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LA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO, LA GIUSTA GIUSTIZIA, LA
GIURISPRUDENZA CONSOLIDATA, L’ORDINAMENTO ITALIANO.
1. UN TEMA TREMENDAMENTE COMPLESSO.
Il tema dei rapporti tra le corti nell’ordinamento europeo è uno dei più attuali.
Sostenere che i giudici statali temono che parte del proprio ruolo venga meno per via
dell’avanzata e dell’erompere della giurisprudenza sovranazionale è solo una scorciatoia
per evitare il problema.
Si consideri, solo per fare un esempio, il valore del precedente giurisprudenziale. Non è
pensabile che un giudice statale intenda limitare il valore giuridicamente vincolante di un
precedente giurisprudenziale europeo solo perché altrimenti diminuirebbe il proprio ruolo
problema oltre a non essere questo, è più ampio: i primi a saperlo sono gli stessi giudici
italiani la corte costituzionale, per imprimere un nuovo corso ai rapporti tra giudici italiani
e giurisprudenza della corte europea dei diritti l’uomo, in una sentenza del 2015 ha assunto
un approccio attendista, ritenendo che se i giudici di merito italiani si stanno sempre di più
adeguando al diritto vivente, consolidato, per quale motivo non immaginare che lo stesso
possa avvenire, per tutti i giudici italiani, nei confronti della corte di Strasburgo?
Indirettamente la cassazione e la corte costituzionale, riferendosi alla giurisprudenza
consolidata, hanno anche tentato di favorire la crescita di una cultura del precedente. È
inoltre evidente il peso dato dal giudice delle leggi alla buona riuscita della dottrina del
diritto vivente nel disinnescare i potenziali conflitti interpretativi tra i giudici.
In definitiva la premessa è che appare opportuno evitare banalizzazioni, poiché se davvero
i giudici fossero attenti unicamente a non perdere pezzetti del proprio potere avrebbero gli
strumenti utili per raggiungere questo scopo, i quali non so caso, non sono mai stati
seriamente utilizzati. Una volta entrati nell’ordinamento europeo considerato nel suo
complesso, non è possibile alzare barriere.
2. IL RAPPORTO TRA LE CORTI: UNA VERA E PROPRIA NEVER ENDING STORY
Un primo aspetto sul quale riflettere attiene alla possibilità di costruire un modello valido per
sempre dei rapporti tra le corti nell’ordinamento europeo, in particolare per quanto riguarda
il legame tra la Corte e i giudici statali, non solo quelli costituzionali. bisogna prendere
atto dell’impossibilità di stabilire a priori quali debbano essere i migliori rapporti il motivo
principale è che tutti i giudici sono esseri umani che assumono le proprie decisioni in un
determinato ambiente storico, politico, sociale, dal quale non possono non essere
influenzati di conseguenza lo stare nel sistema da parte dei giudici dipende anche dal
loro immergersi in una determinata realtà dalla quale sono influenzati non ci si riferisce
alla realtà politico-pratica (da questa i giudici dovrebbero stare distanti), ma dal contesto
politico più generale. Nella realtà infatti si sono alternati periodi di parziale chiusura, e di
apertura.
CASO ITALIANO:
prima del 2007 chiusura, “ognuno il suo orticello”
2007 sentenza corte costituzionale, apertura totale: i giudici italiani devono prestare fede
alla giurisprudenza sovranazionale, e applicarla in toto.
2009 nuova chiusura, la corte afferma che i giudici italiani devono adeguarsi alla
sostanza della giurisprudenza di Strasburgo.
2015 chiusura, sentenza n. 49 i giudici italiani devono rispettare la giurisprudenza di
Strasburgo solo in determinati casi, vale a dire quando si tratta di giurisprudenza
consolidata, indicando taluni indici.
Dimostrazione che i rapporti sono in continuo divenire, anche semplici dichiarazioni
pubbliche di entità di spessore della politica europea, pubbliche prese di posizione anche
informali, possono influenzare i giudici.
3. LA CORTE DI STRASBURGO: QUALCHE CONSIDERAZIONE GENERALE.
La Corte di Strasburgo, dall’istituzione (1959) ad oggi, con la sua giurisprudenza ha
contribuito a rendere più democratici gli Stati membri del Consiglio d’Europa. Ha
sicuramente concorso a un innalzamento della garanzia diritti umani nel contesto europeo.
Ha aiutato la giusta giustizia a trovare maggiore spazio concreto Giusta giustizia
significa che se la Corte avesse deciso diversamente non sarebbe nato uno scandalo. È
qualche cosa di più della giustizia, ma che molto ha contato e conta per il progresso più
umano e in definitiva più democratico degli ordinamenti.
Sicuramente la corte è andata oltre agli scopi originari dei redattori della Convenzione. Si
consideri l’articolo 3 della convenzione, che vieta la tortura e le pene e i trattamenti inumani
e degradanti se si leggono i lavori preparatori, si volevano sostanzialmente vietare
punizioni corporali nei confronti dei detenuti, si fece sentire l’esperienza del nazismo
oggi siamo andati molto più avanti, e la corte, utilizzando anche il concetto di “passe-
partout” della dignità umana, ha sanzionato per fare un esempio, un poliziotto che si era
fatto scappare uno schiaffetto ad un ragazzino.
Si vuole evidenziare che la Corte di S. ha radicalmente ampliato il raggio dei propri
interventi. Lo sviluppo del nostro ordinamento in senso più democratico, in materia di diritti
più umano, si deve non solo ma certamente anche all’attivismo del giudice costituzionale,
che spesso ha aperto la strada al legislatore e in diverse occasioni ha tolto dalla
circolazione disposizioni legislative irragionevoli, limitative senza alcun senso di diritti
costituzionali.
La corte di S. ha fatto crollare interi edifici non più in regola con le prescrizioni che devono
essere rispettate in un sistema che voglia essere più umano e democratico. È riuscita a
propiziare modifiche costituzionali, a stimolare cambiamenti legislativi, a modificare
comportamenti e prassi, per non dire di quanto sia riuscita ad influire nella giurisprudenza e
prima ancora nel diverso modo di pensare dei giudici statali. Inoltre, beneficio indiretto per
coloro che si ritenevano vittime di una violazione di un loro diritto.
4. PER CHI LAVORA LA CORTE?
La corte di S. è il giudice che vigila sul rispetto della Convenzione, sottoscritta e ratificata
da tutti i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa. Ebbene, dal 1959 al 2014, il 50% delle
sentenze ha riguardato 5 stati. È quindi un dato oggettivo: la corte lavora de facto per pochi
Stati.
La questione dei rapporti tra questa corte e i giudici degli stati membri del consiglio
d’Europa non può non tenerne conto più la corte di S. si rivolge a un determinato stato,
più questo dovrà affrontare il problema dei suoi rapporti con quella corte.
Questo non vuole dire che le sentenze di S. vincolano l’Italia solo nel caso in cui riguardano
espressamente il nostro paese se così fosse tanto varrebbe eliminare l’aggettivo
europea dalla denominazione ufficiale della corte.
5. COME LAVORA?
Potremmo dire che assomigli a un giudice costituzionale, nel senso che utilizza taluni
strumenti che le corti costituzionali hanno utilizzato e continuano a utilizzare.
Come la corte costituzionale italiana, anche la corte di S. adopera un fortissimo potere di
selezione: più di nove ricorsi su dieci non passano il vaglio di ammissibilità.
Il giudice delle leggi italiano impone ai giudici di sollevare la questione di costituzionalità
solo se non è possibile interpretare quella legge in senso conforme alla costituzione. La
corte di S. non utilizza strumenti così eleganti, il contrario.
Le decisioni di irricevibilità o inammissibilità sono quasi sempre e quasi tutte composte di
poche righe e senza alcuna motivazione è semplicemente una lettera riservata inviata
per posta al diretto interessato, al ricorrente. Questo pone diversi problemi.
In primo luogo, le decisioni di irricevibilità/inammissibilità non sono appellabili. Se si
considera che per ricorrere a Strasburgo è necessario di norma aver esaurito i ricorsi
interni, la conclusione è una: le decisioni di irricevibilità/inammissibilità chiudono la partita.
In effetti, l’assenza di motivazione fa logicamente venir meno la possibilità di far ricorso. È
ammissibile che non contengano un briciolo di motivazione? Dovrebbero essere almeno
succintamente motivate.
In secondo luogo, le decisioni di irricevibilità/inammissibilità non possono contenere né
opinioni concorrenti né dissenzienti. Uno strumento, quelle delle opinioni separate, di
straordinario valore per un giudice sovranazionale, poiché permette agli stati e al ricorrente
di comprendere appieno il ragionamento più complessivo della corte. Proprio perché si
tratta di un giudice sovranazionale, le cui decisioni si rivolgono ad una platea
particolarmente rilevante (gli stati) e potenzialmente indeterminata (ogni singolo essere
umano), la regola della presunta unanimità non appare affatto ragionevole. quali
strumenti potrebbero essere utilizzati, se non le opinioni separate, per colmare questo gap?
il giudice di S., se vuole aumentare la persuasività delle proprie decisioni non può essere
privato della possibilità di stendere decisioni separate, le quali permettono di contenere il
discorso entro termini giuridici, e questa è una forma di auctoritas presunta (ed è la peggior
forma).
In terzo luogo, non esiste ancora alcun database nel quale i giudici statali, gli avvocati, gli
studiosi, possono svolgere compiute e approfondite ricerche sulle decisioni di irricevibilità e
inammissibilità come è possibile conoscere la giurisprudenza della corte di S. in materia
di irricevibilità e inammissibilità se non esiste alcuna fonte ufficiale di cognizione delle sue
decisioni?
Anche nel raro caso in cui la corte emetta decisioni di irricevibilità/inamm. Con ampie
argomentazioni, se ne viene a conoscenza solo per caso.
Sarebbe fondamentale, soprattutto per giudici e avvocati, se la corte ha già dichiarato
inammissibile/irricevibile uno o più ricorsi riguardanti un caso simile. probabile effetto
indiretto di una diminuzione non indifferente dei ricorsi a S, e anche rendere consapevole il
ricorrente delle reali probabilità che la sua lamentela possa varcare la soglia di
ammissibilità.
La necessità di porre rimedio a questa mancanza è di fondamentale importanza poiché
sono proprio le motivazioni delle decisioni che possono incrementare la fiducia dei cittadini
nel sistema giustizia in generale e in particolare in quello d’avanguardia della corte europea
dei diritti dell’uomo.
6. LA CORTE AL COSPETTO DELLA SUA CONVENZIONE
Se la corte non cambia qualche cosa nel proprio modo di lavorare rischia di violare, essa
stessa e per prima, alcuni articoli della Convenzione che chiede agli Stati di rispettare.
Non si tratta solo di credibilità, ma è anche una questione giuridica. Proprio uno dei giudici,
in una severissima e comprensibilissima opinione concorrente, ha letteralmente messo in
guardia i propri colleghi sostenendo che la giustizia non può essere sacrificata sull’altare
dell’efficacia e che, se si continua di questo passo, non sarà più possibile difendere la
credibilità della corte europea dei diritti dell’uomo.
7. LA CORTE E IL SUO EQUO PROCESSO
Per dimostrare che non si tratta unicamente di un problema di credibilità, approfondiamo
quali sono gli articoli della convenzione che la corte di S. sembra obiettivamente non
rispettare appieno, che apparentemente sembra violare.
Non si può che iniziare dall’equo processo, quindi dall’articolo 6 della convenzione. Se la
sbrigatività delle decisioni di inammissibilità fosse irrinunciabile al fine di garantire un
minimo di celerità nella risoluzione dei casi? La decisione circa l’ammissibilità non giunge
mai prima dei tre anni, in caso di esito positivo, prima della decisione sulla violazione o non
violazione da parte della Sezione trascorre almeno un anno, al quale aggiungere almeno
un altro anno in caso di referral alla grande camera. con la massima generosità, almeno
un totale di 5 anni, i quali più della metà solo per sapere della ricevibilità. Da solo, il tempo
necessario per arrivare alla decisione sull’ammissibilità copre quasi la metà dell’arco
temporale trascorso il quale la legge Pinto (in Italia) assegna il risarcimento per la
irragionevole durata del processo. ù
Il problema non riguarda unicamente la durata dei procedimenti. Il metodo di lavoro della
corte di S., necessità ulteriori ripensamenti si consideri l’impossibilità dei detenuti di
presenziare alle udienze la corte per essere coerente dovrebbe garantire la presenza
fisica (o almeno in videoconferenza) di tutti i ricorrenti che si trovano in condizioni di
restrizione della libertà.
La dubbia compatibilità del metodo di lavoro della corte con l’art. 6 della convenzione,
genera inoltre un problema ancora più grave il singolo ricorrente, che senza motivazioni
è informato che il suo ricorso è inammissibile/irricevibile, sarà sfiorato dall’idea che si tratta
di una decisione arbitraria
8. LA CORTE E LA PREVEDIBILITA’ DELLE SUE DECISIONI
Se è vero che il 40% delle violazioni riscontrate dalla corte riguarda l’art. 6, è altresì vero
che quasi il 20% delle violazioni riguarda gli artt. 3 e 5 della Conv, il campo di applicazione
è prevalentemente quello penale.
Dal punto di vista di S, la legalità è violata quando non vi è prevedibilità della sanzione. Che
siano previste nelle leggi o nella giurisprudenza non importa, è necessario che le sanzioni e
quindi anche le decisioni di un giudice siano prevedibili. si può parlare di prevedibilità di
un sistema come quello di S. che nemmeno permette di conoscere quante e quali decisioni
di inammissibilità/irricevibilità sono state adottate in precedenza in casi simili a quello che
un ricorrente ha intenzione di portare dinanzi alla Corte?
Il rischio è che la corte assuma le sembianze di un “non giudice” e questo perché è proprio
l’obbligo di motivazione anche delle decisioni che distingue un giudice da un decisore
politico.
9. LA CORTE E LA SUA GIURISPRUDENZA CONSOLIDATA
Anche se non esiste una fonte di cognizione del tipo delle gazzette ufficiali, esiste un
database nel quale è possibile ricercare tutte le decisioni, delle Sezioni e della Grande
camera, di violazione e non violazione della Convenzione. Risolto il problema della
cognizione, cosa dire rispetto a quello della prevedibilità? tematica che conduce
inevitabilmente alla questione della giurisprudenza consolidata, l’unica ad oggi che per la
corte Costituzionale italiana vincola i giudici italiani. appare opportuno discutere di
giurisprudenza consolidata in riferimento alla corte di S? nessuno potrà mai ritenere che un
caso abbia in partenza una soluzione definita.
Ai sensi della Convenzione, è sufficiente, per poter adire la corte, una apparente violazione
dei diritti e delle libertà garantite nel testo convenzionale, ovviamente per come interpretato
dalla giurisprudenza della corte. Non serve che la apparente violazione sia manifesta.
Utilizzando il medesimo concetto si dovrebbe essere in grado, di prospettare una apparente
violazione o meno della Convenzione.
Se la corte costituzionale dice ai giudici che devono interpretare una legge italiana in
conformità alla giurisprudenza consolidata di S, il minimo che si dovrebbe poter accertare è
l’esistenza di siffatta giurisprudenza consolidata. si torna alla stessa domanda, esiste?
è necessario approfondire le seguenti questioni.
9.1 UN GIUDIZIO CONCRETO O ASTRATTO?
Primo. La corte di S. è sicuramente un giudice del caso concreto. Situazioni a prima vista
simili, svelano differenze di fondamentale spessore. Il giudice effettua ragionamenti che
non sarebbero comprensibili se non rifacendosi alla concretezza di ciascun singolo caso.
Si può dunque sostenere che la concretezza del giudizio della corte è un ostacolo alla
possibilità che si formi e che si rispetti una determinata giurisprudenza consolidata, ma è
anche vero che quando vuole comunicare agli Stati un previso messaggio o vuole
confermare un precedente giudizio che lo Stato in questione continua a non implementare,
la corte smette gli abiti della concretezza per indossare quelli dell’astrattezza.
9.2 L’ASSENZA DELLA INCONVENZIONALITA’
In secondo luogo, ulteriore questione in merito alla problematica della giurisprudenza
consolidata di S. il difficile cammino verso il consolidamento non vi è dubbio che dipende
anche dal fatto che la corte di S. non dispone della possibilità di dichiarare incostituzionale
una legge non può cancellare dall’ordinamento una legge. in che modo questo incide
sulla questione della giurisprudenza consolidata? la corte di S. è costretta, per ottenere il
massimo risultato, anche in termini di consolidamento, ad utilizzare strumenti si importanti,
ma spuntati:
- Risarcimenti in termini monetari non è uno strumento raffinatissimo ma possiamo
sostenere che uno Stato pur di non dover pagare ingenti risarcimenti, preferisce
adeguarsi alla giurisprudenza di S. la realtà quindi è che S. può accordare
risarcimenti per il soddisfacimento del ricorrente ma anche per consolidare un
proprio orientamento.
Se poi il tutto avviene utilizzando una sentenza pilota, la possibilità di
consolidamento si accresce prese quando la violazione della convenzione è
strutturale, hanno tra i propri scopi anche quello di concedere tempo agli stati per
adeguarsi, e allo stesso ricorrendo ad un risarcimento di non lieve entità, rafforza la
pretesa di fungere da guida, di stabilizzarsi nel futuro.
- Ruolo del comitato dei ministri del consiglio d’Europa ha il compito di vigilare
sull’attuazione delle sentenze della Corte. Problema di questo strumento: è un
organo politico, le cui relazioni sull’attuazione delle sentenze della corte, non sempre
riescono a distogliere dall’impressione che la politica abbia fatto il suo corso. Le
relazioni del comitato spesso sono troppo caute, e questo perché si mischiano con
preoccupazioni di natura politica.
3. KHOROSHENKO V. RUSSIA
Il ricorrente adisce la Corte invocando la violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita
privata e familiare) e dell’art. 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione. la
legislazione russa prevede che tutti gli ergastolani, per il solo fatto di esserlo, debbano
essere sottoposti a un regime detentivo particolarmente rigoroso, specialmente per quanto
riguarda visite e contatti per l’esterno la grande camera riscontra all’unanimità la
violazione dell’art. 8 e dichiara non necessario esaminare la doglianza in riferimento all’art.
14. (opinione condivisa concorrente dei giudici Pinto e Turkovic)
- La risocializzazione come fine principale della pena detentiva
Giudice Pinto insoddisfatto per il ragionamento della Grande Camera, che non ha
esaminato la legittimità delle regole del codice russo sulla esecuzione delle condanne
penali applicabili ai condannati all’ergastolo e detenuti in una speciale colonia correzionale
e sottoposti ad un regime detentivo particolarmente severo.
La pena può avere uno o più dei seguenti fini:
1. Rieducazione del reo
2. Neutralizzazione del reo
3. Rafforzamento della norma violata
4. Deterrenza dei potenziali autori di reato
5. Retribuzione per l’atto colpevole del reo
6. Riparazione
Nella sua giurisprudenza, la Corte ha compiuto una chiarissima scelta su quale debba
essere il fine prevalente della pena risocializzazione del reo
Il governo russo nel caso in esame, non ha contemplato il fine della reintegrazione sociale
ed ha sostenuto che lo scopo del regime di detenzione in questione era unicamente quello
di isolare gli individui come il ricorrente fini della pena dell’ergastolo la retribuzione e la
neutralizzazione a vita, basandosi sul presupposto che il solo modo di punire il reo per
alcuni reati è privarlo della libertà per il resto della vita. lo stato russo quindi declina ogni
interesse per la vita umana diverso dalla mera sopravvivenza del detenuto.
In aggiunta, il governo russo fa riferimento alla neutralizzazione del reo per tutta la vita,
basata sulla presunzione che la specifica pericolosità richieda che sia separato dalla
collettività per un tempo più lungo possibile, la vita. presunzione inaccettabile per due
motivi:
1. È basata su criteri predittivi altamente problematici
2. Offusca il confine tra rei responsabili e mentalmente sani e non responsabili e sani.
In un contesto simile, le visite familiari, servono unicamente ad ulteriormente aggravare la
vocazione punitiva del regime penitenziario noi non consideriamo le visite familiari un
privilegio revocabile, ma un diritto derivante dall’art. 8, del detenuto e della sua famiglia al
fine di mantenere i loro legami in questo case relazione padre-figlio completamente
persa.
Il sacrificio di questi diritti, dovrebbe giustificarsi avendo a riguardo legittimi interessi penali
e alla protezione della sicurezza, ma il governo russo non ha fornito alla Corte nessuna
dimostrazione che la limitazione ai diritti di visita assolvesse uno scopo diverso
dall’aggravare il regime detentivo.
- L’obbligo dello stato di garantire un programma trattamentale individualizzato.
il pilastro di una politica penale volta alla risocializzazione dei detenuti è il programma
trattamentale individualizzato, attraverso il quale dovrebbero essere definiti i rischi e i
bisogni del singolo detenuto (in questo caso contatti con la famiglia). basilare principio
riconosciuto e affermato dalle più alte autorità politiche europee e mondiali, come ad
esempio il Comitato dei ministri del consiglio d’Europa e il Il Comitato europeo per la
prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT).
Per tanto, un programma trattamentale individualizzato, almeno per i condannati alla pena
dell’ergastolo e di lunga durata, è un obbligo internazionale positivo basato sull’art. 3. Lo
scopo principale è assicurare che ciascun singolo detenuto possa comprendere appieno il
significato della propria detenzione, anche al fine di prepararlo alla conduzione di una vita
rispettosa della legge una volta tornato libero. Come ha affermato la corte una valutazione
periodica dei progressi del detenuto sono necessari per soddisfare gli obblighi positivi
derivanti dagli artt. 3 e 8, incluso l’obbligo di salvaguardare la vita famigliare del detenuto.
Gli stati dovrebbero considerare molto più seriamente l’obbligo internazionale di permettere
ai detenuti di scontare la condanna in modo costruttivo e rieducativo.
- Il diritto del detenuto di ricevere visite familiare secondo il diritto
internazionale
Il terzo punto è la limitata frequenza delle visite familiari sproporzionata rispetto alle
motivazioni indicate dal governo la grande camera ha quasi lasciato la preoccupante
impressione che la limitatezza della frequenza delle visite potesse essere accettata nel
caso i cui fosse stata considerata in riferimento ad altri fattori valutabili parallelamente alla
gravità della sentenza di condanna.
Una regola che permette visite familiari ai detenuti solo una volta ogni 6 mesi è di per sé
inumana.
Non possiamo essere d’accordo con la corte costituzionale russa quando sostiene che le
disposizioni del loro codice delle condanne penali non rappresenta di per se restrizioni
ulteriori rispetto a quelle che derivano dall’essenza stessa di una punizione come la
detenzione. palese che si vada ben oltre, inasprisce gli effetti deleteri delle pene di lunga
durata.
La grande camera, avrebbe dovuto compiere un ulteriore passaggio logico, ossia
prospettare come requisito indispensabile che l’esame delle richieste di visite familiari sia
valutato caso per caso, secondo una considerazione individualizzata dei rischi e dei bisogni
del detenuto contenuti nel programma trattamentale di ciascun detenuto ogni automatica
restrizione è inammissibile, è l’esatta antitesi di ciò che richiedono gli standard europei:
- Regole penitenziare europee del 2006 garantire un ragionevole livello minimo di
contatto.
- Raccomandazione del comitato dei ministri sforzi particolari per prevenire la
rottura dei legami famigliari.
- Principi nazioni unite diritto di essere visitata e corrispondere in particolare con la
propria famiglia.
Affermiamo come questione di principio, alla luce dell’obbligo dello stato di garantire i mezzi
per la reintegrazione sociale dei detenuti, che ciascun detenuto ha il diritto di ricevere visite
il più frequentemente possibile. Secondo l’art. 8, sono un diritto e non un privilegio. La
legge dovrebbe garantire un numero minimo e non massimo di visite. Nessuna distinzione
dovrebbe essere fatta tra condannati all’ergastolo e altri detenuti. Di conseguenza qualsiasi
limitazione al diritto del detenuto di ricevere visite dovrebbe basarsi unicamente su
esigenze di sicurezza, in ogni caso con la minor ingerenza possibile. conclusione è che
esiste un crescente consenso europeo sul non porre distinzione tra ergastolani e altri
detenuti e che almeno tra 1 e 4 volte al mese
- Conclusione
La legislazione russa contestata è chiaramente illegittima poiché fonda la disciplina dei
detenuti unicamente sulle esigenze della retribuzione e dell’isolamento. In ogni caso è
anche sproporzionata poiché la frequenza delle visite è estremamente ridotta, e ciò non fa
che aggravare la violazione dell’art.8. lo stato deve non solo risarcire il ricorrente, ma anche
garantire un programma trattamentale individualizzato. Anche importante allineare la
normativa agli standard europei.
4. KMC V. UNGHERIA – il licenziamento senza validi motivi
- Opinione concorrente del giudice Pinto
La ricorrente adisce la corte invocando la violazione dell’art. 6 (diritto a un equo processo),
in quanto l’assenza di motivazioni del licenziamento aveva precluso la possibilità di
rivolgersi a un giudice. La corte constata all’unanimità la violazione. caso particolare
perché l’Ungheria non è parte dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO). è
legittimo interpretare l’art. 6 utilizzando gli standard utilizzati dalla ILO anche nei confronti di
uno stato che non ha ratificato questa convenzione?
- La cessazione del rapporto di lavoro nel diritto internazionale del lavoro
La convenzione ILO stabilisce le seguenti garanzie fondamentali: validi motivi per il
licenziamento, i lavoratori devono esserne a conoscenza e poter replicare, il diritto di
ricorrere in sede giurisdizionale, ripartire onere della prova e diritto al risarcimento. 35 stati
in tutto il mondo hanno ratificato questa convenzione ma l’Ungheria non è tra questi.
Criteri che impediscono che un lavoratore venga licenziato a meno che non vi sia una
ragione valida connessa alle sue attitudini o condotte oppure in base alle esigenze
operative dell’impresa.
- La cessazione del rapporto di lavoro nel diritto internazionale dei diritti umani
Il comitato sui diritti economici sociali e culturali delle nazioni unite ha osservato che
violazioni del diritto del lavoro possono verificarsi quando gli stati non intervengono per
disciplinare le attività di individui e gruppi al fine di prevenire la possibilità di essere ostacolo
al diritto di lavorare di altri. Per gli stati obbligo di prendere tutte le misure necessarie
affinché non venga negato il diritto al lavoro. L’Ungheria è vincolata dal patto sui diritti
economici sociali e culturali, e il divieto di licenziamento illegittimo deriva da esso.
- La cessazione del rapporto di lavoro nel diritto europeo dei diritti umani
Ai sensi della carta sociale europea tutti i lavoratori hanno il diritto di non essere licenziati
senza valide ragioni basare sulle loro attitudini, condotte o esigenze operative gli stati
membri si impegnano a garantire un indennizzo ai lavoratori licenziati ingiustamente
disposizione non accettata dall’Ungheria.
Previsione della carta sociale europea rafforzata anche dalla carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea.
La corte ha già stabilito che un diritto sociale può legittimamente derivare da una
disposizione della Convenzione, anche quando il diritto nello specifico è previsto dalla carta
sociale europea alla quando la parte non è vincolata.
In sintesi, nella giurisprudenza europea dei diritti umani, il diritto alla protezione in caso di
cessazione del rapporto di lavoro ha un contenuto minimo, costituito da 4 requisiti
fondamentali: comunicazione formale scritta da parte del datore, opportunità di rispondere
al datore prima del licenziamento, valida ragione, possibilità di fare ricorso.
- L’applicazione al caso di specie dello standard europeo
Sebbene l’Ungheria non faccia parte della convenzione ILO, essa è comunque vincolata
tanto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea, quanto dal patto internazionale
sui diritti economici sociali e culturali.
In effetti, non può essere accettato che uno Stato debba rispettare un doppio standard in
materia di cessazione del rapporto del lavoro, a seconda delle diverse organizzazioni
internazionali delle quali è membro, e che di conseguenza, si atterrà a standard inferiori nei
confronti del Consiglio d’Europa rispetto a quelli più elevati che invece rispetterà quale
membro delle nazioni Unite e dell’Unione Europea.
5. MEREZHNIKOV V. RUSSIA – L’uso eccessivo della forza da parte della polizia
Il ricorrente M. (detenuto), adisce la corte invocando la violazione dell’art. 3 (proibizione di
tortura) della Conv., dopo che degli agenti hanno provocato la frattura del suo braccio nel
tentativo di obbligarlo ad uscire dalla cella. La corte non riscontra alcuna violazione
- Opinione dissenziente del giudice Pinto
Il presente caso riguarda l’uso eccessivo della forza da parte della polizia nei confronti di un
detenuto in un centro di detenzione temporanea. La particolarità è che si tratta di danni
causati per negligenza. Il governo resistente sostiene che i poliziotti hanno risposto
ragionevolmente ai comportamenti del ricorrente, che il trattamento non era intenzionale, e
che in ogni caso la sofferenza non ha raggiunto il livello minimo di gravità per rientrare nel
campo di applicazione dell’art. 3 Pinto non trova convincente questa argomentazione.
Le autorità, avevano il dovere di proteggerlo. Il ricorrente era solo con almeno tre agenti
presenti. Il governo non ha dimostrato l’esistenza di un rischio così grave ed imminente da
poter giustificare la forza impiegata in questo caso.
Le lesioni erano prevedibili e potevano essere evitate alla luce di ciò l’uso della forza
contro il ricorrente non era strettamente necessario.
Si osserva inoltre che il governo contesta il fatto che il trattamento subito abbia raggiunto il
livello tale di gravità richiesto perché esso rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 3
non possiamo accettare questa tesi. Il trauma subito ha causato sofferenza fisica, sono
state necessarie delle cure d’urgenza ed è stato impossibilitato a lavorare per 3 settimane
questi elementi portano a pensare che il trattamento esercitato sulla persona del
ricorrente ha assunto un carattere inumano e degradante.
Si nota inoltre la tolleranza della corte nei confronti di atti violenti da parte della polizia, non
affatto compatibile con il solenne appello al rispetto del principio della dignità umani nei
servizi di polizia. Un “braccio teso”, è certamente, alla luce dell’art. 3, non meno grave di
uno schiaffo (caso poliziotto che da uno schiaffo a un ragazzo, condannato al risarcimento).
Alla luce dei principi che stanno alla base dell’art. 3, tali lesioni, anche per mera negligenza,
non possono essere accettate.
La possibilità di utilizzo della forza fisica implica una professionalità che ne garantisca l’uso
al solo fine di proteggere la società ciò non è accaduto violazione art. 3.
6. PONTES V. PORTOGALLO - adozione di un bambino figlio di genitori
tossicodipendenti
I ricorrenti decidono di rivolgersi alla Corte, invocando la violazione dell’art.8 (diritto al
rispetto della vita priva, familiare), non solo per la rottura del legame famigliare tra loro e il
piccolo P, dovuto al divieto di visita, ma anche per il diverso trattamento rispetto ai suoi
fratelli, che hanno potuto nel tempo lasciare gli istituti e tornare con i genitori constata
violazione dell’art. 8 sia riguardo il diniego alle visite, sia riguardo la decisione di sistemare
il piccolo P in un istituto in vista dell’adozione, ritenuta non proporzionata agli scopi
prefissati.
- Opinione parzialmente concorrente e parzialmente dissenziente dei giudici
Sajo e Pinto
Il presente caso pone quattro questioni:
1. La violazione del diritto di visita dei ricorrenti
2. Il diritto di godere di una vita famigliare pur in presenza di una procedura di adozione
3. Il diritto di chiedere l’annullamento di una decisione tramite la quale i giudici statali
avevano disposto l’adozione di P
4. L’equo soddisfacimento