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Quindi si deve iscrivere la notizia nell’apposito registro di reato di cui all’art. 335 c.p.p. e devono
essere cominciate le indagini: questo significa che viene attivata l’obbligatorietà dell’azione
penale, non c’è scelta una volta presentatesi davanti agli uffici di polizia giudiziaria o davanti
all’ufficio della procura per denunciare o querelare o presentare un referto. Quindi secondo le
forme previste dalle cosiddette condizioni di procedibilità si deve iscrivere quel fatto che
ipoteticamente corrisponde a una fattispecie incriminatrice: pertanto l’ufficiale di polizia giudiziale
o il sostituto procuratore o il pubblico ministero deve iscrivere la notizia nell’apposito registro di
notizie di reato.
Si usa il verbo DOVERE e non POTERE: questa è l’obbligatorietà dell’azione penale, l’obbligo di fare
diventare quella voce del privato o se si stratta di un delitto perseguibile d’ufficio in questo caso
quella voce pubblica del pubblico ministero un inizio di un procedimento.
L’obbligatorietà dell’azione penale è il frutto della reazione al codice Rocco, si è voluto contrastare
il rischio che si era verificato durante il fascismo della scelta tra reati e reati, cioè tra reati
perseguiti e non perseguiti.
Significa che, per esempio, alcuni reati politici che venivano commessi dall’opposizione avevano
un canale privilegiato e venivano subito perseguiti mentre altri no, quindi c’era una disuguaglianza
tra i cittadini.
L’uguaglianza dell’art. 112 Cost. non è altro che un’attuazione in concreto del processo penale del
principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. à siccome tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge,
tutti i cittadini devo essere uguali quando hanno subito una lesione di una loro posizione giuridica
soggettiva; quindi è una proiezione dell’art. 3 laddove si ipotizza che è stata lesa una posizione
giuridica soggettiva.
Tuttavia questo ha portato a un’ipertrofia del sistema: ci sono milioni di notizie di reato pendenti
e, vista la mole di reati costruita negli anni per la volontà di rassicurare la collettività, si è
scambiato il codice penale come uno strumento di rassicurazione sociale.
Quindi, invece di sfoltire le ipotesi delittuose, si sono andate sempre più aumentando tali ipotesi
delittuose.
C’è una carenza di organico, c’è una grande carenza di organizzazione telematica: carenza di
cancellieri e ausiliari e in ogni caso non basterebbe neanche questo, vista questa organizzazione
così elefantiaca dei reati. Allora si è cercato di rivedere l’obbligatorietà dell’azione penale.
Ma parlare dell’obbligatorietà dell’azione penale in Italia è un tabù, si è cercato allora di porre dei
correttivi e dei contemperamenti di stabilire dei criteri di priorità: ci sono state delle procure molto
coraggiose - come per esempio la procura di Torino del procuratore Zagrebelsky, oggi in pensione,
che aveva stabilito una lista di criteri di priorità - ci furono dei convegni su questa sua iniziativa in
cui affermò che non è vero che c’è l’obbligatorietà dell’azione penale, in quanto non è possibile, è
la società stessa che reclama giustizia di fronte a fatti che hanno più disvalore sociale rispetto ad
altri.
In realtà è una pseudo-obbligatorietà dell’azione penale, che serve solo ad ingolfare il carico degli
uffici di procura e che ha come via di uscita un istituto che si chiama “cestinazione delle notizie di
reato” cioè quelle notizie di reato che appaiono apparenti, che appaiono non avere gli elementi
tali da avere il fumus commissi delicti ; queste vengono iscritte non nel registro del modello cui
all’art. 335 c.p.p., ma vengono iscritte nel modello 45, che è un registro apposito, in quanto si deve
dare traccia lo stesso di queste pseudo-notizie di reato, perché poi potrebbero verificarsi degli
eventi che da pseudo-notizie di reato possono farli diventare notizie di reato.
Quindi questa obbligatorietà dell’azione penale è uno specchietto per le allodole, perché
sappiamo tutti che ogni procura stila una lista di reati per la quale viene la priorità e lo fa con
assoluta ragionevolezza, tenendo conto dell’organico che ha e della gravità dei reati che ha.
È pure un tabù parlare di criteri di priorità e ancora di più parlare di criteri di discrezionalità
dell’azione penale, come in America e in Gran Bretagna, perché sembrerebbe voler minare al
principio di uguaglianza. Sarebbe invece il tempo di ragionare su questo, ma i quanto veniamo da
un regime dittatoriale dove il criterio di discrezionalità era usato per perseguire qualcuno a scapito
di altri, sentire parlare di non obbligatorietà evoca tempi bui e di discriminazione; quindi non si è
pronti culturalmente e il risultato è l’ipertrofia del sistema che implode di notizie di reato.
Il 24 ottobre 1988, con il d.PR. n. 447 viene varato il codice Vassalli, che sarebbe entrato in vigore
il 24 ottobre dell’anno successivo. Questo codice rompe con il passato e imprime una svolta a
orientamento accusatorio. Tuttavia il codice, a seguito della bocciatura della famosa bozza di
Carnelutti e Cordero che aveva dato un imprinting molto più forte in senso accusatorio, aveva
affrettato i tempi per la chiusura e aveva per questo tralasciato una serie di lacune e di sviste, di
incoerenze ì che Giovanni Tranchina aveva definito come “nostalgie inquisitorie”.
Quindi PG, PM e giudice istruttore - poi il dibattimento nell’oralità e nella complicità e con la difesa
si svolgeva questo dibattimento - ma raramente si potevano ribaltare i saperi della PG ragionati e
razionalizzati dal PM con nuove prove e dal giudice istruttore, tutto svoltosi senza difesa e senza
contradittorio.
Perché c’era una visione leviatanica quella secondo cui occorre raggiungere il fine (il fine giustifica i
mezzi), e il fine è la ricerca della verità nel sistema accusatorio e in quello inquisitorio è
storicamente individuato nell’età dell’Impero Romano I secolo d.C. poi ovviamente nel Medioevo e
in tutti i periodi dittatoriali e oscurantistici; questo è però il modello puro perché quasi mai tranne
nei modelli dittatoriali o nel sistema puro il modello non esiste, tranne queste accezioni tutti gli
altri sistemi inquisitori sono sistemi temperati a orientamento inquisitorio.
Il sistema accusatorio puro non esiste, è esistito solo nella Roma repubblicana del IV secolo ed è
un sistema che vede l’esaltazione dell’individualismo, nel quale il processo viene visto come una
contesa ad armi pari tra privati: i due contendenti sono i privati - l’accusato e l’accusatore – tanto
è vero che l’accusatore era l’offeso, non era un pubblico ministero; “actio rei vindicatio” era il
privato accusato e accusatore e c’era la pubblicità, mentre nel sistema accusatorio la segretezza e
le prove sono quelle selezionate e ammesse dalle parti, nel sistema inquisitorio erano quelle
cercate dal giudice; là cercate dalle parti in pubblicità e nel contradditorio lì dal pubblico ministero
e dal giudice nella segretezza.
La iurisdictio, cioè l’emanare il diritto, era compito del giudice sulla base delle prove cercate dalle
parti, quindi il giudice era terzo imparziale e si pronunciava su quello che le parti gli portavano.
Poi piano piano con il tempo non fu più il privato a portare le prove, ma un pubblico ufficiale e
quindi non fu più una contesa tra privati, allora pian piano il pubblico ufficiale si avvicinò al giudice
e lentamente essendo collega questo pubblico ufficiale del magistrato/giudice storicamente si
andò ad assimilare; da lì si arrivò verso l’impero e quindi alla coincidenza del pubblico ministero
con il giudice e quindi con il giudice che cerca le prove.
Nel processo a vocazione accusatoria il processo è orale: si deve svolgere tramite l’ascolto diretto
e orale delle parti dei testimoni dei periti e dei consulenti tecnici del pubblico ministero, che spiega
l’imputazione attraverso la viva voce di tutti i soggetti coinvolti.
Il processo si svolge secondo il principio dell’oralità: questo è scritto nella legge delega che ha
delegato il Parlamento a emanare il d.PR. n. 447 del 1988 nella legge delega n. 81 del 1987 alla
direttiva n. 2.
Immediatezza significa rapporto diretto tra giudice e persone e fonti dichiarative, fonti da cui
viene la dichiarazione.
Giuseppe Chiovenda diceva <<la concentrazione che tutte le racchiude>>, cioè tutte le altre regole
di cui stiamo parlando in realtà sono principi, perché diceva che la pubblicità, il contradditorio,
l’oralità e l’immediatezza senza la concentrazione si disperdono.
Dato che l’immediatezza è l’apprensione diretta dei fatti delle fonti dichiarative, l’oralità è la
escussione orale perché il giudice va in camera di consiglio con un patrimonio non solo dei verbali
(perché tutto si verbalizza, ma se passa tempo piò non ricordare e avere solo gli atti “morti” e le
carte scritte); ma tutto un patrimonio di non detto, che sono le titubanze, il guardare o meno il
proprio avvocato, vedere se uno è intimidito, se uno è credibile o deciso.
Quindi uno può dire era titubante e guardava continuamente per farsi suggerite la risposta il
testimone o sembrava farsi intimidire dall’imputato dietro le sbarre, ma se il giudice va in camera
di consiglio 2 anni dopo rispetto a quando ha sentito il testimone, che ricordi può avere?
Un tempo come in America, 3 mesi per chiudere un caso di omicidio: questo vuole il processo
accusatorio.
È dunque perché altrimenti contradditorio, immediatezza e oralità si disperdono, perché è
un’esperienza umana viva, data appunto dal rapporto diretto; immediatezza tra giudice e fonti di
prova - rapporto orale, ecco perché oralità e immediatezza sono un’endiadi, sono un tutt’uno, due
facce della stessa medaglia.
Questi principi sono i principi del giudizio, Libro VII del codice, mentre la terzietà e imparzialità
riguardano tutto il processo (dalla richiesta di rinvio a giudizio all’esecuzione); mentre
contraddittorio, oralità/immediatezza, pubblicità e concentrazione riguardano la fase del giudizio,
il cuore del processo, il giudizio dibattimentale.
Quindi “dicere ius”, dire il diritto, entrambi dicono diritto e poi in quella sintesi il diritto lo emana il
giudice, che può benissimo disattendere le pretese dell’accusa o della difesa, ma non può
ignorarle, si deve pronunziare sulle pretese, anche se le rinnega, ma deve dire perché le
disattende. Quindi il contraddittorio è un dialogo, un ragionamento che attraversa l’altro
ragionamento, è un ragionamento partecipato, collettivo, un incrocio di ragionamenti che poi
diventa sintesi nella decisione del giudice. Perché non è mai quello degli americani o degli inglesi il
verdetto, perché il verdetto, “detto come vero”, è quello che la giuria popolare dice; in Italia invece
ci sono i giudici popolari che affiancano i giudici togati, il nostro è un giudizio tecnico, giuridico e
scientifico, è una sussunzione del fatto in una categoria penalistica con un bilanciamento delle
circostanze aggravanti e attenuanti e che quindi pretende una conoscenza specifica del diritto; non
è quindi una mera percezione dei fatti, così come avviene per i Paesi anglosassoni. In Italia deve
essere giusto, iustus, diritto, non deve essere percepito e sentito da noi, ma deve essere spiegato
come tale, dando conto e motivazione e questo lo può fare solo il giudice e si chiama libero
convincimento.
Quindi ogni processo, dice l'art. 111 Cost., si svolge davanti a un giudice terzo e imparziale,
fisicamente diverso ed equidistante dal pubblico ministero e dal difensore.
Nel contraddittorio c'è un errore clamoroso nella Costituzione italiana: il contraddittorio non è fra
le parti, il contradditorio è delle parti dinnanzi al giudice; non si contraddicono tra loro, non si
parlano tra di loro, è il contraddittorio delle parti col giudice, parlano col giudice e nessuno può
essere accusato senza che sia stato messo nella condizione di potere esaminare o contro-
esaminare colui che lo ha accusato.
Ma l'errore gravissimo, la nostalgia inquisitoria dell’art. 111 c.p.p. è il rimando all’interrogatorio.
L'interrogatorio non esiste se non alla fine delle indagini preliminari ed è uno strumento a difesa;
invece, come mezzo di prova esiste l’esame (errore gravissimo che già esisteva nel codice Rocco).
Il mezzo di prova è l'esame, quindi nessuno può essere accusato da una persona che non sia stata
esaminata.
Altro errore è il fatto che sia stata esaminata da se stesso: non c'è l'esame da parte della persona,
l’esame è sempre da parte del difensore, invece è come se affermasse la possibilità - come c'è in
altri Paesi - dell’esame diretto da parte dell’imputato; in Italia c'è per forza la difesa, che è tecnica.
Quindi c'è un doppio errore: lo chiama interrogatorio e poi fa credere che si tratti di interrogatorio
da parte dell'imputato, mentre la difesa è un mezzo necessario, non si può eludere. Scimmiotta
l’art. 6 della CEDU, quindi questo è l’errore, eliminando gli errori, che l'interrogatorio è condizione
essenziale di regolarità della giurisdizione. Non si può essere accusati da una persona che poi si
sottrae al contraddittorio e quindi non sia stata sottoposta al contraddittorio.
La legge poi regola la ragionevole durata del processo, altro principio fondamentale, quindi il
processo deve avere una ragionevole durata, e spetta alla legge stabilire quale sia questa
ragionevole durata. Ragionevole durata del processo significa che non è un processo con un tempo
stabilito, come purtroppo ha stabilito la riforma Cartabia con l'imprescrittibilità: ragionevole
durata del processo non è un tempo a pena di decadenza, significa durata razionale, giustificata in
base al numero di imputati, al numero e alla gravità delle imputazioni.
Quindi volta per volta si dovrà vedere se in base al numero degli imputati, alla gravità delle
imputazioni e al numero dei testimoni la durata è stata proporzionata o meno rispetto alla
complessità degli accertamenti da svolgere; solo così la persona se ne poteva indire la Corte di
Strasburgo per lamentarsi dell’irragionevole durata del processo. Se c'erano 30 testimoni e 20
imputazioni e il processo è durato tre anni, non è irragionevole; se per un piccolo furto il reato è
durato 3 anni, il processo è irragionevole.
Dunque la ragionevole durata del processo significa “giustificata rispetto alle prove, alle
imputazioni, alla complessità degli accertamenti tecnici, agli adempimenti da fare, ai mezzi di
prova”.
L’Italia è tra i Paesi che hanno avuto più condanne da parte dell'Unione europea per l'irragionevole
durata dei processi, insieme alla Grecia, alla Bulgaria, ai Paesi dell'Est.
Il contraddittorio è il DNA del processo penale accusatorio: le prove si acquisiscono oralmente,
nell'immediatezza dei fatti e su disposizione delle parti, cioè devono essere le parti a indicare quali
prove vogliono acquisire; il giudice ha un potere di screening, cioè di stabilire quali prove
ammettere e quali non, secondo il criterio di legalità, non superfluità e non di rilevanza.
Importantissimo è il comma V: dopo averci fatto credere che è fondamentale il principio del
contraddittorio, il legislatore costituzionale al comma V apre un argine immenso à <<La legge
regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso
dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta
illecita>>.
La prova non si forma secondo questo metodo dialettico, cioè alla presenza di imputato e pubblico
ministero innanzi al giudice terzo e imparziale nell'oralità e immediatezza: se ci sono tre
condizioni, significa che è sufficiente la presenza di una di queste tre:
Per cui è vero che il contraddittorio è il pilastro fondante, ma è pur vero che abbiamo 2 tipi di
contraddittorio: quello autentico, quello forte, quello effettivo, quello che è stato chiamato (cit.
Siracusano) contraddittorio per la prova - che è sempre più raro - cioè il contraddittorio maieutico,
per formare la prova; poi c’è il contraddittorio sulla prova: la parte ha parlato nello stanzino della
polizia giudiziaria e poi in dibattimento; le parti, il Pubblico Ministero e difensore discutono
dibattono, dialogano e contraddicono su quel verbale; quindi contraddittorio sulla prova perché la
prova c’è - pur non essendo prova e quindi si ricostruisce qualcosa che non sarà prova, ma un
surrogato di prova; si sta cercando di fare diventare prova ciò che prova non è.
Il vero contraddittorio, quello maieutico, è quello che dal nulla fa del dialogo lo strumento per
creare la prova, il sapere, quello che Gaeta chiama <<il sapere per la verità>>; invece, con tutte
queste aperture, smagliature nel tessuto del contraddittorio, è prevalso sempre più il
contraddittorio sulla prova, quindi saperi che già ci sono e su questi saperi si intesse un dialogo:
ritessendo queste trame, ricucendole, abbiamo così delle ricuciture fatte nel contraddittorio orale,
ma su un tessuto che già c’è. Il vero contraddittorio è il tessuto che si crea tra le parti e il giudice
immediatamente nell’oralità e nella pubblicità, il contraddittorio sulla prova è invece un tessuto
smagliato che si ricuce davanti al giudice, un tessuto che già c’è, creato dalla polizia giudiziaria su
delega o dal pubblico ministero.
Il contraddittorio che pretende l'impianto accusatorio è il contraddittorio per la prova, che deve
servire per la verità e, come dichiara Franco Cordero con un brocardo inglese del 1700, nel
processo accusatorio l'imperativo deontico fondamentale dovrebbe essere quello secondo cui “la
caccia vale più della preda”, il metodo deve valere più del risultato. Dunque dovremmo eliminarne
il consenso, quell’accertata impossibilità, quella provata condotta illecita, perché non dobbiamo
raggiungere una verità ad ogni costo, ma dobbiamo applicare oralità, pubblicità, concentrazione,
immediatezza e contraddittorio. Del resto, diceva Francesco Carraro nel 1800, <<meglio 100
colpevoli fuori che un innocente dentro>>: non c’è una verità a ogni costo; la caccia vale - dicono
gli inglesi - più della preda e invece noi siamo sempre in bilico tra la verità per la verità e la caccia
vale più della preda.