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IL DIRITTO E LA MENTE

ELEMENTI DI PSICOLOGIA GIURIDICO-


FORENE
Bruno Di Marco

Arturo Xibilia e Santo Di Nuovo

Capitolo 1 ORDINAMENTO GIUDIZIARIO


- Cenni sull’ordinamento giudiziario.
La Costituzione italiana è entrata in vigore il 2 giugno 1946 affermando che il potere appartiene
a tutto il popolo e viene esercitato esclusivamente per mezzo di leggi, le quali, a loro volta, sono
espressione della volontà del popolo. L’articolo 101 della Costituzione dice: “La giustizia è
amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. L'autonomia dei
giudici dal potere politico ha trovato una concreta realizzazione nel 1958 con la legge che ha
istituito il CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA:
-L’articolo 105 della Costituzione dice: “Spettano al Consiglio superiore della
magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le
assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei
riguardi dei magistrati”.
- Il Consiglio è un organo collegiale, presieduto dal Capo dello Stato e composto dal Presidente
della Corte di cassazione, cioè il grado più elevato della magistratura giudicante;
dal Procuratore generale della Corte di cassazione, cioè il grado più elevato della magistratura
requirente; 16 Magistrati eletti da tutti i magistrati italiani in servizio; 8 Persone non
magistrati, i cosiddetti componenti laici, scelti tra professori
universitari di diritto e avvocati con almeno quindici anni di attività forense,
nominati dal parlamento (da senatori e deputati insieme);
Un vicepresidente nominato dal Consiglio e scelto tra i componenti laici, che è una figura
importante per il funzionamento del Consiglio in quanto la presidenza del Capo dello Stato è
simbolica e riservata a circostanze particolari.
Tutti i membri del Consiglio superiore della magistratura durano in carica quattro anni e non
possono essere immediatamente rieletti, non possono contemporaneamente membri del
parlamento e dei consigli regionali e non possono essere iscritti ad albi professionali.

Il CONSIGLIO GIUDIZIARIO è considerato il tramite tra il Consiglio superiore e la realtà giudiziaria


del territorio:
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• Il Consiglio giudiziario è un organo collegiale , esistente presso ogni sede di Corte di appello,
costituito da:
- Due membri di diritto, cioè il Presidente della Corte di appello e il Procuratore generale presso
la Corte di appello;
- Magistrati, eletti dai colleghi del distretto;

- Membri non magistrati, designati dal Consiglio universitario nazionale e dall’Ordine


degli avvocati.
• Il Consiglio formula pareri sulla professionalità dei magistrati vigila sull'andamento degli uffici
giudiziari e formula proposte per migliorarne l'efficienza, prende iniziative rivolte alla
formazione dei magistrati.
Divieto di giudici straordinari o speciali
Accanto al fondamentale principio di autonomia dei giudici, vi è quello della unicità
dell'ordinamento giudiziario. L’articolo 102 della Costituzione italiana dice: “non
possono essere istituiti giudici straordinari o speciali” e la Costituzione italiana affida l’esercizio
dell’attività giurisdizionale esclusivamente ai magistrati ordinari.
Esistono tuttavia TRE ORGANI GIUDICANTI specializzati per materia, preesistenti alla
Costituzione e da questa previsti, che sono:
a) Tribunali regionali amministrativi (TAR) e il Consiglio di Stato, competenti per le
controversie che riguardano i rapporti tra i privati e la pubblica amministrazione;
b) Corte dei conti, competente per quanto riguarda la gestione finanziaria degli Enti pubblici
(entrate e spese pubbliche);
c) Tribunali militari, nella duplice funzione di pace, per tutti i reati commessi dai
componenti delle Forze armate, e di guerra, nei confronti di chiunque, nei particolari casi
previsti dalla legge. Possono essere assimilati a questo gruppo i Tribunali regionali e superiori
delle acque pubbliche.

Magistratura giudicante e requirente


In base alla funzione, una distinzione fondamentale è quella tra:
-MAGISTRATURA GIUDICANTE: esercita la funzione giurisdizionale sia in campo civile che
penale. È costituita dagli uffici monocratici e collegiali. Ha anche compiti che vengono chiamati
di “volontaria giurisdizione”, in cui i cittadini hanno bisogno dell’autorizzazione del giudice per
compiere un atto, o per la costituzione di una situazione o di un rapporto: esempi tipici sono
l’adozione, il matrimonio di soggetto minorenne, ecc.;
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-MAGISTRATURA REQUIRENTE: ha per oggetto l’attività dei Pubblici ministeri sia in campo civile
che in campo penale.
In campo civile, i casi nei quali è necessario l’intervento del Pubblico ministero sono
espressamente previsti dalla legge all’articolo 70 del Codice di procedura civile: si tratta delle
controversie matrimoniali, di stato e capacità delle persone, come per esempio i procedimenti
di interdizione e di inabilitazione.
- L’attività prevalente del Pubblico ministero è in campo penale, nel quale egli è il titolare
delle indagini e a tale scopo ha a propria disposizione i vari Corpi di polizia giudiziaria
(Carabinieri, Polizia di stato e locale, Guardia di Finanza e altri). Nel processo penale il Pubblico
ministero sostiene l’accusa contro l’imputato. L’ufficio di Pubblico ministero esiste accanto a
ogni Tribunale ordinario, al Tribunale per i minorenni, alla Corte di appello e alla Corte di
cassazione. Per quanto riguarda gli uffici presso il Tribunale, il magistrato che lo dirige è il
Procuratore della repubblica; per quanto riguarda la Corte di appello e la Corte di Cassazione è
il Procuratore generale.

Processo civile e processo penale

Un'altra differenza fondamentale è quella tra:


-Diritto civile: l'attività giudiziaria finalizzata a dirimere/risolvere controversie tra due o più
soggetti. Un soggetto può venirsi a trovare in contrasto con un altro soggetto
sull’adempimento di un obbligo, sul rispetto di un regolamento, sulla sussistenza o no di un
diritto: questa è materia di diritto civile, cioè riguardante la risoluzione di conflitti privati tra
opposte pretese dei cittadini (civis in latino);
-Diritto penale: l’attività giudiziaria finalizzata a individuare e punire chi si rende responsabile di
reati. Se una persona compie una azione che lo Stato, a tutela dell’interesse di tutta la
collettività, ha iscritto tra quelle vietate, si tratta non di una controversia tra “privati”, ma di
qualcosa che lede un interesse generale.

Quello che si applica in tal caso è:


- Un diritto penale perché il suo scopo è quello di stabilire la pena prevista dalla legge a chi
venisse riconosciuto colpevole di avere compiuto l’azione vietata.
- Un diritto pubblico perché si tratta di norme emanate nell’interesse della
collettività, rappresentata dallo Stato.
Nel diritto penale il soggetto deve essere una persona fisica perché la responsabilità per aver
compiuto un reato non può essere attribuita a un soggetto collettivo come una società,
organizzazione, ufficio, ecc.
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Le azioni che lo Stato vieta sono elencate nel codice penale e in altre leggi; se un’azione, un
comportamento non è previsto tra quelli vietati, non è reato.
Il PROCESSO CIVILE nasce quando un soggetto (chiamato "attore"), in disaccordo con un
altro soggetto, si rivolge al giudice reclamando quello che ritiene essere il proprio diritto; l'altro
(chiamato "convenuto" o “parte resistente”) si presenterà al giudice sostenendo a sua volta
quello che ritiene essere il proprio diritto.
Sarà cura di ognuna delle due parti fornire al giudice tutti gli elementi (documenti e
testimonianze) che riterrà utili a sostenere la propria causa; il giudice esaminerà quanto gli sarà
stato sottoposto e, se necessario, disporrà l'acquisizione di nuovi elementi; sulla base di ciò che
la legge prevede per i casi, il giudice formulerà la propria decisione.
 Il PROCESSO PENALE, invece, ha luogo quando una persona compie un'azione
considerata reato dalle norme vigenti. Ciò avviene:
- quando una persona si rivolge ad un ufficio giudiziario che si chiama Procura della
repubblica, denunziando che qualcuno ha compiuto un reato, o si rivolge alle forze dell’ordine,
le quali riferiscono alla Procura;
- quando le stesse forze dell’ordine che nell’esercizio della loro attività di vigilanza ritengono
che qualcuno abbia violato la legge penale e ne informano la Procura.
Il magistrato della Procura cui giunge la segnalazione di un reato, svolge tutte le indagini che
ritiene opportune con tre obiettivi: 1. Accertare che il fatto sia realmente avvenuto ;
2. Accertare che quanto avvenuto sia previsto dalla legge come reato;
3. Individuare la persona o le persone che ne sono responsabili.
Se e quando ritiene di aver acquisito elementi di certezza su questi obiettivi, ne dà notizia al
giudice, il quale avvierà il processo.
Nel processo penale le due parti (principali) non sono, dunque la (presunta) vittima e il
(presunto) responsabile del reato, bensì il Pubblico ministero, ovvero il magistrato che
sostiene la colpevolezza dell'imputato, e l'imputato. Questo perché tra l'interesse
privato di chi ha subìto il danno e l'interesse pubblico della collettività, è il secondo che viene
considerato prevalente.
La persona che sostiene di aver subìto il danno partecipa attivamente al processo (si chiama
"parte civile"), ma solo nell’attesa di un risarcimento di natura patrimoniale.
5. Competenza territoriale degli uffici giudiziari
Gli unici organi che hanno competenza sull'intero territorio nazionale sono la Corte
costituzionale, il Consiglio di Stato e la Corte di cassazione.
 CORTE COSTITUZIONALE: giudica sulla legittimità costituzionale delle norme statali e regionali
rispetto alla suprema norma (la costituzione repubblicana); sulle eventuali accuse promosse
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contro il Presidente della Repubblica; sui conflitti di attribuzione tra i diversi poteri dello Stato;
valuta l'ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo di norme vigenti.
La Corte è composta da 15 giudici nominati per 1/3 dal Presidente della Repubblica, per
1/3 dal parlamento e per 1/3 dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa
(Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei conti).

 CONSIGLIO DI STATO: previsto dall’articolo 100 della Costituzione, ha funzione di consulenza


giuridico-amministrativa al Presidente della Repubblica e al Governo e alle regioni; ha anche
funzioni giurisdizionali quale giudice speciale amministrativo, in quanto tutela i diritti e gli
interessi nei privati nei confronti della pubblica amministrazione. La dimensione
territoriale di base degli altri organi giudiziari è il distretto, coincidente con il territorio della
regione. In ogni distretto ci sono una Corte d’appello, un Tribunale per i minorenni e un
Tribunale di sorveglianza. I distretti si suddividono in circondari, che segnano il territorio di
competenza del Tribunale. Il Tribunale può avere una o più sedi distaccate, nelle
quali opera un giudice monocratico con competenze sia civili che penali.

Giudice di pace
Il GIUDICE DI PACE è un organo giudiziario monocratico affidato a un magistrato
onorario, nominato con decreto del Presidente della repubblica su segnalazione del Consiglio
giudiziario del luogo. La persona deve possedere alcuni requisiti, tra i quali;

- Laurea in giurisprudenza;

- Almeno 30 anni di attività ;

- Sei mesi di tirocinio sotto la guida di un magistrato particolarmente esperto.

Il Giudice di pace dura in carica quattro anni; l’incarico può essere rinnovati altre due volte e
un’altra ancora dopo un intervallo di quattro anni. Ha sia competenze sia civili che penali:

in ambito civile, il Giudice di pace ha il compito di tentare una conciliazione tra le parti, cosa
che può fare in tutti quei casi in cui la funzione conciliativa non sia riservata espressamente
ad altri giudici. Tra le sue competenze, inoltre, vi sono le cause relative a beni mobili di valore
non superiore a 5.000 euro e quelle riguardanti la circolazione nautica e automobilistica, purché
non superino il valore di 20.000euro.o In ambito penale, il Giudice di pace non può infliggere
pene detentive: le sole pene limitative della libertà a sua disposizione sono l’obbligo del
condannato di trascorrerei fine-settimana nella propria abitazione o quello di svolgere un
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lavoro gratuito di pubblica utilità. Può però infliggere pene pecuniarie fino a un massimo di
2.582 euro. Anche in campo penale, infine, è previsto un tentativo di conciliazione.

Il Tribunale: composizione e competenza

Il TRIBUNALE è l'organo giudicante “centrale” del sistema giudiziario. Ha competenze per un


territorio coincidente con la provincia e ha la propria sede nel capoluogo. Sono di competenza
del Tribunale tutte le questioni che la legge non attribuisce specificatamente ad altri
organi giudicanti. Il Tribunale è organizzato in una o più sezioni; nel caso in cui vi siano più
sezioni, alcune hanno competenza in materia civile e altre in materia penale. Vi sono, inoltre,
sezioni speciali dotate di un proprio ordinamento, che si caratterizzano per la specificità del
compito, che sono la sezione GIP = giudice dell’indagine preliminare; la sezione GUP =giudice
dell’udienza preliminare;

la Corte di assise da intendere come sezione penale del Tribunale competente in primo grado
per i reati più gravi. Il Tribunale è il primo giudice per eccellenza e giudica sia in composizione
monocratica che in composizione collegiale: In materia civile, il Tribunale giudica in
composizione monocratica, tranne che in alcuni casi particolari (cause fallimentari,
impugnazione di testamento, ecc.) e nei procedimenti in cui è previsto l'intervento del Pubblico
ministero;

• In materia penale, invece, il Tribunale giudica in composizione collegiale per i delitti la cui pena
massima prevista è superiore a dieci anni, e per tutti quei delitti che sono ritenuti
particolarmente gravi (ad esempio, i reati di violenza sessuale) o tali da destare particolare
allarme sociale (ad esempio, i reati attribuibili alla criminalità organizzata). Negli altri casi, il
Tribunale giudica in composizione monocratica.

La Corte di assise

La CORTE DI ASSISE è un organo di giudizio di primo grado, con competenza


esclusivamente penale. Ne è prevista almeno una per ogni distretto di Corte d'appello ed è
composta da: Un magistrato che la presiede ;

• Un magistrato "a latere" , che affianca e aiuta il presidente nell'esercizio delle sue funzioni;
• Sei cittadini chiamati comunemente "giudici popolari", che rappresentano l'opinione pubblica
rispetto all'evento delittuoso in questione. Per questa sua caratteristica, è l’organo giudicante
nel quale meglio che in altri trova concreta applicazione il principio per il quale la
giustizia è esercitata nel nome del popolo. I requisiti che i giudici popolari devono possedere
sono:
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- Residenza nel territorio di competenza della Corte .

- Cittadinanza italiana.

- Godimento dei diritti civili e politici .

- Buona condotta morale.

- Diploma di scuola media.

- Età compresa tra 30 e 65.

Ogni giudice popolare dura in carica per la sola durata del processo. Il voto dei giudici popolari è
uguale a quello dei due magistrati, il che comporta che il processo si può concludere con
parità di voti: in questi casi prevale il giudizio più favorevole all'imputato.

I reati di competenza della Corte di assise sono previsti dall’articolo 5 del codice di procedura
penale; si tratta di:

 Reati di particolare rilievo sociale , tra i quali i principali sono i reati per i quali è previsto
l'ergastolo o una pena detentiva non inferiore a 24 anni;

 Qualunque delitto doloso (= compiuto intenzionalmente, con coscienza e volontà) da cui sia
derivata la morte di una persona;

 L’omicidio di persona consenziente ;

 L'istigazione al suicidio ;

 I delitti di strage, di diffusione di epidemia, di avvelenamento di acque.

Contro le sentenze della Corte di assise si può ricorrere alla Corte di assise di appello.

La sezione del Giudice delle indagini preliminari (GIP) e del Giudice dell’udienza preliminare
(GUP)

La SEZIONE DEL GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI (GIP) E DEL GIUDICE


DELL’UDIENZA PRELIMINARE (GUP) è una sezione particolare del Tribunale, sia in
quanto alle funzioni che in quanto alle procedure. È composta da magistrati che devono avere
fatto per almeno due anni l'esperienza del dibattimento, i quali operano
esclusivamente in campo penale e in composizione monocratica, per i procedimenti che
interessano il Tribunale e di competenza della Corte d’Assise.
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 La funzione del GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI (GIP) è quella di tutelare l'indagato: il
GIP, infatti, controlla le indagini svolte dal PM e garantisce all'indagato l'esercizio dei
propri diritti. Il PM, a seguito delle proprie investigazioni sulla persona indagata per il reato, è
tenuto a trasmettere gli atti al GIP quando:

- Ritiene di aver raggiunto la prova della colpevolezza, per cui chiede il rinvio a giudizio
dell’indagato e cioè l'apertura del processo;

- Ritiene che non ci sia motivo per aprire un procedimento giudiziario, perché per esempio
non c’è prova che sia avvenuto il reato, per cui chiede che il caso sia archiviato;

- Ha bisogno di altro tempo per le proprie indagini, oltre quello previsto dalla legge, per cui
chiede al GIP una proroga o la riapertura delle indagini

- Ritiene che vi siano le circostanze per chiedere al GIP di procedere con il rito del giudizio

abbreviato.

Il GIP verifica la legittimità dell’operato e decide di conseguenza. Il GIP deve dare il proprio

parere su:

o La richiesta che venga convalidato l’arresto o il fermo dell’indagato;

o La richiesta di applicare una misura cautelare, ovvero di modificarla o di revocarla; o La richiesta

di prorogare la durata massima della misura cautelare; o La richiesta di poter effettuare

intercettazioni.

 Quando il GIP ritiene che le investigazioni svolte dal PM sono state effettuate in maniera
conforme alla legge e che sono sufficienti a dimostrare la colpevolezza dell'indagato,
interviene in qualità di GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE (GUP): egli, infatti, conduce una
vera e propria udienza, la quale può svolgere soltanto l'azione di verifica (e quindi dare il via al
processo) o dare luogo ad una chiusura anticipata del processo (questa è possibile quando
viene accettata la proposta di patteggiamento, ovvero quando si decide di procedere con il
cosiddetto giudizio abbreviato e cioè sulla base dei soli atti acquisiti fino a quel momento).

Il Tribunale della libertà

Quando il giudice dispone una misura limitativa/provvedimento restrittivo della libertà


personale, la persona colpita dal provvedimento può ricorrere al Tribunale della città nella
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quale ha sede la Corte di appello al cui distretto appartiene il giudice che ha emesso il
provvedimento. Il Tribunale, che viene chiamato TRIBUNALE DELLA LIBERTÀ, esamina i
presupposti di fatto e di diritto che hanno dato luogo al provvedimento, e decide confermando
o revocando il provvedimento impugnato.

L’Ufficio di sorveglianza

L'UFFICIO DI SORVEGLIANZA ha competenza per il territorio di più tribunali, tanto che a fronte
di 167 tribunali esistono 56 Uffici di sorveglianza; comprende due organi:

a) Il Magistrato di sorveglianza ha funzioni amministrative e giurisdizionali.

- Relativamente alle funzioni amministrative, vigila sul buon funzionamento delle strutture
penitenziarie, fa da tramite tra queste e il Ministero della giustizia, esamina i reclami
e le istanze dei detenuti e decide sulle licenze e sui permessi richiesti dai detenuti;

- Le funzioni giurisdizionali riguardano i provvedimenti alternativi alla detenzione e le


misure di sicurezza a causa della pericolosità sociale dei condannati;

b) Il Tribunale di sorveglianza è un organo composto da quattro membri:

- Un presidente e un giudice, appartenenti al gruppo dei magistrati di sorveglianza del


distretto di Corte di appello;

- Due esperti in psicologia, psichiatria o criminologia, nominati dal Consiglio


superiore della magistratura.

Il Tribunale di sorveglianza ha una competenza molto vasta, che nell'insieme riguarda


l'adattamento della pena alla personalità del soggetto: decide, dunque, sulla
concessione della libertà condizionale, sull'affidamento ai servizi sociali, sulla
liberazione anticipata, ecc., nonché alla luce del comportamento del soggetto.

Il Tribunale per i minorenni

I primi Tribunali specificamente rivolti a valutare la condotta penalmente rilevante dei


minorenni sono stati istituiti negli Stati Uniti d’America alla fine dell’’800. In Italia, la norma
che istituisce i Tribunali per i minorenni è un decreto del 20 luglio 1934.

Il TRIBUNALE PER I MINORENNI nasce, dunque, come Tribunale penale, ma nel tempo ha
assunto molti altri compiti; esso ha:
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 Competenza PENALE , come giudice di primo grado per i reati compiuti da soggetti di età
compresa tra i 14 e i 18 anni. Ha anche le funzioni di Tribunale della libertà per quanto riguarda
i provvedimenti restrittivi a carico di minorenni;
 Competenza CIVILE , in quanto organo che valuta la capacità dei genitori di
adempiere adeguatamente al compito di “mantenere, educare e istruire i figli, come recita il
Codice civile, e che prende provvedimenti necessari quando questa condizione non si verifica. È
inoltre l’organo che rilascia l’attestazione di idoneità ad

adottare un minorenne straniero e che provvede alla adozione dei minorenni di nazionalità
italiana;

 Competenza AMMINISTRATIVA , la quale consiste nei provvedimenti rivolti a


promuovere il recupero sociale dei minorenni che hanno compiuto reati o che appaiono,
per le loro condizioni di vita, a rischio di devianza. Questa competenza comporta la vigilanza
sulle strutture preposte al recupero sociale e alla rieducazione.

Il Tribunale per i minorenni funziona come organo collegiale composto da:

• Due magistrati di carriera/togati , uno dei quali presiede il collegio.


• Due magistrati onorari (definiti “componenti privati”) esperti in scienze attinenti alle
problematiche dell'età evolutiva: psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, assistenti
sociali, sociologi, ecc. Per la nomina dei magistrati onorari ogni Tribunale bandisce un concorso;
l’incarico dura tre anni ed è rinnovabile.

Uno dei magistrati di carriera del Tribunale per i minorenni ha le funzioni di GIP, mentre le
funzioni di GUP sono affidate ad un collegio composto da un magistrato di carriera e due
onorari, uno dei quali deve essere di sesso femminile.

Per l’ampiezza e la delicatezza dei propri compiti, il Tribunale per i minorenni si serve della
collaborazione del locale ufficio di servizio sociale per i minorenni (USSM), nonché dei servizi
sociali dei comuni e dei servizi delle aziende sanitarie provinciali (consultori familiari, servizi di
psicologia, ecc.)

La Corte di appello

La CORTE DI APPELLO nasce dal principio per cui i provvedimenti sia civili che penali del giudice
di primo grado possano essere appellabili dinanzi ad un diverso giudice da parte di chi non si
sente soddisfatto del primo provvedimento. Essa è competente a ricevere il ricorso per i
provvedimenti emessi dai giudici del proprio distretto. Tranne poche eccezioni, essa provvede
sempre in composizione collegiale, costituita da due giudici e un presidente.
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Il processo di appello ha una caratteristica: la Corte prende in esame e giudica soltanto quelle
parti della sentenza di primo grado per le quali si è proceduto al ricorso. La Corte può
confermare o riformare (cioè modificare) la sentenza di primo grado, ma in campo penale la
nuova sentenza non può prevedere una pena più grave della precedente.

Anche la Corte d'appello, come il Tribunale, è organizzata in sezioni specializzate per materia:

• Una sezione particolare è la sezione per i minorenni, destinata al riesame dei


provvedimenti che riguardano questi soggetti. Il collegio di questa sezione è
eccezionalmente composto da cinque giudici, due dei quali (un uomo e una donna) dotati delle
stesse caratteristiche dei giudici onorari del Tribunale per i minorenni;
• Altra sezione particolare è la Corte di assise di appello, cui confluiscono/si uniscono i ricorsi
contro le sentenze della Corte di assise. Questa Corte è costituita da 2

magistrati e da sei giudici popolari.

La Corte di cassazione

La CORTE DI CASSAZIONE è il massimo organo del nostro ordinamento giudiziario, ha


competenza su tutto il territorio nazionale e ha sede a Roma. La sua funzione è quella di
cancellare, annullare, le sentenze "compromesse" da una non corretta applicazione della legge;
il controllo che la Corte esercita sulle sentenze non è sull'evento che ha dato origine al
procedimento giudiziario, bensì sulla legittimità del procedimento stesso, ovvero sul fatto che
il giudice abbia proceduto in tutte le fasi del processo nel pieno rispetto della legge. Proprio
perché l’oggetto tutelato dalla Corte è il diritto in sé stesso, è obbligatorio che a tutti i
procedimenti (quindi anche in quelli civili) partecipi di Procuratore generale: rappresenta
l’interesse dello stato ad affermare il principio generale per il quale qualsiasi
procedimento giudiziario deve avvenire nel più scrupoloso rispetto delle norme di diritto
sostanziale e processuale. La Corte è organizzata in sezioni civili e penali; la sezione decide sui
ricorsi con la partecipazione di cinque giudici. Per alleggerire il lavoro della Corte, i ricorsi
che le provengono sono sottoposti ad un'analisi "preliminare" di ammissibilità. I ricorsi
ammessi, vengono poi assegnati ad una sezione, la quale lo esamina in udienza, e cioè con la
partecipazione attiva della parte che ha proposto il ricorso e del Pubblico ministero. Al termine
del proprio esame, la Corte può:

• Rigettare il ricorso , il che significa che la sentenza emessa dal giudice


rimane confermata perché legittimamente assunta;
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• Accogliere il ricorso annullando la sentenza del giudice e definendo l'esito del


procedimento;

• Accogliere il ricorso rinviandolo ad un giudice di pari grado ma diverso da quello che ha


emesso la sentenza perché riesamini il caso.

CAPITOLO 2 COMPITI E STRUMENTI DELLA PSI.


FORENSE
1. Perizia e consulenza tecnica di ufficio

A volte capita che il giudice, per valutare adeguatamente i fatti che gli vengono
sottoposti, si rivolge a un esperto di una particolare materia di cui egli non ha
competenza.

Quando questa necessità si pone, il giudice emette un provvedimento in cui specifica:

 Qual è l'accertamento da fare e cosa vuole sapere= il quesito;  A chi intende dare l'incarico =

la nomina dell'esperto.

La nomina può essere fatta ad uno o a più esperti, della stessa disciplina o di
discipline diverse;

 La data dell'udienza nella quale l'esperto individuato dovrà presentarsi per ricevere
l'incarico.

L'esperto incaricato dal giudice si chiama: o PERITO nel processo penale.

La perizia ha valore di prova e ciò che attesta non può essere messo in discussione se non
dimostrando che è frutto di falsificazione o errore;

• CONSULENTE TECNICO D'UFFICIO (CTU) nel processo civile. La consulenza, invece, è


considerata un atto di ausilio offerto al giudice, un contributo, di conoscenze utili al fine
di valutare meglio un evento o una persona.

Si ipotizza che se il giudice chiede a un esperto qualcosa che egli non sa, e il responso di questi
contribuisce alla formazione del suo convincimento, avviene di fatto uno
spostamento della funzione del giudicare dal giudice all’esperto. Tutto questo accade in
maggior misura nella perizia, perché essa ha valore di prova, ma anche, in qualche
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modo, nel caso della consulenza. Dunque, l’operazione incarico ad un esperto di


effettuare una perizia o una CTU esami condotti dall’esperto resoconto dell’esperto al giudice
formazione del convincimento del giudice deve avvenire a condizioni tali che il giudice possa in
piena coscienza dire: “il convincimento è mio, la decisione è mia”.

Esistono delle norme e dei princìpi cui periti e consulenti devono seguire:

• La legge dispone che il perito o il CTU, nel momento in cui è convocato dal giudice, deve
prestare un giuramento;

• L'esperto deve essere estraneo al processo e alle persone in esso implicate;

• Il perito e il CTU redigono/compilano un verbale delle operazioni che compiono, che deve
essere firmato anche dalle persone che a qualsiasi titolo hanno partecipato, a garanzia del fatto
che le operazioni si sono svolte come descritto;

• Tutti gli accertamenti compiuti dal perito o dal CTU avvengono con la partecipazione dei
consulenti di parte, i quali hanno la facoltà sia di segnalare al giudice eventuali
inadempienze/mancanze del perito o del CTU, sia di formulare note critiche alla

relazione prodotta dall'esperto (il consulente tecnico di parte CTP è quello nominato dalle parti
in causa) ;

• Il perito o il CTU deve comunicare al giudice non solo le conclusioni cui è arrivato ma anche
tutto il percorso metodologico di cui si è servito (principi scientifici cui si è ispirato, strumenti
di ricerca e valutazione, ecc.);

• Nel relazionare, il perito o il CTU deve essere obiettivo, comprensibile e


documentato;

• Nel processo civile, il giudice può decidere di convocare il CTU in udienza; nel processo
penale, invece, il perito viene sempre convocato per esporre il lavoro svolto e le conclusioni
cui è giunto;

• Qualora non fosse convinto dell'operato del perito o del CTU, il giudice ha la facoltà di chiedere
un nuovo accertamento allo stesso o ad un esperto diverso.

La questione della competenza dell’esperto

Un elemento fondamentale ai fini dell'affidabilità del lavoro e delle conclusioni


dell'esperto, insieme a quello della correttezza, è quello della sua COMPETENZA. La norma
prevede che il giudice debba scegliere l'esperto tra coloro che sono iscritti in appositi albi
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tenuti dalle cancellerie di ogni Tribunale o “tra persone fornite di particolari


competenze nella specifica disciplina” (articolo 221 del codice di procedura penale).

I criteri che garantiscono la competenza dell’esperto richiesta dalla norma sono due:

 Criterio formale , ovvero l'iscrizione all’albo. Per quanto riguarda l’iscrizione all’albo,
l’iscritto deve avere requisiti quali la residenza, il godimento di diritti civili, la buona
condotta e che non sia stato oggetto di condanne;
 Criterio totalmente affidato alla personale valutazione del giudice. In quanto alla competenza
vera e propria, l’esperto deve avere titoli e documenti che attestino tali competenze.

L’articolo 67 delle norme di attuazione prevede che il giudice può scegliere il perito anche al di
fuori dell'albo, a patto che si tratti di “ una persona che svolge la propria attività professionale
presso un ente pubblico “, perché si suppone che una persona alle dipendenze di un ente
pubblico abbia superato un procedimento di selezione.

Infine, è a discrezione dell'esperto riconoscere di essere effettivamente competente o meno a


dare le risposte che gli vengono chieste.

La consulenza per il Pubblico ministero

Il PM esegue la sua attività in due diverse fasi, successive l’una all’altra:

 Nella PRIMA FASE, egli svolge indagini volte ad accertare il reato, ad identificarne l'autore e a
raccogliere prove della sua colpevolezza; infine, sulla base delle prove acquisite, egli chiede che
l'indagato venga processato.
 La SECONDA FASE, invece, è quella del processo, in cui il PM presenta al giudice le prove della
colpevolezza dell'imputato, chiede la sua condanna e propone la pena da infliggergli.

Sia nella prima che nella seconda fase, il PM può servirsi dell'operato di un esperto,
conferendogli l'incarico di una consulenza tecnico-scientifica (nella fase delle indagini per
propria insindacabile iniziativa; nella fase del processo nel caso in cui il giudice abbia dato un
incarico peritale).
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Come consulente del PM nella fase delle indagini, l’esperto è tenuto al rispetto di quanto
previsto dall’articolo 358 del codice penale, il quale obbliga il magistrato inquirente
(= il consulente) a svolgere anche “accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona
sottoposta alle indagini”; il consulente cioè deve fornire al PM la verità scientifica su quanto è
oggetto del proprio esame, anche quando essa è difforme/differente dall'ipotesi accusatoria
che quest'ultimo sta seguendo.

La consulenza per le parti private

Tutte le volte in cui il giudice nomina un esperto per effettuare una perizia o una
consulenza tecnica, le parti hanno diritto a nominare propri consulenti. Essi hanno
sostanzialmente TRE COMPITI:

1. Vigilare sul fatto che l’esperto del giudice svolga il proprio lavoro nel rispetto delle regole
procedurali e tecnico-scientifiche;

2. Formulare all'esperto richieste circa gli accertamenti effettuati o ancora da


effettuare;

3. Sottoporre ad un esame critico sul piano tecnico-scientifico le conclusioni


dell'esperto, al fine di metterne in evidenza eventuali lacune o errori, per proporre conclusioni
alternative o per sollecitare ulteriori accertamenti.

- Nel processo penale vale il principio per il quale le parti non possono nominare un numero
di consulenti superiore al numero dei periti; inoltre, i consulenti possono partecipare all'udienza
nella quale il giudice conferisce l'incarico e formula i suoi quesiti al perito e, in quell'occasione,
“possono presentare al giudice richieste ed osservazioni delle quali è fatta menzione nel
verbale”.

- Nel processo civile, invece, non c'è limite al numero dei consulenti di parte; il codice,
peraltro, limita la possibilità di nominare più di un consulente d’ufficio soltanto ai
casi “di grave necessità, o quando la legge espressamente lo dispone”(articolo 191.2 c.p.p.).
Non è prevista la partecipazione dei consulenti alla formulazione dei quesiti da parte del
giudice. Questioni di deontologia professionale nella consulenza psicologica di parte

Uno degli argomenti più delicati del lavoro psicologico in campo forense è quello della
“veridicità” delle affermazioni nelle consulenze psicologiche di parte. Il CODICE
DEONTOLOGICO degli psicologi contiene alcune norme che nel loro insieme
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delineano come eticamente dovuto dagli psicologi un comportamento del quale non può non
fare parte il rispetto della verità:

o L’articolo 2 fa riferimento al “decoro, dignità e corretto esercizio della professione”; o


L’articolo 3 impone allo psicologo di “evitare l’uso non appropriato della propria influenza” e
lo richiama alla “responsabilità dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette
conseguenze”;
o L’articolo 7 gli impone di valutare attentamente “il grado di validità e di attendibilità di
informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte” e lo vincola a esprimere
valutazioni e giudizi professionali “solo se fondati sulla conoscenza professionale
diretta, ovvero su una documentazione adeguata e attendibile”;
o L’articolo 8 , infine, lo vincola a non utilizzare la professione per mettere in atto “attività
ingannevoli o abusive”.

La consulenza di parte è il sostegno tecnico-scientifico alla azione di un soggetto


all’interno di un contenzioso/una contesa giudiziario/a. La consulenza di parte non può
contenere affermazioni o altro che possano nuocere all’interesse del soggetto in cui viene
compiuta in favore, ma anzi deve tendere a fornire ogni argomento utile alla tutela di
quell’interesse.

Il consulente di parte può liberamente fare affermazioni false purché esse siano
nell’interesse del suo cliente? Bisogna distinguere tra fatti e valutazione dei fatti:

a) Sui fatti non è consentito fase false dichiarazioni, e perciò non potrà dirsi di aver
esaminato una persona, ad esempio, o di aver osservato un comportamento se non è vero,
come non si potrà modificare il dato di un test;

b) Le valutazioni dei fatti, o le considerazioni su di essi, invece, appartengono a quei “gradi di


libertà” di cui il consulente dispone, così come la formulazione di ipotesi, l’introduzione di dubbi
sulle affermazioni altrui, ecc.

Il consulente di parte è tenuto al giuramento e gli si attribuisce “l’obbligo di essere sincero sui
fatti che sostiene di avere percepito direttamente”.

Si può affermare, in definitiva, che il comportamento del consulente di parte che vuole essere
realmente utile al proprio assistito deve ubbidire soprattutto a un criterio di opportunità: colui,
infatti, che fonda le proprie tesi su dati riscontrabili anche da altri e che le svolge in coerenza
con le conoscenze scientifiche del campo, produce delle conclusioni che il consulente di
controparte avrà difficoltà a contestare e che, soprattutto, hanno maggiore probabilità di
accostarsi alle conclusioni cui perverrà il consulente del giudice.
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Caratteri generali dell’accertamento psicologico

I temi principali per i quali è richiesto l’intervento valutativo psicologico sono:

 In CAMPO CIVILE: separazione dei coniugi, affidamento e collocamento dei figli minorenni,
divorzio, decadenza o limitazione della potestà genitoriale, affidamento e adozione,
cambiamento di genere, interdizione e inabilitazione, valutazione del danno psichico, morale ed
esistenziale;

 In CAMPO PENALE: incapacità di intendere e di volere, incapacità di partecipare al processo,


capacità di testimoniare, pericolosità sociale derivante da cause di natura psicopatologica,
inferiorità psichica in caso di violenza, infermità psichica, abitualità al reato, tendenza a
delinquere.

Inoltre, è previsto l'esame psicologico da parte dell’esperto penitenziario sui detenuti


definitivamente condannati, ai fini dell'osservazione e del trattamento, e sui “nuovi giunti” (cioè
su quanti a qualunque titolo arrivano nella struttura penitenziaria), al fine di evitare patologie,
per esempio depressive, dovute alla situazione detentiva.

L’obiettivo dell’accertamento psicologico è quello di una “comprensione” completa dei peculiari


problemi per i quali il soggetto viene esaminato. Oggetto della valutazione sono non soltanto
le condizioni psichiche del soggetto da esaminare, ma anche il sistema di relazioni
familiari e sociali che influiscono su di esse. Questa valutazione deve

mirare a conoscere i tratti e le dinamiche della personalità, la relazione fra le


componenti biologiche e quelle acquisite, nonché i fattori di contesto che influenzano o
condizionano l’azione. Va ricordato che l’accertamento psicologico procede e si esprime in
modo diverso in relazione all’obiettivo per il quale è effettuato.

Esistono condizioni oggettive del lavoro psicologico che sono specifiche del contesto
giudiziario: la presenza nel corso dei colloqui e del testing di molteplici persone, dovuta alla
necessità di far assistere consulenti di parte e avvocati; le ristrettezze e le
caratteristiche dei luoghi di detenzione; le limitazioni in fatto di numero di incontri e di durata,
ecc.

Bisogna accertare il grado di collaborazione dell'utente, sul quale possono incidere aspetti
motivazionali quali ansia, depressione, irritabilità e scarsa concentrazione, dovuti al contesto
specifico dell'esame. Lo psicologo deve essere esperto della relazione e della comunicazione
per poter comprendere a pieno la persona che esamina.
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Bisogna contrastare la tendenza (frequente nelle perizie e nelle consulenze psicologiche) alla
falsificazione in senso positivo = nascondere aspetti negativi del soggetto c ritengono
pregiudiziali per il giudizio; in senso negativo  fingere patologia o disturbi per ottenere
benefici. Gli strumenti

Nello svolgimento del proprio compito, lo psicologo, perito o CTU si avvale degli
strumenti conoscitivi tradizionali, quali il colloquio clinico, l'osservazione e il testing.

Inoltre, può fare affidamento su importanti fonti di informazione.

Fonti di informazione

Riguardo le FONTI DI INFORMAZIONE, l'esperto può:

• Farsi autorizzare dal giudice ad avere colloqui con i parenti e con qualsiasi altra persona
con la quale il soggetto da esaminare abbia avuto rapporti significativi ai fini dell’oggetto della
perizia o della consulenza;

• Può contattare le persone nel loro luogo di vita, cosa molto utile specie quando si intende
valutare l'ambiente umano e fisico nel quale vive un minorenne;

• Nel rispetto delle norme sulla privacy, può accedere alla documentazione sanitaria e
acquisire copia del diario clinico che ogni istituto di pena tiene per ogni detenuto;

Fondamentale, in ogni caso, la fonte di informazione è la consultazione del fascicolo giudiziario,


che contiene tutti gli atti prodotti sino a quel momento dalle parti del processo.

Il colloquio

Il COLLOQUIO CLINICO ha come presupposto l'adesione libera dell'utente sulla base di un


proprio bisogno o di una propria aspettativa; in ambito forense, nasce dalla volontà del giudice
che ha disposto la perizia o la consulenza: è normale, pertanto, che il soggetto viva il colloquio
(e l'intero rapporto con lo psicologo) come una situazione di pericolo che deve fronteggiare,
come una prova che deve risolvere a proprio vantaggio. In sostanza, il tradizionale rapporto di
collaborazione che esiste tra esaminatore ed esaminato, fondato sul presupposto che il primo
lavora per l’interesse del secondo, in campo forense cede il posto al diritto che tutti i soggetti
privati di un procedimento giudiziario hanno di difendersi e di sostenere come meglio possono
la propria tesi o la propria richiesta.

Nel colloquio clinico in ambito forense l'esperto deve valutare con molta prudenza la narrazione
di eventi e circostanze fatta dall’esaminato, i suoi giudizi su stesso e su altri, le sue emozioni,
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concentrando l’attenzione anche su quelle parti di sé che il soggetto tenta di nascondere o


mettere in ombra.

L’osservazione

In ambito forense, l'OSSERVAZIONE può essere uno strumento diagnostico ricco di


informazioni, ovvero molto povero.

L’osservazione del detenuto fatta dall’equipe che lavora nell’istituto di pena, ad


esempio, si avvale dell’ampiezza del tempo a propria disposizione e di un’azione
osservativa che può riguardare tutte le attività e tutti i comportanti attuati nel corso della
giornata, avvalendosi anche dell’ausilio del personale penitenziario; lo stesso per l’osservazione
di un minorenne in comunità. Al contrario, il perito che accede dall'esterno
nell'istituto di pena per un certo numero di colloqui (effettuati sempre in presenza del
personale di custodia) ha un campo di osservazione molto ridotto e ben poco spontaneo.

Nell'area civile, invece, il consulente può creare un particolare setting di osservazione in base
ai propri bisogni conoscitivi. Così è, ad esempio, quando una persona viene chiamata
ad interagire con il coniuge con il quale è in corso una causa di separazione: in questi casi,
l’osservazione può essere libera, ovvero guidata da stimoli appositi dati dall’esperto (come
parlare di uno specifico argomento).

Test e questionari

In ambito giuridico, per rispondere ai quesiti richiesi dal giudice committente o per valutare
caratteristiche cognitive e di personalità, si utilizzano TEST PSICOMETRICI. Lo psicologo forense
dovrebbe essere esperto nell’uso di questi strumenti.

La definizione di test o reattivo psicodiagnostico include strumenti di indagine in cui si


richiedono prestazioni cognitive e questionari self-report. Entrambi sono caratterizzati da
stimoli standardizzati, cioè sempre uguali nelle modalità di somministrazione, e da una taratura
pure standardizzata in relazione alla popolazione di riferimento.

Esiste un'ampia gamma di test che valutano le funzioni cognitive o la personalità, normale o
patologica:

• Scale per la valutazione delle funzioni intellettive generali, che consentono il calcolo del
Quoziente intellettivo;
• Inventari di personalità, cioè questionari strutturati come l'Minnesota Multiphasic Personality
Inventory o il Big Five Questionnaire;
• Testi proiettivi come il Test delle macchie di Rorschach;
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• Testi di disegno, molto usati con i bambini

Per quanto riguarda i limiti dei questionari, vi sono ad esempio quelli sullo stress post-
traumatico tanto diffusi in campo giuridico, che vanno considerati con molta cautela, per le
possibilità di falsificazione che comportano e che solo in parte possono essere controllate.

Il problema della simulazione

Che si tratti di una causa civile o penale, in ogni procedimento giudiziario c’è in gioco l’interesse
di un soggetto contro l’interesse di un altro. Ci possono essere due situazioni:

• Una situazione legittima in cui il soggetto pur senza falsificare la realtà cerca di mettere in
evidenza gli elementi che ritiene utili al proprio interesse;
• Una situazione non legittima in cui il soggetto deliberatamente falsifica la realtà per conseguire
un ingiusto vantaggio: ad esempio, fingersi malato di mente per giungere a un giudizio di non
responsabilità per un reato commesso è un esempio di questa situazione.

SIMULARE DI AVERE UN DISTURBO PSICHICO è un espediente/strategia cui le persone ricorrono


spesso per il fatto che la malattia mentale generalmente non ha correlati fisici rilevabili
all'osservazione: insonnia, umore depresso, allucinazioni, sono ritenute non verificabili. Ciò
in alcune persone diventa così coinvolgente da finire con il configurare una vera e
propria patologia: è il caso della sindrome di Ganser, ricorrente in modo particolare nel
detenuto che si immedesima tanto nella condizione di malato di mente da cadere in uno stato
confusionale, nel quale i confini tra realtà e finzione finiscono con il perdersi.

Le occasioni giudiziarie nelle quali l'esperto deve preventivare di trovarsi davanti ad una
simulazione sono parecchie, in particolare nei casi di accertamento della responsabilità penale,
dell'esecuzione della pena e del risarcimento del danno. In quest’ultima area del risarcimento
del danno si riscontra la figura particolare della cosiddetta nevrosi da indennizzo, la persona
aveva già prima dell’evento che ha provocato il danno una struttura di personalità
nevrotica, latente o poco sintomatica.

La simulazione avviene, generalmente, in quanto tra il fatto commesso e la perizia psicologica


occorre un lungo intervallo temporale durante il quale il soggetto può rappresentare un sé
diverso da quello precedente.

I detenuti possono simulare disturbi psichici al fine di ottenere vari vantaggi, come ottenere gli
arresti domiciliari, il collocamento in una residenza sanitaria assistita o il trasferimento in un
carcere più vicino alla propria residenza.
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Riconoscere la simulazione non è semplice e richiede esperienza:

- Nel colloquio, indicatori di simulazione sono il linguaggio della persona esaminata, l'enfasi
posta sulla narrazione dei sintomi, l'esagerazione mimica.

- Anche i test possono essere risolutivi per svelare una simulazione (scala di menzogna e MMPI).

CAPITOLO 3 I CAMPI DI APPLICAZIONE


L’area penale Responsabilità, capacità di intendere e di volere, imputabilità

L'attribuzione di colpevolezza e l'assegnazione della pena come “retribuzione” della colpa,


assumono come base la RESPONSABILITA' della persona sottoposta a giudizio.

Componenti essenziali della responsabilità sono:

- Intenzione: capacità di programmare un obiettivo e di tendere verso esso;

- Abilità all'azione;

- Azione finalizzata;

- Capacità di anticipazione delle conseguenze;

- Capacità di autoriflessione e autoregolazione;

- Percezione soggettiva del controllo e delle cause dei propri comportamenti.

Sul piano giuridico, la responsabilità è il presupposto della IMPUTABILITÀ (= stabilisce se una


persona, in quanto capace di intendere e di volere, può essere condannata o meno).

• L’articolo 97 del Codice penale stabilisce che per il minorenne, la responsabilità e


l’imputabilità sono automaticamente escluse per una età inferiore ai 14 anni;

• L’articolo 98 del Codice penale stabilisce che per l’età compresa tra i 14 e i 18 anni
responsabilità e imputabilità vanno dimostrate accertando la capacità di intendere e di volere;
 Per i maggiorenni è la eventuale non imputabilità che deve essere dimostrata.

Oggetto della valutazione è quindi la CAPACITÀ DI INTENDERE E DI VOLERE:


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 CAPACITÀ DI INTENDERE : consiste nel possesso di abilità cognitive tali da consentire la


comprensione delle ragioni dei propri atti e della rilevanza e del significato che essi assumono
come trasgressione di una norma;

 CAPACITÀ DI VOLERE : controllare l’azione in modo da frenare il comportamento deviante,


quindi saper controllare i propri impulsi ad agire. È la possibilità di auto-determinazione e
auto-limitazione di fronte a una scelta che trasgredisce una norma anche se appaga un
bisogno.

Questa capacità può essere ridotta o del tutto annullata da fattori diversi: da una
incapacità relativa propria del soggetto, dovuta alla sua personalità e quindi persistente nel
tempo, oppure dall’incapacità in quel momento e in quel contesto specifico.

L’attenuazione della responsabilità è prevista per INFERMITÀ PSICHICA:

 Ai fini giudiziari, sono da considerare come fonte di infermità mentale solo quei disturbi psichici
che presentano perdita di contatto con la realtà, caratterizzati da percezione alterata
(allucinazioni), cognizione scarsamente organizzata (deliri) e labilità del controllo
affettivo, emozionale e comportamentale. Questi disturbi comprendono la psicosi
schizofrenica o paranoide, l'autismo, psicosi maniaco-depressiva e le sindromi organiche.
 Un'altra condizione che determina infermità psichica è la disabilità intellettiva,
caratterizzata dalla compresenza di un Quoziente Intellettivo pari o inferiore a 70 e da difficoltà
nell’adattamento sociale adeguato all’età e al contesto. Questi deficit non consentono di
comprendere correttamente i legami di causa-effetto, di utilizzare la pianificazione e di valutare
adeguatamente gli effetti dei propri comportamenti: la persona è centrata sul “concreto”,
sull'appagamento del bisogno senza prospettiva di programmazione temporale.
 Oltre gli aspetti persistenti delle patologie, esistono disturbi transitori che possono provocare
incapacità specifiche relative al momento in cui l'atto deviante è compiuto. Sono le
cosiddette psicosi reattive transitori: si riferiscono a ciò che nel linguaggio comune viene
definito “raptus”, ovvero un impulso irrefrenabile e improvviso che porta ad atteggiamenti
distruttivi, senza possibilità di controllarne l'esecuzione.

Fanno parte di questa categoria: i disturbi nel controllo degli impulsi in soggetti con danni
organici (ad esempio, epilettici) ma anche episodi di delirio o altri disturbi del pensiero
conseguenti ad intossicazione da sostanze psicoattive o alcol, e altre sindromi
connesse a fasi di astinenza.

Nel caso di utilizzo di sostanze psicotrope la capacità di intendere e di volere va relazionata


alla volontarietà dell'uso di tali sostanze di cui il soggetto conosce l’effetto: la legge,
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infatti, esclude la diminuzione di imputabilità per ubriachezza o uso di stupefacenti se non


derivate da un caso o da forza maggiore, ad esempio, quando il soggetto non conosce gli effetti
delle sostanze ingerite o non sa di averle ingerite; mentre l'uso abituale di tali sostanze
costituisce addirittura aggravante (articolo 94 codice penale). L'intossicazione cronica,
infine, costituisce uno stato patologico assimilato alla infermità totale o parziale di mente
(articolo 95 Codice penale). In ogni caso, capacità di intendere e di volere e conseguente
responsabilità vanno valutate caso per caso in relazione al soggetto in questione, al tipo di atto
commesso e al contesto relazionale in cui l'atto stesso si è verificato.

La pericolosità sociale e le misure di sicurezza

La legge si pone il problema se il reato compiuto da una persona sia da considerare un evento
eccezionale, dovuto a particolari circostanze, oppure se esista la possibilità che la persona
compia in seguito altri reati: bisogna considerare la PERICOLOSITA’ SOCIALE del soggetto. Il
problema riguarda sostanzialmente lo psichiatra, perché è possibile esprimere giudizio di
pericolosità sociale di una persona solo in connessione ad una patologia mentale di tale rilievo
da comportare mancanza di responsabilità per il reato compiuto.

Il concetto di pericolosità sociale fa dunque riferimento alla probabilità che l'autore di un reato
continui a continui a commettere nuovi reati in futuro. L’articolo 203 del Codice penale dice che
“La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate dall’articolo
133” =L’articolo 133 del Codice penale elenca quali elementi il giudice deve prendere in
considerazione nel determinare la pena; tra questi, si fa riferimento anche al concetto di
CAPACITA' A DELINQUERE del colpevole, cioè l’inclinazione a commettere fatti contrari alla
legge ed è desumibile/deducibile:

1. Dai motivi a delinquere e dal carattere del reo (= colpevole del reato);

2. Dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al
reato;

3. Dalla condotta contemporanea e successiva al reato;

4. Dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

Sebbene “pericolosità sociale” e “capacità a delinquere” siano concetti sovrapponibili, essi


differiscono relativamente al campo di applicazione, all'oggetto e alla funzione:

 La CAPACITÀ A DELINQUERE è riconoscibile in qualunque persona che abbia già compiuto un


reato;
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La PERICOLOSITÀ SOCIALE è riconoscibile solo nel soggetto che ha compiuto un reato ed è


affetto da vizio totale o parziale di mente/patologia mentale;

 L’ACCERTAMENTO DELLA PERICOLOSITÀ SOCIALE deve prescindere da aspettative di trovare un


tratto stabile della personalità come base della delinquenza abituale, ma va considerato
rispetto alla situazione specifica di quel soggetto e in quel momento;
 La VALUTAZIONE DELLA CAPACITÀ A DELINQUERE è fatta in funzione della pena da applicare;

La PROGNOSI DI PERICOLOSITÀ SOCIALE è fatta in funzione dell'applicazione di quelle


che il Codice penale chiama misure di sicurezza , le quali rappresentano un modo per
difendere la società e prevenire ulteriori crimini.

L’articolo 215 del Codice penale elenca le misure di sicurezza adottabili:

 MISURE DI SICUREZZA DETENTIVE:

- L'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro;

- Il ricovero in casa di cura e di custodia;

- Il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario (OPG);

- Per i minorenni, il ricovero in una struttura residenziale rieducativa (ex riformatorio).

MISURE DI SICUREZZA NON DETENTIVE:

- La libertà vigilata;

- Il divieto di soggiorno in determinati luoghi;

- Il divieto di frequentare locali nei quali si fa uso di alcol;- Per gli stranieri, l'espulsione dal Paese.

La capacità di partecipare coscientemente al processo

In base alla legge (articolo 70 c.p.p.), chi viene sottoposto a processo deve essere in grado di
“PARTECIPARE COSCIENTEMENTE AL PROCESSO”: deve essere in grado di comprendere di
quale reato è accusato, quali sono le prove che vengono utilizzate contro di lui, cosa sta
facendo il suo avvocato per difenderlo, cosa avviene nell'aula e a cosa va incontro.

Si tratta di una valutazione clinica che differisce dalla valutazione sulla capacità di
intendere e di volere:
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• In primo luogo, le due valutazioni si riferiscono a momenti diversi della vita


dell'imputato, dato che la capacità di intendere e di volere si riferisce al momento in cui il
reato (vero o presunto) è commesso, mentre la capacità di partecipare
coscientemente al processo si riferisce al momento della celebrazione del processo.
• In secondo luogo, è diverso l'oggetto della valutazione, perché è possibile che le condizioni
psichiche tali da escludere l'imputabilità consentano la consapevole partecipazione al
processo.

Per “consapevolezza” di una persona, si intende che la persona deve essere in


condizioni psichiche tali da avere coscienza di sé, da avere una almeno discreta capacità di
comprensione verbale e, più genericamente, di avere la capacità di percepire
realisticamente gli eventi.

Quando viene riconosciuta l'incapacità di partecipare coscientemente al processo,


questo viene sospeso per sei mesi, al termine dei quali il giudice dispone che
l'accertamento peritale venga ripetuto.

La valutazione del detenuto e le misure alternative alla detenzione

Il secondo comma dell’articolo 27 della Costituzione sancisce che “Le pene non possono
consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato”.

In Italia, la legge n.354 del 1975 ha introdotto un Ordinamento Penitenziario: un


elemento che caratterizza il nostro Ordinamento Penitenziario è dato dalla presenza nel carcere
di personale con requisiti professionali tecnico-scientifici, che non ha compiti di custodia, ma
che svolge la propria opera medica, psicologica, assistenziale, culturale o ricreativa ad utilità del
detenuto.

Questi operatori, inoltre, possono fungere da collegamento con le strutture esterne al carcere,
sia assistenziali (Servizi sociali comunali, servizi per le famiglie dei detenuti) che sanitarie
(Servizi per le tossicodipendenze SERT e con i Dipartimenti per la Salute Mentale
DSM). Questi operatori, a parte l’assistenza continua che forniscono al detenuto,
dovrebbero svolgere le importanti funzioni previste dall’Ordinamento:

a) la valutazione del detenuto nel contesto del servizio di accoglienza per i detenuti “nuovi giunti”;

b) la valutazione ai fini della concessione delle misure alternative alla detenzione.

 SERVIZIO DI ACCOGLIENZA PER DETENUTI “NUOVI GIUNTI”


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Una persona può entrare in carcere o in custodia cautelare, cioè quando la sua colpevolezza
non è stata ancora accertata in maniera definitiva, ma il giudice ritiene esservi il pericolo
che egli fugga o possa inquinare delle prove.

La sofferenza più grande della carcerazione deriva innanzitutto dalla perdita della libertà, ma
anche dall’improvvisa forzata convivenza con persone estranee in spazi ristrettissimi, in cui vi è
impossibile avere un minimo di riservatezza e assecondare le proprie abitudini; la sofferenza
per la perdita della libertà si farà sentire nel tempo, ma quella psicologicamente più
destabilizzante, all’inizio, è una esperienza di spersonalizzazione, la quale in alcuni casi
induce i soggetti dalla personalità più fragile al suicidio.

In tutte le carceri, pertanto, è stato istituito un servizio di accoglienza del detenuto al suo
ingresso; i compiti del servizio sono:

- Scelta della allocazione più adatta ai bisogni detenuto nuovo giunto;

- Riduzione dell’impatto con la realtà carceraria e delle tensioni che possono verificarsi alla
prima esperienza detentiva;

- Osservazione immediata e diretta della persona detenuta da parte degli operatori


delle diverse aree del carcere;

- Approfondimento diagnostico, promozione di richiesta di cura, attivazione di immediati


interventi di sostegno psicologici, sanitari, sociali, educati e formativi.

Lo staff del servizio di accoglienza è composto dal medico, psicologo, psichiatra, assistente
sociale e altri operatori. Dunque, il lavoro compiuto dallo staff del servizio di accoglienza è una
sorta di valutazione globale della persona, e ha l’obiettivo di

fornire la risposta adatta a tutti i bisogni del detenuto affinché possa vivere nella migliore
condizione fisica e psicologica possibile l’esperienza del carcere.

 OSSERVAZIONE DEL DETENUTO CONDANNATO

Per i detenuti maggiorenni, è prevista l'osservazione scientifica della personalità, “al fine di
accertare i bisogni di ciascun soggetto connessi ad eventuali carenze psico-fisiche, affettive,
educative. Ai fini dell'osservazione, si procede all'acquisizione e alla valutazione dei dati
giudiziari e penitenziari, clinici e psicologici. Attraverso l’osservazione si formula un
programma individualizzato di trattamento, il quale è compilato nel termine di nove mesi.
Nel corso del trattamento l’osservazione è rivolta ad accertare, attraverso l’esame del
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comportamento del soggetto e delle modificazioni intervenute nella sua vita, le eventuali
esigenze che richiedono una variazione del programma di trattamento” (articolo 27).

{È il giudice di sorveglianza che decide sulle misure alternative di detenzione per i maggiorenni}.

 MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE

La legge prevede un insieme di alternative alla detenzione in carcere, le quali da un lato hanno
una funzione di premio del buon comportamento tenuto in carcere dal detenuto, dall’altro lato
costituiscono un graduale avvicinamento al recupero della libertà e al reinserimento sociale. Le
diverse alternative sono rapportate alla durata della pena cui la persona è stata condannata, la
quale è un’indicazione della gravità del reato compiuto. Le principali misure alternative sono:

• Affidamento in prova al servizio sociale (articolo 47 o. P.) Per l’ultimo triennio di pena, il
condannato può essere affidato al servizio sociale. Si tratta della massima misura
alternativa al carcere perché comporta una totale remissione in libertà, ad eccezione del
rispetto di alcune regole, quali l'obbligo di mantenere i contatti con l'ufficio di esecuzione
penale, di risiedere in un determinato Comune, di lavorare e di non frequentare luoghi e
persone che possano indurre al reato. Se la prova si conclude positivamente, la
pena si estingue.
• Detenzione domiciliare (articolo 47 ter o.k.) Il condannato può scontare la pena presso
la propria abitazione (arresti domiciliari). Può essere concesso se si tratta di donna incinta o
madre di bambini piccoli, padre di bambini piccoli qualora manchi la madre, persone in
condizioni di salute particolarmente gravi, persone di età superiore a 60 anni o di età inferiore
ai 21 anni, per esigenze di salute, studio, lavoro e famiglia.
• Liberazione condizionale Il condannato può scontare la pena fuori dal carcere, in libertà
vigilata, se nel corso della carcerazione ha mostrato con il proprio comportamento di essersi
pentito. Questo beneficio è concesso dopo un accurato studio della personalità del condannato
e di un’analisi delle caratteristiche dell’ambiente familiare e sociale nel quale il soggetto
rientrerebbe.
• Semilibertà (articoli 48-52 o. P.) La concessione della semilibertà consiste nel fatto che il
detenuto è autorizzato a trascorrere parte della giornata fuori dal carcere per dedicarsi

al lavoro, allo studio o ad un'attività utile al suo reinserimento sociale. Può essere concessa
se “in relazione ai progressi, vi sono le condizioni per un reinserimento sociale”.  Liberazione
anticipata (articolo 54 o.k.)

Questa misura riduce la pena di 45 giorni a semestre per il condannato che “ha dato prova di
partecipare all'opera di rieducazione”.
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Permessi premio: Possono essere concessi permessi premio per un massimo di 15 giorni e per
non più di 45 giorni complessivi l'anno, “per motivi di particolare rilievo, attinenti allo studio,
lavoro o famiglia”. Le misure alternative alla detenzione, per i maggiorenni, presuppongo una
pena detentiva breve, e per la loro concessione va dimostrata l’adeguatezza in relazione al
reinserimento sociale del condannato e la previsione che la misura non verrà violata
(articolo 58). Tra queste ricordiamo anche la libertà controllata, per una pena detentiva non
superiore ad un anno, la conversione in pena pecuniaria, per una pena detentiva non superiore
a sei mesi (articolo 53). C’è infine l'espulsione, una misura alternativa alla detenzione che
riguarda gli stranieri.

La capacità di rendere testimonianza

L'art. 196 del codice di procedura penale, dopo aver stabilito che “ogni persona ha la capacità di
testimoniare”, prevede la possibilità che qualcuno, “per infermità fisica omentale”, non sia
idoneo a rendere testimonianza, e pertanto autorizza il giudice a disporre opportuni
accertamenti. La valutazione della CAPACITÀ A TESTIMONIARE è un esame clinico delle
funzioni mentali del soggetto, volto ad accertare se esse gli consentono di rievocare
con sufficiente precisione un evento oggetto della sua esperienza. Questo accertamento non
è tra i più semplici, perché la memoria è una funzione mentale complessa: nella
rievocazione di un evento, infatti, possono intervenire distorsioni emozionali, false
memorie e fenomeni distorsivi. Inoltre, possono interferire con la capacità rievocativa di un
soggetto molteplici stati patologici, quali allucinazioni, deficit cognitivi e disturbi della coscienza.
L'età del soggetto, infine, è una variabile molto importante della capacità evocativa. Il
procedimento per violenza o abuso sessuale su minore

GENERALITÀ SUL REATO

Nel nostro Codice penale, i reati di contenuto sessuale sono compresi tra i reati contro la libertà
individuale. L'elemento discriminante per stabilire se un atto è un reato o meno è il libero
consenso; infatti, l’articolo 609 bis del codice penale sancisce: “Chiunque, con violenza o
minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è
punito con la reclusione da cinque a dieci anni. La stessa pena è prevista per chi induce taluno a
compiere o subire atti sessuali:
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1) abusando della condizione di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al


momento del fatto;

2) traendo in inganno la persona offesa. Nei casi di minore gravità, la pena è diminuita”.
La legge individua tre fasce d'età della vittima:
• Se la vittima ha più di 16 anni, il reato sussiste se vi è la mancanza di consenso da parte della
vittima;
• Se la vittima ha un’età compresa tra i 14 e i 16 anni, il reato sussiste, a prescindere
dall’eventuale consenso, se il colpevole è una persona che ha nei confronti del minore una
funzione di guida e di supporto (genitore, tutore, affidatario);
• Se la vittima ha meno di 14 anni, il reato sussiste in ogni caso. Nei reati sessuali compiuti su
soggetti di età inferiore ai 14, infatti, viene considerato abuso sessuale il coinvolgimento di
bambini e adolescenti, soggetti quindi immaturi e dipendenti, in attività sessuali che non
comprendono ancora completamente, alle quali non sono in grado di acconsentire con totale
consapevolezza. In base alla gravità dell'azione si distingue tra:
• Abuso lieve o moderato, ovvero mostrare al minore materiale pornografico, toccarlo
nelle parti intime, farsi toccare nelle parti intime, fare assistere il minore a rapporti sessuali tra
adulti;
• Abuso grave, ovvero penetrazione anale o in vagina, pratiche masturbatorie, sesso orale. Si
tratta, tuttavia, di una classificazione di scarso significato clinico, perché il fatto che una
esperienza è stata per il minore un trauma lieve, moderato o grave, dipende, oltre che dal tipo
di atto, anche da fattori che devono essere valutati caso per caso, come l'età della vittima, il
rapporto che intercorre tra la vittima e l'aggressore, la frequenza e la durata dell'esperienza, la
rapida disponibilità di un sostegno psicologico.

LO SVELAMENTO. Lo svelamento è l’emergere del sospetto o della certezza del fatto: se lo


sviluppo cognitivo raggiunto e le condizioni del contesto glielo permettono, il minore
sessualmente molestato comunica ad un adulto di riferimento (genitore, maestra) la molestia di
cui è stato oggetto e indica l'aggressore. È possibile, però, che l'età e altri fattori non
consentano al bambino di fare un racconto esplicito: i bambini molto piccoli non hanno una
cognizione della sessualità per cui, anche se traggono sensazioni di fastidio dagli atti del
molestatore, spesso hanno una percezione confusa di ciò che avviene. Talvolta, questa
confusione può essere alimentata dal molestatore stesso, il quale camuffa come normale o
come gioco la sua attività. Per questo motivo, può succedere che un bambino rimanga a lungo
esposto all'azione di abuso e che manifesti segnali di disagio o di malessere. Questi segnali
possono essere specifici, come toccarsi frequentemente i genitali, dare segni di
insofferenza nelle pratiche igieniche, manifestare curiosità per i genitali dell'adulto che lo
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accudisce, mostrare difficoltà a vestirsi; altre volte, invece, il minore può dare segnali che non
contengono un riferimento alla molestia sessuale, come facile irritabilità, difficoltà
dell’attenzione, disturbi del sonno o dell'alimentazione. Quando un adulto viene a conoscenza
di un caso di abuso o di comportamenti che potrebbero essere di abuso, sorge il dovere della
denunzia. Qualora esistessero dubbi in merito, può essere opportuno consultare un
esperto; questa verifica, tuttavia, è impossibile quando c'è conflitto tra i genitori
relativamente alla reale sussistenza dell'abuso, alla persona sospettata, o quando questa
persona è uno dei genitori stessi; vi è la necessità dell’accordo di entrambi i genitori che
esercitano la potestà genitoriale

LA TUTELA DEL MINORE

Se c'è una persona sospettata di abuso ed esiste la possibilità che si verifichino


ulteriori rapporti tra il minore e questa persona, come nel caso di abuso intrafamiliare , il
Tribunale per i minorenni può disporre un provvedimento finalizzato alla tutela del minore,
impedendo ulteriori rapporti tra il minore e questa persona, in attesa che i fatti si chiariscano.
Se la persona in questione è uno dei genitori e la coppia è separata, il provvedimento giudiziario
consisterà nell'impedire l'ulteriore frequentazione del minore con questo genitore, o del
tutto o ricorrendo ai cosiddetti incontri protetti al fine di non limitare completamente
la relazione genitore-figlio, dato che al momento si tratta solo di un'ipotesi di reato che
potrebbe rivelarsi infondata. Gli incontri avvengono sotto la supervisione di una terza
persona, presso un Consultorio familiare o un ufficio di Servizio sociale;

-Se la coppia è convivente, invece, il Tribunale può disporre l'allontanamento del minore,
affidandolo temporaneamente ad un'altra famiglia o collocandolo presso una comunità
assistenziale.

Successivamente, si discute tra esperti se sia opportuno o no avviare subito il minore ad un


percorso terapeutico:

I sostenitori dell'intervento immediato sostengono che il bambino debba essere avviato già ai
primi segni di malessere ad un trattamento perché, anche se non si trattasse di abuso, sarebbe
chiaro che il bambino vive una situazione anomala e che, dati i tempi processuali, vi resterebbe
esposto troppo a lungo;
Altri sostengono che, fino a quando non c'è certezza che un'esperienza sessuale impropria sia
avvenuta, sarebbe inutile e persino dannoso che il bambino venga curato per le conseguenze di
un evento che potrebbe anche non essere avvenuto. Ciò che è fondamentale è che al
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momento della testimonianza il bambino deve essere a riparo da qualsivoglia induzione o


condizionamento, in modo che il suo racconto possieda il massimo della genuinità e
spontaneità; un percorso terapeutico per fronteggiare un malessere da presunto abuso,
potrebbe essere capace di indurgli falsi ricordi o errate percezioni.

LA RACCOLTA DELLA TESTIMONIANZA

Con la denunzia, fatta alle forze dell’ordine o direttamente alla Procura della repubblica, il
Pubblico ministero avvia le proprie indagini, che consistono nel raccogliere la
deposizione del denunziante, dell’indagato, di eventuali testimoni e del minore stesso,
nell’esaminare materiale investigativo e quanto altro possa essere utile ad accertare il reato e
l’autore. Se nei tempi previsti dalla legge il Pubblico ministero acquisisce elementi
sufficienti a provare che il reato è avvenuto e a indicarne il responsabile, si apre il vero e proprio
processo. Una caratteristica dei procedimenti per abuso sessuale a danno di un minore è che
raramente esistono testimonianze dirette e prove oggettive del reato, ed esiste solo la
testimonianza del minore stesso. Vengono a coesistere, quindi, due esigenze non
sempre compatibili tra loro:

- Da un lato, quella di proteggere psicologicamente il minore sia dal trauma di rivivere


l'esperienza dell'abuso, sia dall'impatto con l'esperienza del processo;
- Dall'altro lato, l'esigenza di ottenere dal minore una testimonianza dettagliata di quanto
avvenuto, quindi conferme, segni di coerenza e veridicità. Per risolvere questo problema, il
sistema giudiziario prevede alcune soluzioni: il ricorso all'incidente probatorio, l'audizione
protetta, ed una serie di modifiche alle regole che governano l'esame e il controesame del
testimone nel corso del dibattimento. {In sintesi: il Pubblico ministero può procedere alla
raccolta della testimonianza del minore e può chiedere al giudice che si proceda con l’incidente
probatorio, e analoga richiesta può fare l’indagato: se viene effettuato incidente probatorio,
nella fase del dibattimento il minore non sarà più sentito. L’esame del minore può essere
effettuato nelle forme della cosiddetta audizione protetta; se non viene effettuato
incidente probatorio, il minore dovrà testimoniare nel corso del dibattimento, ma sarà
interrogato solo dal presidente dell’udienza}.

L’INTERROGATORIO DA PARTE DEL PUBBLICO MINISTERO

Il Pubblico ministero può decidere di procedere in uno dei seguenti modi:

- Interrogare personalmente il minore;

- Interrogare il minore con l'ausilio di un esperto (uno psicologo o un neuropsichiatra infantile;


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- Delegare l'interrogatorio ad un esperto;

- Delegare l'interrogatorio ad una persona appartenente alla polizia giudiziaria che, a sua volta,
potrà procedere da sola o con l'ausilio di un esperto.

- Delegare l'interrogatorio ad una persona appartenente alla polizia giudiziaria che, a sua volta,
potrà procedere da sola o con l'ausilio di un esperto.

LA CAPACITÀ DI TESTIMONIARE

Il problema fondamentale dei procedimenti per violenza e abuso sessuale sui minori è ottenere
dal bambino una testimonianza fedele di quanto accaduto, e questo è un problema tanto più
rilevante quanto più è bassa la sua età. L'articolo 196 del codice di procedura penale afferma
che “ogni persona ha la capacità di rendere testimonianza”: la norma, pertanto, non solo
riconosce al minore piena capacità di testimoniare, ma non pone nessun limite di età: ciò
implica che anche un bambino molto piccolo, purché abbia un minimo di capacità di
comunicazione, può testimoniare.

Si ritiene che:

-L’età minima per prendere in considerazione l'eventualità che un bambino testimoni


è quattro anni, perché al di sotto di questa età la sua competenza linguistica è molto povera e
non è detto che il bambino comprenda quello che gli viene chiesto;

-In età prescolare, il bambino non è in grado di distinguere tra realtà e fantasia;

-Fino a 9/10 anni la capacità di utilizzare correttamente la categoria vero/falso è molto incerta;

- Il ricordo di un evento può essere facilmente modificato dagli adulti per effetto di induzione.
Domande suggestive possono produrre il ricordo di un evento o di un elemento del racconto in
realtà mai esistito;

-La reiterazione del racconto è fonte di distorsione del ricordo perché induce il bambino ad
aggiungere nuovi dettagli fantasiosi ad ogni nuova richiesta (il bambino è portato a
credere che gli chiedono di raccontare nuovamente perché la prima risposta “non era buona” e
quindi cerca di migliorarla);

-Il passare del tempo modifica il ricordo, sia dal punto di vista quantitativo che dal punto di vista
qualitativo, e modifica anche le emozioni rispetto all’evento.

Oltre questi fattori generali, bisogna prendere in considerazione fattori soggettivi del bambino
in questione, quali lo sviluppo cognitivo, le competenze linguistiche, lo stato emozionale,
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l’influenza da stimoli provenienti da fonti quali le trasmissioni televisive o i racconti di coetanei.


L’esperto che valuta la capacità a testimoniare deve tenere presente che si tratta di un esame
clinico, il cui oggetto è lo stato di una funzione mentale della persona in questione
(evocare un evento così come viene percepito e riferirlo).

L’INCIDENTE PROBATORIO

È essenziale “isolare” e proteggere il minore del quale si deve raccogliere la


testimonianza da qualsivoglia influenza, intenzionale o no, provocata da immagini, parole o
comportamenti, in modo che il racconto rispecchi nel modo più genuino possibile ciò
che è nella sua mente. Altrettanto essenziale è che il racconto testimoniale sia stimolato da un
esaminatore realmente esperto, che sappia condurre il colloquio stimolando il racconto libero,
ponendo solo domande aperte , evitando qualsiasi domanda inducente e senza lasciare
intendere al bambino che c’è una risposta attesa, il che lo porrebbe nella condizione di riferire
non “ciò che è stato” ma ciò che immagina ci si attenda da lui. Lo strumento giuridico che
consente che il minore sia sentito possibilmente una sola volta e quanto prima possibile è
l'incidente probatorio. La testimonianza del bambino presunta vittima è tanto più vicina alla
realtà dell’evento quanto più precocemente viene raccolta. L'incidente probatorio è
un'udienza anticipata a quando sono ancora in corso le indagini, il che consente che
venga raccolta una prova esposta a deterioramento o a perdita; si tratta di una vera e propria
udienza dibattimentale, che viene condotta dal giudice per le indagini preliminari e può essere
richiesta sia dal Pubblico ministero che dall'indagato.

L’AUDIZIONE PROTETTA

L’incidente probatorio, in cui vi partecipano il Pubblico ministero, l’indagato, il suo


difensore, gli eventuali consulenti del Pubblico ministero e dell’indagato, può costituire per un
minorenne una situazione ansiogena. Per questo motivo, nei procedimenti per abuso sessuale
(articolo 398.5), è prevista la cosiddetta audizione protetta, che consiste nel fatto che, quando
si deve raccogliere la testimonianza di soggetti di età inferiore ai 16 anni, l'udienza per
l'incidente probatorio può avvenire fuori dal Tribunale, in un luogo più rassicurante per il
minore e, se necessario, persino nel suo domicilio. Inoltre, facendo ricorso ad attrezzature
come lo specchio unidirezionale, è possibile che l'esame testimoniale venga condotto sotto
forma di colloquio a due, giudice e minore, al massimo con la partecipazione di un esperto o di
una persona idonea a rassicurare il minore; tutti gli altri soggetti aventi diritto a partecipare
all’udienza assistono senza essere fisicamente presenti.
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IL DIVIETO DI ESAME DIRETTO DEL MINORE

L'articolo 498.4 del codice di procedura penale prevede che il minore non può essere
interrogato direttamente dalle parti (Pubblico ministero e avvocati) ma solo dal
presidente dell'udienza, al quale è affidato il compito di formulare le domande delle parti in
maniera tale che siano comprensibili per il minore e quanto meno disturbanti possibile. Il
presidente, se si rende conto che questa cautela non è necessaria, può revocarla in qualsiasi
momento e consentire l'esame diretto del minore.

Procedimenti per stalking e mobbing

Per STALKING si intende il comportamento di chi assilla frequentemente e per lungo tempo
un'altra persona (non consenziente) con ogni mezzo possibile: telefonate ripetute nel
corso della giornata o in orari insoliti, lettere, biglietti, SMS, scritte sui muri, proponendo inviti,
facendosi trovare nei luoghi frequentati abitualmente; in questo modo lo stalker provoca
forte disagio o paura nella vittima, condizionandone il normale svolgimento della vita.

In genere, il persecutore o stalker non è un estraneo della vittima: spesso si tratta di una
persona con la quale c'era stata una relazione intima, o che vorrebbe una tale relazione e non si
arrende davanti alla manifestazione di un rifiuto; il persecutore, in sostanza, è quasi sempre
mosso da un bisogno di vendetta o di rivendicazione, ovvero da una ostinata richiesta. Qualche
volta il comportamento persecutorio è espressione di una importante malattia mentale, e in
questi casi è possibile che la vittima sia stata individuata in maniera assolutamente casuale. In
Italia, come stabilisce dall’articolo 612 bis del Codice penale, introdotto nel 2009, i
comportamenti di stalking o “atti persecutori” prevedono che la vittima:

• Abbia provato perduranti sentimenti di ansia o di paura a seguito del


comportamento dello stalker;

• Abbia temuto per la propria incolumità o per quella di propri congiunti; Abbia dovuto

modificare in peggio le sue abitudini di vita.

Un altro reato di natura persecutoria, ma che si svolge prevalentemente in ambito lavorativo,


è il MOBBING: si tratta di un comportamento intenzionale e prolungato nel tempo,
apparentemente non violento, con il quale una o più persone ne pongono un'altra in una
condizione di grave disagio psicologico. La vittima viene assegnata a compiti umilianti, diventa
oggetto di ostracismo o maldicenze, viene collocata in luoghi di lavoro scomodi e fisicamente
non idonei. Insomma, è sottoposta ad ogni genere di comportamento che possa renderle
penoso il lavoro e umiliarla.
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Vi sono vari tipi di mobbing:

- Mobbing orizzontale , ovvero le azioni persecutorie possono provenire da soggetti che hanno
una posizione gerarchica superiore o da colleghi, e possono avere l'obiettivo di
indurre la vittima a licenziarsi;
- Mobbing verticale o ascendente , cioè i lavoratori si coalizzano contro il capo o lo accusano
ingiustamente al fine di farlo estromettere;

- Mobbing familiare, generalmente connesso ad una separazione coniugale in corso, e si ha


quando un coniuge mette in atto comportamenti persecutori nei confronti dell'altro coniuge
per indurlo a lasciare l'abitazione o ottenere condizioni giuridiche vantaggiose, o potrebbe
screditarlo agli occhi dei figli.

Anche la scuola può diventare luogo di comportamenti mobbizzanti. In tal caso si parla di
BULLISMO, ovvero il comportamento per mezzo del quale un gruppo di pari
sottopone uno dei membri a maltrattamenti o pratiche umilianti. In tali contesti, la vittima può
avere danni psichici come disturbi psicosomatici, del sonno e dell’alimentazione,
dell’autostima, fino ad arrivare alla depressione. Anche quando il singolo atto non è
considerabile reato, l’insieme dell’azione persecutoria può rientrare nella ipotesi del reato di
lesioni personali, il quale, oltre a prevedere la condanna dell’autore, può fare riconoscere
alla vittima il diritto al risarcimento del danno.

L’area penale minorile. La responsabilità penale del minorenne

Secondo l'art. 97 prima di 14 anni il minorenne è automaticamente non imputabile, la non


imputabilità lascia aperte le porte a provvedimenti di altro tipo di efficacia discutibile, dunque,
andrebbero trovate modalità alternative di sanzione per devianti precoci. Tra i 14 e i 18 anni
perché ci sia l'imputabilità si deve dimostrare che il minore è "capace di intendere e volere"

Intendere: possesso di abilità cognitive tali da consentire la comprensione degli elementi della
scelta e del loro significato; volere: possibilità di auto-determinazione e auto-limitazione di
fronte a una scelta che trasgredisce una norma anche se appaga un bisogno. Quando si ha a che
fare con i minorenni non si può dare per scontato che abbiano una maturità tale da consentirgli
la comprensione dei comportamenti e il controllo delle emozioni. Una persona è matura
quando è capace di essere giudice delle proprie azioni, tollerare le frustrazioni, controllare le
proprie pulsioni e trovare soluzioni adeguate. Nelle prime fasi di sviluppo si stabilisce un nesso
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tra maturità e moralità: con l’avanzare dell’età la morale diventa autonoma e diventa capace di
suggerire dall’interno cosa si può e non si può fare. Il soggetto maturo e moralmente
responsabile è capace di identificarsi con l’ambiente e condividerne le regole, trovando un
giusto compromesso tra regole sociali e legali. Il grado di maturità del minorenne imputato va
rapportato al suo livello di sviluppo personale e al contesto in cui vive ("maturità relativa"): solo
a seguito di questa valutazione si può definire il grado di imputabilità.

Il processo come risposta alla devianza minorile

La devianza è il risultato complesso di una serie di rapporti tra percezioni, azioni, motivazioni
della persona e criteri di controllo sociale. La risposta alla devianza deve essere sia giuridica che
sociale: accanto alla sanzione deve esistere anche una funzione di rieducazione e reinserimento
sociale. La decisione riguardo quale tipo di risposta sociale bisogna dare al comportamento
deviante va presa nel processo penale in cui si pone particolare attenzione alla personalità
dell’imputato (DPR 448 del 1988). Nei centri di prima accoglienza vengono accolti gli arrestati in
alternativa al carcere.

L’auspicio è quello di influire positivamente sullo sviluppo della personalità del minore, così da
recuperarlo con il minor danno possibile per tutti.

Le alternative alla detenzione e la messa alla prova

La rieducazione del deviante mira all'intervento all'interno del complesso processo di


maturazione dell'adolescente (nel caso dei minori). L’obiettivo è una rieducazione non tanto
come sostituzione di una nuova socializzazione a quella precedente, ma come potenziamento e
valorizzazione delle capacità positive del minore. La "costruzione sociale della normalità" può
essere realizzata soltanto mediante l'attiva e consapevole partecipazione ad esperienze
correttive come quelle del lavoro o dell'attività in comunità scoprendo l'utilità ai fini della
realizzazione di sé e i vantaggi rispetto a valori e comportamenti che l'hanno indotto alla
devianza. In questo modo l’adolescente deviante può scoprire valori e comportamenti diversi a
quelli a cui era abituato scoprendone utilità e vantaggi. Per i minorenni si evita la detenzione il
più possibile. Le misure alternative alla detenzione per i minorenni devono tenere conto "della
personalità e delle esigenze di lavoro o di studio del minorenne nonché delle sue condizioni
familiari, sociali e ambientali"; queste sono:

- Specifiche prescrizioni: inerenti alle attività di studio o lavoro o comunque utili all’educazione

- Permanenza in casa: deve rimanere in casa e può allontanarsi solo per studiare o lavorare. Il
comportamento lo controllano i genitori e spesso non può comunicare con persone diverse da
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quelle che vivono con lui. Questa misura richiede la presenza di una famiglia positivamente
orientata verso il reinserimento del minorenne

- Collocamento in comunità: il giudice affida il minorenne a una comunità pubblica o autorizzata.


Queste comunità costituiscono la condizione migliore per realizzare il processo di costruzione di
nuovi valori e comportamenti

- Sospensione del processo con messa alla prova: questa misura è specificata dall’articolo 28 del
c.p.p. Il giudice, sentite le parti (il minore e la famiglia) può decidere di sospendere il processo
per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la
pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi,
per un periodo non superiore a un anno. Il minore viene affidato ai servizi minorili
dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento delle attività di osservazione,
trattamento e sostegno. Decorso il periodo di sospensione il giudice dichiara estinto il reato se
la prova ha esito positivo, oppure si procede con il processo se ha esito negativo. La messa alla
prova non può essere considerata come rimedio puramente procedurale il cui successo dipende
dal numero degli esiti positivi, e può essere valutata solo in ragione del conseguimento
dell’obiettivo di risocializzazione. I rischi di usare questa misura sono che questa venga utilizzata
come mezzo di depenalizzazione implicita, che si verifichi una disparità di trattamento in base
alle sedi e all’atteggiamento dei singoli magistrati; che i tempi processuali e i frequenti ritardi si
prolunghino esageratamente. Gli scopi della messa alla prova sono:

• Stimolare l’autostima del soggetto e aiutarlo a capire che può riuscire a cambiare positivamente
• Valorizzare e canalizzare speranze, risorse e aspettative  Riuscire a ottenere una positiva
evoluzione della personalità.

Gli obiettivi specifici sono:

• Indurre il ragazzo avviato verso la devianza a una attiva riflessione sul suo futuro  Fornirgli
opportunità e sostegno
• Avvicinarlo a contesti di società civile a cui non avrebbe mai avuto accesso (es. aree di
volontariato)

Questi obiettivi devono fare parte del progetto educativo (previsto dall’articolo 27). Questo va
elaborato dai servizi sociali dei comuni. Deve includere:

a. Le modalità di coinvolgimento del minore, del nucleo familiare e dell’ambiente di vita

b. Gli impegni specifici che il minore assume

c. Le modalità di partecipazione al progetto degli operatori della giustizia e dell’ente locale


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d. Le modalità di attuazione dirette e riparare le conseguenze del reato e a promuovere la


conciliazione del minore con la persona offesa.

La fattibilità del progetto è controllata dai servizi sociali che informano periodicamente il giudice
dell’attività svolta e dell’evoluzione del caso. Concluso il periodo deve essere mandata una
relazione al presidente del collegio e al pubblico ministero che riguarda l’evoluzione della
personalità del soggetto. Se l’esito è positivo il reato viene dichiarato estinto; se l’esito è
negativo si va al processo. È importante che il minore comprenda la disfunzionalità dei sistemi
antisociali seguiti prima che lo hanno condotto alla devianza e che capisca l’utilità di un
cambiamento.

L’area civile

Maltrattamento e incuria

Il diritto può intervenire quando la famiglia non risponde ai bisogni dei bambini. Questa
mancata risposta o inidoneità alla funzione genitoriale può avere diverse origini:

- Mancato riconoscimento alla nascita

- Impossibilità o incapacità di accudire una persona minorenne perché entrambi i genitori hanno

subito condanne definitive e lunghe - Patologie : disabilità psichica dei genitori -


Tossicodipendenza o prostituzione.

La non idoneità dei genitori si manifesta in vari modi:- Maltrattamenti fisici e psichici-
Abbigliamento inopportuno- Mancate cure mediche- Scarsa igiene- Cure esagerate, come
ricorrere di continuo al medico, somministrare farmaci senza motivo, simulare le malattie dei
figli (Chemical abusi, sindrome di Munchausen)- Violenze psicologiche, come la segregazione in
casa delle figlie, la pretesa di prestazioni negli studi esageratamente elevate, evasione
scolastica. Le conseguenze comportamenti per i minori possono essere pigrizia, demotivazione,
stanchezza cronica ecc. L'articolo 232 bis prevede l'allontanamento dalla casa familiare del
soggetto autore del reato, disposto dal GIP su richiesta del PM. Gli articoli 230 e 233 prevedono
la decadenza della potestà genitoriale e l'allontanamento dalla famiglia. Se non vi sono parenti
in grado di assumersi la responsabilità in luogo dei genitori il Tribunale attiva una istruttoria e si
avvale dei servizi sociali e clinici prevedendo tentativi di sostegno della famiglia natura da parte
dei Servizi, e/o affidamento temporaneo a famiglie esterne.
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Affido temporaneo etero-familiare

(Legge 149 del 2001 diritto dei minori ad una famiglia) Quando la famiglia naturale non è in
grado di mantenere i minori si può cercare una famiglia affidataria che collabori con quella
naturale, oppure una famiglia adottiva del tutto nuova. L’affido consiste nell’affidare i minori
con famiglie problematiche a coppie con figli propri, ad una persona singola oppure a una
comunità familiare. "L'affidamento familiare è disposto dal servizio sociale e svolge opera di
sostegno educativo e psicologico". L’affido deve agevolare i rapporti tra il minore e i genitori e
deve favorire il reinserimento nella famiglia di origine. La famiglia affidataria deve rispettare il
vissuto del minore, non imporre principi o valenze culturali diversi ed evitare un attaccamento
eccessivo. La famiglia affidataria è fondamentale per produrre una migliore autostima nel
minore e più soddisfacenti modalità relazionali. L’affido non deve superare i 24 mesi ed è
prorogabile dal tribunale ma in Italia è poco diffuso.

Adozione del minorenne

Se nessuna valida alternativa alla famiglia naturale è possibile il tribunale può dichiarare lo stato
di abbandono del figlio. A questa dichiarazione consegue quella di adottabilità: sono dichiarati
in stato di adottabilità i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di
assistenza da parte dei genitori. L'interesse del minorenne adottando è giuridicamente
preminente su quello della coppia richiedente adozione. Si deve attivare un "patto adottivo"
poiché l'inserimento all'interno della nuova famiglia comporta problemi affettivi, emozionali,
relazionali e sociali. La coppia aspirante all’adozione deve passare attraverso una valutazione di
idoneità che va accertata:

- La presenza di risorse affettive in grado di sostenere lo sviluppo fisico e psichico del bambino

- La disponibilità a prendersene cura materialmente e psicologicamente- La capacità di

sostenerlo nei momenti difficili.

Dopo il riconoscimento dell’idoneità il tribunale avvia “l'abbinamento” della coppia più idonea a
uno specifico bambino. Compiuto questo abbinamento e affidato il bambino, la coppia viene
seguita per almeno un anno prima dell’adozione definitiva. Trascorso un anno dall’affidamento
preadottivo, il tribunale ascolta la coppia, il minore, il tutore e chiunque abbia svolto una
funzione di vigilanza o sostegno e procede l’adozione con sentenza. Per quanto riguarda
l’adozione internazionale, può essere vista come più agevole di quella nazionale, ma si presenta
un problema importante: le differenze etniche e culturali rendono difficili una reciproca e
rapida identificazione. È infatti importante che i genitori prendano contatto con la cultura del
paese di origine del bambino e ne conoscano le tradizioni. L’adozione mira ad appagare i
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bisogni sia della coppia sia del bambino, creando un nuovo legame generazionale. Separazione
coniugale e divorzio

L’ordinamento giuridico italiano prevede due forme di matrimonio:

- Civile: celebrato davanti al sindaco o un altro componente dell’amministrazione comunale

- Concordatario: celebrato da un sacerdote investito della duplice funzione di ministro di culto e


funzionario di stato civile.

La legge 54 del 2006 dichiara che il "contratto" coniugale è soggetto a risoluzione, in una fase
meramente di fatto e successivamente anche in quanto all'aspetto giuridico, con la sentenza di
divorzio.

La separazione può essere raggiunta concordemente o in modo contenzioso:

- Consensuale: i coniugi stipulano degli accordi tra loro e li sottopongono al presidente del
tribunale. Questo, dopo averli convocati, tenta una conciliazione; se il tentativo non fa effetto
esamina gli accordi già presi e li rende giuridicamente efficaci con un atto chiamato di
omologazione.

- Giudiziale (detta "per colpa" o "con addebito"): uno dei coniugi chiede che la causa della
separazione sia addebitata al comportamento dell’altro coniuge. L’addebito comporta che il
coniuge ritenuto responsabile perda il diritto all’assegno di mantenimento e il diritto di
ereditare dall’altro coniuge; resta solo il diritto ai cosiddetti alimenti. Anche in questo caso il
presidente del tribunale convoca i coniugi e tenta una conciliazione; se il tentativo fallisce
emette dei provvedimenti provvisori idonei a regolare la vita dei coniugi e dei figli minorenni
finché non si giungerà a una sentenza.

Per chi non ha mai stipulato il contratto matrimoniale e vuole porre fine alla convivenza e sono
presenti figli minorenni, la competenza è del tribunale per i minorenni. In questo caso mancano
il tentativo di conciliazione e le disposizioni provvisorie: presentata l’istanza, il tribunale decide
riguardo l’affidamento dei figli, il collocamento e il diritto di visita. Nelle separazioni un
problema fondamentale è quello dell’affidamento e del collocamento dei figli minorenni. Se
non ci sono motivi gravi come malattia mentale, abuso da alcool o da sostanze stupefacenti. La
norma prevede che i figli siano affidati congiuntamente a entrambi i genitori conservando
entrambi la patria potestà. In caso di insanabile disaccordo sarà necessario ricorrere al giudice.
Il problema pratico è quello del loro collocamento, del luogo dove vivere. Si fa ricordo a diverse
formule:

- Una è quella di dividere il tempo in modo paritario tra le due abitazioni


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- Un’altra prevede che i figli vivano stabilmente in un luogo e i genitori si trasferiscano ruotando
periodicamente.

La formula più ricorrente è quella nella quale il giudice dispone il "collocamento prevalente"
presso un genitore e indica quando i figli si trasferiranno presso l’altro genitore (diritto di visita).
Passati 3 anni dalla sentenza di separazione i coniugi possono procedere il vero e proprio
divorzio.

L’ascolto dei figli minorenni nella separazione dei genitori

La legge 54/2006 ha introdotto importanti modifiche che ruotano intorno alla tutela del figlio
minorenne come, ad esempio, la "audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici
e anche di età inferiore ove capace di discernimento". Per la tutela del figlio dei genitori che si
separano sono previste sanzioni per il genitore che si renda responsabile di gravi inadempienze
o di atti che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità
dell'affidamento. I diritti del fanciullo sono stati espressi dall'Onu nella Convenzione di New
York del 20 novembre 1989 e la Convenzione di Strasburgo del 1996.

L’autorità giudiziaria dovrà accertare che il minore abbia ricevuto adeguate informazioni sulla
vicenda e gli deve consentire di esprimere la sua opinione della quale si deve tenere conto.
L’estraneità e l’autorevolezza della persona possono essere usati per rassicurare il minore e
dargli un punto di riferimento. Il compito del giudice di raccogliere e tenere conto dell’opinione
del minore solleva delle perplessità:

1) Nell’ottica di un soggetto in età evolutiva che ha sempre vissuto con entrambi i genitori,
dover indicare uno con cui vivere ha dei risvolti negativi perché sposta su di lui l’angoscia di una
mutilazione di affetti e non garantisce che la sua scelta indichi il genitore che avverte più vicino
a sé. È stato individuato infatti il cosiddetto conflitto di lealtà che consiste nel fatto che se il
minore ha una relazione problematica con uno dei genitori, sceglie proprio questo genitore
perché, secondo lui, se dovesse tradire questo genitore quest’ultimo si vendicherebbe mentre
l’altro non lo perderebbe mai.

2) Una seconda perplessità è data dal fatto che quando nelle separazioni ci sono figli
adolescenti si crea una contrapposizione tra il genitore permissivo e il genitore delle regole.
Qualche volta, pur di evitare di stare con il genitore delle regole, i minori ne parlano male
lamentando percorre, trascuratezza ecc.

3) Un’altra perplessità deriva dal fatto che i genitori fanno di tutto per attirare a sé il figlio e
metterlo contro l’altro genitore. Per i minori questa fase è la più dolorosa e disturbante.
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La CTU per i problemi psicologici ricorrenti nelle separazioni

Le separazioni e il divorzio sono fenomeni molto diffusi che spesso comportano l'inserimento di
un nuovo partner in famiglia, dunque, è compito del giudice dettare regole buone per il futuro
di tutto il nucleo familiare. Le separazioni delle famiglie monoreddito segnano una caduta del
tenore di vita, dunque, le questioni patrimoniali e la disputa sul possesso dei figli diventano
luogo in cui si riversano rancori e personali frustrazioni.

Spesso il giudice non ha elementi sufficienti per decidere su chi sia la persona più adatta ad
avere in casa i figli minorenni e sui tempi e i modi di frequentazione con entrambi, quindi, può
dare incarico uno o più esperti di effettuare una consulenza psicologica. Il consulente dovrà:

- Valutare la personalità dei coniugi e a volte anche di altri parenti

- Valutare la loro capacità di relazionarsi, la capacità di gestire i bisogni materiali e affettivi dei
figli e le condizioni ambientali e materiali di vita

- Valutare la qualità della relazione dei figli con l’uno e l’altro genitore

Al consulente è affidato il compito di individuare e proporre al giudice le condizioni reali nelle


quali le persone potranno ricostruire le migliori relazioni affettive possibili tra loro dopo la
rottura.

La valutazione del danno psichico, morale ed esistenziale

L'art. 2043 del Codice civile obbliga al risarcimento del danno. La medicina legale ha messo a
punto un sistema tabellare di valutazione, in termini monetari, di un danno arrecato a una
persona. Si calcola quanto una certa parte o funzione del corpo incide sulla capacità generale
della persona.

Sono stati riconosciuti 3 tipi di danni non fisici (il riconoscimento che un evento può causare
danno all'area psichica è recente e deriva da una rilettura degli art. 2 e 32 della Costituzione): -
Danno psichico: è quello costituito dall’insorgenza di una patologia mentale clinicamente
definibile. Può esistere in maniera indipendente dall’esistenza di un danno fisico, può essere
concomitante oppure può essere derivato. Il risarcimento può essere esteso ai congiunti.

- Danno morale: consiste nella "sofferenza", nel dolore che un evento ingiusto ha provocato
alla persona. L’evento può essere di qualsiasi natura e il risarcimento è tipicamente
compensatorio per la sofferenza subita e per le spese affrontate. Il risarcimento può essere
esteso ai congiunti. - Danno esistenziale: si tratta di un danno psicologico che colpisce gli aspetti
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relazionali della vita. È determinante l’elemento "impedimento" o di "forzoso cambiamento"


dei normali comportamenti (la differenza con il danno morale è l'elemento "sofferenza").

Per vedere se la persona ha diritto ad un risarcimento bisogna accertare:

- L’esistenza effettiva del danno. L’accertamento avviene con gli strumenti diagnostici
classici quali il colloquio clinico o i test. Si aggiungono l'analisi della dinamica dell'evento e il
fascicolo giudiziario.

L’entità del danno: bisogna capire se si tratta di un danno transitorio o permanente. In alcuni
casi si può parlare di guarigione, in altri casi invece la guarigione consiste nell’aver acquisito un
efficace controllo dei sintomi. Il riconoscimento da parte della persona di avere un problema
psichico, la sua disponibilità a farsi curare, la costanza e la diligenza nel praticare le cure
conducono più facilmente al superamento della psicopatologia.

L’esaminatore può dire se un danno psichico è permanente o transitorio solo dopo un certo
periodo dalla sua insorgenza. Molti tribunali hanno prodotto una criteriologia del risarcimento
in termini di percentuale ma non è facile nel caso della valutazione del funzionamento mentale.

- Il nesso di causalità tra il danno e l’evento: bisogna dimostrare che la condizione psichica
sia dovuta all’evento dannoso e non ad altre cause. Questo accertamento si fa tramite
un’accurata ricostruzione anamnestica della persona e confrontando la sua condizione di vita
prima e dopo il fatto.

Interdizione, inabilitazione, amministrazione di sostegno

Si tratta di tre istituti che tutelano le persone che non possono tutelare la propria persona e i
propri beni.

Interdizione: può essere emesso a tutela di persona maggiorenne o minorenne emancipato che
si trovano in condizione di infermità mentale che li rende incapaci di provvedere ai propri
interessi. Il consulente deve prendere in considerazione vari elementi:

- L’esistenza della patologia psichica con valutazione clinico-psichiatrica

- L’abitualità della patologia con valutazione clinico-psichiatrica (prolungata nel tempo anche se
non inguaribile)

- L’incidenza della patologia nella vita del soggetto (più medicina legale). Per valutare questa
incidenza bisogna prendere in considerazione le terapie e la loro efficacia, l’adesione della
persona alle terapie prescritte, l’assistenza della famiglia.
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Alla persona interdetta viene assegnato un tutore che lo sostituisce e lo rappresenta.


Inabilitazione: è applicabile a una varietà di casi diversi dalla patologia psichica (es. alcolisti
drogati ecc.…). Può essere inabilitato il maggiorenne malato di mente ma non così tanto da
essere interdetto, oppure chi rischia di sperperare il patrimonio. Anche qui bisogna accertare la
presenza della patologia e bisogna valutare che non si tratti di una condizione occasionale.
L’inabilitato può fare molte cose vietate all’interdetto, come fare testamento, provvedere alla
propria salute, sposarsi. L’inabilitazione tutela la conservazione del patrimonio. Viene nominato
un curatore che assiste l’inabilitato in tutti gli atti di natura patrimoniale, oltre l’ordinaria
amministrazione. Amministratore di sostegno: è previsto in favore di qualsiasi maggiorenne che
si trova in una condizione di difficoltà fisica o psichica che gli impedisce determinati atti pur
conservando la capacità di intendere e di volere. L’amministratore di sostegno non si sostituisce
ma si affianca al beneficiario e ha il compito di agevolare la realizzazione della sua volontà. Si
può sostituire al beneficiario solo quando questo deve essere sottoposto ad un intervento
medico urgente. È scelto in accorso con la persona interessata. Transessualismo e
cambiamento di genere

Il transessualismo è la condizione della persona che mentalmente ha un sesso che non


corrisponde alla sua natura anatomo-fisiologica. Questa condizione è presente già nell’infanzia
ma diventa cosciente e si manifesta durante l’adolescenza. Sia il DSM che l'ICD includono il
transessualismo tra le patologie mentali; mentre nell'ICD esso viene classificato come "Disforia
di Genere", il DSM lo classifica come "Disturbo dell'Identità di Genere" (DIG), e lo ritiene
caratterizzato da una totale identificazione della persona con il sesso opposto e da grave
malessere psicologico. Le cause del transessualismo non si conoscono, ma in generale non
bisogna considerarlo un disturbo psichico. Non esiste nessuna terapia psichiatrica o psicologica
in grado di modificare la personalità del transessuale. Il malessere che prova è la risposta alla
condizione di grave disadattamento in cui si trova. L'identità di genere si struttura fin dai primi
anni di vita in base a condizioni biologiche, ma anche ad esperienze e ad influssi ambientali. Alla
bisessualità, omosessualità e travestitismo corrisponde un aspetto giuridico che garantisce il
diritto di accesso a una vita sessuale soddisfacente per il proprio sé e la propria identità, inclusa
la rettificazione del sesso. Per risolversi in modo significativo i problemi di identità di genere
richiedono un intervento medico. (Legge 164 del 1982)Sotto il punto di vista giuridico, la
correzione dell’identità sessuale comporta una modifica dell’atto di stato civile redatto al
momento della nascita: bisognerà registrare una nuova persona all’anagrafe, con un sesso e un
nome diversi da quelli precedenti. In sintesi:

- L’interessato deve fare domanda di rettificazione dello stato civile al tribunale


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- Il tribunale avvia un’istruttoria e autorizza l’intervento chirurgico per la modifica dei caratteri
sessuali

- Avvenuta la modifica, il tribunale autorizza la rettificazione dello stato civile che scioglie il
matrimonio.

L’Italia rientra tra quei paesi che autorizzano la persona ad assumere l’identità sentita solo dopo
la riuscita dell’intervento chirurgico dell’apparato sessuale. Se necessario, il giudice può
nominare un consulente per accertare le condizioni dell'interessato. Inoltre:

- Che la persona che richiede la modifica non abbia disturbi psichici che possano alterare lo stato
di coscienza

- Che si tratti di un reale bisogno

- Che valuti le motivazioni, la percezione del sé fisico e psichico

- Che valuti gli interventi chirurgici o di altro tipo e la qualità della vita dopo l’intervento

- Che accerti se la persona possiede risorse psichiche a sufficienza per affrontare la nuova realtà.

Il diritto dell’economia, del lavoro, dell’ambiente

I delitti di criminalità economica possono comportare:

- Azioni finanziarie tendenti alla truffa

- Attività valutarie illecite o finalizzate all’evasione fiscale

- Comportamenti illegittimi contro i lavoratori

- Attività anti-ecologiche con danni all’ambiente

I comportamenti economici sono oggetto di studio della neuroeconomia: tramite questa scienza
si possono porre in relazione questi comportamenti con specifiche funzioni neuropsicologiche.
Quando i comportamenti economici coinvolgono il piano giudiziario è utile l’intervento di un
neuropsicologo. Se il dolo consiste in comportamenti individuali bisogna accertare la piena
responsabilità e la capacità di intendere e di volere di attori e vittime. Se il potenziale reato
coinvolge aspetti organizzativi, bisogna chiamare uno psicologo del lavoro e delle
organizzazioni. Per quanto riguarda il danno ambientale, bisogna accertare la percezione che ne
hanno le persone danneggiate e bisogna valutare il danno biologico e le eventuali conseguenze
psicopatologiche.

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