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Nell’XI canto ci troviamo nella prima cornice del Purgatorio, dove sulla parete di

marmo sono scolpiti esempi di umiltà, mentre sul pavimento esempi di


superbia. Infatti in questa cornice vengono punite le anime dei superbi, la cui
pena è quella di camminare con pesanti massi sulle spalle. La legge del
contrappasso sta nel fatto che, come loro in vita si mostrarono altezzosi per
l’opinione troppo elevata di se stessi, ora devono tenere il capo chinato verso il
suolo.
L’XI canto inizia con un Pater noster intonato diversamente. La cosa che colpisce
Dante è che i superbi intonino il pater noster non per se stessi, ma per i viventi.
Quindi se i superbì pregano per i viventi, allo stesso modo chi è sulla terra deve
pregare per le anime purganti, così da potere velocizzare la loro permanenza in
Purgatorio.

- Vv. 1-6: in questi versi le anime dei superbi intonano un padre nostro.
Possiamo dire che questa è l’unica preghiera recitata per intero nel poema.
La versione del Pater noster nel canto è costituita da due passi evangelici,
ovvero quello dell’apostolo di Matteo e di Luca, in cui la preghiera era
rispettivamente composta da 7 e 6 frasi. Vediamo invece come il Pater Noster di
Dante occupi ben 7 terzine, forse per il significato numerologico dell’undici. Tra
il quarto e il sesto verso, il Padre Nostro non traduce il Vangelo, ma riproduce le
Laudes Creaturarum di San Francesco. Inoltre Dante utilizza il termine
vapore, che intende lo spirito santo, e cioè l’amore con cui Dio si manifesta.
Comunque si è aperta una questione riguardante il destinatario della
preghiera, ovvero ci si chiede se si rivolga al Padre come trinità o come prima
persona. Chi pensa che sia rivolta al Padre come Trinità, lo deduce dal termine
vapore, che appunto è il simbolo dello spirito Santo. Chi invece crede che il
destinatario sia il Padre nostro, inteso come padre, lo pensa perché la preghiera
è, di fatto, indirizzata naturalmente al Padre.
- Vv. 7-12: la preghiera continua con l’ammissione delle anime che la
ragione e le facoltà umane, da sole, non sono in grado di ottenere la
pace eterna. Questa ammissione ha un significato molto forte, perché viene
detta da anime che in vita sono state superbe. Inoltre Dante inserisce la parola
osanna, che è introdotta nella Bibbia senza essere mai stata tradotta in latino, e
che quindi è una parola ebraica, che si usa per esprimere gioia e lode. Dante
utilizza questa parola per ben sette volte all’interno della Commedia, ma
solamente nel Purgatorio e nel Paradiso.
- Vv. 13-15: le anime chiedono a Dio la manna, che è una reminiscenza
biblica, senza la quale, anche coloro che si affannano per andare avanti
vanno sempre più indietro. Con questo vuole dire che senza la preghiera
l’uomo non può procedere verso la salvezza.
- Vv. 16-18: la versione adattata della preghiera continua con le anime che
chiedono a Dio di essere misericordioso e di perdonare gli uomini, come loro
hanno fatto perdonando il male che gli è stato fatto. Questa terzina rappresenta
un’inversione della lex talionis, ovvero la legge della vendetta, infatti
mentre queste anime sulla terra avevano sperato di vedere puniti coloro che le
avevano offese, adesso li perdonano e sperano di essere perdonati dalla
misericordia divina.
- Vv. 19-24: la preghiera si conclude con l’affermazione di essere stata
cantata in nome di coloro che sono ancora in vita e che, quindi, sono
ancora soggetti al peccato. Infatti le anime rivolgono la preghiera ai mortali
perché loro possono ancora soccombere a Satana, a differenza di chi si trova
in Purgatorio, che non può più.
- Vv. 25-30: successivamente Dante spiega che le anime auguravano il bene,
indicato con il termine ramogna, e si muovevano sotto un peso simile a
quello che a volte ci opprime nei sogni. Per quanto riguarda il termine
ramogna, i commentatori non sono mai riusciti a dare un significato vero e
proprio, e generalmente si identifica con il bene in generale, oppure con un
buon augurio. Per quanto riguarda invece la pena dei superbi, Dante la
paragona al peso che ci opprime nei sogni. Questo perché l’incubo,
nell’antichità, era visto come un demone che si sedeva sul petto dell’uomo
addormentato e gli dava l’impressione di stare soffocando. In questo paragone si
può anche trovare un’ispirazione all’Eneide, in cui Virgilio aveva descritto il
sogno come un soffocamento sotto un peso enorme. Poi descrive le anime come
disperatamente angosciate, proprio perché devono portare dei pesanti
macigni sulle spalle. Dante introduce un nuovo elemento della loro pena, ovvero
la caligne. Infatti la pena dei superbi non consisteva solamente nel dovere
portare i massi sulla schiena, ma camminavano intorno alla prima cornice
nell’oscurità.
- Vv. 31-36: Dante conclude il suo discorso con una sorta di appello indiretto
al lettore, infatti afferma che, come le anime dei superbi pentiti pregano per gli
uomini nell’aldilà, così anche gli uomini sulla terra devono pregare per
loro, affinché possano ascendere prima al Paradiso.
- Vv. 37-45: Virgilio si rivolge alle anime dei superbi, augurandogli che la
giustizia e la libertà possano liberarli presto dal peso e possano
condurli in Paradiso. Prosegue chiedendo le indicazioni sulla strada da
prendere per raggiungere più velocemente la cornice successiva. Inoltre Virgilio
spiega alle anime che Dante è ancora vestito della “carne di Adamo”, e che
quindi è appesantito, quindi è lento a salire.
- Vv. 46-57: Allora a quel punto un’anima tra la folla rispose, ma non si
capiva chi venissero quelle parole, proprio perché i volti delle anime erano
coperti dalle rocce che portavano sulle spalle. È giusto anche da un punto di
vista morale che le anime dei superbi, quando parlano, non si
identifichino, perché la superbia consisteva proprio nell’attenzione forzata
sulla propria persona. L’anima disse di seguirli verso destra. Prosegue poi
dicendo che se non ci fosse il sasso sopra la sua schiena, che serve appunto a
piegare la testa e la sua superbia, vorrebbe guardare l’uomo ancora vivo,
poiché non gli è stato detto il nome, e vorrebbe vedere se lo conosce.

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