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Album per la teoria greca della musica

Giovanni Piana
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2010

La sapienza antica dei Greci sembra essere legata soprattutto alla musica (Ateneo)

Butta via quella roba. Nessuno ha mai trovato capo o coda alla musica greca, nessuno mai lo trover cit. da Gustave Reese, La musica nel medioevo (1940), trad. it. , Rusconi, Milano 1990, p. 30. 2

Questo libro dedicato a Valentino Piana - diletto a Mercurio dal piede alato che stringe il mondo in una sola mano
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INDICE
Presentazione - p. 16

1. Gli strumenti della musica greca - p. 19


1.1 Gli strumenti a fiato - p. 23
1.1.1 Laulos 1. Lo strumento - 2 Quale era il suono delaulos? - 3 Il plagiaulos - 4 La musica greca era monofonica? - 5 La polemica antipolifonica rinascimentale e la teoria della monofonicit della musica greca 1.1.2 La siringa (syrinx) 1.1.3 La tromba (salpinx) 1.1.4 Il corno (keras)

1.2. Gli strumenti a corda - p. 51


1.2.1 La lira 1.2.2 Il barbitos 1.2.3 La cetra
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1.2.4 La forminx 1.2.5 Limpiego del plettro 1.2.6 Larpa

1.3 Strumenti percussivi - p. 93


1.3.1 I crotali 1.3.2 I cimbali 1.3.3 Il krupalon 1.3.4 I sistri 1.3.5 I timpani

1.4. Lorgano idraulico - p. 109

2. Gli strumenti musicali e limmaginazione mitica - p. 119


2.1. Premessa - p. 123 2.2 Dioniso - p. 124
2.2.1 Le menadi 2.2.2 I satiri 2.2.3 La vendemmia di Dioniso
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2.3 Apollo - p. 143


2.3.1 Dionisiaco e apollineo in Nietzsche 2.3.2 Il canto dellOlimpo 2.3.3 Apollo musagete 2.3.4 Nascita di Apollo 2.3.5 La cetra e larco 2.3. 6 Apollo e il pitone 2.3.7 I lati oscuri di Apollo

2.4 Linvenzione della lira e dellaulos - p. 161


2.4.1 Ermes 2.4.2 Atena

2.5 Marsia ovvero la barbarie di Apollo - p. 175 2.6 Il mondo del dio Pan - p. 187
2.6.1 I fauni e le ninfe 2.6.2. Il dio Pan 2.6.3 Storia di Siringa 2.6.4 Storia di re Mida
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2.7 Orfeo - p. 203


2.7.1 La lira di Orfeo 2.7.2 La morte di Orfeo Annotazione: la morte di Orfeo secondo Picasso

3. I filosofi che cantano - p. 219


3.1 Il volto di Pitagora 3.2 Vita di Pitagora 3.3 Acusmatici e matematici 3.4 Scienza e immaginazione 3.5 Chi Pitagora? 3.6 Pitagora e Apollo 3.7 Viaggi di Pitagora 3.8 I prodigi di Pitagora 3.9 I filosofi che cantano

4. Gli inizi della teoria della musica - p. 253


4.1 Il principio del numero 4.2 Il fabbro armonioso 4.3 Jubal - Chi era costui? 4.4 Commenti al racconto del fabbro armonioso
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4.5 Linvenzione del monocordo 4.6 Il monocordo come strumento di misura

5. La matematica pitagorica - p. 285


5.1 Numeri, rapporti e proporzioni - p. 288
5.1.1 Il logos 5.1.2 Lanalogia

5.2 I numeri figurati - p. 296


5.2.1 La lavagna di Pitagora nella Scuola di Atene di Raffaello 5.2.2 La Tetractys 5.2.3 Cenni sui numeri figurati 5.2.4 Sviluppi e commenti sui numeri figurati 5.2.5 I numeri quadrati 5.2.6 I numeri eteromechi 5.2.7 I numeri figurati e lidea di matrice
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5.3 Le opposizioni pitagoriche - p. 319


5.3.1 Le opposizioni pitagoriche e il loro senso 5.3.2 Lopposizione illimitato/limitato in Filolao

5.4 I numeri irrazionali - p. 326 5.5 Larmonia delle sfere - p. 330

6. Il reperimento dei rapporti fondamentali sul monocordo - p. 339


6.1 Il monocordo senza graduazione - p. 343
6.1.1 Il metodo delle sottrazioni successive 6.1.2 Osservazioni sul metodo delle sottrazioni successive 6.1.3 Il quaternario

6.2 La divisione in quattro del monocordo - p. 355 6.3 La divisione in dodici del monocordo - p. 361
6.3.1 La considerazione lineare dellintervallo 6.3.2 I rapporti consonantici espressi con i numeri 6,8,9,12
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7. Tematica delle medie - p. 369


7.1 Media aritmetica, media armonica e media geometrica - p.373
7.1.1 L'affermarsi del problema delle medie 7.1.2 Le formule delle medie

7.2 Le medie secondo le definizioni di Archita - p. 377


7.2.1 Media aritmetica 7.2.2 Media geometrica 7.2.3 Media armonica

7.3 La media geometrica - p. 387


7.3.1 Ottava, rapporti epimori, media geometrica. 7.3.2 Ripresa del problema dei numeri irrazionali 7.3.3 Duplicazione del quadrato e media geometrica 7.3.4Media geometrica e il problema del tetragonismo 7.3.5 Conseguenze sulla teoria pitagorica della musica
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8. Discussione sulla cosiddetta scala pitagorica- p. 397


8.1 Il problema della validit degli intervalli e della formazione della scala - p. 401
8.1.1 La costruzione della scala attraverso le medie 8.1.2 Costruzione della "scala pitagorica" attraverso il ciclo delle quinte

8.2 Precisazioni e commenti - p. 408


8.2.1 Tono e limma 8.2.2 Lapotome 8.2.3 Il comma 8.2.4 Il calcolo pitagorico del comma come rapporto 8.2.5 Landamento discendente della scala 8.2.6 Costruzione della scala pitagorica e metodi di accordatura

8.3 Eccessi del matematismo pitagorico - p. 422


8.3.1 Il problema della consonanza di undicesima 8.3.2 La soluzione di Tolomeo e quella di Gaudenzio 8.3.3 I tentativi di costruire scale con rapporti epimori
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9. Il tetracordo - p. 431
9.1 Il tetracordo come spazio sonoro fondamentale - p. 433 9.2 Il tetracordo diatonico di Filolao - p. 437 9.3I nomi delle note - p. 439

10. I generi - p. 451


10.1 Prima dei generi - p. 455 10.2 I generi e le loro differenze - p. 459 10.3 L'indicatore del genere - p. 462 10.4 Lalterna vicenda dei generi - p. 464 10.5 Il pyknon - p. 467 10.6 La teoria dei generi e i tetracordi di Archita - p. 468
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11.Aristosseno e la teoria dei generi - p. 479


11.1Un nuovo concetto di intervallo - p. 483
11.1.1 L'illimitatezza del numero delle lichanoi 11.1.2 L'esperienza dell'intervallo 11.1.3 Differenze rispetto alla posizione pitagorica, il problema del geometrismo e della matematica degli irrazionali

11.2 Il significato delle misure aristosseniche - p. 492


11.2.1La divisione in trentesimi dell'intervallo di quarta 11.2.2 Una ipotesi sulla scelta del trentesimo di quarta 11.2.3La presuntaequalizzazione operata da Aristosseno

11.3 La teoria dei generi secondo Aristosseno - p. 498


11.3.1 Il punto di vista funzionale 11.3. 2 Confronto tra i generi di Archita e di Aristosseno
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12. Il sistema completo - p. 505


12.1 Introduzione - p. 509
12.1.1 Sistemi, toni, armonie 12.1. 2 Le specie (eidos, schema) 12.1.3 Metabol

12.2Il sistema completo - p. 517


12.2.1 Lampiezza dello spazio sonoro nella musica greca 12.2.2 Il doppio tetracordo di base come fondamento del sistema completo 12.2.3 Il sistema completo piccolo e la sua integrazione nel grande 12.2.4 Le specie di ottava 12.2.5 Il problema della trasposizione e la "modulazione della melodia

12.3 Identit e mutamento nel sistema completo - p. 533


12.3.1 Tesi e dynamis 12.3.2La prospettiva dinamica e tetica nell'intero spazio sonoro 12.3.3Limmutabilit del sistema completo
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Presentazione
Nel 1998 tenni un corso universitario che, in una sua sezione, riguardava la teoria greca della musica. In realt ero interessato, allinterno di una tematica generale di filosofia della musica, a mettere laccento sul fatto che, rispetto al linguaggio musicale della nostra tradizione, gli stessi materiali di base venivano prospettati secondo angolature profondamente diverse, e nello stesso tempo riccamente teorizzate entro un ampio quadro filosofico e immaginativo. Con ci intendevo fornire ai miei giovani ascoltatori unesemplificazione di un linguaggio della musica assai diverso da quello a loro prevalentemente noto, con le proprie regole e la propria grammatica, mostrando al tempo stesso il suo radicamento nella vita e nel contesto filosofico e culturale in cui esso agisce. Ma di sbieco cercavo di accennare a molte altre cose. Compito ambizioso, ma che io svolsi entro un ambito necessariamente e volutamente limitato. Eppure debbo confessare che gi allora mi lasciai un poco trascinare dalle mie antiche passioni per la grecit che mi avevano fatto oscillare per qualche tempo, per quanto riguarda il mio futuro di studente universitario, tra la filosofia antica e la filosofia teoretica. Mi piace ricordare qui che il primo corso universitario che seguii presso luniversit di Milano fu il corso di Storia della Filosofia Antica tenuto da Mario Untersteiner - grande e indimenticabile Maestro. Nel riprendere i materiali di appunti di quegli anni, queste antiche passioni si sono ravvivate in modo anche per me un po inatteso - cosicch mi sono proposto di estendere lambito di discorso, aggiungendovi molte cose che nel frattempo mi sembra di aver meglio compreso, mantenendo cos le ambizioni che sono difficili da scacciare, ma anche attenuandole dando alle mie lezioni di allora la forma di un album illustrato. Lo scopo resta ancora quello di fornire un profilo che sia il pi possibile dominabile anche da chi non ha interessi strettamente specializzati e che desideri nello stesso tempo varcare la soglia verso le straordinarie dimensioni culturali della problematica che stiamo per affrontare. Uno scopo, dunque, che corrisponde alla mia vocazione didattica. Ma mi sono anche reso conto, nel riprendere tra le mani le mie vecchie carte, che nei problemi che venivano via via discussi e nel modo di affrontarli affioravano di continuo temi di ordine teorico che mi hanno dato negli anni molto da pensare, orientamenti che, maturati nella trattazione di altri argomenti, tuttavia si facevano sentire in certi punti cruciali come guide anche per organizzare e ripensare i nodi essenziali della teoria greca della musica. 16

Il lettore che abbia per avventura qualche conoscenza di altri miei lavori non stenter a riconoscere questa trama sotterranea - si avvedr ben presto che lindugio nella problematica pitagorica, che forse potr sembrare singolare per un fenomenologo che certamente non pu che parteggiare per la posizione di Aristosseno, ha certamente una sua importante motivazione in quella fusione tra conoscenza e immaginazione che spesso ha sconcertato gli interpreti. Ed ancora, per laspetto epistemologico, potr forse avvertire la presenza di Wittgenstein del Tractatus cos come quella di Husserl della Filosofia dellaritmetica nellinterpretazione dei numeri figurati come metodo di notazione che, sia pure affiorante qui e l nella letteratura specializzata, tuttavia mi sembra sia diventata particolarmente pregnante nellesposizione che mi sembrato di poterne dare. Cos assai probabile che questa stessa linea di tendenza mi abbia spinto a mostrare nel pitagorismo la presenza dellidea della ricorsivit, di cui mi sono occupato in altri miei lavori, secondo una accentuazione, mi sembra, piuttosto inusuale. Nella teoria greca della musica si coglie un formidabile interscambio tra elementi che formano la sostanza della vita spirituale - limpulso conoscitivo con la sua esigenza di metodi ordinati e ben codificati, la creativit del mito che segue percorsi tutti suoi eppure non di rado si incontra con quellimpulso, in una fecondazione reciproca, la pratica artistica diretta, la musicalit direttamente esercitata dal citaredo o dallauleta e che attraversa la parola del rapsodo, la teoria che da un lato a ridosso di questa pratica, in parte promuovendola ed in parte essendone promossa... e da tutto ci poteva forse mancare limmagine? In realt debbo un poco ritornare sui miei passi, e correggere il mio dire di pocanzi quando osservavo che questo lavoro ha preso forma di un album quasi che lillustrazione attenuasse lambizione. Questosservazione ha una sua parte di verit - ma ve ne unaltra che rende pi significativa questa mia scelta. In realt nella mia personale esperienza didattica lesemplificazione grafico-illustrativa ha svolto un ruolo, persino per spiegare e discutere argomenti piuttosto astratti. A differenza di molti che ritengono che la consuetudine alle immagini tolga spazio al pensiero ed alla lettura (molti uomini di grande dottrina la pensano cos!), io credo che immagine e parola ci parlino entrambi con i linguaggi che sono loro propri con altrettanta efficacia, e che insieme possano mostrarci cose che ci resterebbero del tutto inarrivabili. Ma questo vale tanto pi per il nostro argomento. Quando questo mio progetto ha cominciato a prendere forma, mi accaduto allimprovviso di rendermi conto con enorme sorpresa che, con tutto il greco che ci stato insegnato, con tutte le vicende omeriche che abbiamo lette riga per riga nelle enfatiche traduzioni ottocentesche di Monti e Pindemonte, non ci mai stata mostrata una sola immagine di un vaso greco - dico una sola, e proprio mai. Quasi che nella vasaria non ci fosse nulla di interessante che riguardasse i poemi omerici, le narrazioni mitiche, la vita quotidiana dei greci, le loro feste, i loro amori, la musica, le danze, i loro riti, gli oggetti duso, il loro modo di vestire e tutto il resto. Quasi che la vasaria non fosse arte essa stessa, e grande arte, e spesso grandissima. Eppure il lettore potr forse concordare con me che queste 17

immagini, anche quando sono misteriose allusioni che traspaiono da frammenti accuratamente catalogati e messi da parte ammirevolmente da archeologi e cultori della grecit, balza con straordinaria evidenza di fronte a noi una vita apparentemente morta per sempre. Tuttavia in questo album non vi sono solo figure tratte dalla vasaria greca, ma molte appartengono alla grafica e alla pittura successiva. Non sono necessarie molte parole per spiegarne la ragione. Esse mostrano quanto abbiano inciso nellimmaginario della cultura europea le creazioni della classicit, con la quale intendo naturalmente anche la fondamentale mediazione operata dalla cultura latina. qui - nella Grande Grecia, nella latinit che di essa si fatta coscientemente erede - che abbiamo le nostre radici. Per tutti questi motivi, questo lavoro ha finito con lassumere per me un significato che non pensavo inizialmente potesse avere: quello di una sintesi, da una angolatura molto particolare, di un orientamento intellettuale e dei molti pensieri di cui esso fatto; ed allora stato inevitabile che nel suo procedere mi sia sentito idealmente attorniato anzitutto da coloro che hanno avuto la pazienza di seguire i miei discorsi nelle aule universitarie cos come da coloro che vanno tuttora consultando i miei testi nel sito internet che li ospita; e non solo attorniato, ma in certo senso anche - voglio proprio dire - custodito e protetto, da tutti quegli allievi che di quei pensieri sono stati compagni e interlocutori straordinari e che le mie parole al vento hanno portato a nuovi e concreti sviluppi arricchendole ciascuno con la propria genialit, crescente esperienza ed intelligenza. Tra essi vorrei rammentare almeno Paola Basso e la ricchezza dei suoi interessi epistemologici, teoretici e storico-filosofici; Vincenzo Costa e la sua ripresa creativa e infaticabile delle tematiche fenomenologiche; Elio Franzini che tanto cammino ha fatto sui sentieri della filosofia dellarte; Ernesto Mainoldi che ha preso le vie per me misteriose del Medioevo; Alfredo Civita che ha saputo penetrare originalmente negli oscuri campi della analisi psicologica; Paolo Spinicci che ha dedicato una parte assai ampia delle sue riflessioni alluniverso dellimmaginazione grafica e pittorica, facendo parlare le immagini e riuscendo a mostrare quanta filosofia possa sgorgare da quelluniverso. E molto dovrei dire di quei musicisti che hanno coniugato musica e filosofia come Mauro De Martini o fatto della musica la loro vocazione continuando con me un dialogo che non si mai interrotto, come Sergio Lanza e Andrea Melis. Infine voglio ringraziare Carlo Serra, che il responsabile effettivo della mia decisione di riprendere largomento e di tentare di rinnovarlo in questa forma. Tanto disse e tanto fece che non mi stato possibile non rimettermi nuovamente al lavoro, provandone una nuova gioia, ed anche per questo gli sono grato al doppio. Giovanni Piana Pietrabianca, 27 marzo 2010 18

1. Gli strumenti della musica greca

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1.1 Gli strumenti a fiato

1.2. Gli strumenti a corda

1.3 Strumenti percussivi 1.4 Lorgano idraulico

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1.1 Gli strumenti a fiato


1.1.1 Laulos 1 Quale era il suono delaulos? 2 Il plagiaulos 3 La musica greca era monofonica? 4 La polemica antipolifonica rinascimentale e la teoria della monofonicit della musica greca

1.1.2 La siringa (syrinx) 1.1.3 La tromba (salpinx) 1.1.4 Il corno (keras)

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1.1.1 Laulos
Laulos uno strumento a canna doppia che qui viene suonato da un satiro. Appesa alla parete vi la custodia dello strumento.

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Lo strumento era molto spesso suonato da donne. Labito caratteristico delle suonatrici - si tratta di un abito molto semplice. Nella figura a destra la suonatrice porta anche degli ornamenti e dei monili. 26

Fino a poco tempo fa la traduzione di aulos era flauto, ed ancora oggi si tratta di una traduzione abbastanza frequente. Essa invece erronea, perch fa pensare subito - se non al nostro flauto traverso - al flauto diritto che nella sua forma pi semplice una canna in cui sono stati praticati dei fori, che vengono tenuti variamente aperti o chiusi dalle dita per ottenere le note. Uno strumento simile certo non mancava in Grecia, come non manca in ogni cultura musicale per la sua semplicit costruttiva, ma era uno strumento povero, tipico dei pastori. Anche laulos, come mostra limmagine seguente che pone laulos fra le mani di un pastore che cavalca un montone (forse con intenzioni comiche) aveva presumibilmente avuto origine pastorale, ma la sua complessit lo destinavano ad un impiego da parte di persone esperte. In ogni caso esso era qualcosa di completamente diverso da un flauto doppio.

Questa opinione stata corretta quando ci si rese conto conto della presenza in questa doppia canna di una linguetta (ancia) che doveva produrre un suono in qualche modo simile a strumenti come loboe o il clarinetto. Nel suo libro sulla musica greca Chailley (1979, p. 61) mostra con didattica pazienza che se prendiamo un cannuccia e tagliamo una piccola parte della sua superficie, otteniamo appunto una linguetta che sotto limpulso del soffio, si mette vibrare, la vibrazione si trasmette alla canna che amplifica questo suono e lo modifica. La timbrica che ne risulta nettamente diversa da quella di un flauto diritto, anche se pu variare notevolmente secondo i dettagli costruttivi dellintero strumento 27

La figura mostra una caratteristica cuffia chiamata forbeia: essa regge una sorta di museruola con lo scopo di facilitare i compiti del musicista. Dobbiamo tener presente che le canne sono due, eventualmente di lunghezza diversa, e che il musicista, a differenza del flauto comune, operava con la mano sinistra e con la mano destra in modo del tutto indipendente. Inoltre possibile che la forbeia servisse a comprimere il rigonfiamento delle guance in modo da dare pi potenza al soffio. La forbeia normalmente non compare nelle raffigurazioni vasarie e ci fa pensare che essa venisse impiegata solo in particolari occasioni in cui si richiedeva un suono particolarmente robusto. 28

Lo strumento a doppia canna, sia che fosse provvisto di ancia oppure privo di essa, ed in tal caso era effettivamente un doppio flauto diritto, era ampiamente diffuso nellarea mediterranea come mostrano queste immagini che rappresentano figure simili allaulos rispettivamente in ambito egiziano ed in ambito etrusco. 29

Mentre laulos non ha superato lantichit classica, il flauto doppio rimasto sia nella tradizione classica sia in quella popolare europea. Nellaffresco delle Storie di San Martino (Linvestitura a cavaliere) (1317) di Simone Martini nella basilica inferiore di San Francesco ad Assisi, vengono rappresentati due menestrelli, uno dei quali suona il doppio flauto.

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Fra gli strumenti popolari vivi ancora oggi vanno rammentate almeno le launeddas sarde, che sono strumenti ad ancia a tre canne, una delle quali fa da bordone. Come risulta da questo schema, il bordone realizzato dal tubo pi lungo (Tumbu) privo di fori, mentre le due canne con i fori sono di lunghezza diseguale e manovrate la pi corta con la mano destra, la pi lunga con la mano sinistra. Da reperti archeologici si pu stabilire che le launeddas risalgono ad almeno mille anni a. C. Alcune sue caratteristiche organologiche... nonch la particolare tecnica di esecuzione mediante respirazione circolare la apparentano con altri aerofoni policalami diffusi nel Sud Mediterraneo... e lo inscrivono in una famiglia di strumenti che sembra avere i suoi lontani antenati nei clarinetti bicalami egizi e sumeri. In questa famiglia le launeddas sono il solo strumento a tre canne di cui due melodiche (Giannattasio, 1985, p. 204 - di qui stata tratto anche lo schema di launeddas). Il doppio flauto calabrese presente ancora oggi nella cultura popolare della Calabria. In Calabria il flauto a becco di canna diffuso anche in un modello bicalamo (fischiotti, frischetti) costituito da due flauti imboccati e diteggiati contemporaneamente ciascuna mano aziona una canna. Del tutto simile per morfologia al flauto singolo, il doppio flauto presenta becchi molto sporgenti atti a facilitare la tenuta dello strumento mediante i denti e, a volte, grandi aperture posteriori/inferiori che servono a intonare le due canne fra loro. Si distinguono due tipi: I. a paro canne di eguale lunghezza e diametro, tenute prevalentemente accostate; II. a mezza chiave canne di diversa lunghezza e diverso diametro, tenute in posizione divergente (Ricci A. e R. Tucci, Strumenti musicali popolari in Calabria. Internet). 31

1 Quale era il suono dellaulos?


Sui modi in cui laulos veniva suonato, sulla sua sonorit, e del resto sui diversi tipi di strumenti riunibili sotto questo nome, naturalmente non possiamo avere alcuna effettiva indicazione diretta. Mathiesen, che ha fatto una descrizione dettagliatissima della struttura dellaulos osserva che laulos non suona come un flauto, ma nemmeno un oboe come alcuni studiosi hanno cominciato a tradurre: In realt laulos un aulos e suona in modo dissimile a qualunque moderno strumento musicale occidentale (p. 182). A rigore nemmeno questa affermazione negativa provabile (altrimenti sapremmo come suonava laulos). S. Baud-Bovy (1988, p. 218) afferma che stato lo studio della canzone popolare della Grecia moderna a mettere in dubbio nozioni generalmente accettate sulla musica dellantichit classica Egli fa notare analogie sul piano melodico e strutture scalari e traendone conclusioni sulla teoria dei generi. Sembra giusto pensare, come del resto stato suggerito da pi parti, che gli strumenti popolari, non solo Greci, ma di area mediterranea in genere, potrebbero aver conservato elementi arcaici. Cos essi potrebbero aver mantenuto qualche ricordo della timbrica e dei modi esecutivi del passato.

2 Il plagiaulos
Secondo alcunivi era in Grecia anche un flauto traverso chiamato plagiaulos: Vi era un antico strumento che in realt era una una canna singola del tipo del flauto, che veniva tenutotransversalmente, come il moderno flauto traverso. Esso veniva chiamato plagios aulos oppure plagiaulos in greco, obliqua tibia in latino. Il plagiaulos era interamente confinato allambiente pastorale, e non appare nella letteratura e nellarte greca fino al periodo ellenistico (a partire dal terzo secolo a.C.).

La traduzione flauto dovrebbe perci essere ristretta solo a questo strumento, e non usata per qualunque altro tipo di aulos; e nemmeno dovrebbe essere usata riferendosi ad un periodo anteriore (Landels, 1999, p. 24). Secondo altri si trattava comunque di uno strumento ad ancia tenuto lateralmente (Chailley, 1979, p. 213) 32

3 La musica greca era monofonica?


La tesi tanto spesso ripetuta secondo cui la musica greca sarebbe stata rigorosamente monofonica, senza accompagnamenti o controcanti - tesi ulteriormente appesantita dallidea che essa fosse del tutto priva di autonomia rispetto al canto vocale, e che quindi il musicista si limitasse a ripetere nota per nota il canto del cantante oppure al pi a raddoppiare il canto in ottava - ha qualche appoggio nei documenti. In unopera attribuita ad Aristotele intitolata Problemi musicali, nelloss. 18 si legge: Perch solo laccordo di ottava viene usato nellesecuzione vocale? E difatti nellaccompagnamento si usa questaccordo e non altro(Aristotele, 1957, p. 43). Con ci si esclude persino un accompagnamento per quinte o per quarte. A mio avviso questa tesi deve essere ritenuta assai dubbia, o comunque non facilmente generalizzabile. Si anche pensato (Westphal, cit. ivi p. 98) che laffermazione dei Problemi debba essere interpretata come una sorta di ammonimento, e quindi che essa presupponga che taluni musicisti usavano accompagnamenti pi complessi. Questa una situazione abbastanza comune che ha indotto in errore molti interpreti. Spesso i teorici sono ostili alle innovazioni ed alle nuove pratiche musicali e pertanto le loro opinioni talvolta documentano a rovescio le pratiche musicali correnti. In ogni caso, per nutrire qualche dubbio ben fondato io penso che basti guardare laulos: una musica strettamente monofonica avrebbe fra i suoi strumenti principali uno strumento eminentemente caratterizzato dalla capacit di realizzare due voci! In argomenti che riguardano la musica, la filologia nel senso pi stretto non dovrebbe precludersi qualche riflessione di ordine semplicemente musicale. Quale musicista avendo tra le mani un aulos o un doppio flauto si metterebbe a suonarli allunisono, come se ne avesse uno solo? Questo argomento musicale sar certo accettato da pochi perch, in effetti, non un argomento, ma al massimo una sorta di richiamo dellattenzione nella direzione in cui sarebbe opportuno rivolgere la ricerca. Contro lidea, anchessa piuttosto dubbia sotto il profilo musicale che il musicista si 33

limitasse a ripetere nota per nota il canto del cantante, credo che si possa far valere proprio un passo di Platone in rapporto al modo di accompagnare il canto con la lira che, letto malamente, sembra confermare la tesi monofonica: essendo unosservazione di carattere generale essa vale per la lira come per laulos. Come abbiamo osservato pocanzi, mostrando ci che non si dovrebbe fare, Platone mostra soprattutto ci che veniva fatto. Egli ammonisce infatti a ...usare i suoni della lira in vista della purezza delle sue note, facendo in modo che i suoni dello strumento siano allunisono con quelli della voce: suonare in modo diverso dalla voce, far variazioni sulla lira, quando le corde danno suoni diversi da quelli voluti dal poeta che ha composto il canto, comporre la sinfonia e lantifonia accostando suoni frequenti e suoni rari, rapidi e lenti, acuti e gravi, e similmente adattare ai suoni della lira ogni sorta di variazioni di ritmo: linsegnamento di tutto questo non bisogna impartire ai fanciulli... (Leggi 7, 812 - 1971, p. 247). Vi in questo passo anche una difficolt che riguarda le parole sinfonia e antifonia che riguardano da vicino questa nostra discussione. Con sinfonia naturalmente si intendono suoni concordanti - dunque consonanze. Con antifonia nei Problemi pseudo-aristotelici si intende in tutta chiarezza il canto in ottava. Cos alla voce Antiphonia, il dizionario Grove scrive: Nella teoria greca e bizantina, lottava (o doppia ottava) e il cantare in ottave. Ma vi anche un altro senso 34

musicale del termine, pi tardo, in cui ci si richiama ad un contrasto, in particolare nella musica corale. Grove, sotto Antiphony: Termine musicale in cui un insieme diviso in due gruppi distinti, usati in opposizione, spesso spaziale, ed usando contrasti di volumi, altezze, timbri, ecc. Quasi sicuramente in Platone il senso quello antico ed egli vuol dire che non bisogna andare oltre la sinfonia e lantifonia - il cantare o il suonare in ottava - evitando accostamenti di altri suoni, quindi introducendo una variet sia negli sviluppi melodici che negli accompagnamenti ritmici come si era invece soliti fare. Tenendo conto di queste considerazioni, mi sembra eccessiva la prudenza con la quale Mathiesen tratta largomento. Egli scrive che laulos veniva normalmente suonato in coppia e che poco chiaro se le canne suonassero allunisono o in qualche altro modo. Poich le mani degli auleti delle rappresentazioni vasarie sembrano avere la stessa posizione e dunque chiudere gli stessi fori di qui seguirebbe la ragionevole assunzione che le due canne suonassero allunisono; o al massimo per consonanze di ottava o di quinta. Fatta questa premessa egli ammette tuttavia che gli auleti potrebbero aver sviluppato la pratica di suonare nota contro nota oppure di suonare linee separate - una canna facendo da bordone e attribuendo allaltra un ruolo pi attivo(1999, p. 218). Ammissione realmente troppo debole! Lidea della monofonicit della musica greca continua in realt ad essere ribadita spesso in modo molto netto ed esclusivo. 35

Ad esempio, secondo Landels (1999, p. 41) non vi possono essere dubbi che le due canne dellaulos suonassero allunisono, e questo in conformit allidea generale secondo cui non vi alcuna prova (evidence) di polifonia (in un senso qualsiasi del termine) nella musica greca (p. 45). Asuo avviso il passo precedentemente citato di Platone mostra al massimo che lo strumentista si concedeva qualche ornamentazione. Inoltre, poich alcune rappresentazioni propongono disposizioni non eguali delle mani cosicch risulterebbe da esse piuttosto chiaro che vengono eseguite due parti, Landels ritiene di poter affermare che esse non sono altro che rozzi tentativi da parte del pittore di mettere la figure in prospettiva. Dove c evidence semplicemente la si toglie.

Trovo comunque interessante il tentativo di Landels di rispondere alla domanda che noi ci siamo posti fin dallinizio: se gli auloi sono due, perch mai suonarli allunisono? Questa la sua risposta: La ragione che due strumenti a fiato insieme producono un qualit sonora totalmente differente. Le due note sono molto vicine, ma non hanno esattamente la stessa altezza, e questo produce un battimento o un effetto di tremolo; un suono simile realizzato dal registro vox humana dellorgano moderno, che ha due canne metalliche per ciascuna nota, una di intonazione leggermente diversa rispetto laltra. Il grado della differenza di altezza, e di conseguenza la velocit e lintensit dei battimenti potrebbero essere controllati da un abile esecutore, contribuendo indubbiamente al carattere o allethos della musica(p. 43) Non possiamo dunque farcene proprio nulla della chiarissima dichiarazione dello PseudoPlutarco a proposito delle innovazioni musicali di Laso di Ermione? Egli dice testualmente: Fu Laso di Ermione che trasferendo i ritmi alla sfera del ditirambo, e adattando ad esso, imitando la polifonia degli auloi ( ), una scala pi estesa e nello stesso tempo una scala pi finemente suddivisa, produsse un cambiamento nel sistema esistente della musica (Plutarco, De musica, 29 - Edmonds, 1924, p. 225 ) . Lespressione polifonia degli auloi una traduzione a calco e credo che la possibile supposizione che essa debba essere intesa come se si alludesse ad una molteplicit di auloi in azione sia solo la conseguenza di un partito preso sulla pretesa monofonicit della musica greca.Naturalmente come esistevano diversi tipi di auloi, cos potevano esservi diversissimi modi di suonarlo, dipendenti, tra laltro dalle abilit dello strumentista oltre che dalle sue decisioni. Ora poteva suonare allunisono, ora impiegare una canna come bordone, ora realizzare un vero e proprio controcanto, ora limitarsi a semplici varianti ornamentali, e persino ottenere varianti timbriche secondo lipotesi di Landels. A parte ogni prova, cos ragiona chi ragiona musicalmente: la ragione musicale pu forse servire, in assenza di documentazioni impossibili, da un lato a stabilire un punto di vista dal quale gli indizi possono ricevere interpretazioni molto diverse, dallaltro ad evitare false generalizzazioni, come raccomanda molto giustamente Curt Sachs: In una ra di quasi duemila anni e allinterno 36

di un impero immenso mutarono probabilmente gli stili esecutivi non meno di quelli architettonici e delle arti belle. Il singolo auleta frigio che accompagnava la tragedia greca e che un poeta si era augurato che tacesse a causa della sua loquacit, di certo oscurava lidea melodica con cascate di passi virtuosistici e volatine o roulades alla maniera degli oboisti orientali di oggi. Il suo stile esecutivo potrebbe essere stato molto diverso dallarte di quella fanciulla auleta che di prima mattina con Alcibiade ubriaco and a picchiare e strepitare alla porta per partecipare al simposio platonico con Agatone. Ed entrambi questi stili di esecuzione potrebbe essere stati diversi a loro volta da quello degli auleti in gara ai giochi pitici di Delfo (Sachs, 1980, p. 159). Di analoga opinione West che scrive: Le canne accoppiate sono ancora ampiamente usate nei Balcani e nei paesi islamici dallEgitto fino allEstremo oriente, bench esse sono quasi sempre fissate insieme a tal punto che le dita possono coprire i fori in entrambe le canne in una volta sola, qualcosa che non si mai vista con gli auloi greci. Non di rado una delle due canne ha meno fori che laltra, in modo da provvedere per tutti i generi di accompagnamento dal puro e semplice bordone sino ad ingeniosi contrappunti ritmici e armonici (A. C. Baines in A. Baines (ed.), Musical Instruments Through the Ages, 1961). Anche nellantichit vi poteva essere la variet. Non dovremmo prendere per garantito che una singola forma di relazione tra le canne persistette immutato attraverso i secoli nel corso dei quali laulos stesso conobbe una considerevole evoluzione e suonatori particolarmente abili furono sempre interessati ad impressionare il pubblico con nuove imprese virtuosistiche (West, 1992, p. 103). 37

4 La polemica antipolifonica rinascimentale e la teoria della monofonicit della musica greca


C tuttavia un altro problema a mio avviso di particolare importanza sul quale mi sembra che gli studiosi abbiano attirato poco o nulla lattenzione. Se ci si chiede quando ed a chi potuto venire in mente di parlare della musica greca come unarte esclusivamente monofonica, la risposta non pu essere dubbia: ci accade nel pieno della polemica anti-polifonica in et rinascimentale, quando le istanze delle idee nuove pretendevano di trovare importante sostegno nella grecit. La musica nuova doveva trovare giustificazione nellantica, e la musica nuova andava appunto predicando la superiorit della semplicit della monodia rispetto alla complessit della polifonia. E dunque non fu certamente la musica greca - ancora meno conosciuta di quanto lo sia oggi - ad influenzare i nuovi sviluppi musicali, ma furono questi sviluppi a influenzare la concezione della musica greca. Tutta la teoria dei moderni sostenitori dellunisono si trova formulata con estrema chiarezza gi in Zarlino: Zarlino parte da un confronto tra la semplicit e povert dei mezzi della musica antica e la ricchezza armonica e contrappuntistica di quella moderna citando un passo dei Florida di Apuleio per dimostrare che il pi antico tipo di aulos non aveva neppure i fori alla simiglianza di una tromba. 38

Bench aulos e cetra fossero in seguito perfezionati e arricchiti, gli antichi non ebbero polifonia n vocale n strumentale: Al suono di un solo istrumento... il Musico semplicemente accompagnava la sua voce (Franchi, 1988, p. 37). S. Franchi rammenta il lavoro di Girolamo Mei che studi a fondo tutto quanto era noto allepoca della musica greca e le cui conclusioni furono decisive per la nascita della moderna monodia. Queste conclusioni si possono riassumere in quattro punti: i Greci non ebbero polifonia, ma solo monodia e canti corali allunisono; laccompagnamento strumentale era allunisono con il canto; tragedie e commedie erano interamente cantate; la pratica polifonica moderna, unendo diverse melodie, registri, figure ritmiche e mal connettendo testo e musica, stravolge ogni possibile effetto picologico (p. 38). Mei era in rapporto con Giovanni Bardi e dunque con la Camerata Fiorentina; Vincenzo Galilei se ne fece portavoce nel Dialogo della musica antica e moderna (1581), che ebbe una grande diffusione in particolare per le posizioni estreme di critica del contrappunto e per i toni entusiastici sulle qualit della musica greca (p. 38).

Infine Francesco Patrizi, filosofo in contatto con Giovanni Bardi, scrisse un trattato che rappresenta la prima completa trattazione della pratica musicale dellantichit. Riferirsi a queste posizioni sulla musica antica, date ormai per certe, divenne una sorta di sigillo nelle prefazioni dei primi melodrammi, presentati volutamente come la ripresa della prassi greca (p. 39). Stranamente questimmagine della musica greca, chiaramente orientata da un dibattitto connesso a motivi musicali che non appartengono ad essa, ha fortemente determinato anche il punto di vista della filologia e musicologia che la ha spesso ribadita perdendo la memoria della sua origine storica.

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1.1.2 La siringa o flauto di Pan

Abbiamo gi notato che non mancava nellantica Grecia il flauto diritto - strumento molto semplice presente in ogni cultura (fig. 1) . Inoltre era presente la siringa o il flauto di Pan, strumento che ha tuttoggi una parte significativa nella musica popolare in Europa, in America Latina e in Africa. Nelle fig. 2 e 3 rappresentata la siringa o flauto di Pan in una versione popolare andina.

fig. 1 fig.2 fig.3

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In realt flauto diritto e flauto di Pan si trovano presenti anche nella antica cultura Inca con il nome rispettivamente di Kena e Antara ed essi accompagnano tuttora i canti allunisono o allottava in Per (Sas, 1934, p. 1) . Notevole anche limpiego polifonico del flauto di Pan nelle isole Solomon documentato da Zemp (1982). La fotografia tratta da questo saggio.

Siku boliviano

Foresta amazzonica 41

La rappresentazione della siringa si ritrova lungo tutta la tradizione europea. Ed entrata nelliconografia pittorica fino a tempi recenti. P. Picasso, Il flauto di Pan (1923) 42

La siringa greca non presentava differenze di lunghezza nelle canne, ma queste venivano otturate allinterno per variare lintonazione (Landels, 1999, p. 70)

La siringa era considerata in Grecia uno strumento povero, tipico dei pastori. Laulos invece apparteneva alla musica colta, praticata da professionisti ed esercitata nelle situazioni rituali, nelle feste, nei conviti, nella danza e naturalmente nella tragedia e nella commedia.

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In realt la siringa viene raramente rappresentata nella vasaria greca. Qui abbiamo un magnifico esempio di arte greco-apula tratto da un vaso conservato al Museo Archeologico di Taranto.

Nella parte inferiore vengono rappresentati Zeus, a destra, con lo scettro nella mano sinistra ed una corona di allora sulla testa; e Dioniso bambino che tende le braccia ad una figura femminile (i nomi delle due divinit sono scritte al di sopra di esse). Alla scena assiste, da un rialzo collinare in cima al quale stato disegnato un alberello, un giovane in figura di satiro che reca appeso ad un bastone la tipica siringa greca di forma rettangolare. 44

1.1.3 La tromba (salpinx)

La salpinx veniva suonato con una maschera del tipo della forbeia per laulos. Il suonatore nellimmagine a sinistra evidentemente un soldato. In effetti Aristotele in De audibilis spiega che questo strumento non ha carattere musicale ma un impiego soprattutto in battaglia. Tuttavia vi chi sostiene che non sia del tutto da escludere la sua presenza durante le feste.

Nel Museum of Fine Arts di Boston si trova un esemplare di Salpinx, la tromba greca poi diffusa anche a Roma. Si tratta di uno strumento lungo pi di un metro e mezzo.

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In questa immagine di arte apula la salpinx viene raffigurata in una effettiva situazione bellicosa. La forma dello strumento appare un po diversa dagli esempi precedenti.

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4.Il corno (keras)

Fra gli strumenti a fiato troviamo anche il corno fatto con corna di animali. Di esso si ha documentazione letteraria. Mathiesen osserva che nel caso del corno, dopo aver affermato che i corni morbidi producono il suono migliore, laristotelico De Audibilibus (802a18-802b18) aggiunge che cuocendoli viene rafforzato il loro suono perch la cottura li rende pi secchi e duri (1999, p. 233).

Forse la documentazione letteraria risulta pi persuasiva della documentazione grafica vasaria.In essa infatti il corno cavo si presenta di norma in mano ai satiri o a Dioniso come corno potorio, cio con la palese funzione di un boccale per bere vino. Anche Mathiesen fa notare che vi un certo spazio al problema se il corno sia suonato o usato per bere (1990, p. 234, n. 169), ritenendo comunque ragionevole che lo si debba considerare uno strumento quando associato ad altri strumenti.Cos egli cita la raffigurazione di un giovane che imbocca il corno dalla parte pi stretta e sembra dunque suonarlo. Ed a conferma fa notare che sul versante opposto della coppa viene rappresentato un suonatore di salpinx.

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Tuttavia, ad osservare bene la figura proposta, c un dettaglio che ci rende un poco perplessi. Il giovane con il corno cavalca... degli otri che normalmente, nelle rappresentazioni satiresche, sono da intendere come pieni di vino. Naturalmente si potrebbe pensare ad una raffigurazione ironica in cui un giovane con un boccale di corno imiti il corno musicale. Il commento dellimmagine parla di trompette per entrambe le figure, cosa certamente impropria, ma rileva nel secondo caso che lefebo cavalca un otre (A. Merlin, CVA, France, vol.17).

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Daltra parte la presenza sulla scena di altri strumenti musicali non pu essere troppo probante. Ad esempio lauleta della figura non sembra aver nulla a che fare con il satiro che regge con la mano destra un corno cavo. E nella figura sottostante lauleta festeggia Dioniso che si appresta ad una libagione.

Boccale a forma di corno in terracotta

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1.2 Gli strumenti a corda


1.2.1 La lira 1.2.2 Il barbitos 1.2.3 La cetra 1.2.4 Varianti della cetra 1.2.5 Limpiego del plettro 1.2.6 Larpa

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1.2.1 La lira

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Vi una notevole variet di strumenti a corda nella Grecia antica, che hanno caratteristiche differenti sebbene suonati con tecniche simili. Purtroppo in alcuni manuali, ma anche nelle scritte descrittive relative soprattutto alla pittura vasaria nei musei, il nome degli strumenti viene dato un po a caso, prevalendo la dizione lira e cetra, peraltro a loro volta non ben distinte tra loro. Della lira si ha in genere unimmagine stilizzata e idealizzata - quella che talvolta si vede disegnata sui teatri dopera e nelle sale da concerto di vecchio stile: uno strumento dalla forma arcuata ed elegante che si pu immaginare venga suonato delicatamente con una mano che pizzica le corde tese. La lira conservata al British Museum ci mostra subito che le cose stanno ben diversamente. Anzitutto la cassa armonica della lira formata dal guscio di una testuggine e di qui deriva anche il nome di chelys, tartaruga in greco. La presenza di una simile cassa armonica permette di differenziare questo strumento da altri analoghi e di documentarne lesistenza in Grecia almeno a partire dal VII sec. a.C. (Dumoulin, 1992, p. 98). Nel guscio della tartaruga venivano inserite due corna di animale piuttosto robuste. In effettimolto spesso gli scrittori antichi, e gi dal V sec. a. C. fino al I sec. d. C. indicavano le braccia anche come fatte di corna. Le corna di animali erano del resto particolarmente adatte come materiale per le braccia e vennero sicuramente anche utilizzate. 54

sicuro tuttavia che per la costruzione di questa parte dello strumento venne pi spesso utilizzato il legno che peraltro pu essere facilmente piegato nel modo giusto per assomigliare nella forma a corna di animali (Dumoulin, 1992, II, p. 231). Questo appunto il caso dellesemplare conservato al British Museum. Tra le corna veniva posto un ponte di legno su cui venivano infisse le corde collegate nella parte piatta della testuggine e tenute sollevate da un ponticello. Linterno della testuggine stato ricostruito cos:

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Il gruppo Lyraulos diretto da Panayiotis Stefos ha realizzato questa ricostruzione moderna della lira, certamente ispirandosi al modello del British Museum.

www.lyravlos.gr/en.asp 56

La forma della lira venne sempre pi ingentilendosi, come mostra questa bella immagine vascolare del V sec. a. C. Secondo alcuni essa rappresenterebbe Apollo che raccoglie dal corvo informazioni sulle infedelt di Coronis. Altri identificano nelluccello un piccione, oppure una gracchia o una cornacchia. Di fronte a questa variet di interpretazioni mi permetto di azzardare una mia personale ipotesi. La figura rappresentata non sarebbe quella di Apollo - intanto per il fatto che Apollo musico viene per lo pi raffigurato, quando si vuol dare enfasi, con la cetra piuttosto che con la lira - bench certo siano numerose anche le rappresentazioni con la lira. Il suo capo, a quanto sembra, cinto da una corona di mirto. Taluni dicono che si tratti di alloro, delle cui foglie Apollo si cingeva il capo in ricordo della ninfa Dafne. Inoltre Apollo sembra dialogare serenamente con luccello, e non esplodere in unira funesta. Apollo diede infatti ad Artemide lordine di uccidere Coronis, cosa che Artemide puntualmente fece. Il gesto del versare lacqua a terra mi sembra difficile da spiegare. Va poi notato che sia il mirto che lalloro sono segni caratteristici del poeta cantore. Sarei cos indotto a pensare che lidentificazione del suonatore con Apollo potrebbe essere dubbia e che luccello, piuttosto che un merlo, sia una pernice. Il realismo del colore non particolarmente importante in questo genere di rappresentazioni. Alla pernice il colore nero non si addice, ma non si addicono del resto alla pittura vasaria le fini sfumature cromatiche delle sue penne. La mia azzardata ipotesi dunque che siamo in presenza di unimmagine del poeta Alcmane che dialoga con la pernice da essa apprendendo come si diventa poeti. Se cos fosse tutta la raffigurazione diventerebbe pi coerente e ci porterebbe alla musica e ai rapporti tra poesia, musica e canto degli uccelli come li si trova illustrati nel bel saggio di Emanuele Fadda, 2009. 57

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Nata come strumento povero, la lira, come la cetra, va annoverata tra gli strumenti colti come dimostra il fatto che era oggetto di insegnamento

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Nella rappresentazione a sinistra il maestro suona la lira e lallievo batte il tempo (V sec. a.C.).

La lira veniva suonata con entrambe le mani - ed era tenuta presso il corpo da una cinghia. Analogamente, come vedremo, nel caso dei cordofoni in genere, limpiego della mano destra e sinistra differente. La mano destra stringe qualcosa che ci fa pensare ad una sorta di plettro ed operava sulle corde dal lato anteriore. 60

Anche nella fig. 1 si mostra una lezione di insegnamento della lira. Il suo interesse sta soprattutto nel fatto che allallieva viene presentato e svolto un rotolo che ha sicuramente il senso di una partitura scritta. Ci mostra quanto fosse evoluto linsegnamento della lira: in particolare la presenza dello spartito implica linsegnamento di elementi di teoria. E naturalmente una pratica compositiva evoluta. Il frammento in fig. 2 ancora pi esplicito e mostra come la lettura dello spartito riguardo anche uno strumento come laulos.

fig. 1

fig. 2

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La lira rimasta in forme assai simili alla lira greca anche nella musica popolare. In questa pagina vi sono tre esempi di lire africane. Sudan (sec. XIX) 62

1.2.2 Il barbitos
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Assai simile alla lira, con la quale talora viene confuso, il barbitos o barbiton caratterizzato dalle pi ampie braccia e quindi da corde molto pi lunghe. Ci significa che rispetto alla lira, era in grado di emettere suoni molto pi gravi. Inoltre le corde sono legate leggermente pi in alto delle braccia, a differenza della lira. La sua forma in ogni caso nettamente riconoscibile nella pittura vasaria. In essa il barbitos, insieme allaulos, lo si ritrova in mano ai satiri, ed spesso associato a situazioni di danza e ad atmosfere erotiche. possibile che proprio per queste sue sonorit gravi esso avesse la funzione di fornire un ritmo agli auloi, insieme agli strumenti percussivi. Perci lo troviamo spesso fra le mani dei satiri, insieme allaulos. 64

Barbitos nella ricostruzione di H. Roberts (Dumoulin, 1992, p. 235)

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La posizione consueta dello strumento a met del busto con le braccia e le corde disposte quasi orizzontalmente.

Eros che suona il barbitos. (Louvre) Nella mano destra regge il plettro. 66

Il nome barbitos fu quasi certamente una parola straniera e gli antichi tentativi di dare ad esso unetimologia greca dovrebbero essere ignorati. Secondo la tradizione esso fu inventato da Terpandro, che visse a Lesbo nella met del VII sec. a. C. , ma ci pu significare che esso fu importato da una cultura musicale in Asia Minore allincirca in quellepoca (Landels, 1999, p. 66).

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Il barbitos si associa spesso nella grafica vasaria al mondo di Dioniso ed a quello di Ermes. Eschilo in una delle sue tragedie perdute attribuisce il barbitos a Dioniso (Edonoi) (West, 1992, p. 58). Nella figura a sinistra sopra un satiro consegna lo strumento a Dioniso. Sotto: aulos e barbitos sono suonati da satiri. Nel mezzo, Ermes.

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Alceo e Saffo 69

Il suono del barbitos, oltre che ben associarsi agli auloi, alle nacchere, e dunque alle feste danzanti non di rado a sfondo erotico, piaceva anche ai poeti. Il barbitos menzionato da Anacreonte, bench Saffo e Alceo facevano riferimento ad uno strumento chiamato barmos che per alcuni antichi scrittori rappresenta lo stesso strumento. Esso appare nellarte attica ad un tratto nellultimo quarto del sesto secolo, e la sua presenza si indebol nella seconda met del quinto. stata fatta lattraente ipotesi che esso fosse portato ad Atene da Anacreonte quando venne ad Atene da Samo. Certamente gli viene associato dai pittori di vasi e nelle pi tarde allusioni letterarie (West,1992, p. 58) Naturalmente i poeti amavano non solo il barbitos, ma in generale la lira, la cetra, la forminx, larpa... Essi sono musicisti cantori, e quello strumento che sta nelle loro mani nello stesso tempo voce poetica - suono e immagine. Cos Saffo (118) si rivolge alla propria lira (chelys): Ors, lira divina, parla tu, sii tu la mia voce E Anacreonte (19.1) accompagna con i suoni dellarpa (magadys) la fiorente giovinezza di Leucaspi: Scorre la mia mano su le venti corde dellarpa; e tu fiorisci, o Leucaspi, di giovinezza

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1.2.3 La cetra

Linconfondibile differenza della cetra (kithara) rispetto alla lira ed al barbitos balzano subito agli occhi dallo schema costruttivo caratteristico - certamente strutturalmente del tutto simile per quanto riguarda la disposizione delle corde ed il modo di emissione del suono, e dunque anche per quanto riguarda le pratiche esecutive. La diversit sta nellimponenza dello strumento e nelleleganza della sua fattura. A loro volta le rappresentazioni gli conferiscono una nobilt ed una dignit che supera, da questo punto di vista, ogni altro strumento greco.

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Nella figura precedente, Nike, lalata figlia di Zeus annunciatrice di vittorie, regge una grande cetra a cui appeso, forse a titolo di ornamento, un fascia di tessuto ricamato. Il plettro agganciato ad una corda e sembra dunque avere forma di gancio, mentre unaltra striscia di stoffa o una fascia di cordini appesa allanello a cui e assicurato il plettro. Le dita della mano sinistra pizzicano con evidenza le corde.

La cassa armonica cos come le braccia sono di legno, spesso finemente decorato da intarsi, e le sue dimensioni fanno pensare ad un suono particolarmente robusto. Per questa sua fattura e per le sue dimensioni, lo strumento tipico di Apollo non tanto la lira, quanto la cetra. vero tuttavia che mentre nei vasi a figure nere egli viene rappresentato con la cetra, la rappresentazione di Apollo con la lira finir con il prevalere (Dumoulin. 1992, p. 248) (anche se mi sembra che vi sia una certa tendenza ad invertire il problema ed a vedere Apollo in qualunque giovanetto che suoni la lira ed una musa, se si tratta di una fanciulla). 73

La suonatrice sta accompagnando con la cetra il proprio canto. La mano destra regge il plettro che non attivo come se avesse appena abbandonato le corde. Anche in questo caso la cetra ha come ornamento una fascia di tessuto ricamato, alla base dello strumento ed unaltra di cordini alla sua destra. 74

1.2.4 La forminx

La forma pi antica della cetra che ha una sua fisionomia ben distinta e distinguibile nella grafica vasaria assai pi semplice e arrotondata alla base. Si tende a considerarla come lo strumento con cui si accompagnavano i cantori dei poemi omerici. Landels osserva che essa veniva chiamata kitharis o forminx (1999, p. 48). .

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Anche Mathiesen per illustrare la forminx fa riferimento nelle immagini a questa forma bench noti che il termine ha un impiego molto generale per indicare gli strumenti che appartengono alla classe della lira (1999, p. 253); ed a sua volta la Bundrick pur attribuendo il nome di Forminx a questa variante della cetra, nota che la terminologia greca per questi strumenti piuttosto fluida, cosicch i termini di lyra, kitharis, phorminx, chelys, kithara spesso si sovrappongono (2005, p. 14). Ci certamente in parte vero - almeno per i due termini lyra e chelys, che indicano indubbiamente lo stesso strumento - mentre genera perplessit lidea che i greci stessi non stabilissero nomi diversi per strumenti cos tipicamente differenti. Credo invece che un po di confusione sia stata introdotta da un certo disinteresse per le tipologie degli strumenti musicali da parte di filologi e archeologi. In ogni caso forse non sbagliato convenire di chiamare questo strumento con il nome di forminx in modo da portare ordine, sia pure un po convenzionalmente, alla terminologia. Del resto si pu comprendere che, come per tutti gli strumenti, vi fossero varianti significative, nelle varie fase di sviluppo della musica greca. Cos una variante della cetra pu essere considerato anche uno strumento in parte simile al precedente, per quanto riguarda la cassa armonica, ma anche al barbitos, bench con le corde pi corde e le braccia molto pi ricurve.

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1.2.5 Limpiego del plettro


In che modo venisse usato il plettro (plectron) non un dettaglio di secondaria importanza che risponde solo ad una curiosit di pura tecnica strumentale. Vi sono spiegazioni che non mi convincono pienamente. Ad esempio, Mathiesen (1999, p. 247, sgg.) d senzaltro per ovvio che il plettro sia un vero plettro, come in uso in numerosi strumenti a corda sia europei che extra-europei: dunque un pennino flessibile che ha il compito principale di pizzicare le corde. Pi precisamente egli osserva che una parte del plettro sembra avere un corpo in qualche modo flessibile, e naturalmente questa sarebbe destinata al pizzicare le corde, mentre la parte che propriamente stretta nella mano del suonatore poteva essere fatta di materiale rigido e duro, come osso, avorio, corno, metallo. In conseguenza di questa interpretazione diventa realmente problematico interpretare che cosa facesse la mano sinistra. Secondo Mathiesen, essa non avrebbe la funzione di pizzicare la corda ma piuttosto quella di impedirne le vibrazioni al momento opportuno oppure - con un tocco leggero - di far risuonare dopo il pizzico realizzato attraverso il plettro gli armonici del suono da esso prodotto. Ma si tratta di pure ipotesi, e Mathiesen ammette senzaltro che non vi sono prove per determinare con precisione che cosa facesse la mano sinistra (p. 248). Secondo Chailley, le corde potevano essere sia pizzicate (psallein) dalla mano sinistra sia colpita (kruein) con la mano destra - e in questultimo caso bisogna includere lipotesi che il plettro passasse sopra tutte le corde in una volta sola con un movimento violento, mentre la mano sinistra avrebbe avuto il compito di bloccare le corde che non avrebbero dovuto vibrare (1979, p. 60). 78

Interessato a questo problema fu il musicista Camille Saint-Sans che fu forse il primo a formulare questa ipotesi con molta chiarezza. Egli si chiede: essendo lo strumento fissato al corpo del musicista mediante una fascia, la mano destra provvista di un plettro, e la sinistra che traspare dietro le corde mostra molto spesso delle dita allungate, cosa che si attribuisce alla ingenuit del designatore. La mano sinistra, si dice, aziona le corde. Ma allora a che cosa serve il plettro, che spesso di dimensioni piuttosto importanti?. Saint-Sans sostiene di aver trovato una possibile risposta osservando dei suonatori di strumenti simili alla lira a Ismailia ed al Cairo: Ecco ci che ho osservato con mia grande sorpresa in entrambi i casi. Mentre il musicista teneva la sua mano sinistra distesa dietro le corde, con le dita allargate, la mano destra, con laiuto del plettro, attaccava vigorosamente, con un movimento vivo tutte le corde nello stesso tempo; e risuonavo soltanto quelle non toccate le dita della mano sinistra (1919, p. 545). Peraltro in un testo precedente sullo stesso argomento egli aveva aggiunto una forte limitazione: Questo modo di procedere sembra assai scomodo a prima vista; tuttavia i musicisti egiziani sembravano esercitarlo con facilit. Bench sia vero che essi eseguivano poche note,sempre le stesse e ripetute indefinitamente (1912, p. 338). Saint-Sans accenna anche alla possibilit aggiuntiva che la mano sinistra sfiorasse la corda, percossa con il plettro, per ottenere il suono armonico corrispondente. A questo proposito egli fa riferimento a strumenti di grandi dimensioni, come la lira rappresentata sulla pittura conosciuta sotto il nome di LEducazione di Achille le cui corde sembrerebbero avere un metro di lunghezza, fornendo perci suoni gravi. Sul dipinto in questione, il Centauro, con la mano sinistra, sfiora una corda alla met della sua lunghezza mentre la mano destra fa risuonare la stessa corda con laiuto di un plettro (1919, p. 173). 79

Laffresco a cui fa riferimento Saint-Sans rappresenta Achille istruito dal centauro Chirone si trova ora al Museo Archeologico nazionale di Napoli. Si tratta peraltro di un dipinto tardo di et romana con un tipo di lira che difficile da esemplificare sulla vasaria greca.

Anche Sachs nel sostenere una tesi analoga fa riferimento ad una tecnica riscontrata nella Nubia: la mano destra passa sulle corde con un colpo deciso. e le dita della sinistra stanno distese presso alle corde per impedire i suoni non voluti (Sachs, 1980, p. 148), ammettendo purtuttavia che su alcuni vasi che portano dipinte scene dove appaiono sonatori di cetra o lira si vedono le dita della mano sinistra pizzicare e non smorzare le corde (ivi). 80

Che la funzione essenziale della mano sinistra sia quella di pizzicare le corde ammesso senzaltro da Landels (1999, pp. 55-56), ma pi incerta sembra in questo autore la decisione intorno a che cosa faccia questo strano plettro che avrebbe il compito di percuotere la corda pi che di pizzicarla. In effetti tutto il problema sta qui. Se osserviamo le immagini della lira che abbiamo proposto e quelle successive della cetra e degli altri strumenti affini, a noi sembra di dover mettere in rilievo due circostanze notevoli: il plettro , rispetto allesigenza del pizzico, di proporzioni molto grandi, in alcuni casi addirittura enorme; e pi che un pennino sembra una vera e propria paletta che possiamo anche immaginare - date le dimensioni piuttosto rigida. Non si vede come si possa motivare la presenza, in questo oggetto, tenuto saldamente nelle mani del suonatore, di una parte flessibile. Nella documentazione on line del Museo Archeologico di Taranto si osserva in rapporto al plettro che i materiali utilizzati erano di diverso tipo, come il legno, losso, lavorio, il metallo e persino, in un caso, una pietra preziosa come lo smeraldo, cos come assai varia era la forma delloggetto stesso, a bastoncello, a linguetta, a petalo. In ogni caso, comunque, esso terminava con un uncino, che talvolta assumeva la forma di una T o di una freccia, e che serviva a percuotere le corde dello strumento da suonare, al quale il plettro era in genere unito mediante una cordicella.
Accordatura di una lira

Nulla dunque di lontanamente simile ai plettri che conosciamo. Soprattutto sorprendono non solo i materiali ma anche le forme. Pur non potendo essere generalizzata, noi stessi abbiamo potuto vedere in una raffigurazione un plettro che poteva essere agganciato ad una corda. Di queste forme 81

che non impediscono certo di pizzicare le corde, ma che certo non sono primariamente adatte a questa funzione, occorre rendere ragione. Laltro dettaglio che, a mio avviso, potrebbe essere significativo e che nelle spiegazioni citate non viene preso in considerazione che il plettro sembra quasi sempre lavorare presso il ponticello dello strumento o addirittura al di l di esso. Inoltre di rado esso viene mostrato direttamente in azione. Naturalmente anche una paletta priva di flessibilit pu fare risuonare una corda o una serie di corde in successione. Ma le osservazioni precedenti ci fanno pensare che questa non fosse la sua funzione principale. Se si trattasse di una vera e propria palettina rigida, fatta di un materiale in ogni caso duro, e tanto pi con una forma finale a T o anche tondeggiante come un cucchiaio o come un uncino, essa sarebbe particolarmente adatta a premere su una corda, in prossimit del punto del ponticello, piuttosto che pizzicarla. Una simile pressione avrebbe come conseguenza quella di alterarne provvisoriamente lintonazione. Infatti si opererebbe un accorciamento della parte vibrante corda, con conseguente innalzamento dellaltezza. La pressione potrebbe essere esercitata in vari punti della corda in modo da rendere possibili differenze significative di altezza. Va da s che lemissione sonora non sarebbe dovuta al plettro ma al pizzico della mano sinistra. Inoltre chiaro che se si pizzica la corda con la mano sinistra e nello stesso tempo si fa scivolare per un breve tratto il plettro sulla corda nelluna o nellaltra direzione si ottengono dei suoni glissati - anche se non vi dubbio che il modo principale di impiegare i cordofoni in Grecia era la produzione di note nettamente definite - o meglio questa era la vocazione che ad essi attribuivano i teorici. Occorre perci, a mio avviso, attribuire alla mano sinistra il compito essenziale di pizzicare le corde e di realizzare movimenti melodici; mentre questa paletta - a differenza dei nostri plettri - non avrebbe tanto la funzione di mettere in vibrazione le corde, ma di realizzare variazioni nellaccordatura di base dello strumento con effetti espressivi conseguenti sulle strutture melodiche realizzate nel gioco delle dita della mano sinistra; senza escludere natural82

mente altri possibili impieghi come quello della produzione di arpeggiati su tutte le corde della lira, alcune delle quali eventualmente smorzate con la mano sinistra. Tutto il problema risulta fin dallinizio mal impostato anzitutto per la soverchia importanza data alla posizione standard della mano sinistra come mano con le dita distese, ed in secondo luogo per lidea che la funzione delluna o dellaltra mano debba essere necessariamente una sola. Come si comprende, non si tratta di una questione tecnica indifferente ma di cercare di rendersi conto dei tipi di sonorit che il musicista greco riusciva a trarre dai propri cordofoni e del tipo di musica che egli poteva riuscire a realizzare. Uno degli aspetti che talvolta sono apparsi misteriosi il fatto che la mano sinistra pi spesso in azione rispetto alla mano destra con il plettro. Stessa impressione deriva anche dalle opere pittoriche. Mentre la sinistra quasi sempre tocca le corde, il plettro sembra in attivit piuttosto raramente. In particolare anche quando si canta accompagnandosi con lo strumento il plettro sembra sempre essere tenuto a distanza dalle corde mentre la mano sinistra le pizzica (Dumoulin, 1992, p. 245). In effetti si tratta di una stranezza che non pu certo essere spiegata dallassunzione che il plettro abbia appena toccata la corda e si sia poi sollevato da essa. Questo problema verrebbe meno nellinterpretazione proposta dal momento che in base ad esso il pletro interverrebbe solo in particolari circostanze. Ma lipotesi della pressione e di conseguenza 83

Raffigurazione di un barbiton in cui risulta evidente lazione di pizzico della mano sinistra.

limpiego del plettro in funzione della produzione di alterazioni della massima importanza per comprendere una circostanza che sempre sembrata piuttosto difficile da capire. Se ci si limita ad unazione di pizzico sulle corde, fatta con le dita o con un plettro, si avrebbe a disposizione un numero limitatissimo di note, pari al numero delle corde. Una nota, una corda. In particolare non sarebbe possibile produrre alterazioni rispetto allaccordatura di base. Per questa ragione ci si talvolta meravigliati del basso numero di corde delle lire come delle cetre. Le corde erano normalmente sette o otto ma potevano essere anche solo quattro. In effetti solo nei periodi pi tardi vi sono testimonianze di lire e cetre con un numero di corde superiore a otto. La difficolt consisteva allora nel comprendere come si potesse arrivare a suonare su strumenti simili musiche di una certa complessit. Analogamente, come vedremo in seguito, ci si potrebbe chiedere come, sulla base di unaccordatura fissa, possa essere ottenuta quella mobilit delle note che tipico del sistema dei generi. Il plettro rigido usato nel modo che abbiamo illustrato ci sembra una buona risposta. Queste mie osservazioni hanno in realt un supporto bibliografico di particolare importanza tanto da chiedersi perch esso sia stato tenuto in cos poco conto. In effetti Dieter Metzler, in un breve quanto elegante saggio intitolato Ein Griechisches Plektron identifica in un reperto conservato nel magazzino del Badisches Landesmuseum a Karlsruhe, confuso con altri oggetti votivi provenienti da un tempio in Arcadia, proprio un bellissimo plettro bronzeo della lunghezza di ben 13,7 cm.Il plettro termina con una forma relativamente appuntita, che potrebbe far pensare ad un coltello, ma questa ipotesi esclusa sia dalla forma stessa, che dallornamentazione presente su un solo lato del plettro, quello normalmente rivolto allascoltatore, e dallanello sopra lornamento che serviva certamente a collegare con una cordicella il plettro allo strumento. La parte arrotondata sullaltro estremo aveva la funzione di stabilire una solida presa della mano. Naturalmente, nonostante la variet di forme che i plettri potevano avere, lautore cita a conferma sia rappresentazioni nella vasaria, sia plettri fatti di altri materiali come avorio o ossa segnalando in ogni caso che questo lunico plettro bronzeo a lui noto. Ma per quanto riguarda il problema per noi pi importante egli scrive: In analogia alluso moderno si inclini a assumere che - come nel caso del banjo o della chitarra - il plettro venga utilizzato come un mezzo per rafforzare le dita per produrre il suono pizzicando o colpendo le corde, cosicch il plettro toccherebbe 84

la corda in un movimento di andirivieni. Le cose stanno altrimenti nellantichit. Filostrato (III sec. d. C.) dice: la mano destra tiene tese le corde, in quanto il plettro le comprime. Il plettro viene posto tra il ponticello e la chiave delle corde. A ci corrispondono le immagini dei vasi: la sinistra del suonatore viene rappresentata con le diverse dita distribuite sulle corde, come la mano che realizza la melodia, mentre la destra tocca una corda con il plettro presso il ponticello oppure se ne distacca momentaneamente, come se abbandonasse la corda scivolando via da essa (Metzler, 1971, p. 149). Per questa spiegazione Metzler fa riferimento a Gombosi che dedica un intero capitolo del proprio libro (1939) proprio al modo di suonare degli strumenti a corda del tipo della lira e della cetra. In effetti Gombosi esclude le opinioni allora correnti e, come abbiamo visto, tuttora per lo pi confermate, che considerano la mano destra come direttamente produttiva del suono e la mano sinistra con la pura funzione di impedire il risuonare delle note non volute: Non pu essere messo in dubbio il fatto le dita della mano sinistra non si limitavano passivamente ad attutire le corde, ma le pizzicavano attivamente. Anche le testimonianze figurative mostrano molto spesso con chiarezza indiscutibile questo ruolo della mano sinistra; anzi esse mostrano che per pizzicare veniva usato persino il pollice (p. 117). Per Gombosi il plettro ha il compito di alterare lintonazione premendo sulle corde. Largomento che gli sembra decisivo sono quelle immagini che mostrano il plettro tra il ponticello e il punto di aggancio delle corde facendo riferimento ad una pittura vasaria che Gombosi riproduce in disegno nel suo libro traendolo da un vaso conservato a Boston. Effettivamente con il plettro in quella posizione nessuna delle corde dello strumento pu essere fatta risuonare - e quindi resta la fondatissima ipotesi di un utilizzo del tutto diverso del plettro, destinato in particolare ai fini di un aumento della tensione delle corde e quindi della loro intonazione. Io credo che questa proposta interpretativa debba essere considerata definitiva. Si pu solo aggiungere, come abbiamo gi notato, che essa non pu essere considerata esclusiva e che il plettro pu in ogni caso essere usato in vari modi e naturalmente anche al di l del ponticello, come appare del resto in molte rappresentazioni vasarie, in modo da provocare ulteriori effetti di variazione dellintonazione che possono anche implicare variazioni timbriche, o addirittura per realizzare glissati (per quanto potessero essere deplorati dai teorici) sulla stessa corda o arpeggiati implicanti pi corde. E naturalmente non vi sono ragioni per escludere anche limpiego della tecnica degli armonici. 85

1.2.6 Larpa

Larpa strumento antichissimo che si ritrova in moltissime culture. possibile che sia derivato dallarco da caccia a cui vennero aggiunte a poco a poco altre corde. Questo strumento di tradizione popolare africana (Costa dAvorio) che viene chiamato garg ha forma di arco e viene suonato dai cacciatori per propiziare la caccia; il suonatore stringe la corda tra le labbra percuotendola con un bastoncino. Il volume viene modificato alterando la posizione delle labbra e della lingua ed in questo modo il musicista crea armonici differenti per produrre una melodia (Rault, 2000, p. 150).

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Le arpe pi antiche sono prive di colonna che, congiungendo la parte superiore e la parte inferiore ha lo scopo di irrobustire lintera struttura, ed hanno perci una forma molto simile ad un arco. Questa relazione appare chiara in questa arpa egiziana risalente a 1500 anni a.C. (British Museum).

Questa scena di caccia con arpista (miniatura persiana del II sec. d. C.) sembra voler illustrare la relazione formale tra larco da caccia e lo strumento, piuttosto che essere intesa secondo unimprobabile interpretazione realistica.

Il nome moderno di origine medioevale, e deriva da una versione latina di Harff, parola di origine germanica con cui veniva indicata larpa irlandese. In Grecia lo strumento venne probabilmente dalla vicina Asia minore. Esso era caratterizzato da un numero molto elevato di corde (fino a venti) e Sachs rammenta che Platone la condann perch le sue numerose corde e la sua grande estensione facilitavano la modulazione, per la sua instabilit e pure per la sua hedon, ossia per il piacere sensuale che comunicava. Essendo strumento di intimit, incline ad indurre in un oblio sognante, a rapimenti onirici, il suo uso era generalmente limitato alle donne che potevano essere etre, ma anche appartenenti alla normale societ (C. Sachs, 1980, p. 153). 87

Larpa greca si vede qui integrata con la forminx e la lira, in unesecuzione comune a cui si associa il piccolo strumento percussivo che si vede sulla sinistra (V sec. a.C.).

Pektis uno dei vari nomi attribuiti allarpa, che veniva talvolta anche chiamata trigonon (anche trigonos) , psalterion o magadis. Il termine trigonon ovviamente riferito alla forma dello strumento che in alcuni casi nettamente triangolare. Andrew Barker (1988, p. 96) sostiene la tesi che magadis non nome di uno strumento, ma di un modo di suonare in ottava con un altro strumento. In realt Barker ribadisce lidea di una pratica monofonica assolutamente prevalente della musica greca, tesi sulla qualle abbiamo gi manifestato il nostro dissenso e che tra laltro a mio avviso confutata da numerosissime rappresentazioni, come la precedente, in cui gli strumenti suonano insieme - ed io credo che sia semplicemente insensato pensare che gli strumentisti non facessero parti distinte. 88

Infine interessante per motivi di ordine generale lindicazione secondo cui Epigono di Sicione ha lasciato nella tradizione il ricordo di una grande reputazione in citaristica pura, cio senza parole, e soprattutto di aver inventato unarpa a 40 corde che suonava a mani nude, senza plettro (F. Lasserre, 1988, p. 81). Questa notizia un indizio che contraddice lidea molto diffusa che gli strumenti fossero sempre impiegati come accompagnamento della voce e la musica greca non conoscesse musica strumentale pura. Questo semplicemente falso. Vi sono, tra laltro, due parole distinte per indicare il suonatore di cetra che nello stesso tempo canta che viene chiamato citarodo e il suonatore che esegue un brano puramente strumentale che viene invece detto citarista (cfr. anche Burdrick, 2005, p. 18).

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Larpa raramente rappresentata nella vasaria greca. Ci sono esempi molto belli nei rilievi caratteristici dellarte vasaria aretina, come quelli presentati in questa pagina, ma si tratta ormai di arte romana, sia pure direttamente influenzata da motivi greci. Ed anche lo stile della rappresentazione sensibilmente diverso.

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Larpa veniva suonata senza plettro, dato il gran numero di corde a disposizione, con una o due mani. Da reperti conservati al Museo Nazionale Archeologico di Taranto viene proposta, nella figura a sinistra, una ricostruzione puramente indicativa. A destra sono riuniti laulos, la forminx, la lira e larpa che occupa la posizione centrale. Larpa era considerata anche come uno strumento da suonare da solo nellintimit. Del poeta Anacreonte, che abbiamo gi avuto occasione di rammentare proprio in rapporto allarpa dalle venti corde, ci sono stati tramandati questi versi: Ho pranzato con un pezzetto di focaccia sottile ho bevuto una brocca di vino: adesso con le dita pizzico mollemente la mia pektis amabile cantando la serenata alla ragazza che amo. 91

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1.3 Strumenti percussivi


1.3.1 I crotali 1.3.2 I cimbali 1.3.3 Il krupalon 1.3.4 I sistri 1.3.5 I timpani

Vi era, in Grecia, una notevole variet di strumenti percussivi (idiofoni e membranofoni), utilizzati soprattutto in situazioni festive, offrendo un sostegno ritmico agli altri strumenti e impiegati particolarmente in rapporto alla danza.

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1.3.1 I crotali

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I crotali sono uno strumento simile alle castagnette o alle nacchere, bench probabilmente di suono pi debole: Descrizioni letterarie, inoltre,sottolineano la somiglianza tra il battito delle mani e il battito dei crotali (Mathiesen, 1999, p. 168). La relazione con il battito delle mani viene impressa nelloggetto stesso in queste nacchere di avorio egiziane che risalgono al 1300 a.C.

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Crotali, auloi e barbitos si trovano spesso associati nella danza, in situazioni che hanno una chiara connotazione erotica.

Luomo con i crotali reca sul braccio la custodia caratteristica degli auloi.

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I crotali tuttavia possono diventare strumenti tanto nobili da poter accompagnare la cetra di Apollo nelle mani delle muse di fronte a Zeus ed a Ermes. Ma a parte il riferimento mitico questa rappresentazione notevole dal punto di vista musicale per il numero rilvante dei crotali impegnati con uno strumento come la cetra in unesecuzione che evidentemente di musica pura nella quale la componente ritmica non subordinata alla danza.

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1.3.2 I cimbali

I cimbali dei greci, come li vediamo nella figura accanto (British Museum) non sono poi molto diversi da quelli che ha fra le mani il monaco tibetano, ed il suono doveva essere assai simile. Si tratta di due coppe metalliche di solito legate fra loro da una catenella, che venivano percosse tra loro.

Occorre peraltro tener presente che le forme di questi metallofoni potevano essere abbastanza diverse e di varie dimensioni ed anche la terminologia greca abbastanza indeterminata. Le distinzioni tra crotali, cimbali e crembali era indubbiamente flessibile (Mathiesen, p. 170).
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1.3.3 Il krupalon
Uno strumento in qualche modo analogo ai crotali era il krupalon (ma vi sono anche altri nomi per designare questo strumento): Aveva la forma di un grosso sandalo legato al piede destro e consisteva di un blocco di legno tagliato in due tavolette sovrapposte ed unite insieme al tallone. Ognuna delle due tavolette recava nella faccia interna una sorta di castagnetta. Battendo il piede le tavolette con le loro castagnette si urtavano tra loro con un forte schiocco (Sachs, 1980, p. 171). Tutto ci molto bene illustrato dalla scultura seguente nella quale il suonatore fa agire il crupalon insieme ai cimbali che tiene nelle mani. Mathiesen fa notare che questo sandalo poteva anche essere indossato da un auleta, che con esso integrava ritmicamente la melodia dell aulos (1999, p. 167)

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1.3.4 I sistri
Il sistro era strumento di origine egiziana, particolarmente presente nel culto di Iside e di Hathor, dea della musica. Si tratta di dischetti metallici infilati su bacchette che venivano fatti risuonare scuotendo lo strumento. Ve ne sono di varie fogge.

Sistro di costruzione moderna


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Nella vasaria apula e campana presente anche uno strumento a forma di scaletta, di cui difficile stabilire la natura e la sonorit.

C tuttavia chi nega che si tratti di un vero e proprio strumento, ma piuttosto un attrezzo per la tessitura. Liconografia mostra talvolta atteggiamenti di impiego che potrebbero essere caratteristici di uno strumento musicale.

Il numero dei gradini sulla scaletta pu variare tra sei e venti, ed in alcuni dipinti vi un piccolo punto nel mezzo del gradino. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che possa trattarsi di una specie di sistro, altri un qualche tipo di strumento a percussione, forse addirittura qualcosa di simile ad uno xilofono...Il suo posto nella cultura musicale dei greci rimane oscuro (Mathiesen, 1999, p. 282)
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Donna seduta su uno scoglio, mentre tiene nella mano sinistra uno xilofono e una ghirlanda nella mano destra (J. R. Green, CVA, Filadelfia, Fasc. 22, p. 7). A dire il vero lidea che possa trattarsi di uno strumento simile allo xilofono non convince per la mancanza di martelletti.
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A destra una donna, vestita di chitone discinto in piedi e tiene sullindice della destra un piccione. Essa si volge verso laltra donna a sinistra che siede tenendo in mano quel caratteristico strumento a forma di scala a pioli che si crede strumento musicale o telaio a mano (G. Q. Giglioli, CVA, Italia, Roma, Fasc. 1, p. 10)

1.3.5 I timpani

Ci che viene chiamato timpano in Grecia ci che noi chiameremmo un tamburello, ovvero un tamburo a cornice, che tuttavia poteva essere di proporzioni piuttosto grandi. Era talora provvisto di sonagli risonanti sul cerchio a cui era legata la pelle. Veniva battuto con la mano destra e sorretto con la mano sinistra.
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Presso il Museo Archeologico di Taranto si trova anche una notevole scultura che regge il timpano. Essa accompagnata dalla seguente accurata descrizione: Il suo compito era quello di ritmare i passi di danza con la cadenza del suono, ottenuto percuotendo con il palmo della mano destra la pelle di bue tesa su un cerchio di legno o di metallo, munito per lo pi di quattro maniglie che ne consentivano unagevole impugnatura, e che costituisce la forma pi semplice dello strumento. Riprodotto pi volte nelle raffigurazioni che ne mostrano le diverse forme e i particolari ornamentali, era generalmente piatto e leggero, ma poteva presentare anche una forma cava, a scudo, ed era talvolta corredato da campanelli metallici o sonagli, fissati sul telaio da cordicelle che Strumento tipico delle feste dedicate a Dioniso, lo percuotevano la pelle quando lo strumento, suonato qua- possiamo trovare anche in mano ai satiri e natusi esclusivamente da donne, veniva agitato (Internet). ralmente era normalmente impiegato nella danza. http://www.museotaranto.it/strumenti_percussione.htm
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Il satiro giovanetto e la menade nellimmagine pittorica (Lecce, Museo Castromediano) approfittano soprattutto dei sonagli della cornice. Si tratta di una rappresentazione di arte apula, come del resto il satiro e la precedente scultura tarentina, che pur essendo fortemente influenzata dalla vasaria greca ha alcune tipicit illustrate nel saggio di Anna Maria Di Giulio sulliconografia degli strumenti musicali nellarte apula (1988, p. 108 sgg.). In esso si fa notare che il tamburo a cornice rappresentato sui vasi apuli costituito da due pelli, generalmente dipinte con motivi ornamentali, fissate con dei chiodi ad una cornice circolare. Le raffigurazioni tuttavia ci mostrano un solo lato dello strumento. In una delle sue orazioni politiche, Demostene ci parla di pittori decoratori di tympana: il loro lavoro consisteva nel dipingere motivi ornamentali sulla membrana dello strumento... I tamburelli apuli differiscono da quelli attici per alcuni particolari. I nostri infatti hanno una ricchezza di ornamentazione, di nastrini, di sonagli e di maniglie non riscontrabili sugli strumenti greci. Inoltre i tamburi apuli sono generalmente pi grandi di quelli attici cui si pu attribuire di solito un diametro di circa 30 cm. contro i 40-50 dei nostri(p. 111). Specificamente a proposito della raffigurazione precedente si osserva che essa, risalente al IV sec. a. C., rappresenta una scena di culto dionisiaco: Vi sono raffigurati una menade e un satiro con due tamburi a cornice simili. Lo strumento, in rapporto alla taglia dei personaggi, pu avere una dimensione congetturale di circa 40-50 cm. di diametro...La decorazione della membrana molto semplice essendo costituita da puntini disposti a circonferenza. Questo motivo decorativo ricorrente: a volte si presenta pi complesso, ma generalmente i motivi geometrici seguono schemi concentrici, partendo dal centro della pelle e assecondando la forma dello strumento. Sulla cornice si possono vedere dei punti che probabilmente indicano i chiodi che fissavano la pelle al telaio. Questi tamburi sono forniti, sulla fascia della cornice, di dischetti bianchi che rappresentano sonagli, forse di metallo (p. 112). Interessante a questo proposito il fatto che talora venivano applicate alla cornice con una cordicella delle sferette di legno che percuotevano la pelle ruotando lavambraccio (p. 113). Si tratta di un dettaglio ancora oggi presente in tamburelli duso popolare.

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1.4. Lorgano idraulico

Hydraulis
Lorgano idraulico - hydraulis - non entra nelle nostre considerazioni per una problematica propriamente musicale, perch non sembra aver rilevanza nellambito della musica greca e tanto meno in quello della sua teoria. Ma vi entra per una problematica generale di grande interesse, dal momento che forse il primo esempio conosciuto di strumento meccanico. Esso viene descritto dal matematico greco alessandrino Erone, vissuto tra il II e il I sec. a. C. (ma vi chi sposta la data di vita nel I sec. d. C. e forse oltre) e dallarchitetto romano Vitruvio (I sec. a. C.). Ma va fatto in primo luogo il nome di Ctesibio di Alessandria, personaggio vissuto probabilmente nel III sec. a. C., al quale sembra si debba il progetto pi antico, ma di cui non si sa praticamente nulla. Ci che ha tenuto per lungo tempo nascoste o trascurate le testimonianze sulla presenza di

questo strumento e il suo impiego un fatto filologico. La parola organon in greco una parola molto comune per indicare uno strumento in genere. In questo modo la usava ancora S. Agostino. Ci poteva generare svariati equivoci. Lorgano ideato da Ctesibio era uno strumento assai particolare e nuovo. Esso aveva una peculiarit: utilizzava lacqua per regolare la pressione dellaria, immessa, come nei moderni organi, attraverso mantici. Compare perci il riferimento allacqua che sconcertava gli interpreti. Cos incontrando espressioni che in qualche modo alludevano ad organi idraulici, si parlava genericamente di strumenti ad acqua senza naturalmente sapere di che cosa si potesse trattare. I progetti di solito attribuiti a Ctesibio vennero ripresi da Erone, famoso matematico e inventore di congegni meccanici, e di cui rimasta lopera intitolata Pneumatica.

Erone in una traduzione tedesca della Pneumatica (1688) 109

Qual lorigine dellinvenzione di Ctesibio? abbastanza naturale pensare che egli arriv a concepire lorgano guardando le piccole canne di un flauto di Pan.

era quella di mantenere costante la pressione dellaria in modo da evitare salti di ottava nellintonazione.

Ma le guard secondo una diversa angolatura. Sembra poco, ma ci basta a stabilire differenze straordinarie. Le grandi invenzioni spesso sorgono semplicemente cos. Qualcosa che si sempre vista, viene colta da un punto di vista nuovo. Il cambiamento di punto di vista nei confronti di un oggetto un modo tipico di operare dellimmaginazione creativa, e lo in particolare nellambito della scienza e della tecnica. Forse era possibile immettere aria nelle canne secondo un metodo meccanico. Secondo il progetto di Ctesibio nella versione di Erone il mantice spinge laria dentro un invaso a forma di campana che riceve acqua da fori praticati alla sua base (la campana pu essere anche sollevata dal fondo) e nel ristabilire lequilibrio laria insuflata viene sospinta verso le canne i cui fori a loro volta potevano variamente venire aperti o chiusi. In particolare la funzione dellacqua 110

La versione di Vitruvio (a destra) un poco pi complessa ma i principi di base sono gli stessi (una precisa e dettagliata spiegazione di entrambi i sistemi la si pu trovare in Moretti, 1998, p. 21 sgg.). Per quanto riguarda la documentazione iconografica greca, essa assai scarsa, se non inesistente. Esiste in ogni caso una notevole epigrafe a Delfi che risale al 90 a. C. nella quale si premia Antipatro di Eleuterna, suonatore di Hydraulis, come vincitore di una gara e se ne tesse lelogio. In essa si legge che Antipatro gareggi due giorni e si copr di gloria in maniera straordinaria, degna del dio Apollo e della citt di Eleuterna quanto della nostra, e per questo motivo fu incoronato vincitore della gara (Moretti, p. 39, che riporta lepigrafe per intero). Ci dimostra a sufficienza della diffusione dello strumento in Grecia almeno in quellepoca. Molto presente e documentata invece la presenza dello strumento in ambiente romano sia da documentazioni letterarie sia da reperti archeologici.

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Una ricostruzione moderna dellHydraulis venne fatta da F. W. Galpin verso la fine del sec. XIX (Williams, 1916, p. 246-7).

Visione laterale della ricostruzione di Galpin 112

Visione da retro. In basso, il serbatoio dellacqua.

La spiegazione pi naturale per il nome non soltanto il richiamo allacqua, ma anche allaulos. Mathiesen tuttavia, che ha dedicato allorgano idraulico alcune pagine molto accurate, osserva che molto pi verosimile che il termine hydraulis derivi da hudor (acqua) e aul (camera), piuttosto che la pi comunemente accettata composizione di hudor e aulos (Mathiesen, 1999, p. 226). Si ignora infine se le canne fossero munite di ancia o no. Per quanto riguarda il modo del suo impiego occorre tener presente che questo strumento era probabilmente in grado di emettere un suono pi potente di ogni altro, sia per il numero delle canne sia per luso dei mantici il cui numero poteva essere aumentato con un corrispondente aumento della potenza. Lelogio dello strumento per la sua potenza presente in un trattato greco sullhydraulis andato perduto ma di cui sono rimasti frammenti della sua versione araba, su cui si riferisce in un testo di Tannery (1908): I greci portavano con loro questo strumento nelle guerre, perch il loro paese era attorniato da nemici da ogni lato e quando avevano bisogno di avvertire i loro compagni per far venire la cavalleria e le riserve o per avvertire gli abitanti della citt o di una qualunque regione, essi si servivano di questo strumento, cio del grande organo, che era soprannominato strumento dalla voce potente e risonante, perch il suono poteva arriva-

re a sessanta miglia (Tannery,1908, p.333. - Lappendice da cui tratta questa citazione di Carra Devaux). Lo stesso autore presenta anche una diversa versione dellorgano con degli otri di pelle come sacche per il contenimento dellaria che viene insuflata nellacqua della campana cosicch risulta forse ancora pi evidente il ricordo della zampogna.

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Per la potenza del suono che esso poteva sviluppare, a parte limpiego guerresco, che, a dire il vero sembra un poco improbabile, esso era utilizzato soprattutto allaria aperta, nelle feste e nei circhi anche se sembra che a poco a poco si sia imposto in ambiti privati. Il suo uso pi frequente era in ogni caso destinato alle gare ed ai giochi. In particolare esso apriva le Naumachie e ne accompagnava lo svolgimento. Singolare inizio per uno strumento le cui sonorit erano destinate in futuro a diventare emblematiche della spiritualit religiosa! Questo strumento dalle umili origini non solo divenne straordinariamente popolare, ma fu per secoli una fonte di ammirazione e di stupore per la gente poco istruita. Il suono potente, il misterioso borbottio dellacqua, gli sforzi degli schiavi che erano obbligati a pompare con tutta la loro forza per fornire laria in quantit sufficiente, tutto giocava ad attrarre lattenzione. Era impiegato in giochi pubblici, formando parte dellintrattenimento festivo; trov una via verso le case private; ed in un caso almeno prendeva il posto della tromba dando il segnale per linizio delle brutali Naumachie o battaglie navali che erano la delizia del popolino romano. Le Naumachie si svolgevano in anfiteatri le cui arene venivano per loccasione riempite di acqua. Le navi erano manovrate da criminali e prigionieri di guerra, che continuavano a combattere finch lultimo luomo della parte avversa non fosse stato ucciso; la carneficina era maggiore di quella che avveniva nei combattimenti dei gladiatori (Williams, 1916, pp. 3-4).

Un piccolo organo casalingo probabilmente rappresentato dai resti in bronzo ritrovati a Pompei e rappresentati nel disegno.

Dallo schema risulta il numero di canne, il fatto che i suoni gravi erano sulla destra, la lunghezza di soli 40 cm. A sinistra in basso probabilmente imboccature per linsuflazione. 114

Nella Pneumatica di Erone vi sono anche alcuni altri progetti, che pur non riguardando direttamente strumenti musicali, propongono luso dei principi che stanno alla base dellorgano idraulico per produrre suoni (figure tratte da Erone, 1851). Ecco la fontana che, quando versa acqua, fa cantare luccellino sul ramo e, precisa Erone, la qualit dei suoni pu variare secondo le proporzioni del tubo che viene dissimulato nel tronco dellarboscello - e puoi dunque anche disporre diversi uccelli con zufoli differenti (cap. 14: Un uccello che zufola quando lacqua fluisce).

E in questo modo possiamo udire il suono di una tromba quando apriamo la porta del tempio (cap. 17)

Un caso un po pi complesso del precedente: lacqua sgorga permanentemente dal fontanile, ma con un serie di sifoni e di pesi si fa in modo che il gufo in cima alla colonnetta si rivolga verso gli uccelli apparentemente con il loro accordo e poi nuovamente si distolga da essi; e quando il gufo guarda altrove, gli uccelli cantano, quando invece li guarda essi tacciono. 115

Il problema degli automatismi e dei meccanismi sonori rimase per molto tempo una curiosit di abili artigiani, ed ebbe i ogni caso un periodo di autentica fioritura nel secolo XVII e XVIII. Rammentiamo almeno che nello straordinario trattato di Kircher, Musurgia universalis, Roma 1650, Tomo II, la sezione V del libro IX intitolata De omnis generis Instrumentis Musicis Automatis sive Autophonis. In essa si descrivono degli straordinari Machinamenta musicali, meccanismi complessi che usano aria, acqua, fuoco, vento, ruote dentate, pesi e contrappesi ecc. per produrre suoni. In realt Kircher, autore genialissimo e ricco di interessi, la cui opera monumentale veramente difficile da dominare, punta in particolare allesecuzione automatica di brani musicali, mediante cilindri dentati che egli chiama cilindri fonotattici secondo principi simili a quelli del carillon, ma le sue ambizioni vanno ben oltre il campo di un gioco ingenuo. Egli interessato allautomatismo musicale in tutti i suoi aspetti, e naturalmente fra i machinamenta di cui egli si occupa vi lorgano idraulico descritto da Vitruvio. Egli trova in ogni caso la macchina di Vitruvio obscure descripta e si accinge a darne una propria versione monumentale (p. 332). Come funzioni questo machinamentum mi piacerebbe che qualcun altro me lo spiegasse nel dettaglio. In ogni caso il mio lettore potr confrontarlo con gli antichi schemi di Ctesibio e di Vitruvio e forse noter subito elementi comuni che rimandano a principi comuni. Lomino appollaiato lass aziona due leve, e vi sono persino i delfini che appaiono in Vitruvio, oltre che i cilindri compressori: dell arca aerea e della vasca dacqua conosciamo gi la funzione. 116

Organo idraulico secondo Kircher.

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2. Gli strumenti musicali e limmaginazione mitica

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2.1. Premessa 2.2 Dioniso


2.2.1 Le menadi 2.2.2 I satiri 2.2.3 La vendemmia di Dioniso

2.4. Linvenzione dellaulos e della lira


2.4.1 Ermes 2.4.2 Atena

2.5 Marsia ovvero la barbarie di Apollo 2.6 Il mondo del dio Pan
2.6.1 I fauni e le ninfe 2.6.2. Il dio Pan 2.6.3 Storia di Siringa 2.6.4 Storia di re Mida

2.3. Apollo
2.3.1 Dionisiaco e apollineo in Nietzsche 2.3.2 Il canto dellOlimpo 2.3.3 Apollo musagete 2.3.4 Nascita di Apollo 2.3.5 La cetra e larco 2.3. 6 Apollo e il pitone 2.3.7 I lati oscuri di Apollo

2.7 Orfeo
2.7.1 La lira di Orfeo 2.7.2 La morte di Orfeo Annotazione: la morte di Orfeo secondo Picasso
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2.1 Premessa
Nello sfogliare le prime pagine di questo nostro album forse ci si sar chiesti se vi sia una qualche ragione di ordine generale per indugiare sugli strumenti greci, entrando anche in qualche dettaglio di ordine tecnico, in unesposizione che ha di mira aspetti eminentemente teorici relativi alla musica greca. In effetti, pur assolvendo un indispensabile compito sommariamente informativo - nei testi specializzati si troveranno spiegazioni pi dettagliate - , la nostra intenzione stata quella di preparare il terreno ad una discussione che, partendo dagli strumenti e dalle loro peculiarit, arrivi ad integrarsi pienamente in una dialettica spirituale che riguarda la musica, ma che ha le sue radici negli orientamenti profondi della cultura greca. In particolare abbiamo parlato dellaulos e della cetra, come rappresentanti di due classi di strumenti - strumenti a corda/strumenti a fiato: cordofoni e aerofoni: si tratta di una tipologia di strumenti che, in forme pi o meno elementari, si trovano in tutte le culture musicali. Dobbiamo tuttavia subito sottolineare, proprio in vista di una discussione pi ampia, che questa distinzione riferita alla musica greca non deve essere considerata come una pura distinzione di fatto, nel quadro di una problematica di classificazione descrittiva. Essa rappresenta invece un vero e proprio punto di addensamento di significati. Le differenze di qualit sonora, i differenti modi di emissione di suono, i risultati uditivi percepiti sono latentemente ricchi di senso, di inclinazioni immaginative che possono essere attualizzate e giocate in vari modi nelle diverse culture musicali. Si pensi pure al nostro flauto o alloboe: luno e laltro hanno certo in comune una sonorit sinuosa, curvilinea, insinuante, seducente che sembra voler raggiungere il nostro corpo e avvolgerci in una sorta di fluente spirale. Il suono di questi strumenti pu essere posto sotto il segno dellacqua; ed anche del vento che fa stormire le foglie, che sussurra tra di esse, oppure che fa inclinare qui e l le canne di un canneto. Cosicch esso si pu associare ai sentimenti pi solitari e intimi, alle struggenti malinconie. Ma anche alla danza pi morbida e sensuale e addirittura alle travolgenti ritmiche degli strumenti percussivi, legandosi cos ad una danza che non pi solo sensualmente allusiva, ma che esibisce senza ritegni uno sfrenato erotismo. Ma non possono far tutto questo anche gli strumenti a corda? S, lo possono. Ma resta in ogni caso la differenza basilare nella qualit timbrica. Di fronte al suono acquoreo, fluido, capace di scivolare mollemente come lacqua di un ruscello o di oscillare dolcemente come una canna alla brezza della sera vi invece il suono secco, nel senso 123

letterale e immaginativo del termine, della lira o della cetra - quel secco che si contrappone allumido di cui parlava Eraclito come una distinzione filosoficamente importante. Lo strumento a corda parla un linguaggio univoco, la sua accordatura in via di principio compiuta una volta per tutte, e, se suonato in un certo modo, il suono si incide nellaria come un coltello che scava su una pietra e lascia una precisa traccia. La melodia non scivola via, ma delinea un disegno accuratamente punteggiato, che pu avere lordine e la perfezione di una figura geometrica. Naturalmente anche lo strumento a corda, proprio per la sua incisivit, potr essere particolarmente adatto a stabilire i ritmi su cui modellare, nella danza, la gestualit corporea. Anchesso potr collaborare con gli strumenti percussivi e con i fiati a creare ridde danzanti. Non solo: gli strumenti a corda possono essere suonati in tuttaltro modo! Si pensi ai suoni glissati che possono essere realizzati con il qin cinese oppure con il sitar indiano. Non vi dubbio. Ogni cultura musicale sceglie le timbriche che sono ad essa congeniali e le pratica secondo gli scopi immanenti ai suoi progetti espressivi. Parlando della musica greca e dellatteggiamento spirituale che sta alla sua base dobbiamo mettere in evidenza fin dallinizio la presenza di una dialettica che gioca proprio su queste distinzioni e contrapposizioni di senso, sui loro intrecci e sulle loro possibili sovrapposizioni ed ambiguit. Per illustrare tutto ci non abbiamo bisogno di affidarci alle nostre personali fantasie intorno alle qualit timbriche degli strumenti, ma metterci in ascolto delle storie che, a partire da esse, ci racconta limmaginazione mitica.

2.2 Dioniso
2.2.1 Le menadi 2.2.2 I satiri 2.2.3 La vendemmia di Dioniso

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Dioniso e Semele

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Segni distintivi di Dioniso sono la coppa di vino (kantaros) e il tirso - lungo bastone a cui sono talvolta attorcigliati dei pampini e che termina con una pigna.

I compagni di Dioniso sono le menadi e i satiri. La musica lo segue ovunque - e lo strumento privilegiato di Dioniso laulos. Anche il barbitos compare spesso associato a Dioniso come strumento legato alla festa ed alla danza. 126

difficile dubitare dellimportanza dellaulos per latteggiamento musicale dei Greci. Eppure laddove questo strumento si prospetta nellorizzonte del mito, esso viene subito connotato, per un verso o per laltro, come uno strumento frigio - quindi come uno strumento la cui origine si trova forse al di l dei confini della Grecia, alle porte dellOriente. la terra in cui nei poemi omerici veniva localizzata Troia. Essi contengono la memoria di un conflitto storico di grandi proporzioni, di una lunga guerra leggendaria quei poemi raccontano che i popoli e le citt della Grecia continentale si unirono contro un nemico comune. Ma chi sono i suoi abitanti? Troia era in terra frigia, in Asia minore. possibile naturalmente che i frigi fossero una delle popolazioni originarie di queste zone che vennero poi occupate non sempre pacificamente da popolazioni di provenienza dal continente; ma non c dubbio anche che ci fu simbiosi tra le popolazioni e che tutta la costa dellAsia Minore sul mar Egeo e naturalmente le isole e le popolazioni delle isole finirono con il formare ununit culturale. E tuttavia la Frigia una terra ad un tempo vicina e lontana - dai contorni tendenzialmente indeterminati. Come la Tracia del resto, che sta appena oltre lo stretto del Bosforo, presso la Frigia. La geografia reale della Grecia antica accompagnata anche da una sorta di sottofondo di geografia immaginaria, i cui luoghi si situano prevalentemente nelle regioni che in qualche modo hanno carattere di confine. 127

Laulos ha unorigine frigia? Non lo sappiamo. Ma certo che immaginativamente esso apparteneva a quella regione: non alla Grecia vera e propria, ma ai margini della Grecia. E donde viene il dio Dioniso - un dio che tanto difficile situare nellOlimpo greco quanto escluderlo da esso - il dio ebbro, il dio dellistintualit sfrenata? Il dio danzante accompagnato da un corteo di danzatori e danzatrici? Forse egli viene dalla Tracia, regione remota, prossima alla Frigia , forse dalla Lidia - sempre in Asia Minore poco a Sud della Frigia - forse dalla Frigia stessa (cfr. Colli, 1990, p. 55). Cos canta il coro allinizio delle Baccanti di Euripide: Andate, andate, Baccanti, riconducete dai monti di Frigia alle ampie contrade dellEllade, Dioniso, il figlio di un dio...

Il padre di Dioniso Zeus in persona, la madre Semele identica, probabilmente,alla dea frigia Zemelo, cio la Terra... In varie citt greche si celebrava il ritorno di Semele dagli Inferi; ella era dunque in parte simile ad una dea preellenica, Persefone. inutile dire che Dioniso e Semele sono spesso associati nel culto (Cassola, 1994, p. 7)
Moreau Zeus e Semele

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2.2.1 Le menadi
Bacco non una variante latina di Dioniso, ma un appellativo greco del dio che deriva dal verbo baccao che significa strepitare, agitarsi violentemente: danza, certo, ma anche invasamento. Intorno a Bacco si suona, si danza, e certo si fanno anche abbondanti libagioni. E si cade in trance. Satiri e menadi (baccanti) sono gli attori di principali. Come Dioniso stesso, anchessi spesso portano il tirso, il kantaros o il corno potorio e suonano laulos o altri strumenti.

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Menadi - Copia romana del II sec. d. C. di originale greco del V sec. a. C.

Bench nelle rappresentazioni la forma del dio sia umana, qualcosa di animalesco gli sta intorno se Euripide, nelle Baccanti, lo appella come dio dalle corna di toro e narra che Zeus, quando lo gener, lo inghirland con serti di serpenti; e con serpenti, preda selvaggia di caccia, intrecciano ora le chiome le menadi. Si comprende allora il fatto che le menadi abbiano una particolare confidenza con i serpenti e che questi si associno ad esse nella danza, oppure vengano offerti dalle menadi a Dioniso stesso. Il serpente, come sappiamo, appartiene al mondo ctonio a cui appartiene anche Semele. 130

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2.2.3 I satiri

Talvolta si parla indifferentemente di satiri e sileni, fauni. In realt questi nomi diversi indicano figure mitiche che non dovrebbero essere confuse tra loro e che hanno storie e origini diverse. Il fauno deve essere ricollegato anzitutto al dio Pan; e sileno un nome generico spesso utilizzato come sinomimo di satiro, che deriva in certo senso da una pluralizzazione della figura di Sileno - vecchio satiro ubriacone, legato a Dioniso in quanto suo maestro - che viene spesso rappresentato su un asinello. Il tratto comune il fatto che essi indicano divinit silvane, con tratti animaleschi pi o meno pronunciati. Tra essi il compagno primario di Dioniso il satiro, questa straordinaria invenzione della fantasia ellenica: selvatico e talora violento, ma anche divertente e giocoso, e persino affettuoso. Il satiro ha in realt in generale un corpo maschile, e solo una lunga coda e le orecchie appuntite denunciano lintreccio con lanimalit, di cui certo vitale espressione la sua sensualit debordante. Il satiro ha conservato tutti i tratti della sensualit precristiana, tanto che il cristianesimo, con la sua accannita sessuofobia, non a caso lo ha trasformato, insieme a fauni e sileni, in immagini del demoniaco. Ed invece questi satiri inquieti, goffamente saltellanti, capaci di danzare talora spudoratamente talora elegantemente, spesso scherzosi, amanti di frizzi e lazzi, che rincorrono le loro menadi o si avvicinano ad esse con passi furtivi, ricevendo in cambio la mazzata del tirso, che portano sulle spalle i loro otri da impenitenti bevitori, per non dire della loro vocazione musicale, non possono non apparirci come immagini di esuberanza di tempi che sono diventati - ahim! - troppo remoti. 132

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Il baccanale rituale e festa insieme. Satiri e menadi saltano, giocano, ballano, celebrano i riti della natura. E suonano. Laulos soprattutto onnipresente. Ed laulos soprattutto, cos sostiene Rouget commentando Platone, a mettere in moto i meccanismi della trance (Rouget, 1986, p. 291 sgg.): lelemento melodico, dunque, piuttosto che quello ritmico.

In ogni caso, nelle feste dionisiache non potevano certo mancare le percussioni, e in particolari i timpani di cui Dioniso, nelle Baccanti di Euripide, rivendica linvenzione insieme ai Coribanti, sacerdoti di Rea (divinit della terra), anchessi figure della danza bacchica: ...i Coribanti dagli elmi tricuspidi per me inventarono questo cerchio di legno ricoperto di pelle ben tesa; e nellacceso baccanale ardente fusero le sue cadenze al melodioso respiro degli auloi di Frigia Ed ancora, poco oltre, nello stesso testo: Cantate Dioniso al suono profondo dei timpani, celebrate con inni di gioia il dio della gioia, tra voci e clamori di Frigia, quando laulos sacro diffonde sonoro sacre melodie. 135

In uno straordinario frammento di Eschilo (fr. 71, Colli, 1990, p. 53) una festa dionisiaca viene descritta in termini di sonorit che potrebbero anche essere inattese. Luno tiene nelle mani flauti dal suono profondo, lavorati col tornio, e riempie tutta una melodia strappata con le dita, un richiamo minaccioso suscitatore di follia; un altro fa risuonare cimbali cinti di bronzo ...... alto si leva il suono della cetra: da qualche luogo segreto mugghiano in risposta terrificanti imitatori dalla voce taurina, e la parvenza sonora di un timpano, come di un tuono sotterraneo, si propaga con oppressione tremenda In realt, questi pochi versi ci insegnano qualcosa di importante proprio sulle sonorit greche. Forse richiedono qualche precisazione aggiuntiva. Qui si parla di flauti: nelloriginale compare il termine Bombyx che si ricollega al verbo bombeo che significa risuonare cupamente ed al nome bombos che indica un suono basso e profondo. Credo che lorigine onomatopeica di queste parole, rimasta anche nellitaliano rimbombare, sia innegabile. assai probabile che si tratti di un bombaulos - ovvero di un aulos di canna molto grossa e di timbro scurissimo, come nei magnifici flauti bassi indiani. West osserva che in ogni caso laulos doveva avere un suono piuttosto penetrante perch riusciva a tenere testa ad un coro di cinquanta uomini e che Aristofane paragona il suo suono ad un ronzio di vespe. Il ronzio (bombos, bombyx) associato in particolare con le note gravi. Vi era in effetti un modo particolare di suonare... per produrre questo effetto(West, p. 105). Anche Rouget sottolinea la potenza sonora dellaulos: Strumento popolare, legato nel contempo alla trance, al teatro, al vizio, alla guerra ed ai riti agresti, cos che appare laulos. Il meno che si possa dire che il suo uso era poco esclusivo. Per quanto riguarda timbro e sonorit si pu, senza timore di errare, asserire che erano, come in tutto il bacino del Mediterraneo, assordanti e penetranti. Le pitture mostrano gli auleti che soffiano nei loro strumenti, gonfiando le guance o addirittura tenendole piatte, segno che si pratica, com quasi dobbligo per questo strumento, la respirazione circolare, che consente di suonare senza riprendere fiato e dunque senza interruzione. Suonati, diciamo alla mediterranea, il clarinetto doppio o loboe hanno intonazioni veementi, un suono forte e roco, unintensit emozionale tanto pi grande in quanto lo strumento pu suonare pi ore senza interruzione (1986,p. 295). 136

Il termine cimbalo traduce kotule - e lo traduce correttamente perch il termine indica una cavit, nel senso del latino catinus. In ogni caso si tratta di un termine del tutto adatto a indicare anche i cimbali. Forse invece un poco impropria la traduzione cinti di bronzo, che varrebbe invece per i tamburelli, mentre per i cimbali basterebbe dire bronzei. Insieme a questo suono metallico si unisce il suono del timpano che invece uno strumento in pelle. La parola cetra o una sua variante non si trova nel testo. In esso vi il termine psalmos che in ogni caso sembra potersi riferire ad uno strumento a corda, anche senza preciso riferimento ad una lira o ad una cetra. I terrificanti imitatori dalla voce taurina - e il toro un altro simbolo di Dioniso - potrebbero essere trombe greche il cui suono viene definito altrove dallo stesso Eschilo urlanti. Lo strumento corrispondente che i latini chiamavano tuba viene descritto con aggettivi come horribilis, raucus, rudis, terribilis. Il richiamo minaccioso suscitatore di follia allude certamente allinduzione dellinvasamento, alla trance indotta dalla danza.

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soprattutto dai baccanali che laulos ha ricevuto, presso i filosofi severi come Platone ed Aristotele, una fama non troppo buona che ha finito in parte per comunicarsi anche ad uno strumento a corda come il barbitos. Nel seguente dipinto Oreste uccide Egisto cogliendolo mentre sta suonando il barbitos - lo strumento certamente qui in mani assassine.

Ci si interrogati sulle ragioni di questa rappresentazione dal momento non risultano fonti letterarie per giustificarla. Ma la ragione effettiva - come osserva Bundrick - sta nel fatto che il barbitos implica lussuria, vanitosit e rilassatezza. Il corpo ben pasciuto di Egisto, la lunga barba e lo strumento musicale contrastano duramente con la figura di Oreste che brandisce la spada, che vestito come un soldato ateniese con corsetto, elmo in stile attico e ginocchiere (2005, p. 23).

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2.2.4 La vendemmia di Dioniso

A Dioniso, e del resto persino anche alle menadi ed ai satiri, non associato solo lelemento orgiastico. E nemmeno egli solo il dio della gioia. il dio che associa lumido (il vino) al secco della terra, e quindi insieme a Demetra ossia la terra (chiamala cos se vuoi), Dioniso ha trovato un corrispettivo, lumido succo della vite, e lo ha introdotto tra i mortali: queste, dice Tiresia nelle Baccanti, sono le due cose essenziali al mondo. Esse simbolizzano la possibilit del nutrimento, e quindi della vita stessa. 139

Menadi e satiri vendemmiatori: a lato una menade danza e ritma il tempo con i crotali mentre il satiro suona laulos. Si pu notare come la stilizzazione del tralcio della vite la si ritrova spesso come una sorta di allusione simbolica, indipendentemente dalla descrizione pittorica della vendemmia. 140

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Il vino feconda la terra. Le immagini che associano Dioniso e i satiri alla vendemmia sono numerosissime, e si tratta di immagini di serenit e di vita campestre. Spesso un satiro auleta si aggira tra le viti del vigneto. Le Menadi, che spesso fuggono di fronte alle bramosie vitali dei satiri oppure che li osteggiano minacciandoli con il tirso, sono loro compagne mentre raccolgono luva a grappoli. Le Menadi stesse, la cui ferocia stata spesso raccontata, in realt sono anche le pacifiche custodi della fecondit della terra. A questo aspetto d voce, nella fantasia euripidea, lo straordinario racconto del pastore che narra, nelle Baccanti, il risveglio delle Menadi nel bosco:

Ed esse, scacciando dagli occhi il profondo torpore, si rizzarono in piedi, in uno spettacolo di compostezza incredibile, vecchie, giovani, e vergini ignare di nozze. Cominciarono a sciogliersi i capelli sulle spalle, a stringere i lacci allentati delle pelli che indossavano, a farsi cinture, per i velli screziati, con serpenti che ne lambivano le guance. Alcune, tenendo fra le braccia un cerbiatto o dei lupacchiotti selvaggi, gli offrivano il dolce latte: erano da poco madri, avevano abbandonato i figli, e le mammelle erano ancora turgide, alte si inghirlandavano con corone di edera, di quercia, di smilace fiorita. Una di esse, afferrato il tirso, lo batt sulla pietra e subito erompe una fresca sorgente dacqua, unaltra pianta il bastone e di l il dio fece sgorgare una polla di vino. Baccanti, prese dal desiderio della candida bevanda grattavano il suolo con la punta delle dita e zampillavano fiotti di latte: rivoli di miele squisito stillavano dai tirsi avvolti di edera.

Menade che sorride ad un coniglietto selvatico

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2.3 Apollo
2.3.1 Dionisiaco e apollineo in Nietzsche 2.3.2 Il canto dellOlimpo 2.3.3 Apollo musagete 2.3.4 Nascita di Apollo 2.3.5.La cetra e larco 2.3. 6 Apollo e il pitone 2.3.7 I lati oscuri di Apollo
Se ricolleghiamo laulos e gli strumenti a fiato in genere a Dioniso, sullo sfondo della lira e della cetra e degli strumenti affini vi certamente Apollo. Dio bellissimo tra gli dei, il dio luminoso, dallarco raggiante, che gi alla nascita viene avvolto da nastri doro (Inni omerici, III, Ad Apollo, p. 109). 143

2.3.1 Dionisiaco e apollineo in Nietzsche


Questa relazione/opposizione stata del resto preannunciata quando abbiamo contrapposto il suono acquoreo degli auloi alla nettezza analitica dello strumento a corda. Ma non bisogna subito trasformare tutto ci in una pura ovviet, e nemmeno correre troppo presto alla contrapposizione tra dionisiaco e apollineo nel senso in cui essa si presenta nella Nascita della tragedia dallo spirito della musica di Nietzsche. Questa contrapposizione naturalmente presente. Dioniso appartiene al mondo ctonio, della notte e della terra, egli portatore di una ebbrezza che sconvolge la mente. Apollo luce, solarit, ragione.

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Questo testo pose laccento sul dualismo presente nella spiritualit greca, mettendo in crisi una visione, il caso di dire,classicistica della classicit, una visione che, come si esprime lo stesso Nietzsche, sopravvissuta per secoli intorno allantichit greca che persistette con invincibile tenacia a vederla tinta di quella serenit di color rosa, quasi che non fosse mai esistito un sesto secolo con la sua nascita della tragedia, coi suoi misteri, col suo Pitagora e il suo Eraclito... (Nietzsche, 1967, p. 109). Il richiamo al dionisiaco in Nietzsche il richiamo ad un elemento difficile da ridurre entro lo schema di una spiritualit rasserenata, dominata dalla elemento luminoso e razionale. Questo tema venne poi elaborato a fondo dagli studiosi che mostrarono sempre meglio la presenza di una conflittualit profonda tra lelemento che talvolta viene detto pre-ellenico, lo stadio che precede le invasioni achee e doriche, associato spesso ad elementi di presumibile derivazione orientale, e motivi religiosi di provenienza achea e dorica. Tuttavia vi un problema che invita alla prudenza in rapporto ad unadozione del punto di vista di Nietzsche: nella Nascita della tragedia agisce in modo determinante proprio in rapporto alla coppia dionisiaco/apollineo una tematica di origine schopenhaueriana che da un lato si rivela ricca di interesse in rapporto alle discussioni depoca intorno al teatro musicale, dallaltro fuorvia proprio in rapporto alla problematica musicale greca. In effetti lelemento musicale colto unicamente nella polarit dionisiaca in unapplicazione alquanto meccanica della posizione schopenhaueriana. Nella concezione di Nietzsche, Dioniso rappresenta lo spirito della musica proprio in quanto una figura del mondo come volont. Lelemento apollineo va invece ricollegato al tema schopenhaueriano della rappresentazione, cosicch in esso trova espressione - di fronte allinteriorit e passionalit della musica - soprattutto larte figurativa (Nietzsche, 1967, p. 45). La tragedia nasce dialetticamente dalla sintesi della musica con la spettacolarit. Schema assai seducente e ricco di problemi: ma Nietzsche, ricordandosi troppo di Schopenhauer e facendo di Apollo una figura dello sguardo, ha dimenticato del tutto lApollo citaredo. Lunico riferimento alla cetra di Apollo fortemente svalutativo: si fa notare che la musica apollinea una sorta di maschera della figurativit e le note della cetra non sono che emissioni sonore smorte prive di forza e di vigore: Se apparentemente la musica era gi riconosciuta come unarte apollinea, vuol dire che essa esattamente intesa, non era tale se non come onda ritmica, la cui forza figurativa venisse sviluppata per produrre stati danimo apollinei. La musica di Apollo era larchitettura dorica espressa in note, ma in note appena accennate, quali sono proprie della cetra. Lelemento che in essa era evitato con cura, come non apollineo, era appunto quello che forma il carattere della musica dionisiaca e della musica in generale, vale a dire la vigoria scotente del suono, il torrente compatto della melodia e il mondo affatto impareggiabile dellarmonia (p. 54). Altro non si dice su Apollo Citaredo. Del resto non sono gli strumenti e i loro valori simbolici espressi dallimmaginazione mitica a fare da filo conduttore della tematica di Nietzsche; ed il 145

centro del suo discorso non nemmeno la nascita della tragedia greca quanto la creazione di unimmagine di questa nascita in funzione dellimmagine della sua rinascita nellopera wagneriana. Certo, egli ha lintuizione importante dellelemento dionisiaco soggiacente nella spiritualit greca: il greco apollineo guarda con stupore nel mondo di Dioniso con uno stupore che era tanto pi cupo, in quanto vi si mescolava lorrore del presentimento, che pure tutto ci in fondo non gli fosse interamente estraneo; che anzi la sua coscienza apollinea non fosse altro, in fondo, che un velo steso a celargli quel mondo dionisiaco (p. 55). Ma anche questa intuizione, piuttosto che una riflessione sulla musica, in realt un riflesso degli elementi della metafisica di Schopenhauer. Non pu essere che cos: il mondo della rappresentazione nasconde, come il velo di Maia a cui si fa esplitico riferimento nel passo citato, il fondo dionisiaco che appartiene allessenza del reale (la volont). Ha ragione dunque Giorgio Colli che sottolinea, pur senza far riferimento alla musica, che Nietzsche tiene presente solo la polarit tra Apollo e Dioniso, ne ignora lunit: al massimo parla dello scaricarsi del dionisiaco nellapollineo, della conciliazione, della pacifica-

zione tra Apollo e Dioniso... (Colli, 1990, p. 38).

2.3.2 Il canto dellOlimpo


Dice Ateneo, un autore del tardo ellenismo: La sapienza antica dei Greci sembra essere legata soprattutto alla musica - E per questo giudicavano che il pi musicale e il pi sapiente fra gli di fosse Apollo, e fra i semidei Orfeo (Colli, 1990, p. 89). Abbiamo gi notato che la lira destinata sempre pi ad essere associata ad Apollo,forse per via della sua diffusione e popolarit, ma in realt lo strumento che conferisce maest a colui che la suona la grande cetra, impreziosita di fregi, che solo autentici professionisti dello strumento potevano dominare. Una sorta di apoteosi di Apollo Citaredo la troviamo nellinno omerico ad Apollo. Questo inno distinto in due parti, probabilmente dovute ad autori differenti, ed dedicato alla fondazione di due templi di Apollo la cui storia, grandezza e decadenza di grandissimo interesse da vari punti di vista. Si tratta del tempio di Delo, una piccola isola delle Cicladi, a cui viene dedicata la prima parte dellinno e del tempio di Delfi nella Grecia continentale a cui dedicata la seconda parte. 146

Tempio di Apollo a Delfi

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I versi con cui si apre la seconda parte descrivono lascesa di Apollo allOlimpo dopo la fondazione del tempio. Si tratta di una descrizione che da capo a fondo attraversata da elementi che chiamano in causa la musica e la danza (Inni omerici, 1994, pp. 124-5). Muove il figlio della gloriosa Leto, suonando la concava cetra (phorminx) verso Pito (= Delfi) rupestre; indossa vesti immortali, odorose dincenso; e la sua cetra, sotto il plettro doro, d un suono meraviglioso. Di l verso lOlimpo, dalla terra, veloce come il pensiero muove alla dimora di Zeus, al consesso degli altri dei; e subito gli immortali hanno a cuore la cetra e il canto. Le Muse, tutte insieme rispondendo con bella voce, cantano gli eterni privilegi degli dei, e le sventure degli uomini, che essi ricevono dagli dei immortali, vivendo inconsapevoli e inermi; e non possono trovare rimedio contro la morte, e difesa contro la vecchiaia. Intanto le Grazie dalle belle trecce, e le Ore serene, e Armonia, ed Ebe, e la figlia di Zeus, Afrodite, danzano, tenendosi luna allaltra per mano; e fra loro canta, non certo indegna, n inferiore alle altre, anzi maestosa a vedersi, e stupenda nella figura, Artemide arciera, che fu nutrita con Apollo. Fra loro Ares e luccisore di Argo, dallacuto sguardo, danzano, e Febo Apollo suona la cetra procedendo agilmente, a grandi passi: intorno a lui una luce fulgente, balenano lampi dai calzari e dalla tunica ben tessuta. Si rallegrano nel nobile cuore Leto dalle trecce doro e il saggio Zeus, vedendo il figlio danzare tra gli dei immortali. 148

Lelemento musicale ovunque dominante, ed strettamente associato alla danza. Si tratta tuttavia di una danza di dei, di esseri divini - nulla di pi lontano dai satiri e dalle menadi di Dioniso. Danzano le grandi dee, Artemide ed Afrodite, le Ore serene, le Grazie; ed anche Armonia il nome di una dea danzante.Fra i danzatori troviamo persino Ares, dio della guerra. La danza associata al canto. Cantano le nove muse, canta la dea dellarco, Artemide Cacciatrice, sorella gemella di Apollo. La splendida scena di canto e danza sullOlimpo mette insieme ci che si pu dividere in due eventi separati: la danza di giovani donne e uomini, e lesecuzione di un canto da un coro di nove giovani donne. Tutto ci guidato dalla cetra di Apollo. La sua esecuzione musicale lega insieme questi eventi: e si tratta della combinazione di testo cantato, musica strumentale e gruppo danzante che i greci chiamavano mousik...Tutto ci indica lalta rilevanza sociale della scena della mousik olimpica nellInno ad Apollo. I danzatori olimpici sono incarnazioni divine di ci che la societ greca arcaica si aspettava che fosse la danza (Graf, 2008, p. 29-30). Tutto il brano poi attraversato da bagliori luminosi, dal bagliore delloro - che viene dal plettro di Apollo e dalle trecce doro di Leto, madre di Apollo; dai bagliori lampeggianti dai calzari e dalla tunica di Apollo che incede a sua volta danzando.

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2.3.3 Apollo musagete


In questo stesso passo dellInno omerico troviamo le Muse che rispondono in coro alla cetra di Apollo: Da Omero a Pindaro (V sec. a. C.), la poesia descrive Apollo che suona sullOlimpo insieme alle Muse, e loccasione sempre una festa. Nel primo libro dellIliade, il poeta-cantore descrive un banchetto di dei dove il pasto accompagnato dalla bella lira che teneva Apollo, e le Muse cantavano rispondendo ad essa con voce bella (Iliade,I, 1604 sgg.) (Graf, 2008,p. 33). Nella prima Ode pitica di Pindaro laurea cetra viene detta possesso comune di Apollo e delle Muse dai capelli di viola(Pindaro, 1820, p.17). Apollo, il coro delle Muse, la cetra stessa formano una sorta di unit mitico-musicale particolarmente forte. Le muse vengono spesso rappresentate con uno strumento a corda fra le mani.

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Occorre inoltre notare che lattribuzione a ciascuna musa di unarte specifica tarda, mentre nella fase pi antica le muse erano divinit della musica intesa come unit tra musica strumentale, canto (poesia) e danza. Non sbaglia dunque il pittore Hendrick Van Balen (XVII sec.) a rappresentare tutte le nove muse mentre sono intente a suonare ciascuna uno strumento musicale, mentre presumibilmente una di esse si sta accingendo a cantare leggendo uno spartito.

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2.3.4 Nascita di Apollo


Come ci siamo chiesti, nel caso di Dioniso, donde proveniva, conviene rivolgere questa domanda anche nel caso di Apollo. Allora vedremo subito che la contrapposizione tra le due grandi divinit greche, che abbiamo cominciato con il caratterizzare attraverso gli strumenti musicali, tende da subito a mostrarsi in qualche modo instabile - come se i poli di questa contrapposizione vivessero luno dentro laltro. Per quanto riguarda gli strumenti e la musica greca va da s che strumenti a fiato e strumenti a corda si trovassero ovunque insieme - ma limmaginazione mitico-musicale rende questo incontro controverso. In una storia del mito prendi un dettaglio e ti avvii in una nuova direzione narrativa, di cui puoi intanto godere laicamente, come pura narrazione. Essa ha dei motivi che hanno il loro senso nelle connessioni che essi in se stessi istituiscono. NellInno omerico ad Apollo accanto a Zeus vi Leto (Latona), con le sue belle trecce doro. Essa la madre di Apollo, il cui padre Zeus stesso. Contro Semele, madre di Dioniso, lira di Era si scaten mediante il fulmine stesso di Zeus che la incener. Analogamente, la nota gelosia di Era contrasta le vicende del nascituro Apollo. Questo laspetto novellistico del mito. Ma i motivi che scaturiscono da questa gelosia superano questo lato narrativo e mostrano ragioni particolarmente profonde. Era scaccia Leto dallOlimpo ordinando alla Terra di negarle ospitalit.

Ed sufficiente questo riferimento alla Terra come possibile riparo capace di proteggere Leto dalle minacce che vengono dallOlimpo per segnalare in questa maternit di Leto un latente carattere oscuro di Apollo. Il mito racconta ancora delle peregrinazioni di Leto alla ricerca di un luogo in cui partorire - una ricerca che poi diventa la storia dellorigine del tempio di Delo. Perch fu proprio lisola di Delo ad offrire la temuta ospitalit alla fuggitiva. Ed a Delo, Leto pot partorire i gemelli Artemide e Apollo.

Diana Scultori (1547-1612), Leto a Delo

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Proprio con il racconto di queste peregrinazioni comincia lInno omerico ad Apollo (vv. 45-52, p. 111): ... per tanto spazio si aggir Leto, gi dolorante per il parto dellarciere, chiedendo se una di queste terre volesse offrire una dimora a suo figlio. Ma esse tremavano e temevano molto, n alcuna osava per quanto fosse prospera, ospitare Febo, finch la veneranda Leto giunse a Delo e, interrogandola, le rivolse parole alate: Delo, vorrai forse essere la dimora di mio figlio, Febo Apollo, e accogliere in te un pingue tempio? La nascita di Apollo tutta circondata dai bagliori della luce e delloro: ... e il dio balz fuori alla luce: le dee, tutte insieme, levarono un grido. Allora, o Febo luminoso, le dee ti lavavano in acqua limpida, con mani sacre e pure; ti fasciavano con un candido drappo, sottile, intatto; intorno ti avvolgevano un aureo nastro... ... E Leto era piena di gioia poich aveva generato un figlio possente, armato di arco... ... e subito Febo Apollo disse alle dee immortali: Siano miei privilegi la cetra e larco ricurvo; inoltre, io riveler agli uomini limmutabile volere di Zeus (vv. 119-132). 153

Leto con Apollo e Artemide

2.3.5.La cetra e larco


Leto and vagando dolorante per il parto sopravveniente dellarciere, dice linno omerico - e questultima espressione ci pu sembrare inizialmente piuttosto misteriosa. Ma poi viene subito chiarita. I privilegi che Apollo rivendica per se stesso attraverso la voce del poeta sono la cetra e larco. E mentre la cetra strumento che allieta, larco certamente anzitutto strumento di morte. Una contradditoriet, non universale come in Dioniso, ma invece ben individuata, emerge anche in Apollo, e si mostra nei suoi due attributi dominanti: larco e la lira. Qui sta la precisa doppiezza di Apollo: la faccia benigna ed esaltante accanto a quella terribile e devastante (Colli, 1990, p. 26). Gioiosit e terrore appartengono entrambi a questo dio, e sono intimamente connessi. Apollo il dio della morte improvvisa non meno che dei trasporti della gioia musicale (Graf, 2008, p. 28). Del resto proprio allinizio dellIliade (1973, I, 43-53) con quellarco Apollo, massimo dio olimpico che tuttavia protegge i troiani che vivono in terra frigia, vendica loffesa fatta ad uno dei suoi sacerdoti, Crise, insultato da Agamennone; e la descrizione omerica mostra quanto limmagine del dio possa subire una trasformazione quando quellarco entra in azione: scese gi dalle vette dellOlimpo profondamente sdegnato, tenendo a tracolla larco e la faretra ben chiusa. Tintinnarono i dardi allomero del dio in collera, al suo primo muoversi: e camminava scuro, pareva la notte. Si collocava allora distante dalle navi e scocc una freccia: un orrendo ronzio venne dallarco dargento Camminava scuro - pareva la notte: che ci si dica proprio di Apollo assai singolare. Ma noi tenderemmo anche a far notare le caratterizzazioni sonore che accompagnano la descrizione: tintinnarono i dardi oppure un orrendo ronzio venne dallarco dargento. Il suggerimento, un poco inconsueto, che ci sembra di poter dare che anche larco di Apollo possa in ogni caso avere una valenza musicale, cosa che del resto abbiamo notato per larco in genere in rapporto allarpa. 154

il caso di ricordare a questo proposito il famoso passo dellOdissea (1968, vv. 404-410), quando Odisseo, ancora non riconosciuto, prende fra le mani il proprio arco per partecipare alla gara che si concluder con la strage dei Proci. In quel passo il poeta descrive lazione di Odisseo con una bella similitudine tra larco e la cetra: Odisseo, dopo che ebbe tastato e riguardato il grande arco da ogni parte - come quando un uomo esperto di cetra e di canto facilmente tende la corda intorno alla chiavetta nuova, fermando da un lato e dallaltro il budello di pecora ben ritorto cos appunto Odisseo tese senza fatica il grande arco. Con la mano destra prendeva la corda e la tent. Ed essa cant bene, pareva uno strido di rondine. I Proci allora ebbero grande dolore e sbiancarono tutti in volto. E Zeus tuon forte, mostrando un segno di augurio

In questo passo dellOdissea, la similitudine diventa esplicita ed il simbolismo musicale dellarco particolarmente pregnante. Ed intorno al suo suono vi sono altri suoni che sono brividi di morte: lo strido di rondine, il tuono di Zeus. 155

2.3. 6 Apollo e il pitone


Con larco Apollo uccide il mostro Pitone. Qui vi un altro frammento della storia mitica di Leto che pu insegnarci ancora qualcosa. Pitone un serpente - e non ha ora nessuna importanza il fatto che sia ancora Era a scatenarlo contro Leto. importante invece che il serpente, come sappiamo, una tipica figura del mondo ctonio.

Hendrik Goltzius (XVI sec.) 156

Ora, il fatto che Apollo uccida il serpente con larco, non forse ancora una manifestazione della luminosit del dio? In questo dipinto di Moreau (1880) un Apollo fatto di luce ricaccia il serpente nelloscurit. Ed anche nel seguente, ancora pi fastoso, dipinto di Delacroix, di cui qui mostriamo solo la parte centrale, il tema dominante la luce contro la tenebra.

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2.3.7 I lati oscuri di Apollo


Eppure, anzich istituire il massimo distacco, il fatto che Apollo uccida Pitone - e che riceva per questo questo lattributo di Pizio - stabilisce un legame piuttosto che un distacco. Qui viene in questione larte divinatoria cos caratteristica del culto di Apollo, e che rese celebri sia il tempo di Delo che quello di Delfi. Pizia sar dunque detta la sacerdotessa di Apollo, la pitonessa, appunto, che emette vaticini - tra i fumi che vengono da caverne sotterranee, seduta su un tripode ricoperto da una pelle di serpente. La pelle del serpente sul tripode rappresenta il tramite con lultramondo infero da cui soltanto si possono attingere le enigmatiche preveggenze del futuro. La Pizia enunciava i suoi oracoli in uno stato di invasamento che i greci chiamavano mana. Nei templi apollinei si celebravano riti, dai quali semplicemente impensabile che la musica fosse assente, ed essi dovevano culminare con una esaltazione che implicava la perdita della coscienza vigile e dunque uno stato di trance. La mana della Pitonessa di Delfi e di Delo finisce con il coincidere con lebbrezza della Baccante. 158

John Collier (1891)

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2.4 Linvenzione della lira e dellaulos


2.4.1 Ermes 2.4.2 Athena

2.4.1 Ermes
Tra gli dei danzanti nellInno omerico dedicato ad Apollo, troviamo un dio che viene caratterizzato solo con un epiteto: luccisore di Argo (Inni omerici, 1994, pp. 124-5). E qui vi una storia nella storia - come accade sempre nel mito. Argo, gigante dai cento occhi, cinquanta dei quali sempre aperti, gli altri cinquanta chiusi per il sonno - Argo dallacuto sguardo - viene ucciso da Ermes, e ci ha a che fare anchesso in realt con un tema musicale, con il tema del potere incantatorio della musica, perch Ermes riesce a fare addormentare i cinquanta occhi sempre desti di Argo attraverso la musica.

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Ma Ermes per quanto riguarda limmaginario musicale del mito greco non deve essere rammentato solo per questo artifizio che gli consent di uccidere il gigante, ma anche per unaltra singolarit tramandata dal mito e che riguarda il nostro problema musicale, anzi che apre un problema tra i mondi che la cetra e laulos rappresentano. Abbiamo gi attirato lattenzione sul fatto che non bisogna fare del dionisiaco e dellapollineo una pura e semplice contrapposizione. Non lo era naturalmente nemmeno per Nietzsche, ma non lo era per ragioni puramente filosofiche: la verit del mondo della rappresentazione doveva alla fine essere ricercata nella volont. Noi ci muoviamo invece interamente allinterno dellimmaginazione mitico-musicale e cominciamo a scorgere dei segnali che mostrano che le valorizzazioni immaginative ora sono nettamente distinte, ora scivolano ambiguamente luna nellaltra. Abbiamo gi mostrato che a ben vedere vi sono dei tratti che portano il dio della luce in una controversa prossimit con il mondo della notte. Ed ora dobbiamo prendere atto di un singolare scambio, per quanto riguarda i mitici inventori degli strumenti che dnno la loro impronta alla musica greca. Non una tipica divinit solare che inventa la cetra, cos come non un tipica divinit notturna che inventa laulos. Peraltro il mito racconta dellinvenzione della lira - non vi una storia specifica che riguardi linvenzione della cetra. E gi questo particolare apparentemente irrilevante potrebbe essere significativo. La lira, come abbiamo gi detto, uno strumento povero e le sue origini raccontano una storia di pastori e contadini. Ora, inventore della lira Ermes. Il mito racconta del furto di armenti ad opera di Hermes ai danni di Apollo e del perdono di Apollo a patto di ottenere in dono la lira che Ermes ha inventato. Negli Inni omerici, (1994, Inno IV, pp. 153 sgg.) la costruzione della lira viene descritta nel dettaglio e con molto spirito, dal momento in cui Ermes vede la tartaruga: L fuori trov una tartaruga, e ne trasse gioia infinita: in verit Ermes fu il primo che cre una tartaruga canora. Quella gli si par di fronte presso luscita della corte, pascendosi, davanti alla casa, dellerba rigogliosa e zampettando placidamente; il veloce figlio di Zeus rise al vederla, e subito disse: Ecco gi un segno molto fausto per me: non lo dispregio. Salve, amica della mensa, dallamabile aspetto, che accompagni la danza; tu appari benvenuta: donde vieni, o bel giocattolo? Il bel giocattolo diventa quel che sappiamo; e quando Apollo, assai adirato per il furto operato ai suoi danni dal 162

re dei ladri, ode Ermes suonare la lira, prorompe in un elogio dello strumento che anche un elogio della musica tutta: Meravigliosa la nuova voce che odo, e io affermo che mai alcuno degli uomini ne venuto a conoscenza n alcuno degli dei che abitano le dimore dellOlimpo, se non tu, furfante, figlio di Zeus e di Maia. Che arte questa? Che cos questo canto che ispira passioni irresistibili? Quale la via per ottenerlo? Con esso veramente possibile raggiungere tutte insieme tre cose: la gioia, lamore e il dolce sonno. Anchio, certo, mi accompagno con le Muse dellOlimpo cui sono care le danze, e la via luminosa del canto, e la fiorente melodia, e il clamore dei flauti [auloi], pieno di desiderio; eppure, finora, nessunaltra cosa fu mai tanto cara al mio animo fra le prove di bravura che si odono nei banchetti dei giovani; io vedo con ammirazione, figlio di Zeus, con quanta dolcezza suoni la lira....

Ma a che mondo appartiene Ermes - questo dio singolare che protegge ladri e commercianti insieme, che a sentire questa storia della lira vive in campagna, questo esimio ciarlatano e imbroglione - come lo chiama Apollo? In realt egli viene spesso raffigurato con i massimi dei dellOlimpo e in particolare con Zeus che gli impartisce i suoi ordini. Ma lo stretto rapporto con Apollo appunto rappresentato dal dono della lira, come forse rammenta la bellissima immagine seguente in cui Apollo con la lira sta al centro, Artemide sulla sinistra ed Ermes sulla destra. 163

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Tuttavia Ermes anche buon compagno di Dioniso e dei satiri, alle cui gioiose gozzoviglie egli vivace partecipe. In unimmagine che abbiamo mostrato in precedenza egli campeggia proprio al centro di un festa dionisiaca.

Ermes riconoscibile dai calzari con le ali oppure dal caduceo che ha in una mano, il bastone con i due serpenti attorcigliati, che nella forma semplificata in cui normalmente compare nella vasaria sembrano due cerchi in cima ad un bastone. 165

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Naturalmente il caduceo ci segnala che egli appartiene alla cerchia delle divinit ctonie, con la presenza dei serpenti che abbiamo gi incontrato parlando delle menadi. Il racconto mitico fa di questo simbolo un simbolo di pace, perch Ermes avrebbe separato due serpenti in lotta con un bastone e questi vi si sarebbero attorcigliati intorno. Ma si tratta di una evidente razionalizzazione narrativa. Ermes inventore della lira e il dono che di essa fa ad Apollo sembra rappresentare una sorta di tramite tra i due mondi. Forse per questo possiamo ritrovarlo negli oscuri antri degli inferi, nella caverna di Erebo, mentre accompagna le anime dei morti verso la barca di Caronte. Ermes infine un dio fecondatore - ed tanto prossimo alle regioni delleros da essere rappresentato in forma di una stele fallica che si pone ai trivi: ed in taluni luoghi veniva onorato direttamente in aspetto di fallo (cfr. il commento al quarto Inno omerico di Cssola, 1975, p. 154).

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2.4.2 Atena
Se da un lato lo strumento esemplare della chiarezza e della razionalit olimpica inventato, secondo limmaginazione mitica, da una divinit ctonia, dallaltro - con una singolare coerenza - laulos, strumento tipico del satiro dionisiaco, viene raccolto dalle mani di una divinit tipicamente olimpica - almeno nelle sue forme non troppo arcaiche. In efffetti nella moneta qui accanto risalente alla fine del quarto secolo a. C., Atena rappresentata con la cetra a quattro corde cos come in fig. 1 la cetra compare nel retro di un moneta campana del III sec. a. C. insieme ad Apollo. Eppure linvenzione dellaulos attribuita dal mito proprio ad Atena. Del resto scavando allindietro nella figura della dea che, come sempre accade, non certo univoca ma molteplice, troveremo anche in Atena tratti ctoni, ad esempio il serpente Erichtonius che spesso la accompagna: ma qui non ci occupiamo di mitografia se non in quanto il dettaglio mitografico interessa il nostro ambito di problemi. Atena dunque inventa lo strumento e soffia nelle sue canne durante un convito degli dei. Il suono nellaulos genera commozione - ma 168

Era ed Afrodite ridono di lei e della sua invenzione. Cosicch essa si allontana dallOlimpo e si specchia mentre suona in uno stagno. Nella dipinto seguente, un giovane che presenta ad Atena uno specchio. Atena circondata poi dai personaggi del dramma - in alto un dio, presumibilmente Zeus, che osserva la scena; allestrema sinistra una Menade riconoscibile dal tirso; un sileno (vecchio satiro); e sullestrema destra Marsia.

Specchiandosi, Atena pu vedere la deformazione delle sue gote ed allora getta a terra lo strumento responsabile di questo imbruttimento. Il satiro Marsia, che la spia, se ne impadronisce... E ad esso legher per sempre e tragicamente il suo nome. Marsia nella ricostruzione viene rappresentato come un satiro. Ma non sempre viene rappresentato cos. Marsia un uomo dagli attributi divini. Apprender a suonare laulos in modo insuperabile. Egli maestro di Olimpo che spesso viene detto padre della musica greca. certo in ogni caso che proviene dalla terra dei Frigi. 169

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Atena, la Minerva dei latini, stata partorita direttamente dal cervello di Zeus, e naturalmente siamo tentati di attribuire a questo parto un significato che certamente non quello originario considerando la dea come rappresentativa della razionalit e della saggezza (Cassola, 1994, p. 425). In ogni caso questa interpretazione con il tempo finisce con limporsi: ingegno e saggezza diventano attributi della dea. Non solo: nel XXVIII inno omerico dedicato ad Atena, essa prorompe cantando dalla testa di Zeus e condivide con Apollo lo splendore: la luce promanante dalloro della sua armatura: Pallade Atena cominci a cantare, dea gloriosa dagli occhi scintillanti, piena di saggezza, dal cuore inflessibile; vergine augusta, protettrice della rocca, intrepida, che da solo gener, dal capo venerato, il saggio Zeus, figlia sua propria, chiusa nellarmatura guerresca tutta risplendente doro... In ogni caso, a parte le molteplici interpretazioni che si possono dare della dea e dei suoi attributi, non vi dubbio che lattribuzione dellinvenzione dellaulos ad Atena abbia una intenzione fortemente valorizzatrice dello strumento stesso. Il punto interessante che mentre si attribuisce laulos quasi a Zeus stesso e comunque ad una sua incarnazione immediata, lo sviluppo del racconto deve condurre da Atena a Marsia. In questo modo laulos viene consegnato al mondo di Dioniso. La storia della sua invenzione implica una svalutazione che riguarda il senso del bello e che ricade sullo strumento e sulla sua musicalit 171

Lepisodio di Marsia che raccoglie laulos gettato a terra da Atena ha trovato una splendida rappresentazione scultorea dovuta allo scultore Mirone (V sec. a. C.) di cui ci sono rimasti vari importanti frammenti di una copia di epoca romana (Musei Lateranensi).

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Ricostruzione complessiva del gruppo marmoreo realizzata in bronzo (Museum alter Plastik di Frankfurt) 173

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2.5 Marsia ovvero la barbarie di Apollo


E infine Apollo e Marsia si sfidarono. O meglio fu Marsia a sfidare Apollo - atto di audacia verso una della massime divinit olimpiche, ma naturalmente, per noi, soprattutto un discorso che si sviluppa nel mito sulle qualit sonore e sulle loro possibili valenze immaginative. Una sfida alla presenza delle Muse - divinit apollinee come giudicatrici; la posta in gioco: che il perdente debba subire qualunque pena il vincente abbia a decidere. Anche in questo caso vi sono, molti modi di raccontare questa sfida e di interpretarla. Winternitz racconta che Apollo vinse... barando! Poich la muse inclinavano verso Marsia, Apollo suon il suo strumento alla rovescia e sfid Marsia a fare altrettanto ben sapendo che laulos poteva essere suonata solo da una parte. Inoltre cant accompagnandosi con la cetra, ed anche in questo laulos non poteva essere alla pari. Infine... cant le lodi dellOlimpo e di Elicona, e le Muse non mancarano di corrispondere alladulazione (Winterniz, 1982, p. 123). 175

Luciano di Samosata nel Dialogo degli dei fa fare ad Era un elogio dellastuzia di Apollo, dal momento che sicuramente miglior musicista era stato Marsia (Winternitz, p. 138, n. 3). Mentre i trucchi di Apollo vengono raccontati da Apollodoro (Bibliotheka, I, 4 in Landels,1999, p. 156)

Apollo e Marsia: Marsia seduto, mentre suona il flauto, Apollo in piedi di fronte a lui, e una ninfa che sta dietro Marsia: tra essi o un alberello di lauro o un ramo di lauro tenuto da Apollo; affiora la testa di una seconda ninfa, che probabilmente stava in piedi alla destra del dio (CVA, Gran Bretagna, vol. III).

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A destra: Questo vaso (Hermitage) stato assunto per denominare il pittore che lo ha eseguito - che viene in effetti identificato come Il maestro di Marsia. Marsia rappresentato seduto sulla destra, ed il dipinto in realt pi che avere centro nella sua figura, una rappresentazione del trionfo di Apollo vittorioso nella disputa (datazione: circa met del sec. IV a. C.). 177

A parte le variazioni sul tema dei trucchi di Apollo, che tuttavia dimostrano quanto i greci amassero gli auleti e i loro auloi, oltre che la lira e la cetra, ci che rappresenta limpronta pi incisiva della storia, e che si impresse nella mente dei poeti e degli artisti di tutta la tradizione successiva fu la barbara pena che Apollo inflisse a Marsia: egli ordin infatti che fosse scorticato vivo. Nelle sue Metamorfosi (VI, 382) Ovidio descrive con crudezza lepisodio dello scorticamento: urlava, e la pelle gli veniva strappata da tutto il corpo, e non era che una unica piaga: il sangue stilla dappertutto, i muscoli restano allo scoperto, le vene pulsanti brillano semza pi un filo di epidermide; gli potresti contare le viscere che palpitano e le fibre translucide sul petto Ma poi questa descrizione tanto cruda viene emotivamente riscattata dal grande pianto del popolo di Marsia, dalle lacrime dei pastori, delle ninfe, dei satiri, del grande musico Olimpo suo allievo, e questo immenso pianto che inzuppa la terra riaffiora come fiume Marsia. I fauni campagnoli, divinit dei boschi, e i satiri suoi fratelli, e Olimpo, a lui caro anche in quel momento, lo piansero, assieme a chiunque su quei monti faceva pascolare mandrie e greggi lanute. Il suolo fertile si inzupp delle lacrime che cadevano e inzuppatosi le raccolse e le assorb fin nel profondo delle proprie vene; poi le convert in un corso dacqua, e rivers questacqua allaria aperta. Cos quel fiume che da l corre tra rive in declivio verso il mare ondoso, si chiama Marsia, il pi limpido fiume della Frigia. Talora il sangue stesso di Marsia che colando dalla pelle appesa ad un albero forma il fiume che prender il suo nome. In certo senso, Marsia non morto, la sua eternit assicurata dallacqua: Quindi Marsia continua a vivere sotto forma di ruscello e sul ruscello crescono le canne, e le canne diventano a loro volta fiati. Strabone (XII, 578) dal suo viaggio in Asia, riferisce che il popolo che abita le rive del fiume Marsia fabbricava gli auloi con le canne che proprio l crescevano (Winternitz, 1982, p. 134).

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Questa tragica fine nobilita la figura di Marsia - e linterpretazione del comportamento di Apollo diventa una sorta di enigma a cui necessario dare una risposta. Anche il mito pu essere interrogato nelle sue ragioni. E quali sono le ragioni dello scorticamento di Marsia in rapporto ad una sfida che riguardava la grande arte della musica nella quale in ogni caso eccellevano entrambi i contendenti? Questa domanda presente nella variet di rappresentazioni che la sfida di Marsia e di Apollo ricevette nella pittura e nella grafica europea. Oltre tutto occorre notare che rappresentazioni greche e medioevali del mito di Marsia non forniscono mai raffigurazioni dirette dello spellamento di Marsia, sostituendole con dettagli che alludono semplicemente ad esso - segno che la questione dello spellamento non era facile da accettare. Dal Perugino questo episodio conclusivo non viene nemmeno accennato, e Marsia viene rappresentato in forma di bel giovane, e non di satiro, con un Apollo che ascolta assorto avendo deposto a terra la cetra. Si tratta di una scelta molto decisa: siamo di fronte a figure e gesti tutti risolti nella bellezza della musica, in una natura accogliente ed idilliaca, con gli uccelli che volano in cielo e il lontano profilo di un castello. Tutto il resto non conta, non ha nessuna importanza. 179

Solo quando la Chiesa Cattolica Apostolica Romana, ad maiorem gloriam Dei, santifica le pratiche della tortura i pittori osano dare espressione allatroce sofferenza di Marsia.

Ribera (1591-1692)

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Guercino, 1618

Giordano, 1696

Domenichino (1581-1641 181

Ma forse limmagine pi raccapricciante la propone Tiziano, con un Marsia con forme nettamente animalesche che viene scuoiato appeso a testa in gi ad un albero, rendendo intollerabile e ripugnante il bellApollo che poco oltre continua indisturbato le sue divine armonie con la sua lira da braccio e lo sguardo rivolto al cielo. Alla domanda, perch tanta barbarie? la risposta pi frequentemente ripetuta che la sfida di Marsia rivolta ad un dio, quindi un atto di hybris. Ora nel pensiero mitico greco atti come questi sono puniti con particolare spietatezza. Si pensi al caso di Prometeo. Altre risposte fanno rientrare questo episodio, nellantitesi tra gli strumenti e gli stili strumentali, che si risolve con una durissima rivendicazione dello strumento a corda. Infine vi il motivo in certo senso nazionalistico. Laulos di derivazione straniera. Ma nessuna di queste spiegazioni riesce a mio avviso ad essere convincente. Oltretutto nei nostri commenti noi stiamo mostrando con sempre maggior chiarezza che siamo in presenza di una dialettica interna alla grecit, e lo si vede anche in questo racconto in cui comunque persino la vincita di Apollo viene messa in dubbio; cosicch entrambi gli strumenti vengono via via rivendicati sulle opposte sponde dellantitesi. I greci amano la cetra, la lira, gli strumenti a corda. Ma forse li amano soprattutto i teorici, i filosofi, i puristi della musica. E tuttavia gli strumenti a fiato, e persino il modesto flauto di Pan, sono in grado di infiammare lintero Olimpo. Quelle spiegazioni non risultano convincenti anzitutto per il fatto che nessuna di esse riesce a rendere conto della specificit della pena e lestrema violenza dellazione, e di conseguenza riesce a dare coerenza al racconto mitico. Come abbiamo notato in precedenza, il comportamento di Apollo resta un enigma. Ma dobbiamo realmente cercare coerenza in un mito? Non strettamente necessario, vero. E pu essere anche equivoco, data la molteplicit 182

intrinseca del racconto mitico. Tuttavia a volte vale la pena di tentarci. Ed io credo di poter suggerire un mutamento di punto di vista che forse fornisce una chiave per uninterpretazione che a me sembra persuasiva.Comincer a rammentare un noto passo dantesco nel primo canto del Paradiso che suona cos, rivolgendosi al buono Apollo: O buono Apollo, allultimo lavoro fammi del tuo valor s fatto vaso come dimandi a dar lamato alloro. Insino a qui lun giogo di Parnaso assai mi fu, ma or con ambedue m uopo entrar nellaringo rimaso. Entra nel petto mio, e spira tue s come quando Marsia traesti della vagina delle membra sue.
... ispirami come richiesto perch tu dia lalloro amato da te per amore di Dafne. (Tommaseo) Il Parnaso aveva due cime (gioghi), luna abitata dalle Muse, laltra da Apollo. Lispirazione delle Muse poteva bastare fin qui, ma ora Dante chiama Apollo.

In una parola Dante, sulle soglie del Paradiso, sente di non poter pi soltanto fare affidamento alla protezione delle muse e invoca Apollo affinch gli faccia lo stesso servizio che fece a Marsia. Interpretazione davvero straordinaria perch fa delloperazione dello scorticamento una sorta di liberazione dellelemento puramente spirituale dalle scorie corporee. Unillustrazione di Giovanni di Paolo datata intorno alla met del sec. XV sembra illustrare alla lettera i versi danteschi. 183

Raffigurato in primo piano non abbiamo il corpo di Marsia, ma solo la sua pelle svuotata del corpo. Nellottica dantesca il liberarsi dellinvolucro corporeo il presupposto irrinunciabile per portare a compimento il suo viaggio nellAldil ed arrivare alla visione di colui che tutto move, che ridire/ n sa n pu chi di l s discende; ed per questo che unico caso nelliconografia del mito Marsia scorticato non muore, ma vive dopo la morte (Chiara Mataloni - Iconos). Ora, naturalmente non avrebbe senso aderire ad uninterpretazione cos particolare e cos strettamente relativa alle preoccupazioni del Dante poeta di fronte alle porte del Paradiso. Tuttavia vi laffacciarsi dellelemento metaforico, questo laspetto importante che ci interessa in modo particolare. Nel mito, come in ogni opera dellimmaginazione, agiscono regole implicite, e in particolare agisce una regola che traduce ci che si propone anzitutto come semplice immagine in un evento o in una sequenza di eventi. Limmagine assume la concretezza di unazione oppure le fattezze di un personaggio: il valore immaginativo - secondo una terminologia che ho usato altrove si traduce in una cosa o in un evento fantastico. Quando questa concretizzazione avvenuta pu accadere che non sia subito evidente il valore immaginativo da cui

quellevento ha preso forma. Si corre allora il rischio di andare alla ricerca di chiavi interpretative realistiche e motivazioni che ci allontanano sempre pi dalla componente immaginativa. Io invece intenderei lepisodio dello scorticamento proprio come unimmagine che si fatta evento e la sua interpretazione come un ritorno dallevento allimmagine. Dobbiamo allora rammentare ci che abbiamo detto fin dallinizio: il problema dellaulos e della cetra riconduce a quello del continuo e del discreto: e musicalmente dunque a quello del diatonismo e del 184

cromatismo. Ma intorno a questa distinzione musicale si aggirano determinate aree di senso - dal lato del continuo prevale lelemento erotico-istintuale, dal lato del discreto quello della razionalit e della misura. Ora, che cosa la pelle di Marsia come la pelle di noi tutti? il veicolo essenziale dellerotismo perch il veicolo della tattilit. Allora la coerenza immaginativa ridiventa visibile. Non dobbiamo dunque provare troppo meraviglia di fronte alla barbarie di Apollo: lo scorticamento una elaborazione fantastica che si concretizza nel coltello del carnefice, ma limmagine da cui deriva non ha nulla a che fare con luno e con laltro. La condanna di Marsia la condanna dellelemento erotico che egli rappresenta in modo eminente come tutta la stirpe di Dioniso.

Nota 1. Per le raffigurazioni pittoriche di Marsia puoi vedere la sezione corrispondente di Iconos (Ovidio, Cap. VI) (http://www.iconos.it/index.php?id=1) con i notevoli commenti per la parte iconografica di Chiara Mataloni. Iconos una iniziativa della Cattedra di Iconografia e Iconologia del Dipartimento di Storia dellarte della Facolt di Scienze Umanistiche dellUniversit di Roma La sapienza - una iniziativa rara, in Italia, che pu essere citata come un vero e proprio modello di lavoro scientifico e culturale messo a pubblica disposizione. Ci auguriamo che esso possa essere di stimolo alla diffusione della cultura via Internet che in tutto il mondo sta fa facendo passi giganteschi mentre la situazione italiana sembra arretrare piuttosto che avanzare. Nota 2. Le numerose valenze del mito di Marsia e le sue possibili diverse interpretazioni sono sintetizzate da Didier Anzieu nel saggio Il mito greco di Marsia che stato pubblicato da Lucia Corrain nella dispensa La pelle del visibile per il corso 20042005 della disciplina Semiotica delle Arti presso il Dipartimento delle arti visive dellUniversit di Bologna. Lucia Corrain ha corredato a parte il saggio di Didier con una notevole raccolta di immagini relative al mito di Marsia. Puoi trovare questi materiali allindirizzo: http://www.artivisive.unibo.it/Didattica/CORRAIN%20Lucia/materiali/Dispensa%20semiotica%20 del%20visibile%20(immagini).pdf. Il sito di Lucia Corrain - http://www.artivisive.unibo.it/Didattica/CORRAIN%20Lucia/ va segnalato per la ricchezza dei materiali di riflessione offerti.

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2.6 Il mondo del dio Pan

2.6.1 I fauni e le ninfe

Le ninfe sono evanescenti emanazioni della natura, che si aggirano nei pressi dei fiumi e sulle rive degli stagni. E le possiamo anche incontrare nel profondo dei boschi e sui sentieri montani.

A. Boecklin, 1827-1901

Nellimmaginazione mitica dei greci, le ninfe sono strettamente associate ai fauni. Bench esse possano essere loggetto di desiderio dei grandi dei dellOlimpo, in realt sono le naturali compagne dei fauni: le une e gli altri sono soprattutto figure della natura, immagini evanescenti della vita e delle forme naturali. Certo, il racconto mitico accentua spesso la loro ritrosia di fronte alle bramosie amorose del fauno che le spia nascostamente o che pretende di ghermirle: cosicch nella tradizione pittorica i fauni sono talora presentati come i loro maligni persecutori.
Dosso Dossi, ca 1490-1542

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Ma talora la rappresentazione propone ad un tempo, insieme alla fuga, anche lidillio, ed il rifiuto e la fuga sembrano disposte nel contesto di un rito amoroso gi in corso.

J. Jordaens, 1593-1678

J. F. de Troy (1679-1752) N. Poussin, 1637

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La focosit e sensualit dei fauni impaurisce le ninfe e pu accadere che la loro fuga si concluda in una metamorfosi: che altro non che un ritorno allelemento naturale di cui sono fatte. chiaro: ci stiamo accingendo a narrare la storia di Pan e di Siringa, che una storia piena di musica - anzitutto per il fatto che la storia meravigliosa del flauto di Pan, ma anche, come vedremo, per altri importanti aspetti. Pan un dio; i fauni sono gli abitanti del suo regno. Siringa una ninfa.

2.6.2 Il dio Pan

Attenendoci ai racconti, la regione da cui Pan proviene lArcadia, nel Peloponneso, nel cuore dorico della Grecia continentale, molto lontano dunque dalle terre di Dioniso.

Anche il culto di Pan viene localizzato soprattutto in Arcadia. In ogni caso Pan non un satiro - ma un dio. Un dio minore, certamente. Non nemmeno senzaltro uno dei seguaci di Dioniso e membro del suo corteo. Che egli appartenga alla cerchia di Dioniso, in ogni caso, subito chiaro. Lo si vede, intanto, dallaspetto. 190

Non propriamente un satiro - perch i satiri dionisiaci hanno in fin dei conti forma umana prevalente, ed un cenno animalesco di coda, forse le orecchie un po pi lunghe del necessario, mentre questo dio ha in tutto e per tutto forme animalesche: orribile a vedersi il volto, con due corna in fronte, corpo villoso, coda e zoccoli da capro! Contrassegni dei fauni che sono sue creature sono sempre le zampe e il pelame animalesco (a differenza dei satiri). E se un satiro (come accade talvolta nel caso di Marsia) viene rappresentato come un fauno, ci tradisce un intento di degradazione.
Pavimentazione romana a mosaico che rappresenta Pan (Villa di Gennazzano) (II sec. d. C.)

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Pan era figlio di Ermes, di cui abbiamo gi rilevato i tratti dionisiaci. Racconta il bellissimo Inno omerico dedicato a Pan che Ermes si innamor di una fanciulla dalle belle trecce e con essa giacque in un florido amplesso. Cos fu generato un figlio diletto, gi appena nato mostruoso a vedersi cosicch la fanciulla,come vide quel volto ferino e barbuto, fugg tanto lontano che nessuno mai pi la vide (Inni omerici, 1994, XIV, p. 369). Eppure quando Ermes, da padre amoroso, lo present agli dei dellOlimpo, essi proruppero in una grande risata e si rallegrarono nellanimo tutti gli immortali, ma pi di ogni altro il baccheggiante Dioniso. Pan si aggira per le valli folte di alberi, lo puoi scorgere sulle cime delle impervie rupi, sugli aspri sentieri, e lungo i lenti ruscelli. Il viandante che si trovi a passare per questi luoghi, il pastore che accompagna solitariamente le proprie greggi, ne avverte la presenza misteriosa. Questa presenza puoi poi palesarsi - ed allora il dio Pan diventa un dio che incute terrore. Lespressione timor panico o semplicemente panico deriva proprio da questo ricordo. In questo dipinto di Boecklin, Pan si affaccia alla rupe mettendo in fuga il pastore.

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Ma pu realmente il dio che a fatto sorridere tutti gli dei dellOlimpo esercitare uneffettiva minaccia? Le improvvise comparse di Pan sembrano un gioco del dio che si diverte ad impaurire approfittando del suo aspetto, senza voler recare alcun danno. Questo elemento terrifico legato prevalentemente al misterioso - ai silenzi ed ai suoni vagamenti inquietanti della natura, che tuttavia ci spaventano senza alcun vero motivo e non comportano alcuna minaccia. Ma i luoghi in cui possiamo imbatterci nel dio e provare perci un oscuro timore, sono anche i luoghi in cui si aggirano le ninfe - che assecondano Pan, dio amante del clamore, con le loro danze e i loro canti. Il termine amante del clamore traduce il termine greco filocrotos in cui krotos pu indicare specificamente il ritmato batter dei piedi nella danza. Purtroppo nella traduzione questa sfumatura di senso va inevitabilmente perduta. Le ninfe sono esseri che cantano e danzano, ed in questo anzitutto sono associate al dio Pan. Il quale talora, al ritorno dalla caccia, al tramonto, suona solitario, con il suo strumento di canne, una musica dolcissima: non riuscirebbe a superarlo nella melodia luccello che tra il fogliame della primavera ricca di fiori effonde il suo lamento, e intona un canto dolce come il miele. Con lui allora le ninfe montane dalla limpida voce girando con rapido batter di piedi presso la sorte dalle acque cupe cantano, e leco geme intorno alla vetta del monte. Il dio, muovendo da una parte e dallaltra, e talora al centro della danza, le guida con rapido batter di piedi - sul dorso ha una fulva pelle di lince -, esaltandosi nellanimo al limpido canto, sul molle prato dove il croco, e il giacinto odoroso, fioriscono mescolandosi innumerevoli allerba: Cantano gli dei beati e il vasto Olimpo. Come nel caso del ritorno di Apollo nellOlimpo con la sua grande cetra, anche qui gli dei si uniscono in un canto al suono del modesto flauto di canne pastorale del dio Pan ed al coro danzante delle ninfe. 193

Per quanto posso giudicare, nella pittura vasaria greca, il dio Pan piuttosto raramente rappresentato. Nelle figure di questa pagina vi in ogni caso un esempio di Pan danzatore con satiri. Come nel caso dei satiri, ed anzi ancor pi tipicamente in quello di Pan, il culto cristiano si appropri di questa figura e fece di essa unimmagine fedele del demonio e ci, come abbiamo gi notato, per via delle ossessioni sessuofobiche del cristianesimo. Questa demonizzazione influenza involontariamente persino larcheologo che cos descrive questa immagine: A sinistra rameggio di edera, a destra viticcio con grappoli duva. In mezzo danza estatica di carattere demoniaco. A sinistra satiro nudo con capelli scarmigliati e petto peloso. In mezzo Pan, rivolto frontalmente. Corpo villoso, piedi di capro, enormi corna ritorte e orecchie di capra. Suona il doppio flauto e danza preso dal ritmo della sua stessa musica. Un secondo demonio che giunge frettolosamente da destra allunga una coppa da bere al dio. (CVA, Heidelberg, I, a cura di K. Schauenburg). Occorre ammettere tuttavia che anche lantico autore di questo dipinto non sembra proprio simpatizzare con il dio.

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Assai pi benevolmente Pan adulto viene presentato in questo vaso in stile beotico mentre danza al suono del timpano che egli stesso percuote e il Pan giovane (o forse un fauno) seduto su una roccia mentre suona laulos. 195

interessante notare come in Magna Grecia, la fisionomia del dio muti significativamente nelle rappresentazioni. Egli viene infatti raffigurato ingentilito dalla giovane et e senza accentuazione dei caratteri animaleschi. Nella ceramica campana presentata in fig. 1 e risalente al III sec. a.C. le corna sembrano quasi un ornamento, e i tratti del volto sono quelli di un giovane dai grandi occhi sognanti. In Fig. 2 si tratta invece di una ceramica apula databile nel quarto secolo a. C. Ed anche in questo caso un Pan giovane porta le sue corna da montone come un elemento di decoro. Fig. 2 Fig. 1

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2.6.3 Storia di Siringa

Possiamo ora riprendere la storia di Siringa, una storia che si trova a met strada tra mito e favola. Racconta Ovidio (Metamorfosi, Libro I, 689-721): innamorato della ninfa e da lei respinto, Pan la rincorre ed essa fugge per luoghi impervi, finch non giunse alle correnti tranquille del sabbioso Ladone; e impedendole il fiume di correre oltre essa invoc le sorelle dellacqua di mutarle forma; cosicch quando ormai Pan stava per ghermirla strinse in luogo del suo corpo un ciuffo di canne palustri.

Hendrik van Balen, 1615 Pan e Siringa in una illustrazione di W. Baur (Vienna 1703) delle Metamorfosi di Ovidio

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Il vento vibrando nelle canne, produsse un suono delicato, simile ad un lamento e il dio incantato dalla dolcezza tutta nuova di quella musica: Cos continuer a parlarti disse, e, saldate fra loro con la cera alcune canne diseguali, mantenne allo strumento il nome della sua fanciulla (Ovidio, Libro I). Nella pi cruda versione di Longo Sofista, in Dafni e Cloe (1987, p. 101) Siringa annega fra le canne del fiume, e Pan forgia lo strumento con il quale ne piange la morte. Un piccolo dettaglio: questopera di Longo offerta dallautore nel Proemio come dono votivo a Eros, alle Ninfe e a Pan. In greco syrinx significa niente altro che canna - cosicch il racconto narra del vento della sera che fa sussurrare i canneti lungo i fiumi. La parola stessa forse lo dice, se pu valere un etimo da syrizo che significa proprio sussurrare, sibilare, bisbigliare. Sembra che nel suono stesso della parola si avverta un sussurro.

2.6.4 Storia di re Mida


Intorno a Pan vi sono anche altri personaggi - ed in particolare un personaggio che sembra far terminare in farsa la storia di un dio che cominciata con le risa degli dei dellOlimpo. Si tratta di re Mida la cui capacit di tramutare in oro tutto ci che tocca passata in proverbio. Questo personaggio, intanto, richiama una sorta di ripetizione priva di tragiche conseguenze della sfida di Marsia ad Apollo. Anche Pan os sfidare con il suo flauto disadorno la grande cetra di Apollo - ma ne risult cos clamorosamente perdente che non ne fu punito. Una punizione la ebbe invece - qui sembra esservi la farsa - proprio re 198

Arnold Boecklin, Pan nel canneto

Mida, presente alla sfida, per aver dato il proprio plauso a Pan, piuttosto che ad Apollo. E ne ebbe in cambio da Apollo le orecchie dasino. Con unappendice, per lappunto interamente farsesca: infatti che Mida avesse le orecchie dasino, dettaglio che egli teneva accuratamente nascosto con un copricapo, era ben noto al servo che aveva il compito di tagliargli i capelli. Il quale, non resistendo alla tentazione di comunicare una simil cosa a qualcuno, la grid in una buca che poi ricopr con cura. Attenzione superflua, dal momento che proprio l sorse un canneto e si incaric il vento della sera passando fra le canne a far risuonare quelle parole in modo che le intese il mondo intero. Ora, non questa una semplice degradazione novellistica del mito - peraltro splendidamente narrata da Ovidio - ma che ormai lontana dai nostri temi? In parte ci vero, ma due parole vanno ancora dette, soprattutto su re Mida, e naturalmente tenendo conto non tanto della narrazione cos come , quanto dei motivi che si intravvedono nel suo interno. Anzitutto egli ci riporta in modo nettissimo sul versante dionisiaco. Mida un re frigio, e si guadagna da Dioniso linsano merito di trasformare in oro tutto ci che tocca come premio per aver ritrovato Sileno, maestro del dio, perdutosi ubriaco nei boschi. Per essere guarito da quella che pi che come premio si presentava come condanna si immerge, sempre su suggerimento di Dioniso, nellacqua. In vari modi e probabilmente in vari sensi lelemento acquoreo in queste storie presente ovunque. Cos come presente latmosfera agreste. Mida si aggira in campagna e tra i boschi, e perci diventa adoratore di Pan che ha la sua dimora negli antri dei monti. E diventa spettatore della sfida di Pan ad Apollo (XI,153): Qui Pan, un giorno che, vantando alle tenere ninfe i propri zufolii (sibila), modulava lievemente sulle canne incerate una canzone, os spregiare, a suo paragone, la musica di Apollo, e cos giunse, avendo giudice Tmolo, ad unimpari gara.
[Tmolo una montagna divina, che poteva prendere forma umana, localizzata in Lidia o in Frigia]

Nellillustrazione cinquecentesca che segue le scene sono due, da intendere come temporalmente separate. Sulla sinistra estrema vi Re Mida che ascolta Pan suonare un grosso flauto a canne, mentre Apollo gli sta dietro le spalle con la lira in mano. In realt con lira qui non si deve intendere lo strumento greco, ma lo strumento a corde ed arco che allora veniva chiamato cos. Sulla destra vi il momento della prova di Apollo, con Pan e Mida seduti insieme a Tmolo, il giudice della gara. Lalbero al centro fa da separatore temporale delle due scene. 199

A. Boecklin, Pan

Il resto lo abbiamo gi raccontato. Ma non c proprio nulla da dire sul finale sia per ci concerne lazione del servo sia per le orecchie dasino del re? Io credo che, bench tutto si possa rivolgere in farsa, i motivi che vi compaiono appartengono ancora a Siringa, ovvero al flauto di Pan. E quindi hanno dei richiami interni che la semplice narrazione non rende evidenti. Intanto il servo va evidentemente a scavare la buca presso un fiume, se in breve sorge un canneto. E queste canne sono canne cantanti. Tuttavia la cosa, credo, pi interessante , a mio avviso, uninterpretazione diversa delle orecchie dasino da quella solita, o da quella che comunque si sarebbe tentati di dare. Sembra infatti che Apollo voglia soltanto denunciare la sordit alla musica del re e io penso che tutti siano subito propensi a questo tipo di spiegazione. Io sono di diverso avviso. Il re Mida, che aveva avuto Orfeo tra i suoi maestri, ha fatto una scelta musicale. Ha mostrato di non appartenere al mondo di Apollo - e le sue orecchie dasino sono il segno di un inizio di un viaggio verso il mondo di Dioniso e di Pan, i cui personaggi sono caratterizzati da tratti zoomorfi. Anche questo finale ha dunque, a mio parere, un senso musicale.

Pan si esibisce di fronte ad Apollo, Ermes e tre ninfe (Atene, Acropoli) 201

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2.7 Orfeo
2.7.1 La lira di Orfeo 2.7.2 La morte di Orfeo Annotazione sulla morte di Orfeo secondo Picasso

Jean Cocteau 1960 Orpheus

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2.7.1 La lira di Orfeo


I racconti mitici relativi ad Orfeo hanno attraversato tutta la cultura europea, sia nella pittura come nella musica, ed essi possono concludere anche questa parte del nostro album dedicato agli strumenti musicali nellimmaginazione mitica per il fatto che Orfeo rappresenta esemplarmente il duplice orizzonte di senso, lorizzonte dello splendore della luce e del giorno e quello delloscurit e della notte, con lintera area di sensi che sta dentro questi orizzonti. Orfeo la figura mitica inventata dai Greci per dare un volto alla grande contraddizione, al paradosso della polarit e dellunit tra i due poli... Orfeo non il pacificatore di Apollo e Dioniso: esprime la loro unione e perisce straziato dalla loro lotta (Colli, 1990, pp. 38-39). Sia nella documentazione letteraria sia in quella grafico-pittorica Orfeo sempre rappresentato come suonatore della lira. Questo lo fa associare ad Apollo che, secondo i racconti , gli don la lira ricevuta da Ermes. Talora viene detto anche figlio del dio - e ci ne rafforzerebbe il legame. Ma, secondo altri racconti, padre di Orfeo sarebbe invece Eagro, presunto re della Tracia (Pindaro, fr. 139, Colli, 1990, p.121 cfr). Ecco linizio di una sorta di contraddizione: Orfeo proviene dalla Tracia, una regione non greca, in Egitto venne iniziato ai misteri di Dioniso che egli introdusse in Grecia. E tuttavia vale come figlio di Apollo che gli ha donata la sua famosa lira e che lo ha 204

fatto educare nellarte del canto e della lira dalle muse (Roch, 2004) p. 141). I riferimenti alla Tracia nel caso di Orfeo sono del resto piuttosto numerosi. Cos Euripide (Alcesti 962-972 cit. in Colli, 1990, p. 131) parla delle tavolette lignee di Tracia che la voce di Orfeo riemp di scritti. Ed ancora in Euripide la stessa lira di Orfeo viene definitica asiatica di Tracia (Colli, 1990, p.135). Nellimmagine gli ascoltatori di Orfeo sono guerrieri traci, che venivano dipinti con caratteristici copricapi.

Quando risuona la lira di Orfeo (Colli, 1990, p. 119), uccelli innumerevoli si libravano a volo sopra il suo capo, e diritti dallacqua turchina balzavano in alto i pesci per il canto bello. E si acquetavano nellascolto gli animali pi feroci. Questa la caratterizzazione pi nota delle straordinarie capacit di Orfeo: naturalmente essa ha soprattutto il senso di un elogio del fascino ammaliatore della musica. Nellillu205

strazione quattrocentesca (a sinistra in basso) la lira, come accade abbastanza spesso, la la lira da braccio rinascimentale, uno strumento che poteva essere suonato sia a pizzico che con larco. Il nome naturalmente genera lequivoco presente molto spesso anche in rapporto ad Apollo, come si gi notato (a questo equivoco Winternitz, 1982, dedica uninteressante appendice, pp. 263 sgg.).

W. Baur (Vienna 1703)

Albert Cuyp, 1640

Anonimo, Ill. per Ovidio, X, 86-106, Venezia 1497

Briton Rivire, 1784

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Persino gli alberi si spostano per fare ombra ad Orfeo e per ascoltarlo, secondo la narrazione di Ovidio (X, 86 sgg.). Cera un colle, e sul colle una radura pianeggiante che germogli derba coprivano di verde. Non cera ombra in quel luogo, ma quando il divino poeta vi venne a sedere e trasse dalla lira un accordo, lombra l si diffuse: apparve lalbero della Caonia, e con quello il bosco delle Eliadi, il rovere svettante, i tigli flessuosi, il faggio, il vergine alloro, le fragili avellane, il frassino che serve per le lance, labete senza nodi, il leccio appesantito dalle ghiande, il platano fastoso, lacero di diversi colori, e insieme a loro i salici di fiume, il loto dacqua, il bosso sempreverde, le tenere tamerici, il mirto di due colori e il timo con le sue bacche azzurre. E voi pure veniste, edere dalle radici aggrovigliate, e le viti piene di pampini, gli olmi avviluppati di viti, e ornielli, pcee, corbezzoli carichi di frutti rosseggianti, tranquille palme che si danno in premio ai vincitori, e il pino che si erge con la sua chioma arruffata raccolta in cima...

Piante, animali, natura. Questo evoca la lira di Orfeo - e questa partecipazione allelemento naturale ci rammenta, non certo il mondo di Dioniso, ma forse quello di Pan. Non so se Giovanni Bellini nellinserire insieme ad Orfeo un fauno con zampe di capro sia stato mosso da questo pensiero. Egli dialoga con Eco - in fin dei conti anchessa una divinit musicale che appartiene alla natura.
Giovanni Bellini (attrib), Orfeo, Circe, Pan, Eco, 1510 -Washington, Nat. Gallery

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In atmosfera idilliaca e pastorale viene narrato anche lincontro damore di Orfeo con Euridice. Ma si tratta di un idillio che in prossimit della tragedia, di un amore e di una musica che deve incontrare la morte. Al di l dellaspetto narrativo, ecco presentarsi le figure di questa inquietudine, che dal mondo campestre dove vivono animali, piante e fiori, fanno subito intravvedere mondi oscuri. Ecco il serpente - e la morte dellamata Euridice. Orfeo varca allora la soglia che conduce al regno dei morti, dialoga con gli dei che lo dominano. Il punto importante che egli lo possa fare, che a lui questo dialogo sia concesso.

Virgil Solis, illustrazione per le Metamorfosi di Ovidio (sec. XVI)

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Certo, ancora il fascino ammaliatore della musica che domina - e che rende estatici gli abitanti del mondo della notte. Ogni ostacolo superato con la forza incantatrice della sua lira. Per quanto riguarda lo sviluppo della storia non bisogna indulgere con i possibili lieto fine che poeti e musicisti attribuirono ad essa. Euridice muore veramente e definitivamente, e per uno sguardo damore.

Friedrich Rehberg (1810)

W. Baur (1703)

A. Scetta, Orfeo allinferno (1845)

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2.7.2 La morte di Orfeo

Tutta la storia di questo musico che per i Greci rappresentava la musica stessa - ed il suo simbolismo entrato profondamente nella nostra tradizione - si trova allinsegna della morte. Orfeo, tornato in Tracia, venne fatto a pezzi dalle Menadi. ancora Ovidio a descrivere la sua morte orrenda mettendone in risalto latrocit.

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Ormai la sconsiderata battaglia si fa furibonda, divampa sfrenata e su tutto regna la Erinni insensata. Il canto avrebbe potuto ammansire le armi, ma il clamore smisurato, gli auloi di Frigia uniti al corno grave, i timpani, gli strepiti e lurlo delle Baccanti sommersero il suono della cetra. E cos alla fine i sassi si arrossarono del sangue del poeta, che non si udiva pi. Per prima cosa le Mnadi fecero strage di tutti gli innumerevoli uccelli, ancora incantati dal canto di Orfeo, e dei serpenti, delle fiere che erano vanto del suo trionfo. Poi con le mani grondanti di sangue, contro lui si volsero, accalcandosi come uccelli che avvistano un rapace notturno disorientato dalla luce; e il poeta pareva il cervo condannato a morire allalba nellarena, preda dei cani che lassediano sul campo. Nel loro assalto gli scagliano contro i tirsi, virgulti di foglie non certo creati per questo. ...Alcune lanciano zolle, altre rami divelti dagli alberi, altre ancora pietre. E perch armi al loro furore non mancassero, alcuni buoi, col vomere affondato, aravano l quella terra, e non lontano, preparandosi con molto sudore il raccolto, muscolosi contadini vangavano le dure zolle; alla vista di quellorda, costoro fuggirono abbandonando i loro attrezzi: disseminati sui campi deserti rimasero cos sarchielli, rastrelli pesanti e lunghe zappe. Quelle forsennate se ne impossessarono e, fatti a pezzi i buoi, che le minacciavano con le corna, si gettarono a finire il poeta che, tendendo le braccia, per la prima volta parlava al vento e nulla, nulla pi ammaliava con la sua voce: come scellerate lo massacrarono, e da quella bocca, o Giove, ascoltata persino dai sassi e intesa dai sensi delle fiere, con lultimo respiro, lanima si disperse nel vento. 211

Ti piansero afflitti gli uccelli, Orfeo, ti piansero branchi di belve, le rocce immobili e le selve che un tempo seguivano il tuo canto: senza pi foglie, spogli, con la chioma rasa, gli alberi espressero il loro lutto; e si dice che anche i fiumi crebbero a furia di piangere, e che Naiadi e Driadi indossarono manti velati di nero, lasciando spiovere sciolti i loro capelli. La lira e le membra sparse di Orfeo finirono nel fiume Ebro ed iniziarono un viaggio lungo le acque entrando nellEgeo ed approdando a Lesbo - mentre la testa, smembrata dal corpo e appoggiata alla lira ancora emetteva un sussurrante canto: Disperse intorno giacciono le membra: capo e lira li accogliesti tu, Ebro; un prodigio: mentre fluttuano in mezzo alla corrente, la lira, non so come, flebile si lamenta, la lingua esanime mormora un flebile gemito e flebili rispondono le rive. Trasportati sino al mare, lasciano il fiume della loro patria per arenarsi a Metimna sulle coste di Lesbo...

Odilon Redon, Morte di Orfeo, 1905-10

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John William Waterhouse, 1900 213

Gustave Moreau,1865

Chiedersi perch le Menadi si scatenarono su Orfeo, una domanda che potrebbe suscitare perplessit, trattandosi di un mito. Ma non cos. Nel caso del mito non ci si interroga su cause o concatenazioni causali, ma su complessi di senso. Nel mito di Orfeo confluiscono elementi differenti e soprattutto affinit con altre storie: la discesa nellAde, ad esempio, lo accomuna ad Eracle ed a Dioniso - in particolare a questultimo: Dioniso scende nel mondo infero per sottrarre alla morte la madre Semele. Ed essa, a differenza di Euridice, ritorna sulla terra e diventa oggetto di culto come dea della rigenerazione. La morte e la lacerazione di Orfeo, daltra parte, un tema che riguarda anzitutto Dioniso (entrambi poi rammentano la vicenda del dio egiziano Osiride). Il mito racconta infatti che Dioniso fanciullo, sbranato dai Titani, rinasce poi a nuova vita. Su questi temi si addensano elementi che fanno parte della tradizione dei misteri orfici che proprio ad Orfeo si ricollega. Naturalmente non possiamo scavare tanto in profondit e del resto, per i nostri scopi, non nemmeno necessario. Va tuttavia almeno detto che le spiegazioni offerte da Ovidio fanno parte degli adattamenti narrativi. Orfeo, tornato in Tracia, sua terra dorigine, rest tanto legato al ricordo di Euridice da disprezzare le donne trace che vollero per questo vendicarsi... Ma a parte tutto, lo stesso Ovidio parla proprio di Menadi e di Baccanti, e queste non sono donne qualunque. Analogamente la punizione a cui Dioniso, sempre stando alla narrazione di Ovidio, sottopone le Baccanti, trasformandole in alberi, una sorta di equivalente di lieto fine, oltre ad essere a sua volta una metamorfosi, soddisfacendo lidea guida dellopera. Mentre la spiegazione di Ovidio risponde ad esigenze narrative, la singolare e inconsueta interpretazione che Platone nel Simposio d della discesa di Orfeo nellAde e della sua morte sembra una sorta di razionalizzazione di eventi inspiegabili: Gli dei onorano altamente la devozione e la virt a servizio dellamore - dice Platone. E aggiunge: Ma Orfeo figlio di Eagro lo rimandarono dallAde a mani vuote; gli mostrarono lombra della donna per la quale era disceso, senza dargliela, perch parve loro un debole, proprio come un citaredo, e non avesse lanimo... di morire per amore, ma che escogitasse ogni via per penetrare vivo nellAde. Appunto questa la ragione per cui lo punirono e gli fecero trovare morte per mano di donne... (Simposio, 179, d). 214

In questa interpretazione si resta colpiti dalla critica della debolezza di Orfeo: proprio come un citaredo. Platone dice ci a proposito di un suonatore dello strumento apollineo per eccellenza, gli attribuisce come suonatore della cetra quella mollezza che semmai andrebbe riferita ad un suonatore di barbitos o addirittura ad un auleta. Ci rappresenta un appiglio piuttosto forte per la lettura tutta musicale che Eckard Roch d della morte di Orfeo: egli avrebbe, nonostante tutto, portato nello stile della cetra proprio quella variet, quelle ornamentazioni, quei colori che erano tipici degli auleti abbandonando la severit dorica che Platone riteneva invece caratteristica dello strumento e desiderabile per la musica in genere. Tra queste novit che sarebbero state introdotte da Orfeo vi sarebbe dunque la frantumazione dellordine melodico, la frammentazione del discorso musicale. La vicenda della morte di Orfeo diventa cos una metafora musicale - come musicale , persino nella descrizione di Ovidio, il suo assassinio: egli avrebbe certamente potuto con la sua cetra ammansire non solo le belve feroci, ma anche le Menadi inferocite , ed infatti i primi colpi si infrangono contro il dolce suono dello strumento: persino un sasso, lanciato come proiettile mentre ancora vola, rimane estasiato dai soavi concenti, della voce e della lira, e cade dinanzi ai suoi piedi, quasi a chiedere perdono di quellardire folle (XI, 10-13). Ma timpani, tibie, auloi frigi, strepiti - e tutto questo baccano ancora musica - vincono il suono della lira, che infine soccombe. Ed a Orfeo spetta quello smembramento che simboleggia la frantumazione a cui egli ha sottoposto la musica stessa. Le Menadi si riappropriano di Orfeo e lo riconsegnano a Dioniso - tutta la vicenda metafora e rito: Bench Orfeo sia sacerdote di Apollo e la sua morte venga interpretata come come punizione o vendetta di Dioniso, tuttavia egli condivide il destino di Dioniso stesso. E proprio attraverso la sua morte Orfeo non non si trova in conflitto con Dioniso, ma in unit con lui (Roch, 2004, p. 145). Interpretazione assai suggestiva di cui ovviamente non possiamo garantire la verit. Lelemento metaforico lo abbiamo anche ritrovato nella disputa tra Marsia e Apollo - con cui la storia della morte di Orfeo ha qualche affinit: come la lira di Orfeo che sorregge il suo capo, anche laulos di Marsia, gettato nel fiume che porta il suo nome, arriva infine, attraversando lEgeo e passando da fiume a fiume, alla citt di Corinto dove viene conservato in un tempio. Il mito una fantasia sociale che ciascuno pu soggettivamente interpretare e proseguire, scoprendo nuovi nessi e dunque anche nuovi sensi. 215

Tuttavia alla base delle sue storie vi comunque la Storia, le sue vicende concrete, gli intrecci tra le culture che si I avvicendano. Nellinterpretazione or ora proposta Orfeo sembra essere anzitutto un musico apollineo, che si converte a Dioniso, anzi che si dissolve in Dioniso. Ci significa da un lato fare del mondo religioso olimpico, qualcosa che precede piuttosto che seguire la fase ctonia della cultura religiosa greca; dallaltro a rinunciare a quello che forse il tratto pi caratteristico di questa figura: quello di essere portatore e mediatore di entrambi i messaggi, di mostrare la loro convivenza nella musica e nella spiritualit greca in generale. Cosicch a me sembra che il modo diverso in cui viene raccontata la storia di Orfeo in un frammento dovuto ad Eratostene (III sec. a. C.), con riferimento ad una tragedia perduta di Eschilo (Le Bassaridi), suggerisca una spiegazione pi profonda Essendo disceso nellAde a causa della sua donna, e avendo visto come sono le cose di laggi, cess di onorare Dioniso, mentre consider come massimo tra gli dei Elios, che egli chiam anche Apollo. E svegliandosi di notte verso il mattino, per prima cosa sul monte detto Pangaion attendeva il sorgere del sole, per vedere Helios. Perci Dioniso,adirato, gli mand contro le Bassaridi [Menadi], come dice Eschilo, il poeta tragico: queste lo sbranarono e dispersero le sue membra, ogni parte del corpo separata dalle altre (Colli, 1990, p. 199). Vi sarebbe dunque un primo e fondamentale legame Dioniso-Orfeo che in qualche modo precede quello di OrfeoApollo. Sprofondando nelle tenebre Orfeo, il cui nome forse significa forse loscuro (Kernyi, cfr. 2004, p. 138), aspira alla luce. Lorfismo, la corrente religioso-filosofica che si ricollega a Orfeo, accentua i tratti notturni di questa figura, erigendo a principio divino di tutte le cose la Notte stessa (Colli, 1990, p. 205). Sarei quasi tentato di dire: la Notte che attende il giorno.

Annotazione sulla morte di Orfeo secondo Picasso


Nel 1930 Picasso si accinse ad illustrare le Metamorfosi di Ovidio. In particolare si sofferm sulla morte di Orfeo di cui realizz due versioni. La prima, particolarmente densa e drammatica, in cui il corpo di Orfeo giace riverso mentre le menadi che lo dilaniano. Sono visibili in essa anche particolari particolarmente brutali. Di essa tuttavia egli non fu soddisfatto e realizz una seconda versione, pi classicheggiante sia nella disposizione dellinsieme 216

sia nelle forme: le menadi che prima infierivano ora contemplano il corpo di Orfeo. Non pu sfuggire tuttavia un aspetto comune alluna ed allaltra versione. In entrambe presente la testa del toro - due teste nella prima, una nella seconda nella quale Orfeo giace abbandonato sul toro abbattuto. Per Picasso il toro divenne sempre pi immagine della vittima sacrificale.

Picasso, La morte di Orfeo (1930) 217

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3. I filosofi che cantano


3.1 Il volto di Pitagora 3.2 Vita di Pitagora 3.3 Acusmatici e matematici 3.4 Scienza e immaginazione 3.5 Chi Pitagora? 3.6 Pitagora e Apollo 3.7 Viaggi di Pitagora 3.8 I prodigi di Pitagora 3.9 I filosofi che cantano
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3.1. Il volto di Pitagora


Dopo uno sguardo sommario ai principali strumenti impiegati nella musica greca ed alle fantasie che stanno loro intorno, ci avviciniamo ai problemi della teoria greca della musica. Ma a piccoli passi - a poco a poco. Avviandoci a parlare di Pitagora e del pitagorismo in genere, restiamo per un buon tratto se non nel mito, nella leggenda; ed anzi molto spesso abbiamo la sensazione di essere ancora interamente immersi nel mito. Questo non vuol dire che vi siano ragioni serie per dubitare della esistenza reale della figura di Pitagora. Siamo in grado ad esempio di indicare una cronologia che resta, come ovvio, molto indeterminata per quanto riguarda le date, ma abbastanza sicura per quanto riguarda i periodi ed alcuni luoghi. Vi anche una fisionomia tramandata attraverso sculture sulla quale naturalmente non si pu mettere la mano sul fuoco - ma che possono essere considerate come copie di altre molto arcaiche. Non sembra ragionevole escludere in linea di principio la somiglianza con la persona rappresentata (ammesso che sia esistita). In seguito ovviamente questi "ritratti" diventano modelli che possono essere iterati, ed anche variati mantenendo elementi di somiglianza con il modello.

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Nella scultura precedente - conservata ai Musei Capitolini di Roma - Pitagora viene ritratto con un singolare copricapo. Attiro lattenzione su questo punto perch stata recentemente formulata uninteressante ipotesi dallarcheologo Daniele Castrizio, che riguarda il confronto tra la scultura precedente ed il ritratto bronzeo presente nel Museo di Reggio Calabria gi caratterizzato come ritratto di filosofo per via di un reperto ad esso associato di un corto mantello che era in Grecia portato in particolare da letterati e filosofi.

Il ritratto del cosiddetto filosofo dal relitto di Porticello (Reggio Calabria)

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Daniele Castrizio ha recentemente sostenuto che che questo notevole ritratto bronzeo potrebbe essere effettivamente il ritratto di un filosofo, e precisamente di Pitagora. In questa ipotesi il copricapo assolve una notevole funzione. In breve: il copricapo un turbante che segnala i viaggi pitagorei in particolare in Egitto e presso gli arabi. Il bronzo di Reggio provvisto di turbante ci riporta direttamente al volto considerato ai Musei Capitolini.

Daniele Castrizio ha avuto la cortesia di mettere a disposizione un video in cui egli spiega a viva voce le proprie tesi documentandole ovviamente con una maggiore ricchezza di particolari rispetto alla nostra breve sintesi - cosicch possibile su questo punto fare riferimento diretto al video : Il filosofo di Porticello. Il ritratto di Pitagora di Samo? (http://www.youtube.com/watch?v=k-c_JhvLYRc)

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Vi sono anche dei motivi storicamente concreti a suggerire che possa trattarsi del ritratto di Pitagora poich la citt di Reggio Calabria aveva ospitato i pitagorici scacciati da Crotone intorno alla met del secolo V. Si spiegherebbe cos la presenza a Reggio di una statua di Pitagora che divenne parte (sempre secondo l'ipotesi di Castrizio) del bottino di guerra di Dionisio I di Siracusa dopo la presa di Reggio del 386 a. C. e trasportato su una nave affondata nello stretto in quel torno di tempo. Eccoci dunque faccia a faccia con Pitagora! Bisogna ammettere che un po singolare pretendere di presentare quasi in carne ed ossa il filosofo dopo aver premesso che la sua storia sconfina nella leggenda e nel mito. Ma in fondo trovo attraente, proprio in questo caso, lillusione della massima realt e vicinanza che un ritratto pu offrire, quasi per sottolineare un paradosso in cui ci imbattiamo fin dallinizio e che vogliamo accettare di buon grado come un annuncio che di qui in avanti la nostra strada potr essere assai scivolosa

3.2. Vita di Pitagora


Che io sappia, nessuno ha mai messo in dubbio l'esistenza storica di Pitagora. Di lui sappiamo alcune cose che sembrano bene assodate. Pitagora nacque nel VI secolo nell'isola di Samo - in prossimit delle citt ioniche di Mileto e di Efeso. Rammento che Mileto era patria di Talete (VII sec. a. C.) e di Anassimandro (VI sec.) ed Efeso era patria di Eraclito (VI sec.). 224

C' anche chi azzarda per Pitagora una data di nascita nel 570 a. C.; in ogni caso intorno al 530, egli era ormai a capo di una scuola fiorente ed in pieno sviluppo sviluppo in Magna Grecia, sulla costa del Mar Ionio, nel Tarentino, ed in particolare a Crotone, Metaponto e Taranto. Si narra anche di numerosi viaggi di Pitagora in Egitto e in Babilonia. Sulla realt di questi viaggi si pu ampiamente dubitare per il fatto che fa parte dell'idea stessa del sapere di queste epoche arcaiche di proporre le conoscenze acquisite come provenienti di lontano - e per la Grecia in particolare dalla pi antica civilt egizia e assiro-babilonese. Da questo riconoscimento le conoscenze stesse ottenevano un lustro e una dignit pi grande. Tuttavia certo la cultura greca in genere entr in rapporto sia con le civilt mediterranee che con quelle orientali in misura molto ampia, e che di qui trasse conoscenze, usanze ed anche credenze religiose e pratiche di culto. I viaggi di Pitagora, reali o immaginari, sono in ogni caso una sorta di riflesso immaginativo dell'intensit di questi rapporti. Il trasferimento di Pitagora in Italia vi fu veramente, bench sia anch'esso circondato da leggende. Probabilmente questo trasferimento fu dovuto sia alla situazione politica dell'isola di Samo dopo la presa del potere del tiranno Policrate sia allo scarso successo delle dottrine pitagoriche in madrepatria. La grande diffusione del pitagorismo in Magna Grecia attestata da moltissime fonti e documentazioni di vario genere. noto poi che il pitagorismo assunse in Magna Grecia non solo il carattere di una setta filosofica e religiosa, ma anche di una setta che mirava al controllo politico delle citt per lo pi in connessione con gli strati aristocratici della popolazione. In realt ci non significa che i pitagorici imponessero i propri principi etico-morali alle popolazioni. La setta aveva infatti un carattere rigorosamente chiuso, e di conseguenza all'osservanza dei principi (che riguardavano molti aspetti anche della vita pratica) erano tenuti soltanto i membri effettivi della setta. A creare conflitti con la popolazione furono piuttosto i loro legami con le aristocrazie cittadine. Questa alleanza cost loro piuttosto cara quando intervennero ri225

volte popolari anti-oligarchiche. In effetti tra i dati storicamente certi vi anche la cacciata dei pitagorici a causa di rivolte popolari da tutte le citt in cui detenevano in tutto o in parte il potere. Si rammenta soprattutto la rivolta antipitagorica di Crotone, con l'episodio culminante dell'incendio del palazzo delle riunioni dei pitagorici, e che provoc una carneficina di filosofi. Questo episodio viene talora situato intorno alla met del V secolo, ed incerto se Pitagora mor prima dell'incendio o dopo di esso (la data di morte talora viene proposta intorno al 490 a. C.). Queste vicende posero fine all'epoca pi strettamente settaria del pitagorismo. I sopravvissuti abbandonarono in gran parte, almeno temporaneamente, la Magna Grecia e ci consent il loro ritorno in Grecia e l'intreccio con le altre dottrine, in particolare con il platonismo. Le influenze pitagoriche in Platone sono numerosissime, e l'ultima filosofia di Platone, che va sotto il nome di teoria delle idee-numero, sicuramente elaborata sotto il fascino del pitagorismo. Questa era gi lopinione di Aristotele: Platone in molte dottrine segu i pitagorici, ma altre ne ebbe sue proprie e lontane dalla filosofia italica... Platone si limit a cambiare il nome, poich i Pitagorici dicono che le cose esistono per imitazione dei numeri, ma Platone per partecipazione alla natura dei numeri (Metafisica, VI, 6, 987 b). C' peraltro chi sostiene con buon fondamento che molte teorie attribuite al pitagorismo antico siano state invece elaborate all'interno dell'ambiente platonico. certo in ogni caso che il platonismo ha fortemente contribuito a fornire un'immagine del pitagorismo che piuttosto lontana dal pitagorismo delle origini.

Area di influenza dellantico pitagorismo (da Riedweg, 2005)

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3.3. Acusmatici e matematici


Le storie leggendarie intorno a Pitagora ed al pitagorismo si sono sicuramente affermate gi all'epoca del pitagorismo pi antico, favorite peraltro dal fatto che che il pitagorismo aveva anche carattere religioso. Pitagora era a capo di una setta di cui egli era il gran sacerdote. A lui spettava una autorit di principio. La frase "lo ha detto lui" - l'ipse dixit dei latini, che normalmente viene riferita ad Aristotele, fu in realt coniata dai pitagorici con riferimento a Pitagora. In quella frase sicuramente implicato il riconoscimento di un magisterio di sapore sacerdotale. In questo contesto settario vanno considerati gli aspetti iniziatici del pitagorismo, che implicano un "sapere" riservato agli adepti ed anche, come in ogni pratica di iniziazione, dei gradi che dovevano essere superati per addentrarsi sempre pi nella dottrina. Si tramanda che Pitagora insegnasse dietro una tenda, e che al di l della tenda fossero ammessi solo gli adepti per cos dire di grado superiore, che avevano gi compiuto una gran parte dell'itinerario di iniziazione. I pi giovani affiliati erano tenuti fuori dalla tenda, cosicch potevano sentire solo la voce di Pitagora, ma non il suo volto. Gli uni e gli altri erano comunque tenuti al segreto sulle conoscenze acquisite nell'insegnamento del maestro. Fra le pratiche per essere ammessi dietro la tenda vi era anche un "quinquennio di silenzio" (Giamblico, 1991, p. 237 e p. 205). Al problema dell'ascolto anche connessa un'altra importante espressione - quella di acusma e di acusmatici che non sembra avere a che fare con le pratiche di iniziazione, ma piuttosto con l'evoluzione della stessa scuola pitagorica. Il termine di acusma significa "ci che viene ascoltato" e acusmatici possono essere detti "coloro che tendono l'orecchio per ascoltare" o pi breve "coloro che ascoltano". L'ascolto fuori dalla tenda da un lato pu essere inteso come un'enfatizzazione del puro ascolto delle parole dette e del loro significato. Tuttavia impedendo la visione di colui che parla, e quindi precludendo la vista della provenienza del suono della parola, oggetto dell'enfasi diventa anche il suono della parola come tale, e non solo il suo significato. Cosicch non escluso un riferimento musicale indiretto. In certo senso viene messa in opera una regola immaginativa che stabilisce connessioni ex contrario: in questo caso si tratta del legame tra musica e cecit. Il poeta Omero era cieco, non perch poeta, 227

ma anzitutto perch cantore. In tempi abbastanza recenti, intorno agli anni sessanta del secolo scorso, il termine di acusma stato ripreso da un teorico dell'avanguardia musicale, R. Schaeffer, all'interno di un libro il cui titolo gi indicativo del suo contenuto: Trait des objetx musicaux. In esso si tentava, si fronte alla larga sperimentazione del suono della musica novecentesca dopo gli anni cinquanta, di operare una sorta di tipologia sistematica degli "oggetti musicali". La premessa di questa tipologia quello che Schaeffer, con terminologia fenomenologica, chiama "ascolto ridotto", cio ascolto liberato dai suoi riferimenti a dati estranei al suono stesso, all'acusma come tale. Questa interpretazione assai seducente, e forse non troppo infedele allo spirito del pitagorismo: l'enfasi sull'ascolto indubbiamente uno dei suoi tratti caratteristici. Talora i membri erano chiamati homakoi, ovvero 'coloro che vengono insieme per ascoltare' e la sala in cui si tengono le loro assemblee viene detta homakoeion, ovvero 'luogo per ascoltare insieme' (Kahn, 1901, p. 8). Tuttavia non mi sembra si trovino passi molto netti che riferiscano il termine di "acusmatico" proprio a questa enfasi. possibile che la parola acusmatico avesse pi di un senso ovvero che ai tempi della tradizione pi tarda il suo significato originario fosse diventato malsicuro. Talora questo termine serve a contraddistinguere i puri "uditori" dai "filosofi" che sono propriamente seguaci di Pitagora e disposti a vivere in comune secondo i suoi precetti (Giamblico 1991, p. 149). Ma pi spesso con acusmatici si intendono al contrario proprio coloro che decidono di aderire in toto alla dottrina pitagorica e precisamente coloro che si ritenevano i seguaci pi fedeli dell'insegnamento orale di Pitagora, e che dunque facevano esclusivo riferimento a quelli che venivano considerati i "detti" originari di Pitagora, gli "acusmata" - cio le cose dette e ascoltate. Una parola talora usata come equivalente ad acusma era symbolon - termine probabilmente dovuto al fatto che il detto memorabile aveva forma di allegoria che doveva essere interpretata. La pi antica forma di trasmissione degli insegnamenti di Pitagora rappresentata dagli acusmata, che erano anche chiamati symbola, massime e detti trasmessi oralmente (Burkert, p. 166). Il parlare per "simboli" sembra essere direttamente connesso con l'idea che i detti dovevano rimanere rigorosamente segreti e non comunicati al di fuori della setta. Agli "acusmatici" si contrapponevano i pitagorici che vengono chiamati "matematici". La distinzione pi probabile tra gli uni e gli altri era di due ordini: i primi certamente davano la preferenza ai motivi morali, oltre appunto a ritenersi depositari della dottrina autentica; i secondi invece ponevano l'accento sui motivi scientifici e conoscitivi, e in particolare erano favorevoli alla divulgazione delle conoscenze pitagoriche. L'incontro di Platone con il pitagorismo avviene naturalmente in rapporto alla fase evolutiva caratterizzata dai "matematici". La figura di Pitagora si prestava fin dallinizio alle fabulazioni e la sua storia mitico-leggendaria, anzich diventare pi fievole, si and sempre pi arricchendo nella lunga vicenda dellesperienza pitagorica che va ben oltre la grecit, attraversa il medioevo e il rinascimento fino a lambire i giorni nostri. 228

3.4 Scienza e immaginazione


Questi aspetti vennero certamente accentuati e favoriti dallimpiego di figurazioni simboliche, di emblemi, di parole e segni che si rivestivano di molteplici sensi e che hanno costituito anche una parte del fascino del pitagorismo, sia ai suoi tempi sia per tutta la sua lunga storia. Il pensiero pitagorico un pensiero immaginifico, e questo tanto pi singolare quanto pi ad esso si debbono i primi arditi pensieri sulla struttura matematica della realt, le prime audacissime ipotesi astronomiche sulla forma della terra e sulla natura delluniverso. Gli storici della filosofia e della scienza hanno spesso separato nettamente questo aspetto simbolico-immaginifico dalle ricerche che possono essere annoverate pi motivatamente allambito dellaritmetica e della geometria. Ci naturalmente del tutto giustificato; ma sarebbe erroneo ritenere che lelemento immaginativo non abbia nulla a che fare con latteggiamento conoscitivo e che il compito dello storico sia unicamente quello di separare il grano dal loglio, e non invece quello di comprendere il senso di questa singolare mistura di fantasie e di conoscenza. Una riflessione sul pitagorismo ha anche il senso di richiamare lattenzione sullesemplarit della vicenda pitagorica proprio per il fatto che essa mostra uninterazione tra cose apparentemente tanto diverse come la ricerca astratta intorno alle forme numeriche e geometriche, losservazione empirica e limmaginazione simbolica. Credo perci che sia da considerare eccessiva e unilaterale, e determinata da un pregiudizio teorico, la tesi sostenuta da Burkert nel suo studio sul pitagorismo intitolato nella traduzione inglese Lore and Science in the Ancient Pythagorism (Burkert, 1972) e nelledizione tedesca di una decina di anni prima Weisheit und Wissenschaft. Studien zur Pythagoras, Philolaos una Platon (Nurnberg, 1962) nel quale si fa una netta distinzione tra una direzione magiconumerologica a sfondo religioso che sarebbe propria del pitagorismo, escludendo interessi scientifici e matematici da questa corrente filosofica, e la direzione scientifico-matematica vera e propria e ponendo tra luna e laltra una netta cesura. Gi nella prefazione del 1962 Burkert enuncia brevemente e con chiarezza la sua tesi affermando: In quel periodo crepuscolare tra il vecchio e il nuovo, quando i greci, impegnati in unimpresa storicamente unica, andavano alla scoperta dellinterpretazione razionale del mondo e della scienza naturale quantitativa, Pitagora rappresenta non lorigine del nuovo, ma la sopravvivenza o la reviviscenza dellantica tradizione prescientifica, basata su autorit sovrumane ed espressa in obblighi rituali... Ci che fu in seguito considerato come filosofia di Pitagora ha le sue radici nella scuola di Platone. 229

Questa prospettiva di discorso secondo cui il sapere pitagorico sarebbe essenzialmente di carattere prescientifico e tipico di una setta religiosa a mio avviso ormai del tutto superata, anche se ha dato a suo tempo nuovo impulso agli studi del pitagorismo ed ha consentito di mostrare la difficolt, del resto evidente, di delimitare con chiarezza il pensiero pitagorico soprattutto nel suo sviluppo temporale. Del resto molto presto anche estimatori del lavoro di Burkert come Carl Huffman (1988) sono nettamente critici su aspetti di rilievo. Nel senso di una limitazione delle tesi di Burkert si esprime pi recentemente anche Kahn quando scrive che il caso parallelo di Empedocle mostra che il ruolo duplice di profeta religioso e di filosofo matematico che la tradizione assegna a Pitagora storicamente possibile oltre che fattualmente corretto(2001, p. 18). Si tratta di unosservazione quanto mai pertinente. Ma ancora troppo poco. In realt, a parte il problema storico, vi , a mio avviso, anche un pregiudizio teorico che si manifesta apertamente nel titolo: si tratta della contrapposizione tra Wissenschaft/Science e Weisheit/Lore (intesa non come un sapere, ma come una sapienza sacerdotale e tradizionale, oralmente tramandata pi legata alla tradizione religiosa che alla riflessione filosofica). La guida teorica che orienta limpostazione del Burkert quello della pretesa purezza della ragione dominante nel pensiero scientifico rispetto agli elementi spuri che hanno unorigine nellimmaginazione e che vengono via via messi da parte dalla victory of rational science. invece proprio questa opposizione che ha fatto il suo tempo: essa una opposizione vetero-neopositivistica che era gi molto invecchiata negli anni in cui Burkert scriveva la sua opera. La sua tesi del resto ampiamente anticipata in piena ra positivistica da Zeller. Lepistemologia dei nostri giorni invece diventata sempre pi consapevole delle vie traverse che il pensiero segue nei propri complessi percorsi conoscitivi. Ci non significa per nulla giustificare labuso degli aspetti immaginifici che ha colpito in particolare il pitagorismo e che gli ha nociuto non poco. Il simbolismo pitagorico in effetti passato attraverso tutte le sette pi o meno esoteriche e lo potete trovare nella sua massima degradazione persino presso maghi e fattucchieri di periferia dei giorni nostri. Questa degradazione presente del resto anche in tentativi relativamente recenti di rinnovare lo spirito del pitagorismo riprendendone le valenze religiose e simboliche pretendendo (senza riuscirvi) di mantenere un alto profilo culturale. Lelemento simbolico-immaginativo, nettamente separato dagli interessi e dalla forma mentis che erano intrecciati alle sue origini, diventa del tutto privo di interesse.

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3.5 Chi Pitagora?


In precedenza abbiamo in qualche modo risposto con i pochi elementi relativamente sicuri alla domanda: "Chi Pitagora?" Ora interessante notare che questa stessa frase, e proprio in forma interrogativa, faceva parte dei detti del repertorio del pitagorismo, era essa stessa un "simbolo" nel senso che abbiamo illustrato, intendeva cio suggerire la presenza di un enigma, a cui era difficile dare una risposta. Siamo allora tentati di riproporre quella stessa domanda proprio come se fosse un enigma pitagorico - e le nostre risposte questa volta si rifaranno alla leggenda. Vi uno straordinario aforisma di Stanislaw Jerzy Lec, autore fatto conoscere in Italia da Guido Davide Neri, che merita di essere riferito proprio a questo punto: "La storia non lo dice, ma la leggenda parla chiaro" (Lec, 1965). Forse, guidati da questo "pensiero proibito", non risponderemo esattamente alla domanda "Chi Pitagora" - che del resto forse in se stessa meno importante di quanto si potrebbe pensare. Non sappiamo chi fosse Pitagora, ma sappiamo molte cose sul modo in cui questo personaggio venne sentito, vissuto e costruito. Questa costruzione a sua volta non solo artificio, ci potrebbe insegnare molte cose, esattamente come molte cose in grado di insegnarci la narrazione mitica che abbiamo sviluppato in precedenza. 231

Per questi nostri intenti attuali possiamo contare su un testo per molti versi straordinario, una sorta di romanzo filosofico che si legge tutto d'un fiato, la Vita pitagorica di Giamblico (Giamblico, 1991).

Giamblico fu allievo di Porfirio, anch'egli autore di una Vita di Pitagora, e pu essere considerato un felicissimo rappresentante del connubbio tra pitagorismo e neoplatonismo. Fond una scuola filosofica ad Apamea in Siria, dove mor intorno al 330 e venne seppellito a Palmira, in un torre tombale che porta ancora il suo nome. Essendo vissuto tra il III e IV secolo dopo Cristo (ca. 245 C.E.- ca. 330), Giamblico quindi scrive dal pi al meno novecento anni dopo la nascita di Pitagora. Egli, filosofo neoplatonico, si professava al tempo stesso pitagorico ed ha dedicato numerosi scritti ad esporre le dottrine filosofiche dei pitagorici. 232

In questa Vita tuttavia si concede un'esposizione della biografia immaginaria di Pitagora, e pi ampiamente delle dottrine soprattutto morali di Pitagora e dei Pitagorici e dei loro costumi. Ben poco viene invece dedicato alla teoria della conoscenza, all'aritmetica dei pitagorici di cui Giamblico si era occupato a fondo in altre opere. Non si tratta tuttavia di un'opera ingenua o vuotamente apologetica. Al contrario notevole il fatto che si avverta in Giamblico il pericolo di un pitagorismo di bassa lega, che cos spesso si accompagnato alla tradizione pitagorica. Evitiamo di attribuire alcuna importanza - osserva Giamblico alla fine del proemio della Vita pitagorica - al fatto che questa scuola di pensiero ormai da molto tempo nell'abbandono, ammantata di dottrine strane e simboli arcani, su di essa gettano ombra una quantit di scritti apocrifi e infine molte altre difficolt rendono arduo l'accedervi (Giamblico, 1991, p. 119). Giamblico avverte in altri termini che lattenzione pitagorica allambito dei simboli e degli emblemi, gli aspetti sacrali ed anche vagamente magici che sono presenti nel pitagorismo, si prestano facilmente a manomissioni ed abusi. Questo un giudizio molto acuto che riguarda lintera tradizione pitagorica. Quando Giamblico parlava di testi apocrifi, non pensava certo alla difesa di una possibile ortodossia, mentre intendeva mettere in guardia contro lutilizzo di idee pitagoriche allinterno di contesti ciarlataneschi. Egli un pitagorico assai sorvegliato sia nellesposizione delle dottrine pitagoriche che fa soprattutto in altri testi ed in cui 233

certamente molto difficile distinguere ci che appartiene al pitagorismo delle origini e ci che invece il frutto di una elaborazione molto pi tarda, sia in questa Vita pitagorica sicuramente destinata ad un pubblico pi generico rispetto ai libri propriamente dottrinari, cosicch, egli non intende rinunciare al lato esplicitamente immaginario del storie che va raccontando.

Tomba di Giamblico a Palmira


1999 - 2001 Fausto Gabrielli - Dipartimento di Scienze Archeologiche - Pisa. Si ringrazia il prof. Fausto Gabrielli per l'autorizzazione all'impiego di questa fotografia. Essa si trova in: SIRIA 98, IMMAGINI NEL TEMPO [http://www.arch.unipi.it/Siria_98/foto_siriacentro.html]

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3.6 Pitagora ed Apollo


Abbiamo detto: Pitagora nasce nel VI secolo, e possiamo azzardarci a indicare la data di nascita intorno al 570 a. C. Ma sappiamo anche (e da questo punto in poi questo "sappiamo" ha un senso del tutto particolare) che egli era figlio di Mnemarco e Pitaide. E che mai? Dovremmo forse ricordarci anche dei nomi dei genitori di Pitagora? Forse si. Almeno di Pitaide. Perch nel suo nome vi una presenza misteriosa. Ci rammentiamo allora di Pitone e dell'oracolo delfico. C' insomma chi sussurra che Pitagora non fosse affatto figlio di Mnemarco, ma di Apollo stesso, congiuntosi segretamente, come tanto spesso fanno gli dei greci, con una fanciulla. Il che inammissibile - commenta Giamblico. Ma egli, a sua volta, traduce la storia in modo che venga saldamente mantenuto il rapporto con Apollo. Di fatto Mnemarco venne a sapere della moglie incinta, che peraltro fino a quel momento non si chiamava affatto Pitaide, durante una visita all'oracolo delfico. Ed allora in onore di Apollo volle che la moglie ricevesse quel nome - Pitaide, appunto - a memoria di una tanto felice occasione. Ci che secondo Giamblico rende inammissibile tutta la storia il fatto che Apollo, dopo aver messo incinta la moglie di Mnemarco, faccia avvertire costui attraverso l'oracolo. Questo sarebbe proprio indegno di un dio. L'episodio viene cos laicizzato, ma resta il punto essenziale. Pitagora comunque "figlio di Apollo" - sia pure in chiave metaforica. E precisamente dell'Apollo Pizio. Ma allora anche il suo stesso nome ci colpisce: non meno che nel nome di Pitaide, anche in quello di Pitagora vi il ricordo di Delfo e del Pitone. Ecco un bel modo di narrare della nascita, ben diverso dal dire semplicemente: 570 a. C. In realt in questo primo passo vediamo subito in opera, in Giamblico, una tipica procedura pitagorica - un'enfasi sugli etimi, anzi sui falsi etimi, che diventano ipersignificanti. Questa una procedura frequentissima che compare anche nelle discussioni dottrinali. In questo caso essa posta al servizio dell'istituzione di un'importante relazione. Ricollegandoci ai nostri discorsi precedenti: Pitagora si trova sul versante di Apollo. Egli, se suoner, si ri235

volger alla lira ed alla cetra; e la dottrina che svilupper sar tendente alla chiarezza luminosa di Apollo. Aristide Quintiliano che ripropone, in rapporto a Pitagora, il tema dellopposizione tra istintualit e razionalit in rapporto agli strumenti fondamentali della musica greca: Questo era dunque il senso dellammonimento che si dice Pitagora abbia detto ai suoi discepoli: che se essi avessere ascoltato gli auloi avrebbero dovuti lavarsi le orecchie perch il loro alito li aveva insozzate: avrebbero dunque dovuto usare melodie di buon auspicio cantate con laccompagnamento della lira per nettare la loro anima da impulsi irrazionali. Laulos, egli diceva, al servizio di ci che padroneggia la nostra parte peggiore, menre la lira amata e goduta da ci che si cura della nostra natura razionale (Libro II, cap. 19 - Barker, 1989, p. 483). La connessione con Apollo attestata anche dalla singolare storia della visita del sacerdote Abari a Pitagora, ormai famoso. Abari viene da lontano, anzi da lontanissimo - dal paese degli Iperborei - e qui potrebbe cominciare un'altra storia in rapporto alla quale dir soltanto che, se la Tracia, a due passi a Nord della Grecia, era gi favolosa, in rapporto al paese degli Iperborei l'immaginazione mitico-narrativa si scatena. La parola significa una regione che si trova al di l dei venti del nord (Borea). Si allora pensato ad un paese che i Greci localizzavano al di sopra del Danubio; ma anche nei mari nordici presso il circolo polare - quindi ad esempio all' Islanda o alla Groenlandia. Tra le cose che si raccontavano di quella regione era anche che per ventiquattro ore non tramontava il sole, cosa che fa pensare allaurora boreale. Non escluso del tutto in realt che i Greci siano in qualche modo venuti a conoscenza dei ghiacci dellArtico. Come sempre accade, in casi come questi, possibile che nella geografia immaginaria vi siano elementi di conoscenza derivanti da viaggi e peregrinazioni. 236

Ci apre naturalmente un diverso orizzonte di problemi. Per quanto riguarda invece il nostro contesto, il paese degli Iperborei con la sua favolosa citt di Tule, va considerato come un assoluto altrove. In quel paese si vive una vita felice, ed in esso la musica ha una parte importante. E le Muse non sono certo estranee ai loro costumi: ovunque le fanciulle volteggiano nella danza al forte suono della lira e e degli auloi dalla voce aspra. Alle loro gaie feste esse annodano ai loro capelli dorato alloro, malanni non vi sono tra quel popolo pio, e nemmeno la rovinosa vecchiezza, ma essi vivono senza affaticamenti o battaglie, evitando il severo giudizio di Nemesi (Pindaro, Odi Pitiche, X, 37-49) Dice ancora Pindaro: Non per terra n per acqua troverai la via che porta agli iperborei (Pindaro, Odi Pitiche, X, 29-30) In queste nordiche lontananze troviamo uno stretto rapporto proprio con Apollo. Gli Iperborei seguono il culto di Apollo, mandano doni ai suoi templi in Grecia. Abari proviene dal paese degli Iperborei ed un sacerdote di Apollo. Proprio in quella regione Apollo viene trasportato da un volo di cigni. O forse, viaggiando sul suo tripode su una barca portata da ali di cigno e accompagnata dai salti festosi dei delfini, come compare in questo vaso che risale al principio del sec. V a. C. Apollo viene qui rappresentato con la faretra mentre suona la lira. Cigni e delfini erano animali sacri ad Apollo. 237

Abari si reca dunque da Pitagora portandogli in regalo una freccia, che in realt una freccia magica, che ha il potere di allontanare i mali ed a superare i pericoli. La freccia di Abari in ogni caso un ulteriore ed evidente richiamo ad Apollo. E mentre Abari fa il suo dono, vede in Pitagora niente di meno che l'Apollo Iperboreo di cui egli gran sacerdote. Di ci Pitagora non si meraviglia pi di tanto, ed anzi per conferma di avere in s qualche particella divina oltre che come ringraziamento del dono della freccia, mostr ad Abari la sua coscia d'oro. Veniamo cos a sapere che Pitagora aveva una coscia d'oro. Ma dunque: Chi era Pitagora? L'oro appartiene a sua volta al simbolismo apollineo - per il suo splendore, per la sua luminosit. Ma il legame di Pitagora con Apollo avviene in ogni caso sotto il segno di quellambivalenza che abbiamo gi appreso dall'analisi dei miti. Non parlava forse anche Pitagora per enigmi? Giamblico non esita a riferire questo stile ad un nesso con l'oracolo apollineo. Era consuetudine di Pitagora comunicare ai suoi discepoli significati molteplici e complessi in modo simbolico, pronunciando come un oracolo detti assolutamente lapidari, nella medesima maniera di Apollo Pizio, ovvero della natura stessa. L'uno per mezzo di detti semplici e l'altra di semi di ridotte dimensioni che portano alla luce, il primo, una quantit inesauribile e inimmaginabile di pensieri, la seconda di esseri generati (Giamblico,1991, XXIX, p. 319). Vi anche chi ha ipotizzato che la rivelazione ad Abari della propria coscia doro fosse un equivalente cifrato, comprensibile solo per gli adepti, per indicare che Pitagora gli aveva comunicato la scoperta della sezione aurea. Magismo, mitemi, allegorie si mescolerebbero in tal caso con particolare intensit. 238

Nella sua scuola era imprescindibile il metodo di insegnamento basato sui simboli. Questa forma di espressione era molto apprezzata presso tutti i Greci in quanto era la pi antica, ma erano specialmente gli egiziani a farne l'uso pi vario... In obbedienza alla regola di Pitagora...[i pitagorici] adottavano modi di esprimersi il cui senso per i non iniziati era insondabile e occultavano i loro discorsi e i loro scritti sotto il velo dei simboli. E se questi detti simbolici non vengono sceverati e spiegati, e intesi alla luce di una seria esegesi, quanto essi affermano potr sembrare risibile... Qualora invece quelle parole vengano svelate in conformit con lo stile di questi simboli, e rese limpide e chiare alla gente, allora esse risulteranno analoghe a quelle di certe profezie e di certi responsi di Apollo Pizio, rivelando una stupefacente profondit di pensiero, e procureranno una divina ispirazione agli strudiosi che vi abbiano dedicato la loro riflessione (Giamblico, 1991, XXIII, p. 251) Questa relazione con l'elemento oracolare presente anche nelle storie delle visite di Pitagora ai santuari della Grecia, in particolare nell'isola di Delo. Per i seguaci di239

retti di Pitagora non vi era dubbio che vi fosse in Pitagora una scintilla divina, ma curiosamente - e nello stesso tempo, a nostro avviso significativamente, questa scintilla poteva brillare di luce diversa. Perch un conto fare di Pitagora una reincarnazione di Apollo, come nel racconto relativo alla visita del sacerdote Abari, ed un altro fare di lui la reincarnazione di un demone residente nella luna, come sussurravano altri (Giamblico, 1991, p. 151). In questo quadro si situa quella che potremmo chiamare la teoria delle tre nature. Giamblico riferisce che secondo i pitagorici vi sono tre nature: Degli esseri viventi dotati di ragione uno dio, l'altro uomo e il terzo ha la natura di Pitagora(ivi). Un enigma dei Pitagorici suonava cos: Bipedi sono l'uomo, l'uccello, e anche un terzo essere - che era appunto Pitagora. Pitagora, dunque, pur essendo bipede, non era n uomo n uccello. (Giamblico, 1991, p. 295). Chi dunque Pitagora? Questa domanda diventa un enigma perch ha come risposte degli enigmi.

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3.7. I viaggi di Pitagora

Pitagora racconta i suoi viaggi Illustrazione tratta da D. Marchal, 1799, Libro I

Non solo Giamblico o Porfirio, e in ogni caso non sono solo autori molto antichi a sognare intorno alla vita di Pitagora. Nell'anno 1799 vengono pubblicati a Parigi sei volumi di un'unica opera intitolata Voyages de Pythagore di Sylvain Marchal, che ad un tempo un'opera erudita, un grande romanzo filosofico ed anche, per certi versi, un'opera di utopia politica. Marchal del resto una figura singolare e di grande rilievo all'interno dell'illuminismo. Egli fu attivo partecipe della rivoluzione francese ed ovviamente questi suoi Viaggi sono una testimonianza del suo pensiero e delle sue opinioni sulla rivoluzione e sugli sviluppi post-rivoluzionari che lo delusero profondamente. Come accade in Giamblico, i personaggi prendono direttamente la parola, ci imbattiamo in dialoghi, in racconti narrati dai protagonisti - in breve: ci trasferiamo anche noi tra gli allievi di Pitagora ad ascoltare la voce del maestro. Il quale - questo l'inizio dell'opera: "assiso sulla sedia d'avorio, nel vestibolo del tempio delle Muse", "la testa adorna da una lunga barba bianca e con una chioma cos bianca come il lino delle sue vesti"- comincia a parlare cos: 241

Miei beneamati! Questa lira d'oro che voi stessi avete appeso in questa sacra volta, a ricordo del giorno in cui sono nato, attesta il vostro attaccamento nei miei confronti e mi rende avvertito dei miei ultimi doveri verso di voi. Ho raggiunto la conta degli ottanta anni; l'et del riposo. Vi debbo dare il mio addio, e sono qui per farlo. Questo dolce mormorio, che testimonia il vostro rincrescimento di fronte all'idea della nostra separazione, mi lusinga. Ma non potrei differire il mio ritiro: l'et, con voce imperiosa, mi dice che necessario lasciarci al pi presto... Questa notte, per via di un presentimento di cui la ragione non pu rendere conto, ho passato in rassegna i miei ottanta anni... Due cose formano l'uomo e lo fanno vivere assai in pochi istanti : i viaggi e la memoria: a loro io sono debitore di ci che sono e di tutto ci che so. Vogliate tollerare che, con queste ultime lezioni, io dispieghi ai vostri occhi il quadro dei miei viaggi frequenti e lontani in tutti i loro dettagli, in tutte le loro sfumature(I, p. 1-3). Purtroppo noi non lo potremo seguire nel suo racconto (che si dipana per qualche migliaio di pagine), altrimenti andremo realmente troppo lontano. Diremo soltanto che a convincere il giovane Pitagora, che aveva gi deciso di allontanarsi da Samo, a recarsi in Egitto fu il vecchio Talete che Pitagora era andato a visitare nella vicina Mileto per ricevere i suoi insegnamenti e la sua dottrina. Ma Talete, adducendo la sua vecchiaia e la sua debolezza, lo invit a recarsi in Egitto ed a incontrarsi soprattutto con i sacerdoti di Menfi e Diospoli: perch da loro egli stesso aveva appreso quanto gli valeva la sua diffusa fama di sapienza. Egli affermava di non possedere, n per natura n a seguito di esercizio, quelle doti privilegiate che scorgeva in Pitagora; sicch poteva preconizzare che se avesse frequentato quei sacerdoti, Pitagora sarebbe divenuto il pi sapiente e divino tra tutti gli uomini (Giamblico, 1991, p. 133). Ed ecco dunque Pitagora partire alla volta dellEgitto. Pitagora viene descritto da Giamblico con locchio dei marinai che lo vedono scendere da un monte impervio, lentamente, senza volgersi intorno, senza incontrare una rupe scoscesa o impraticabile - e avvicinatosi alla nave i marinai ricordavano come avesse detto solamente Si va in Egitto? - e questa era in effetti la loro destinazione. Durante il viaggio il giovane siede in silenzio, e per tre giorni e tre notti resta nella stessa posizione senza n bere n mangiare. Mentre il viaggio scorre via senza il minimo intoppo, con il mare calmo e il vento in poppa come se si dovesse portare a destinazione un dio. Cosicch i marinai lo onorano come tale al suo arrivo, mentre allinizio, a dire il vero avevano fatto un mezzo pensiero, data la bellezza del giovane, di venderlo come schiavo per moneta sonante. In realt, almeno per qualche aspetto, questa 242

vicenda ricorda il viaggio per mare di Dioniso narrato dal Settimo Inno omerico (1994, p. 291), nel quale si racconta che i marinai tentano di rapire di Dioniso per rivenderlo, accorgendosi poi, troppo tardi, del fatale errore. In Egitto Pitagora sta ben ventidue anni - e attinge a piene mani dal sapere sacerdotale. Oltre l'Egitto, l'altra regione vissuta dalla Grecia antica come depositaria di scienza e di saperi arcani naturalmente Babilonia. E Pitagora fu anche in Babilonia dove venne istruito dai sacerdoti nei loro riti solenni, apprese il perfetto culto divino, raggiunse la vetta delle conoscenze aritmetiche, musicali e scientifiche (Giamblico, 1991, p. 139). Naturalmente, una volta fatto giungere Pitagora a Babilonia, i viaggi di Pitagora crescono di numero e vanno sempre pi lontano. Porfirio scrive che quanto alle sue conoscenze, si dice che apprese le scienze matematiche dagli egiziani, caldei e fenici, poich gli egiziani eccellevano nella geometria, i fenici nei numeri e nelle proporzioni e i caldei nell'astronomia, nei riti divini e di adorazione degli dei; altri segreti relativi al corso della vita egli ricevette e apprese dai Magi (Porfirio, 1920, cap. 6). Ed anche l'India non esclusa. D'altra parte, osserva Kahn (2001, p. 19), dopo le conquiste di Ciro (che mor ca. nel 530 a. C.), l'impero persiano si estendeva dalla Ionia sino alle rive del fiume Indo. Da quel tempo in poi, se non prima, era chiaramente possibile che dottrine orientali viaggiassero verso l'ovest. Come esattamente esse raggiusero Pitagora non possiamo nemmeno immaginare. Ma possiamo almeno vedere che la pi tarda leggenda del viaggio di Pitagora in India alla ricerca della saggezza dell'Est pu ben contenere un grano di verit allegorica 243

Cerimonia di Iside Illustrazione tratta da D. Marchal, 1799, libro II

In ogni caso, dopo vent'anni di Egitto e una decina di Babilonia, Pitagora ormai nella piena maturit - Giamblico parla di 56 anni - ritorna in patria nell'isola di Samo. Ma alla sua ansia di insegnare non corrisponde nei concittadini un'altrettanta ansia di apprendere. Ebbe cos, nei primi tempi, un unico allievo, un giovane atleta, che, con un'inversione delle parti, Pitagora paga perch egli assista alle sue lezioni. Tuttavia quando egli piange miseria e propone di interrompere queste lezioni per lui troppo costose, l'allievo, inffiammato dal desiderio di conoscere, a offrire l'obolo al maestro (Giamblico, 1991, 143). 244

Unaccoglienza cos miserevole degli abitanti di Samo e la condizione politica della citt convinse Pitagora a rimettersi in viaggio, questa volta verso l'Italia. Il centro pitagorico di maggior rilievo diventa Crotone: Nella figura a sinistra, tratta da Marchal, Pitagora arringa i cittadini di Crotone. Porfirio scrive quando raggiunse l'Italia egli si ferm a Crotone. Il suo modo di presentarsi era quello di un uomo libero, di alta levatura, gradevole nel discorso e nel modo di gestire e in ogni altra cosa. ... All'arrivo di questo grande viaggiatore, dotato di tutti i vantaggi della natura e guidato dalla fortuna, egli produsse una cos grande impressione che si guadagn la stima dei maggiorenti della citt attraverso i suoi molti ed eccellenti discorsi. Perci lo invitarono ad esortare i giovani, e poi di rivolgersi ai ragazzi che si raccoglievano fuori dalla scuola per ascoltarlo; ed infine alle donne che vennero insieme di proposito (Porfirio,1920, cap. 18). Del resto fa parte dellinsegnamento pitagorico
Figura tratta da D. Marchal, 1799 , libro V

laffermazione di una posizione 245

egualitaria delle donne che avevano dunque accesso alla setta. Vi sono prove del ruolo inusuale delle donne come attive partecipanti della comunit pitagorica (Kahn, p. 10). Fa parte della leggenda anche che la moglie di Pitagora di nome Teano resse per un certo periodo la setta in disfacimento dopo la rivolta dei crotonesi.

Pitagora a Crotone Figura tratta da The Story of the Greek People di Eva March Tappar

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3.8 I prodigi di Pitagora


I tratti "sacri" di questa figura si accentuano nella fabulazione della vicenda della diffusione del pitagorismo in Magna Grecia forse pi ancora che nel caso dei viaggi in Egitto e in Babilonia. Ecco che compaiono i prodigi, i miracoli di Pitagora. Si pu sospettare che in tutto ci abbia una parte il cristianesimo in espansione - rammentiamo che Giamblico autore del III/IV sec. d. C. Vi sono certi momenti in cui questa presenza avvertibile - vi sono abbastanza spesso in Giamblico figure o eventi che sembrano echeggiare miti sorti con il culto di Cristo, piuttosto che da quello di Dioniso o di Apollo. Ma spesso sembra anche valere l'inverso: essendo molte storie pitagoriche sicuramente molto antiche e precedenti all'era cristiana, pu essere che il culto di Cristo abbia ripreso molti "miracoli" dalla tradizione pitagorica. In Italia Pitagora spesso si fa strada con dei simpatici prodigi. Ad esempio, di fronte ad una pesca, non moltiplica i pesci, ma indovina il loro numero, e questo per una sorta di scommessa destinata ad imporre ai pescatori di liberare i pesci e di rimetterli in mare. Sempre all'arrivo in Italia Pitagora attraversa un fiume e il fiume prorompe in un "salve Pitagora" "con voce forte e chiara che tutti poterono udire" (Giamblico, 1991, p. 283). Inutile dire che Pitagora, come tutti i taumaturghi che si rispettino, ha talvolta il dono dell'ubiquit: cos egli riesce a parlare contemporaneamente in due luoghi molto distanti tra loro (ivi, p. 287). Ma come mostra la storia dei pesci, i prodigi di Pitagora non sono solo dimostrazione di una straordinaria abilit, ma hanno spesso carattere di insegnamento morale. Sono in certo senso parabole concretamente esercitate e pu essere che esse siano state escogitate dai pitagorici proprio in questo spirito. La storia del numero dei pesci mostra un atteggiamento verso gli animali e in generale verso gli esseri viventi che tipicamente pitagorico, e nello stesso tempo che non affatto tipicamente greco, mentre molto vicino ad un atteggiamento di cui troviamo il massimo degli esempi nella cultura indiana. 247

Le prese di posizioni dei pitagorici su questo punto fecero certamente scalpore per il fatto che avevano delle conseguenze su importanti aspetti religiosi e rituali. Pitagora come la maggior parte dei filosofi greci pi antichi non si trova affatto in consonanza con la religione corrente. I Pitagorici fanno una critica vivacissima contro i sacrifici di animali nei riti. Notate che siamo nel VI secolo a. C. - e si pu immaginare quanto sia innovativa e addirittura rivoluzionaria la frase attribuita a Pitagora secondo cui su un altare non dovrebbe essere sacrificato nemmeno un insetto . Egli lasci stupefatti gli abitanti di Delo perch vener Apollo solo presso un altare che non era macchiato dal sangue dei sacrifici (Giamblico, VIII, p. 157). Si tratta di un aspetto ricorrente nella tradizione pitagorica che naturalmente strettamente collegato con il precetto vegeteriano nellalimentazione. Questo legato a sua volta con la credenza nella reincarnazione. Peraltro notevole il fatto che non solo questa credenza religiosa che motiva lostilit pitagorica al sacrificio degli animali e la sollecitazine ad un regime prevalentemente vegetariano. Vi anche un motivo morale di ostilit alla guerra: Tra le molte ragioni per cui Pitagora formul il precetto dellastensione dagli animali c anche il fatto che questa consuetudine favorisce la pace. Infatti una volta che ci si fosse assuefatti ad odiare come illecita e e contro natura la soppressione di animali, si sarebbe reputato ancora pi empio uccidere un uomo e non si sarebbero pi fatte guerre (Giamblico, XXX, p. 347). Ovidio invece nel libro XV delle sue Metamorfosi riferisce il rifiuto dei sacrifici animali e il vegeterianismo esclusivo alla credenza nella reincarnazione. Il poeta fa fare a Pitagora una lunga perorazione contro i mangiatori di carne, a cui segue la formulazione della peregrinazione delle anime in corpi diversi: Tutto si evolve, nulla si distrugge. Lo spirito vaga dall'uno all'altro e viceversa, impossessandosi del corpo che capita, e dagli animali passa in corpi umani, da noi negli animali, senza mai deperire nel tempo. Come la cera duttile si plasma in nuovi aspetti, non rimanendo qual era e senza conservare la stessa forma, ma sempre cera , cos, vi dico, l'anima sempre la stessa, ma trasmigra in varie figure. Dunque, perch la piet non sia vinta dall'ingordigia del ventre, vi ammonisco, evitate d'esiliare con strage nefanda l'anima di chi pu esservi parente, e che di sangue si alimenti il sangue. 248

Per chiudere largomento ecco unimmagine moderna sulla predicazione vegetariana di Pitagora. Questo dipinto di Rubens notevole per il fatto che presenta l'atteggiamento vegeteriano come una sorta di festosa ed anzi lussureggiante e lussuriosa esaltazione del cibo fatto di frutta e verdure. Del resto al centro del quadro sta il nudo biancore di una donna tipicamente rubensiana, e le figure maschili che si intravvedono tra il verde hanno una certa somiglianza con i satiri di Dioniso...

P. P. Rubens, Pitagora che promuove l'alimentazione vegetariana (1618)

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3.9. I filosofi che cantano

Fjodor Bronnikov (1827-1902), Pitagorici che celebrano il levar del sole (1869)

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Si rammenter che avevamo concluso la parte riguardante il mito di Orfeo, con l'immagine del musico che aspira al Giorno e che esce dal mondo della Notte per attendere il sorgere del sole. Il quadro di Fiodor Bronnikov intende rappresentare proprio l'attesa e la celebrazione dell'aurora da parte di Pitagora e dei pitagorici. In questo modo stabiliamo un ultimo nesso immaginativo. Come Orfeo anche Pitagora in grado di parlare agli uccelli e di accarezzare le aquile - quindi anche in Pitagora presente sia uno stretto rapporto con la natura cos come l'idea della malia incantatrice della musica. Una parte del pitagorismo del resto conflu nel movimento orfico - orfismo e pitagorismo formano uno dei grandi capitoli delle vicende filosofico-religiose della Grecia antica. Risulta anzi difficile in molti casi distinguere tra le due correnti (Cfr. Kahn, 2001, p. 20). Questo rapporto attestato da Giamblico quando scrive che non c' dubbio che Pitagora prese spunto da Orfeo nello scrivere il discorso 'Sugli dei' (Giamblico, 1991, p. 297); egli avrebbe imitato, a quanto si dice, il modo di esprimersi e l'atteggiamento spirituale di Orfeo... e avrebbe fatto conoscere i riti purificatori e le cosiddette cerimonie iniziatiche degli orfici, in quanto ne aveva una conoscenza perfetta" (pp. 305-306). Questi fatti ed altri del genere mostrano che Pitagora deteneva lo stesso potere sugli animali che aveva Orfeo: cio di incantarli e soggiogarli in virt del potere della voce che usciva dalla sua bocca (p. 189). Pitagora viene dunque descritto come cantore. Ecco finalmente un filosofo che canta! Anzi eccoci di fronte ad una intera corrente di filosofi che cantano. difficile trovare un manuale o una storia scolastica della filosofia che ci informi su questo aspetto canoro che viene evidentemente considerato un infimo dettaglio. Ed invece assai verisimile che tutti i filosofi di tradizione pitagorica sapessero maneggiare la lira e cantare accompagnandosi con questo strumento. E persino danzavano: I pitagorici usavano anche danzare, e lo strumento di cui si avvalevano a questo fine era la lira, perch il suono del flauto lo consideravano violento, adatto alle feste popolari e del tutto indegno di uomini di condizione libera (Giamblico, 1991, p. 257). 251

In primavera Pitagora faceva sedere in mezzo un suonatore di lira, mentre tutt'intorno sedevano i cantori e cos, al suono della lira, cavano insieme dei peani che ritenevano procurassero loro gioia, armonia e ordine interiore (ivi). Talora viene presentato come cantore di versi di Omero, e li cantava armoniosissimamente accompagnandosi con la lira. Giamblico arriva a citare il passo dell'Iliade cantato da Pitagora (XVII, 51-60) nel quale si parla del troiano Euforbo che ferisce Patroclo, venendo poi ucciso da Menelao. Perch proprio questo episodio tra i tanti? Perch Pitagora sosteneva di essere stato in una vita anteriore proprio Eufobo, e con ci da un lato rammentava la credenza nella reincarnazione; e nello stesso tempo questo filosofo "apollineo" rivendicava in certo senso un'ascendenza frigia. Va aggiunto anche che la credenza nella reincarnazione stabilisce un ulteriore legame tra pitagorismo ed orfismo Cantava sicuramente Ippaso di Metaponto, che viene citato come musico da Aristosseno. Cantava Filolao, altro celebre pitagorico del V secolo. Anzi Filolao cantava persino dopo morto. Voglio riferire questo altro piccolo racconto. Molti anni dopo la morte di Filolao un contadino pass accanto la sua tomba e sent Filolao cantare a voce dispiegata sotto la pietra. Il contadino corse pieno di spavento presso il sapiente pitagorico del luogo. Il quale avendo ascoltato ci che gli stava dicendo il contadino, proruppe in modo inatteso nella domanda: "In quale tonalit, per gli dei?". Per nulla meravigliato del fatto in se stesso, tutta la sua curiosit va alla struttura musicale del canto (Giamblico, 1991, p. 294 e p. 303). Tra le storie pitagoriche questa mi sembra veramente la pi straordinaria.
Ettore e Menelao si contendono il corpo di Euforbo

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4. Gli inizi della teoria della musica


4.1 Il principio del numero 4.2 Il fabbro armonioso 4.3 Jubal - Chi era costui?
4.4 Commenti al racconto del fabbro armonioso

4.5 Linvenzione del monocordo 4.6 Il monocordo come strumento di misura


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4.1 Il principio del numero

ormai tempo di cominciare ad entrare in qualche dettaglio nella teoria greca della musica che, con buone ragioni, facciamo cominciare con la speculazione pitagorica. E dunque avremo anche a che fare, se non proprio con la storia della matematica, certamente con la sua preistoria - forse con una preistoria che, al tempo del primo pitagorismo, sta ormai per finire e che tuttavia della preistoria ha un tratto di pronunciata insicurezza, di lacunosit e di dubbio che ci obbliga talvolta a riempire queste lacune con i nostri ragionamenti. poi opportuno premettere che non entreremo nel merito della discussione se tutto ci che si attribuisce a Pitagora sia proprio farina del suo sacco, essendo per noi sufficiente assumere che ogni volta che parleremo di Pitagora potremmo non intendere proprio lui, ma il pitagorismo in genere, accontentandoci per lo pi di ci che stato tramandato, tenendo conto nella misura del possibile di commentatori autorevoli. Ci possiamo allora permettere di fingere la situazione nella quale si trova Pitagora e il pitagorismo pi antico come una tabula rasa - dove tutto resta da accertare: nessuna teoria degli intervalli stata ancora formulata e l'intero campo dei suoni ancora tutto da indagare. Naturalmente vi erano da sempre i musicisti, vi era una pratica musicale. In particolare vi erano tecniche di accordatura degli strumenti. Queste tecniche, per quanto potessero variare, si appoggiavano indubbiamente sulle consonanze di quarta, di quinta e di ottava. E dunque ha poco senso attribuire a chichessia la scoperta dei rapporti consonantici fondamentali. La scoperta pitagorica essenziale in rapporto alle consonanze sta dunque nelle misure, 255

e non nel fatto sonoro come tale. Va poi subito messo in evidenza che questa scoperta presuppone uno sfondo filosofico generale e contiene una presa di posizione di grandissimo rilievo nella storia della cultura e del pensiero scientifico-filosofico europeo. Essa consiste nella tesi che ogni cosa ed ogni evento di questo mondo deve essere riportato al numero. Talvolta si formula questa tesi sintetizzandola nella frase: tutto numero ovvero Tutte le cose sono numero. Una simile formulazione risale ad Aristotele. Facendo il confronto con la posizione platonica, di cui nota affinit e differenze con il pitagorismo, egli sottolineavache Platone distingueva i numeri dalle cose sensibili, mentre per i pitagorici i numeri erano le cose stesse... (Metafisica, 987b28). Forse giusto che la frase secondo cui i numeri sono le cose stesse oppure, equivalentemente, che le cose stesse consistano di numeri appaia anzitutto anche a noi, come appariva ai non iniziati della setta, incomprensibile e stravagante, persino di poco buon senso. Forse essa aveva carattere di "simbolo" nel senso che abbiamo spiegato in precedenza - quindi di una sorta di enigma che richiede interpretazione. Secondo l'interpretazione essa potrebbe apparirci sotto differenti angolature. Probabilmente uno degli aspetti pi difficili dell'interpretazione consiste nella paroletta che sta al centro della piccola frase: tutto numero. Non detto peraltro che proprio quella paroletta fosse presente nelle formulazioni pitagoriche: in Giamblico (1991, XXIX, 162, p. 319) che la propone proprio come un esempio di quei detti che racchiudevano "scintille della verit per coloro che fossero in grado di mutarle in fuoco", la formulazione sensibilmente differente poich dice Al numero si adattano tutte le cose e questa sembra la formulazione pitagorica vera e propria. Non bisogna sottovalutare la differenza tra queste formulazioni. La prima tutto numero ha unaccentuazione sullessere vero delle cose, come se si dicesse: lessenza stessa delle cose non la devi cercare nelle loro apparenze visibili, ma in relazioni numeriche nascoste. Potremmo 256

dire che la sua portata pi ontologica che epistemologica. Essa riguarda il modo in cui gli oggetti sono, e non anzitutto il modo secondo cui li conosciamo. Dire invece che tutte le cose si adattano al numero equivale indubbiamente a stabilire una relazione piuttosto forte tra numeri e cose, ma in ogni caso meno forte della precedente e pi orientata verso il lato epistemologico, che verso quello ontologico. Molti secoli prima, il pitagorico Filolao (ca 470-385 a. C.), in anni dunque non troppo lontani da Pitagora stesso, formula questo principio in modo che il suo significato appare ancora pi nettamente orientato in senso epistemologico. Uno dei frammenti di Filolao (fr. 4) dice espressamente: Invero, ogni cosa che conosciuta ha numero, in nessun modo compresa o conosciuta senza il numero Affermare che il numero inerente alle cose (avere numero piuttosto che esserlo) e soprattutto specificare questa affermazione (ancora abbastanza misteriosa) nellasserzione secondo non vi effettiva conoscenza della cosa se non si stabilisce una relazione tra esse e il numero sposta il problema interamente sul versante epistemologico. Carl Huffman ha attirato lattenzione su questo punto: Il numero gioca in Filolao un ruolo epistemologico. Egli dice che le cose non possono essere conosciute senza numero, non che esse sono numeri(1988, p. 6). Il modo in cui Aristotele riporta la tesi pitagorica fondamentale dunque profondamente equivoco e induce a fraintendimenti. Laffermazione generale secondo la quale tutte le cose si adattano ai numeri ovvero che nulla si pu comprendere o conoscere senza il numero trova una sua clamorosa applicazione nel campo dei suoni, ed assai verosimile che nella spe257

culazione pitagorica proprio linteresse in rapporto agli eventi sonori abbia accentuato questa idea di una concezione della realt gravitante sul principio del numero. Deriva subito da una simile posizione lidea che una teoria del numero pu insegnarci direttamente qualcosa sulla musica anche al di l di riferimenti musicali specifici. E in tutto ci implicata una concezione della teoria della musica secondo la quale essa non deve essere affatto elaborata a ridosso della pratica musicale, e ancora meno deve essere intesa come pura come pura riflessione su questa pratica, in certo senso come una sua emanazione, ma in modo del tutto indipendente. Questa posizione ha avuto un peso enorme nella storia della teoria della musica - non sempre e necessariamente positivo, ma indiscutibilmente della massima rilevanza storica. Essa spiega in particolare come il pitagorismo abbia potuto incontrarsi con il platonismo - cio con una tendenza nella teoria della conoscenza che insisteva sulla necessit di possedere canoni ideali di valutazione per un approccio corretto e realmente scientifico alla realt empirico-sensibile. Queste idealit sono intese come anteriori allesperienza stessa, e come normative rispetto ad essa. Il pitagorismo antico, anche se certo in forme ancora ingenue, si trova gi su questo terreno. Ci non significa che manchi nei pitagorici un atteggiamento di sperimentazione e di contatto con la realt sensibile dei suoni. Nemmeno manca un adattamento delle teorie pitagoriche alla realt musicale greca. Ma si tratta appunto di un adattamento. Prioritario, dal punto di vista pitagorico, il tentativo di elaborare un sistema teorico. La commisurazione di questo sistema alla realt musicale esistente avviene in via di principio in un secondo tempo. Le osservazioni le sperimentazioni sono poi tutte orientate dalla ricerca di una possibile matematizzazione.Questo atteggiamento, importantissimo dal punto di vista epistemologico, pu dunque non incontrarsi o addirittura scontrarsi con la musica direttamente praticata. Il pitagorismo e il platonismo rappresentano peraltro soltanto un versante della teoria greca della musica. E fin dora possiamo far balenare il nome del pi autorevole rappresentante dellaltro versante. Si tratta di Aristosseno di Taranto (ca. 354-300 a. C) e della corrente di pensiero che si sviluppata dalla sua opera.

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4.2 Il fabbro armonioso

A Pitagora in persona si attribuisce la scoperta dei rapporti di ottava, di quinta e di quarta. Rispettivamente 1/2 2/3 3/4

Questi rapporti possono naturalmente essere proposti anche in forma inversa (ed consuetudine prevalente): 2/1, 3/2, 4/3. In ogni caso la prima documentazione scritta di questi rapporti si trova nel fr. 6 di unopera di Filolao intitolata De natura. anche opportuno segnalare i termini greci corrispondenti che permasero a lungo anche nella terminologia medioevale e rinascimentale. Si tratta di diapason, diapente, diatessaron.Essendo "dia = attraverso", si pu intendere la designazione dell'intervallo come "da...alla". Diapason - che significa "attraverso tutte" (le note) - dalla prima all'ultima; diapente: dalla prima alla quinta, diatessaron: dalla prima alla quarta. Notiamo ancora che in greco la consonanza ovvero la concordanza tra due suoni veniva chiama sinfonia. Ma come fece Pitagora a fare la scoperta dei rapporti aritmetici? A questa domanda cominciamo a rispondere con il raccontare un'altra storia, quasi una favola, che potremmo chiamare "la storia del fabbro armonioso", riprendendo il titolo di una composizione per cembalo di Haendel. Invece di raccontarla alla meglio io stesso, la trascriver da uno dei testi che la narra con dovizia di particolari. Si tratta di un testo di Nicomaco, filosofo pitagorico vissuto tra tra il primo e il secondo secolo d.C. ed autore di un trattato di aritmetica - tenuta nettamente distinta dalla geometria - che conobbe molta fortuna nel Medioevo. Nicomaco scrisse anche un Manuale di Armonica nel quale egli scrive: 259

La tradizione dice che Pitagora ha scoperta la quantit numericamente espressa degli intervalli di quarta, di quinta e di ottava, che la loro unione, nonch il tono disposto tra i due tetracordi, e che la scoperta sia avvenuta cos. Un giorno, mentre fissava il suo pensiero sulla possibilit di trovare un qualche mezzo strumentale che soccorresse l'udito, sicuro e inoppugnabile, come quelli di cui con il compasso, e il regolo o anche la diottra dispone la vista, o il tatto con la bilancia e le sue misure pass accanto ad una fucina e, per un caso del destino, ud martelli che battevano il ferro sull'incudine producendo insieme suoni pienamente consonanti tra loro, ad eccezione di due. Riconobbe tra esse le consonanze di ottava, quinta e quarta; cap che l'intervallo tra quinta e quarta, in s dissonante, era parte integrante del maggiore dei due, cio che il tono che dissonante nel senso che i suoni posti agli estremi di un tono sono dissonanti, era comunque parte integrante della consonanza di quinta. Felice quasi un dio lo avesse guidato nella sua ricerca, entr di corsa nella fucina e con esperimenti diversi scopr che la differenza tra i suoni dipendeva non dalla forma dei martelli, n dalla forza di chi li vibrava o dalla deformazione del ferro percosso, ma dalla loro mole; rilevati accuratamente pesi e contrappesi esattamente eguali a quelli dei martelli, torn a casa. Qui, a un'unica barra metallica conficcata attraverso l'angolo formato dalla congiunzione di due muri appese quattro corde uguali per materiale, numero dei capi, spessore e torsione (perch non ne risultasse qualche alterazione e non si potesse sospettare una differenza conseguente alla diversa natura delle corde) e poi attacc un peso alla loro estremit inferiore. Colp dunque le corde, predisposte di una lunghezza assolutamente identica, a due a due per volta, alternativamente, ritrovando le suddette consonanze, e cio per ogni coppia una diversa.... (Nicomaco, 1990, pp. 153-154) Questo racconto viene in particolare narrato anche da Giamblico (1991, XXIV pp. 261-269)e ripreso e ripetuto pi volte da autori successivi. 260

Ecco i fabbri al lavoro in una raffigurazione che risale a circa il 1100 (a sinistra). A dire la verit la figura non sembra troppo congruente. I martelli sull'incudine sono quattro e sono battuti simultaneamente. Il disegnatore ha pensato evidentemente pi alle note che agli intervalli. Ma battendo i martelli in questo modo evidentemente risulterebbe una dissonanza risuonando simultaneamente l'intervallo di quarta e di quinta. Come incongruenza ulteriore il martello alzato sembra alludere proprio all'intervallo dissonantico tra la quarta e la quinta - come se esso non venisse eseguito. Nei cerchi in alto ci si richiama alle strutture intervallari. Nella figura a fianco queste difficolt non si pongono. In essa Pitagora si affaccia sulla porta ed osserva i fabbri al lavoro.

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Nella Teorica musicae di Gaffurio troviamo alcune immagini interessanti che possiamo riferire alla nostra storia. Ecco dunque Pitagora "sperimentatore" - con le campane oppure con i bicchieri, in cui le differenze di intonazione vengono ottenute attraverso quantit di acqua differenti. I numeri sono, in entrambi i casi, da sinistra a destra 16, 12, 9, 8, 6, 4. Su questi numeri avremo molto di che ragionare in seguito. Si noti come Pitagora tiene due bacchette che fa ruotare sull'orlo del bichiere - la tecnica per l'emissione del suono dunque esattamente simile a quello dello strumento che ebbe un qualche successo tra il sec. XVII e XVIII con il nome di armonica a bicchieri (Glass Harmonica). La sola differenza che, in luogo delle bacchette, il suonatore si serviva delle dita leggermente inumidite che ruotavano delicatamente sull'orlo del bicchiere. Questo disegno dimostra un antico antenato proprio dell'armonica a bicchieri che, nella sua forma pi elementare, esattamente questa.

Ragazza che suona larmonica a bicchieri in una via di Roma in una fotografia di A Pingston (http://en.wiktionary.org/wiki/ File:Glass.harmonica.in.rome. arp.jpg)

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Teone di Smirne attribuisce al pitagorico Laso di Ermione ed alla scuola di Metaponto la sperimentazione con l'acqua e dei vasi. I vasi tuttavia venivano percossi. Il risultato naturalmente lo stesso, la differenza sta nel tipo di suono che nel caso della rotazione delle dita sull'orlo del bicchiere un suono continuo, anzich un suono percussivo: Laso di Ermione (e quelli della scuola di Ippaso di Metaponto) secondo quanto si tramanda, giudicando che la velocit e la lentezza delle vibrazioni onde nascono gli accordi fossero esprimibili secondo la serie dei rapporti numerici, otteneva questi rapporti servendosi di vasi. Prendeva infatti alcuni vasi tutti uguali, e mentre ne lasciava uno vuoto, riempiva il secondo dacqua fino alla met; poi li percuoteva entrambi e otteneva il rapporto di ottava. Quindi, lasciando ancora vuoto uno di essi, riempiva laltro per una quarta parte, e poi ancora li percuoteva entrambi e otteneva laccordo di quarta; laccordo di quinta lotteneva quando riempiva il vaso per la sua terza parte. Il rapporto tra il vuoto di un vaso e quello dellaltro era dunque di 2 a 1 nellaccordo di ottava, di 3 a 2 nellaccordo di quinta, di 4 a 3 nellaccordo di quarta(1892, 59.4)

Sempre nelle immagini proposte nell'opera di Gaffurio vediamo rappresentati Pitagora e Filolao che sperimentano i giusti rapporti con iflauti. La misura dei flauti effettivamente suonati sono qui l'una il doppio dell'altra (8 e 16), quindi i flauti stanno suonando in ottava. Ricompaiono anche qui la serie di numeri 16 12 9 8 6 4.

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In apertura della sua opera intitolata The Temple of Music (1618) il medico, ingegnere, alchimista e rosacrociano Robert Fludd (1574-1637), filosofo appartenente alla tradizione ermetico-cabalistica, con interessi alchimistici, aritmetici e musicali, presenta una notevole architettura in cui ogni dettaglio ha un significato musicale ed alla cui base troviamo ancora la rappresentazione di Pitagora che si affaccia alla porta dell'officina dei fabbri.

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4.3 Jubal - Chi era costui?

In Gaffurio vi anche un'altra figura che presenta una vera e propria alternativa alla storia pitagorica, attribuendo la scoperta dei rapporti consonantici all'ebreo Jubal. Come si vede anche qui sui martelli sono segnati i pesi e dunque i loro rapporti. 265

Anche nei bassorilievi del Duomo di Orvieto troviamo la presenza di Jubal che sta sperimentando con martelli e campane.

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Come nasca la storia di Jubal merita di essere brevemente raccontata. Occorre sapere che, dal tempo dei tempi fino al giorno d'oggi, il cristianesimo ha sempre avuto ostilit per le ascendenze greco-romane della cultura europea: si doveva invece dimostrare che la cultura europea aveva radici giudaico-cristiane, e proprio nulla da spartire con il "paganesimo" dei greci e dei latini. Tertulliano ha espresso molto bene questo atteggiamento con la frase: Che cosa ha mai a che fare Atene con Gerusalemme? Che cosa vi in comune tra l'Accademia platonica e la chiesa, tra gli eretici e i cristiani? Questa frase, contenuta nel cap. VII di De prescriptione hereticorum, e che non sembra aver niente a che fare con il nostro problema, in realt la sua chiave. Essa citata molto opportunamente in apertura dell'articolo Jubal vel Pythagoras, quis sit inventor musicae? di McKinnon (1978, p. 1), nel quale si delinea magistralmente anche la storia del problema attraverso il medioevo e il rinascimento, fino all'illuminismo. 267

Si d il caso che nel Genesi. 4:21 si legga di un tale di nome Iubal e che di lui si dica che "fu padre dei musici di cetra e di organo". Non basta: veniamo anche informati nello stesso passo che il fratellastro di Jubal, di nome Tubalcain, era "lavoratore al martello, artefice in ogni genere di lavoro in bronzo ed in ferro". Ecco fatto: quei teorici medioevali della musica che condividevano l'atteggiamento di Tertulliano ritennero di trovare in queste due frasi la possibilit di attribuire a Jubal, e non a Pitagora, la storia dei fabbri e la scoperta dei rapporti consonantici, facendo di Jubal non tanto l'inventore di strumenti musicali, ma della musica tout court (cosa che peraltro nelle storie relative a Pitagora non mai stato sostenuto n esplicitamente n in modo sottinteso). Si trattava di una pretesa abbastanza ridicola, ma a parlare non era forse la Bibbia, ed attraverso di essa la voce di dio in persona? Cosicch la sostituzione di Jubal con Pitagora prese piede, e la si ritrova spesso ripetuta. Tanto pi che, essendo Jubal vissuto prima del diluvio, era sicuramente anteriore a Pitagora e se Jubal avesse fatto qualche scoperta, egli avrebbe avuto in ogni caso la priorit. Talora gli autori scettici in rapporto a Jubal, ma timorosi di contraddire la Bibbia, anche per le conseguenze pratiche che ne potevano derivare, in effetti tacciono eventualmente sul resto, ma ammettono almeno la priorit cronologica di Jubal rispetto a Pitagora quale "inventore della musica". La storia aveva talvolta un corollario che riportava niente meno che ad Adamo. Secondo questa variante Jubal avrebbe ricevuto da Adamo in persona i segreti della musica, che egli incise su due colonne - una di marmo ed una di mattoni - cosicch la prima potr sopravvivere al diluvio e la seconda agli incendi: Adamo aveva anche profetizzato che l'umanit sarebbe stata distrutta dall'acqua e dal fuoco. Eccoci di fronte ad una favola dentro una favola, e ciascuna ha una sua motivazione e un suo senso. Quindi anche questa pu ricevere ospitalit nel nostro album. La favola di Jubal chiama in causa, inattesamente, dato il nostro argomento, i rapporti tra cristianesimo, cultura greco-romana e giudaismo. Occorre dare il giusto peso a questo genere di favole, se pensiamo che Clemente Alessandrino sosteneva che quanto di vero avrebbe potuto esserci in Platone derivava in realt dalla saggezza di Mos (McKinnon J., 1978, p. 3).

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4.4 Commenti al racconto del fabbro armonioso


appena il caso di dire che molti aspetti del racconto di Nicomaco, certe inflessioni, certi dettagli, sono da attribuire certamente pi alla personalit di Nicomaco, che a quella di Pitagora. Ma come sempre si tratta di una questione che non ha per noi particolare rilievo come quella, particolarmente remota, di eventuali priorit nella scoperta: noi non stiamo cercando verit storiche intorno alla persona di Pitagora, ma cerchiamo di tratteggiare le problematiche teoriche che si impongono nell'ambito del pitagorismo. Pitagora subito viene tratteggiato dalle prime righe come un personaggio se ne va vagabondando e meditabondo - ed il suo pensiero gi diretto alla ricerca di qualche mezzo che ci consenta di procedere nella scienza dei suoni con la stessa certezza e sicurezza che ci dnno ad esempio gli strumenti del geometra, il compasso, il righello, la squadra.... o la bilancia che attribuendo un numero alle sensazioni tattili di peso ci consente di uscire dalle indeterminatezze dell'esperienza sensibile. Queste differenze sono colte dall'udito. Ma come riportarle ad una misura? Questa meditazione viene interrotta dal Pitagora "ascoltatore". Il suo orecchio viene colpito dai suoni che escono da quell'officina: mediante quelle incudini e quei martelli si producono straordinarie armonie. Pitagora si arresta di botto, e il testo di Nicomaco descrive assai bene l'entusiasmo con il quale egli si accinge, gi nell'officina, ad apprestarsi gli strumenti per riprodurre quella stessa situazione, ma con un nuovo mezzo di controllo: il peso. Come abbiamo gi osservato, il filosofo pitagorico non si limita a speculare sul numero, e nemmeno a teorizzare astrattamente sui rapporti; ma osserva, e dopo aver osservato si pone degli interrogativi: e per rispondere ad essi si accinge ad una sperimentazione. I pitagorici fanno qualcosa che i musicisti non si sognavano di fare e nemmeno ne avevano bisogno. Nell'officina vengono forgiati pesi equivalenti ai martelli armoniosi, e poi si descrive come, in un angolo della propria casa, Pitagora compia il proprio esperimento. Particolare attenzione viene posta per rispettare quelle condizioni di omogeneit che rappresentano una condizione per isolare il fattore determinante. interessante notare 269

che Pitagora, nel racconto di Nicomaco, non pensi di ripetere letteralmente la situazione dellofficina dei fabbri - altrimenti sarebbe ricorso a dei blocchi di metallo. Egli pensa invece alle corde ed alla loro tensione. E si preoccupa dell'affidabilit dell'esperimento: vi deve essere omogeneit nel materiale e nella lunghezza delle corde. Se tutte le condizioni sono eguali, allora si pu sperimentare con le tensioni, misurandole con i pesi. Dall'esperimento risulterebbero i famosi rapporti: 2:1 per l'ottava; 3:2 per la quinta; 4:3 per la quarta. Ho letto da qualche parte, che un simpatico matematico americano che si occupato marginalmente della scala pitagorica, alla domanda: Sar veramente andata cos? Risponde: Chiss; passato cos tanto tempo.... In realt anche questo bello spirito sapeva benissimo che c' qualcosa che guasta questo racconto. Si tratta proprio del piccolo e decisivo dettaglio che viene alla fine: chi facesse un esperimento come questo non troverebbe affatto quei rapporti! Attraverso i pesi e dunque attraverso una possibile misura della tensione fatta in questo modo, si trova certamente una correlazione funzionale tra consonanze e tensioni (pesi), ma non quella. I greci non avevano nessun mezzo affidabile per misurare la tensione, e l'unico metodo a cui fanno riferimento gli scrittori di armonica, quello di appendere alle corde pesi pi grandi o pi piccoli, introduce sfortunate complicazioni; l'altezza non varia direttamente con i pesi degli oggetti appesi. Una matematica relativamente complessa sarebbe stata richiesta per esprimere accuratamente le relazioni tra le altezze con riferimento alle tensioni misurate in questo modo. Nessun teorico greco sembra avere compreso pienamente la difficolt e nessun teorico greco al di l della leggenda pitagorica sembra mai aver tentato di misurare le relazioni musicali attraverso questa procedura (Barker, 2007, p. 21). Dopo secoli che la leggenda pitagorica stata ripetuta secondo la versione di Nicomaco, vi fu un filosofo che decise di verificarla e trov un risultato differente. Fu infatti Mersenne (1588-1648) che stabil sperimentalmente che se la lunghezza L di una corda resta la stessa, ma la tensione T varia, la frequenza di oscillazione F (e quindi l'altezza della nota) proporzionale alla radice quadrata di T. Spiega esemplificativamente Mersenne: Supponendo che si voglia sapere di quale peso si debba usare per far salire una corda alla sua ottava, occorrer sapere anzitutto la sua tensione, cio con quale peso essa deve essere tesa, quando produce il suono sul quale si regolano gli altri;...poniamo che il peso sia di quattro libbre, allora saranno necessarie sedici libre per far salire la stessa corda all'ottava, cosicch il rap270

porto di ottava, che di due a 1, essendo duplicato produce il rapporto quadruplo:..e ci mostra che il peso che porta la corda all'ottava bassa deve essere il sotto-quadruplo (sousquadruple) dell'altro peso (Harmonie Universelle, libro III, prop. XIII).

A questo punto siamo pi che mai curiosi di saperne di pi. Perch un fatto certo: i rapporti numerici proposti da Nicomaco sono in se stessi corretti, e la loro conoscenza appartiene al pitagorismo pi antico. Ma allora la domanda deve essere rinnovata: Come fece Pitagora a determinare correttamente attraverso numeri i rapporti consonantici? 271

4.5 Linvenzione del monocordo


Vogliamo riesaminare la questione riflettendo liberamente sul problema come se noi stessi dovessimo determinare questi rapporti. Potrebbe intanto risultare naturale considerarli come rapporti di lunghezza tra le corde, anzich come rapporti tra tensioni. Ma non appena ci sembra di poter porre il problema in questo modo, appare subito chiaro che il parlare di pura lunghezza di una corda una frase abbastanza vuota se ci disponiamo in una situazione tanto primitiva come quella in cui si trovavano ad operare i Pitagorici. Intanto vi il problema di come erano fatte le corde. Nicomaco allude ad una torcitura, e quindi ad una composizione di corde di budello animale: la tecnica necessaria per realizzare delle buone corde fatte cos non affatto semplice. Possiamo comunque immaginare che corde di budello fossero prodotte comunemente nella Grecia pi antica. Pi difficile immaginare che queste corde avessero spessori e conformazione materiale realmente omogenea. Ma il problema principale un altro: una corda considerata nella sua pura lunghezza, senza essere in qualche modo tesa, semplicemente non suona! Non c' dubbio che i Pitagorici sperimentassero con corde, ma altrettanto indubbio che le corde con cui sperimentavano erano corde tese, perch altrimenti mancherebbe una condizione per la produzione del suono. Il racconto di Nicomaco, e l'invenzione che sta alle sue spalle, sembra derivare proprio da un ragionamento che potremmo schematizzare cos: 1. le corde debbono essere tese 2. la tensione deve essere dominabile, e cio vi deve poter essere una misura della tensione. 3. la tensione pu essere ottenuta non solo tirando con delle chiavi le corde, come si faceva nell'accordatura della lira, cosa che non consentirebbe nessuna determinazione quantitativa, ma anche usando dei pesi. Attraverso i pesi possiamo ottenere delle unit di misura significative per la tensione delle corde. Si tratta di un ragionamento tutt'altro che da poco, proprio da un punto di vista di teoria della conoscenza. Qualcosa di simile ad un atteggiamento scientifico muove qui i suoi primi passi. Tuttavia, per quanto riguarda il nostro problema particolare, avendo escluso che si possa pervenire ai rapporti indicati attraverso i pesi, sembra un enigma 272

il fatto che essi siano stati alla fine correttamente individuati. L'enigma si dirada ben presto se pensiamo allo strumento musicale che la tradizione assegna a Pitagora: la lira. Chi cerca di analizzare gli intervalli, di riportarli possibilmente ad una legge generale, ovvero chi cerca semplicemente di sperimentare sugli intervalli non pu farlo con uno strumento a fiato. Vi anzitutto il problema della relativa possibile indeterminazione dell'intonazione dello strumento a fiato secondo la forza del soffio che non ovviamente misurabile; ed anche il fatto che le prove sulle differenze di intonazione dovrebbeo avvenire realizzando nuovi fori, cosa che renderebbe evidentemente la sperimentazione molto complicata. Il pitagorico Archita accenna a questa instabilit degli auloi per determinare le cause che rendono un suono pi grave o pi acuto di un altro (fr. 1), ma largomento ripreso soprattutto, con gande acume e con dubbi relativi anche alla sperimentazione con i pesi e con altri mezzi, da Tolomeo (II sec. d. C.) (2002, 1.8, 17 - p. 115). Cos scrive infatti Tolomeo: Si respinga dunque lidea di dimostrare lassunto basandosi sugli auloi e sulle siringhe oppure sui gravi appesi allestremit delle corde, in quanto siffatte dimostrazioni non possono raggiungere il massimo grado di perfezione, ma possono solo creare ostacoli a coloro che le sperimentano. Infatti negli auloi e nelle siringhe, oltre al fatto che la correzione delle loro imperfezioni difficile da individuare... va aggiunto che in genere nella maggior parte degli strumenti a fiato insita una certa imprecisione dovuta allinsuflazione. Daltra parte anche riguardo ai gravi appesi alle corde, poich le corde non si mantengono affatto senza variazioni le une rispetto alle altre, anzi difficile trovare corde che si mantengano eguali ciascuna rispetto a se stessa, non sar possibile collegare i rapporti tra i pesi e i suoni ottenuti per mezzo di essi, dato che, a parit di tensione, le corde pi compatte e pi leggere producono suoni pi acuti. E ancora prima... qualora anche la lunghezza delle corde sia eguale, il peso maggiore, in virt della maggiore tensione, aumenter la lunghezza e render pi compatta la corda alla quale appeso, cosicch anche per questo motivo si verificher una certa variazione nei suoni rispetto ai rapporti tra i pesi. Similmente accade per i suoni prodotti mediante il confronto, come quelli sui quali si fanno esperimenti, ottenuti con martelli o dischi di diverso peso e con le coppe vuote e piene, perch veramente difficile in tutti questi corpi mantenere luniformit nei materiali e nelle forme Pitagora (o chi per lui) era alla ricerca di un qualche mezzo strumentale che soccorresse l'udito, sicuro e inoppu273

gnabile come quelli di cui dispone la vista. Ed era sicuramente consapevole di tutte queste difficolt che si opponevano alla correttezza dellesperimento: la lira invece indica con chiarezza la via per arrivare ad un simile mezzo per una sperimentazione sufficientemente precisa. infatti questo strumento musicale che suggerisce l'invenzione del monocordo. Molto spesso in luogo di monocordo, si parla nelle fonti greche e latine, di canone. Si affacciata l'ipotesi che la parola canone indichi in senso stretto le istruzioni per dividere la corda ovvero il diagramma che deve essere posto sotto la corda per la facilitare l'esatta disposizione dei ponticelli, ma le due parole possono essere essere considerate come sinonime (Adkins, 1967, p. 36). La tradizione attribuisce a Pitagora l'invenzione del monocordo. Racconta Aristide Quintiliano (III-IV sec. d. C.) che le ultime parole di Pitagora rivolte ai suoi allievi furono: Esercitatevi al monocordo. Aristide aggiunge il commento: In questo modo Pitagora mostrava che si perviene meglio alla conoscenza musicale attraverso la ragione, che attraverso l'orecchio, cio attraverso i sensi (III, cap. 2 - Barker, 1989, p. 497) - commento tra laltro un po curioso perch senza lorecchio che coglie i rapporti consonantici esercitarsi al monocordo non serve proprio nulla. In ogni caso il senso della frase di Pitagora, ed anche del commento di Aristide, sufficientemente chiaro: egli esorta i suoi allievi a proseguire la ricerca sui fondamenti teorici della musica. Per alcuni linvenzione del monocordo pi tarda. In generale per contestare l'attribuzione dell'invenzione al pitagorismo antico si fa notare che non vi nessuna menzione precedente al tardo secolo quarto dello strumento utilizzato a questo scopo, il monocordo o canone (Barker, 2007, p. 26). Ma vi anche chi a sua volta non accetta come prova questa circostanza. Arpad Szab, un autore a cui faremo riferimento anche in seguito, scrive: In effetti stato congetturato che non vi era alcuna possibilit di misurare gli intervalli sul canone fino a tempi posteriori ad Aristosseno, quindi non prima del 300 a. C. Il maggior elemento di prova portato a favore di questa conclusione il fatto che il 'canone' non menzionato nei Problemi musicali (un'opera spuria di Aristotele) e nemmeno nella Sectio canonis; e analogamente non menzionato dagli scrittori del quarto e quinto secolo in generale. La spiegazione data per questo fatto che assai probabilmente non esisteva a quel tempo nessuno strumento per la misurazione musicale. Io penso che questo punto di vista sia erroneo perch si pu provare in modo conclusivo che il canone esisteva almeno a partire dai tempi di Platone (Szab,1978, p. 118). In realt la Sectio Canonis stata tramandata sotto il nome di Euclide, ed a parte il titolo, vi un solo passo che 274

menziona la parola canone (prop. 19-20) esi ipotizzato che questo passo sia stato aggiunto da altra mano. Questa ipotesi ritenuta malsicura da Burkert che in ogni casoconsidera controversa la data possibile dellintroduzione del monocordo. In ogni caso secondo Szab, la giustificazione ultima della datazione del monocordo al pitagorismo antico si basa su una interpretazione di un passo dell'Epinomide (991a) di Platone nel quale compaiono dati numerici che sono ottenibili solo attraverso il monocordo. D'altra un fatto sicuro: non possibile effettuare nessuna scoperta relativa ai rapporti tra le corde se non attraverso il monocordo. Noi ci associamo all'opinione di Szab. D'altra parte, la mia sommessa opinione che per un pitagorico che aveva letteralmente a portata di mano la lira, l'idea guida di questa invenzione non poteva certo essere lontana due o tre secoli. Lattribuzione a Pitagora della sua invenzione attestata, fra gli autori antichi, da Diogene Laerzio, Gaudenzio, Aristide Quintiliano, Proclo e Porfirio. Tolomeo sottolinea giustamente che per una buona sperimentazione sarebbe necessario possedere corde perfettamente omogenee. Questa una condizione per isolare il fattore determinante - ed una condizione, per una ragione o per laltra difficilissima da ottenere. Ma unaltra via anche quella di neutralizzare le differenze. Consideriamo infatti lo schema della lira o di uno strumento a corde in genere. Esso potrebbe essere presentato come si mostra nello schema a destra dove le corde sono in questo caso vincolate nella sbarra in basso e sono innestate in chiavi nella zona in alto in modo da permettere laccordatura. Possiamo immaginare di tendere tutte le corde in modo da portarle allunisono. In questo modo vengono neutralizzate tutte le differenze tra le corde per quanto riguarda il materiale, la fattura, la grossezza, ecc. Per quanto riguarda il risultato sonoro, tutte le corde sono equivalenti.

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Naturalmente non dobbiamo nemmeno preoccuparci dello stato di tensione della corda dal momento che anch'esso diventato indifferente - l'una potr essere meno tesa di un'altra. Anche questo indifferente poich l'unica cosa rilevante che si possa pervenire ad una situazione di unisono. Prendiamo allora una corda soltanto e la accordiamo su un altezza qualunque. Naturalmente sar preferibile prendere un'altezza in un registro medio, ovvero non troppo acuto e non troppo grave. Ora l'invenzione del monocordo consistita semplicemente nell'introduzione di un ponticello mobile tra i due sostegni rigidi che delimitano la zona vibrante della corda. Abbiamo cos uno strumento che, visto lateralmente, avrebbe questo schema:
ponticello fisso ponticello fisso

ponticello mobile chiave chiave

Uno schema che si ritrova in Boezio (IV, cap. XVIII) che vale per il Medioevo come diagrammatipico per il monocordo il seguente:

dove naturalmente A e C sono i punti di aggancio della corda, EBed FD i ponticelli fissi e K il ponticello mobile. In realt questa figura venne spesso fraintesa per quanto riguarda i semicerchi sui ponticelli, che secondo le intenzioni originarie di Tolomeo, a cui risale questo schema, intendevano certamente alludere solo ad una leggera curvatura del bordo del ponticello. Il semicercerchio venne invece interpretato invece come se il ponticello stesso dovesse essere costruito in forma semicircolare o addirittura di semisfera, cosa che non avrebbe alcuno scopo (Atkins, 1967, p. 35). 276

4.6 Il monocordo come strumento di misura


Nelloperadi Gaffurio oltre le tre tavole che abbiamo mostrato ve ne unaltra che merita di essere commentata perch si presta a qualche equivoco. Essa presenta ancora Pitagora che sperimenta su corde, ma occorre richiamare lattenzione anzitutto sul fatto che la tensione ancora ottenuta attraverso pesi e soprattutto si nota la mancanza di qualsiasi ponticello mobile. Questo lelemento decisivo, insieme ad una misurazione che non si avvale pi di pesi. Nel caso del monocordo, il ponticello mediano pu essere spostato e dunque divide la corda in due parti. Ora come se avessi due corde che posso paragonare tra loro nel suono che emettono. Ad esempio se pizzico sulla parte a sinistra, ipotizzando che sia molto pi corta della parte a destra, otterr un suono pi acuto, se pizzico dalla parte a destra, nella stessa ipotesi, otterr un suono pi grave. chiaro anche che posso verificare con molta facilit questa prima relazione funzionale: a corde pi brevi corrispondono suoni pi acuti, a corde pi lunghe corde pi gravi. In effetti ora proprio soltanto la lunghezza della corda che viene in questione. Inoltre, poich evidentemente non interessano le lunghezze assolute, il confronto quantificabile in forma di rapporto. Ad esempio, supponiamo prima di togliere il ponticello e di fare risuonare la corda, e poi di inserire il ponticello esattamente alla met. Allora avremo sia a destra che a sinistra un suono che corrisponde all'ottava acuta della corda intera - abbiamo cio per l'ottava il rapporto di un 1/2 o inversamente, il rapporto del doppio. 277

Naturalmente questi confronti potrebbero risultare pi facili disponendo di due o anche pi corde. Dovremo allora assumere come situazione di partenza l'unisono e poi manovrare con uno o pi ponticelli mobili. Il buon senso, a cui non si vede perch si debba rinunciare in questo genere di questioni, ci suggerisce subito che ben difficilmente si sperimentava con una corda soltanto: in effetti sembrerebbe abbastanza strano che chiunque sia stato in grado di effettuare il pensiero del monocordo non sia stato anche in grado di semplificare lo strumento con due o pi corde in modo da rendere pi agevole la sperimentazione. Gi con due corde soltanto le cose migliorano notevolmente perch si consentirebbe di avere un suono fisso di riferimento, ponendo il ponticello mobile sull'altra corda e comparando i suoni risultanti dal movimento del ponticello con il suono fisso - sempre nell'assunto che le due corde entrambe prive di ponticello siano accordate all'unisono. In effetti ormai comunemente accettato che con la parola monocordo si intendeva sia uno strumento con una sola corda sia, per estensione, strumenti con pi corde. Il nome in certo senso vale solo per l'idea - ma con lo stesso nome si poteva intendere uno strumento che poteva arrivare alle otto corde. Nelle rappresentazioni consuete pi tarde comunque il nome faceva testo, e quindi il monocordo veniva rappresentato con una corda soltanto. Il fatto che nella designazione di monocordo venisse menzionata una sola corda non significa che il monocordo dovesse essere obbligatoriamente costituito di una sola corda tesa. Se si vogliono suonare simultaneamente gli intervalli messi in evidenza certamente pi pratico disporre di una corda aggiuntiva, come descrive ad esempio Teone di Smirne che utilizza per questa operazione due corde accordate all'unisono... Il monocordo a otto corde che si trova gi in Tolomeo viene descritto tra l'undicesimo e dodicesimo secolo da Theogerus di Metz (Mnxelhaus, 1976,p. 25). Gli scrittori pi tardi descrivono la costruzione di monocordi di una gran variet di dimensioni e forme, molti dei quali provvisti di pi di una corda. Tecnicamente questi strumenti a pi corde non dovrebbero essere chiamati monocordi, ma vi era consenso sul fatto che se le corde venivano accordate all'unisono la designazione poteva essere mantenuta (Adkins, 1967, p. 36). Il passaggio ulteriore infine quello della graduazione. Sulla base del monocordo, che supponiamo sia in legno, metteremo delle tacche ai fini di effettuare le misurazioni. Il monocordo era in effetti graduato. Per questo veniva anche chiamato canone, termine che in greco vuol dire "metro", "regolo". Il passo essenziale fatto. E si capisce benissimo come Pitagora, al di l della favola del "fabbro armonioso", abbia po278

tuto determinare i rapporti di ottava, di quinta e di quarta e lo abbia fatto correttamente, anche se, come vedremo tra breve vi una problematica relativamente complessa proprio in rapporto alla determinazione numerica. Notiamo per il momento che, una volta scoperti i rapporti relativamente alle corde, questi stessi rapporti vengono sperimentati ad esempio sui flauti o sui bicchieri contenenti acqua in varie proporzioni - cercando di superare le difficolt che abbiamo enunciato in precedenza; si poteva cos ottenere lo stesso risultato. Ci aveva una importante conseguenza: il rapporto numerico assumeva il carattere di una generalit astratta, indipendente dalle sue applicazioni e dalle particolarit dei materiali. Esso viene ottenuto anzitutto sperimentando sulle corde, ma non viene considerato come una propriet particolare che spetta soltanto ad esse. Ed anche questo un passo importante che non interessa soltanto la teoria della musica ma anche la teoria della scienza e la teoria della conoscenza in genere. Io sarei disposto ad enfatizzare un poco questo punto: il monocordo non uno strumento musicale essendo interamente destinato alla sperimentazione, ma non si pu non notare che esso la lira stessa che diventata uno strumento di laboratorio. Del resto talvolta il monocordo viene considerato anche come uno strumento musicale. Cosi Boezio lo paragona ad una cetra. Ed inversamente Si pu dimostrare che nel medioevo anche strumenti musicali venivano impiegati per misurazioni intervallari. Ad esempio Johannes 279

Gallicus (XV sec.) intende la viella con una sola corda come lo strumento con il quale potevano essere dimostrati i rapporti intervallari e presso i teorici arabi questioni di accordatura di ordine generale venivano spiegate con riferimento al liuto (Mnxelhaus, 1976, p. 26). Tutto ci fa pensare che una rappresentazione di Pitagora come la seguente che risale al sec. XV sia ovviamente conforme alle raffigurazioni dell'epoca, ma che essa intenda raffigurare un Pitagora musicante, ma anche sperimentatore.

In una miniatura del XIII secolo il monocordo viene chiamato senz'altro "lira" (Mnxelhaus, 1976, p. 30)

Intorno al 1500 il monocordo subisce un cambiamento significativo non solo nella forma ma anche nella funzione. Intanto va notato che il monocordo, nel suo impiego pi evoluto, interagisce sempre con i calcoli matematici, comunque eseguiti. Talvolta avviene anche una sorta di scambio delle parti: il monocordo pi che servire per scoprire i rapporti rapporti matematici di intervalli dati, viene impiegato per udire suoni e intervalli predeterminati calcolisticamente. Ma vi anche un altro suo impiego particolarmente interessante che quello di contribuire a determinare quale lunghezza deve essere attribuita ad una corda per ottenere una determinata serie di intervalli. La forma viene allora adattata a questa diversa funzione. Il ponticello fisso dal lato opposto alla chiave viene nettamente abbassato rispetto alla cassa armonica. In questo modo diventava possibile premere direttamente i vari punti della corda esattamente come si fa per una chitarra o con un violino (Adkins, 1967, p. 35). Un monocordo del periodo rinascimentale poteva cos assumere la forma seguente, che non solo assai simile a quella di uno strumento musicale ma che mostra un uso in certo inverso che di esso era possibile fare: esso poteva servire a stabilire la posizione dei tasti degli strumenti a corda.

Questo naturalmente un problema diverso dai precedenti. Gli strumenti a corda avevano spesso una tastatura, come ha oggi ancora uno strumento come la chitarra, in cui il dito viene disposto tra due tacche che vengono predeterminate sullo strumento e che sono come ponticelli che diventano attivi quando avviene la pressione del dito sulla corda. Una problema che si pone allora, ed era un problema importante in un periodo in cui la sperimentazione sulle forme scalari faceva parte degli interessi musicali, quello di stabilire dove debbono essere 280

disposte le tacche, in modo da ottenere una particolare sequenza di intervalli (Adkins, 1967, p. 41). Lillustrazione precedente pu dare una idea di come si poteva usare il monocordo per assolvere questo compito. Va notato comunque che questo impiego del monocordo non riguarda la grecit, che non aveva strumenti tastati. Tardo anche il simbolismo del monocordo come spina dorsale delluniverso accordato dalla mano stessa di dio. Nel Medioevo il monocordo non soltanto assolveva le funzioni di base ad esso assegnate dai Greci, ma serviva anche come il principale metodo per esporre dettagli della teoria musicale, cio esso fu frequentemente impiegato nella spiegazione dei metodi matematici per la determinazione degli intervalli e delle scale, ed anche come un apparato per produrre altezze nellinsegnamento del canto. Il Rinascimento e i periodi successivi utilizzarono ampiamente lo strumento come uno dei mezzi pratici per sperimentare con le varianti scalari ed assai meno per laccordatura degli strumenti a tastiera. In ogni caso in questepoca un sistema di rappresentazione acustica espressa nella forma di lunghezza di corde, di derivazione monocordista, trov grande favore da parte di teorici, compositori e matematici. Nel rinascimento inoltre fu fatto un uso simbolico del monocordo per illustrare lunit esistente tra luomo e il suo ambiente sia fisico che spirituale (Adkins, 1967, p. 11).

monocordo di costruzione moderna http://www.carousel-music.com/stringmain.html

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5. La matematica pitagorica

La matematica ha la sua preistoria, e non delle meno importanti H. G. Zeuthen


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5.1 Numeri, rapporti e proporzioni


5.1.1 Il logos 5.1.2 Lanalogia

5.2 I numeri figurati


5.2.1 La lavagna di Pitagora nella Scuola di Atene di Raffaello 5.2.2 La Tetractys 5.2.3 Cenni sui numeri figurati 5.2.4 Sviluppi e commenti sui numeri figurati 5.2.5 I numeri quadrati 5.2.6 I numeri eteromechi 5.2.7 I numeri figurati e lidea di matrice

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5.3 Le opposizioni pitagoriche


5.3.1. Le opposizioni pitagoriche e il loro senso 5.3.2 Lopposizione illimitato/limitato in Filolao

5.4 I numeri irrazionali 5.5 Larmonia delle sfere

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5.1 Numeri, rapporti e proporzioni


5.1.1 Il logos

Vogliamo ora chiarire meglio il modo in cui i Pitagorici concepiscono il riferimento ai numeri ed ai rapporti tra i numeri. In realt noi siamo abituati dalla scuola a considerare la "frazione" nient'altro che come un modo di indicare la divisione come operazione puramente aritmetica. Ci viene insegnato che una frazione pu essere "tradotta" in un numero decimale, e che il numero decimale pu essere finito o infinito periodico. Se ad esempio dividiamo 3 : 2 otteniamo 1,5 che un numero decimale finito. Se invece dividiamo 4:3 otteniamo 1,33333.... che un numero decimale infinito periodico. Sappiamo anche che questi numeri vengono chiamati razionali. La parola "razionale", concepita cos, la abbiamo accettata una volta per tutte nell'insegnamento medio. Il fatto singolare che forse sarebbe probabilmente difficile per ciascuno di noi rendere conto dell'impiego di questo termine - forse nessuno ci ha mai detto nulla in proposito, forse ci che ci stato detto lo abbiamo completamente dimenticato. Naturalmente esso ha a che vedere con la parola latina ratio e con la parola greca logos. Si tratta di termini tremendamente impegnativi per la filosofia. Ma vi qualche relazione tra l'impiego filosofico ed un simile impiego aritmetico? La tentazione sembra essere spesso quello di dare una risposta negativa a questa domanda. Ecco alcune definizioni prese qui e l dai nostri comuni libri scolastici: Un numero razionale un numero che la ratio di due interi. Tutti gli altri numeri reali sono detti irrazionali. La ratio il quoziente di due numeri. In un dizionario di matematica, anchesso destinato alla scuola, sotto la voce "razionale" si osserva: Si noti che il senso di ratio rapporto, e non ragione, cosicch razionale non va inteso come ragionevole . Su di ci non si pu che essere d'accordo: non vi sono numeri ragionevoli e numeri irragionevoli. Ma la ragione non c'entra proprio nulla con quella di rapporto? 288

appena il caso di dire che potremmo ricorrere a definizioni assai pi sofisticate, che richiederebbero contesti teorici di ampio respiro e che certamente ora non nemmeno il caso di evocare. Tanto pi che, per quanto riguarda le nostre discussioni, non solo non abbiamo bisogno di procedere verso l'alto, ma al contrario vogliamo ripensare i problemi nella loro forma iniziale, regredendo ai livelli pi semplici - alla preistoria della matematica pi che alla sua storia. Del resto io credo che il raggiungimento di una maggiore complessit, quando accompagnata dalloblio del senso primitivo da cui tutto ha inizio, non sia sempre un vantaggio dal punto di vista del comprendere. Se ad esempio la "frazione" viene intesa come una divisione che non stata ancora compiuta o come un modo diverso di scrivere un numero decimale, il parlare di numeri razionali e correlativamente di irrazionali, assume sempre pi nettamente il carattere di una pura convenzione terminologica, il cui senso tende a sfuggirci. A maggior ragione se poi si aggiunge (penso sempre all'insegnamento elementare e medio) l'idea che il problema pi importante per il giovane discente che sta per essere introdotto nei grandi regni della matematica sia quello di risolvere gli "esercizi" con le frazioni, che in genere consistono nel riempire una pagina del quaderno a quadretti con un immenso grattacielo di frazioni impilate l'una sull'altra al cui termine si trova, se tutto va bene, una frazioncella come -87/17. Come avr ben compreso il mio lettore, i grattacieli di frazioni sono stati un mio incubo scolastico infantile di cui voglio qui vendicarmi mostrando un esempio di grattacielo tratto dal mio vecchio manuale di aritmetica. 289

La soverchia importanza data ai calcoli rischia di mettere in ombra i concetti, ed il credere che l'insegnare la matematica significhi imparare a fare calcoli corretti una convinzione che, a mio avviso, ostacola gravemente l'afferramento della grandezza e della bellezza del pensiero matematico, oltre ad essere ormai diventata del tutto obsoleta l'utilit pratica dell'acquisizione di una simile abilit. Ritornare ai concetti spesso significa proprio ritornare ai primi inizi. Una riflessione sui problemi della matematica pitagorica pu essere orientata proprio in questa direzione, che forse proficua non solo sul piano storico, ma anche su quello teorico. Considerazioni filosofiche e considerazioni matematiche entrano qui le une nelle altre. Tra le tante cose che si attribuiscono a Pitagora, vi anche il fatto che egli sia stato il coniatore del termine "filosofia". Egli fu il primo che diede il nome alla filosofia, descrivendola come desiderio e amore della sapienza, che era per lui conoscenza della verit delle cose che sono (Giamblico, 1991, XIX, p. 315). Questa circostanza merita di essere rammentata qui. Pitagora e i pitagorici sono alla ricerca di rapporti. La filosofia del numero potrebbe addirittura essere considerata conseguente a questo scopo primario, se si tiene conto del fatto che i numeri sono cercati in quanto essi possono essere messi chiaramente in rapporto e possono dunque riportare questa chiarezza sulle cose a cui "convengono". In greco rapporto si dice logos. E ci sembra suggestivo pensare che per Pitagora la parola "filosofia" che indica anzitutto l'amore per la saggezza e per la sapienza, e nello stesso tempo per la conoscenza della verit delle cose, significasse anche "filologia" - nel senso del termine suggerito da queste considerazioni. Ragionare significa stabilire relazioni, ricercare ragioni ricercare collegamenti. Mi sembra anche di poter dire anche che quando Pitagora scoperse il logos del fenomeno consonantico, ovvero quando scoperse che la consonanza aveva un logos, per lui questa parola avesse una valenza matematica e filosofica insieme. Sull'origine della parola logos si sono spese naturalmente moltissime parole. La si fa derivare da leghein, verbo che significa normalmente dire, parlare, raccontare. Esso per significa anche raccogliere, collegare, connettere. Stabilire una connessione significa anche cominciare con il "rendere conto" del fenomeno considerato. Cosicch il significato della parola rapporto e quello di ragione possono scivolare l'uno nell'altro. Arpad Szab sostiene addirittura che la parola logos nei suoi impieghi pi arcaici non avesse nulla a che fare con il linguaggio quotidiano o con la vita quotidiana dei Greci. Era una denominazione puramente scientifica. Vale a dire: la ma290

tematica era il campo unico nel quale il vocabolo logos aveva il senso di 'rapporto tra due numeri', rispettivamente, pi tardi, anche 'rapporto tra due grandezze(1971, p. 85). Si tratta di una tesi che rafforza, anzich indebolire ci che dicevamo in precedenza. Da quel significato particolare si intravvede un significato pi generale. Entrambi poi per un certo tratto cammineranno insieme, per un altro si divaricheranno nettamente e avranno una vita indipendente, al punto che sarebbe erroneo confonderli: ma tra questi significati una relazione c', ed giusto da un lato rammentare le origini musicali del problema, dall'altro dare a quella parola una duplice valenza. Per comprendere questo intreccio abbiamo tuttavia bisogno di rimettere in gioco quella nozione di intero e di parte che sembra essere semplicemente cancellata dalle precedenti definizioni della "frazione", nonostante il fatto che questa nozione sia per cos dire stampata in fronte alla parola. Anche l'operazione del dividere deve essere considerata non tanto nel suo aspetto di operazione aritmetica, cio di un'operazione che ha come oggetto e come risultato dei puri numeri, realizzata per di pi come una pura manipolazione di tipo calcolistico, quanto il fatto che se dico 3/2, c' un intero a cui abbiamo aggiunto la sua met. Dobbiamo riportare alla memoria una circostanza che abbiamo sempre saputo, ma di cui potremmo finire di non tenere affatto conto, e cio il fatto che il segno 1 deve essere considerato non tanto come simbolo di un numero, quanto di un intero qualsivoglia. Ed allora 1/2 appunto la met dell'intero e se scrivo 1+1/2 intendo appunto un intero a cui stata aggiunta la sua met, dove ci che si ha da intendere con il segno "+" andr deciso di volta in volta, secondo l'intero considerato. Questo qualcosa di concettualmente diverso dal numero 1.5 inteso come risultato della divisione aritmetica tra il numero 3 e il numero 2. Analogamente 2/3 significa che un intero stato ripartito in tre parti, di cui ne vengono considerate due. E questo ancora qualcosa di diverso, dal punto di vista del contesto significativo, del numero 0,66666.... che il risultato della divisione aritmetica di 2 : 3. A dire il vero, sul numero 1 vi qualcosa d'altro da dire. Come abbiamo detto or ora, esso rappresenta l'intero stesso che verr diviso in parti. Tuttavia lunit pu essere intesa come unit di misura per interi, di cui sar dunque una parte. Secondo una certa unit di misura, ad esempio, un intero avr la misura 2, secondo la stessa unit di misura, un altro intero avr misura 3. In questo modo i due interi saranno commisurati l'uno all'altro, dove commisurare significa appunto mettere in rapporto una cosa con un'altra facendo riferimento ad ununica unit di misura.

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5.1.2 Lanalogia

Da questa nozione di rapporto si deve poi passare alla nozione di proporzione. In greco proporzione si dice analogia, parola nella lingua italiana viene per lo pi usata nel senso di "somiglianza", in presenza di aspetti comuni tra una cosa ed un'altra. In realt vi qualche affinit di senso tra questi impieghi - che possono naturalmente essere usati anche per cose che non sono numeri - con l'impiego delle parolette stare a e come . Ad esempio: Dio sta al diavolo, come il bene sta al male. Occupandosi del ruolo della somiglianza nella costruzione delle definizioni, Aristotele nei Topici (108b24) si richiama in realt alla problematica delle proporzioni in unaccezione generale del termine. In effetti Aristotele scrive: La considerazione della somiglianza utile per le espressioni definitorie anche nei confronti degli oggetti assai distanti tra loro, ad esempio, quando si oserva unidentit tra la bonaccia nel mare e lassenza di vento nellaria (in entrambi i casi si tratta infatti di una calma), ed ancora tra il punto contenuto nella linea e lunit contenuta nel numero (ciascuno dei due invero un principio). In questo modo, se assegneremo come genere la determinazione comune a tutti i casi, la nostra definizione non apparir estranea alloggetto. Del resto, si pu dire che siffatte formulazioni siano date di solito da coloro stessi che definiscono: essi infatti affermano che lunit principio del numero e che il punto principio della linea. dunque chiaro che costoro riportano il genere alla determinazione comune ad entrambi questi oggetti Ma quando entrano in campo i numeri la nozione di proporzione diventa pi precisa. Ed ancora Aristotele a cui possiamo fare riferimento anche se in una discussione che riguarda il giusto, ma nella quale la proporzione numerica viene direttamente implicata. Allinterno di questa discussione di argomento etico si parla infatti dellanalogia (termine che contiene in s la parola logos) come eguaglianza di rapporti (Etica Nicomachea, 1131 a 31). Questa osservazione di Aristotele mi ha indotto a ricostruire una locuzione arcaica della matematica che viene senza dubbio dai Pitagorici del VI e V sec. a. C, e le cui tracce si leggono ancora in Euclide. Si diceva originariamente di quattro numeri che stanno in proporzione a: b=c:d che essi sono uguali secondo il logos ... Il sostantivo analogia - un'espressione artificiale che originariamente aveva senso solo nel linguaggio matematico - viene dunque da 292

questa locuzione pitagorica e significa 'uguaglianza dei rapporti'. Anche il nostro concetto di analogia per questa ragione di origine matematica e pitagorica (Szab, 1971, p. 85). Nonostante questa sottolineatura di Szab sull'originaria origine matematica del termine di analogia, che ovviamente conseguente alla sua osservazione sul termine di logos, credo che sia opportuno almeno per un certo tratto rammentarsi che segni come quelli di eguaglianza o quello di divisione non hanno esattamente lo stesso senso dei segni corrispondenti usati nell'aritmetica elementare, proprio per il fatto che al di qua e al di l del segno di eguaglianza, dove vi sono i "membri della proporzione", potrebbero esservi cose che non sono numeri. Potremmo anche trovarci di fronte ad un membro della proporzione che non numerico mentre l'altro lo . In tal caso ci troveremmo di fronte a formulazioni che tengono un piede nell'aritmetica ed un altro fuori di essa. Proprio il tema dell'intervallo espresso in rapporti illustra questo fatto. Potremmo dire che la nota do sta al sol pi acuto come 3 a 2. In un membro della proporzione troviamo dei suoni, nell'altro troviamo dei numeri. Il segno di eguaglianza = ha qui un significato piuttosto particolare e talora viene in effetti sostituito, anche in una proporzione i cui membri sono tutti numeri, dal segno ::. Naturalmente per stabilire una proporzione tra cose che non sono numeri e numeri quali sono il 3 e 2 abbiamo bisogno di una mediazione che ci consenta di effettuare questo passaggio. Nel nostro caso, questa mediazione rappresentata dalla corda e dalla sua lunghezza: ci che adatto al numero la corda, perch essa pu essere misurata, e ci richiede il numero. Conseguentemente due corde possono essere commisurate l'una all'altra. Nello stesso tempo la corda pu essere considerata per cos dire rappresentativa del suono che essa emette, e quindi viene stabilito un nesso preciso tra una determinazione numerica e un fenomeno uditivo che sembra sfuggire a qualunque determinazione numerica. Ponendo le cose in questi termini vi sono alcune cose da mettere in rilievo con molta chiarezza: anzitutto l'importanza fondamentale che riveste la consonanza come fenomeno uditivo quando sia considerata alla luce di una mediazione che consente una determinazione quantitativa. Questa mediazione ancora fenomenologica, nel senso che le corde sono entit percepite e manipolabili, io le posso mettere in una tensione minore o maggiore, posso prendere corde pi lunghe o pi corte. Peraltro, come abbiamo gi notato, il rapporto ad es. di 3/2 non viene vincolato alla corda come tale, ma pu essere trasferito alla lunghezza in genere, e quindi lo stesso rapporto potr essere fatto valere, ad esempio, per la lunghezza dei flauti, o per la posizione dei fori praticati in essi. In seguito, in tempi relativamente molto vicini ai nostri, verr considerato il fenomeno sonoro come evento fisico che si pu considerare in se 293

stesso: il legame con il numero avviene attraverso la frequenza delle oscillazioni di un corpo elastico, ed i rapporti numerici restano gli stessi, bench da interpretare inversamente (a numero maggiore, suono pi acuto, a numero minore suono pi grave). Ma occorre anche mettere in rilievo che quando non si ancora raggiunta chiarezza sulle cause del suono e sul suono come evento fisico, il rapporto numerico tende a distaccarsi dai suoi veicoli materiali: le mediazioni che portano al riconoscimento di quel rapporto vengono in certo modo neutralizzate, proprio perch viene operata una generalizzazione che supera la particolarit del veicolo. In assenza di una conoscenza fisica effettiva, si tender ad attribuire una speciale virt, un particolare e misterioso potere proprio al rapporto numerico come tale. inutile dire che questo rischio stato ampiamente corso dal pitagorismo in tutte le fasi della sua lunga storia e che in certo senso gi scritto nei suoi principi che, se da un lato possono essere ascritti ad una riflessione anzitutto epistemologica, dall'altro si trovano fin dall'inizio sul piano inclinato di uninterpretazione ontologica. Da un punto di vista epistemologico, dire che la consonanza ha un logos significa affermare che essa comincia ad entrare in nostro possesso, ad essere dominabile. Ma non nel senso in cui essa dominata dal musicista, che pratica direttamente consonanze e che sa benissimo accordare il suo strumento. La consonanza comincia ad essere dominata nel senso che possediamo qualcosa di simile ad una legge che la governa. Basta spostare di poco l'accento per passare dal piano epistemologico a quello ontologico. La conoscenza conoscenza non di questo o di quello, non del caso empirico, ma di generalit. Questo un tema pitagorico di grandissima importanza. Giamblico, coniugando motivi pitagorici e platonici, collega la conoscenza agli esseri incorporei e nell'Introduzione all'aritmetica di Nicomaco scrive: Affinch la presente trattazione non sia incompleta neppure in questo, diciamo che fu Pitagora il primo che us il nome di filosofia e disse che questa scienza della verit degli enti. E con la parola "enti" egli intendeva dire le cose immateriali ed eterne che costituiscono la sola parte attiva dell'essere, cio gli incorporei, e del resto le forme corporee e materiali, e generate e corruttibili, e che non sono mai realmente, sono chiamate enti per omonimia, in quanto partecipano dei veri enti. E la sapienza, egli diceva, scienza degli enti veri e propri, non degli enti per omonimia, giacch le cose corporee non sono oggetto di scienza, n ammettono conoscenza sicura... (Giamblico, 1995, p. 209). Come appare in questa citazione vi un uso forte ed un uso debole della parola ente - ci che - e l'uso forte ri294

guarda soltanto gli oggetti intelligibili, cio dominabili dalla ragione, mentre l'uso debole un uso in certo senso trasposto e riguarda gli enti sensibili, cose corporee o inerenti alle cose corporee. Di ci non c' scienza; o meglio - si precisa subito dopo - c' scienza solo in quanto, una volta che si sono comprese le "ragioni" sul piano degli intelligibili, si arriva anche a riferire ad esse il piano degli enti corporei. E infatti nella conoscenza di tali enti [intelligibili] accade, anche senza volerlo di proposito, che si accompagni anche la conoscenza degli enti per omonimia, in quanto nella scienza dell'universale inclusa la scienza del particolare (ivi, p. 209). Tutto questo discorso sembra resti interamente sul piano della teoria della conoscenza, ma l'accento posto sull'ente vero, su ci che veramente , ci sposta verso la metafisica. Una conoscenza possibile in quanto vi sono enti immobili, che meritano realmente il nome di ente. Per il filosofo pitagorico-neoplatonico questi enti sono anzitutto i numeri, i rapporti, le proporzioni numeriche. Scoprire dunque il logos della consonanza, nello spirito di queste considerazioni, potrebbe significare anche riportare questo ente sensibile, che il suono, alla sua essenza ideale, dall'ente soltanto per nome all'ente che veramente . Anche questi possibili esiti e interpretazioni confermano che vi una connessione tutt'altro che insignificante tra la ragione nel senso matematico del termine e la ragione nel senso filosofico pi ampio - ed il cogliere questa connessione ci aiuta a comprendere meglio la speculazione che ora si sta sviluppando.

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5.2. I numeri figurati


5.2.1 La lavagna di Pitagora nella Scuola di Atene di Raffaello
Il grande affresco di Raffaello rappresenta uno straordinario omaggio alla scienza ed alla filosofia della Grecia Antica, senza dimenticare il contributo dato dalla scienza araba alla cultura europea.

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Al centro sono rappresentate le grandi direzioni filosofiche indicate da Platone e da Aristotele.

Ogni figura rappresenta una grande personalit della filosofia e della scienza, da Euclide a Tolomeo, frammiste a personalit dell'epoca tra cui lo stesso Raffaello il cui volto si intravvede dietro il gruppo dei geometri sull'estrema destra.

Naturalmente noi siamo subito attirati dal gruppo che ha Pitagora al proprio centro.

Mentre l'identificazione di Pitagora resa sicura dalla lavagna che il giovane allievo porge al maestro, l'identificazione delle altre figure dubbia. Si pensato alla presenza di Aristosseno nel gruppo ma le interpretazioni sono oscillanti. A noi sembra probabile e significativa l'interpretazione di coloro che identificano Aristosseno nella figura che regge a sua volta un libro quasi in un gesto di contrapposizione. In 297

tal caso sarebbe felicemente caratterizzata la differenza e anche l'opposizione tra i due grandi protagonisti della teoria musicale greca. Sembra inoltre degno di nota il fatto che i tipi umani dell'uno e dell'altro corrispondano in modo piuttosto evidente rispettivamente alla figura di Platone e di Aristotele rappresentati al centro del dipinto, segnalando un'affinit di orientamento teorico tra Pitagora e Platone, da un lato, e Aristosseno e Aristotele dall'altro.
(Cfr. per questa descrizione ed altri dettagli Spazio_filosofico, http:// www.lettere.unimi.it/Spazio_Filosofico/imago/raffaello/index.htm e soprattutto, per uninformazione pi completa sulla Scuola di Atene: Most, 2001).

Per quanto riguarda lelaborazione dei nostri temi attuali, tutta la nostra attenzione deve concentrarsi ad un piccolo dettaglio, e precisamente alla lavagnetta che viene proposta ai piedi del maestro dal giovane che gli sta a fianco. La figura sovrastata dalla scritta Epogdoon: si tratta della designazione greca per indicare il tono pitagorico di 9/8. Epi significa sopra ed ogdoon ottavo: possibile che alla parola epogdoon che vale quasi come titolo della tavola, spetti anche la funzione di fornire un rimando alla tradizione, secondo la quale fu Pitagora ad avere introdotto nella scala il tono intero a 9:8, o almeno a mettere in evidenza limportanza che questo tono ha per la scala pitagorica (Mnxelhaus, 1976, p. 190). 298

Questa importanza dovuta al fatto che lottava pitagorica deve essere concepita come formata da due quarte separate da un tono. La quarta come parte costitutiva fondamentale dellottava viene chiamata tetracordo, ed il tono in questione che opera la disgiunzione (diazeugsis) tra i due tetracordi viene chiamato tono disgiuntivo. Gli archi, secondo una convenzione diventata del tutto comune nella trattatistica, indicano gli intervalli e il tono disgiuntivo viene evidenziato rispetto agli altri intervalli con larchetto superiore. In basso larco pi ampio indica lintera ottava e gli altri archi la quarta e la quinta nelle due direzioni. Nella parte superiore della figura compaiono anche i numeri 6,8,9, 12 che abbiamo gi incontrato nelle raffigurazioni medioevali e di cui opportuno ancora rinviare la spiegazione. il caso invece di dare qualche spiegazione sulla parte sottostante della figura aprendo nello stesso tempo una digressione piuttosto ampia.

5.2.2 La Tetractys
Fino a che punto ci troviamo in bilico tra istanze di ordine diverso, all'interno di uno stesso orizzonte problematico, e come sia importante tenere insieme queste istanze, dimostrato in realt molto bene dalla discussione che pu essere sviluppato da uno dei pi famosi emblemi pitagorici. Si tratta della cosiddetta Tetractys. La figura che Raffaello ha tracciato sulla lavagna che viene mostrata a Pitagora, al di sotto dello schema della divisione dellottava, si chiama appunto cos. Essa intanto una rappresentazione, letta dallalto verso il basso, dei numeri 1, 2, 3, 4 che si conviene nel loro insieme di indicare con il termine di tetrade o di quaternario, e questa rappresentazione rappresenta un modo particolare di enfatizzare la sua densit simbolica, a cominciare dal riferimento musicale allidea dellarmonia ovvero dei rapporti musicalmente sinfonici. Questi rapporti sono tutti formulati allinterno della tetrade - trattandosi, come abbiamo gi detto, 2/1 per lottava, 3/2 per la quinta, 4/3 per la quarta. Forse in essa contenuto anche il rapporto dissonantico di 9/8 299

che peraltro in certo senso una risultante della divisione sinfonica dellottava - poich i numeri 9 e 8 possono essere formulati come 32 e 23. Rappresentando lunit con una pietruzza (psefos), un punto o un trattino, possiamo disporre ogni punto in modo da costruire una sorta di triangolo. Naturalmente la figura pu essere costruita anche mettendo in evidenza caratteristiche di particolare simmetria: ad esempio facendo bene le cose, si pu puntare un compasso e tracciare un cerchio la cui circonferenza passi sui vertici.

1 2

VIII V

Nel triangolo formato dalla Tetraktys 1 . ogni lato formato da quattro punti che possiamo numerare da 1 a 4 2 . cominciando da uno qualunque dei tre vertici possiamo trovare il quaternario nell'ordine suo proprio: 1, 2, 3, 4. 3. Poich il totale dei punti 10, la figura mostra direttamente la relazione tra il quattro e il numero dieci, mostrando che la somma tra i primi quattro numeri della successione dei numeri naturali appunto pari a 10.

3 4

IV

I numeri romani indicano gli intervalli musicali

300

Inoltre si pu ancora notare che vi un valore simbolico che rimanda alla totalit delle dimensioni del reale: 1 = punto = zerodimensionalit 2 = linea = unidimensionalit 3 = triangolo =bidimensionalit ( la figura piana pi semplice) 4 = tetraedro = tridimensionale (il primo dei solidi regolari platonici, piramide con facce triangolari) Vi sono fonti che fanno risalire queste relazioni spaziali al pitagorismo antico, e in particolare a Filolao (Test. A13), ma possibile che esse siano state proposte in ambiente platonico (Huffman, 1993, p. 359); certa in ogni caso limportanza di questa figura per i pitagorici, e che questa importanza sia dovuta al valore emblematico che essa poteva riassumere sulla base dei suoi valori aritmetici, geometrici e musicali con le loro espansioni simboliche. Il numero dieci, che del resto la base del sistema decimale, sempre stato unimmagine di totalit e di perfezione; e cos anche il cerchio. Questa idea della totalit ancor pi rafforzata dallidea che questi primi quattro numeri, che la teoria musicale ha messo in evidenza come quintessenza dellarmonia, siano rappresentativi delle dimensioni del reale. Questa figura aveva per i pitagorici un valore quasi sacrale, e si racconta che la fase di iniziazione si concludesse proprio con un giuramento sulla tetractys. Il pi comune dei giuramenti associati alla tetraktys era: Io giuro a colui che ha trasmesso alle nostre anime la tetraktys / fonte che contiene la radice della natura perenne; unaltra formula di giuramento riferito da Giamblico afferma: Che cosa loracolo a Delfi? la tetractys; / cio larmonia in cui cantano le sirene (Barbera, 1985,p. 197). Il riferimento alloracolo di Delfi significativo perch mostra che figure come queste appartenevano, come i simboli verbali agli enigmi di cui si compiaceva il pitagorismo pi antico e pi recente.

301

5.2.3 I numeri figurati

Sarebbe tuttavia sbagliato insistere sullaneddotica relativa alla tetractys, e sbagliatissimo pensare che la sua portata teorica si esaurisca in essa. Al contrario questa figura, cos importante sul piano emblematico, un semplice dettaglio dentro il contesto in cui essa deve essere effettuata. Essa infatti non che un possibile esempio della pi ampia tematica dei numeri figurati, e questa assolve un ruolo che difficile sottovalutare nella preistoia del pensiero matematico. Su di essa val la pena di soffermarsi anche un poco di pi dello stretto necessario. Il primo problema che va discusso come debba essere considerata la tematica del numeri figurati. Ci si deve chiedere in primo luogo se sia giusto ritenere che essa sia una sorta di raffigurazione geometrica del numero, come si dice cos spesso nella manualistica corrente. In realt i pitagorici parlano di numeri triangolari, poligonali, rettangolari, quadrati, ecc. e sia i nomi che le configurazioni di punti corrispondenti hanno tutta lapparenza di forme geometriche. Si potrebbe allora sostenere che qui sarebbe in atto una rudimentale visione geometrica dei rapporti aritmetici. Del resto il prevalere di un punto di vista geometrico sarebbe tipico della matematica greca in genere. Io credo che questa opinione non sia condivisibile n per il caso generale n per il caso particolare della matematica pitagorica. Per quanto riguarda il caso generale non vi dubbio che negli studi dei matematici greci il riferimento geometrico sia prevalente. Ma forse si tiene poco conto del fatto che dal punto di vista teorico, per il pensiero greco laritmetica, e non la geometria, la disciplina matematica per eccellenza. Nella geometria si sospetta sempre una contaminazione con la realt, da cui invece laritmetica sembra immune. Laritmetica ha una generalit di principio che manca alla geometria. 302

Ma a parte il caso generale, non c dubbio che, sul versante pitagorico, risulta del tutto erronea e gravemente fuorviante, lattribuzione di una visione geometrizzante del numero. In realt si pu dare una interpretazione del senso della figuralizzazione del numero che ha ben poco a che fare con la geometria. Proviamoci a riconsiderare la figura precedente con questo dubbio in testa: che cosa ha di propriamente geometrico la figura della tetractys? Potremmo rispondere: la disposizione dei punti una disposizione triangolare, e ci significa che in questa figura si pu notare la configurazione tipica (=Gestalt) del triangolo. Se tracciassimo delle linee seguendo i punti pi esterni e cancellassimo i punti interni avremmo un triangolo. Ma una simile operazione non di poco conto! Se colleghiamo i punti in questo modo e cancelliamo i punti interni, ed anzi, tutti i punti (come alla fine dovremo fare), del numero figurato non avremmo proprio nulla, ma per lappunto soltanto un triangolo. La Gestalt triangolare di questa rappresentazione (come di quella delle altre figure prodotte) distoglie lattenzione dai problemi veramente importanti. Una prima considerazione, che non ancora decisiva ma che comincia con insinuare qualche dubbio, che il vedere la tetractys come un triangolo introduce necessariamente il fattore della continuit che caratterizza la geometria rispetto allaritmetica, mentre al contrario una rappresentazione per punti sottolinea lappartenenza del numero intero allambito del discreto, a cui connessa laritmetica come teoria degli interi. Una considerazione geometrico-spaziale si affaccia certamente nellambito della tematica del numero figurato in particolare per il fatto che il punto pu essere considerato con lo spazio che necessariamente ha intorno, dando a questo spazio la forma di un piccolo quadrato. Le unit-punto debbono essere spaziate, altrimenti esse si confonderebbero. Intorno a ciascuna di esse si estende un campo (chora o choros) - e le unit assemblate compongono dei campi pi vasti rappresentativi del numero. Ogni numero pu dunque essere raffigurato sia come un assemblaggio di punti, sia come un assemblaggio di quadrati eguali (campi). Si pu anche utilizzare ad un tempo punti e campi e rappresentare cos lunit-atomo e lo spazio che si assume che gli stia intorno (Michel, 1950, p. 296).

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Questa circostanza suggerisce la trasposizione geometrica di diversi problemi, ma non in grado di intaccare limpianto aritmetico fondamentale. Anche lespressione aritmo-geometria usata da Michel (Michel, 1950) per indicare i numeri figurati pu generare lequivoco che si tratti di un misto poco coerente di aritmetica e geometria. Beninteso lo stesso Michel, che ha studiato a fondo largomento ed al quale per lo pi faremo riferimento in questa nostra esposizione, pone laccento sul carattere essenzialmente aritmetico dei numeri figurati. Cos egli aggiunge: Ricordiamoci tuttavia che noi prendiamo le mosse dal numero. a partire dallaritmetica che approdiamo alla geometria. Noi siamo alla presenza di numeri figurati e non di figure misurate o numerate, e se appaiono delle figure ci accade perch delle unit-punti che hanno una posizione ed unestensione sono stati raggruppati seguendo certe regole (Michel, 1950, p. 296). Questi punti non sono punti della geometria... essi rivelano un concetto di matematica che riguarda essenzialmente i numeri interi - cosa che rappresenta la pi importante caratteristica della relazione tra matematica pitagorica e teoria pitagorica della musica (Crocker, p 308) In queste affermazioni pur cos decise non si arriva pienamente a formulare quello che il vero nodo della questione. Io oso avanzare lopinione che queste figure non solo non abbiano carattere geometrico (nonostante alcune significative implicazioni con problematiche geometriche) ma debbono essere considerate come un vero e proprio metodo notazionale. Si tratta, io credo, di un geniale e fecondo sviluppo del metodo notazionale pi primitivo che ogni teoria del numero non pu non presupporre e che talora viene chiamata notazione tratto: la notazione per punti o linee in successione, in cui ciascun punto vale ovviamente come unit.

=
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In effetti quello che potremmo chiamare il primo livello dei numeri figurati sono i numeri lineari, e questi non sono altro che i segni numerici della notazione tratto, si tratta dunque di pure successioni di punti o di linee. Come si comprender con essi si potr fare ben poco, e naturalmente un simile metodo di notazione totalmente impraticabie per numeri appena un poco grandi. Ora, la grande invenzione pitagorica consistette nel vedere la possibilit di organizzare questo metodo di notazione a linee sovrapposte in modo tale da realizzare figure numeriche secondo una regola. Questultimo punto di fondamentale importanza cos come di fondamentale importanza lo scopo: che non solo quello di facilitare i calcoli ma anzitutto quello, genuinamente conoscitivo, di rendere visibile nel segno stesso le relazioni tra i numeri. Laritmetica pitagorica visiva, con una tendenza a figurare piuttosto che a definire ed a mostrare piuttosto che a dimostrare (Michel, 1950, p. 339). Abbiamo gi sottolineato che per il pitagorismo - ma credo di poter dare a questa affermazione un carattere generalissimo - conoscere significa soprattutto stabilire relazioni. Nei numeri figurati dei pitagorici vi sono pi pensieri di quanto ritengono coloro che presentano lintera questione come una pura curiosit degna soltanto di una matematica rozza e primitiva. Uno psicologo gestaltista dir senz'altro (e con buone ragioni dal suo punto di vista) che nella fig. 1 si vede anzitutto un triangolo. Ma non un triangolo che vuol far vedere il filosofo pitagorico. Vedere un triangolo distoglie in realt la nostra attenzione dall'afferramento dell'aspetto processuale e costruttivo che qui in atto. In effetti la figura deve essere vista come costruita in due passi: il primo passo la posizione del primo punto a sinistra. Il secondo passo la posizione dei due punti alla destra del primo fig.1 punto. Poste le cose in questo modo siamo in grado di capire che siamo di fronte ad un procedura costruttiva che pu essere iterata secondo una regola. Il passo successivo consister nella produzione del 6 applicando la stessa regola sulla destra della figura del tre come nella nostra fig. 2. Naturalmente potrete interpretare questa figura come 3 + 3 oppure come 1+2+3. In entrambe le interpretazioni presente in realt una regola costruttiva. Che vi sia una regola di costruzione dimostrato dal fatto che voi ora sapete subito quali saranno le figurazioni immediatamente successive. Incontreremo dunque anzitutto la tetraktys (fig. 3) e poi il numero figurato 15 (fig. 4) , e cos via. Per dare evidenza alla modalit di costruzione del numero triangolare potremmo cominciare dal punto a sinistra e poi tracciare delle linee che hanno il solo scopo di rendere chiaro come dovr essere prodotta la figura immediatamente successiva (fig. 5). 305

fig. 2

fig. 3

fig. 5

fig. 4 306

Sarebbe dunque un gravissimo errore soffermarsi sulla tetractys come tale come una mera curiosit e tirare oltre. La tetractys in s rimanda alla costruzione di una successione infinita seconda una regola che ha come risultato una precisa concettualizzazione. Concettualizzare vuol dire molte cose, ma vuol dire anche creare delle tipologie. In questo caso si effettua una classificazione, si forma un concetto, e precisamente il concetto di numero triangolare. Questo concetto - questo il punto che io ritengo del massimo interesse - costruito sulla base dell'iterazione di una regola applicata al risultato ottenuto nel passo precedente. Questo modo della costruzione nella matematica moderna si chiama costruzione ricorsiva. Ci che risulta a mio avviso con assoluta chiarezza dalla problematica connessa ai numeri figurati proprio l'interesse pitagorico verso formazioni concettuali che hanno al loro fondamento procedure iterative da cui risultano serie di numeri aventi particolari propriet e che hanno il loro modello nella procedura iterativa che genera la stessa serie dei numeri naturali. Quelle esposizioni che tacciono su questo interesse dei pitagorici per la ricorsivit dimostrano non solo di non aver compreso un aspetto importante della loro filosofia della matematica, ma anche di ignorare il fatto che nellambito del pensiero matematico antico e moderno il tema della ricorsivit ha avuto elaborazioni particolarmente profonde. Questo pensiero sta al centro della matematica pitagorica, non possibile parlare di essa senza tenerne conto. Vorrei sottlineare questa differenza: una cosa far notare che vi una relazione tra il quattro e il dieci per il fatto che la somma dall'1 al 4 d 10, ritenendo che tutta l'enfasi anche immaginativa della tetraktys poggi su questa circostanza. Unaltra integrare questo "emblema" in un problema pi generale che mostra come una delle ricerche caratteristiche della matematica pitagorica sia quella di individuare relazioni interessanti tra i numeri e formare tipologie che non sono puramente descrittive o immaginifiche, ma propriamente concettuali per il fatto che vengono enunciate delle regole che stanno alla loro base. La propriet di essere un numero triangolare non dipende dalla pura e semplice parvenza di un triangolo, ma dal fatto che esso, in forza della sua regola di costruzione, appartiene alla serie dei numeri che chiamiamo triangolari, sulla base della loro forma gestaltica.

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5.2.4 Sviluppi e commenti sui numeri figurati


Per comprendere un poco pi a fondo le poche cose che abbiamo detto sui numeri figurati e per intravvedere anche soltanto i possibili sviluppi che da questi inizi possono verificarsi, conviene intrattenersi ancora un poco sullargomento. La riflessione sul numero comincia con la riflessione sui possibili metodi notazionali. Nel caso del pitagorismo la comprensione razionale, abbiamo pi volte osservato, consiste nel cogliere relazioni: la notazione ha il compito di scoprirle e, ad un tempo, di mostrarle: nel senso letterale del portarle alla vista. Naturalmente a questo livello intuitivo il pensiero aritmetico non potr indugiare troppo a lungo, ma significativo che la sua preistoria debba cominciare da quel livello. La comprensione razionale significa poi naturalmente anzitutto stabilire distinzioni, e dunque operare classificazioni. Tutto ci non avviene pensando un concetto di numero in astratto, ma riflettendo sulle organizzazioni figurali possibili. Risulta intanto subito chiaro che, secondo il metodo di notazione indicato, si possono dare per cos dire tre livelli di formazioni numeriche che secondo la terminologia della figura potranno essere distinti in numeri lineari, piani e solidi. In via di principio naturalmente ogni numero pu essere scritto come numero lineare, ma ci non ha particolare interesse. Se consideriamo la formazione della figura come risultato di una moltiplicazione tra numeri - come accade in Euclide (libro VII, Def. 17) - allora pu interessare il fatto che possiamo ottenere una caratterizzazione dei numeri primi come numeri essenzialmente lineari non essendo il prodotto di pi fattori. Conseguentemente il numero piano - che genera dunque una figura piana - sar essenzialmente il possibile prodotto di due fattori e il numero solido di tre fattori (Euclide, libro VII, Def. 18) per il fatto che congiungendo i punti ovvero considerando i punti come spigoli si ottiene il profilo di una figura solida. Ad esempio, se consideriamo 8 = 2*2*2 e scriviamo queste coppie in modo opportuno con punti possiamo congiungerli ottenendo la figura di un cubo. 308

Debbo subito avvertire che questo non mi sembra un buon modo di cominciare, e questo per una ragione molto precisa: naturalmente il numero 8 pu essere proposto, dal punto di vista dei suoi possibili fattori, in tre modi come 8*1 (numero lineare), 2*4 (numero piano), 2*2*2 (numero solido). Ma il problema effettivo sta nel fatto, reso evidente dagli esempi delle figure proposte, che noi dovremmo predisporre i punti, quindi allinearli e incolonnarli, avendo gi di mira il risultato, ovvero li dovremmo disporre in modo tale da consentire poi una coerente congiunzione dei punti in una figura cubica. Cos facendo saremmo del tutto fuori dalla via che abbiamo gi delineato parlando dei numeri triangolari. Il problema che abbiamo prospettato non evidentemente quello di dare figura al numero a nostro piacimento, avendo addirittura di mira limmagine di una figura geometrica, realizzata attraverso la congiunzione di punti! Ci interessa invece una disposizione di punti che sia conforme ad una regola e di individuare propriet e relazioni numeriche proprio attraverso la possibilit di applicazione iterata della regola. Ritorniamo dunque sulla retta via, intanto mettendo da parte i numeri solidi e limitandoci ai numeri piani che sono sufficienti ad insegnarci molte cose proprio nella prospettiva che abbiamo delineata.

5.2.5 I numeri quadrati


In primo luogo occorre notare che non affatto necessario considerare il numero figurato come un prodotto di fattori, e quindi chiamare in causa la moltiplicazione. Naturalmente un numero come lo concepiamo normalmente potr, se non primo, essere considerato come prodotto di pi fattori oppure come risultato di varie possibilit di addizione. La questione naturalmente si pone anche per i numeri figurati, ma per quanto riguarda la loro teoria, determinante ai fini di valutare la composizione del numero, la figura stessa, e conseguentemente, come abbiamo gi spiegato, la sua regola di costruzione. Perci abbiamo in precedenza anzitutto sottolineato che non si tratta semplicemente di disporre i punti a piacere in vista di un disegno. Non una qualsiasi disposizione di punti dunque un numero piano, ma solo quella disposizione che sia costruita secondo una regola. Per spiegare questo punto in un modo abbastanza generale abbiamo bisogno di introdurre un nuovo concetto, e precisamente quello di gnomone. Un realt questo termine allude intanto ad una dimensione conoscitiva, e il suo stesso etimo riporta al conoscere. Probabilmente esso si riferiva primariamente semplicemente ad un bastoncino di legno ficcato perpendicolarmente nel terreno per ottenere informazioni di carattere astronomico attraverso losservazione dellombra del sole proiettata sul terreno dal bastoncino. Quindi divenne il nome di un quadrante solare pi o meno evoluto assumendo talora la caratteristica forma di una squadra da geometra o da carpentiere: 309

Cosicch esso venne ad assumere anche un senso molto generico richiamando semplicemente il rapporto di perpendicolarit ovvero la forma della squadra: A qualunque figura composta di due elementi in squadra potr essere applicato il termine di gnomone. (Michel, 1950, p. 306). Gnomone nel suo significato letterale voleva dire conoscitore, riconoscitore; in astronomia significava semplicemente unasta perpendicolare, che serviva ad indicare col decorso della sua ombra il cammino del sole; in geometria indic da principio la perpendicolare, poi si allarg a significare la squadra, ci che rimaneva di un quadrato se se ne toglieva un quadrato minore. Aristotele (Categorie, XI, 4) considerava come gnomone la figura che aggiunta ad altra non ne altera la forma; Euclide (II, termini, 2) estende questa definizione dal quadrato al parallelogramma. Erone d una definizione anche pi generale: tutto ci che aggiunto ad un numero o ad una figura rende il tutto simile a quello a cui fu aggiunto... Ora tutte queste definizioni interpretavano limpiego che del gnomone avevano fatto i pitagorici nella generazione gnomonica dei numeri (Capparelli, 1999, II, p. 472) . 310

Naturalmente gi i primi pitagorici fecero dello gnomone un uso astratto, pur facendo riferimento ad una forma intuitiva, in stretta connessione con il loro metodo di figurazione del numero. Il numero figurato sorge infatti a partire da un inizio dato, che sar anzitutto l1 ma che potr essere anche un altro numero qualsiasi, per giustapposizione iterata di gnomoni, naturalmente essi stessi concepiti come una figurazione di punti. La forma di squadra non pu naturalmente apparire nel caso dei numeri triangolari - ed in effetti qui lo gnomone sostituito da una linea. Ma il ricorso a questa nozione, di cui la linea del numero triangolare pu essere considerato come un caso particolare, diventa subito evidente nei numeri quadrati o rettangolari, cos come nei numeri piani in genere. Consideriamo esemplificativamente la formazione del pi semplice dei numeri quadrati, che sar naturalmente il numero 4. Ma come numero figurato esso non affatto da concepire come quattro punti la cui figura ghestaltica appare come un quadrato. Esso invece il risultato della seguente costruzione:

Ecco dunque che compare lo gnomone. Al numero 1 si giustappone il primo gnomone che conster di tre punti. Se vogliamo, il quattro viene concepito come 1+3. Ma non poi questo il punto decisivo. Una volta chiarita questa forma di costruzione potrete anche considerare 4=2*2 o 2+2. Il punto decisivo sta nel fatto che la costruzione gnomonica ricorsiva e dunque ci che importa che vi sar un numero successivo al quattro, che verr ottenuto giustapponendo un nuovo gnomone al numero figurato corrispondente, e questo processo potr essere iterato a piacere. Avremo cos una vera e propria serie, infinitamente proseguibile, i cui tre primi numeri saranno i seguenti:

1
311

Si ha dunque la successione, liberamente proseguibile, 1, 4, 9, 16 ecc. Ma vi anche unaltra serie figurativamente dentro questa. la serie delle unit comprese nello gnomone (anchesse fanno parte integrante di questo approccio aritmetico). Si tratta della serie 3, 5, 7 ecc. cio la serie dei numeri dispari. Quando si comincia ad argomentare ed a operare in questi termini le diramazioni di discorso e i modi di utilizzare il metodo di scrittura si moltiplicano in modo imprevedibile e con una ricchezza insospettata. Abbiamo detto or ora che possiamo anche portare la nostra attenzione sullo gnomone e trarre di qui nuove determinazioni. Cos ci rendiamo conto che lo gnomone di un numero figurato pu essere visto come se constasse di tre parti (fig. 1). Cos se escludiamo il punto situato al suo spigolo otteniamo due numeri che hanno la stessa lunghezza. I due lati simili della squadra, che rappresentano due numeri eguali, si chiamano tautomechi (ovvero della stessa lunghezza). Se si cancella l'unit, gli gnomoni successivi, ridotti ai loro elementi tautomechi forniscono la serie dei numeri pari (Michel, 1950, p. 307) (cfr. fig. 2). Senza andare troppo oltre, si incomincia qui ad intravvedere come laritmetica pitagorica dei numeri figurati possa spingerci piuttosto lontano. Figurativit come notazione, concettualizzazione sulla sua base e tematica delle successioni confluiscono luna nellaltra offrendo mezzi per lavviamento e la prosecuzione della riflessione sul numero e sulle sue propriet.

1
fig. 2

fig. 1

In che senso qui stiamo operando ad un tempo sulla figura (notazione) e sulla differenziazione concettuale risulta, mi sembra, piuttosto chiaro. Ci che costituisce la determinazione concettuale lappartenenza alla serie - nel senso che potremo definire numero quadrato il numero appartenente alla serie dei numeri quadrati; oppure il numero dispari come appartenente alla serie degli gnomoni dei numeri quadrati. Ma lanalisi concettuale potrebbe scoprire anche altre relazioni sempre considerando la regola costruttiva. Infatti ogni numero quadrato il risultato delladdizione successiva dei numeri dispari nellordine, e cio dei numeri che appartengono alla successione aritmetica di ragione 2 che ha inizio con 1. Il 9, ad esempio, eguale a 1+3+5 e il 16 eguale a 1+3+5+7 ecc. Il pensiero matematico pensa attraverso le figure, ovvero attraverso i segni della notazione numerica. La determinazione concettuale fa corpo con la procedura di costruzione segnica. 312

Nonostante il riferimento figurale, di geometrico nei numeri figurati dei Pitagorici vi dunque ben poco. Certamente, come nota Michel, se in luogo dei punti ci serviamo dei campi, otteniamo dei quadrati nel senso geometrico del termine suddivisi in quadrati pi piccoli che formano lunit di misura della loro area. Tuttavia sono assenti i concetti caratteristici della figura geometrica, in particolare restando ai numeri quadrati, i concetti di base e di altezza e lidea del loro prodotto. Si opera sempre con successioni numeriche, ed il numero figurato assume la forma di una tabella per queste successioni.

Di esse potremmo naturalmente fornire secondo la notazione moderna la regola di formazione. Cos nel caso del numero quadrato di tratter la formula potrebbe essere scritta cos: 1 + 3 +5 ... +(2*n-1) = n*n ovvero n2 ma Michel, nel momento in cui la segnala, tiene giustamente a sottolineare che da un numero somma si passa ad un numero prodotto, ma ci non toglie che storicamente il quadrato stato considerato un numero-somma, la sua qualit di numero-prodotto appare soltanto come conseguenza (Michel, 1950, p. 305). Questa osservazione, a mio avviso, va intesa come una sottolineatura dellinteresse della successione, rispetto a quello della forma geometrica. Certamente se consideriamo anche le poche cose che abbiamo dette sulla nozione di gnomone e sui suoi possibili sensi, ci rendiamo conto che uninclinazione geometrica in certo senso sempre alle porte. Si considerino ad esempio le definizioni precedentemente citate di Aristotele e di Erone. Per Aritstotele gnomone una figura che aggiunta ad unaltra non ne altera la forma. Questa definizione perfettamente applicabile ai numeri quadrati. Laggiunta di uno gnomone aumenta la dimensione del quadrato, ma la figura non cambia. C tuttavia gi qui una implicazione prevalentemente geometrica, perch quella definizione non si adatta alla componente propriamente te numerica. Questo riferimento aritmetico viene ad essere massimamente indebolito dalla definizione di Erone, che generalizza la nozione di gnomone in modo tuttavia da renderlo applicabile soprattutto alle figure. 313

I matematici alessandrini chiameranno gnomone qualunque figura che, aggiunta ad un'altra formi una figura simile ad essa. Per Euclide (Elementi, II. def. 2) come per Erone di Alessandria, uno gnomone non necessariamente a forma di squadra, n un gnomone di numero dispari. Lo gnomone del triangolo, ad esempio, potrebbe essere un trapezio aggiunto alla sua sua base. Di qui l'espressione "crescita gnomonica" applicata ad una figura qualunque (Michel, 1950, p. 306) Si comprende che a questo punto laspetto aritmetico sia alquanto lontano, e soprattutto sia andato perduto il senso per cui la nozione di gnomone aveva interessato lantico pitagorismo, e la problematica ad essa strettamente connessa. Probabilmente queste interpretazioni tarde del concetto di gnomone hanno fatto passare in secondo piano laspetto essenziale della costruzione ricorsiva di successioni aritmetiche.

5.2.6 I numeri eteromechi


Nei numeri figurati, il numero 1 assume una posizione particolare perch sar o linizio o parteciper allinizio di tutti i numeri piani. Per questo esso potr di volta in volta essere considerato indifferentemente come numero triangolo o quadrato o di qualche altra forma. In realt non nessuno di essi, ma eminentemente lorigine delle serie. Di qui lenfasi sull1 come elemento da cui tutto scaturisce - quellenfasi che tanto ha sollecitato la fantasia dei teologi. Una posizione particolare occupa del resto anche il 2, gi nel pitagorismo pi antico, sia a livello aritmetico che a livello simbolico. Esso rappresenta il primo inizio dal molteplice anzich dallunit, e con il metodo degli gnomoni perveniamo ad un altra tipologia di numeri figurati: i numeri rettangolari eteromechi. Si comprende subito infatti che la procedura pu ricevere significative generalizzazioni. Lelemento iniziale dato pu essere costituito da pi punti, anzich da uno solo. Si avranno allora successioni di numeri rettangolari, ciascuna serie essendo tuttavia caratterizzata dal numero di punti scelti come inizio. La prima di queste serie quella che ha come inizio i numero due. Ovviamente in tutti i numeri rettangolari i lati saranno eteromechi, cio di lunghezza diseguale: ci appartiene alla definizione stessa di rettangolo. Ed in effetti il termine di eteromeche viene impiegato da Euclide 314

per indicare semplicemente il rettangolo (Michel, 1950,p. 318). Tuttavia dobbiamo ammettere almeno due accezioni in cui il termine viene utilizzato : unaccezione lata in cui si intende in generale la propriet della rettangolarit, ed una pi ristretta, che pi conforme agli impieghi della tradizione pitagorica, secondo cui questo termine si applica per quei numeri rettangolari che hanno la diade come base. Questi sono i numeri eteromechi per eccellenza. La tradizione pitagorica non mai cambiata su questo punto. la tradizione che viene rispettata da Teone e da Nicomaco e che si ritrova fino alla del medioevo bizantino, cos come in occidente, seguendo Boezio, sino ai matematici pitagorizzanti del XVI sec. (Michel, 1950, p. 320).

Come si vede linizio qui il numero 2, poi si passa seguendo una logica analoga a quella dei casi precedenti ai numeri 6, 12, 20 ecc. (Si rammenti che il 2 va qui considerato come caso limite dei numeri rettangolari). Va naturalmente ribadito che secondo la logica costruttiva qui indicata non dobbiamo pensare ad un numero ottenuto per moltiplicazione del numero che spetta ai lati. Ad esempio il 6 non deve essere inteso come 2 * 3 ma come 2+4. Il terzo valore verr considerato come derivante da questo risultato, 6, a cui viene aggiunto 6, quindi 12. Infine a questo risultato si aggiunger il valore del terzo gnomone, ovvero 8, ottenendo il numero 20 ecc. Se consideriamo 315

la successione degli gnomoni, includendo naturalmente linizio, avremo la successione dei numeri pari 2, 4, 6, 8, 10, 12 ecc. cosicch ogni membro della successione dei numeri eteromechi pu essere concepito come il risultato delladdizione successiva dei numeri pari nellordine, e cio dei numeri che appartengono alla successione aritmetica di ragione 2 che ha inizio con 2. In termini di somma la formula costitutiva , per ln-esimo numero della serie 2 + 4 + 6+... + n (n-1) Inoltre necessario attirare vivacemente lattenzione sul fatto che i numeri eteromechi nellaccezione ristretta del termine hanno questa caratteristica peculiare: i loro lati differiscono di una sola unit. In termini moltiplicativi ln-esimo elemento rappresentato dalla formula: n (n+1) I numeri n ed n+1 sono appunto i due lati del numero eteromeco corrispondente. Impareremo in seguito a conoscere i vari aspetti per i quali questa circostanza importante per il pensiero pitagorico. Ma vi un punto che pu fin dora di essere segnalato. Per illustrarla poniamoci pure dal punto di vista della Gestalt percettiva o addirittura di rettangoli geometricamente considerati e opportunamente misurati. chiaro che una figura rettangolare caratterizzata da base 3 e altezza 2 oppure a base 4 ed altezza 3 ci appaiono come forme rettangolari molto pronunciate. Man mano che i numeri diventano sempre pi elevati tuttavia la forma si avvicina sempre pi dal punto di vista percettivo ad un quadrato.

4*3

7*6

11*10

Naturalmente, dal punto di vista percettivo ad un certo punto possiamo chiudere la serie, perch lapprossimazione non pu pi essere colta visivamente. Ma i numeri figurati ci insegnano che quanto pi si procede nella successione dei numeri eteromechi tanto pi il numero eteromeche si approssima al numero quadrato, senza mai raggiungerlo. 316

Il filosofo pitagorico, alla ricerca di relazioni, scopre una prima importante relazione tra numeri quadrati e numeri eteromechi, e, se non ad un passo soltanto, sicuramente si trova a due passi dallevidenziazione di un concetto di fondamentale importanza matematica. il caso di dire che siamo nel cuore di quella preistoria che non di poco momento di cui si parla nella frase di Zeuthen che abbiamo messo in cima a questo capitolo.

5.2.7 I numeri figurati e lidea di matrice


In realt vi ancora un elemento di grande interesse e, a quanto ne so, poco sottolineato, dagli studiosi della matematica pitagorica. A parte le varie notazioni - punti, tratti, quadratini ecc. - che indicano in ogni caso lunit, mentre lo schema figurale nel suo insieme il numero risultante, noi potremmo puntare lattenzione sulla tabella che in ogni caso ne risulta. Naturalmente ci converr allora pensare soprattutto ai quadratini, agli spazi vuoti, cio alla modalit rappresentativa del tipo

Ma questa volta vogliamo anzitutto supporre di disporre di un metodo notazionale efficiente come il nostro sistema decimale e considerare ogni quadratino come uno spazio vuoto in cui noi possiamo inserire cifre numeriche. Siamo allora di fronte a tabelle (di varie possibili forme) nelle quali possiamo inserire in un ordine definito delle successioni numeriche ottenute secondo una qualche regola. Naturalmente pensiamo qui al caso pi elementare di successioni di numeri interi (naturali). Ora non abbiamo in alcun modo a che fare con numeri figurati, ma con alcune idee che sono state proposte in stretta connessione con i numeri figurati: lidea di una disposizione ordinata di numeri, lidea della successione secondo una regola e naturalmente anche lidea dello gnomone, che assume317

r qui una diversa funzione. Esso non avr il compito di costruire una serie, quanto piuttosto di correlare i numeri contenuti nella tabella che saranno gi stati organizzati in una serie. Penso proprio che a questo punto vi chi avr pensato alla tabellina pitagorica che abbiamo studiato nelle scuole elementari per imparare le moltiplicazioni pi semplici. In effetti io credo che quella tabellina, che non a caso si chiama ancora pitagorica, esca dallo stesso ordine di pensieri dei numeri figurati, secondo langolatura in cui ne abbiamo parlato or ora. Essa contiene determinate successioni numeriche costruite secondo una regola, e lo gnomone non altro che la forma idealmente intesa al cui spigolo vi il risultato delloperazione da eseguire. Ma forse susciter perplessit linterpretazione che ora sto per suggerire e che vi comunico come un mio piccolo segreto. La tabellina in questione non deve affatto essere intesa come un semplice artificio per imparare ad effettuare i calcoli. Essa assolve certo ottimamente a questo scopo. Ma io mi permetto di ipotizzare che nelle idee che stanno alla sua base vi sia lesatto contrario - e cio lidea di una disposizione di successioni aritmetiche date (e quindi gi preventivamente calcolate) che ci consentano di risparmiarci la fatica di calcolare. Se non so quale sia il risultato di 6*7, baster ricorrere alla tabellina ed applicare le due linee fra loro ortogonali, ovvero utilizzare lo gnomone opportuno. Sul suo spigolo troveremo il risultato. Quindi possiamo fare a meno di memorizzarlo. Se invece di tabella o di tabellina parliamo di matrice, usiamo un termine matematico moderno che ci fa subito comprendere in quale direzione questa nostra osservazione sia puntata. In seguito avremo modo di mostrare che attraverso successioni, disposizioni tabulari e metodi di correlare le cifre allinterno di queste disposizioni si pu andare molto oltre le pi semplici moltiplicazioni relative ai primi dieci numeri naturali. Si noti poi come tutti i discorsi sui numeri figurati finiscano con lavere al loro centro lidea di successione di numeri secondo una regola. A poco a poco ci renderemo conto che queste nozioni che riguardano gli inizi del pensiero matematico siano concresciuti strettamente insieme a problematiche musicali. Per il momento possiamo concludere con Michel: Quali che siano i difetti e persino, se si vuole, i pericoli, incontestabile che la rappresentazione per punti-unit e lo studio della crescita gnomonica delle figure hanno permesso progressi notevoli nelle scienze matematiche: nella geometria, manifestando rapporti costanti tra certi gruppi di numeri e certe forme determinate; nellaritmetica, rendendo visibili certe propriet dei numeri e soprattutto aprendo la via alle ricerche riguardanti le sommatorie delle successioni (Michel, 1950, p. 322). 318

5.3 Le opposizioni pitagoriche


5.3.1 Le opposizioni pitagoriche e il loro senso
Nel capitolo quinto del primo libro della Metafisica, nel quale Aristotele illustra le dottrine pitagoriche, egli sottolinea in particolare il fatto che i pitagorici, oltre al numero, davano importanza a dieci principi, che erano ordinati in serie di opposti(Metaf. I, 5, 986a). Egli li enumera in questo modo: Limitato Dispari Uno Destro Maschio Immobile Diritto Luce Buono Quadrato Illimitato Pari Molti Sinistro Femmina In movimento Curvo Buio Cattivo Eteromeche

Forse qualcuno potrebbe pensare che nell'elaborare una simile tavola delle opposizioni non necessario un eccessivo sforzo filosofico, e non si vede perch si debba dare rilievo ad esse. Esse appaiono anzitutto tremendamente ovvie. necessario forse un filosofo che ci insegni che la luce si contrappone al buio o il buono al cattivo? Questo lo sanno tutti. 319

Il fatto che forse nelle esposizioni correnti non si richiama a sufficienza lattenzione sul fatto che il significato delle opposizioni non sta nellordine orizzontale della tabella, ma in quello verticale. Del resto lo stesso Aristotele non fa cenno a questo punto, ed anzi sembra attirare lattenzione piuttosto sullordine orizzontale. Voglio dire che non tanto interessante, ad esempio, che la luce venga contrapposta al buio - quanto piuttosto che la luce si trovi nella stessa colonna con il limitato e il buio con lillimitato; oppure che il dispari si trovi insieme alla luce ed al quadrato, piuttosto che al buio ed al rettangolo... Naturalmente questo modo di intendere le opposizioni non ci libera da possibili interrogativi e molti incolonnamenti ci possono sembrare stravaganti o senza ragione. Si intuisce qui qualcosa di simile ad un pensiero ordinatore che stabilisce relazioni, e si sospetta che si voglia dire di pi di quanto appaia dalla semplice e ovvia contrapposizione. Ma lordinamento verticale sembra in pi di un caso privo di giustificazioni. Forse dovremmo provare a considerarlo come un caratteristico enigma pitagorico, un simbolo che ha in ogni caso bisogno di unintepretazione. Di alcuni forse non ne verremo a capo, ma di altri potremmo rendere ragione tenendo conto delle considerazioni che abbiamo fatto fin qui. Pensiamo soprattutto ai numeri figurati. Perch mai il maschio viene posto nella stessa colonna del dispari, e la femmina in quella del pari? Puro "simbolismo" campato in aria oppure vi per questo incolonnamento qualche ragione? Ecco una possibile soluzione dell'enigma. Attraverso la notazione dei numeri figurati - pensiamo ai numeri "lineari" - tracciando una linea di separazione nel mezzo, nel caso del numero pari la linea mediana incontrer uno spazio vuoto, nel caso del dispari un punto ovvero un spazio pieno (Michel, 1950, p. 297).

Vi dunque un riferimento alla conformazione sessuale. Naturalmente si pu considerare questo riferimento come una pura stravaganza priva di senso. Ma si pu anche interpretare lanalogia come un modo di intendere il pari e il dispari e di rammentare la differenza riscontrabile sul piano notazionale, piuttosto che come un'improbabile attribuzione di una sessualit ai numeri! Si ha talvolta l'impressione che molte persone dotte possano facilmente cadere nei tranelli tesi dagli enigmi della rozzezza pitagorica. 320

Un altro esempio: anche i numeri figurati entrano nella tabella delle opposizioni come numeri quadrati che stanno dalla parte del dispari e numeri eteromechi che stanno dalla parte del pari. E se non facciamo qualche riflessione in proposito certamente questa relazione pu sembrare non troppo comprensibile, soprattutto se pensiamo ai corrispondenti geometrici. Perch dunque il quadrato dalla parte del dispari? A questa domanda in realt abbiamo gi risposto quando abbiamo parlato della costruzione dei numeri quadrati attraverso gnomoni di numeri dispari, e inversamente. Ancora una volta dunque lassociazione non banale. ...se si tien conto di ci l'opposizione parallela delle coppie quadrato/eteromeche, dispari/pari, limitato/illimitato si comprende senza difficolt. Il quadrato fondato sull'unit ed generato per somma dai dispari; l'eteromeche fondato sulla diade ed generato dalla somma dei pari; il quadrato sempre simile al quadrato, sempre lo stesso; gli eteromechi successivi sono sempre differenti, sempre altri. Da un lato la fissit perfetta, dall'altro la modulazione senza fine; da un lato l'unit immutabile della perfezione; dall'altro la diversit, il divenire, l'eterno perseguimento di questa perfezione e la sua approssimazione crescente senza che essa venga mai raggiunta (Michel, 1950, 321). Nellultima frase di questa citazione di Michel si accenna al problema dellincolonnamento eteromeche/illimitato e quadrato/limitato secondo le linee di una soluzione che avevamo gi precedentemente indicato, di unapprossimazione infinita del rettangolo eteromeche nellaccezione ristretta del termine (quindi di forma n (n+1)) al quadrato. In nota Michel precisa: Nella misura in cui si fa crescere il valore di n, il rapporto n/(n+1) tende allunit,ed il rettangolo n*(n+1) si approssima al quadrato (Michel, 1950, p. 321) Naturalmente entrambe le serie possono procedere all'infinito: nel caso dei quadrati avremo quadrati sempre pi grandi, ma pur sempre stabilmente dei quadrati; ma rispetto alla serie dei rettangoli, sembra avere un qualche senso affermare che essi si muovano verso la forma quadrata che rappresenta un elemento limitante, senza mai stabilizzarsi in essa. Se aggiungiamo che luno apparterr alla stessa colonna del quadrato perch da esso cominciano i numeri quadrati, mentre il molti sar dalla parte del pari, dato che linizio dei numeri eteromechi il due, ci possiamo realmente rendere conto della significativit di un simile incolonnamento. 321

Le opposizioni dunque non debbono essere esposte luna accanto allaltra come opposizioni qualunque, di puro buon senso, ma debbono essere considerate nella loro dimensione verticale e soprattutto debbono essere evidenziate le molte implicazioni filosofiche che esse possono avere, se si riesce a risolvere lenigma di questi incolonnamenti. In particolare, sembra rivestire a questo proposito particolare importanza una stretta connessione con la problematica dei numeri figurati e con la filosofia pitagorica del numero in genere.

5.3.2. Lopposizione tra illimitato e limitato in Filolao e il problema dellarmonia


Fra le opposizioni nominate da Aristotele, forse la prima la pi importante di tutte e in ogni caso merita un rilievo particolare. Si tratta dellopposizione tra lillimitato e il limitato di cui, in particolare, parla Filolao (ca. 470-385) e che rimanda ad un quadro filosofico pi ampio, e precisamente ad uno dei primi tentativi di delineare lordine delluniverso sulla base delle conoscenze empiricamente acquisite. Filolao fu anche presumibilmente il primo filosofo pitagorico a lasciare opere scritte, superando la tradizione orale, una circostanza di importanza non secondaria perch implica unintenzione di comunicazione del sapere che era estraneo al primo pitagorismo, molto legato ai segreti che solo i membri della setta potevano venire a conoscere. La comunicazione scritta rappresenta di per s anche la ricerca di dare un maggiore fondamento alle proprie teorizzazioni. La relazione che la teoria pitagorica del numero ha da un lato con la musica e dallaltro con una vera e propria interpretazione delluniverso assume una dimensione particolarmente profonda proprio nella considerazione della opposizione tra illimitato e limitato. Prima di accennare brevemente ad essa conviene sottolineare che con lespressione limitato dobbiamo intendere anche qualcosa che promuove una limitazione, dunque un limitante o un limitatore. Ora Filolao afferma, in uno dei pochi frammenti rimasti della sua opera Sulla natura, che necessario che tutte le cose che sono siano limitanti o illimitate ovvero limitanti e illimitate (fr. 2, Hufmann, 1993) Questa pura e semplice alternativa logica deve essere letta alla luce di un altro frammento che dice: La natura nel cosmo fu connessa insieme mediante cose che sono illimitate e di cose che istituiscono dei limiti. questo vale sia per il cosmo come intero sia per ogni cosa che si trova in esso (fr. 1). 322

Bench naturalmente tutta la concezione di Filolao sia difficile da interpretare, possiamo tuttavia renderci conto di questa distinzione in modo molto semplice: pensiamo allacqua o alla terra (ma anche allaria o al fuoco, i quattro elementi che si ripresentano di continuo nel pensiero presocratico come principi di tutte le cose). Considerate come tali esse non sono delimitate, mentre ci che le delimita potrebbe essere, nel caso della terra, la forma attraverso la quale essa viene plasmata, e nel caso dellacqua il recipiente che la contiene, quindi ancora una forma. Appare subito da questa considerazione elementare che, nello spirito del pensiero di Filolao, lopposizione tra lillimitanto e il limitante deve essere superata come opposizione: lun elemento deve interagire con laltro. Questa una condizione per lessere stesso delle cose che si trovano nelluniverso e delluniverso stesso considerato nella sua totalit. In realt questo anche il nucleo di una notevole visione cosmologica che prende la mosse da una concezione dellorigine delluniverso per teorizzare poi nello stesso tempo il suo assetto. Secondo il pensiero di Filolao, allinizio vi un fuoco originario indifferenziato - una delle possibili immagini del caos e nello stesso tempo, naturalmente, dellillimitato - e da questo fuoco ha origine, per limitazione, luniverso ordinato, il cosmo, che ha nellinsieme forma sferica e il cui centro occupato ancora dal fuoco. Lelemento limitante, a quanto sembra di capire, il fatto stesso che il fuoco ha una posizione precisa in questo ordine, trovandosi al centro della sfera (esso stato in certo senso chiuso in un luogo). Ai bordi pi esterni 323

Immagine tratta da G. Scalera, 1999, p 13.

vi il cielo delle stelle fisse, quindi i corpi celesti, Saturno, Giove, Marte, Mercurio, Venere, Sole, Luna, la Terra (secondo lantico ordine pitagorico, ancora presente in Platone, sostituito pi tardi da Saturno, Giove, Marte, Sole, Mercurio, Venere, Luna), a cui il pitagorismo aggiungeva lAntiterra e il Fuoco centrale, entrambi non visibili dalla terra. Tutto ruota intorno al Fuoco centrale, dunque n il sole n la terra occupano il centro delluniverso. Questa visione cosmogonica e cosmologica strettamente collegata allopposizione tra illimitato e limitante, ci interessa per un aspetto che comincia a trasparire gi nei frammenti citati ed allaccenno del resto che abbiamo anticipato sulla necessit che gli opposti formino una unit. Per indicare questa necessit, nel fr. 1, Filolao usa una forma arcaica del verbo harmozo e ci merita una riflessione. Questo verbo ha una forte valenza musicale. In realt il suo impiego originario appartiene al linguaggio dei falegnami. Esso indica l'incastro di una cosa con l'altra. Una prima accezione del termine ci porta allinterno di un contesto artigianale: la parola si riferisce al lavoro di un falegname, che adatta pezzi di legno tra loro, nel collegare le parti di un manufatto. Con il lemma harmonia si designa proprio il collegamento, il connettersi delle parti. Siamo quindi di fronte al prodotto di unaccezione tecnica che indica unoperazione, che presiede alla messa a punto di una rapporto fra intero e parte (Serra, 2003, p. 23). Va notato anche che questo termine rimanda normalmente, gi nei suoi impieghi quotidiani e prima ancora di essere elaborato filosoficamente, ad un'opposizione che viene risolta. Nella cultura greca, in cui la passione per la meccanica cos forte da permeare di s la stessa concezione del mito, il movimento di una vite da cardatura, che scioglie e pettina una fibra, ruotando su se stessa lungo un asse, verticale o orizzontale, diventa un paradigma dell'armonia in grado di combinare due movimenti, fondendoli in un moto rettilineo. Anche in questo caso, i due movimenti, ossia il ruotare su se stesso e quello di traslazione rettilinea, vengono intesi come opposti, integrati dall'armonia come momenti di un intero (Serra. 2003, p. 33).

324

Cos, nel primo frammento di Filolao, potremmo tradurre il connettere insieme senzaltro con armonizzare dicendo dunque: La natura nel cosmo fu armonizzata mediante cose che sono illimitate e di cose che istituiscono dei limiti.... Anche se naturalmente larmonia ha qui un senso molto lato, si comprende che la musica sar prima o poi direttamente implicata. Come abbiamo gi precedentemente accennato fu Filolao a mettere per iscritto i rapporti armonici fondamentali e quindi ad enunciare limpianto di quella che sar poi definita scala pitagorica e di cui dovremo parlare a lungo in seguito. Il punto interessante che questi rapporti - enunciati nel fr. 6a - ineriscono al contesto globale della tematica delle opposizioni da armonizzare, e in particolare dellopposizione tra lillimitato e il limitante. Che cosa pu essere illimitato nel mondo dei suoni? Esso pu essere soltanto - come nel caso dellacqua e del fuoco - il mondo dei suoni concepito come una amalgama indifferenziato, quindi come pura continuit, come un trapassare di un suono nellaltro e quindi come totale mancanza di distinzioni: un mondo di suoni caotico nel quale non vige nessun ordine. E come lacqua essa viene distinta ponendola in contenitori diversi, cos una distinzione analoga deve avvenire nel caso del mondo sonoro. Distinguere significa separare, ed implica un passaggio da un continuo caotico ad un cosmo discreto. Questo ordine che separa e distingue allinterno del mondo sonoro la scala stessa che viene individuata attraverso le consonanze fondamentali e i rapporti numerici corrispondenti. Larmonia , in questo primo abbozzo, una sorta di principio autonomo che interviene per stabilire un legame tra continuit e discretezza, e quindi istituire lordine necessario tra le cose della musica come tra quelle che appartengono alluniverso. Si ripresenta cos la tematica del numero e del rapporto numerico, innestata proprio in quella dellopposizione tra illimitato e limitato che inizialmente sembrava prevalere su di essa. Sullo sfondo si annuncia, senza essere esplicitamente enunciata, lidea di una relazione interna tra strutture musicali e strutture delluniverso fisico-astronomico che importante non solo per la tradizione pitagorica pi antica, ma anche per gli sviluppi medioevali e moderni.

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5.4 I numeri irrazionali nel pitagorismo


Uno degli aspetti che vengono ribaditi pi frequentemente in raporto alla matematica pitagorica che, essendo tutta giocata sui numeri interi (razionali), la scoperta di numeri irrazionali e, sul piano geometrico, di grandezze incommensurabili, determin la sua crisi definitiva e irrevocabile. Affermazioni come queste non si trovano soltanto nella manualistica di secondo piano, ma anche in ponderose e celebrate opere di storia della matematica come in quella di Morris Kline (1991) dove non solo i numeri figurati vengono erroneamente interpretati come figurazioni geometriche e non si sospetta nemmeno l'interesse per la ricorsivit che in esse presente, ma si dichiara esplicitamente che "i pitagorici furono "fastidiosamente allarmati dalla scoperta che alcuni rapporti... non possono essere espressi da numeri interi" (Kline, 1991, p. 41). Sempre in questa autorevole storia della matematica sta scritto che il pitagorico Ippaso di Metaponto (V sec. a. C.) venne buttato in mare dai pitagorici per aver introdotto un elemento dell'universo che negava la dottrina pitagorica secondo la quale tutti i fenomeni dell'universo possono essere ridotti a numeri interi o a loro rapporti (ivi). Talora in effetti lo stesso Ippaso viene menzionato come scopritore di un caso di irrazionalit, e sarebbe stato punito per aver divulgato una dottrina dannosa alla setta.Verrebbe anche a noi voglia di dire: passato cos tanto tempo, e... chiss come andata! Ma la critica pi avveduta ha fatto da tempo ampiamente giustizia di opinioni come queste che, attraverso la narrazione di episodi apparentemente innocui, propongono interpretazioni che si rivelano fortemente riduttive e semplificatorie. Resta vero, naturalmente, che l'aritmetica pitagorica prevalentemente un'aritmetica dei numeri interi, ma attraverso percorsi e problemi assai complessi. Cominciamo intanto con il dire che queste opinioni che fanno della scoperta della tematica degli irrazionali in ambito pitagorico uno scandalo da tener nascosto sono prive di fondamento. Secondo Michel non vi affatto traccia di una resistenza all'irrazionale in se stesso, all'irrazionale che ci si rifiuterebbe di ammettere o che si dovrebbe coprire con un velo oppure ancora che si dovrebbe riconoscere solo a titolo di eccezione - e di eccezione scandalosa.Vi sono invece tracce di un primo tenta326

tivo di distinguere tra due domini: quello dello spazio continuo e quello del numero discreto - con l'arrire-pense, del tutto naturale per dei precursori dell'atomismo, che il dominio del numero anche quello delle cose; ed ancora: Non si potrebbe supporre che la nozione di irrazionale abbia aperto la via ad un nuovo ordine di ricerche senza che fosse abbandonato l'antico? Ecco allora che due scienze si distinguono e si sviluppano l'una accanto all'altra: l'una, propriamente aritmetica, anche sotto la sua forma aritmo-geometrica, ha per oggetto il numero; l'altra, nata dalla meditazione sull'irrazionale e che fa all'ombra della Scuola i suoi primi passi avr per oggetto lo spazio, non pi tagliato in campi eguali e aritmetizzato, ma continuo e purificato dal numero (1950, II, p. 492-93). L'idea che vede la scoperta dell'irrazionalit matematica ed ancora pi la pubblica discussione intorno ad essa come un sacrilegio...sembra una ingenua leggenda sorta in un secondo tempo. assai probabile che questa scoperta non suscit nessuno scandalo tra i matematici(Szab, 1978, p. 88). Una dei primi numeri irrazionali scoperti fu la radice quadrata di 2, e una delle vie per la sua scoperta - non la sola - fu dovuta alla scoperta dell'incommensurabilit tra lato e diagonale di un quadrato di lato 1, implicando il teorema di Pitagora; oppure direttamente dall'applicazione del teorema di Pitagora ad un triangolo rettangolo isoscele con cateti eguali ad 1. del tutto inverosimile che la scoperta del teorema fosse per troppo tempo distinta dalla scoperta dellirrzionalit della radice quadrata di 2. La leggenda racconta che i pitagorici celebrarono la scoperta del teorema con il sacrificio di un bue. O addirittura di cento buoi. Cos Diogene Laerzio nella sua Vita di Pitagora: Apollodoro il logico racconta di lui che sacrific una ecatombe, quando ebbe scoperto che il quadrato dell'ipotenusa di un triangolo rettangolo era eguale ai quadrati dei lati contenenti l'angolo retto. Vi un epigramma che mette le cose in questi termini: Quando il grande saggio di Samo trov il suo nobile problema un centinaio di buoi con il loro sangue tinsero la terra(XI) Questa volta proprio noi che diamo un qualche affidamento alle leggende non possiamo che manifestare perples327

sit: questa notizia, molto interessante perch manifesta tuttaltro che imbarazzo di fronte alla scoperta del teorema contradditoria con tutto ci che sappiamo dell'ostilit di Pitagora per i sacrifici di animali sugli altari degli dei. Giamblico rammenta che egli faceva sacrifici agli dei conmiglio, dolci, miele e incensi. Ma non faceva sacrifici di animali, e li escludeva per i filosofi contemplativi. Comunque egli consent agli altri suoi discepoli, gli uditori e i politici, di sacrificare animali come un gallo o un agnello altri animali giovani, ma solo raramente; ma fu loro proibito di sacrificare buoi (cap. XXVIII). La soluzione di questo singolare problema viene da Porfirio (Vita di Pitagora, 36 cfr. Rousell, 1920): Quanto Pitagora sacrificava agli dei, egli non usava uno sperpero offensivo, ma offriva non pi che pane di orzo, focacce e mirra; meno di tutto animali, a meno forse dei galli e dei maiali. Quando scoperse il teorema secondo cui il quadrato dell'ipotenusa di un triangolo rettangolo era eguale ai quadrati sui lati contenenti l'angolo retto, si dice che abbia sacrificato un bue, bench i pi precisi dicono che si trattava di un bue fatto di farina Lerudito illuminista Andr Dacier (1651-1722), autore anchegli di una Vita di Pitagora (1706) sottolinea che questa pratica sarebbe stata appresa da Pitagora nei suoi viaggi in Egitto e riferisce,sulla base dei resoconti dei viaggi in India di un certo Thevenot, che essa era ancora esercitata ai tempi suoi dai bramini indiani (Dacier, 1706, p. 201). Insomma la leggenda si espande nel tempo persino in questi dettagli. Ed a questo punto le nostre perplessit iniziali vengono a cadere. inutile chiedersi, in rapporto ad una leggenda, se essa sia vera o falsa. Indipendentemente da ci, essa ha senso, e su questo senso essa parla chiaro: la leggenda ci racconta dellesultanza pitagorica di fronte all'apertura di un campo di indagine interamente nuovo - nella quale c' il teorema e tutto ci che ci sta intorno, compresi i numeri irrazionali. Di passaggio rammenter che uno degli emblemi pi famosi del pitagorismo il pentagono stellato (talora chiamato pentacolo, pentagramma o pentalfa) e che esso richiede per la sua costruzione la conoscenza della sezione aurea di un segmento che un numero irrazionale. Inoltre, ci che rende ancora pi emblematica quella figura il fatto che essa abbia struttura ricorsiva, essa , come diremmo oggi, un frattale geometrico (Piana, 1999). Particolarmente notevole mi sembra poi una prova indiretta della conoscenza della differenza tra numeri razionali e numeri irrazionali, ma anche del presumibile impiego di questa differenza nella speculazione filosofica di Filolao secondo un'ipotesi avanzata da Huffman: dopo aver osservato che di fatto sembra esservi un largo consenso sul 328

fatto che questa scoperta ebbe conseguenze disastrose per i pitagorici,Huffman formula un'interpretazione apparentemente azzardata, e che egli stesso definisce "speculativa" non essendoci documentazione in proposito, ma che a mio avviso particolarmente ricca di interesse. Si chiede Huffman: Come avrebbe reagito Filolao alla scoperta dell'incommensurabilit della diagonale del quadrato con il suo lato? La risposta suggerita che questa circostanza non solo non avrebbe messo in difficolt la posizione di Filolao, ma avrebbe potuto rappresentare un ottimo esempio di ci che Filolao stesso intendeva con l'unione dell'elemento limitante con l'elemento illimitato (1988, p. 10). Infatti nel quadro complessivo della concezione di Filolao, la diagonale del quadrato starebbe certo dalla parte dell'illimitato - mentre il lato del quadrato, che ha una grandezza esattamente definita, si trover sul versante del limitato o meglio dell'elemento limitante. In certo senso il lato del quadrato chiude lillimitatezza latente della diagonale dando luogo ad una figura ben connessa, anzi ad una figura che un vero proprio modello di buona connessione, e dunque di armonizzazione. Non solo vi dunque compatibilit tra queste nozioni aritmetiche e sui loro corrispondenti geometrici, ma addirittura entrambe debbono essere richiamate al fine di ricreare un ordine che sar ad un tempo armonico e, in quanto derivante da un'opposizione, dinamico. Huffman gioca d'azzardo, non vi sono prove, non vi nessun frammento di Filolao che ci parli di questo problema: ma io credo che sia assai giusto che il filologo tenti , almeno qualche volta, di mettersi nella testa del pensatore di cui si occupa. Di ci Huffman ci fornisce un magnifico esempio.

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5.5 Larmonia delle sfere


Spesso accade, nella filosofia, che da piccole osservazioni possano sorgere grandi pensieri. Io credo che proprio cos sia accaduto per il grande pensiero dell' armonia delle sfere. Esso non riguarda le cose dappoco che ci circondano, ma il cosmo intero, il mondo ordinato della terra, del sole, dei pianeti, delle stelle. Abbiamo visto che gi in Filolao ci si spinge ad una concezione dell'universo; e come sarebbe possibile, a questo stadio tanto primitivo del pensiero umano, non tentare di conciliare ci che vicino con ci che remotissimo, ci che vediamo con ci che non vediamo se non riempiendo i vuoti con l'immaginazione? L'idea dell'armonia delle sfere, cio l'idea che i corpi celesti, con il loro movimento producano suoni formando una straordinaria armonia per noi inudibile, risale sicuramente al pitagorismo pi arcaico e forse fu formulata dallo stesso Pitagora di cui, per non allontanarci troppo dal bel mondo delle favole filosofiche, si racconta che fosse. a differenza di tutti gli altri comuni mortali, in grado di percepirla. Peraltro l'espressione di armonia delle sfere non del tutto precisa se la si applica ad epoche anteriori ad Eudosso, poich si parlava di corpi, ruote, anelli, circoli nel cielo, ma non di sfere (Burkert,1972, p. 351, n. 1). L'espressione si tuttavia imposta e pu essere riferita ai corpi celesti cos come alle loro orbite o alla rotazione delle sfere in cui si pensava fossero integrati. Essa va intesa dunque come un'espressione adattabile a vari possibili sistemi dell'universo. Nei frammenti di Filolao essa non citata; e questo basta a Burkert per escluderne la presenza dalla problematica del sistema celeste che questo filosofo propone. Inoltre egli dedica un intero capitolo per mostrare che questa teoria delle sfere non ha nulla a che fare con la matematica e la teoria della musica. Essa sarebbe invece un'idea di origine religiosa, che riguarda la destinazione delle anime dopo la morte: cos egli parla molto, a proposito dell'armonia delle sfere, dell'"immortalit astrale" - cio dell'idea che le anime salissero al cielo (anzich finire nell'Ade). Questo non ha certo a che fare con matematica. E con la musica? Forse l'unico argomento che qui viene portato un'analogia che poggia sulle ultime parole di Pitagora morente. Le abbiamo gi ricordate in precedenza: Esercitatevi al monocordo! ed abbiamo gi spiegato il loro senso come invito a continuare la ricerca sulla musica e sui suoi fondamenti teorici. Burkert intende queste parole come se si trattasse di un invito fatto ai suoi allievi ad accompagnare la sua morte suonando il monocordo perch senza musica le anime non possono ascendere al cielo. 330

Spiegazione, a dir poco, sorprendente. Pitagora morente non chiederebbe che si suoni la lira, la cetra o laulos, ma il monocordo! E come fare a trarre da esso una qualche melodia? Tirando su e gi i ponticelli? Oltretutto Aristide Quintiliano commenta la frase di Pitagora come un invito a rammentarsi dellimportanza di una comprensione razionale della musica. A rafforzare la sua inaccettabile interpretazione Burkert rammenta che nella religione di Zaratustra il paradiso al quale lanima ascende chiamato casa dei canti (Burkert, 1972, p. 357). In effetti casa dei canti anche luniverso platonico cos come viene visto dalle anime dei trapassati secondo la narrazione di Platone nel mito di Er (Repubblica 616b-617) (Platone, 1981, p. 377-378). Dopo aver scontato le proprie colpe, le anime ascendono al cielo e raggiungono un luogo da cui visibile luniverso stesso, nella forma del fuso di Ananke che deve essere concepito come se in un gran fusaiolo cavo e da parte a parte bucato fosse racchiuso e adattato un altro ugual fusaiolo pi piccolo, come i recipienti rientranti luno nellaltro, e cos un terzo, un quarto e quattro altri ancora. Otto eran dunque in tutto i fusaioli, racchiusi gli uni negli altri, mostrando dallalto le labbra come dei cerchi, e formando come un unico dorso di un sol fusaiolo attorno al fusto conficcato da parte a parte in mezzo allottavo di essi In questa forma compare il sistema cosmologico di origine pitagorica formato da otto emisferi concentrici - e compare nello stesso tempo anche larmonia delle sfere: questa volta, tuttavia, lestro poetico di Platone che si esprime, dal momento che non il movimento che genera il suono, bens le Sirene che cantano insieme alle Moire, figlie di Ananke: Il fuso si volgeva sulle ginocchia di Ananke. Su ognuno dei cerchi di esso incedeva in alto una Sirena, tratta anchessa nel moto circolare, ed emettendo una voce di un unico tono; e da otto che erano in tutto risuonava una sola armonia. Sedevano in giro a pari distanze tre altre persone, ciascuna in trono, le Moire, figlie di Ananke, vestite di bianco e con corone sul capo, Lachesi, Cloto ed Atropo, e cantavano sullarmonia delle sirene, Lachesi il passato, Cloto il presente, Atropo lavvenire

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Bench la connessione con lelemento musicale avvenga attraverso il canto delle Sirene e delle Moire, tuttavia la lettura del passo platonico mostra chiaramente come questo canto sia strettamente coordinato al movimento dei corpi celesti, anche se certamente il riferimento al fuso del destino ed alle figlie di Ananke che dominano il tempo aggiungono nuovi sensi allintero problema. Pi tardi, in era cristiana, nel tema dellarmonia delle sfere il paradiso stesso ad essere chiamato in causa, con i suoi angeli cantanti in gloria di dio e delluniverso da lui creato. Cos Dante allinizio del Canto XXVII del Paradiso: Al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo cominci gloria tutto il Paradiso. s che minebriava il dolce canto. Ci che io vedeva mi sembrava un riso dellUniverso; perch mia ebbrezza entrava per ludire e per lo viso Armonia delle sfere la circulata melodia di cui parla ancora Dante nel Canto XXIII, vv. 103-111 del Paradiso (Richelmi, 2001); cos come il canto celeste a cui volge lorecchio estaticamente la Santa Cecilia di Raffaello e che ormai nulla ha a che vedere con la musica suonata dagli strumenti del nostro mondo.

G. Dor, Illustrazione per la Divina commedia, Canto XXXI, vv. 1- 12 332

Una copertina della Musurgia universalis di Kircher assai indicativa per il carattere sincretico che larmonia delle sfere finisce con lavere oltre che per la distanza con le origini scientifico-immaginifiche che erano alle sue origini. E tuttavia anche in questa immagine, con la presenza di Pitagora ed il suo teorema sulla sinistra dellimmagine e della sfera al suo centro queste origini non vengono del tutto cancellate. Larmonia delle sfere il risultato di attenzione scientifica e immaginazione, e non unesclusiva manifestazione di credenze religiose, come sostiene Burkert.

Su questo punto Burkert "va veramente troppo oltre" (Huffman, 1993, p. 280). Molto ragionevolmente viene fatto notare che l'armonia delle sfere in realt una ardita congettura presocratica intorno alla natura della realt, che basata su alcune osservazioni 'scientifiche' (la scoperta delle relazioni tra certi rapporti tra numeri interi e certe elementari osservazioni astronomiche), ma che, date le capacit scientifiche del tardo quinto secolo, rimase una ipotesi audace che non avrebbe potuto essere incorporata in un sistema articolato nel dettaglio. Come molte altre teorie presocratiche ed ippocratiche, essa 333

promette di pi di quanto possa mantenere, ma non vi ragione per questo di supporre che essa, non meno di tante altre teorie presocratiche non abbia nulla a che fare con la matematica o la scienza empirica (ivi). Per quanto riguarda il caso specifico di Filolao assai improbabile che chi parla di armonia come principio dinamico che connette il limitato con l'illimitato (fr. 6), e che rammenta in un simile contesto i rapporti musicali, non trasferisca all'ordine cosmico un ordine musicale. Dobbiamo allora chiederci: come pu nascere l'idea del suono celeste? Da piccole osservazioni possono sorgere grandi pensieri - abbiamo detto poco fa. I pitagorici non si posero soltanto i problemi dei possibili rapporti matematici come definitori degli intervalli, e nemmeno erano in generale dei matematici "puri". Essicercavano risposte alle loro domande anche nell'osservazione empirica. Cos si chiesero quali fossero le "cause" del suono, cosa che allora poteva significare soltanto: come un suono ha origine? Come esso viene prodotto? La risposta poteva intanto venire dall'esperienza quotidiana, ma da un'esperienza quotidiana orientata da un interesse conoscitivo. Quando una pietra cade a terra oppure quando viene battuta su un'altra pietra emette un suono. In casi come questi vi dunque un urto. Se osserviamo una corda che viene pizzicata, vediamo che essa fa un movimento di tipo particolare - essa vibra e noi vediamo la vibrazione. Questo movimento lo avvertiamo come un movimento omogeneo e regolare che va gradualmente verso una estinzione che ad un tempo estinzione del suono e del movimento. Non meno notevole il sibilo della freccia dopo che essa stata lanciata da un arco. Il movimento, oltre che lurto, far dunque parte del nostro problema. Inoltre osserviamo che il suono si propaga, quindi che esso si diffonde lontano e possiamo notare che un suono la cui intensit costante in realt diminuisce per il nostro udito quanto pi la fonte lontana, notiamo cio l'esistenza di una relazione tra distanza e percezione del suono. Forse questo non fa parte del problema della causa del suono, ma indubbiamente della modalit della sua ricezione. Abbiamo detto che osservazioni come queste fanno parte dell'esperienza quotidiana, ma se ne distinguono nettamente quando esse cadono sotto una intenzione conoscitiva, cio quando esse vengono effettuate avendo lo scopo di chiarire le cause del suono e le sue caratteristiche fisiche. Allora esse cambiano natura, assumono il carattere di indici di una ricerca che aspira a diventare una conoscenza autentica (Piana,1967, cap. I, 1).

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Che Pitagora fosse pi simile ad uno sciamano che ad uno scienziato non ha nessuna importanza. Importa invece che in ambiente pitagorico, in personalit che si ricollegavano idealmente a questa figura creandone un mito, si ponessero queste domande e le si ponessero esattamente con il carattere di indici per una conoscenza possibile. Certo, non possiamo ancora dire che in simili osservazioni si possa intravvedere la nascita dell'acustica come scienza: essa dovr attendere pi di duemila anni. Non vi erano infatti i mezzi per unobbiettivazione sufficiente di queste semplici osservazioni, e quindi per il loro arricchimento attraverso l'apprestamento di opportune situazioni sperimentali. Ma vi era comunque il tentativo di rendere conto sul piano fisico - e non solo su quello musicale - dei caratteri e delle cause degli eventi sonori. Il modo di presentare la cause del suono non solo tra i pitagorici, ma in tutta la tradizione filosofica antica, pu variare e talora pu essere oscuro, ma forse si pu affermare che i due concetti che giocano il ruolo principale sono quello di urto e di movimento. Entrambi questi concetti intervengono nel pitagorico Archita di Taranto (prima met del IV sec. a.C.). Egli sosteneva che non pu esservi suono se non ha luogo un urto, e che un urto pu sorgere solo all'interno di un movimento in cui due corpi si scontrano l'uno contro l'altro. Inoltre notava che la velocit del movimento aveva relazione con l'altezza del suono: Se si prende una frusta e la si muove lentamente e debolmente, verr prodotto con il colpo un suono profondo, mentre se la si muove rapidamente e fortemente un suono acuto (fr. 1 - Huffman, 2005, p. 106; Diels, 1906, p. 258). L'esempio della frusta mostra che Archita pensava allurto anche come una percossa rispetto all'aria stessa. Nelle spiegazioni, pur difficili da interpretare di Archita, si comincia ad affermare in ogni caso la relazione tra movimento e suono che resta alla base delle teorie greche della causa del suono. Gi con le formulazioni delle domande sulla natura del suono orientate da un interesse conoscitivo, l'esperienza quotidiana - pur ancora attiva - viene nettamente superata. Ed ancor pi quando avviene il balzo al grande pensiero: se dove vi suono vi anche necessariamente movimento, allora, forse!, inversamente dove vi movimento dobbiamo supporre che vi sia il suono. Giusta o sbagliata che sia questa inversione, essa in ogni caso che realizza il passaggio dal suono prodotto dall'auleta o dal citaredo al suono cosmico, all'armonia delle sfere. Alla base vi l'osservazione empirica e un principio di ragionamento che tenta di isolare l'evento sonoro e di rendere conto di esso come evento fisico. Dall'altro vi un altro insieme di conoscenze, quelle guadagnate guardando il cielo - il 335

sistema astronomico che si va stabilizzando nella cultura greca - con la terra al centro e tutti gli altri corpi celesti che vi girano intorno secondo orbite (o come volete dire: cerchi, ruote, sfere...) perfettamente circolari, pi o meno distanti dalla terra, e secondo velocit differenti. Con una probabile correlazione tra velocit e distanza: se si dovesse ipotizzare che gli astri compiano la loro orbita esattamente nello stesso tempo, dovremmo anche assumere che il movimento dell'astro con lorbita pi ampia sia assai pi veloce di quella con lorbita pi stretta. E laltezza del suono emesso sar dunque differente. Questo passaggio dallosservazione empirica al moto dei corpi celesti molto ben sintetizzata da Nicomaco di Gerasa quando scrive Si afferma infatti che ogni corpo lanciato in una materia penetrabile e ad alta elasticit genera neessariamente rumori che dipendono, per grandezza e ambito sonoro o dalla sua mole o dalla sua particolare velocit o dalla zona in cui compie la sua corsa, zona che pu essere molto elastica o, al contrario rigida. Le stesse tre distinzioni si osservano chiaramente in rapporto ai pianeti, diversi luno dallaltro per grandezza, velocit e luogo, sfreccianti eternamente e senza sosta nel fluido etereo (Nicomaco di Gerasa, 1990, cap. 3, p. 147). Se sulla terra il movimento suono, perch non dovrebbe esserlo anche il movimento degli astri? E ci non basta ancora: se nel nostro ambiente circostante, a movimento pi veloce corrisponde suono acuto, a movimento pi lento suono pi grave perch ci non dovrebbe accadere anche per i suoni prodotti dalle differenti velocit di movimento che caratterizza ogni corpo celeste? Per quanto riguarda la determinazione dei corpi celesti, il loro ordine e dunque i rapporti tra le loro orbite le spiegazioni sono spesso confuse, fino alla sistemazione tolemaica. Ma il problema di una connessione tra velocit e acutezza del suono comunque posto. I corpi celesti produrranno pi suoni simultaneamente; ed forse possibile che in un mondo dominato dall'ordine che il cerchio stesso rappresenta in modo eminente, in un mondo dove vi un centro fisso, e la terra non se ne va vagando su un mare infinito, come ancora pensava Talete - forse possibile che in un mondo dove tutto sferico, regni il disordine proprio tra i suoni emessi dai corpi celesti ovvero tra i loro movimenti? Nella musica vi sono leggi interne, numericamente espresse. Vi logos, ratio, ragione, rapporto. Tutto ci ora passa dal monocordo all'universo. Come vedremo, sul monocordo possibile stabilire una "scala" - fatta precisamente di sette distinte posizioni - sette, come i sette corpi celesti - cosicch potremmo arrivare addirittura ad attribuire ad ogni "sfera" una nota di quella scala. Certo se esse suonano tutte insieme, ne dovrebbe risultare, piuttosto che una divina armonia, "une jolie cacophonie" - come osserva argutamente Henri Potiron (1954, p. 60): ma n Boezio n altri si impensierino per questo. 336

Certo il balzo dall'osservazione empirica sull'origine dell'emissione del suono all'armonia delle sfere non solo un balzo del pensiero, ma soprattutto un balzo dell'immaginazione. Per questo esso pu incontrarsi con il pensiero mitico-religioso nei punti in cui, in un modo o nell'altro, esso fa cantare il cielo. Il pensiero mitico pu estrarre di qui ci che pi gli piace, piegando questo o quel dettaglio a significati diversi, o aggiungere nuovi dettagli. Se cos stanno le cose possiamo persino chiamare in causa il paradiso di Zaratustra, senza naturalmente avere nemmeno il frammento di un frammento a disposizione per sostenere le spiegazioni di Burkert. Ci che ci tolgono le interpretazioni veteropositivistiche che contrappongono la ragione all'immaginazione, la Weisheit alla Wissenschaft, il fatto che esse nascondono la complessit e la ricchezza di questi intrecci, nell'una e nell'altra direzione - perch poi anche vero che l'armonicit del mondo stata un'idea-guida importante negli studi matematici (possiamo dimenticare Keplero? possiamo dimenticare Newton?) - e ci tolgono persino il gusto, di penetrare in questi intrecci per interrogarci seriamente e con coscienza di causa su ci che che in essi ha una portata conoscitiva autentica. Vorrei aggiungere un'osservazione molto personale: per quanto riguarda la musica, essa per me qualcosa di fatalmente terreno. Preferisco nettamente un satiro auleta ad un angelo canoro. Per quanto riguarda il mondo, vedo che in esso vi un ordine, talvolta meraviglioso, lo vedo nelle grandi creazioni di cui la natura e l'uomo stesso sono capaci; ma vedo anche che in esso vi assai meno armonia di quanto possa esservi in un brano musicale. Penso addirittura che proprio un brano musicale possa talora insegnarci che il mondo, se stato fatto, stato fatto abbastanza male e lo si sarebbe potuto fare molto meglio; ed ho il sospetto che anche il tema dell'armonia delle sfere ci insegni esattamente la stessa cosa.

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6. Il reperimento dei rapporti fondamentali sul monocordo

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6.1 Il monocordo senza graduazione


6.1.1 Il metodo delle sottrazioni successive 6.1.2 Osservazioni sul metodo delle sottrazioni successive 6.1.3 Il quaternario

6.2 La divisione in quattro del monocordo 6.3 La divisione in dodici del monocordo
6.3.1 La considerazione lineare dellintervallo 6.3.2 I rapporti consonantici espressi con i numeri 6,8,9,12

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6.1 Il monocordo senza graduazione


6.1.1 Il metodo delle sottrazioni successive

tempo ormai, dopo le nostre considerazioni generali sul numero nella filosofia pitagorica, di riprendere il nostro tema particolare della determinazione dei rapporti numerici delle consonanze. Il metodo - anzi, i metodi di questa determinazione - non sono poi cos ovvi, e certamente non lo erano agli albori della teoria della musica e del sapere aritmetico e geometrico. Come primo passo sembra giusto pensare che una volta inventato il monocordo, si tentasse si scoprire i rapporti consonantici fondamentali senza ricorrere al problema della sua graduazione. La determinazione puramente uditiva delle posizioni del ponticello secondo le consonanze peraltro cosa presto fatta. Supponiamo di avere a disposizione un monocordo a due corde: una corda priva di ponticello che possa servire come nota di confronto, e l'altra invece con un ponticello mobile. Muovendo il ponticello, per prove ed errori, si potr certo arrivare a determinare le posizioni:

VIII

IV
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Pizzicando sulla sinistra del ponticello, e confrontando la nota cos prodotta con la nota ottenuta pizzicando la corda senza ponticello, si sentir nell'ordine l'ottava superiore, la quinta e la quarta. Ma ovviamente la questione che si volle affrontare con il monocordo era quella di una determinazione numerica di queste posizioni, tentando di stabilire un rapporto tra la corda di riferimento e la corda "accorciata" dal ponticello. Dobbiamo allora renderci conto di come questo problema possa essere posto gi a questo primo stadio del problema su un monocordo non graduato. In precedenza, nella determinazione puramente uditiva, ci siamo mossi per prove ed errori, che quasi quanto sostenere che ci siamo mossi quasi a caso. Tenteremo ora di affrontare il problema in questo stesso spirito? In realt, date le premesse di fondo, ben difficile che il filosofo pitagorico non abbia pensato di affrontare il problema con metodo. Tanto pi che, come appare chiaro, la questione non era in alcun modo pratica, ma tutta teorica, e sullo sfondo non vi era soltanto una questione musicale. Si affacciava invece il problema generale della misurazione e nello stesso tempo della "commisurazione" di due lunghezze.

In primo luogo certo che si deve procedere con un intervallo per volta. La prima figura che abbiamo presentata che presenta tutte e tre le consonanze da questo punto di vista un poco ingannevole. Cominciamo esemplificativamente dall'intervallo di quinta.

quinta

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Abbiamo appunto messo il ponticello nella posizione E dove risuona uditivamente un intervallo di quinta con AB. Ora notiamo che il segmento ED, che rappresenta per noi la parte non risuonante della corda, pu essere considerato come resto di una sottrazione il cui minuendo AB e il cui sottraendo CE. Naturalmente ci saremo provvisti di qualcosa di simile ad un filo o ad un bastoncino per riportare le misure. chiaro che parlando di sottrazione, di minuendo e sottraendo non intendiamo qui le operazioni aritmetiche a noi consuete, ma azioni concrete fatte con oggetti concreti, Supponiamo allora di prendere il resto ED e di sottrarlo al segmento CE facendo coincidere E con C. E di ripetere la stessa operazione per gli eventuali resti. La situazione potrebbe allora presentarsi come nella figura che segue:

FE=CF

resto = 0
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Questa successione di operazioni di sottrazione ha un resto, ed essendo i segmenti FE e CF eguali fra loro, il loro resto sar = 0 ed il procedimento ha termine. Se ora riportiamo i tratti verticali sul segmento AB, esso risulta suddiviso in tre parti eguali. Di conseguenza il segmento CE determinato come 2/3 di AB (fig.1). Per capire meglio come stanno le cose e quali problemi si potrebbero incontrare in questa procedura di sottrazioni successive, vogliamo applicarla con un po' di pedanteria all'intervallo di quarta. La nostra rappresentazione grafica avr ora la forma della fig. 2. Qui le cose diventano un poco pi complicate anche se la procedura esattamente la stessa. Il punto della piccola complicazione sta nel fatto che quando sottriamo ED da CE abbiamo un resto FE che maggiore di CF. In tal caso non posso sottrarre FE da CF. Questa la novit rispetto al caso precedente. A questa novit rispondiamo aggiungendo una regola alla procedura delle sottrazioni successive: stabiliamo che la sottrazione andr fatta in ogni caso dal segmento maggiore a quello minore. Dal punto di vista della rappresentazione grafica ci ci ha imposto un cambiamento di rotta reso visibile dal cambiamento di direzione delle frecce. Ora dunque CF=ED che viene sottratto ad FE. Per coerenza rappresentativa quindi indirizziamo la freccia sulla destra del segmento FE che daltronde abbiamo allineato al segmento superiore. Ma a parte questi aggiustamenti nel grafico si procede esattamente nello stesso modo, e si perviene anche ora ad un resto = 0.

A C E

B D

fig. 1

A C E

B D

F GE = FG resto = 0

fig. 2

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Come in precedenza il risultato leggibile sulle linee verticali che riportiamo con il tratteggio sul segmento AB. Questo risulta essere diviso in quattro parti eguali , e la quarta sta esattamente su 3/4 della corda di riferimento AB (fig. 3). Nel caso dell'ottava si arriva subito a conclusione per il semplice fatto che i due segmenti sono eguali: la sottrazione effettuata ha resto 0 gi al primo passo. Abbiamo dunque applicato un metodo di sottrazioni successive, abbiamo cio iterato ununica operazione che si applicava al risultato precedentemente ottenuto. Questo un ottimo esempio di procedura ricorsiva: esso conferma quellinteresse pitagorico per la ricorsivit che abbiamo gi sottolineato come uno degli interessi caratteristici della matematica pitagorica.

A C E

B D

F GE = FG resto = 0

347

6.1.2 Osservazioni sul metodo delle sottrazioni successive


A questo punto possiamo dare libera stura sia alle obiezioni che ai chiarimenti conseguenti sicuramente necessari. Forse si potrebbe osservare: in tutti e tre i casi siamo stati molto fortunati, per il fatto che proprio la lunghezza a destra del ponticello si rivela essere una unit di misura in tutti e tre i casi. E proprio per questo si potrebbe obiettare che abbiamo complicato inutilmente le cose perch, in casi come questi, basterebbe evidentemente una pura e semplice operazione di riporto. Se abbiamo deciso per cos dire di cominciare a provare con ED tanto vale vedere subito "quante volte ED sta in CE", ed avremmo scoperto in un batter d'occhio che nel caso della quinta ci sta due volte prospettando una divisione per tre di AB e nel caso della quarta ci sta 3 volte prospettando una divisione in quattro di AB. Perch dunque cercare una soluzione tanto complicata come quella delle sottrazioni successive? E perch poi indugiare cos a lungo su una questione che sembra riguardare soltanto la suddivisione del monocordo e la determinazione dei rapporti consonantici? Supponiamo allora che io mi serva di una semplice operazione di riporto. I segmenti da commisurare siano AB e CE dove E cade in un punto qualsiasi di AB. Ora io mi servo del resto della loro differenza ED riportandolo pi volte su CE. Ma supponiamo anche che le cose non vadano cos liscie come sono andate nei casi precedenti. Ad esempio: dopo aver riportato il resto sul segmento minore ci troviamo di fronte ad situazione di questo genere:

A C F
348

B E D

In questo caso abbiamo appunto un resto CF che mostra che il segemento ED non pu essere impiegato come unit di misura comune. Che cosa dovremo fare allora? In realt dovremmo ricominciare da capo, con le mani e i piedi, insomma con il metodo del prova e riprova. La scelta di ED come unit di misura era arbitraria, e per cercare una nuova unit di misura per entrambi i segmenti dovremo andare a tentoni. Il porre il problema metodicamente, e cio attraverso il metodo delle sottrazioni successive, ci fornisce invece una procedura che non assume fin dallinizio un determinato segmento come unit di misura comune, ma serve invece a ricercare, dati due segmenti, la loro misura comune - che viene determinata al termine del processo se il processo ha termine, cio se viene raggiunto il resto 0. Si noti che allinterno di queste considerazioni risulta chiara la differenza tra semplice misurazione e commisurazione. Se due segmenti AB e CB hanno ad esempio lunghezze di 6 e 10 sulla base di una misura comune, la loro commisurazione richiede non solo una misura comune, ma la massima misura comune. Nella fig.1 essa data dal segmento alfa che si ottiene attraverso il metodo delle sottrazioni successive ed il rapporto di 3/5 o inversamente di 5/3.

10

fig. 1

349

Luca della Robbia, Pitagora ed Euclide 1437

Naturalmente potremmo anche dire che la massima unit di misura pari a 2 unit con cui sono stati misurati i segmenti e in particolare che 2 il Massimo Comune Divisore tra i numeri 10 e 6. In effetti vi una stretta relazione tra la nozione di Massimo Comune Divisore e quella della Massima Unit di Misura comune. Riscopriamo qui, ragionando in modo assai grezzo, delle connessioni elementari che avevamo probabilmente dimenticato. Con tutto ci abbiamo anche implicitamente risposto alla seconda osservazione nella quale ci si chiedeva se vale la pena tanta cura del dettaglio per un problema che sembra riguardare un caso tanto particolare. In realt dobbiamo sempre tener presente che il passaggio cruciale da problemi di teoria musicale a problemi matematici avviene intanto per il semplice fatto che la corda pu essere considerata come il rappresentante fisico di una entit puramente geometrica - il segmento. Ed allora questi problemi di commisurabilit hanno direttamente un carattere generale. Essi aprono una questione particolarmente impegnativa sul terreno aritmeticogeometrico: noi abbiamo detto che il metodo delle sottrazioni successive un modo che segue una regola e dunque un metodo per trovare l'unit di misura comune - ed anche che abbiamo buone ragioni di ritenere che esso si affacci nella prima determinazione dei rapporti con un monocordo non ancora graduato. Nei nostri esempi la procedura si chiudeva quando si raggiunge un resto che pari a zero. Quando ci accade le grandezze considerate si dicono appunto commensurabili: e ci significa esattamente che vi una misura comune per entrambe e che quindi possono essere messe esattamente in rapporto tra loro senza resti. Ma possiamo affermare che questo risultato venga sempre e inesorabilmente raggiunto ed eventualmente escludere che si possa dimostrare che in taluni casi questo risultato non pu essere raggiunto? 350

In realt non possiamo fare questa affermazione e non possiamo escludere che possa verificarsi una cosa simile. I Pitagorici lo sapevano benissimo. Sapevano cio che vi sono grandezze incommensurabili, il che vuol dire, secondo il senso della nostra discussione, grandezze in cui la procedura delle sottrazioni successive d sempre un resto, per quanto piccolo possa essere. Per esse non possibile trovare una massima unit di misura comune in grado di fornire la misura dell'una e dell'altra e quindi di determinarne esattamente il rapporto. In termini aritmetici si tratta naturalmente della differenza tra numeri razionali - che possono essere scritti come rapporti di numeri interi - e numeri "irrazionali" per i quali non sussiste questa possibilit. Euclide si serve del metodo delle sottrazioni successive proprio per mostrare l'esistenza di grandezze incommensurabili; quindi per la ricerca della massima misura comune e del massimo comun divisore. Cos nella proposizione seconda del libro X degli Elementi si legge: Se di due grandezze disuguali veniamo a sottrarre, sempre e vicendevolmente, la minore dalla maggiore quante volte sia possibile, e quella ogni volta restante non misura mai la grandezza ad essa precedente, le grandezze saranno incommensurabili. Nella proposizione successiva si pone il problema seguente: Date due grandezze commensurabili, trovare la loro massima misura comune mentre nello stesso modo viene proposta la ricerca del massimo comune divisore nella seconda proposizione del libro settimo. Questa problematica tuttavia non comincia dai numeri considerati astrattamente come tali, ma dai segmenti, e oserei dire, ancor prima, dalle corde e precisamente dal problema della loro commisurazione. Quando in Euclide questa tematica riceve una sistemazione logica e argomentativa effettiva, si ricorre proprio al metodo delle sottrazioni successive, che viene talvolta chiamato "algoritmo euclideo".

Noi abbiamo cercato di mostrare, seguendo il lavoro di Szab (1978, p. 136), che i germi di questo algoritmo si trovano gi negli esercizi al monocordo dei pitagorici.

351

6.1.3 Il quaternario
Il passaggio dal livello uditivo a quello del rapporto numerico dipende in modo eminente dalla filosofia pitagorica del numero e inversamente la scoperta di rapporti numerici astratti per la consonanza rappresenta un rafforzamento di quella filosofia. Questo rafforzamento pu arrivare ad attribuire al numero stesso la dimensione profonda di ci che si manifesta alla superficie, ad esempio si potrebbe arrivare a sostenere - e i pitagorici erano ampiamente su questa strada, che la consonanza udita una semplice manifestazione in ambito musicale di una realt numerica che riguarda, ad esempio, il numero 3 e il numero 2 - e che di conseguenza vi "armonia" ovunque ci siano questi numeri in rapporto tra loro, in un'accezione di armonia che potrebbe non riguardare solo l' ambito musicale.

Non solo. I numeri che caratterizzano questi intervalli tendono a diventare in se stessi iper-significativi, proprio per la posizione che occupano nella successione numerica. In realt se invece di usare i rapporti, usassimo la moderna misura dei cents, secondo la quale ciascun cent corrisponde ad un centesimo di semitono temperato, gli intervalli consonantici sarebbero caratterizzati, per approssimazione, dai numeri 1200 (ottava), 702 (quinta), 498 (quarta). il caso di notare che, in certo senso, essi sono numeri qualsiasi. Espressi in termini di rapporti, le consonanze fondamentali vengono invece interamente espresse utilizzando unicamente i primi quattro numeri della serie dei numeri naturali - che proprio per la posizione che occupano nella successione dei numeri non sono numeri qualsiasi.Come gi sappiamo, su questi quattro numeri

1234
cadde una particolare enfasi. Abbiamo anche gi notato che il rapporto di 9/8 che rappresenta il tono di separazione tra la quarta e la quinta ed fortemente dissonantico nella sua "manifestazione musicale", non solo viene inevitabilmente prodotto dalla suddivisione consonantica della ottava, ma esso non aggiunge, secondo il modo di pensare pitagorico, nessun nuovo numero essendo 9 esprimibile come 3*3 (avvero 32) e 8 come 4*2 ovvero 2*2*2 ovvero 23. L'intera articolazione consonantica dell'ottava si trova dunque tutta racchiusa nel "quaternario". 352

I Pitagorici furono colpiti anche da due altre circostanze: lintervallo di ottava era caratterizzato dal fatto che il numeratore era multiplo del denominatore. In tutti gli altri casi il numero al denominatore era invece caratterizzato dal fatto di essere superato dal numero al numeratore di una sola unit; e inversamente per il rapporto inverso. L'importanza che all'interno della matematica pitagorica ricevono i numeri eteromechi ha probabilmente anche la sua origine nel significato che a questo tipo di rapporto viene attribuito in ambito musicale. Tutto ci fu considerato come scoperta di fondamentale importanza. Si rammenti che sullo sfondo delle frazioni c la tematica dellintero e delle parti - il denominatore indica in quante parti stato diviso lintero e il numeratore quante di quelle parti vengono prese in considerazione. E questo sfondo spiega la complessa terminologia, assai spesso poco maneggevole, che viene riservata ai rapporti aritmetico-musicali sia in ambito greco-latino sia in ambito medioevale fino allet moderna. Il rapporto avente una simile struttura veniva chiamato dai greci epimorio e dai latini superparticolare o sesquiparziale. Credo che sia lecito vedere in entrambi i termini lidea di una parte in pi rispetto allintero. Quando questa parte in pi era met dellintero - ad esempio 3/2 - si parlava di rapporto emiolio - termine che contiene nella sua etimologia sia lidea della met che quella dellintero. Gli altri numeri epimori venivano poi caratterizzati con epi- (sopra) e lindicazione del numero al denominatore . Il fatto che nel concetto sia implicata l'idea di una parte in pi rispetto all'intero consente unestensione del concetto, che non affatto irrilevante nei nostri futuri sviluppi. In effetti, sempre ragionando in termini di intero e di parti, se in unaccezione ristretta di numero epimorio consisteva nel fatto che essendo n al denominatore il numeratore doveva essere n+1, in unaccezione estesa era sufficiente che, essendo un intero divisibile in parti eguali ciascuna formato dallo stesso numero di unit, ad esempio, il numero 8 in due parti di quattro unit, al numeratore vi fosse una parte in pi, formata a sua volta dello stesso numero di unit - ad esempio 12 rispetto ad 8. Il rapporto 12/8 risulta dunque essere un rapporto epimorio in un'accezione estesa. Credo che fra i vari modi possibili di caratterizzare un rapporto epimorio, il migliore possa essere il seguente: si parla di rapporto epimorio quando la differenza tra numero maggiore e numero minore pari ad una parte intera del numero minore. Questa definizione particolarmente semplice ed ha tre vantaggi: 1. vale per il rapporto e per il suo inverso; 2. comprende l'accezione estesa e come caso particolare quella pi ristretta in cui la differenza pari ad uno; 3. distingue nettamente tra rapporti epimori e rapporti multipli. Infatti, ad esempio, il rapporto 2:1 un rapporto multiplo ma non epimorio perch la differenza 1, e dunque eguale al numero minore. 353

Annotazione
La precedente definizione di numero epimorio si pu leggere in Teone di Smirne (II, 24 - Teone di Smirne, 1892, p. 125) in questa forma: Il rapporto chiamato epimorio quando il termine pi grande contiene una volta il pi piccolo e una parte del pi piccolo, cio quando il termine pi grande supera il piccolo di una certa quantit che equivale ad una sua parte. Cos il numero 4 epimorio in rapporto a 3 perch lo supera di una unit che il terzo di 3. Analogamente 6 supera 4 di due unit che sono la met di 4. Peraltro Teone ritiene che si debba parlare di sottoepimorio quando il numero maggiore si trova al denominatore. Nel suo uso pi generico, la parola epimere veniva usata per un rapporto che non fosse n multiplo n epimorio. Giamblico nella sua Introduzione allaritmetica di Nicomaco lo definisce cos: Si ha un rapporto epimere quando il termine maggiore contiene il minore pi alcune parti di esso, cio pi di una sola parte (Giamblico, 1995, p. 253 - 42).

354

6.2 La divisione in quattro del monocordo


Il secondo stadio del problema naturalmente il passaggio alla misurazione e soprattutto alla graduazione. La misurazione in effetti poteva essere facilmente effettuata perch in certo senso l'unit di misura era scritta nel rapporto. Nel caso del rapporto multiplo, la corda pi piccola poteva fungere da unit di misura, e cos anche nel caso dei rapporti epimori, perch la differenza tra le corde era appunto di una unit. Negli altri casi non potevano che sorgere difficolt. Commentando Tolomeo che faceva notare questo punto (Tolomeo, 2002, 11 - 1.5) Barker osserva: i rapporti multipli ed epimori, sono migliori degli epimeri [cio dei numeri che non appartengono n alluno n allaltro tipo]; e in Tolomeo si offre subito una spiegazione di ci. Ci accade per via della semplicit della comparazione tra i termini della classe migliore di rapporti. Lidea poi brevemente sviluppata. La comparazione semplice perch in essa leccesso (cio la differenza tra i termini) nel caso dei numeri epimori una parte semplice (cio un fattore intero di ciascuno dei termini), e nei multipli il termine minore una parte semplice del maggiore. Supponiamo di dover paragonare la grandezza di due oggetti nettamente osservabili, ad esempio le lunghezze di due bastoncini rettilinei. Per far questo abbiamo bisogno o di esprimere una lunghezza come funzione dellaltra o di esprimere entrambe come funzioni di una certa terza lunghezza che si possa identificare ed impiegare come una misura. Ora se il rapporto tra le lunghezze multiplo, possiamo usare la prima strategia: il bastoncino pi lungo lo un numero di volte la lunghezza di quello pi corto. Se il rapporto epimorio, possiamo usare la seconda strategia: useremo come nostra misura la differenza tra le loro lunghezze, che prontamente identificata, e la lunghezza di ciascun bastoncino un numero intero di volte di quella misura. Se il rapporto epimere, invece, non vi alcuna lunghezza immediatamente data alla percezione dellosservatore che possa essere usata come una misura, una lunghezza tale che ciascuno dei bastoncini sia lungo un certo numero di volte di essa. Di conseguenza nel caso nei rapporti epimeri il problema di paragonare le quantit destinato ad essere pi complesso e difficile (Barker, 1994, p. 124). 355

Nell'invenzione del monocordo era certamente compresa l'idea di possedere un "metro" non soltanto per misurare e commisurare le consonanze, ma ogni intervallo possibile. In rapporto alle consonanze si pu utilizzare con successo e metodo un monocordo privo di graduazioni. Ma se vogliamo fare di esso uno strumento efficiente e completo per la misurazione e il confronto tra gli intervalli abbiamo bisogno di aggiungere ad esso degli intagli o dei contrassegni, delle "tacche". Presumibilmente il monocordo assume il nome di "canone" quando riceve queste tacche e diventa cos un autentico strumento di misura. Ora siamo in possesso dei rapporti consonantici fondamentali in modo numericamente determinato. Possiamo senz'altro prendere un coltellino e fare incisioni sulla base su cui scorre il ponticello mobile? In realt ci rendiamo subito conto che il nostro "canone" o "metro" dovrebbe avere una tacca nel punto mediano; ma dovrebbe anche essere diviso in terzi, per potervi individuare sopra i 2/3 della quinta; e dovrebbe essere diviso in quarti, per potervi individuare sopra il 3/4 della quarta. Il fatto che abbiamo al denominatore numeri diversi. Evidentemente non posso pensare di fare una divisione con una unit di misura differente per ogni intervallo. Le tacche debbono avere un'unica unit esattamente come nel caso del metro. Si deve perci avviare una seconda fase nell'elaborazione del problema che ci impone in certo senso di ricomporre i rapporti gi scoperti in una visione unitaria ed il pi possibile semplice (come semplice il misurare una lunghezza con un metro). Si pens ad una divisione dell'intero in quattro parti eguali che, come subito vedremo, ha una sua relativa efficienza e che forse anche poteva essere suggerita dall'enfasi posta su quel numero. In realt resta memoria di una possibile divisione del monocordo in quattro parti in testi latini medioevali. Ad esempio, Aribo Scholasticus (XI sec.) in De musica equipara nettamente la scoperta dei rapporti consonantici con la "distribuzione quadripartita del monocordo" (Mnxelhaus, 1976, p. 27). Nella trattatistica greca invece questa partizione non documentata, probabilmente perch arcaica e presto abbandonata. Vi per un indizio consistente di questa sperimentazione. In Platone talora l'ottava viene chiamata intervallo doppio e la quinta intervallo emiolio (Szab, 1978). La prima dizione non ci sorprende certamente. Allude ad un monocordo diviso in due, nel quale cio il ponticello posto nel mezzo. Se vengono pizzicate insieme le due parti in cui esso suddiviso abbiamo un unisono, essendo eguali le lunghezze delle corde. Se invece viene pizzicata la corda intera senza il ponticello e poi la sua met si avr tra le due note un intervallo di ottava.

356

Pi interessante l'impiego del termine emiolio per indicare la quinta - un impiego che gi stato in precedenza rammentato e giustificato come "l'intero a cui si aggiunge la sua met". Riportando il problema su quello della divisione del monocordo, la quinta verr prospettata nel modo seguente:

3/2 1
1/2 di AC

357

La quinta cadr nel punto D . Naturalmente si tratta di una quinta relativamente ad AC, che l'ottava acuta rispetto ad AE. Ma il punto interessante che se consideriamo anche la divisione in met di AC otteniamo una divisione di AE in quattro e di conseguenza il punto D, rappresenta l'intervallo di quarta relativamente ad AE. Questo di per s un risultato degno di nota. Si realizzata una procedura di suddivisione che - desidero esplicitamente far notare questo punto - ha tendenzialmente un carattere ricorsivo. Di fatto si diviso un segmento per due, e poi si sono divisi per due i segmenti ottenuti dalla divisione precedente. Un vantaggio di questo metodo comunque che ora diventiamo consapevoli della "complementarit" della quarta con la quinta nell'ottava. Detto in altro modo la quarta rispetto alla nota grave quinta rispetto alla nota in ottava acuta. Questa circostanza ci appare ora in certo senso "visibile" sul segmento suddiviso: essa ci "mostrata" dalla coincidenza del quarta e della quinta rispetto all'ottava inferiore e superiore nel disegno. In termini aritmetici la questione non ovvia: occorre in proposito rammentare che bench i calcoli sugli intervalli nella trattatistica greca siano normalmente corretti, il modo in cui essi venivano realizzati oggetto discussione. Si tenga in ogni caso sempre presente che la "somma" di due intervalli corrisponde al loro prodotto aritmetico dei rapporti corrispondenti, la "differenza" alla loro divisione, e la divisione di un intervallo in n parti alla radice n-esima del rapporto che lo designa. Naturalmente volendo fare delle tacche, in luogo delle lettere alfabetiche di cui ci siamo serviti in precedenza, metteremo dei numeri. E quali numeri? Naturalmente 1, 2, 3, 4. Nel modo che segue.

358

La prima tacca sar posta come pari a 0, come accade del resto su tutti i metri. Ora dobbiamo pensare a che cosa succede ponendo il ponticello mobile sulle tacche, naturalmente determinando la parte che decideremo di pizzicare. Questo un punto molto importante. Si pu pizzicare a destra o a sinistra del ponticello mobile. Per chiarezza anche nelle esposizioni successive parler di lato destro o di lato sinistro per indicare il lato a destra o rispettivamente il lato a sinistra del ponticello mobile. Si rammenti anche che la corda relativamente pi lunga ha il suono pi grave. Un dettaglio tutt'altro che privo di importanza sta nel fatto che attraverso le tacche possiamo indicare la posizione del ponticello con un numero soltanto. Naturalmente con ciascuno di questi numeri si indica materialmente un punto ben determinato. Ma nello stesso tempo, poich dipendono da una partizione, essi possono essere considerati anche come frazioni con un denominatore comune, che in questo caso sar il 4. Questo una sorta di denominatore sottinteso. Ora sotto 4 c' dunque 4, e 4/4 pari ad 1. Mentre poi avremo tre parti di quattro, due di quattro o una di quattro, come potremmo anche dire; ovvero pi familiarmente e scolasticamente 3/4, 2/4, 1/4.

1 4

2 4

3 4

4 4

Da questi numeri si vede subito che otteniamo qualche risultato in rapporto al nostro problema. Il ponticello in posizione 2 ci fornisce l'ottava pizzicando la corda su entrambi i lati. Se poi procediamo ora da sinistra a destra convenendo di pizzicare sempre sulla parte sinistra della corda, avremo il ponticello su 1 (ovvero 1/4) in una posizione che corrisponde alla met della met dell'intero, dunque la doppia ottava rispetto alla corda intera. Sappiamo gi che su 2 avremo l'ottava, e sul tre avremo la quarta. Altre possibilit non ci sono - mettere il ponticello sul quattro significa, come abbiamo gi osservato, semplicemente levare il ponticello, o come anche ci accadr di dire, pizzicare sulla corda "vuota". 359

Cominciando da destra e pizzicando a destra avremo esattamente gli stessi intervalli nella stessa sequenza. Le sequenze si invertono nell'ordine di successione, ma gli intervalli restano gli stessi, invertendo il lato da pizzicare. Naturalmente quarta e quinta si sovrappongono o meglio se consideriamo ad esempio unicamente il percorso da destra a sinistra, pizzicando nella parte a destra, non vi propriamente nessuna quinta relativamente alla nota di riferimento, cio allintero di 4/4. In altri termini la quinta che ha dato il via alla divisione in quattro non visibile autonomamente nel grafico ovvero sul monocordo diviso in quattro. Tuttavia il problema segnalato in precedenza visibile anche ora. Proviamoci infatti a presentare la suddivisione in quattro servendoci di un monocordo a quattro corde. E stabiliamo di pizzicare solo il lato sinistro. La parti tratteggiate sono le parti delle corde non risuonanti. Il ponticello blocca infatti le vibrazioni generate dal pizzico a sinistra. I ponticelli mobili si trovano ovviamente nei punti in cui sono indicati i numeri. Si pu anche supporre che le quattro tacche segnate in alto siano riportate sotto tutte le quattro corde e che siano a nostra disposizione tre ponticelli mobili. Mettiamo il primo sul 3, il secondo sul 2 il terzo sull1. In queste condizioni pizzichiamo le corde dal basso verso lalto e inversamente. Il punto essenziale che questa modificazione chiarisce che comunque una quinta c, e c nel rapporto tra la corda lunga 3 e la corda lunga 2. Ma a ben guardare con il monocordo suddiviso in quattro non andiamo affatto pi lontano di quanto andavamo con il monocordo privo di graduazioni. Al pi, usando quattro corde possiamo far risuonare con facilit la sequenza degli intervalli, ma non possediamo ancora quello strumento generale per la misurazione degli intervalli che lo scopo fin dallinizio perseguito. 360

1 2 3 4

6.3 La divisione in dodici del monocordo


6.3.1 La considerazione lineare dellintervallo
Facendo riferimento alla suddivisione in quattro del monocordo possiamo anticipare sommariamente i termini di un problema che avr la sua applicazione pi persuasiva ed evidente nella suddivisione in dodici. Nella figura successiva i numeri sono interpretabili in due modi.

Con il numero 1 posso intendere il segmento tra 0 e 1, con il numero due il segmento tra 0 e 2, e cos via. Trascurando lo 0, i semplici numeri 1, 2, 3, 4 individuano lunghezze ben determinate. Nello stesso tempo questi numeri possono indicare delle lunghezze determinate anche usati in coppie, e precisamente come estremi di un segmento. Detto in altro modo: potremmo impiegare coppie di questi numerinello stesso modo in cui si fa di solito per le lettere alfabetiche come segni di delimitazione di un segmento. Cos la coppia di numeri 2,4 potrebbe avere il senso di indicare la lunghezza del segmento ai cui estremi vi sono il 2 e il 4 . Tuttavia fra questi due ultimi casi - numeri e lettere - vi una differenza, perch mentre le lettere sono per cos dire neutre rispetto alle partizioni possibili e quindi ai rapporti di misura effettuati, i numeri non lo sono. 361

Per questo si pu intravvedere la possibilit di usare questi numeri, usati singolarmente o in coppia, anche per la rappresentazione di rapporti che verranno cos in certo senso usati "linearmente". Questo problema di una considerazione lineare dell'intervallo - cio dell'intervallo come qualcosa di analogo ad un segmento - che peraltro da concepire come un rapporto - tormenta tutta la speculazione teorico-musicale greca, ma la riflessione su di esso ha diversi contraccolpi proprio sulla formazione della teoria dei rapporti e delle proporzioni. Nelle considerazioni sul monocordo e sulla sua possibile divisione si affaccia la possibilit di lavorare su una sorta di terreno intermedio che sta tra il segmento e il rapporto. Si cerca un metodo per addizionare i rapporti o per sottrarli - cio per trattarli come segmenti veri e propri, e non come rapporti tra segmenti. Il segreto di questa possibilit sembra stare proprio nel fatto che posso usare numeri come indicatori della lunghezza di segmenti ed anche come indicatori di un segmento di cui ne contrassegnano gli estremi. Ad esempio nella divisione in quattro io posso considerare la coppia 3,2 come indicativa del segmento delimitato da questi due numeri e come rappresentativo di un intervallo di quinta. Considerati singolarmente come lunghezze e poi messi in relazione essi mostrano il rapporto di 3 a 2. Nella divisione a quattro questo esempio assume il carattere di caso particolare, e proprio per questo non troppo convincente. Questa situazione diventa realmente interessante non tanto nella divisione in quattro quanto nella divisione in dodici.

6.3.2 I rapporti consonantici espressi con i numeri 6,8,9,12


Sappiamo gi che rapporto traduce il termine greco logos. Ma vi invece stata per lungo tempo un'ambiguit significativa per ci che stiamo sostenendo sulla parola diastema. Esso significa nei trattati musicali, intervallo, nella terminologia matematica segmento. In untesto di Porfirio si legge: Ma anche Demetrio considera diastema con lo stesso significato dilogos, e molti altri degli antichi seguono questo uso. Cos come Dionisio di Alicarnasso e Archita Sulla musica e l'autore degli Elementi, Euclide nella Divisione del canone parlano di diastemata piuttosto che di logoi (Huffman, 1905, p. 163). 362

Il segmento ha degli estremi che vengono chiamati anche oroi. Oros significa confine. La stessa parola tuttavia, nella terminologia greca pi antica, ricorre anche per in connessione con logos. Si parla degli oroi di un logos, ovvero si usa una nozione che ha il suo senso primario nel segmento anche per il rapporto. Questa una circostanza singolare, perch si comprende subito che non ha troppo senso parlare del numeratore e del denominatore della frazione come dei suoi confini. Evidentemente dobbiamo rendere esplicito un discorso sottaciuto (per tutta questa tematica faccio riferimento soprattutto a Szab, 1978). Nei vari racconti sulla scoperta di Pitagora si giunge invariabilmente a formulare i rapporti non nei termini del quaternario puro e semplice, ma con numeri che messi in rapporto tra loro riconducevano al quaternario, ma solo attraverso una "riduzione ai minimi termini". Questi numeri erano propriamente:

6 8 9 12
Anche nella favola del fabbro armonioso, nella versione di Nicomaco a cui abbiamo fatto riferimento, alla fine questi sono i numeri che vengono proposti. Inoltre questi numeri che indicano rapporti possono essere messi in proporzione, che assume la forma 6:8 = 9 : 12. In realt tacitamente sconfessando la favola del fabbro, questa proporzione viene riferita come scoperta babilonese importata da Pitagora in Grecia. Talvolta essa riceve senzaltro il nome di proporzione babilonese documentato che questa forma del quaternario potrebbe essere anteriore all'Accademia platonica. Giamblico ci informa che lo stesso Pitagora port in Grecia questa fondamentale proporzione 12:9 :: 8:6 dalla Babilonia (Barbera, 1985, p. 200).

363

In effetti Giamblico, nella sua Introduzione all'Aritmetica di Nicomaco (118-119) scrive: Bisogna discutere ora della proporzione perfettissima che intercorre tra quattro termini, di quella cio che viene propriamente chiamata "proporzione musicale" per il fatto che contiene in s, in maniera assolutamente nitida, i rapporti musicali degli accordi armonici. Si dice che essa sia stata scoperta dai babilonesi e che sia giunta in Grecia per la prima volta attraverso Pitagora. Si scopre infatti che la hanno utilizzata molti Pitagorici, ad esempio Aristeo di Crotone e Timeo di Locri e Filolao e Archita, ambedue di Taranto, e molti altri, e dopo di questi anche Platone nel Timeo...(1995, p. 349). Questi numeri apparivano anche in tutte le immagini di provenienza medioevale che ho proposto. Essi sono la forma tipica del quaternario nei trattati. Occorre capire chiaramente la ragione di questa circostanza. Naturalmente si vede subito che in questa quaterna possibile ritrovare i precedenti rapporti. Intanto agli estremi troviamo il rapporto del doppio, ovvero il rapporto caratterizza l'ottava, tra questi estremi vi il tono pitagorico, 9/8. E poi naturalmente in 12/8 ritroviamo il rapporto 3/2 e nel caso di 12/9 il rapporto 4/3. Abbiamo inoltre gi spiegato che questi rapporti, espressi in quest'altro modo, possono ancora essere chiamati epimori in un'accezione estesa del termine. Questa quaterna rappresenta dunque niente altro che una forma modificata della forma del quaternario che chiameremo originaria. Come abbiamo notato si passa dalla seconda alla prima operando quella che oggi chiameremmo una riduzione ai minimi termini - la quale richiede, come si sa, che numero e denominatore siano divisi per il loro Massimo Comune Divisore. Il 12 a sua volta rappresenta il Minimo Comune Multiplo dei numeri del quaternario nella sua forma originaria. Con ci ribadiamo che queste nozioni, tanto utili ai calcoli, non nacquero astrattamente da una considerazione puramente aritmetica e di regole di calcolo corrispondente, ma da problemi strettamente attinenti alla misurazione ed alla 364

chiara individuazione dei rapporti in un contesto che ha il tema dell'intero e della parte al suo centro e la riflessione sui problemi posti dalla divisione del monocordo come stimolo. Un monocordo suddiviso in dodici avr l'aspetto seguente:

12

Nelle considerazioni successive assumeremo sempre che la corda venga pizzicata sul lato sinistro, e che invece il lato destro sia la parte che non solo non viene pizzicata, ma viene eventualmente tenuta ferma per impedirle di vibrare se a ci non bastasse la presenza del ponticello. Nello stesso tempo particolarmente importante, per evitare di incorrere in equivoci, una lettura che proceda da destra a sinistra, nel senso che prima si far risuonare l'intero, ovvero la "corda vuota" delimitata solo dai ponticelli fissi (capotasti), poi si porr il ponticello su 9 e si avr la quarta superiore, quindi su 8 ottenendo la quinta, infine su 6 ottenendo l'ottava.In questo modo si procede dalla corda pi lunga alla corda pi corta in una direzione che va dal grave all'acuto. Con questo tipo di partizione tutto diventa molto pi chiaro. In particolare i rapporti vengono espressi in certo senso in modo lineare. Parlando di diastema per indicare l'intervallo si intende proprio una lunghezza, e l'impiego non affatto metaforico. 365

I numeri vengono infatti usati in due modi: presi singolarmente indicano una lunghezza, e precisamente la lunghezza della corda. Presi in coppia come estremi (oroi) indicano ancora una lunghezza ma questa pu essere considerata come rappresentativa di un rapporto.

8 9

12

Si veda la graffa superiore. Essa indica gli oroi 12, 8 e dunque il segmento che rappresenta, in quanto segmento, l'intervallo di quinta. Questo intervallo come rapporto lo leggete con gli stessi numeri ma nella parte di sotto del monocordo, dove avete le due graffe che vi indicano le lunghezze prese in considerazione. Non si tratta pi di coppie di numeri ma dei numeri singolarmenti presi, i quali tuttavia rimandano ad un sistema di partizione in 12. Secondo quanto possiamo vedere nella figura pi in basso l'8 cade a due terzi rispetto l'intero rappresentato da 12 e l'intero viene suddiviso in effetti in tre parti di 4. Pizzicando sul lato sinistro con il ponticello in 8 avrete la quinta superiore; con il ponticello in 9 avrete una quarta superiore. 366

Naturalmente una simile partizione ci consente anche di fare direttamente confronti tra intervalli. Ad esempio, se vogliamo sapere se la quarta, come rapporto e intervallo sia maggiore o minore della quinta, allora notiamo che il segmento che ha come estremi 12, 9 [quarta] compreso nel segmento che ha come estremi 12, 8 [quinta] . La quarta dunque un intervallo minore della quinta. Da notare che in questo caso comunque importante la lettura da destra a sinistra ed io credo che da questo tipo di impostazione si possa trarre una buona giustificazione del fatto che nella trattatistica i rapporti sono indicati normalmente con il numeratore maggiore del denominatore mentre ovviamente negli esperimenti sulle corde sembrerebbe pi naturale usare la frazione inversa. Tenendo conto di questo tipo di lettura - che viene proposta da Szab - si viene a capo anche di altri piccoli enigmi che hanno spesso portato ad assunzioni erronee. Ad esempio, secondo Laloy, Pitagora non avrebbe saputo riconoscere il rapporto differenziale di 9/8 tra la quinta e la quarta, per il fatto che si pu dedurre questo rapporto direttamente dai precedenti solo alla condizione che si sappia che una differenza di intervalli si esprime attraverso un quoziente di rapporti; e noi vedremo che questa legge particolare, bench sia osservata da un grande matematico come Euclide, non stata mai formulata espressamente nell'antichit e non ancora presente in certi calcoli di Filolao. Non possiamo dunque supporla conosciuta da Pitagora.... (Laloy, 1904, pp. 49-50). Invece se si ben compresa la doppia lettura dei numeri che si pu effettuare sul monocordo (in questo doppia lettura sta il segreto di tutto), ci si rende conto che il problema posto da Laloy non sussiste. Infatti se usiamo il criterio della designazione dei segmenti attraverso gli estremi ci rendiamo subito conto che il segmento caratterizzato dalla coppia (9,8) interpretabile come risultato della sottrazione del segmento (12, 8) e (12, 9) - ci era accessibile a partire da un uso primitivo del monocordo. Quando un teorico antico parlava del tono di 9/8 come risultante dalla differenza tra quinta e quarta sapeva quel che diceva e non confondeva una divisione con una sottrazione. Ma vi di pi: se abbiamo capito bene come funziona tutto il problema non stenteremo a vedere in questa suddivisione del canone anche la complementarit di quarta e quinta nellottava e naturalmente senza effettuare moltiplicazioni o divisioni tra frazioni. Verifichiamo direttamente, al pi con una semplice operazione di conteggio per constatare leguaglianza o la diseguaglianza del numero delle parti, che il segmento determinato dalla coppia (12,6) pu essere considerato come composto dal segmento formato da (12,9)- quarta - e dal segmento 9,6 - quinta; oppure dal segmento (12,8) - quinta - e dal segmento 8,6- quarta. 367

Tutta questa vicenda che vi ho raccontata , a mio avviso, una storia fenomenologica che esemplifica in modo straordinariamente efficace un possibile processo di formazione di concetti astratti. Questa storia comincia con un fatto uditivo specifico che la consonanza. Per poter essere in qualche modo posto sotto controllo questo fatto uditivo viene tradotto in un fatto visibile e maneggiabile, facendo riferimento alle corde che producono il suono. Questa visibilizzazione ci fa restare ancora in larga parte sul terreno fenomenologico. Le corde possono essere osservate, pi o meno tese, manipolate in vari modi. Queste pratiche di manipolazione aprono un problema di misurazione e commisurazione. Per questa via il numero entra nell'ambito delle nostre considerazioni. Ma per un certo tratto resta legato alla lunghezza, come fatto visibile e questo legame si spinge sino al rapporto ed al confronto tra i rapporti. Al di l di questo breve tratto, il numero si separa nettamente dall'ambito intuitivo e prende la sua via. Questa partizione in dodici, o meglio il modo di interpretarla, dunque una invenzione realmente straordinaria che prepara sviluppi in realt altrettanto straordinari. Questi sviluppi riguarderanno la teoria musicale degli intervalli, ma riguarderanno soprattutto lo sviluppo della teoria matematica dei rapporti e delle proporzioni. Di fatto come il numero tende a liberarsi dal riferimento al segmento, cos il rapporto tende ad essere considerato come un rapporto tra numeri, un rapporto propriamente aritmetico e quindi tutta la tematica destinata a divaricarsi ed autonomizzarsi interamente dalla teoria musicale.Vi anche un aspetto di ordine generale che viene qui in evidenza sui rapporti tra musica e matematica. Si sempre impostato il problema di questi rapporti come se si trattasse di trovare nella matematica in certo senso le leggi pi profonde della musica, nei rapporti matematici le ragioni pi profonde dell'espressivit della musica. indubbio che questa posizione abbia origine proprio in questa impostazione pitagorica della questione. Ma mi sembra anche indubbio che la questione possa presentarsi anche in modo inverso, o meglio secondo una angolatura piuttosto di epistemologia della matematica che di metafisica della musica. innegabile che qui vediamo anche la musica come levatrice della matematica, la musica come luogo in cui comincia a germinare il problema matematico, ed inversamente l'elaborazione germinale di problemi matematici si sperimenta sul piano della teoria musicale essendovi cos non tanto un rapporto di fondazione in un'unica direzione, ma piuttosto di interscambio fecondo per entrambe le discipline.

368

7. Tematica delle medie

Archita di Taranto (IV sec. a. C.) 369

370

7.1 Media aritmetica, media armonica e media geometrica


7.1.1 L'affermarsi del problema delle medie 7.1.2 Le formule delle medie

7.2 Le medie secondo le definizioni di Archita


7.2.1 Media aritmetica 7.2.2 Media geometrica 7.2.3 Media armonica

7.3 La media geometrica


7.3.1 Ottava, rapporti epimori, media geometrica. 7.3.2 Ripresa del problema dei numeri irrazionali 7.3.3 Duplicazione del quadrato e media geometrica 7.3.4Media geometrica e il problema del tetragonismo 7.3.5 Conseguenze sulla teoria pitagorica della musica
371

372

7.1 Media aritmetica, media armonica e media geometrica


7.1.1 L'affermarsi del problema delle medie
Un esempio notevole dell'intreccio tra musica e matematica, e proprio nel senso di un complesso di stimoli che la riflessione sulla musica esercita sugli sviluppi della matematica, riguarda il formarsi del concetto di media, entro il contesto del discorso pitagorico sui rapporti e le proporzioni. Abbiamo gi notato in precedenza che con la forma modificata del quaternario possiamo costruire la proporzione

12 : 9 = 8 : 6
e naturalmente, come sua variante possibile.

12 : 8 = 9 : 6
Questo non naturalmente che un altro modo di riproporre lo schema fondamentale di articolazione consonantica dell'ottava. Ma in realt formulando la questione in termini di proporzione i pitagorici si avvidero di un'altra circostanza notevole, dalla quale alla fine fecero in larga parte dipendere la "perfezione" di questa suddivisione. Riprendiamo a questo proposito il cenno fatto in precedenza sugli interessi aritmetici dei pitagorici. Tenendo conto del simbolismo cos spesso attribuito ai numeri nella loro singolarit, questi interessi potrebbero sembrare rivolti a cogliere peculiarit in certo senso individuali dei numeri; ma in realt si trattava di un orientamento che era caratterizzato soprattutto dalla ricerca di relazioni. 373

Di fronte ad una proporzione come la precedente, che mostrava una struttura relazionale particolarmente forte a livello fenomenologico superficiale (musicale), sorse all'interno dei pitagorici la domanda se vi fosse una qualche relazione altrettanto forte tra gli estremi della proporzione e i suoi termini intermedi - una relazione appartenente dunque, dal punto di vista pitagorico, al livello profondo. La riflessione dunque passa ora ad una possibile connessione tra la coppia degli estremi 12 e 6, da un lato, e il numero 9, dall'altro e cos anche tra la stessa coppia e il numero 8. a questo punto che ci imbattiamo nel problema delle "medie". I pitagorici considerarono la ricerca di "medie" come uno dei compiti importanti della ricerca aritmetica, ed essi caratterizzarono vari tipi di medie dando ad essi dei nomi appositi. Ma in che cosa consiste propriamente il problema delle medie?

7.1.2 Le formule delle medie


Forse per rispondere a questa domanda, opportuno, prima di ricollegarsi direttamente alle fonti greche, ricercare tra le nostre infarinature scolastiche cercando di ricordarci alcune delle definizioni proposte nei manuali. Cosicch dimentichiamoci del monocordo e dei segmenti e le misurazioni che esso suggeriva e recitiamo le definizioni come ci sono state insegnate nell'insegnamento elementare e medio in termini strettamente aritmetici:

Media aritmetica
Dati n numeri, la loro media aritmetica si ottiene sommandoli e dividendo la loro somma per n 374

media aritmetica di a e b

ab 2
Ora i pitagorici si resero conto subito che il numero 9 corrispondeva alla media aritmetica degli estremi della proporzione, 12 e 6.

Media armonica (detta anche subcontraria)


Dati n numeri, la loro media armonica si ottiene dividendo nper la somma dei loro inversi

Media armonica tra i numeri a e b

1 a

1 b

Dopo la prima molto semplice scoperta del 9 come media aritmetica dei numeri 12 e 6, il punto che sollecit la fantasia matematica e speculativa dei pitagorici fu quella di trovare una qualche relazione definibile tra i due estremi della proporzione 12, 6 e il numero l'8. E fecero una scoperta singolare. Anche in questo caso era possibile formulare una stretta regola di collegamento tra questo numero e gliestremi della proporzione ed inoltre questa regola aveva una precisa relazione strutturale con la media aritmetica. Si trattava appunto del fatto che il numero 8corrispondeva alla media armonica di 12 e 6. La relazione tra media armonica e media aritmetica forse risulta pi evidente se formuliamo il problema in modo leggermente diverso. 375

Atteniamoci al caso esemplificativo elementare di n=2. Facendo la media aritmetica degli inversi deinumeri a e b si avr

Media geometrica (detta anche proporzionale)


Dati n numeri, si ottiene la loro media geometrica realizzando la radice n-esima del loro prodotto Da questa formulazione non pu certo risultare per quali motivi questa media possa essere interessante sotto il profilo matematico-musicale dei pitagorici; tuttavia dobbiamo confessare che tutte e tre le medie, bench facili da definire ed altrettanto facili da calcolare, formulate cos, sembrano, almeno a me, in qualche modo opache, anche se non saprei dirne il preciso motivo. Confesso addirittura che resterei per un istante imbarazzato persino nel dare una risposta chiara a chi ci chiedesse perch le medie si chiamino medie, e addiritura i motivi o la storia dei loro nomi. Forse anche qualche mio lettore proverebbe qualche imbarazzo. Ed allora venite con me! Andiamo tutti insieme a prendere lumi da un grande maestro: Archita di Taranto.

1 a

2 2

1 b

L'inverso di questo rapporto appunto la media armonica:

1 a

1 b

Si potr cos definire la media armonica tra due numeri anche come linverso della media aritmetica dei loro inversi. Nota che la media aritmetica divide lottava in una quarta+quinta, mentre la media armonica in una quinta+quarta. Nella media aritmetica la suddivisione cade su 9 e dunque sulla coppia 12:9 e 9:6, mentre nella media armonica la suddivisione cade su 8, formando la coppia 12:8 e 8:6.

376

7.2 Le medie secondo le definizioni di Archita


7.2.1 Media aritmetica

Ci siamo ricollegati al sapere cavato sui banchi di scuola, abbiamo fatto qualche calcolo di prova ed alla fine abbiamo pur mostrato qualcosa. Abbiamo persino cominciato a capire in che modo matematica e musica qui si intrecciano. Ma nello stesso tempo siamo sempre pi tentati dalle domande "filosofiche" con le quali il fanciullo di cui narra una volta Wittgenstein assilla il maestro di scuola, che alla fine si spazientisce e lo ammonisce a tacere affinch egli possa fare la sua lezione. Questa reazione del maestro certamente fino ad un certo punto giustificata perch egli deve svolgere il programma ed arrivare alle dimensioni pi evolute dei problemi e non pu indugiare pi di tanto sulle infime origini. Ma qualche ragione le ha pur anche quel fanciullo perch sente oscuramente che qui e l vi sono delle lacune, dei buchi che, se non sono riempiti subito, non lo saranno mai pi. Nemmeno a tarda et. Per attenerci ai casi nostri: abbiamo fatto un balzo verso la problematica delle medie, ma in fin dei conti una "media" che cosa ? A che tipo di problema risponde la ricerca di essa almeno per quanto riguarda i casi elementarissimi di cui ci stiamo occupando? Ora io credo che ripensare al modo in cui questa problematica si pone nella matematica greca arcaica - con l'aiuto di filologi che hanno studiato a fondo questi problemi e senza trattenerci sulle straordinarie e ammirevoli sottigliezze a cui filologi e storici della scienza riescono a pervenire - ci giovi proprio perch contribuisce a chiudere qualche lacuna che motivo di curiosit per il fanciullo che forse sta nel fondo di ogni filosofo.

377

Conviene dunque rifare almeno in parte il percorso precedente, ma facendo tabula rasa delle nostre conoscenze scolastiche elementari e andando piuttosto alle definizioni ed alle discussioni pi antiche. Intanto cominciamo a fissare questo punto. L'espressione "media" deriva da questa circostanza. Anzitutto la riflessione comincia come ovvio dal caso pi semplice, quindi relativamente a due numeri. Il problema che ci si pone allora quello di trovare un terzo numero che sta fra l'uno e l'altro, un numero "intermedio" dunque, con caratteristiche tali da stabilire un preciso collegamento tra loro. In forza di questa relazione possibile fornire una regola che consenta, dati gli estremi, di trovare il medio. L'attirare l'attenzione sul collegamento e la connessione importante perch conferma che la ricerca pitagorica, a cui senza dubbio risale la posizione della tematica delle medie, era fortemente orientata verso le relazioni e le regole che le governano. anche comprensibile che, in questo stadio, la ricerca non si muovesse totalmente all'interno dell'astrazione numerica, ma che essa prendesse le mosse da stimoli molto concreti che, come ormai stiamo sempre pi verificando, hanno a che vedere da un lato con la musica, dall'altro con la figuralit geometrica che il monocordo stesso in fin dei conti proponeva. Perch porsi il problema di un "medio" tra due numeri in un'accezione forte, cio come un numero che collega l'uno all'altro secondo una regola matematica? Le ragioni di questo interesse si comprendono subito se si assume che i numeri considerati avevano gi una pregnanza di significato sul terreno musicale. ritenuto ormai acquisito che Pitagora, se non fece un impiego sistematico delle proporzioni, sicuramente si occup di problemi che ne implicavano il concetto e che la teoria delle medie fu sviluppata molto presto nella sua scuola con riferimento all'aritmetica ed alla musica (Heath, 1921, p. 85). Una volta che gli intervalli musicali furono espressi come rapporti aritmetici, si potevano combinare usando operazioni aritmetiche. Qui, in ogni caso, sembra che fu la musica che procur il metodo dell'aritmetica - almeno in questi inizi (Crocker, 1963, p. 194).

Ed eccoci ora di fronte ad Archita: bench sia possibile, ed anzi sostanzialmente certo, che le tre medie fossero note anche ad autori precedenti, nel fr. 2 di Archita si trova la loro prima formulazione scritta.

378

L'origine delle tre medie descritte nel secondo frammento non identificata, e noi non siamo in grado di sapere chi le formul per primo, ma plausibile che il pitagorico Ippaso fosse a conoscenza di esse nel prima met del quinto secolo e che Archita le abbia tratte da lui(Huffman, 2005, p. 52). Poich il secondo fammento di Archita il primo testo che d chiare definizioni delle medie aritmetica, geometrica e armonica, talvolta Archita viene considerato come il loro scopritore.... e noi abbiamo visto, in ogni caso, che la dossografia li assegna in et anteriore ad Archita, spesso allo stesso Pitagora (ivi, p. 175). Il problema venne in seguito variamente sviluppato e si giunse a formulare una decina di tipi di medie. Va sottolineato che Tolomeo loda Archita come impegnato nello studio della musica pi di tutti i Pitagorici (A16: 67 cit. in Huffman, 1905, 52). Consideriamo la definizione che egli propone per la media "aritmetica". La media aritmetica ogni qualvota tre termini (oroi) sono in eccesso l'uno all'altro nel modo che segue: di tanto il primo eccede il secondo, di quanto il secondo eccede il terzo. Se dunque A, B,C sono rispettivamente il primo secondo e terzo termine, B medio aritmetico se se A-B=B-C. Naturalmente necessario intendersi anzitutto sull'ordine e precisamente necessario considerare come primo il numero maggiore. Torniamo ora al nostro schema di monocordo:

6
379

12

subito chiaro che non vi nessun bisogno di fare calcoli, a parte loperazione di conteggio delle unit di base, per vedere che 9 la media aritmetica tra 6 e 12 essendo il segmento (12,9) eguale al segmento (9,6) . La definizione che ci propone Archita dunque qualcosa di ben diverso da ci che in precedenza avevamo proposto. Potremmo azzardarci a dire che non c prima la tematica delle medie belle pronta, ma che nel considerare una figura come questa ci si rende conto di una peculiarit del termine 9 che sta fra il 6 e il 12 in modo da essere equidistante dalluno e dallaltro ovvero, secondo la formulazione di Archita, il primo (12) eccede il secondo (9) tanto quanto il secondo eccede il terzo (6). Poich sappiamo inoltre che il rapporto 12/9 rappresenta una quarta, possiamo dire che la quarta media aritmetica dellottava. Abbiamo gi notato se 12/9 (=4/3) rappresenta la quarta, 9/6 (=3/2) rappresenta una quinta cosicch la media aritmetica suddivide lottava in una quarta ed in una quinta in successione in ordine discendente. Naturalmente poich non dobbiamo perdere la presa sul rapporto, tutto ci non significa che la somma aritmetica dei rapporti corrispondenti abbia come risultato lottava. Questo risultato si ottiene solo attraverso la moltiplicazione dei rapporti, ovvero 12/9*9/6 = 12/6 = 2. Gli intervalli intesi come rapporti vengono composti

o sommati tra loro attraverso la loro moltiplicazione. E naturalmente il doppio di un intervallo sar il rapporto che lo contraddistingue moltiplicato per se stesso dunque il suo quadrato. Ci mostra anche come sia importante fare una duplice lettura dei numeri in questione, ed in particolare occorre non perdere di vista che abbiamo a che fare con rapporti. Lequidistanza di cui si parla non evidentemente eguaglianza dei rapporti!

380

7.2.2 Media geometrica


La seconda definizione proposta da Archita riguarda la media geometrica. Anche in questo caso si tratta di trovare, dati due numeri, un numero che sta fra essi, ma secondo una qualche particolare regola, e quindi stabilendo una relazione tra gli estremi. La definizione di Archita, realmente semplice, la seguente: La media geometrica, ogni qual volta i termini sono tali che il primo sta al secondo come il secondo sta al terzo. Mentre nel caso della media aritmetica si trattava di uneccedenza di grandezza, qui invece si parla proprio di rapporti e di proporzioni. Per questo talvolta si parla della media geometrica anche come media proporzionale. Del resto, come presto vedremo, la dizione di media geometrica richiede a sua volta una spiegazione. Archita propone la media geometrica in seconda posizione probabilmente per il fatto che essa presenta, come la media aritmetica, un caso di eguaglianza, questa volta relativa ai rapporti piuttosto che alle lunghezze. Lelemento cercato B, nella media geometrica tra A e C , tale per cui deve valere la proporzione a tre termini: A :B = B :C Simili proporzioni a tre termini si dicono solitamente proporzioni continue. Poich in generale in una proporzione il prodotto degli estremi eguale al prodotto dei termini medi (Euclide, VII, prop. 19), allora, essendo A*C=B2, la media geometrica B sar: B=[A*C]. In questa formulazione ritroviamo, per il caso particolare di due termini, la formulazione che abbiamo dato nel paragrafo precedente, nella quale si diceva che si ottiene la media geometrica tra n elementi facendo la radice nesima del loro prodotto. Come esempio: tra gli estremi 12 e 3, il termine medio risulta essere 6 essendo 12:6=6:3. Per cominciare ad intravvedere in che modo il tema della media geometrica interessa la teoria musicale, potremmo notare, sulla base di questo esempio, che abbiamo a che fare con un intervallo composto da due ottave caratteriz381

zate dai numeri 3, 6, 12, che sono evidentemente luno il doppio dellaltro. Il numero 6, che rappresenta la media geometrica tra 3 e 12, rappresenta allora esattamente la met della doppia ottava. Prendiamo ora in considerazione un intervallo di ottava - gli estremi del rapporto sono 1 e 2, e vogliamo conoscere la met di questo intervallo che consister dunque nella media geometrica tra essi. Essendo 1*2 = 2, e 2 = B2 allora la media geometrica B sar B=2 Ci troviamo cos di fronte ad uno dei primi e pi famosi numeri irrazionali che siano stati scoperti. I pitagorici, e naturalmente Archita con loro, si rese conto di questa circostanza che aveva certamente importanti conseguenze della teoria pitagorica della musica ed una forza dirompente sul piano della matematica. Bench non possa essere nei nostri intenti approfondire largomento, alla questione si dovr dedicare un cenno a parte.

7.2.3 Media armonica


Veniamo ora alla media "subcontraria" o "armonica" che Archita propone per terza: La media subcontraria, che noi chiamiamo armonica, ogni volta che i termini sono tali che per quella parte di se stesso il primo termine eccede il secondo, per questa stessa parte del terzo il medio eccede il terzo. Formulazione non chiarissima, ma nemmeno troppo difficile da comprendere. Anzitutto si pone il problema, come nel caso della media aritmetica, di una eccedenza tra i termini e di un ordine che pone come primo il numero pi elevato. Tuttavia l'eccedenza che qui viene in questione e che deve essere eguale tra il primo e il secondo termine e tra il secondo e il terzo riguarda la parte che essa rappresenta rispetto agli interi che formano gli estremi. Ritorniamo dunque ancora al nostro monocordo. Abbiamo gi visto che gli estremi 12 e 6 hanno nel 9 il loro medio aritmetico. Ci rimane da considerare il numero 8. Sempre con una semplice operazione di conteggio facile rendersi conto che 12 eccede 8 di 4, ed 8 eccede 6 di 2. Ma 4 1/3 dell'intero rappresentato da 12 e 2 1/3 rispetto 382

all'intero rappresentato da 6. In base alla definizione di Archita, sappiamo subito che 8 la media armonica tra 12 e 6. E poich sappiamo che 12/8=3/2, possiamo dire che la quinta media armonica dell'ottava. Di conseguenza una ottava viene divisa dalla media armonica da una quinta (12/8=3/2) e da una quarta (8/6 =4/3) rispettivamente in successione in ordine ascendente. Nella definizione di Archita, la media subcontraria viene strettamente legata nella formulazione definitoria alla media aritmetica essendo entrambe considerate dal punto di vista dell'eccedenza, ed avrebbe potuto perci occupare la seconda posizione; inoltre, a quanto sembra dal testo stesso, il nome media subcontraria quello pi antico, e non si trova usato in Platone e Aristotele, mentre quello di media armonica in tutta probabilit un' innovazione dello stesso Archita (Huffmann 1905, p. 173). Giamblico ritiene che questa innovazione sia dovuta al fatto che tale media abbraccerebbe tutti i rapporti musicali consonantici. Nicomaco (II, 26.2) (Heath, p. 86) invece rammenta che Filolao parlava di "armonia geometrica" in rapporto al cubo per il fatto che esso possiede 12 spigoli, 8 angoli e 6 facce, ed 8 appunto la media armonica secondo la teoria musicale. Ma si tratta di un riferimento poco persuasivo che spiega al massimo perch Filolao riferisse al cubo un'armonia geometrica, presupponendo del resto il nuovo nome a questo tipo di media. In realt questo termine rimanda certo al fatto che la riflessione su questa media, come anche sulla media aritmetica e geometrica, era fortemente stimolata dal problema di rendere conto delle relazioni tra i punti essenziali consonantici dell'articolazione dell'ottava. Archita sembra non tanto aver pensato che la media armonica di per se stessa fosse adeguata a descrivere l'armonia musicale, ma piuttosto che la terza media presa insieme alle precedenti due medie abbracciava [secondo la formulazione di Giamblico] 'i rapporti di tutto ci che vi di melodico e armonico' (ivi, p. 174) Inoltre il fatto che nel fr. 2 venga usato il termine di diastema secondo Huffman un segno che mostra che in Archita l'applicazione musicale delle medie era in realt il suo primo pensiero (ivi, p. 169). Peraltro Huffman ritiene che diastema abbia solo il senso di intervallo musicale e non quello di logos, mentre sembra del tutto possibile che questa significativa ambiguit valga ancora nel testo di Archita. Un altro elemento volto nella stessa direzione il fatto che Archita fa seguire a ciascuna media, sia pure in una formulazione piuttosto astratta, l'asserzione della maggiore grandezza della quinta sulla quarta (e ovviamente l'inverso) oltre che naturalmente l'eguaglianza degli intervalli determinati attraverso il medio geometrico (quando questo medio "esiste"). A proposito della media armonica forse anche il caso di fare un passo indietro verso la formulazione puramente aritmetica precedentemente proposta per mostrare come essa guadagni in trasparenza se la consideriamo alla luce delle nostre considerazioni monocordiste. Riprendiamo il nostro monocordo diviso in dodici parti e nello 383

stesso tempo rammentiamoci della formula per il calcolo della media armonica a due termini che saranno precisamente 12 e 6: Media armonica tra i numeri 12 e 6

1 12

1 6

Notiamo allora subito che quelli che erano semplicemente numeri ovvero frazioni, ed eventualmente frazioni inverse, assumono il significato di lunghezze ben definite.

12

Ad esempio 1/12 l'unit di misura per la lunghezza della nostra corda. E 1/6 chiede una divisione per sei della corda portando l'unita di misura della lunghezza a 2/12. Queste cose le diciamo naturalmente tenendo gli occhi ad un tempo sulla formula di calcolo e sulla corda. Chiarito questo punto la somma tra 1/12 e 2/12 sar 3/12 ovvero 1+2=3 che una lunghezza ben determinata che si pu ottenere sempre per semplice conteggio sul grafico. Abbiamo cos ottenuto un interpretazione per il denominatore della frazione. Ci che va ora interpretato in termini di lunghezza il numero 2 che nella formula della media armonica sta al numeratore. 384

Poich l'1 rappresenta l'intero, come abbiamo sottolineato pi volte, in questo genere di considerazioni il 2 sar da considerarsi come il doppio dell'intero, e dunque 24. Il risultato finale sar dunque 24 : 3 = 8. Qui non ci limitiamo a calcolare, ma abbiamo fatto dei ragionamenti insieme ai calcoli. Non perdiamo di vista il riferimento musicale che ci fornisce uno stimolo, una sorta di guida o forse soltanto un esempio; e nel calcolo numerico, da un lato teniamo conto della tematica fondamentale dell'intero e della parte e, dall'altro, della rappresentazione in termini di lunghezze, e quindi di una rappresentazione geometrica. Un intreccio realmente straordinario che ci accompagner lungo tutti i nostri sviluppi. A questo punto torniamo sulla nostra proporzione "babilonese" - in rapporto ad essa ora sappiamo alcune cose pi di prima: 12 : 9 = 8 : 6 Essa sembra semplicemente riflettere il nostro solito schema secondo cui l'ottava viene distinta in due intervalli di quarta (tetracordi). Ma ora abbiamo mostrato che vi sono nodi che legano strettamente il 9 e l'8 agli estremi 12 e 6. Il 9 la loro media aritmetica e l'8 la media armonica. inutile dire che questo rappresenta un legame fortissimo tra i numeri del quaternario. La situazione si presenta ovviamente non diversa nel caso della forma originaria o della forma modificata. Naturalmente si potr rivoltare in vari modi questa proporzione ma il suo significato resta quello che . Il punto importante che la rete di relazioni messe in evidenza tra i quattro numeri del quaternario ora diventata realmente imponente. Proprio allesistenza di questa rete di relazioni implicate dalla proporzione babilonese si finisce con lattribuire la bont degli intervalli in questione, la loro perfezione. E come ulteriore conseguenza dobbiamo richiamare lattenzione su una sorta di inversione del cammino effettivo che abbiamo sviluppato. Comunque siano andate in concreto le cose, certo che prima vi sono i fenomeni uditivi concreti e poi le corrispondenti analisi misurative e numeriche. 385

Ma questo percorso tende ad essere pensato come invertito: come se ad esempio non sapessimo nulla delle consonanze di quinta e di quarta e le derivassimo applicando la media aritmetica e geometrica ai numeri che caratterizzano l'ottava. In questo modo si fa strada una fortissima relazione tra l'ottava e la modalit della sua articolazione, ormai non pi a livello percettivo, ma a livello logico-matematico. Si comincia a pensare che un intervallo in generale "buono", "giusto", "musicale" - o quale altro termine vorrai usare - non quando il musicista lo ritiene adatto alle sue esigenze espressive, ma quando risponde a certi requisiti di ordine matematico. caratteristica a questo proposito la raccomandazione di Socrate nel VII libro della Repubblica platonica (531c): gli studenti di armonica dovrebbero indagare quali numeri siano consonanti e quali no, interrogandosi in entrambi i casi sulle ragioni. Il carattere "sinfonico" diventa una propriet dei numeri, e tutta aritmetica deve essere la ragione di questa sinfonicit. Questa inversione del cammino ha come conseguenza unimpostazione erronea di problemi sia di ordine generale, attinenti allespressivit della musica ed ai suoi mezzi espressivi, sia di ordine particolare, imponendo questa o quella valutazione su fatti specificamente musicali facendo riferimento a circostanze la cui specificit deve essere ricercata del tutto altrove. Inoltre, proprio in rapporto all'importante problema dei rapporti tra musica e matematica, ed in generale tra musica e strutture formali, vengono confusi piani differenti in cui esso pu essere posto.

386

7.3 La media geometrica


7.3.1 Ottava, rapporti epimori, media geometrica.
Il nostro lettore dopo aver letto le poche cose che abbiamo scritto sulla media geometrica, si sar forse posto alcune domande che giungono spontanee. Intanto, come abbiamo gi dimostrato, noi diamo una certa importanza ai nomi ed alla loro possibile storia. Allora ci chiederemo subito: perch la media "geometrica" si chiama cos? E poi: questa media ha una reale importanza nella teoria della musica greca? In realt, la prima domanda pi difficile della seconda, cosich preferiamo cominciare a rispondere a questultima: la teoria delle proporzioni nasce nel quadro della teoria della musica e la teoria delle medie non che unelaborazione della teoria delle proporzioni. Ora vogliamo trattenerci un poco sulla media geometrica mostrandone le implicazioni anche su altri terreni che non su quello puramente musicale: in rapporto alla tematica che stiamo discutendo sembra impossibile scindere campi di indagine che concrescono l'uno nell'altro. Sarebbe un errore tentare di operare nettamente questa scissione, pur essendo coscienti che, nonostante l'unit dei primi inizi, poi le vie saranno molte e si distanzieranno sempre pi l'una dell'altra (salvo a ricongiungersi in qualche punto pi o meno imprevisto). La media geometrica in realt un nodo importante di incontro tra considerazioni musicali, aritmetiche e geometriche. Dato che non ci poniamo il problema di una ricostruzione storica, possiamo pur ipotizzare - in certo senso per ragioni di pura coerenza con lo sviluppo del nostro argomento - che quella 2 che mostrava un nuovo scenario nel campo della riflessione sul numero si fosse presentata come problema proprio nel corso di una ricerca che aveva di mira le articolazioni interne dell'ottava. L'identificazione di valori numerici soggiacenti alle partizioni consonantiche dell'ottava, portava con s indubbiamente il problema di rendere conto delle sue possibili partizioni e quindi di articolazioni pi ricche. 387

Sullo sfondo intravvediamo la questione delle scale - delle harmoniai come anche dicevano i greci, in una seconda accezione, pi specifica, del termine. Ma prima di tutto logico che ci si interroghi sulle partizioni pi semplici, ad esempio sulla partizione in due dell'ottava e degli altri intervalli e del resto anche dell'intervallo di tono. Accade allora che ci imbattiamo nel problema della distinzione tra numeri razionali e irrazionali. Poich gli estremi del rapporto di ottava sono 1 e 2, per via direttamente aritmetica perveniamo ad un numero che in certo senso non esiste, o meglio non esiste come intero o come rapporto tra interi. Fu ancora Archita a rendersi conto che questa difficolt si proponeva anche per i rapporti epimori in genere (il rapporto 1:2 va considerato come un rapporto multiplo ma pu essere visto come un caso particolare di rapporto epimorio). In rapporto a questo problema ci pervenuta una preziosa ed attendibile testimonianza da Boezio, De Institutione Musica, III. 11 (A19, Huffman, 2005, p. 451): Superparticularis proportio scindi in aequa medio proportionaliter interposito numero non potest - Un rapporto superaparticolare (=epimorio) non pu essere suddiviso in parti eguali attraverso un medio proporzionale posto tra essi. La dimostrazione piuttosto complessa e viene ripresa quasi letteralmente nella Sectio Canonis attribuita ad Euclide, al punto che si anche ipotizzato che sia questopera sia il libro VIII degli Elementi, che si occupano dello stesso problema, siano opera di Archita (cfr. Huffman, 2005, pp. 468-470, nel quale peraltro si contesta questa ipotesi). Archita dunque elabor una prova matematica di un teorema che si spinge direttamente, e in modo particolarmente rilevante, sino a questioni musicali: si tratta della proposizione che non vi nessuna media proporzionale, n una n pi di una tra termini in rapporto epimorio. 388

Qui media proporzionale' sta per media geometrica. Tra i due termini in rapporto epimorio A e B non vi nessun elemento intermedio, X, tale che A:X=X:B; n vi una serie di termini X, Y, Z tali che A:X=X:Y=...=Z:B. La dimostrazione si applica ovviamente ai rapporti epimori in genere ovunque si presentino, e non soltanto dunque in contesti musicali. Ma ovviamente rilevante, e ha le sue conseguenze pi incisive nel campo dell'armonica ed il fatto che Archita pensasse che esso fosse abbastanza significativo da meritare una prova formale un altro segno della posizione privilegiata che egli attribuiva ai rapporti epimori in questo campo. Il suo esito, come lo intesero i teorici greci, che nessun intervallo il cui rapporto epimorio pu essere esattamente dimezzato, o diviso in un numero qualsiasi di sotto-intervalli eguali; ed esso fu di particolare importanza sia nello sviluppo dell'approccio matematico alla divisione degli intervalli sia nelle posteriori controversie tra gli aristossenici e i pitagorici (Barker, 2007, p.304). Resta in ogni caso il fatto che le medie geometriche in campo musicale dicono che qualcosa non c' - un risultato che l'esatto opposto della scoperta della media aritmetica e armonica che attestano luoghi ben determinati nell'ottava. Questo cosa da poco? Tutt'altro. Questo risultato qualifica, nel bene come nel male, l'intera dottrina pitagorica della musica.

389

7.3.2 Ripresa del problema dei numeri irrazionali


Gi dall'esempio proposto relativamente all'ambito musicale si scorgeva un nuovo scenario nel momento in cui si mostrava che non per ogni intervallo c' una media geometrica, o meglio non per ogni intervallo c' una media geometrica esprimibile come rapporto tra interi. Nel caso del rapporto di ottava ci troviamo subito di fronte alla radice quadrata di 2, forse il primo e certamente il pi famoso numero irrazionale comparso all'orizzonte della matematica greca.Nell'intreccio cos caratteristico della problematica che stiamo trattando, di problematiche di ordine musicale, aritmetico e geometrico, la via teoretico-musicale verso la tematica dell'irrazionale ha una parte importante. Ma la ha soprattutto l'idea di media geometrica e i tentativi della sua applicazione. Prima di andare oltre conviene operare alcune precisazioni terminologiche. All'irrazionale in greco ci si riferisce in vari modi. Di alogos si gi detto. Ma vi sono termini altrettanto significativi. In Cleonide (II-III sec. d. C.) (Zanoncelli, 1990), il razionale detto retos ovvero "dicibile"; e il termine sicontrappone ad alogos che per contrapposizione potrebbe indicare l'"indicibilit". La spiegazione di Cleonide comunque molto chiara perch i numeri "dicibili" sono gli intervalli di cui possibile definire la misura comune di grandezza, mentre i non dicibili sono gli intervalli che si scostano da queste grandezze per una misura non commensurabile. Per l'irrazionale del resto si parla talora senz'altro di arreton , ma questo termine non va assolutamente enfatizzato: l'indicibilit indica soltanto che non c' un segno per indicare questo numero. Inoltre occorre richiamare l'attenzione sul fatto che l'indicibilit volta al versante propriamente aritmetico, mentre il termine incommensurabile riguarda il versante geometrico. Esso si richiama all'assenza di una misura comune tra due grandezze, ad es. due segmenti. Questi tre termini hanno dunque significati leggermente differenti che sono tuttavia in relazione tra loro. Soprattutto occorre tenere presente l'importanza del problema della misura e la sua connessione con l'idea del rapporto insieme alla possibilit della sua seriazione (cfr. Michel, 1950, 413-4). Se prendiamo una serie di numeri fra i quali vi identit di rapporto, ad esempio il successivo il doppio del precedente : 2 4 8 16 32 ... possiamo dire che il numero precedente misura il numero successivo. Cos in generale di due numeri primi fra loro, messi in rapporto, come 9/8 possiamo dire che 1/8 la misura comune, e dunque determinare 9 secondo quella misura. Oppure 8 pu essere commisurato a 10 e formare un rapporto, attraverso il 2 che stabilisce le partizioni 390

esatte degli interi corrispondenti. Se vi sono interi, vi la possibilit del loro rapporto, e dunque anche la possibilit della commisurazione. La media "proporzionale" o "geometrica" rappresentava una sorta di cartina di tornasole per la verifica della razionalit o dell'irrazionalit. Ora dalla scoperta dei numeri irrazionali e di conseguenza, nel campo geometrico, di segmenti tra loro incommensurabili deriv, non tanto una crisi di una posizione filosofica o addirittura negli studi matematici in genere, quanto un nuovo impulso ad una ricerca in varie direzioni: si apriva infatti il problema di studiare le condizioni della commensurabilit (ci trova una sua sintesi in Euclide, VIII, in particolare nelle prop. 11, 12, 18, 20), il trattamento degli incommensurabili (in particolare le tematiche relative ai possibili metodi di approssimazione), la tematica di reperire la media geometrica rispetto a segmenti qualsivoglia, e naturalmente anche quello di fornire dimostrazioni logiche adeguate di irrazionalit ovvero di incommensurabilit dal momento che, in presenza di procedure infinitarie, ovviamente non avrebbe senso lasciare questa decisione all'empiria. Del resto siamo qui nel campo delle idealizzazioni sia aritmetiche che geometriche. Vi tuttavia una ulteriore circostanza su cui va attirata particolarmente l'attenzione. Proprio i casi dell'ottava e dei rapporti epimori mostrava che vi erano operazioni il cui risultato non poteva essere espresso aritmeticamente in termini di rapporti tra interi. Daltra parte erano possibili costruzioni geometriche in cui, ad esempio, segmenti dimostrabilmente incommensurabili, avevano una loro esistenza effettiva e visibile, nel senso che erano entit geometriche come tutte le altre: l'asse della ricerca si sposta dunque verso il versante geometrico. 391

7.3.3 Duplicazione del quadrato e media geometrica


Questo spostamento pu essere spiegato in termini piuttosto semplici con il famoso problema della duplicazione del quadrato proposta da Socrate allo schiavo nel Menone di Platone. Socrate, propone allo schiavo il quesito di costruire un quadrato di area doppia a quello di lato 2 che lui stesso ha tracciato sul terreno.

Lo schiavo propone di ridurre di una unit il lato del quadrato originario, portandolo al valore di 3. Ma anche in questo caso il risultato non raggiunto.

fig. 3

fig. 1

Lo schiavo ritiene che la solutazione consista nel raddoppio della lunghezza del lato, ma cos facendo si ottiene un quadrato troppo grande essendo di area 16.

Infatti il quadrato ottenuto consta di nove quadrati, mentre deve constare di otto. Socrate interviene infine proponendo la soluzione. Si tratta del quadrato costruito sulla diagonale del quadrato dato. Cos facendo si ottiene infatti un quadrato costituito da quattro triangoli eguali, mentre il quadrato originario fatto di due triangoli eguali ai precedenti.

fig. 4 fig. 2

A
392

Con ci si mostra anche qualche altra cosa: In realt, quando i Greci scopersero che la diagonale di un quadrato era il segmento necessario per costruire un secondo quadrato avente due volte larea di un quadrato dato, essi dovettero aver compreso nello stesso tempo che essa rappresentava la media proporzionale tra un lato del quadrato ed una linea che era due volte pi lunga di questo lato (Szab, 1978, p. 178) In effetti tenedo presente il modo in cui stata costruita la fig. 4 e ponendo AB=a, CB=b e DB = c vale la proporzione secondo cui il lato del quadrato da raddoppiare (a) sta alla sua diagonale (b) come questa diagonale, che lato del quadrato raddoppiato, sta alla diagonale di questultimo (c), ovvero a :b = b : c Dunque b media geometrica tra a=2 e c=4. Cosicch essendo b= 8 si presenta ancora la 2 nella forma 8=22 Si noti che qui il teorema di Pitagora non implicato direttamente. Nemmeno potremmo dire che siano implicati particolari calcoli aritmetici, dal momento che tutto

si riduce alla costruzione della figura ed al conteggio dei quadrati o dei triangoli cos introdotti. Non vi dimostrazione, ma esibizione di una figura. E certamente anche una riflessione sulla figura ed unosservazione attenta delle sue propriet, con locchio in parte attento alla figura visibile, in parte ai ragionamenti che essa suggerisce. In questa esibizione naturalmente il doppio di un segmento e il segmento stesso sono due indiscutibili "realt" geometriche. Ma lo sono anche il doppio del quadrato dato, il suo lato e la sua diagonale. Il concetto di media che stiamo discutendo comincia appunto ad assumere una consistenza sul piano della figura piuttosto che su quello del numero. Poich ci siamo trattenuti a lungo sui numeri figurati vorrei aggiungere, per mostrare la densit dei problemi che vanno affiorando, che se noi prendiamo la successione dei numeri quadrati e quella dei numeri eteromechi, gli uni costruiti con gnomoni dispari e gli altri con gnomoni pari quadrati eteromechi 1 2 4 6 9 12 16 25... 20 30...

ogni numero eteromeche media geometrica tra il numero quadrato precedente e quello successivo; e inversamente due numeri eteromechi successivi hanno come media aritmetica il numero quadrato che tra essi (Teone I, 16 - 1892. Cfr. Michel, 1950, p. 317). 393

7.3.4Media geometrica e il problema del tetragonismo

Sul problema della media geometrica e del reperimento di grandezze commensurabili o incommensurabili vorrei dedicare ancora un cenno al modo in cui la media geometrica interviene nel "tetragonismo". Tetragonon il nome caratteristico del quadrato, e con tetragonismo si intende un problema specifico che potremo rendere con "quadratura del rettangolo". Si tratta infatti di trovare un quadrato che abbia la stessa area di un rettangolo dato. Szab, che tratta a lungo di questo problema, sottolinea il fatto che la parola dynamis ha nei suoi impieghi matematici un significato affine indicando "il valore di quadrato di un rettangolo" (the value of the square of a rectangle) (p. 47) e che la nostra consuetudine di intendere l'elevare al quadrato come "elevare un numero alla seconda potenza" (dunque esclusivamente all'interno di un orientamento aritmeticamente orientato) pu essere fuorviante. Che ha a che vedere questo problema con la media geometrica e con tutto ci che stiamo discutendo qui? Rammentiamo ancora una volta che la media geometrica b tra due numeri a e c espressa nella proporzione a:b=b:c pu essere espressa nella forma: a * c = b2 Ci rendiamo subito conto allora che, fornendo ai numeri il senso di grandezze lineari, la media geometrica ci mette di fronte proprio al problema della quadratura del rettangolo. Infatti, essendo a e c lati di un rettangolo, il loro prodotto rappresenta la sua area che risulta eguale alla loro media geometrica b elevata al quadrato. In altri termini la media geometrica tra i lati del rettangolo, corrisponde al lato del quadrato ricercato. Ancora Szab ci rammenta una netta risposta di Aristotele (Metafisica, 996b 18-21) che, alla domanda di che cosa sia il tetragonizzare. risponde brevemente che esso consiste nel ritrovamento di una media proporzionale (1978, p. 47). 394

Naturalmente i lati del rettangolo in questione e il lato del quadrato di area corrispondente possono essere commensurabili. Ma anche non esserlo. E nulla toglie a questo proposito che riprendiamo anche qui il nostro esempio del rapporto del doppio, dove a=1 e c=2 per ritrovarci di fronte un quadrato di area pari a 2, che avr ovviamente come lato la radice quadrata di 2. Ed anche in questo caso ribadiremo che grandezze tra loro incommensurabili possono essere costruite geometricamente. Finalmente possiamo dare un'effettiva risposta domanda sulle ragioni per cui la media geometrica si chiama cos: nonostante tutto, nonostante il fatto che con l'irrazionale/incommensurabile siamo entrati ormai nel regno delle idealizzazioni geometriche, il riferimento geometrico sembra essere pi adeguato di quello aritmetico. Ci spiega perch l'irrazionale aritmetico resti "senza nome", mentre l'incommensurabile geometrico ritenuto ammissibile come se potesse avere una sorta di esistenza che cade sotto i nostri occhi. Pur non potendo assumere forma aritmetica la media geometrica tra 1 e 2 pu essere tracciata, cio rappresentata rigorosamente mediante una linea in una costruzione geometrica... Di qui il nome di media geometrica: essa pu essere trovata per tutti i rapporti solo all'interno della disciplina geometrica, e non aritmetica (Crocker 1963, p. 327). chiaro che la media geometrica non ricevette il suo nome finch i matematici non impararono a costruirla in un modo geometrico (Szab, 1978, p. 175).

7.3.5 Conseguenze sulla teoria pitagorica della musica


Vogliamo ora ritornare su alcune considerazioni di carattere generale che riguardano nuovamente la musica, propriamente la teoria pitagorica della musica. Resta assodato che non vi fu un semplice rifiuto del numero senza nome, ma lapertura di nuovi problemi che spostava lasse del problema dal terreno aritmetico a quello geometrico. Ma noi dobbiamo comprendere a fondo il senso di questa problematica sul terreno musicale al di l di questo o quel risultato particolare. In ultima analisi restano dettagli anche i problemi che si vengono a creare con lapplicazione della media geometrica allottava o ai rapporti epimori se non si coglie leffettiva posta in gioco. 395

La teoria aveva cominciato a muovere i suoi primi passi proprio di qui - dai rapporti consonantici fondamentali, ed ora, nel momento in cui ci si accinge al passo successivo che, come abbiamo gi accennato dovr essere, quello di una pi fine suddivisione dellottava, si scopre che vi sono delle lacune tra gli uni e gli altri estremi degli intervalli: una teoria gi fin dall'inizio orientata dall'idea dominante del logos, ovvero del rapporto, sar portata ad escludere dal continuo dei suoni qualunque punto che sia "privo di logos", quindi sar portata ad una concezione discreta della scalarit, ad accentuare il carattere di modello dei rapporti consonantici, ed in particolare di quegli intervalli che hanno come corrispondente aritmetico un rapporto epimorio. Ed proprio a questo punto che la teoria pitagorica comincia a prendere le distanze dal fatto uditivo-musicale e quindi dalla pratica musicale in genere. Persino le pratiche musicali al monocordo finiscono per essere risucchiate dal prevalere di questo punto di vista aritmetizzante. In certo senso, si ormai sul punto di dimenticare un aspetto su cui abbiamo in precedenza tanto insistito: che il monocordo essere immagine di un segmento. Deve essere chiaro infatti quel luogo che per l'aritmetica "non ha un nome", pur tuttavia un fatto acustico uditivo e come tale non ha "realt" minore degli elementi geometrici costruiti in modo di cui sia dimostrabile l'incommensurabilit dell'uno rispetto all'altro. Comincia qui a intravvedersi l'azione di un conflitto che attraversa tutta la filosofia greca - il conflitto tra idealizzazione da un lato e approssimazione empirica dall'altra. Ma anche dire questo forse presenta diverse possibilit di equivoci e di fraintendimenti. Anche le approssimazioni richiedono ragionamenti, calcoli, dimostrazioni, idealizzazioni. Un musicista, nelle sue pratiche esecutive concrete, non ha a che fare n con rapporti esatti n con rapporti approssimati. E sono ragioni di scelte musicali che decidono se una "posizione" dello spazio sonoro esiste o non esiste, se un intervallo buono o cattivo. La conseguenza pi grave che comincia ora chiaramente ad intravvedersi che la teoria pitagorica formula un'idea del tutto extramusicale dell'intervallo buono o cattivo, e dell'intervallo cattivo, che pur tuttavia ha una esistenza acustica concreta, decreta l'inesistenza attraverso un calcolo. E inversamente: attraverso un calcolo decreta lesistenza e la bont di un intervallo. Ancora pi chiaramente: le spiegazioni di Archita sui rapporti epimori sono ineccepibili. Straordinarie sono poi le vie aperte dalla media "proporzionale" nei campi dell'aritmetica e della geometria. Eppure, datemi un monocordo, ed io non stenter a costruire un buon semitono - nel senso letterale e moderno del termine: un tono diviso in due. Ed a sottoporlo, non certo al giudizio dei vostri calcoli, ma a quello del vostro udito (Piana, 2003, p. 67-69).

396

8. Discussione sulla cosiddetta scala pitagorica

397

398

8.1 Il problema della validit degli intervalli e della formazione della scala
8.1.1 La costruzione della scala attraverso le medie 8.1.2 Costruzione della "scala pitagorica" attraverso il ciclo delle quinte

8.2 Precisazioni e commenti


8.2.1 Tono e limma 8.2.2 Lapotome 8.2.3 Il comma 8.2.4 Il calcolo pitagorico del comma come rapporto 8.2.5 Landamento discendente della scala 8.2.6 Costruzione della scala pitagorica e metodi di accordatura

8.3 Eccessi del matematismo pitagorico


8.3.1 Il problema della consonanza di undicesima 8.3.2 La soluzione di Tolemeo e quella di Gaudenzio 8.3.3 I tentativi di costruire scale con rapporti epimori
399

400

8.1 Il problema della validit degli intervalli e della formazione della scala
8.1.1 La costruzione della scala attraverso le medie
Fino a questo punto abbiamo certo speso molte parole ma, se badiamo esclusivamente all'articolazione dell'ottava, in tutto e per tutto non abbiamo fatto altro che individuare tre intervalli significativi. Dobbiamo perci procedere oltre interrogandoci sui modi di introdurre altri possibili intervalli. Ma ad una simile domanda non si dovrebbe rispondere andando semplicemente a vedere quali fossero gli intervalli in uso? In realt la questione un poco pi complessa. Occorre tener presente che esiste sempre una pratica musicale che precede la teoria. Del resto abbiamo sottolineato che le consonanze di quarta e di quinta non sono certo una scoperta del filosofo pitagorico. Il suo problema non era quello di una descrizione della pratica musicale, ma di una giustificazione di ordine intrinseco, che fosse anche accompagnata da una precisa determinazione quantitativa. Si tratta di una posizione del tutto coerente in un quadro filosofico nel quale la musica veniva teorizzata come come disciplina scientifica affine all'aritmetica e specificamente dedicata allo studio dei rapporti. Come noto, il raggruppamento che poneva la musica insieme alla geometria, l'aritmetica ed allastronomia - il Quadrivium di cui si parlava nel Medioevo - era stato teorizzato anzitutto in Grecia. Di conseguenza la ricerca non rivolta all'intervallistica in genere, ma alla validit degli intervalli, e lo studio degli intervalli validi, in questo senso, poteva essere del tutto indipendente dagli intervalli eventualmente utilizzati nella pratica musicale. Si cre cos una situazione che ha alcuni aspetti paradossali: da un lato i musicisti facevano, per dirla in breve, quello che volevano; ma anche i teorici spesso non erano da meno. Del resto, le scale proposte dai teorici greci sono numerosissime, e molto spesso, e forse per lo pi, non siamo in grado di stabilire quali scale siano da considerare come effettivamente praticate e quali come escogitazioni puramente teoriche. 401

Nello stesso tempo sarebbe falso affermare che non ci fosse interrelazione tra i due campi. La posizione di Aristosseno, che esamineremo in seguito e che propone una netta alternativa teorica rispetto al pitagorismo, era sicuramente vicino alla realt musicale pi di quanto lo fosse la posizione pitagorica. D'altra parte anche Aristosseno si pone il problema delle scale "migliori" dal punto di vista teorico; e inversamente, i pitagorici, pur nella posizione generale che abbiamo prospettata, non perdono del tutto di vista la realt e la pratica musicale. Uno sguardo rivolto alla pratica musicale e una posizione di fondo che sostiene l'autonomia della teoria della musica rispetto ad essa - questo duplice aspetto molto chiaramente visibile nel modello pi noto di scala pitagorica spesso indicato dai manuali come "scala pitagorica" tout court. Inoltre questa scala viene proposta nella versione diatonica e nella versione cromatica, come se si trattasse di una scala assai simile a quelle che ci sono familiari nel linguaggio della tonalit, con la sola differenza che essa avrebbe grandezze intervallari sue proprie e alcune peculiarit che riguardano la differenziazione tra note diesizzate e bemollizzate. Questo modo di presentare il problema profondamente equivoco. La stessa dizione di scala pitagorica erronea se riferita letteralmente alla teoria ed alla pratica musicale greca. Infatti una scala pitagorica in realt non esiste. Ne esistono molte, sia allinterno dellarea del pitagorismo, sia allesterno di essa. Ma il fatto di cui dobbiamo essere avvertiti fin dallinizio che per ogni tipo di scala dobbiamo ragionare in termini di suddivisione, non gi dellottava, ma dellintervallo di quarta. I greci parlavano della suddivisione del tetracordo e risultavano differenti suddivisioni dellottava secondo le differenti proposte di suddivisione del tetracordo. Per di pi, tutta la tematica delle scale greche deve essere trattata allinterno della teoria dei generi. Nulla di tutto ci pu comparire se parliamo di "scala pitagorica" e ne andiamo elencando gli intervalli. Tuttavia quando i manuali riportano la dizione di scala pitagorica e ne parlano in quel modo, non hanno hanno tutti i torti se non altro dal punto di vista della tradizione storica. Infatti questa scala diventa preminente nella tarda grecit e viene ereditata dal Medioevo fino all'et moderna come scala pitagorica tout court. Tuttavia, una volta fatta questa premessa, credo si possa senza equivoci parlare di scala pitagorica - sia pure fra vigolette - traendone vantaggi di comprensibilit per i nostri sviluppi successivi. Ma dobbiamo considerare quanto segue non pi che una sorta di introduzione alla problematica della scalarit che verr in seguito tratteggiata pi correttamente alla luce della teoria dei generi e della scelta del tetracordo come spazio sonoro fondamentale. 402

Parlando delle medie, abbiamo fatto notare che nella prospettiva del pitagorismo si tende ad effettuare un rovesciamento della situazione a favore del lato aritmeticomatematico. In fin dei conti la scoperta della "proporzione babilonese" autorizza a pensare che la quarta e la quinta siano deducibili dall'intervallo di ottava. E non c' dubbio che questa circostanza stimola il pensiero pitagorico in direzione dellescogitazione di una qualche procedura di deduzione anche per ogni altro intervallo. Quindi si pensa a dei metodi possibili, che sono nello stesso tempo anche metodi di legittimazione. Vi subito un pensiero che in certo senso si impone da s. Perch non adottare il metodo delle medie anche per determinare le altre posizioni "valide" all'interno dell'ottava? Avremmo cos unarticolazione tutta determinata da una metodologia omogenea, puramente aritmetica e fondata sui rapporti consonantici originari. Questa possibilit dimostrata da un esempio molto semplice. Sappiamo gi che 2/3 media armonica dellottava 1 e 1/2. Potrebbe essere una buona idea assumere questo valore come estremo e come altro estremo la sua met, ovvero 1/3 - rammentando che a corda pi corta corrisponde suono pi acuto. La corda suddivisa per due risuona allottava superiore della corda non suddivisa. Se ora realizziamo la media armonica tra (2/3, 1/3) otteniamo il valore di 4/9. Dobbiamo ora stabilire se questo valore rientra nell'ottava che vogliamo suddividere. Questa ottava compresa tra 1 e 1/2 e il rapporto ottenuto deve essere tale che il suo numeratore sia maggiore della met del denominatore. Se minore della met del denominatore, minore di 1/2, ed in tal caso il rapporto andr moltiplicato per 2 per rientrare nell'ottava. Questultimo appunto il caso di 4/9 e dunque si ottiene il primo valore valido con 4/9 * 2 = 8/9. Suppongo che qualcuno, di fronte alla regola or ora enunciata, abbia quella singolare sensazione di imbarazzo che talora si manifesta di fronte a formulazioni simili. Donde viene? Perch mai le cose stanno cos? In questi casi conviene, se possibile, rammentarsi del significato di contesto nella quale la pura e semplice formula aritmetica inserita. In realt per comprendere la regola indicata baster rammentarsi di ci che rappresentano numeratore e 403

denominatore rispetto al problema dellintero e delle parti - e nello stesso tempo della lunghezza delle corde che il rapporto rappresenta. La met del denominatore rappresenta sempre la met dellintero, quale che sia lunit di misura prescelta ovvero il numero di parti in cui lintero stato diviso. E una corda che sia inferiore a met dellintero risuoner pi acuta dellestremo acuto dellottava di riferimento. Potremmo rappresentare lintero problema con la seguente figura:

1 1/2 9/2 9 4/9 4/9


X

A questo punto non si fa altro che iterare la procedura. Poich 4/9 in rapporto di ottava con 8/9 si fa, come in precedenza, la media armonica tra questi due valori (9/8, 4/9) =16/27. Qui 16 maggiore della met di 27, e dunque rientra nell'ottava. Si otterr l'ottava all'acuto di questo valore attraverso divisione per 2 e la media armonica sar questa volta tra (16/27, 8/27)=32/81. Questo rapporto non rientra nell'ottava per la ragione spiegata e quindi moltiplicheremo questo valore per 2, ottenendo nello stesso tempo l'ottava di cui calcolare la media armonica che sar fra (64/81,32/81) = 128/243. I valori ottenuti sono ora 8/9, 16/27, 64/81, 128/243 in cui vanno inseriti 1, 3/4, 2/3, 1/2 al punto giusto.

18/964/813/4 2/316/27128/2431/2
404

Naturalmente possibile anche proporre i rapporti in forma inversa come consuetudine fare.

19/881/644/33/227/16243/1282
Il punto che preme maggiormente mettere in evidenza , ancora una volta, l'adozione di una procedura ricorsiva. Ignorare l'importanza della ricorsione per il pitagorismo significa non soltanto precludersi la comprensione della matematica pitagorica, ma anche la teoria della musica ad essa connessa.La media armonica viene iterativamente applicata al risultato dell'applicazione precedente. Inoltre ci che doveva certo apparire seducente che un unico tipo di operazione sta alla base di questa articolazione scalare, e si tratta di quel tipo di operazione dalla quale risultavano anche i rapporti consonantici fondamentali di quarta e di quinta. Naturalmente l'operare con le frazioni persino per noi che la sappiamo molto pi lunga dei matematici pitagorici pu essere particolarmente faticoso. Il risultato finale pu dunque assai pi chiaramente espresso in cents. La precedente struttura scalare si presenta nel modo seguente:

0, 203.914, 407.829, 498.056, 701.97,905.885, 1109.8, 1200.03


E per arrotondamento:

0, 204, 408, 498, 702, 906, 1110, 1200


Cos sembra tutto pi chiaro. e naturalmente possiamo fare un confronto diretto con la nostra scala diatonica temperata. Tuttavia volendo mostrare come il problema delle medie intervenga nella determinazione della scala non potevamo certo usare questa unit di misura, ma dovevamo far ricorso necessariamente ai rapporti.

405

8.1.2 Costruzione della "scala pitagorica" attraverso il ciclo delle quinte


Nella manualistica corrente, qualora si addivenga a parlare della scala pitagorica, non si seguir certo la lunga via delle medie. Si parler piuttosto di una scala ottenuta attraverso il "ciclo delle quinte". L'iterazione delle medie armoniche nella forma che abbiamo illustrato equivale in effetti a costruire una concatenazione di quinte. Per restare ancora sul terreno dellaritmetica, e con le nozioni che oggi ci sono note, questo problema pu essere anche posto come costruzione di una progressione geometrica di ragione 2/3 ovvero di una progressione che sar caratterizzata dalla funzione esponenziale x

2/3

con x che varia sui numeri naturali. Avremo cos la progressione dei rapporti

2/3, 4/9,8/27,16/81,32/243 ....


Dal punto di vista intervallare, questo naturalmente un ciclo di quinte, cio una successione ascendente da quinta a quinta. Risulta poi subito, per le ragioni spiegate poco fa, che dopo il primo elemento 2/3, tutti gli altri andranno ridotti entro l'ottava attraverso una moltiplicazione per due, eventualmente iterata secondo necessit. Di conseguenza avremo una successione che sar identica a quella ottenuta con il calcolo delle media una volta che si siano aggiunti 1, 1/2, 3/4 e si siano disposti gli intervalli in ordine progressivo (operazione naturalmente non facile da fare a vista).

18/964/813/4 2/316/27128/2431/2
Questa volta, a differenza del caso precedente, la procedura pu essere mostrata impiegando i cents, e le cose si semplificano. Anzitutto si operer per addizioni successive di 702, che il valore espresso in cents di 2/3. 406

Si avr cos ovviamente la successione

702, 1404, 2106, 2808, 3510...


Tutti i valori che superano 1200 debbono essere ridotti all'interno di questa cifra, cos dovremo operare le differenze opportune ottenendo

702, 204, 906, 408, 1110


che andranno opportunamente riordinati e integrati dal primo elemento (0), dalla quarta (498) e dallottava (1200) 0, 204, 408, 498, 702, 906, 1110, 1200 Per dare risalto alla ricorsivit della procedura per la formazione della successione potremmo forse proporre la funzione generatrice nella forma che segue: x = 2/3 x= x * 2/3 ovvero x = 702 x = x + 702

La prima linea rappresenta il valore iniziale di x e dunque il primo elemento della serie e la seconda la struttura della ricorsione nella quale si mostra con chiarezza che l'operazione indicata agisce sul risultato dell'applicazione dell'operazione precedente. Naturalmente tra intervallo e intervallo la successione risulta essere la seguente:

204 204 90

204 204 204

90

407

8.2 Precisazioni e commenti


8.2.1 Tono e limma
Naturalmente sono ora necessarie varie precisazioni, che richiedono anche lintroduzione di nuovi concetti. In analogia con la nostra scala maggiore corrente (ma come vedremo questa analogia nasconde molti equivoci), essa consta di cinque toni e due semitoni che differiscono per la loro grandezza dal sistema temperato nel quale il tono pari a 200 cents e il semitono a 100 cents. Anche in greco vi la parola tonos, tra laltro con una molteplicit di sensi che propria degli usi moderni: in particolare va almeno richiamata lattenzione che questa parola pu significare due nozioni del tutto eterogenee tra loro: una grandezza intervallare - come nel contesto attuale - oppure laltezza di un suono. Alla voce Tonos del dizionario Grove, firmata da Mathiesen, si legge: Termine con vari significati nella tradizione della teoria della musica della Grecia antica. Esso pu riferirsi allaltezza (tasis), ad una nota (ftongos), alla grandezza di un intervallo (diastema) oppure ad un modo scalare (tropos systematikos) Anche la parola semitono esiste, in calco letterale, in greco, ma il termine pi proprio nel contesto della problematica pitagorica quello di limma (leimma), che nettamente preferibile al precedente proprio perch non implica lidea della met di un tono. Il senso letterale di limma poi significativo. Si noti anzitutto come questo intervallo non viene introdotto come una semplice suddivisione del tono: esso sorge invece da una suddivisione sistematica dellottava. Quando tutta questa problematica verr riveduta e corretta assumendo il tetracordo come nozione centrale del concetto di spazio sonoro nella teoria della musica greca, diventer invece ancora pi evidente il significato letterale di limma: resto, avanzo. In effetti il limma pu essere semplicemente proposto come resto della differenza tra lintervallo di quarta e i due toni iniziali. Il conteggio in cents rende la cosa evidente (498-408=90). I pitagorici avevano comunque calcolato questa differenza in termini frazionari determinando il valore del limma come 256/243. Questo rapporto non affatto banale da determinare, e tanto meno lo con il monocordo. Abbiamo gi notato che, quanto alla precisa misurazione dei rapporti intervallari, con il monocordo non si va molto lontano, proprio perch si tratta di una misurazione empirica che non pu certo essere sensibile alla differenze pi fini. Fatti i primi passi il monocordo continuer a rivestire un carattere emblematico nella tradizione teorica europea ma il suo impiego pratico dovr, il caso di dire, fare i conti con la determinazione dei rapporti intervallare attraverso i calcoli. 408

Ora i calcoli con le frazioni intese come rappresentative di intervalli sono ovvie per noi. Sappiamo che pe sommare due intervalli occorrer moltiplicare i rapporti corrispondenti; e occorrer dividerli luno per laltro per effettuare la loro differenza. Procedendo in questo modo si perviene in un battibaleno al valore del limma essendo

9 9 81 8 8 64

4 256 81 : 3 64 243

Ma i pitagorici non procedevano cos ed avevano escogitato vari metodi per venire a capo di questo tipo di calcoli. Nel caso in questione (ma la procedura aveva carattere generale in casi analoghi) si trattava di determinare il rapporto 3/4 con due numeri interi che si trovassero tra loro in quel rapporto e che fossero abbastanza grandi da contenere i numeri interi rappresentativi di due intervalli di 9/8. Il primo numero venire costruito a partire da 8*8=64. Moltiplicando per 3 questo numero si ottiene 192 e moltiplicandolo per 4 il numero 256. Perci i numeri 256 e 192 stanno dunque tra loro nel rapporto di 4/3 e sono rappresentativi dellintervallo di quarta. Dopo di ci si tratta soltanto di determinare i numeri intermedi. chiaro che il numero successivo di 192 sar 1/8 maggiore di esso perch deve trovarsi con esso nel rapporto di 9/8, e cos il seguente rispetto al precedente. Abbiamo cos la successione di numeri interi

192

216

243

256

e poich tra i primi tre numeri vale il rapporto 9/8, il resto rappresentato da 256/243.

4/3 192 9/8 216 9/8


409

243

256 256/243

Ho voluto indugiare un poco su questi aspetti di calcolo numerico perch essi esemplificano alcuni dei tratti del modo di approccio dei pitagorici che in precedenza abbiamo gi messo in evidenza. Lidea soggiacente al metodo, ad esempio, sembra essere ancora quella di tentare quella che abbiamo chiamato linearizzazione del rapporto, sia pure impiegato in modo peculiare, con lintento di realizzare un calcolo frazionario che realizzi risultati complessi fondandosi in buona parte su numeri interi. Ricompare qui soprattutto lidea degli oroi di un rapporto, ovvero dei suoi estremi che richiamano alla mente gli estremi di un segmento, cos come limpieo di numeri interi che potrebbero rappresentare misure di lunghezze. Ma vi sono altri aspetti su cui tra breve ritorneremo fornendo qualche indicazione aggiuntiva.

8.2.2 Lapotome
Se noi apriamo un testo di teoria musicale che parli della cosiddetta scala "pitagorica", presumibilmente troveremo alcune considerazioni relative al ciclo delle quinte - e poi la proposta di una tabella ottenuta attraverso il ciclo che presenta in un colpo non soltanto le nostre note principali, con i nomi di tradizione europea do, re, mi ecc., ma anche tutte le diesizzazioni e bemollizzazioni corrispondenti. Talvolta ci viene proposta una tavola con l'esatta indicazione del rapporto intervallare in forma frazionaria ed eventualmente in forma decimale e in cents - facendo supporre o dichiarando esplicitamente che nonvi solo una scala diatonica pitagorica, ma anche una scala cromatica in un'accezione affine a quella che ben conosciamo.Si pongono insomma le cose come se i greci avessero i loro tasti neri e i tasti bianchi, solo con una diversa accordatura - e con la peculiarit di avere tasti neri molto pi numerosi dei nostri. Anche in rapporto a questa pretesa scala "cromatica" si fa riferimento al "ciclo delle quinte" andando nella catena delle quinte al di l del quarto passo al quale noi ci siamo arrestati. In realt non possibile in questa sede entrare veramente nel merito delle confusioni che intervengono qui e che in realt dipendono anche, in larga parte, da equivoci attinenti all'impiego moderno dei termini come diatonico e cromatico ma anche da posizioni poco chiare sul senso musicale generale di ci che va sotto il nome di "cromatismo" oltre che sugli equivoci generali sulla cosiddetta scala pitagorica su cui abbiamo gi richiamato lattenzione allinizio (cfr. Piana, 2003 e 2004). Ci che ora va detto che il discorso sulla scalarit non prosegue nella direzione di un'ipotetica scala cromatica pitagorica: necessario invece spendere qualche parola sulla nozione di trasposizione e sulla nozione pitagorica ad essa strettamente connessa di apotome. 410

La nozione di traposizione naturalmente una nozione musicale generale. Si ha trasposizione quando uno stessa sequenza di intervalli viene riportata in una regione pi grave o pi acuta senza variazione della grandezza e della direzione degli intervalli. La variazione riguarda dunque soltanto l'altezza. Ora pu accadere che, al fine di mantenere l'identit della grandezza intervallare, un suono debba essere alterato, ovvero l'intervallo corrispondente debba essere incrementato o decrementato (oggi parleremmo di diesizzazione e bemollizzazione). Ad esempio, nel trasporre, pu essere che in una determinata posizione in luogo di un tono compaia un semitono oppure che in luogo di un semitono compaia un tono. Di conseguenza il semitono dovr essere alzato sino al tono e, nel caso inverso, il tono dovr abbassato sino al semitono. Tenendo presente che il semitono (limma) di cui qui parliamo pari a 90 cents e il tono pari a 204 cents lincremento del semitono o inversamente il decremento del tono pari a 114 cents (204-90). Questo valore di 114 cents equivale alla differenza tra tono e semitono (limma) e viene chiamato apotome e non da considerare come un intervallo vero e proprio, ma un puro valore incrementale o decrementale. In effetti esso non compare come intervallo nella trasposizione. Come ovvio. Tutto ci pu essere sintetizzato come segue:

204-114 90
(do)

(re b) (do#)

(re)

204

90 0+114
411

Si badi alla direzione delle frecce: si comprender allora che non si tratter della divisione di un tono (204) in due parti, ed ancor meno si potr dire, come talvolta si legge, che nella scala cromatica pitagorica il bemolle precede il diesis. Del resto parlare di scala cromatica nel caso della scala pitagorica facendo riferimento all'apotome non ha semplicemente senso, anche se molti parlano dell'apotome come semitono cromatico per distinguerlo dal limma come semitono diatonico. Si tratta di una dizione equivoca che ricalca il nostro modello scalare. L'apotome non un'alterazione cromatica, ma una alterazione per scopi di trasposizione (cfr. Piana, p. 25 sgg. 2004). Una problematica di scala cromatica in senso in qualche modo prossimo all'accezione moderna non sorge sul terreno della teoria greca della musica, ma soltanto a partire dagli impieghi in epoca molto pi tarda, dal medioevo in poi. Anche in questo caso i pitagorici riuscirono a determinare calcolisticamente il rapporto di apotome che pari a 2187/2048, risultato apparentemente sorprendente se non si ricorre al calcolo frazionario consueto. Facile invece da ottenere con il metodo gi sommariamente illustrato per la determinazione del limma. Lintervallo di cui si debbono considerare gli estremi ora lintervallo di 9/8 e il dato noto il rapporto del limma di 256/243. Per ottenere i numeri interi che ci interessano si moltiplicher anzitutto 243 e 8 ottenendo 1944, che rappresenta lestremo iniziale dellintervallo; per ottenere lestremo finale baster aggiungere a questa cifra 1/8 di essa ovvero 1944 + 243 = 2187 o, che lo stesso, moltiplicare 243 * 9. Il valore intermedio che ci porta al risultato finale si ottiene semplicemente moltiplicando 256 * 8 = 2048, dovendo i primi due numeri essere nel rapporto 256/243.

9/8 1944 256/243 2048 2187

2187/2048

412

8.2.3 Il comma pitagorico


Ci che abbiamo detto or ora sull'apotome ci consente di introdurre in un battibaleno una nozione che in realt piuttosto complicata, o meglio: essa ha generato complicazioni su complicazioni ed stata una vera croce della "scala pitagorica" determinandone in tempi moderni il suo declino. Si tratta del cosiddetto comma pitagorico. Come lo definiremmo in due parole? Ancora mediante una semplice differenza. Il comma la differenza tra l'apotome e il limma: comma pitagorico = 114 -90 = 24 cents Ma qual' l'origine di questo valore intervallare e quale il suo interesse? Perch esso assume in certo senso, come abbiamo detto or ora, un significato critico rispetto alla stessa struttura scalare che stiamo discutendo? In realt, nella nostra esposizione abbiamo tenuto ancora nascosto un problema che crea sconcerto all'interno di questa costruzione che sembra, a tutta prima, assai bene ordinata. Come abbiamo visto essa si pu pensare costruita attraverso le medie o il ciclo delle quinte. Naturalmente per noi la via pi facile quella di fare riferimento al ciclo delle quinte facendo uso, come in precedenza, dei valori intervallari espressi in cents. Ora si sar notato che ci siamo limitati a iterare i cicli fino a quando non avevamo ottenuto la sequenza di sette note nelle posizioni che abbiamo precentemente indicato, ed anzi le note effettivamente dedotte attraverso questo andamento ciclico, secondo la nostra esposizione si riducevano a cinque - dal momento che il nostro punto di arrivo era 1110 cents. A queste posizioni aggiungevamo appunto lintervallo di quarta, in certo senso come intervallo gi riconosciuto come appartenente alla divisione dellottava. In effetti se dovessimo procedere oltre la nuova nota ottenuta non sarebbe 498, ma 612 ovvero la nuova nota ottenuta si trova una apotome al di sopra della quarta. Ci del resto lo si pu verificare anche ripartendo da 1110 (infatti 1110+702-1200=612). E non certo difficile verificare che il valore successivo sar 114 (essendo 612+702-1200=114). Questi passi ulteriori mostrano che se continuiamo ad operare con il ciclo delle quinte facendo le necessarie riduzioni di ottava possiamo ottenere non solo tutte le note diatoniche ma anche tutte le alterazioni di trasposizione ascendenti e discendenti. Ma occorre prendere alcuni accorgimenti affinch questo risultato venga ottenuto: partendo dalla nota iniziale (0) si addizionera successivamente il valore di 702, ottenendo tutte le alterazioni ascendenti, ma questa procedura dovr essere interrotta al dodicesimo ciclo e ripresa da capo a partire dalla nota iniziale (0) nella direzione inversa - cio sottraendo successivamente il valore 702 - sempre facendo le operazioni di riconduzione del valore ottenuto entro lottava 0,1200. 413

In realt non per noi necessario entrare nei dettagli. Il vero problema sta infatti nella ragione di questi accorgimenti. Perch si deve fare una interruzione al dodicesimo ciclo e ricominciare da capo nella direzione inversa? La cosa appare priva di una necessit intrinseca e manifestare una sorta di falla nel sistema, che in effetti c. Una procedura ricorsiva non la posso interrompere a piacere dove voglio. interessante tuttavia notare un caso speciale che si pu verificare in una ricorsione. Se in essa si ottengono successivamente i valori A, B, C, D e poi ancora A allora si pu essere certi che la prosecuzione generer ancora B, C, D, e poi ancora A indefinitamente. Ci naturalmente dipende dal fatto che loperazione generatrice della successione si applica al risultato di unapplicazione precedente. Con A si raggiunto quello che talora viene chiamato punto fisso - il processo in questo senso terminato nel senso che non in grado di produrre nulla di nuovo. Ora il problema che se la catena delle quinte procedendo sempre in direzione ascendente con le opportune riduzioni, raggiungesse prima o poi il valore di 1200 che con una sottrazione di 1200 ci riporterebbe a 0, non avrebbe pi senso continuare il ciclo delle quinte e il numero delle note e lintervallistica corrispondente sarebbe rigorosamente chiusa e con caratteristiche forti di necessit intrinseca. Io credo che si comprenda quanto una simile situazione renderebbe pregnante questo tipo di suddivisione. Agli intervalli ritrovati non se ne potrebbe aggiungere nemmeno uno, se non in modo del tutto arbitrario, al di fuori della regola che produce tutti gli altri intervalli - e questi riceverebbero la caratteristica della pi ferrea necessit. La chiusura delliterazione potrebbe essere il coronamento dellidea guida del pitgorismo che si orienta fin dallinizio alla ricerca di un tipo di divisione dello spazio sonoro che sia intrinsecamente giustificata e corrispondente ad una sua legge essenziale interna. Ed invece ci non accade, perch al dodicesimo ciclo ci imbattiamo, una volta effettuate le riduzioni necessarie, nel numero 1224, che supera dunque di un comma lottava. A questo punto continuando la procedura si aprirerebbe una spirale che produrrebbe posizioni sempre nuove nellottava: essa diventerebbe cos sempre pi densa. Debbo avvertire il lettore che qui mi servo di qualche semplificazione che non incide sullessenza del problema poich i valori in cents cos come li stiamo usando sono arrotondati e ci non pu non avere conseguenze sulla correttezza dei calcoli. Ma a parte queste semplificazioni, la natura della questione introdotta dal comma pitagorico chiara. Il ciclo una spirale in via di principio infinita e la sua prosecuzione porterebbe a cancellare la suddivisione dellottava legittimando qualunque posizione al suo interno. Non vi potrebbe essere fallimento pi clamoroso del punto di vista pitagorico. Questo risultato del resto dovuto ad un fatto strettamente matematico: la successione delle ottave una successione con ragione 2, la successione delle quinte una successione con ragione 3/2: che un membro delluna coincida con un membro dellaltra impossibile matematicamente. 414

8.2.4 Il calcolo pitagorico del comma come rapporto


Vorrei ancora aggiungere, a proposito della grandezza del comma, un ultimo appunto che si ricollega al calcolo frazionario di cui abbiao in precedenza discorso a proposito del limma e dellapotome. Si fa presto a dire 24 cents! Ma i pitagorici calcolarono anche questa grandezza individuando correttamente un rapporto pari, niente di meno, che a 531.441/524.288. Questo risultato stato ottenuto di parte pitagorica per confutare la tesi degli aristossenici, che discuteremo in seguito, i quali che sostenevano che lottava constando di cinque toni e due semitoni misurava esattamente sei toni. La controprova pitagorica intende allora dimostrare che, assumendo il tono come al solito a 9/8, sei toni eccedono lottava di quella frazione che corrisponde appunto a 24 cents. La procedura, come sappiamo consiste nellassumere due numeri interi in rapporto di ottava e due numeri costruiti pezzo a pezzo con 6 toni, misurando leccedenza conseguente. Si procede allora assumendo come estremo iniziale 262.264. Subito si avr come estremo finale nel caso dellottava 262.264*2= 524.288. Il problema della misurazione dei 9/8 in successione a partire da 262.264 non difficile da risolvere, dal momento che sappiamo che il numero successivo rispetto al precedente dovr misurare 1/8 in pi del precedente. Abbiamo dunque la seguente successione: 262264, 294912, 331776, 373248,419904, 472392, 531.441 Lultimo numero eccede il valore rappresentativo dellottava e la eccede nel rapporto 531441/524288.

262144 9/8 262144

294912 331776 373248 419904 472392 9/8 9/8 9/8 9/8

531441 9/8 524288

2
415

Qualcuno probabilmente chieder: tutti i conti tornano, ma come fai a stabilire il termine iniziale della serie da cui poi tutto dipende? Non potrai certo andare a tentoni o per prove ed errori. In effetti qui diventa evidente un problema che in precedenza rimasto un poco in ombra. A quel valore si perviene creando una successione geometrica la cui ragione 8, in sei passi, essendo sei gli intervalli da considerare. Si ha dunque la successione 8, 64, 512, 4096, 32768, 262144. Questultimo valore sar lestremo iniziale di una nuova successione in cui ogni valore maggiore di 1/8 del precedente Assume qui particolare evidenza limpronta caratteristica della matematica pitagorica - che era gi tipico della problematica dei numeri figurati che qui pu essere indubbiamente richiamata. Non certo per via della designazione dei numeri mediante punti, ma per lidea di una accumulazione ricorsiva rappresentata dallo gnomone, oltre che, in coerenza con tutto ci, dalla rappresentazione tabellare dei rapporti. Su questo esempio ci possiamo rendere conto che le nostre singolari considerazioni sulla tabellina pitagorica non erano fatte a caso e che una forma mentis orientata da queste idee poteva guardare abbastanza lontano. Da questo punto di vista il nostro grafico non troppo soddisfacente, dimostra troppo poco. Crocker (1963, p. 196) ha invece proposto una disposizione tabellare che mostra, a mio avviso, quanto sia presente anche qui la forma mentis che presiede alla concezione dei numeri figurati.

416

Noi ci siamo limitati a prendere in considerazione la prima riga orizzontale e lultima colonna verticale, oltre che lintervallo di ottava qui indicato in parentesi. In questa tabellina si fa molto di pi. Si costruisce una matrice di sei righe e sei colonne (numero delle parti da considerare). Tutte le righe orizzontali sono formate da numeri ognuno dei quali risulta dal precedente moltiplicato per otto. Le prime due righe iniziano con i numeri che sono estremi del rapporto (8 e 9). In questo modo in diagonale si generano successioni di numeri ognuno dei quali risulta dal precedente moltiplicato per 9. In questo modo si generano anche la terza, quarta, quinta e sesta riga. I numeri di ogni colonna sono tali per cui si trovano nel rapporto di 9/8 con il numero sovraordinato e naturalmente di 8/9 con il numero sottordinato. Considerando questa tabellina, i valori dellultima colonna invece di essere calcolati come abbiamo fatto noi con laggiunta di 1/8 rispetto al numero precedente, risultano direttamente dalle serie orizzontali al sesto passo oppure dalle serie diagonali. Inutile dire che in questa disposizione il risultato complessivo della somma di sei toni di 9/8 ha la forma di uno gnomone.

417

8.2.5 Landamento discendente della struttura intervallare


Usando per il tono pitagorico la lettera T e per il semitono ovvero limma la lettera S, la nostra scala sarebbe rappresentata ovviamente dalla sequenza:

TTSTTTS
Qualcuno potrebbe commentare: ecco il nostro modo maggiore! sia pure con le piccole variazioni nella grandezza degli intervalli sulla quale non pi necessario d'ora in avanti attirare l'attenzione. Se questo fosse il nostro commento commetteremmo un errore piuttosto grossolano. Di fatto talvolta le scale greche vengono presentate come se procedessero dal grave verso l'acuto nel modo che ci familiare, ed in tal caso certo, se cos fosse, gli intervalli sarebbero proprio quella della nostra tonalit standard Do-do con gradi non alterati. Questo errore probabilmente stato determinato dal fatto che naturalmente anche le scale greche hanno un'andata e un ritorno, e talora i teorici greci stessi indicano una scala dal grave all'acuto, sottintendendo sempre che per essi l'andamento fondamentale restava dall'acuto al grave. Questo stesso sottinteso sta anche in quei teorici moderni (come Munro, Landels o Mathiesen) che continuano a proporre strutture scalari in forma ascendente, cosa comunque sconsigliabile per gli equivoci che pu indurre ed anche perch rende pi faticosa la lettura della struttura. La questione importante perch chiarisce che non si tratta affatto del nostro modo maggiore. Nei termini della nostra scrittura musicale infatti essa sarebbe rappresentata come segue:

Se non vogliamo usare le alterazioni la stessa sequenza intervallare rappresentata dal modo di mi:

418

8.2.6 Costruzione della scala pitagorica e metodi di accordatura


Abbiamo gi accennato al fatto che, da un lato, vi da parte pitagorica l'interesse alla costruzione di una scala integralmente fondata sul calcolo, dall'altro vi anche uno sguardo rivolto in direzione di una problematica direttamente musicale, e precisamente in direzione delle pratiche di accordatura degli strumenti a corda. Ci che rende realmente interessante l'intera tematica proprio l'esistenza di queste connessioni. Ancora una volta abbiamo qui un bell'esempio di stretta relazione tra un fatto meramente tecnico-pratico che riguarda laccordatura di uno strumento ed un insieme di considerazioni di carattere teorico e filosofico. Le pratiche di accordatura di strumenti a corda si servivano certamente in primo luogo dei rapporti consonantici - quindi dell'ottava, della quarta e della quinta. E poi si poneva lo stesso problema che abbiamo gi enunciato. Volendo disporre di una maggiore articolazione della scala, riflessione teorica e pratica musicale sembrano fino ad un certo punto incontrarsi sull'impiego degli intervalli "sinfonici" al fine di ottenere intervalli validi. Eccoci dunque a maneggiare con la lira realizzando un'accordatura per rapporti consonantici, e lasciando da parte medie e cicli. Ma fino a che punto lasciamo veramente da parte tutto ci? Effettivamente nell'accordare lo strumento non si fanno calcoli, ma le procedure messe in campo potrebbero essere considerate come una sorta di loro equivalente. 419

E appena il caso di dire che le pratiche di accordatura - e facciamo qui riferimento soltanto agli strumenti a corda - furono molteplici ed anche orientate secondo finalit differenti. Intanto il numero di corde della lira aument nel tempo - quattro, sette, otto ed ancor pi; ma anche gli schemi melodici prevalenti nelle diverse occasioni poterono giocarono un ruolo nel determinare questo o quel modo di accordare lo strumento. Tuttavia se supponiamo di dover accordare una lira ad otto corde, possiamo, sulla base delle considerazioni fin qui compiute, farne oggetto di un ragionamento puramente teorico che comunque raggiunge lo scopo pratico dellaccordatura voluta. Che poi quella della scala pitagorica TTSTTTS nella forma discendente or ora illustrata. Per chiarezza, e dal momento che non reca alcun danno, ci serviremo dei nomi delle nostre note e del modo di mi. Risulta subito piuttosto naturale scegliere le due corde estreme, luna destra e laltra a sinistra, come delimitanti lottava: supponiamo che quella di sinistra debba essere la nota di riferimento pi grave (I) (mi), la accorderemo secondo le nostre esigenze e si potr subito accordare la nota pi a destra in ottava acuta rispetto ad essa (VIII) (mi). Limpalcatura fondamentale dellottava subito ottenuta perch potr accordare la quinta corda dalla I in intervallo di quinta ascendente con essa (si) e la quinta corda dalla VIII in intervallo di quinta discendente (la) ottenendo cos le due consonanze fondamentali di quarta e di quinta. Ora, avendo a disposizione otto corde non possiamo certo procedere per quinte successive e compiere riduzioni di ottava, ma dobbiamo stare sempre allinterno dellottava che

abbiamo gi individuato. Cosicch ci rammentiamo di un dato di un dato teorico di particolare importanza che quella della complementarit degli intervalli di quarta e quinta nellottava, cosa che stabilisce una equivalenza tra quinta ascendente e quarta discendente e inversamente. La nostra intenzione inoltre quella di costruire un modo di mi, e cio la struttura TTSTTTS letta dallacuto al grave. Assumiamo dunque come inizio la quinta discendente dallottava acuta e poi la quarta ascendente iterando quinta e quarta secondo il seguente schema. Il percorso dellaccordatura indicato dallandamento delle frecce.

QUARTE

V IV

VIII
INIZIO

QUINTE

420

Le lettere alfabetiche a, b, c, d indicano i passi successivi che andiamo facendo, quindi l'ordine con cui le diverse posizioni sono acquisite. La posizione a quella acquisita per prima (re), poi la posizione b (sol), quindi la posizione c (do) e infine la posizione d (fa). Se invece consideriamo le note - assumendo lottava che inizia con mi (sui tasti bianchi, per intenderci) avremo appunto la scala corrispondente, beninteso con le grandezze intervallari pitagoriche. (Qualcuno potrebbe chiedere: e se avessi cominciato da V a partire da I (cio in direzione ascendente), invertendo lalternanza tra quarta e quinta - ovvero alternando quinta ascendente con quarta discendente? Ebbene: essendo il primo grado do, il risultato sarebbe indubbiamente la nostra scala di do maggiore). Abbiamo cos indicato uno dei possibili modi di accordare la lira; ma abbiamo anche nello stesso tempo compiuto musicalmente (o almeno uditivamente) qualcosa di assai simile al percorso calcolistico che abbiamo prima accuratamente descritto. Si tratta propriamente del metodo di accordatura talvolta chiamato del "su e gi". Naturalmente nelle poche righe che precedono non stiamo letteralmente insegnando ad accordare la lira, ma stiamo in qualche modo imparando a ragionare su simili argomenti, mostrando un nuovo nodo che congiunge pratica musicale, speculazione teorica e speculazione aritmetica. Lo schema di accordatura proposto contiene tutti i problemi teorici di cui ci stiamo occupando. Ma anche - questo un punto importantissimo - li presuppone. Perch un punto deve essere chiaro: la scala dedotta dalle medie non certo l'unica scala musicalmente possibile e nemmeno l'unica musicalmente interessante. Non lo era nemmeno per la musica greca e per la sua teoria. Molte sono ancora le riflessioni che dovremo fare intorno ad essa ed al di l di essa. La "validit" degli intervalli da cui abbiamo preso le mosse non un concetto generale di validit, ma un concetto particolare e relativo all'impostazione complessiva proposta ed ai suoi presupposti filosofici.

421

8.3 Eccessi del matematismo pitagorico


8.3.1 Il problema della consonanza di undicesima
Come abbiamo gi rilevato una "scala cromatica pitagorica" fatta di ventuno note non probabilmente mai esistita - mentre scale costruite sul modello pitagorico con aggiustamenti di vario genere ("temperamenti") fanno parte della tradizione medioevale e rinascimentale. Ci che ci ha spinto a dare alcune indicazioni anche a questo proposito soprattutto lo scopo di dare unillustrazione dei concetti di base - questi s, appartenenti alla tradizione del pitagorismo - ma anche, in particolare, trattando della costruzione della scala attraverso le medie ovvero attraverso il ciclo delle quinte, di fare intravvedere i punti di crisi del matematismo pitagorico. Questi punti non riguardano solo la questione del comma e le difficolt ad esso connesse, ma anche giudizi e valutazioni proiettate sul piano musicale sulla base di considerazioni di ordine puramente matematico. Nello spirito del pitagorismo lassenza di legittimazione matematica poteva ripercuotersi inesorabilmente sullo stesso concetto di consonanza, mettendo del tutto in sottordine qualunque "testimonianza della sensibilit". Vi in proposito un caso famoso che risale al pitagorismo pi antico e viene discusso per alcuni secoli fino a a Boezio e oltre. Noi abbiamo parlato delle consonanze riconosciute dai pitagorici facendo riferimento ad un'unica ottava. Ma in realt nella musica greca lo spazio ritenuto musicalmente valido era di due ottave, uno spazio piuttosto ristretto se pensiamo alle nostre consuetudini musicali, ma ben calibrato per le esigenze di una musica che, come in tutte le culture musicali delle origini, aveva nel canto il proprio riferimento principale . Ci spiega anche perch i pitagorici estesero la considerazione del rapporto consonantico a due ottave, e non ad una sola. Oltre l'udito, anche il ragionamento suggerirebbe che, essendo le note in ottava tanto consonanti tra loro da essere spesso confrontate con lunisono, gli intervalli di quarta e di quinta della seconda ottava fossero senz'altro da considerarsi consonanti con la nota grave della prima ottava. Si tratta degli intervalli che si usa chiamare oggi di undicesima e di dodicesima, rispettivamente ottava + quarta e ottava + quinta - come preferivano chiamarli i greci ee nel Medioevo (Barbera 1985, p. 191). 422

Ora, i pitagorici - potremmo aggiungere: con nostra meraviglia - ammisero subito il carattere consonante della dodicesima, ma non quello dell'undicesima. La meraviglia tuttavia , almeno in parte, fuori luogo. Una ragione c'era, molto semplice e puramente aritmetica. La teoria dei rapporti consonantici fondamentali riteneva accertato che i rapporti consonantici dovessero ricadere in uno di questi due casi 1. rapporti intervallari multipli 2. rapporti intervallari epimori Ora l'intervallo di dodicesima non era altro che l'ottava acuta della quinta dell'ottava grave, cosicch essa era caratterizzata dal numero (3/2)*2 = 3. Si trattava dunque di un numero multiplo. Ora se noi facciamo lottava della quarta, dobbiamo moltiplicare 4/3 * 2 ed otteniamo 8/3. La frazione irriducibile. Il rapporto non n multiplo n epimorio. E contiene per di pi l8 che (forse) non ha niente a che vedere con la tetractys.

423

8.3.2 La soluzione di Tolomeo e quella di Gaudenzio


Naturalmente siamo di fronte a posizioni pregiudiziali ed a ragionamenti falsi. Della questione si continua a dibattere dentro e fuori del pitagorismo, nell'ambito della teoria musicale greca in genere. Una simile posizione nei confronti della undicesima viene ancora confermata in Boezio (De musica, II,Barbera 193 nota 6) proprio per il fatto che il rapporto aritmetico apparteneva al caso dei rapporti superpartientes che, nella terminologia medioevale, indicava un rapporto tra numeri in cui il maggiore supera il minore pi di una sua parte, a differenza del rapporto epimorio in cui il maggiore supera il minore di una sola sua parte. Questa posizione Boezio la trae presumibilmente dalla Aritmetica di Nicomaco di cui egli fece una traduzione latina. Ma una simile violenza fatta a quello che era anzitutto un dato di fatto uditivo certamente non incontrava il favore di tutti i teorici pitagorici - nonostante la pronunciata tendenza allastrazione. Essa venne considerata anche come un punto critico che minacciava limpostazione teorica fondamentale. Si cerc dunque di vedere se quella impostazione teorica poteva essere riconsiderata da una angolatura tale da poter includere anche la cosiddetta undicesima. Due tentativi sono soprattutto degni di nota. Largomento fu ripreso dal grande Claudio Tolomeo (II sec. d. C.), autore anchegli di unArmonica che rappresenta una sintesi fondamentale della teoria musicale greca, in cui la componente pitagorica ancora fortemente presente. 424

A difesa del carattere consonantico della undicesima, Tolomeo osserva che In generale la consonanza dell'ottava... quando viene aggiunta ad un altro intervallo preserva inalterata la forma di quell'intervallo (I,13 - 1.6. Tolomeo, 2002, p. 111). Ci corrisponde alla nostra osservazione iniziale intorno al problema ed in fondo potrebbe essere considerata come una osservazione di logica della percezione - se possiamo esprimerci cos. Questa osservazione viene in qualche modo rafforzata con una analogia aritmetica: cos fa il dieci che sommato, ad es. a 2, mantiene il 2 nel 12. Analogia un po' stravagante, ma certamente di gusto pitagorico. La spiegazione pi brillante che riesce a includere lundicesima tra le consonanze ci viene tuttavia dall Introduzione Armonica di Gaudenzio (III o IV sec. d. C.). Di essa possiamo venire a capo facilmente utilizzando la nostra consueta rappresentazione lineare estesa tuttavia su due ottave.

6
Tenendo fermo il 24 come primo termine del rapporto, esattamente come in precedenza il 12, scendendo verso i rapporti successivi si ottengono tutti i punti di consonanza, fra i quali vi anche l'undicesima.

12

16

18

24

24 : 18 = quarta4/3 24 : 16 = quinta3/2 24 : 12 = ottava2/1 24 : 9 = undicesima8/3 24 : 8 = dodicesima3 24 : 6 = doppia ottava4

Il punto indicato da 9 era gi stato acquisito come quarta allinterno dellottava (0,12). Ora lo stesso punto che viene mostrato come consonanza ottava+quarta nella doppia ottava (0,24). 24 : 9 rappresenta un anello necessario nella struttura delle consonanze distribuite su due ottave.

425

Ci si pu chiedere se la soluzione di Gaudenzio, che peraltro noi presentiamo secondo l'idea della "linearizzazione" dell'intervallo e dunque nel quadro della nostra interpretazione complessiva, sia da considerare conforme al punto di vista pitagorico oppure un momento importante della sua crisi. L'opera di questo teorico - il cui profilo del tutto sconosciuto - ha in effetti una singolare particolarit: la prima parte del suo trattato Introduzione all'armonica (1990) ha un'impostazione tutt'altro che pitagorica, ma propende nettamente nettamente verso la rivalutazione dell'elemento sensibile che , come vedremo tra breve, una caratteristica eminente della scuola aristossenica. Cosicch nella parte aristossenica del suo trattato (capp. 1-9), noi leggiamo che solo attraverso l'udito che si riconosce consonanza e dissonanza, e la ragione non aiuta in simili giudizi (Barbera, 1985, p. 206). Ma poco oltre il tono dell'opera cambia completamente - assumendo uninclinazione fortemente pitagorizzante. Il racconto del fabbro armonioso viene ripreso secondo tradizione e cos anche i valori basilari della struttura consonantica pitagorica. L'imbarazzo dell'interpretazione in certo senso cresce proprio di fronte alla sistemazione del problema della diapason+diatessaron. Cos mentre da un lato questa proposta viene fatta nel cuore di unesposi-

zione che accetta in buona sostanza i valori pitagorici, dallaltro essa sembra ad alcuni segnare una netta crisi della visione pitagorica. Secondo Barbera questo modo di ammettere lundicesima corrisponde ad una vera e propria abrogazione della vecchia regola pitagorica che riguarda le ragioni multiple e superparticolari... Ammettendo lundicesima nella categoria della consonanza, Gaudenzio evidentemente riconosce il fatto empirico della consonanza di undicesima...La caratterizzazione di questa consonanza come 24/9 indica lo spostamento delle ragioni numeriche da cause a metafore nellarmonica pitagorica (1985, pp. 206-207). Anche su questo punto, Gaudenzio farebbe dunque prevalere nettamente lempirismo aristossenico (e aristotelico) di fronte al razionalismo pitagorico (e platonico): Gaudenzio mira ad uninformazione esauriente piuttosto che a una sintesi; il suo scopo non sistemare organicamente e coerentemente la materia... ma presentare ci che ormai acquisito in modo definitivo. In questa prospettivasi inquadra anche lespo426

sizione dei valori numerici concernenti i rapporti fra i suoni : essi non sono pi il manifestarsi nella realt della legge dellarmonia universale... sono semplici dati di fatto nei quali ci si pu anche imbattere occupandosi di strumenti (Zanoncelli, 1990). A mio avviso, per quanto riguarda l'undicesima, si pu concordare su queste valutazioni soltanto in parte, e precisamente per la parte che riguarda l'evidenza sensibile della consonanza in questione. Nelle affermazioni citate invece sembra che il punto realmente critico sia il superamento del quaternario, con la filosofia ad essa connessa. Su questo punto io credo che si possa discutere per due ordini di ragioni: come sempre, in questo genere di questioni i numeri sono pi elastici di quanto si potrebbe pensare. L'infrazione al quaternario si potrebbe ridurre a ben poco se si tiene conto che il numero otto il doppio di quattro (ovvero 23)! Cosicch le frazioni della tabella della doppia ottava di Gaudenzio possono essere ridotte ai minimi termini mostrando di contenere soltanto i numeri da 1 a 4. La filosofia dell'armonia fondata sulla tetrade viene cos in certo senso appena ritoccata. Si deve in fin dei conti ricorrere soltanto ad un aggiustamento ragionevole e conforme del resto allabito mentale del pitagorismo. La ragione pi importante che ci suggerisce di manifestare qualche dubbio consistente su quelle citazioni sta

nella presentazione diagrammatica della doppia ottava secondo i criteri che abbiamo in precedenza illustrato e che rimandano alle pratiche monocordiste. Si tratta di unangolatura della cui possibilit nelle osservazioni precedenti non si tiene conto: ed in essa si mostra la stretta coerenza del modo di argomentare di Gaudenzio con il pitagorismo, nonostante la diversa conclusione a cui si perviene. Ci non toglie che sia la rigidit della posizione antica, che anteponeva nettamente l'elemento matematico a quello uditivo, sia i tentativi pi recenti che tentano di porre riparo alla violenza razionalistica sull'empiria caratterizzino questo problema, apparentemente minimo, come una difficolt interna nell'ambito del pitagorismo, in cui comincia a mostrarsi che l'elemento "razionale" e l'elemento "sensibile" stentano a convivere l'uno con l'altro.

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8.3.3 I tentativi di costruire scale con rapporti epimori


Sotto il tema degli eccessi del matematismo della tendenza pitagorica, che bada pi al versante dell'impianto teorico che alle problematiche sorgenti dalla pratica musicale, credo che debbano essere inscritti anche i vari tentativi compiuti dai pitagorici, ma forse dovremmo dire pi in generale dai teorici greci, di escogitare scale sulla base del criterio del rapporto epimorio. Vi a questo proposito una singolarit che merita di essere segnalata. La tendenza matematizzante - con le sue istanze di perfezione, di unicit e di assolutezza - in luogo di promuovere la rigidit, stimola invece ad una ricerca che produttiva di una grande variet di sistemi scalari. L'obiettivo sempre quello: trovare il sistema di intervalli migliore, la scala perfetta o meglio quella che pi si avvicina ad una scala che possa essere chiamata cos. Dal medioevo in poi fino a tempi relativamente recenti si ritenuto di poter trovare la scala migliore modificando un modello sostanzialmente unitario: sorge cos la tematica dei temperamenti che in certe epoche sembra diventare una vera e propria ossessione. Il punto di arrivo di questa ricerca, che sembra mettere fine a questa ossessione, il sistema equalizzato in dodici semitoni considerato appunto, dai pi, come la migliore soluzione (di compromesso, come si legge nei manuali e come io non mi sentirei di ripetere). Solo in tempi recenti o recentissimi, e non senza limpulso dellinformatica musicale e di programmi che rendono agevole la sperimentazione sui modelli scalari pi diversi, si riaperto un interesse in questa direzione. Nel caso della teoria greca, invece la nozione di temperamento non trova nessuna applicazione; beninteso si continuata a cercare la scala migliore, ma come una ricerca che non aveva un principio o un modello fondamentale da "temperare" bens sulla base di diversi principi e criteri informatori, dando luogo alla proposta di una quantit veramente notevole di sistemi intervallari. La rigidit degli inizi, con le consonanze fissate come pilastri inamovibili, le ipotesi matematiche e i calcoli conseguenti per legittimare i sistemi intervallari proposti hanno in certo senso sortito l'opposto effetto di squadernarci di fronte una tale variet di sistemi da essere del tutto impensabile 428

nel quadro del pensiero musicale europeo successivo. Spesso naturalmente si trattava di sistemi scalari che non avevano alcun impiego reale e che erano pure escogitazioni teoriche. In effetti non siamo in grado di valutare se le proposte teoriche di cui abbiamo notizia avessero riscontro nella pratica musicale. Tuttavia il fatto che il teorico non esitasse ad avventurarsi in proposte dei sistemi pi diversi ci fa pensare che lo stesso musicista praticonon si sentisse affatto troppo vincolato dal punto di vista della grandezza degli intervalli - seguendo il proprio estro musicale, come fa ancora oggi un musicista indiano o orientale in genere. Questa mobilit del resto fa parte della teoria dei generi che rappresenta il punto culminante della teoria e della pratica musicale greca. bene sottolineare vivacemente che lidea di un unico tipo di scala come scala che possa pretendere validit assoluta si fa strada solo nella tarda grecit, e proprio nel quadro della crisi della teoria dei generi e nel progressivo prevalere del genere diatonico sugli altri. Nel Medioevo si cess completamente di comprendere il meccanismo dei tetracordi e delle note fisse o mobili, tanto pi che si era presa labitudine di considerare tutto secondo il genere diatonico (Chailley, 1979, p. 44) Abbiamo gi notato a suo tempo che i pitagorici furono colpiti dalla forma dei rapporti rappresentativi delle consonanze elementari. In particolare furono colpiti dal fatto che l'intervallo centrale immediatamente legittimato dalla suddivisione dell'ottava fosse a sua volta caratterizzato, come le consonanze, da un rapporto epimorio. Naturalmente due note a distanza di un tono non sono consonanti, al contrario, sono fortemente dissonanti. Ma una volta risolto il problema delle consonanze, si trattava di trovare una suddivisione dell'ottava che potesse essere considerata musicalmente coerente e i cui elementi potessero essere connessi l'un l'altro secondo la massima coesione - potremmo dire "amonicamente", secondo l'accezione originaria del termine di armonia che abbiamo spiegato a suo tempo. Nella proposta di nuovi modelli scalari spesso presente l'intento che la maggior parte degli intervalli e possibilmente tutti gli intervalli siano fondati su rapporti epimori.Questo risultato fu ottenuto da Tolomeo (Scienza Armonica 1.16, Tolomeo 2002) che riesce non solo a realizzare una scala interamente fatto di rapporti epimori, ma anche a inanellarli gli uni agli altri con scambi tra numeratore e denominatore. Ne risulta il seguente sistema intervallare

10/9 11/10 12/11 9/8 10/9 11/10 12/11


ovvero, in cents

183, 165, 149, 204, 183, 165, 149


429

Si noter che il tono di disgiunzione resta fissato a 9/8, come giusto che sia. In generale, nella variet di scale proposte questo tono resta costante, perch esso garantisce la posizione dellintervallo di quarta e di quinta. Un otttimo commento a questa particolare scala di Tolomeo, come alle altre da lui proposte, si trova nelledizione di Tolomeo curata da Massimo Raffa (Tolomeo, 2002, p. 362). Pi di uno studioso mostra le proprie perplessit di fronte a scale come queste. Chailley, ad esempio, le qualifica come vane speculazioni e scrive perentoriamente: Tout cela prsente lapparence trop visible de jonglerie numriques sans valeur musicale relle (Chailley,1979, p. 35); lo stesso autore rammenta che secondo Reinach, nonostante il suo apprezzamento per questi tentativi, la scala epimoria di Tolomeo una mostruosit armonica. Io credo che in effetti gli intervalli in rapporti epimori possano essere citati come eccessi della tendenza matematizzante caratteristica soprattutto della direzione pitagorico-platonica, ma anche generalmente diffusa in misura maggiore o minore tra i teorici greci della musica. Detto questo, commenti come quelli di Chailley e di Reinach mi appaiono appaiono alquanto fuorvianti. Lespressione jonglerie significa gioco nel senso dei giochi che fa il giocoliere. Giochi di abilit, giochi di prestigio. E fondamentalmente inutili e superflui: speculazioni vane, appunto. Ora difficile sostenere che nella musica la jonglerie non abbia proprio nessun posto. Baster notare che in fin dei conti ci vale persino per la matematica. Il gioco in essa ha una parte importante. Un gioco serio, si intende: ma che fa parte comunque, per certi versi, della jonglerie, e dunque dellabilit del giocoliere. Nello stesso tempo bisogna anche badare alle intenzioni pi o meno nascoste di chi fa queste obiezioni. Esse infatti possono essere compiute da punti di vista diversi, e talvolta da un punto di vista che ricorda proprio il pitagorismo: lerrore che verrebbe qui rimproverato non sarebbe tanto di gingillarsi con la matematica, ma di far dimenticare che esisterebbe un ordine musicale intrinseco, e di farlo dimenticare proprio con questi gingilli. Potremmo insomma essere di fronte ad un paradossale rovesciamento della situazione. Un matematismo che ci porta alla produzione di una grande molteplicit di modelli scalari e di articolazioni intervallari rischia di minare lidea di un fondamento assoluto e necessario che richiede al contrario, almeno idealmente, un unico sistema scalare realmente valido. Vi perci il timore pi o meno nascosto che proprio una simile tendenza matematizzante - in certo modo contro le proprie giustificazioni primarie - faccia precipitare le regole della musica nellarbitrariet. Credo che questo sia il caso di Chailley, il quale, tra laltro simpatizza per Aristosseno e dunque, come vedremo, per struttura scalari molto libere. Di qui gli deriva lostilit per il pitagorismo e per le tendenze matematizzanti in genere. Cionostante egli anche convinto fautore di una storia naturale, fondata sulla successione degli armonici, della scalarit europea culminante nel linguaggio tonale. Per Chailley erasicuramente una jonglerie anche la dodecafonia schoenberghiana (e forse non lo era?). 430

9. Il tetracordo
9.1 Il tetracordo come spazio sonoro fondamentale 9.2 Il tetracordo diatonico di Filolao 9.3I nomi delle note

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9.1 Il tetracordo come spazio sonoro fondamentale


Abbiamo fin dall'inizio reso avvertito il lettore che ci che abbiamo chiamato "scala pitagorica" in realt la scala dominante nella tarda grecit e tramandata come tale nel Medioevo fino all'et moderna. Ma se andiamo alla realt della teoria greca dobbiamo cosiderare questa scala all'interno di una visione che fa del tetracordo, e quindi nellintervallo di quarta, l'unit musicale di base e che differenzia i tetracordi per generi. Questa circostanza cambia interamente il quadro entro cui debbono essere ripensate le considerazioni precedenti. Nel caso della musica greca l'ottava non rappresenta, come per noi, l'unit compiuta dello spazio sonoro. La stessa nota apre e chiude il percorso scalare e, nel linguaggio tonale, essa avr carattere di nota fondamentale del brano - di "tonica". Invece l'intervallo alla luce del quale deve essere intesa l'articolazione dello spazio sonoro nella teoria e nella musica greca l'intervallo di quarta. l'articolazione del tetracodo che sta alla base dellarticolazione dell'ottava. Di conseguenza quando per i motivi pi diversi, si escogitano scale, ci avviene unicamente sullunit tetracordale; ed analogamente la differenza del genere tutta giocata sulla differenza dei tetracordi. 433

La ragione che normalmente i teorici greci richiamano per giustificare questo punto il fatto che gli estremi dello spazio tetracordale costituiscono la consonanza minima allinterno dellottava, ma naturalmente questa motivazione non pu fornire una vera e propria ragione oggettiva di questa scelta. A mio avviso, ci imbattiamo qui in un esempio di scelta espressiva realizzata gi a livello di organizzazione elementare dello spazio sonoro. Il suo interesse sta anche nel fatto che sulla sua base si pu fornire unillustrazione notevole della diversa "intenzionalit" con cui la stessa struttura oggettiva (l'ottava) pu essere soggettivamente considerata (intesa). Per spiegarci possiamo anche prescindere momentaneamente da fatti acustici e musicali e fare riferimento all'ambito visivo considerando i nostri simboli T ed S come pure strutture figurali, piuttosto che come segni indicativi di intervalli e di note conseguenti. E potremmo tentare di vedere nella sequenza di T e S una T centrale, frapposta tra sequenze di egual struttura.

434

Diamo cos evidenza a quello che gi a suo tempo abbiamo chiamato tono di disgiunzione ed in questa articolazione scalare ci rendiamo conto che questo tono pu essere inteso come un intervallo che separa due tetracordi perfettamente eguali di struttura. L'ottava compare qui formata da due tetracordi disgiunti: essi non hanno nessuna nota in comune. In questo caso l'ottava ancora importante e i due tetracordi si propongono come suoi elementi costitutivi. Ma si vede subito che vi un'altra possibilit: i due tetracordi posssono essere congiunti, e cio avere una nota in comune. In tal caso naturalmente avremo a che fare con sette note, e non con otto. Le due note limitanti lo spazio sonoro globale non saranno in rapporto di ottava.

Peraltro nei Problemi musicali dello pseudo Aristotele si afferma (Problema n. 32 - Aristotele, 1957, p.55) che il musicista Terpandro tolse la terza nota aggiungendo invece lottava: le corde restavano cos sette, ma con la chiusura dellottava, volendo nello stesso tempo fornire anche una spiegazione al fatto che lottava, invece di chiamarsi diaocto in analogia con diatessaron e diapente, si chiamava invece diapason - richiamandosi genericamente a tutte le note che in effetti restavano sette. Perch lottava detta diapason e non diaocto in relazione al numero delle corde, nello stesso modo che si dice diatessaron la quarta e diapente la quinta? Non forse perch originariamente le corde erano sette? Pi tardi Terpandro, tolta la trite, aggiunse la nete e in base a questo si disse diapason e e non diaocto, perch lintervallo era una diaepta Naturalmente una simile modificazione di Terpandro non era affatto innocua per la struttura della scala e per la sua logica interna ed lecito pensare che essa rimase una peculiarit tutta sua o comunque caratteristica di particolari stili melodici. In ogni caso il tetracordo congiunto si ricollega alla fase della lira a sette corde che sembra appartenere ad una fase arcaica, mentre la lira a otto corde viene talora riferita a Pitagora stesso. 435

Converr infine menzionare la possibile articolazione dell'ottocordo in tetracordo+pentacordo ovvero in pentacordo + tetracordo

pentacordo

tetracordo

tetracordo

pentacordo

Sarebbe un grave errore considerare queste possibilit unicamente come partizioni formali - cosa che anche sono: dal punto di vista teorico-musicale quando giungiamo a porre problemi come questi ci troviamo in realt gi sul terreno di diversi modi di intendere strutture date, e quindi sul terreno delle potenzialit espressive e delle alternative possibili che essere offrono sul piano dell'espressione musicale. In altri termini queste partizioni sono interessanti in quanto sono collegate alla struttura del melos, e quindi destinate ad essere "sentite" sul piano uditivo, a diventare strutture fenomenologiche percepibili. Nell'elaborazione successiva del problema ci renderemo meglio conto che questa articolazione tetracordale la grande intuizione formale e musicale della musica greca. Essa verr sviluppata nella teoria dei generi che rappresenta il cuore della sua teoria: la grande novit (rispetto alla musica futura!) della musica greca.

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9.2 Il tetracordo diatonico di Filolao


La scala che abbiamo chiamato "pitagorica" compare documentata per la prima volta nel libro di Filolao De Natura (Fr. 6a) e, in conformit con il principio tetracordale, la sua costruzione viene proposta realizzando un unico tetracordo che verr poi ripetuto dopo il tono di disgiunzione. In realt nella descrizione di Filolao appare chiaro che l'ottava costituita da una quarta ed una quinta, ma che pu essere intesa sia come un'associazione di due quarte separate dal tono di disgiunzione, relativamente ad una scala di otto note, sia di due quarte congiunte relativamente ad una scala di sette note. La procedura che mette in atto per la sua derivazione non viene resa esplicita, ma si pu ipotizzare che Filolao, in conformit con il principio tetracordale, si limiti a costruire un solo tetracordo semplicemente ottenendo il tono di 9/8 per "sottrazione" della quarta dalla quinta e usando questo stesso intervallo di base anche per dividere il tetracordo, ovvero mettendo due toni in successione e ottenendo, come sappiamo, un resto rispetto all'intervallo di quarta. Non si sa peraltro se il valore del limma (che Filolao chiama diesis) fosse da lui realmente calcolato, e come. Si ipotizza comunque che disponesse di mezzi e di procedure che rendevano possibile questo calcolo (cfr. Huffman, 1993, p. 164). Credo che si avverta in questo caso molto chiaramente la portata e il senso del fare del tetracordo l'unit essenziale dello spazio sonoro. La struttura di base dellottava che ne risulta - la suddivisione TTS del tetracordo e il suo raddoppio al di l del tono di disgiunzione - fa pensare che per lintroduzione della scala pitagorica il ricorso alla tematica delle medie o al ciclo delle quinte faccia parte di una fase evoluta e che invece, in una fase pi antica, il problema si riducesse ad una ripetizione dell'intervallo di tono all'interno dell'intervallo di quarta. 437

La divisione dell'ottava ottenuta non gi con il 'ciclo delle quinte', ma proiettando il tono 8/9 all'interno della quarta, forse il metodo pi antico usato dai pitagorici e in certo modo il pi caratteristico. Esso usa i principi inerenti agli inizi della serie degli interi in modo pi economico di ogni altro (Crocker, 1963, p. 197) Non solo: questa partizione della scala non va considerata come scala pitagorica tout court, convenzione a cui ci siamo adattati in precedenza per opportunit espositiva, ma piuttosto come una delle scale appartenenti al genere diatonico proposta nellambito del pitagorismo. Questo motivo si arricchir naturalmente considerando il problema dei generi. Va infine almeno rammentato di sfuggita che questo stesso tetracordo, in forma coperta, presente in Platone (Timeo 34 b10) a proposito dei rapporti tra le parti che il demiurgo assegna allanima del mondo. In forma coperta, per il fatto che questi rapporti corrispondono a quelli del tetracordo di Filolao, ma lorigine musicale del problema non viene menzionata. (Una bella discussione della questione contenuta in Huffman, 1993, p. 149 sgg.).

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9.3I nomi delle note


Abbiamo gi notato che il prestare attenzione alla terminologia greca tutt'altro che una pedanteria, ma nella maggior parte dei casi ci apre le porte ad aspetti concettuali e relazionali a volte inattesi. Di qui in avanti dovremo tener in conto maggiore questa problematica nella quale in precedenza ci siamo del resto gi imbattuti pi di una volta. Le note che costituiscono i due tetracordi che formano l'ottocordo o l'eptacordo hanno naturalmente dei nomi che vogliamo cominciare con l'introdurre. Anzitutto, per intenderci, chiamiamo tetracordo superiore il tetracordo che sta all'acuto e tetracordo inferiore quello che sta nella sezione grave. La nota pi acuta si chiama nete, la nota pi grave hypate. Le note prossima all'una ed all'altra prendono nome dalla loro posizione: quella successiva alla nete, paranete - ovvero nota vicina alla nete; quella che precede l'hypate, parhypate - ovvero nota vicina all'hypate. Nel caso dell'ottocordo abbiamo agli estremi dell'intervallo di disgiunzione la mese e come nota precedente la paramese - ed anche questi nomi sono palesemente nomi di posizione poich mese significa ci che sta al centro e paramese nota prossima alla mese. Restano da nominare la terza nota del tetracordo superiore che si chiama trite con significato ovvio del termine, e la seconda del tetracordo inferiore che viene chiama lichanos - un termine questo che ha invece bisogno di essere spiegato. Nel caso delleptacordo, la questione del nome delle note (e delle note corrispondenti) di fatto un po pi complessa ed anche pi confusa sotto il profilo storico. Qui ci limiteremo ad osservare che, almenoin via di principio, la mese sta letteralmente al centro delleptacordo essendo le note in numero dispari. Ma per il momento prescindiamo dalle vicende delleptacordo e ci limitiamo a proporre lo schema precedente aggiungendovi i nomi delle note:

nete

paranete

trite

paramese
439

mese

lichanos parhypate hypate

Come abbiamo gi sottolineato la struttura in questione da considerarsi discendente e la mese sar rappresentata dalla nota La (440 Hz) se si assume come ottava quella che va dal mi acuto al mi grave nella regione media del nostro pianoforte. Si rammenti comunque che le vere altezze sonore sono per forza di cose sconosciute, e la nostra abitudine a chiamare il centro la convenzionale se non arbitraria. Questo centro sembra infatti essere piuttosto alto... ma per altro verso pratico giacch ci permette di trascrivere le antiche melodie con il minimo di diesis e di bemolle (Sachs, 1943, p. 203) Veniamo ora al nome delle note nete, mese e hypate. Chiunque consulti un dizionario di greco non potr non sorprendersi per via di una circostanza realmente singolare. Nete, come abbiamo osservato, rappresenta la nota pi acuta dell'ottava, ma il suo senso rimanda al "sotto" ed al "basso" piuttosto che all'"acuto" ed all'"alto". L'inverso vale per l'hypate, nota pi grave, ma che letteralmente rimanda all' alto e al sopra piuttosto che al grave ed al basso. Inoltre nell'ottocordo non vi pu essere nota letteralmente centrale. Il nome mese sarebbe realmente appropriato soltanto in rapporto ad un doppio tetracordo congiunto - e quindi ad un eptacordo. Cos neiProblemi dello pseudo-Aristotele (1957, p. 49), oss. 25 e 44 si avanza l'ipotesi che il nome di mese non sia altro che un ricordo della lira a sette corde: Perch nella scala la mese ha questo nome per quanto non sia nel mezzo delle otto note? Perch in antico la scala era costituita di sette corde: e il sette ha un mezzo. Si tratta soltanto di una sopravvivenza oppure vi qualcosa di pi profondo da capire? Ecco alcuni dei punti interrogativi che ad alcuni sembreranno inappariscenti, ma che invece aprono una discussione tutt'altro che priva di interesse da vari punti di vista. Intanto vi questa discrepanza, che un vero e proprio capovolgimento di senso, tra i nomi e la cosa stessa - e di ci vi deve essere una qualche spiegazione. Diciamo subito che abbandoniamo al loro destino coloro che ritengono di potersi servire di questo strano caso come una prova eclatante che dimostrerebbe la validit di una posizione di relativismo variamente dosato con presupposti sociologizzanti, storicistici o semiologici. Secondo costoro qui non c nulla di strano e nulla da spiegare, perch le convenzioni arrivano dovunque - e su di esse non vi nulla da discutere. Se i greci sentivano come gravi i suoni che noi sentiamo come acuti e inversamente, ne dobbiamo prendere atto - e nulla pi. Anche la percezione soggiacerebbe ai relativismi socio-culturali. Del resto si anche sostenuto - e mi sembra che si tratti di una variante equivalente - che i greci udivano le loro 440

successioni sonore secondo un rapporto intervallare inverso! (Tanner, 1961, p. 41 sgg.). Che cosa accadrebbe, ad un greco antico, se si trovasse ad ascoltare la nostra musica, essendo vere simile concezioni, lo si pu immaginare. E va da s che noi non saremmo assolutamente in grado di afferrare le melodie greche che ci sono rimaste perch risulterebbero del tutto snaturate dalle nostre diverse consuetudini uditive. Di opinioni come queste non terremo nessun conto e non ci attarderemo a discuterle. Ci limitiamo soltanto a segnalare, per quanto riguarda la differenza grave/acuto, che nei Problemi, n. 8, si trova una similitudine che dice tutto quel che si deve dire: Perch la nota grave rafforza il suono di quella acuta? Perch la grave maggiore: difatti simile ad un angolo ottuso mentre l'acuta simile ad un angolo acuto (Aristotele, 1957, p. 33). Le metafore utilizzate sono pi che sufficienti per stabilire che i greci percepivano le differenze del grave e dellacuto esattamente come noi. In realt, pi o meno consapevolmente, quelle concezioni rilevano, per di pi ingenuamente, assunzioni dellempirismo filosofico e spetta alla filosofia confutarle a quel livello (Piana, 1991, p. 225 sgg.). Sembra subito avere maggiore plausibilit lidea che questa inversione, poich non riguarda il fatto sonoro come tale, derivi piuttosto dalle tecniche strumentali, ed in particolare dalla disposizione delle corde di strumenti del tipo della lira, cetra e arpa. Si pensi al modo di emissione del suono di un violoncello ed alla pratica che lo strumentista mette in atto: le sue dita scorrono verso il basso quando le note vanno verso lacuto, in certo senso allontanandosi dallo strumentista, e inversamente. Cosicch si pu pensare che una tecnica di questo genere possa suggerire di chiamare basse le note alte, e alte le note basse. Ci sembra suggerire una buona spiegazione anche nel nostro caso se in qualche modo si potesse dimostrare che nella lira la nota pi acuta fosse pi bassa o comunque pi lontana dalle mani dello strumentista (nel senso che egli avrebbe dovuto per raggiungerla allungare il braccio) e la nota pi grave invece pi vicina. Questinterpretazione - sia pure in una certa variet di modi - ha avuto molta fortuna tra filologi e musicologi perch sembrava metter capo ad una soluzione fondata e di buon senso. Tuttavia nel 1984 uscito un lavoro di Frieder Zaminer proprio sullargomento di queste denominazioni che imposta lintero problema su basi interamente nuove, arricchendo la discussione di elementi in precedenza non sospettati. Questo lavoro (Zaminer, 1984, pp.1-26) merita di essere riassunto, sia pure brevemente, proprio per la ricchezza dei temi che ladozione di un diverso punto di vista e di un differente atteggiamento metodologico riesce a portare alla luce. 441

Dopo aver sottolineato che si tratta di denominazioni molto antiche di cui si trova gi traccia in Filolao almeno per quanto riguarda la nete, la trite e lhypate, si passa ad una critica stringente dellopinione prevalente secondo cui queste denominazioni avrebbero origine nella pratica strumentale. In realt vi pi di una ragione particolare per questa critica, ma a mio avviso vi anche un tema metodico di particolare importanza: la ricerca della soluzione del problema viene indirizzata senzaltro in un qualche dato di fatto che sembra ancorare la spiegazione ad elementi positivi, mentre si trascurano tutti quei fattori che potrebbero riportarlo allinterno di un contesto pi ampio di idee, di concezioni, di fantasie. In via di principio tutti questi tentativi di spiegazione soggiacciono al pregiudizio secondo cui entrambe queste espressioni tecniche derivino dalla prassi musicale, e precisamente dallassociazione comune con gli strumenti a corda come la lira, la cetra o larpa, come se fosse ovvio che la teoria del contesto armonico fosse orientata alla prassi, e quindi rimandasse a relazioni empiriche con strumenti reperiti a caso e traesse di qui i suoi primi concetti(p. 3) A partire da questo pregiudizio sembra ovvio che espressioni come nete, hypate e mese si riferiscano a corde, e questo riferimento viene rafforzato dalle designazioni delle altre note dell'ottava che indicano la prossimit all'una o all'altra corda (paranete, paramese) o la posizione (trite) o, a quanto sembra, ad una pratica d'uso della corda (lychanos). Ora Zaminer fa notare che queste circostanze non sono sufficienti a dare un effettivo fondamento all'interpretazione proposta e che le domande che si potrebbero proporre ne indebolirebbero ancor pi la portata. Che cosa sappiamo realmente del modo di suonare la lira? E perch uneventuale terminologia empirica derivata da quello strumento dovrebbe avere la prevalenza su ogni altra, e in particolare su questioni che non hanno direttamente a che fare con la pratica, ma con la teoria? E poi perch proprio la lira? Se si estende la considerazione ai cordofoni greci in genere e si osservano le disposizioni dello strumento rispetto allo strumentista nella vasaria greca si hanno le disposizioni pi varie: Se ci atteniamo alle rappresentazioni figurative antiche, gli strumenti a corda sono tenuti in modo molto differenziato: la forminx va dalla posizione verticale fino a quella orizzontale, la cetra si trova in posizione eretta oppure leggermente inclinata verso l'esterno, la lira fortemente inclinata in avanti e il barbitos inclinato obliquamente fino alla posizione orizzontale. Che queste posizioni 442

favoriscano o anche soltanto reandano possibile la formazione di un impiego verbale universalmente riconosciuto per l'hypate e la nete veramente difficile da sostenere. Si aggiunga che molto poco si sa su come le corde fossero ordinate secondo la loro altezza, dove ad esempio si trovasse la corda pi grave e quella pi acuta rispetto alla vista del suonatore (p. 5). Vi infine, insieme ad altre considerazioni pi minute, un singolare passo di Plutarco (Platonicae Quaestiones, 9.2) che afferma che lhypate nella lira si trova nella prima posizione pi elevata, mentre negli auloi essa nella ultima posizione pi bassa: affermazione, che qualunque cosa voglia dire letteralmente, indubbiamente sembra relativizzare la denominazione hypate e renderla indipendente dai rapporti con la pratica degli strumenti musicali (p. 6). La plausibilit delle obiezioni di Zaminer nei confronti dellopinione pi corrente mi sembra indubbia; ma tanto pi cresce il nostro interesse quanto pi egli si avvia a formulare le proprie ipotesi, che non solo ci portano lontano da tentativi di spiegazioni positive che risultano alla fine fortemente riduttive, ma che riescono a fare intravvedere, attraverso queste scelte terminologiche, un orizzonte di senso assai ampio. In effetti veniamo subito sbalzati dalle questioni di tecnica strumentale ai grandi problemi della concezione dell'universo e della relazione della musica con il sistema celeste. In effetti vi una relazione tra i nomi delle note e il sistema astronomico. Ecco uninteressante citazione tratta da Nicomaco di Gerasa (II sec. d. C): Probabilmente i nomi delle note risalgono ai sette pianeti che percorrendo il cielo ruotano attorno alla terra... Dal moto di Crono, che il pi alto rispetto a noi, fu chiamato hypate il suono pi grave dellottava, perch hypaton significa alto. La nete prende invece il nome dalla luna, il pi basso di tutti e il pi vicino alla terra, perch neton vuol dire basso. Dai pianeti che si trovano accanto a loro la parypate deriva il suo nome da Zeus, al di sotto di Crono, e la paranete da quello al di sopra della luna, cio Afrodite. La mese dal pianeta che si trova esattamente al centro, cio il sole, situato in quarta posizione a partire dal basso come dallalto; la mese dellantico eptacordo distava di un tetracordo dai due suoni estremi, cos come il sole, tra i sette pianeti, il quarto a partire da tutte e due le parti , e si trova in posizione assolutamente centrale. Ai due lati del sole, Ares che si colloca nella sfera tra Zeus ed il Sole ha dato nome alla ipermese o lichanos, ed Ermes in mezzo ad Afrodite ed al Sole, alla paramese. La mese prende invece nome dal movimento intermedio che proprio del sole che occupa la quarta posizione dalluno e dallaltro lato (Nicomaco, 1990, pp. 148-149).

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Il commento di Barker lapidario: Questo certamente sbagliato. Probabilmente le note hanno ricevuto il loro nome dalle corde o dalle dita usate per suonarle, essendo il significato di hypate molto lontano e il significato di nete molto vicino (Barker, 1989, p. 252). Noi seguiremo invece, anche se in modo non letterale in questo o quel dettaglio, la tesi di Zaminer e le sue congetture, facendo peraltro riferimento a questunico passo di Nicomaco con qualche precisazione preliminare. Intanto non staremo a discutere sulla posizione qui proposta dei corpi celesti, dove Venere-Afrodite viene posta subito al di sopra della Luna, mentre in altri autori questa posizione occupata da Mercurio e Venere segue ad esso. Scrive in proposito Luisa Zanoncelli: La collocazione di Venere prima di Mercurio corrisponde alla concezione di Posidonio.... Lordine di dei pianeti era stato variamente stabilito (v. Teone, p. 143 H) in base ai tempi della loro rivoluzione zodiacale (uguale per sole, Venere e Mercurio); la questione dei cosiddetti pianeti interni rest a lungo aperta e le soluzioni proposte per risolverlo erano molto complesse (v. Teone, p. 186 ss. H) (Zanoncelli, 1990. p. 186). evidente che questo non cambia nulla per quanto riguarda il senso del problema. Inoltre il rapporto tra la mese e il sole, oltrettutto cos ricco di portata simbolica, crea qualche imbarazzo in Nicomaco che precisa che tale concezione vale per leptacordo, ma non per lottocordo. Se consideriamo lottocordo come suddiviso in quinta+quarta nella direzione ascendente e discendente facile rendersi conto che la trite e la mese si scambiano le parti, non avendo n luna n laltra carattere di nota centrale. Nelluna direzione la quinta cade sulla mese, nellaltra sulla trite. Mese e trite sarebbero in questo caso toni medi allo stesso titolo e la loro denominazione volendo potrebbero essere scambiate, cosicch questi termini non avrebbero alcuna specificit rispetto ai loro significati (Zaminer, 1984, p. 14). Come subito vedremo, questo imbarazzo viene tolto di mezzo da una diversa interpretazione del problema. Occorre infine richiamare lattenzione sul fatto che, bench nel testo di Nicomaco si parli di movimento e ci si ricolleghi allarmonia delle sfere alla fine del paragrafo (Spiegher anche per quali cause noi non riusciamo a percepire questo cosmico simultaneo risuonare generatore - come riporta la tradizione - di un suono puro e armonioso), la questione va affrontata interamente in termini di posizione - evitando anche confusioni con la tematica del rapporto velocit-emissione del suono. 444

Il punto in cui ci discostiamo un poco da Zaminer sta nel fatto che il percorso che conduce alla tesi che egli propone pu essere con esemplare immediatezza illustrato dalla nostra tematica della linearizzazione dellintevallo, ovvero della corda considerata come rappresentativa di un segmento. Cos diremo subito che il problema deve, a nostro avviso essere considerato non gi dal punto di vista della posizione effettiva della corda (come traspare anche nella citazione di Nicomaco), ma dal punto di vista della posizione della mese nella sua proiezione in certo senso geometrica. Ci che importa, in questa designazione, non lintervallo come rapporto aritmetico che altrove ho chiamato intervallo intelligibile, ma lintervallo visibile (Piana, 2003). Vogliamo dunque ricollegarci senzaltro alla nostra esposizione precedente. Essa contiene gi sia limpostazione che la soluzione del problema.
nete trite mese hypate

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In questo diagramma la Mese occupa esattamente la posizione di centro rispetto al segmento (6,12). Questa stessa posizione in grado di rappresentare sia la quarta dall'hypate alla Mese (12,9), sia la quinta, dalla Mese alla Nete (9,6) essendo 12 : 9 = 4 : 3 e 9 : 6 = 3 : 2. Zaminer presenta esattamente lo stesso schema proponendolo in questa forma:

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Di qui risulta che il dimezzamento dellintervallo di ottava hypate-nete mediante la mese consiste nel dimezzamento della lunghezza della corda corrispondente allintervallo di ottava e che la denominazione mese - ed questo che sfuggito finora alla ricerca - legittimato soltanto da questo stato di cose (Zaminer, 1984, p. 15) Con ci anche risolto anche il problema della trite: bench nella direzione ascendente dallHypate alla Trite essa contrassegni un intervallo di quinta (12: 8 = 3 : 2)e dalla trite alla nete unintervallo di quarta (8:6= 4:3), essa non ha mai, rispetto al segmento rappresentativo dellottava, carattere di centro. difficile trovare uninterpretazione pi trasparente di questa. Giustamente anche in questa spiegazione Zaminer vede una conferma dellerrore di cercare spiegazioni per queste denominazioni unicamente nei dati di fatto della pratica strumentale (p. 14). In realt in questo caso abbiamo anzitutto a che fare con nomi che rimandano ad unelaborazione intellettuale geometrizzante dellintervallo di ottava piuttosto che con la posizione delle corde dello strumento. Non solo: dopo questi chiarimenti possiamo ritornare alla tematica annunciata dalla citazione di Nicomaco di Gerasa - alla relazione tra nomi delle note e organizzazione dell'universo astronomico - relazione che richiede passaggi analogici che hanno carattere ad un tempo scientifico e immaginativo. Per effettuare questi passaggi lo schema precedente relativo allo spazio di un'ottavanon ci porta allo scopo. Zaminer ricorre in effetti ad una rappresentazione analoga che riguarda tuttavia la doppia ottava fornendo una complessa spiegazione sulla quale eviteremo di riferire dal momento che possiamo operare una notevole semplificazione non facendo altro che raddoppiare il nostro schema (come abbiamo gi fatto in precedenza per altri scopi).

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Su questa doppia ottava dobbiamo riferire anzitutto i nomi delle note nete, mese e hypate facendo un ragionamento tipicamente monocordista. La corda di riferimento sar dunque (0,24) e dunque il nome mese andr naturalmente al suo centro, e cio sar assegnato il numero dodici. Altrettanto naturale sar lassegnazione della nete e dellhypate rispettivamente al numero 6 ed al numero 24, con riferimento ai segmenti (0, 6) e (0,24). Il punto 0 rappresenta il punto di aggancio (o il ponticello fisso sul lato sinistro). Nete Mese Hypate

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Con queste assegnazioni saremo in grado di effettuare un coerente coordinamento con il sistema di consonanze visibile sullo schema ed il sistema planetario. Lipotesi che attraversa tutto il pitagorismo che lordine armonico dei corpi celesti corrisponda ai rapportimusicali sinfonici, quindi ottava, quarta e quinta. Il modo di concepire luniverso da parte dei greci cambiato nel corso del tempo e talvolta differisce in autori di epoca vicina - ma ha anche ricevuto una certa stabilizzazione, naturalmente in et piuttosto tarda. Molte cose erano comunque gi note nelle fasi arcaiche del pensiero greco, anche a seguito delle conoscenze ereditate dalla civilt egiziana e babilonese; ed erano in circolazione diverse concezioni sulla struttura generale delluniverso, in particolare sulla posizione dei pianeti e sul loro movimento. In questa nostra discussione noi non dobbiamo impegnarci pi di tanto in problemi di astronomia antica perch le assunzioni che ci sono necessarie ai fini della sua impostazione sono realmente minime. Come abbiamo gi sottolineato, dobbiamo presupporre la sequenza degli astri vagabondi (pianeti) Luna, Venere, Mercurio, Sole, Marte, Giove, Saturno - che appunto lordine proposto da Nicomaco, avendo gi del resto chiarito che anche uno scambio di posizioni tra Mercurio e Venere non ha particolare importanza. Importante invece la concezione della terra come punto di aggancio del sistema. Il punto essenziale, che fa parte della proposta interpretativa di Zaminer quello di considerare la Terra a somiglianza del punto 0 di aggancio della corda. Si tratta di una plausibile analogia: come vi un punto fisso in cui la corda deve essere agganciata, cos il sistema dei corpi celesti pu essere concepito come agganciato alla terra, punto stabile della loro rotazione. 447

Rendendo operante questa similitudine la coordinazione tra il sistema di consonanze e corpi stellari e dunque la sinfonicit del cosmo diventa, vorrei quasi dire, evidente. In effetti lo schema precedente ora assume la forma seguente (cfr. Zaminer, 1989, p. 24):
Luna Venere

Terra

Mercurio

Sole

Marte

Giove

Saturno

nete

mese quarta quarta quinta

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hypate

24

quinta ottava

ottava

Da un lato si conferma lidea della nete come riferita al pianeta pi vicino e lhypate al pianeta pi lontano, dallaltro la posizione del sole rende naturale la sua associazione alla mese, trovandosi in quarta posizione sia rispetto a Luna, Venere, Mercurio da un lato, sia rispetto a Marte Giove e Saturno dallaltro - in questo senso, per quanto riguarda la posizione, il sole il centro stesso del sistema planetario in corrispondenza del centro del sistema armonico. Ma ci significa, come illustrato dal grafico, che prendendo come riferimento questo centro, le distanze musicali, come verrebbe voglia di dire, tra i corpi stellari comprendono secondo un preciso ordine le consonanze di quarta, di quinta e di ottava. La scala ben connessa, come lo luniverso stesso. 448

In questo contesto visionario il sistema planetario e il sistema delle consonanze ricevono attraverso questa correlazione dei fissi contorni. I pianeti vengono riferiti l'uno all'altro nel senso dei suoni consonantici e i suoni consonantici ricevono a loro volta un significato planetario (Zaminer, 1989, p. 25). Aggiungerei forse anche che qui siamo di fronte ad una singolare intuizione della centralit musicale del sole il che significa della centralit del sole per lordine delluniverso che in qualche modo associata alla centralit della terra come punto fisso: unintuizione che, per i tempi, non mi sembra di poco conto nemmeno da un punto di vista astronomico. Una breve osservazione integrativa mi sembra debba essere compiuta anche per la relazione di tutto ci con il tema dellarmonia delle sfere. evidente che una relazione c, anche se noi abbiamo sottolineato in precedenza che qui non in questione lemissione di suoni, e dunque il movimento dei pianeti, ma la loro posizione e la loro correlazione con i nomi delle note. Se si considera questa relazione sembrerebbe esservi incongruenza tra la relazione hypate-Saturno e nete/Luna perch secondo alcune concezioni Saturno sarebbe il pianeta pi veloce (e quindi capace di emettere il suono pi acuto) e la Luna il pianeta pi lento (e quindi capace di emettere il suono pi grave); ma anzich cercare di contrapporre altre concezioni che sostenevano linverso, sembra a me pi opportuno far notare che una ottava o una quinta resta unottava o una quinta, qualunque siano i pianeti interessati. In altri termini lintera impostazione non muterebbe di una virgola se lordine della velocit fosse crescente dalla Luna a Saturno o inversamente. Il problema dei nomi delle note non il problema dellarmonia delle sfere, ma non nemmeno in contrasto o in contraddizione con esso. Il suo tema essenziale , ancora una volta, quello di un accordo interno delluniverso. Questo tema si sviluppa atttraverso associazioni che si muovono tra limmaginario ed un livello scientifico ai suoi inizi. Ma bene rammentare che i greci sapevano benissimo distinguere tra una nota ed un corpo celeste come sappiamo farlo noi. Alla base delle correlazioni stabilite vi lidea che un ordine, e precisamente un ordine numerico, il che significa nello stesso tempo - anche questo occorre non dimenticarlo - lordine di una legge che governa luniverso: ora accaduto che un primo sintomo particolarmente significativo di questordine sia stato scoperto nella musica, e lo sia stato non come una circostanza di ordine particolare, ma al contrario come un sintomo che poteva prescindere dallempiria dei materiali e delle cose visibili per concernere il lato universale delle cose. Vi dunque un pensiero profondo che suggerisce di guardare in alto, al cosmo stesso, a partire dalla musica - e questa cosa diversa del guardare al mondo come un mondo fatto di musica. 449

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10 I generi

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10.1 Prima dei generi 10.2 I generi e le loro differenze 10.3 L'indicatore del genere

10.4 Lalterna vicenda dei generi 10.5 Il pyknon 10.6 La teoria dei generi e i tetracordi di Archita

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10.1 Prima dei generi


Abbiamo pi volte richiamato l'attenzione sul fatto che la teoria dei generi che caratterizza la teoria greca della musica in modo eminente, e conseguentemente tutte le nostre considerazioni precedenti debbono essere ripensate e ricomprese nel contesto loro proprio rappresentato da quella teoria. Il termine genere (genos) ha in realt un'origine logica - si tratta proprio della differenza tra genere e specie nella teoria del concetto dove il genere sovraordinato alla specie come quando diciamo che la specie "uomo" appartiene al "genere" animale. Ma da ci converr ora prescindere per identificare meglio il problema propriamente musicale. La problematica musicale dei generi comincia prendere forma quando il materiale musicale che possiamo supporre fortemente differenziato e disparato nelle diverse regioni della Grecia, comincia ad essere messo sotto il fuoco dellattenzione teorica e si pone il problema, come in tutte le culture musicali evolute, della sua organizzazione. Si tratta di un processo graduale, che attraversa anche il pitagorismo, ma che ha il suo punto culminante e la sua formulazione pi netta nel pi grande teorico della musica greca, Aristosseno di Taranto (seconda met del secolo IV a. C.). Dei generi parler poi tutta la trattatistica musicale successiva. Con Aristosseno si apre un nuovo paesaggio della teoria greca della musica, e si apre all'insegna di Aristotele di cui egli fu allievo e presumibilmente per un certo tempo anche candidato alla direzione della scuola peripatetica. Ecco dunque che mentre con il pitagorismo si crea ben presto un legame con un platonismo destinato a protrarsi nel tempo, con Aristosseno entra in scena l'altro grande versante della filosofia e della spiritualit greca: il versante aristotelico. Con tutto ci che questo comporta: l'attenzione che si volge verso il mondo sensibile, la rivalutazione dell'apporto della percezione che nel platonismo dove necessariamente recedere di fronte alle pure idealit, quindi anche la maggiore vicinanza, per quanto riguarda le vicende della musica alle pratiche effettivamente operanti. Ma che cosa vi era prima della sistemazione teorica aristossenica e dei tentativi pitagorici di tener conto della differenza dei generi? Io credo, che al di l di precise e documentate verifiche storiche si possa supporre che anche in Grecia, sia avvenuto ci che avviene nelle culture musicali che si sviluppano da stadi primitivi fino a livelli di grande dignit teorica. In ogni cultura musicale ai suoi inizi, all'interno della pratica musicale stessa si vanno 455

stabilizzando stilemi, elementi motivici e andamenti melodici che vengono liberamente impiegati dai musicisti, cantori o strumentisti e che cominciano a formare un patrimonio musicale comune, prima in un ristretto ambito regionale-tribale, poi in una sfera sempre pi ampia. Questi elementi di organizzazione melodica, che assumono forma di schemi intervallari, e quindi di scale differenti, di variazioni tipicamenti inerenti a questo o a quello schema, possono contraddistinguersi per la loro prevalenza in regioni geografiche diverse o per il loro impiego prevalente presso questo o quel gruppo etnico, e ricevere anche dei nomi che li identificano. Potremmo parlare genericamente di "tipi melodici" (implicando anche naturalmente lelemento ritmico) e ciascun tipo pu avere caratteristiche peculiari sia sotto il profilo musicale sia sotto quello extramusicale, ad esempio occasioni particolari in cui un determinato tipo melodico viene eseguito (matrimoni, cerimonie funebri, riti religiosi, feste, spettacoli ecc). Si tratta di un materiale musicale disparato inizialmente privo di organizzazione. A poco a poco, sia per esigenza di apprendimento e di trasmissione da maestro a discepolo, sia per un'esigenza di ordine teorico, interviene un pensiero sistematizzatore. Questi concetti e questo percorso pu essere esemplificato nella musica etnica in genere, ma anche nelle culture musicali evolute come quella indiana, araba o cinese. Tutto ci vale indubbiamente anche per la musica greca arcaica. Poich siamo liberi di usare i termini come vogliamo questi "tipi melodici" potrebbero essere chiamatimodi - ma con un'importante precisazione. Il termine modo ha un impiego particolare in tutta la tradizione musicale europea dal medioevo fino all'avvento della tonalit; prima di essa la modalit ha rappresentato un vero e proprio sistema linguistico con le proprie regole e specifiche terminologie. Esso si va affermando nel medioevo a partire dai cosiddetti "modi ecclesiastici" o "modi di chiesa", ricollegandosi spesso con notevoli fraintendimenti alla teoria greca e svisandone anche la terminologia. Questi fraintendimenti e svisamenti sono poi stati riproiettati sulla teoria della musica greca, creando, come si pu ben immaginare, confusioni a catena. Ora se la parola modo viene presa in questo significato storico specifico, occorre guardarsi dall'impiegarlo in rapporto a questo o a quell'aspetto della teoria greca. I Greci non hanno conosciuto alcun modo (Gombosi, 1951, p. 20). Nella dottrina greca vi sono cose sufficientemente certe perch non perdiamo il nostro tempo a elaborare ipotesi fragili e sterili. L'importanza del modo nella musica liturgica del medioevo e in quella del giorno d'oggi non deve farci credere che l'antichit abbia avuto preoccupazioni simili alle nostre (Potiron, 1961, p. 176). 456

importante, a mio avviso, sottolineare che quando si nega la presenza di modi nella musica greca, come nelle citazioni precedenti, si presuppone sempre laccezione storicamente determinata del modo nella tradizione musicale europea. Infatti nulla ci impedisce di usare lo stesso termine in un'accezione estesa, come tipo melodico nel senso or ora descritto, che da quella tradizione musicale europea perfettamente scindibile (Piana, 1998, p. 20). Ci pu pu facilitare i confronti cos come attirare l'attenzione sulle differenze. Del resto ormai invalso l'uso, che non affatto da disapprovare, di chiamare modi ad esempio anche i raga e gli schemi intervallari orientali in genere, bench essi non siano certo da confondere con i modi ecclesiastici. Va dettoche non mancano le parole greche per indicare il tipo melodico e in generale aspetti che possono cadere sotto laccezione estesa del termine modo bench, anche in rapporto ad esse ci possano essere controversie interpretative. In particolare il termine di harmonia, nella variet dei significati che gli vengono attribuiti, ha anche un significato che assomma le caratteristiche che abbiamo riunito sotto la nozione di tipo melodico, in un'accezione nettamente rivolta ad uno schema intervallare che poteva riguardare l'ottava in possibili diverse suddivisioni. Ora vi sono indizi che nella fase pi antica della musica greca vi fossero "armonie" non necessariamente gi incorniciate nel quadro della teoria dei generi. Uno di questi indizi rappresentato dalle armonie di cui parla Platone nel terzo libro della Repubblica (398 c) e da Aristotele al termine della sua Politica (1340a-b). In Platone esse hanno dei nomi: egli parla di dorico, frigio, lidio, iastio, misolidio e sintonolidio. Lharmonia dorica, frigia, e misolida sono nominate invece da Aristotele. Alcune di queste armonie sono dunque caratterizzate con i nomi delle regioni di origine o di provenienza bench in quest'epoca avessero in gran parte perduto il loro carattere di musiche regionali ed avessero piuttosto il carattere di stili differenti. Questo processo di standardizzazione e di regolarizzazione continua presumibilmente con i teorici talvolta chiamati armonisti: Essi continuarono a riorganizzare le vecchie harmoniai che rapidamente diventarono tonoi con parti costitutive pi regolarizzate e relazioni maggiormente compatibili tra loro. Fu alla fine con Aristosseno una o due generazioni pi tardi che otteniamo la nostra prima teoria analitica completa, unificata e onnicomprensiva (Solomon, 1984, p. 249). Per quanto riguarda le antiche harmoniai, Platone peraltro non d alcuna caratterizzazione tecnica relativa alla loro struttura. Aristide Quintiliano fornisce invece di esse una vera e propria notazione. Sia sullinterpretazione della notazione, sia sulla natura delle "scale" proposte, sulla loro maggiore o minore arcaicit, sono sorte numerose con457

troversie - ed alcuni imputano a erronee interpretazioni di queste "armonie" la tesi secondo cui cui la modalit nel senso medioeval-moderno sarebbe presente nella musica greca: Ci viene detto che il suo trattato contiene la notazione delle armonie dette platoniche secondo i pi antichi tra gli autori antichi... cosa che ha fatto credere che noi abbiamo in questi diagrammi le forme di modi primitivi (Potiron, 1961, p. 160). A parte i dettagli della disputa, sembra difficile dimostrare che le armonie di cui parlano Platone e Aristide Quintiliano riferendole ad una fase arcaica della musica greca siano da considerare nel quadro della teoria dei generi, cos come non possiamo certo supporre, perch si tratterebe di una supposizione priva di senso, che tale teoria sia sorta tutta in un colpo nella testa di un unico grande teorico. La teoria dei generi viene dopo la sua graduale affermazione nella pratica musicale e sembra naturale ritenere che essa, nella pratica come nella teoria, abbia avuto una gestazione a partire da tipi melodici e dunque modelli intervallari caratteristicamente praticati in contesti regionali e in occasioni particolari, come il caso della musica popolare in genere. Inoltre va detto che alcuni nomi che si possono fare risalire alle "armonie" pi antiche vengono mantenuti anche negli sviluppi della teoria dei generi, rimanendo sullo sfondo dell'elaborazione musicale e teorica dei greci.

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10.2 I generi e le loro differenze


Introducendo il problema del tetracordo come spazio sonoro fondamentale per la teoria greca abbiamo proposto la scala diatonica pitagorica proponendo anche per ciascuna nota un nome soffermandoci anche sulle ragioni profonde dei nomi delle posizioni fondamentalinete-mese-hypate. Abbiamo anche fatto notare che le note che delimitano l'intervallo di disgiunzione sono inamovibili in quanto la modificazione dell'intervallo tra esse modificherebbe i pilastri consonantici dell'ottava, la quarta e la quinta. Ma che ne degli intervalli che stanno all'interno del tetracordo superiore e di quello inferiore? Il principio su cui si regge la differenza tra i generi sta nel fatto che di fronte alle note stabili - nete, paramese, mese e hypate - vi sono le note mobili: la paranete e la trite nel tetracordo superiore e la lichanos e la parhypate nel tetracordo inferiore. Gli intervalli che sono interessati da queste note possono dunque variare e questa variazione va intesa come vincolata ad una tipologia delineata in linea di massima. I tipi in questione vengono chiamati generi. Una stessa struttura melodica potr dunque essere eseguita in modi diversi secondo il genere e acquisire cos una diversa inclinazione di senso. Questa idea delle note mobili e della possibilit conseguente di "interpretare" un andamento melodico attraverso variazioni della grandezza dei suoi intervalli costitutivi caduta completamente negli sviluppi successivi, ed da considerarsi estranea alla musica europea dal medioevo in poi, nonostante il fatto che fino al secolo XVIII la terminologia dei generi ha continuato ad affiorare all'interno della trattatistica teorica (con sensi ovviamente del tutto mutati). Il fatto che la direzione diretta degli andamenti scalari greci sia considerata quella discendente e la direzione inversa quella ascendente non un dettaglio di secondaria importanza, non solo, ovviamente per la corretta lettura della sequenza degli intervalli, ma anche perch dal punto di vista espressivo esso segnala una tendenza del movimento melodico a "cadere", ed in realt questa stessa tendenza che si manifesta - per quanto poco questo aspetto venga sottolineato - nella differenza dei generi. I generi greci sono tre, i loro nomi sono: 1. diatonico: 2. cromatico; 3. enarmonico. Dall'uno all'altro si ha unaccentuazione del senso della discesa, e quindi del senso della "caduta". Il tetracordo sentito ad un tempo come un intervallo unitario che si chiude sulla quarta, ma nella sua articolazione interna la grandezza degli intervalli pu essere variata in modo tale che l'andamento verso la quarta avvenga a passi relativamente uniformi oppure che venga progressivamente "accelerato" - ci significa che i passi diventano sempre pi stretti approssimandosi alla 459

mta. come se ci fosse una forza di gravit, che nel genere diatonico si fa sentire relativamente poco mentre nel genere cromatico ed enarmonico si accentua sempre pi. Nel primo caso essa viene in certo modo frenata, negli altri altri sempre pi assecondata. Al di l delle immagini che peraltro tentano di descrivere un senso inerente alla percezione, ci che accade oggettivamente soltanto un coerente mutamento di grandezza di intervalli. Nel genere diatonico i primi due passi sono uniformi, e l'ultimo pi stretto (cosa che gi sappiamo). Nel genere cromatico, il primo passo pi ampio e gli altri due (normalmente) si restringono, mentre nel genere enarmonico il primo passo amplissimo, e gli ultimi due sono strettissimi, e si precipitano quasi sulla nota di chiusura del tetracordo. Possiamo assumere la nostra ben nota struttura intervallare T T S come particolarmente rappresentativa del tetracordo di genere diatonico. Questo termine dunque in realt da considerarsi come nome di un genere. Ma va da s che ora la mobilit delle note intermedie del tetracordo ci possono porre vari problemi per ci che concerne espressioni come tono o semitono. Esse debbono essere ormai prese come designazioni assai generiche la cui grandezza resta di volta in volta da determinare. 1.Il genere diatonico potrebbe essere rappresentato graficamente in questo modo, usando i nomi delle note del tetracordo inferiore che considerato significativo del genere:

mese

lichanos

parhypate

hypate

460

2. Nel caso del genere cromatico invece la forza di attrazione della paramese o dell'hypate si fa sentire maggiormente. Infatti noi abbiamo qui la posizione dei due suoni mobili in modo tale che il primo realizza un grande passo, a cui seguono due piccoli passi. La conseguenza che il primo intervallo deve essere maggiore di un tono. Di quanto? Per il momento e in attesa di ulteriori chiarimenti diciamo che deve essere maggiore di un tono e minore di due toni. Esso potrebbe essere rappresentato cos:

mese

lichanos

parhypate

hypate

3. Infine abbiamo il genere enarmonico: la tendenza che gi vediamo in atto nel genere cromatico viene ulteriormente accentuata. Cosicch avremo un passo iniziale larghissimo e poi due passi molto stretti.

mese

parhypate hypate lichanos

461

10.3 Lindicatore del genere


Nella precedente discussione sui nomi delle note abbiamo lasciato un punto interrogativo sul termine lichanos - non potevamo in realt trattare l'argomento prima di aver parlato della teoria dei generi. Ora una precisazione diventa possibile. Letteralmente lichanos significa dito indice". Abbiamo gi in pi di un passo sollevato dubbi sulla tendenza a cercare ad ogni costo ed in modo esclusivo spiegazioni "positive" in dati di fatto relative alla tecniche strumentali, mettendo da parte elementi pi densi di teoria o intrisi di immaginazione. Qui troviamo un altro ottimo esempio di questa tendenza. Che cosa vi di pi ovvio che ritenere questa denominazione come relativa al dito che toccava la corda corrispondente del tetracordo? I nomi delle note "sono connessi anzitutto con la mano in atto di suonare: ad esempio, lichanos significa dito indice..." (Henderson, 1962, p. 386). Cos anche il dizionario greco Liddel-Scott (Le Monnier, 1975) che dopo aver segnalato come primo significato "dito indice", come secondo significato indica "la corda pizzicata con l'indice e la nota relativa". Questa spiegazione ha comunque un'origine antica.

462

singolare che talora le spiegazioni che a tutta prima sembrano tener saldamente i piedi per terra si rivelino, ad un minimo di riflessione, del tutto arbitrarie e fantasiose. Questo sembra essere proprio il caso di questa spiegazione della lichanos: basti pensare alla variet di cordofoni (che vengono qui evidentemente privilegiati) a disposizione ed alla molteplicit di diteggiature possibili per brani diversi o per lo stesso brano - una possibilit da sempre sfruttata a fondo dagli strumentisti di ogni epoca. Sembra allora rasentare il nonsenso il ritenere che un determinato dito fosse preordinato a pizzicare una corda preordinata. La parola va intesa invece nel quadro della teoria dei generi. Se guardiamo anche soltanto i nostri precedenti grafici ci rendiamo conto del "significato" della lichanos rispetto al genere: a seconda della posizione della lichanos sappiamo subito in quale genere ci muoviamo. Va naturalmente precisato che lo stesso modo di intendere l'ottava come doppio tetracordo rende possibile il fatto che i due tetracordi potessero essere sia dello stesso genere, che di genere diverso. Henderson (1962, p. 387) afferma esplicitamente che da scartare il concetto di scale di ottava uniformi, poich due tetracordi accoppiati potevano essere di genere diverso. Nel caso che i generi dei due tetracordi fossero diversi, il genere era caratterizzato dal secondo tetracordo.Il dito indice della mano ha dunque a che fare con il significato della parola, perch esso il dito che indica per eccellenza, e come tale suggerisce subito possibili impieghi metaforici.

463

10.4 Lalterna vicenda dei generi


Occorre guardarsi dal considerare la mobilit delle note interne al tetracordo nel senso di "alterazioni", sia pure un po' particolari, simili a quelle in uso nella musica europea. Il sistema dei generi una peculiarit della musica greca, anche se naturalmente le note mobili possono essere ritrovate anche in altre culture. Il restringersi o l'allargamento di un intervallo in funzione espressiva qualcosa di diverso dalla diesizzazione o dalla bemollizzazione di una nota, anche se eventualmente per necessit notazionali tenderemo, in una eventuale trascrizione e usando i nostri nomi delle note, ad usare diesis e bemolle. Ci si pu fare soltanto se si sa bene quel che si fa. Sarebbe invece un errore ritenere, ad esempio, che il primo intervallo del genere cromatico o del genere enarmonico siano composizioni di intervalli - anche se la loro grandezza coincide con due intervalli: ad es. il primo intervallo di un genere cromatico potrebbe essere pari ad un tono+apotome oppure possiamo far equivalere il primo intervallo del genere enarmonico a due toni - ed anzi pu talvolta essere utile per indicare queste grandezze, se possibile, alla somma di grandezze standard come 204, 114 o 90. Questa utilit riguarda solo il problema eventuale di una misurazione. Un tono che si allarga o si restringe una caratteristica circostanza dinamica (dal punto di vista uditivo)che pone un problema interamente diverso da una entit misurata in sotto-entit. Le trascrizioni nella nostra notazione con i nomi delle nostre note possono essere utili anche per fare confronti con i valori del nostro sistema temperato - ma occorre che esse siano accompagnate dalla consapevolezza che il "modo di intendere" la differenza dei generi un fatto eminentemente espressivo. Questa osservazione tanto pi importante se si tiene conto che la possibilit di impiego di uno genere o dell'altro, o di un genere misto (due generi diversi nel tetracodo superiore e in quello inferiore) arricchisce la tavolozza espressiva in rapporto ad una stessa melodia. Qui siamo in presenza di un concetto effettivamente nuovo al quale non siamo certamente abituati.In certo senso, la stessa melodia pu ricevere diverse "interpretazioni" secondo il genere in cui viene eseguita. 464

Per illustrare le differenze del genere sarei tentato di usare un concetto visivo: quello di punto di vista. Se io guardo un colonnato frontalmente ponendomi in una posizione centrale avr grosso modo la visione di una fila di colonne eguali:

chiaro che, se dovessi fare una associazione con i generi, assocerei questa visione frontale, che la pi stabile, al genere diatonico. Se invece mi dispongo lateralmente, vi sar una scorciatura prospettica pi o meno forte.

Ecco il cromatico e l'enarmonico! L'oggetto lo visibilmente lo stesso, ma la prospettiva mutata, e lo secondo una regola. 465

Cos la melodia, nel mutamento del genere, perfettamente riconoscibile, ma la sua espressivit muta. In certo senso, rompendo l'ordine diatonico, si ha una maggiore dinamicit, che si traduce in una sorta di drammatizzazione interna. L'oggetto sonoro resta quello che , ma diventato pi plastico, pi mobile, forse anche pi ambiguo. Naturalmente non sappiamo come fossero realmente giocate le possibilit che i generi mettevano a disposizione, ma proprio per questo siamo anche tentati di comprendere, al di l degli aspetti formali, come queste differenze possano in ogni caso agire sul piano dell'espressione. Ben poco siamo informati dellevoluzione storica del problema. noto tuttavia che i generi ebbero fortune alterne - e che proprio il genere enarmonico, che abbiamo messo per ultimo, perch questo sembra l'ordine logico, sia stato invece il generepi antico. Questo attesta lo PseudoPlutarco (I sec. d. C.), nel suo De Musica, che secondo Sachs fonte attendibile: Dei tre generi nei quali divisa la scala musicale, corrispondenti in numero e potenza ai loro rispettivi sistemi, suoni e tetracordi, uno solo fu coltivato dagli antichi. Nei loro trattati noi non troviamo nessuna indicazione sull'uso del genere diatonico o cromatico, ma dell'enarmonico soltanto (Sachs, 1943, p. 208) Peraltro, questa affermazione potrebbe anche voler dire, mi sembra, che non vi era a quei tempi nessuna teoria dei generi, ma la prevalenza di un'ottava assai simile a quella che venne poi ascritta al genere enarmonico. certo in ogni caso che verso la tarda grecit il fenomeno rilevante e decisivo sia il prevalere del genere diatonico. Questa prevalenza stata cos pronunciata da segnare una crisi irreversibile nella teoria dei generi che resta alla fine soltanto nelle esposizioni trattatistiche, ed ovviamente - non vivendo pi nella pratica musicale - perdendosi in mille equivoci. Secondo lo stesso Pseudo-Plutarco i suoi contemporaneai non erano pi in grado di cantare nel genere enarmonico; ed un secolo dopo Gaudenzio (II sec.) nella sua Introduzione allarmonica conferma che il diatonico era l'unico genere cantato ai suoi giorni. Scrive Gaudenzio: La trattazione sar limitata al solo genere diatonico; dei tre generi il solo ad essere oggi comunemente impiegato, mentre gli altri due rischiano di cadere in disuso (Gaudenzio, 1990, cap. 6, p. 319).

466

10.5 Il pyknon
Questa vicenda tuttavia suggerisce anche altri pensieri. Il genere cromatico indubbiamente un genere intermedio, ma lo si pu accoppiare certo meglio al genere enarmonico che al genere diatonico. Ci dipende in particolare per il fatto che gi nel genere cromatico si perde l'eguaglianza dei due toni iniziali, e si crea invece una regione di intervalli pi ristretti, che diventano strettissimi nel genere enarmonico.Questa regione ha un nome nella teoria dei generi - essa si chiama pyknon. Si tratta di un termine che allude all'addensamento degli intervalli, dovuta proprio al fatto che essi si restringono come conseguenza del movimento della lichanos, intensificando l'effetto cadenzale verso l'estremo inferiore del tetracordo. Nel genere cromatico ed enarmonico lo spazio in cui sono comprese le ultime tre note (e quindi la somma dei due intervalli) minore dell'intervallo che va dal limite superiore al prima nota discendente. Si pu dunque riconoscere un tratto comune ai due generi e questo accoppiamento del resto riconosciuto dalla teoria greca che parla talora del genere cromatico e del genere enarmonico come generi pycnici(Solomon, 1984, p. 246). Ci significa che la vera opposizione tra i generi quella tra diatonico da un lato e cromatico/enarmonico, dall'altro. Ora nell'enarmonico il pyknon talmente stretto che ciascuno dei due intervalli di cui costituito si aggira intorno al quarto di tono. Ora, se vero che non dobbiamo confondere il cromatismo nel senso moderno del termine, con nozioni che presuppongono la teoria dei generi, vero anche che se consideriamo i termini diatonico/cromatico in senso moderno come relativi alla differenza tra il grande ed il piccolo intervallo, come io sarei disposto a fare, e se inoltre colleghiamo la problematica del diatonismo e del cromatismo non tanto a questo o quel linguaggio musicale particolare, ma alla differenza tra il discreto e il continuo, allora indubbiamente questa stessa differenza richiamata dalla coppia diatonico e cromatico/enarmonico. Non si pu allora non notare che l'alterna vicenda dei generi che vede il diatonico trionfare sulla coppia cromatico/enarmonico, con il conseguente tramonto dei generi e delle libert ad essi collegate, rispecchia sul piano tecnico-musicale la vicenda mitica della vittoria di Apollo su Marsia. A ci non sono certo estranei i teorici greci della musica e, naturalmente, i filosofi, a cominciare da Platone: le harmoniai che egli critica dal punto di vista etico-pedagogico, bench presumibilmente non organizzate nella teoria dei generi, sembrano avere uninclinazione "cromatico/enarmonica", quelle che sono per lui ammissibili una inclinazione "diatonica". 467

10.6 La teoria dei generi e i tetracordi di Archita


Dobbiamo ora riparlare di Archita. Delle sue definizioni delle medie aritmetica, armonica e geometrica abbiamo trattato abbastanza diffusamente in precedenza. Ora invece ci occupiamo di Archita in rapporto ad unimportante esposizione di Tolomeo (II sec. d. C.) (A16 - Huffman, 2005) che descrive con molta precisione tre tetracordi proposti da Archita in corrispondenza dei tre generi. In realt Archita non nomina i generi secondo la terminologia che divent consueta dopo Aristosseno, ma in ogni caso si tratta di un dettaglio poco importante - come osserva Barker - di fronte al fatto che i tetracordi riferiti e illustrati nel dettaglio da Tolomeo rappresentano le pi antiche analisi in nostro possesso che propongono insieme tre differenti tipi di sistemi intervallari che sono pienamente conformi ai tre generi della teoria di Aristosseno... Sulla base delle testimonianze che ci restano,possiamo spingerci a dire che l'analisi dettagliata e pienamente quantificata dei tre sistemi armonici non aveva precedenti (2007, p. 292). La ragione per cui ci soffermiamo sui tetracordi di Archita non tuttavia solo di ordine storico o semplicemente informativo. In rapporto ad essi si pu aprire una discussione che effettivamente di grande interesse per estendere e perfezionare la nostra esposizione. Intanto vi la circostanza, che abbiamo gi sottolineata secondo cui, anche presso i pitagorismo antico, non vi alcuna scala assoluta - che i punti veramente fermi sono soltanto i punti della ripartizione consonantica dellottava. Dopo che questi punti sono stati fissati, cominciano elaborazioni che presuppongono in linea di principio la possibilit di intervenire sullintervallistica interna del tetracordo e quindi dellintera ottava. I tetracordi di Archita ne sono una prima consistente dimostrazione. 468

Ecco come si presenta il genere diatonico in rapporti e in cents:

Diatonico

9/8

8/7

28/27

204
nete mese paranete lichanos

231
parhypate

63
trite paramese hypate

Vi sono tre dati vistosi che saltano subito agli occhi. Il primo la diseguaglianza dei due primi toni, cosa assai singolare per un genere diatonico; il secondo tono pi grande del primo. Il limma assai pi piccolo dei 90 cent del semitono diatonico che abbiamo imparato a conoscere. Per di pi i primi due hanno una precisa relazione tra loro. Il numeratore di una frazione anche il denominatore dell'altra - sono in qualche modo concatenati. Vi sono dunque deviazioni vistose rispetto al tetracordo di Filolao che indicano che il metodo di costruzione del tetracordo non , in questo caso, quello che abbiamo descritto a suo tempo. Ma colpisce anche il fatto che tutti i rapporti intervallari sono rappresentati da rapporti epimori, e questo vale soprattutto per il limma che, in Filolao, presentava un 256/243 che non poteva essere giustificato se non come resto, e che quindi non aveva una giustificazione matematica abbastanza forte. Archita modific il diatonico standard documentato da Filolao proprio per arrivare ad una suddivisione del tetracordo nei diversi generi tutta fatta di rapporti epimori? Questa ipotesi potrebbe essere confermata dal tetracordo nel genere enarmonico, ma essa viene piuttosto energicamente contraddetta dal tetracordo del genere cromatico. 469

Cromatico

32/27

245/224

28/27

294
nete mese paranete lichanos

141
trite parhypate

63
paramese hypate

Enarmonico

5/4

36/35 28/27

386
nete mese

49

63

paranete trite paramese lichanos parhypate hypate

470

Nel genere enarmonico tutti i rapporti sono epimori. Si noti la lichanos assai ampia che arriva a quella che, nella terminologia europea, si chiama terza maggiore (zarliniana) mentre nel cromatico sfiora la terza minore temperata (300 cents). In realt le espressioni terza maggiore e terza minore facendo riferimento alla musica greca non dovrebbero essere usate affatto, o esserlo con estrema cautela. Ad esempio, sui 5/4 di Archita si potrebberosprecare molte parole a sproposito, come se egli avesse intuito quella che viene ritenuta la terza consonante per eccellenza, la terza che poi compare anche nella serie degli armonici. Beninteso non si tratta tanto del rispetto astrattamente inteso del contesto storico-culturale e nemmeno di escludere in via di principio l'uso di una terminologia moderna: a volte questo uso pu essere fatto "con propriet" - voglio dire che potrebbe essere utile per capire affinit e relazioni tra problemi. Ma esso diventa fortemente inopportuno quando aiuta, anzich a capire, a confondere. Si legge talvolta che la terza maggiore non era riconosciuta dai greci come consonanza - oppure che essa era "stonata" (essendo pari a 204+204=408 cents). Questi sono discorsi privi di senso. Di fronte ad essi, e quindi di fronte ad un uso che provoca solo equivoci e fraintendimenti risponderemmo che la terza maggiore nella musica greca non esiste affatto, n intonata n stonata. E il 5/4 non ha quasi nulla a che vedere con la terza zarliniana proprio per la differenza di contesto. Quel 5/4 che compare in questo tetracordo la lychanos dell'enarmonico di Archita, e niente altro. Nel caso del genere cromatico, non sono epimori n il primo n il secondo intervallo - lo solo l'ultimo, che peraltro lo stesso in tutti e tre i generi.

471

Discussione 1.

Eccoci dunque di fronte a vari interrogativi: qual' l'idea guida dei tetracordi di Archita? Quali le procedure costruttive che egli ha messo in opera? Si tratta di una vuota jonglerie del matematico giocherellone, oppure vi un rapporto con la pratica musicale della sua epoca? Ecco intanto il giudizio dello stesso Tolomeo: Archita di Taranto, che si impegn nello studio della musica pi di ogni altri pitagorico, tent di mantenere l'accordo con la ragione, non soltanto nelle consonanze, ma anche nella divisione del tetracordo, sulla base del fatto che avere un eccesso che sia una misura comune proprio della natura di ci che melodico. Cionondimeno, nell'impiegare questo principio, in taluni casi chiaro che egli devia completamente da esso (Huffman, 2005, p. 404). La formulazione "l'avere un eccesso che sia una misura comune" detta in rapporto a numeri in realt un'ottima e sintetica formulazione del principio del numero epimorio. Ad esempio, 9/8 eccede l'intero di 1/8 che rappresenta anche lunit di misura dell'intero.

In Tolomeo dunque presente una valutazione positiva ed una critica. La valutazione positiva sta evidentemente nel fatto che Archita cerc di razionalizzare la divisione del tetracordo, guidato in particolare del principio della "melodicit" che sarebbe legata al carattere epimorio del rapporto, mentre la critica consiste nel fatto che, tenendo conto del suo genere cromatico, egli fallisce in questo suo scopo, e fallisce dunque proprio come matematico. Un'altra critica che Tolomeo rivolge ad Archita di aver proposto in ogni genere un intervallo di 28/27 (63 cents) che sarebbe estraneo all'orecchio musicale. Si tratta evidentemente di una valutazione che presuppone un'interpretazione da passare al vaglio della critica, mentre taluni studiosi moderni l'hanno fatta senz'altro propria, appesantendola al punto da dichiarare Archita mediocre matematico (contro tutta la tradizione antica) e per di pi duro d'orecchio! Burkert ritiene, ad esempio, che Archita avrebbe ottenuto i suoi valori per prove ed errori, come dire con le mani e con i piedi (Burkert 1972, p. 389, n. 17). Secondo questo autore le novit introdotte da Archita deriverebbero dallinsoddisfazione rispetto al limma di Filolao, in quanto rapporto non epimorio. Burkert suppone che Archita prese le mosse dallimbarazzante diatonico di Filolao con il suo limma a 256/243 e, in luogo di mantenere i primi due intervalli nel tetracordo entrambi a 9/8, tent di mutarne uno leggermente, portandolo a 8/7 tro472

vando a propria delizia che lultimo intervallo diventava anchesso epimorio (28/27) (Huffman, 2005, p. 416)

2.
Ben pi articolate e ricche di informazioni appaiono essere le posizioni espresse da Winington-Ingram (1932) e da Barker (1989) che vengono riprese ed ulteriormente perfezionate dal bellissimo commento che Huffman (2005) dedica alla testimonianza di Tolomeo, ed al quale ci atterremo riprendendolo per sommi capi. Questo commento ci riserva alcune sorprese. Secondo Huffman il primo elemento da cui prendere le mosse che Archita tutt'altro che insensibile alla pratica musicale del suo tempo, ed anzi che proprio da questa pratica egli stimolato ad una "razionalizzazione", cio a trovare un'articolazione dei generi in rapporti matematici che siano prossimi a quella pratica. Questa affermazione fondata su un rilievo di Winington-Ingram (1932) che dimostra che le suddivisioni di Archita sono presenti in Aristosseno che scrive appena una generazione dopo la morte di Archita. Aristosseno non le considera tutte e tre come suddivisioni proprie ma non vi alcun dubbio che egli le trovava tutte e tre nella musica dei suoi giorni (Huffman, p. 412).

Questa una circostanza notevole intanto perch mostra come in generale le due correnti fondamentali della teoria musicale greca potessero in taluni casi intersecarsi in punti comuni. La prossimit alla pratica musicale era certamente pi caratteristica dell'orientamento aristossenico piuttosto che di quello pitagorico. Anche per quanto riguarda la singolare identit dell'ultimo intervallo nei tre generi la pi naturale spiegazione di questo parallelismo che vi fu un tempo in cui era usanza per tutti e tre i generi avere l'intervallo pi basso identico e che il rapporto di Archita una rappresentazione di questa pratica (cit., p. 413). Per quanto riguarda il valore di 28/27 (63 cents) attribuito a questo intervallo vi una sottigliezza da mettere nel dovuto rilievo. Nella pratica musicale dellepoca era particolarmente presente un intervallo con rapporto di 7/6 (cents 267). Ora, questo intervallo non presente direttamente nel diatonico di Archita, ma la differenza tra lintervallo di quinta e la somma dei primi due toni del tetracordo pari a 7/6 - essendo (3/2)/ ((9/8)*(8/7)) = 7/6 cosicch questo intervallo risuona tra la trite e la mese. Si rammenti che tra paramese e mese vi il tono di disgiunzione (204+63=267); di conseguenza il rapporto 28/27 risulta dalla differenza tra 7/6 e il tono a 9/8 (267-204) = 63. Tutto ci viene sintetizzato nella figura seguente. 473

9 /8

8 /7

2 8 /2 7

9 /8

9 /8

8 /7

2 8 /2 7

20 4
ne te p a ra n e te

231
t rit e

63
p a ra m e s e

204
m es e

204
lic h a n o s

231
p arhy pate

63
h ypa te

7 /6

Questo intervallo di 7/6, caratteristico della pratica musicale dellepoca, dunque presente allinterno del tetracordo diatonico di Archita e questo proprio in forza del secondo tono a 231 cents e del limma a 63 cents. Qui vi tutto tranne che un metodo per prova ed errori. dunque Tolomeo che ignora la pratica musicale dellepoca di Archita e di Aristosseno (del resto egli scrive cinquecento anni dopo) e ha torto nell'affermare che il rapporto indicato da Archita "contraddice i sensi", ed dunque in errore anche Burkert che segue Tolomeo anche su questo punto affermando che Archita propone questo intervallo in spregio dell'orecchio e della pratica musicale( Huffman, ivi).

3.
Ma le sorprese non finiscono qui. Barker ancora disposto a sostenere, in modo particolarmente raffinato, che Archita si lascia guidare dal mito della melodicit dei rapporti epimori anche nel cromatico, ed anzi egli sarebbe il primo a tentare questa operazione (Barker,1994, p.129). La raffinatezza sta nel supporre che anche i valori ottenuti nel tetracordo cromatico siano risultati di operazioni realizzate su rapporti epimori. Huffmann presenta invece una tesi pi radicale e apparentemente priva di sostegni. Egli nega in generale che il principio dei rapporti epimori faccia da guida alla costruzione intervallare di Archita. Vi sono molte buone ragioni, in ogni caso, per pensare che, nostante la testimonianza di Tolomeo, Archita non segua affatto questo principio (p. 414). 474

Per Tolomeo il principio dei rapporti multipli ed epimori faceva parte del patrimonio di idee apparentemente ovvio del pitagorismo in genere e la circostanza sembrava ricevere conferma dal fatto che sette su nove rapporti dei generi di Archita sono epimori - e naturalmente questa stessa circostanza segnalava il fallimento delloperazione. Ma se si mette in dubbio questo fondamento della scelta di Archita, allora tutto il problema deve essere riconsiderato ed occorre trovare una giustificazione valida ed omogenea per tutte e tre le forme del tetracordo. Ora, secondo Huffman, occorre prendere le mosse dallipotesi che Archita applichi in rapporto al tetracordo anzitutto il metodo delle medie, che egli stesso aveva cos attentamente teorizzato in rapporto all'ottava (fr.2). Vogliamo rendere conto della procedura adottata, andando allosso della questione. Quello che pu essere considerato il primo passo consiste nel non calcolare solo la media armonica e la media aritmetica dellottava, che conosciamo gi molto bene consistere in 3/2 e 4/3, ma anche le rispettive medie degli intervalli di quinta e di quarta. Senza indugiare su questo calcolo che, ciascuno, se vuole, potr fare da s, otterremo alla fine la seguente interessante sequenza, includendovi lottava con valore 2 e il tono con valore 9/8.

Questi risultati hanno rilevanza nell'interpretazione dei tetracordi di Archita? Facendo il confronto troviamo soltanto, oltre ovviamente 2, 4/3 e 3/2 - ovvero lottava. il limite inferiore del tetracordo superiore (paramese) e il limite superiore del tetracordo inferiore (mese) - i valori di 9/8, di 8/7 e di 5/4. Ma mentre il primo aveva comunque la sua giustificazione nel tono di disgiunzione, linserimento nella scala dei valori di 8/7 nel diatonico e di 5/4 nellenarmonico va in ogni caso giustificato, per non dire di tutti gli altri che non compaiono in questa serie. A questo punto intervengono nuovamente le considerazioni sul rapporto con la pratica musicale. In altri termini, dopo aver prodotto questa serie, Archita avrebbe tenuto conto delle intonazioni spesso praticate dai musici della sua epoca oltre che dai metodi di accordatura, in particolare quello per quarte e quinte di cui abbiamo gi parlato in precedenza a cui ci si riferisce talora con l'espressione "metodo di concordanza".o metodo del su e gi. A questo punto avviene un ulteriore riferimento alla pratica musicale: Archita potrebbe aver visto musicisti che usavano questo metodo di accordatura due toni sotto a partire dalla mese nel tetracordo enarmonico, ma poi aver notato che essi non essendo soddisfatti di questa intonazione tendevano leggermente la corda per produrre il suono pi piacevole della terza maggiore. Cosicch questo suono avrebbe dovuto avere 475

2, 3/2, 4/3, 5/4, 6/5, 7/6, 8/7, 9/8

un rapporto leggermente inferiore a quello del ditono, che pu essere precisamente calcolato a 81/64 (ovvero 9/8*9/8) a partire dal metodo di concordanza (Huffman, 2005, p. 419). Ecco una possibile spiegazione per l'apparire del 5/4 nell'enarmonico di Archita. La pratica musicale suggerisce un mutamento di intonazione che si trova fra i valori ottenuti attraverso le medie, e quindi secondo il modo di pensare di Archita, senzaltro adottabile. Mi sembra solo di dover ribadire che luso da parte di Huffman dellespressione terza maggiore non mi sembra opportuna, tanto pi che egli allude proprio alla terza maggiore zarliniana di 5/4 (386 cents), assumendo senzaltro come motivazione di questo temperamento la sua maggiore gradevolezza. In realt anche per Zarlino una simile terza veniva giustificata attraverso il metodo delle medie (in questo si pu vedere un tratto comune, ma il contesto di insieme comunque del tutto diverso). Per quanto riguarda la singolare variante che Archita propone nel tetracordo diatonico assumendo il rapporto di 8/7 come secondo intervallo, a ben vedere una spiegazione gi stata proposta nelle nostre considerazioni precedenti. Questo valore rende possibile lintervallo di 7/6 (267 cents) tra la trite e la mese che era nella pratica musicale dellepoca. Ed entrambi i valori sono presenti nella serie delle medie ottenute da Archita.

4.
Con ci si rende conto pienamente conto del diatonico di Archita. Ma che ne dellenarmonico ed ancor pi del cromatico che sembra il pi difficile da riportare entro lambito delle giustificazioni matematiche? In realt lenarmonico non pone troppi problemi perch, avendo tratto dalla prassi musicale l'eguaglianza dell'ultimo intervallo del tetracordo in tutti e tre i generi che stato razionalizzato in 28/27, ed avendo gi motivato una lichanos a 5/4, lintervallo intermedio tra lichanos e parhypate si ottiene con una normale procedura sottrattiva: dall'intero tetracordo (4/3) si sottrae la sommadegli intervalli 5/4 e 28/27: sempre rammentando che, in rapporto agli intervalli, sottrarre= dividere e sommare = moltiplicare [(4/3)/(5/4*28/27)=36/35] a meno che non si voglia pi semplicemente operare con i cents per i quali il calcolo consister in 498(386+63) = 49. Dopo tutto ci anche il problema apparentemente pi difficile del genere cromatico viene presto risolto se si tien conto che esso genere intermedio tra gli altri due. Di conseguenza il primo intervallo sar di grandezza intermedia tra il primo intervallo diatonico (204 cents) e il primo intervallo enarmonico (386 cents). Questa misura intermedia poteva essere legittimata se poteva essere concepita come somma di rapporti 476

noti ed acquisiti. Di fatto i 32/27 (cents 294) sono analizzabili come somma del tono e del limma di Filolao (ovvero 9/8*256/243; in cents: 204+90). Essendo stato fissato l'ultimo intervallo a 28/27, l'intervallo intermedio - quel singolare 243/224 - lo si giustifica a sua volta come differenza: dallintero tetracordo si sottrae la somma dei valori intervallari noti [(4/3)/(32/27*28/27) = 243/224. In cents: 498-(294+63) = 141] interessante infine far notare che l'intervallo dalla lichanos alla hypate pari ad un tono di Filolao (243/224*28/27 = 9/8 ovvero 141+63=204) Scopriamo cos che il cromatico di Archita interamente costruito con gli intervalli del diatonico di Filolao.

5.
Per dare una sintesi dell'intera discussione: La questione per Archita come si possano associare i rapporti che egli ha determinato usando la media armonica ed aritmetica e l'osservazione dell'uso del"metodo di concordanza" . Il suo problema non quello costruire una catena di rapporti epimori ma quello di una scelta di tetracordi ben formati dove la buona formazione dipende essenzialmente da due circostanze: 1. Tutti gli intervalli debbono essere derivabili o direttamente dal 'metodo di concordanza' di cui il sistema di Filolao costituisce una rappresentazione oppure da deviazioni intelligibili da esso (Barker, 1989, p. 50); 2. deviazioni intelligibili sono quelle deviazioni che si ricollegano alla divisione della quinta e della quarta attraverso le medie armoniche e aritmetiche. Tutte le sue divisioni dei tetracordi possono essere spiegate in termini di questi principi. Ed in questa misura egli persegue il criterio della ragione (Huffman 2005, p. 423). Ma nello stesso tempo Archita attento alle pratiche musicali del suo tempo e vi sono modificazioni che dipendono strettamente dalle intonazioni che egli udiva 477

praticare dai musicisti del suo tempo. E quando fa questo egli, piuttosto che dalla parte di un razionalismo ostinato, segue ci che gli viene suggerito dalla sensibilit (ivi). Questa conclusione di Huffman ci trova consenzienti, anche se noi saremmo assai pi prudenti nell'usare espressioni come terza minore e terza maggiore. Ma si tratta di questioni di dettaglio. In realt questa discussione risulta assai istruttiva. I chiarimenti che sono stati ottenuti nel corso della discussione mostrano quale lavorio, quali intrecci problematici vi siano sotto queste proposte numeriche che a tutta prima si vorrebbe trascurare come prive di interesse musicale e teorico insieme. Inoltre viene confermato un discorso generale che gi affiorato in rapporto ad altri problemi: bench vi sia un lato del pitagorismo fortemente razionalistico, e questo lato sia in ultima analisi lelemento caratterizzante del pitagorismo e poi del platonismo, vi sono anche aspetti di apertura alla concretezza dellosservazione e della pratica musicale. In questo senso questa discussione sul tetracordo forse la migliore introduzione alle problematiche filosofico-musicali della teoria dei generi in Aristosseno proprio perch mostra quanto profonda sia la differenza che interviene sullo stesso tema a partire da basi concettuali interamente diverse.

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11.Aristosseno e la teoria dei generi


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11.1Un nuovo concetto di intervallo


11.1.1 L'illimitatezza del numero delle lichanoi 11.1.2 L'esperienza dell'intervallo 11.1.3 Differenze rispetto alla posizione pitagorica, il problema del geometrismo e della matematica degli irrazionali

11.2 Il significato delle misure aristosseniche


11.2.1La divisione in trentesimi dell'intervallo di quarta 11.2.2 Una ipotesi sulla scelta del trentesimo di quarta 11.2.3La presuntaequalizzazione operata da Aristosseno

11.3 La teoria dei generi secondo Aristosseno


11.3.1 Il punto di vista funzionale 11.3. 2 Confronto tra i generi di Archita e di Aristosseno

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11.1Un nuovo concetto di intervallo


11.1.1 L'illimitatezza del numero delle lichanoi

Vi un punto in cui Aristosseno, nei suoi Elementi di Armonica, alla domanda sulle posizioni possibili della nota lichanos, risponde che essa pu occupare un luogo qualunque del tetracordo. Egli dice precisamente che il numero delle lichanoi deve essere considerato illimitato... Infatti in qualunque luogo si fermi la voce, si avr una lichanos e non vi nessun vuoto intermedio tale da non poter accogliere una lichanos (Meib.26.10 - 1954, p. 39). Forse proprio questaffermazione pu essere il punto di avvio per mostrare, sia pure di scorcio e con la massima sobriet possibile, la vera e propria rivoluzione che Aristosseno introduce nella teoria greca della musica. In apparenza essa sembra dire niente altro che ci che abbiamo gi detto: la lichanos come la parhypate sono le due note mobili, che determinano la divisione in tre intervalli del tetracordo. Abbiamo gi notato che secondo la posizione della lichanos si determina la differenza tra i generi. Ora, questi spostamenti che venivano eseguiti con immediatezza sotto il gioco degli impulsi espressivi da parte dei musicisti, rappresentano per i teorici un problema classificatorio. Da un lato, si trattava di stabilire entro quali limiti si poteva parlare ancora di un determinato genere ed dunque anche se si potesse, tenendo in ogni caso presente la pratica musicale, distinguere pi di una variet del genere. Oltre a ci all'interno del genere in una qualche sua variet, si potevano ammettere ulteriori sottili varianti, che i greci chiamavano chroai, un termine che rimanda al colore e che si potrebbe tradurre con sfumature oppure colorazioni - varianti cos sottili e cos affidate all'immediatezza dell'esecuzione da non rendere nemmeno sensata una classificazione. In questo modo, a partire dai modelli dei tre generi,era possibile sviluppare uno stupefacente numero di subgeneri o sfumature differentemente bilanciate (Sachs, 1943, p. 213). Tutto ci gi stato detto o era implicito in quanto stato detto. 483

Tuttavia nell'accingersi ad affrontare la problematica dei generi che Aristosseno trova nella realt musicale del suo tempo, egli non si limita a prenderne atto e ad accettare le elaborazioni di provenienza pitagorica o platonistica. Con la sua dichiarazione secondo cui non vi alcun limite ai luoghi che pu occupare la lichanos egli implica una concezione che investe sia il modo di concepire il tetracordo in genere, sia la nozione di intervallo, facendo interamente "saltare" l'impianto pitagorico del problema. Come abbiamo visto, all'interno di questo impianto pu benissimo essere assorbito il concetto di genere, ma in nessun modo vale il principio che la "voce" ovvero il "suono" possa fermarsi in un luogo qualunque del tetracordo: al contrario, una variet anche lontana dal modello di base, come accade nel caso dei tetracordi di Archita, deve avere una sua giustificazione matematica. Nello stesso tempo vi Resti Liceo di Aristotele erano "luoghi" che il calcolo segnalava come "senza rapporto" e che dunque erano per principio esclusi dal novero delle possibilit musicali. Anche nel quadro della teoria dei generi, da parte pitagorica, restava l'accento sul fondamento matematico dell'intervallo e in particolare sul privilegio della discretezza ovvero dei rapporti tra numeri interi. Quella semplice frase, che potrebbe sembrare riguardare una pura concezione tecnica del tetracordo collegata alle differenze tra i generi ed alle loro variet e sfumature, diventa invece una frase dirompente che comincia a portare il primo piano il problema della continuit. Beninteso anche per Aristosseno la musica c', solo se vi sono in ogni caso delle scelte discrete - il che vuol dire: se ci sono le "note", se ci sono altezze determinate. Ma il punto di vista nuovo, formulato in breve, che queste scelte vengono effettuate su un spazio sonoro - ed anzitutto sul tetracordo - considerato come continuo di suoni possibili. Questa modificazione di punto di vista strettamente connessa con una drastica modificazione sul modo di concepire l'intervallo. Su questo punto Aristosseno gioca la propria carta teoreticamente pi impegnativa. 484

11.1.2 L'esperienza dell'intervallo


La musica fatta di suoni, di fenomeni uditivi. Ed allora il problema dell'intervallo deve essere affrontato esclusivamente dal punto di vista dellesperienza che noi abbiamo di esso. Se dobbiamo descrivere in che cosa consista la percezione dell'intervallo non parleremo di rapporti numerici cheessa non in grado di afferrare come tali, ma di qualcosa di simile ad una distanza tra punti - e non nella complessa forma mediata in cui ne abbiamo parlato in precedenza in connessione con la divisione del monocordo in cui si cerca di dare "visibilit" ad una "ragione" soggiacente al fenomeno, ma come una relazione appartenente al fenomeno stesso, come una "distanza" udita : esattamente come si colgono uditivamente le differenze tra il grave e l'acuto, le differenze timbriche o di durata tra suono e suono (Piana, 2003). Tutte queste relazioni stanno dentro l'esperienza del suono, appartengono alla sua fenomenologia, e per quanto riguarda l'esperienza della grandezza dell'intervallo, essa pu essere analogizzata alla visione di un tratto, di un segmento. In questo modo la fondamentale componente aristotelica del pensiero greco, con l'accento posto sulla sensibilit e con la sua attenzione all'empiria, entra a gran voce negli sviluppi della teoria greca della musica introducendo punti di vista nuovi edirompenti.

Gustav Adolph Spangenberg (1828-1891) - La scuola peripatetica

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11.1.3 Differenze rispetto alla posizione pitagorica, il problema del geometrismo e della matematica degli irrazionali

Vi un'acutissima affermazione di Szab (1978, p. 113), che a tutta prima stentiamo a comprendere, secondo la quale fu Aristosseno e non il filosofo pitagorico ad usare l'espressione diastema in senso metaforico, e non in senso letterale. In effetti, a ben pensarci, le cose stanno proprio cos: quando il pitagorico parla di diastema intende una lunghezza effettiva, rappresentata dal pezzo di corda con cui egli fa i propri esperimenti. Quindi si tratta di un segmento visibile e l'uso del termine diastema non di tipo analogico o metaforico. Proprio per questo il segmento pu essere rappresentativo di un rapporto e la parola diastema, che significa originariamente segmento, assume come senso prevalente quello di intervallo (Szab, 1978, p. 113). Invece da un punto di vista aristossenico si dir: se vogliamo una buona immagine, un'immagine pertinente e adeguata per l'intervallo musicale, il segmento si adatta ai nostri scopi. Questo mutamento di grandissima importanza. In base ad esso possibile proporre una concezione dell'intervallo come distanza e spazio senza essere costretti ad assumere tutte le implicazioni precedenti, e mettendo nettamente da parte l'aritmetica inerente all'intervallo come logos. E potremo persino servirci, come elemento rappresentativo dell'intervallo, di una linea, di un segmento considerato nei suoi estremi. Una simile rappresentazione visiva concreta dell'intervallo, in luogo di rimandare alla corda del monocordo, non sarebbe altro che figura di quell'immagine (Piana, 2003, p. 43). 486

La riconduzione dell'intervallo al rapporto numerico non dunque accettata da Aristosseno. O meglio: la sua risposta sarebbe pi articolata e riguarderebbe una distinzione di piani di discorso.Anzitutto ci sono alcuni fatti che possiamo accettare come fatti primitivi, che non hanno bisogno di essere ridotti ad altro: essi sono riconoscibili all'orecchio ed entrano come tali all'interno della musica. Fra questi fatti vi sono in primo luogo le consonanze. Noi percepiamo una quinta come consonanza, argomenta Aristosseno: necessaria qualche ulteriore qualificazione? Essa non diventa pi consonante se la analizziamo come un rapporto tra numeri piccoli come fanno i pitagorici. Perch non accettarla come un dato di fatto? Un sistema diventa rigoroso, continuerebbe Aristosseno, non tanto riferendo i suoi elementi ad altri che si trovano fuori del sistema (come i numeri), ma piuttosto individuando gli elementi basilari del sistema, riducendoli ad un piccolo numero, e poi deducendo gli altri da esso (Crocker, 1961, p. 101). Una simile presa di posizione diventa tanto pi insistente, tanto pi appuntita, quanto pi mira a colpire una posizione come quella pitagorica nella quale era diventato quasi ovvio lo scivolamento consistente nel sostituire integralmente i valori numerici dei rapporti al dato di fatto squisitamente musicale-uditivo della consonanza. In realt tali valori possono essere considerati come appartenenti ad un piano extramusicale anche se naturalmente continuano a poter essere ritenuti come fondamento del fenomeno sonoro. Molti interpreti tuttavia non hanno compreso che la distinzione dei piani non implica che l'uno escluda l'altro. Il punto che bisogna avere in chiaro soltanto il fatto che la determinazione dei rapporti riguarda un piano che sta oltre il dato musicale diretto. Ci spiega perch, ad esempio, da un punto di vista aristossenico, un intervallo di quarta, pu essere riconosciuto come tale senza alcun appoggio esterno; e nello stesso tempo la misura di 4/3 proposta dai pitagorici pu essere considerata perfettamente corretta. Se si ammettono due possibili livelli di discorso su una simile presa di posizione non vi nulla da eccepire. Tuttavia occorre subito notare che la revisione radicale a cui Aristosseno sottopone il concetto di intervallo fa riaffiorare il problema della misurazione delle loro grandezze in termini del tutto nuovi. All'interno di questo problema si ripresenta un matematismo che ha un senso interamente diverso da quello pitagorico. Infatti il ritorno alla percezione - espressione che pu essere considerata esemplare per sintetizzare il punto di vista di Aristosseno - si estende ovviamente anche alla grandezza degli intervalli e non vi sono ragioni per escludere non solo che esista la possibilit di una valutazione direttamente uditiva, ma anche che essa sia passibile di una qualche quantificazione. 487

Una teoria della musica, sembra pensare Aristosseno, deve poter fornire delle indicazioni quantitative, perch altrimenti un discorso teorico rimarrebbe del tutto nel vago intorno ai suoi oggetti ed alle differenze tra essi. Perci Aristosseno comincia ad usare termini come tono e semitono, secondo una accezione nuova, assumendo un atteggiamento che in fin dei conti non troppo diverso da ci che fa lo strumentista nellazione di suonare il suo strumento. Egli opera con intervalli percepiti e null'altro. Un intervallo percepito deve essere riconoscibile nella sua grandezza alla semplice percezione e di conseguenza deve aver senso, ad esempio, parlare del doppio o del triplo di una grandezza intervallare e inversamente della sua met o di un terzo o di un quarto di essa. Appare allora subito la drastica differenza rispetto alla posizione pitagorica. Aristosseno e la scuola aristossenica in genere non disposta a sostenere le restrizioni che i pitagorici non potevano non imporre agli intervalli ed alle operazioni sugli intervalli. Una restrizione particolarmente significativa, a cui abbiamo gi accennato, era l'esclusione di quei luoghi dello spazio sonoro che erano inevitabilmente rappresentati da numeri irrazionali. Si rammenti che dividere un rapporto in due, in tre, ecc. significa fare di esso la radice quadrata, cubica ecc. Ora sappiamo gi che per il filosofo pitagorico non era possibile dividere l'ottava in due, perch la radice quadrata di due un numero irrazionale. Ma irrazionale anche la radice quadrata di 9/8. La conseguenza di ci era che lespressione semitono non poteva essere intesa come se essa significasse letteralmente la met di un tono. Aristosseno sosteneva anche che l'ottava poteva essere suddivisa in sei toni e i pitagorici dimostravano con i loro calcoli che la composizione di sei toni realizzava una differenza in eccedenza rispetto all'ottava. Ci siamo gi occupati di questo problema mostrando in che modo i pitagorici determinavano il valore del comma.Analogamente l'affermazione aristossenica secondo cui la grandezza della quarta era misurata da due toni e un semitono veniva confutata con una dimostrazione matematica. Naturalmente nessuno degli autori che criticarono questa affermazione di Aristosseno (Euclide, Sectio Canonis, 15, oppure Tolomeo,1.10) prendeva in considerazione il nuovo modo di intendere l'intervallo di Aristosseno. E questa circostanza implicava un pesante svisamento di tutta la problematica aristossenica. ovvio che con il loro tono di 9/8 i pitagorici avevano assolutamente ragione. Dovremmo concludere che Aristosseno non sapeva far di conto? E inversamente: la polemica antipitagorica condotta da Aristosseno in difesa di valutazioni puramente uditive significa forse che i pitagorici non avevano le orecchie? 488

Si tratta di un problema pi complesso e di una presa di posizione pi ricca. Anzitutto va notato che Aristosseno, come qualunque teorico greco, pitagorico o meno, ammetteva il tono disgiuntivo pitagorico a 9/8, e questo per consentire una buona consonanza di quarta e di quinta. Ma il punto che interpreti antichi ed anche moderni talora non hanno compreso, che una simile ammissione non esigeva, in realt nemmeno da parte pitagorica, che questo "tono" assumesse il carattere di norma anche per la divisione del tetracordo (abbiamo visto in proposito il tetracordo diatonico di Archita). Ciononostante taluni teorici non si poteva ammettere che grandezze intervallari differenti potessero essere chiamate con lo stesso nome. Per il musicista greco invece il tono, ad esempio, poteva essere pi stretto, pi largo, molto stretto, molto largo... Vi una fondamentale polemica di Aristosseno sui nomi delle note, che strettamente coerente con la sua posizione e con la prassi musicale greca, la cui sintesi : Il ritenere che intervalli eguali debbano essere definiti con lo stesso nome ed i disuguali con nomi diversi lottare contro l'evidenza (Aristosseno, 1954, Meib. 49.25). Dal punto di vista di Aristosseno, come si pu valutare, per un segmento abbastanza piccolo, la sua met con il semplice ausilio della vista, cos si pu, con il semplice ausilio dell'udito, valutare se un suono disposto tra altri due, sia pi vicino al precedente o al successivo. E se si pu fare questo allora si pu anche valutare che esso non pi vicino n all'uno n all'altro, e di conseguenza suddivide l'intervallo in due met (Piana, 2003, pp. 60 sgg.). Ci appare cos: al centro di quell'intervallo. Si tratta dunque di pura apparenza! - obietter il filosofo pitagorico. Certamente. E sta bene cos: fainetai ovvero "appare" e "si mostra" (Aristosseno, 1954, Meib. 8.24 e altrove). Questa espressione caratteristicamente aristossenica corrisponde al grande principio metodologico: Anzitutto bisogna afferrare bene i fenomeni (ivi, Meib. 43.30). Contro le obiezioni pitagoriche viene giocato scientemente un punto di vista fenomenologico e la metafora su cui esso si appoggia. Un punto di vista fenomenologico - e non, ad esempio, un punto di vista geometrico. Qui tocchiamo un altro punto interessante del dibattito intorno ad Aristosseno. Talvolta infatti la posizione di Aristosseno viene presentata come se egli ragionasse, invece che aritmeticamente, geometricamente per il semplice fatto che assimilava lintervallo ad un segmento. Su questa tesi, che peraltro piuttosto diffusa, credo che si possa nutrire qualche perplessit. A mio avviso lo stesso Aristosseno che rifiuta questo riferimento, per il fatto che il geometra, anche quando si serve di modelli sensibili, ha comunque di mira lidealit. Cosi egli scrive con grande 489

chiarezza su questo punto: Bisogna abituarsi a giudicare con precisione i particolari. Perch quando si parla di intervalli non si possono adoperare le frasi che si soliti adoperare per le figure geometriche come: sia questa una linea retta. Il geometra infatti non si serve delle sue facolt sensibili, egli non esercita la sua vista a giudicare n bene n male la retta, il cerchio o qualche altra figura, questo essendo piuttosto compito del falegname, del tornitore o di altri artigiani. Ma per lo studioso di scienza musicale fondamentale, invece, l'esattezza della percezione sensibile, perch non possibile che chi ha una percezione sensibile deficiente possa spiegare convenientemente dei fenomeni che non ha in nessun modo percepito (II, 33, 1954, p. 48)

Coloro che pensano ad un modello geometrico che sarebbe prevalente in Aristosseno collegano questo problema a quello dell'aritmetica degli irrazionali. In effetti con l'assunzione di uno spazio sonoro continuo nel quale qualunque punto poteva essere oggetto di una scelta, Aristosseno non poteva avere alcuna difficolt nell'ammettere intervalli irrazionali. In realt dovremmo dire, pi precisamente: intervalli che, trattati matematicamente, verrebbero rappresentati da numeri irrazionali. Su questa base si anche sostenuto che Aristosseno fu certo uno degli allievi importanti di Aristotele al Liceo di Atene, ma egli non sarebbe soltanto un filosofo influenzato dall'empiria aristotelica. In fin dei conti Aristosseno proviene da Taranto, culla del pitagorismo e si tramanda che egli comp gli studi presso un filosofo pitagorico chiamato Xenofilo (Crocker, 1961, p.99). La tendenza matematizzante sarebbe dunque ancora particolarmente forte e la differenza rispetto ai pitagorici consisterebbe nel fatto che egli si faceva sostenitore sul piano della teoria musicale di una matematica nuova rispetto a quella pitagorica, ad una matematica interessata proprio al campo degli irrazionali. Ed ancora: poich, come abbiamo gi esposto, il trattamento degli irrazionali era ritenuto possibile solo sul versante geometrico, Aristosseno porterebbe questo aspetto geometrizzante anche nel campo della teoria dell'intervallo. stato fatto notare che proprio negli anni in cui opera Aristosseno i matematici greci cercano di penetrare i problemi dei numeri irrazionali attraverso i problemi delle grandezze commensurabili e incommensurabili che del resto avevano consentito la loro scoperta. Punto culminante di questo processo la trattazione geomerica che forniscono gli Elementi di Euclide alla fine del quarto secolo (l'opera di Aristosseno si fa risalire al 320 a. C.). Aristosseno si troverebbe sulla scia di questi problemi e la sua posizione sarebbe aderente agli sviluppi pi recenti della matematica greca (Crocker, 1961). 490

Si tratta di una tesi molto suggestiva. Ma anche molto debole. dubbio che Aristosseno fosse consapevole di quegli sviluppi, mentre possibile che egli desse per scontato che gli intervalli potessero cadere in "posizioni" intraducibili aritmeticamente in termini di rapporti tra interi e, poich ci non recava alcuna offesa alle nostre orecchie, questi intervalli fossero ammissibili. Una vera e propria intenzione esplicita di far valere una "matematica degli irrazionali" mi sembra improbabile e del resto superflua - ed inutile dire che in Aristosseno non vi la minima traccia di una fondazione della teoria dell'intervallo in una aritmetica degli irrazionali. Proprio Crocker che cerca di fare valere questa tesi in un senso piuttosto forte scrive: Il tono intero 9/8 pu in realt essere "diviso in due": noi esprimiamo il risultato come radice quadrata di 9/8, che un numero irrazionale, mentre Aristosseno, usando operazioni geometriche, si limitava a rappresentare un tono con una linea, e poi a dividere questa linea in due. Nello stesso modo egli poteva dividere un intervallo in una parte qualsiasi senza interessarsi se il risultato fosse razionale o irrazionale. Lo stesso approccio che faceva la nuova geometria in modo pi generale, pi potente che la vecchia aritmetica era qui usato a Aristosseno per creare una nuova descrizione dei generi (Crocker, 1961, p. 103). Il punto pi rivelatore di questa frase non sta nella conclusione, ma in quel "senza interessarsi se il risultato fosse razionale e irrazionale" che in fin dei conti quella conclusione contraddice. Questo disinteresse altra cosa che farsi promotore in sede di teoria musicale di unaritmetica degli irrazionali. Inoltre, come abbiamo detto poco fa, limpiego del segmento la rappresentazione in figura di una metafora, cosa di cui nella citazione precedente non si tiene conto. Se vogliamo parlare della matematica in Aristosseno dobbiamo andare a vedere che cosa egli fa propriamente con i numeri, visto che non rinuncia affatto alla quantificazione delle grandezze intervallari. In realt in modo del tutto coerente con la propria posizione, la matematica degli intervalli proposta da Aristosseno una matematica per cos dire lineare, e pura aritmetica degli interi, dove si parla di somma e differenza nel modo solito. In altri termini con Aristosseno si calcola con gli intervalli all'incirca come noi calcoliamo con i nostri cents, che peraltro noi impieghiamo normalmente arrotondati. L'unica cospicua differenza sta nel fatto che la misura in cents tale da poter essere trasformata calcolisticamente in termini decimali e infine in rapporti tra frequenze. Ma in questo contesto diventa significativo il fatto che talora possiamo usare utilmente i cents senza saper nulla di questa possibilit. Naturalmente abbiamo bisogno qui di fornire ulteriori spiegazioni. 491

11.2 Il significato delle misure aristosseniche


11.2.1La divisione in trentesimi dell'intervallo di quarta
Per fare un discorso ricco di senso nell'ambito della teoria dei generi dobbiamo poter effettuare confronti, proporre esempi di sistemi intervallari, distinguere le "sfumature". Di conseguenza non possiamo fare a meno della misura, e dunque del numero, tanto pi di fronte ad un oggetto tanto impalpabile come il suono. In Aristosseno in effetti vengono proposte delle misure che portano a numeri interi ed a rapporti tra numeri interi. Solo che l'unit che viene suddivisa e misurata una unit data solo acusticamente, ed considerata solo in quanto tale, indipendentemente dallo strumento che la emette. Come sappiamo tutti i discorsi pitagorici hanno bisogno invece di fare riferimento, almeno indiretto, a strumenti a corda. Il presupposto da cui si prendono le mosse che la percezione sia in grado di stabilire una unit di conto e sulla sua base di determinare le grandezze intervallari colte dall'udito. Il concetto stesso di unit di conto per la misura degli intervalli lo incontriamo qui per la prima volta e non pu che nascere sul terreno dell'impostazione aristossenica. Spieghiamoci con un esempio: Aristosseno si pone il problema della grandezza intervallare percepibile minima. Io credo peraltro che questa ricerca non sia da intendere in senso strettamente letterale ed interessi quindi il piano puramente puramente acustico, ma che egli pensi piuttosto alla minima grandezza intervallare musicalmente significativa. 492

Supponiamo di aver deciso qualcosa in proposito. Avremo allora in ogni caso a che fare con una grandezza intervallare riconoscibile.Questa grandezza potr essere usata come unit di conto. Cos potremmo dire di un determinato intervallo che esso il doppio, il triplo ecc. di questa unit minima musicalmente significativa. Naturalmente potremmo anche usare come unit di conto un suo multiplo. Come chiaro queste misure non hanno pi nemmeno l'ombra di un significato pitagorico. Il quarto di tono l'unit di conto minima, il tono pu essere scelto come unit di conto sovraordinata. Il tono o il quarto di tono sono realt percettive e nello stesso tempo possono assolvere il ruolo di unit di conto per grandezze intervallari udite: sembra quasi che l'una cosa richiami necessariamente l'altra. Ma non cos. A partire da un discorso che inizia cos possibile scivolare, non senza logica, fuori dal campo percettivo postulando unit di misura che sono solo unit di conto. Cos potremmo assumere come unit di misura un sottomultiplo dell'intervallo minimo musicalmente significativo, che potrebbe essere tanto piccolo da essere insignificante sia percettivamente che musicalmente. Ecco una unit di conto pura e semplice alla quale non corrisponde alcuna grandezza percepibile. Ma a che scopo? Forse essa potrebbe avere una utilit. Un esempio tratto dalla modernit: nessuno pu ragionevolmente sostenere di avere una qualche idea concreta del cent quando sente dire per la prima volta che esso rappresenta la milleduecentesima parte dell'ottava. Per abbiamo una idea chiara dell'intervallo di ottava sulla base della sua realt percettiva. E cos del resto abbiamo una idea chiara del numero 1200. Queste due cose possono essere messe insieme - ed esibire un metodo di valutazione, anche al di l della complessit ulteriore di cui il concetto di cent portatore. Esso in certo senso pi potente di una mera unit di conto, perch, come abbiamo gi notato, possibile il passaggio calcolistico da intervalliespressi in cents a intervalli espressi in rapporti di frequenza. Ma questa possibilit appunto una potenza in pi che si aggiunge alla capacit del cent di fungere da unit di conto. In realt considerando una delle scale che abbiamo gi incontrato si capisce piuttosto bene come essa fatta quando viene trascritta in cents. Va da s che possiamo renderci conto al volo sia se un certo intervallo maggiore di un altro, sia fare dei raffronti in cui ci appoggiamo ad un tempo sui numeri e su realt percepite ben e sperimentate: ad esempio sappiamo subito che un intervallo di 250 cents corrisponde ad un tono temperato aumentato di un quarto di tono - e questo gi qualcosa. 493

Fatte queste premesse possiamo comprendere il metodo di quantificazione degli intervalli messo in opera da Aristosseno. Anchegli, anzitutto, opera sul tetracordo, di cui accetta la misura pitagorica di 4/3, bench il punto essenziale sta nella riconoscibilit percettiva dellintervallo. Per affrontare il problema della sua suddivisione interna, che comunque una suddivisione essenzialmente libera, egli ha in ogni caso bisogno di ununit di conto. Egli propose di considerare la quarta come suddivisa in trenta parti eguali. Un trentesimo di quarta, evidentemente, non un intervallo effettivamente percepito, ma anzitutto ununit di conto. Perch la scelta, che sembra ad un primo sguardo del tutto arbitraria, cade proprio sul trentesimo di quarta? Intanto possiamo cominciare con il rispondere che il trentesimo di quarta un'interessante unit di conto se assumiamo nello stesso tempo che la quarta sia suddivisa a sua volta in due toni e in un semitono. Le due assunzioni sembrano richiamarsi a vicenda. Ne risulta infatti un tono di dodici parti, cio di dodici trentesimi e un semitono di sei trentesimi di quarta (12+12+6 = 30), restando ovviamente nella forma tipica del diatonico che Aristosseno chiama sintono. Ora mettiamo in opera i nostri cents per vedere di che intervalli propriamente si tratta. Per far questo non dobbiamo fare altro che prendere la misura in cents della quarta (498) e dividerla per 30 e otteniamo un esatto 16.6. Questo il valore in cents del trentesimo di Aristosseno. Di conseguenza il tono di Aristosseno posto in cents risulta essere pari a 16.6 * 12 = 199.2 ed il semitono 16.6*6 = 99.6.Naturalmente due toni sommati ad un semitono secondo questi valori fornir una quarta di 498 cents che rappresenta la quarta pitagorica di 4/3. Il punto del problema, che risolve ogni pretesa contraddizione e incoerenza teorica, il fatto che non debbono essere toccati i 9/8 ovvero i 204 cents del tono di disgiunzione. Di fatto Aristosseno non tocca il tono di disgiunzione, ottenendo una costruzione del tutto coerente. Poich Aristosseno argomenta rigorosamente in quarte, la sua suddivisione in trentesimi non vale per l'ottava, ma per il tetracordo. E del tono di disgiunzione viene in questo modo sottolineata l'autonomia strutturale. 494

Il fatto che il tono di disgiunzione venga da Aristosseno mantenuto a 9/8, preservando le consonanze di quinta e di quarta secondo i valori dei rapporti pitagorici, appare con assoluta chiarezza da una tabella presente nella Scienza armonica di Tolomeo (2.14, 2002, p. 184) presumibilmente aggiunta da un copista. Tale tabella costruita sui numeri 60 e 120, da intendere pitagoricamente come lunghezza di corde e quindi da mettere in rapporto tra loro. Ora per tutti i teorici considerati (la tabella comprende anche le scale di Archita, Eratostene, Didimo e Tolomeo) la quarta e la quinta sono caratterizzati dai numeri 80 e 90 il cui rapporto appunto 9/8. Ci vale anche per Aristosseno. E questo intervallo non viene affatto riportato allinterno del tetracordo e nemmeno inversamente interpretato in termini di trentesimi di quarta. appunto un intervallo per cos dire a s stante. Non posso perci concordare con il commento di Lichtfield a questa tavola - ammesso che io lo abbia correttamente compreso - nel quale egli dice, a proposito di Aristosseno: Nelle tavole tolemaiche due tetracordi disgiunti sono presentati con un tono intero di disgiunzione (cio un tono di 9/8). facile supporre che questo tono di disgiunzione sia eguale a 12 parti di una quarta perfetta, esattamente come un cosiddetto tono allinterno della quarta (1988, p. 59). A me sembra che i numeri della tabella dicano esattamente lopposto. Non solo: possibile dare una controprova puramente aritmetica del fatto che, rispettando i criteri e le misure di Aristosseno, egli aveva perfettamente ragione nel calcolare in sei toni la grandezza dellottava. Occorre soltanto tener conto del fatto che si tratta di cinque toni aristossenici a cui va sommato il tono pitagorico di disgiunzione. Allora, sulla base delle considerazioni precedenti e facendo i nostri conti in cents, si avr:

192.2 * 5 = 996

996+204 = 1200

Non vi potrebbe essere prova pi rotonda di questa. I pitagorici avevano dunque nettamente torto nel criticare la valutazione aristossenica della misura dellottava in sei toni ed strano che io non sia riuscito trovare una simile affermazione nei commenti specializzati e che dunque sia costretto a proporla senza un adeguato sostegno bibliografico.

495

11.2.2 Una ipotesi sulla scelta del trentesimo di quarta


Per quanto riguarda le ragioni della scelta dei trentesimi di quarta, sarei propenso a formulare una ulteriore ipotesi che mi sembra interessante perch mostra che essa non del tutto arbitraria e che coerente con il modo di pensare complessivo di Aristosseno. Come abbiamo visto esiste comunque per Aristosseno il problema di un coordinamento dell'unit di conto con il piano percettivo, anche se questo coordinamento pu essere indiretto.Ora le divisioni (in parti intere) di un intero in ordine descrescente sono 1, 1/2, 1/3, 1/4... Se l'intero il tono si potr parlare di un terzo e di un quarto di tono - come si gi detto. Secondo il modo di pensare di Aristosseno il quarto di tono la minima grandezza intervallari percepibile (di interesse musicale); di conseguenza sar percepibile anche un terzo di tono che maggiore di essa. Ora, la differenza aritmetica - ed ora si intende proprio la sottrazione nel senso consueto - tra 1/3e 1/4 1/12 e questa differenza tra percepibili a sua volta percepibile. Essa l'unit di misura del tono in genere che l'intero in questione. Io credo dunque che proprio questo dodici sia l'origine del trenta, ovvero riportato in una concezione della quarta come due toni ed un semitono, la quarta risulta divisa in trenta e il dodicesimo di tono ovviamente eguale ad un trentesimo di quarta. Il trentesimo di quarta tuttavia non si sa dove afferrarlo sul piano percettivo: invece il dodicesimo tratto da due grandezze intervallari percepite ed a sua volta percettibile nel passsaggio dal terzo al quarto di tono (o inversamente). Cosicch se una divisione in trenta sembra a tutta prima una pura stravaganza aritmetica, riveduta alla luce di un sperimentazione uditiva concreta, le cose cambiano, e di molto. L'intervallo del trentesimo di quarta non pi cos estraneo alla percezione come ci era sembrato in un primo tempo. Se le cose stessero cos, verrebbe certamente rafforzata l'idea di un radicamento sul piano percettivo anche delle misure apparentemente astratte di Aristosseno.

496

11.2.3La presuntaequalizzazione operata da Aristosseno


Uno dei problemi molto discussi se Aristosseno sia pervenuto a praticare o addirittura a teorizzare una scala equalizzata in dodici semitoni anticipando di secoli la nostra scala temperata. Qualche ragione evidentemente c' per una simile ipotesi. Se guardiamo ai risultati ottenuti con i calcoli in trentesimi di quarta tradotti in cents scala aristossenica 30 = 498 cents 12 = 199,2 cents 6 = 99,6 cents scala temperata 500 cents 200 cents 100 cents

quarta tono semitono

non possiamo non notare quanto i valori siano vicini e le differenze stiano sostanzialmente al di sotto della percettibilit. Sembrerebbe cos solo una pignoleria aritmetica non ammettere arrotondamenti che porterebbero alla nostra scala equalizzata. Anche il tono disgiuntivo naturalmente dovrebbe essere portato a 200 cents. E qui cominciano i dubbi - non tanto certo sull'arrotodamento, ma sul fatto che verrebbe completamento frainteso il senso della proposta di Aristosseno, che fa riferimento alla quarta e non all'ottava, e perviene all'ottava solo con il raddoppio del tetracordo al di l del tono di disgiunzione. Volendo si pu sostenere allora un'ipotesi pi debole relativa unicamente al tetracordo. Dividendo in trentesimi la quarta, essa viene costituita da cinque semitoni perfettamente eguali tra loro. Non sarebbe sbagliato parlare qui di equalizzazione, mentre l'espressione di temperamento sarebbe a mio avviso da evitare: il temperamento presuppone qualcosa da "temperare", e quindi un sistema intervallare preesistente. L'equalizzazione invece non richiede questo presupposto e semplicemente indica un intervallo suddiviso in parti eguali. Ma il dubbio principale sta in questo: la divisione in trentesimi della quarta non orientata a produrre una scala, ma rappresenta niente altro che un metodo di misurazione da utilizzare nel contesto della teoria dei generi. La presunta equalizzazione operata da Aristosseno dunque soltanto un problema mal posto. Il nostro temperamento equalizzato sorge invece da precise esigenze musicali. 497

Il riconoscimento implicito compiuto da Aristosseno che la complicazione matematica dell'intervallo considerato come rapporto non ha niente a che vedere con la chiarezza e la semplicit dell'intervallo effettivamente udito. Questa una lezione di grande importanza che stata per lungo tempo dimenticata. Non si tratta dunque di considerare ingenuamente Aristosseno come precursore del temperamento: il quadro concettuale e musicale entro cui si muove assolutamente diverso da quello in cui si muover la tematica futura del temperamento e dell'equalizzazione.Si tratta invece ancora una volta di ribadire la necessit di una chiara distinzione di piani di discorso e l'importanza dei contesti.

11.3 La teoria dei generi secondo Aristosseno


11.3.1 Il punto di vista funzionale

Lo scopo essenziale di Aristosseno in rapporto alla teoria dei generi quello di fornire una tipologia di base dei generi, distinguendo per il genere diatonico e il genere cromatico alcune variet all'interno delle quali possono giocare le varie "sfumature" - da un lato dunque offrendo un quadro di riferimento di base, dall'altro mantenendo l'apertura intervallare caratteristica del concetto stesso di genere. Scrive Aristosseno Occorre sapere che la comprensione musicale porta ad un tempo su due oggetti, di cui l'uno stabile e l'altro mutevole, e che ci vero della musica intera e, in una parola, di tutte le sue parti. Ad esempio noi prendiamo coscienza delle differenze di genere, quando l'intervallo totale resta invariabile, mentre gli intermedi sono modificati. Di nuovo quando, non cambiando la grandezza, la chiamiamo talora intervallo fra l'hypate e la mese, tal'altra intervallo tra la paramese e la nete, perch pur rimanendo costante la grandezza, accade che la funzione delle note cambi... (II, 34 - 1954, p. 48). Del resto abbiamo preso le mosse proprio dalla affermazione che vi un numero illimitato di licanoi, affermazione ardita (Laloy, 1904, p. 212), ma che indubbiamente va intesa, pi che in senso letterale, come una presa di posizione molto forte sulla variet e sulla libert nelle scelte intervallari. Abbiamo gi accennato alla risposta che egli fornisce allobiezione che gli fu rivolta secondo cui se cambia laltezza della nota, e ci inevitabile variando la gradezza dellintervallo, dovrebbe variare anche il suo nome. Questobiezione tipica di un punto di vista statico. Le note sono quelle che sono e stanno dove si trovano, e perci ciascuna ha un determinato nome che la identifica. Nome e identit della nota fanno tuttuno. 498

Questa naturalmente anche la posizione che prevalsa in tutta la musica europea fino ad oggi. La presa di posizione di Aristosseno, che del resto conforme allo spirito della musica greca, dunque particolarmente significativa perch che non considera la nota come un oggetto che viene posto in un luogo a cui apparterrebbe in via di principio ed attraverso il quale esso viene identificato e nominato. Ci che identifica la nota la relazione che ha nel sistema cui appartiene - dunque non la posizione, determinata con esattezza, ma piuttosto la funzione che essa assolve. La parola funzione traduce dynamis. Di fronte ad un punto di vista statico, che richiede una fondazione matematica, si fa avanti in una concezione fenomenologica dinamico-funzionale, in cui lelemento matematico ha uno scopo relazionale-descrittivo. Dunque la sua risposta alla richiesta del mutamento dei nomi, ha una chiarezza ed anche di un' importanza straordinaria: In generale finch i nomi delle due note estreme rimangono gli stessi e la pi acuta si chiama mese, la pi grave hypate, rimarranno gli stessi anche i nomi delle due note intermedie e la pi acuta di esse si chiamer lichanos, la pi grave parhypate, perch l'orecchio percepisce sempre le note tra la mese e l'hypate come lichanos e parypate (II, 49 - 1954, p. 71) Ci significa che lo spazio sonoro non fatto di note e quindi non consegue da esse, ma le note sono articolazioni possibili dello spazio sonoro, e quest'ultima nozione ha dunque un'anteriorit di principio. Chiarito tutto ci, necessario determinare alcune posizioni della lichanos che consenta di operare una distinzione di massima tra i generi. Questo per una esigenza di ordine che fa parte degli scopi di qualunque sistemazione teorica. Le posizioni in questione rappresentano peraltro delle linee di confine che determinano quello che potremmo chiamare uno spazio di gioco per ogni genere. Nella teoria dei generi di Aristosseno si ammettono, almeno per il genere diatonico e cromatico, alcune variet. In particolare vi sono due tipi di diatonico e tre tipi di cromatico, mentre il genere enarmonico viene proposto come unico. Naturalmente nulla impedisce che si considerino queste distinzioni come sfumature, anche se io credo che il tentativo di Aristosseno non riguardi tanto il fissare le sfumature, quanto 499

piuttosto di indicare dei limiti entro cui possono giocare le sfumature. Preferisco perci parlare piuttosto di variet, che rientrano tra le sfumature come loro limiti. Il grafico a destra della pagina presenta la sistemazione aristossenica dei generi, indicati in trentesimi di quarta e in valori in cents, che sono come al solito arrotondati. A partire da questi dati possibile proporre le stesse misure in tono, semitoni e terzi o quarti di tono. Queste indicazioni tanto precise ci vengono fornite dal teorico aristossenico Cleonide che fornisce le seguenti spiegazioni: Le sfumature si possono spiegare anche per via aritmetica come segue: si supponga il tono diviso in dodici minime parti, chiamate dodicesimi di tono e si dividano anche tutti gli altri intervalli sulla stessa base; cio il semitono in sei dodicesimi, la diesis [con questo termine si indicava spesso un piccolo intervallo] di un quarto di tono in tre dodicesimi, la diesis di un terzo di tono in quattro dodicesimi; il diatessaron formato da trenta di queste parti. Il tetracordo enarmonico risulter quindi composto - in dodicesimi di tono - di tre, tre e ventiquattro; il cromatico molle di quattro, quattro e ventidue; il cromatico emiolio di quattro e mezzo, quattro e mezzo e ventuno; il cromatico tonico di sei, sei e diciotto, il diatonico molle di sei, nove e quindici; il diatonico acuto di sei, dodici e dodici (Cleonide, cap. 7, 1990, p.89 ). 500

diatonico

syntonon
12 12 6 200 200 100

malakon
15 9 6 250 150 100

cromatico

toniaion
18 6 6 300 100 100

emiolion
21 4,5 4,5 350 75 75

malakon
22 4 4 366 67 67

enarmonico
24 3 3 400 50 50

Naturalmente i dodicesimi di tono sono trentesimi rispetto alla quarta. Si noti come l'ordine in Cleonide ascendente, mentre noi ci atteniamo nel grafico, come sempre, all'ordine discendente. Sulla base di questo schema ne possiamo proporre un altro che mostra pi chiaramente l'intenzione di segnare i limiti e nello stesso tempo lo "spazio di gioco" che rappresenta il senso effettivo del progetto di Aristosseno.

0 1 2 mese

3 4

7 8

diatonico syntonon diatonico malakon

9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 hypate lichanos parhypate


mo vim e nt o

de

mo

lla

cromatico toniaion cromatico emiolion cromatico malakon enarmonico

lich

to en vim

an

os

de

limite del pycnon

tono quarto di tono tre semitoni (triemitono)

tono

semitono quarto di tono

rh pa lla te ypa

501

Consideriamo a titolo esemplificativo il genere diatonico nei suoi due tipi syntonon e malakon. Se abbiamo strutture esattamente secondo le misure indicate, esse rappresentano le forme normali - potremmo chiamarle cos - del genere. Tuttavia questi valori significano anche, secondo Aristosseno, che nel genere diatonico la lychanos pu distanziarsi dalla prima nota da un minimo di 200 cents sino ad un massimo di 300 cents, valore con il quale si entra nel genere cromatico. Essa pu dunque pu muoversi nell'ambito di un semitono. Tutto questo spazio verr compreso nel diatonico.D'altra parte possiamo "giocare" anche nello spazio del primo tipo di diatonico, in cui la lichanos pu assumere valori compresi tra 200 e 250 e nello spazio di gioco del diatonico morbido che va da 250 a 300. In questo gioco vi sono appunto le sfumature a cui lo schema indicato fornisce un inquadramento teorico. L'enarmonico dato in un solo tipo e non ha sfumature, secondo Aristosseno, e ci lo si pu comprendere per il fatto che si tocca qui il limite del quarto di tono. Al di sotto di esso non possibile andare, al di sopra si passerebbe al genere cromatico. Nell'insieme la lychanos rispetto alla mese pu muoversi di un tono, cio tra 200 e 400 cents. E il movimento di un semitono segna il passaggio sia dal diatonico al cromatico (da 200 a 300 cents) sia dal cromatico all'enarmonico (da 300 a 400 cents). Il tentativo di stabilire un quadro di riferimento sembra piuttosto evidente. A seconda della divisione intervallare proposta si potr attribuire il tetracordo ad una sfumatura dell'uno o dell'altro genere. Cleonide conferma che il senso della costruzione non sta nel fissare come legittime solo alcune delle possibili variet, ma soprattutto quello di definire lo spazio di gioco nel passaggio da un genere all'altro. Le differenziazioni dei generi hanno luogo attraverso le note mobili: la lichanos pu spostarsi entro lo spazio di un tonoe la parhypate entro lo spazio di una diesis [quarto di tono], per cui la lichanos pi acuta viene a trovarsi a un tono e la pi grave a due toni di distanza dai due estremi del tetracordo, e analogamente la parhypate pi grave viene trovarsi ad una diesis e la pi acuta invece ad un semitono di distanza sempre dall'estremo inferiore del tetracordo (Cleonide, cap. 6, 1990, p. 89)

502

Una piccola aggiunta va fatta per i nomi: essi hanno una diversa natura. Alcuni alludono alla struttura intervallare come toniaion e emiolion: Cleonide spiega che queste specie cromatiche prendono il nome dal loro picnon: il cromatico toniaion si chiama cos per il fatto che il tono vi compreso come intervallo composto determinante il picnon - in effetti il limite del picnon si trova a 12 trentesimi dall'hypate, mentre lo stesso autore spiega emiolio per il fatto che le diesis (piccoli intervalli) che si trovano in esso hanno valore emiolio rispetto alla diesis enarmonica. In effetti il picnon del genere cromatico emiolio ha due intervalli di 4,5 trentesimi di quarta, che sono pari a 3 + 1,5 trentesimi di quarta. Emiolio, significa, come abbiamo gi osservato altrove, un valore che supera l'intero della sua met (cap. 7, p. 91). Syntonon e malakon sembra invece abbiano altra origine e rimandino piuttosto ad una componente espressiva. Syntonon ha indubbiamente a che vedere con la tensione (dal verbo teino = tendere). Malakon, spesso tradotto con molle, ha come significati fondamentali morbido, lieve, tenero. Ed inutile dire che anche in questo caso si fa sentire la tendenza a cancellare i valori espressivi implicati talvolta nel senso dei termini per preferire riferimenti fattuali positivi. Cos ad esempio malakon = molle in quanto la corda allentata (molle) rende il suono pi grave (Zanoncelli, 1990, p. 119): quasi che la differenza tra i due diatonici, stesse nel fatto che l'uno ha le corde tese e l'altro allentate. Di fronte a posizioni di questo genere persino da preferire un'affermazione di Laloy che pone un accento anche troppo vigoroso sull'aspetto espressivo: Certi suoni, consonanti tra loro, sono colti nel loro rapporto e riportati all'unit del giudizio musicale; altri invece, irriducibili e indipendenti, dnno con il loro spostamento l'idea di uno sforzo o di un abbandono, di uno slancio gioioso o di una tristezza abbandonata; queste sfumature sono molto ben spresse dal linguaggio stesso, dove gli epiteti che caratterizzano queste alterazioni aggiungono un senso morale al loro senso tecnico: vi sono, proprio per via dell'esistenza dei suoni mobili, della scale tese e delle scale rilasciate e morbide (Laloy,1904, p. 209).

503

11.3. 2 Confronto tra i generi di Archita e di Aristosseno


Non credo che dopo tutto ci sia necessario di spendere troppe parole sulla differenza che sussiste sulla proposta di razionalizzazione di Archita della teoria dei generi e la proposta di Aristosseno. Indipendentemente dalle interessanti giustificazioni che sono state proposte per motivare le scelte di Archita, risulta chiaro da tutta la nostra discussione precedente che Archita intende anzitutto stabilire un quadro stabile per i generi fissando le posizioni delle note mobili del tetracordo secondo principi coerenti con la metodologia matematica pitagorica e con intervalli definiti in termini di rapporti tra interi; si pu naturalmente pensare che, anche stando al punto di vista di Archita, si possano dare anche altri sistemi intervallari purch siano fondati negli stessi criteri. In questa fondazione va da s che vi saranno posizioni escluse e che il punto di vista di principio rimane discretistico. Ci ha una significativa conseguenza: in questa ipotesi si potr parlare eventualmente di possibili variet dei generi, ma non di vere e proprie "coloriture" nel senso di Aristosseno. Infatti deve allora cambiare - tra le tante altre cose - anche il modo di concepire la fissazione della posizione delle note nel tetracordo. Forse l'esempio pi convincente e pi chiaro del nuovo metodo di Aristosseno consiste nel suo trattamento dei generi o tipi di tetracordo - diatonico, cromatico, enarmonico. Questi tre generi erano stati dapprima sistematizzati da Archita, un pitagorico, intorno al 400 a. C. che us un insieme accuratamente costruito di rapporti di interi. Un confronto diretto dei generi di Archita con quelli di Aristosseno rivela la natura della novit della sua teoria cos come suggerisce qualcosa intorno ai mutamenti stilistici che potevano essere intervenuti al principio del IV secolo... Aristosseno semplicemente rese esplicito ci che era gi presente nel sistema di Archita, ma lo fece attirando l'attenzione sul movimento della lichanos piuttosto che sulle sue posizioni. Egli pose le posizioni della lichanos nel diatonico e nell'enarmonico come 'limiti' al movimento della lichanos, permettendo cos ad essa ci che ora potrebbe essere definito un 'locus' piuttosto che un punto corrispondente ad un rapporto (Crocker, 1961, p. 102-103).

504

12. Il sistema completo

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506

12.1 Introduzione
12.1.1 Sistemi, toni, armonie 12.1. 2 Le specie (eidos, schema) 12.1.3 Metabol

12.2Il sistema completo


12.2.1 Lampiezza dello spazio sonoro nella musica greca 12.2.2 Il doppio tetracordo di base come fondamento del sistema completo 12.2.3 Il sistema completo piccolo e la sua integrazione nel grande 12.2.4 Le specie di ottava 12.2.5 Il problema della trasposizione e la "modulazione della melodia

12.3 Conclusione
12.3.1 Tesi e dynamis 12.3.2La prospettiva dinamica e tetica nell'intero spazio sonoro 12.3.3Limmutabilit del sistema completo
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508

12.1 Introduzione
12.1.1 Sistemi, toni, armonie
L'argomento conclusivo di questo nostro album un tentativo di illustrare il sistema completo o perfetto. Il termine greco sistema teleion. Non so se si possa trovare traduzione migliore: nel termine greco si allude comunque ad una forma di perfezione nel senso della compiutezza, di ci che racchiude tutto l'essenziale. In Tolomeo questo termine riceve un significato pi preciso che vedremo in seguito. Qualunque tentativo di illustrazione del sistema completo richiede che si porti la discussione sui "tonoi" e sulle "specie di ottava" - due concetti tra loro interdipendenti - molto controversi, che hanno dato luogo a interpretazioni talora fortemente divergenti, anche se le ricerche pi recenti hanno portato una chiarezza un tempo insperata su un argomento che il pi problematico di tutti i vari scomparti della 'armonica' greca, in parte per via delle lacune nella testimonianze e della confusione presenti nelle fonti che abbiamo a disposizione (Barker, 2000, p. 158). In realt dopo gli sforzi compiuti per impossessarci di alcuni "segreti" della teoria greca, sarebbe sbagliato non fare nemmeno un tentativo per delineare questo problema nonostante tutte le incertezze e la sua riconosciuta notevole complessit. Tuttavia affinch questo tentativo possa sperare di riuscire nel suo scopo dovremo da un lato introdurre qualche semplificazione, dall'altro cercare di cogliere il nucleo e il senso di questa costruzione, pi che i dettagli della costruzione stessa. Come del resto in tutta la nostra esposizione, lobbiettivo quello di enucleare alcuni concetti di base capaci di indicare almeno la direzione e il senso dei problemi e il tipo di indagine da svolgere intorno ad essi. Bench sia un aspetto assai poco sottolineato dalla letteratura specialistica, nella considerazione del sistema completo vi un profilo filosofico che ci riporta ancora nel quadro delle grandi linee e fertili opposizioni del pensiero greco: come abbiamo visto, sullo sfondo delle questioni di pratica e di teoria musicale vi sono le posizioni del pitagorismo e dell'aristossenismo, del platonismo e dell'aristotelismo, e i grandi temi di cui esse sono portatrici. Nel sistema completo questi temi riaffiorano in una nuova forma, in un modo pi nascosto, e sicuramente inaspettato. 509

Sistema
Cominceremo da qualche precisazione terminologica. Il primo termine da precisare certo quello di sistema: questa parola ha unaccezione molto ampia che non riguarda solo l'ambito muicale. In questo ambito, con sistema si intende una sequenza di intervalli. Nella sua accezione musicale pi ampia si chiede soltanto che gli intervalli siano pi di uno. Ma vi sono anche accezioni pi ristrette. Per Aristide Quintiliano un sistema costituito da pi di due intervalli (11.4 - cap. 8. Barker, 1989, p. 413). In questo modo Aristide rende il tetracordo il sistema pi piccolo. Altri richiedono che si parli di sistema solo per gruppi di intervalli capaci di formare un intervallo musicalmente significativo, il che significa ridurre l'accezione di sistema agli intervalli di quarta, di quinta e di ottava. Tipica di Tolomeo una ulteriore restrizione: ... si chiama usualmente sistema una grandezza risultante dalla composizione di intervalli melodici: il sistema appunto, per cos dire, una consonanza di consonanze (Tolomeo, 2.4, 2002, p. 54). Nell'uso di Tolomeo, soltanto le sequenze che sono costituite dalla composizione di due o pi gruppi di intervalli, ciascuno limitato da suoni consonanti, conteranno come sistemi. Cos un singolo tetracordo non un sistema, ma un sistema verr formato quando due di essi sono disposti in congiunzione o in disgiunzione (Barker, 2000, p. 158). Nell'accezione di Tolomeo, che evidentemente propone questa restrizione gi nell'ottica del sistema completo, saranno sistemi solo l'ottava, l'ottava + quinta o + quarta, la doppia ottava (2.4). Va da s che l'accezione pi larga, che abbraccia tutte le altre, la pi maneggevole e meno impegnativa. Va richiamata l'attenzione anche sul fatto che la nozione di sistema non riguarda le altezze, ma gli intervalli e la loro disposizione reciproca. 510

Tonos
Una bella caratterizzazione dei vari sensi che pu assumere la parola tonos la si pu trovare in Cleonide: Il termine tonos pu avere quattro significati: esso infatti indica o un suono (fthongos), un intervallo (diastema), uno spazio sonoro (topos fons) o una posizione (tasis). Si usa nel senso di suono quando per esempio si dice che la forminx ha sette toni, come fanno Terpandro e Ione. Il primo dice infatti: Ora noi volgendo le spalle al canto tratto da quattro corde, cantiamo nuovi innisulla forminx dai sette toni. (...) E non pochi altri usano il termine in questa accezione. Ha il significato di intervallo invece quando si dice che c un tono dalla mese alla paramese. Ha il senso di ambito sonoro quando si parla di tono dorico, frigio o lidio o di qualcun altro di essi (cap. 12 - 1990, p. 103). Le differenze di senso di tono come suono, intervallo di una grandezza relativamente determinata e posizione sono facili da spiegare perch sono entrate nell'uso in tutta la nostra tradizione musicale e il termine viene in genere impiegato in contesti che non lasciano dubbi. La posizione in cui si trova il suono ovviamente l'altezza, e quindi il senso qui assai prossimo al tono inteso semplicemente come "nota". La parola tasis ha comunque numerose altre implicazioni (Piana, 1903, pp. 47-49). Gi un poco pi difficile il senso di tonos come "ambito sonoro". Facendo gli esempi di tono dorico, frigio ecc. Cleonide si leva di impaccio rispetto ad un problema con cui avremo a che fare fra poco. Ci comunque a cui allude il senso, anch'esso fortemente presente nella tradizione europea successiva, di una scala caratterizzata da un determinato sistema intervallare, quindi di un insieme di luoghi, entro cui si svolge la melodia: dunque un senso affine tonalit nellaccezione pi ampia possibile del termine. I versi di Terpandro (prima met del VII sec. a. C.) presentano anche uno squarcio sulla problematica dell'aumento delle corde della lira da quattro a sette, vista con soddisfazione dai poeti e cantori, e con sospetto o addirittura condanna da parte dei teorici. 511

Trattando della problematica dei generi abbiamo poi richiamato lattenzione sul termine di harmonia - nel senso di tipo melodico. Per certi versi lespressione tonos come sistema scalare erede di quel termine. Tropos un altro termine usato per lo pi come sinonimo di tonos.

12.1. 2. Le specie (eidos, schema)


Anche l'impegnativa parola greca eidos, oltre ad avere un significato importantissimo nella logica aristotelica indicando le specie di un genere, e in Platone addirittura valere come idea, ha un significato musicale molto determinato. Secondo Solomon (1984, p. 245), la parola "specie" (eidos, schema) viene impiegata in un'accezione tecnico-musicale piuttosto tardi tra la fine del quinto secolo e l'inizio del quarto nell'ambito dell'accademia platonica. In Aristofane significa "figura" di danza; nella scuola ippocratica schema significa posizione del corpo. Ed anche Platone usa sia eidos che schema per indicare figure, tipi, forme. Sarebbe solo in Aristosseno che questi termini assumono il significato specie di quarte, quinte e ottave nel senso che stiamo per precisare. Ed essendo Aristosseno peripatetico taluni coordinano senz'altro questo termine all'uso logico aristotelico. Cos scrive Barbera (1984, p. 229): Nella Categorie di Aristotele si afferma: "La specie il soggetto del genere. Invero i generi sono predicati delle specie, ma le specie inversamente non sono predicabili dei generi". Un poco oltre nello stesso trattato leggiamo che il genere ha la priorit rispetto alla specie (15a), e Aristotele ci dice nei suoi Topici che la specie partecipa dei generi, ma non viceversa (120b). Cosicch la nostra ricerca intorno alla specie deve prima determinare che cosa sia il genere. Per fortuna tale determinazione nella musica facile da ottenere, poich gli antichi teorici sono virtualmente unanimi nella loro definizione del genere musicale. Aristide Quintiliano afferma: "Un genere una certa divisione di un tetracordo". Gaudenzio espande questa definizione in questi termini: "Un genere una certa divisione e disposizione di un tetracordo". La maggior parte dei teorici procede di qui per distinguere tre generi di tetracordi: enarmonico, cromatico e diatonico, secondo l'ampiezza dei tre intervalli abbracciate dalle quattro note del tetracordo. 512

Tutto ci naturalmente giusto, ma il richiamare l'attenzione su questa origine del termine e sulla sua relazione con la nozione musicale di "genere" pu dar luogo ad equivoci. Questa parola infatti non si accoppia con i generi nell'accezione musicale del termine, che si differenziano se mai attraverso le "sfumature", ma piuttosto con i sistemi, e soprattutto, come vedremo meglio in seguito, con i tonoi. Occorre dunque mettere in guardia dalla possibile confusione tra le specie e le sfumature dei generi, cosa che ovviamente non toglie che anche queste ultime possano essere considerate "differenze specifiche". Ad esempio, in Cleonide si scrive che la sfumatura una distinzione specifica del genere (Cleonide, 1990, cap. 7). evidente tuttavia che proprio in casi come questi tradurre sfumatura (chroa) con specie dovrebbe essere accuratamente evitato. Lunica giustificazione per istituire questa relazione, oltre ovviamente il puro significato logico, sta nel fatto che isistemi tetracordali erano comunque caratterizzati da un genere e i primi esempi proposti da Aristosseno di specie riguardano appunto lintervallo di quarta, preso nel genere enarmonico. Aristosseno parla dellargomento proprio nel punto in cui il suo trattato si interrompe. Egli dice: Si deve poi considerare il significato e la natura della differenza di specie (eidos). Per noi lo stesso dire eidos oppure schema perch riferiamo queste espressioni alla stessa cosa. Questa differenza si verifica quando cambia lordine degli intervalli non composti che costituiscono un intervallo composto, mentre il numero e lampiezza degli intervalli rimane la stessa (Meib., 74 Aristosseno, 1954, p. 99). (Marquard rende eidos con Form e schema con Figur, 1868, p. 109) La definizione di specie in effetti di sapore aristotelico, come nota Barbera (1984, p. 230), che rammenta una similitudine musicale presente nella Politica per illustrare il variare di forma di una struttura composta: una qualunque unione o composizione diversa, osserva Aristotele, se la specie della sua composizione diversa, come accade nel caso delle armonie musicali se si muta lordine degli intervalli. Anche larmonia cambia, pur rimanendo identici i suoni, se questarmonia ora frigia, ora dorica (1276b6-9). Aristosseno particolarmente chiaro in proposito: un mutamento di specie un mutamento di ordine degli intervalli, mentre gli intervalli rimangono identici numericamente e per grandezza. Cos TTS e TST hanno lo stesso numero di intervalli e gli intervalli interessati sono della stessa grandezza essendovi in entrambi i casi due toni e un semitono, ma lordine differente. Lesemplificazione aristossenica riguarda gli intervalli di quarta. 513

Stabilita questa definizione si deve dimostrare che tre sono le specie della quarta: prima, quella in cui il pycnon al grave: seconda, quella in cui la diesis [quarto di tono] giace da una parte e dallaltra dal ditono; terza, quella in cui il pycnon allacuto del ditono. Si comprende facilmente che non vi sono e che non ci possono essere altre posizioni relative della quarta oltre queste (Aristosseno, ivi). Questo passo notevole per vari motivi. Intanto, poich si parla di pyknon, evidentemente l'esempio va inteso come relativo ad un tetracordo di genere enarmonico. In esso si conferma che caratteristica della specie il mutamento di ordine degli intervalli. Si noti che la "sfumatura" lascia invece inalterato proprio questo ordine. Si parla dunque di tre specie: il pycnon pu essere sotto il ditono, oppure esso viene diviso dal ditono constando esso di due intervalli, infine esso si trova sopra il ditono. notevole poi il fatto che la questione della distinzione tra le specie venga posta in modo piuttosto astratto: si tratta di enumerare tutte le specie nella loro struttura intervallare, dimostrando nel contempo che non ce ne possono essere altre. L'astrattezza sta nel fatto che una simile operazione pu essere compiuta in modo del tutto indipendente da considerazioni di ordine musicale. In effetti non difficile mostrare che queste e non pi di queste sono le specie di quarta in modo semplicemente grafico, considerando i puri simboli degli intervalli di cui sono costituiti due intervalli di quarta successivi. Indichiamo con D il ditono e con Q il quarto di tono. Facendo ruotare l'inizio "ciclicamente" si ottengono le specie DQQ, QQD, QDQ ed evidentemente non vi sono altre possibilit perch la trasformazione successiva ci riporterebbe alla prima struttura. Questo modo di esibire le specie per spostamento e dunque per rotazione (in greco = perifor) -nel variare della specie il primo elemento diventa ultimo nella specie successiva - non affatto inessenziale per stabilire in che senso si parla di numero di specie possibili. Infatti non si tratta di tutte le combinazioni possibili ma appunto solo di quelle che sono "derivabili" per rotazione da una configurazione. Si consideri, ad esempio, la sequenza di lettere ABC. Le combinazioni possibili sono sei, ma quelle ottenibili per rotazione sono soltanto tre. L'individuazione delle "specie" diventa cos un problema puramente matematico-formale e di questa relativa astrattezza occorrer tener conto anche nelle nostre considerazioni future. 514

Inoltre si vede qui assai bene la differenza tra specie e sfumatura. La sfumatura opera allargamenti e restringimenti degli intervalli, ma non ne turba l'ordine e dunque anche la funzione. La specie invece del tutto indifferente al genere - un genere qualunque pu servire da esempio. Essa incide pesantemente sull'ordine e dunque sulla funzione. Nell'esempio lo vediamo soprattutto nella terza specie: si pu forse ancora parlare di pycnon, che indica, come sappiamo, una zona di addensamento di piccoli intervalli, se il quarto di tono sta a destra ed a sinistra del ditono? Possiamo parlare di lichanos per una nota che sta ad appena un quarto di tono dalla mese? Nell'aristossenico Cleonide (II sec. d. C.) lo stesso metodo ciclico viene impiegato per individuare le specie di quinta. In rapporto al genere diatonico egli elenca quattro specie di quinta che nel seguente diagramma noi presentiamo in forma circolare.

T
3

Prendendo le mosse dalla lettera T con 1 sottoscritto, e proseguendo nellordine si ottengono

T
4

S
2

1. TSTT 2. STTT 3. TTTS 4.TTST


Si ottengono cos tutte le specie della quinta. Lordine di successione evidentemente poco importante. Si ottengono in ogni caso le stesse specie partendo da un lettera qualsiasi. Proponendo lo schema circolarmente si mette in evidenza che vi una forma di successione costante di base e che lordine cambia seguendo questa forma.

T
1

515

12.1.3 Metabol
Infine va rammentato il termine metabol che di particolare importanza per la tematica che stiamo per trattare. Questo termine significa mutamento, trasformazione. Ed ha naturalmente diverse applicazioni e interpretazioni diverse. Come abbiamo gi detto, all'interno di una stessa melodia il genere pu mutare - ovvero la stessa melodia pu variare di genere nel corso del suo sviluppo. Questo un caso di metabol. Un altro caso riguarda ci che modernamente chiameremmo trasposizione di una stessa melodia da una regione grave ad una regione pi acuta. Mentre prima il termine era connesso al genere, qui invece connesso al tonos. Ma a questo proposito vi unimportante distinzione da fare che viene formulata con particolare chiarezza da Tolomeo. Un conto la semplice ripetizione della melodia una volta pi grave ed un'altra pi acuta, tanto pi se poi questa semplice ripetizione avviene in modo tale che le due esecuzioni siano separate l'una dall'altra. Questa una nozione musicalmente poco interessante di metabol. Altro conto invece che, all'interno di uno stesso sviluppo melodico, vi sia passaggio da tono a tono - questa "trasposizione interna" ha un effettivo significato musicale e pu essere usata come importante mezzo espressivo (presa in questa accezione vi un'affinit con il termine moderno di "modulazione"). Non allora tanto importante la distinzione tra il grave e l'acuto, quanto piuttosto l'effetto espressivo che questa "mutazione" interna alla melodia produce. Ma questo potr essere meglio approfondito quando avremo trattato del sistema completo, delle specie di ottava e fornito qualche precisazione sui tonoi come toni di trasposizione.

516

12.2Il sistema completo


12.2.1 Lampiezza dello spazio sonoro nella musica greca
Fin qui ci siamo mossi orientati dall'idea di uno spazio sonoro minimo, l'intervallo di quarta e della possibilit del suo raddoppiamento che, nella forma disgiunta, raggiunge l'ampiezza dell'ottava. ovvio tuttavia che le melodie greche, bench fossero per lo pi contenute entro un ambito molto ristretto, certamente potevano liberamente svilupparsi oltre il tetracordo superiore ed il tetracordo inferiore. Di conseguenza lo spazio sonoro effettivamente utilizzato era pi ampio dell'ottava. Inoltre si poneva il problema di operare trasposizioni di melodie da un registro grave ad uno pi acuto o inversamente. In questi casi diventava una necessit ovvia superare i ristretti limiti dell'ottava. Certo, non dobbiamo pensare alle grandi estensioni a cui siamo oggi abituati. Un pianoforte da concerto si estende su sette ottave e in un'orchestra sinfonica vi sono strumenti tali da poter coprire, nel loro insieme, una simile estensione. Lo spazio sonoro greco si estendeva solo su due ottave. Rammentiamo che l'ampiezza dello spazio sonoro fortemente determinata dalla prevalenza o meno della musica vocale rispetto a quella strumentale. La voce ha dei limiti ben precisi, limiti che possono essere talvolta agevolmente superati dagli strumenti. Ma per la voce lo spazio di due ottave indubbiamente uno spazio molto ampio. Qualunque sia la regione di riferimento (basso, baritono, tenore, contralto, soprano), la voce non supera normalmente le due ottave. Va peraltro notato, che in Grecia non vi era un riferimento assoluto, ma soltanto relativo dell'intonazione - cosicch le due ottave non erano fissate su una tastiera ideale o reale che fosse. Gi questa circostanza stabilisce una prima differenza rispetto alle nostre consuetudini, per il fatto che lo spazio sonoro veniva, in certo senso, visto dall'interno, e non come una totalit oggettiva considerata dall'esterno con i suoi limiti altrettanto oggettivi, entro cui vi sono circa sette ottave che si possono percorrere linearmente passando dall'una all'altra. 517

Ora interessante notare che i teorici svilupparono questo problema dell'ampliamento dello spazio sonoro, con lo scopo di raggiungere un sistema completo, in un senso che riguarda in primo luogo la sua adeguatezza alle esigenze musicali effettive, in stretta coerenza con il principio del tetracordo come principio organizzativo fondamentale, animati, nello stesso tempo, da un forte spirito architettonico. Per questo parlare di due ottave, o dire che lo spazio sonoro greco si estende su due ottave comporta possibili equivoci. Anzitutto sembra che ci si serva dell'ottava come unit di riferimento (e sulla natura di questo errore abbiamo insistito abbastanza); in secondo luogo si d l'impressione che si tratti semplicemente di uno spazio doppio, rispetto a quello dell'ottava, e null'altro. Ovviamente affermare che due ottave rappresentano uno spazio doppio rispetto a quello di una sola ottava banalmente vero chi mai potrebbe non essere d'accordo su una simile affermazione? Eppure, essa non solo non ci insegna nulla sul modo di intendere questo spazio, ma rischia anche di introdurre profondi fraintendimenti. Cominceremo intanto con il dire che il sistema completo, in ultima analisi, non niente altro che una tabella, ed il modo migliore per tentare di venire a capo almeno delle sue idee guida quello di costruirla di passo in passo. Si tratta di una costruzione che pu essere esposta come se avvenisse in due tempi: il primo riguarda l'estensione dell'ottava a due ottave, il secondo riguarda invece l'ambito delle possibili trasposizioni.

518

12.2.2 Il doppio tetracordo di base come fondamento del sistema completo


Cominciamo a metterci sotto gli occhi il doppio tetracordo disgiunto. Voi chiederete: secondo quale genere? Rispondiamo semplicemente: secondo il genere diatonico. Ma questa risposta deve essere accompagnata da qualche giustificazione. Abbiamo gi notato che se lordine espositivo che procede dal diatonico allenarmonico passando attraverso il cromatico pu avere una sua giustificazione teorica nellappesantimento della tendenza cadenzale ovvero nel progressivo distanziarsi della lichanos dalla mese, tuttavia questo ordine non rispetta la vicenda storica che sicuramente era assai pi complessa: il prevalere nella tarda grecit della genere diatonico, e per via di questo prevalere, la decadenza della stessa teoria dei generi, non deve far pensare che i generi cromatico ed enarmonico - con tutto tutto che essi comportano, dal punto di vista musicale - fossero di importanza secondaria. opportuno invece sottolineare vivacemente che i greci amavano molto i piccoli intervalli, le ornamentazioni, la variet consentita dalla teoria dei generi; cos essi conferivano fama ed onori a quei musicisti che introducevano modifiche ai loro strumenti per aumentarne la flessibilit espressiva, ad esempio aumentando il numero di corde della lira cos da poter disporre di una tavolozza pi ricca di possibilit. Lo stesso vale per laulos: il satiro auleta una figura esemplare della vasaria greca in tutta la sua sensualit apertamente esibita: le proteste di teorici e moralisti suonano come una conferma di tutto ci. Vi sono mille indizi che mostrano come i greci per lungo tempo avessero una particolare predilezione non solo per l'intervallistica mobile, ma anche per il gioco con i piccoli intervalli, e quindi per un'espressivit particolarmente intensa; al punto che si pu formulare l'ipotesi che la critica di questa espressivit, l'elogio della semplicit, la reazione contro la variet, ecc., come elementi "barbari", "orientali" non genuinamente ellenici, fosse soprattutto propria dei teorici - pitagorici e platonici soprattutto - e fosse tanto pi netta quanto pi invece la musica greca sembrava spesso muoversi su tutt'altra via. I generi enarmonico e cromatico sono certamente in auge nell'et di Aristosseno. Aristosseno e gli aristossenici avviano la loro rivoluzione teorica avendo di mira il problema di una maggiore aderenza alla pratica musicale. Anche da questo punto di vista significativo che a proposito del tema delle specie di quarta, Aristosseno sembra volere avviare la trattazione dall'enarmonico e non escluso che le proposte aristosseniche di "sistema completo" fossero influenzate da questa propensione. Ma certo che questa tendenza della musica reale va ben oltre l'et di Aristosseno. 519

Quando cominci ad esistere una scala standard di accordatura della lira? assai difficile dirlo. E questa scala standard era la scala diatonico-pitagorica? assai improbabile. Si chiede Monro: che ne dellottava standard della lira? Quale era la successione di intervali da cui era caratterizzata? Ed egli risponde cos: Nessuna successione di intervalli aveva qualche privilegio per essere scelta. Si pu sostenere che l'ottava standard era di fatto la scala di un particolare modo, che si era guadagnato una reputazione come modello, ad esempio il dorico. Ma non vi traccia di una simile preminenza del modo dorico come se si trattasse di una necessit. I filosofi che sostenevano il carattere elevato e la sua rappresentativit rispetto alla purezza ellenica erano assai lontani dall'implicare che esso fosse in cima alle preferenze popolari. In realt il contrario era evidentemente il caso (Monro, 1894, p. 42). A riprova ecco una testimonianza veramente straordinaria, tratta dai Cavalieri di Aristofane. Si sta parlando di Cleone e si dice di lui: Altro lato mirabile del suo trattar porcino: chi studi da bambino con lui, dice che us temprar la lira in dorico sempre; n percepa verun'altra armonia; e, irato, lo scacci il maestro, da scuola. Questo bimbo la sola accordatura dorica capisce: e l'altre no! (trad. di E. Romagnoli, Le Commedie, Zanichelli, 1924, p. 206) 520

Eppure ci che finisce con il contare, dal punto di vista della costruzione teorica, che il diatonico si trova, in fin dei conti, a partire dal tetracordo di Filolao allorigine della teoria musicale proprio per il fatto che esso costruito con i rapporti tratti dalla teoria delle consonanze; ed dominante quando la teoria raggiunge la sua sistemazione pi compiuta. Dopo la scossa aristossenica ed un periodo, che si pu supporre piuttosto ampio, di dominio della variet dei generi e della ricerca musicale e teorica correlativa, il platonismo e il pitagorismo hanno il netto sopravvento. sintomatico che il trattato di Tolomeo (II sec. d. C.), che pu essere considerato una sorta di straordinaria sintesi conclusiva della teoria musicale della grecit, dedichi tutto il suo primo libro a confutare le tesi di Aristosseno e degli Aristossenici. Naturalmente si parla ancora dei generi e delle loro sfumature, si formulano ancora nuove proposte intorno ad esse (sia pure nello spirito pi del pitagorismo che di quello dell'aristossenismo) - ma si tratta ormai non tanto di discorsi sulla musica, ma di discorsi sui discorsi passati di una musica passata. Ma vi un altro punto a cui va dato particolare rilievo. Nella costruzione del sistema completo, il problema della diversa grandezza degli intervalli, su cui tanto abbiamo insistito in precedenza, non pi in primo piano. Ci basta la differenza tra tono e semitono genericamente intesi. Che poi la grandezza di questi intervalli possa variare in funzione dei movimenti delle note mobili non rappresenta un problema, non implicando questa variazione alcuna modificazione dellarchitettura complessiva della costruzione. La problematica dei generi pu restare in ombra perch il nucleo della questione del sistema completo in fin dei conti non la riguarda. Riconsideriamo dunque il doppio tetracordo disgiunto, facendo riferimento alla struttura di toni e semitoni che ci ormai ben nota dal momento che stata da noi gi ampiamente illustrata con il nome di scala pitagorica. Vogliamo ora chiamare questa scala doppio tetracordo di base. Questo termine tutto nostro e serve da un lato a neutralizzare gli equivoci associati al termine di ottava e nello stesso tempo a richiamare lattenzione sul fatto che questa struttura intervallare ha carattere di fondamento per il sistema completo. Nella sua rappresentazione grafica ricorreremo normalmente ad un ordine orizzontale, nella sequenza nete, paranete, trite, paramese, mese, lichanos, parhypate, hypate, con la nete a sinistra e lhypate a destra. Rammentiamo inoltre che abbiamo convenuto, per quanto riguarda i nomi delle note, di ricorrere talvolta anche ai nostri nomi usuali, iniziando con Mi, secondo una convenzione comunemente accettata cos da avere la scala diatonica nella forma priva di alterazioni nella nostra consueta scrittura musicale. Anche questo artificio ci pu risparmiare molte parole e rendere pi accessibile la nostra discussione. Non abbiamo invece diversificato notazionalmente le differenti altezze delle stesse note, essendo queste differenze ovvie nella lettura da sinistra a destra (andamento dallacuto al grave). 521

Fatte queste precisazioni, possiamo ora compiere il primo passo nella costruzione della tabella del sistema completo. In questo primo passo si tratta soltanto di operare unestensione a destra ed a sinistra del doppio tetracordo di base aggiungendo un tetracordo congiunto da entrambi i lati (come abbiamo detto, lantico eptacordo non venne mai dimenticato dalla cultura musicale greca).
DOPPIO TETRACORDO DI BASE

LA

SOL

FA

MI
NETE

RE DO SI

LA
MESE

SOL

FA

MI
HYPATE

RE

DO

SI

Questa aggiunta richiede che le note siano identificate non solo con il nome consueto, ma anche con l'aggiunta determinativa del tetracordo cui appartengono. Ne deriva una terminologia un po' macchinosa ma chiaramente comprensibile. Cos il tetracordo a cui appartiene la mese viene chiamato gi da Aristosseno "tetracordo della mese" e questo termine viene poi reso plurale volendo intendere tutte le note appartenenti al tetracordo della mese (Chailley, 1979, p. 49). Il tetracordo sovraordinato viene caratterizzato per il suo essere un tetracordo disgiunto, il tetracordo aggiunto superiormente (alla sinistra nel nostro schema) come tetracordo delle note acute: la nota pi acuta verr ancora caratterizzata come nete, le successive paranete e trite con la precisazione di appartenenza al tetracordo delle note acute; infine il tetracordo che sta al di sotto (a destra nel nostro schema) del tetracordo della mese come tetracordo delle note gravi i cui nomi saranno ancora lichanos, parhypate e hypate con la precisazione di appartenenza al tetracordo delle note gravi. Come chiaro, la forma stessa nei nomi delle note non pu aver nulla a che fare con quella delle nostre note che segue una logica completamente diversa. La forma del nome qui determinata dalla sua integrazione nel sistema. Perci avremo la "nete dei disgiunti (=nete del tetracordo disgiunto)", la nete degli acuti (=nete del tetracordo delle note acute), ecc. (Schema a destra tratto da Gollin, 2004). 522

Si tratta di quattordici note, la cui idea costruttiva appare essere quella di uno spazio centrato, cio di uno spazio di cui si possa indicare un luogo come suo centro. Affinch questa condizione si realizzi letteralmente, abbiamo bisogno di aggiungere una nota (proslambamenos), cosa che del resto si impone per "chiudere" lo spazio richiamando la nota con cui esso si aperto. Cosicch aggiungeremo un La a destra in modo da stabilire il richiamo in doppia ottava con la prima nota. Le note diventano di conseguenza quindici, la mese occupa non solo il centro esatto dello spazio ma ne richiama anche i bordi. Potremmo tentare di rendere la situazione in questo modo:

LA

SOL

FA

MI

RE DO SI

LA

SOL

FA

MI

RE

DO

SI

LA

Evidentemente si tratta di far nascere qualcosa di completamente diverso del raddoppio di una ottava ovvero di due ottave accostate l'una all'altra. I due aspetti particolarmente importanti che caratterizzano il modo di intendere questa struttura l'esistenza di un centro che riguarda l'intero spazio sonoro cos costituito. Parlando di centro si allude naturalmente anche all'immagine della circolarit. I due la che fanno da confine al sistema nel grafico sono associati da una doppia freccia per il fatto che in realt la nota aggiunta deve essere pensata come una nota che idealmente si ricongiunge con la nete del tetracordo delle note acute (nete hyperbolaion). 523

In altri termini il senso della costruzione (il suo modo di intenderla) non quello di un percorso lineare che pu proseguire oltre i suoi confini superiori o inferiori, ma di uno spazio che, giunto al suo limite inferiore prosegue nel suo limite superiore e inversamente, ovvero non prosegue affatto, ma circolarmente chiuso su se stesso. Questa circolarit sembra apertamente sottolineata da Tolomeo quando pone una sorta di coincidenza tra la nete del tetracordo superiore e la nota aggiunta (Tolomeo, 2002, 2.5, p. 158) cosicch, osserva il traduttore e commentatore della versione italiana Massimo Raffa, lo schema pi adatto per visualizzare la nomenclatura funzionale non dovrebbe essere pensato come orientato in senso verticale su una direttrice alto/basso ma piuttosto come una circonferenza nella quale il proslambanomenos e la nete hyperbolaion [nete del tetracordo delle note acute] individuano un unico punto (da concepirsi come punto doppio) (Raffa, p. 379 - cfr. anche p. 295). Questa coincidenza non pu essere intesa come letterale, e in particolare non significa necessariamente che qualora la melodia richiedesse il superamento nella nete hyperbolaion, si passasse direttamente alla nota corrispondente all'ottava bassa. Questa soluzione potrebbe essere musicalmente inopportuna ed anche distruttiva rispetto all'unit della melodia. Ma vi sono vari modi di ovviare a simili problemi che questa circolarit e questa chiusura comportano e che del resto si possono ripresentare anche in altri linguaggi musicali e vi sempre modo di aggirare la difficolt con modificazioni adeguate e coerenti con il complesso dello sviluppo melodico. Ecco un modo di pensare lo spazio sonoro certamente difforme da quello infine prevalso nella tradizione musicale europea. Indubbiamente qui la nozione chiave quella di Mese, cio di una nota centrale dellintero sistema. Osserva Sachs che il sistema completo era pi di una semplice doppia ottava, ma soprattutto un tentativo di organizzare lo spazio musicale intorno ad un centro. Basta trascurare questo punto e dimenticarsi del modo in cui il sistema costruito - ed in particolare limportanza 524

fondativa del doppio tetracordo di base - ed ecco che diventa irresistibile il parlare del sistema completo come se fosse una pura e semplice scala di la minore. Ci rappresenta un errore in quanto esprimendosi in questo modo si cancella l'intero contesto da cui questa costruzione riceve senso. Il lettore deve essere messo in guardia contro gli autori che chiamano la scala dorica La minore per il fatto che la sezione dalla mese in gi somiglia ad una moderna scala di La minore... Il termine, musicalmente, improprio... Tale terminologia inammissibile, musicalmente e logicamente parlando (Sachs, 1943, p. 228). Il fraintendimento poi non solo quello di attribuire alla mese il carattere di "tonica", facendo riferimento al linguaggio tonale, ma quello di presentare le cose come se si trattasse di due ottave contigue e come se la mese costituisse l'inizio di una scala tonale. Essa invece centro dell'intero sistema completo costituito di due tetracordi disgiunti e di due tetracordi congiunti ai loro poli e la nota che essa rappresenta nello stesso tempo la nota di confine, verso lalto e verso il basso, del sistema stesso.

525

12.2.3 Il sistema completo piccolo e la sua integrazione nel grande


Il sistema completo che abbiamo cominciato a costruire chiamato anche sistema completo grande o maggiore. Ora occorre dire che vi anche un sistema completo detto piccolo o minore, pi antico, che venne poi integrato in esso. In realt, bench la completezza a cui sempre si allude assommi in s vari sensi che possono anche essere coesistenti, la parola completo (teleion) fu indubbiamente applicata in ciascun periodo alla scala pi completa che la teoria musicale avesse allora riconosciuto (Monro, 1894, p. 37). Il sistema che venne poi chiamato piccolo era costituito di tre tetracordi congiunti, cosicch assunse anche il nome di sistema congiunto (synnemenon), rispetto al sistema grande, detto anche disgiunto (diezeugmenon), basato invece sul doppio tetracordo disgiunto. evidente che il sistema piccolo si ricollega alla fase pi antica eptacordale della musica greca.

RE
NETE

DO

SIb
TRITE

LA
MESE

SOL
LICHANOS

FA

MI

PARANETE

PARHYPATE HYPATE

Questo schema rappresenta la base del sistema completo piccolo o congiunto: ad esso viene aggregato un tetracordo congiunto nella regione grave raggiungendo cos le undici note che venivano portate a dodici con la nota aggiunta , che entrava in rapporto di ottava con la mese.

T RE DO

T SIb

S LA

T SOL

T FA

S MI

T RE

T DO

S SI LA

Poste le cose in questo modo, si vede subito la possibilit di fare del sistema piccolo niente altro che una possibile articolazione del sistema grande, creando un ramo che si incontrava con la mese - tutte le altre note essendo coincidenti. 526

Con la possibilit di impiego di Si b e di modulare nel tetracordo del sistema piccolo si apportava cos un ulteriore arricchimento all'insieme. In effetti il passaggio dalluno allaltro sistema pu essere considerato un esempio di metabol. Associando le due strutture in un singolo sistema, i teorici sembrano ancora in accordo con la pratica musicale coeva, poich vi sono prove che le melodie ai tempi di Aristosseno spesso prendevano un andamento che potrebbe essere descritto come modulante tra i tetracordi disgiunti e congiunti. Tali modulazioni erano tanto comuni che i due percorsi venivano sentiti come egualmente naturali, e di conseguenza essi vennero condensati in un unico sistema che li compendia (Barker, 2007, p. 15). Nelle nostre considerazioni successive, come si vedr, non tuttavia necessario prendere in considerazione l'unione dei due sistemi, poich i temi che intendiamo trattare possono essere svolti interamente sulla base del sistema completo "disgiunto" (maggiore).

LA SOL FA RE MI DO RE DO SIb SI LA SOL FA MI RE DO SI LA

527

12.2.4 Le specie di ottava


Ora che abbiamo realizzato il primo passo nella costruzione di quella tabella che il sistema completo, possiamo passare al secondo passo, che consiste, come abbiamo detto, in un ulteriore estensione che implica il problema delle trasposizioni. La premessa di questo secondo passo consiste nellintrodurre le specie di ottava, in stretta analogia con le specie di quarta e di quinta di cui abbiamo gi discorso. Infatti si tratter anzitutto di individuare le ottave presenti nel sistema e le strutture intervallari corrispondenti. Per far questo useremo lo schema circolare che abbiamo gi esemplificato in rapporto alle specie di quinta.

T
5

T 4 S
3

T
6

S 7

T
1

T
2

Seguendo la direzione della freccia e cominciando da T con 1 sottoscritto si ottengono via via sette sistemi intervallari che sono appunto le specie di ottava: precisamente

1. TTSTTTS 2. TSTTTST 3. STTTSTT


528

4. TTTSTTS 5. TTSTTST 6. TSTTSTT

7. STTSTTT

Le specie sono sette e non possono essere pi di sette, se vengono proposte per rotazione degli intervalli. Notiamoche se ci atteniamo a questa sequenza eseguendo successivamente su un pianoforte gli intervalli indicati a partire da Mi e in direzione discendente otteniamo ottave senza note alterate. Tutte le specie non si distinguono nel numero e nel tipo di intervalli, ma nel loro ordine. Ma perch questo interesse alle "specie di ottava"? Aristosseno rimprovera i teorici che lo hanno preceduto di non aver considerato le specie di ottava ad eccezione di un autore (Eratocle, di cui peraltro non si sa nulla) che avrebbe fatto un tentativo in questa direzione limitatamente al genere enarmonico e servendosi del metodo della rotazione. Non ci tuttavia pervenuta alcuna esposizione di Aristosseno stesso relativamente alla specie di ottava: l'accenno precedente pu far pensare ad un tempo che egli ne trattasse in modo relativamente ampio nella parte perduta della sua opera, oppure soltanto che questo tema delle specie di ottava fosse comunque nell'aria ai tempi suoi (Solomon, 1984, p. 245) In questo rimprovero di Aristosseno riusciamo a cogliere le ragioni di questo affaccendarsi intorno alle specie, e in particolare intorno alle specie di ottava. Da parte del teorico - ma anche, presumibilmente, da parte dei musicisti - si faceva avanti da tempo l'esigenza di stabilire un qualche ordine nelle harmoniai e nei tonoi, un qualche metodo che da un lato operasse una semplificazione del numero, preservandone al massimo la variet e dall'altro fornisse qualche punto fermo per cantanti ed esecutori. Aristosseno denuncia chiaramente la confusione esistente e la necessit di porvi riparo. I tonoi d'altra parte, rappresentavano la musica reale per questi antichi teorici. Quando Aristosseno discute dell'argomento paragona la confusione sul numero dei tonoi, sulla loro costituzione e sulla possibilit di stabilire fra loro delle relazioni, alla confusione relativa all'antico calendario greco (Solomon, 1985, p. 248). Ora proprio le specie di ottava potevano assolvere questo scopo di semplificiazione e di riordino. Anzitutto esse erano prodotte secondo un metodo ben determinato e questa circostanza soddisfaceva le istanze teoriche. Ma non meno significativo che esse riproponevano alcuni sistemi intervallari prossimi alle principali antiche "armonie".

529

Le culture e le tradizioni ancora molto diversificate della Grecia arcaica (VII-VI sec, a.C) fornivano sicuramente il clima per la creazione delle differenti armonie - la dorica dalle austere trib della Grecia meridianale, la Lidia dalla florida societ orientale della costa dell'Asia Minore, la frigia dalle popolazioni sfrenate della selva e delle regioni montagnose dell'altopiano anatolico. Con armonie differenti non intendo solo tonoi, cio scale diverse, ma sistemi etnomusicali interamente differenti - scale, strumenti, contenuti narrativi, danze, poesie e costumi. Naturalmente non abbiamo esempi di teorie della musica e di analisi che risalgano al VII, VI o V sec. a. C. ed soltanto nel quarto secolo che Platone e Aristotele ci danno le loro brevi filosofie descrittive della musica e degli etos. (Plato Rep. 398 C - 399 E: Arist. Pol. 1340a38 - 1340b10)... In quell'epoca la harmoniai nazionali sembrano essere abbastanza standardizzate... Quando Platone e Aristotele ammettono o respingono certe harmoniai nello stabilire il loro stati ideali, la questione che pongono non certamente di ordine 'nazionale'. Essi non respingono la musica Lidia, ma lo stile musicale lidio. All'incirca contemporeanee di Platone e Aristotele sono comunque le teorie di Eratocle e degli armonisti che tendono ad una regolarizzazione. Essi continuano a sopprimere le vecchie armonie che ora rapidamente diventano "tonoi" con parti pi regolarizzate e strutture relazionali pi compatibili. Alla fine con Aristosseno, una o due generazioni pi tardi, si arriva a possedere una completa teoria analitica, unificata e capace di abbracciare ogni cosa (Solomon, 1984, p. 249). Nello stesso tempo le specie di ottava tendono a prendere alcuni dei nomi "regionali" o "etnici" con cui esse erano un tempo indicate. Naturalmente non siamo in grado di giudicare il grado di prossimit con quelle forme scalari, ma non c' dubbio, io credo, che se questi nomi vennero ripresi ci dipese dal fatto che erano ritenuti musicalmente abbastanza pertinenti. Forse sarebbe anche il caso di ricordarsi che un processo del tutto analogo avvenuto per la musica indiana in cui si alternarono i tentativi dei teorici di operare un riordino della disparata molteplicit dei raga con metodi relativamente astratti che tentavano in ogni caso di operare una semplificazione che rappresentasse anche una sintesi dal punto di vista musicale. Anche in questi casi, quando si addivenne ad un numero di scale assai limitato, i nomi delle scale vennero ripresi da raga particolarmente rappresentativi di famiglie di tipi melodici. Il problema delle specie di ottava tende a complicarsi, ma anche a mostrare la sua ricchezza e concretezza. Anche in questo caso troviamo infatti un caratteristico intreccio tra considerazioni astratte guidate da uno scopo essenzialmente classificatorio senza rilevanza musicale diretta e considerazioni che si incontrano invece con problemi musicali autentici, sia di ordine compositivo sia di ordine esecutivo. 530

12.2.5 Il problema della trasposizione e la "modulazione della melodia


Il secondo passo per la costruzione del sistema completo consiste in una moltiplicazione verso l'alto e verso il basso della doppia ottava che abbiamo realizzato con l'ampliamento del doppio tetracordo di base con i due tetracordi congiunti.Si tratta quindi ancora di una sorta di estensione dello spazio sonoro che ha questa volta come base e asse fondamentale la stessa scala diatonica. Questestensione avviene in stretta connessione con la tematica della trasposizione. Qualcuno ha osservato che, nonostante la relativa ovviet di questa nozione, talvolta non si sa che cosa propriamente si traspone ed a che cosa si traspone. In realt opportuno chiedersi anzitutto che cosa cambia e che cosa resta identico in una trasposizione. La risposta allora risulta molto semplice. Ci che resta identico la struttura intervallare. Si muovono invece le altezze delle note, e di quanto si muovono dipende appunto dall'ampiezza della trasposizione. bene notare che questa ampiezza non ha vincoli di principio. In effetti l'esigenza di trasporre melodie sempre stata anzitutto propria del cantante interessato ad adattare il pi possibile il canto al registro della propria voce. Considerata entro questi limiti la questione potrebbe non richiedere alcun mutamento importante nell'assetto teorico. Il registro pi acuto o pi grave viene semplicemente adottato senza che si ponga alcun problema che riguardi il sistema degli intervalli. L'eventuale strumento accompagnatore viene riaccordato corrispondentemente. subito evidente che la grandezza della trasposizione indifferente, e la sua misurazione o una qualche sua precisa determinazione non ha particolare interesse: un cantante pu cantare una melodia un po' pi acuta o un po' pi grave di quanto verrebbe cantata da un altro cantante e potr eccedere verso l'alto o verso il basso secondo i limiti stabiliti dalla qualit della sua voce. Entro questi limiti, potremmo dire che la grandezza della trasposizione una grandezza "a piacere".Naturalmente ci vero in particolare per un sistema che non ha, come quello greco, un'altezza standard di riferimento come il nostro LA a 440 Hz. Per questa ragione alcuni ritengono che il sistema completo sia un puro arzigogolo da teorici e che non abbia alcun senso propriamente musicale nemmeno per la tematica della trasposizione. In realt in una simile presa di posizione dimentica che la trasposizione diventa musicalmente significativa quando rientra a sua volta nei mezzi di espressione del linguaggio musicale, e non rappresenta una semplice accidentalit pratica. Non si tratta di una dimenticanza da poco. 531

Come tutti sanno nel nostro moderno linguaggio tonale, uno dei fondamentali mezzi espressivi la transizione da una tonalit allaltra (modulazione) - dove ciascuna tonalit, rispettivamente maggiore o minore, pu essere considerata il risultato di una trasposizione. Ora per quel che sappiamo dalla teoria greca, non possiamo affatto escludere che anche in essa la trasposizione, insieme alla tematica dei generi, avesse un impiego espressivo (anche se non sappiamo quale, ma certamente attinente ad una qualche forma di "modulazione"). Oserei dire che proprio l'inclusione nel sistema completo di questo problema sia un forte indizio a favore di questa ipotesi. La forma che assume questa inclusione quella di attribuire alle grandezze della trasposizione una logica scalare determinata e di conseguenza un numero determinato di vere e proprie "tonalit". La trasposizione cessa allora di essere una questione meramente empirica di aggiustamento del registro del canto, anzi si rende completamente autonoma rispetto a questo problema e diventa una questione che non pu non interessare la teoria e la pratica musicale nella sua generalit. Vi in ogni caso un passo di Tolomeo veramente notevole in rapporto a questo problema: Rispetto al cosiddetto tono vi sono due tipi fondamentali di mutazione: uno quello in base al quale trasponiamo l'intera melodia in una posizione pi acuta o viceversa pi grave, mantenendo assolutamente immutata la specie; l'altro quello per cui non viene mutata di posizione tutta la melodia, ma una sua parte, con conseguente alterazione della struttura iniziale; perci si potrebbe chiamare quest'ultima mutazione della melodia piuttosto che del tono. Infatti con il primo di tipo di mutazione la melodia non cambia, ma cambia completamente il tono; con il secondo invece la melodia si discosta dalla sua struttura originaria, mentre la sua posizione nell'ambito delle altezze non muta in s, bens limitatatamente a quanto concerne la melodia stessa. Perci il primo tipo di mutazione non produce ai sensi l'impressione di una diversit di funzione - che poi quella che che modifica il carattere della melodia -, ma solo di uno spostamento verso l'acuto o il grave. Il secondo tipo invece produce un cambiamento, per cos dire, nella struttura consueta della melodia, quella che comunemente ci si aspetta. Ci accade nel caso in cui la melodia segua per buona parte il percorso consueto, ma in qualche punto si trasformi in un'altra specie oppure rispetto al genere o all'altezza, per esempio nel caso in cui essa passi in qualche modo senza soluzione di continuit dal genere diatonico al cromatico, oppure nel caso in cui, in una melodia che solitamente si muove per intervalli di quinta, si verifichi un passaggio a intervalli di quarta come nei sistemi su esposti (Tolomeo, II. 6 - 54.12-55.15, 2002, p.161). 532

Non si potrebbe dare una formulazione pi chiara della differenza tra metabol del tonos e metabol della melodia, che Tolomeo tiene a distinguere anche terminologicamente. La metabol musicalmente significativa quella della melodia, che pu avvenire, oltre che per mutamento di genere, anche per il mutamento della specie di ottava e per trasposizione (mutamento di altezza) - e, in quest'ultimo caso, solo se questo mutamento avviene all'interno nello sviluppo della melodia e dunque colpisce non tanto per il mutamento di altezza, che potrebbe non essere nemmeno avvertito come tale, ma per il mutamento di carattere che lo sviluppo melodico riceve. Ed chiaro dal contesto che il tipo di modulazione a cui Tolomeo soprattutto interessato la "modulazione della melodia" nelle sue varie forme (Barker, 2000, p. 170).

12.3 Identit e mutamento nel sistema completo


12.3.1 Tesi e dynamis
Proseguiamo la nostra discussione sulla trasposizione proponendo un esempio di scala di trasposizione verso l'acuto che conveniamo abbia la grandezza di un tono, ovviamente a partire dalla scala diatonica in doppia ottava che rappresenta, in questa fase ulteriore della sua costruzione, la base del sistema, vorremmo ancora dire: il suo centro. Approfittiamo del nostro rigo musicale e della nostra notazione per rendere subito chiaro il nostro problema.
nete dinamica mese dinamica hypate dinamica

T
nete

T
mese

T
hypate

T S

T
533

Nella riga in basso sono indicati gli intervalli della scala diatonica mentre nel rigo immediatamente superiore le note che si trovano ai loro estremi. Quello che abbiamo chiamato doppio tetracordo di base viene evidenziato dal doppio rigo verticale. Al di sopra sono indicati gli intervalli del genere diatonico spostati di una casella verso sinistra (ovvero verso l'acuto), e poi naturalmente le note con i segni delle alterazioni rese necessarie dalla trasposizione. Ci che abbiamo fatto una operazione di trasposizione da un tonos ad un altro. Il nuovo tonos ottenuto da questa operazione indicato dalla graffa orizzontale superiore. Ora chiediamoci: che cosa avviene in questa semplice operazione di spostamento tenendo conto del contesto teorico che abbiamo fin qui delineato? Per rispondere adeguatamente a questa domanda conviene ricollegarci a due concetti introdotti da Tolomeo, ma presumibilmente con ricordi nella tematica aristossenica. Si tratta di nozioni che riguardano il rapporto tra la base del sistema e la costruzione che avviene su di essa. Nella base del sistema abbiamo una mese che sta al suo centro e la nete che insieme all'hypate definiscono il doppio tetracordo. Queste note vengono chiamate mese tetica, nete tetica e hypate tetica. Questa aggettivazione si richiama ad una tesi, cio ad una posizione in un senso un poco particolare del termine: ci che stato posto occupa un luogo rigorosamente definito e stabile. Il verbo a cui il sostantivo tesi collegato (tithemi) ha numerosi significati, ma quelli a cui ci si pu richiamare pi opportunamente in questo tipo di impiego sono quelli che alludono ad una "disposizione" nel senso del comando imperativo, dell'ordine impartito. Questo concetto di tesi si illustra poi ancor meglio nella sua contrapposizione alla dynamis, termine che pu avere anch'esso vari significati, ma che in questo contesto allude ad un tempo al movimento ed alla funzione. Ora chiaro che nel nostro esempio di trasposizione, la paramese nella scala trasposta ha cambiato funzione ed diventata una nuova mese che merita di essere perci chiamata mese dinamica, cos come la nuova nete e la nuova hypate, e del resto tutte le note della nuova scala. Tutto si mosso, ma qualcosa rimasto identico: il sistema intervallare caratteristico dell'ottava che rappresenta la base del sistema. Si noti come questo modo di porre le cose strettamente legato al fatto che, a differenza dei nomi delle nostre note, i nomi greci sono caratterizzati da nessi puramente relazionali. Ora il distinguere tra mese tetica e mese dinamica significa stabilire da un lato la possibilit di movimento, ribadendo che una nota pu diventare una mese, nel senso che pu assolvere la sua funzione, dall'altro confermare che vi sempre una mese che non diventata tale, ma che semplicemente lo perch stato disposto cos. Ci vale naturalmente per tutte le altre note della stessa scala. Ora, tipico del sistema che stiamo illustrando quello di non considerare soltanto la trasposizione come tale, ma anche di ritenere significativa quella che potremmo chiamare la sezione della scala trasposta corrispondente al doppio tetracordo di base, dunque lo schema intervallare che leggiamo sul primo rigo tra le doppie righe verticali. 534

Considerando le note scritte sul rigo in questa sezione ci rendiamo subito conto che questa sequenza ha la caratteristica di contenere esattamente le note che contiene la scala trasposta, ma secondo un diverso sistema intervallare. Si tratta dunque di una specie di ottava che caratterizzata dalla sequenza di intervalli: T S TTT S T La specie di ottava cos caratterizzata ha ricevuto il nome di specie di ottava frigia - e questo nome viene attribuito allintera scala di trasposizione - tonos - del nostro esempio. Naturalmente dobbiamo qui destreggiarci con i nomi. Ogni scala di trasposizione pu essere indicate come tonos, ed anche naturalmente la scala diatonica di base, che rappresenta lo scala da cui viene valutata la trasposizione. Ma una volta chiariti gli equivoci che in precedenza abbiamo indicato pu essere impiegata senza problemi anche la parola modo utilizzando i nomi etnico-regionali delle antiche armonie. Cos noi non avremmo difficolt nel parlare di modo frigio esattamente come non avremmo difficolt nel parlare di modo dorico in rapporto alla scala diatonica (doppio tetracordo) di base. Notiamo che il modo frigio senza alterazioni corrisponde sul nostro pianoforte al modo di re cos come il dorico al modo di mi. Ci lo si vede subito anche dal nostro grafico. Se adottiamo una direzione ascendente, abbasseremo lhypate dorica di un tono, raggiungendo il Re, ed a partire di qui, leggendo da destra a sinistra troveremo appunto, senza alterazioni, la struttura intervallare del modo frigio. Ma questa una considerazione marginale che potrebbe rendere equivoco lordine della nostra esposizione. Quali conseguenze possiamo trarre da tutto ci? Intantosembrerebbe che la terminologia medioevale dei modi cosiddetti "ecclesiastici" non solo possa essere utilizzata qui, ma che addirittura abbia origine di qui e di quisia stata ereditata- anche se con una nefasta confusione tra i nomi (nella tradizione medioevale e moderna si chiama dorico il modo di re). Invece proprio questa costruzione ci insegna che ci troviamo su un terreno profondamente diverso da quello "modale" - nel senso medioevale-moderno del termine. Sachs (1943, p. 339) diceva che i greci rappresentavano i loro modi come sezioni di scale doriche. Questa una situazione nuova e del tutto particolare. Da un lato si comprende che la terminologia dei modi possa essere riproposta, dallaltro se vogliamo proprio parlare di modi (il che non vietato, ma nemmeno obbligatorio) non dobbiamo dimenticare che questi modi sorgono in stretta unit con le scale di trasposizione, sono in certo senso annidati nel loro interno. 535

Tutto ci ha ben poco a che fare con la tematica modale nel senso consueto. Infatti qui non siamo alla presenza di una struttura autonoma eventualmente collegata ad altre per rotazione degli intervalli, ma abbiamo a che fare con una una sezione di una scala diatonica trasposta. Vi rotazione, ma subordinatamente ad un'operazione di trasposizione. Anche questo un altro notevole esempio per illustrare come le stesse strutture possono essere intese secondo sensi differenti. Queste intenzioni dipendono dai contesti in cui a loro volta esse possono essere subordinate. La concettualit che caratterizza il sistema modale medioevale-moderno tutt'altra dalla concettualit che caratterizza il sistema completo. Talora il termine "aspetto" viene impiegato come traduzione alternativa di eidos a specie o forma. Facendo riferimento a quando abbiamo sottolineato or ora ha indubbiamente senso affermare che il tonos nel cui interno si trova la configurazione TST T TST, deve essere considerato come un "dorico in aspetto frigio". La parola "aspetto" quindi pi che una traduzione contiene gi un'interpretazione, che a noi sembra del tutto corretta, nella quale si suggerisce che si resta nel dorico ma lo si guarda per cos dire da una particolare angolatura. Forse anche per la tematica delle "specie o aspetti di ottava" ha una sua applicazione la metafora della prospettiva che abbiamo gi impiegato nella tematica dei generi. Potrei cos, ad un certo punto dello sviluppo melodico, che fino a quel punto era rigorosamente dorico, disporlo secondo una angolatura dalla quale diventa visibile l'aspetto frigio che sta nel suo interno. Eccoci dunque a richiamare ancora una volta, e forse con maggior precisione, la tematica musicale della metabol. Ma anche sul piano della pratica esecutiva possono esservi conseguenze interessanti. Una trasposizione richiede un mutamento di accordatura che sia conforme al mutamento dellimpianto tonale che interviene di conseguenza. Ci rappresenta una difficolt ed una complicazione se si pensa agli strumenti fondamentali della musica greca: la lira standard ad otto corde e laulos. Una trasposizione richiederebbe una riaccordatura di tutte le otto corde; oppure, nel caso dellaulos, si dovrebbbe cambiare lo strumento ed avere dunque a disposizione strumenti con varie accordature. Tuttavia, come abbiamo detto, la sezione del tono di trasposizione corrispondente al doppio tetracordo di base contiene tutte le note del tono di trasposizione, pur essendo diverso il modo (lordine degli intervalli). Di conseguenza, sempre stando al nostro esempio, in una lira a otto corde accordata nel modo diatonico baster diesizzare il fa# e il do#, cosa che, come abbiamo spiegato a suo tempo, si pu realizzare con limpiego del plettro senza necessariamente riaccordare nemmeno le corde corrispondenti a quelle note. Anche nel caso degli auloi era certamente possibile usare artifici di diteggiatura e di metodi di insuflazione per operare alterazioni sullo stesso strumento qualora lalterazione non fosse gi prevista. 536

12.3.2La prospettiva dinamica e tetica nell'intero spazio sonoro


Il singolo esempio che abbiamo proposto con le distinzioni e i problemi che subito esso propone, suggerisce leffettuazione di quello che abbiamo chiamato secondo passo nella costruzione del sistema. Si tratta di operare una generalizzazione della questione includendo nel sistema le scale di trasposizione. Questa inclusione non tuttavia subito ovvia. Essa richiede intanto la limitazione del numero delle trasposizioni. Solo in questo modo si esce da quella indeterminatezza del problema che lo rende teoricamente e musicalmente di scarso interesse. Abbiamo notato allinizio che, se il trasporre fosse soltanto una questione di adattamento alle esigenze vocali del cantante, esso sarebbe da un lato privo di un effettivo interesse teorico, dallaltro esso non avrebbe in via di principi dei vincoli e potremmo avere un numero indefinibile di "livelli" di trasposizione. In realt un problema che Tolomeo enuncia con una certa chiarezza quando osserva: Ora bisogna tuttavia precisare che il numero delle mutazioni che interessano interi complessi intervallari (quelle che propriamente si chiamano toni per il fatto che differiscono in base all'altezza) illimitato in potenza, come pure il numero dei suoni (infatti il cosiddetto tono differisce dal semplice suono in quanto composto rispetto a questo, che semplice, proprio come la retta rispetto al punto; ma d'altra parte nessuno ci impedir di traslare sia il punto sia l'intera retta su posizioni contigue successive), ma in atto limitato dalla percezione esattamente come il numero dei suoni (II, 2.7, trad. it, p. 164). Si noti ci che si dice in parentesi: per quanto in modo un po' intricato, con il paragone con il punto e la retta, Tolomeo fa notare che i suoni rappresentano un continuo - come la retta -, e che in linea di principio nulla impedirebbe di scegliere un suono di altezza qualunque all'interno del continuo (un punto all'interno della retta) per fare di esso la "nete dinamica" a partire dalla quale si istituisce un tono di trasposizione. Questa illimitatezza viene respinta da Tolomeo per il fatto che vi sarebbe un limite percettivo nel cogliere punti troppo prossimi tra loro nel continuo dei suoni, ma questo argomento in realt assai poco convincente perch passa al problema dell'afferramento dei piccoli intervalli, e questo in realt semplicemente un altro problema che non tocca la questione della trasposizione. La vera ragione per la quale si richiede una limitazione sta nel fatto che questa illimitatezza non consentirebbe lintegrazione nel sistema della tematica musicale della trasposizione. 537

Per spiegarci: un cantante potrebbe chiedere di accordare il la del pianoforte o degli strumenti che lo accompagnano a 435 Hz piuttosto che a 440, e dunque di abbassare l'intonazione di tutte le note, ma questa variazione non ha a che fare con il sistema delle trasposizioni rappresentato dalle tonalit nel linguaggio tonale. La limitazione invece punta su un ordine che poi rilevante per l'impiego musicale dei toni trasposti. Ma quale criterio deve seguire la riduzione del numero e la scelta delle "posizioni"? Evidentemente non pu esserci un criterio obbiettivo, ma possono esservi scelte differenti, anche se certamente ogni scelta non pu essere interamente arbitraria. Ci spiega la ragione per cui i teorici greci propongano numeri differenti di scale di trasposizione - cosa che ha reso ancora pi intricata la questione gi di per s piuttosto complessa. Secondo una testimonianza di Cleonide (1990, cap. 12), Aristosseno proponeva tredici tonoi. Altri teorici parlano di dodici o quindici tonoi. Naturalmente il nostro compito solo quello di cogliere le linee-guida di ordine concettuale, e perci ci limiteremo a prendere atto della scelta di Tolomeo, che limita a sette i toni interessanti musicalmente sulla base di un criterio abbastanza ragionevole. Tolomeo pensa infatti che in un sistema come quello qui abbozzato che d la massima importanza all'ordine diatonico eptatonico, proprio questo ordine possa rappresentare una regola anche per l'ordine e il numero delle trasposizioni ammesse. Ci conferma la scarsa pertinenza dell'argomento sopra addotto della difficolt di cogliere i piccoli intervalli: infatti se valesse quell'argomento, Tolomeo avrebbe dovuto ritenere che il criterio della trasposizione dovesse essere rappresentato dall'intervallo minimo percepibile. Cos non : vi invece una certa logica nel fatto che la struttura intervallare di base TTSTTS venga scelta anche per fornire da criterio per integrare nel sistema i toni di trasposizione e dunque per giustificare la scelta di determinare il loro numero a sette, e non pi di sette. In particolare ha certamente assunto rilievo in questa scelta il fatto di porre l'accento sulla "modulazione della melodia", che spingeva probabilmente Tolomeo a considerare come caratteristico del tono pi la sua specie di ottava, che la variazione di altezza: l'identit del tonos costituita dalla 'forma di ottava' che esso contiene (Barker, 2000, p. 179). 538

Si tratta dunque di predisporre i toni di trasposizione in modo tale che si ritrovi nellordine dei toni di trasposizione lordine diatonico. In effetti nella figura seguente se seguiamo dal basso la prima linea diagonale incontriamo il seguente ordine intervallare: TTSTTS (si, do#,re#,mi,fa#,sol#,la) - e questo lordine intervallare del diatonico eptatonico.
misolidio

T
lidio

T T S T T T

S T T

T S T T S T

T T S T T S

T T T

S T T T S T

T S T T T S

T T S T T T

S T T

T S T

T T T T T S

T T S S T T

S T T T S T

frigio

S T T T

dorico

ipolidio

S T T

S T T

S T T

T S T

ipofrigio

ipodorico

S T T T S T T S T T S T T T Le tre linee diagonali indicano rispettivamente la nete, la mese e lhypate dinamiche nelle loro varie posizioni, tenendo conto peraltro che nel modo dorico si tratta propriamente di posizioni tetiche. Come nel caso del dorico e del frigio anche gli altri toni prendono i loro nomi dalle specie di ottava che risultano corrispondenti allottava dorica. Notiamo che a differenza di altri autori che, seguendo Tolomeo, hanno dato un ordine ascendente al sistema, noi abbiamo preferito invece mantenere lordine discendente in coerenza con tutta la nostra esposizione. 539

Bench tutto lessenziale sia contenuto nella precedente figura, vi sono altre cose che si possono vedere meglio se lasciamo da parte la nostra notazione e ci limitiamo a considerare solo le strutture intervallari e in particolare se riusciamo a rendere evidente il modo in cui il sistema astrattamente costruito. Per mostrare la circolarit della costruzione possiamo semplicemente ricorrere allo schema circolare gi impiegato per le quinte e per le ottave, applicandolo in questo caso alla doppia ottava.

T T T S

misolidio

T 7

S 6

lidio

T
3 S ipolidio T T ipofrigio 2
ipodorico

frigio

T 5

dorico

Percorrendo il cerchio nella direzione della freccia dalla T con 1 sottoscritto (ipodorico) e poi proseguendo nellordine otterremmo la tabella dellintero sistema dal basso verso lalto tenendo conto soltanto delle strutture intervallari. Ma sarebbe difficile attenendoci a questo schema cogliere gli altri aspetti importanti del sistema. 540

Conviene perci ricorrere piuttosto ad un diagramma rettangolare mostrando la costruzione a partire dal dorico cominciando con il dar rilievo alla sequenza delle T e delle S allinterno delle due diagonali esterne - tra la nete e lhypate dinamica.

T T

S T T

T S T T

T
T S T T

T T
T S T T

T T
T S T T

T T
T S T

T T
T S

T S

T T
T

T T

Qui vediamo in tutta chiarezza la ripetizione dello schema TTSTTTS in tutte le scale di trasposizione. Laspetto della ciclicit, che rende automatica la costruzione della tabella, si ripresenta nel modo in cui si risolve il compito di riempire le caselle vuote. Infatti, per conseguire questo scopo, occorre operare una rotazione che tenda conto dello schema complessivo della doppia ottava. In altri termini, per ogni riga si proseguir a destra con gli intervalli TTS[T] del tetracordo congiunto nella regione grave integrato dallintervallo di tono che porta al suono proslambamenos e con gli intervalli TTS del tetracordo congiunto nella regione acuta, proseguendo a sinistra della stessa riga qualora questa sia stata completata a destra. In questo modo, ad esempio, la prima riga sovraordinata al modo 541

dorico verr completata a destra con TTSTT e con TS a sinistra. Si otterr cos lo schema intervallare gi presente nella figura con i segni delle note o nel diagramma circolare, ma credo che in questo modo risalti con particolare chiarezza, non solo la ciclicit della costruzione, ma soprattutto il tipo di intreccio tra la dimensione diagonale e quella verticale.
misolidio

T S

T T S T T T S

S T T S T T T

T S T T S T T

T
T S T T S T

T T
T S T T S

T S

T T S

S T T S

T
S T T S

T T
S T T S

T T T
S T T S

T T
T S T T

T T T
S T T

dorico

T T T S

T T
T S T

T T
T S

T T
T

T T

ipodorico

Lo spazio sonoro del sistema completo ha dunque la possibilit di un duplice taglio: un taglio diagonale ed un taglio verticale - questultimo compreso tra le doppie righe verticali. La metafora della prospettiva sembra poter essere usata anche in questo caso. Potremmo dire infatti che il sistema completo che intende fornire la struttura dello spazio sonoro pu essere colto da una duplice prospettiva: la prospettiva dinamica che quella in cui vi spostamento della nete, mese e hypate: in contrapposizione ad essa sarei tentato di chiamare prospettiva tetica la sezione verticale per il fatto che essa individuata in tutti i toni tra la nete e lhypate tetica. Con questa singolare dialettica tra luna e laltra: nella prospettiva dinamica viene messa in evidenza lidentit della struttura intervallare diatonica; in quella tetica il mutamento inerente alle strutture intervallari delle specie di ottava. 542

12.3.3Limmutabilit del sistema completo


Sul significato complessivo del sistema completo si sono assunte varie interpretazioni che si possono sintetizzare in tre posizioni, talvolta sostenute in netta contrapposizione l'una con l'altra. Taluni vedono in esso la teorizzazione di un linguaggio modale, dove i modi sono caratterizzati secondo la concezione medioevale-moderna. Secondo questa interpretazione i modi ecclesiastici (a parte la nomenclatura) sono eredi naturali dei modi greci. Su questo punto abbiamo gi preso di posizione. Non vi nessun problema nell'utilizzare il termine "modo" per indicare i sistemi nel senso greco di schemi intervallari; invece completamente erronea la proiezione del modello di linguaggio modale-medioevale moderno sulla sistematica musicale greca. Altri studiosi sono del tutto ostili a questa interpretazione e vedono nei tonoi e nelle specie di ottava niente altro che scale di trasposizione. Anche in questo caso spesso la tesi sostenuta con un netto esclusivismo che nuoce alla comprensione della situazione. Sembra infatti difficile negare che qualcosa del sistema greco sia passato nella teoria e nella musica del medioevo, creando certamente una notevole confusione di lingue, di terminologia, di problemi mal posti; ma un dato difatto che la concettualit greca ha influenzato le teorie successive come vero che vi possono essere profonde differenze che tuttavia rischiano a loro volta di essere fraintese se non si afferrano alcune affinit. Credo che una ragionevole posizione non esclusiva sia quella rappresentata da Sachs, autore che abbiamo tenuto particolarmente presente nella nostra esposizione. Infine vi chi ritiene che, escluso il caso di Aristosseno, tutti i sistemivia via proposti, compreso il sistema tolemaico, non abbiano a che vedere n con i modi n con le scale di trasposizione, ma che siano elucubrazioni teoriche del tutto avulse dalla pratica musicale. Essi sarebbero opera spesso di una classe inferiore di professori di scienza armonica, prezzolati, di cervelli deboli, di personalit di modesta fantasia e particolarmente ignoranti di cose musicali. Si tratti di aggettivi che sorprendono, ed il loro impiego, riferito ad autori di pi di duemila anni fa, un po grottesco ed a dire il vero poco consono alle consuetudini dei filologi classici e degli storici della cultura in genere, ma sono letteralmente utilizzate da Isobel Henderson (1962) che pu essere citata per la durezza con cui propone questa terza tesi. 543

Questa durezza del resto del tutto fuori luogo. Che il sistema, e prima ancora la stessa nozione di specie di ottava, siano in buona parte il risultato di una riflessione astratta, fuori di dubbio, e sarebbe un errore non tenerne conto. Ci vale naturalmente anche per Tolomeo. Del resto egliparla dei generi quando i generi non sono pi praticati, e costruisce anche in rapporto ad essi differenze che avevano una pura valenza teorica (come la scala epimoria che abbiamo citato a suo tempo). Inoltre il richiamo a Tolomeo interessante perch esso rappresenta il canto del cigno della musica greca e della sua teoria: in questo schema scolpito il predominio assoluto del genere diatonico, predominio che, come si pu ampiamente sospettare, appartiene pi alla teoria che alla musica greca nella sua fase di massimo rigoglio. In questa fase di tramonto invece, e proprio con Tolomeo, vi la rivalsa del pitagorismo sull'aristossenismo, una rivalsa che consegna alla cultura occidentale l'idea della scala unica, dell'obbligo di una sua giustificazione matematica, del dominio dell'ottava come spazio sonoro fondamentale e soprattutto la cancellazione della mobilit delle note interne al tetracordo. Ai tempi di Tolomeo non esiste pi la sensibilit alle "sfumature", n da parte dell'ascoltatore n da parte dell'esecutore. Il teorico invece se ne ricorda, le enumera pazientemente, cos come ricalcola le variet dei generi, e conserva nei nomi dei tonoi le antiche harmoniai; si ricorda dei problemi delle tecniche compositive eventualmente non pi attuali. Questi ricordi noi dobbiamo riuscire a riafferrarli attraverso i suoi schemi, le sue tabelle. Ma quel che pi ci colpisce forse il fatto che in questa meccanica distribuzione distribuzione di T e di S c' qualcosa che va al di l di un puro gioco formale, qualcosa che va persino oltre i problemi di tecnica musicale per cogliere quello spazio pi ampio di pensieri e di cultura che sta sempre intorno alle tecniche di produzione dell'arte. Questo ci appare persino sorprendente: che quei pensieri che informano uno straordinario orizzonte culturale abbiano radici cos profonde da affiorare nella musica e in schematismi in cui sembra persino immiserirsi la sua risonante ricchezza. Riconsideriamo dunque per l'ultima volta le nostre ultime tabelle. Lo abbiamo gi notato: se noi guardiamo lo schema del sistema completo dal punto di vista dinamico, e quindi dal punto di vista del movimento, di ci che si sposta da tono a tono, troviamo sempre esattamente lo stesso schema intervallare: dal punto di vista del movimento troviamo l'identico. Se invece ci disponiamo dal punto di vista tetico, quindi di ci che semplicemente sta nel luogo in cui si trova, che non si muove, troviamo il mutamento delle specie di ottava. Ecco profilarsi, nella teoria musicale, i grandi poli dellidentico e del diverso, dellessere e del divenire - come poli che stanno annidati luno nellaltro, quei poli che hanno attraversato la filosofia e la cultura greca dalle origini fino alla loro massima espressione in Platone ed Aristotele e nelle loro scuole. Quando Raffaello, nella Scuola di Atene, pone luno e laltro filosofo affiancati al centro della scena intende mostrare unopposizione che agisce allinterno dellunit di una cultura. 544

Ma certamente giusto anche subito chiedersi se e come si manifesti concretamente nella musica limmagine che traspare dal sistema completo. Naturalmente nessuno in grado di dirlo con fondatezza e qualunque pretesa interpretativa di risalire di qui alla musica o inversamente di negare che vi sia un rapporto tra la musica e il sistema pura presunzione. Ci rammenta Jon Solomon: L'antica musica greca includeva i canti epici ionici di Omero e dei rapsodi, le canzoni eoliche (ovvero delle isole greche) di Saffo e Alceo, le liriche doriche (Grecia del Sud) di Pindaro (il poeta degli epinici), Eschilo, Sofocle, Euripide (i poeti tragici) e Aristofane (il poeta della commedia), i peana delfici ellenistici (Grecia del nord) ad Apollo, l'iscrizione funeraria pagana di Sicilo del primo secolo, un inno cristiano dal quarto, e altri resti dell'intero corpus, quasi tutto perduto, della musica greca, composta prima senza, e poi con l'aiuto della notazione; ed un addestramento tecnico che attraverso un periodo di circa 1200 anni da Omero a Boezio (1984, p. 242) Tuttavia alcune cose possono essere intraviste. Intanto dobbiamo nuovamente attirare l'attenzione, di fronte ad uno schema cos rigido, sul fatto che in esso possiamo vedere tutti i generi in azione, in tutte le loro variet e sfumature; e dobbiamo renderci conto anche delle possibilit di variazione offerte dalla gestione delle ottave diatoniche trasposte e delle specie di ottava in esse contenute. Se teniamo conto di tutto ci la rigidit dello schema si dissolve e ci si prospetta una caleidoscopica variet di possibilit ai fini della struttura musicale. Come abbiamo detto, non sappiamo come il musicista greco operasse con queste possibilit - tanto meno abbiamo conoscenza - al di l di vaghi cenni - delle fasi dell' evoluzione delle pratiche compositive in un lasso di tempo tanto esteso e in presenza di lacerti di scritture musicali di controversa interpretazione. Ma proprio dalla forma teorica del sistema completo si possono cogliere, anche se molto alla lontana, i giochi compositivi possibili nel quadro della struttura musicale in esso delineata. chiaro ad esempio che la nozione di metabol - ovvero di transizione da una struttura ad un'altra struttura - doveva avere una grandissima importanza e poteva a sua volta essere giocata in vari modi secondo le strut545

ture di volta in volta interessate. La metabol poteva riguardare i generi, ma anche i toni di trasposizione; e questi a loro volta potevano entrare in una dialettica pi o meno complessa con le specie di ottava che la trasposizione senz'altro metteva in essere nell'istante in cui veniva effettuata. Osserva Sachs, tenendo conto anche dei frammenti musicali greci rimasti, che non c' dubbio che la scala e il modo fossero semplicemente due differenti aspetti dello stesso fenomeno... ma che i due aspetti non erano necessariamente equilibrati. Alcune melodie gravitavano verso il centro dinamico piuttosto che verso il centro tetico, ed in altre avveniva il contrario. Infatti la prevalenza di una gravitazione pu escludere l'altra... (Sachs, 1943, p. 251). "Tonalit" e "modalit" dunque potevano entrare entrambe a far parte del gioco compositivo: l'una - e quindi il diatonico trasposto - poteva prevalere sull'elemento modale ("specie di ottava"), per un certo tratto, per cedere poi di fronte alla specie di ottava, dando luogo a fluttuazioni della mese, a passi di una sua relativa indeterminazione, ecc. Non si vede perch mai la teoria delle specie di ottava debba obbligatoriamente rimanere solo teoria eper quali ragioni sia da escludere limpiego musicale delle specie di ottava intrecciato con i toni di trasposizione, quando esse compaiono cos strettamente e coerentemente integrate dentro il sistema. Tutte queste operazioni possono essere impiegate dall'immaginazione musicale sullo sfondo di uno spazio sonoro che caratterizzato da un unico centro, la mese tetica, e dai centri dei toni di trasposizione, ciascuno con la sua propria mese dinamica. Ovunque dunque riusciamo a cogliere tipi differenti di mutamenti, passaggi, transizioni, variazioni. Tenendo conto di ci appare singolare che gli studiosi non si siano, a mio avviso, soffermati abbastanza nella ricerca delle ragioni per le quali il sistema viene chiamato, oltre che completo, anche immutabile - una parola che esclude proprio la metabol. Appoggiandosi sulla Sectio Canonis (1990, p. 55 - prop. 19) taluni riferiscono laggettivo immutabile alla differenza tra note mobili e note fisse - ma ci non sembra aver molto senso. La spiegazione pi frequente forse quella che riferisce questa espressione soltanto alla doppia ottava centrale in quanto base del sistema completo. Tutte le altre scale sono sue mutazioni. Questo anche il senso dell'affermazione secondo cui si dice immutabile la scala in cui i riferimenti tetici sono eguali a quelli dinamici: Nel sistema ametabolon mese tetica e mese dinamica sono la stessa nota (Gollin, 2004, p. 122). Questo un altro modo di far notare la speciale posizione che occupa la scala diatonica che da un lato base del sistema, quasi un riflesso empirico di una scala ideale, dall'altro una scala come un'altra. In ogni caso ad essa soltanto sarebbe da riferire quell'aggettivo. Questa spiegazione, che ha certamente una parte di verit, non mi sembra esauriente. C' dell'altro. In fin dei conti, come sistema di inter546

valli, questa scala onnipresente nelle trasposizioni e quindi in tutto il sistema. Ed proprio il sistema nella sua interezza che sembra essere caratterizzato dall'aggettivo immutabile. Se questo vero, io oso pensare che la parte prevalente dell'area di senso di quel termine sia occupato da un altro pensiero forse pi conforme alla natura dello schema e certamente al tenore dei nostri commenti: il sistema immutabile perch il luogo di tutti i mutamenti. La completezza implica la nozione di totalit, e totalit e immutabilit si richiamano a vicenda. Credo che si tratti di un'idea che non poteva essere estranea ai teorici greci che cos spesso hanno, nella musica, coinvolto l'universo stesso; tanto meno avrebbe potuto esserlo per un autore come Tolomeo la cui grande mente tanto girovag fra gli astri e che alla relazione tra la musica e il "cielo" dedic l'ultimo libro del suo trattato. L'immutabilit del sistema completo quella stessa che caratterizza quel sistema che l'universo stesso: tutto in esso si muove e muta, e proprio per questo - perch contiene ogni movimento e mutamento - l'universo stesso pu essere detto immutabile. Esso non diviene, ma semplicemente . Altrimenti vi sarebbe il caos.

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