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2 lezione diritto processuale penale 07/10/2021

Art. 112 à l’azione penale è obbligatoria.


Non tutti i sistemi processuali penali prevedono l’azione penale obbligatoria, anzi i sistemi a
orientamento accusatorio hanno la discrezionalità dell’azione penale (ciò significa che scelgono
quali sono le categorie di reato che devono essere perseguite).
In Italia, ogni fattispecie di reato prevista dal codice penale e dalle leggi penali deve essere
perseguita quindi presentata la denuncia, la querela, l’istanza, una condizione di procedibilità o
se il reato è procedibile d’ufficio si deve procedere.

Quindi si deve iscrivere la notizia nell’apposito registro di reato di cui all’art. 335 c.p.p. e devono
essere cominciate le indagini: questo significa che viene attivata l’obbligatorietà dell’azione
penale, non c’è scelta una volta presentatesi davanti agli uffici di polizia giudiziaria o davanti
all’ufficio della procura per denunciare o querelare o presentare un referto. Quindi secondo le
forme previste dalle cosiddette condizioni di procedibilità si deve iscrivere quel fatto che
ipoteticamente corrisponde a una fattispecie incriminatrice: pertanto l’ufficiale di polizia giudiziale
o il sostituto procuratore o il pubblico ministero deve iscrivere la notizia nell’apposito registro di
notizie di reato.

Si usa il verbo DOVERE e non POTERE: questa è l’obbligatorietà dell’azione penale, l’obbligo di fare
diventare quella voce del privato o se si stratta di un delitto perseguibile d’ufficio in questo caso
quella voce pubblica del pubblico ministero un inizio di un procedimento.

L’obbligatorietà dell’azione penale è il frutto della reazione al codice Rocco, si è voluto contrastare
il rischio che si era verificato durante il fascismo della scelta tra reati e reati, cioè tra reati
perseguiti e non perseguiti.

Significa che, per esempio, alcuni reati politici che venivano commessi dall’opposizione avevano
un canale privilegiato e venivano subito perseguiti mentre altri no, quindi c’era una disuguaglianza
tra i cittadini.

L’uguaglianza dell’art. 112 Cost. non è altro che un’attuazione in concreto del processo penale del
principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. à siccome tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge,
tutti i cittadini devo essere uguali quando hanno subito una lesione di una loro posizione giuridica
soggettiva; quindi è una proiezione dell’art. 3 laddove si ipotizza che è stata lesa una posizione
giuridica soggettiva.
Tuttavia questo ha portato a un’ipertrofia del sistema: ci sono milioni di notizie di reato pendenti
e, vista la mole di reati costruita negli anni per la volontà di rassicurare la collettività, si è
scambiato il codice penale come uno strumento di rassicurazione sociale.
Quindi, invece di sfoltire le ipotesi delittuose, si sono andate sempre più aumentando tali ipotesi
delittuose.

C’è una carenza di organico, c’è una grande carenza di organizzazione telematica: carenza di
cancellieri e ausiliari e in ogni caso non basterebbe neanche questo, vista questa organizzazione
così elefantiaca dei reati. Allora si è cercato di rivedere l’obbligatorietà dell’azione penale.
Ma parlare dell’obbligatorietà dell’azione penale in Italia è un tabù, si è cercato allora di porre dei
correttivi e dei contemperamenti di stabilire dei criteri di priorità: ci sono state delle procure molto
coraggiose - come per esempio la procura di Torino del procuratore Zagrebelsky, oggi in pensione,
che aveva stabilito una lista di criteri di priorità - ci furono dei convegni su questa sua iniziativa in
cui affermò che non è vero che c’è l’obbligatorietà dell’azione penale, in quanto non è possibile, è
la società stessa che reclama giustizia di fronte a fatti che hanno più disvalore sociale rispetto ad
altri.

In realtà è una pseudo-obbligatorietà dell’azione penale, che serve solo ad ingolfare il carico degli
uffici di procura e che ha come via di uscita un istituto che si chiama “cestinazione delle notizie di
reato” cioè quelle notizie di reato che appaiono apparenti, che appaiono non avere gli elementi
tali da avere il fumus commissi delicti ; queste vengono iscritte non nel registro del modello cui
all’art. 335 c.p.p., ma vengono iscritte nel modello 45, che è un registro apposito, in quanto si deve
dare traccia lo stesso di queste pseudo-notizie di reato, perché poi potrebbero verificarsi degli
eventi che da pseudo-notizie di reato possono farli diventare notizie di reato.
Quindi questa obbligatorietà dell’azione penale è uno specchietto per le allodole, perché
sappiamo tutti che ogni procura stila una lista di reati per la quale viene la priorità e lo fa con
assoluta ragionevolezza, tenendo conto dell’organico che ha e della gravità dei reati che ha.

È pure un tabù parlare di criteri di priorità e ancora di più parlare di criteri di discrezionalità
dell’azione penale, come in America e in Gran Bretagna, perché sembrerebbe voler minare al
principio di uguaglianza. Sarebbe invece il tempo di ragionare su questo, ma i quanto veniamo da
un regime dittatoriale dove il criterio di discrezionalità era usato per perseguire qualcuno a scapito
di altri, sentire parlare di non obbligatorietà evoca tempi bui e di discriminazione; quindi non si è
pronti culturalmente e il risultato è l’ipertrofia del sistema che implode di notizie di reato.

Il 24 ottobre 1988, con il d.PR. n. 447 viene varato il codice Vassalli, che sarebbe entrato in vigore
il 24 ottobre dell’anno successivo. Questo codice rompe con il passato e imprime una svolta a
orientamento accusatorio. Tuttavia il codice, a seguito della bocciatura della famosa bozza di
Carnelutti e Cordero che aveva dato un imprinting molto più forte in senso accusatorio, aveva
affrettato i tempi per la chiusura e aveva per questo tralasciato una serie di lacune e di sviste, di
incoerenze ì che Giovanni Tranchina aveva definito come “nostalgie inquisitorie”.

Quindi il codice nasce disarmonico: certamente con un imprinting accusatorio, tuttavia


disseminato di visioni strabiche che guardavano verso l’inquisitorio e quindi di istituti che mal si
coincidevano con la visione accusatoria, una sorta di mosaico in cui alcune tessere non si
incastravano e il disegno non ne usciva chiaro proprio per queste tessere sbagliate; per di più
cominciarono subito nuove leggi a modificare gli istituti (in primis il giudizio abbreviato) e
l’intervento continuo della Corte costituzionale con moltissime declaratorie d’incostituzionalità e
moltissime declaratorie additive. Era dunque stato tutto frammentato dalla Corte costituzionale e
dal legislatore, perché prima di cambiare un codice ci vuole un cambiamento culturale, e il
cambiamento culturale dalla visione inquisitoria a quella accusatoria non c’era stato nonostante la
Costituzione in vigore dal 1948.
DIFFERENZA tra rito inquisitorio e rito accusatorio:
Nel codice a orientamento inquisitorio à il pubblico ministero e il giudice sono colleghi e cercano
entrambi le prove nella segretezza; il giudizio dibattimentale che vede finalmente la difesa è
soltanto un riscontro quasi sempre confermativo dei saperi acquisiti segretamente e senza
contradditorio dal pubblico ministero prima e dal giudice istruttore dopo - per cui i dibattimenti
quasi mai ribaltavano ciò che era stato acquisito segretamente e senza contradditorio dal pubblico
ministero e dal giudice - per cui il giudice non era terzo imparziale, ma era il collega che acclarava i
risultati del pubblico ministero, che a sua volta amplificava ragionando i verbali della polizia
giudiziaria.

Quindi PG, PM e giudice istruttore - poi il dibattimento nell’oralità e nella complicità e con la difesa
si svolgeva questo dibattimento - ma raramente si potevano ribaltare i saperi della PG ragionati e
razionalizzati dal PM con nuove prove e dal giudice istruttore, tutto svoltosi senza difesa e senza
contradittorio.

Perché c’era una visione leviatanica quella secondo cui occorre raggiungere il fine (il fine giustifica i
mezzi), e il fine è la ricerca della verità nel sistema accusatorio e in quello inquisitorio è
storicamente individuato nell’età dell’Impero Romano I secolo d.C. poi ovviamente nel Medioevo e
in tutti i periodi dittatoriali e oscurantistici; questo è però il modello puro perché quasi mai tranne
nei modelli dittatoriali o nel sistema puro il modello non esiste, tranne queste accezioni tutti gli
altri sistemi inquisitori sono sistemi temperati a orientamento inquisitorio.

Il sistema accusatorio puro non esiste, è esistito solo nella Roma repubblicana del IV secolo ed è
un sistema che vede l’esaltazione dell’individualismo, nel quale il processo viene visto come una
contesa ad armi pari tra privati: i due contendenti sono i privati - l’accusato e l’accusatore – tanto
è vero che l’accusatore era l’offeso, non era un pubblico ministero; “actio rei vindicatio” era il
privato accusato e accusatore e c’era la pubblicità, mentre nel sistema accusatorio la segretezza e
le prove sono quelle selezionate e ammesse dalle parti, nel sistema inquisitorio erano quelle
cercate dal giudice; là cercate dalle parti in pubblicità e nel contradditorio lì dal pubblico ministero
e dal giudice nella segretezza.

La iurisdictio, cioè l’emanare il diritto, era compito del giudice sulla base delle prove cercate dalle
parti, quindi il giudice era terzo imparziale e si pronunciava su quello che le parti gli portavano.
Poi piano piano con il tempo non fu più il privato a portare le prove, ma un pubblico ufficiale e
quindi non fu più una contesa tra privati, allora pian piano il pubblico ufficiale si avvicinò al giudice
e lentamente essendo collega questo pubblico ufficiale del magistrato/giudice storicamente si
andò ad assimilare; da lì si arrivò verso l’impero e quindi alla coincidenza del pubblico ministero
con il giudice e quindi con il giudice che cerca le prove.

La pubblicità caratterizza il sistema accusatorio e ha un aggancio e una matrice costituzionale: la


giustizia è amministrata in nome del popolo italiano ex art. 101 Cost. La pubblicità serve in
funzione di controllo della corretta amministrazione della giustizia da parte dei soggetti nel cui
nome la giustizia è amministrata; perché in quanto la giustizia è amministrata in nome del popolo,
il popolo deve poter controllare lo svolgimento della giustizia tramite l’accesso diretto nelle aule,
oppure se non è possibile l’accesso diretto perché ci sono minori, donne o soggetti fragili tramite
l’accesso mediatico con la video conferenza, con altri sistemi estratti dalle udienze, tanto che si
parla di pubblicità immediata e mediata.

Nel processo a vocazione accusatoria il processo è orale: si deve svolgere tramite l’ascolto diretto
e orale delle parti dei testimoni dei periti e dei consulenti tecnici del pubblico ministero, che spiega
l’imputazione attraverso la viva voce di tutti i soggetti coinvolti.
Il processo si svolge secondo il principio dell’oralità: questo è scritto nella legge delega che ha
delegato il Parlamento a emanare il d.PR. n. 447 del 1988 nella legge delega n. 81 del 1987 alla
direttiva n. 2.
Immediatezza significa rapporto diretto tra giudice e persone e fonti dichiarative, fonti da cui
viene la dichiarazione.

Pubblicità, oralità, immediatezza, concentrazione à le attività devono susseguirsi l’una dopo


l’altra senza interruzione - tranne quelle strettamente necessarie - perché se vi fossero delle
interruzioni verrebbe meno tutta quella percezione visiva e mnemonica-sensoriale che il giudice
ha tratto - questo principio è pestato, tradito e violato - i processi durano mesi o anni è un
principio ottativo (viene dal greco, verbo desiderativo = desiderio impossibile): la concentrazione è
confinata nell’ottativo, è talmente impossibile da realizzare.

Giuseppe Chiovenda diceva <<la concentrazione che tutte le racchiude>>, cioè tutte le altre regole
di cui stiamo parlando in realtà sono principi, perché diceva che la pubblicità, il contradditorio,
l’oralità e l’immediatezza senza la concentrazione si disperdono.

Dato che l’immediatezza è l’apprensione diretta dei fatti delle fonti dichiarative, l’oralità è la
escussione orale perché il giudice va in camera di consiglio con un patrimonio non solo dei verbali
(perché tutto si verbalizza, ma se passa tempo piò non ricordare e avere solo gli atti “morti” e le
carte scritte); ma tutto un patrimonio di non detto, che sono le titubanze, il guardare o meno il
proprio avvocato, vedere se uno è intimidito, se uno è credibile o deciso.

Quindi uno può dire era titubante e guardava continuamente per farsi suggerite la risposta il
testimone o sembrava farsi intimidire dall’imputato dietro le sbarre, ma se il giudice va in camera
di consiglio 2 anni dopo rispetto a quando ha sentito il testimone, che ricordi può avere?

Un tempo come in America, 3 mesi per chiudere un caso di omicidio: questo vuole il processo
accusatorio.
È dunque perché altrimenti contradditorio, immediatezza e oralità si disperdono, perché è
un’esperienza umana viva, data appunto dal rapporto diretto; immediatezza tra giudice e fonti di
prova - rapporto orale, ecco perché oralità e immediatezza sono un’endiadi, sono un tutt’uno, due
facce della stessa medaglia.

DOMANDE: Qual è lo scopo del processo penale? Qual è il bene in gioco?


La posta in gioco del processo penale è la libertà delle persone, ma prima ancora la dignità, tanto
è vero che si vede dall’istituto della revisione anche oltre la morte: il procuratore se l’aveva
condannato o i prossimi congiunti se morto possono chiedere la revisione della sentenza di
condanna, quindi vuol dire che la dignità è il vero bene.
Se si chiede di riaprire un processo per un soggetto che è già morto, significa che il fine non è la
libertà, perché se uno è morto non può avere la libertà, ma la dignità che va oltre la morte, un
bene immateriale più importante della libertà se i prossimi congiunti chiedono di aprire un
processo.
Quindi il vero bene del processo penale è la dignità di ognuno di noi, l’art. 2 Cost. e dopo la libertà
della persona.

Il processo a vocazione accusatoria è un processo pubblico, orale e immediato, che dovrebbe


vivere nella concentrazione, quindi nella consequenzialità degli atti, uno dietro l'altro senza
interruzioni, con rinvii a breve data e minor rinvii possibili e poi con la sentenza emessa subito
dopo la chiusura del dibattimento con i motivi contestuali, ma questa è un'ipotesi di scuola o con i
motivi redatti entro 15, 30 o 45 giorni. Ma anche questo è assolutamente un mito, perché i termini
sono a non pena di scadenza, a pena di decadenza o di nullità, per cui si chiamano termini
ordinatori: non succede nulla se il giudice li travalica, dunque spesso vengono depositati dopo 5,
6, 8 mesi; casomai ci sono responsabilità disciplinari, ma forse si conoscono 2 o 3 casi di sentenza e
per adesso non si conoscono altri casi.

Questi principi sono i principi del giudizio, Libro VII del codice, mentre la terzietà e imparzialità
riguardano tutto il processo (dalla richiesta di rinvio a giudizio all’esecuzione); mentre
contraddittorio, oralità/immediatezza, pubblicità e concentrazione riguardano la fase del giudizio,
il cuore del processo, il giudizio dibattimentale.

CONTRADDITTORIO à da “contra dicere”: “contra” significa “di fronte al giudice”, ed è locativo; le


parti parlano, pubblico ministero e imputato, in condizioni di parità anche fisicamente, di fronte al
giudice, non l’uno contro l'altro, altrimenti sarebbe una “zuffa legalizzata”. Quindi il
contraddittorio non è un “dicere contra”, cioè “contra” non è un avversativo, non è dire l’opposto,
ma è un rivolgersi a, essere di fronte, parlare di fronte al giudice. Rispetto al codice Rocco dove il
pubblico ministero era seduto accanto al giudice, oggi il pubblico ministero è seduto in modo
equidistante, accanto all’imputato e al suo difensore, in quel triangolo isoscele, equidistante dal
giudice.

Quindi “dicere ius”, dire il diritto, entrambi dicono diritto e poi in quella sintesi il diritto lo emana il
giudice, che può benissimo disattendere le pretese dell’accusa o della difesa, ma non può
ignorarle, si deve pronunziare sulle pretese, anche se le rinnega, ma deve dire perché le
disattende. Quindi il contraddittorio è un dialogo, un ragionamento che attraversa l’altro
ragionamento, è un ragionamento partecipato, collettivo, un incrocio di ragionamenti che poi
diventa sintesi nella decisione del giudice. Perché non è mai quello degli americani o degli inglesi il
verdetto, perché il verdetto, “detto come vero”, è quello che la giuria popolare dice; in Italia invece
ci sono i giudici popolari che affiancano i giudici togati, il nostro è un giudizio tecnico, giuridico e
scientifico, è una sussunzione del fatto in una categoria penalistica con un bilanciamento delle
circostanze aggravanti e attenuanti e che quindi pretende una conoscenza specifica del diritto; non
è quindi una mera percezione dei fatti, così come avviene per i Paesi anglosassoni. In Italia deve
essere giusto, iustus, diritto, non deve essere percepito e sentito da noi, ma deve essere spiegato
come tale, dando conto e motivazione e questo lo può fare solo il giudice e si chiama libero
convincimento.
Quindi ogni processo, dice l'art. 111 Cost., si svolge davanti a un giudice terzo e imparziale,
fisicamente diverso ed equidistante dal pubblico ministero e dal difensore.

Nel contraddittorio c'è un errore clamoroso nella Costituzione italiana: il contraddittorio non è fra
le parti, il contradditorio è delle parti dinnanzi al giudice; non si contraddicono tra loro, non si
parlano tra di loro, è il contraddittorio delle parti col giudice, parlano col giudice e nessuno può
essere accusato senza che sia stato messo nella condizione di potere esaminare o contro-
esaminare colui che lo ha accusato.
Ma l'errore gravissimo, la nostalgia inquisitoria dell’art. 111 c.p.p. è il rimando all’interrogatorio.
L'interrogatorio non esiste se non alla fine delle indagini preliminari ed è uno strumento a difesa;
invece, come mezzo di prova esiste l’esame (errore gravissimo che già esisteva nel codice Rocco).
Il mezzo di prova è l'esame, quindi nessuno può essere accusato da una persona che non sia stata
esaminata.
Altro errore è il fatto che sia stata esaminata da se stesso: non c'è l'esame da parte della persona,
l’esame è sempre da parte del difensore, invece è come se affermasse la possibilità - come c'è in
altri Paesi - dell’esame diretto da parte dell’imputato; in Italia c'è per forza la difesa, che è tecnica.
Quindi c'è un doppio errore: lo chiama interrogatorio e poi fa credere che si tratti di interrogatorio
da parte dell'imputato, mentre la difesa è un mezzo necessario, non si può eludere. Scimmiotta
l’art. 6 della CEDU, quindi questo è l’errore, eliminando gli errori, che l'interrogatorio è condizione
essenziale di regolarità della giurisdizione. Non si può essere accusati da una persona che poi si
sottrae al contraddittorio e quindi non sia stata sottoposta al contraddittorio.
La legge poi regola la ragionevole durata del processo, altro principio fondamentale, quindi il
processo deve avere una ragionevole durata, e spetta alla legge stabilire quale sia questa
ragionevole durata. Ragionevole durata del processo significa che non è un processo con un tempo
stabilito, come purtroppo ha stabilito la riforma Cartabia con l'imprescrittibilità: ragionevole
durata del processo non è un tempo a pena di decadenza, significa durata razionale, giustificata in
base al numero di imputati, al numero e alla gravità delle imputazioni.
Quindi volta per volta si dovrà vedere se in base al numero degli imputati, alla gravità delle
imputazioni e al numero dei testimoni la durata è stata proporzionata o meno rispetto alla
complessità degli accertamenti da svolgere; solo così la persona se ne poteva indire la Corte di
Strasburgo per lamentarsi dell’irragionevole durata del processo. Se c'erano 30 testimoni e 20
imputazioni e il processo è durato tre anni, non è irragionevole; se per un piccolo furto il reato è
durato 3 anni, il processo è irragionevole.
Dunque la ragionevole durata del processo significa “giustificata rispetto alle prove, alle
imputazioni, alla complessità degli accertamenti tecnici, agli adempimenti da fare, ai mezzi di
prova”.
L’Italia è tra i Paesi che hanno avuto più condanne da parte dell'Unione europea per l'irragionevole
durata dei processi, insieme alla Grecia, alla Bulgaria, ai Paesi dell'Est.
Il contraddittorio è il DNA del processo penale accusatorio: le prove si acquisiscono oralmente,
nell'immediatezza dei fatti e su disposizione delle parti, cioè devono essere le parti a indicare quali
prove vogliono acquisire; il giudice ha un potere di screening, cioè di stabilire quali prove
ammettere e quali non, secondo il criterio di legalità, non superfluità e non di rilevanza.

Importantissimo è il comma V: dopo averci fatto credere che è fondamentale il principio del
contraddittorio, il legislatore costituzionale al comma V apre un argine immenso à <<La legge
regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso
dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta
illecita>>.

La prova non si forma secondo questo metodo dialettico, cioè alla presenza di imputato e pubblico
ministero innanzi al giudice terzo e imparziale nell'oralità e immediatezza: se ci sono tre
condizioni, significa che è sufficiente la presenza di una di queste tre:

1. Consenso dell'imputato, cioè se l’imputato acconsente che non ci sia il contraddittorio:


questo si verifica nei riti speciali e nel giudizio abbreviato, dove l'imputato chiede di essere
giudicato sulla base degli atti di indagine, quindi non sulle prove che si formeranno in
dibattimento; un altro caso è il rito speciale del patteggiamento, dove l’imputato si accorda
col pubblico ministero sulla base degli atti di indagine ed entrambi chiedono una pena al
posto del giudizio (quindi c’è il consenso dell'imputato sia nel giudizio abbreviato che nel
patteggiamento). Un'altra situazione è data dalla prova cosiddetta negoziata ex art. 431
comma 2 c.p.p.: è stata introdotta con la legge Carotti, una legge del 1999 à le parti, è
stato stabilito, si possono accordare di inserire nel fascicolo per il dibattimento (questo
fascicolo si è formato in udienza preliminare e contiene tutti atti che valgono come prove) -
oltre a tutti gli atti stabiliti dalla legge che valgono come prove - anche altri atti delle
indagini che senza l’accordo non possono valere come prove, ma che grazie all'accordo
delle parti diventano prove: quegli atti che non hanno natura probatoria, ma che grazie
all’accordo acquisitivo (prova negoziata, negozio, accordo) diventano prove. Quindi anche
questo consenso dell'imputato consente di eliminare il contraddittorio come regola per la
prova.
2. Accertata impossibilità di natura oggettiva = sono situazioni in cui non è oggettivamente
possibile formare la prova in contraddittorio, dunque lo si deve accertare.
(per esempio: si era sentito durante le indagini preliminari da parte della polizia giudiziaria
e con sommarie informazioni un rom su una sparatoria cui egli aveva assistito. Lo stesso -
senza fissa dimora - 6 mesi dopo, durante il dibattimento, viene citato a comparire come
testimone, ma il suo campo rom è stato sgomberato. Che si fa? Si perde il verbale di
indagini senza difensore dell'accusato? Se lui afferma che ha visto sparare Mario Rossi, si
considera questa prova o no? Nei Paesi di common law non si considera prova, perché la
prova si acquisisce nel contraddittorio: qui non c’è stato il controesame da parte del
difensore di Mario Rossi, il rom non è stato contro-esaminato, non c’è stato
contraddittorio, quindi per il sistema anglosassone questo <<ho visto sparare Mario
Rossi>> non esiste, perché non c'è stata una difesa, un controesame. In Italia c’è invece il
concetto che “tutto serve”, che rappresenta una nostalgia inquisitoria: l’ha detto, ma non
importa chi l’ha detto, ma è il “come l'ha detto” che fa la prova, è il quo modo; l'ha detto in
uno stanzino con la lampada accesa alla polizia giudiziaria e la prova è prova non perché
l'ha detto, è il contesto in cui l'ha detto, in modo partecipato, accusa e difesa, dinanzi al
giudice terzo e imparziale).
Per evitare che questa dichiarazione divenisse inutilizzabile, si è inserito il comma V e si è
detto che diventano prove tutte quelle dichiarazioni che non sono ripetibili per provata e
per accertata impossibilità di natura oggettiva. Per cui, ha affermato la giurisprudenza, non
deve trattarsi di una semplice difficoltà, per esempio, a cercare una persona che si è
trasferita di città, ma proprio una accertata impossibilità. Quindi hanno inserito il caso del
senza fissa dimora, di chi ha perso la memoria, casi oggettivi, di chi si è trasferito all’estero,
etc. Inserendo il comma V nella nostra Costituzione, non si può affermare che è
incostituzionale: questa deviazione del contradditorio non è più un'alterazione, ma è
un’eccezione; questo escamotage fa sì che è una straripazione dalla via maestra, perché ce
ne sono tantissime di impossibilità accertata di ripetere l’atto, quell’atto che non è prova e
grazie a quest’eccezione diventa prova, purché sia un’impossibilità accettata e oggettiva. E
soprattutto, aggiunge il codice, non prevedibile, perché se fosse stato prevedibile si doveva
acquisire la prova già nelle indagini con uno strumento che si chiama incidente probatorio
(cioè non doveva essere capibile che questa persona si sarebbe resa irreperibile; se già era
capibile, c'è questo strumento probatorio anticipato).
Quindi queste dichiarazioni rese senza nessuna guarentigia difensiva per l’accusato
diventano prove, da mere dichiarazioni rese unilateralmente agli ordini della polizia
giudiziaria su delega o al pubblico ministero, con un colpo di penna diventano prove.
3. Provata condotta illecita = tutte le volte in cui si ritiene che il testimone chiamato a
processo a testimoniare possa essere intimidito, minacciato o gli possa essere promesso
denaro, purché dica il falso o non dica niente o non dica il vero, allora non lo si chiama a
testimoniare. Dunque non si utilizza il mezzo di prova ortodosso, la testimonianza, perché
questi direbbe il falso o non direbbe il vero, perché c'è la prova della minaccia o della
promessa di denaro provata, quindi la prova della condotta illecita (prova nel senso di
dimostrare). Allora si recuperano, come nel caso sopracitato del rom, dichiarazioni che
quella persona ha fatto nella fase delle indagini, senza contraddittorio e senza difensore
dell'accusato, e le si utilizzano come prove testimoniali.
Si dice che sono più affidabili le dichiarazioni che ha reso una persona contro il soggetto
mafioso davanti al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria, che non le dichiarazioni che
farebbe in dibattimento, perché c'è la prova che è stato minacciato dal mafioso, oppure si
ha la prova che ha ricevuto 100.000 euro per dire il falso.
Ma una norma non si crea per fatti contingenti di mafia, una norma deve essere fatta in
modo astratto: qui abbiamo doppio, triplo o quadruplo binario, a seconda che siano reati di
terrorismo, di mafia, di spaccio di stupefacenti, di Codice rosso per le donne. La legge è
uguale per tutti, qua invece abbiamo creato sempre norme sulla scorta dell'emergenza. Per
cui, questa norma creata per i mafiosi spesso è stata usata per altre situazioni e allora,
ogniqualvolta c'è un rischio di minaccia o promessa di denaro per non dire il vero, si
utilizzano dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero, invece che la
testimonianza resa in dibattimento nel contraddittorio delle parti.
Quindi ancora una volta il contraddittorio abdica rispetto alla dichiarazione resa nello
stanzino della polizia giudiziaria e quando la persona ha parlato. Però non si sa come sono
state poste le domande, se erano domande che suggerivano risposte, se domande
pressanti: può essere quindi che anche queste risposte non erano genuine, ma diventano
prove e ciò permette alla persona accusata di reati anche gravissimi di non avere la
garanzia del contraddittorio. Quanto più alta è l'imputazione, quanto più alta deve essere
garantita. Si è introdotto il blindato della provata condotta illecita, senza spiegare cosa si
intende per “provata condotta illecita”. Ma provata come? Da cosa si desume di preciso?
Non si è scritto nella norma da cosa desumere questa prova, quindi è lasciato al giudice
l'arbitrio di provare questa condotta illecita, tanto che c’è un numero elevato di sentenze
contrastanti; diventa tutto molto diseguale se affidato al singolo giudice.

Per cui è vero che il contraddittorio è il pilastro fondante, ma è pur vero che abbiamo 2 tipi di
contraddittorio: quello autentico, quello forte, quello effettivo, quello che è stato chiamato (cit.
Siracusano) contraddittorio per la prova - che è sempre più raro - cioè il contraddittorio maieutico,
per formare la prova; poi c’è il contraddittorio sulla prova: la parte ha parlato nello stanzino della
polizia giudiziaria e poi in dibattimento; le parti, il Pubblico Ministero e difensore discutono
dibattono, dialogano e contraddicono su quel verbale; quindi contraddittorio sulla prova perché la
prova c’è - pur non essendo prova e quindi si ricostruisce qualcosa che non sarà prova, ma un
surrogato di prova; si sta cercando di fare diventare prova ciò che prova non è.
Il vero contraddittorio, quello maieutico, è quello che dal nulla fa del dialogo lo strumento per
creare la prova, il sapere, quello che Gaeta chiama <<il sapere per la verità>>; invece, con tutte
queste aperture, smagliature nel tessuto del contraddittorio, è prevalso sempre più il
contraddittorio sulla prova, quindi saperi che già ci sono e su questi saperi si intesse un dialogo:
ritessendo queste trame, ricucendole, abbiamo così delle ricuciture fatte nel contraddittorio orale,
ma su un tessuto che già c’è. Il vero contraddittorio è il tessuto che si crea tra le parti e il giudice
immediatamente nell’oralità e nella pubblicità, il contraddittorio sulla prova è invece un tessuto
smagliato che si ricuce davanti al giudice, un tessuto che già c’è, creato dalla polizia giudiziaria su
delega o dal pubblico ministero.
Il contraddittorio che pretende l'impianto accusatorio è il contraddittorio per la prova, che deve
servire per la verità e, come dichiara Franco Cordero con un brocardo inglese del 1700, nel
processo accusatorio l'imperativo deontico fondamentale dovrebbe essere quello secondo cui “la
caccia vale più della preda”, il metodo deve valere più del risultato. Dunque dovremmo eliminarne
il consenso, quell’accertata impossibilità, quella provata condotta illecita, perché non dobbiamo
raggiungere una verità ad ogni costo, ma dobbiamo applicare oralità, pubblicità, concentrazione,
immediatezza e contraddittorio. Del resto, diceva Francesco Carraro nel 1800, <<meglio 100
colpevoli fuori che un innocente dentro>>: non c’è una verità a ogni costo; la caccia vale - dicono
gli inglesi - più della preda e invece noi siamo sempre in bilico tra la verità per la verità e la caccia
vale più della preda.

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