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Dante Alighieri

Paradiso - Canto III


Informazioni generali sul canto

Quando 13 aprile del 1300

Dove cielo della Luna

Caratteristiche In questo canto Dante giunge nel cielo della Luna dove troviamo le anime di coloro che sulla

Terra non hanno portato a compimento i loro voti, come Piccarda Donati e Costanza

d'Altavilla..

Riassunto Spiriti mancanti ai voti. Un’anima guarda con attenzione Dante e si presenta: è Piccarda

Donati, sorella di Corso e Forese; da suora, il fratello la costrinse, senza sua volontà, al

matrimonio. Mostra poi l’anima di Costanza d’Altavilla, imperatrice e madre di Federico II.

sintesi e struttura
Dialogo con Piccarda
Il canto è dominato dal dialogo con Piccarda Donati, una nobildonna fiorentina che Dante ebbe
modo di conoscere quando era ancora in vita come si evince dalla terzina 61-63, in cui il poeta fiorentino
ammette di aver, finalmente, riconosciuto la donna.

Smarrimento di Dante di fronte agli spiriti difettivi


Il suo ingresso nel canto viene annunciato da una lunga introduzione (vv. 10-18) in cui Dante descrive
il suo smarrimento di fronte a delle figure evanescenti che sono, così come gli appaiono, quelle
degli spiriti difettivi assegnati al cielo della Luna. La vaghezza di questi spiriti viene descritta con
una lunga serie di similitudini in cui il poeta definisce la loro indefinitezza simile a quella di un’immagine
riflessa in un vetro o in uno specchio d’acqua (vv. 10-13) o, con un riferimento decisamente più raffinata,
a quella della pallida luminosità di una perla sulla bianca fronte di una dama: similitudine che fa
riferimento all’uso delle giovani nobili dell’epoca, quale era Piccarda Donati, di portare una perla sulla
fronte; Dante, credendo appunto di trovarsi davanti a delle figure riflesse, si gira credendo
di avere quelle reali alle sue spalle (vv. 17-18) e commettendo in tal modo l’errore opposto di colui
che “accese amor tra l’omo e ‘l fonte”, un riferimento al mito greco di Narciso, un cacciatore di divina
bellezza che, vedendo la propria immagine riflessa in un lago, muore affogato nel tentativo di afferrarla e
baciarla. Il poeta, in preda alla confusione, si rivolge a Beatrice, che gli spiega di trovarsi davanti
ad immagini reali.

Presentazione di Piccarda Donati


Inizia così il dialogo con lo spirito che si presenta come Piccarda (v. 49): il lungo confronto con
Dante, che come detto occupa praticamente tutto il Canto, può essere suddiviso in due parti, la prima
delle quali (vv. 34-57) ci presenta la protagonista del dialogo, che dice di essere stata una monaca
quand’era in vita (v. 46) e di essere stata assegnata al Cielo più basso poiché non rispettò i suoi voti: ma
né lei, né gli spiriti come il suo, soffrono questa condizione perché sono comunque partecipi della Grazia
divina.

Spiegazione dei gradi di beatitudine


La seconda parte del dialogo (vv. 58-90) è quello che, dal punto di vista contenutistico e teologico, appare
più denso di tematiche. Dante, infatti, chiede a Piccarda perché non desideri ascendere ad un cielo più
alto e quindi essere maggiormente partecipe della Grazia divina. Piccarda gli spiega che, essendo
pervase dalla carità, non desiderano altro rispetto a quello che già hanno, anzi lo stato di
beatitudine necessita l’uniformità dei propri desideri con quelli divini.

Inadempienza del voto di Piccarda e di D’Altavilla


A questo punto, però, Dante chiede a Piccarda quali siano i voti cui non ha tenuto fede (vv. 91-120), e lo
spirito gli spiega di aver deciso in gioventù di seguire i voti dell’ordine fondato da santa Chiara, la quale si
trova in un cielo più elevato, ma che uomini più abituati a far male che a far del bene la rapirono e
l’allontanarono definitivamente dalla vita che aveva scelto. Stessa triste sorte, dice Piccarda
indicandola, era toccata all’anima che le stava affianco che era quella di Costanza d’Altavilla, moglie
dell’imperatore Enrico VI di Svevia e madre di Federico II.

Sparizione delle anime


Finita quest’ultima spiegazione l’anima di Piccarda compare come un sasso inghiottito dall’acqua (v.123)
intonando l’Ave Maria, ed il Canto si avvia alla fine (vv. 121-130). Dante, stupito e ancora desideroso di
fare altre domande, si gira verso Beatrice, che però lo fulmina con lo sguardo. "

Piccarda e Costanza
Le due anime difettive che Dante ci presenta nel cielo della Luna sono quelle di Piccarda Donati e
Costanza d’Altavilla che, pur accomunate da un destino simile, hanno nel Canto un peso notevolmente
diverso dato che la prima domina l’intero episodio mentre la seconda scompare senza aver mai aperto
bocca.

Piccarda è una giovane donna fiorentina appartenente alla nobile famiglia dei Donati, tra i
protagonisti della vita politica del Comune di Firenze nella seconda metà del XIII secolo, e sicuramente
era conosciuta dall’autore che, nonostante le difficoltà causate dall’evanescenza della sua figura, alla fine
ammette di averla riconosciuta (vv. 62-63). Alla sua figura si era già fatta allusione in un altro momento
della Commedia, cioè nel Canto XXIV del Purgatorio quando Dante, nella cornice dei golosi, incontra
Forese Donati, uno dei due fratelli della pia donna che assicura Dante del fatto che, per certo, la troverà
tra i beati (Purg. vv. 13-15).

L’altro fratello è Corso, esponente della fazione politica dei Guelfi Neri che, probabilmente nel periodo in
cui era podestà di Bologna, rapì Piccarda dal convento di clarisse in cui ella aveva voluto
rinchiudersi, per darla in sposa ad un altro esponente politico dei Guelfi Neri, per sancire così
una definitiva alleanza politica. Protagonista di una vita avventurosa e violenta, Corso muore assassinato
nel 1308, cioè dopo la scrittura della Cantica ma prima del viaggio immaginifico di Dante il quale, per
questo motivo, può far profetizzare a Forese che il fratello finirà per certo all’Inferno.

Della vita di Piccarda invece, oltre a ciò che viene narrato da Dante, si sa ben poco, ma è probabile che
sia morta poco dopo il suo rapimento.

L’altra figura che compare in questo Canto è quella di Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero II il
Normanno: data la caratura del personaggio, su di essa si hanno notizie abbastanza certe. Dante la pone
tra le anime difettive anche se l’imperatrice non prese mai i voti sacri.

Nella storia raccontata dal poeta fiorentino troviamo l’eco di una vera e propria leggenda che ebbe credito
per lungo tempo, e secondo la quale Costanza venne portata via dal convento nel quale si era ritirata
per ordine di papa Celestino III che, per convenienze politiche, le impose il matrimonio con
Enrico VI di Svevia, unione dal quale nacque Federico II, ultimo esponente di primo piano degli
Hohenstaufen.

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