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ARISTOTELE: RIASSUNTO

Aristotele: pensiero
Aristotele è uno dei più grandi filosofi occidentali, uno dei primi ad aver considerato la
filosofia come un'attività scientifica articolata in discipline distinte, il cui obiettivo è quello
di interpretare tutta la realtà. Secondo Aristotele per arrivare a questo obiettivo era
necessario avere un metodo in cui i pensieri e i ragionamenti dovevano necessariamente
rispettare delle determinate condizioni per giungere a conclusioni certe.
Secondo il filosofo greco Aristotele, la logica era la più importante fra tutte le scienze; essa,
denominata dallo studioso analitica, è definita come la scienza che studia le regole della
conoscenza scientifica. La logica aristotelica si basava sulla teoria del sillogismo e
sull'analisi delle proposizioni.
Il ragionamento sillogistico consisteva nel pervenire a conclusioni vere se le premesse erano
vere; quindi, era necessario controllare e verificare sempre le premesse da cui aveva inizio
il discorso. Questo tipo di procedimento aveva come scopo il sapere discorsivo che si
attuava nella definizione, nel giudizio e nel ragionamento.
 

ARISTOTELE: DEDUZIONE E INDUZIONE 


 
Per interrompere il ragionamento sillogistico, bisognava enunciare principî logici
indimostrabili, veri in sé e universali, ovvero validi per tutte le scienze, delle quali non
dovevano contenere le singole definizioni; a queste ultime, secondo Aristotele, si perveniva
tramite il procedimento induttivo, consistente nel desumere da osservazioni ed esperienze
particolari, i principî generali e universali in esse impliciti. 
Aristotele sosteneva che fosse impossibile l'esistenza di una scienza della realtà, poiché
la deduzione, ossia il procedimento logico che consiste nel derivare da una o più premesse
date, una conclusione che sia la conseguenza logica, non si applicava alle esperienze dei
singoli individui, di cui non era possibile conoscere i tratti individuali forniti dalla materia,
ma soltanto la loro specie. Il filosofo ha proposto una soluzione dualistica, associando la
realtà all'idea di specie.

ARISTOTELE: RAPPORTO UOMO-NATURA 


 
Aristotele ha analizzato la natura e l'uomo per cercare di ricomporre la scissione tra il
mondo sensibile e il mondo delle idee, di cui aveva parlato precedentemente Platone,
escludendo, peraltro, la realtà empirica da ogni possibilità di conoscenza. 
I concetti di partecipazione (metessi) e di imitazione (mimesi) espressi da Platone, non sono
stati condivisi da Aristotele; quest'ultimo, esaminando la natura, ha affermato che essa era
caratterizzata dalla dualità platonica e presentava l'essere non come principio di fissità, ma
dinamico e immanente. Secondo la teoria aristotelica, non tutto quello che poteva essere
ideato costituiva la realtà effettiva; ad esempio, i concetti di quantità, qualità, relazione
erano solamente dei modi di essere e neanche gli elementi primordiali di cui parlavano i
presocratici facevano parte della realtà.

LE QUATTRO CAUSE ARISTOTELICHE


 
In base alla concezione aristotelica, costituivano la realtà concreta gli individui che
nascono, crescono, si riproducono e muoiono, secondo uno sviluppo che rappresentava
l'attuazione dell'essere. 
Questo sviluppo comprendeva, secondo Aristotele, quattro cause: efficiente, materiale,
formale e finale; gli elementi costitutivi di questo processo erano invece due: la materia e la
forma, il cui rapporto era uguale a quello esistente fra la potenza e l'atto, in quanto non
esisteva una materia che non contenesse la forma. Queste quattro cause, enunciate dal
filosofo, costituivano la base del procedimento della realtà che avveniva dinamicamente
mediante due tipi di relazione: quella fra la materia e la forma e quella fra la potenza e
l'atto. In questo modo, Aristotele spiegava l'evolversi del mondo; in base alla concezione
aristotelica, l'universo era ordinato secondo una progressione: dagli esseri inorganici agli
esseri organici, dagli esseri organici all'uomo e dall'uomo a Dio, considerato la causa
prima, eterna, esterna e il motore immobile del mondo. Dio è trascendente e pertanto, non
può conoscere il mondo nel suo divenire. 
 

ARISTOTELE: METAFISICA 
 
Inoltre, la teoria aristotelica postulava l'esistenza, tra il limite superiore di Dio e quello
inferiore della materia prima, del mondo celeste costituito dall'etere (o quinta essenza),
ritenuto il regno del perfetto e inalterabile moto circolare, e del mondo sublunare
composto dai quattro elementi di cui aveva precedentemente parlato Empedocle: il regno
del moto rettilineo, il regno della trasmutazione, il regno del nascere e il regno del morire.
Ai tre gradi della vita terrestre corrispondevano, nella dottrina aristotelica, tre specie di
anima: vegetativa, tipica delle piante, sensitiva, appartenente agli animali e intellettiva che
nell'uomo si univa alle due precedenti; l'anima sensitiva e quella intellettiva
determinavano la conoscenza. 
Questa interpretazione è espressa nelle opere raccolte nella Metafisica, basate sulla critica
della dottrina platonica del mondo delle idee e sullo studio dell'ordine
dell'universo. Aristotele distinse le scienze in teoretiche (matematica, fisica, filosofia,
teologia), pratiche (che riguardano le azioni e i comportamenti dell'uomo) e poietiche (che
riguardano la tecnica e l'agire). 
 

ARISTOTELE: PENSIERO FILOSOFICO 


 
Il filosofo sosteneva che il fine principale dell'uomo fosse la felicità, la quale non derivava
dal piacere, ma dalla coscienza razionale di uno sviluppo della propria specifica essenza
nell'ambito delle attività. La felicità si realizzava con l'esercizio della ragione e mediante le
virtù, divise da Aristotele in dianoetiche (di carattere intellettuale) ed etiche (che
riguardano il rapporto fra l'intelligenza e la sensibilità). La caratteristica tipica delle virtù
era costituita dal fatto che esse si acquisivano con l'insegnamento e la ripetizione e stavano
a metà strada fra gli eccessi opposti. Secondo il pensiero aristotelico, era possibile attuare la
virtù soltanto nell'ambito di una società organizzata o all'interno dello Stato, il quale non
annullava le forme sociali più ristrette. 

ARISTOTELE: PENSIERO POLITICO 


 
Nell'ambito dello Stato, era sempre presente la distinzione fra i cittadini liberi, capaci di
autogovernarsi, e gli schiavi, che erano invece incapaci; da ciò derivava la necessità della
presenza della famiglia, della schiavitù (ritenuta come un elemento di riproduzione) e della
proprietà. 
Il fine ultimo dello Stato consisteva nell'attuazione delle virtù politiche, basandosi sempre
sul rispetto delle leggi e delle libertà di tutti i cittadini; inoltre, la libertà era strettamente
collegata all'obbedienza alle leggi da parte di tutti gli abitanti. La politica era,
secondo Aristotele, legata alla morale perché l'uomo poteva raggiungere la felicità
solamente nella vita associativa, che è appunto quella dello Stato. 
Il filosofo ha inoltre esaminato le varie forme di governo che potevano attuarsi in uno
Stato: la monarchia, l'aristocrazia e la politica, sostenendo che ciascuna di esse era soggetta
a una degenerazione; infatti, la monarchia degenerava nella tirannide, l'aristocrazia
nell'oligarchia e la politica nella democrazia. Secondo Aristotele, quindi, non esisteva una
forma perfetta di governo, in quanto erano tutte soggette alla degenerazione, ossia al loro
eccesso negativo. Egli ipotizzava che lo Stato ideale fosse costituito da una forma di
governo capace di riunire tutti i pregi della monarchia, dell'aristocrazia e della politica.

L'ESTETICA DI ARISTOTELE 
 
È importante considerare anche la concezione estetica di Aristotele. Egli ha ripreso il
concetto platonico dell'arte intesa come imitazione (mimesi), ma secondo la sua dottrina, la
poesia non riproduceva le cose così com'erano, bensì come avrebbero potuto essere;
pertanto, la poesia non aveva come oggetto il vero e il reale, ma il verosimile. 
Partendo da questo presupposto, Aristotele affermava che la poesia era più filosofica della
storia, in quanto, mentre quest'ultima parlava degli avvenimenti e dei personaggi
particolari di uno specifico periodo storico, la poesia, invece, tendeva all'universale,
rappresentando situazioni possibili, uomini possibili in condizioni e circostanze possibili;
ciò avveniva, ad esempio nei drammi tragici e comici. Quindi, secondo la concezione
aristotelica, mentre la storia tendeva al particolare, la poesia, al contrario, tendeva
all'universale. L'intuizione dell'universale era vincolata da una legge di verosimiglianza e di
necessità, che non separava la rappresentazione fantastica dal riferimento alla realtà. 
Aristotele si opponeva alla concezione platonica secondo la quale l'arte stimolava le basse
passioni, enunciando la dottrina della catarsi, ovvero della purificazione. In base
al pensiero aristotelico, il fine dell'arte consisteva nel creare un piacere suscitato da
sentimenti forti e provati in maniera molto intensa; di questo piacere si parlava in
particolare nella tragedia, dove esso scaturiva dalla pietà e dal timore che derivavano dalla
mimesi. 
Quest'ultima, consistente nell'identificazione con le passioni, le emozioni e le sensazioni dei
personaggi tragici da parte degli spettatori, effettuava attraverso la pietà e il timore provati
dal pubblico, la purificazione di questi sentimenti. Dunque, vivendo intensamente le
passioni e i sentimenti dei personaggi scenici, gli spettatori si libererebbero, mediante una
specie di terapia omeopatica, del peso delle passioni stesse; questa liberazione era
considerata come una depurazione dell'anima da ogni squilibrio e come un metodo capace
di ripristinare l'armonia interiore. 
La catarsi apportava, inoltre, una modificazione qualitativa delle passioni, non
eliminandole, ma sopprimendo in esse l'irregolare irrazionalità da cui erano caratterizzate
quando scaturivano da esperienze di vita.
Il pensiero aristotelico fu studiato e commentato fino al IV secolo d. C. e, dopo aver subito
un periodo di eclissi, fu riscoperto e diffuso nel XII secolo d. C. grazie ai commenti di
Averroè, successivamente tradotti in latino, e di San Tommaso. 
Si può notare che, mentre molti concetti della dottrina platonica hanno una validità
attuale, l'aristotelismo, invece, risulta sostanzialmente estraneo al pensiero moderno.

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