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Gigi Roggero: ELOGIO DELLA MILITANZA


di Alessandro Barile
Gigi Roggero, Elogio della militanza. Note su soggettivit e composizione di classe , Derive
Approdi, 2016, pp. 213, 13,00
Elogio della militanza prima di tutto un titolo appropriato. Non elogio dellattivista o del
volontario, o altre definizioni post-moderne della partecipazione politica. Il militante, secondo
le parole dellautore, colui o colei che mette interamente in gioco la propria vita, un
soggetto divisivo, produce continuamente il noi e il loro, prende posizione e costringe a
schierarsi. Separa per ricomporre la propria parte. Non una figura qualunque, pacificata,
della partecipazione politica liberale, ma una figura specifica e storicamente determinata
della lotta politica. Il titolo gi di per s una forma di rottura rivendicata, una rottura
necessaria, che avviene non contro la normalizzazione liberal-democratica (troppo facile),
ma dentro il campo della sinistra antagonista, che da tempo ha accettato supinamente la
traslitterazione semantica (di provenienza anglosassone) dellattivista. Quando al giro di
boa del millennio si iniziato a chiamarlo attivista, non si trattato di una semplice
concessione linguistica, ma di un cedimento strutturale. Si cos persa la sua incommensurabilit rispetto ad altre
figure, come quella del volontario. Figura dellinteresse generale, dunque della riproduzione dellesistente.
Attivismo e militanza non sono concetti sinonimi o ambivalenti: presuppongono opposte visioni della politica e
sedimentano antitetiche coscienze dellesistente e degli strumenti per combatterlo. In altre parole, il militante
figura politica, di parte, che attraverso il sacrificio e la disciplina dichiara guerra allindividuo liberale in favore del
divenire rivoluzionario dellindividuo sociale; lattivista al contrario linnocua figura volontaria che tenta di
ricomporre ci che invece andrebbe disarticolato socialmente per essere ricomposto politicamente contro e non al
posto di. Sacrificio e disciplina: quale distanza tra questi due concetti e le forme attuali della partecipazione politica?
Una distanza talmente profonda che anche laddove presenti e sono continuamente presenti nella militanza
quotidiana vengono taciute, negate, quasi che imporsi un sacrificio o costringersi in una disciplina collettiva
rimandi a forme e metodi di una lotta politica da cui finalmente si sono prese le distanze. Il militante, ci dice
Roggero, la figura fondamentale della politica rivoluzionaria. Traduce la linea politica verso il basso e la corregge
verso lalto. E la cerniera tra la teoria e la pratica, quel medio raggio che rappresenta il cuore dellagire politico. E
la figura che combina incessantemente la massima rigidit strategica con la massima flessibilit tattica, in altre
parole la personificazione della dialettica leniniana, colui che sta dentro le contraddizioni agendo da detonatore,
sempre in bilico tra dogmatismo e opportunismo, senza mai scivolare nelluno o nellaltro dei poli della rigidit
politica della teoria senza traduzione pratica e della prassi senza strategia politica.
Se il militante la figura a cui parla lultimo libro di Roggero, il tema affrontato nel saggio recentemente pubblicato
specificato nel sottotitolo: note su soggettivit e composizione di classe. Temi in qualche modo ricorrenti in questo
ultimo decennio, una lunga fase di transizione declinante che ha spinto le avanguardie pi coscienti, o
semplicemente pi curiose, a cercare una risposta alla crisi politica della sinistra radicale partendo
dallindividuazione dei soggetti da organizzare e dalle nuove forme organizzative che da questi scaturiscono[1]. Nel
predisporre un discorso per definizione in fieri, quindi necessariamente non concluso e in corso di aggiustamento,
lautore indica una linea politica ben precisa: tornare alloperaismo per rompere con il post-operaismo, cio con una
tradizione politica che dagli anni Ottanta ha egemonizzato il piano culturale e dellazione politica dei movimenti
antagonisti in Italia.
Non ha posizioni precostituite da difendere Roggero, e questo permette un discorso sincero, efficace, sebbene

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storicamente e filosoficamente determinato. Diciamolo cos, in modo netto: il cosiddetto post-operaismo


finito[]Ora il compito ritornare alloperaismo, non certo contro ma sicuramente in modo critico rispetto a ci che
del post-operaismo non funziona pi, oppure non ha mai funzionato. Una rottura non semplice per chi in qualche
modo ha condiviso molto di quel pensiero nella propria formazione politica, e che parte da premesse filosofiche
precise che vanno lette e interpretate con attenzione. Riprendendo la lezione operaista, soprattutto trontiana,
Roggero pone al centro dellanalisi del e sul capitale il conflitto tra questo e il lavoro di fabbrica. Non il capitale che
costituisce la classe operaia ma il contrario: il proletariato che attraverso i suoi percorsi di resistenza costringe il
capitale ad innovarsi prendendo la forma attuale e in continua evoluzione. La classe operaia in altri termini il
motore dello sviluppo, e le lotte operaie lo strumento attraverso cui il capitale innova se stesso: il pensiero nasce
sempre dalla contrapposizione[]Sono le lotte a determinare lo sviluppo, prima viene la classe poi il capitale.
Interpretare il capitale a partire da se stesso una proiezione ideologica. Seguendo tale impostazione, lautore
arriva a concludere che la classe non una questione di stratificazione, ma di contrapposizione[]La classe, per
Marx e per noi, un concetto interamente politico. Classe significa antagonismo di classe. Con Tronti: non c
classe senza lotta di classe.
Potremmo continuare riprendendo altri frammenti del discorso, ma il senso dovrebbe essere a questo punto svelato:
recuperando radicalmente limpostazione operaista, lautore ci dice che lo sviluppo umano, la natura stessa
delluomo, una natura contrappositiva, conflittuale, ontologicamente divisa e divisiva. Le diverse fasi dello sviluppo
corrispondono alle diverse forme di resistenza che i soggetti subalterni hanno messo in pratica contro i soggetti
economicamente e politicamente egemoni; infine, che linnovazione organizzativa capitalistica deriva dalla rigidit
operaia. Bisogna essere coscienti che tale impostazione di natura filosofica e non contingente, e che ha poco a
che fare con il pensiero di Marx. Secondo Marx infatti lorigine dello sviluppo umano, delluomo in quanto animale
sociale, la cooperazione, data in forma alienata per ragioni storiche verificabili (e che Marx per lappunto verifica
nelle sue opere e soprattutto nel Capitale), e che costituisce il presupposto e il fine delle lotte di classe: quello della
riappropriazione del momento cooperativo in forma non mediata dal profitto privato. Il problema non per
solamente filosofico.
Economicamente, Roggero legge le continue evoluzioni del capitale come risposta alla rigidit operaia che di volta
in volta organizza le sue forme di resistenza. E una visione quantomeno parziale dello sviluppo capitalistico. Il
capitalismo infatti opera costantemente forme proprie di rigenerazione un processo sociale in continua
evoluzione soprattutto per sue caratteristiche interne. Il capitalismo in realt un campo di scontro tra capitali
concorrenti, capitali che trovano una propria unit solamente nei momenti di conflitto con i soggetti subalterni, ma
che fuori o parallelamente da questi sono naturalmente predisposti alla competizione interna, che una
competizione violenta per estromettere dai processi di valorizzazione capitali concorrenti. Sono le continue
innovazioni tecnologiche dei capitali in competizione che impongono al capitalismo nel suo insieme una costante
evoluzione, non certamente o esclusivamente progressiva, ma perennemente cangiante. Inoltre, le continue
innovazioni tecnologiche che stanno alla base della costante ridefinizione produttiva del capitalismo, costituiscono la
risposta non coordinata alla legge della caduta tendenziale del saggio di profitto. E tale caduta tendenziale, prodotto
dal costante aumento della produttivit del lavoro (attraverso laumento della composizione organica del capitale)
sganciata dalla valorizzazione del capitale (valorizzazione declinante proprio dallaumento progressivo del capitale
costante in rapporto a quello variabile), che provoca le crisi cicliche che costringono i capitali concorrenti alla guerra
e ai reciproci tentativi di eliminazione. In tale dinamica si situa poi la conflittualit operaia, che sicuramente un
elemento capace di modificare i piani del capitale, ma di certo non lunico, e probabilmente neanche il pi rilevante.
E un elemento presente nel conflitto storicamente determinato tra soggetti produttivi e rapporti di produzione, ma
che da solo non spiega la natura evolutiva del capitalismo.
Loperaismo rimane in un certo senso vittima di una sua prospettiva radicalmente sociologica: pone al centro di tutto
la soggettivit operaia perdendo di vista il quadro oggettivo dei rapporti di produzione. Dileguando ogni riferimento
oggettivo, la rottura filosofica compiuta da Negri tutto sommato conseguente. A quel punto il soggettivismo ha
scalzato loggettivismo marxista producendo di converso una teoria politica nei fatti interclassista, che infatti
giustamente posta a critica nel proseguo del volume, che disvela le tare post-operaiste come solo un sapiente

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intellettuale militante di quel mondo potrebbe fare.


Tutto risolto dunque? Per niente. Loperaismo ha avuto un ruolo politico decisivo nelle lotte di classe del nostro
paese: quello di dare sostanza teorica e prospettiva politica ad un pezzo di classe in rotta con la rappresentanza
ufficiale del Pci. Loperaismo rompe il vicolo cieco in cui la rappresentanza operaia si era rinchiusa: da una parte la
concertazione del conflitto economico attraverso i sindacati; dallaltra la rappresentanza politica nelle istituzioni
preposte attraverso il partito in fase di transizione. Stretta tra queste due maglie politicamente annichilenti,
scompariva in Italia ogni ipotesi di cambiamento radicale dellesistente che non passasse attraverso londa lunga
della prospettiva radicalmente socialdemocratica del Pci. Ecco perch non basta liquidare un patrimonio di idee e di
inchiesta operaia che, seppur da impostazioni filosofiche discutibili, ha avuto un ruolo politico comunque importante.
Rompere con il post-operaismo potr produrre un fecondo passo in avanti nelle strategie della sinistra antagonista
solo se non si ricadr nel radicale soggettivismo in cui era finita lesperienza operaista. Alla soggettivit sociologica
per cui la classe non un mero dato oggettivo-economico ma soprattutto un dato politico e conflittuale, deve
sommarsi lo studio dei modelli produttivi entro cui si situa la conflittualit operaia (dove per operaia, ovviamente,
non si deve intendere quella delloperaio della grande fabbrica fordista, ma dei nuovi soggetti sociali disponibili alla
lotta e centrali nel processo di accumulazione capitalista nei paesi a capitalismo maturo).
Il cuore del saggio non si situa per nelle sue premesse filosofiche, sebbene dallautore poste a premessa del
discorso, ma da una possibile, o potenziale, traduzione militante allaltezza dei tempi. E qui che il ragionamento
raggiunge il suo culmine e si fa a nostro giudizio pi convincente. La critica a certe degenerazioni movimentiste
spietata. Vengono presi di mira tutti i clich ideologici di un certo pensiero mainstream che ha trovato ricezione
anche allinterno dei movimenti antagonisti: leconomia sociale e la cooperazione agitate contro leconomia pubblica
che, lungi dal rappresentare un terzo settore rispetto a Stato e mercato, una delle forme che la privatizzazione del
pubblico ha assunto; lautoimprenditorialit diffusa dei centri sociali, che produsse modesti risultati dal punto di
vista economico ma contribu a produrre una soggettivit politica cresciuta con una prospettiva da amministratore
pi che da militante; l(auto)identificazione tra militante e precario, risultato di una frettolosa autoinchiesta vittima di
una autoreferenzialit strategica, che ha prodotto lindebita identificazione tra militante (ormai attivista) e classe;
una certa centralit acritica delle lotte sui bisogni primari, come quelle sulla casa, che in alcuni casi feticizza il
bisogno, non riuscendo ad andare oltre la sua soddisfazione, creando isole urbane di autogestione della marginalit
e della miseria; una presunta e pretesa autogestione dei saperi del cd cognitariato, al contrario costantemente
modularizzato, amministrativizzato, managerializzato, budgetarizzato, banalizzato, precarizzato, utentizzato, in
altre parole catturato a valle e messo a profitto per il capitale, completamente sottratto al controllo dei produttori; e
via continuando. Allindebolimento del pensiero potremmo aggiungere noi: allinfatuazione per il pensiero debole e
particolare, ideologicamente avverso ad ogni piano generale non seguito un potenziamento della prassi. La
moltitudine tutto, la composizione di classe nulla. La scuola rimasta senza movimento, i codici accademici
hanno inghiottito il conflitto di classe.
La forza attuale del populismo, termine certamente incapace di descrivere e distinguere i diversi fenomeni politici
sparsi per lEuropa, sta per nel dare dei volti al nemico, laddove un certo pensiero egemone dei movimenti ha
completamente destrutturato e molecolarizzato i processi capitalistici senza pi n volto n sede fisica, di fatto
scomparsi dalla lotta politica contingente: a un certo punto stato spiegato che il potere non concentrato
esclusivamente in un punto, ossia nello Stato, ma diffuso nelle relazioni sociali. Bene. Partendo dal presupposto
che dappertutto, si arrivati alla conclusione che non ci sia pi, o che non si concentri secondo una gerarchia.
Male. Liquidare il problema diventato allinterno dei movimenti un mantra: il Palazzo dInverno scomparso,
bisogna cambiare il mondo senza prendere il potere. La moda anglosassone della cd micropolitica ha prodotto la
metastasi della microcomunit autosufficiente, che non mette in gioco i termini reali del potere, ma si accontenta di
vivere praticando al proprio interno relazioni conviviali.
La sfida, secondo lautore, sta nella capacit della nuova generazione di militanti politici nel saper interpretare
dialetticamente lagire politico. Non riscoprendo nuovi dogmatismi o rigidit strategiche slegate da prassi efficaci,
che si ricostruiranno le basi di una nuova politica capace di incidere davvero nei rapporti di forza tra le classi. Non

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si confronta con la contraddittoriet e la sporcizia del reale solo chi si sente debole: il militante, forte della propria
inflessibilit strategica e al contempo dalla sua estrema flessibilit tattica, efficace solo se situato dentro le
contraddizioni del reale, piegandole agli interessi della propria parte, immaginando alleanze spurie, sintesi sociali
eterodosse, strade alternative a quelle libresche. Tutto al fine di tornare ad incidere davvero nella societ e nei suoi
rapporti di potere, in altre parole riappropriandosi di un orizzonte maggioritario, distante da settarismi, minoritarismi
inconcludenti, dogmatismi o, al contrario, esaltazioni spontaneistiche e sottoculturali. Davvero rara, di questi tempi,
tale generosit danimo nel saper porre a critica il comodo esistente nel quale ci autoproduciamo, e nel voler
coraggiosamente indicare una strada da perseguire che preveda la rottura con certe comodit intellettuali. Se non
tutto condivisibile, il metodo proposto quello da seguire: aprire un dibattito e vedere cosa ne esce fuori, tornando
a fare inchiesta.
[1] A titolo di esempio: Paolo Cassetta, Emilio Quadrelli, Noi saremo tutto nuova composizione di classe, conflitto
e organizzazione, Gwynplaine edizioni, Camerano (An) 2012; Clash City Workers, Dove sono i nostri lavoro,
classe e movimenti nellItalia della crisi, La Casa Usher, Firenze 2014.

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