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IL DIRITTO E LA MENTE
• Il Consiglio giudiziario è un organo collegiale , esistente presso ogni sede di Corte di appello,
costituito da:
- Due membri di diritto, cioè il Presidente della Corte di appello e il Procuratore generale presso
la Corte di appello;
- Magistrati, eletti dai colleghi del distretto;
-MAGISTRATURA REQUIRENTE: ha per oggetto l’attività dei Pubblici ministeri sia in campo civile
che in campo penale.
In campo civile, i casi nei quali è necessario l’intervento del Pubblico ministero sono
espressamente previsti dalla legge all’articolo 70 del Codice di procedura civile: si tratta delle
controversie matrimoniali, di stato e capacità delle persone, come per esempio i procedimenti
di interdizione e di inabilitazione.
- L’attività prevalente del Pubblico ministero è in campo penale, nel quale egli è il titolare
delle indagini e a tale scopo ha a propria disposizione i vari Corpi di polizia giudiziaria
(Carabinieri, Polizia di stato e locale, Guardia di Finanza e altri). Nel processo penale il Pubblico
ministero sostiene l’accusa contro l’imputato. L’ufficio di Pubblico ministero esiste accanto a
ogni Tribunale ordinario, al Tribunale per i minorenni, alla Corte di appello e alla Corte di
cassazione. Per quanto riguarda gli uffici presso il Tribunale, il magistrato che lo dirige è il
Procuratore della repubblica; per quanto riguarda la Corte di appello e la Corte di Cassazione è
il Procuratore generale.
Le azioni che lo Stato vieta sono elencate nel codice penale e in altre leggi; se un’azione, un
comportamento non è previsto tra quelli vietati, non è reato.
Il PROCESSO CIVILE nasce quando un soggetto (chiamato "attore"), in disaccordo con un
altro soggetto, si rivolge al giudice reclamando quello che ritiene essere il proprio diritto; l'altro
(chiamato "convenuto" o “parte resistente”) si presenterà al giudice sostenendo a sua volta
quello che ritiene essere il proprio diritto.
Sarà cura di ognuna delle due parti fornire al giudice tutti gli elementi (documenti e
testimonianze) che riterrà utili a sostenere la propria causa; il giudice esaminerà quanto gli sarà
stato sottoposto e, se necessario, disporrà l'acquisizione di nuovi elementi; sulla base di ciò che
la legge prevede per i casi, il giudice formulerà la propria decisione.
Il PROCESSO PENALE, invece, ha luogo quando una persona compie un'azione
considerata reato dalle norme vigenti. Ciò avviene:
- quando una persona si rivolge ad un ufficio giudiziario che si chiama Procura della
repubblica, denunziando che qualcuno ha compiuto un reato, o si rivolge alle forze dell’ordine,
le quali riferiscono alla Procura;
- quando le stesse forze dell’ordine che nell’esercizio della loro attività di vigilanza ritengono
che qualcuno abbia violato la legge penale e ne informano la Procura.
Il magistrato della Procura cui giunge la segnalazione di un reato, svolge tutte le indagini che
ritiene opportune con tre obiettivi: 1. Accertare che il fatto sia realmente avvenuto ;
2. Accertare che quanto avvenuto sia previsto dalla legge come reato;
3. Individuare la persona o le persone che ne sono responsabili.
Se e quando ritiene di aver acquisito elementi di certezza su questi obiettivi, ne dà notizia al
giudice, il quale avvierà il processo.
Nel processo penale le due parti (principali) non sono, dunque la (presunta) vittima e il
(presunto) responsabile del reato, bensì il Pubblico ministero, ovvero il magistrato che
sostiene la colpevolezza dell'imputato, e l'imputato. Questo perché tra l'interesse
privato di chi ha subìto il danno e l'interesse pubblico della collettività, è il secondo che viene
considerato prevalente.
La persona che sostiene di aver subìto il danno partecipa attivamente al processo (si chiama
"parte civile"), ma solo nell’attesa di un risarcimento di natura patrimoniale.
5. Competenza territoriale degli uffici giudiziari
Gli unici organi che hanno competenza sull'intero territorio nazionale sono la Corte
costituzionale, il Consiglio di Stato e la Corte di cassazione.
CORTE COSTITUZIONALE: giudica sulla legittimità costituzionale delle norme statali e regionali
rispetto alla suprema norma (la costituzione repubblicana); sulle eventuali accuse promosse
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contro il Presidente della Repubblica; sui conflitti di attribuzione tra i diversi poteri dello Stato;
valuta l'ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo di norme vigenti.
La Corte è composta da 15 giudici nominati per 1/3 dal Presidente della Repubblica, per
1/3 dal parlamento e per 1/3 dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa
(Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei conti).
Giudice di pace
Il GIUDICE DI PACE è un organo giudiziario monocratico affidato a un magistrato
onorario, nominato con decreto del Presidente della repubblica su segnalazione del Consiglio
giudiziario del luogo. La persona deve possedere alcuni requisiti, tra i quali;
- Laurea in giurisprudenza;
Il Giudice di pace dura in carica quattro anni; l’incarico può essere rinnovati altre due volte e
un’altra ancora dopo un intervallo di quattro anni. Ha sia competenze sia civili che penali:
in ambito civile, il Giudice di pace ha il compito di tentare una conciliazione tra le parti, cosa
che può fare in tutti quei casi in cui la funzione conciliativa non sia riservata espressamente
ad altri giudici. Tra le sue competenze, inoltre, vi sono le cause relative a beni mobili di valore
non superiore a 5.000 euro e quelle riguardanti la circolazione nautica e automobilistica, purché
non superino il valore di 20.000euro.o In ambito penale, il Giudice di pace non può infliggere
pene detentive: le sole pene limitative della libertà a sua disposizione sono l’obbligo del
condannato di trascorrerei fine-settimana nella propria abitazione o quello di svolgere un
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lavoro gratuito di pubblica utilità. Può però infliggere pene pecuniarie fino a un massimo di
2.582 euro. Anche in campo penale, infine, è previsto un tentativo di conciliazione.
la Corte di assise da intendere come sezione penale del Tribunale competente in primo grado
per i reati più gravi. Il Tribunale è il primo giudice per eccellenza e giudica sia in composizione
monocratica che in composizione collegiale: In materia civile, il Tribunale giudica in
composizione monocratica, tranne che in alcuni casi particolari (cause fallimentari,
impugnazione di testamento, ecc.) e nei procedimenti in cui è previsto l'intervento del Pubblico
ministero;
• In materia penale, invece, il Tribunale giudica in composizione collegiale per i delitti la cui pena
massima prevista è superiore a dieci anni, e per tutti quei delitti che sono ritenuti
particolarmente gravi (ad esempio, i reati di violenza sessuale) o tali da destare particolare
allarme sociale (ad esempio, i reati attribuibili alla criminalità organizzata). Negli altri casi, il
Tribunale giudica in composizione monocratica.
La Corte di assise
• Un magistrato "a latere" , che affianca e aiuta il presidente nell'esercizio delle sue funzioni;
• Sei cittadini chiamati comunemente "giudici popolari", che rappresentano l'opinione pubblica
rispetto all'evento delittuoso in questione. Per questa sua caratteristica, è l’organo giudicante
nel quale meglio che in altri trova concreta applicazione il principio per il quale la
giustizia è esercitata nel nome del popolo. I requisiti che i giudici popolari devono possedere
sono:
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- Cittadinanza italiana.
Ogni giudice popolare dura in carica per la sola durata del processo. Il voto dei giudici popolari è
uguale a quello dei due magistrati, il che comporta che il processo si può concludere con
parità di voti: in questi casi prevale il giudizio più favorevole all'imputato.
I reati di competenza della Corte di assise sono previsti dall’articolo 5 del codice di procedura
penale; si tratta di:
Reati di particolare rilievo sociale , tra i quali i principali sono i reati per i quali è previsto
l'ergastolo o una pena detentiva non inferiore a 24 anni;
Qualunque delitto doloso (= compiuto intenzionalmente, con coscienza e volontà) da cui sia
derivata la morte di una persona;
L'istigazione al suicidio ;
Contro le sentenze della Corte di assise si può ricorrere alla Corte di assise di appello.
La sezione del Giudice delle indagini preliminari (GIP) e del Giudice dell’udienza preliminare
(GUP)
La funzione del GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI (GIP) è quella di tutelare l'indagato: il
GIP, infatti, controlla le indagini svolte dal PM e garantisce all'indagato l'esercizio dei
propri diritti. Il PM, a seguito delle proprie investigazioni sulla persona indagata per il reato, è
tenuto a trasmettere gli atti al GIP quando:
- Ritiene di aver raggiunto la prova della colpevolezza, per cui chiede il rinvio a giudizio
dell’indagato e cioè l'apertura del processo;
- Ritiene che non ci sia motivo per aprire un procedimento giudiziario, perché per esempio
non c’è prova che sia avvenuto il reato, per cui chiede che il caso sia archiviato;
- Ha bisogno di altro tempo per le proprie indagini, oltre quello previsto dalla legge, per cui
chiede al GIP una proroga o la riapertura delle indagini
- Ritiene che vi siano le circostanze per chiedere al GIP di procedere con il rito del giudizio
abbreviato.
Il GIP verifica la legittimità dell’operato e decide di conseguenza. Il GIP deve dare il proprio
parere su:
intercettazioni.
Quando il GIP ritiene che le investigazioni svolte dal PM sono state effettuate in maniera
conforme alla legge e che sono sufficienti a dimostrare la colpevolezza dell'indagato,
interviene in qualità di GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE (GUP): egli, infatti, conduce una
vera e propria udienza, la quale può svolgere soltanto l'azione di verifica (e quindi dare il via al
processo) o dare luogo ad una chiusura anticipata del processo (questa è possibile quando
viene accettata la proposta di patteggiamento, ovvero quando si decide di procedere con il
cosiddetto giudizio abbreviato e cioè sulla base dei soli atti acquisiti fino a quel momento).
quale ha sede la Corte di appello al cui distretto appartiene il giudice che ha emesso il
provvedimento. Il Tribunale, che viene chiamato TRIBUNALE DELLA LIBERTÀ, esamina i
presupposti di fatto e di diritto che hanno dato luogo al provvedimento, e decide confermando
o revocando il provvedimento impugnato.
L’Ufficio di sorveglianza
L'UFFICIO DI SORVEGLIANZA ha competenza per il territorio di più tribunali, tanto che a fronte
di 167 tribunali esistono 56 Uffici di sorveglianza; comprende due organi:
- Relativamente alle funzioni amministrative, vigila sul buon funzionamento delle strutture
penitenziarie, fa da tramite tra queste e il Ministero della giustizia, esamina i reclami
e le istanze dei detenuti e decide sulle licenze e sui permessi richiesti dai detenuti;
Il TRIBUNALE PER I MINORENNI nasce, dunque, come Tribunale penale, ma nel tempo ha
assunto molti altri compiti; esso ha:
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Competenza PENALE , come giudice di primo grado per i reati compiuti da soggetti di età
compresa tra i 14 e i 18 anni. Ha anche le funzioni di Tribunale della libertà per quanto riguarda
i provvedimenti restrittivi a carico di minorenni;
Competenza CIVILE , in quanto organo che valuta la capacità dei genitori di
adempiere adeguatamente al compito di “mantenere, educare e istruire i figli, come recita il
Codice civile, e che prende provvedimenti necessari quando questa condizione non si verifica. È
inoltre l’organo che rilascia l’attestazione di idoneità ad
adottare un minorenne straniero e che provvede alla adozione dei minorenni di nazionalità
italiana;
Uno dei magistrati di carriera del Tribunale per i minorenni ha le funzioni di GIP, mentre le
funzioni di GUP sono affidate ad un collegio composto da un magistrato di carriera e due
onorari, uno dei quali deve essere di sesso femminile.
Per l’ampiezza e la delicatezza dei propri compiti, il Tribunale per i minorenni si serve della
collaborazione del locale ufficio di servizio sociale per i minorenni (USSM), nonché dei servizi
sociali dei comuni e dei servizi delle aziende sanitarie provinciali (consultori familiari, servizi di
psicologia, ecc.)
La Corte di appello
La CORTE DI APPELLO nasce dal principio per cui i provvedimenti sia civili che penali del giudice
di primo grado possano essere appellabili dinanzi ad un diverso giudice da parte di chi non si
sente soddisfatto del primo provvedimento. Essa è competente a ricevere il ricorso per i
provvedimenti emessi dai giudici del proprio distretto. Tranne poche eccezioni, essa provvede
sempre in composizione collegiale, costituita da due giudici e un presidente.
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Il processo di appello ha una caratteristica: la Corte prende in esame e giudica soltanto quelle
parti della sentenza di primo grado per le quali si è proceduto al ricorso. La Corte può
confermare o riformare (cioè modificare) la sentenza di primo grado, ma in campo penale la
nuova sentenza non può prevedere una pena più grave della precedente.
Anche la Corte d'appello, come il Tribunale, è organizzata in sezioni specializzate per materia:
La Corte di cassazione
A volte capita che il giudice, per valutare adeguatamente i fatti che gli vengono
sottoposti, si rivolge a un esperto di una particolare materia di cui egli non ha
competenza.
Qual è l'accertamento da fare e cosa vuole sapere= il quesito; A chi intende dare l'incarico =
la nomina dell'esperto.
La nomina può essere fatta ad uno o a più esperti, della stessa disciplina o di
discipline diverse;
La data dell'udienza nella quale l'esperto individuato dovrà presentarsi per ricevere
l'incarico.
La perizia ha valore di prova e ciò che attesta non può essere messo in discussione se non
dimostrando che è frutto di falsificazione o errore;
Si ipotizza che se il giudice chiede a un esperto qualcosa che egli non sa, e il responso di questi
contribuisce alla formazione del suo convincimento, avviene di fatto uno
spostamento della funzione del giudicare dal giudice all’esperto. Tutto questo accade in
maggior misura nella perizia, perché essa ha valore di prova, ma anche, in qualche
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Esistono delle norme e dei princìpi cui periti e consulenti devono seguire:
• La legge dispone che il perito o il CTU, nel momento in cui è convocato dal giudice, deve
prestare un giuramento;
• Il perito e il CTU redigono/compilano un verbale delle operazioni che compiono, che deve
essere firmato anche dalle persone che a qualsiasi titolo hanno partecipato, a garanzia del fatto
che le operazioni si sono svolte come descritto;
• Tutti gli accertamenti compiuti dal perito o dal CTU avvengono con la partecipazione dei
consulenti di parte, i quali hanno la facoltà sia di segnalare al giudice eventuali
inadempienze/mancanze del perito o del CTU, sia di formulare note critiche alla
relazione prodotta dall'esperto (il consulente tecnico di parte CTP è quello nominato dalle parti
in causa) ;
• Il perito o il CTU deve comunicare al giudice non solo le conclusioni cui è arrivato ma anche
tutto il percorso metodologico di cui si è servito (principi scientifici cui si è ispirato, strumenti
di ricerca e valutazione, ecc.);
• Nel processo civile, il giudice può decidere di convocare il CTU in udienza; nel processo
penale, invece, il perito viene sempre convocato per esporre il lavoro svolto e le conclusioni
cui è giunto;
• Qualora non fosse convinto dell'operato del perito o del CTU, il giudice ha la facoltà di chiedere
un nuovo accertamento allo stesso o ad un esperto diverso.
I criteri che garantiscono la competenza dell’esperto richiesta dalla norma sono due:
Criterio formale , ovvero l'iscrizione all’albo. Per quanto riguarda l’iscrizione all’albo,
l’iscritto deve avere requisiti quali la residenza, il godimento di diritti civili, la buona
condotta e che non sia stato oggetto di condanne;
Criterio totalmente affidato alla personale valutazione del giudice. In quanto alla competenza
vera e propria, l’esperto deve avere titoli e documenti che attestino tali competenze.
L’articolo 67 delle norme di attuazione prevede che il giudice può scegliere il perito anche al di
fuori dell'albo, a patto che si tratti di “ una persona che svolge la propria attività professionale
presso un ente pubblico “, perché si suppone che una persona alle dipendenze di un ente
pubblico abbia superato un procedimento di selezione.
Nella PRIMA FASE, egli svolge indagini volte ad accertare il reato, ad identificarne l'autore e a
raccogliere prove della sua colpevolezza; infine, sulla base delle prove acquisite, egli chiede che
l'indagato venga processato.
La SECONDA FASE, invece, è quella del processo, in cui il PM presenta al giudice le prove della
colpevolezza dell'imputato, chiede la sua condanna e propone la pena da infliggergli.
Sia nella prima che nella seconda fase, il PM può servirsi dell'operato di un esperto,
conferendogli l'incarico di una consulenza tecnico-scientifica (nella fase delle indagini per
propria insindacabile iniziativa; nella fase del processo nel caso in cui il giudice abbia dato un
incarico peritale).
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Come consulente del PM nella fase delle indagini, l’esperto è tenuto al rispetto di quanto
previsto dall’articolo 358 del codice penale, il quale obbliga il magistrato inquirente
(= il consulente) a svolgere anche “accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona
sottoposta alle indagini”; il consulente cioè deve fornire al PM la verità scientifica su quanto è
oggetto del proprio esame, anche quando essa è difforme/differente dall'ipotesi accusatoria
che quest'ultimo sta seguendo.
Tutte le volte in cui il giudice nomina un esperto per effettuare una perizia o una
consulenza tecnica, le parti hanno diritto a nominare propri consulenti. Essi hanno
sostanzialmente TRE COMPITI:
1. Vigilare sul fatto che l’esperto del giudice svolga il proprio lavoro nel rispetto delle regole
procedurali e tecnico-scientifiche;
- Nel processo penale vale il principio per il quale le parti non possono nominare un numero
di consulenti superiore al numero dei periti; inoltre, i consulenti possono partecipare all'udienza
nella quale il giudice conferisce l'incarico e formula i suoi quesiti al perito e, in quell'occasione,
“possono presentare al giudice richieste ed osservazioni delle quali è fatta menzione nel
verbale”.
- Nel processo civile, invece, non c'è limite al numero dei consulenti di parte; il codice,
peraltro, limita la possibilità di nominare più di un consulente d’ufficio soltanto ai
casi “di grave necessità, o quando la legge espressamente lo dispone”(articolo 191.2 c.p.p.).
Non è prevista la partecipazione dei consulenti alla formulazione dei quesiti da parte del
giudice. Questioni di deontologia professionale nella consulenza psicologica di parte
Uno degli argomenti più delicati del lavoro psicologico in campo forense è quello della
“veridicità” delle affermazioni nelle consulenze psicologiche di parte. Il CODICE
DEONTOLOGICO degli psicologi contiene alcune norme che nel loro insieme
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delineano come eticamente dovuto dagli psicologi un comportamento del quale non può non
fare parte il rispetto della verità:
Il consulente di parte può liberamente fare affermazioni false purché esse siano
nell’interesse del suo cliente? Bisogna distinguere tra fatti e valutazione dei fatti:
a) Sui fatti non è consentito fase false dichiarazioni, e perciò non potrà dirsi di aver
esaminato una persona, ad esempio, o di aver osservato un comportamento se non è vero,
come non si potrà modificare il dato di un test;
Il consulente di parte è tenuto al giuramento e gli si attribuisce “l’obbligo di essere sincero sui
fatti che sostiene di avere percepito direttamente”.
Si può affermare, in definitiva, che il comportamento del consulente di parte che vuole essere
realmente utile al proprio assistito deve ubbidire soprattutto a un criterio di opportunità: colui,
infatti, che fonda le proprie tesi su dati riscontrabili anche da altri e che le svolge in coerenza
con le conoscenze scientifiche del campo, produce delle conclusioni che il consulente di
controparte avrà difficoltà a contestare e che, soprattutto, hanno maggiore probabilità di
accostarsi alle conclusioni cui perverrà il consulente del giudice.
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In CAMPO CIVILE: separazione dei coniugi, affidamento e collocamento dei figli minorenni,
divorzio, decadenza o limitazione della potestà genitoriale, affidamento e adozione,
cambiamento di genere, interdizione e inabilitazione, valutazione del danno psichico, morale ed
esistenziale;
Esistono condizioni oggettive del lavoro psicologico che sono specifiche del contesto
giudiziario: la presenza nel corso dei colloqui e del testing di molteplici persone, dovuta alla
necessità di far assistere consulenti di parte e avvocati; le ristrettezze e le
caratteristiche dei luoghi di detenzione; le limitazioni in fatto di numero di incontri e di durata,
ecc.
Bisogna accertare il grado di collaborazione dell'utente, sul quale possono incidere aspetti
motivazionali quali ansia, depressione, irritabilità e scarsa concentrazione, dovuti al contesto
specifico dell'esame. Lo psicologo deve essere esperto della relazione e della comunicazione
per poter comprendere a pieno la persona che esamina.
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Bisogna contrastare la tendenza (frequente nelle perizie e nelle consulenze psicologiche) alla
falsificazione in senso positivo = nascondere aspetti negativi del soggetto c ritengono
pregiudiziali per il giudizio; in senso negativo fingere patologia o disturbi per ottenere
benefici. Gli strumenti
Nello svolgimento del proprio compito, lo psicologo, perito o CTU si avvale degli
strumenti conoscitivi tradizionali, quali il colloquio clinico, l'osservazione e il testing.
Fonti di informazione
• Farsi autorizzare dal giudice ad avere colloqui con i parenti e con qualsiasi altra persona
con la quale il soggetto da esaminare abbia avuto rapporti significativi ai fini dell’oggetto della
perizia o della consulenza;
• Può contattare le persone nel loro luogo di vita, cosa molto utile specie quando si intende
valutare l'ambiente umano e fisico nel quale vive un minorenne;
• Nel rispetto delle norme sulla privacy, può accedere alla documentazione sanitaria e
acquisire copia del diario clinico che ogni istituto di pena tiene per ogni detenuto;
Il colloquio
Nel colloquio clinico in ambito forense l'esperto deve valutare con molta prudenza la narrazione
di eventi e circostanze fatta dall’esaminato, i suoi giudizi su stesso e su altri, le sue emozioni,
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L’osservazione
Nell'area civile, invece, il consulente può creare un particolare setting di osservazione in base
ai propri bisogni conoscitivi. Così è, ad esempio, quando una persona viene chiamata
ad interagire con il coniuge con il quale è in corso una causa di separazione: in questi casi,
l’osservazione può essere libera, ovvero guidata da stimoli appositi dati dall’esperto (come
parlare di uno specifico argomento).
Test e questionari
In ambito giuridico, per rispondere ai quesiti richiesi dal giudice committente o per valutare
caratteristiche cognitive e di personalità, si utilizzano TEST PSICOMETRICI. Lo psicologo forense
dovrebbe essere esperto nell’uso di questi strumenti.
Esiste un'ampia gamma di test che valutano le funzioni cognitive o la personalità, normale o
patologica:
• Scale per la valutazione delle funzioni intellettive generali, che consentono il calcolo del
Quoziente intellettivo;
• Inventari di personalità, cioè questionari strutturati come l'Minnesota Multiphasic Personality
Inventory o il Big Five Questionnaire;
• Testi proiettivi come il Test delle macchie di Rorschach;
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Per quanto riguarda i limiti dei questionari, vi sono ad esempio quelli sullo stress post-
traumatico tanto diffusi in campo giuridico, che vanno considerati con molta cautela, per le
possibilità di falsificazione che comportano e che solo in parte possono essere controllate.
Che si tratti di una causa civile o penale, in ogni procedimento giudiziario c’è in gioco l’interesse
di un soggetto contro l’interesse di un altro. Ci possono essere due situazioni:
• Una situazione legittima in cui il soggetto pur senza falsificare la realtà cerca di mettere in
evidenza gli elementi che ritiene utili al proprio interesse;
• Una situazione non legittima in cui il soggetto deliberatamente falsifica la realtà per conseguire
un ingiusto vantaggio: ad esempio, fingersi malato di mente per giungere a un giudizio di non
responsabilità per un reato commesso è un esempio di questa situazione.
Le occasioni giudiziarie nelle quali l'esperto deve preventivare di trovarsi davanti ad una
simulazione sono parecchie, in particolare nei casi di accertamento della responsabilità penale,
dell'esecuzione della pena e del risarcimento del danno. In quest’ultima area del risarcimento
del danno si riscontra la figura particolare della cosiddetta nevrosi da indennizzo, la persona
aveva già prima dell’evento che ha provocato il danno una struttura di personalità
nevrotica, latente o poco sintomatica.
I detenuti possono simulare disturbi psichici al fine di ottenere vari vantaggi, come ottenere gli
arresti domiciliari, il collocamento in una residenza sanitaria assistita o il trasferimento in un
carcere più vicino alla propria residenza.
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- Nel colloquio, indicatori di simulazione sono il linguaggio della persona esaminata, l'enfasi
posta sulla narrazione dei sintomi, l'esagerazione mimica.
- Anche i test possono essere risolutivi per svelare una simulazione (scala di menzogna e MMPI).
- Abilità all'azione;
- Azione finalizzata;
• L’articolo 98 del Codice penale stabilisce che per l’età compresa tra i 14 e i 18 anni
responsabilità e imputabilità vanno dimostrate accertando la capacità di intendere e di volere;
Per i maggiorenni è la eventuale non imputabilità che deve essere dimostrata.
Questa capacità può essere ridotta o del tutto annullata da fattori diversi: da una
incapacità relativa propria del soggetto, dovuta alla sua personalità e quindi persistente nel
tempo, oppure dall’incapacità in quel momento e in quel contesto specifico.
Ai fini giudiziari, sono da considerare come fonte di infermità mentale solo quei disturbi psichici
che presentano perdita di contatto con la realtà, caratterizzati da percezione alterata
(allucinazioni), cognizione scarsamente organizzata (deliri) e labilità del controllo
affettivo, emozionale e comportamentale. Questi disturbi comprendono la psicosi
schizofrenica o paranoide, l'autismo, psicosi maniaco-depressiva e le sindromi organiche.
Un'altra condizione che determina infermità psichica è la disabilità intellettiva,
caratterizzata dalla compresenza di un Quoziente Intellettivo pari o inferiore a 70 e da difficoltà
nell’adattamento sociale adeguato all’età e al contesto. Questi deficit non consentono di
comprendere correttamente i legami di causa-effetto, di utilizzare la pianificazione e di valutare
adeguatamente gli effetti dei propri comportamenti: la persona è centrata sul “concreto”,
sull'appagamento del bisogno senza prospettiva di programmazione temporale.
Oltre gli aspetti persistenti delle patologie, esistono disturbi transitori che possono provocare
incapacità specifiche relative al momento in cui l'atto deviante è compiuto. Sono le
cosiddette psicosi reattive transitori: si riferiscono a ciò che nel linguaggio comune viene
definito “raptus”, ovvero un impulso irrefrenabile e improvviso che porta ad atteggiamenti
distruttivi, senza possibilità di controllarne l'esecuzione.
Fanno parte di questa categoria: i disturbi nel controllo degli impulsi in soggetti con danni
organici (ad esempio, epilettici) ma anche episodi di delirio o altri disturbi del pensiero
conseguenti ad intossicazione da sostanze psicoattive o alcol, e altre sindromi
connesse a fasi di astinenza.
La legge si pone il problema se il reato compiuto da una persona sia da considerare un evento
eccezionale, dovuto a particolari circostanze, oppure se esista la possibilità che la persona
compia in seguito altri reati: bisogna considerare la PERICOLOSITA’ SOCIALE del soggetto. Il
problema riguarda sostanzialmente lo psichiatra, perché è possibile esprimere giudizio di
pericolosità sociale di una persona solo in connessione ad una patologia mentale di tale rilievo
da comportare mancanza di responsabilità per il reato compiuto.
Il concetto di pericolosità sociale fa dunque riferimento alla probabilità che l'autore di un reato
continui a continui a commettere nuovi reati in futuro. L’articolo 203 del Codice penale dice che
“La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate dall’articolo
133” =L’articolo 133 del Codice penale elenca quali elementi il giudice deve prendere in
considerazione nel determinare la pena; tra questi, si fa riferimento anche al concetto di
CAPACITA' A DELINQUERE del colpevole, cioè l’inclinazione a commettere fatti contrari alla
legge ed è desumibile/deducibile:
1. Dai motivi a delinquere e dal carattere del reo (= colpevole del reato);
2. Dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al
reato;
- La libertà vigilata;
- Il divieto di frequentare locali nei quali si fa uso di alcol;- Per gli stranieri, l'espulsione dal Paese.
In base alla legge (articolo 70 c.p.p.), chi viene sottoposto a processo deve essere in grado di
“PARTECIPARE COSCIENTEMENTE AL PROCESSO”: deve essere in grado di comprendere di
quale reato è accusato, quali sono le prove che vengono utilizzate contro di lui, cosa sta
facendo il suo avvocato per difenderlo, cosa avviene nell'aula e a cosa va incontro.
Si tratta di una valutazione clinica che differisce dalla valutazione sulla capacità di
intendere e di volere:
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Il secondo comma dell’articolo 27 della Costituzione sancisce che “Le pene non possono
consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato”.
Questi operatori, inoltre, possono fungere da collegamento con le strutture esterne al carcere,
sia assistenziali (Servizi sociali comunali, servizi per le famiglie dei detenuti) che sanitarie
(Servizi per le tossicodipendenze SERT e con i Dipartimenti per la Salute Mentale
DSM). Questi operatori, a parte l’assistenza continua che forniscono al detenuto,
dovrebbero svolgere le importanti funzioni previste dall’Ordinamento:
a) la valutazione del detenuto nel contesto del servizio di accoglienza per i detenuti “nuovi giunti”;
Una persona può entrare in carcere o in custodia cautelare, cioè quando la sua colpevolezza
non è stata ancora accertata in maniera definitiva, ma il giudice ritiene esservi il pericolo
che egli fugga o possa inquinare delle prove.
La sofferenza più grande della carcerazione deriva innanzitutto dalla perdita della libertà, ma
anche dall’improvvisa forzata convivenza con persone estranee in spazi ristrettissimi, in cui vi è
impossibile avere un minimo di riservatezza e assecondare le proprie abitudini; la sofferenza
per la perdita della libertà si farà sentire nel tempo, ma quella psicologicamente più
destabilizzante, all’inizio, è una esperienza di spersonalizzazione, la quale in alcuni casi
induce i soggetti dalla personalità più fragile al suicidio.
In tutte le carceri, pertanto, è stato istituito un servizio di accoglienza del detenuto al suo
ingresso; i compiti del servizio sono:
- Riduzione dell’impatto con la realtà carceraria e delle tensioni che possono verificarsi alla
prima esperienza detentiva;
Lo staff del servizio di accoglienza è composto dal medico, psicologo, psichiatra, assistente
sociale e altri operatori. Dunque, il lavoro compiuto dallo staff del servizio di accoglienza è una
sorta di valutazione globale della persona, e ha l’obiettivo di
fornire la risposta adatta a tutti i bisogni del detenuto affinché possa vivere nella migliore
condizione fisica e psicologica possibile l’esperienza del carcere.
Per i detenuti maggiorenni, è prevista l'osservazione scientifica della personalità, “al fine di
accertare i bisogni di ciascun soggetto connessi ad eventuali carenze psico-fisiche, affettive,
educative. Ai fini dell'osservazione, si procede all'acquisizione e alla valutazione dei dati
giudiziari e penitenziari, clinici e psicologici. Attraverso l’osservazione si formula un
programma individualizzato di trattamento, il quale è compilato nel termine di nove mesi.
Nel corso del trattamento l’osservazione è rivolta ad accertare, attraverso l’esame del
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comportamento del soggetto e delle modificazioni intervenute nella sua vita, le eventuali
esigenze che richiedono una variazione del programma di trattamento” (articolo 27).
{È il giudice di sorveglianza che decide sulle misure alternative di detenzione per i maggiorenni}.
La legge prevede un insieme di alternative alla detenzione in carcere, le quali da un lato hanno
una funzione di premio del buon comportamento tenuto in carcere dal detenuto, dall’altro lato
costituiscono un graduale avvicinamento al recupero della libertà e al reinserimento sociale. Le
diverse alternative sono rapportate alla durata della pena cui la persona è stata condannata, la
quale è un’indicazione della gravità del reato compiuto. Le principali misure alternative sono:
• Affidamento in prova al servizio sociale (articolo 47 o. P.) Per l’ultimo triennio di pena, il
condannato può essere affidato al servizio sociale. Si tratta della massima misura
alternativa al carcere perché comporta una totale remissione in libertà, ad eccezione del
rispetto di alcune regole, quali l'obbligo di mantenere i contatti con l'ufficio di esecuzione
penale, di risiedere in un determinato Comune, di lavorare e di non frequentare luoghi e
persone che possano indurre al reato. Se la prova si conclude positivamente, la
pena si estingue.
• Detenzione domiciliare (articolo 47 ter o.k.) Il condannato può scontare la pena presso
la propria abitazione (arresti domiciliari). Può essere concesso se si tratta di donna incinta o
madre di bambini piccoli, padre di bambini piccoli qualora manchi la madre, persone in
condizioni di salute particolarmente gravi, persone di età superiore a 60 anni o di età inferiore
ai 21 anni, per esigenze di salute, studio, lavoro e famiglia.
• Liberazione condizionale Il condannato può scontare la pena fuori dal carcere, in libertà
vigilata, se nel corso della carcerazione ha mostrato con il proprio comportamento di essersi
pentito. Questo beneficio è concesso dopo un accurato studio della personalità del condannato
e di un’analisi delle caratteristiche dell’ambiente familiare e sociale nel quale il soggetto
rientrerebbe.
• Semilibertà (articoli 48-52 o. P.) La concessione della semilibertà consiste nel fatto che il
detenuto è autorizzato a trascorrere parte della giornata fuori dal carcere per dedicarsi
al lavoro, allo studio o ad un'attività utile al suo reinserimento sociale. Può essere concessa
se “in relazione ai progressi, vi sono le condizioni per un reinserimento sociale”. Liberazione
anticipata (articolo 54 o.k.)
Questa misura riduce la pena di 45 giorni a semestre per il condannato che “ha dato prova di
partecipare all'opera di rieducazione”.
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Permessi premio: Possono essere concessi permessi premio per un massimo di 15 giorni e per
non più di 45 giorni complessivi l'anno, “per motivi di particolare rilievo, attinenti allo studio,
lavoro o famiglia”. Le misure alternative alla detenzione, per i maggiorenni, presuppongo una
pena detentiva breve, e per la loro concessione va dimostrata l’adeguatezza in relazione al
reinserimento sociale del condannato e la previsione che la misura non verrà violata
(articolo 58). Tra queste ricordiamo anche la libertà controllata, per una pena detentiva non
superiore ad un anno, la conversione in pena pecuniaria, per una pena detentiva non superiore
a sei mesi (articolo 53). C’è infine l'espulsione, una misura alternativa alla detenzione che
riguarda gli stranieri.
L'art. 196 del codice di procedura penale, dopo aver stabilito che “ogni persona ha la capacità di
testimoniare”, prevede la possibilità che qualcuno, “per infermità fisica omentale”, non sia
idoneo a rendere testimonianza, e pertanto autorizza il giudice a disporre opportuni
accertamenti. La valutazione della CAPACITÀ A TESTIMONIARE è un esame clinico delle
funzioni mentali del soggetto, volto ad accertare se esse gli consentono di rievocare
con sufficiente precisione un evento oggetto della sua esperienza. Questo accertamento non
è tra i più semplici, perché la memoria è una funzione mentale complessa: nella
rievocazione di un evento, infatti, possono intervenire distorsioni emozionali, false
memorie e fenomeni distorsivi. Inoltre, possono interferire con la capacità rievocativa di un
soggetto molteplici stati patologici, quali allucinazioni, deficit cognitivi e disturbi della coscienza.
L'età del soggetto, infine, è una variabile molto importante della capacità evocativa. Il
procedimento per violenza o abuso sessuale su minore
Nel nostro Codice penale, i reati di contenuto sessuale sono compresi tra i reati contro la libertà
individuale. L'elemento discriminante per stabilire se un atto è un reato o meno è il libero
consenso; infatti, l’articolo 609 bis del codice penale sancisce: “Chiunque, con violenza o
minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è
punito con la reclusione da cinque a dieci anni. La stessa pena è prevista per chi induce taluno a
compiere o subire atti sessuali:
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2) traendo in inganno la persona offesa. Nei casi di minore gravità, la pena è diminuita”.
La legge individua tre fasce d'età della vittima:
• Se la vittima ha più di 16 anni, il reato sussiste se vi è la mancanza di consenso da parte della
vittima;
• Se la vittima ha un’età compresa tra i 14 e i 16 anni, il reato sussiste, a prescindere
dall’eventuale consenso, se il colpevole è una persona che ha nei confronti del minore una
funzione di guida e di supporto (genitore, tutore, affidatario);
• Se la vittima ha meno di 14 anni, il reato sussiste in ogni caso. Nei reati sessuali compiuti su
soggetti di età inferiore ai 14, infatti, viene considerato abuso sessuale il coinvolgimento di
bambini e adolescenti, soggetti quindi immaturi e dipendenti, in attività sessuali che non
comprendono ancora completamente, alle quali non sono in grado di acconsentire con totale
consapevolezza. In base alla gravità dell'azione si distingue tra:
• Abuso lieve o moderato, ovvero mostrare al minore materiale pornografico, toccarlo
nelle parti intime, farsi toccare nelle parti intime, fare assistere il minore a rapporti sessuali tra
adulti;
• Abuso grave, ovvero penetrazione anale o in vagina, pratiche masturbatorie, sesso orale. Si
tratta, tuttavia, di una classificazione di scarso significato clinico, perché il fatto che una
esperienza è stata per il minore un trauma lieve, moderato o grave, dipende, oltre che dal tipo
di atto, anche da fattori che devono essere valutati caso per caso, come l'età della vittima, il
rapporto che intercorre tra la vittima e l'aggressore, la frequenza e la durata dell'esperienza, la
rapida disponibilità di un sostegno psicologico.
accudisce, mostrare difficoltà a vestirsi; altre volte, invece, il minore può dare segnali che non
contengono un riferimento alla molestia sessuale, come facile irritabilità, difficoltà
dell’attenzione, disturbi del sonno o dell'alimentazione. Quando un adulto viene a conoscenza
di un caso di abuso o di comportamenti che potrebbero essere di abuso, sorge il dovere della
denunzia. Qualora esistessero dubbi in merito, può essere opportuno consultare un
esperto; questa verifica, tuttavia, è impossibile quando c'è conflitto tra i genitori
relativamente alla reale sussistenza dell'abuso, alla persona sospettata, o quando questa
persona è uno dei genitori stessi; vi è la necessità dell’accordo di entrambi i genitori che
esercitano la potestà genitoriale
-Se la coppia è convivente, invece, il Tribunale può disporre l'allontanamento del minore,
affidandolo temporaneamente ad un'altra famiglia o collocandolo presso una comunità
assistenziale.
I sostenitori dell'intervento immediato sostengono che il bambino debba essere avviato già ai
primi segni di malessere ad un trattamento perché, anche se non si trattasse di abuso, sarebbe
chiaro che il bambino vive una situazione anomala e che, dati i tempi processuali, vi resterebbe
esposto troppo a lungo;
Altri sostengono che, fino a quando non c'è certezza che un'esperienza sessuale impropria sia
avvenuta, sarebbe inutile e persino dannoso che il bambino venga curato per le conseguenze di
un evento che potrebbe anche non essere avvenuto. Ciò che è fondamentale è che al
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Con la denunzia, fatta alle forze dell’ordine o direttamente alla Procura della repubblica, il
Pubblico ministero avvia le proprie indagini, che consistono nel raccogliere la
deposizione del denunziante, dell’indagato, di eventuali testimoni e del minore stesso,
nell’esaminare materiale investigativo e quanto altro possa essere utile ad accertare il reato e
l’autore. Se nei tempi previsti dalla legge il Pubblico ministero acquisisce elementi
sufficienti a provare che il reato è avvenuto e a indicarne il responsabile, si apre il vero e proprio
processo. Una caratteristica dei procedimenti per abuso sessuale a danno di un minore è che
raramente esistono testimonianze dirette e prove oggettive del reato, ed esiste solo la
testimonianza del minore stesso. Vengono a coesistere, quindi, due esigenze non
sempre compatibili tra loro:
- Delegare l'interrogatorio ad una persona appartenente alla polizia giudiziaria che, a sua volta,
potrà procedere da sola o con l'ausilio di un esperto.
- Delegare l'interrogatorio ad una persona appartenente alla polizia giudiziaria che, a sua volta,
potrà procedere da sola o con l'ausilio di un esperto.
LA CAPACITÀ DI TESTIMONIARE
Il problema fondamentale dei procedimenti per violenza e abuso sessuale sui minori è ottenere
dal bambino una testimonianza fedele di quanto accaduto, e questo è un problema tanto più
rilevante quanto più è bassa la sua età. L'articolo 196 del codice di procedura penale afferma
che “ogni persona ha la capacità di rendere testimonianza”: la norma, pertanto, non solo
riconosce al minore piena capacità di testimoniare, ma non pone nessun limite di età: ciò
implica che anche un bambino molto piccolo, purché abbia un minimo di capacità di
comunicazione, può testimoniare.
Si ritiene che:
-In età prescolare, il bambino non è in grado di distinguere tra realtà e fantasia;
-Fino a 9/10 anni la capacità di utilizzare correttamente la categoria vero/falso è molto incerta;
- Il ricordo di un evento può essere facilmente modificato dagli adulti per effetto di induzione.
Domande suggestive possono produrre il ricordo di un evento o di un elemento del racconto in
realtà mai esistito;
-La reiterazione del racconto è fonte di distorsione del ricordo perché induce il bambino ad
aggiungere nuovi dettagli fantasiosi ad ogni nuova richiesta (il bambino è portato a
credere che gli chiedono di raccontare nuovamente perché la prima risposta “non era buona” e
quindi cerca di migliorarla);
-Il passare del tempo modifica il ricordo, sia dal punto di vista quantitativo che dal punto di vista
qualitativo, e modifica anche le emozioni rispetto all’evento.
Oltre questi fattori generali, bisogna prendere in considerazione fattori soggettivi del bambino
in questione, quali lo sviluppo cognitivo, le competenze linguistiche, lo stato emozionale,
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L’INCIDENTE PROBATORIO
L’AUDIZIONE PROTETTA
L'articolo 498.4 del codice di procedura penale prevede che il minore non può essere
interrogato direttamente dalle parti (Pubblico ministero e avvocati) ma solo dal
presidente dell'udienza, al quale è affidato il compito di formulare le domande delle parti in
maniera tale che siano comprensibili per il minore e quanto meno disturbanti possibile. Il
presidente, se si rende conto che questa cautela non è necessaria, può revocarla in qualsiasi
momento e consentire l'esame diretto del minore.
Per STALKING si intende il comportamento di chi assilla frequentemente e per lungo tempo
un'altra persona (non consenziente) con ogni mezzo possibile: telefonate ripetute nel
corso della giornata o in orari insoliti, lettere, biglietti, SMS, scritte sui muri, proponendo inviti,
facendosi trovare nei luoghi frequentati abitualmente; in questo modo lo stalker provoca
forte disagio o paura nella vittima, condizionandone il normale svolgimento della vita.
In genere, il persecutore o stalker non è un estraneo della vittima: spesso si tratta di una
persona con la quale c'era stata una relazione intima, o che vorrebbe una tale relazione e non si
arrende davanti alla manifestazione di un rifiuto; il persecutore, in sostanza, è quasi sempre
mosso da un bisogno di vendetta o di rivendicazione, ovvero da una ostinata richiesta. Qualche
volta il comportamento persecutorio è espressione di una importante malattia mentale, e in
questi casi è possibile che la vittima sia stata individuata in maniera assolutamente casuale. In
Italia, come stabilisce dall’articolo 612 bis del Codice penale, introdotto nel 2009, i
comportamenti di stalking o “atti persecutori” prevedono che la vittima:
• Abbia temuto per la propria incolumità o per quella di propri congiunti; Abbia dovuto
- Mobbing orizzontale , ovvero le azioni persecutorie possono provenire da soggetti che hanno
una posizione gerarchica superiore o da colleghi, e possono avere l'obiettivo di
indurre la vittima a licenziarsi;
- Mobbing verticale o ascendente , cioè i lavoratori si coalizzano contro il capo o lo accusano
ingiustamente al fine di farlo estromettere;
Anche la scuola può diventare luogo di comportamenti mobbizzanti. In tal caso si parla di
BULLISMO, ovvero il comportamento per mezzo del quale un gruppo di pari
sottopone uno dei membri a maltrattamenti o pratiche umilianti. In tali contesti, la vittima può
avere danni psichici come disturbi psicosomatici, del sonno e dell’alimentazione,
dell’autostima, fino ad arrivare alla depressione. Anche quando il singolo atto non è
considerabile reato, l’insieme dell’azione persecutoria può rientrare nella ipotesi del reato di
lesioni personali, il quale, oltre a prevedere la condanna dell’autore, può fare riconoscere
alla vittima il diritto al risarcimento del danno.
Intendere: possesso di abilità cognitive tali da consentire la comprensione degli elementi della
scelta e del loro significato; volere: possibilità di auto-determinazione e auto-limitazione di
fronte a una scelta che trasgredisce una norma anche se appaga un bisogno. Quando si ha a che
fare con i minorenni non si può dare per scontato che abbiano una maturità tale da consentirgli
la comprensione dei comportamenti e il controllo delle emozioni. Una persona è matura
quando è capace di essere giudice delle proprie azioni, tollerare le frustrazioni, controllare le
proprie pulsioni e trovare soluzioni adeguate. Nelle prime fasi di sviluppo si stabilisce un nesso
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tra maturità e moralità: con l’avanzare dell’età la morale diventa autonoma e diventa capace di
suggerire dall’interno cosa si può e non si può fare. Il soggetto maturo e moralmente
responsabile è capace di identificarsi con l’ambiente e condividerne le regole, trovando un
giusto compromesso tra regole sociali e legali. Il grado di maturità del minorenne imputato va
rapportato al suo livello di sviluppo personale e al contesto in cui vive ("maturità relativa"): solo
a seguito di questa valutazione si può definire il grado di imputabilità.
La devianza è il risultato complesso di una serie di rapporti tra percezioni, azioni, motivazioni
della persona e criteri di controllo sociale. La risposta alla devianza deve essere sia giuridica che
sociale: accanto alla sanzione deve esistere anche una funzione di rieducazione e reinserimento
sociale. La decisione riguardo quale tipo di risposta sociale bisogna dare al comportamento
deviante va presa nel processo penale in cui si pone particolare attenzione alla personalità
dell’imputato (DPR 448 del 1988). Nei centri di prima accoglienza vengono accolti gli arrestati in
alternativa al carcere.
L’auspicio è quello di influire positivamente sullo sviluppo della personalità del minore, così da
recuperarlo con il minor danno possibile per tutti.
- Specifiche prescrizioni: inerenti alle attività di studio o lavoro o comunque utili all’educazione
- Permanenza in casa: deve rimanere in casa e può allontanarsi solo per studiare o lavorare. Il
comportamento lo controllano i genitori e spesso non può comunicare con persone diverse da
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quelle che vivono con lui. Questa misura richiede la presenza di una famiglia positivamente
orientata verso il reinserimento del minorenne
- Sospensione del processo con messa alla prova: questa misura è specificata dall’articolo 28 del
c.p.p. Il giudice, sentite le parti (il minore e la famiglia) può decidere di sospendere il processo
per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la
pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi,
per un periodo non superiore a un anno. Il minore viene affidato ai servizi minorili
dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento delle attività di osservazione,
trattamento e sostegno. Decorso il periodo di sospensione il giudice dichiara estinto il reato se
la prova ha esito positivo, oppure si procede con il processo se ha esito negativo. La messa alla
prova non può essere considerata come rimedio puramente procedurale il cui successo dipende
dal numero degli esiti positivi, e può essere valutata solo in ragione del conseguimento
dell’obiettivo di risocializzazione. I rischi di usare questa misura sono che questa venga utilizzata
come mezzo di depenalizzazione implicita, che si verifichi una disparità di trattamento in base
alle sedi e all’atteggiamento dei singoli magistrati; che i tempi processuali e i frequenti ritardi si
prolunghino esageratamente. Gli scopi della messa alla prova sono:
• Stimolare l’autostima del soggetto e aiutarlo a capire che può riuscire a cambiare positivamente
• Valorizzare e canalizzare speranze, risorse e aspettative Riuscire a ottenere una positiva
evoluzione della personalità.
• Indurre il ragazzo avviato verso la devianza a una attiva riflessione sul suo futuro Fornirgli
opportunità e sostegno
• Avvicinarlo a contesti di società civile a cui non avrebbe mai avuto accesso (es. aree di
volontariato)
Questi obiettivi devono fare parte del progetto educativo (previsto dall’articolo 27). Questo va
elaborato dai servizi sociali dei comuni. Deve includere:
La fattibilità del progetto è controllata dai servizi sociali che informano periodicamente il giudice
dell’attività svolta e dell’evoluzione del caso. Concluso il periodo deve essere mandata una
relazione al presidente del collegio e al pubblico ministero che riguarda l’evoluzione della
personalità del soggetto. Se l’esito è positivo il reato viene dichiarato estinto; se l’esito è
negativo si va al processo. È importante che il minore comprenda la disfunzionalità dei sistemi
antisociali seguiti prima che lo hanno condotto alla devianza e che capisca l’utilità di un
cambiamento.
L’area civile
Maltrattamento e incuria
Il diritto può intervenire quando la famiglia non risponde ai bisogni dei bambini. Questa
mancata risposta o inidoneità alla funzione genitoriale può avere diverse origini:
- Impossibilità o incapacità di accudire una persona minorenne perché entrambi i genitori hanno
La non idoneità dei genitori si manifesta in vari modi:- Maltrattamenti fisici e psichici-
Abbigliamento inopportuno- Mancate cure mediche- Scarsa igiene- Cure esagerate, come
ricorrere di continuo al medico, somministrare farmaci senza motivo, simulare le malattie dei
figli (Chemical abusi, sindrome di Munchausen)- Violenze psicologiche, come la segregazione in
casa delle figlie, la pretesa di prestazioni negli studi esageratamente elevate, evasione
scolastica. Le conseguenze comportamenti per i minori possono essere pigrizia, demotivazione,
stanchezza cronica ecc. L'articolo 232 bis prevede l'allontanamento dalla casa familiare del
soggetto autore del reato, disposto dal GIP su richiesta del PM. Gli articoli 230 e 233 prevedono
la decadenza della potestà genitoriale e l'allontanamento dalla famiglia. Se non vi sono parenti
in grado di assumersi la responsabilità in luogo dei genitori il Tribunale attiva una istruttoria e si
avvale dei servizi sociali e clinici prevedendo tentativi di sostegno della famiglia natura da parte
dei Servizi, e/o affidamento temporaneo a famiglie esterne.
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(Legge 149 del 2001 diritto dei minori ad una famiglia) Quando la famiglia naturale non è in
grado di mantenere i minori si può cercare una famiglia affidataria che collabori con quella
naturale, oppure una famiglia adottiva del tutto nuova. L’affido consiste nell’affidare i minori
con famiglie problematiche a coppie con figli propri, ad una persona singola oppure a una
comunità familiare. "L'affidamento familiare è disposto dal servizio sociale e svolge opera di
sostegno educativo e psicologico". L’affido deve agevolare i rapporti tra il minore e i genitori e
deve favorire il reinserimento nella famiglia di origine. La famiglia affidataria deve rispettare il
vissuto del minore, non imporre principi o valenze culturali diversi ed evitare un attaccamento
eccessivo. La famiglia affidataria è fondamentale per produrre una migliore autostima nel
minore e più soddisfacenti modalità relazionali. L’affido non deve superare i 24 mesi ed è
prorogabile dal tribunale ma in Italia è poco diffuso.
Se nessuna valida alternativa alla famiglia naturale è possibile il tribunale può dichiarare lo stato
di abbandono del figlio. A questa dichiarazione consegue quella di adottabilità: sono dichiarati
in stato di adottabilità i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di
assistenza da parte dei genitori. L'interesse del minorenne adottando è giuridicamente
preminente su quello della coppia richiedente adozione. Si deve attivare un "patto adottivo"
poiché l'inserimento all'interno della nuova famiglia comporta problemi affettivi, emozionali,
relazionali e sociali. La coppia aspirante all’adozione deve passare attraverso una valutazione di
idoneità che va accertata:
- La presenza di risorse affettive in grado di sostenere lo sviluppo fisico e psichico del bambino
Dopo il riconoscimento dell’idoneità il tribunale avvia “l'abbinamento” della coppia più idonea a
uno specifico bambino. Compiuto questo abbinamento e affidato il bambino, la coppia viene
seguita per almeno un anno prima dell’adozione definitiva. Trascorso un anno dall’affidamento
preadottivo, il tribunale ascolta la coppia, il minore, il tutore e chiunque abbia svolto una
funzione di vigilanza o sostegno e procede l’adozione con sentenza. Per quanto riguarda
l’adozione internazionale, può essere vista come più agevole di quella nazionale, ma si presenta
un problema importante: le differenze etniche e culturali rendono difficili una reciproca e
rapida identificazione. È infatti importante che i genitori prendano contatto con la cultura del
paese di origine del bambino e ne conoscano le tradizioni. L’adozione mira ad appagare i
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bisogni sia della coppia sia del bambino, creando un nuovo legame generazionale. Separazione
coniugale e divorzio
La legge 54 del 2006 dichiara che il "contratto" coniugale è soggetto a risoluzione, in una fase
meramente di fatto e successivamente anche in quanto all'aspetto giuridico, con la sentenza di
divorzio.
- Consensuale: i coniugi stipulano degli accordi tra loro e li sottopongono al presidente del
tribunale. Questo, dopo averli convocati, tenta una conciliazione; se il tentativo non fa effetto
esamina gli accordi già presi e li rende giuridicamente efficaci con un atto chiamato di
omologazione.
- Giudiziale (detta "per colpa" o "con addebito"): uno dei coniugi chiede che la causa della
separazione sia addebitata al comportamento dell’altro coniuge. L’addebito comporta che il
coniuge ritenuto responsabile perda il diritto all’assegno di mantenimento e il diritto di
ereditare dall’altro coniuge; resta solo il diritto ai cosiddetti alimenti. Anche in questo caso il
presidente del tribunale convoca i coniugi e tenta una conciliazione; se il tentativo fallisce
emette dei provvedimenti provvisori idonei a regolare la vita dei coniugi e dei figli minorenni
finché non si giungerà a una sentenza.
Per chi non ha mai stipulato il contratto matrimoniale e vuole porre fine alla convivenza e sono
presenti figli minorenni, la competenza è del tribunale per i minorenni. In questo caso mancano
il tentativo di conciliazione e le disposizioni provvisorie: presentata l’istanza, il tribunale decide
riguardo l’affidamento dei figli, il collocamento e il diritto di visita. Nelle separazioni un
problema fondamentale è quello dell’affidamento e del collocamento dei figli minorenni. Se
non ci sono motivi gravi come malattia mentale, abuso da alcool o da sostanze stupefacenti. La
norma prevede che i figli siano affidati congiuntamente a entrambi i genitori conservando
entrambi la patria potestà. In caso di insanabile disaccordo sarà necessario ricorrere al giudice.
Il problema pratico è quello del loro collocamento, del luogo dove vivere. Si fa ricordo a diverse
formule:
- Un’altra prevede che i figli vivano stabilmente in un luogo e i genitori si trasferiscano ruotando
periodicamente.
La formula più ricorrente è quella nella quale il giudice dispone il "collocamento prevalente"
presso un genitore e indica quando i figli si trasferiranno presso l’altro genitore (diritto di visita).
Passati 3 anni dalla sentenza di separazione i coniugi possono procedere il vero e proprio
divorzio.
La legge 54/2006 ha introdotto importanti modifiche che ruotano intorno alla tutela del figlio
minorenne come, ad esempio, la "audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici
e anche di età inferiore ove capace di discernimento". Per la tutela del figlio dei genitori che si
separano sono previste sanzioni per il genitore che si renda responsabile di gravi inadempienze
o di atti che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità
dell'affidamento. I diritti del fanciullo sono stati espressi dall'Onu nella Convenzione di New
York del 20 novembre 1989 e la Convenzione di Strasburgo del 1996.
L’autorità giudiziaria dovrà accertare che il minore abbia ricevuto adeguate informazioni sulla
vicenda e gli deve consentire di esprimere la sua opinione della quale si deve tenere conto.
L’estraneità e l’autorevolezza della persona possono essere usati per rassicurare il minore e
dargli un punto di riferimento. Il compito del giudice di raccogliere e tenere conto dell’opinione
del minore solleva delle perplessità:
1) Nell’ottica di un soggetto in età evolutiva che ha sempre vissuto con entrambi i genitori,
dover indicare uno con cui vivere ha dei risvolti negativi perché sposta su di lui l’angoscia di una
mutilazione di affetti e non garantisce che la sua scelta indichi il genitore che avverte più vicino
a sé. È stato individuato infatti il cosiddetto conflitto di lealtà che consiste nel fatto che se il
minore ha una relazione problematica con uno dei genitori, sceglie proprio questo genitore
perché, secondo lui, se dovesse tradire questo genitore quest’ultimo si vendicherebbe mentre
l’altro non lo perderebbe mai.
2) Una seconda perplessità è data dal fatto che quando nelle separazioni ci sono figli
adolescenti si crea una contrapposizione tra il genitore permissivo e il genitore delle regole.
Qualche volta, pur di evitare di stare con il genitore delle regole, i minori ne parlano male
lamentando percorre, trascuratezza ecc.
3) Un’altra perplessità deriva dal fatto che i genitori fanno di tutto per attirare a sé il figlio e
metterlo contro l’altro genitore. Per i minori questa fase è la più dolorosa e disturbante.
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Le separazioni e il divorzio sono fenomeni molto diffusi che spesso comportano l'inserimento di
un nuovo partner in famiglia, dunque, è compito del giudice dettare regole buone per il futuro
di tutto il nucleo familiare. Le separazioni delle famiglie monoreddito segnano una caduta del
tenore di vita, dunque, le questioni patrimoniali e la disputa sul possesso dei figli diventano
luogo in cui si riversano rancori e personali frustrazioni.
Spesso il giudice non ha elementi sufficienti per decidere su chi sia la persona più adatta ad
avere in casa i figli minorenni e sui tempi e i modi di frequentazione con entrambi, quindi, può
dare incarico uno o più esperti di effettuare una consulenza psicologica. Il consulente dovrà:
- Valutare la loro capacità di relazionarsi, la capacità di gestire i bisogni materiali e affettivi dei
figli e le condizioni ambientali e materiali di vita
- Valutare la qualità della relazione dei figli con l’uno e l’altro genitore
L'art. 2043 del Codice civile obbliga al risarcimento del danno. La medicina legale ha messo a
punto un sistema tabellare di valutazione, in termini monetari, di un danno arrecato a una
persona. Si calcola quanto una certa parte o funzione del corpo incide sulla capacità generale
della persona.
Sono stati riconosciuti 3 tipi di danni non fisici (il riconoscimento che un evento può causare
danno all'area psichica è recente e deriva da una rilettura degli art. 2 e 32 della Costituzione): -
Danno psichico: è quello costituito dall’insorgenza di una patologia mentale clinicamente
definibile. Può esistere in maniera indipendente dall’esistenza di un danno fisico, può essere
concomitante oppure può essere derivato. Il risarcimento può essere esteso ai congiunti.
- Danno morale: consiste nella "sofferenza", nel dolore che un evento ingiusto ha provocato
alla persona. L’evento può essere di qualsiasi natura e il risarcimento è tipicamente
compensatorio per la sofferenza subita e per le spese affrontate. Il risarcimento può essere
esteso ai congiunti. - Danno esistenziale: si tratta di un danno psicologico che colpisce gli aspetti
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- L’esistenza effettiva del danno. L’accertamento avviene con gli strumenti diagnostici
classici quali il colloquio clinico o i test. Si aggiungono l'analisi della dinamica dell'evento e il
fascicolo giudiziario.
L’entità del danno: bisogna capire se si tratta di un danno transitorio o permanente. In alcuni
casi si può parlare di guarigione, in altri casi invece la guarigione consiste nell’aver acquisito un
efficace controllo dei sintomi. Il riconoscimento da parte della persona di avere un problema
psichico, la sua disponibilità a farsi curare, la costanza e la diligenza nel praticare le cure
conducono più facilmente al superamento della psicopatologia.
L’esaminatore può dire se un danno psichico è permanente o transitorio solo dopo un certo
periodo dalla sua insorgenza. Molti tribunali hanno prodotto una criteriologia del risarcimento
in termini di percentuale ma non è facile nel caso della valutazione del funzionamento mentale.
- Il nesso di causalità tra il danno e l’evento: bisogna dimostrare che la condizione psichica
sia dovuta all’evento dannoso e non ad altre cause. Questo accertamento si fa tramite
un’accurata ricostruzione anamnestica della persona e confrontando la sua condizione di vita
prima e dopo il fatto.
Si tratta di tre istituti che tutelano le persone che non possono tutelare la propria persona e i
propri beni.
Interdizione: può essere emesso a tutela di persona maggiorenne o minorenne emancipato che
si trovano in condizione di infermità mentale che li rende incapaci di provvedere ai propri
interessi. Il consulente deve prendere in considerazione vari elementi:
- L’abitualità della patologia con valutazione clinico-psichiatrica (prolungata nel tempo anche se
non inguaribile)
- L’incidenza della patologia nella vita del soggetto (più medicina legale). Per valutare questa
incidenza bisogna prendere in considerazione le terapie e la loro efficacia, l’adesione della
persona alle terapie prescritte, l’assistenza della famiglia.
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- Il tribunale avvia un’istruttoria e autorizza l’intervento chirurgico per la modifica dei caratteri
sessuali
- Avvenuta la modifica, il tribunale autorizza la rettificazione dello stato civile che scioglie il
matrimonio.
L’Italia rientra tra quei paesi che autorizzano la persona ad assumere l’identità sentita solo dopo
la riuscita dell’intervento chirurgico dell’apparato sessuale. Se necessario, il giudice può
nominare un consulente per accertare le condizioni dell'interessato. Inoltre:
- Che la persona che richiede la modifica non abbia disturbi psichici che possano alterare lo stato
di coscienza
- Che valuti gli interventi chirurgici o di altro tipo e la qualità della vita dopo l’intervento
- Che accerti se la persona possiede risorse psichiche a sufficienza per affrontare la nuova realtà.
I comportamenti economici sono oggetto di studio della neuroeconomia: tramite questa scienza
si possono porre in relazione questi comportamenti con specifiche funzioni neuropsicologiche.
Quando i comportamenti economici coinvolgono il piano giudiziario è utile l’intervento di un
neuropsicologo. Se il dolo consiste in comportamenti individuali bisogna accertare la piena
responsabilità e la capacità di intendere e di volere di attori e vittime. Se il potenziale reato
coinvolge aspetti organizzativi, bisogna chiamare uno psicologo del lavoro e delle
organizzazioni. Per quanto riguarda il danno ambientale, bisogna accertare la percezione che ne
hanno le persone danneggiate e bisogna valutare il danno biologico e le eventuali conseguenze
psicopatologiche.