage il soggetto della narrazione è l’indagine.
•8. Il reportage implica perciò un patto referenziale: pretende cioè di aggiungere un’informazione ad una
realtà esterna al testo

Ambiguità del reportage


•Il reportage, pur non essendo né autobiografia né romanzo biografico, costruisce e rappresenta, tra le
altre cose, anche l’identità dell’autore.
•Il reportage, pur prevedendo a livello di diritto un patto referenziale, trae di fatto la propria funzione di
verità non dalla verificabilità di ciò che espone, ma, come la letteratura e la testimonianza, dalla capacità di
suscitare una verità intersoggettiva: «la natura di un essere, di una situazione, di un mondo», come direbbe
Todorov.
•Il reportage, pur essendo giornalismo, ricorre agli stessi strumenti espressivi della letteratura finzionale e
tende a confondersi con essa

Letteratura e giornalismo
•Il rapporto tra letteratura e giornalismo è un rapporto complesso e per certi versi forzato, caratterizzato
da evidenti antinomie:
•La letteratura ambisce alla durata / il giornalismo è effimero
•La letteratura ha il suo statuto nella menzogna / il giornalismo nella veridicità
•La letteratura è esercizio individuale / il giornalismo è collettivo
•La letteratura dà voce a oscillazioni, contraddizioni, istanze represse / il giornalismo è tenuto a seguire una
linea definita
•La letteratura appartiene al dominio dell’arte / il giornalismo appartiene alla comunicazione mediatica
•Ma, come si capisce, il reportage tende a minimizzare, quando non a cancellare, tali opposizioni.

Tre esempi (reportage e manipolazione letteraria del reportage)


•John Reed, Ten Days That Shook the World (1919)
•tr. it. (M. G. Cavallo) I dieci giorni che sconvolsero il mondo (1961)
•Truman Capote, In Cold Blood (1966)
•tr. it. (M. Ricci Dèttore) A sangue freddo (1966)
•Emmanuele Carrère, L’adversaire (2002)
• tr. it. (E. Vicari Fabbris) L’avversario (2013)
John Reed giornalista rivoluzionario
•Portland, 22 ottobre 1887 – Mosca, 17 ottobre 1920
•John «Jack» Reed è stato un poeta, uno scrittore e un giornalista, ma anche un uomo politico, un ribelle e
un rivoluzionario americano.
•Prima dei Ten Days That Shook the World, Reed era stato autore di importanti reportage.
•1913: a Paterson, New Jersey, gli operai dei setifici, in grande maggioranza immigrati italiani, sono in
sciopero sotto la guida degli Industrial Workers of the World. John Reed è sul posto come inviato della
rivista radicale per cui scrive «The Masses». In quel contesto Jack non solo documenta quanto sta
succedendo, ma partecipa attivamente allo sciopero, tanto da essere arrestato. Da quell’esperienza
deriverà il reportage War in Paterson e lo spettacolo teatrale Paterson Pegeant
•1914: a Ludlow, Colorado, 1200 minatori sono in sciopero da mesi, guidati dal sindacato dei minatori
americani. Dopo essere stati espulsi dalle abitazioni (di proprietà del petroliere Rockfeller) si accampano
per continuare lo sciopero. Il 20 aprile la polizia privata assoldata da Rockfeller e la Guarda Nazionale
incendiano le tende dei manifestanti e aprono il fuoco. Muoiono 19 persone. Jack raccoglie materiale e
testimonianze, da cui trarrà War in Colorado
•Sempre nel 1914 John Reed andrà in Messico, dove, sotto la guida di Pancho Villa e Emiliano Zapata si sta
sviluppando un processo rivoluzionario duramente osteggiato dalle classi dominanti messicane appoggiate
dagli Stati Uniti. Da quell’esperienza avventurosa e incredibile John Reed trarrà Insurgent Mexico.
•Nel 1915 è in Europa, dove imperversa il primo conflitto mondiale. Si ferma nei Balcani e in Turchia. Nel
1916 scriverà The war in Eastern Europe.

La tradizione del reportage «mukraking»


•Con mukraking (letteralmente rivoltare il letame) si intende un genere giornalistico-letterario di denuncia,
assai diffuso tra gli scrittori-reporter tra l’Ottocento e i primi del Novecento.
•Il mukraking si fonda sul tentativo di far luce sui vizi privati e le pubbliche virtù della vita sociale
statunitense: corruzione, sfruttamento del lavoro, devastazione dell’ambiente, illegalità poliziesche.
•Si inscrivono in questa ottica romanzi come La giungla di Upton Sinclair o Il popolo dell’abisso di Jack
London.

I dieci giorni che sconvolsero il mondo

Ėjzenštejn – Ottobre (1928)

Warren Beatty – Reds (1981)

Sergej Bondarčuk (1982)


Secondo film dedicato alla vita di Reed

In Cold Blood
•Nel 1959 Truman Capote è già uno scrittore affermato. Ha già pubblicato i romanzi Other Voices, Other
Rooms (Altre voci, altre stanze) 1948 e The Grass Harp (L’arpa d’erba) 1952, oltre ai racconti raccolti in A
Three of Night and Other Stories (Un albero di notte), 1949.
•Tuttavia, come dichiarerà nella prefazione a Music for Chamaleons (Musica per camaleonti) del 1980,
Capote è sempre più attratto dal giornalismo come forma di arte in sé.

«Da diversi anni mi sentivo sempre più attratto dal giornalismo come forma d’arte in sé. Per due motivi.
Primo, mi sembrava che dagli anni Venti in poi non ci fosse stato qualcosa di autenticamente innovativo
nella prosa o nella letteratura in generale […]
TRUMAN CAPOTE, MUSICA PER CAMALEONTI, MILANO, GARZANTI, 1981, P. 10

«in secondo luogo, il giornalismo inteso come arte era un territorio pressoché vergine, per il semplice
motivo che ben pochi veri scrittori si erano dedicati al giornalismo narrativo, o quando l’avevano fatto era
stato sotto forma di diari di viaggio o di autobiografia […]»
TRUMAN CAPOTE, MUSICA PER CAMALEONTI, MILANO, GARZANTI, 1981, P. 10

«Volevo presentare un romanzo giornalistico, qualcosa di ampio respiro che avesse la credibilità del fatto
reale, l’immediatezza del film, la profondità e la libertà della prosa e la precisione della poesia»
TRUMAN CAPOTE, MUSICA PER CAMALEONTI, MILANO, GARZANTI, 1981, P. 10

1955-1959
•Tra il 1955 e il 1959 Truman Capote inizia a lavorare per il cinema: nel 1958 esce Breakfast at Tiffany’s, che
sarà poi adattato nella celebre pellicola con Audrey Hepburn e George Peppard da Blake Edwards nel 1961
•Nel 1956 segue la tournée sovietica di un quartetto jazz americano Porgy and Bess, da cui ricaverà The
Muses are Heard (Si sentono le muse)
•Ma la sua attenzione, come riporta Gerald Clarke (autore di una bellissima biografia di Capote) la sua
attenzione era rivolta al mondo non-finzionale

«Era come se nella camera accanto ci fosse una scatola di cioccolatini e io non resistessi. I cioccolatini erano
che volevo scrivere di fatti, non di cose immaginarie. C’erano tante cose su cui sapevo di voler fare indagini,
tante cose su cui sapevo di poter scoprire qualcosa. Improvvisamente i giornali diventarono vivi, e mi resi
conto che come scrittore di narrativa ero proprio nei guai»

RIPORTATO IN GERALD CLARKE, TRUMAN CAPOTE.


16 novembre 1959
•Truman Capote legge nel «New York Times» che a Garden City, contea di Holcomb, l’intera famiglia Clutter
è stata assassinata da mano sconosciuta. Così, con l’approvazione del «New Yorker» parte, a metà
dicembre dello stesso anno, per recarsi sul posto, in Kansas, insieme all’amica Nelle Harper Lee (autrice del
celebre To kill a Mockingbird – Il buio oltre la siepe).
•Il contesto in cui Capote (newyorkese di adozione, snob, raffinato e omosessuale) arriva è quello di una
comunità contadina repubblicana e bigotta.

In Cold Blood – l’indagine


•L’indagine di Truman inizia con alcune interviste agli amici di Nancy e Kenyon, i due figli minori di Bonnie e
Herbert Clutter
•«Mai una volta – racconta ancora Clarke – si videro lui o Nelle prendere appunti: la teoria di Truman era
che la vista di un taccuino, o peggio ancora di un registratore, impediva la franchezza. La gente rivelava sé
stessa, sosteneva, solo in conversazioni apparentemente casuali»
•«Non sembrava affatto che ti intervistasse – ha osservato Wilma Kidwell, la madre di Susan, la migliore
amica di Nancy – aveva una sua maniera di portarti a dire le cose senza che te ne rendessi conto».
•Solo quando tornavano al Warren Hotel lui e Nelle si separavano e affidavano alla carta quello che
avevano appreso. Ognuno scriveva una versione separata delle interviste del giorno, poi confrontavano gli
appunti.
•Il 30 dicembre, mentre Truman e Nelle stanno cenando da Alvin Dewey che dirigeva le indagini, arriva la
telefonata che comunica l’arresto di Dick Hickock e Perry Smith.
•I due, catturati a Las Vegas, confessano subito l’omicidio dei quattro membri della famiglia Clutter.
•La struttura dell’indagine giornalistica avviata da Truman cambia: l’opera dovrà includere la versione dei
due assassini. Così Truman li incontra molte volte, instaurando con entrambi un legame molto forte, che
diventa quasi amicizia quando i due vengono condotti nel braccio della morte
•Il romanzo è diviso in 4 capitoli che coprono un arco temporale che va dal novembre 1959 all’aprile 1965
•Il primo capitolo Gli ultimi a vederli vivi ha un andamento cinematografico. Si apre con una ripresa
d’insieme del villaggio di Holcomb, zona sperduta del Kansas, spesso definita, nel corso del romanzo, con
l’indicazione «laggiù»: praterie, campi di grano, fattorie, un ufficio postale, una caffetteria, una stazione,
una scuola.
•Poi vengono presentati i personaggi: Herbert William Clutter, padrone della più grande fattoria del luogo.
Ha 48 anni, è persona specchiata, capo del comitato edilizio della Prima Chiesa Metodista, presidente
dell’Organizzazione delle Fattorie
•Perry Smith: un giovane presentato mentre sta facendo colazione con root-beer, 3 aspirine e molte Pall
Mall. Perry sogna il Messico: ha intenzione di scappare dagli Stati Uniti dopo il colpo programmato per la
sera. Sta aspettando il compagno Dick.
•Nancy: figlia minore dei Clutter, eccellente studentessa, abile cavallerizza, ottima musicista, vincitrice dalla
fiera della contea (pasticceria, conserve, cucito, composizioni floreali)
•Dick: viene presentato mentre guida una Chevrolet rubata in direzione del Kansas. Ha con sé un fucile
anch’esso rubato a casa del padre.
•Kenyon: figlio maschio dei Clutter, viene presentato mentre sistema una cassapanca che intende regalare
alla sorella maggiore Kimberly, in occasione delle sue nozze
•Il capitolo si chiude in un crescendo di suspense: la domenica mattina le amiche di Nancy, preoccupate dal
fatto che la famiglia Clutter non sia in chiesa, entrano in caso e scoprono il primo corpo. Perry dorme in una
stanza d’albergo. Dick è a pranzo a casa dei genitori.
•Il secondo capitolo Persone sconosciute ci presenta gli agenti di polizia Al Dewey, Harold Nye, Roy Church,
Clarence Dunz. L’andamento del capitolo è polifonico. Il narratore cerca di rendere i pensieri degli abitanti
del piccolo villaggio, e rende conto delle deposizioni delle persone vicine ai Clutter (Bobby, il fidanzato di
Nancy e Susan, la migliore amica)
•Persone sconosciute offre una meticolosa descrizione dei funerali, mentre, come in una sorta di
montaggio parallelo, viene approfondita la personalità dei due assassini.
•Il terzo capitolo si intitola Risposta e alterna le indagini degli agenti di polizia con la fuga dei criminali.
Entra in scena in questo capitolo il personaggio chiave di Floyd Wells, un detenuto presso il carcere di
Lansing, che ha conosciuto Dick. Floyd ha lavorato, anni prima, per il signor Clutter: è lui a confidare a Dick
che i Clutter sono una famiglia molto ricca. È lui a dare a Dick informazioni su come raggiungere la fattoria.
•Il 30 dicembre i due vengono catturati a Las Vegas. Confessano quasi subito
•L’ultimo capitolo, L’angolo, è forse il più toccante. I due criminali sono in carcere e vengono presto
condotti nel braccio della morte. Saranno impiccati il 14 aprile 1965.
•Il capitolo scava in profondità nella psiche dei due: durante la prigionia, Perry scrive un diario e sogna il
suicidio, mentre Dick pensa continuamente a come evadere.
•Durante il processo i due vengono considerati sani di mente e perfettamente in grado di intendere e di
volere. Alla sentenza pronunciata dal giudice risponderanno entrambi con un sorriso. Immediatamente
però la reazione dei due divergerà: Perry entrerà in uno stato di sconforto e di angoscia, quasi di
depressione, sino quasi a lasciarsi morire di fame; Dick, al contrario, non accetterà l’esito e si batterà
strenuamente per avere un nuovo processo.
•Il libro si chiude con la descrizione di un paesaggio sconfinato nello spazio e nel tempo, e si riallaccia, in
maniera circolare, all’inizio. Si tratta della descrizione del cimitero di Valley View.
•Si tratta dell’unica scena finzionale dell’intera narrazione. La motivazione è ben spiegata da Clarke:
«come al solito Truman si era anustiato per il finale, soffrendo tanto per l’indecisione che per un crampo
alla mano fu costretto a scrivere a macchina. Doveva concludere con l’esecuzione, si chiese, oppure
avrebbe dovuto terminare con una scena più lieta? Scelse quest’ultimo canovaccio, ma poiché gli
avvenimenti non gli avevano fornito una scena più serena fu costretto ad inventare»

«un incontro casuale, in primavera, tra Al Dewey e Susan Kidwell, la migliore amica di Nancy Clutter,
nell’ombroso cimitero di Garden City, un’oasi di verde in quella regione arida. I Clutter sono sepolti là, e
anche il giudice Tate, che emise la sentenza di condanna dei loro assassini. Susan sta finendo il college che
lei e Nancy avevano progettato di frequentare insieme, il ragazzo di Nancy si è sposato da poco e il figlio più
vecchio di Alvin, che era soltanto un ragazzo nella notte degli omicidi, si prepara a entrare in un college
anche lui. Il messaggio è chiaro: la vita continua anche in mezzo alla morte»
CLARKE, TRUMAN CAPOTE

•In Cold Blood ha una gestazione molto lunga. Capote lo scrive tra il 1959 e il 1963, quando torna a New
York con il romanzo quasi finito, ma senza il finale.
•Si deve attendere il 1965, l’esecuzione della condanna, perché Capote lo porti a termine.
•Tra il 1963 e il 1965 il romanzo diventa per Truman una sorta di ossessione: finché non aveva un finale non
poteva terminare il libro, ma non riusciva nemmeno a metterlo da parte e passare a qualche altra opera.
Anche se non si logorava più a mettere le parole sulla carta, il suo lavoro continuava in una grande quantità
di tormentosi compiti, come per esempio scrivere due lettere a settimana ai detenuti (il massimo loro
concesso)

Conseguenze del romanzo


•Il romanzo usci in quattro puntate sul «New Yorker» a partire dal gennaio del 1966.
•La rivista ebbe vendite record e gli editori furono costrutti ad aumentarne la tiratura.
•«Quando nel gennaio del 1966 il libro venne pubblicato, i media diventarono una gigantesca orchestra che
suonava solo una melodia: Truman Capote. Fu l’argomento di dodici articoli sulle riviste nazionali, di due
programmi televisivi di mezz’ora l’uno e di un numero ineguagliato di spettacoli radiofonici e di articoli di
giornale».
Adattamenti

Richard Brooks - 1967


Bennett Miller - 2005
Douglas McGrath - 2006

CAPOTE E IL NON-FICTION NOVEL


•Nel 1965, esce a puntate sul «New Yorker» In Cold Blood di Truman Capote.
•Per descrivere la sua opera, Capote, parla di non-fiction novel, ovverosia di un genere letterario nuovo che
consiste nella rielaborazione narrativa di materiali autentici, raccolti con metodi giornalistici

Non-fiction novel e New Journalism


•Il non fiction novel è la manipolazione creativa del reportage, al fine di creare un romanzo appassionante e
serrato, servendosi dell’intervista e di un approccio documentaristico (quasi scientifico) alle informazioni
•Il New Journalism è la manipolazione creativa delle tecniche della letteratura al fine di creare un
giornalismo nuovo, moderno, in grado di arrivare ad una nuova generazione di lettori

Carrère – L’avversario (2000)

Carrère – L’avversario (2000)


•Si potrebbe parlare di meta-nonfiction novel
•Quando, nel gennaio del 1993, Carrère legge su «Libération» i primi articoli di Florence Aubenas sulla
strage della famiglia Romand, pensa subito di scriverci un romanzo, o comunque così dichiara nel 2006, nel
saggio autobiografico Capote, Romand e io, uscito su «Télérama» sei anni dopo la pubblicazione del
romanzo in questione
•Del resto lo stesso testo del 2000 è costellato di riferimenti ad un interesse quasi teleologico per la
vicenda, e penso a frasi del tipo: «se ero diventato scrittore, era per scrivere quel libro».

La vicenda Romand
Nel gennaio del 1993, Jean-Claude Romand, da tutti creduto un mite e benestante ricercatore medico
presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità, uccide la moglie (colpendola con un corpo contundente,
probabilmente un mattarello) i due figli (a fucilate), i suoi anziani genitori (stessa sorte dei figli), e persino
gli amatissimi cani di famiglia. Poi dà fuoco alla sua abitazione dopo aver ingerito del Nembutal, ma
sopravvive. Le indagini sveleranno una incredibile verità, o, se preferite, una paradossale menzogna: Jean-
Claude non faceva né il medico né il ricercatore. Non era neanche laureato: da studente aveva detto di aver
superato un esame al quale non si era mai presentato.

Perché quella vicenda inizia immediatamente a ossessionare Carrère?


•In nessun’altra vicenda di cronaca nera, almeno recentemente, lo scrittore può ritrovare tematizzata la
complessità e la drammaticità dell’intreccio tra vero falso e finto quanto la strage della famiglia Romand
•L’interesse per la vicenda di Romand è triplice:
•da una parte riguarda il polo realtà-finzione, dal momento che, come dice in un’intervista lo stesso
Carrère, se uno scrittore si fosse inventato una storia del genere, l’editore probabilmente gliel’avrebbe
rifiutata perché inverosimile, e viene in mente, a dimostrazione di ciò, la strategia paratestuale inversa
adottata per esempio da alcuni film dei fratelli Coen, per cui il falso ancoraggio verbale “questa è una storia
vera” tende a rendere credibile una finzione comunque realistica, ma certo inverosimile. La vicenda è
esemplare di una realtà pazzesca ma pur sempre verificabile, documentata, capace quindi di saziare quella
fame di realtà (Shields 2010) che caratterizza la società contemporanea
•L’interesse per la vicenda di Romand è triplice:
•Da un’altra parte, la vicenda Romand interessa il polo verità-falsità, poiché al centro vi troviamo non solo
questa incredibile menzogna, ma un personaggio intrappolato nella propria abitudine a mentire. Romand è
un mentitore seriale e questo rende complesso, come nel più celebre dei paradossi, decidere se e quando
dica la verità.
• Il terzo polo di interesse della terribile vicenda riguarda infine la dialettica tra finzione e falsità: per
diciotto anni Romand ha vissuto una vita simulata, una vita finzionale. Come possiamo rappresentarla?
Come può un romanzo non-finzionale riuscire a tenere conto di un’esistenza del genere e rappresentarla?
(«di norma una bugia serve a nascondere una verità, magari qualcosa di vergognoso, ma reale. La sua non
nascondeva nulla. Sotto il falso dottor Romand non c’era un vero Jean-Claude Romand»).

Obiettivo
«Anche se avessi condotto un’inchiesta per conto mio, anche se fossi riuscito ad aggirare il segreto
istruttorio, avrei portato alla luce soltanto dei fatti. I particolari delle appropriazioni indebite di Romand, il
modo in cui, un anno dopo l’altro, aveva organizzato la sua doppia vita, il ruolo svolto da Tizio e da Caio,
erano tutte cose che avrei saputo al momento opportuno, ma non mi avrebbero rivelato nulla di quanto mi
premeva davvero sapere: che cosa gli passasse per la testa durante le giornate in cui gli altri lo credevano in
ufficio, giornate che non trascorreva, come si era ipotizzato inizialmente, trafficando armi o segreti
industriali, ma camminando nei boschi»

Capote e Carrère
•Carrère è tornato spesso sulla difficoltà di portare a termine il suo lavoro, la cui stesura, del resto, è durata
ben sette anni.
•In Capote, Romand e io, scrive di aver esplorato i luoghi di Romand, aver incontrato i suoi amici, aver
spulciato gli atti dell’istruttoria e ancora, aver preso centinaia di pagine di appunti, scritto e riscritto più
volte l’inizio del racconto da angolazioni diverse.
•L’idea iniziale è quella di imitare lo stile del Capote di A sangue freddo, romanzo che continuava a leggere
e rileggere, almeno una volta l’anno. Il capolavoro dell’americano lo impressionava per solidità
dell’impianto e per «la cristallina limpidità della prosa», ma iniziava progressivamente a intendere
quell’approccio «volutamente impersonale» come fondato a propria volta su un inganno.
•Secondo Carrère, Capote, che amava Flaubert più di ogni altro scrittore, si era ripromesso di scrivere
anche lui un libro in cui l’autore fosse, come Dio, dovunque e in nessun luogo.
•Egli riuscì a cancellare completamente dalla storia la sua ingombrante presenza, ma così facendo finì per
tradire l’altro suo obiettivo di ordine estetico, ovverosia lo scrupoloso rispetto della verità: Capote «sceglie
di ignorare il paradosso ben noto di ogni esperimento scientifico: la presenza dell’osservatore modifica
inevitabilmente il fenomeno osservato – e nella fattispecie egli era molto di più di un osservatore: era un
protagonista».
Capote vs. Carrère
•In realtà le cose non sono così semplici. Intanto, il raggiunto punto di equilibrio tra l’orizzontale oggettività
dei fatti e la verticale soggettività di chi li racconta è esattamente la riforma principale di Capote rispetto
alla tradizione del reportage narrativo.
•La messa in letteratura del reportage passa in A sangue freddo attraverso una manomissione del patto
autobiografico che aveva informato tutte le esperienze precedenti di giornalismo letterario.
•Per questo motivo la principale difficoltà incontrata da Capote nella stesura della sua opera fu proprio
lasciarsene completamente fuori. Se di solito il cronista usa sé stesso come personaggio, testimone oculare,
per assicurarsi credibilità, la scommessa qui è esattamente quella di trasferire tale credibilità alla
costruzione letteraria e non ai meri fatti.
•In realtà le cose non sono così semplici. Intanto, il raggiunto punto di equilibrio tra l’orizzontale oggettività
dei fatti e la verticale soggettività di chi li racconta è esattamente la riforma principale di Capote rispetto
alla tradizione del reportage narrativo.
•La messa in letteratura del reportage passa in A sangue freddo attraverso una manomissione del patto
autobiografico che aveva informato tutte le esperienze precedenti di giornalismo letterario.
•Per questo motivo la principale difficoltà incontrata da Capote nella stesura della sua opera fu proprio
lasciarsene completamente fuori. Se di solito il cronista usa sé stesso come personaggio, testimone oculare,
per assicurarsi credibilità, la scommessa qui è esattamente quella di trasferire tale credibilità alla
costruzione letteraria e non ai meri fatti.
•l’urgenza di Capote era prettamente letteraria
•la verità espressa in quelle pagine, lungi dal configurarsi come verità di ordine storico documentario, o
come punto di partenza, era essenzialmente una verità letteraria
•Il rimprovero che Carrère muove al maestro statunitense è tanto più ingiusto proprio in quanto lo stesso
Carrère, nel suo romanzo, tenta di mostrarci la natura di un essere, di una situazione, di un mondo, ben al
di là e coerentemente con i compiti di verità riservati alla letteratura di una verificabilità di quanto espone.
Per farlo, soffre, a propria volta, nel cercare la giusta collocazione al proprio io, allo sguardo di sé come
reporter, e la differenza è che opterà per una soluzione opposta a quella di Capote.

La scelta di Carrère
•In una lettera a Romand datata 21 novembre 1996 e inclusa nell’Avversario, scrive: «sono passati tre mesi
da quando ho cominciato a scrivere. A differenza di quanto pensavo all’inizio, il problema per me non è
reperire informazioni, ma trovare una mia collocazione rispetto alla sua storia. Quando mi sono messo al
lavoro, credevo di poter eludere il problema cucendo insieme pezzo per pezzo tutto quello che sapevo e
sforzandomi di restare obiettivo. Ma in una vicenda come questa l’obiettività è una mera illusione. Dovevo
scegliere un punto di vista».

Riabilitazione dell’effetto di testimonianza


•L’occultamento della distanza tra il Carrère autore e il Carrère narratore è evidentemente essenziale al suo
progetto: la coincidenza e la congiuntura oltranziste tra soggetto dell’enunciato e il soggetto
dell’enunciazione, insistono, come per esempio avviene in Gomorra di Saviano su un «dovere della
rivelazione».
•Il vincolo della verità è frutto di una rinnovata referenzialità che confonde (o meglio coscientemente salda
tra loro in un patto) verità e realtà. Si tratta di un realismo di ordine etico e conoscitivo piuttosto che storico
o letterario
•l differente approccio tra Capote e Carrère segna se non altro simbolicamente un cambiamento profondo
nella percezione e nell’idea stessa del rapporto tra letteratura e verità.
•La necessità di Carrère di sottolineare il patto tra verità e realtà siglato dall’effetto testimonianza fa
chiedersi se districare la trama di vero falso finto, cioè della trama del nostro stare al mondo, come scriveva
circa 13 anni fa Carlo Guinzburg, sia ancora il compito della letteratura, oltre che della storia, o se invece
quella «realtà che non è reale per nessuno», non sia, per gli scrittori della generazione di Carrère, e per
quelli delle generazioni successive, nient’altro che un’espediente letterario capace di giustificare la nostra
falsa funzione testimoniale, il nostro ideale autoritratto.
•l differente approccio tra Capote e Carrère segna se non altro simbolicamente un cambiamento profondo
nella percezione e nell’idea stessa del rapporto tra letteratura e verità.
•La necessità di Carrère di sottolineare il patto tra verità e realtà siglato dall’effetto testimonianza fa
chiedersi se districare la trama di vero falso finto, cioè della trama del nostro stare al mondo, come scriveva
circa 13 anni fa Carlo Guinzburg, sia ancora il compito della letteratura, oltre che della storia, o se invece
quella «realtà che non è reale per nessuno», non sia, per gli scrittori della generazione

Potrebbero piacerti anche