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“Ogni discorso che abbia o presuma di avere un fondamento razionale e una conseguenza logica…
ogni procedimento discorsivo della ragione in quanto movendo da alcune premesse perviene a una
conclusione”
L’insieme delle caratteristiche che un giudice deve avere, permettono di definirlo come “buon
giudice”. Possono esserci 3 tipologie di giudici:
1. Il giudice come “bocca della legge”, idealizzato da Montesquieu ne l’Espirit de loi. “I
giudici della nazione non sono altro… che la bocca che pronuncia le parole della legge;
degli esseri inanimati che non possono moderarne né la forza, né il rigore. Spetta infatti al
corpo legislativo…, alla sua autorità suprema il moderare la legge in favore della legge
stessa, decretando meno rigorosamente di essa”.
Il giudice bocca della legge è caratterizzato da:
a. una perfetta conoscenza del diritto positivo;
b. la costante disponibilità ad applicare il diritto positivo, anche se non lo condivide
nel merito;
c. è l’ideale del giudice legalista (applica la legge anche se non è d’accordo).
Il caso Ashford v Thornton (1818)
Nel 1817, Thornton fu accusato dell’omicidio di una donna, Mary Ashford, con cui una sera si era
allontanato da una ballo, nei pressi di Birmingham, e che era poi stata trovata annegata in un fossato. In
primo grado, Thornton fu assolto, e contro tale sentenza il fratello della donna, William, propose appello
innanzi alla Corte del King’s Bench. Thornton pretese che la causa venisse decisa mediante ordalia
(duello giudiziario), secondo un’antica consuetudine normanna, non più praticata in Inghilterra da circa
due secoli, ma mai formalmente abrogata dal Parlamento. Il giudice dell’appello, Lord Ellenborough,
ammise il ricorso al duello, William Ashford rifiutò di combattere e Thornton fu definitivamente assolto.
Lord Ellenborough: «In queste circostanze, per quanto a me stesso appaia ripugnante il trial by battle,
esso costituisce nondimeno una forma di processo che, nel nostro sistema giudiziario, siamo tenuti ad
ammettere. Noi stiamo obbedendo a questa legge così com’essa è, e non come vorremmo che fosse, e
perciò dobbiamo pronunciare la nostra decisione: che il combattimento abbia luogo»
Max Weber afferma che: “lo specifico formalismo giuridico, facendo funzionare l’apparato giuridico
come una macchina tecnicamente razionale, garantisce ai singoli interessati il massimo relativo di
libertà di movimento e soprattutto di calcolabilità delle conseguenze giuridiche e delle possibilità del suo
agire di scopo”.
Una delle critiche che viene fatta al giudice bocca della legge è quella di essere in certe
situazioni troppo imparziali da ogni condizionamento morale.
Il giudice bocca della legge predilige:
• interpretazioni basate letteralmente sulla legge;
• interpretazioni basate sull’intenzione del legislatore;
• interpretazioni sistematiche, conformi alle dottrine prodotte dalla scienza giuridica
accademica;
oppure
• si atterrà ai precedenti consolidati in giurisprudenza (common law);
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• il giudice è interessato non a situazioni esterne ma a sapere i dettagli delle vicende
per poter giudicare.
2. Il giudice “saggio ed equo” o salomonico: tale giudice è una persona equa (esso deroga la
legge anche se giusta per applicarla con equità al caso concreto).
A differenza del giudice bocca della legge che si occupa solo di ricostruire i fatti a cui
applicare la norma giuridica, il giudice saggio ed equo si preoccupa anche di avere
informazioni riguardo i fatti privati delle parti in causa (condizione sociale, ecc.).
Giovanni Battista: “Un buon giudice deve possedere molte virtù, come l’onestà, la forza d’animo, la dottrina,
la prudenza, il buon giudizio raffinato dalla pratica e dall’esperienza. Queste virtù, però, non sono sufficienti.
Il giudice è come un pittore di ritratti, per il quale una tecnica di disegno e di colore perfetta non serve a
niente, se il risultato finale non assomiglia alla persona ritratta. Allo stesso modo, l’onestà del giudice, la sua
dottrina e il suo impegno nello studio delle leggi non servono a niente se il giudice non è capace di afferrare il
punto della causa, e se non saprà adattare bene la legge al fatto, secondo le circostanze particolari del caso
del quale si tratta. Ciò che più importa è un’applicazione del diritto che sia opportuna, adattata al bisogno.
Un buon giudice, prima ancora che essere un grande giurista teorico, deve essere un “fattista”, un
conoscitore dei fatti umani. Tra le altre cose, dovrà cercare di avere notizie chiare, anche ottenute fuori dalla
causa, circa le qualità delle persone coinvolte e circa ogni circostanza che possa influire sulla decisione.
Certo, dovrà argomentare sulla base degli atti, non delle notizie ottenute in modo stragiudiziale, e tuttavia nei
casi dubbi queste saranno molto utili alla buona interpretazione e applicazione del diritto Corre una comune
opinione, anche antica, che tra i leggisti ed i grammatici sia una naturale antipatia, la quale passi a qualche
grado di inimicizia”.
• un giudice del genere prediligerà considerazioni di tipo equitativo;
• prediligerà argomentazioni basate sulla “natura delle cose” e sulle “circostanze
del caso”;
• sarà interessato ad avere più informazioni possibili circa le controversie su cui è
chiamato a decidere; non gli sarà sufficiente sapere se il fatto rientra o meno
nell’ambito di applicazione di una norma [per contro, il giudice bocca della legge si
attiene al brocardo Quod non est in actis non est in mundo].
Sir Edward Coke: «bisogna prendere in considerazione non solo ciò che è lecito, ma anche
ciò che è conveniente».
Conveniens, in origine equivalente a honestum, “onesto”, “moralmente appropriato”, fu in
seguito inteso come “utile”: idoneo a produrre conseguenze buone.
! Passiamo così dal giudice «saggio ed equo», interessato a rendere giustizia nelle
circostanze del caso concreto, al giudice «ingegnere sociale», interessato a realizzare
obiettivi di utilità sociale.
3. Il giudice come “ingegnere sociale” nasce dalla necessità di essere “utile” alla società.
Questo tipo di giudice nasce nei sistemi di common law.
Roscoe: “Per comprendere il diritto odierno, mi basta pensare nei termini della soddisfazione della
maggiore quantità possibile dell'intero insieme dei bisogni umani con il minore sacrificio. Mi basta
considerare il diritto come un’istituzione sociale che serve per soddisfare i bisogni sociali - le pretese e
richieste e aspettative implicite nell'esistenza di una società civile – realizzando quanto è nelle nostre
possibilità con i minori sacrifici: un'istituzione che soddisfa quei bisogni per quel tanto che tali bisogni
possono essere soddisfatti o che tali pretese soddisfa per quel tanto che ad esse si può dare effetto per mezzo di
un ordinamento della condotta umana realizzato da una società politicamente organizzata”.
“Per i fini presenti a me basta vedere nella storia giuridica la registrazione di un sempre più ampio
riconoscimento e soddisfacimento dei bisogni umani, di pretese o di desideri mediante il controllo sociale, una
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sempre più efficace ed estesa protezione di interessi sociali, una sempre più effettiva e completa eliminazione
di sprechi e prevenzione di contrasti nel godimento dei beni che la vita offre agli uomini; infine una sempre più
efficace ingegneria sociale.”.
“Ai giuristi che argomentano e ai giudici che decidono dovrebbero essere resi disponibili molti più studi sul
funzionamento reale delle regole e dei principi nel quadro dell’attuale ordine sociale ed economico, rispetto a
quanto sia possibile trovare oggi nei manuali e nei repertori di giurisprudenza.”.
Nella pratica, questi modelli tendenzialmente coesistono: difficilmente incontreremo un giudice che
realizza in modo perfetto l’ideale espresso da qualcuno dei tre modelli.
Quali idee correnti circa il modo in cui è opportuno che i giudici esercitino le loro funzioni, i tre
modelli condizionano la forza persuasiva degli argomenti e delle tecniche interpretative utilizzabili
in giudizio.
Il ragionamento giuridico è:
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• Un ragionamento basato su regole: il ragionamento di un giurista è conforme ad un
modello (legge), volto a dimostrare che una decisione è giuridicamente fondata (legale e
conforme al diritto). Tale ragionamento non ha come presupposto la moralità, ma bensì
appunto si prefigge come ragionamento indifferente alla morale.
• Un ragionamento interpretativo: tale ragionamento non è una mera applicazione della
legge, ma il ragionamento giuridico è frutto di una cultura, di aspettative del comportamento
altrui, quindi il ragionamento è frutto di un pensiero del giurista basato su un bagaglio di
conoscenze.
Il ragionamento basato su regole, indica che chi obbedisce al diritto ragiona in modo diverso da chi
ragiona con la propria testa (dura lex sed lex). La contrarietà di una legge alla morale non fa venir
meno la sua natura di legge. Le leggi sono vincolanti in quanto poste da un’autorità competente e
non dalla verità (morale). L’applicazione delle leggi è doverosa ed esclude la possibilità di valutare
altre possibilità.
Sebbene mi trovi in ambiti non giuridici, il ragionamento basato su regole è particolarmente diffuso
nella pratica giuridica. Quando facciamo un ragionamento basato sull’autorità della legge,
evitiamo di chiederci se l’azione prescritta sia la migliore; non è necessario esplicare le ragioni per
cui la regola ha stabilità ciò che ha stabilito e l’autorità ha comandato ciò che ha comandato.
Il ragionamento giuridico è basato sull’autorità, rispetti ciò che dice la legge proprio perché l’ha
detto la legge.
• Una conseguenza controintuitiva: «una delle principali caratteristiche dell’argomentazione
in ambito giuridico è di condurre all’adozione di una decisione difforme dalla decisione
tutto considerato migliore rispetto alla questione di cui si tratta» (Frederick Schauer,
Thinking like a lawyer, 2009);
• Es. limite di velocità;
Obbedire ad una regola significa che ciò che facciamo in quanto prescritto da una regola non è lo
stesso che avremmo fatto se avessimo potuto decidere in base al nostro personale apprezzamento
della situazione.
Il diritto esclude la rilevanza di buone ragioni: ragioni di secondo ordine per evitare di agire in base
delle ragioni di primo ordine che troverebbero applicazione in mancanza delle ragioni escludenti
artificialmente create dal diritto.
• Es. limite di velocità;
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Applicazione del diritto: un ragionamento retorico
Prima di applicare la regola di diritto, bisogna trovarla (o crearla):
• se l’applicazione delle regole può essere rappresentata come una attività meccanica, un
ragionamento di tipo logico-deduttivo, che esclude la rilevanza di considerazioni morali,
l’identificazione della regola applicabile al caso è, per contro, un processo altamente
indeterminato, sensibile a una pluralità di considerazioni di vario tipo.
• è un processo di natura essenzialmente retorica, nel quale si tratta non già di dimostrare la
correttezza della conclusione ricavata attraverso l’applicazione della regola, bensì di
persuadere l’uditorio che la regola identificata è, tutto considerato, quella che meglio si
adatta alle circostanze del caso.
Shakespeare (Il mercante di Venezia): “prenditi la tua libbra di carne, ma se tagliandola versi una
sola goccia di sangue cristiano, per la legge veneziana le tue terre e i tuoi beni ti sono confiscati.”.
Tullio Ascarelli: “Porzia afferma la validità del patto; non si ribella; non lo taccia di iniquo. Però
lo interpreta e, interpretandolo, lo riduce a nulla. La legge positiva è salva, ma pure superata; il
problema non verte sulla legittimità della legge, ma sulla sua esatta portata; all’imperativo etico
che condanna la legge si sostituisce un gioco più sottile che assume invece come premessa proprio
la legittimità della legge positiva e solo si preoccupa di determinarne la portata nell’intreccio di un
più complesso gioco di contrastanti interessi ”.
Un giurista è in grado di “manipolare” la legge per far emergere le contraddizioni fra le norme
vigenti (antinomie) e gli aspetti non compiutamente previsti e disciplinati dalla legge (lacune), ed è
capace di sottrarre i testi a una interpretazione che li pieghi agli interessi e ai valori che intende
promuovere. Il linguaggio utilizzato dai giuristi è tecnico e rigoroso, ma allo stesso tempo è
manipolabile e flessibile.
L’Art. 75, c. 2, Cost.: «Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di
amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali»
La Corte costituzionale, sentenza n. 16/1978 ha affermato che: ci sono cause inespresse di
inammissibilità del referendum: «questa Corte ritiene che esistono in effetti valori di ordine
costituzionale, riferibili alle strutture od ai temi delle richieste referendarie, da tutelare escludendo
i relativi referendum, al di là della lettera dell'art. 75 secondo comma Cost.»
1. «In primo luogo, sono inammissibili le richieste così formulate, che ciascun quesito da
sottoporre al corpo elettorale contenga una tale pluralità di domande eterogenee, carenti di
una matrice razionalmente unitaria, da non poter venire ricondotto alla logica dell'art. 75
Cost., discostandosi in modo manifesto ed arbitrario dagli scopi in vista dei quali l‘istituto
del referendum abrogativo è stato introdotto nella Costituzione, come strumento di genuina
manifestazione della sovranità popolare».
Gli scopi perseguiti dal costituente attraverso la previsione del referendum – la creazione di uno
strumento di partecipazione democratica, che consenta la «genuina manifestazione della
sovranità popolare» – sarebbero frustrati se agli elettori non fosse data la possibilità di una risposta
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chiara e precisa, articolata su un «sì» o un «no», a un quesito che dev’essere a sua volta chiaro e
preciso. Trattasi di interpretazione teleologica dell’art. 75 Cost., argomento consequenzialista
(reductio ad absurdum).
2. «In secondo luogo, sono inammissibili le richieste che (…) tendano ad abrogare la
Costituzione, le leggi di revisione costituzionale, le "altre leggi costituzionali" considerate
dall'art. 138 Cost., come pure gli atti legislativi dotati di una forza passiva peculiare (e
dunque insuscettibili di essere validamente abrogati da leggi ordinarie successive)»
Non può essere sottoposta a referendum abrogativo una norma costituzionale perché ciò sarebbe
difficilmente compatibile con il regime di costituzione rigida: per la revisione delle leggi
costituzionali vi sarebbe un altro procedimento (appunto, il referendum abrogativo) rispetto a quello
disciplinato dall’art. 138 Cost. Non può essere sottoposta a referendum abrogativo la legge di
esecuzione dei Patti Lateranensi (Concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede) perché, ai sensi
dell’art. 7 Cost., le modificazioni dei Patti non richiedono il procedimento di revisione
costituzionale se sono «accettate dalle due parti».
Trattasi di interpretazione sistematica (argomento della coerenza/congruenza della disciplina
costituzionale).
3. «In terzo luogo, vanno del pari preclusi i referendum aventi per oggetto disposizioni
legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato, il cui nucleo normativo non
possa venire alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i corrispondenti
specifici disposti della Costituzione stessa (o di altre leggi costituzionali)».
È inammissibile un referendum avente ad oggetto alcune disposizioni della legge sull’interruzione
volontaria di gravidanza che, al fine di tutelare il «diritto alla vita» del concepito, sottopongono
tale intervento a varie restrizioni: il diritto alla vita del concepito è un diritto inviolabile della
persona umana, riconosciuto ai sensi dell’art. 2 Cost. (sent. 35/1997), e le limitazioni al diritto della
donna di interrompere la gravidanza risultano pertanto da norme «a contenuto costituzionalmente
vincolato».
A partire dalla sent. 29/1987, è escluso il referendum anche sulle norme «costituzionalmente
necessarie», indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi
costituzionali.
È inammissibile un referendum avente ad oggetto le leggi elettorali, laddove l’esito possa
determinare vuoti incolmabili in attesa di una disciplina integrativa.
Anche in questo caso, si tratta di interpretazione sistematica: argomento della coerenza/
congruenza della disciplina costituzionale.
4. «In quarto luogo (…) l'interpretazione letterale [delle cause d'inammissibilità di cui all’art.
75] deve essere integrata (…) da un'interpretazione logico-sistematica, per cui vanno
sottratte al referendum le disposizioni produttive di effetti collegati in modo così stretto
all'ambito di operatività delle leggi espressamente indicate dall'art. 75, che la preclusione
debba ritenersi sottintesa».
Non solo leggi tributarie e di bilancio, ma anche la legge finanziaria (ora legge di stabilità) e le
leggi ad essa collegate – in particolare le leggi di contenimento della spesa pubblica essenziali per
realizzare l’equilibrio finanziario.
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Non solo leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, ma anche leggi di
esecuzione dei trattati internazionali e quelle produttive di effetti strettamente collegati all'ambito di
operatività dei trattati: leggi di attuazione di trattati, leggi “internazionalmente imposte”, leggi
“comunitariamente necessarie” o “comunitariamente vincolate”.
Si tratta di una interpretazione estensiva dell’art. 75 comma 2 fondata su considerazioni di natura
teleologica (volte a realizzare gli obiettivi presumibilmente perseguiti dal costituente attraverso la
previsione delle cause di incompatibilità di cui all’art. 75 comma 2).
A prima vista, la sent. 16/1978 della Corte Costituzionale può essere paragonata alla risposta di chi,
a fronte della richiesta «passami il sale, per favore» («il referendum è inammissibile nei casi a, b e
c»), la intendesse nel senso di «passami il sale e anche il vaso di fiori» («il referendum è
inammissibile nei casi a, b, c, nonché d, e ed f).
Ciò è vero, a maggior ragione, per la giurisprudenza costituzionale successiva in tema di
referendum abrogativo: una giurisprudenza articolata, complessa, secondo molti non sempre
coerente e lineare.
Nell’interpretare l’art. 75 comma 2, la Corte costituzionale non è interessata solo a comprendere
che cosa il costituente intendesse dire formulando quella disposizione in quel determinato modo.
La Corte è anche interessata a realizzare gli obiettivi che, a suo giudizio, il costituente intendeva
perseguire formulando l’art. 75 comma 2 [c.d. interpretazione teleologica].
Essa è inoltre interessata a rendere la disciplina costituzionale del referendum coerente ed armonica
con altri istituti e principi costituzionali, espressamente formulati in Costituzione o ricostruiti dalla
dottrina e dalla giurisprudenza [c.d. interpretazione sistematica].
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«chi cagiona la morte di un uomo deve essere punito con la reclusione» e «Tizio Caio ha cagionato
la morte di un uomo»; quindi «Tizio Caio deve essere punito con la reclusione».
• P1, premessa maggiore (normativa): diritto
Chi cagiona la morte di un uomo è punito con la pena della reclusione
[se «fattispecie di omicidio» allora si produce la conseguenza giuridica C: «obbligo di
punire con la reclusione»]
• P2, premessa minore (conoscitiva): fatto
Tizio Caio ha cagionato la morte di un uomo
[si dà F, si è realizzata la fattispecie di omicidio]
• C, conclusione: dispositivo della sentenza
PQM («Per questi motivi») Tizio Caio è punito con la pena della reclusione.
P1: Se F, allora G
P2: F
C: allora G
• È questa la c.d. giustificazione interna di ogni decisione giudiziale.
La giustificazione interna è necessaria, nel senso che in ogni ragionamento che si presenti come
applicazione di una regola (e quindi nella motivazione di qualsiasi sentenza) è possibile ritrovare
questa struttura sillogistica, articolata su due premesse (l’enunciazione di una regola, «Se F, allora
G» e la descrizione di fatto, «F») e su una conclusione («allora G»). Tuttavia, le premesse del
sillogismo giudiziale devono essere a loro volta giustificate, almeno se controverse.
La giustificazione delle premesse (in fatto e in diritto) del sillogismo giudiziale è la c.d.
giustificazione esterna della decisione. Essa è contingente (non è necessaria) nel senso che
normalmente si procede ad essa solo se le premesse P1 e P2 sono controverse.
Tuttavia, posto che la norma giuridica sia valida e che i fatti siano stati correttamente accertati, può
residuare un problema:
• La vaghezza delle norme
• Può essere dubbio se il caso F1 rientra nell’ambito di applicazione della norma N
Detto altrimenti (in «legalese»):
• Può essere dubbio se il caso concreto F1 sia qualificabile come F ai fini dell’applicazione
della norma N
• Può essere dubbio se la fattispecie concreta F1 debba essere sussunta nella fattispecie
astratta F prevista (o «tipizzata») dalla norma N
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A ben vedere, infatti, la struttura del sillogismo giudiziale è diversa e più complessa di quella basata
su due premesse e una conclusione, e cioè:
P1: Se F, allora G
P2: F1
P3: F1 ∈ F
C: allora G
P3 si legge «F1 appartiene a F» e significa che il caso concreto dedotto in giudizio, correttamente
accertato nel rispetto delle regole del processo, è una istanza di F, cioè è sussumibile nell’ambito di
applicazione (fattispecie) della norma «Se F, allora G»
Detto altrimenti: F1 può essere qualificato come F ai fini della applicazione della norma «Se F,
allora G»
“La trama aperta del diritto significa che vi sono, in realtà, delle sfere di condotta in cui deve
essere lasciato molto spazio all’attività dei tribunali e dei funzionari che decidono, alla luce delle
circostanze, tra interessi in conflitto che variano di importanza di caso in caso… Qui, al margine
delle norme … i tribunali esercitano una funzione normativa”
A volte il legislatore usa consapevolmente termini vaghi e indeterminati, come quando pone dei
principi generali, delle direttive generiche, o fa ricorso a clausole generali per garantire una certa
dose di flessibilità all’applicazione del diritto.
«Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia» (art.
1176 c.c.)
«Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede» (art. 1375 c.c.)
«le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi
secondo buona fede» (art. 1377 c.c.)
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Il barbiere di Bologna di cui scrive Pufendorf: «Chiunque versi sangue nelle strade sarà
severamente punito»
• Anche quando un caso sembra, a prima vista, rientrare nell’ambito di applicazione di una
regola, considerazioni di varia natura possono suggerire di fare eccezione.
Tutte le regole tollerano eccezioni implicite?
Tutte le regole sono, cioè, derogabili (defettibili), o vi sono regole assolute?
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Concetti di interpretazione del diritto
Nel linguaggio ordinario, «interpretazione» si usa con riguardo a una varietà di oggetti e designa
una varietà di attività distinte.
• interpretare il Mercante di Venezia (riferito a un attore) interpretare il Mercante di Venezia
(riferito a uno spettatore o a un critico teatrale);
• interpretare i sintomi di una malattia, interpretare i dati di un esperimento, interpretare un
gesto come saluto, interpretare un sogno, interpretare l’art. 2 della Costituzione
Interpretare qualcosa – soprattutto quando si tratta di eventi naturali o di fenomeni storico-sociali –
può voler dire spiegare qualcosa, nel senso di congetturare relazioni di causa ed effetto:
• Es. interpretare i sintomi di una malattia;
• Es. interpretare la prima guerra mondiale come esito delle tendenze imperialistiche del
capitalismo;
Quando l’interpretazione ha ad oggetto azioni e creazioni umane – comportamenti, opere, testi,
ecc. – interpretare qualcosa può significare fare ipotesi intorno alle intenzioni, gli scopi e le
ragioni di colui che agisce
• Es. «Agitava la mano. Ho interpretato il suo gesto come un segno di saluto. In realtà voleva
chiedermi aiuto.»
Ma interpretare qualcosa può anche voler dire attribuire un significato o un valore ad azioni e
creazioni umane in un modo che prescinde del tutto – o addirittura è consapevolmente contrario –
alle intenzioni soggettive dell’autore.
• Es. «Le tue parole mi sono sembrate molto offensive. Ho capito che non volevi essere ostile,
ma le ho interpretate come segno di scarsa considerazione e rispetto»;
• Es. «La rivoluzione francese è spesso interpretata come avvento della società borghese e
trionfo delle idee dell’Illuminismo»;
• Es. «La Costituzione non deve essere interpretata avendo esclusivo riferimento alle
intenzioni soggettive dei costituenti, ma cercando di armonizzare i suoi contenuti normativi
con l’evoluzione del sistema politico e della morale sociale”.
Oggetti dell’interpretazione
Infine, quando l’interpretazione ha ad oggetto il prodotto di atti linguistici (es., testi), interpretare
vuol dire attribuire un significato.
L’interpretazione giuridica è un tipo di interpretazione testuale. Oggetto dell’interpretazione
giuridica sono i testi normativi, le «fonti del diritto», cioè documenti che esprimono norme
[tralasciamo qui il tema della «interpretazione» della consuetudine].
Talvolta i giuristi interpretano i testi normativi facendo congetture attorno alle intenzioni, gli
scopi e le ragioni degli individui che hanno approvato il testo normativo; più spesso, tuttavia, essi
interpretano i testi prescindendo da tali intenzioni, attribuendo ai testi normativi significati e
conseguenze che non erano state previste dall’autorità.
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• Ad esempio, essi guardano alle intenzioni, gli scopi e le ragioni di un “legislatore
ideale” (razionale, provvisto di fini, coerente, non ripetitivo, ecc.) distinto dal legislatore
reale. Oppure, si attengono al significato letterale del testo anche quando diverso dal
significato intenzionato. Oppure si discostano sia dal significato letterale sia dal significato
intenzionato, al fine di rendere il diritto più coerente e armonico, conforme ai propri principi
generali e scopi fondamentali, conforme a giustizia, adatto alla società in cui deve trovare
applicazione, ecc.
Un testo normativo è una sequenza di enunciati – le disposizioni normative – che a loro volta altro
non sono che sequenze di parole di senso compiuto.
Un enunciato contenuto in una fonte del diritto esprime una norma, ma non è una norma: la norma
giuridica non è l’enunciato (la disposizione) ma il suo significato:
• L’interpretazione giuridica consiste nel determinare il significato degli enunciati delle
fonti del diritto: detto in altre parole, è l’attività che dagli enunciati delle fonti (dalle
disposizioni) ricava le norme.
• Una attività che (a) si esercita su testi e (b) da essi ricava norme.
(Riccardo Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, 2004, p. 63)
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Es., il riferimento del termine «pianeta» è Mercurio, Venere, Terra, Marte, ecc.
L’enunciato «Ulisse sbarcò a Itaca» è privo di riferimento, perché Ulisse è un personaggio fittizio,
frutto di invenzione letteraria
L’espressione «Stella del mattino» e l’espressione «Stella della sera» hanno un senso diverso,
esprimono pensieri diversi [rispettivamente, la stella che brilla al mattino, la stella che brilla alla
sera]
• Una persona può credere che sia vero che la Stella del mattino è un pianeta, e allo stesso
tempo credere che sia falso che la Stella della sera è un pianeta
Pitagora capì che le espressioni «Stella del mattino» e «Stella della sera» si riferivano allo stesso
corpo celeste (Venere)
• Le due espressioni hanno lo stesso riferimento.
1. Interpretazione in astratto
Consiste nel determinare il significato di un testo normativo senza fare riferimento a casi
concreti:
• A partire da una disposizione (testo normativo), l’interpretazione in astratto determina la
norma o le norme espressa dal testo, il suo significato
• L’enunciato interpretativo assume la forma «D (disposizione) significa N (norma)»
• Applicando la distinzione fregeana fra senso e riferimento, diremo che l’interpretazione in
astratto determina il senso delle disposizioni su cui si svolge.
2. Interpretazione in concreto
La dottrina giuridica e la giurisprudenza compiono, fra le altre cose, interpretazione «in astratto»:
determinano il senso delle espressioni usate dal legislatore:
• Es., per «diligenza del buon padre di famiglia» ex art. 1176 c.c. si deve intendere un livello
medio di attenzione e prudenza: l’insieme delle cure e delle cautele che è lecito attendersi da
una persona di media avvedutezza e accortezza, consapevole dei propri impegni e delle
relative responsabilità
Applicando questo concetto di «diligenza del buon padre di famiglia» ai casi concreti che si
presentano, la giurisprudenza ne determina anche il riferimento: compie, cioè, attività di
interpretazione «in concreto»
• Es., un giudice stabilisce che Mario Rossi ha adempiuto alla sua obbligazione con la
diligenza del buon padre di famiglia
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Insomma, la parola «interpretazione» può essere riferita (1) alla attribuzione di senso a un testo
normativo: «Il testo D (disposizione) ha il significato N (norma)»
• Interpretazione in astratto: identifica il contenuto di senso espresso da un testo normativo
senza alcun riferimento a una fattispecie concreta
La parola «interpretazione» può essere riferita anche (2) alla determinazione del riferimento di
una norma, cioè alla qualificazione giuridica di una fattispecie concreta: «L’atto x [mettere il
veleno nel bicchiere] costituisce ‘omicidio’ ai fini dell’applicazione della norma N»
• Interpretazione in concreto: sussume una fattispecie concreta nel campo di applicazione di
una norma previamente identificata L’interpretazione in concreto presuppone
l’identificazione della norma e, quindi, presuppone l’interpretazione in astratto.
Un problema di interpretazione in concreto: facendo xyz, il sig. Mario Rossi ha esercitato un suo
diritto inviolabile?
• La condotta di chi fa xyz può essere qualificata come esercizio di un diritto inviolabile ai
sensi dell’art. 2 Cost.?
Le teorie dell’interpretazione
Le teorie dell’interpretazione si presentano come teorie descrittive ma spesso sono anche, a volte
in modo implicito e occulto, vere e proprie teorie normative dell’interpretazione.
In quanto teorie descrittive, sono dirette a spiegare che cosa succede quando l’interprete interpreta:
• Che cosa succede nella sua testa? (teorie psicologiche)
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• Qual è la natura, l’essenza dell’atto interpretativa (teorie filosofiche)
• Qual è lo statuto logico degli enunciati interpretativi? Ha senso predicarne la verità o
falsità? (teorie analitiche dell’interpretazione)
• In che misura l’interpretazione è un’attività libera e discrezionale, in che misure è una
attività limitata dai testi normativi o da vincoli di altra natura? (teorie sociologiche o
realiste dell’interpretazione)
La teoria formalista
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«Io non so che cosa sia il diritto civile; io non insegno che il Code Napoléon» (Bugnet)
«Per il giureconsulto, per l’avvocato, per il giudice, un solo diritto esiste, il diritto positivo.
Nulla è al di sopra della legge e l’eluderne le disposizioni sotto il pretesto che l’equità
naturale vi contrasta non è altro che prevaricazione. In sede di giurisprudenza non vi è, né
vi può essere, ragione più ragionevole o equità più equa della legge» (Mourlon)
«Se un giudice ricuserà di giudicare sotto pretesto di silenzio, oscurità o difetto della legge,
si potrà agire contro di lui come colpevole di negata giustizia» (art. 4 c.c. francese)
• il divieto di non liquet (espressione di diritto romano, pratica mediante la quale un
giudice rimanda ad un altro giudice il caso a lui affidato);
«interpretare una legge consiste nell’afferrare il vero significato nella sua applicazione al
caso concreto» (Laurent)
• Scuola storica del diritto e pandettistica: Savigny: “tutti gli istituti giuridici sono collegati
in un sistema e solo nella grande armonia di questo sistema possono essere completamente
intesi”.
La polemica contro la codificazione del diritto in Germania: non il legislatore razionale,
ma il Volksgeist (spirito del popolo), la coscienza giuridica della comunità, è l’autentica
fonte del diritto. Proprio come la lingua, anche il diritto nasce ed evolve in modo
spontaneo, non deliberato da una autorità politica, ma conforme alle esigenze dei consociati.
Il diritto è come un organismo vivente: la funzione dei suoi elementi si lascia comprendere
solo in relazione al tutto di cui fanno parte.
• Importanza di uno studio storico del diritto.
• Importanza dell’argomentazione sistematica.
• Ruolo centrale della dottrina giuridica accademica nella costruzione di un diritto
sistematico, conforme alle storia e allo spirito del popolo.
• Legal interpretivism: Dworkin: “ma il diritto deve essere considerato come una tela senza
cuciture (seamless web) tale da offrire, anche per i casi difficili, una sola soluzione
corretta”
“nei casi difficili un buon giudice deve costruire uno schema di principi che offra una
giustificazione congrua di tutti i precedenti giurisprudenziali … e di tutte le disposizioni
legislative e costituzionali”
Distinzione tra regole e principi: i principi del diritto, a differenza delle regole, non sono ritenuti
validi in virtù della loro fonte – perché posti da una autorità competente – ma in virtù del loro
contenuto, perché sostanzialmente giusti
Nei casi difficili, il giudice dovrà fare riferimento all’insieme di principi che più si adattano e
meglio giustificano la disciplina che si tratta di applicare e il diritto nel suo complesso
!16
Critiche alla teoria formalista:
• trascura la «trama aperta» del linguaggio;
• trascura la possibilità di disaccordi ragionevoli sullo scopo (la ratio) delle norme giuridiche;
• trascura la possibilità di conflitti tra principi.
Evitare il fastidio che il fumo può arrecare ai non fumatori (cattivo odore, irritazione)?
Proteggere la salute dei non fumatori?
Proteggere la salute sia dei non fumatori, sia dei fumatori, ricordando a tutti che fumare espone a rischi per la salute?
Evitare che il consumo di tabacco si diffonda per imitazione impedendone l’uso nei luoghi aperti al pubblico?
Evitare che i fumatori riempiano di cenere i locali?
Davvero il formalismo interpretativo ignora la trama aperta del linguaggio, la vaghezza delle
norme e la possibilità di disaccordi sul loro senso, scopo e giustificazione ultima?
I formalisti sanno che i testi normativi possono essere oscuri e i casi di incerta soluzione; tuttavia,
sostengono, una soluzione corretta esiste, sebbene a volte possa essere difficile capire quale sia.
Per difendere questa tesi, i formalisti a volte sostengono che il vero significato dei testi non
dipende solo dal senso letterale e dalle intenzioni del legislatore, ma anche dal sistema giuridico
complessivamente considerato (interpretazione sistematica) e/o dai principi di giustizia che
meglio giustificano gli istituti cui si tratta di dare applicazione (interpretazione equitativa,
argomento naturalistico).
Se ciò è vero, allora forse il formalismo interpretativo non deve essere considerato tanto come una
teoria descrittiva dell’interpretazione (non è diretto a spiegarla), quanto come una teoria
normativa (interroga sul modo migliore di interpretare il diritto):
1. una teoria volta a giustificare certe forme di ragionamento giuridico e a criticarne altre:
• Favorire il ricorso all’interpretazione letterale o basata sulle intenzioni del legislatore
(Scuola dell’esegesi);
• Favorire il ricorso all’interpretazione sistematica (Scuola storica, Savigny);
• Favorire il ricorso ai principi generali e a ragionamenti etici sostanziali (Dworkin);
2. una teoria volta a promuovere certe aspettative e tipi di atteggiamento normativo e di
impegno morale da parte dei giuristi:
• Prima di prendere posizione e decidere, lo sforzo del giudice deve essere quello di
conoscere che cosa dispone il diritto.
• Deve avere un atteggiamento distaccato, neutrale, imparziale, scientifico (giudice bocca
della legge).
Il formalismo interpretativo sembra essere la migliore teoria per chi intenda, anziché spiegare in
che cosa consista l’interpretazione, accreditare certe interpretazioni come migliori di altre e perciò
vere o corrette.
• la migliore teoria per chi intenda non già descrivere il ragionamento interpretativo, ma
impegnarsi in tale ragionamento, praticarlo.
!17
Infatti, al fine di giustificare o criticare una interpretazione può essere opportuno assumere che
esista un significato dei testi preesistente alla interpretazione e comunque non creato in modo
arbitrario dall’interprete: se l’enunciato interpretativo corrisponde a tale significato, allora è
«vero»; se si discosta da esso, si tratta di falsa o scorretta interpretazione.
Il formalismo interpretativo risponde quindi a una esigenza pratica degli operatori del diritto:
sostenere che l’interpretazione avversata è scorretta e che l’interpretazione preferita è l’unica
interpretazione corretta.
Questa esigenza si fa sentire anche (anzi, soprattutto) quando il significato della disposizione è
particolarmente oscuro e il caso è controverso e dubbio.
È una esigenza profondamente iscritta sia negli usi linguistici sia negli istituti processuali («errore
di diritto», «falsa applicazione del diritto»).
Corrisponde alla pretesa del diritto di esprimere una obbligatorietà oggettiva, indipendente dalle
preferenze e dalle scelte dei singoli.
La teoria realista
L’esigenza pratica di fornire (e giustificare) una sola interpretazione, non implica che tale
interpretazione sia l’unica possibile.
Nella gran parte delle controversie giudiziali, o quantomeno in quelle che raggiungono le
giurisdizioni superiori, due tesi a prima vista plausibili si confrontano e il giudice è libero di
scegliere la tesi che preferisce:
«le leggi non si interpretano da sole; il loro significato è dichiarato dalle corti» (J.C. Gray, The
Nature and Sources of the Law, 1909)
! L’interpretazione giudiziale è una attività politica, non scientifica;
! Si tratta di scegliere, non di conoscere;
!18
Il punto del realismo giuridico americano è lo scetticismo verso le regole e la loro capacità di
spiegare e giustificare il modo in cui svolge l’attività giurisdizionale. Per poter capire perché il
giudice ha deciso in quel modo, non è sufficiente richiamare le leggi; per poter argomentare il
diritto vi è la necessità di parlare anche di altro oltre che a parlare di leggi.
Oliver Wendell Holmes (caso Lochner vs New York): “General proposition do not decide concrete
cases.”
Oliphant: “I giudici rispondono soprattutto alle circostanze del caso concreto, piuttosto che alle
massime troppo astratte contenute nelle sentenze e nei manuali”.
Frank: “I giudici sono quasi sempre in grado di ricostruire e caratterizzare i fatti del caso come
meglio credono”.
Llewellyn: “I giudici hanno a disposizione i più diversi canoni interpretativi per far dire alle regole
giuridiche ciò che sempre loro più opportuno”.
! le regole giuridiche sono inevitabilmente vaghe, contraddittorie e insufficienti,
incapaci di determinare l’esito della controversia quantomeno nei casi che raggiungono le
giurisdizioni superiori.
! la motivazione delle sentenze è spesso una razionalizzazione a posteriori di decisioni
raggiunte per altri motivi.
!19
“Il diritto che deve essere applicato costituisce uno schema all’interno del quale esistono più possibilità di
applicazione”
“Il fatto che una sentenza giudiziaria si fondi su una legge significa in verità soltanto che essa si mantiene nei limiti
dello schema rappresentato dalla legge”
“La teoria tradizionale dell’interpretazione vuol far credere che la legge, applicata al caso concreto, possa fornire
sempre e soltanto una decisone corretta … essa rappresenta il procedimento dell’interpretazione come se essa
consistesse soltanto nell’atto intellettuale di spiegare o comprendere”
“Da un punto di vista rivolto al diritto positivo, tuttavia, non esiste alcun criterio in base al quale, tra le possibilità
offerte dallo schema della norma, se ne possa preferire una all’altra”
“La totale inutilità dei più comuni mezzi di interpretazione, l’argumentum a contrario e l’analogia, risulta già
sufficientemente dal fatto che entrambi conducono a risultati opposti”
“Nell’applicazione del diritto da parte di un organo giuridico l’interpretazione teorica del diritto da applicare si
collega con un atto di volontà, in cui l’organo incaricato dell’applicazione del diritto compie una scelta fra le
possibilità rivelate dall’interpretazione teorica”
E che cosa succede, secondo Kelsen, quando l’organo dell’applicazione esce dallo schema offerto
dalla norma, cioè dalla cornice dei significati astrattamente possibili, e attribuisce al testo
normativo un significato del tutto nuovo, che non rientra fra quelli accertati o accertabili in sede di
interpretazione in astratto?
Secondo Kelsen, il diritto positivo collega conseguenze giuridiche (almeno provvisorie, finché la
sentenza non è annullata) a qualsiasi decisione interpretativa, anche quelle che cadono fuori dalla
cornice dei significati possibili:
! Anche questa interpretazione innovativa ed eccentrica produce effetti giuridici ed è
quindi un atto di creazione del diritto.
Due versioni
1. La prima sottolinea che l’indeterminatezza del diritto dipende dalla natura del linguaggio,
a volte il testo normativo non fornisce alcuna soluzione.
• Infatti la «open texture» del linguaggio rende vaghe (quasi) tutte le norme;
• Accanto a un «nocciolo» di significato stabile e accettato è possibile distinguere una
«penomœbra» di incertezza.
• L’interpretazione è atto di conoscenza quando si tratta di qualificare un caso chiaro,
che rientra nel nocciolo di significato di una norma. Anzi – sostiene la teoria mista – in
!20
queste circostanze non c’è neppure interpretazione, perché non c’è alcun dubbio
interpretativo: in claris non fit interpretatio
• L’interpretazione è atto di volontà quando si tratta di qualificare un caso oscuro, che si
colloca nella zona di penombra della norma
2. La seconda versione sottolinea che un caso può essere chiaro od oscuro, facile o difficile,
per ragioni diverse dal linguaggio usato dal legislatore.
• Può infatti crearsi un conflitto fra i principi soggiacenti a una determinata norma (le
ragioni che la giustificano, la sua ratio) e gli effetti dell’applicazione di tale norma nel
caso concreto. Tali effetti possono essere incompatibili con i principi alla base della
norma, o con altri principi altrettanto importanti
• quando ciò accade, il caso può essere difficile anche se il testo della legge è
perfettamente chiaro, univoco e determinato.
Es., dobbiamo multare il pendolare addormentatosi in stazione? Vedi Lezione Terza
Ciò può essere espresso dicendo che ogni norma giuridica – per quanto ben formulata,
chiara, univoca – può essere «sovra-inclusiva» o «sotto-inclusiva» rispetto agli scopi
che ne giustificano l’adozione.
In sede di applicazione, può risultare che la norma è sovra-inclusiva, troppo ampia,
perché include casi che, considerando gli scopi perseguiti dal legislatore, avrebbero
dovuto essere esclusi dal suo ambito di applicazione; oppure la norma è sotto-inclusiva,
perché esclude casi che avrebbero dovuto essere inclusi.
Quando la norma è sotto-inclusiva, può essere giustificata la sua applicazione
analogica a casi non previsti.
Quando la norma è sovra-inclusiva, può essere giustificata la sua deroga:
• Rilevare eccezioni implicite e applicare analogicamente una norma sono
operazioni non meccaniche, ma che implicano il compimento di valutazioni
discrezionali e controvertibili.
Esempi
Posto che lo scopo della norma «vietato l’ingresso dei veicoli nel parco» sia evitare il rumore, la
norma è sovra-inclusiva rispetto alle macchine elettriche (in ipotesi, silenziose), sotto-inclusiva
rispetto agli strumenti musicali o ai comizi politici.
Posto che lo scopo del divieto di usare il cellulare al volante sia la prevenzione degli incidenti
autostradali, la norma è sovra-inclusiva rispetto ai conducenti che, pur usando il cellulare, restano
attenti alla guida (posto che esistano…), ed è sotto-inclusiva rispetto a chi mangia alla guida.
Anticipazione lezioni successive
L’interpretazione teleologica amplia o restringe l’ambito di applicazione di una norma per
renderlo conforme agli obiettivi perseguiti dal legislatore.
L’interpretazione restrittiva si può fondare sul presupposto che, se il legislatore avesse preso in
considerazione una certa distinzione rilevante, avrebbe evitato di includere nell’ambito di
applicazione della norma certe fattispecie che meritano un trattamento differenziato (c.d.
argomento della dissociazione)
!21
L’applicazione analogica di una norma si basa sul presupposto dell’eadem ratio: una norma viene
applicata a un caso non previsto, sul presupposto che il caso somiglia, sotto un qualche aspetto
essenziale, alla fattispecie disciplinata dalla norma
“La filosofia del diritto (jurisprudence) americana nel tentativo di spiegare questo fenomeno
giuridico straordinario [decisioni della Corte Suprema così importanti e controverse e al tempo
stesso così diverse da ciò che i giudici normalmente fanno nel decidere le controversie] ha oscillato
tra due posizioni estreme … che chiamerò l’Incubo e il Nobile sogno”
H.L.A. Hart, American Jurisprudence through English Eyes (1977)
«Per la dottrina tradizionale, l’immagine del giudice è quella di un ‘oggettivo, imparziale, erudito
ed esperto dichiaratore del diritto’ (Lord Radcliffe), da non confondere con l’immagine molto
diversa del legislatore»
«L’Incubo è che tale immagine del giudice, che lo distingue dal legislatore, sia una illusione»
«Un inglese abituato alle attività meno spettacolari delle corti inglesi è tentato di acconsentire con
i molti giuristi americani che hanno accusato le corti di agire come una terza camera legislativa»
!22
Roe v Wade, 410 U.S. 113 (1973)
«Una decisione che ha gettato via la legislazione centenaria contro l’aborto in molti stati
dell’unione su una questione rispetto alla quale gran parte dell’opinione pubblica era contraria
alla riforma»
«Con un solo colpo giudiziario, la Corte ha ottenuto più di quanto abbia fatto nel mio paese
l’ultima delle otto battaglie parlamentari inglesi in un periodo di più di cinquant’anni»
«E ciò è stato fatto sulla base di un diritto della madre alla privacy che non è menzionato da
nessuna parte nella costituzione ma che è stato letto nella clausola sul due process come libertà
fondamentale»
«nessuno Stato priverà alcuna persona della vita, della libertà o delle sue proprietà, senza due
process of law» (XIV Emendamento, 1868)
Ciò che sorprende è che l’Incubo venga a volte presentato non già solo come una caratteristica di
certi tipi di giudizio difficile, come la giustizia costituzionale, che deve far rientrare i casi particolari
entro clausole generali come il due process, bensì come se l’esercizio della funzione giurisdizionale
fosse essenzialmente una forma di attività legislativa. Il lavoro migliore dei realisti giuridici non
può essere trovato nelle loro teorie generali esplicite relative alla natura del diritto e della funzione
giurisdizionale»
Ciò che invece ci hanno insegnato è:
• Primo, che bisogna sempre essere sospettosi, sebbene non necessariamente rifiutare,
qualsiasi pretesa che le norme giuridiche esistenti o i precedenti giurisprudenziali siano
vincoli abbastanza forti e complete da determinare quale debba essere la decisione di una
corte senza alcun ricorso a considerazioni extragiuridiche.
• Secondo, che i giudici non dovrebbero cercare di contrabbandare silenziosamente nel diritto
le proprie concezioni degli obiettivi del diritto, della giustizia o della politica sociale o altri
elementi extragiuridici richiesti per la decisione, ma dovrebbero identificarli e discuterli
apertamente».
Secondo il Nobile sogno, i giudici possono e devono sempre applicare il diritto esistente, e non
creare del diritto nuovo. Anche quando una disposizione particolare del diritto positivo è
indeterminata, non di meno c’è da qualche parte un diritto già esistente che i giudici possono e
devono applicare per risolvere il caso.
Il giudice non deve mai agire come un legislatore, perché anche nei casi difficili soccorre un
sistema di regole, principi, standard e valori relativamente ben consolidato. Il giudice dovrebbe
cercare nel sistema esistente un principio o più principi che da soli o assieme serviranno a
spiegare le norme chiaramente applicabili e condurranno a un risultato determinato nel caso
controverso.
!23
Non è possibile che una data norma o insieme di norme specifiche siano ugualmente ben
giustificate da una varietà di ipotesi differenti e alternative?
Quali ragioni ci sono per pensare che ci debba essere una unica soluzione, che aspetta di essere
scoperta dal giudice e che non richiede una scelta?
Dworkin è il più nobile dei nobili sognatori; secondo lui il giudice, per quanto difficile sia il caso,
non dovrebbe mai chiedersi come il diritto debba essere; il giudice dovrebbe invece limitarsi a dire
ciò che egli crede che il diritto sia, prima della sua decisione, sebbene ovviamente possa
sbagliarsi.
Per Dworkin, sebbene non ci sia modo di dimostrare quale sia corretta fra due soluzioni
incompatibili, ugualmente supportate dal diritto vigente, nondimeno deve esserci sempre una sola
soluzione corretta che aspetta di essere scoperta.
Interpretazione letterale
L’interpretazione letterale afferma che ad una disposizione si deve attribuire il significato che
risulta dall’uso comune delle parole e dalle regole grammaticali della lingua naturale in cui è
formulata.
All’art. 12 Disp. prel. c.c.: «Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che
quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla
intenzione del legislatore».
• In claris non fit interpretatio, nei casi chiari non si dia interpretazione;
• Plain meaning rule, inteso come significato che immediatamente risulta dalla lettura del
testo.
!24
1. le intenzioni del legislatore;
2. le circostanze di fatto esistenti al momento in cui il testo è stato approvato (occasio
legis);
3. le circostanze di fatto esistenti al momento in cui il testo viene applicato (ad es.,
l’evoluzione della morale sociale, l’esigenza di equità).
Inoltre, non prende in considerazione altri elementi testuali, diversi dalla disposizione
normativa oggetto di interpretazione (il «co-testo»).
! Non prende in considerazioni altre disposizioni normative e in ciò si distingue
dall’interpretazione sistematica).
3. Interpretazione «dichiarativa» (buona per parte dei giuristi): non estende né restringe il
«vero» significato del testo: il significato «naturale», «oggettivo».
• si distingue dall’interpretazione «correttiva» (cattiva per parte dei giuristi perché ti
scosti dal significato letterale), che può essere restrittiva o estensiva.
Il «significato proprio» delle parole che il legislatore usa, designa l’uso ordinario (non
specialistico) oppure l’uso specialistico (tecnico o tecnicizzato)?
Ad esempio:
• art. 271 c.p.p.: «I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse
siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate
le disposizioni previste dagli articoli 267 e 268 commi 1 e 3 [autorizzazione del g.i.p.,
redazione di un verbale, utilizzo degli impianti della Procura della Repubblica]»
• Quid iuris della registrazione fonografica di un colloquio svoltosi tra presenti ad opera
della parte offesa?
• La Cass. pen., Sez. II, n. 24288/2016 ha affermato: «La registrazione di conversazione tra
presenti, compiuta di propria iniziativa da uno degli interlocutori, non necessita
dell’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari perché non rientra nel concetto di
intercettazione in senso tecnico»
Si deve fare riferimento al significato comune al momento della produzione della disposizione o
al momento della sua applicazione?
• nella dottrina costituzionale americana la questione è molto sentita siccome la Costituzione
è molto antica e quindi sono mutati notevolmente i termini utilizzati: interpretazione
originalista vs interpretazione evolutiva.
Ad esempio:
II Amendment US Constitution (2° emendamento della Costituzione americana): «A well regulated
Militia, being necessary to the security of a free State, the right of the people to keep and bear
Arms, shall not be infringed».
• La questione verte sul significato di milizia «well regulated» è una milizia regolata,
disciplinata dalla legge, o è una milizia ordinata, che obbedisce alle regole della disciplina
militare?
!25
Una variante dell’interpretazione letterale si basa sul c.d. argomento a contrario (su quello che
Guastini chiama argomento a contrario nella «variante interpretativa»).
L’argomento a contrario presuppone che vi sia una perfetta corrispondenza fra ciò che il
legislatore ha detto e ciò che intendeva dire:
• Ubi lex voluit, dixit; ubi noluit, tacuit;
• Non bisogna far dire alla legge più di quanto essa non dica espressamente;
• Non bisogna allontanarsi dal significato letterale.
Church of the Holy Trinity vs. United States, 143 U.S. 457 (1892, nel periodo delle prime leggi
sull’immigrazione):
• Una legge vieta «l’importazione e immigrazione di stranieri e estranei per lo svolgimento,
sotto contratto o in base ad accordi, di lavori o servizi di qualsiasi tipo negli Stati Uniti»
• Il problema: la legge vieta a una chiesa di invitare un pastore residente in Inghilterra a
trasferirsi a New York per esercitare le funzioni di ministro di culto?
“È una regola consueta che una cosa può essere dentro la lettera della legge e nondimeno non
essere nella legge, perché non è nel suo spirito, né nelle intenzioni dei suoi autori”
“Church of the Holy Trinity viene citata ogni volta che un avvocato vuole che ignoriamo il testo
stretto e ottundente e prestiamo attenzione all’intenzione del legislatore, generatrice di vita.
Ovviamente non si tratta di nient’altro che di diritto giurisprudenziale (judicial law-making)”
!26
• Quali giustificazioni di principio possono essere addotte a favore di questa decisione?
L’interpretazione letterale è concepita come più rispettosa del principio della separazione dei
poteri:
i giudici devo rispettare la legge, non «correggerla» mediante interpretazione nei casi in cui
ritengono che gli esiti della applicazione della legge siano cattivi.
! I giudici non devono sostituire il proprio giudizio privato a quello espresso
pubblicamente dal legislatore.
L’interpretazione letterale è concepita come più rispettosa del principio della certezza del diritto:
Per prevedere le conseguenze giuridiche delle proprie condotte, i cittadini possono fare affidamento
solo sulla lettera della legge (ciò che il legislatore ha detto): di solito non hanno accesso ai lavori
parlamentari e non possono basarsi sulle intenzioni del legislatore, a meno che esse non siano
chiaramente espresse dal testo espresso.
• Il legislatore obbliga attraverso ciò che dice, non per ciò che avrebbe voluto dire (sistemi di
common law);
• Le sue intenzioni, se non risultano dal testo normativo adottato, dovrebbero essere
irrilevanti;
D’altra parte l’interpretazione letterale è a volte criticata (e da sempre) perché troppo angusta,
meccanica, insensibile alle circostanze particolari del caso (equità), alle conseguenze pratiche
della decisione (argomento consequenzialista “logica” o teleologica) all’esigenza di coerenza del
sistema (interpretazione sistematica).
Alcune di queste critiche si affacciano molto presto nella cultura giuridica occidentale e sono già
espresse nelle fonti del diritto romano e in brocardi della tradizione romanistica: l’interpretazione
letterale non è sufficiente.
Argomento a Contrario
Come già detto, è espresso dal brocardo ubi lex voluit, dixit; ubi noluit, tacuit; presuppone che vi sia
una perfetta corrispondenza fra ciò che il legislatore ha detto e ciò che intendeva dire; si presenta
in due varianti:
1. Variante interpretativa
• Non bisogna far dire alla legge più di quanto essa non dica espressamente, non bisogna
allontanarsi dal significato letterale;
!27
• Tende a produrre lacune.
Es. «I cittadini hanno diritto di fare x»
• Il caso dei non cittadini rispetto al godimento del diritto di fare x è lacunoso: il legislatore
non ha attribuito loro tale diritto, ma non l’ha nemmeno negato;
• Manca una norma che attribuisca il diritto di fare x agli stranieri, ma manca anche una
norma che neghi tale diritto agli stranieri;
• Il diritto è lacunoso rispetto al diritto degli stranieri di fare x.
2. Variante produttiva
• Data una norma N1 che ricollega la conseguenza giuridica C alla fattispecie F («Se F !
C»), si costruisce una norma implicita N2 che ricollega la conseguenza giuridica «non-C»
alla fattispecie «non-F»;
• Expressio unius est exclusio alterius;
Es. «I cittadini hanno diritto di fare x».
• Argomentando a contrario (variante produttiva) concludiamo che il diritto di fare x è stato
implicitamente negato agli stranieri;
• Il caso dei non cittadini rispetto al godimento del diritto di fare x non è lacunoso;
• A differenza della variante interpretativa, che tende a produrre lacune, la variante
produttiva tende a prevenire le lacune
• Integra il diritto, la completa, creando norme inespresse.
Sempre alla variante produttiva dell’argomento a contrario deve essere ricondotta la costruzione
di una norma implicita che esclude che a una fattispecie disciplinata dal legislatore possano essere
ricollegate conseguenze diverse da quelle espressamente previste dal legislatore:
Data una norma N1 che ricollega la conseguenza giuridica C1 alla fattispecie F («Se F ! C1»), si
costruisce una norma implicita N2 che ricollega la conseguenza giuridica «non-C2» alla medesima
fattispecie «F»
Es. «I cittadini hanno diritto di fare x»
→Argomentando a contrario, escludo che i cittadini abbiano anche il diritto di fare y
→Attribuendo ai cittadini il diritto di fare x, il legislatore avrebbe implicitamente escluso che ai
cittadini sia riconosciuto anche il diritto di fare y
Allo stesso modo, si può argomentare che la norma «È vietato fumare [riferito a un’aula scolastica].
La violazione sarà punita con una multa di € 10» implicitamente esclude che la violazione del
divieto di fumare possa essere punita anche con l’espulsione dalla scuola.
!28
A. a contrario v. interpretativa A. a contrario v. produttiva
Il diritto di riunirsi … non è né attribuito, né Gli stranieri non hanno diritto di riunirsi …
negato agli stranieri
• La costituzione implicitamente disciplina la
! La costituzione non disciplina la libertà di libertà di riunione degli stranieri
riunione degli stranieri; ! Il legislatore può attribuire loro tale diritto
! Il legislatore può attribuire loro tale diritto solo modificando la costituzione
senza modificare la costituzione.
Il diritto di riunirsi in armi non è né attribuito, I cittadini non hanno diritto di riunirsi in armi
né negato ai cittadini • La costituzione implicitamente disciplina la
• La costituzione non disciplina la libertà di libertà di riunirsi in armi
riunirsi in armi • Il legislatore può creare tale diritto solo
• Il legislatore può creare tale diritto senza modificando la costituzione
modificare la costituzione
La questione dell’impatto sulle statuizioni civili dell’abrogazione della norma incriminatrice è stata
ripetutamente affrontata dalla giurisprudenza di legittimità con specifico riguardo all’ipotesi della
revoca della sentenza di condanna divenuta definitiva.
In proposito è consolidato l’insegnamento di questa Corte per cui l’eventuale revoca della
sentenza di condanna per abolitio criminis ai sensi dell’art. 2, c.2 c.p. conseguente alla perdita del
carattere di illecito penale del fatto, non comporta il venir meno della natura di illecito civile del
medesimo fatto, con la conseguenza che la sentenza non deve essere revocata relativamente alle
statuizioni civili derivanti da reato.
• «A fondamento dell’illustrato principio … viene osservato che … se l’art. 2 c.p. disciplina
espressamente la sola cessazione dell’esecuzione e degli effetti penali della condanna, ne
deriva, attraverso un’argomentazione a contrario, che le obbligazioni civili derivanti dal
reato abrogato non cessano»
• Variante interpretativa o produttiva dell’argomento a contrario?
! entrambe, l’art. 2 dice “se fattispecie, segue cessazione effetti penali” la Corte di
conseguenza afferma “se F allora non C”….
Si fonda sull’assunto che la formulazione legislativa non esprima le reali intenzioni del legislatore;
!29
Lex minus dixit quam voluit;
D 1, 3, 10: “Le leggi e i senatoconsulti non possono essere scritti in modo da comprendere tutti i
casi che possano capitare qualche volta, ma è sufficiente che siano inclusi quelli che accadono per
lo più”;
• i casi si risolvono con la c.d. analogia legis.
Il legislatore, pur non avendo contemplato una certa fattispecie, l’avrebbe disciplinata in un certo
modo se solo l’avesse presa in considerazione.
Come l’argomento a contrario variante produttiva, l’argomento analogico crea una norma
implicita e, quindi, integra il diritto, lo completa.
L’argomento analogico ha conseguenze diametralmente opposte all’argomento a contrario
variante produttiva;
! laddove il primo estende (a contrario) a un caso lacunoso la disciplina prevista per una
diversa fattispecie, il secondo (analogico) esclude che il caso lacunoso sia disciplinato allo
stesso modo di un caso regolato.
• Art. 384 c.p. (casi di non punibilità): «Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364,
365, 366, 369, 371bis, 371ter, 372, 373, 374 e 378 [vari delitti contro l’amministrazione
della giustizia: omessa denuncia di reato, autocalunnia, false informazioni al PM, falsa
testimonianza, ecc.] non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla
necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile
nocumento nella libertà o nell’onore».
!30
• Art. 307, c. 4, c.p., «s’intendono per i prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il
coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli
affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella denominazione di prossimi
congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole».
• Quid iuris nel caso di una coppia stabilmente convivente (c.d. conviventi more uxorio)?
L’argomento del legislatore storico indica che a un enunciato normativo va attribuito il significato
che corrisponde alla volontà dell’autore, cioè del legislatore in concreto, del legislatore storico
! Cosiddetta interpretazione «storica» o «psicologica», argomento «originalista» o
«genetico».
!31
! L’art. 12 disp.prel.cc. «Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso
che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e
dalla intenzione del legislatore».
Per ricostruire le intenzioni del legislatore storico, la giurisprudenza usa soprattutto tre fonti di
informazione:
1. i lavori parlamentari (travaux préparatoires) intesi come discussioni e lavori
preparatori che hanno portato alla formulazione di quella norma;
2. l’occasio legis (il riferimento alle circostanze politiche e sociali che hanno suscitato
l’intervento del legislatore);
3. la storia legislativa inteso come il raffronto con la disciplina precedente, che può
suggerire che cosa il legislatore abbia inteso modificare e che cosa conservare.
“Gli interpreti non possono essere altri che quelli appuntati dal sovrano, a cui solo il suddito deve
obbedienza. Perché altrimenti, per mezzo di un interprete, alla legge potrebbe essere attribuito un
senso contrario a quello inteso dal sovrano, trasformando così l’interprete in legislatore”
“Affinché la legge possa esercitare il suo potere sulle menti di coloro per cui è fatta, la conoscenza
sia del legislatore sia della legge stessa è richiesta”
!32
“Se vi fosse qualcosa di oscuro nella legge, si dovrà richiedere una interpretazione al legislatore o
a coloro che sono preposti a rendere pubblicamente giustizia in accordo con le leggi”
Se la legge è concepita come «un comando rivolto dal superiore all’inferiore» e se «il comando si
manifesta in un documento», allora «attribuire significato al documento vuol dire risalire alla
volontà di cui il documento è espressione» (Tarello)
! auctoritas, non veritas, facit legem (Hobbes) (la legge fu fatta dall’autorità e non dalla
verità)
L’argomento originalista ha poi trovato notevole sostegno nella dottrina della separazione dei
poteri.
• il giudice non esprime una volontà propria come individuo, ma dà esecuzione alla volontà
del legislatore (democraticamente legittimato - eletto).
• L’argomento ha avuto ampia diffusione in Francia con la Scuola dell’Esegesi e in
Germania presso giuristi di orientamento liberale, contrapposti alla Scuola storica di
Savigny.
“Ogni membro del Congresso che l’ha approvata, inclusi coloro che hanno votato contro di essa? I
pensieri di alcune persone – ad es., quelli che hanno parlato, o che hanno parlato più spesso, nei
dibattiti parlamentari – sono più importanti dei pensieri di altri?”
“E che dire dei funzionari e degli assistenti che hanno preparato la prima bozza della proposta di
legge? E del Presidente che l’ha promulgata? Le sue intenzioni non dovrebbero contare più di
quelle di ogni singolo parlamentare? Che dire dei privati cittadini che hanno scritto lettere ai
!33
propri rappresentanti (…) e delle lobbies e gruppi di interesse che hanno svolto il loro ruolo ormai
consueto?”
“Ogni legge deve la sua esistenza non solo alla decisione di adottarla, ma anche alla decisione
successiva di non modificarla o abrogarla (…) Dobbiamo forse considerare anche le intenzioni dei
legislatori successivi?”
Dal momento che manca una regola condivisa per identificare le intenzioni di quegli individui che
si assume esprimano le intenzioni del legislatore, attribuire intenzioni al legislatore non è altro che
una finzione o un inganno.
Una versione più radicale della critica scettica all’argomento delle intenzioni del legislatore afferma
che le intenzioni collettive non esistono o che, se anche esistessero, comunque non sarebbero
conoscibili:
1. L’intenzione è uno stato mentale; solo chi possiede certe capacità mentali può avere
intenzioni;
2. Un gruppo di persone in quanto tale non possiede una mente; solo gli individui hanno le
capacità mentali necessarie per avere intenzioni;
3. A meno di non disporre di un criterio per identificare gli individui le cui intenzioni contano
come intenzioni del gruppo, a un gruppo di persone non è possibile attribuire intenzioni;
4. Nel caso delle assemblee legislative, un criterio del genere manca (vedi A. Marmor).
“Il votare in favore di un progetto non significa in nessun modo il «volere» effettivamente il
contenuto della legge”
“Psicologicamente si può volere soltanto qualcosa di cui si ha una idea, non si può volere qualcosa
di cui non si sa nulla”
“E non vi è dubbio che nella maggioranza dei casi, se non in tutti, una gran parte dei membri del
parlamento che votano un determinato progetto, o non conoscono il suo contenuto, o lo conoscono
molto superficialmente”
Da non confondere con l’argomento delle intenzioni del legislatore storico (interpretazione
«storica» o «psicologica») sono i riferimenti alla volontà (astratta) della legge (c.d.
interpretazione «logica»):
Bisogna quindi tenere presente della volontà della legislatore e della volontà della legge.
• Tutti gli argomenti non-letterali sono riconducibili alla nozione vaga e metaforica di una
volontà oggettiva della legge (o volontà di un legislatore-modello, il legislatore «razionale»)
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La giurisprudenza ritiene che il riferimento alle «intenzioni del legislatore» di cui all’art. 12
Preleggi copra sia l’interpretazione storica, sia l’interpretazione logica: include sia la volontà del
legislatore storico, sia la volontà oggettiva della legge.
Ma l’argomento della volontà della legge non ha vera e propria autonomia: di fatto, per desumere
la c.d. «volontà della legge» si deve fare ricorso ad altri argomenti a contrario, interpretazione
teleologica, interpretazione sistematica, teleologica, etc.
«Ai lavori preparatori può riconoscersi valore unicamente sussidiario nell’interpretazione di una
legge, giacché – se da essi possono trarsi elementi giovevoli, ai fini dell’individuazione del
significato precettivo di singole disposizioni normative e della ratio che le giustifica – l’utile ricorso
ai lavori preparatori, trova tuttavia un limite in ciò che la volontà da essi risultante non può
sovrapporsi alla volontà obiettiva della legge, quale emerge dal significato proprio delle parole
secondo la connessione di esse, e dall’intenzione del legislatore intesa come volontà oggettiva della
norma (voluntas legis), da tenersi distinta dalla volontà dei singoli partecipanti al processo
formativo di essa (voluntas legislatoris)».
Cass. civ. n. 3276/1979; Cass. civ. n. 3550/1988; Cass. civ. n. 2454/1983; Cass civ. n. 3550/1988;
Cass. civ., sez. lav.,n. 674/1990; Cass. civ. n. 2230/1995; Cass. civ., sez. trib., n. 14783/2001; Cass.
civ., sez. trib., n. 512/2002
Nel diritto moderno, le fonti di argomenti autorevoli sono in buona sostanza limitate alla dottrina
giuridica, alla giurisprudenza (a volte, con minore forza persuasiva, anche giurisprudenza
straniera) e a testi normativi non giuridicamente vincolanti (come vedremo, diritto straniero e soft
law).
• Argomenti ab exemplo con riferimento alla dottrina giuridica; ai precedenti giurisprudenziali, al
«diritto vivente» e all’applicazione amministrativa ad altri ordinamenti.
Nel diritto comune, per contro, era prassi consueta la citazione dei testi sacri della tradizione
cristiana e degli scritti di teologi, filosofi e storici dell’antichità (opinio doctorum).
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• La citazione di una pluralità di fonti autorevoli e la discussione sulla varietà di orientamenti da
esse espressi erano comuni nel diritto medievale e nella tradizione giusnaturalistica moderna.
“Fra i filosofi Aristotele occupa meritatamente il primo posto, sia che si consideri il suo metodo di
trattare i temi, o l’acutezza della sue distinzioni, o il peso dei suoi argomenti.”
Nel diritto italiano vigente, la citazione di fonti autorevoli di questa natura sarebbe del tutto
eccentrica, se non espressamente vietata. Del resto, per quanto riguarda la stessa dottrina
giuridica, si noti il divieto di citarla nella motivazione delle sentenze:
Art. 118 disp.att.c.p.c., «In ogni caso deve essere omessa ogni citazione di autori giuridici»
Si noti inoltre l’insistenza con cui il legislatore del codice di procedura civile, di procedura penale e
del regolamento di procedura presso il Consiglio di Stato, prevede che la motivazione sia «concisa»
o «succinta».
• una conseguenza dell’Illuminismo giuridico e della volontà di rompere con l’esperienza del
diritto comune e delle società di “antico regime”
La citazione della dottrina giuridica è invece comune sia presso altri ordinamenti (ad es.,
Germania, nel Regno Unito), sia da noi negli scritti di parte, memorie difensive, ecc.
• Gli avvocati citano i giuristi più autorevoli sul presupposto che le loro opinioni siano
persuasive per i giudici; i giudici, nella motivazione delle sentenze, non citano autori ma usano
formule generiche come «secondo la migliore/autorevole/dominante dottrina».
La citazione di precedenti giudiziali è invece esplicita e molto diffusa presso la nostra
giurisprudenza (e ancora più diffusa presso la Corte EDU e la CGUE).
I codici commentati con la giurisprudenza sono un ausilio professionale indispensabile per i
giuristi, così come in passato i repertori della giurisprudenza, poi le banche dati su CD-ROM, oggi
online
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Le c.d. «massime» giurisprudenziali sono, a certi effetti, equiparabili a una vera e propria fonte del
diritto.
All’interno di una sentenza si può distingure tra ratio decidendi (pl. rationes decidendi) e obiter
dictum (pl. obiter dicta):
1. La ratio decidendi di una sentenza è la regola sulla base della quale è stato deciso un caso
(Gorla), il principio di diritto adottato dal giudice per definire la causa.
2. Un obiter dictum è una affermazione di diritto che, sebbene enunciata nella decisione, non è
necessaria alla decisione del caso.
→ La massima di giurisprudenza corrisponde (o dovrebbe corrispondere) alla ratio decidendi
del caso.
Sebbene le sentenze producano effetti solo inter partes e gli orientamenti giurisprudenziali non
siano vincolanti («I giudici sono soggetti soltanto alla legge», art. 101, comma 2, Cost.), nella
prassi giudiziale i precedenti (specie se consolidati) sono pressoché indistinguibili dalle fonti del
diritto in senso formale.
Per quali ragioni gli argomenti basati sui precedenti sono così efficaci nella prassi?
Si tratta di mero conformismo?
Può esserci un’esigenza di economia processuale, di organizzazione dei tempi di lavoro, o che
attiene alla struttura per certi aspetti gerarchica dell’ordinamento giudiziario?
• c.d. nomofilachia o funzione nomofilattica della Cassazione;
Oppure ci sono ragioni di principio?
• Principio della certezza del diritto;
• Principio di eguaglianza.
A ciò può aggiungersi una esigenza di legittimità della funzione giurisdizionale: una sentenza
conforme ai precedenti è «ridondante» nel senso in cui questa espressione è usata nella teoria
dell’informazione (la ripetizione di elementi all’interno di un messaggio che previene il fallimento
della comunicazione)
! Una sentenza conforme ai precedenti «non stupisce», non è percepita come produttiva di diritto
nuovo e quindi meritevole di discussione e di vaglio critico nella comunità dei giuristi
In conclusione, nel nostro sistema giuridico due argomenti autoritativi sono particolarmente
importanti e di ampio uso:
1. Il richiamo ai precedenti giurisprudenziali
! Diffusissimo nella prassi, al punto che buona parte del lavoro di un avvocato medio
consiste nel ritrovare i precedenti rilevanti, che si attagliano bene al caso controverso e che
consentono di presentare la pretesa del suo cliente come fondata in diritto.
2. Il richiamo alla dottrina giuridica
! Pure frequente, e che negli atti di parte è specifico e dettagliato, con indicazione precisa
delle fonti (Es., «come afferma autorevolmente Antolisei – vedi F. Antolisei, Manuale di
diritto penale, Milano, Giuffrè, 2003, p. 123») e nella motivazione degli atti giudiziali è
generico e innominato (Es., «secondo la migliore dottrina»).
“non dobbiamo dimenticare che è la costituzione degli Stati Uniti ciò che stiamo
esponendo” (Thompson v. Oklahoma, 1989, dissenting)
“riteniamo che tale analisi comparativa sia inappropriata allo scopo di interpretare una
costituzione, sebbene essa sia stata ovviamente molto rilevante al fine di scriverne una”
(Prinz vs US, 1997)
Esempio La Corte costituzionale con la sent. n. 1/2014: dichiara l’illegittimità della legge elettorale
di Camera e Senato (il c.d. Porcellum) con riferimento al premio di maggioranza (attribuito senza
soglia minima alla lista o coalizione che abbia conseguito la maggioranza relativa dei voti) e al voto
di lista (anziché di preferenza).
• Violazione degli artt. 1 («La sovranità appartiene al popolo»), 3 («Tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono eguali davanti alla legge»), 48 («Il voto è personale ed eguale, libero e
segreto»), e 67 Cost. («Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione»).
Fra le altre cose, la Corte fa uso dell’argomento comparatistico:
«In ordinamenti costituzionali omogenei a quello italiano, nei quali pure è contemplato detto
principio [di eguaglianza del voto] e non è costituzionalizzata la formula elettorale, il giudice
costituzionale ha espressamente riconosciuto, da tempo, che, qualora il legislatore adotti il sistema
proporzionale, anche solo in modo parziale, esso genera nell’elettore la legittima aspettativa che
non si determini uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioè una diseguale valutazione del “peso”
del voto “in uscita”, ai fini dell’attribuzione dei seggi, che non sia necessaria ad evitare un
pregiudizio per la funzionalità dell’organo parlamentare (BVerfGE, sentenza 3/11 del 25 luglio
2012; ma v. già la sentenza n. 197 del 22 maggio 1979 e la sentenza n. 1 del 5 aprile 1952)»
A volte è possibile incontrare (soprattutto ma non solo in diritto internazionale e nel diritto dell’UE)
il riferimento a fonti normative non giuridicamente vincolanti.
• il c.d. soft law.
Ad esempio, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), trattati internazionali non
ancora ratificati e/o entrati in vigore, raccomandazioni e pareri di organizzazioni internazionali (non
vincolanti), codici di autoregolamentazione privati, ecc.
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Esempio. Prima che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea diventasse
giuridicamente vincolante (con il Trattato di Lisbona del 2007), i giudici italiani a volte la
richiamavano nella motivazione delle sentenze «per il suo carattere espressivo di principi comuni
agli ordinamenti europei» (Corte costituzionale n. 135/2002)
Corte di Appello di Roma, ordinanza 11 aprile 2002: «anche se non inserita nei Trattati [la Carta] è
ormai considerata pienamente operante come punto di riferimento essenziale non solo per l’attività
delle istituzioni comunitarie ma anche per l’attività interpretativa dei giudici europei»
Interpretazione sistematica
Si tratta non di una singola tecnica interpretativa, ma di un’intera famiglia di tecniche diverse, il cui
tratto comune è di fare appello (a) al «cotesto» entro cui si colloca la disposizione da interpretare,
(b) alla presunzione di coerenza e razionalità del legislatore
• Presunzione di coerenza (assenza di antinomie, consistency) e congruenza (assenza di
disarmonie assiologiche, coherence) dell’ordinamento
Fa parte di questa famiglia ogni argomento che accrediti una interpretazione facendo riferimento
al «sistema» del diritto: il sistema può essere l’intero ordinamento giuridico o un suo settore (ad
es., argomento della conformità ai principi generali del diritto, il «sistema del codice»), oppure può
essere un «micro-sistema» costituito da un singolo testo normativo o da due o più disposizioni
isolate
Friedrich Carl von Savigny, Sistema del diritto romano attuale (1840–1849)
“tutti gli istituti giuridici sono collegati in un sistema e solo nella grande armonia di questo sistema
possono essere completamente intesi”
“Tutti i rapporti giuridici nella ricca e vivente realtà formano un tutto organico, che noi però siamo
costretti a scomporre nelle sue parti per comprenderle successivamente e per poterle comunicare
agli altri”
“Io pongo l’essenza del metodo sistematico nel riconoscimento e nell’esposizione dell’intimo
legame e dell’affinità per cui i singoli concetti giuridici e le singole regole sono connesse in una
grande unità”
“la funzione del potere legislativo, malgrado che al volgo apparisca il contrario, non è di creare
ma di riconoscere il Diritto. Postulato fondamentale della scienza odierna è che il Diritto è
manifestazione naturale e necessaria, così nelle sue origini che nel suo sviluppo, della vita di un
popolo, come la lingua, come il pensiero, come l’indole generale di esso.”
“Il commento esegetico delle leggi è l’ultima, meno nobile e degna manifestazione del pensiero e
della attività creativa giuridica.”
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L’interpretazione sistematica è stata teorizzata e promossa, con particolare vigore, dalla Scuola
storica del diritto e dagli altri orientamenti che, a partire dall’insegnamento della Scuola storica,
si sono sviluppati in Germania nel corso dell’Ottocento (come la «Scienza delle Pandette», o
pandettistica, e la «giurisprudenza dei concetti»). Tali orientamenti hanno avuto una duratura
influenza sulla cultura giuridica italiana.
Essi sono alla base del metodo della dogmatica giuridica: un approccio allo studio del diritto volto
alla costruzione di un sistema ordinato di concetti generali e di istituti giuridici
Nondimeno, l’idea che l’interpretazione giuridica debba farsi avendo riguardo a un ampio sistema
di regole e principi generali è molto più antica, essendo chiaramente espressa nel Corpus iuris
civilis e in vari brocardi
“Scire leges non [hoc] est verba earum tenere, sed vim ac potestatem” (D 1, 3, 17, Celso:
conoscere le leggi non è possedere le loro parole, ma la loro forza e la loro potestà)
• Contrapposizione tra «spirito» e «lettera» della legge
“Incivile est nisi tota lege perspecta” [una aliqua particula eius proposita] “interpretari” [iudicare
vel respondere] (da D. 1, 3, 24, Celso: è contrario al diritto civile interpretare [giudicare o
rispondere] senza aver esaminato tutta la legge [quando ne sia stata citata qualche piccola parte])
Art. 1363 c.c.: «Le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a
ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'atto.»
1. Combinato disposto
Consiste nel combinare assieme diversi frammenti di disposizioni normative al fine di ricavare una
norma completa
Esempio
D1: «Sono elettori tutti i cittadini … che abbiano raggiunto la maggiore età» (art. 49, comma 1
Cost.)
D2: «La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno» (art. 2 c.c.)
• Dal combinato disposto di D1 e D2 risulta che i cittadini che abbiano compiuto diciotto anni
hanno diritto di voto
In realtà, nell’esempio appena formulato il «combinato disposto» non è un vero e proprio
argomento interpretativo, ma un ragionamento logicamente cogente di tipo sillogistico: nessuno
può negare la conclusione avendo accettato le premesse.
Combinando insieme (frammenti di) disposizioni diverse, otteniamo una disposizione: «il
combinato disposto è una formula che individua un oggetto dell’interpretazione, ma non individua
uno specifico argomento interpretativo» (Vito Velluzzi)
A volte il «combinato disposto» è un argomento interpretativo mascherato da deduzione logica:
combinando assieme più norme o frammenti di norme, otteniamo una norma nuova, non
logicamente implicata dalle prime.
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In questi casi, il combinato disposto è un’applicazione particolare del criterio generale di
interpretazione sistematica secondo cui il senso di una regola o di un istituto può essere inteso solo
collocandoli all’interno di un complesso normativo più ampio
La collocazione di una disposizione all’interno dell’ordine sistematico che il legislatore dà alle sue
leggi e ai codici può costituire un argomento per suffragare una interpretazione
• Il «sistema» cui fa riferimento questo argomento sistematico risulta dalla disposizione degli
enunciati normativi che è stata prescelta dal legislatore.
• Agli enunciati si deve dare quell'interpretazione che è suggerita dalla loro collocazione nel
«sistema del codice».
La costituzione, i codici, le leggi, i regolamenti, ecc., si presentano di solito (con alcune eccezioni!)
non come una congerie disordinata di articoli sparsi, ma come un testo dotato di ordini e partizioni
interne, cioè di una struttura sistematica.
La Costituzione si compone di Principi fondamentali (artt. 1-12), Parte I – Diritti e doveri dei
cittadini (artt. 13-54), Parte II – Ordinamento della Repubblica (artt. 55-139), Disposizioni
transitorie e finali (I-XVIII)
Ogni Parte è suddivisa in Titoli, che a volte sono suddivisi in Sezioni, composte da articoli
suddivisi in commi
Ad esempio: L’art. 88, I comma, Cost. («Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti,
sciogliere le Camere o anche una sola di esse») è collocato nel Titolo II (Il Presidente della
Repubblica) della Parte II (Ordinamento della Repubblica)
L’argomento della sedes materiae assume che la collocazione di una disposizione all’interno di
una data partizione del discorso del legislatore sia rilevante ai fini della sua interpretazione.
Ad esempio: il fatto che l’art. 88 Cost. sullo scioglimento delle Camere sia collocato nel Titolo II
della seconda parte della Costituzione, dedicato ai poteri del Presidente della Repubblica, potrebbe
essere un argomento per sostenere la tesi (minoritaria in dottrina e non suffragata dalla prassi)
secondo cui il potere di scioglimento delle Camere è un potere «formalmente e sostanzialmente
presidenziale» (non sostanzialmente governativo né «complesso»)
Corte costituzionale, sent. n. 64/1961: non fondata la questione sulla legittimità costituzionale
dell'art. 559 c.p., che prevedeva come reato soltanto l'adulterio della moglie e non anche quello del
marito.
«Un indice abbastanza significativo dell'orientamento del Codice circa l'oggetto della tutela penale
in queste figure di reato si può già riscontrare nella loro inclusione fra i delitti contro la famiglia e,
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più specificamente, contro il matrimonio: termini che, superando l'ambito limitato dei rapporti tra i
due coniugi, riguardano la famiglia e il matrimonio nella più lata loro essenza istituzionale»
Corte costituzionale, sent. n. 9/1964: illegittimità costituzionale dell'art. 574 c.p. (sottrazione di
incapaci) in quanto limita il diritto di querela al genitore esercente la patria potestà
«La inclusione della sottrazione di minorenni nel titolo dei delitti contro la famiglia, lungi
dall'essere il frutto di una classificazione meramente formale, trova, per questa ipotesi, una
rispondenza effettiva nella natura e nella estensione della offesa. Se questa pertanto deve ritenersi
tale da superare il circoscritto interesse inerente all'esercizio della patria potestà, ne consegue
necessariamente una diversa corrispondente
estensione della soggettività passiva, con la inclusione anche dell'altro coniuge, il quale, investito
della patria potestà pur non avendone attualmente l'esercizio, non può, in questa ipotesi, essere
escluso dalla rappresentanza della famiglia e dalla tutela dei suoi interessi»
3. Costanza terminologica
Fa appello alla presunzione secondo cui il legislatore utilizza ciascuna parola sempre con lo stesso
significato (quantomeno all’interno del medesimo documento normativo) e secondo cui, quando il
legislatore utilizza parole diverse, queste non possono avere lo stesso significato
Esempio. «Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente
all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale» (1140 c.c.)
• nell’ambito del codice civile, deve ritenersi che la parola «possesso» assuma sempre il
significato di potere sulla cosa corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o di altro
diritto reale.
• Il concetto civilistico di possesso non comprende i casi di mera detenzione di una cosa per
ragioni di servizio, di ospitalità, in esecuzione di un contratto di locazione, di comodato, ecc.,
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in cui il soggetto detentore della cosa non esercita una attività corrispondente all’esercizio di un
diritto reale.
• Il reato di furto ex art. 624 c.p. («Chiunque s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola
a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione…») può
essere commesso anche in danno di chi non ha il possesso in senso civilistico della cosa mobile
• L’art. 624 protegge qualunque relazione di mero fatto con la cosa mobile, anche quella
costituitasi senza un titolo legittimo o in modo clandestino.
• anche il ladro può divenire soggetto passivo del reato del delitto di furto, quando altri si
impossessi della cosa da lui precedentemente sottratta.
5. Costruzioni dogmatiche
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Esempi:
Il concetto di negozio giuridico, variamente definito «dichiarazione di volontà con la quale
vengono enunciati gli effetti perseguiti ed alla quale l'ordinamento giuridico ricollega effetti
giuridici conformi al risultato voluto» (Torrente)
• Perché un negozio produca effetti giuridici, è necessario che sia voluto sia l’atto, sia il suo
effetto
• Si distingue dagli atti giuridici non negoziali, che sono parimenti volontari, ma di cui non
necessariamente è voluto anche l’effetto (es., dichiarazione di domicilio)
Giurisprudenza e dottrina discutono se certi atti (ad es., il miglioramento di un fondo rustico,
la dichiarazione di nomina in un contratto per persona da nominare, l’occupazione come modo
di acquisto della proprietà, ecc.) siano o meno atti negoziali e da tale qualificazione derivano
conseguenze normative.
Altri esempi di costruzioni dogmatiche. La dottrina secondo cui i trattati internazionali possono
produrre effetti solo nei rapporti tra stati / nei rapporti tra stato e cittadini / nei rapporti interprivati
La dottrina secondo cui il diritto interno e il diritto internazionale (o comunitario) sono separati o
integrati
La dottrina secondo cui i regolamenti parlamentari, essendo fonti primarie, subordinate solo alla
costituzione, devono essere assoggettati al controllo di costituzionalità, oppure secondo cui i
regolamenti parlamentari, essendo espressione dell’autonomia del parlamento, non possono essere
assoggettati al controllo di costituzionalità
Nel nostro ordinamento costituzionale, il governo deve avere solo la fiducia delle Camere, non
anche del Presidente della Repubblica
Ciò potrebbe essere sostenuto argomentando a contrario a partire dall’art. 94, comma 1, cost.: «il
Governo deve avere la fiducia delle due Camere»
In dottrina, per contro, questa conclusione è argomentata facendo riferimento alla teoria secondo cui
il Presidente della Repubblica è un «potere neutro» con funzioni di equilibrio tra i poteri e di
garanzia della legalità costituzionale
È basato sulla presunzione di coerenza del legislatore ed è diretto alla prevenzione delle antinomie
• In presenza di due norme che predicano due qualificazioni normative incompatibili per la
medesima fattispecie (due norme a prima vista antinomiche), si deve concludere che una delle
due norme non sia valida in via generale, oppure che, sebbene valida, non sia applicabile al
caso particolare.
• In caso di dubbio sul significato di una disposizione, bisogna evitare di attribuire ad essa un
significato che farebbe emergere un conflitto fra le norme dell’ordinamento
• Sebbene importante e diffuso nella prassi, l’argomento della coerenza è «ancillare» (Tarello)
perché non basta da solo a decidere l’applicazione del diritto o a risolvere un dubbio
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interpretativo: deve essere integrato da almeno un altro argomento che consenta di scegliere fra
le due norme a prima vista in conflitto quella destinata a disciplinare il caso
Esempio. Art. 95, comma 2, Cost.: «I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del
Consiglio dei Ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri».
La norma si riferisce anche alla responsabilità penale?
Art. 27, comma 1, Cost.: «La responsabilità penale è personale»
• L’art. 95, comma 2, Cost. non si riferisce alla responsabilità penale.
• Art. 100, comma 2, Cost.: «La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità
sugli atti del Governo».
La norma si riferisce anche agli atti aventi forza di legge (decreti legge e decreti legislativi)?
• Art. 134 Cost.: «La Corte costituzionale giudica sulle controversie relative alla legittimità
costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni»
• L’art. 100, comma 2, Cost., non si riferisce agli atti aventi forza di legge del Governo perché il
controllo sulla loro legittimità è esercitato in via esclusiva dalla Corte costituzionale (cfr. Corte
cost., sent. n. 406/1989).
Dall’argomento della coerenza può essere distinto l’argomento della congruenza della disciplina
giuridica.
È possibile immaginare un insieme di norme che, sebbene non contraddittorie, nel loro
complesso non perseguono alcun valore od obiettivo intelligibile (MacCormick)
La regola secondo cui le macchine gialle non possono superare il limite di velocità di 110 km/h non
è incompatibile con la regola secondo cui le macchine rosse, verdi o blu non devono superare la
velocità di 130 km/h
Tuttavia, a fronte di una disciplina del genere, non siamo in grado di fornire alcuna ragionevole
giustificazione della differenza di trattamento
• La molteplicità di norme giuridiche di cui si compone il diritto deve «avere senso» nel suo
insieme;
• Deve essere possibile ritrovare la ratio di una determinata disciplina, la ragione ad essa
soggiacente, la sua giustificazione;
Tale presunzione di congruenza fonda una direttiva interpretativa: in caso di dubbio sul
significato di una disposizione, bisogna evitare di attribuirle un significato che la renderebbe
incongruente, disarmonica rispetto ad altre regole, principi e istituti dell’ordinamento.
• l’argomento della coerenza è diretto a prevenire antinomie logiche;
• l’argomento della congruenza è diretto a prevenire antinomie assiologiche;
L’argomento della congruenza coincide con un tipo di interpretazione sistematica che spesso è
difficilmente distinguibile da:
1. l’interpretazione teleologica.
• basata sul presupposto che il legislatore sia provvisto di fini e sia capace di perseguire
razionalmente i propri fini.
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2. il ricorso ai principi generali.
• basato sull’assunzione che in caso di dubbio un testo normativo debba essere interpretato in
modo conforme ai principi generali del diritto.
3. l’applicazione del principio di eguaglianza sub specie di ragionevolezza.
• inteso come esigenza che ogni disparità di trattamento sia razionalmente giustificabile.
L’interpretazione adeguatrice può avere ad oggetto, in primo luogo, un regolamento che viene
reso conforme alla legge, o una legge che viene resa conforme alla Costituzione (ma anche un
decreto legislativo delegato che viene reso conforme alla legge di delegazione).
L’interpretazione «costituzionalmente orientata» della legge è un canone interpretativo
consolidato sia nella giurisprudenza dei giudici comuni, sia nella giurisprudenza costituzionale
• Il Congresso di Gardone del 1965 dell’Associazione Nazionale Magistrati: il dovere dei
giudici di interpretare tutte le leggi «in conformità ai principi contenuti nella Costituzione».
• Le cosiddette «sentenze interpretative di rigetto» e il «dialogo» tra Corte costituzionali e Corte
di cassazione.
• La dottrina del «diritto vivente».
L’interpretazione adeguatrice può avere ad oggetto una disposizione di diritto interno che viene
resa conforme al diritto dell’Unione europea (Corte di giustizia, C-14/83, Van Colson, 1984;
C-106/89, Marleasing, 1990: «…a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o
successive alla direttiva…»)
Infine, l’interpretazione adeguatrice può avere ad oggetto una disposizione di diritto interno che
viene resa conforme alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Un paradossale adeguamento «verso il basso», dalla Costituzione alla legge, si trova in Corte cost,
sentenza n. 138/2010.
Questione di legittimità costituzionale di vari articoli del c.c. «nella parte in cui, sistematicamente
interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre
matrimonio con persone dello stesso sesso»
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«è vero che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con
riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità
propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle
trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi. Detta
interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma,
modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun
modo quando fu emanata».
«Infatti, come risulta dai citati lavori preparatori (intenzione del legislatore), la questione delle
unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, benché la
condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta. I costituenti, elaborando l’art. 29 Cost.,
discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un’articolata disciplina
nell’ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi
tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che,
come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso
diverso».
«Questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perché
non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi
interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa».
I testi normativi devono essere interpretati in modo da evitare lacune: in modo, cioè, da evitare
che una determinata fattispecie resti priva di qualificazione giuridica, un caso risulti non regolato,
una questione resti priva di soluzione in diritto.
La forza persuasiva di questo argomento dipende dalla credenza che il diritto sia completo, o
meglio dalla convinzione per cui è desiderabile che il diritto sia completo.
! l’esistenza di lacune implica incertezza del diritto e il rischio di arbitrio giudiziale.
8. Argomento economico
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Si tratta di un argomento che trova effettivo impiego nella nostra cultura giuridica in ordine alle
disposizioni che provengono dalla stessa fonte formale: nel caso di enunciati di diversa fonte
formale, specialmente se di livello gerarchico diverso, la ripetitività è spesso praticata.
Esempio. L’interpretazione art. 2 Cost., nella parte in cui stabilisce che «La Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo»
Tali diritti inviolabili sono da intendersi come un catalogo «chiuso» o «aperto»?
Se il catalogo è chiuso, i diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost. sono gli stessi che la Costituzione
enumera e disciplina nelle disposizioni successive (libertà personale, libertà di domicilio, libertà e
segretezza della corrispondenza, ecc.)
Se il catalogo è aperto, esistono diritti ulteriori, «innominati», che devono essere riconosciuti e
protetti in base all’art. 2 Cost.
A partire dalla sentenza n. 11 del 1956, la Corte costituzionale afferma che l’art. 2 Cost. deve essere
letto alla luce degli artt. 13 ss. Cost., che contengono «una specifica indicazione dei singoli diritti
inviolabili» destinata a riempire di contenuto la «generica formulazione» dell’art. 2 Cost.
• L’art. 2 Cost. si riferisce a un catalogo chiuso di diritti inviolabili.
L’interpretazione dell’art. 2 Cost. come riferito a un catalogo chiuso dei diritti può essere
considerato come una applicazione dell’argomento della completezza della disciplina costituzionale
dei diritti inviolabili: i diritti inviolabili sono tutti quelli, e solo quelli, previsti dagli artt. 13 ss. Cost.
Ma già negli anni ‘70 questa giurisprudenza inizia a «scricchiolare» e infine viene abbandonata
negli anni ’80: la Corte costituzionale inizia ad affermare che l’art. 2 Cost. «apre» l’ordinamento
costituzionale alla possibilità del riconoscimento di nuovi diritti, purché compatibili con i valori
costituzionali
Nascono così nuovi diritti inviolabili, come la libertà sessuale, il diritto sociale all’abitazione, il
diritto all’onore e alla reputazione, il diritto all’istruzione, il diritto alla riservatezza, il diritto ad
abbandonare il proprio paese, il diritto al nome e all’identità personale.
• Fra gli argomenti avanzati in dottrina a favore di questa interpretazione dell’art. 2 Cost., vi è
anche l’argomento economico: a che servirebbe la solenne dichiarazione di cui all’art. 2, se gli
unici diritti riconosciuti e protetti fossero quelli espressamente previsti dagli artt. 13 ss. Cost.?
Interpretazione evolutiva
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L’interpretazione evolutiva non può essere argomentata facendo riferimento alle intenzioni fattuali
del legislatore
Può essere argomentata facendo riferimento a ciò che il legislatore avrebbe voluto se avesse
previsto il caso (intenzioni controfattuali)
L’interpretazione evolutiva è, da più di un secolo, sia in Europa, sia negli Stati Uniti, al centro di
una controversia che oppone:
1. da una parte, la dottrina tradizionale – formalista, legalista, ispirata dal positivismo giuridico-
legislativo – che vede nell’interpretazione evolutiva un rischio per la certezza del diritto, per la
separazione dei poteri, per la sovranità del parlamento
• Il giudice deve essere la bocca della legge.
2. dall’altra, le nuove tendenze anti-positivistiche e anti-formaliste – quali il realismo giuridico, la
giurisprudenza dei valori, il neocostituzionalismo – che vedono nell’interpretazione uno
strumento attraverso cui il diritto deve adeguarsi alle esigenze di una società in costante
mutamento.
• Il giudice deve essere un ingegnere sociale.
!49
perenni, sono una pena crudele e inusuale, prevista dal Codice penale delle Filippine, per chi
abbia truffato il governo di 616 pesos.
L’opinione della Corte: sì, si tratta di un trattamento degradante, per le seguenti ragioni
Il fatto che le punizioni corporali siano socialmente accettate non significa di per sé che non siano
degradanti; anzi, è possibile che la gente le apprezzi proprio perché sono degradanti, e perciò tali da
intimorire e punire severamente
«è nella natura stessa delle punizioni corporali che esse implichino che un essere umano infligga
sofferenza fisica a un altro essere umano … ciò è una offesa istituzionalizzata alla dignità e integrità
fisica della persona, che è scopo dell’art. 3 proteggere»
→ La Corte si impegna in un ragionamento sostanziale, volto a chiarire il senso e lo scopo dell’art.
3
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«La Convezione è uno strumento vivente che … deve essere interpretato alla luce delle condizioni
attuali. Nel caso di specie la Corte non può non essere influenzata dagli sviluppi degli standard
comunemente accettati di politica criminale degli stati membri del Consiglio d’Europa»
→ Interpretazione evolutiva
La CEDU è uno «strumento vivente»: la Corte sta quasi citando la giurisprudenza canadese, che già
nel 1929 aveva parlato dell’Atto dell’America del Nord britannica come di un «albero vivente
capace di crescita ed espansione entro i suoi limiti naturali»
«Il ragionamento "per concetti congelati" è contrario ad uno dei principi più fondamentali
dell’interpretazione costituzionale canadese: che la nostra Costituzione è un albero vivente che,
attraverso una interpretazione progressiva, si rivolge e si adatta alle realtà della vita
moderna» (Reference re Same-Sex Marriage, 2004)
Sovente, quando si parla di “interpretazione logica” o di “volontà (astratta) della legge” (in quanto
distinta dalla volontà concreta del legislatore storico), si fa ricorso all’argomentazione teleologica.
L’argomento consiste nel dire che ad una disposizione deve attribuirsi un significato conforme alle
finalità proprie della legge cui appartiene
→ in caso di dubbio, la disposizione normativa deve essere interpretata in modo conforme alle
finalità perseguite, esplicitamente o implicitamente, da una norma o insieme di norme
dell’ordinamento giuridico
L’interpretazione teleologica è a volte diretta a garantire la massima efficacia possibile (c.d.
effet utile, francese) alla disposizione oggetto di interpretazione
→ una legge deve essere interpretata in modo tale da realizzare, per quanto possibile, le finalità
cui è diretta
→ necessità di ricostruire la ratio della legge
Giovanni Appiani, Procuratore Generale della Corte di Cassazione, La Giustizia nel nuovo Stato.
Discorso pronunciato per la inaugurazione dell’anno giudiziario, 5 gennaio 1927
“Compito del Giudice è di applicare le leggi che lo Stato si dà, interpretandole secondo lo spirito
che le informa. Donde la necessità che non solo le comprenda, ma le senta ed acconsenta,
altrimenti non può riuscirgli agevole di applicarle in modo di attuarne completamente li intenti”
“Così il giudice italiano deve conformarsi al nuovo ordine giuridico sociale, al nuovo senso della
giustizia e alla mutata mentalità deI popolo italiano, correlativa alla mutata costituzione, la quale
si fonda sul principio dell'assoluta sovranità dello Stato”
L’interpretazione teleologica è a volte basata sulla previsione delle conseguenze cui condurrebbe
l’adozione di una certa interpretazione (c.d. argomentazione consequenzialista o reductio ad
absurdum): se le conseguenze di una interpretazione sono «assurde» perché incompatibili con ciò
che il legislatore «razionale» voleva, o non poteva non volere, allora l’interpretazione va scartata
!51
A differenza dell’interpretazione teleologica propriamente detta, l’argomentazione
consequenzialista è comune a qualsiasi ragionamento pratico, compreso il ragionamento giuridico,
ed è da sempre diffusa nella prassi giudiziale
Fiat iustitia et pereat mundus!
Del resto, la reductio ad absurdum è tipica anche dell’argomentazione equitativa: fra due possibili
significati di una disposizione, bisogna scegliere quello «conforme a giustizia»
Nel 61 d.C., Pedanio Secondo, ex console e praefectus urbi, fu ucciso da un suo schiavo. Secondo
un’antica consuetudine, convalidata dal Senatus consultum Silanianum (10 d.C.), tutti i suoi schiavi
avrebbero dovuto essere interrogati sotto tortura ed eventualmente messi a morte. Trattandosi di
circa 400 persone, ne nacque una rivolta e fu circondato il Senato, nel cui ambito peraltro alcuni si
opponevano a quella misura, ritenendola di eccessiva durezza, mentre la maggioranza voleva che
non si introducesse nessuna innovazione. Gaio Cassio, insigne giusperito, prese la parola in Senato
e tenne il seguente discorso
Gaio Cassio Longino (cfr. Tacito, Annali, XIV, 43-44)
“Sono convinto che, ai tempi dei nostri padri, su ogni questione si prendessero provvedimenti migliori e più corretti.
Ogni innovazione alle leggi e alle istituzioni che la tradizione ci ha tramandato non può che peggiorare le cose”
“Ogni delitto è preceduto da molti indizi: se gli schiavi si prendono cura di rivelarceli, noi possiamo vivere pur soli tra
tanti servi, ma sicuri tra tanti uomini che temono per la propria vita”
“I nostri avi diffidarono sempre dell’indole dei servi, anche quando questi nascevano nei lori poderi e nelle loro stesse
case e fin dalla nascita crescevano devoti ai loro padroni. Ma, da quando nella nostra servitù abbiamo uomini di ogni
razza che hanno costumi differenti e praticano religioni straniere o non ne hanno nessuna, una tale accozzaglia non si
può tenere a freno se non con la paura”
“Mi si obietterà che così moriranno anche degli innocenti. È vero. Però, quando si punisce con la decimazione un
esercito che sia fuggito davanti al nemico, dal sorteggio escono anche i nomi dei valorosi”
“Ogni punizione che voglia servire da monito agli altri implica qualche ingiustizia; ma il danno che ne viene ai singoli
è compensato dal bene che ne deriva per tutti”
Certo, qui non si tratta di giustificazione una interpretazione giuridica, ma una decisione politica. E
tuttavia troviamo: 1. argomento autoritativo; 2. argomento analogico e argomento a fortiori; 3.
argomento teleologico-consequenzialista (individuazione della ratio della norma, previsione delle
conseguenze pratiche della decisione)
Interpretazione letterale:
l’art. 12 CEE pone un divieto a carico degli Stati, ma non attribuisce un diritto agli individui
Interpretazione sistematica e argomento a contrario:
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Il Trattato CEE prevede una procedura per accertare l’inadempimento dello stato ai propri obblighi
comunitari: su richiesta della Commissione o di un altro stato membro, la Corte di giustizia decide
se c’è stata violazione del diritto comunitario (c.d. ricorso per inadempimento)
Ne segue che ai giudici nazionali è precluso accertare la violazione del diritto comunitario da parte
dello Stato
Invece, nel caso Van Gend en Loos (1963), la Corte di giustizia raggiunge un’altra conclusione:
l’art. 12 CEE attribuisce ai singoli individui un diritto soggettivo che i giudici nazionali sono tenuti
a rispettare.
«lo scopo del Trattato CEE, cioè l’instaurazione di un mercato comune il cui funzionamento incide
direttamente sui soggetti della Comunità, implica che esso va al di là di un accordo che si limiti a
creare degli obblighi reciproci fra gli Stati» (argomento teleologico).
«la funzione attribuita alla Corte di giustizia dall’art. 177 [ricorso pregiudiziale alla Corte di
giustizia per l’interpretazione del diritto comunitario], funzione il cui scopo è di garantire
l’uniforme interpretazione del Trattato da parte dei giudici nazionali, costituisce la riprova del fatto
che gli Stati hanno riconosciuto al diritto comunitario un’autorità tale da poter essere fatto valere
dai loro cittadini davanti a detti giudici» (argomento teleologico).
1. L’argomento equitativo
Per contro, non è raro incontrare nella giurisprudenza affermazioni relative all’irrilevanza di
considerazioni esplicitamente morali: dura lex sed lex
Corte di giustizia, Grogan, 1991: «La SPUC sostiene tuttavia che l'interruzione della gravidanza per
intervento medico non può essere considerata un servizio poiché essa è gravemente immorale ed
implica la distruzione della vita di un terzo, cioè del nascituro. Indipendentemente dal valore di tali
argomenti dal punto di vista morale, occorre ritenere che essi non possono avere alcuna influenza
sulla soluzione della prima questione posta. Infatti, non spetta alla Corte sostituire la sua
valutazione a quella del legislatore degli Stati membri in cui le attività di cui trattasi sono
lecitamente praticate»
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Mayr, 2008: «pur essendo vero … che il trattamento di fecondazioni artificiali e cellule in via di
sviluppo costituisce un tema sociale particolarmente delicato in numerosi Stati membri,
contrassegnato dalle molteplici tradizioni e sistemi di valore di questi ultimi, la Corte non è
chiamata … ad affrontare questioni di natura medica o etica, ma deve limitarsi ad
un’interpretazione giuridica delle disposizioni rilevanti della direttiva 92/85, tenuto conto della
formulazione, dell’economia e degli scopi di quest’ultima»
Defrenne, 1976: «Benché le conseguenze pratiche di ogni pronunzia giurisdizionale vadano
accuratamente soppesate, non ci si può tuttavia spingere fino a distorcere l’obiettività del diritto o a
comprometterne la futura applicazione per tener conto delle ripercussioni che un provvedimento
giurisdizionale può avere per il passato» (in tema di parità di retribuzione fra lavoratori di sesso
maschile e femminile)
Tuttavia, accade che il giudice si richiami alla massima dura lex sed lex non solo quando intende
escludere il ricorso ad argomentazioni morali, ma anche quando intende accettare tali
argomentazioni, introducendo una eccezione a una regola
La sentenza Defrenne, sopra citata, prosegue infatti così:
«Cionondimeno, di fronte al comportamento di vari Stati membri ed agli atteggiamenti assunti dalla
Commissione e portarti ripetutamente a conoscenza degli ambienti interessati, è opportuno tener
conto, in via eccezionale, del fatto che gli interessati sono stati indotti, per un lungo periodo, a tener
ferme pratiche in contrasto con l’art. 119, benché non ancora vietate dal rispettivo diritto nazionale.
Stando così le cose, si deve ammettere che, nell’ignoranza del livello complessivo al quale le
retribuzioni sarebbero state fissate, considerazioni imprescindibili di certezza del diritto riguardanti
il complesso degli interessi in gioco, tanto pubblici quanto privati, ostano in modo assoluto a che
vengano rimesse in discussione le retribuzioni relative al passato»
Ma si noti che, anche in questo caso, la Corte non si richiama genericamente a una esigenza di
giustizia, ma a un principio generale del diritto: «considerazioni imprescindibili di certezza del
diritto»
Nella gran parte dei casi, infatti, il ricorso a una argomentazione espressamente morale può essere
evitato sostituendolo con il ricorso ai principi generali del diritto e all’interpretazione adeguatrice
Il ricorso ai principi generali e all’interpretazione adeguatrice sono un caso di interpretazione
sistematica
• l’argomento della coerenza / congruenza della disciplina legislativa
Tuttavia, in pratica questi argomenti sistematici funzionano come argomenti anti-formalisti, che
aprono il ragionamento giuridico a considerazioni sostanziali, di natura in senso lato politica o
morale, che consentono al giudice di discostarsi dalla lettera della legge, dalle intenzioni del
legislatore, dalla giurisprudenza e dottrina consolidate
È espresso in brocardi come «Non solum quod licet, sed quid est conveniens est
considerandum» (Sir Edward Coke, Institutes of the Lawes of England, 1628, Lib. 2, Sect. 87):
“bisogna prendere in considerazione non solo ciò che è lecito, ma anche ciò che è conveniente”,
dove conveniens, originariamente inteso come honestum, “onesto”, “moralmente appropriato”, fu in
seguito inteso come “socialmente utile”, benefico per la collettività, idoneo a produrre conseguenze
buone, di interesse pubblico, ecc. (vedi ad es. James Ram, The Science of Legal Judgment, 1835)
Tradizionalmente l’argomento è noto come argomento ab absurdo (riduzione all’assurdo o reductio
ad absurdum) e consiste nel dimostrare che le conseguenze di una interpretazione avversata sono
«assurde», cioè indesiderabili
Antinomie e bilanciamento
C’è una antinomia [an-tì-no-mia] quando due norme giuridiche ricollegano conseguenze giuridiche
incompatibili alla medesima fattispecie
• Obbedendo (o applicando) una norma, necessariamente si viola (o si disapplica) l’altra
• Un caso concreto è suscettibile di due diverse ed opposte soluzioni;
• Il diritto è indeterminato;
• I principi di certezza del diritto (prevedibilità delle decisioni giudiziali) e di uguaglianza (casi
uguali devono essere trattati in modo uguale) sono violati;
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1. Antinomie in astratto / in concreto: si ha antinomia in astratto quando due norme connettono
conseguenze giuridiche incompatibili a fattispecie astratte (classi di fattispecie concrete) che si
sovrappongono, in tutto o in parte, concettualmente
• l’antinomia può essere identificata in sede di interpretazione in astratto, senza che occorra
rappresentarsi una fattispecie concreta
Esempi
• N1: è vietato fumare; N2: è permesso fumare
• N1: è vietato l’aborto; N2: è permesso l’aborto terapeutico.
Si ha una antinomia in concreto quando in sede di applicazione emerge che due norme, pure
astrattamente non confliggenti, connettono conseguenze giuridiche incompatibili alla
medesima fattispecie concreta
Una medesima fattispecie concreta ricade simultaneamente in due classi di fattispecie che
sono tra loro concettualmente indipendenti
Esempi
N1: i cittadini devono pagare le tasse; N2: i disoccupati non devono pagare le tasse
• C’è una antinomia se e solo se si dà il caso di qualcuno che sia, al tempo stesso,
cittadino e disoccupato
N1: è obbligatorio fermare la vettura di fronte a un semaforo rosso; N2: è vietato fermare la
vettura nelle vicinanze di una caserma.
• C’è un’antinomia solo se qualcuno ha collocato un semaforo nelle vicinane di una
caserma
Le antinomie in astratto dipendono solo dal linguaggio in cui è formulata la norma; le
antinomie in concreto dipendono anche da quel che accade nel mondo, cioè dalle circostanze
di fatto
Le antinomie in astratto sono «necessarie» nel senso che, date due norme che si
sovrappongono concettualmente e che dispongono conseguenze giuridiche incompatibili,
con riguardo ai casi in cui si sovrappongono è impossibile applicare una senza violare l’altra
Le antinomie in concreto sono «accidentali» nel senso che si presentano solo quando si
realizza una fattispecie concreta riconducibile all’ambito di applicazione di due norme
concettualmente irrelate; si realizzano «per l’accidentale configurarsi, nella realtà, di ciò su
cui esse vertono» (Mazzarese)
!56
La costituzione danese del 1920 stabiliva nella prima parte dell’art. 36 che i membri della Camera
Alta fossero 78 e nella seconda parte conteneva una dettagliata disciplina della loro elezione e
ripartizione; da tale disciplina risultava che il numero di senatori da eleggere era 79, anziché 78.
Esempi
N1: è proibito indossare cravatte rosse; N2: è permesso indossare
cravatte sintetiche N1 N2
N1: I regolamenti devono essere pubblicati; N2: gli atti ministeriali non
devono essere pubblicati
[alcuni atti ministeriali non sono regolamenti e alcuni regolamenti non sono atti ministeriali, ma vi
sono anche regolamenti che sono atti ministeriali]
N1: è proibita la caccia alla volpe e al cinghiale; N2: è permessa la caccia alla volpe e alla lepre
Antinomia totale-totale: nessuna delle due norme può essere applicata a qualsivoglia fattispecie
concreta senza entrare in conflitto con l’altra ! i due cerchi si sovrappongono
Antinomia totale-parziale: una delle due norme non può mai essere applicata senza che vi sia un
conflitto con l’altra, mentre l’altra norma presenta un campo di applicazione ulteriore in cui non
entra in conflitto con la prima ! un cerchio si iscrive nell’interno dell’altro
Antinomia parziale-parziale: ognuna delle due norme ha un campo di applicazione in cui entra in
conflitto con l’altra, ma possiede anche un campo di applicazione ulteriore in cui non sorge
conflitto ! i due cerchi si intersecano
Le antinomie totali-totali (assolute) e le antinomie totali-parziali (relative unilaterali) sono sempre
antinomie in astratto
Le antinomie parziali-parziali (relative bilaterali) possono essere antinomie in astratto oppure in
concreto
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Si tratta di antinomia in astratto nell’esempio della caccia alla volpe, proibita da una norma e
permessa dall’altra
Si tratta di antinomia in concreto nel caso della cravatta rossa sintetica e dei regolamenti ministeriali
! se di fatto non esistessero cravatte rosse sintetiche, o se non esistessero regolamenti ministeriali,
non vi sarebbe alcuna antinomia
“I principi sono mandati di ottimizzazione, caratterizzati dal fatto di poter essere soddisfatti in
varia misura, e che il grado di soddisfacimento adeguato dipende non solo da ciò che è
fattualmente possibile, ma anche da ciò che è legalmente possibile”
“L’ambito del legalmente possibile è determinato dai principi e dalle regole concorrenti”
L’antinomia è un conflitto tra due norme, non tra due disposizioni (tra due significati, non tra due
testi normativi) e le norme sono il prodotto dell’interpretazione
• Le antinomie sono prodotte dall’interpretazione e possono essere evitate mediante
interpretazione, ma non possono essere risolte dall’interpretazione
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• Non si danno antinomie prima dell’interpretazione, un’antinomia può presentarsi solo a
interpretazione ormai avvenuta
• La soluzione delle antinomie (a differenza della creazione e delle prevenzione delle antinomie)
non è un problema interpretativo
Esempio
Art. 40 Cost.: «Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano»
Art. 503 c.p. [parzialmente annullato per illegittimità costituzionale con sentenza n. 290/1974]: «Il
datore di lavoro o i lavoratori, che per fine politico commettono, rispettivamente, alcuno dei fatti
preveduti dall'articolo precedente [serrata e sciopero], sono puniti con la reclusione…»
L’art. 40 Cost. ammette due interpretazioni: è lecito lo sciopero a soli fini contrattuali (sciopero
economico), oppure è lecito lo sciopero per la difesa di qualunque interesse, anche politico, dei
lavoratori
! c’è una antinomia (e l’art. 503 c.p. è incostituzionale) se e solo se adottiamo la seconda
interpretazione dell’art. 40 Cost. sopra menzionata
Quali argomenti interpretativi prevengono la formazione di antinomie? Quali argomenti la
favoriscono?
Criterio gerarchico
• Lex superior derogat legi inferiori
Art. 134 Cost.: «La Corte costituzionale giudica: sulle controversie relative alla legittimità
costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge».
Art. 4 disp. prel. c.c.. Limiti della disciplina regolamentare. «I regolamenti non possono contenere
norme contrarie alle disposizioni delle leggi».
Criterio cronologico
• Lex posterior derogat legi priori
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• Art. 15 disp. prel. c.c.. Abrogazione delle leggi. «Le leggi non sono abrogate che da leggi
posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove
disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla
legge anteriore»
Criterio di specialità
• Lex specialis derogat legi generali
(ii) Antinomia tra una norma gerarchicamente inferiore e cronologicamente antecedente e una
norma gerarchicamente superiore e cronologicamente posteriore
Es.: una legge in contrasto con una norma costituzionale successiva
I due criteri, gerarchico e cronologico, non confliggono ma concorrono
La norma inferiore e antecedente è abrogata? Oppure è invalida?
Corte costituzionale, sentenza n. 1/1956: le vecchie leggi in contrasto con la nuova costituzione non
sono semplicemente abrogate, ma invalide: incostituzionalità sopravvenuta
Il criterio di specialità può trovare applicazione in due casi:
1. Per la soluzione delle antinomie totali-parziali (relative unilaterali): due norme che
intrattengono un rapporto di regola-eccezione. Applicando il criterio di specialità, si
conclude che la norma generale non è né invalida, né abrogata, ma solo derogata dalla
norma speciale. Esempio Art. 2043 c.c.: «Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad
altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno»
Art. 2044 c.c.: «Non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri»
Il criterio di specialità non solleva problemi particolari quando applicato a norme contigue
(cioè espresse dallo stesso documento normativo)
Se invece si tratta di norme pari-ordinate ma non contigue, una sarà successiva e l’altra
anteriore: il criterio di specialità interferisce allora con il criterio cronologico. Possono darsi
due possibilità
(a) La norma speciale è antecedente alla norma generale
La norma speciale è abrogata dalla norma generale? Oppure la norma generale è
derogata dalla norma speciale?
In dottrina e giurisprudenza si usa affermare Lex posterior generalis non derogat
legi priori speciali
▪ Il criterio di specialità prevale sul criterio cronologico
Tuttavia questa soluzione non ha alcun fondamento nel diritto vigente ed è stata
rigettata espressamente dalla Corte costituzionale:
Nel caso deciso con sentenza n. 29/1976, la Corte costituzionale ha affermato
che «Nell’ipotesi di successione di una legge generale ad una legge speciale, non
è vera in assoluto la massima che lex posterior generalis non derogat priori
speciali: giacché i limiti del detto principio vanno, in effetti, di volta in volta,
sempre verificati alla stregua dell'intenzione del legislatore. E non è escluso che
in concreto l'interpretazione della voluntas legis, da cui dipende la soluzione
dell'indicato problema di successione di norme, evidenzi una latitudine della
legge generale posteriore, tale da non tollerare eccezioni, neppure da parte di
leggi speciali: che restano, in tal modo, tacitamente abrogate»
(b) La norma speciale è successiva a quella generale
Applicando il criterio di specialità, concluderemmo che la norma generale è
derogata, anziché parzialmente abrogata, dalla norma speciale successiva.
!61
In mancanza di una disciplina espressa, è sempre possibile sostenere che la
norma più recente costituisce tacita abrogazione della norma precedente, anche
se generale.
2. Il criterio di specialità può trovare applicazione per la soluzione di antinomie parziali-
parziali (relative bilaterali). Tuttavia, in questi casi il criterio di specialità non può essere
impiegato se non dopo aver istituito una relazione di valore (una gerarchia «assiologica»)
tale per cui una delle due norme in conflitto è da considerarsi più «importante» e perciò
meritevole di prevalere
Lacune
Si dice che c’è una lacuna normativa ogniqualvolta si presenti una fattispecie (astratta o concreta)
per la quale nessuna norma dell’ordinamento preveda una conseguenza giuridica qualsivoglia.
Quando manca una norma cui il giudice possa richiamarsi per risolvere una controversia, il diritto è
lacunoso
Un ordinamento privo di antinomie è coerente, un ordinamento privo di lacune è completo.
L’incoerenza implica che ci sia una norma di troppo – un eccesso di norme che disciplinano la
medesima fattispecie; l’incompletezza implica che c’è una norma di meno – un difetto di norme.
L’incoerenza può essere risolta eliminando una norma (soluzione dell’antinomia: una delle due
norme in conflitto è invalida, abrogata, derogata)
L’incompletezza può essere colmata integrando il diritto
! Distinzione tra auto-integrazione ed etero-integrazione del diritto
Lacune e interpretazione
!62
! spec. laddove l’interprete introduce una distinzione non espressamente prevista dalla
disposizione al fine di limitarne l’ambito di applicazione (c.d. argomento della
dissociazione)
L’interpretazione non può colmare le lacune:
• c.d. integrazione del diritto
Art. 12 disp. prel.c.c.: «Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si
ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora
dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato»
• Ragionamento analogico (analogia legis); se fallisce
• Ricorso ai principi generali (analogia iuris)
• Divieto di etero-integrazione del diritto (ricorso al diritto naturale, all’equità, ecc.)
NB: è vietata l’applicazione analogica delle norme penali e delle leggi eccezionali: «Le leggi
penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e
i tempi in esse considerati» (art. 14 disp. prel. c.c.)
Due teorie:
1. Teorie della distinzione forte;
! Una distinzione qualitativa, ontologica, strutturale (Dworkin, Alexy, Atienza y Ruiz
Manero, Zagrebelsky).
2. Teorie della distinzione debole;
• Una distinzione quantitativa, di grado (Raz, MacCormick, Hart, Guastini, Prieto Sancìs).
Afferma che esistono caratteristiche necessarie e sufficienti per distinguere tra regole e principi:
I. I principi proclamano un valore, le regole però sono «opache» rispetto al valore che
intendono realizzare. Le regole, sebbene funzionali alla realizzazione di un qualche valore
morale o obiettivo politico, non contengono un riferimento esplicito a tale valore o obiettivo,
non lo proclamano, ma indicano direttamente la condotta funzionale alla realizzazione del
valore, e associano ad essa una modalità deontica (proibito, permesso o obbligatorio).
! Il contenuto delle regole è «orientato all’azione»;
! Il contenuto dei principi è «orientato al valore».
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II. I principi sono norme particolarmente importanti: sono i valori fondanti e costitutivi di un
ordinamento o di un settore del diritto
• Ad essi si «aderisce» (si dà una qualche forma di adesione etico-politica), alle regole si
«obbedisce» (possono essere seguite «ciecamente»).
V. I principi sono norme defettibili, che tollerano eccezioni implicite, mentre le regole sono
soggette ad applicazione categorica (“tutto-o-niente”), una volta verificatesi le circostanze
fattuali previste nella fattispecie.
Ogni norma, sia essa regola o principio, presenta in misura maggiore o minore le caratteristiche
sopra menzionate: ciò che differenzia regole e principi è il grado in cui si presentano tali
caratteristiche.
I principi rispetto alle regole presentano un maggior grado di indeterminatezza sia della fattispecie
sia delle conseguenze giuridiche associate alla fattispecie.
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• i principi sono norme suscettibili di essere concretizzate e applicate in modi diversi
(Guastini: sono norme «generiche»).
Ma genericità e indeterminatezza sono proprietà graduali.
• Non c’è distinzione forte tra regole e principi.
Forse la distinzione tra regole e principi non deve essere concepita tanto come una distinzione tra
due «cose» dotate di caratteristiche distinte (teorie della distinzione forte), perché attiene
all’insieme di operazioni interpretative e argomentative che dipendono dalla configurazione di una
certa disposizione come esprimente una «regola» oppure un «principio».
• Nel caso dell’interpretazione/concretizzazione dei principi, argomenti di natura letterale e
psicologica assumono scarsa rilevanza.
• Per contro, assumono maggiore importanza argomenti «sostanziali» (di tipo equitativo e
teleologico), basati sul senso, lo scopo e l’importanza del principio in considerazione,
nonché argomenti di tipo comparativo ed evolutivo.
• Inoltre, nel caso dei principi l’interprete può più facilmente introdurre eccezioni implicite
e/o individuare principi concorrenti da sottoporre a giudizio di «bilanciamento».
Esempio
L’art. 3, comma 1, Cost.: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali». Regola o principio?
Ne segue che tutte le leggi che stabiliscano trattamenti differenziati sulla base del sesso, della razza,
della lingua, ecc., sono incostituzionali.
Per contro, leggi che stabiliscano trattamenti differenziati sulla base di parametri diversi da quelli
espressamente indicati dalla disposizione, sono compatibili con l’art. 3 Cost.
Inteso come principio, l’art. 3 esprime una norma generica di questo tipo: «i casi eguali devono
essere trattati in modo uguale, i casi diversi devono essere trattati in modo diverso».
Inteso come principio, l’art. 3 ammette eccezioni implicite: è possibile che una norma che
discrimini in base al sesso, alla razza, ecc., possa essere ritenuta costituzionalmente legittima in
base alla considerazione per cui il legislatore deve trattare diversamente situazioni oggettivamente
diverse, oppure in base all’argomento per cui, sebbene incompatibile con il principio di
eguaglianza, la legge è funzionale alla realizzazione di un altro principio costituzionale.
• ad esempio, «azioni positive» volte a favorire l’inserimento professionale di gruppi
svantaggiati possono essere ritenute funzionali alla realizzazione del principio di
eguaglianza, sebbene incompatibili con la lettera dell’art. 3 Cost.
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Inoltre, una legge che discrimini in base a un criterio diverso da quelli previsti espressamente
dall’art. 3 può essere ritenuta illegittima, se l’art. 3 viene costruito come norma di principio.
Il giudizio di bilanciamento
Critiche al bilanciamento
1. Problemi di opportunità politica: il bilanciamento è un giudizio che implica (o, meglio,
rende espliciti) ampi spazi di discrezionalità: attraverso di esso, i giudici sembrano esercitare
una funzione politica e in senso lato legislativa
! Violazione del principio di separazione dei poteri.
2. Trattandosi di valori, interessi, beni giuridici, ecc., intrinsecamente controversi e forse
incommensurabili, la decisione del giudice può sembrare del tutto irrazionale, soggettiva,
arbitraria
! Violazione del principio di certezza del diritto.
3. Indebolisce i diritti, le relativizza e li sottopone a un calcolo utilitarista, soprattutto quando
sull’altro piatto della bilancia si trovano interessi non qualificabili in termini di diritti
soggettivi
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Con una maggioranza di 6 a 2, la decisione della Corte Suprema Dennis v. United States del 1951
confermò la condanna del ricorrente, dirigente del partito comunista degli Stati Uniti
“La libertà di espressione non è un assoluto, al di là e al di sopra di ogni controllo da parte del legislatore, se il
suo giudizio, qui oggetto di sindacato, è che certe forme di espressione sono così indesiderabili da richiedere una
sanzione penale”
“Nulla è più certo nella società moderna del principio per cui non ci sono assoluti”
“In questo caso, noi siamo proprio chiamati ad applicare il test del «chiaro e attuale pericolo» e dobbiamo
decidere che cosa significhi tale frase”
“Il giudice Learned Hand … ha interpretato la massima come segue: «In ogni caso la corte deve chiedersi se la
gravità del male, scontata della sua improbabilità, giustifichi una invasione della libertà di parola necessaria a
evitare il pericolo»”
“Noi adottiamo tale massima come regola. Come espressa dal giudice Hand, è inclusiva e succinta come qualsiasi
altra che noi potremmo formulare in questo momento. Prende in considerazione quei fattori che riteniamo
rilevanti e li mette in rapporto fra loro. Di più non è possibile aspettarsi dalle parole”
Giudice Frankfurter
“Regole assolute condurrebbero necessariamente a eccezioni assolute, e tali eccezioni finirebbero col corrodere
le regole”
“Le esigenze della libertà di espressione in una società democratica, così come l’interesse della sicurezza
nazionale, sono meglio servite da una bilanciamento candido e informato degli interessi contrapposti, entro i
limiti del processo giudiziario, anziché enunciando dogmi troppo inflessibili per i problemi non-euclidei da
risolvere”
“Ma come valutare gli interessi in competizione? Dal momento che non sono soggetti ad un accertamento
quantitativo, la questione necessariamente si risolve nel chiedere: chi deve essere competente a decidere? chi
deve bilanciare i fattori rilevanti e accertare quale interesse debba prevalere nelle circostanze date?”
“Una piena responsabilità per la decisione non può essere data ai giudici. I giudici non sono autorità
rappresentative. Non sono pensati per essere un buon riflesso di una società democratica. Il loro giudizio è più
informato, e quindi più affidabile, entro limiti stretti. La loro qualità essenziale è il distacco, fondato
sull’indipendenza. La storia insegna che l’indipendenza del potere giudiziario è in pericolo quando le corti si
lasciano coinvolgere dalle passioni del momento e assumono la responsabilità primaria di decidere tra pressioni
politiche, economiche e sociali in conflitto”
“La responsabilità primaria di aggiustare gli interessi in competizione nella situazione innanzi a noi appartiene
necessariamente al Congresso”
“È mia convinzione che ci siano degli «assoluti» nella nostra Carta dei diritti, e che siano stati messi lì apposta
da uomini che conoscevano il significato delle parole e che volevano che i loro divieti fossero «assoluti»”
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“I padri costituenti sapevano che la libertà di parola è amica del cambiamento e della rivoluzione. Ma sapevano
anche che è la nemica più mortale della tirannia”
“La nostra Costituzione non fu scritta sulla sabbia per essere lavata via da ogni ondata di giudici sospinti da
venti politici successivi”
La questione se i diritti fondamentali si applichino nel diritto privato, e se sì in che forma, è molto
dibattuta [riferimenti dottrinali].
Non c’è dubbio che lo scopo principale dei diritti fondamentali è proteggere una sfera di
inviolabilità della persona nei confronti dei poteri pubblici: sono una difesa del cittadino contro lo
stato
Ma (…) la Costituzione ha eretto un sistema oggettivo di valori nella sua sezione sui diritti
fondamentali (…). Questo sistema di valori, incentrato sulla libertà della persona umana di
svilupparsi in società, deve essere applicato come un assioma in ogni ambito del sistema giuridico:
deve informare e dirigere la legislazione, l’amministrazione e le decisioni giudiziali. Esso
naturalmente influisce anche sul diritto privato
• c.d. «effetto orizzontale» dei diritti fondamentali
• Interpretazione adeguatrice (costituzionalmente conforme) del diritto privato
Clausole generali come quella del par. 826 BGB, in base alle quali la condotta umana è valutata
secondo standard extra-giuridici come i «buoni costumi», consentono alle corti di rispondere a
questa influenza [della Costituzione], poiché nel decidere che cosa è richiesto in un caso particolare
da tale direttiva essi devono prendere le mosse dal sistema di valori adottato dalla società nella sua
costituzione in questo stadio del suo sviluppo culturale e spirituale
Il diritto fondamentale alla libertà di espressione, l’aspetto più immediato della personalità umana
in società, è uno dei diritti dell’uomo più preziosi (…) Data questa importanza fondamentale della
libertà di espressione per uno stato libero e democratico, sarebbe illogico che una costituzione ne
facesse dipendere l’ambito di protezione dalla mera legge
Ciò non significa che si abbia il diritto, per il solo fatto che si sta esprimendo una opinione, di
danneggiare gli interessi delle altre persone, che meritano protezione contro la libertà di
espressione.
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Ci deve essere un «bilanciamento dei beni»; il diritto di esprimere una opinione deve cedere se il
suo esercizio viola gli interessi di un’altra parte che abbia una pretesa di protezione superiore. Se
tale interesse prevalente esista in un caso particolare dipende da tutte le circostanze
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