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DIVAGAZIONI ERMETICHE

TI BASTINO L’AZOTO E IL FUOCO (AZOTH ET IGNIS TIBI SUFFICIUNT)

Fulvio Di Pascale (Napoli) e Claudio Cardella (Roma)

pubblicato su “Empedocle” anno 2, n. 2 – Marzo – Settembre 1995.

Una sostanziosa preparazione in materia di scienze fisiche potrebbe apparire la sola idonea a risolve-
re almeno sommariamente il problema concernente la natura della luce ed invece, man mano che
s’approfondisce l’analisi, l’enigma si consolida ed ogni parvenza di verità si manifesta assai sfuggente
ed assai ardua da comprendere.
Per addentrarci in tale labirinto oscuro senza perderci d’animo, confidiamo nell’aiuto superno e be -
nevolo di Pan, soprannome familiare del carissimo Francesco Pannaria, alla cui opera, da pochi tenu -
ta nella dovuta considerazione, attingeremo a piene mani come a una limpida fonte di conoscenza.
La luce ci dà la nozione dell’universo, eppure dalla massa confusa ove sono miseramente naufragati
innumerevoli tentativi di assegnarle una qualche definizione operativa, emerge in realtà soltanto uno
sterile dualismo astratto sul quale s’è esercitata, ormai da lungo tempo, una turba di autori. L’antitesi,
in definitiva, si raccoglie in due flussi di pensiero: l’uno sostiene, senza alcun reale fondamento teori-
co, la natura corpuscolare, l’altro attribuisce al fenomeno luminoso un’immagine ondulatoria incoe-
rente con i presupposti sperimentali.
Poiché la scienza attuale, meccanica, chimico-fisica o illusoriamente biologica, è incapace di concilia-
re le opposte concezioni, con qualche ardimento varcheremo la soglia dell’Alchimia per presenziare
al consesso degli dei sull’Olimpo Ermetico. Lì, sulle sponde del mare, alle pendici di un vulcano dal
temperamento lunatico e in perenne eruzione, incontreremo, riuniti a consiglio col sommo Giove,
Mercurio, Plutone e Nettuno, i numi tutelari dei quattro costituenti primigeni della matrice cosmica.
Costituenti originariamente confusi ed indistinti i quali, a seguito di una separazione apparentemente
spontanea, producono e riproducono nel nostro mondo fisico i quattro elementi: Terra, Acqua, Aria,
Fuoco, secondo la denominazione degli antichi, mentre Empedocle redivivo oggi li chiamerebbe ri-
spettivamente Materia, Massa, Energia, Campo, aspetti fisici basilari e concetti irrinunciabili per qua-
lunque scienza moderna.
La matrice cosmica, prima materia e Mater-ea secondo i classici, è assimilata da Pannaria all’ antimon-
do, termine prossimo, per la permutazione di una lettera, all’ antimonio degli Alchimisti, ossia lo Sti-
bium, materia segnata col sigillo di Salomone graficamente espresso dalla stella a sei punte, la materia
prima della Grande Opera, nera, dura, fragile e friabile. Per noi, l’antimondo è dunque il retroscena
non energetico e non massivo della nostra scena fisica da cui provengono ed in cui si risolvono le
minime discontinuità particellari, sinora intraviste solo di sfuggita ai limiti estremi della sperimenta-
zione.
La materia pura di Severi e l’antimondo di Pannaria, nati più di mezzo secolo addietro, vengono an-
cora considerati, come le note sconnesse di un’astrusa gamma armonica, congetture dissonanti con
la visione fisica corrente.
Eppure, ciò che è di sopra è come ciò che è di sotto, esprimono l’ aspetto attuale di Chronos, per i
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latini Saturno e per gli Alchimisti il vaso ove non si deve immettere nulla di estraneo. Ricordiamo che
il vecchio e macilento Saturno una volta fu re dell’Olimpo e Signore del Tempo, ma poiché si diletta -
va a divorare la propria figliolanza Giove lo detronizzò e lo spedì in esilio sulla Terra ove, secondo la
tradizione alchimica, è diventato una pietra, quella che i seguaci di Ermete non vogliono neppure
sentire nominare nel timore di tradire il loro segreto.

La disposizione dell’universo filosofico differisce dalla disposizione dell’universo concreto a tre di-
mensioni spaziali, quale si dichiara ai nostri occhi, in quanto quello contiene, genera ed influenza
questo, che dunque risulta esserne il condensato, quasi pietra, ma pietra focaia, nata dall’aria senza
percettibile passaggio per lo stato liquido, secondo il dettato della Tavola Smeraldina, l’antichissimo
decalogo egizio che compendia, per chi è in grado di comprendere, le fasi della Grande Opera: il
Vento l’ha portato nel suo ventre. Viceversa la sublimazione, procedimento per cui certe sostanze
solide, poste in speciale apparecchio, passano, sotto azione continua del calore, direttamente alla fase
vapore, é un’immagine macroscopica del microscopico riflusso, ovvero del ritorno delle particelle
elementari alla loro matrice cosmica, mare magnum degli elementi incombinati.

Le particelle elementari sono infatti i corpi più piccoli in assoluto, i minimi granelli del mondo, la
polvere quantica della fisica ed i composti ultimi dei Filosofi, costituiti di materia, di massa, d’energia
e di campo in proporzioni diverse, ma definite ed invariabili. Perciò sono indivisibili, la loro disgrega -
zione, equivalendo alla disgregazione dei costituenti, ne comporta la completa scomparsa dal piano
fisico. Gli alchimisti solevano dire al riguardo, natura natura laetatur, la natura si rallegra nella mede-
sima natura ed abbraccia sempre il proprio simile: tutti i corpi provengono dalla medesima materia,
pura, primigenia e ubiquitaria. Perciò anch’essa, omogenea e incombinata, al pari della materia fisica,
discontinua e concreta, che ne è l’immagine localmente riflessa nello specchio spazio-temporale, esi-
ste e consiste nell’equilibrio dei quattro medesimi elementi.

L’antica Alchimia allude dunque al grandioso ciclo della natura e nel suo laborioso solve et coagula
risuonano tonalità cosmiche, onde è anche chiamata Arte della Musica.
Nella succinta esposizione dell’anonimo alchimista celato sotto lo pseudonimo di Cavaliere Scono-
sciuto, un manoscritto raro prezioso dal titolo eloquente, La Natura allo scoperto, la pratica operati-
va dell’estrazione dello zolfo volatile è ricoperta dai veli mitologici della sventurata vicenda di Icaro,
“il quale vola alto, come dire perde la sua volatilità, viene fissato e seppellito nella sabbia da suo pa-
dre Dedalo, lo zolfo fisso, come dire che si fissa con lui”.
La troppa ignoranza non ci permette di decifrare l’enigma e di accertare, ad esempio, se quella sabbia
sia nera e ferrosa o bianca e cristallina. E poi, procedendo oltre verremmo rimproverati per avere
dato peso a cose superflue, o quanto meno di avere imboccato a lume di naso un vicolo cieco, tor -
tuoso e costellato di ostacoli, mentre la prudenza impone che il cammino seguito sia assiduo e linea-
re, come una scala armonica la cui successione scandisca il nostro procedere nella comprensione
dell’arcano universale.
Il punto saliente (da sale) e concreto di queste divagazioni, si riassume con le classiche (dal latino
clausus, chiuso) quattro parole: la triplice natura della luce discende dalla sua integrale appartenenza
all’universo alchimico e risulta della mutua interconnessione dei tre mondi menzionati, il mondo del-
la nostra scena fisica, l’antimondo di retroscena e il mondo intermedio tra i due. Quest’ultimo è una
regione di duplice frontiera ove la luce presiede e opera in modo del tutto particolare. Lucifero, il fo-
sforo, portatore di luce, è notoriamente il guardiano della soglia, la porta ermetica che può essere at -
traversata, come ogni porta degna del nome, in due sensi:
- nel verso della generazione, di particelle, con assorbimento di radiazione, ossia di quan-

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ti luminosi: e ad esempio il coagula manifestato dall’effetto fotoelettrico, precipuo quan-


do una coppia di elettroni specularmente opposti viene creata dall’immersione di un fo-
tone nella materialità del nucleo atomico;

- oppure nel verso contrario, del ritorno dei corpi all’omogenea continuità della materia
originaria, con emissione di quanti luminosi conseguente al completo dissolvimento del-
la preesistente struttura fisica: così si realizza il solve della materia combinata, la scom-
parsa di particelle, a coppie gemellari, con la liberazione degli elementi, costituenti, se-
condo le reciproche proporzioni, di ogni combinazione fisica.

I vanagloriosi che arbitrariamente s’ammantano del crisma di “scienziati” vorrebbero darci da bere
ciò che stoltamente essi credono di vedere nei cosiddetti “processi di annichilazione della materia”,
ossia durante una sua inspiegabile trasformazione in energia, luminosa e radiante: ma come potrebbe
mai l’energia, che è predicato, attributo della materia, sostituirsi ad essa ? Newton, vero scienziato
perché alchimista consumato, aveva opinioni completamente diverse, scriveva infatti al riguardo: “ Il
cambiamento dei corpi in luce e della luce nei corpi, è del tutto conforme alle leggi di natura, perché’
la Natura si delizia con la Trasmutazione”.

Si va moltiplicando il numero di quanti considerano l’Alchimia l’arte di contraffare l’oro. Altri, facen-
do facile sfoggio di erudizione presso il volgo, proclamano la via secca e la via umida essere strade
diverse per giungere alla pietra occulta dei loro sogni, casomai con la coobazione degli zolfi di Vene-
re e di Marte, forse preventivamente fissati nella calce dell’argento vivo. Se tutti costoro, da tanto stu-
dio, avessero almeno appreso perché il gelsomino ha quattro petali e donde il papavero trae il suo bel
colore, avrebbero certamente impiegato meglio il loro tempo.
E’ forse una bestemmia paragonare l’effetto fotoelettrico a quello sacramentale del battesimo, opera -
to dallo Spirito Santo attraverso il sacerdote, personificazione di san Giovanni che versò l’acqua lu-
strale del Giordano sul capo del Redentore ? Il Presidente d’Espagnet, grande alchimista, magistrato
integerrimo e persona timorata di Dio, scrisse che: “ la rigenerazione del mondo viene compiuta tra-
mite uno spirito di fuoco il quale discende in forma d acqua e toglie la macchia originale dalla mate -
ria”.
Nell’acronimo I.N.R.I. apposto sulla croce, strumento del supplizio divino, per motivare la pena ca-
pitale inflitta a Gesù, d’Espagnet, come ogni alchimista, leggeva: Igni Natura Renovatur Integra, col
fuoco la natura si rinnova integralmente . E riteneva che una tale rigenerazione venisse analogicamen-
te operata, nella sua pratica di laboratorio, da uno spirito di fuoco, indicato nella lingua diplomatica
dei saggi come Vulcano lunatico la cui manifestazione sensibile si riveste della forma di un’ acqua che
non bagna le mani, detta pure acqua ardente, l’acquavite, in latino aqua vitae ed in francese eau de
vie, ossia l’acqua santa. A dare credito a un altro autore francese, Grillot de Givry, lo spirito di fuoco,
o fuoco filosofico, “è lo stesso Spirito di Dio che impetuosamente scende sull’iniziato e, combinan-
dosi con l’interiore inclinazione della sua anima verso il mistero, lo rende veggente e gli dona il pote -
re di compiere miracoli”.

Queste reminiscenze di altre epoche sembrano suggerire che la luce, spirito di fuoco per eccellenza,
prediliga per i suoi trasferimenti un mezzo continuo, molto spesso simbolicamente raffigurato
dall’acqua come attesta anche Mosé, … lo Spirito di Dio si trasferiva sulle acque , Spiritus Dei fereba-
tur super aquas, e non in un veicolo corpuscolare, o discreto secondo le attuali pretese della fisica.
Siamo giunti al cuore del problema: come mai a un fotone viene voglia di andare a morire proprio
nel nucleo atomico, dove trova sepoltura, e poi di lì, quasi per magia, risuscita sotto forma di due

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corpi gemelli, ugualmente massivi e latori di cariche elettriche unitarie ed opposte, quali la coppia
elettrone-positrone? Un problema formidabile, forse intravisto anche da qualche Alchimista, soprat-
tutto quando si trattava di estrarre i due zolfi, uno bianco e uno rosso, emblemi diversi della pietra fi-
losofale. Il procedimento era segretissimo e la sua pratica realizzazione non a caso veniva nascosta
sotto l’ allegoria biblica della separazione della luce dalle tenebre.
Con l’aiuto di Pannaria cercheremo anche noi di comprendere, almeno in parte, l’arcano: la manife-
stazione concreta e discreta della luce, ossia la quantità unitaria d’energia interscambiabile dai corpi,
detta fotone, è costituita in effetti da tre dei quattro elementi (massa, energia e campo), ed essendo
priva di materia propria, (altrimenti sarebbe un corpo essa stessa), s’appoggia, durante il trasferimen-
to da un corpo all’altro, al substrato materiale omogeneo che riempie e determina lo spazio geome -
trico e fisico. Tutti i corpi, tra i quali s’annoverano anche i nuclei atomici, sono invece costituiti da
quattro elementi radunati in particelle di sei tipi, attualmente conosciute come quark: tre di queste
particelle vanno a costituire il nucleo dell’atomo più semplice e unitario, l’idrogeno. Questo nucleo,
come il triplice vaso dell’arte, come la magnesia, il magnete o calamita degli Alchimisti e come il ma-
gnesio (peso atomico 24) della clorofilla è dotato, in definitiva, di un campo di attrazione per il foto-
ne il quale, a sua volta lo percepisce tramite il proprio campo e ne viene assorbito. Si verifica allora,
in sintesi stringata, un evento di scambio locale tra la materia combinata e la materia incombinata il
cui risultato esteriore è l’apparizione subitanea e transitoria di una coppia di particelle cariche: l’elet -
trone positivo e l’elettrone negativo.
Prima o poi, volenti o nolenti, gli uomini di scienza dovranno adeguarsi all’idea che l’intimo significa-
to della Legge di Natura può essere compreso solamente attraverso lo studio di una nuova Alchimia
-nuova perché portata a nuova vita in ragione delle attuali determinazioni scientifiche- e che “ la
grande illusione del progresso meccanico e tecnico è di enorme vitalità solo se asservito ai ben più
elevati fini e valori della cultura”.

Questo scritto, più volte meditato e rivisto, composto cum grano salis, un po’ di sale dei Saggi, ci au-
guriamo, e con qualche remora, (che secondo l’antica leggenda era un pesce minuscolo, ma dotato
della fantastica capacità di arrestare la corsa di qualunque vascello), questo scritto, dicevamo, suone-
rà, alle orecchie dei più ignoranti, sterile e ambiguo come un rebus (degenerazione del rebis, ermeti-
co, dal latino res bis, cosa doppia); qualcuno invece, forse di bocca buona, rimarrà sorpreso e gli ren-
derà giustizia gustandolo come un succulento risotto condito con olio (mercuriale) e zafferano (di
Marte, naturalmente). Altre anime candide s’indigneranno, verseranno lacrime al cospetto di una re-
prensibile divulgazione e grideranno contrariate che i panni sporchi è meglio lavarli in famiglia, ma a
fondo, precisiamo, e due volte, con l’acqua e col fuoco. Se abbiamo sbagliato, siamo pronti a sconta-
re la penitenza inevitabilmente conseguente l’errore, certi della remissione della colpa, perché agiamo
in spirito di carità [cfr. S. Paolo, I Cor., 13, 4] nella consapevolezza che solo un cuore ardente può ri-
svegliare dal letargo, scuotendola vigorosamente, la sopita linfa mercuriale e filosofica.
Al problema della natura della luce è intimamente connesso anche l’enigma dell’origine della vita sul-
la terra. La vita è infatti frutto di scambi innumerevoli ed incessanti: una continua attività di scambio
tra gli elementi incombinati della materia primigenia e gli elementi combinati della materia concreta e
sensibile: un andirivieni di particelle prime ed elementari tra le due fasi della materia, una successione
ininterrotta di nascite e morti. Tale è il coagula ed il solve della perenne interazione tra mondo ed an-
timondo, preconizzata da Pannaria.
In un fantasmagorico processo circolare, la luce s’immerge nella materia, alimenta le forme e crea gli
astri.
Pochi sono in grado di afferrare a fondo questi concetti e di intravederne le insospettate conseguen-
ze. Li avrebbe certamente ben compresi Pietro Bono, il grande Ferrarese, quando annotava nella sua

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Pretiosa Margarita Novella: “gli è ancora un’altra forza, cioè la vita ...la quale congiunge queste quat-
tro forze [elementari] le quali ti ho narrato e descritte ed è come la chiave alla cassa, la quale se tu
levi da quella, tutto si discioglie”.
Raimondo significa, nell’etimologia ermetica Ray-mont, equivalente a Montagna di Luce, per gli in-
diani Koh-i-Noor; che è anche il nome del più grande diamante del mondo. Per noi è Raimondo di
Sangro, Principe di San Severo, unicum militiae fulmen (fulmine unico della milizia) sul suo blasone
nobiliare, Philosophus per ignem nel suo recondito laboratorio, sconosciuto ai profani, ancora temu-
to dai superstiziosi e venerato dai sapienti. Egli, avendo approfondito lo studio dei processi vitali,
avrebbe energicamente stigmatizzato la titanica scalata dell’uomo alla smodata ricchezza, l’oro tasca-
bile, e all’illusoria immortalità del corpo, l’oro potabile. Invece queste sono le attuali premesse e pro-
messe del vasto repertorio di mostruosità inconsapevoli, ma deleterie, vomitato da personaggi sedi-
centi esperti in ingegneria genetica.
Costoro, grifagne caricature di Prometeo, dopo avere rubato con frode il fuoco al sole celeste, pur
brancolando nel buio pesto, digiuni come sono anche della più epidermica nozione della morfologia
della vita animale e della vita vegetale, scambiano questa per quella e imbrigliano l’una all’altra entro
un medesimo corpo, sfruttando alla cieca lo stesso procedimento biologico sinora messo in opera
solo dal cancro, il gran mostro di natura.
Vedremo dunque realizzata su scala industriale la spaventosa mistione di eterogenee sostanze intravi-
sta ed allegorizzata da Dante nella terribile ricompensa ricevuta da Pier delle Vigne per il tradimento
del segreto iniziatico? L’inno trionfale dei biologi, sedicenti molecolari, sarà forse il canto del cigno
dell’umanità decaduta? Siamo convinti, nonostante tutto, che agli artefici di tali mostruosità non ver-
rà inflitta, nell’ora del Giudizio, la pena di Assalonne, (sostantivo prossimo ad Assoluto e, per succes-
siva traslitterazione, a Salomone, lo zolfo dei Saggi), impiccato nel cappio formato dai suoi stessi ca-
pelli a un albero di quercia, produttore di tartaro, un ingrediente necessario all’elaborazione dell’anti-
co sale armoniaco. Forse essi saranno addirittura perdonati, a norma del testo evangelico: Padre, per-
dona loro, perché essi non sanno quel che si fanno.
Non saranno invece perdonati quanti conoscono, osservano e tacciono, accidiosamente paghi di ave-
re sotterrato l’aureo talento (oppure l’igneo latente?) ricevuto in custodia.
Sta diventando funesto, questo continuo carnevale: dove si nascondono gli alchimisti, dove hanno ri-
posto lo splendido carro-navale di Venere scortato da candide colombe, sospinto da Lucifero, ma
governato dalla sferza di Diana, la vergine alata e lunare? Mentre i sapienti sembrano dondolarsi die -
tro oscillanti mascherine come spensierate fanciulle in altalena, l’atmosfera s’è fatta lugubre e la festa
dei vivi può trasformarsi da un momento all’altro nel pestilenziale sabba dei morti.

Azoth et ignis tibi sufficiunt . Ti bastino l’azoto e il fuoco . Lo zolfo e l’ azoto dei filosofi sono le so-
stanze incaricate di veicolare nelle profondità terrene della materia, con modalità differenti secondo
morfologia, ma funzionalmente equivalenti, la luce, energia cosmica pura e continua, nello scambio
reciproco tra le due fasi dell’unica materia. Scambio attuato nel corpo materiale dalla massa per la
mediazione del campo, elettromagnetico ed elasto-gravitazionale. Luce assunta e concretata nella
struttura del corpo a fotoni, a quanti, a quantità discrete e non continue perché unitario e discreto è il
corpo stesso, circoscritto e animato dalla forma individuale.
La fisica descrive, non comprende questo scambio che è la radice stessa del creato, perché da un lato
ignora la sostanzialità della luce, e dall’altro rifiuta l’esistenza dell’hylè di Aristotele, della Mater-ea de-
gli Alchimisti, del prope nihil di sant’Agostino, dell’essere del nulla di Leonardo, quello che “infra le
grandezze delle cose tiene principato ” (Cod. Arundel), della Subtilitas di Girolamo Cardano, della
materia pura di Severi ed infine del milieu subquantique postulato da de Broglie.
Nell’atto fondamentale di scambio della materia con la luce risiede e consiste la vita terrena. Un atto

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iniziale dal quale scaturisce il divenire del mondo fisico che si realizza nella produzione e nella sepa-
razione di cariche elettriche opposte: cariche compresenti nel medesimo corpo, se dotato di magneti -
smo proprio, quale il neutrone, oppure segregate in corpi differenti per funzione e massa, quali il
protone e l’elettrone, di cui nessuno conosce perché il rapporto in peso valga circa 1840. Tramite
l’elemento del campo tutti i corpi si nutrono di luce e ciascuno s’approvvigiona della propria carica
biologica. Ciò vale nei tre regni morfologici, minerale, vegetale, animale. Gli Alchimisti diedero il
nome di fuoco segreto all’energia luminosa concretizzata nei corpi e sostanziante la loro materialità:
ovvero a quel particolare stato in cui la materia funge da “catalizzatore cosmico”: cattura un raggio
di sole, dagli un corpo e possederai il più grande segreto del mondo , scrisse al riguardo Fulcanelli, il
massimo alchimista del nostro secolo.
In una copia manoscritta del Rosario dei Filosofi incontriamo una figura che rappresenta un leone
verde nell’atto di azzannare il sole, mentre il sangue vermiglio dell’astro ferito stilla copioso sulla ter -
ra. Interpretando questa bizzarra illustrazione troveremo la sintesi geroglifica delle nostre riflessioni.
Notiamo infatti che le due strutture catalizzanti a cui s’è fatto cenno, sono intimamente mescolate
nel corpo minerale del leone verde ove entrambe svolgono la medesima funzione di assorbimento
dell’energia radiante, onde la fiera è raffigurata mentre si nutre di sole. Negli organismi superiori,
quella stessa funzione catalizzante appartiene, per quanto ne sappiamo, agli enzimi. Tuttavia dette
strutture sono e rimangono sempre distinte e separate tra loro poiché presiedono a compiti diversi e
complementari: in definitiva, l’uno configura l’attività vegetativa dell’organismo inteso come materia
organizzata, mentre l’altro ne configura l’aspetto animico e propriamente formale. Il connubio di
questi due aspetti morfologicamente diversi della medesima funzione e la conseguente co-fusione
delle correlative strutture materiali, artificialmente procurato scavalcando le naturali barriere morfo-
logiche di protezione, genera mostri.

Riteniamo di avere detto a sufficienza, forse più di quanto Arpocrate generalmente consenta, perciò
ci limitiamo ad aggiungere, in punta di lapis, che lo schema prospettato offre la chiave di lettura
dell’intero mondo biologico, sebbene l’intima comprensione del connubio non sia certo agevole
come mescolare la calce con la sabbia.
Per capire in qual modo la proprietà attrattiva della materia si rifletta nel regno minerale e vi esplichi
la sua attività catalizzante nei confronti della luce, o energia radiante che dir si voglia, basta avere, in
barba ai canuti soloni della fisica, uno spirito puro ed etereo, ossia lo specchio di saggezza ove la na-
tura si rivela apertamente, e parecchio sale in zucca, il fosforo dei filosofi. Nel regno vegetale, vale la
pena ripeterlo, la medesima proprietà attrattiva è racchiusa nella clorofilla, mentre nel regno animale
è dell’eme, notoriamente contenuto nei globuli rossi, che infatti presenta una struttura attiva (anello
porfirinico) molto prossima a quella della clorofilla onde a buon diritto ne rappresenta la controparte
in morfologia animale.
Concludendo, la nostra epoca materialista è incapace di afferrare l’essenza stessa della materia e, se
solo credesse alla sua pratica realizzazione, pretenderebbe di estrarre la Pietra Filosofale col falso
fuoco di una specializzazione portata ai limiti dell’oscurantismo. Con questo fuoco si continua a tor -
turare la materia nel vano tentativo di comprenderne il mistero; follemente si cerca di aprire l’alveare
del mondo per rubarne il contenuto; ma dalla miriade di api che si librano in volo si ottiene solo un
bruciante malessere: invece del miele non si trova che fiele.
Forse di fronte a tanta balorda stupidità sarebbe più conveniente tacere che dire, poiché, secondo
l’antico motto popolare, la loquela degli insensati vale quanto due grani d’orzo. Eppure quei grani, a
saperne fissare il senso, potrebbero in seguito diventare d’oro fino, perciò il saggio Pan, dal cielo, ci
otterrà venia per le nostre divagazioni: … e poco dopo, gli astanti si fecero avanti e dissero a Pietro:
‘Veramente tu sei di quelli, perché il tuo linguaggio ti fa riconoscere’ . [Mat. 26, 73].

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