Sei sulla pagina 1di 2

Dante, Paradiso (Giulia Riccio)

argomento 1, Dante, illustrando la figura di S. Francesco mette in luce soltanto alcuni aspetti della
biografia: illustra quali e cerca di spiegare le ragioni che hanno portato l’autore ad operare tale scelta.

Il canto dedicato alla figura di S. Francesco è l’undicesimo, che insieme al dodicesimo costituisce un dittico.
Infatti, questi due canti hanno una struttura speculare: prima Tommaso d’Aquino, domenicano,
nell’undicesimo parla della vita di San Francesco, mentre nel successivo Bonaventura da Bagnoregio,
francescano, racconta della vita di San Domenico, entrambi prima lasciano spazio al racconto della vita del
santo poi vi è una critica al proprio ordine, domenicano e francescano. Questo espediente di incrociare così
francescani e domenicani deriva da un’abitudine: il giorno della festa di San Francesco un domenicano
parlava del santo, mentre alla festa di San Domenico ne raccontava la vita un francescano. Questa
consuetudine era ben vista dalle gerarchie ecclesiali perché si pensava che i due ordini avessero risposto a
una profezia che aveva pronunciato un mistico medievale, Gioacchino da Fiore: per la chiesa degradata dei
suoi tempi sarebbero nati dei soccorritori, uno da Est e uno da Ovest.
E’ evidente che nella biografia di San Francesco presente nella “Commedia” manchino diversi elementi di
rilievo, come la sua vicinanza con gli animali o i suoi miracoli. Il San Francesco di Dante è quello vicino ai
francescani spirituali, coloro che vivevano in assoluta povertà, in continuità con Francesco, mentre l’altra
corrente, distante dalla concezione di Dante, era chiamata dei “conventuali” perché non prevedeva una
proprietà individuale, ma collettiva, quindi il convento. Se Dante quindi si avvicina alla concezione dei
francescani spirituali e tralascia i conventuali, Bonaventura da Bagnoregio colpisce entrambe le fazioni, c’è
chi ha reso la regola di Francesco troppo severa e chi l’ha ammorbidita troppo.
San Francesco veniva chiamato “santo serafico”. Da qui, l’idea che lodando Domenico si lodi anche
Francesco e viceversa, perché il fine di entrambe era quello di riportare la chiesa alla sua forma ideale.
La caratteristica fondamentale che Dante attribuisce a S. Francesco è il matrimonio mistico tra il santo e la
povertà. Infatti, inizia a raccontare la sua vita con l’episodio avvenuto ad Assisi in cui egli rinuncia a tutti i
suoi averi. La povertà ha una duplice sfaccettatura: nella mentalità francescana, non è un peso perché non ha
bisogno di nulla chi ha scelto di non avere nulla, mentre la povertà imposta da fattori esterni è obbligata, non
è una scelta ed è quindi un male che può essere ridotto, quindi è importante l’aiuto verso questa seconda
categoria di povertà.

argomento 4, alla fine del canto XVII Cacciaguida offre a Dante delle indicazioni sul comportamento
da tenere: spiega cosa gli consiglia e perché.

Il canto diciassette è in una posizione centrale, così il tema di questi canti è fondamentale per la “Commedia”
(come nel Purgatorio il tema del diciassettesimo è quello del libero arbitrio, fondamentale per tutta la “Com-
media). Così, qui il destino di exul immeritus di Dante può essere paradigmatico per l’uomo, è il simbolo del
male che non è sempre giustificato nella vita.
Cacciaguida nella parte finale del canto ricopre un ruolo assimilabile a quello di Virgilio o Beatrice, quindi
risolve dei dubbi di Dante. Qui infatti Dante ha molte incertezze sul suo futuro, su dove potrà andare dopo il
suo viaggio della “Commedia”, quando sarà costretto a lasciare Firenze per l’esilio. Infatti il poeta vede il
rischio concreto di non essere gradito in molte altre città oltre Firenze dopo che avrà raccontato tutto ciò che
ha visto durante il suo viaggio, infatti nelle diverse cantiche Dante ha criticato grandi temi, come la gestione
del potere, o diverse figure molto note per i cuoi contemporanei, che Dante ha posizionato nei gironi
dell’Inferno.
Cacciaguida gli consiglia di perseguire nella sua missione poetica. Infatti, i lettori che saranno infastiditi
dalle sue parole saranno quelli che si rivedono o sostengono i bersagli delle critiche di Dante, ma il suo
compito è più alto di queste vicende terrene, è fondamentale la diffusione del racconto unico del suo viaggio
ultraterreno. Infatti, solo Dante ha potuto compiere questo viaggio per volontà divina perché egli possa usare
le sue abilità poetica per diffondere il senso della giustizia divina. In ogni canto emerge come ogni vicenda
terrena venga punita o ripagata perfettamente nel mondo ultraterreno. L’opera di Dante quindi deve
diffondersi tra tutti i vivi affinché possano essere più consapevoli del loro libero arbitrio, delle conseguenze
di queste loro libere azioni e delle ricompense che potrebbero avere. Cacciaguida con le sue indicazioni
chiare ribadisce quanto sia indispensabile che Dante porti a termine questa sua missione poetica e che
l’attribuzione del suo compito parte da una decisione divina e ha un fondamentale scopo morale. Con questo
canto è evidente la grandezza di Dante come poeta nel produrre un’opera così innovativa e come uomo per il
coraggio che ha avuto nel denunciare moltissimi ambiti della vita terrena.
argomento 11, spiega perché, accingendosi a narrare l’esperienza della visione di Dio, Dante riprenda i
temi dell’ineffabilità e della memoria, che aveva trattato nel primo canto.

Sin dai primi versi del primo canto del Paradiso, Dante introduce il tema dell’ineffabilità, quindi
l’impossibilità di spiegare in modo diretto alcune vicende della sua esperienza nel Paradiso. Da qui, l’uso
insistito della metafora nei canti del Paradiso, come unico espediente possibile per poter descrivere ciò che
ha vissuto. Mentre nell’Inferno e nel Purgatorio Dante ha ben presente dove si trova, nel Paradiso non c’è
quasi stacco tra un cielo e l’altro, non c’è un passaggio fisico, è tutto spontaneo, se ne accorge solo per la
luce, così sono ancora più diffuse le difficoltà nel raccontare le vicende del Paradiso per il senso di
disorientamento. Così già nei versi 5 e 6 del primo canto è presente la prima dichiarazione dell’ineffabilità
che si declina in due parti: non è capace e non può, la possanza umana non arriva a tanto, ma neanche la
capacità, l’uomo non ne ha la facoltà. Dante può arrivare a scoprire il Paradiso perché Dio gli ha affidato un
compito universale, profetico, cioè di comunicare a tutta l’umanità attraverso la poesia il suo viaggio. Sono
spiegate le motivazione dell’ ineffabilità: Dio è il desiderio di ciascun vivente, quindi il nostro intelletto
desidera la conoscenza di Dio, ma la prima facoltà che viene meno è la memoria. Dante racconterà cosa è
riuscito comunque a trattenere nella sua memoria, si tratta di un’esposizione limitata dalle capacità umane,
soprattutto dalla memoria. Questa è una chiara differenza con le altre cantiche dove poteva invece contare
sulla sua piena memoria.
Se il tema dell’ineffabilità torna in diversi canti del Paradiso, raggiunge l’apice nell’ultimo con il tentativo di
Dante di descrivere l’esperienza più difficile da rendere con le parole umane e da ricordare: la visione di Dio.
Questa grande difficoltà emerge più volte in modo esplicito nel canto trentatreesimo, l’ultimo in cui appunto
sperimenta la visione di Dio. Se in altri passi del Paradiso la difficoltà era strettamente legata al tradurre i
propri pensieri e ricordi in parole, qui il problema è ancora più profondo, proprio la memoria di Dante non
gli permette di scrivere in modo fedele della sua ultima fase del viaggio. Dante non può contare più sulla sua
memoria perché la visione divina trascende le facoltà intellettive dell’uomo. Nella terzina dei versi 55-57,
“Da quinci innanzi il mio veder fu maggio/che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede,/e cede la memoria a tanto
oltraggio.” è chiara la difficoltà che Dante sperimenta nei due ambiti: ineffabilità e memoria. Così, persino
Dante che è stato scelto per volere divino per compiere questa missione poetica e raccontare il suo viaggio
ultra terreno, non riesce a trovare le parole esatte per descrivere precisamente questa sua ultima esperienza.
Da qui, la soluzione con l’uso della metafora per tentare di adempiere ai limiti umani e trovare un modo
alternativo per rendere l’idea a tutti i suoi lettori dell’esperienza inimmaginabile per l’uomo della visione di
Dio. Nei versi 58-63: “Qual è colüi che sognando vede,/che dopo 'l sogno la passione impressa/rimane, e
l'altro a la mente non riede,/cotal son io, ché quasi tutta cessa/mia visïone, e ancor mi distilla/nel core il dolce
che nacque da essa.” solo con la metafora del sogno Dante riesce a rendere le sensazioni provate, si avvicina
all’esperienza umana, perché chiunque ha provato il senso di spaesamento nel tentare di descrivere un sogno.
E’ analogo lo spaesamento che affronta Dante durante la scrittura di questo canto. Successivamente al verso
67 invoca la luce divina affinché egli possa ricordare l’esperienza della visione divina ed esprimerla per
lasciare impresso nell’opera un racconto così unico. In realtà l’attimo esatto della visione divina è
irrecuperabile e inesprimibile per il poeta, le sue capacità intellettive e il suo linguaggio sono insufficienti.
La svolta nel canto avviene con il fulgore da cui Dante è colpito e che appaga il suo desiderio che lo spinge
alla visione di Dio, nonostante ciò le sue possibilità di esprimersi e ricordare sono inadeguate per scrivere di
un momento simile. E’ evidente qui la difficoltà del poeta su due livelli, lo sforzo di riprendere i pochi
ricordi che la sua memoria è riuscito a trattenere e in ogni caso l’oggetto delle sue memorie trascende le
capacità e i limiti umani, e poi il tentativo successivo di tradurre in parole queste esperienze che tanto
faticosamente cerca di riordinare. Tutti questi suoi sforzi, che dal poeta stesso sono dichiarati insufficienti,
sono resi attraverso una delle molteplici metafore nei versi 106-108: “Omai sarà più corta mia favella,/pur a
quel ch'io ricordo, che d'un fante/che bagni ancor la lingua a la mammella.” Qui richiama l’esperienza
dell’infanzia, quando un bambino non ha ancora sviluppato le capacità di linguaggio minime, non riesce
neanche a esprimere i suoi stessi bisogni vitali, si limita a piangere. La stessa frustrazione è provata da
Dante, che ora si sente come un bambino nel suo arduo tentativo di descrivere la visione divina e nel non
riuscire a trovare le parole adatte, quindi per un’ultima volta il tema dell’ineffabilità.

Potrebbero piacerti anche