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Letteratura medievale in lingua d’oc , Lucia Lazzerini

La tradizione trobadorica sfiorisce nella prima metà del ‘300, ma prima del declino trasmette la sua eredità
alle altre culture più importanti d’Europa.

Il dominio occitanico nel medioevo si estendeva fino alla Loira e ai Vosgi meridionali, oggi invece
comprende quella zona delimitata dalla costa del Mediterraneo, dalla costa dell’Atlantico, il Massiccio
Centrale e le Alpi anche se questi confini naturali non hanno impedito che la lingue d’oc si diffondesse
anche in Italia zona Piemonte.

Il confine con la lingua d’oil passa invece passa dal Rodano, da sud di Grenoble e va fino alle Alpi.

I motivi chiave della tradizione occitanica sono due: il trobar = trovare, scoprire o cantare in forma poetica e
la dona = dama indicata spesso anche come midons (da “mio signore”).

La lettura delle poesie occitaniche è definita “lettura opaca” in quanto si tratta di una lettura
pluridimensionale. Una poesia può essere letta osservando:

> piano letterale o storico

> piano morale

> piano spirituale

> piano allegorico

Una lettura opaca e non subito immediata crea dunque una grande atmosfera di sospensione, il tutto è
giocato sul mistero e si arriva alla soluzione soltanto per gradi.

Il fare poesia anche profana come questa, legata sempre all’ambiente e alla cultura di corte, sarà
comunque sempre influenzato da forti connotazioni sacrali.

In questi termini l’icona della donna dai molti volti, ostile, crudele per la sua stessa astrazione potrà
riplasmarsi secondo il mutare del gusto, delle condizioni politiche e culturale potendo dunque assumere nel
tempo significati diversi I primi testi volgari:

i primi documenti in ambito occitanico presentano aspetti multiformi e a tratti contraddittori, nel X secolo
compaiono dei tentativi per sottrarre il testo dalla precarietà dell’orazione ma tutto ciò si scontra con la
difficoltà di creare un sistema con cui si rende nella scrittura la lingua (scripta) e dei testi perfettamente
strutturatiI reperti appaiono relegati nei margini dei manoscritti o inseriti in spazi casuali.

L’assetto linguistico incoerente può trovare spiegazione nel fatto che ci fosse un limitato impegno da parte
del trascrittore, che era più predisposto a registrare un sussidio mnemonico piuttosto che tramandare un
documento prezioso.

Le formule magiche-terapeutiche di Clermont-Ferrand

Seconda metà del X secolo, sono due incantesimi trascritti sui margini di un manoscritto e recentemente
pubblicati da Bernhard e Bischoff.

Anche se non si può parlare di schema metrici è evidente la ricerca della rima, la struttura è articolata in
isocola (figura retorica, si costruiscono due o più membri di uno stesso periodo in maniera uguale) per
facilitare la memorizzazione.

 Queste testimonianze volgari che faticano a staccarsi dalla matrice latina appartengono a una
tradizione in età romana destinata alla sopravvivenza.
La presenza all’ambito occitanico è probabile ma è difficile determinare la regione d’origine, l’ipotesi di una
provenienza alverniate-limosina ci rinvia a una zona di confine tra gli idiomi d’oc e d’oil di decisive
intersezioni culturali.

La passione di Augsburg

Risale all’ultimo terzo del X secolo ed è scoperto da Schmidt nel 1977, nel testo abbiamo un compendio
della Passione, fu trascritto a Strasburgo sul verso di un foglio che doveva essere la prima carta di un codice
oggi perduto, la trascrizione è resa di difficile interpretazione a causa degli errori anche se la notorietà dei
fatti narrati favorisce il restauro del testo mediante congettura (emendator ope ingenii).

Un ingegnoso tentativo è stato fatto da Gerold Hilty, da questo restauro esce una fisionomia orientata
verso l’occitanico, ma le enigmatiche lenizioni del secondo verso lasciano aperti degli interrogativi. I versi al
futuro suggeriscono che possa essere declamata una profezia e che quindi si tratti di un testo paraliturgico.

Ad esempio:

- ab > APUD ‘con’


- le desinenze in -aunt

Il testo è composto da due cuplets (distici strofa formata da una coppia di versi) di octosyllabes a rima
baciata simili alle quartine della Passione di Clermont-Ferrand, ma seguite da un hexasyllabe e dalla replica
del terzo verso, uno schema che sembra prefigurare una forma destinata al successo nella poesia francese
del tardo medioevo, il rondeau, più precisamente il rondet de carole (aaBbcB).
Il relitto offre spunti di grande interesse anche in rapporto alla successiva evoluzione del dramma sacro,
riportando le parti più ricche di pathos, quali gli schiaffi, gli omaggi derisori ecc. per preparare e potenziare
l’impatto emotivo dell’evento centrale, la crocifissione, l’anonimo occitano porterà nei testi postumi una
sconcertante escalation alla violenza, con torture e schemi estranei al testo evangelico.

Ma queste scene di inaudita crudeltà hanno trovato l’elaborazione letteraria più stilizzata attraverso
l’impiego del rondeau dramatique, il frammento augustano conferma il suo status di archetipo.

La passione di Clermont-Ferrand

È molto più ampia e articolata rispetto alla precedente, fu trascritta nel XI secolo, in 516 octosyllabes legati
due a due dall’assonanza e raggruppati in quartine si narrano gli eventi dalla domenica delle Palme e la
Pentecoste inclusa la discesa agli inferi.

Il latino in questo caso si inserisce spesso nel contesto volgare, la caratteristica più rilevante è la mescolanza
di forme apparentemente eterogenee, le assonanze confermano la presenza di peculiarità occitaniche
come oitaniche, interferenze e oscillazi9oni non seguono solo la direttrice Nord-Sud ma anche quella Est-
Ovest.

La localizzazione pittavina della passione, proposta da Avalle sulla base di assonanze come Hjerussalem:
pechet che attestano l’esito e tipico del sud-ovest mantiene una plausibilità ma ci sono molti altri indizi che
fanno pensare a dei lessemi propri dell’est.

L’alba bilingue di Fleury

In un codice vaticano della fine del VIII secolo con degli scritti del grammatico latino Fulgenzio, Schmidt
scopre nel 1881 un breve testo dell’XI secolo corredato di musica.

Tre strofi latine, ciascuna di tre versi rimici di 11 sillabe, chiuse da un distico-refrain d’aspetto volgare sono
state racchiuse in minuscola carolina, in uno spazio rimasto bianco di un documento giuridico.
L’attenzione degli studiosi si è focalizzata sul refrain, si è visto un abbozzo di canzone d’alba e persino una
chanson de femme in miniatura un frammento di poesia popolare riemerso dai secoli bui, altri invece
hanno cercato di ricondurlo all’originaria o presunta tale fisionomia latina.

L’interpretazione del refrain non può prescindere dall’analisi delle strofi, che rivelano un mosaico di topoi
degli inni.

Motivo centrale: contrapposizione luce/tenebre – grazia/peccato, lo spiculator è una sentinella in senso


figurato, egli rappresenta il divino, il responsabile delle anime (sacerdote), al contrario i nemici in agguato
sono le presenze demoniache.

Il classicheggiante Phoebus (sole) richiama la metafora biblica, del cristo il cui avvento dissolve le tenebre,
regno delle forze del male, ma fa riferimento anche al simbolo della resurrezione in questo canto destinato
alla veglia pasquale e il sorgere dei cristiani dal letto dei peccati.

La conferma della pertinenza alla liturgia pasquale è nella terza strofe, che dà un’indicazione precisa di ciò
che accade nell’equinozio di primavera, l’autore secondo Zumthor era quindi un monaco che poteva
usufruire di una biblioteca ben fornita di una grande abbazia letterato umanista.

La corrispondenza tra strofi e refrain è indiscutibile, all’aulico e mitologico si fa corrispondere a un livello


stilistico più orientato verso il suo equivalente romanzo, che contiene un ulteriore rinvio alla Pasqua, visto
l’uso ecclesiastico mediolatino di alba per designare l’ebdomada in albis (settimana di Pasqua)

Una polisemia che ha lasciato una traccia evidente nelle lingue germaniche, dove la denominazione della
festività cristiana è un calco su alba.

Alcune parole rimangono di dubbia interpretazione come poypas abigail, si pensa che le poypes collinette
artificiali di un’area lionese-borgognona in età feudale vennero usate come fortificazioni che presto si
identificarono col castello.

Quindi abbiamo un contesto allusivo alla resurrezione, un sol-cristo, tenebras diaboliche e le misteriose
poypas: che molto probabilmente incarnano il castello del diavolo si profila il motivo della discesa agli
inferi.

I due versi semivolgari riprendono la simbologia delle strofi e mettono a confronto l’evento storico-
soprannaturale e ciò che vedono i fedeli, l’alba dopo una lunga notte di veglia rappresenta la sconfitta delle
tenebre e l’apparizione del sole vittorioso.

Non si tratta di un canto popolare la componente volgare è circoscritta alla veste linguistica, mentre
l’apparente semplicità dei motivi cela una sapienza dottrinale che non lascia dubbi sulla matrice comune di
strofi e refrain, si delinea un contesto storico-culturale di grande rilievo per la conoscenza delle nascenti
lingue e letterature romanze.

Secondo Delbouille si tratta di “ bilinguismo calculé” ma lo scarto tra le due parti sembra rimandare alla
diglossia.

La specificità delle poypas porta al territorio dominato dalla grande abbazia di Cluny.

L’inno in hoc anni circulo

Manoscritto miscellaneo da Sant-Martial di Limonges attribuibile alla fine del XI secolo o agli inizi del XII,
comprende dei componimenti in lingua d’oc e ddue testi farciti, un inno (hoc anni circulo) e lo sponsus, un
dramma liturgico incentrato sulla parabola delle vergini sagge e delle vergini stolte.
Inno legato alla liturgia del natale, si alternano strofe latine, costruite da tre versi di sette sillabe a
cadenza parassitona e una volgare, formata da tre heptasyllabes monorimi seguiti da un analogo verso
clausola.

Mentre le strofi latine sono legate a due a due, i versi romanzi hanno rime diverse in ciascuna strofe.

 Saint-Martial rivela quindi un centro di elaborazione non solo di testi edificanti, ma anche di
strutture metrico-formali che sembrano ripercorrere analoghe esperienze della poesia volgare

Il tristico monorimo, nel ritornello iniziale e una volta conclusiva ne riprendeva la rima, è il nucleo
costitutivo della muwassaha (cintura) una struttura metrica diffusa nella struttura lirica arabo-andalusa.

L’affinità con certe forme strofiche di Guglielmo IX era stata rilevata da tempo, ma il ritrovamento nel 1948
di hargat (uscita: si tratta della parte finale della muwassaha, corrispettivo della tornada occitanica)
contenenti termini romanzi ha dato impulso alla tesi di un incontro decisivo per le origini della lirica
romanza, tra cultura musulmana di Spagna e cultura occitanica.

Gazel: termine arabo-persiano gazal che designa una poesia a soggetto erotico che nel testo designa i canti
profani di origine transpirenaica, in realtà è molto più probabile che sia avvenuto i contrario, cioè che i
monaci spagnoli abbiano condizionato ed esportato la loro cultura in ambiente mozarabico.

 Tutti i testi che abbiamo descritto sono dati quindi dal fervore innovativo della cultura cluniacense
che getta le fondamenta, tra X e XI secolo dei nascenti generi letterari romanzi.

Lo sponsus

Breve ma compiuto dramma sacro di cui è pervenuta anche la partitura musicale nel quale questa teatralità
virtuale si fa palese, è databile tra la fine dell’ XI secolo e l’inizio del XII.

Dieci vergini, 5 stolte e 5 sagge devono aspettare lo sposo, la parabola pone un’allegoria, le vergini sono le
anime, invece lo sposo è gesù cristo che salva le anime dal giudizio universale. Le seconde portano dell’olio
di scorta per le loro lucerne e non saranno escluse dal banchetto nuziale, il testo limosino pone l’accento
sulla colpa della mancata vigilanza: sonno come torpore spirituale e inclinazione peccaminosa come
nell’alba bilingue.

Al bilinguismo si accompagna la polimetria, ai couplets iniziali di versi latini segue un gruppo di strofi in
volgare, ciascuna formata da tre décasyllabes monorimi, inizialmente le vergini replicano in latino ma le
segge respingono la richiesta delle stolte in decasillabi romanzi corredati dallo stesso ritornello.

Lo sponsus presenta una buona dose di ibridismo linguistico, come la maggior parte dei testi arcaici.
Oitanismi come faite ‘fate’, oiet < audiatis, coesistono con occitanismi ad esempio dii ‘dice’, aiso ‘ciò’.

Le strofi volgari del codice Harley 2750

Scoperte da Bischoff recentemente, due strofi volgari potrebbero confermare la tradizione lirica volgare
anteriore a quella trobadorica, la minuscola carolina dell’amanuense sarebbe collocabile alla fine dell’XI
secolo si delineano motivi destinati alla larga fortuna e ad un’embrionale poesia d’amore.

Interpretazione e analisi sono rese difficili dalle esitazioni grafico-linguistiche del trascrittore, sicuramente
di idioma germanico, i dati linguistici ci offrono informazioni contraddittorie, si delinea quella commistione
di elementi sud-occidentali e nord-orientali che già avevamo individuato nei testi delle origini.

Colpiscono certe anticipazioni di sapore stilnovistico e la presenza di motivi destinati a un duraturo


successo, come la lontananza dell’io-amante, il vagheggiamento del bacio o l’accenno delle pene d’amore,
ma di fondamentale importanza è l’identificazione innamorato-falcone che sarà fonte di ispirazione nelle
canzoni dei trovatori come nella poesia italiana delle origini (Maria di Francia),
Accanto a forme in cui è evidente l’influsso latino compaiono lemmi di aspetto volgare.

L’ipotesi di Bischoff sul fatto che fosse un testo che alludeva all’amore di un’ignota dama per un cavaliere
appare fallace, il testo è da intendere come una specie di microsirventese: un’invettiva moralistica contro
cavalieri senza scrupoli e monache pronte a rompere i loro voti. La struttura metrica è incerta e
probabilmente c’è la presenza di penna di un chierico.

I poemetti angiografici

Il Boeci composto nell’abbazia di Saint-Martial de Limonges nel terzo quarto dell’XI secolo è il primo
testimone del metro che diverrà peculiare nella chanson de geste (la lassa decasyllabes, qui rimata, mentre
l’epica d’oil opterà, nella sua fase arcaica, per l’assonanza).

Viene anticipato lo schema vida + opera poetica, il codice è preceduto da frammenti biblici e sermoni latini :
si presenta quindi come un tipico prodotto di scriptorium monastico.

Fin da subito abbiamo una considerazione sulla malvagità degli uomini, Boezio, predicatore della fede
finisce in carcere, lì troverà una fanciulla che rappresenterà la sapienza umana, all’onnipotente signora
l’anonimo autore attribuisce pieno dominio sul corpo e sullo spirito dell’uomo, quindi emerge una
dominanza religiosa ella diventa trasfigurazione su terra del cristo creatore. L’ornamentazione retorica
documenta una palese continuità con la letteratura latina tardoantica e medievale, inoltre la donna anticipa
la figura della midons trobadorica.

La Sancta Fidesil legame con i testi epici risulta ancora più palese in questo poemetto, siamo nel sud della
Francia, è formato da 593 versi ripartiti in lasse di octosyllabes che trattano del martirio della giovanissima
santa di Agen che rifiutò di compiere un sacrificio alle divinità pagane, persino sotto tortura.

L’anonimo chierico ha utilizzato liberamente più fonti, come nel Boeci, ma qui emerge il trionfo della
giustizia divina. Il rapporto tra le vite dei santi e chanson de geste è sicura, vista la prossimità dei temi e
delle soluzioni metrico-stilistiche, nonché la comune appartenenza al repertorio giullaresco.

 Lo spirito delle crociate di spagna è già percettibile nel testo.

Agli arbori del roman: il frammento dell’Alexandre di Alberico

Conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (IX-X secolo) in minuscola carolina è l’inizio del
più antico poema su Alessandro Magno, capostipite del ciclo che si svilupperà nei tre secoli successivi.

Il codice contiene l’opera dello storico latino Curzio Rufo, il frammento privo di autore e titolo è ascrivibile
ad Alberico e consta di 105 octosyllabes è suddiviso in 15 lasse rimate, si apre anche alla lingua dei chierici
elevando lo stile con latinismi evidenziati dalla collocazione in rima.

Nelle forme volgari, dove la base occitanica è garantita da rime, si riconosce la consueta mescolanza tre
tratti occidentali e orientali, nonché la sporadica è l’intrusione di oitanismi.

Guglielmo IX e le origini del trobar

Guglielmo (1071-1126), nono duca d’Aquitania e settimo conte di Poitiers, signore tra i più potenti del suo
tempo è il padre fondatore della lirica trobadorica.

Se pure è esistita una poesia d’amore in volgare anteriore a quella tramandata sotto il suo nome, i
manoscritti non ne hanno serbato traccia, eccezion fatta per il frammento Harley 2750.

In assenza di documentazione le origini del trobar sono state individuate di volta in volta nella continuità
della poesia mediolatina, con un recupero di canti popolari e motivi folkolorici nell’influsso della lirica araba
di Spagna.
La matrice più plausibile è quella clericale e liturgica iscritta nel verbo stesso che designa quell’attività
poetico-musicale: trobar è denominale di tropus, e il tropo è un frutto dell’inventio, una composizione
nuova trovata e aggiunta a un canto liturgico mediante l’applicazione di parole a una melodia preesistente.

Vi sono analogie con Boeci e Sponsus grazie alla fiorente abbazia cluniacense, ed è proprio lì che venivano
incoronati i conti di Poitiers il primato pittavino nell’esordio della lirica volgare nasce dunque da una
radicata tradizione culturale.

Sotto il nome di conte di Poitiers i manoscritti ci hanno tramandato dieci componimenti o vers assai diversi
tra loro per tono e argomento. La breve biografia che correda nei soli manoscritti ‘gemelli’ I e K l’opera
poetica del primo trovatore delinea un ritratto congruo alle liriche spregiudicate, esse oscillano tra il
riconoscimento delle qualità più apprezzate dalla società feudale e la riprovazione di costumi tutt’altro che
austeri le testimonianze delle vidas sono da maneggiare con cautela ma in questo caso sono abbastanza
pertinenti con la realtà egli viene descritto come coraggioso e valente ma anche un libertino e dissacratore
(un’insolenza che possiamo costatare in companho, tant ai agutz d’avols conres dove chiede a Dio perché
non sia stato punito il primo guardiano nel con,sesso femminile oppure in un altro componimento dove
dietro la metafora equina abbiamo l’indecisione di quale donna scegliereGuglielmo fa discendere il suo
diritto a cavalcare le più appetibili mogli dei vassalli)

L’ideologia trobadorica non è ancora strutturata; il canzoniere guglielmino esibisce una sperimentazione a
tutto campo, trascorrendo dai temi osceno-burleschi ai toni patetici dell’addio alla vita, dal gap erotico alla
riflessione sulla poesia fonte di prestigio.

Nel poliedrico repertorio spunta un accenno significativo a quello che diverrà il tema centrale del trobar, il
paradosso amoroso, ossia l’esperienza di un amore che si sa irrealizzabile, alimentato dalla sua stessa
tensione irrisolta.

Per la prima volta in molt jauzions mi prenc amar colei da cui il poeta-amante implora il joi d’amor è
denominata midons (MI DOMINUS: mio signore) a significare con quell’appellativo maschile il
trasferimento nel rapporto amoroso del vincolo di soggezione e fedeltà assoluta che nella società feudale
univa il vassallo al suo signore: la metafora cavalleresca si sovrappone a quella del servizio prestato al
Verbo nella sua immagine femminile.

Tradizione mediolatina e influssi arabi, la formazione del codice trobadorico

Preso atto dell’assenza di testi volgari, si è esplorata la poesia latina dell’epoca, trovando qualche tenue
consonanza coi motivi trobadorici nella “scuola della Loira”, ma è arduo trovare un’anticipazione dell’amore
de lonh, e della polisemica trama simbolica su cui s’innesta, in carmi che appaiono soprattutto come
sofisticati esercizi volti a inscrivere contenuti esemplari nel paradigma formale ovidiano.

Guglielmo denomina vers le sue composizioni, nel senso di componimento poetico, indipendentemente dal
contenuto. Visto che il plurale designa una tradizione latina, l’uso singolare risulta circoscritto alla
designazione di un particolare genere lirico, quello dei tropi destinati al canto e a un’area bel definita: la
scuola aquitana.

la similitudine con i tropari di Saint-Martial non può essere una mera coincidenza ma la tipologia delle
origini è talmente complessa per l’intreccio di civiltà diverse che ogni opzione unilaterale risulta fuorviante,
ferma restando la priorità degli influssi provenienti dalla cultura monastica. Ciò vale anche per l’aspetto
tematico, per quanto la tentazione di ascrivere Guglielmo al lato giullaresco sia forte, i componimenti
scandalosi non devono occultare la presenza di allusioni dotte e un profondo radicamento nella cultura
mediolatina.
Esempi: in farai un vers, pos mi sonelh strani miracoli della letteratura agiografica portano ad un
rifacimento della vicenda nella quale le due protagoniste femminili usano a scopi non terapeutici ma erotici
il pellegrino muto (prima però lo testano con i graffi del gatto saggiamente manovrato dalle due donne)
come le monache del decameron Masetto da Lamporecchio.

Nei testi guglielmini affiorano già i motivi e le parole chiave che andranno a costituire la struttura portante
della lirica trobadorica. Per esempio uno dei topos per eccellenza della poesia occitanica si apre ne “ab la
dolchor del tempss novel” la figura del lauzengier (maldicente), l’invidioso che tenta di distruggere,
seminando zizzania, l’amore tra il trovatore-amante e la dama.

Invece in “molt jauzions mi prenc amar” abbiamo il joi (gaudio) che discende dall’amore per la meillor
come elisir di lunga vita ed eterna giovinezza.

Jaufre Rudel: la vida e il paradosso amoroso

La nostra incerta immagine di Jaufre Rudel, principe di Blaia (1125-1148) è legata a un minuscolo romanzo
d’amore e morte, si sa che si innamorò delle regina di Tripoli senza averla mai vista ma solo per sentito dire,
che per lei partì crociato ma anche che si ammalò durante il viaggio. Venne dunque ricoverato in un
ospedale di Tripoli e la regina, che lì lo seppe, andò a fargli visita. A quel punto Rudel recuperò le forze, rese
grazie a Dio per la visita della donna, dopodiché morì e da lei fu sepolto a Tripoli, dopo la regina per il
dolore si fece suora  non tutti danno però credito a questo testo, sappiamo che è ricorrente nelle vidas
contaminare dati storicamente certi con elementi di fantasia desunti dai testi.

Nei suoi componimenti si possono già vedere i topoi trobadorici: leggendo il tema dell’ “amore lontano” in
senso più ampio si potrebbe intendere già il tema del paradosso amoroso.

La poesia di Rudel ha in oltre dei punti in comune con la poesia di Guglielmo IX tanto che si è stati portati a
pensare che Rudel fosse addirittura precedente a Guglielmo, se non fosse per la cronologia che invece
conferma il contrario.

Rudel ha comunque avuto un ruolo decisivo nella nascita di quella che viene definito amor cortese: in
Guglielmo IX c’è il tema della midons ma l’amore alla fine torva sempre compimento carnale mentre è in
Rudel che l’amore rimane spirituale dall’inizio alla fine poiché la donna, spostata e di ben altra classe
sociale, è irraggiungibile per il poeta.

Il suo paradosso amoroso sta nell’amore che non vuole possedere, ma godere di questo stato di non
possesso.

L’opera quindi non è da intendersi come una summa teorica della nuova etica amorosa, ma è da restituire a
una dimensione essenzialmente ludica di cinico divertimento clericale che stravolge in parodia e precipita
sul fondo fisiologico più grossolano e materialistico.

La signora del castello: l’interpretazione sociologica della fin’amor

Il tema della lontananza è uno dei temi chiave della poesia trobadorica che si ritrova spesso nella poesia di
Rudel La distanza è l’impedimento oggettivo che non permette al poeta innamorato di raggiungere la
donna, poeta che alternerà per questo momenti di speranza a momenti di sconforto e che potrà coronare il
suo amore solo nel sogno.

Il tema della lontananza e dell’inafferrabilità della donna è sottolineato da 3 elementi importanti: torre e
castello che richiamano una situazione di segregazione e il marito della donna che essendo sposata risulterà
dunque ancora più inaccessibile.

Un legame più subliminale donna-castello rimanda invece all’immagine della corte e della castellana
ammirata e irraggiungibile: i poeti vivono come salariati a corte, in un ambiente dunque in cui ci sono
poche donne. La donna dunque viene idealizzata: diventa il simbolo dell’amore erotico che si sublima e del
riscatto che il poeta sogna ovvero quello di integrarsi nelle parti alte della società feudale: l’amore cortese
sarebbe la proiezione di quel forte desiderio che ha la piccola nobiltà di integrarsi nelle parti alte della
società feudale

La condizione socioeconomica è quella dei non casati che conducevano una precaria esistenza di
soudadiers (salariati) tra le frustrazioni della corte: ricerca di avventure e tornei che offrissero la possibilità
di mettersi in luce, di conquistare pregio e onore.

Alla tematica amorosa si sovrappone la metafora feudale: come il signore può premiare il suo fedele con la
concessione della terra, così la domna ha nelle sue mani il destino dell’innamorato. Il superamento della
distanza è in teoria possibile, ma il comportamento deve essere conforme a cortesia e lealtà.

L’integrazione aspirata è tuttavia potenzialmente raggiungibile e dunque la distanza potenzialmente


superabile a patto che il comportamento dell’innamorato rispetti i valori fondamentali della corte: lealtà,
moderazione, cortesia e discrezione, questi cavalieri devono dunque rinunciare alle aspirazioni di rivolta e
condurre un’esistenza conforme alla corte.

C’è però qui un problema da risolvere: Jaufre Rudel non fa parte della piccola nobiltà. Da dove viene allora
la sua affinità ideologica con quei poeti di corte che aspiravano a una scalata sociale? Probabilmente il tutto
prende avvio da un fatto biografico per lui molto traumatico: sebbene non facesse parte della piccola
borghesia, Rudel si ritrova improvvisamente ad essere un cavaliere senza terra poiché perde il suo feudo in
quanto Guglielmo IX aveva spodestato il padre suo vassallo del castello di Blaia. Questo fatto avrebbe
portato Rudel a identificarsi con i poeti di corte. Questa spiegazione è plausibile ma non del tutto valida, la
questione coinvolgerebbe tutta l’intera lirica d’oc in quanto Rudel è appunto uno dei poeti principali
nell’elaborazione della stessa

La sostituzione della distanza sociale con quella spaziale sarebbe una sorta di geniale escamotage ideato dai
trovatori aristocratici per inserirsi nel gioco erotico-cortese che inizialmente li escludeva.

Un canto simbolico?

La poesia di Rudel è caratterizzata da un’indeterminatezza di significati il che significa che si tratta di una
poesia che ci porta a cercare sempre significati oltre la lettera: vi sono infatti tante interpretazioni possibili
alle piane parole di Rudel che toccano i temi più disparati, dallo spirito di crociata alle riflessioni sull’amore,
il tutto è permeato da una forte allusività enigmatica.

Ecco dunque che nasce quello che viene detto fin’amor: un amore basato sui principi di obbedienza, umiltà,
sacrificio e dedizione incondizionata

Le poesia di Rudel si prestano infatti ad una lettura allegorica: la donna occupa costantemente i pensieri
dell’amante e, sebbene venga descritta nella sua fisicità, trascende la natura umana, il sonno che permette
di coronare l’amore è in realtà uno stato d’estasi, il marito non è l’archetipo del geloso ma si identifica con
Dio se si parte dal presupposto che la donna è l’allegoria della Sapienza divina (come nel Boeci ma anche in
Dante, nella ripresa della poesia precedente, affermerà nel Convivio con la “divina Filosofia sposa de lo
Imperadore del cielo”).

Nel chaitius = schiavo in terra musulmana, si potrebbe leggere la disponibilità dell’amato di sfidare qualsiasi
disavventura per l’amore della donna ma in questo caso potrebbe anche esserci una trasfigurazione
dell’amore verso una Gerusalemme terrena e celeste, in un suo quadretto arcadico si ritrova una polemica
contro Ovidio il quale consigliava di smorzare le pene d’amore con la vita agreste mentre Rudel sostiene
che le pene d’amore non abbiano bisogno di rimedi rozzi, l’attesa del bacio che non verrà è metafora del
gesto dell’osculum ovvero il gesto d’amore che sugella il patto tra signore e vassallo.
Ovviamente il fin’amor è subito accolto con entusiasmo da tutti i signori feudali: i principi del fin’amor
permettono di garantire ordine e armonia anche nella società feudale, se tutti i vassalli si comportassero
come l’innamorato si comporta con la sua dama la gerarchia della rigida società feudale sarebbe al sicuro.

Ci sono delle affinità tra la lirica di alcuni trovatori e il pensiero cistercense, in particolare Macabru e anche
Rudel offre indizi in questa direzione.

Tratti dominanti di Rudel:

- Allusività enigmatica
- La sfuggente identità dei referenti

La poetica dei soudadiers

Marcabru e Cercamon

La poesia trobadorica affonda le sue origini nella cultura clericale in particolare del Sud-Ovest dove si
colloca l’abbazia di Saint-Martial di Limoges i quali monaci iniziano a diffondere nuove idee sconosciute
nell’alto medioevo XI secolo.

Non è infatti un caso che i primi componimenti in volgare siano quelli di nobili signori che con tutta
probabilità sono stati educati proprio dai monaci secondo la cultura clericale.

A questo punto si può dunque affermare con certezza che la poesia trobadorica si pone in continuità con la
cultura clericale e quindi con la poesia liturgica.

Nella poesia di Rudel si riconosce chiaramente questo anello di congiunzione tra la poesia romanza e quella
clericale-liturgica (e quindi tra profano-laico) non solo nella parte formale di metrica, stile e musica ma
anche nei temi: se la società del tempo era divisa in 3 ordini:

- Oratores uomini di preghiera


- Bellatores guerrieri
- Laboratores agricoltori

Nel sovrano ma anche nel cavaliere ideale si riuniscono le prerogative di tutti gli status, per esempio non
deve avere solo il valore del guerriero ma deve possedere anche tutte quelle virtù richieste ai monaci
(senno, sapere, obbedienza, umiltà…)

C’è da dire però che non tutti i trovatori erano aristocratici: un esempio sono Marcabru e Cercamon i cui
nomi già evocano un’identità non nobile ma giullaresca (contemporanei a Rudel).

Marcabru nelle vidas è descritto come originario della Guascogna ed è figlio di una povera donna chiamata
Marcabruna, nella seconda vida invece sembrerebbe un trovatello, ciò che sappiamo è che egli è un
soudadier, ovvero una sorta di giullare sempre alla ricerca di un signore generoso a cui offrire i suoi
componimenti in cambio di protezione. Nella sue poesia ci sono infatti spesso riferimenti a soggiorni nelle
maggiori corti europee: Spagna, Portogallo, Poitou…

La poetica di Marcabru si presenta piena di allusioni oscure, metafore visionarie, invettive e apostrofi,
crudo realismo di lessico e immagini con un tono moralista solitario e aggressivo che denuncia il declino
della società: i signori hanno perduto l’antica magnificenza, le donne il pudore, il “fals’amor” (fornicazione)
dilaga mentre ci sarebbe bisogno di un ritorno al “bon’Amor” trascendente e perfetto potere
consolatorio e terapeutico dell’eros.

Si delinea un’ideologia personalissima, improntata al pessimismo apocalittico, l’invettiva è la sua cifra


stilistica.
La nobiltà d’animo è considerato un valore che si trasmette di padre in figlio ma gli amori adulteri
contaminano le stirpi producendo figli bastardi incapaci di perpetuare i buoni valori ma solo inclini a vizi.

I vizi privati hanno infatti forti ricadute sulla vita politica: gli uomini privi di valori preferiscono una vita
agiata a una vita socialmente attiva, alle crociate, alle guerre e alle grandi imprese. Per questi uomini
bagordi e infingardi l’unica ricompensa sarà l’inferno.

 I soudadier si riconoscono come gli ultimi detentori dei buoni valori ormai perduti in una società
sempre più corrotta dove avidità e grettezza regnano sovrane.

Per quanto riguarda il lessico c’è una grossa differenza tra quello di Marcabru e quello di Rudel: quello di
Rudel è un lessico piano e generico mentre quello di Marcabru è più popolare, vigoroso, preciso e violento,
attinge addirittura anche a proverbi popolari e le rime sono più aspre e difficili, il tutto è anche permeato da
una forte inclinazione alla metafora, all’allegoria e all’allusività tipiche delle parabole delle Sacre Scritture
che rendono i testi di Marcabru di difficile interpretazione.

Traspare anche una truce misoginia nei confronti della personificazione del con, attribuito alle donne di
scarsa virtù.

Come si vede per esempio i suoi componimenti sono ricchi di metafore e allusioni che rimandano alla sua
contrarietà per la crociata in Terrasanta che avviene alla metà del 1000: non solo timori morali ma anche la
paura di un’anarchia dovuta alla partenza dei signori, muovono la polemica di Marcabru.

In questo caso si vede come il contenuto sia diverso da quello di autori nobili come Rudel: il tema è politico
sociale e non amoroso.

Anche nel genere della pastorella vagliato da Marcabru si ritrovano polemica d’attualità come la critica al
“fals’amor” e un aspirato ritorno al “fin’amor”, espressione di quelle virtù ormai dimenticate e identificabile
addirittura in Dio che illumina il mondo.

La poetica di Marcabru dunque sfugge a un’interpretazione univoca, il sacro e il profano, l’eros e la


spiritualità non stanno su piani diversi e separati ma si incrociano continuamente.

Motivi simili si trovano anche in Cercamon, la figura della domna resta indefinita senza nome e senza
senhal (pseudonimo) benchè nella sua lirica ci sono accesi momenti di erotismo tutto è da ricollegarsi alla
spiritualità.

La lezione di Marcabru

Come detto il tema principale della poesia di Marcabru è la vita quotidiana, un tema che invece non
traspare nelle poesie di Rudel e Guglielmo IX ( il primo più improntato sull’amore, il secondo su un insieme
di temi vari, dalla parodia, alla morte sperimentalismo insolente).

Le poesia dei soudadiers hanno tutte un fine pratico: mirano ad allontanare la concorrenza di altri poeti
presso la stessa corte, accusando i giovani uomini di insidiare le mogli dei signori, e elogiando i pochi signori
generosi contro quelli invece più avari, mette in scena una potente strategia adulatoria facendo leva sulla
rivalità dei signori.

E’per questo infatti che nelle poesie dei soudadiers prende sempre più importanza il destinatario al quale il
componimento è rivolto, i soudadiers sono alla continua ricerca del primato agli occhi del signore.

Ma il primato è ricercato ovviamente anche tramite virtuosismi di forma: rime preziose, riprese di tradizioni
precedenti, metriche complesse ma anche la conoscenza perfetta degli eventi storici coevi…sebbene non di
stirpe nobile quindi questi poeti dimostrano, in questo modo, di essere comunque molto istruiti.

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