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CRITICA LETTERARIA – ESPLORAZIONI DEL SUD DEL MONDO

Letteratura di viaggio, archetipo del viaggio, è il primo archetipo fondativo della letteratura
occidentale infatti il primo racconto di viaggi è l’Odissea. Un tipo di viaggio è quello di
esplorazione. È un tema molto ampio perché infatti le esplorazioni iniziano già nell’antichità fino ai
giorni nostri. Esplorazioni del sud del mondo, in particolare Patagonia, Sud America, la terra del
fuoco e il Polo Sud questo discorso non può essere fatto senza alcune premesse sull’antichità
perché le esplorazioni vere e proprie iniziano già nel mondo antico ma abbiamo racconti di
esplorazioni già nell’Odissea viaggio del ritorno ma anche un racconto all’interno del quale Ulisse
racconta le esplorazioni di territori fantastici, terre ignote. Anche Omero come l’isola di Ogigia di
Calipso. Mettere insieme dei racconti di fiction (Odissea, la navigazione di Brendano, Benito
Cereno eccetera) con i resoconti di fatti di viaggi avvenuti, quindi resoconti di esploratori veri e
propri (Pigafetta).
L’Odissea e la navigazione di Brendano costituiscono i motivi, i topoi della letteratura di
spedizione, di scoperta, che torneranno in tutta la letteratura.

Sonetto di John Keats intitolato “On First Looking into Chapman’s Homer” sonetto che scrisse
quando scoprì l’Odissea. Lui non conosceva il greco ma una sera venne invitato a cena da un amico,
passano tutta la sera a leggere l’Omero di Chapman (traduzione dell’Iliade e dell’Odissea
pubblicato in Inghilterra probabilmente tra il 1614/1616) fino alla traduzione di Alexander Pope.
Keats allora il mattino successivo scrive questo sonetto e lo invia all’amico come forma di
ringraziamento x avergli fatto scoprire l’Omero di Chapman.
Questo sonetto è una piccola riscrittura dell’Odissea dal punto di vista di chi la scopre la prima
volta quindi descrive la meraviglia che l’Odissea ha provocato in Keats, descrive la meraviglia della
poesia, scoprire la poesia di Omero equivale ad almeno 3 cose:
- Scoperta di un nuovo mondo il sonetto appunto celebra la scoperta dell’Oceano Pacifico
sovrapponendo da un lato i reami dell’oro, le isole dei beati governate dai poeti como
Apollo, la distesadi acqua salata dell’oceano e in questo momento fa un ulteriore gioco
perché sovrappone le figure di Cortez e Balboa menziona Cortez ma in realtà l’evento che
descrive è la scoperta da parte di Balboa dell’oceano pacifico. Cortez invece fu colui che
scoprì e che vide dall’alto x la prima volta città del Messico. Quindi Keats fonde queste due
scoperte: scoperta dell’oceano e scoperta di una nuova città. Leggere l’Odissea x la prima
volta e scoprirla significa provare le stesse emozioni che prova un esploratore quando
scopre nuove terre, significa anche provare le stesse emozioni di chi osserva il cielo e prova
meraviglia quando scopre un nuovo pianeta qui il riferimento è la scoperta di Urano da
parte di Herschel nel 1781. Scoprire Omero, l’Odissea, nuove terre e nuovi pianeti provoca
sempre meraviglia. Quindi in questo sonetto Keats mette insieme il poeta, l’esploratore e
l’esploratore scienziato 3 figure accomunate dal desiderio di scoprire e conoscere.

La scoperta dell’oceano pacifico 25 settembre 1513 è seconda soltanto alla scoperta del nord
America da parte di Colombo perché in realtà è il momento in cui si apre davanti all’uomo la
distesa marina infinita, segna un vero punto di svolta nella storia delle esplorazioni, perché fino a
quel momento tutti i viaggi si erano concentrati nell’atlantico. Immediatamente Balboa prende
possesso dell’ignoto, del mare e di tutte le terre che esso contiene in nome del re e della regina di
Spagna aprendo così la via alle future esplorazioni dell’emisfero meridionale della terra.
Lopez de Gomara sottolinea la gioia x la scoperta del pacifico che apre la via alla Spagna x
conquistare tutto l’oro e tutta la ricchezza che si poteva prendere dal Perù. Questa scoperta
conferma anche l’idea di Vespucci secondo cui le Indie sono un mondo nuovo e non una propagine
dll’asia. La Spagna infatti tra il 1513 e il 1565 espande il proprio dominio su tutto il pacifico al punto
che l’oceano viene chiamato lago spagnolo (c’è infatti un libro che tratta questo intitolato proprio
The spanish lake) infatti buona parte dell’america del sud finiscono in mano spagnola. al
momento della scoperta del pacifico Balboa fa un discorso ai suoi amici in cui fa delle promesse ed
usa soprattutto 3 verbi: scoprire – conquistare – convertire  questo discorso può essere
considerato un discorso programmatico sulla politica delle esplorazioni nel sud del mondo cioè
Balboa stabilisce le linee lungo le quali sarà condotta l’esplorazione nel sud e le azioni sono proprio
queste, ovvero la scoperta, la conquista a qualsiasi costo e poi la conversione alla fede attolica
imposta anche con la forza. La scoperta di Balboa è importante anche dal punto di vista del mito
perché fino a quel momento si vagheggiava l’esistenza di una terra australis chi diceva che era
una propagine dell’asia, chi la pensava come un’isola nell atlantico ma con questa scoperta viene
trovata nella realtà questa terra australis. È da questo momento in poi che nasce il fascino che i
mari del sud hanno esercitato sulla cultura occidentale, come i romanzi di Jules Verne o anche
moby dick, stimolando l’immaginazione che poi porta alla nascita di nuova letteratura  i mari del
sud e le sue terre diventano fonte di ispirazione x la letteratura e dell’avventura esotica.
Infine i mari del sud, la scoperta del pacifico x queste ragioni appaga quella curiosità dell’essere
umano di navigare di retro al sole verso il mondo disabitato, come dice Dante in inferno 26, 
Dante infatti rifonda il mito di ulisse como archetipo dell’uomo moderno ma anche come archetipo
dell’esploratore In realtà Dante non è il primo, già nell’antichità si pensava ad un isola che fosse
al di la delle colonne d’ercole che viene descritta più o meno come un Eden. Per Dante è una terra
australis sconosciuta a tutti, noi invece sappiamo che quella terra è in realtà il purgatorio.
C’è chi ha visto nella riscrittura dantesca del mito di ulisse un presentimento della fine di un’epoca
e l’inizio dell’era moderna. Questo non significa che il mito di ulisse rifondato da dante tolga di
mezzo l’ulisse omerico spesso i due convivono, si fondono, corrono paralleli. Entrambi i miti
influenzano gli esploratori.
Esplorare il sud del mondo è una prova di resistenza, significa andare in cerca dell’ignoto la
prima volta mancarono la scoperta dell’australia x pochi miglia, provare e non arrendersi di fronte
alle difficoltà.
L’ulisse di dante oltrepassa le colonne d’ercole che oltre a segnare il limite geografico segnano
anche un limite ontologico ma l’uomo si interroga sul loro significato e su cosa ci sia al di là ben
prima di dante. Abbiamo testimonianza di fenici che hanno attraversato le colonne d’ercole
compiendo la circumnavigazione dell’africa ben prima di Vasco da Gama, e poi ci
sonotestimonianze dei greci e dei cartaginesi. Questo testimonia che la sete di conoscenza, la
passione x le esplorazioni, per la ricerca di nuove terre non è una cosa che caratterizza solo l’uomo
moderno bensì è qualcosa che riguarda anche l’uomo dell’antichità, infatti già l’ulisse omerico va in
questa direzione lui non sceglie la via facile x tornare a casa, sceglie il percorso tortuoso perché
quello è un percorso che umanizza la vita attraverso la scoperta e la conoscenza dell’altro, del
diverso e questo anche a prezzo della vita e anche questo è un topos che ritorna nella letteratura di
viaggio ad esempio quando Ulisse arriva alla terra di circe, non sa dove si trova, ha perso ogni
riferimento geografico e temporale, l’unica cosa che vedono è il fumo che sale da una collina e qui
scatta il desiderio dell’esploratore di andare a vedere che terra sia questa curiosità non riguarda
solo l’uomo moderno a partire da Colombo in poi ma lo ha sempre riguardato. Quando si parla di
scoperte nel mondo antico si devono tenere presente due aspetti:
- Le colonne d’ercole
- L’idea della terra australis sconosciuta  cioè immaginare che al di la del mondo
conosciuta ne esista un altro.
Di conseguenza nasceranno questioni disparate: saranno terre disabitate? Ci vivranno esseri
razionali? Qui entra in gioco la geografia perché nella teoria della divisione del mondo x zone ci
sarà chi dice che l’equatore funziona da divisore per cui le fasce immediatamente al di sopra e al di
sotto dell’equatore sono abitate e chi sta sotto è antipode a chi sta sopra perché sta a testa in giù.
Il primo che menziona le colonne d’ercole come tali è Ecateo di Mileto 6° secolo prima di cristo il
quale descrive la costa dell’oceano atlantico, fa un riferimento a un insediamento al sud di casa
blanca quindi marocco occidentale e il riferimento alle colonne d’ercole è importante perché da
quello che dice noi possiamo dedurre che Ecateo conosceva già il primo resoconto di viaggi ovvero
la periegesi o periplo di Annone della prima metà del 6° secolo.
Circa venti anni dopo le colonne d’ercole passano anche in poesia, un esempio è la terza olimpica di
Pindaro ma in realtà la prima volta che compare l’idea di pilastri in quella posizione geografica
viene da Omero il quale nel libro 1 dellOdissea, quando gli dei devono decidere se far tornare
ulissea casa, menziona in un passo breve tanto i pilastri di atlante quanto una terra all’ultimo
confine del mondo versi 25/26 dove Atena deve convincere Zeus a far tornare ulisse, il quale è
trattenuto prigioniero da calipso che a sua volta è figlia di Atlante. Il poeta ci dice che atena
approfitta dell’assenza di Poseidone x parlare con Zeus, perché Poseidone non vuole far tornare
ulisse a casa perché gli ha accecato Polifemo. Questi versi sono una velata allusione all’etiopia come
uno degli ultimi punti del mondo però nell’immaginario omerico queste colonne non servono a
dividere il mediterraneo dal resto dell’acqua ma il cielo dalla terra, Atlante porta sulle sue spalle le
colonne che separano il mondo degli uomini da quello degli dei. Questa idea di una regione
all’ultimo confine viene ripresa nella letteratura latina da Virgilio nelle Georgiche, poi da Orazio
che nelle Odi fissa la Britannia come ultima regione del mondo.
Per l’antichità le colonne d’ercole rappresentano l’ultimo confine all’estremità del mondo
occidentale conosciuto e civilizzato, confine oltre il quale l’uomo non dovrebbe mai andare. Sono
quindi un limite geografico ma diventano anche un limite alla conoscenza umana. Per di più queste
colonne segnano il limite tra il mare interno (quello che x i romani sarà il mare nostrum, il
mediterraneo) e una vasta distesa di acqua salata cioè l’atlantico e quindi confine tra mondo abitato
e mondo disabitato, tra mondo greco e mondo barbaro. Nel 4° secolo dopo cristo Festo Avieno
traduce in latino un poemetto greco dove venivano fissati i confini dalla prospettiva di Alessandria
d’Egitto con il titolo “Descriptio orbis terre” è una delle poche notizie che abbiamo nella tarda
antichità delle esplorazioni degli antichi perché dopo il 2° secolo dopo cristo si perde qualsiasi
notizia delle esplorazioni antiche oltre al fatto che non si fecero più esplorazioni per secoli, sembra
che l’uomo perse ogni interesse x questo. Quello che è importante è che tra il 5 e il 4 secolo avanti
cristo le colonne d’ercole diventano i confini a occidente del mondo conosciuto ci sono anche
delle colonne a oriente. Troviamo traccia di questo ad esempio in Erodoto, che nel 1 libro delle sue
storie parla dei Focei ovvero i primi tra i greci a praticare lunghe navigazioni, ad esplorare
l’adriatico, l’iberia, la tirsenia e il tartesso (località appena al di la delle colonne d’ercole sulla costa
spagnola) Torna su questa località Tartesso nel 4 libro al paragrafo 152 dove di nuovo menziona
la località a proposito di un’altra popolazione dei Terei (attuale Santorini).
Erodoto parla anche dei cartaginesi, ci dice che ci sia una regione al di la delle colonne d’ercole
dove i cartaginesi fanno scambi commerciali, scambiano le loro merci in cambio di oro e finchè non
concordano un prezzo ne i cartaginesi prendono l’oro, ne i nativi del luogo prendono i beni. Quello
che è importante è che emerge un collegamento tra l’esplorazione di nuove terre e lo sfruttamento
di esse quello che poi succede a partire dal 500 nel sud del mondo con gli spagnoli ad esempio
con Balboa è un’idea che emerge già nell’antichità. Erodoto però è molto attnto nel dire che i
cartaginesi non approfittavano della situazione perché finchè non erano soddisfatti entrambi le
parti nessuno prendeva nulla cosa che invece non avviene quando l’occidente nel rinascimento e
con cristoforo colombo va a colonizzare l’america l’occidente vede fin da subito la possibilità di
sfruttare i nuovi territori. Questo brano di erodoto è anche testimonianza che già nella prima metà
del 5 secolo i cartaginesi avevano navigato l’atlantico e avevano sostituito i fenici.
È sempre Erodoto a dare anche la prima testimonianza di una circumnavigazione dell’africa 
quindi con i cartaginesi nel mediterraneo inizia l’idea di una esplorazione come occasione di
commercio stabilendo anche la loro presenza mercantile nel mediterraneo e questa presenza
termina intorno al 480 avanti cristo con la spedizione di Annone il quale viene mandato ad
esplorare i territori al di la delle colonne d’ercole con il preciso incarico di fondare li delle colonie
lungo le coste dell’attuale marocco. La spedizione di Annone insieme a quella di Pitea il greco, è la
più famosa spedizione dell’antichità, l’unica di cui abbiamo un resoconto perché quando Annone
torna a cartagine va a rendere omaggio agli dei perché è riuscito nel suo intento e quindi lascia un
suo resoconto nel tempio di Moloch questo resoconto viene tradotto poi in greco su
suggerimento dello storico Polibio, 2° secolo avanti cristo si discute molto su quanto a sud si sia
spinto questo esploratore, x alcuni arrivò fino alla Sierra Leone, per altri è arrivato nell’attuale
Gabon.
A Erotodo possiamo aggiungere Diodoro Siculo che parla anche lui delle colonne d’ercole ma c’è
anche un altro documento importante in origine attribuito ad Aristotele intitolato “De mirabilibus
auscultationibus” = “sulle cose meravigliose udite” quindi storie di fantasia inventate. Questa opera
è interessante perché l’autore riferisce che oltre le colonne d’ercole sia stata trovata dai cartaginesi
un’isola deserta questo testo crea il mito dell’isola misteriosa che poi troviamo nei romanzi
d’avventura della modernità, di solito è sempre un’isola molto ricca, c’è sempre una foresta, diventa
un topos. È interessante però anche da un punto di vista antropologico perché l’atteggiamento dei
cartaginesi che viene descritto ricorda molte delle descrizioni che abbiamo nei resoconti di viaggio
delle esplorazioni moderne, cioè l’atteggiamento dell’occidente nei confronti dei nativi delle terre
che vengono scoperte (basta pensare ai genocidi).
A questi si potrebbe aggiungere Orazio che nei Carmina, nelle odi fa riferimento alle colonne
d’ercole o ad un ultimo confine del mondo e poi anche Strabone che parla di come sono stati
delimitati i confini del mondo ci dice che i confini non sono naturali, ne mitici ma qualcosa che
l’uomo ha posto per indicare la distanza più lontana che l’uomo ha raggiunto. Il fatto è che i confini
naturali rimangono x sempre (come gli stretti, le montagne), mente le cose fatte dall’uomo sono
soggette a decadimento e quello che rimane è solo il nome, ad esempio Strabone dice che le
colonne d’ercole ormai non ci sono più a delimitare il confine ma rimangono come nome a
ricordare le imprese di un eroe mitico Strabone sta unendo l’idea dell’ultimo confine del mondo
all’eroismo, quando quei confini li stabilisce un eroe mitico, la fama rimane x l’eternità, perché
secondo lui quelle colonne sono state erette da Ercole x celebrare la sconfitta dei barbari.
Il primo che menziona una terra australis incognita è Teo Pompo nel 3 secolo avanti cristi, al quale
più tardi nel 2 secolo segue Eratostene nel suo poema intitolato Hermes (Mercurio) da inizio al
mito degli Antipodi, all’idea di un nuovo o altro mondo che non si trova più a Occidente come per
esempio l’isola dello pseudo Aristotele ma si trova a sud questo è interessante perché l’idea è che
la terra sia una sfera divisa in 5 zone, le uniche due zone abitate sono quelle a nord e a sud
dell’equatore in cui gli uomini vivono gli uni al contrario degli altri cioè gli uomini nell’emisfero
australe sono a testa in giù. Questo introduce il mito degli antipodi che ovviamente non è
introdotto soltanto nel 2 secolo avanti cristo, ma ben prima già con Aristotele si era cominciato a
speculare di altri mondi abitabili nell’emisfero australe, mondi che corrispondevano in maniera
simmetrica e speculare al mondo del nord (Aristotele lo scrive nel 2° libro di Metereologica). Il
motivo di discussione era se potesse esistere o meno in questi mondi la vita, gli esseri umani, se
erano abitati da che tipo di esseri, razionali o irrazionali, Aristotele ad esempio diceva che questi
mondi potrebbero essere abitati ma non necessariamente lo sono perché va rispettato il principio
di plenitudine della natura cioè se la natura crea qualcosa deve essere pieno, riempito, la natura
non crea il vuoto e per questa ragione, per questo principio che regola il mondo naturale se esiste
una terra deve essere abitata. Invece sia Strabone che gli stoici ritenevano che invece in quelle terre
ci fossero esseri assolutamente irrazionali. Man mano che si discute di questi argomenti succede
qualcosa di importante dal punto di vista linguistico, cioè che l’aggettivo antipode diventa un nome
con il quale vengono designate le creature che abitao nell’emisfero australe. Questo problema
diventa cogente nel medioevo col cristianesimo perché come si fa a sostenere che esista un’altra
razza oltre a quella occidentale? Agostino farà tutto un discorso sugli antipodi nella città di Dio
molto importante perché lui è uno dei padri della chiesa che più ha avuto influenza sul pensiero
occidentale. Da Eratostene e dalla fine dell’era prima di cristo e l’inizio dell’era cristiana man mano
che la teoria degli antipodi si diffonde, essi diventano anche un elemento dell’immaginario
occidentale, uno dei miti più diffusi nell’immaginario greco e latino.
Il discorso sugli antipodi, sull’esistenza di una terra a sud del mondo in realtà ha a che fare con un
interesse per la geografia che emerge nel 5° secolo avanti cristo, rivoluzione culturale totale,
interesse x la cosmogonia che porta a ripensare le idee sui confini del mondo e l’idea di un mondo
distante infatti la ritroviamo in alcuni luoghi delle storie di Erodoto che parlano di una terra, ci
danno una immagine dei 4 confini del mondo, della delimitazione del mondo con territori vuoti e
inesplorati se non altro perhè da quei territori non sono giunte mai notizie, e se nessuno è giunto
da quei territori allora dobbiamo dire che non sono abitati. Siccome l’uomo x natura è portato
all’erranza, al viaggio se finora nessuno è arrivato allora probabilmente queste terre sono
disabitate. Ovviamente però creare l’idea di una terra altra significa anche creare un mistero che
stimola l’immaginazione e genera nuove narrazioni, nuove storie.
Che cosa c’è al di la del mondo abitato? Tutte queste storie sono un tentativo di dare una risposta a
questa domanda, se c’è qualcuno nell’emisfero meridionale ed ecco che nasce il mito degli antipodi.
Il mito viene sfruttato anche x fini politici l’impero romano si estende x tutto il mediterraneo
sotto augusto ma c’è una terra che deve essere esplorata e li ci si appropria del mito di alessandro
magno Curzio Rufo proprio sotto augusto, x celebrare l’idea dell’impero universale immagina un
eroe, un Alessandro Magno, che oltre ad essere un grande conquistatore è anche un esploratore il
quale vuole sempre cntinuare e andare oltre x esplorare i territori al di là dell’India. Questo
desiderio di voler a tutti i costi raggiungere l’estremo confine del mondo va fino alla modernità,
Alessandro Magno sarà infatti usato anche da Zweig in Magellano x descrivere le imprese di Enrico
il Conquistatore Alessandro Magno diventa quindi il mito dell’esploratore e del conquistatore.
Tutta questa conoscenza, ad eccezione di Festo Avieno, dopo il 2à secolo dopo cristo scompare, si
perde e non solo: l’uomo improvvisamente non è più interessato alle esplorazioni una ragione
può essere la fine dell’impero romano che porta a una grande decadenza ma forse ha a che fare
anche con il cristianesimo delle origini, quindi dal 2°secolo in poi, perché pone dei limiti.
ODISSEA

Fin dall’inizio, all’inizio dell’ 8° secolo, l’odissea è stata considerata il simbolo delle esplorazioni,
dei viaggi alla scoperta del mondo, sia a livello letterale che metaforico. Il racconto dell’odissea è un
il racconto di un viaggio particolare, non è un resoconto di un viaggio di esplorazione ma è un
racconto di un ritorno a casa, di un nostos, ma è un ritorno a casa particolare perché non racconta
un percorso dritto, veloce, tranquillo senza ostacoli, ma è un racconto con deviazioni e
digressioni questo secondo il filosofo tedesco Hans Blumenberg è un punto fondamentale del
viaggio di Ulisse ed è ciò che lo ha fatto diventare un modello nelle epoche successive perché
secondo lui il viaggio con digressione umanizza la vita, è un percorso che rende la vita più umana e
quindi vale la pena vivere. Proprio per questo l’ odissea è un modello metaforico ma al di la di ciò
l’odissea è stata considerata come un’opera che riflette e teorizza l’immaginazione etnografica e
antropologica dell’epoca attraverso l’odissea possiamo ricostruire lo sguaro etnografico e
antropologico del viaggiatore dell’epoca. In particolare, i viaggi di ulisse ai confini della terra e il
suo rapporto con l’altro cioè con gli esseri diversi (mostri, incantatrici, esseri divini, giganti,
cannibali) incarnerebbe lo sguardo etnografico di un osservatore greco dell’antichità.
Odisseo è anche un punto di riferimento nei discorsi che si fanno sulla definizione dello spazio
geografico perché quello geografia non è un problema che si è posto solo la modernità ma è un
problema che ci si pone fin dall’antichità e omero in questo riveste grande interesse, non solo
attraverso i suoi stessi spostamenti ma anche perché è lui che in alcuni suoi racconti, come quello
della falsa identità al porcaro nel libro 14, aggiunge informazioni su terre lontane e per di più
dentro l’odissea c’è anche l’ultimo confine del mondo perché quando Circe ordina a Ulisse il viaggio
nell’Ade in realtà gli ordina di andare nella terra dei Cimmerii che sta all’estremo nord, alla fine del
mondo libro XI primi versi  tutte queste informazioni influenzano il dibattito sulla definizione
dello spazio geografico fin dall’antichità. Si è sempre cercato di mappare, tracciare la rotta seguita
da Ulisse una volta partito da Troia, soprattutto localizzare i punti in cui è sbarcato x trovare vita e
nuove terre. In epoca augustea, cioè 7/8 secoli dopo Omero, il geologo Strabone considera Omero il
primo geografo dell’antichità, x lui Omero è il punto di riferimento x la geografia greca e difende
Omero da letture più ciniche come quella di Eratostene. La definizione della geografia di Ulisse ma
questo comporta un’altra domanda ovvero che cosa conoscevano i greci di quell’epoca del mondo e
del Mediterraneo.
Il primo punto è: mentre noi sappiamo dai resoconti e dalle notizie storiche che gli achei erano
nomadi e corsari, i greci invece non sono mai rappresentati come popolo dedito al commercio e
quindi possiamo dedurre che loro sono differenti dai cartaginesi e dai fenici ad esempio che
avevano navigato, esplorato ed erano andati al di la delle colonne d’ercole anche x stabilire degli
insediamenti e commerciare.
Secondo Strabone l’odissea è basata sui viaggi dei fenici, sostiene che Omero che conoscesse i
viaggi dei fenici x cui quando scrive l’odissea si basa su quella geografia. Nell’odissea infatti i fenici
vengono menzionati, si dice che siano sbarcati in Grecia e quindi x Strabone non c’è ragione di
pensare che Omero abbia trasferito le sue conoscenze al passato mitico della guerra di Troia.
Da una lettura dell’odissea è evidente che accanto alla memoria dei fenici sopravvive anche quella
dei popoli dell’Egeo quindi della civiltà minoica e dei loro viaggi di esplorazione ma di tutta questa
conoscenza Omero lascia trasparire ben poco, almeno nella sua topografia del mediterraneo
quando leggiamo l’odissea ci accorgiamo subito che x lui Cipro, la Fenicia e l’Egitto sono poco più
che nomi  un esempio è il libro IV versi 351/586 quando Menelao racconta a Telemaco il suo
viaggio verso casa e racconta che ad un certo punto è stato trasportato contro il suo volere in Egitto
in cui fu costretto a rimanere a lungo tempo e x tornare a casa deve consultare il Dio del mare
Proteo il quale, è solito la mattina adagiarsi sulla spiaggia dell’isola di Faro e a questo punto c’è una
piccola descrizione dell’Egitto e dell’isola di Faro che Menelao dice trovarsi di fronte la costa
egiziana ma non da informazioni precise e importanti ma l’Egitto viene descritto come luogo di
portentia, abitata da questo Dio della metamorfosi che cambia continuamente forma poi in un
altro punto dell’odissea sempre nella descrizione dell’Egitto viene menzionato il Nilo però sono
solo nomi, non c’è una conoscenza fattuale, concreta dei luoghi quindi seppure Omero avesse
avuto delle conoscenze più approfondite in maniera, poco ne traspare nell’odissea. Questo racconto
di Menelao sono importanti perché il nostos di Menelao è molto simile a quello di Ulisse
entrambi perdono la rotta a seguito di una tempesta a Capomalea, vengono trattenuti prigionieri su
un’isola o comunque terredifficili da localizzare, entrambi soffrono la fame a causa di un Dio ed
entrambi vengono aiutati da una donna da poteri straordinari (la maga Circe e la ninfa Edotea),
entrambi consultano un profeta, un chiaroveggente che fa profezie sul futuro destino e sulla via del
ritorno. In più nel caso della visita di Ulisse nell’Ade, viene aggiunta la terra dei Cimmerii il mondo
della morte, alla fine del suo racconto Menelao aggiunge il contraltare del mondo dei morti e cioè
l’isola dei beati, dove vanno a morire chi è imparentato con gli dei, le ninfee, gli esseri semidivini.
Versi 561 e seguenti: profezia di Proteo che fa a Menelao sulla sua fine, gli dice che solo x essere
sposato con Elena e quindi essersi imparentato con Zeus, a lui è riservato il destino dei campi Elisi.
Il campo dei beati completano anche la geografia dell’aldilà dell’odissea, da un lato all’ultimo
confine del mondo c’è la terra dei Cimmerii dove vanno a morire gli uomini e dove l’essere umano
dopo la morte diventa nulla come dice Euriclea al figlio, dall’altra parte c’è invece il campo Elisio
dove invece abbiamo una sorta di Eden dove spira sempre la brezza, il luogo dell’eterna primavera.
Quindi la geografia di Omero ingloba nel mondo degli uomini anche questo, non si limita allo
spazio geografico del mediterraneo ma va oltre con la geografia dell’aldilà che sarà fondamentale
perché da qui deriva poi la geografia dell’aldilà di Dante mediata da Virgilio perché Dante non
conosceva Omero sarà Virgilio a riprendere Omero e poi da lì Dante elabora la sua geografia
dell’aldilà. Il mondo dei beati invece a noi non è dato vedere la fine di Menelao, però x esempio
vediamo il mondo dei morti Ulisse va ad esplorare questo mondo, libro XI, quando scende x
consultare Tiresia va nell’Ade, incontra la mdre, i suoi compagni l’esplorazione nell’odissea si
spinge letteralmente al di là dei confini del mondo.

Viaggio di Ulisse nel mediterraneo:


la prima parte del viaggio, cioè la partenza dei greci da Troia (descritta da Nestore nel libro III e da
Menelao nel libro IV) è descritta con precisione geografica, la possiamo anche oggi tracciare sulle
mappe.
Il viaggio di ritorno parte dalla spiaggia di Troia, si sposta poi a Tenedo dove Ulisse cambia idea
perché decide di tornare indietro ed unirsi ad Agamennone x offrire sacrifici ad Atena separandosi
da Nestore, poi riprende il mare e la flotta si dividerà ulteriormente.
Prima della partenza da Troia comunque la flotta discute sulla rotta da seguire:
- O costeggiare l’Asia minore che nell’antichità rappresenta la via più sicura perché vicino alle
spiaggie si evitano le tempeste, gli uragani e c’è sempre la possibilità di approdare.
- O tagliare diritto il mare x arrivare a casa passando x Capo Malea dove però il viaggio si
complica.
Questa discussione della flotta viene raccontata da Nestore nel libro III versi 162/175  Nestore
arriva tranquillo e senza problemi a Pilo.
Altra storiaè quella di Ulisse e i compagni perché a Capo Sunio la sua flotta si divide x due volte, e si
dividono quindi anche i destini dei vincitori di Troia, Nestore torna subito a casa senza problemi,
Agamennone anche ma poi viene ammazzato, Ulisse invece e i compagni vengono dopo una
tempesta scaraventati in un mondo completamente altro, al di fuori delle coordinate geografiche
del mondo conosciuto.
Nel racconto dei viaggi fatto da Nestore, da Menelao e poi dal racconto di Ulisse emerge una
contrapposizione fra oriente e occidente: tutte le avventure di ulisse nei mari a occidente tra Italia,
Libia eccetera non rientrano in nessuna mappa geografica l’ovest è terra sconosciuta anche se in
alcuni punti Omero inserisce dei dettagli di realismo come l’arrivo dai Lotofagi la pianta del loto
è identificata con una pianta che cresce sulle coste di Tripoli, come detto nel libro IX. Allo stesso
modo l’isola di Eolo viene identificata con le isole di Lipari, mentre la terra dei Feaci è stata
localizzata con alcune isole intorno alla Sicilia questi piccoli dettagli realistici servono a Omero a
rendere il racconto credibile ma non potremmo mai dire con sicurezza che Malta sia l’isola di
Calipso. L’altra cosa vera/realistica che Omero rivela nell’odissea è la conoscenza dei mari e dei
venti omero sa come ci si sposta nei mari, sa quali sono i venti favorevoli, conosce le condizioni
atmosferiche e questo è un tratto che contraddistingue Omero all’epica di Gilgamesh dove invece il
mare è un’entità astratta, fa da sfondo alle vicende narrate e i poeti non rivelano mai una
conoscenza precisa del resto se pensiamo all’altro ramo della cultura occidentale, ovvero la
Bibbia in cui il mare è quasi sempre assente, gli ebrei sono un popolo che si muove x via terra mai x
mare nel Pentateuco, i primi 5 libri, l’unico mare è il Mar Rosso che loro attraversano solo perché
Mosè separa le acque. Quindi il mare è parte della civiltà greca e Omero rivela delle conoscenze
precise della vita sul mare e che molto probabilmente deriva dai fenici.
Ulisse è considerato il primo vero esploratore occidentale perché quella curiositas che porta l’ulisse
di dante a superare le colonne d’ercole in realtà fa parte del dna del personaggio fin da Omero,
seppur con mezzi e modalità diverse.
Ulisse racconta ad Alcinoo le avventure in quel mondo favoloso in cui Ulisse entra dopo essere
stato sbattuto a capo Malea a seguito di una tempesta a quel punto, all’inizio delle avventure
Ulisse comanda la sua flotta di navi, che poi perderà man mano nel corso di queste avventure,
entrano in un’altra dimensione, dopo l’avventura dai Ciconi in cui si ritrovano a combattere una
guerra, lasciano il mondo umano x entrare in un mondo immaginario fatti di mostri, cannibali,
incantatrici, profeti, esseri strani che Omero cerca di rendere credibili inserendo dettagli minimi di
realismo e facendo finta che queste storie siano tutte ambientate nel mediterraneo occidentale.
Ulisse non viene mai sbattuto a est nella terra conosciuta ma in quella sconosciuta. Dopo la guerra
con i Ciconi sbarcano in questo mondo immaginario dove ci si cibba di fiori che regalano l’oblio,
rischio maggiore che incombe sul viaggio di Ulisse, scordare la meta, dimenticare Itaca. Da questo
momento in poi Ulisse entra nel mondo delle deviazioni e non è più nemmeno al comando del
viaggio non è lui che decide la rotta ma viene spinto dai venti. Se pensiamo che il nostos di Ulisse
è un viaggio che umanizza e un viaggio di resurrezione , un passaggio dalla morte alla vita non
perché sia morto fisicamente ma perché poiché sono 20 anni che è lontano da casa, sono 10 anni
che la guerra è finita e tutti sono tornati a casa tranne lui e non se ne hanno notizie, tutti a partire
dal figlio sono convinti che sia morto perché in qualche modo proprio dai Lotofagi lui è entrato
nell’aldilà, è sparito al mondo degli uomini e nessuno ne sa più niente l’unico che ha notizia più
recente è Menelao che dice a Telemaco che ha saputo da Proteo (dio del mare) che Ulisse è
trattenuto contro la sua volontà sull’isola di Calipso, isola impossibile da localizzare. Tornare
quindi nel mondo degli uomini significa risorgere x i mortali questo passaggio di ritorno alla vita
implica un confronto anche con il suo passato di eroe a Troia ulisse parte da Troia come colui che
ha sconfitto i troiani con lo stratagemma del cavallo, grazie a lui i greci hanno vinto la guerra,
quindi parte all’apice della gloria durante il viaggio assistiamo a una metamorfosi, piano piano si
distacca da quel passato x ridiventare un comune mortale. Ci sono due spie di questa metamorfosi:
1. Quando da Calipso rifiuta l’immortalità ulisse diventa immortale grazie alla fama che
aquisisce con la guerra di troia. Ma rifiuta l’immortalità offerta da Calipso in nome
dell’amore x Penelope.
2. Quando si rivela non come colui che ha espugnato Troia ma come il figlio di Laerte che
viene da Itaca libro IX Il ritorno al mondo degli uomini si compie proprio qui perché
quello che importa a lui non è Ogigia, Calipso, l’immortalità eccetera bensì la propria terra e
la propria famiglia. Da qui è pronto a tornare a casa e a raccontare il suo doloroso viaggio di
ritorno.
Lo spartiacque è proprio capo Malea, il cardine dei viaggi dell’odissea a diversi livelli. Innanzitutto
perché il passaggio a capo Malea è un momento chiave x la riuscita del ritorno a casa, chi come
Nestore sa interpretare i segni degli dei passa senza problemi, chi invece come Menelao ed Odisseo
vengono scaraventati in un mondo altro tutto da scoprire. È uno spartiacque anche da un punto di
vista geografico perché a est di capo Malea il mondo è conosciuto, tutti i greci conoscono la
geografia del luogo mentre invece a ovest c’è un mondo sconosciuto i greci conoscevano poco del
mare a occidente, qualche conoscenza di Ischia, l’Italia del Sud e poi della Sicilia infatti Trinachia la
terra dei 3 angoli.
Passare Capo Malea quindi è importante perché significa scoprire nuovi territori e stabilire nuovi
insediamenti nella geografia reale, basti pensare alla Magna Grecia. Capo Malea però rappresenta
un punto di svolta anche dal punto di vista narratologico: perché senza le tempeste di capo Malea
non esisterebbe l’odissea. Per di più a livello tematico, tutto ciò che succede a Capo Malea genera
tensione nella storia perché quello che succede si muove sempre tra curiosità, desiderio di
conoscenza ma anche attenzione, cautela, prudenza.
Le avventure nell’aldilà seguono 3 fasi principali:
- Nella prima, odisseo comanda ancora una flotta di navi, deve fare affidamento soltanto sul
suo multiforme ingegno. Fase che comprende le avventure dei Lotofagi, del Ciclope, Eolo e i
Lestrigoni avventure che occupano i libri IX e X e per ben tre occasioni Ulisse si trova di
fronte a quelli che chiama barbari, eccetto Eolo per Ulisse il barbaro è chi non conosce la
civiltà greca e che quindi non conosce nemmeno le regole dell’ospitalità a cui Ulisse fa
sempre appello (episodio del Ciclope). Qui non può fare affidamento sugli dei, addirittura
alla fine dell’avventura col Ciclope Zeus rifiuta i sacrifici offerti da Ulisse x essere scampato
al disastro. Quindi Ulisse ha la responsabilità di salvare i suoi uomini sia dai Lestrigoni
che dal Ciclope, Ulisse perde dei suoi compagni. In questa prima fase le avventure seguono
tutte, più o meno, uno stesso schema cioè: l’approdo nella terra sconosciuta che comporta
l’incontro con degli sconosciuti, lo svolgimento delle attività di routine cioè mangiare,
dormire eccetera e il mattino successivo inizia l’esplorazione della nuova terra lo scopo è
capire se il nuovo territorio è abitato e se abitato da che tipo di esseri  per questo fine
spesso viene inviato un gruppo di uominia esplorare il territorio nel caso del Ciclope è
Ulisse stesso a guidare il gruppo mentre una parte rimane sull’isola. L’incontro con gli
abitanti quasi mai è pacifico, quindi l’incontro implica il rischio della vita, un pericolo x gli
esploratori nella storia del Ciclope i compagni di Ulisse vengono divorati da Polifemo,
nella storia di Circe alcuni compagni vengono trasformati in maiali e dovrà essere Ulisse a
liberarli quindi Ulisse ha una grande responsabilità. Alla fine c’è la partenza x una nuova
terra.
- Nella secondoa odisseo comincia a perdere i compagni perché sappiamo fin dal proemio che
Ulisse deve rimanere solo. Rimane con un’unica nave e deve affidarsi ad Atena x evitare di
perire anche lui.
- Nella terza, Ulisse è solo, non riesce in nessun modo ad abbandonare Ogigia finchè non
intervengono gli dei questo significa che x tornare alla vita, al mondo degli uomini Ulisse
ha bisogno di un aiuto divino. Da qui compie ultime due avventure ovvero la sosta da
Calipso e quella dai Feaci che gli promettono il ritorno a casa, un ritorno che però non potrà
mai raccontare a nessuno perché non appena sale sulla nave che lo riporta a Itaca si
addormenta di un sonno simile alla morte e sbarca a Itaca incosciente, addormentato e
Ulisse si sveglierà solo quando i Feaci saranno scomparsi quindi mai sapremo dove si
trova Scheria e come si passa da li a Itaca.
Quindi ci sono 3 fasi nelle avventure di Ulisse nella prima Ulisse ha ancora il pieno comando
della flotta e quindi del suo destino e delle sue scelte, deve fare affidamento qui sulla sua saggezza e
ingegno multiforme, avventure dei Lotofagi, Ciclope, Eolo e i Lestrigoni avventure che occupano
i libri 9 e 10 e per ben tre occasioni ad eccezione di Eolo, Ulisse si trova di fronte quelli che chiama
barbari sono coloro che non conoscono la civiltà greca. Non conoscono ad esempio neanche le
regole dell’ospitalità a cui Ulisse fa spesso appello come nell’episodio del Ciclope dove la visione
che Polifemo ha dell’ospitalità diventa cannibalismo, dice per ricompensare comincerò a mangiare
i tuoi compagni. In questa sezione, Ulisse non può fare affidamento sull’aiuto degli dei, anzi alla
fine dell’avventura del Ciclope Zeus rifiuta i sacrifici offerti da Ulisse che ha quindi la responsabilità
di salvare i suoi uomini perde dei compagni perché nel corso delle sue avventure gradualmente li
perderà tutti fino a rimanere da solo quando naufraga ad Ogigia. Qui le avventure hanno tutte lo
stesso schema: l’arrivo presso la terra sconosciuta che spesso comporta l’incontro con degli
sconosciuti, poi vengono compiute le attività di routine (cercare cibo, mangiare, dormire), il
mattino successivo inizia l’esplorazione della nuova terra lo scopo è capire se il nuovo territorio
sia o meno abitato e da che tipo di esseri è abitato e a questo fine spesso viene inviata una squadra
di uomini a esplorare il territorio nel caso dell’avventura del Ciclope, a esplorare c’è Ulisse stesso.
L’incontro con gli abitanti non è quasi mai pacifico, sia con il Ciclope che con Circe l’incontro
implica il rischio della vita o comunque un pericolo x gli esploratori nel caso del Ciclope i
compagni di Ulisse vengono divorati da Polifemo, nella storia di Circe alcuni vengono trasformati
in maiali e dovrà essere Ulisse a liberarli, lui ha la responsabilità di salvare i compagni e poi c’è la
partenza alla volta di una nuova terra. Ulisse, primo nella tradizione occidentale, va a esplorare
anche il mondo dell’aldilà, la terra dei morti, l’Ade, dopo aver visitato la terra di Circe. Allo stesso
modo nell’Odissea come c’è il mondo che riguarda i morti, sappiamo dal racconto di Menelao della
profezia di Proteo libro 4 che la geografia omerica comprende anche i campi elisi cioè le isole dei
beati dove vanno al termine della loro vita senza morire gli esseri semidivini o chi come Menelao ha
sposato Elena figlia di Zeus e quindi ne ha diritto da un punto di vista di tradizione culturale
letteraria questa geografia è importante perché poi nell’occidente grazie a Virgilio col libro 6
dell’Eneide che riprende la geografia di Omero, passerà poi a tutto l’occidente ad esempio Dante
riprende la sua geografia. Quando Ulisse va all’Ade c’è tutta una descrizione precisa di dove si trovi
questa terra, di come è fatta e anche qui Ulisse arriva come il classico esploratore che deve
conoscere. Ulisse e i compagni arrivano nella terra dei Ciclopi di notte (segno negativo) dopo aver
lasciato la terra dei Lotofagi sbarcare di notte è pericoloso perché il porto non è illuminato quindi
si potrebbe essere attaccati, non c’è riparo, si mette a rischio la propria vita libro 9 versi 105-
151 questi versi mostrano la cura che Omero e Ulisse nel raccontare mette nella descrizione del
luogo l’avventura dal Ciclope una delle poche raccontata in maniera dettagliata, attenzione quasi
maniacale ai particolari. Avventura molto importante per Ulisse che è sottolineata dal fatto che
nella sua storia personale lui ricordi l’incontro col Ciclope x ben 2 volte  questa più di altre lascia
il segno. La prima volta che Ulisse ricorda questa avventura è un momento di svolta quando
approdano a Trinachia e avverte i compagni di stare lontani dalle vacche del sole libro 12 versi 208-
212 loro sono li ma non possono cacciare, toccare quelle mucche perché significherebbe grande
sventura, i compagni però le uccidono e le mangiano e x questo tutti perderanno la vita prova
tanto forte e difficile quanto quella superata col Ciclope. Questa avventura viene ricordata anche
nel libro 20 poco prima che compia la strage coi Proci, quando la notte sente le ancelle che vanno a
divertirsi coi proci e allora Ulisse riflette parlando al suo cuore sul fatto che deve trattenersi, deve
aspettare il momento giusto x agire contro le ancelle per avere successo quanto ne ha avuto con il
Ciclope infatti  dice “sopportasti ben altra vergogna quando il ciclope mangiava con furia i forti
compagni e tu sopportasti…”. Questa avventura così importante mostra 2 aspetti del personaggio:
aspetto peggiore di Ulisse, la cupidigia cioè la sua unica preoccupazione è vedere che doni gli può
offrire Polifemo quando entrano nella caverna e trovano capre e formaggi, i compagni dicono di
prendere il tutto e andare via invece Ulisse vuole vedere che doni aveva polifemo. Aspetto migliore
cioè la sua capacità di prevedere le cose e quindi x questo la decisione di portare con sé il vino che
poi gli servirà x far ubriacare Polifemo  anche il modo in cui risponde alle domande insidiose di
polifemo, quando gli chiede il nome e lui risponde “nessuno”, emerge la sua astuzia di farlo
ubriacare e di costruire un’arma x accecarlo, tutto fa parte del suo lato migliore mettendo in luce il
suo ingegno multiforme che sa sempre trovare il modo di salvare se stesso. Questa avventura
quindi mette in luce il carattere del primo esploratore aspetti che diventeranno poi tipici
dell’esploratore occidentale. Questa avventura ruota intorno a 3 questioni centrali dell’Odissea:
l’astuzia contro la forza fisica di Polifemo, il tema dell’ospitalità perché queste avventure vengono
narrate da lui metre è ospitato da Alcinoo, il riconoscimento ritardato, Ulisse non svela la sua
identità se non alla fine uando è già salvo sulla nave questo meccanismo è ricorrente nell’odissea
e il suo soggiorno da Alcinoo. Un altro aspetto è l’opposizione tra natura e cultura  nella
descrizione dell’arrivo ulisse descrive i ciclopi come un popolo che non hanno leggi, assemblee, non
hanno organizzazione sociale l’unica unità sociale è la famiglia, sembra un popolo primitivo. Non
praticano l’agricoltura, la vegetazione cresce spontanea. Non conoscono la tecnologia, cioè la
navi problema nella civiltà greca perché significa non conoscere il mare e quindi condurre
un’esistenza stanziale, non avere contatti con altri popoli. Vivono tutti nelle caverne, non sanno
neanche costruire una casa, Polifemo è ancora più primitivo perché vive da solo (versi 181-189) non
ha neanche la famiglia, l’unità minima sociale. Viene descritto come un mostro immenso che non
mangia pane, sta a dire che non mangia il cibo degli uomini allusione al cannibalismo. Inoltre
non somiglia a nessun essere umano ma a un elemento della natura, a una cima del monte che si
erge solitaria. Ulisse esprime un giudizio: essere soli vuol dire condurre una vita da empi. Nei versi
292 in poi la descrizione è assai peggiore: mangiava come un leone cresciuto sui monti, lo descrive
come la bestia più feroce. Però il contatto con la natura dei ciclopi (il modo in cui vivono) presenta
anche aspetti positivi perché ricorda il mondo dell’età dell’oro, un primo locus amenus dove soffia
sempre il zeffiro ad esempio non necessariamente la vita allo stato di natura comporta una luce
negativa qui l’elemento negativo è Polifemo nell’ottica di ulisse. Lo stesso Polifemo è un bravo
produttore di formaggi, un bravo pastore, tiene il suo luogo in un ordine estremo tanto che quando
arriva ulisse nella caverna sono colti da stupore (versi 216 e seguenti). L’ordine e il fatto che
polifemo faccia le cose in modo appropriato desta la meraviglia dell’uomo civilizzato. Quindi anche
nel mondo dei primitivi c’è la possibilità di stabile un ordine. Dalla parte della città invece nel
contrasto natura-civiltà la prima cosa che emerge è che ulisse guarda a questi luoghi con gli occhi
del colonizzatore, comincia a pensare ai guadagni che avrebbe se conquisterebbe il territrio, lo
guarda come luogo di sfruttamento x trarre ricchezze è lo stesso sguardo dei colonizzatori
moderni nei confronti del nuovo mondo come Cristoforo Colombo quando arriva in America o
Balboa che pensa subito all’oro della Spagna che può trarre dalla scoperta del Pacifico lo sguardo
di Ulisse è quello del conquistatore tanto che quando i compagni vorrebbero fuggire una volta
prese le ricchezze lui vuole rimanere x vedere come verrà ospitato però è quello che anche
succederà nelle esplorazioni del sud America i Patagoni in quanto mostri uccideranno tanti
occidentali proprio anche x questa ragione perché si ostineranno a voler sfruttare quei luoghi, a
voler imporre le loro leggi ma anche perché guarderanno quelle terre con gli occhi di chi vuole
sfruttare non solo la natura ma anche la popolazione. Nel rapporto tra natura e cultura, Ulisse è
quello che porta la tecnologia nel mondo dei ciclopi subito mette in evidenza che loro non
conoscono la civiltà (non conoscono navi, case, armi) perché Ulisse pensa a come ricavare l’arma
da un pezzo di legno, tre volte usa delle similitudini che riguardano il mondo della cultura e della
civiltà versi 322/323 libro 9 quando prendono il ramo Ulisse dice c’era parso grande quanto
l’albero d’una nera nave con venti remi paragone che può fare solo chi conosce la nave e l’abero
di una nave, chi conosce il mondo della civiltà. Altro esempio sono i versi 384 e seguenti quando
Ulisse sta accecando Polifemo e paragona questa azione a quando uno fora un legno di nave col
trapano similitudini tutte collegate alle azioni di Ulisse e che servono a dipingere Ulisse come
colui che ha portato la civiltà nel mondo dei ciclopi. Anche il ritratto di Polifemo è ambivalente
perché da un lato è un mostro perché dal modo in cui si comporta mette in ridicolo le leggi
dell’ospitalità e dall’altra è anche una vittima che desta la nostra compassione vederlo accecato in
un modo così barbaro fa di lui una vittima della civiltà. Anche quando questo sentimento del fatto
che lui desta la nostra comprensione è as esempio quando si rivolge all’Ariete sotto il quale è
nascosto Ulisse il modo in cui si rivolge versi 447 e seguenti libro 9 il discorso fatto al montone
è patetico, suscita un po’ di compassione nei suoi confronti che alla fine è ridotto a uno stato di
debolezza. La descrizione che Ulisse fa del ciclope, ben prima che lui compaia sulla scena, orienta la
nostra lettura dello scontro tra Ulisse e il ciclope perché fin dall’inizio noi ci avviciniamo al ciclope
con lo sguardo dell’esploratore e quindi fin dall’inizio abbiamo una percezione negativa di lui ma
alla fine il gesto di Ulisse in qualche modo ci fa cambiare idea, trasformando Polifemo in una
vittima suscita in noi la simpatia verso il ciclope. Il modo però in cui Ulisse presenta Polifemo crea
anche delle tensioni quando noi lo sentiamo presentare la caverna, l’arrivo di Polifemo noi
sappiamo che Ulisse si è salvato perché sta raccontando la storia ma questo ci porta a farci tante
domande cosa è successo nella caverna? Come si è salvato Ulisse? Cosa è successo quando si sono
trovati di fronte il mostro? Domande delle quali abbiamo risposta solo da ciò che racconta Ulisse,
colui che si è salvato, non sentiamo l’altra versione, quella di Polifemo perché comunque Ulisse e
i suoi compagni avevano violato uno spazio privato e questo lo ritroviamo spesso nelle
esplorazioni noi sappiamo solo i resoconti fatti dagli esploratori occidentali ma non abbiamo il
punto di vista ad esempio degli indiani quando hanno visto Colombo arrivare aspetti da tenere in
conto. Noi che ascoltiamo la storia non sappiamo che è un cannibale fino a quando non mangia i
compagni di Ulisse e tutto il racconto che Ulisse fa di questa storia ci fa fare delle supposizioni,
delle riflessioni su cosa significava x lui, x un greco incontrare un barbaro. E il racconto che fa
Ulisse va al di là di quello che noi potremmo immaginare  quando ci dice che i ciclopi non hanno
società, non conoscono giustizia in realtà tutto questo lo scopre non prima ma quando il ciclope
agisce, lo scopre vivendo l’esperienza versi 250 e seguenti ulisse fa appello ai valori della sua
società, gli dice di rispettare l’ospitalità ma non c’è possibilità di comunicazione tra chi viene dal
mondo della civiltà e un mondo primitivo dire a polifemo vengo da Troia non significa nulla x
Polifemo, non significa nulla Zeus o Agamennone. È la stessa cosa che succederà quando gli
esploratori arriverranno nel nuovo mondo e battezzano i nativi, per loro non significa nulla perché
non riconoscono in quel momento i dogmi della fede cattolica. Quello che emerge quindi è proprio
la non comunicazione tra i due mondi ed è significativo che abbia a che fare con il tema della
divinità dalla risposta di Polifemo sembrerebbe che la sua divinità sia la forza e non Zeus, gli
stessi ciclopi sono semidivini, Polifemo è figlio di Poseidone quindi per lui non è quella la divinità e
qui c’è la grande differenza  quindi alcuni problemi emergono già in epoca arcaica, e quello che
Omero mette in poesia riflette i problemi del mondo arcaico, ovvero cosa succede quando
scopriamo una nuova terra e entriamo in contatto con esseri che non conoscono le nostre leggi
perché magari Polifemo appare un mostro a Ulisse perché è una popolazione mai conosciuta, come
i Patagoni agli occhi degli occidentali. Poi c’è il tema del nome tutto l’episodio del ciclope ha a
che fare con il tema dell’identità, il ciclope è nessuno quasi fino alla fine, mentre invece rinuncia al
suo nome x salvarsi decidendo di chiamarsi Nessuno il nome viene rivelato ai versi 403 e
seguenti libro 9 dopo essere stato accecato versi 446 e seguenti quando Ulisse esce da sotto il
montone uniche occorrenze del nome del ciclope che Ulisse usa solo dopo che gli altri ciclopi
hanno chiamato Polifemo, prima è sempre il ciclope. Questa storia termina con l’errore di Ulisse,
cioè di vantarsi di fronte la vittima del misfatto compiuto versi 491 e seguenti dove il ciclope
lancia la maledizione ad Ulisse che poi lo farà tardare nel suo ritorno a casa ad Itaca. Di fronte a
questa maledizione, tornato all’isola delle capre, Ulisse offre sacre ecatombe a Zeus ma lui rifiuta il
sacrificio e da li Ulisse capirà che il suo ritorno non sarà semplice e che la maledizione di Polifemo
si avvererà in realtà l’Ulisse che racconta sa già che quello è successo.

La sosta da Eolo, libro 10.


Innanzitutto Eolo non è un dio dei venti, ma il re dei venti caro agli dei è uno di quegli esseri che
popola l’odissea che gode di un rapporto privilegiato con le divinità aspetto importante in
relazione all’avventura di Ulisse.
Questa isola è molto diversa da quella del ciclope, è una fortezza, un’isola galleggiante circondata
da un muro di bronzo intorno alla quale c’è roccia liscia quindi non si scalare x andare dentro,
bisogna necessariamente passare x la porta. Questa avventura introduce e sviluppa ancora di più la
tradizione del folklore dell’epoca, cioè la magia legata al mondo dei venti, il potere dei venti e
inoltre questa avventura porterà un nuovo ostacolo al ritorno di Ulisse a casa questa volta il
ritorno sembra veramente a portata di mano perché Eolo regalerà a Ulisse un’otre piena dei venti
dicendogli di non aprirla perché altrimenti non arriverebbe mai a casa e quando Ulisse parte lascia
spiegare un vento favorevole che dovrebbe portare le navi a Itaca. Infatti tutti arrivano in vista di
Itaca, la vedono ma lì Ulisse si addormenta e i compagni presi da curiosità e da invidia perché
cedono che Ulisse nasconda un tesoro, aprono l’otre ha origine una tempesta che riporta le navi
in mare aperto in direzione dell’isola di Eolo. Quando x la seconda volta Ulisse torna da Eolo
chiedendo di essere aiutato, lui lo caccia in malo modo dicendogli chiaramente che è odiato dagli
dei l’otre che viene aperta e i venti che ne escono sono segno di riconoscimento x Eolo, in seguito
a quello che è successo Eolo riconosce che Ulisse è inviso agli dei. L’avventura illustra che Ulisse è
caduto in disgrazia, noi già lo sappiamo perché alla fine dell’avventura del ciclope era stata rifiutato
il suo sacrificio da Zeus e quindi l’episodio inizia e finisce con la presenza indiretta degli dei, c’è un
contrasto tra l’inizio in cui Ulisse è presentato come caro agli dei, è ben accolto ricevendo
addirittura un dono e l’odio che invece provano x Ulisse alla fine, alla fine l’ospitalità viene
negata come già era avvenuto con i ciclopi, la disgrazia che colpisce i greci è autoinflitta, sono
loro ad essere responsabili del mancato ritorno a Itaca, non è intervenuto nessun Dio, solo la loro
curiosità e la loro invidia hanno causato la loro disgrazia. Ulisse stesso riconosce le loro azioni
come un atto di follia. Ci sono due temi importanti in questa avventura:
- il motivo del sonno: i compagni approfittano di Ulisse che dorme x aprire l’otre. Qiesto
comportamento anticipica quello che i pochi compagni rimasti faranno anche nell’episodio
delle mandrie del sole, anche qui Ulisse dopo aver avvertito i compagni di non toccare le
mucche, loro approfittano del sonno x ucciderle e mangiarle. Azione che scatenerà l’ira di
Apollo, Dio del Sole, tutti moriranno tranne Ulisse che rimarrà da solo. Il sonno ha quindi
conseguenze gravi ma che senso ha? Il sonno solleva Ulisse dalla responsabilità di ciò che
compiono i compagni. Questo motivo è importante perché da questa avventura man mano
Ulisse si distacca dai compagni, prende una decisione diversa ad esempio dai Lestrigoni, e
inizia a sopportare le azioni dei compagni, patisce in silenzio le conseguenze. Il sonno può
essere negativo come in questo caso oppure Ulisse viene avvertito delle conseguenze
negative che può avere il sonno ad esempio quando lascia l’sola di Calipso è consapevole di
non potersi addormentare perché è solo, o quando arriva dai Feaci dove la regina lo avverte
di non addormentarsi perché gli potrebbero rubare i tesori ma sappiamo che nell’ultimo
tratto del viaggio, quando i Feaci lo riaccompagnano a casa lui si addormenta di un sonno
che è simile alla morte, ciò significa che lui non potrà raccontare come è tornato a casa. Il
sonno può avere anche effetti benefici: all’inizio di questa storia oppure Atena che fa
addormentare Penelope durante la strage dei Proci affinchè non si accorga di quello che
succede, oppure quando Ulisse approfitta di Polifemo che dorme x accecarlo. Il motivo del
sonno deriva dalla tradizione folklorica che ritroviamo anche nella navigazione di
Brendano, lui e i suoi monaci arrivano in un’isola dove c’è una fonte che induce al sonno.
- il motivo dell’ospitalità lo troviamo già nell’avventura dai ciclopi ma è il leitmotiv anche
delle avventure del libro 10. L’ospitalità arriva anche alla perversione, può diventare
cannibalismo oppure può essere negativa ad esempio quando i compagni di Ulisse arrivano
da soli da Circe e vengono tramutati in porci. L’ospitalità è un tema che ritroveremo sempre
nelle storie delle spedizioni perché quando l’esploratore arriva nel luogo da esplorare uno
dei problemi è proprio quello del rapporto con i nativi del luogo, come farsi ospitare, ci
saranno terre ospitali o inospitali cioè terre che non si prestano alla vita dell’uomo, come
l’arrivo nella terra del fuoco. Nell’avventura di Eolo, Ulisse sperimenta un nuovo tipo di
ospitalità quella benevola  viene colto con tutti gli onori, Eolo gli chiede notizie sulla sua
storia. Poi questa ospitalità viene invece rifiutata, Ulisse viene cacciato da Eolo. A questo
punto Ulisse deve fare affidament solo su stesso e sui suoi compagni infatti ai versi 80 dice
ai compagni che dovevano navigare proprio perché erano soli. Spesso gli esploratori si
aspettano di non essere ben accolti e spesso sono loro che contribuiscono a non essere ben
accolti a seguito delle loro azioni ma in questo caso ne Ulisse ne i compagni sono
responsabili x quello che succede da Eolo sì i compagni hanno aperto l’otre, sono stati
incauti però l’errore è parte della natura umana, non sono pienamente responsabili di
quello che succede, perché non commettono azioni contro gli abitanti del luogo.
Lestrigoni:
Dopo l’avventura di Eolo navigano fino a quando trovano una sorta di locus amenus, la terra dei
Lestrigoni, una terra che ha un orto accogliente, riparato dal mare in modo che le navi non
rischiano tempeste, qui x la prima volta Ulisse decide di non ancorare la nave vicino ai suoi
compagni, la mette in luogo appartato e rimane da solo a studiare la situazione qui Ulisse è
piegato dagli errori e fallimenti del passato, diventa più consapevole della difficoltà del viaggio di
ritorno. I compagni invece che vanno ad esplorare il terreno incontrano una donna che prende
acqua da una fonte, li porta in un palazzo abitato da giganti cannibali  la scena che sembrerebbe
un locus amenus, un luogo felice improvvisamente si rivela invece la terra dei cannibali. La
situazione si ribalta. I compagni vengono sbranati, paragonati a pesci sbattuti sulla roccia, Ulisse
quindi perde tutti i compagni tranne quelli della sua nave allora Ulisse è costretto a fuggire,
perde 12 navi. Questa avventura adempie la maledizione di Eolo, scopriamo che Ulisse è veramente
odiato dagli dei, non viene fatta infatti alcuna menzione della divinità, nessuno arriva in suo
soccorso, sono veramente soli momento di svolta perché dopo l’aiuto benevolo di Eolo Ulisse non
potrà contare più sull’aiuto degli dei fino a quando non scenderà all’Ade dove Tiresia assicurerà sul
fatto che alla fine arriverà a casa e fino a quando Atena non parlerà col padre x farlo tornare. Non ci
sarà più nessun aiuto.
Ci sono somiglianze tra questo episodio e l’avventura del ciclope:
- l’approdo alla terra dei Lestrigoni è preceduto da una loro descrizione. Allo stesso modo,
prima di andare all’isola di Polifemo, Ulisse descrive il luogo. In entrambi i casi la
descrizione all’inizio sembra preparare al meglio, non c’è nulla che non vada, sembra un
luogo felice dove i pastori si chiamano a vicenda, dove c’è la possibilità di lavorare, c’è un
porto riparato dai pericoli del mare e poi l’ingresso in questo mondo è positivo. È una scena
normale che noi ci aspetteremo di trovare in una narrazione di un esploratore,
apparentemente niente del luogo è fuori posto, niente suggerisce che gli abitanti siano
giganti cannibali. Nella descrizione Ulisse è attento a tutti i dettagli che ovviamente avranno
un ruolo alla fine della storia, viene poi esplorato il nuovo territorio prima da Ulisse che
osserva l’area dall’alto di una roccia e vede del fumo che si eleva da terra ma non vede segni
di civiltà quando dice infatti che non si vedevano lavori di buoi e di uomini è una spia del
fatto che questi uomini non conoscono la civiltà agricola o l’allevamento. Quindi qui si
ripresenta come nel Ciclope lo stesso contrasto tra civiltà e natura dove la natura
inizialmente benevola poi si rivela malevola. Ulisse manda in avanscoperta un gruppo di
uomini, contrariamente a quanto aveva fatto dai ciclopi, qui Ulisse non va per primo ma
manda dei compagni anche questa è una spia della distanza che Ulisse mette tra sé e i
compagni. Successivamente i compagni di Ulisse hanno uno scontro violento con gli
abitanti del luogo, in cui soccombono, ma mentre nell’avventura del ciclope Ulisse era
riuscito a salvare alcuni dei compagni, qui Ulisse non riesce a salvare nessuno, è
completamente impotente, quindi è costretto alla fuga, cosa che invece non avviene
nell’episodio del ciclope dove invece una volta che Ulisse torna alle navi lancia un ultima
sfida a Polifemo quando gli rivela il nome e poi fa un’altra sosta all’isola delle capre x fare
un banchetto e offrire i suoi sacrifici agli dei quindi si capisce che piano piano la
situazione volge sempre al peggio x Ulisse e i suoi uomini.
C’è un ribaltamento improvviso della situazionenell’episodio del ciclope, quando Ulisse
arriva nella caverna le loro aspettative sono ancora positive mentre qui appena arrivano al
palazzo accompagnati dalla figlia del re dei Lestrigoni la situazione subito volge in peggio,
non hanno tempo di percepire il pericolo, vengono subito mangiati, ammazzati dai massi
che cadono nel porto sulle navi oppure trafitti come pesci questo paragone tra gli uomini
ammazzati dai Lestrigoni e i pesci infilzati dalla fiocina è molto importante perché da un
lato mostra l’enormità dei Lestrigoni che sono giganti rispetto ai piccoli uomini, piccoli
tanto quanto i pesci lo sono per gli uomini, dall’altro sottolinea anche tutto l’orrore del
cannibalismo dei Lestrigoni, suggerisce che così come gli esseri umani si cibano anche di
pesci, i canibali si cibano di uomini, noi siamo pesci x i cannibali. Stessa similitudine
quando Scilla divora sei dei suoi compagni.
Qui però dobbiamo distinguere Odisseo narratore che a fatti avvenuti racconta la storia ai
Feaci, suggerisce che questi siano cannibali prima che arrivino sulla scena. L’altro invece è
Odisseo personaggio protagonista dell’avventura che il narratore sta raccontando se ci
mettiamo dalla parte del narratore tutta la descrizione che precede la comparsa dei
cannibali contiene delle spie che possono farci pensare al peggio, ad esempio Ulisse
inizialmente si accorse della mancanza di campi arati e coltivati, e subito dopo, quando
manda i compagni in avanscoperta, dice “andate a vedere se ci sono uomini che mangiano
pane”. I ciclopi erano già stati presentati come esseri che non mangiano pane e questo fa
alludere ad esseri al di fuori dell’umano perché il pane è la dieta quotidiana dell’uomo. Un
altro segnale è la descrizione della moglie di Antifate paragonata a una montagna, stesso
paragone con cui era descritto Polifemo.

Isola di Circe:
Ulisse e i compagni a questo punto rimangono solo con una nave, si rimettono in viaggio e
giungono a Eea, isola di Circe, versi 135 e seguenti. Qui inizia la seconda fase delle avventure,
avventure in cui Ulisse rimasto con pochi uomini e inviso dagli dei, deve fare affidamento solo sulle
sue forme ma incontra alcuni aiutanti.
Ancora una volta Ulisse arriva e attracca, come accadde dai Lestrigoni, Ulisse dice che un Dio li
guidava, un dio gli manda un cervo ma noi non abbiamo l’intervento diretto della divinità, è lui che
lo pensa. Sale su un’altura per avere una visuale migliore del luogo, vede un’isola circondata dal
mare aperto e del fumo venir fuori dal palazzo di Circe. Anche qui abbiamo la descrizione ex-post
ovviamente di CirceCirce è una ninfa dalla voce umana primo elemento perturbante.
Ulisse cambia idea subito, prima (versi 151 e seguenti) vorrebbe esplorare ma poi senza motivo
decide di tornare indietro alle navi e mandare invece i suoi compagniUlisse si fa da parte, sembra
perdere la curiositas che lo contraddistingue. Ai compagni dice qualcosa che sorprende per un
popolo di mare, popolo che si è sviluppato sul mare come la civiltà greca, dice che hanno perso le
coordinate, non sanno più dove sono, sono disorientati versi 190.
Perché non riescono a orientarsi guardando il cielo? Probabilmente perché man mano che si
addentrano nel mondo inesplorato, si allontano sempre di più dal mondo degli uomini x entrare in
un universo, in un mondo a sé, che segue leggi sue proprie quindi non riescono più ad orientarsi.
Questo perché è chiaro che Ulisse si sta preparando alla discesa nell’Ade che è al centro esatto di
tutte le avventure, sta cambiando e sta compiendo il passaggio dall’ eroe che aveva vinto a Troia
all’eroe che noi abbiamo visto davanti ad Alcinoo rivelarsi come figlio di Laerte, a uomo. Per questo
l’inconto con Circe è molto importante Ulisse manda i suoi compagni ad esplorare e perde
l’occasione di essere il primo a incontrare Circe, questo succederà di nuovo quando il giorno
successivo Ulisse riunisce i suoi compagni, un gruppo a capo del quale c’è lui stesso mentre un altro
gruppo con a capo Euriloco e la sorte sceglie il gruppo di Euriloco x andare in avanscoperta, e non
quello di Ulisse. Inoltre prima di partire x l’esplorazione passano diversi giorni, sembra che Ulisse
stia pianificando l’azione, stia prendendo tempo Tutto questo prologo iniziale in realtà serve a
preparare lo scioglimento finale, il momento culminante cioè il confronto tra Circe e Ulisse anche
qui va ricordato però che Ulisse sta narrando e che Ulisse, come viene detto nel libro XI (v. 360-
369), è un narratore che intrattiene. Omero per bocca di Alcinoo loda il suo narrare, loda se
stesso aspetto da tener presente anche riguardo alle esplorazioni: quanto di ciò che viene detto è
vero e quanto è bugia atta a intrattenere? Perché se Ulisse sa raccontare menzogne simili al vero
allora anche le storie di Ulisse potrebbero essere pura fiction, quindi dobbiamo sempre tener
presente che un elemento di fiction potrebbe sempre esserci, che non tutto potrebbe essere vero.
Dal punto di vista narratologico, se teniamo conto che Ulisse sta raccontando la storia ex-post per
intrattenere i feaci, questa esitazione nell’arrivare al momento clou potrebbe essere un modo di
costruire ad arte il confronto con Circe.
I resoconti di viaggio terranno poi conto di tutti questi meccanismi Ad esempio Scott narra la sua
storia ispirandosi a Coleridge (Ancient Mariner) e a Tennyson (Ulysses), per creare una storia che
sia allo stesso tempo verosimile e appetibile, per convincere le persone a finanziare le sue imprese.
Ulisse racconta di Euriloco e i suoi uomini che si avviano piangendo a esplorare (v. 205-209, libro
X), partono piangendo perché ovviamente hanno in mente tutto quello successo fino ad allora, la
guerra con i Ciconi, il ciclope e i Lestrigoni. Da subito il luogo appare strano: lupi e leoni che
agiscono come cani, hanno perso la loro ferocia, sono addomesticati. Gli uomini non entrano subito
in casa, ma rimangono fuori ad ascoltare e guardare Circe che canta con voce soave e tesse una
tela significativo perché sappiamo che Circe è una maga, strega incantatrice che lavora qui a un
ordito, sta tramando qualcosa.
L’immagine della tessitura nell’Odissea è centrale e riguarda le tre donne della vita di Ulisse: Circe,
Calipso e Penelope, tutte e tre tramano tele in relazione a Ulisse. Penelope trama per rimandare la
scelta di un nuovo marito, Calipso per trattenere Ulisse (offerta d’immortalità) e Circe trama contro
Ulisse e i suoi uomini. Circe trasforma gli uomini in porci e prova a fare lo stesso con Ulisse, ma lui
si rivela immune ai suoi sortilegi. La sua immunità rende Circe mansueta, abbandona i suoi piani
malvagi, s’inginocchia alla spada di Ulisse e accetta di ritrasformare in uomini i suoi
compagni.anche in questa avventura uno dei temi importanti è l’ospitalità di Circe si protrae per un
anno, dopo che Ulisse e Circe sono scesi a patti. Eea diventa veramente la terra dell’oblio, per la
prima e unica volta Ulisse dimentica Penelope e il ritorno a Itaca sono i compagni che dopo un
anno gli ricordano che è tempo di tornare.
Circe accolse benevolmente i compagni di Ulisse, li nutre e poi gli dà una pozione, li tocca con la
bacchetta magica e li trasforma. Il motivo della strega incantatrice, della femme fatale, viene
anch’esso dal folklore. Solo Euriloco riesce a fuggire per avvertire Ulisse e solo allora Ulisse entra
davvero in azione. Ulisse incontra Ermes lungo la via per il palazzo di Circe incontro misterioso,
enigma per eccellenza della storia perché Ermes gli dona l’erba moli, dicendogli che questa la
proteggerà dai sortilegi di Circe (v. 281 e seguenti). Ermes prevede tutti i trucchi di Circe e istruisce
Ulisse su come comportarsi a riguardo. Quando Ulisse arriva da Circe succede esattamente quello
che disse Ermes, ma l’erba moli non viene più menzionata, scompare dalla scena, pare non sia stata
affatto usata. Questo è l’enigma, cosa avrà voluto dire Ermes donando l’erba? Non lo sapremo mai.
Il modo in cui i greci vengono ospitati dopo l’intervento di Ulisse segue i canoni dell’ospitalità
greca, tanto che Ulisse non vorrebbe andar via. Quando decide di rimettersi in viaggio Circe fa la
sua profezia profetizzando la discesa all’Ade per chiedere a Tiresia la via del ritorno. Ulisse si ferma
alla soglia dell’Ade, non lo esplora come Enea e Dante, sono i morti ad andare a lui. A Ulisse non è
concesso il privilegio di conoscere l’Ade, gli è concesso di parlare con i morti ma non di fare un
viaggio nell’aldilà.
Tutti questi elementi ritorneranno nella letteratura di viaggio successiva, ad esempio l’Odissea ha
influenzato profondamente Cook e Darwin.
Navigatio Sancti Brendani

La “Navigatio Sancti Brendani” è un’opera misteriosa, di cui non si conosce l’autore e anche il
titolo non è ufficiale, è stato attribuito successivamente all’opera. Legata al culto di un santo. La
prima cosa da tener presente nel passare dall’Odissea alla Navigazione di San Brendano, e quindi
grosso modo alla fine dell’VIII secolo d.C., è che vi era stata una grande rivoluzione culturale in
occidente con l’affermazione del cristianesimo e la sua successiva diffusione capillare in tutta
Europa.
Legata al culto di San Brendano è uno dei santi più famosi del cattolicesimo irlandese, i cui viaggi,
veri o fittizi che siano, non siamo in grado di stabilirlo, costituiscono uno dei viaggi più importanti
della letteratura e cultura medievale europea, sia nella tradizione latina sia in quella in volgare. San
Brendano era infatti noto anche come Brendano il Navigatore, e a lui è stata attribuita da alcuni
studiosi la scoperta del Nuovo Mondo (si pensa sia giunto nell’attuale America del Nord, dipende
dalla collocazione delle isole di Brendano), circa sei secoli prima di Colombo. All’inizio del 1920
Babock sosteneva che Brendano già nel 6° secolo avanti Cristo aveva viaggiato a lungo alla ricerca
di isole dal clima temperato, fino a giungere in America. La fama d San Brendano è legata ai viaggi
di scoperta e secondo alcuni alla sciperta del nuovo mondo. Tutto ciò è molto dubbio, proprio per la
vaghezza delle informazioni sull’opera. Non solo non si conosce né l’autore né il protagonista
dell’opera, ma non c’è neanche un accordo unanime sulla datazione tempo fa si credeva fosse
un’opera del X secolo, ora si tende ad alzare la datazione e portarla all’VIII secolo. Inoltre mancano
anche documenti storici che permettano di ricostruire la vita di San Brendano, abbiamo però delle
opere dedicate a questo santo dalle quali però non possiamo trarre informazioni sicure “la vita
Brendani” di cui c’è una versione in latino e una irlandese e poi la “navigatio Sancti Brendani”,
opere da cui non possiamo avere informazioni certe perincipalmente perché durante il medioevo le
vite dei santi rientravano nel genere agiografico, le leggende sulle vite dei santi, come la “Legenda
Aurea” di Jacopo da Varazze. Quando Caxton stampa la versione inglese della Navigatio Sancti
Brendani la include nella Legenda Aurea quindi le informazioni che abbiamo sono tutte finzioni
costruite negli anni intorno a questo santo ma questo non significa che queste opere non abbiano
valore ma anzi sono importanti nel momento in cui confermano l’esistenza del culto di San
Brendano dopo la sua morte.
Si suppone che la Navigatio sia stata scritta prima della Vita, cioè alla fine dell’800 dopo Cristo in
cui i viaggi sono un punto di contatto. Nella Vita sono raccontati alcuni viaggi di Brendano in
Cambria, Scozia, Galles e Irlanda. Lo scopo di questi diversi viaggi è quello di fondare chiese e
monasteri. Nella Navigatio invece si racconta un unico viaggio di sette anni alla ricerca della terra
promessa dei santi.
La Vita fornisce una breve descrizione dei primi anni di vita del santo, nell’Irlanda del sudovest. La
Vita conserva anche racconti orali di miracoli e prodigi associati a Brendano e che hanno
contribuito alla leggenda del santo e si sofferma sugli anni passati con Ita (Santa Ita di Killeedy, la
"Brigida del Munster"), madre adottiva/istitutrice, e poi col vescovo Erc (che lo ordinò sacerdote).
Negli anni trascorsi con Ita già, si palesano i primi segni di una natura speciale del bambino, per
esempio spesso Brendano è circondato e aiutato da angeli, segno prodigioso. Negli anni col vescovo
Erc, Brendano non solo impara a leggere e scrivere ma mostra le sue virtù straordinarie e la sua
capacità di compiere miracoli. Altra figura importante è quella del monaco Jarlath (San Jarlath di
Tuam), che riconosce in lui la grazia divina e un rapporto privilegiato con Dio. Con Jarlath
apprende le regole del monachesimo e le storie dei santi irlandesi. Finita questa esperienza
Brendano fonda il suo primo monastero ad Ardfert (contea del Kerry), monastero che abbandona
subito. Secondo la leggenda, Brendano parte forse per inseguire il suo desiderio di prendere il mare
o forse perché, secondo un’antica tradizione irlandese, un servo di Dio deve abbandonare casa
famiglia per cercare la solitudine e farsi quindi eremita.
Una fonte importante, anche se tarda, per la figura di Brendano è il libro di Lismore (Book of
Lismore, circa 600 anni dopo la Navigatio, XV secolo), perché introduce il tema della ricerca della
Terra Promessa. Pare che l’amore di Brendano per Dio fosse tale da chiedere al signore una terra
segreta (nel senso di nascosta e lontana agli uomini). In sogno gli compare un angelo, messaggero
che gli comunica che Dio ha accettato la sua richiesta e gli concederà la Terra Promessa. Brendano
si mette quindi in viaggio per andare verso il mare, vuole scoprire l’oceano fino ad arrivare in un
posto che si chiama Sliabh qui salendo in cima alla collina, vede l’oceano, vede in mezzo anche
un’isola, bella e nobile e popolata da angeli che vi volano sopra. Qui rimane per tre giorni, finché in
sogno un angelo gli dice che gli mostrerà la via per arrivare all’isola. Il giorno dopo quindi parte e
giunge quindi in un luogo sulle coste del Kerry, Skellig Michael, dove vive una comunità di monaci,
dove forse fa la prima esperienza di una vita isolata dal mondo esterno. Da qui progetta il suo
viaggio per mare e si mette in viaggio con alcuni monaci, ma torna dopo pochi anni senza aver
trovato nulla. Torna nel luogo in cui è nato, dove Santa Ita gli rivela che se vuole trovare una terra
deve navigare in una barca di legno. Brendano quindi riparte con una barca e sessanta uomini e
dopo pochi anni trova un’isola che sembra un paradiso terrestre, in cui incontra un uomo anziano
che gli descrive la terra in cui si trova come benedetta, una terra di salute senza malattia, piacere
senza discordia, libertà senza fatica, unione senza contesa, riposo senza ignavia e tutte le delizie del
paradiso.
Questo è quanto più si avvicina nella Vita al mondo descritto nella Navigatio, in cui il viaggio è un
unico percorso di sette anni e di natura diversa. Nella Navigatio Brendano visita diverse isole,
tornando spesso negli stessi luoghi. L’autore della Navigatio apre l’opera con una notazione di
carattere storico, ci da delle informazioni sulla vita di Brendano. Si apre con la genealogia di
Brendano, forse inventata, ma serve x dare una famiglia al santo, la famiglia nominata è una delle
più potenti dell’epoca della contea del Kerry in cui si suppone Brendano sia vissuto, famiglia molto
in vista politicamente. L’autore probabilmente voleva dare a Brendano una discendenza
importante. La Navigatio narra di un unico viaggio, in termini aristotelici l’azione è una sola, il
viaggio di Brendano per mare. Questo racconto è stato fondamentale nella cultura medioevale
europea e ha influenzato molto i veri esploratori, perciò occupa un posto rilevante, che abbia o no
scoperto l’America o esplorato l’Atlantico. Alla fine del 1200 (epoca di Dante e dell’esplorazione dei
fratelli Vivaldi alle Canarie) navigatori e cartografi sono convinti che Brendano abbia scoperto delle
isole nell’atlantico. Questo mito delle isole di Brendano nasce dalla fusione del mito delle isole dei
beati (di cui ad esempio parla Strabone nella Geografia) e dal mito delle isole fortunate, altra
immagine mitica di isole introvabili. Si comincia quindi a parlare di isole di Brendano, anche se
Brendano pur avendo visitato molte isole non ha mai dichiarato di averne scoperta qualcuna né ha
mai dato un nome ai territori che esplorava. Questo mito è dovuto alla grande diffusione della
Navigatio a partire dal 9°secolo, diffusione avvenuta soprattutto grazie ai numerosi
volgarizzamenti dell’originale latina, che coprono tutta Europa. Volgarizzamenti che però non
traducono alla lettera l’opera originale, ma in un certo senso la riscrivono, adattandola al contesto
culturale e ai gusti del pubblico, motivo per cui differiscono in molti episodi. Uno dei motivi della
necessità di adattamento da una cultura all’altra è il problema religioso, l’Europa medievale era,
infatti, lacerata da eresie, cominciano i primi contrasti all’interno del cristianesimo, quindi per
esempio un volgarizzamento italiano potrebbe essere diverso dalla versione scandinava. Le versioni
inglesi sono inserite in antologie di vite di santi (tra cui la Legenda Aurea). Questa grande
diffusione fa sì che molte leggende si sovrappongano tra di loro. In una delle più antiche mappe
medievali, la Mappa di Hereford, le sei isole di Brendano sarebbero le isole fortunate e si
troverebbero grosso modo dove si trovano le Canarie. Da questo momento in poi le isole di
Brendano cominciano ad apparire anche su altre mappe e quindi i navigatori cominciano a cercare
queste isole, come la spedizione del 1721 organizzata col preciso scopo di trovare le isole di
Brendano. Comunque, a supporto della tesi che Brendano abbia in qualche modo scoperto
l’America o almeno influenzato Colombo, c’è il fatto che nelle mappe del tempo di Colombo le isole
di Brendano erano sempre presenti, ma poste più a Nord delle Canarie. Spostando le isole al nord
diventa più semplice sostenere che Brendano sia effettivamente arrivato in Nord America e che
Colombo si sia ispirato a Brendano. A sostegno di questa tesi c’è anche il mito (degli inizi del 1400)
che gli abitanti delle Azzorre, di Madeira e delle Canarie in alcuni occasioni vedessero un’isola
all’orizzonte e che quella fosse l’isola di Brendano. Significativo anche il fatto che Colombo chiami
uno dei tanti golfi che esplora “Golfo della Balena”, che potrebbe essere un riferimento a un
episodio della Navigatio. Il sottotitolo della Navigatio Sancti Brendani è “alla scoperta dei segreti
meravigliosi del mondo”, sottotitolo aggiunto successivamente ma è una spia sul modo in cui
dobbiamo leggere il testo, cioè non come un resoconto oggettivo di esplorazioni ma come un
viaggio in un mondo meraviglioso, favoloso, a tratti fiabesco, con uccelli parlanti e balene che
sembrano isole, che ha come scopo quello di scoprire la terra promessa dei santi. Essendo un’opera
medievale ci sono diversi livelli di significato e di lettura. Possiamo leggere il testo secondo i
quattro sensi della scrittura medievale, descritti da Dante nell’Epistola 13 a Cangrande della Scala
(le letture possibili della Divina Commedia), con risultati simili. I quattro sensi sono:
- la lettera del testo (il senso letterale, il significato dalle parole trovato attraverso l’esegesi
che segue le regole della retta interpretazione);
- l’allegoria (in cui una parola rimanda ad un altro significato, collegato a quello letterale da
un rapporto di analogia);
- il senso morale (che dai fatti narrati intende ricavare un modello di comportamento, volto
ad indicare un’idea del bene);
- l’anagogia (che risolve tutti i problemi nella luce della verità divina).

Quello che è importante è che il libro è interessante perché rappresenta un unicum nella letteratura
medievale, non esiste nulla di simile. Non è un unicum per la ricerca della terra promessa, tema
ricorrente fin dall’Esodo (modello attorno a cui si struttura la Navigatio). Uno degli aspetti che
rende l’opera così interessante è il contesto in cui nasce, in cui si fondevano saghe locali irlandesi e
celtiche, la bibbia, libri apocrifi, gli scritti dei padri della chiesa (e in particolare la tradizione dei
padri del deserto), la letteratura agiografica, i racconti di viaggio e le letterature delle visioni. A
questo sostrato culturale fa riferimento l’autore nello scrivere la Navigatio, al centro della quale
mette uno dei personaggi irlandesi più famosi, considerato il fondatore del monachesimo in
Irlanda (importante come San Bernando e San Benedetto, che fondarono il monachesimo sul
continente).
Quello che sappiamo del Brendano storico (non del protagonista della storia) è che era monaco di
Clonfert, nella contea di Galway, tra il V e il VI secolo, e che viaggia nelle isole britanniche
fondando monasteri. Dopo la sua morte diventa santo e la sua fama cresce. Non c’è comunque
alcun collegamento tra la figura storica e il protagonista dell’opera. Colpisce il ricorso ai libri
apocrifi (oltre che alla Bibbia canonica) e a molti motivi topici del romanzo medievale. Tra queste
fonti spicca l’apocrifo riguardante la vita di Adamo ed Eva, noto anche come “Apocalisse di Mosè”,
Mosè è una delle ispirazioni per il personaggio di Brendano. Importanti anche le vite dei padri della
chiesa e gli itineraria verso Gerusalemme, racconti dei palmieri verso la terra santa.
Questi sono tutti viaggi via terra quindi l’idea del viaggio per mare discosta la Navigatio dagli
Itineraria. Essendo l’Irlanda un paese che si affaccia al mare, i loro miti hanno molto a che fare con
il viaggio in mare, così com’era per la Grecia. L’idea di un viaggio per mare deriva quindi
probabilmente dalla letteratura irlandese del VII secolo, basata sulla mitologia celtica e sulle saghe
eroiche collegate alla religione irlandese. Tra i santi irlandesi particolarmente importante è Santo
Ailbe. Nella Navigatio troviamo alcuni elementi ripresi dalla storia di Ailbe, come il numero dei
monaci e le caratteristiche speciali del santo. In comune c’è anche l’episodio in cui Brendano arriva
all’isola della comunità di Ailbe (cap XII), dopo aver errato per 40 giorninumero simbolico. Ad
Ailbe trova un monastero. Legame diretto tra Brendano e il santo Ailbe. Ailbe è una figura
semileggendaria, si dice abbia fondato il monastero di Emli, in Irlanda, in un’area molto vicina a
quella in cui è nato e cresciuto Brendano. Nella tradizione Ailbe è legato ad un viaggio in Terra
Santa, tradizione che affonda le sue radici nel periodo in cui vede la luce la Navigatio, tra l’8 e il 10
secolo dopo Cristo. Nella Navigatio troviamo anche come fonte la letteratura in volgare irlandese,
soprattutto i viaggi all’altro mondo. Il grosso delle fonti è comunque legato al cristianesimo.
Ci sono almeno 3 temi principali legati al cristianesimo della Navigatio:
- la storia di Brendano rispecchia la storia sacra, cioè la storia della morte, resurrezione,
salvezza dell’umanità. Importante notare che la Navigatio inizia con la genealogia di
Brendano e termina con la sua morte (da cui nasce un culto), così come il vangelo di
Matteo, che inizia con la genealogia di Cristo (figlio di Davide figlio di Abramo, Abramo
generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli eccetera…) e
termina con la sua morte e resurrezione; nel caso di Brendano ovviamente non abbiamo
una resurrezione ma dopo la sua morte che chiude la Navigatio si sviluppa il suo culto.
- la Navigatio segue il modello delle vite dei padri della chiesa;
- importanza della liturgia e in particolare della liturgia monastica.

La meta del viaggio di Brendano è il viaggio verso la terra promessa, che nella Bibbia è narrato nell’
“Esodo, Numeri e Deuteronomio”, tre libri del Pentateuco. Storia della liberazione di Israele, degli
ebrei dall’Egitto e del viaggio verso la terra promessa, guidati da Mosè. Spesso l’autore della
Navigatio paragona Brendano a Mosè, pur senza menzionarlo, e fa riferimento ai quaranta anni di
erranza nel deserto prima di arrivare alla meta. Come Mosè viene scelto da Dio per liberare dalla
schiavitù il suo popolo, così Brendano deve trovare la via per la terra promessa e aprire questa via
per chi verrà dopo di lui (cap XVIII). Nella Bibbia Mosè muore prima di attraversare il Giordano,
vede la terra promessa ma muore prima che Israele ne prenda il possesso. L’autore della Navigatio
riscrive questo episodio. Brendano arriva alla terra promessa, raccoglie anche i frutti ma gli viene
detto che la sua ora si avvicina e che tornerà a riposare coi suoi padri. Solo successivamente quella
terra si rivelerà di nuovo, quando arriverà la persecuzione di cristiani. Brendano apre la via agli
altri, ai futuri cristiani, poco prima di morire, così come Mosè aveva fatto per gli ebrei. Le
peregrinazioni di Brendano sono paragonate anche alle peregrinazioni dei padri del deserto,
monaci ed eremiti che a partire dal III secolo d.C. si ritirano a vivere nel deserto d’Egitto. Il loro
fondatore è Antonio il Grande. Ci sono riferimenti diretti a questa tradizione nella Navigatio, come
quello in cui un monaco è posseduto da un diavolo che ha assunto la forma di un ragazzo etiope
(cap VII), episodio probabilmente basato sulla biografia di Antonio il Grande, scritta da Atanasio
nel 357. Anche l’episodio in cui viene descritto il modo in cui i monaci si ritirano nelle loro celle
sull’isola delle delizie è basato su un episodio narrato da Rufino nell’Historia Monacorum. Oltre a
questi episodi l’autore della Navigatio riprende anche dei motivi dalle storie dei padri del deserto,
per esempio la decisione di lasciarsi guidare da Dio e aspettare che sia lui a mandare gli
approvvigionamenti.
L’altro elemento del cristianesimo che struttura il viaggio di Brendano è la liturgia del
monachesimo, fornisce una struttura al viaggio, soprattutto x le festività. Ci sono quattro festività
ricorrenti in tutta la Navigatio e Brendano in ogni occasione si ferma per onorare la festa. Si tratta
del giovedì santo, della Pasqua, della Pentecoste e del Natale. Queste festività segnano anche il
passare del tempo. Da questo possiamo anche dedurre che al centro dell’opera c’è la vita
monastica Leggendo infatti il testo allegoricamente possiamo leggere il viaggio della Navigatio
come metafora del viaggio che compie il monaco, dal momento in cui entra nell’ordine fino alla
consacrazione. Per esempio tutti coloro che seguono Brendano, osservano rigorosamente una vita
monastica, alternando il digiuno, la preghiera e il remare la barca. Tra l’altro i monaci celebrano le
festività ogni volta nello stesso luogo, il che fa sì che debbano tornare indietro più volte. Nelle
versioni in volgare troviamo anche un elemento di progressiva formazione dei monaci, diventando
una sorta di bildungsroman, aspetto non presente nella versione originale.
Il motivo per cui impiegano sette anni (numero che nella Bibbia indica completezza) per scoprire la
terra promessa è quello dichiarato alla fine dell’opera: Dio voleva mostrare a Brendano i vari
segreti dell’oceano. Oltre a questo ci sono anche fattori che ritardano il viaggio. Per prima cosa i tre
monaci che arrivano in ritardo e che sono destinati a non arrivare alla meta, l’ultimo di loro viene
buttato in mare. Poi Brendano dubita del fatto che sia lui il prescelto a entrare nella terra
promessa, non si sente adatto e Brendano deve superare delle prove che invece di far progredire il
viaggio lo riportano continuamente indietro. Brendano si preoccupa continuamente che il cibo
debba venire solo da Dio e che non vada procurato tramite il lavoro, altro fattore di ritardo.
Nella versione latina la Navigatio ha una narrazione simmetrica basata sul calendario liturgico.
Inizia con il racconto di Barindo che arriva da Brendano e racconta di un viaggio all’Isola delle
Delizie e poi alla terra promessa. I capitoli dal II al V sono occupati dai preparativi e dalle richieste
che Brendano fa agli anziani del luogo prima di mettersi in mare. I capitoli dal VI al IX che
raccontano le esplorazioni all’isola delle pecore e al paradiso degli uccelli. I capitoli dal X al XXVII
raccontano le avventure e disavventure in mare aperto. Il capitolo XXVIII racconta l’arrivo alla
terra promessa e il capitolo XXIX la morte di Brendano. La visita di Barindo nel capitolo I rivela a
Brendano la visione della terra promessa, risveglia il suo desiderio di viaggio. Partono per l’Isola
delle Delizie, dove Brendano si rinchiude con quattordici compagni per quaranta giorni, dopodiché
visita Aran e il monte Brandon, dove riceve la conferma che può mettersi per mare. Costruisce
quindi la barca e parte alla ricerca della terra promessa.
Nella Navigatio l’autore mira a rendere credibile la storia e lo fa soprattutto attraverso le fonti: la
tradizione dei viaggi nell’aldilà, le vite dei padri del deserto ma soprattutto tramite i massicci
riferimenti alla Bibbia, che era accettata dal medioevo come la fonte più autorevole di tutte. È
proprio attraverso l’uso di queste fonti che l’autore man mano introduce il pubblico all’aspetto
meraviglioso partendo di norma da una situazione familiare, di vita quotidiana per arrivare poi allo
straniamento  introdurre immediatamente il pubblico nel mondo meraviglioso non è possibile
perché renderebbe le scene poco plausibili e credibili, introdurre subito un mondo fantastico
ridurrebbe anche l’efficacia del messaggio religioso qui si possono fare riferimenti a tante teorie,
come il Saggio di Todorov sulla letteratura fantastica, testo fondante per la modernità. Todorov
individua nel momento di esitazione ontologica, d’incertezza, il punto in cui si crea il fantastico,
cioè nasce quando noi dobbiamo decidere che via prendere perché poi a seconda di quello che si
sceglie si entra nel mondo dello strano o del meraviglioso questa esitazione che noi proviamo
perché conosciamo soltanto le leggi che governano il mondo naturale, di fronte a un evento che
sfugge alla nostra conoscenza nasce il fantastico che subito però poi si trasforma. Nel fantastico
l'effetto consiste invece nella sorpresa: è l'irruzione nel mondo reale di qualcosa che non vi
appartiene, e l'effetto è perturbante. Il lettore decide se credere nella realtà che gli viene presentata
(governata da leggi che non conosciamo) oppure no. Da questo momento in poi la narrazione può
prendere tre strade:
o il sovrannaturale spiegato un evento sovrannaturale che alla fine chiarisce gli eventi
sovrannaturali.
o l’accettazione dei fatti ultraterreni fatti che sfuggono alla nostra conoscenza anche senza
spiegazione.
o il fantastico puro quando l’esitazione ontologica rimane fino alla fine, non c’è spiegazione né
accettazione.

A cambiare nel corso del tempo è il paradigma culturale. Per un pubblico medievale la Navigatio
porterebbe alla seconda strada, l’accettazione. Sarebbe considerata una storia vera, con fatti
ultraterreni voluti da Dio, che non vengono messi in discussione. Questo perché il paradigma
culturale medievale è diverso da quello moderno (dal ‘700 in poi) profondo cambiamento del
paradigma culturale seguito da figure come Cartesio, Keplero, Galileo, Darwin eccetera la grande
differenza quindi tra il fantastico medievale e quello moderno è riconducibile proprio al
cambiamento del paradigma culturale nella modernità le scoperte scientifiche hanno portato alla
creazione di una forma mentis generale molto più razionale. La terra, che dal centro dell’universo
passa ai margini di esso, cambia la concezione stessa del mondo, frattura insanabile. L’idea di
fantastico che valeva fino al 1400/1500 non vale più dopo. L’incertezza che Todorov individua
come radice del fantastico scaturisce anche dal disorientamento che questo mutamento di
paradigma (cambiamento delle categorie ontologiche) determina.
La Bibbia nella Navigatio, come in tutto il medioevo, è una sorta di authentication devise. La
Bibbia perché, a giudicare dalle fonti usate dall’anonimo autore, egli era molto consapevole della
traduzione cristiana, conosceva la vita monastica. Questo autore a volte presenta episodi della
Bibba ma spesso fonde episodi della Bibbia con episodi della letteratura religiosa (Vite dei santi,
leggende religiose, storie di pellegrinaggi, tutto ciò che nel medioevo era letteratura).
Tema ricorrente nella Navigatio è l’abbandonarsi nelle mani di Dio e soprattutto il tema del locus
amoenus, che introduce qui l’idea di un paradiso terrestre. Topos riconducibile fino a Omero. In
epoca cristiana viene rielaborato per diventare una sorta di paradiso terrestre / Eden. All’interno di
questi due temi c’è il tema del viaggio guidato e voluto da Dio in cui persino il nutrimento
quotidiano è frutto della volontà di Dio se noi accettiamo di leggere la storia secondo i 4 sensi
della scrittura medievale tenendo presente che è un viaggio verso la terra promessa allora è chiaro
che abbandonarsi a Dio e che il nutrimento sia fornito da Dio aggiungono significato al testo ad
esempio l’ Epistola 13 di Dante a Cangrande della Scala in cui parla dei 4 sensi in cui puoi essere
letta la Divina Commedia, se applicassimo questi 4 sensi alla Navigatio avremmo risultati simili è
possibile leggere la storia di Brendano allegoricamente x cui la storia diventa un viaggio verso la
salvezza, se la leggiamo da un punto di vista morale l’anima viene riformata x cui dal mare è
reindirizzata al bene, se la leggiamo da un senso anagogico l’anima viene fatta pura , salvata e
pronta a salire in paradiso. Il paradigma dell’Esodo è uno dei paradigmi alla base della Navigatio,
uno dei modelli x il pesonaggio di Brendano è Mosè, il quale libera gli ebrei dalla schiavitù d’Egitto
e li conduce alla soglia della terra promessa. Come nell’Esodo Israele è guidato x 40 anni nel
deserto da Dio, allo stesso modo qui Brendano e i suoi monaci riconoscono che il timoniere di
questo viaggio è Dio spesso Brendano dice ai monaci di non remare e lasciare che Dio li trasporti
dove meglio crede. Il vento che spira favorevole ha valore simbolico (capitolo VI). Spesso i monaci
non sanno da dove arrivi il vento, né dove li sta portando. Rimanda all’immagine del vento nella
Bibbia, ad un passo specifico del vangelo di Giovanni cap.3 versetto8 (colloquio con Nicodemo, uno
dei Farisei) in cui si dice “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e
dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito.”. Se oi identifichiamo il vento della Navigatio con
questa fonte con il vento di cui parla Giovanni nel Vangelo, è chiaro che la barca di Brendano e dei
suoi monaci è guidata dallo Spirito Santo. Questo aspetto del viaggio, il vento che conduce,
ricompare alla fine della navigazione, quando Brendano e i suoi monaci stanno arrivare per
destinazione e fanno l’ultima sosta significativa dall’eremita Paolo (capitolo XXVI). L’eremita Paolo
racconta a Brendano come è giunto su questa isola, dove ha fondato una comunità. San Patrizio
aveva profetizzato all’eremita che avrebbe fondato una comunità. Vento che conduce compare
anche all’interno della storia.
La storia di Paolo richiama anche un altro modello di viaggio medievale che erano le
Peregrinationes pro Christus, storie che a loro volta avevano affinità con le storie dei padri del
deserto, gli anacoreti. Gli anacoreti rispondono alla chiamata di Cristo a una vita solitaria e trovano
un luogo da cui non ritorneranno, mentre per Brendano e i protagonisti delle Peregrinationes è
previsto un ritorno. Il modello biblico per il tipo di viaggio verso una meta ignota che intraprende
Brendano è la chiamata di Abramo nella Genesi (cap. 12). Brendano guida i monaci
abbandonandosi alla volontà di Dio, ed è qui che emerge l’archetipo dell’esodo che struttura il
viaggio di Brendano. Ad esempio quando nella comunità di Albi appare una freccia di fuoco che
accende tutte le fiaccole e il monaco che gli fa da guida gli ricorda dell’episodio del roveto ardente
nella Bibbia, episodio chiave dell’Esodo, momento in cui Mosè viene investito da Dio della sua
missione. Brendano a volte stabilisce la durata delle soste nei vari luoghi, come Mosè nel libro dei
Numeri, è lui che decide quando bisogna ripartire. Brendano non cambia mai atteggiamento x tutta
la storia, è sempre coerente e non dubita mai delle scelte che fa. Alla fine quando giunge alla terra
promessa, nel capitolo XXVIII, incontra un giovane guardiano che gli spiega il perché di tutte le
deviazioni, perché Brendano ha dovuto scoprire e arrivare alla terra promessa, ha dovuto imparare
come arrivarci anziché percorrere un percorso lineare, perché Dio abbia scelto x Brendano la via
dell’erranza, delle deviazioni, del percorso tortuoso e non la via retta.
In quest’ottica lo scopo del viaggio non era la meta, ma la conoscenza. Dovevano errare x 7 anni
perché dovevano conoscere i segreti del mondo, più che dei segreti di Dio, e dell’altro da sé che può
essere in termini di personaggi come l’eremita Paolo, come la comunità di Ailbe che hanno fatto
una scelta di vita diversa da quella dell’uomo comune, oppure in termini di esseri meravigliosi
come l’isola degli uccelli, di luoghi meravigliosi, di castelli inabitati quindi dell’altro da se sia in
termini di persone che di luoghi. Brendano deve fare esperienza, deve imparare a conoscere. Dopo
aver compiuto fino in fondo questo percorso ci si aspetta che resti nella terra santa, mentre in
realtà il suo destino è tutt’altro. Solo quando Brendano avrà conosciuto la vita sul mare, i segreti
dell’oceano, la morte, il peccato con Giuda a quel punto sarà pronto x tornare a casa e aspettare che
arrivi la morte Hans Blumenberg, filosofo ermeneuta, parte dal topos del personaggio che di
fronte ad un bivio può scegliere una via retta per arrivare alla meta o un itinerario pieno di ostacoli.
Per Blumenberg, chi sceglie il percorso accidentato opta per la vita vera e per la conoscenza,
percorso che umanizza la vita perché il mondo delle deviazioni ci permette, ci offre la conoscenza
(come aveva fatto Ulisse). La via retta non è umana, è un percorso per la morte e non per la vita. A
confermare ciò nella Navigatio c’è il mancato ingresso nella terra santa. Brendano deve tornare
indietro e terminare la sua vita umana e mortale, prima di accedere alla vita in terra santa, non ha
un destino da immortale che è quello della linea retta ma accettazione di un destino prettamente
umano e mortale. Durante il viaggio Dio spesso manda sul percorso di Brendano degli aiutanti,
aspetto comune anche alle vite degli anacoretiad esempio nel capitolo VI giungono in un’isola, gli
viene incontro un cane, che li conduce a un castello disabitato, con tutto ciò di cui hanno bisogno. Il
cane sembra riconoscere Brendano perché subito si accuccia a lui come fanno i cani con i loro
padroni è insolito perché in realtà è la prima volta che Brendano lo vede quindi pensano subito
che sia un segno divino. Parallelo con il cane Argo a Itaca. Il cane riconosce che quello è l’uomo che
lui deve aiutare e infatti gli mostra la via verso una dimora e li introduce alla tavola imbandita per
loro. Brendano avverte i suoi uomini del potenziale pericolo, la tentazione diabolica.un altro
esempio è quando Brendano si sposta dall’isola degli uccelli all’isola del dispensiere (capitolo
XXVII) in cui quest’uomo diventa guida di Brendano. Come nella Commedia, l’ultima parte del
viaggio richiede sempre una guida speciale, affinché vada a buon fine. L’uomo con le sue sole forze
non può giungere a destinazione.
Dio provvede a rifornire il monaco e i suoi compagni di cibi e bevande con diverse modalità.
L’unica condizione fondamentale per ottenere provviste è fede incondizionata. Questo è quello che
fa Brendano quando trova la tavola imbandita nel castello disabitato invita i confratelli a glorificare
Dio che gli da nutrimento, con parole ispirate dal salmo 136 v.25-26, cioè “Egli dà il cibo ad ogni
vivente: perché eterna è la sua misericordia. Lodate il Dio del cielo: perché eterna è la sua
misericordia.” Ovviamente nel medioevo le citazioni dalla Bibbia non pssono essere paragonate
con la Bibbia di oggi perché durante il medioevo c’erano moltissime traduzioni della Bibbia
all’epoca, senza una versione unica di riferimento, quindi l’autore potrebbe aver letto una versione
del salmo più simile alle parole da lui scritte. Citare la Bibbia è simbolo di grande fede esempi di
questo tipo si hanno nelle storie dei padri del deserto o degli eremiti che quando partono portano
con se quasi nulla perché hanno fede nel fatto che Dio provvederà al loro sostentamento.
L’intervento di Dio nella Navigatio avviene in diversi modi, uno dei più frequenti è che Dio
quotidianamente provvede a rifornire del nutrimento necessario x quella giornata questo aspetto
da un lato sottolinea la cura di Dio x i suoi figli/servi, dall’altro rimanda all’ episodio della manna
mandata da Dio nel deserto per nutrire Israele, nell’Esodo cap. 16 v. 2, 4:
Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. Gli Israeliti
dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d'Egitto, quando eravamo seduti
presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo
deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine».
Allora il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà
a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se
cammina o no secondo la mia legge. Ma il sesto giorno, quando prepareranno quello che
dovranno portare a casa, sarà il doppio di ciò che avranno raccolto ogni altro giorno».
L’ impegno di Dio a mandare nutrimento ogni giorno ricorda anche un passo del vangelo di Luca,
la preghiera del padre nostro capitolo 11, v. 3, quel “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Spesso
le provviste mandate da Dio a Brendano durano ben più di un giorno, sembrano non terminare
mai questo ricorda il periodo della grande siccità, Primo libro dei Re, capitolo 17, vv 15-16.
Il Signore parlò a lui e disse: "Alzati, va` in Zarepta di Sidone e ivi stabilisciti. Ecco io ho dato
ordine a una vedova di là per il tuo cibo". Egli si alzò e andò a Zarepta. Entrato nella porta della
citta`, ecco una vedova raccoglieva la legna. La chiamò e le disse: "Prendimi un po` d'acqua in
un vaso perché io possa bere". Mentre quella andava a prenderla, le grido`: "Prendimi anche un
pezzo di pane". Quella rispose: "Per la vita del Signore tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un
pugno di farina nella giara e un po` di olio nell'orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò
a cuocerla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo". Elia le disse: "Non temere; su,
fa` come hai detto, ma prepara prima una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne
preparerai per te e per tuo figlio, poiché dice il Signore: La farina della giara non si esaurirà e
l'orcio dell'olio non si svuoterà finché il Signore non farà piovere sulla terra". Quella andò e fece
come aveva detto Elia. Mangiarono essa, lui e il figlio di lei per diversi giorni. 16 La farina della
giara non venne meno e l'orcio dell'olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva
pronunziata per mezzo di Elia.
Come in questo esempio, al capitolo VIII, arriva un giovane, il primo dispensiere, che porta a
Brendano cibo e acqua, sufficienti per tutto il tempo della quaresima. L’intervento di Dio avviene
spesso tramite intermediari, così come nelle vite dei padri del deserto (angeli). Anche durante la
visita alla comunità di Ailbe (capitolo XII) un monaco spiega a Brendano che Dio, tramite creature
a lui soggette, fornisce gli approvvigionamenti per tutta la comunità. Il vitto è raddoppiato nei
giorni festivi e per l’arrivo di Brendano questo ci fa presumere che la comunità stesse aspettando
Brendano e che quindi il suo arrivo è preordinato da Dio. La descrizione che viene fatta rimanda
quasi al giardino dell’Eden, come Adamo ed Eva prima del serpente che non devono sudare per
ottenere il cibo, allo stesso modo vive la comunità di Ailbe, non devono pensare al cibo la
comunità di Ailbe rappresenta quindi un mondo a metà tra il mondo degli uomini e il paradiso,
dove coloro che vivono secondo i dettami della fede raccolgono i frutti della loro fede. La fornitura
del cibo rimanda a un altro richiamo biblico, è l’episodio precedente a quello della vedova nel
Primo Libro dei Re, corvi che nutrono Elia durante la grande siccità (cap. 17, vv 2-6).
Elia, il Tisbita, uno degli abitanti di Galaad, disse ad Acab: "Per la vita del Signore, Dio di Israele,
alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò
io". A lui fu rivolta questa parola del Signore: "Vattene di qui, dirigiti verso oriente; nasconditi
presso il torrente Cherit, che è a oriente del Giordano. Ivi berrai al torrente e i corvi per mio
comando ti porteranno il tuo cibo". Egli eseguì l'ordine del Signore; andò a stabilirsi sul torrente
Cherit, che è a oriente del Giordano. I corvi gli portavano pane al mattino e carne alla sera; egli
beveva al torrente.
Tutti questi riferimenti contribuiscono a rendere la storia familiare e plausibile al lettore
medievale. Rispetto alla Bibbia però, nella Navigatio non viene specificato che tipo di essere porta il
cibo. Il dispensiere, che si unisce poi al viaggio di Brendano, è intermediario tra Dio e uomo e non
deve essere messo in discussione. Quando all’abate vengono chieste spiegazioni su come arrivi il
cibo, lui rimane sul vago, suggerendo solo che possa esserci un qualche creatura. Questa incertezza,
non precisare il tipo di creatura, in parte deludente, crea il fantastico, perché dalla spiegazione del
monaco emerge il fatto che i miracoli vanno semplicemente accettati, quasi come fosse normale.
Nella descrizione dell’abate però, non ci sono elementi miracolosi né riferimenti espliciti
all’intervento di Dio. Tutto rimane nel vago ed estraneo all’elemento sovrannaturale, l’abate non gli
da importanza, come se volesse dire che è una cosa normale quello che succede e che quindi
dobbiamo accettare l’evento come una cosa che accade normalmente.
Successivamente però invece, dopo aver consumato il pasto tutti gli ospiti della comunità si
muovono verso la chiesa Saetta ardente che improvvisamente illumina tutte le lampade della
chiesa, qui l’abate richiama al miracolo più importante dell’Esodo, il roveto ardente, momento in
cui Dio si rivela a Mosè e gli dà la sua missione, inizio del viaggio di Israele (cap. 3).
Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il
bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. L'angelo del Signore gli apparve in una
fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma
quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande
spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio
gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!».
Il monaco in questo caso avvicina quello che accade con la luce nella chiesa all’episodio fondante
della storia dell’Esodo perché è lì che Dio dice a Mosè che deve tornare da Israele eccetera, episodio
che da inizio al viaggio di Israele. L’episodio di questa saetta che è presentato non come
un’immagine sovrannaturale ma aquista significato proprio attraverso la citazione del roveto
ardente, questo basta a spiegare l’origine di quella luce non c’è bisogno di altra spiegazione
episodio importante perché è la prima volta che Brendano assiste ad un miracolo che lo accetta
senza chiedere altre spiegazioni.
Le apparizioni dei dispensieri, che spesso sono ragazzi giovani e radiosi, ricordano l’apparizione
dell’angelo Raffaele nel libro di Tobia. Raffaele appare nelle vesti di un giovane che annuncia a
Tobia che lo accompagnerà per tutto il resto del viaggio e non rivela la sua identità fino alla fine.
Altri intermediari sono gli animali di vario genere, come i corvi per Elia. Nel capitolo XXVI invece
ad esempio l’eremita Paolo menziona una lontra, che gli porta cibo per ben 30 anni, finché non
trova una sorgente che lo priva dei bisogni del corpo perché a volte la sopravvivenza e il
sostentamento x riprendersi dalle fatiche non è garantito dal cibo ma da un evento sovrannaturale
che fa sparire la fame, la sete, i bisogni primari. Il dimenticarsi dei bisogni primari avviene anche a
Brendano al capitolo XXII, quando in mezzo al mare appare improvvisamente una colonna di
cristallo.
Anche nel capitolo XXVII i monaci, grazie all’acqua della sorgente dell’eremita Paolo, passano tutta
la quaresima senza sentire la fame e la sete. Al capitolo XVIII, il profumo che arriva dall’isola
dell’uva gigante fa dimenticare ai monaci la fame. Questo motivo fa parte anche della vita dei
santi in realtà ciò era già apparso nell’episodio della vita di Barrindo, che apre la Navigatiosolo
perché è stato per un anno nella terra promessa riesce a sopportare l’assenza di cibo e acqua,
quindi già il primo capitolo introduce la terra promessa come il luogo in cui si dimenticano i
bisogni della carne (cap.1) questo episodio è importante proprio perché presenta la terra
repromissionis sanctorum proprio come quella terra in cui l’uomo dimentica i bisogni primari.
Questi vari episod, pur in assenza di un legame diretto, richiamano tutti l’atmosfera dei quattro
libri riguardanti l’Esodo, cioè Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Nel Deuteronomio,
capitolo 2 v. 6-7, si ricorda questo aspetto della vita nella terra promessa, dice:
Comprerete da loro con denaro le vettovaglie che mangerete e comprerete da loro con denaro
anche l’acqua che berrete, perché il Signore, tuo Dio, ti ha benedetto in ogni lavoro delle tue mani,
ti ha seguito nel tuo viaggio attraverso questo grande deserto. Il Signore, tuo Dio, è stato con te in
questi quarant’anni e non ti è mancato nulla”. Questo verso descrive benissimo l’esperienza di Dio
nella navigazione di Brendano, l’atmosfera che circonda il viaggio di Brendano per quanto riguarda
il rapporto con Dio, Dio ha provveduto a tutto, evitando che la spedizione finisca nel modo peggiore
infatti sarebbe stato un fallimento qualora Dio non avesse provveduto ai suoi fedeli, pericolo che
incombe sull’Esodo. Legame con un episodio del vangelo di Matteo, capitolo 6, v.25-34.
“Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per
il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del
vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai;
eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si
preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?”  la presenza costante di Dio affianco
dei monaci che non devono preoccuparsi dei bisogni primari, ma cercare solo la terra promessa. La
Bibbia è quindi una fonte di ispirazione costante x la Navigatio, fusa con altre storie di letteratura
medievale.
Ci sono altri motivi nella Navigatio.
Episodio nella Navigatio del diavolo che si incarna in un esserino nero nel castello abbandonato,
capitolo VI. Diavolo messo in fuga dalle preghiere del monaco. Questo motivo ricorre nella
tradizione medievale, così come l’enorme puzzo che emana dall’isola dell’inferno, capitolo XXIII v.
14, l’isola dei fabbri, che si sente anche ad enorme distanza. Stesso motivo nella vita di Maria
l’egiziana, odore terribile che lei sente perfino dal deserto, e di Antonio, il fondatore dei padri del
deserto.
Altro elemento presente è la tradizione del locus amoenus: legame con la cultura pagana, medioevo
che tentava di riscrivere i motivi classici in chiave cristiana. Il motivo del locus amoenus viene
salvato e fuso con la descrizione dell’Eden. Fusione di locus amoenus e del mito dell’età dell’oro.
Spesso gli scritti medievali sull’Eden riflettono questi topoi. Nella narrazione di Brendano il locus
amoenus si concentra nella descrizione della terra promessa, soprattutto nel capitolo I e capitolo
XXVIII all’inizio e alla fine del viaggio, ma anche nel capitolo XVIII, isola dell’uva gigante, un’isola
di delizie, con alberi dai pomi giganteschi, dal profumo meraviglioso e talmente carichi di frutti da
non reggerne il peso, stessa cosa che l’autore dirà poi nel capitolo XXVIII.
Locus amoenus è assenza di tenebre, perché Cristo è luce. Il mondo che visita Brendano ha qualità
paradisiache, anche prima di giungere nella terra promessa. In questi luoghi c’è spesso un
guardiano, che ovviamente richiama a un motivo del libro della Genesi, in cui Dio pone un
cherubino a impedire l’accesso all’Eden dopo la caduta di Adamo ed Eva. Nel capitolo XXVIII il
guardiano impedisce a Brendano di attraversare l’isola.
Inoltre c’è il parallelo tra Brendano e Mosè, che in realtà non viene mai menzionato direttamente
ma di cui vengono richiamate le gesta in più occasioni. Gli eventi della vita di Mosè e in particolare
la sua funzione di guida di Israele verso la terra promessa sono la fonte x la descrizione della figura
di Brendano come guida del viaggio. È chiaro però che l’autore fonda il modello biblico con
suggestioni da altre fontiAd esempio la descrizione della terra promessa da parte di Barrindo
richiama la descrizione di Canan nel capitolo terzo dell’Esodo. Terra definita “spaziosa”, utilizzo
dello stesso aggettivo.
L’episodio del sacrificio di un agnello sull’isola delle pecore, nel capitolo IX della Navigatio, deriva
probabilmente dall’ordine che Dio dà a Mosè di offrire sacrifici nel libro Esodo, capitolo XII.
Sacrificio in occasione della celebrazione della Pasqua: Il dieci di questo mese ciascuno si procuri
un agnello per famiglia, un agnello per casa. In occasione del giovedì santo il dispensiere dà ai
monaci il pane cotto sotto la cenere, anche questo derivante dall’Esodo. Nel capitolo III Brendano
decide di digiunare per 40 giorni, riconducibile al periodo di digiuno di Mosè sul Sinai, prima di
ricevere le tavole della legge. Motivo che si ritrova anche nelle vite dei santi irlandesi. Chiaramente
i 40 giorni di digiuno possono anche essere ricondotti ai 40 giorni che Cristo trascorre digiunando
nel deserto.
Episodio del “Paradiso degli uccelli”, capitolo XI. Importante perché ricorrono qui tutti i topoi
dell’opera e perché discute un tema molto dibattuto tra tarda antichità e medioevo: gli angeli, le
loro gerarchie e via dicendo. In questa isola Brendano trascorre ogni anno tutto il periodo
pasquale. La storia è importante anche perché esempio anche dello stile della Navigatio che
inserisce in un mondo fantastico, fuori dalle nostre coordinate spazio-temporali descrizioni
realistiche in modo da rendere la storia plausibile e quindi accettata dai lettori.
L’approdo su quest’isola ricalca lo stesso schema usato per gli approdi in altre località. Ogni volta
che vedono un’isola da lontano prima di tutto cercano un porto per attraccare, spesso
circumnavigando l’isola per molti giorni. In alcuni casi l’autore dà coordinate geografiche precise,
sempre per dare un’impressione di realtà. L’autore dà anche numeri precisi e descrizioni
dell’ambiente. Quando arrivano all’isola i monaci trovano la foce di un fiume dove trasportano la
nave fino alla sorgente x proteggerla dalla marea. Brendano pensa che bevendo dalla sorgente lui e
i monaci possano trarre nutrimento, fonte miracolosa. Sopra la sorgente, vedono un grande albero,
ricoperto di uccelli, più numerosi delle foglie (cap.11). Brendano s’interroga sui motivi di ciò, la
vista dell’albero risveglia a lui il sentimento del sovrannaturale, gli fa pensare che sia un prodigio,si
commuove e prega Dio la preghiera è importante perché Brendano chiede a Dio, appellandosi
alla sua misericordia, di rivelargli il segreto che ha di fronte, lui immagina che quelli non sono
uccelli normali, che custodiscono un segreto. Questa è la prima e unica volta che chiede a Dio di
rivelargli qualcosa. Termina la preghiera in modo strano, Brendano non fa appello al fatto di essere
degno che gli vengano svelati i segreti perché monaco ma appellandosi all’ indulgenza di Dio. Dio
accetta la sua preghiera e risponde tramite intermediario, un uccello bianchissimo, descritto in
termini poetici, un uccello che lascia un ramo, vola verso Brendano facendo suonare le ali. Si
dimostra subito ben disposto e mansueto nei confronti di Brendano, da ciò intuisce che è un segno
propizio. Il fatto che le ali tintinnino è un dettaglio che viene dal capitolo 28 dell’Esodo, dove
vengono descritti i paramenti che Aronne deve indossare quando entra nel tempio. Paramenti che
tintinnano con i movimenti per avvertire della sua presenza. Questa sovrapposizione pone l’uccello
come ministro di Dio Aronne nell’Esodo è colui che è destinato a prendere il posto di Mosè, suo
fratello, che spesso parla in sua vece quando la balbuzie non glielo permette. Ad Aronne Mosè
lascia in eredità Israele. Uccello come profeta di Dio, come Aronne parla ispirato da Dio e quindi
Brendano subito chiede subito delle risposte, riguardo al perché gli uccelli siano lì. La risposta che
l’uccello dà tocca una delle questioni più dibattute nella teologia medievale cioè la questione della
natura degli angeli, il rapporto tra gli angeli caduti e quelli rimasti fedeli a Dio, il momento della
creazione degli angeli, il modo in cui sono ordinati eccetera.
Due correnti di pensiero opposte sugli angeli: quella di Gregorio Magno e quella di Dionigi
L’Aeropagita, autore di un trattato intitolato “Le gerarchie angeliche”. Dalla risposta dell’uccello
sembra ci sia un terzo gruppo di angeli, oltre a quelli fedele a Dio e quelli che si sono uniti con
Lucifero, ci sono neutrali, cioè che non si sa che abbiano fatto perché luccello non rivela qual è la
loro colpa ma sono stati comunque esiliati. A complicare la questione c’è il fatto che non si sa quale
sia stata la fonte dell’autore, si possono solo fare ipotesi. Secondo alcuni questo episodio
dell’uccello sarebbe ispirato da Origene, da un passo del De Principiis oppure può riferirsi a
Gregorio Magno ma questo tema riporta alla tradizione dei libri apocrifi: perché nella Bibbia
canonica non è mai narrata la caduta egli angeli, non si racconta la rivolta di Lucifero in cielo ma al
contrario questo episodio fa parte del Libro dei Giubilei, libro apocrifo che il cristianesimo non
riconosce come vero, come testimonianza della parola di Dio infatti non fa neanche parte della
vulgata, ma nel medioevo circolavano tantissimo Storia talmente famosa da far credere a molti di
far parte del canone. Non è strano che un lettore medievale conoscesse i testi apocrifi. Dalle parole
dell’uccello si può anche dedurre che non tutti gli angeli siano stati creati nello stesso momento,
altro grande dibattito teologico, posto anche nella Divina Commedia. Da un lato Dante ricalca la
storia degli angeli da Gregorio Magno, ma sul finire della Commedia ricorre a Dionigi L’Aeropagita,
quindi è una questione che viene trattata anche in poesia. Secondo la tradizione più diffusa gli
angeli sono creati tutti assieme il primo giorno della creazione, quando Dio crea la luce, ma non
tutti concordano. La cosa certa è che siano stati creati prima di Adamo ed Eva, al punto che
secondo alcune storie Lucifero si ribella a Dio perché geloso di Adamo ed Eva. La risposta però
dell’uccello nella Navigatio complica la situazione perché dice “quando fummo creati, con la caduta
sua e dei suoi complici avvenne anche la nostra rovina” cioè una possibile spiegazione è che Dio
abbia creato un’altra schiera di angeli nel momento in cui perde la schiera di Lucifero. Due
creazioni di angeli. Questo è plausibile perché risponde a un principio teologico: creazione
governata da un principio di plenitudine, principio di pienezza del creato secondo cui non è
possibile che venga a crearsi un qualche vuoto nel creato. Anche nel Paradise Lost di Milton vige
questo principio, lì Dio invece di creare una schiera di angeli neutri Dio crea Adamo ed Eva e
l’Eden, per colmare il vuoto lasciato da Lucifero e dagli angeli ribelli. Ciò che non è chiaro è perché
gli angeli neutri siano esiliati, questo esilio cozza con l’immagine di un Dio di giustizia. La colpa di
questi angeli neutri forse è l’ignavia, forse erano stati creati prima che Lucifero si ribellasse e non
hanno preso posizione alcuna, colpa gravissima perché non hanno esercitato il libero arbitrio che
Dio concede agli uomini e agli angeli  vengono condannati all’erranza eterna nell’atmosfera sotto
forma di spiriti, tranne nei giorni di festa in cui prendono le sembianze di uccelli e cantano le lodi
del creatore, segno di appartenenza, segno di riconoscimento da parte di Dio per esempio a
Lucifero e ai caduti non è permesso lodare il creatore. Questi uccelli sembrerebbero vivere in una
sorta di limbo, una terra a metà tra il paradiso e la terra in cui vengono esiliati senza alcuna colpa
precisa e senza nessuna particolare punizione o richiesta da parte di Dio. In questo dobbiamo
pensare a Gregorio Magno in cui c’è un’espressione linguistica che fa pensare che l’autore della
Navigatio sia ispirato a lui. Gregorio Magno definisce gli angeli esercito celeste, che occupano la
destra di Dio. Da un lato gli angeli eletti, dall’altro quelli che Dio ha rifiutato. Secondo Gregorio
Magno, anche questi servono Dio, aiutando i peccatori a pentirsi e incamminarsi di nuovo verso
Dio e spingendo al peccato chi è disposto a peccare. Ed è qui che Gregorio Magno diventa
importante per la Navigatio perché questa parte reproba degli angeli può essere chiamata
“exercitus cieli” allo stesso modo in cui noi chiamiamo gli uccelli “aves cieli” cioè “uccelli del cielo”,
perché si muovono nell’aria mette sullo stesso livello angeli e uccelli gli angeli possono essere
chiamati esercito del cielo proprio come noi chiamiamo gli uccelli uccelli del cielo quindi
paragona gli angeli rifiutati da Dio agli uccelli perché entrambi vivono nell’aria. Nella Navigatio si
dice che anche “altri spiriti messaggeri” si muovono nell’aria con gli angeli, ma non è chiaro chi
siano. Questo è tutto ciò che l’uccello rivela a Brendano, poi gli rivela il futuro, e Brendano può
quindi consolarsi e consolare i suoi compagni sapendo che giungerà alla terra promessa.
Il canto degli uccelli, nel medioevo, è spesso associato alle lodi degli angeli verso Dio. Il canto degli
uccelli segue la liturgia delle ore canoniche dei monasteri, prevede un inno x ogni ora canonica.
Questo può essere paragonato alla liturgia osservata dalla comunità di Ailbe nel cap. XII e a una
serie di salmi che vengono cantati quando nel capitolo XIX Brendano e i suoi giungono all’Isola del
Grifone. Quindi l’autore presenta uno schema di canti che segue la liturgia delle ore canoniche del
monastero e che vengono riprodotte in questi due episodi. Gli uccelli battono le ali per
accompagnare il loro canto, stessa cosa succede nel capitolo XV, quando tornano nell’Isola degli
Uccelli. Gli uccelli, nel loro salmodiare, cantano un unico verso che ripetono per tutta l’ora, perché
gli uccelli in natura ripetono sempre la stessa melodia. L’idea di attribuire agli uccelli un versetto
specifico per ciascuna delle ore canoniche riflette questo dettaglio della natura degli uccelli. Canto
percepito da Brendano come un canto dolce. Il versetto che cantano nel salutare i monaci è un
versetto benaugurante del salmo 64, un salmo di speranza. Dopo la descrizione del canto,
improvvisamente, appare il dispensiere, uomo misterioso di cui Dio si serve x rifornire Brendano e
i compagni di cibo (pag. 35). L’ingresso del dispensiere che deve fornire sempre cibo fa parte del
modo in cui nella Navigatio viene fornito il cibo perché in realtà Brendano e gli altri monaci
sembrerebbero non in grado di procurarsi il cibo da soli, quindi se non c’è Dio a nutrirli loro
trovano soltanto erbe e acqua, a volte addirittura nulla, quindi spesso in mare soffrono la fame e la
sete questo aspetto sottolinea natura ascetica di questi monaci cioè si affidano completamente a
Dio e quindi non si preoccupano dei bisogni terreni infatti alla fine del capitolo XXVI, l’eremita
Paolo riconosce la natura straordinaria di Brendano perché Dio ha fatto in modo che lui e i suoi
compagni si dedicassero solo alla scoperta delle meraviglie e dei segreti di Dio e non pensassero
invece ai bisogni terreni. Questo succede soltanto agli eletti. Brendano rimprovera se stesso e la sua
incapacità di guadagnarsi da vivere col lavoro, l’eremita dice a Brendano che il non doversi
preoccupare dei bisogni terreni non lo rende indegno, ma è segno di elezione. Secondo Origene gli
uomini prescelti da Dio e che hanno praticato l’ascesi sono stati in grado di arrivare a Dio e
diventare angeli. Secondo Origene questi uomini sono i figli di Dio e figli della resurrezione, salvati
con la resurrezione o coloro che hanno abbandonato le tenebre del peccato e hanno scelto la luce di
Dio. Brendano e i suoi compagni potrebbero essere di questo tipo e quindi il viaggio di Brendano è
allegoricamente il viaggio dell’anima verso Dio. Infatti sappiamo che questa compagnia di monaci
guidata da Brendano sulla via verso la santificazione riescono a trascendere i limiti imposti da Dio
all’essere umano ed entrano al limitare della terra promessa, arrivano nella terra promessa,
possono contemplare le sue bellezze, il guardiano gli rivela che Dio ha voluto quel viaggio e
terminano sulla via della santificazione nell’ultimo capitolo infatti una volta tornati a casa
Brendano muore e diventa un santo.
Nel capitolo XXV Brendano incontra anche Giuda, anch’egli caduto ma non condannato per
l’eternità grazie all’indulgenza di Cristo, in qualche modo è stato salvato dai tormenti dell’inferno 
per pochi giorni l’anno può godere di un po’ di pace, può stare in quello che lui chiama giardino di
delizie ma che in realtà il luogo è solo una roccia in mezzo al mare e li trova ristoro. Potremmo dire
che gli angeli neutri e Giuda rappresentano i due poli entro cui si compie la navigazione di
Brendano anche i monaci lasciano l’Irlanda come fossero esiliati, in cerca però di una meta. In
questo viaggio le loro tappe li avvicinano o allontanano da Dio, a seconda se si tratta di punizione o
santificazione. Ad esempio due dei tre monaci ritardatari vengono puniti aspramente. Ma è
importante il fatto che nessuno patisce le pene in eterno senza la speranza di salvezza, persino a
Giuda è concesso un momento di ristoro. Questo è un motivo dalla teologia orientale, nota in
Irlanda grazie al Trattato sulla natura di Giovanni Scoto Eriugena, in cui viene esposta la dottrina
dell’apocatastasi, cioè il ristabilimento di ogni cosa nell'ordine voluto da Dio, alla fine dei tempi.
Tutti saranno salvati, l’inferno sarà vuoto. Persino Giuda verrà salvato. Giuda ha già ristoro dalla
sua punizione e Brendano, con le sue preghiere, può intercedere per lui, quasi come si trattasse di
un purgatorio. L’aldilà sperimentato da Brendano per giungere alla terra promessa non prevede
nessuna punizione eterna, la salvezza è possibile x tutti.
La Navigatio Sancti Brendani diventa un modello, soprattutto per gli esploratori delle isole
britanniche, ed entra anche nella questione molto dibattuta degli antipodi perché noi non
sappiamo dove si trova la terra promessa in cui arriva Brendano però possiamo dedurre che si trovi
al sud del mondo, forse aldilà dell’equatore ma negli anni successivi molte esplorazioni si rifanno
alla Navigatio. La questione che solleva è se il sud del mondo è abitato. Per Sant’Agostino non è
possibile perché se tutta l’umanità ha origine in Adamo ed Eva, il sud del mondo dovrebbe essere
disabitato.
Antipodi

Il mito degli antipodi col tempo si fonde col mito della terra australis e in alcuni casi anche con il
mito del paradiso terrestre. Con l’affermarsi del cristianesimo, tra il IV e il V secolo, il mito degli
antipodi diventa una questione controversa, che tocca questioni vitali della teologia e della dottrina
cristiana. Mentre alcuni sembrano accettarla, soprattutto nel cristianesimo delle origini, ben presto
si mette in discussione il pensiero che il sud del mondo possa essere abitato, per questioni
teologiche. Sappiamo che Cristo prima di salire al cielo, nel primo capitolo degli atti degli apostoli
al v. 8, dice agli apostoli che loro hanno il compito di predicare fino all’ultimo confine del mondo:
“ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a
Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” Cristo annuncia una
predicazione universale che deve investire tutti i popoli della terra. Per cui accettare che
nell’emisfero australe vivano popolazioni completamente separate da quelle dell’emisfero
settentrionale/boreale risulta problematico, perché per la teoria medievale delle 4 zone climatiche
la popolazione del nord è completamente separata da quella del sud e questo significherebbe
accettare che esiste una parte di popoli che non è stata fatta partecipe della predicazione cristiana e
che non è stata redenta dal sacrificio di Cristo, il sacrificio di Cristo non redimerebbe tutta
l’umanità. Ciò non è accettabile perché secondo la Bibbia tutta l’umanità discende da Adamo
quindi anche chi si trova nell’emisfero australe dovrebbe discendere da Adamo e allora non è
possibile che ci sia gente perché lì nessuno ha predicato la parola di Dio e perché tutti i discendenti
di Adamo sono cristiani.
Il più famoso autore che mette in discussione la possibilità che gli antipodi siano abitati è Agostino,
il quale nel capitolo IX del libro XVI de La città di Dio s’interroga a riguardo (slide 19). Egli
sostiene che chi sostiene che gli antipodi siano abitati lo fa per ragioni scientifiche, ma non è detto
che in quella parte dell’emisfero ci sia terra emersa e se c’è non è detto che sia abitata. Oltre a
queste considerazioni aggiunge che non è possibile che i discendenti di Adamo si siano in qualche
momento spostati nell’altro emisfero attraversando l’intero oceano. Inoltre, accettare gli antipodi
abitati significa andare contro gli insegnamenti cristiani perché quelle zone sono separate dalle
nostre, ci sono barriere insirmontabili e quindi se ci fosse gente non potrebbero essere discendenti
di Adamo, non accettabile per la dottrina cristiana. L’idea che gli antipodi siano abitati non è
accettabile nemmeno dal punto di vista della predicazione, perché questi luoghi non sarebbero stati
raggiunti dalla parola di Dio e sarebbero quindi privati della possibilità di salvezza. Se ci fosse gente
significherebbe che quanto annunciato da Dio all’inizio degli atti degli apostoli ovvero che la parola
di Dio si sarebbe estesa fino all’ultimo confine della terra, non si sarebbe avverato, il che è
impossibile, visto che tutte le profezie delle scritture si sono compiute, per cui la parola divina si è
estesa a tutta la terra, la terra abitata che è quella dell’emisfero Nord Agostino rifiuta l’esistenza
degli antipodi. Mentre rifiuta gli argomenti scientifici e razionali, crede ciecamente nell’autorità
della Bibbia. Quest’atteggiamento permane fino all’epoca moderna: quando i primi esploratori
incontrano gli indigeni nel sud del mondo li considerano bestie o subumani, non creature di Dio
perché non discendenti di Adamo e non raggiunti dalla parola di Dio. Utilizzo strumentale della
Bibbia. Agostino è uno dei padri più autorevoli della chiesa quindi anche per questo il suo pensiero
ha influenzato fortemente il dibattito seull’esistenza degli antipodi infatti la maggior parte dei
teologi concorda con Agostino. A sostegno di quanto afferma Agostino compare nel XII secolo,
quindi circa 6 secoli dopo Agostino, il Microcosmus di Goffredo di San Vittore. Accettare
l’esistenza degli antipodi vuol dire accettare che l’umanità non discende da un solo uomo, che la
morte non è entrata nel mondo per opera di un solo uomo cioè di Adamo e che neppure la vita è
tornata nel mondo grazie ad un solo uomo, cioè Cristo che ci ha restituito la vita eterna. L’esistenza
degli antipodi viene inserita nel contesto della storia della redenzione.
Altra opera che nell’antichità era attribuita ad Agostino era l’Aristoteles Latinus, il quale
discutendo la categoria del locus (categorie aristoteliche) comincia a relativizzare il problema degli
antipodise noi inseriamo la terra nello schema dell’universo, noi che pensiamo che la terra sia al
centro (convinzione del medioevo) è anche sotto e la prova è che anche nell’emisfero australe gli
antipodi hanno il cielo sopra di loro. In un commento a questo scritto un autore anonimo dice che
l’esistenza degli antipodi non è in contrasto con la fede. Tentativo di riconciliare scienza e fede.
Prima di Agostino, un altro uomo di chiesta, Ilario di Poiters, mentre scrive un commento al salmo
secondo della Bibbia, commenta il v. 8 che recita “chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in
dominio i confini della terra” e sostiene che il popolo di Dio contiene tutte le razze della terra e che
se tutti i popoli appartengono a Dio, anche le terre sono di Dio. Aggiunge che la regione inferiore
della terra contiene molto abitanti, come insegna l’Apocalisse di Giovanni, capitolo V versetto 3 che
recita “né in cielo, né sulla terra, né sotto la terra, poteva aprire il libro sigillato ” (slide 25).
Secondo Ilario di Poiters Giovanni con “sottoterra” intendeva l’emisfero australe, il popolo
sottoterra non è il popolo sepolto, ma il popolo della parte inferiore del mondo, popolo di vivi.
Questo è importante perché la parte inferiore della terra con il tempo viene associata anche con
l’aldilà che si ricollega al problema della redenzione: se tutte le genti sono di Dio, a tutte le genti è
concessa la redenzione. Aspetto che va legato a una dottrina del cristianesimo orientale di Origene,
dottrina dell’apocatastasi (inferno vuoto, perché Dio salva tutti alla fine dei tempi). In quest’ottica
Dio salverebbe tutti, anche chi non conosce Dio. Il pensiero di Ilario fu così importante al punto
che si deve tenere in considerazione anche la poesia dell’XI secolo Altus Prosator, di San Colomba,
che mette in versi lo stesso pensiero di Ilario di Poiters (slide 25). Scritta in latino ma adattata
anche in volgare irlandese, il che contribuisce a rendere la dottrina degli antipodi molto popolare in
Irlanda.
Nell’alto medioevo, il rifiuto della dottrina degli antipodi si riscontra anche in Beda, autore che vive
a cavallo tra il VII e l’VIII secolo e autore della Historia ecclesiastica gentis anglorum. Beda discute
la dottrina della spartizione del mondo in diverse zone climatiche e confuta l’esistenza degli
antipodi nel suo trattato sul tempo. Beda prova la sua idea che l’emisfero australe non è abitato
ricorrendo ad una auctoritas dell’antichità, la teoria delle 4 zone di Plinio che cita esplicitamente
proprio x dare autorevolezza alla sua teoria.
Altro autore che contribuisce alla discussione è Servio, noto soprattutto come commentatore di
Virgilio. Nell’introduzione al commento (inteso nel medioevo non solo come spiegazione ma anche
come supplemento di notizie per la comprensione dell’opera) al libro VI dell’Eneide, nel V secolo
d.C., Servio dice che Virgilio fonde l’idea del Tartaro (inferno) con l’idea di un emisfero
meridionale, questo secondo Servio perché Virgilio vuole confrontare la dottrina stoica (secondo
cui il sole si spostava da un emisfero all’altro determinando il giorno e la notte) con la dottrina
epicurea (secondo cui l’emisfero meridionale era avvolto nelle tenebre eterne). Servio inoltre
introduce il tema della vita dopo la morte, l’idea che le anime che lasciano l’emisfero boreale
ottengono un nuovo corpo nell’altro. Secondo Servio le anime vengono purgate attraverso i quattro
elementi (fuoco, aria, terra e acqua), passando da terre molto calde e molto fredde per andare nelle
terre di sotto. Servio nel commento sostiene anche che Virgilio ha introdotto questa filosofia del
destino delle anime dopo la morte x licenza poetica.
Servio commenta anche alcuni versi singoli. Il primo verso che commenta è al libro VI, verso 127,
quando Virgilio scrive “la porta dell’oscuro Dite è aperta giorno e notte” le porte dell’inferno.
Contro quest’affermazione di Virgilio, Servio cita il De Rerum Natura di Lucrezio, che si chiedeva
dove potessero collocarsi le regioni infernali se si dice che le regioni in basso siano gli antipodi.
L’inferno non esiste perché se ci sono gli antipodi, non può esserci l’aldilà. Servio commenta i versi
531-33 del libro VI (slide 22), quando durante il colloquio tra Enea e Deifobo, quest’ultimo chiede a
Enea cosa ci faccia lì vivo e che peregrinazioni abbia compiuto per mare. Servio afferma che Enea
sarebbe arrivato non al mondo di sotto, ma al luogo da cui si accede all’altro mondo, cioè il lago
Averno. Questo commento di Servio non chiude la questione perché prima sostiene che Enea non
sia arrivato alla terra di sotto ma poi rettifica dicendo che potrebbe essere anche il contrario e a
sostegno di questo cita teorie scientifiche, usando quindi molte fonti autorevoli per sostenere l’una
o l’altra tesi, come quella di Tiberiano il quale sostiene che sia arrivata nel nostro emisfero una
lettera dagli antipodi trasportata dal vento che dice “coloro che sono sopra salutano quelli che sono
sotto” (Tiberiade) prima testimonianza che noi abbiamo di una sorta di comunicazione tra
antipodi ed emisfero del nord. Elemento del vento importante da mettere in relazione ai confini
naturali che impedivamo la comunicazione tra le due zone: l’unico elemento che poteva
sormontarli è il vento. La lettera ribalta la prospettiva, dicendo che gli antipodi vedono se stessi
come coloro che stanno sopra. Questo rovesciamento di prospettiva avrà altre implicazioni: non
solo geografico, ma anche rovesciamento di mentalità, di valori e di cultura. Con questo si
scontreranno gli esploratori in epoca moderna.
Un ultimo passo di Servio riguarda il libro VII dell’Eneide. Qui un inviato di Enea parla con il re del
Lazio, Latino, versi 226-27 che recitano “rifluito l'Oceano su se stesso, anche se uno lo tien
separato, la zona del sole rovente, stesa in mezzo alle quattro zone”. Secondo Servio questa zona,
per Virgilio, sarebbe gli antipodi Virgilio sta facendo riferimento alla teoria delle 4 zone
climatiche usando termini appropriati mentre Servio sfruttando ciò introduce il tema degli
antipodi Servio opera una trasformazione, anche coloro che sono separati da quella zona torrida
che è al centro delle 4, Virgilio intende gli antipodi Servio introduce l’idea degli antipodi ma al
tempo stesso introduce un lessico specifico, sostituisce al plaga di Virgilio il termine zona e a quem
sostituisce antipodi esplicita il tema degli antipodi.
Alcuni di questi punti sollevati da Servio nel commento all’Eneide vengono ripresi anche nel
commento alle Georgiche. Antipodi che camminano a testa in giù oppure coi piedi girati verso la
schiena, ipotesi molto in voga nel medioevo. Queste due ipotesi suggeriscono un elemento
mostruoso degli antipodi, perché è qualcosa di innaturale. Su questa idea è importante il pensiero
di Isidoro di Siviglia, autore delle Etymologiae, una delle opere più importanti del medioevo, che
nel libro IX capitolo II paragrafo 133, parla degli antipodi intesi come presunta razza mostruosa,
definendo tutto ciò come invenzione dei poeti. Di nuovo nel libro XI capitolo 3 paragrafo 24 parla
degli Etiopi, come mostri dai piedi all’indietro e con otto dita ciascuno. Tutto questo discorso passa
anche nella letteratura. Esiste una tradizione molto nota che riguarda la saga di Re Artù. Stefano di
Rouen nel XII secolo scrive il suo poema arturiano Draco Normannicus (slide 37), che funge anche
da cronaca per il periodo che va dall'XI secolo al 1169. Qui riferisce l’idea di Re Artù come sovrano
degli antipodi. Dal suo regno in questa regione risponde ad una lettera di Roland, un conte bretone
minacciato dai Plantageneti (una casata inglese), mandando le sue truppe in soccorso. In
quest’opera l’autore descrive gli antipodi dettagliatamente, sfruttando tutta la tradizione del mito
degli antipodi, facendo di Artù punto di confluenza di tutte le teorie religiose, filosofiche e
scientifiche a riguardo. Tentando di spiegare come Artù sia finito agli antipodi, racconta che egli
dopo essere stato ferito in battaglia è stato curato ad Avalon da Morgana, che gli ha donato gli
antipodi e l’ha nominato re. Stefano di Rouen fonde il mito per eccellenza del mondo arturiano,
Avalon, e il mito degli antipodi. Regnare sugli antipodi dà ad Artù ancor più potere di Cesare e
Alessandro nel mondo antico cioè L’impero universale di Cesare Augusto e Alessandro sono nulla
rispetto a quello di Artù, che governa sul mondo inferiore, mondo che a volte giunge in aiuto del
nostro. Artù come signore universale di tutto e tutti.
Anche Chretien De Troyes tocca il mito degli antipodi, dove alle nozze di Erec ed Enid, Artù invita
tutto il mondo, compresi gli abitanti degli antipodi e il re Bilz o Billis, che regna sui nani. Qui gli
antipodi non hanno una collocazione geografica precisa, sembrano far parte dell’emisfero
settentrionale ma trattandosi di nani sono assimilabili alle popolazioni mostruose.
Poco prima della nascita di Dante (1265) viene scritta, nel 1245-50, il De Natura Loci di Alberto
Magno che nella sua premessa, non esclude che gli antipodi siano abitati o possano essere abitati.
A questo punto di vista oppone alcune obiezioni, come il caldo intollerabile vicino all’equatore e la
mancanza totale di testimonianze storiche. Considera anche gli argomenti a favore e cita due
autorità: Averroè e Tolomeo. Averroè sosteneva, nel suo commento al IV libro del De cielo et
mundo di Aristotele, quei luoghi sono abitabili. Secondo Averroè tra la zona più calda e quella più
fredda deve necessariamente esserci una zona temperata e quindi abitabile. Cita poi Tolomeo, che
sosteneva che sotto ognuno dei due tropici vivono gli etiopi e la conferma di ciò è data dal poeta
Carite (Cratete di Mallo) e da Omero, che introduce gli etiopi come il popolo presso cui Poseidone
era andato a banchetto. Alberto Magno introduce poi la sua opinione: scarta l’idea che non sia
possibile attraversare i confini che separano il nostro emisfero da quello meridionale dicendo che
secondo alcuni non era possibile attraversare i confini tra i due emisferi per la presenza di un
magnete che risucchiava nel ventre della terra. Non crede in ciò. Fa riferimento anche ad una
spedizione dell’imperatore Augusto, che aveva mandato suoi uomini ad esplorare le zone a sud del
Nilo. Gli uomini di Augusto incontrano una palude dovuta alle esondazioni del Nilo, impossibile da
attraversare a piedi o per nave. Alberto Magno dice anche che, secondo alcuni, ad impedire il
passaggio erano montagne altissime o ripidi deserti. A questo aggiunge che gli sembra difficile da
credere che queste barriere naturali non siano attraversabili, attraversamento difficile ma non
impossibile e per questo secondo lui c’è poca comunicazione tra nord e sud. Magno presenta una
visione che è l’esatto opposto di quella di Agostino, lui crede negli antipodi.
Dante fa riferimento a quest’opera nel Convivio quando descrive del corso del sole. Quest’opera
può anche essere messa in relazione con l’episodio di Ulisse nella commedia: passaggio verso sud è
difficile, ma si può trovare. Ulisse arriva a vedere la montagna del Purgatorio.
Dante – Divina Commedia

Tema dell’esplorazione e del viaggio nella commedia: viaggio aldilà delle colonne d’Ercole, quindi
aldilà del mondo conosciuto. Viaggio che conduce Ulisse fino alla montagna del Purgatorio, ma
anche alla morte. Dante pellegrino riesce invece a raggiungere il Purgatorio. Ciò s’intreccia con le
conoscenze geografiche che Dante narratore aveva allora: tradizione classica (latina e greca) della
terra australis e mistero degli antipodi. L’Ulisse di Dante in qualche modo è figura (termine
“figura” nel senso che ha nell’esegesi biblica, eventi del vecchio testamento letti come profezie che
trovano poi compimento nel nuovo testamento) di esplorazioni vere che verranno condotte di lì in
poi, innanzitutto dell’esplorazione di Colombo, che inizialmente pensava di aver scoperto la
Gerusalemme celeste. Intreccio tra il pensiero filosofico classico e quello cristiano (vedi “L’ombra
di Ulisse” di Piero Boitani). Ulisse muore alla fine del suo viaggio, non arriva alla meta che è la
conoscenza della terra australis perché al tempo di Dante non si pensava che nell’emisfero
meridionale potessero esserci degli abitanti, degli uomini, la questione veniva relegata alle
Mirabilia ovvero alle leggende. Ulisse muore nel tentativo di raggiungere questo mondo australis,
mondo senza gente che altro non è che la montagna bruna del Purgatorio. Il vento che si alza dalla
montagna della bruna crea un turbine che fa affondare la nave di Ulisse. Secondo Cardillo il vento è
una delle prove che nell’antichità si pensava testimoniassero di un mondo abitabile nell’emisfero
australe. Topos con cui l’antichità raffigurava questa possibilità dell’esistenza di un mondo
abitabile nella parte australe.
Dante riesce a raggiungere la montagna del Purgatorio, riesce dove Ulisse fallisce. Il perché Ulisse
fallisce è esplicitato nel canto XXVI dell’Inferno, ottava bolgia, quella dei consiglieri fraudolenti.
Ulisse si trova all’inferno perché è un consigliere fraudolento, per il cavallo di Troia e per il furto
del Palladio. Si trova all’inferno sotto forma di fiamma. Fiamma che condivide con un altro
consigliere fraudolento: Diomede. È una fiamma biforcuta composta dai due, due spiriti dentro la
fiamma. La fiamma rappresenta l’ingegno, la ragione che loro hanno utilizzato per un fine
perverso. Hanno utilizzato il loro desiderio di conoscenza per un fine perverso, sbagliato per
questo Ulisse muore.
Versi 19-22. Dante prova ancora emozione al ricordo dell’incontro con Ulisse. Importante perché il
sentimento di Dante verso quest’anima perduta è ambivalente nei suoi confrontiIl Dante teologo
l’ha collocato all’Inferno, ma il Dante poeta sente un’affinità con il peccatore Ulisse, riconosce una
parte di sé nello spirito del dannato per questo prova emozione, dolore al suo ricordo. In questi
versi c’è la chiave di lettura di tutto il canto: Ulisse che non ha posto freno al suo ingegno, si è
spinto oltre i confini che Dio a posto alla conoscenza umana, che non si è lasciato guidare dalla
virtù che pone un freno all’ingegno. Stesso peccato commesso da Adamo ed Eva, il frutto
rappresenta la possibilità di conoscere il bene e il male, conoscenza che solo Dio può concedere. La
loro volontà di conoscere che supera l’amore per Dio, l’unico che può concedere la vera conoscenza.
L’ingegno umano da solo, senza la volontà divina, non può conoscere il bene e il male.
Ulisse racconta la sua fine, come è morto dal v. 83 in poi. La traiettoria illustrata è quella classica,
segue quella dell’Odissea, a partire dall’abbandono dell’isola di Circe. Menzionata Gaeta, così
chiamata nell’Eneide. Gaeta è il nome che Enea dà al luogo, perché lì muore la sua nutrice, decide
quindi di dargli il suo nome.
I versi 94-96 sono importantissimi che Dante riprende ancora dall’Eneide, Enea ed Ulisse qui si
sovrappongono in alcune ragioni la dolcezza e l’amore che il figlio prova per il padre, la pietà del
vecchio padre (Anchise per Enea, Laerte per Ulisse), l’amore che la moglie prova x il marito
(Penelope) tutte queste ragioni che avrebbero dovuto frenare l’ambizione conoscitiva di Ulisse e
non fargli desiderare qualcosa che esula dall’ingegno umano, sono le stesse ragioni che non
riuscirono a frenare Enea quando dovette abbandonare Troia.
V. 97 egli ha desiderio di fare esperienza delle cose qui Ulisse appare come l’emblema dell’eroe
classico, un eroe pagano che conta sulla propria grandezza, tutta umana e terrena. Vuole
sperimentare tutto della natura del mondo. Da qui in poi Dante si allontana dall’Ulisse
dell’Odissea, con la decisione di Ulisse di rimettersi per mare per puro spirito di curiosità, per
oltrepassare le colonne d’Ercole, i limiti del mondo all’ora conosciuto. Quando Ulisse e i suoi
giungono alle colonne d’Ercole sono già vecchi, hanno impiegato molto tempo (v 106-109). Ulisse
ha piena coscienza di star per fare qualcosa di proibito dal volere divino. Nel rivolgersi ai suoi
compagni dice “O frati” altra citazione dall’Eneide (v 112). Chiede ai suoi compagni di seguirlo in
un’impresa mai tentata prima, non sapendo ancora che era un’impresa impossibile per volere di
Dio. Ulisse, da pagano, non sa, non poteva conoscere il Dio cristiano.
Nei versi 119 e 120 vi è la famosa frase “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e
canoscenza”. Qui Dante riprende un fondamentale precetto della filosofia aristotelica. Incipit della
Metafisica di Aristotele dice “Tutti gli uomini desiderano di conoscere per natura”ovvero la
perfezione dell’animo umano è quindi il raggiungimento della conoscenza, il desiderio di conoscere
è connaturato all’uomo e qui sorge un dubbio ovvero se l’uomo vuole conoscere per natura, perché
Ulisse viene punito per il suo naturale desiderio di uomo? Prima ambiguità.
Anche nell’incipit del Convivio Dante stesso cita Aristotele:
Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente
desiderano di sapere. La ragione di che puote essere ed è che ciascuna cosa, da providenza di
propria natura impinta è inclinabile a la sua propria perfezione; onde, acciò che la scienza è
ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti
naturalmente al suo desiderio semo subietti. (Convivio, Trattato I, Capitolo I)
Felicità raggiungibile solo tramite il compimento della natura umana, esaudire il desiderio di
conoscenza. Il pensiero di Aristotele si scontra con la sapienza e filosofia cristiana perché Aristotele
non era ancora conosciuto nel medioevo, viene riscoperto nel medioevo latino quando nel XII
secolo nella penisola iberica si inizia tutta una traduzione delle opere arabe. Gli arabi conoscevano
le opere di Aristotele, pur attribuendole erroneamente a Platone. L’avvento del pensiero
aristotelico crea un cortocircuito tra pensiero filosofico e pensiero cristiano, perché insinua che la
felicità, la perfezione sia raggiungibile nella vita terrena, in una vita senza Dio. Coloro che seguono
questo precetto sono i cosiddetti aristotelici radicali. I più eminenti erano Sigieri di Brabante e
Boezio di Dacia loro pensano che l’uomo sia felice e possa raggiungere la conoscenza in questa
terra, nella vita terrena.
Ulisse incarna gli aristotelici radicali, le cui teorie vennero condannate a Parigi nel 1270. Teorie
dell’immortalità dell’anima, dell’eternità del mondo (eterno ritorno, che mal si concilia con la
creazione e con l’idea che Dio abbia creato dove prima non c’era nulla). Altro testo da tener
presente è il De Beata Vita di Agostino. Qui, nel prologo, Agostino scrive tutta un’allegoria della
navigazione, allegoria del cammino dell’uomo verso la filosofia, viaggio per arrivare al porto della
filosofia. Percorso pieno di ostacoli, uno di questi è una montagna che può scatenare tempeste.
Montagna simbolo di ὕβϱις (vanagloria, orgoglio, superbia). E’ questo il grande peccato che Ulisse
compie nel tentare di oltrepassare le colonne d’Ercole.
Altro testo da tener presente è la Scolastica di San Tommaso D’Aquino. Egli va contro gli
aristotelici radicali, dicendo che l’uomo non può raggiungere la conoscenza perfetta solo con i suoi
mezzi. L’ingegno deve essere ordinato, raffrenato dalla virtù e dalla volontà di seguire Dio, quindi è
Dio che guida gli uomini verso la conoscenza perfetta che però può raggiungersi solo grazie a lui. In
questa ottica il desiderio di conoscenza di Ulisse è perverso dalla superbia perché crede di poter
fare da solo, senza l’aiuto divino ed ecco quindi che il viaggio di Ulisse si pone come un anti-
esempio x Dante Dante se vuole arrivare al Purgatorio, a Dio e quindi alla conoscenza perfetta
del bene, del male e di tutte le cose non deve fare come Ulisse.
Ai versi 121-123 Ulisse mostra di essere un consigliere fraudolento, avendo convinto i suoi uomini a
seguirlo con le sue capacità oratorie.
Al verso 124 la navigazione si trasforma in “folle volo”. La navigazione si trasforma in volo, per
John Freccero il “folle volo” è anche un’immagine dell’idea neoplatonica del ritorno dell’anima in
volo alla propria origine, cioè a Dio. Remi come ali, altra immagine tratta dall’Eneide (6.19), con
cui Virgilio descriveva il volo di Dedalo.
Dante poteva aver notizia di un viaggio reale lungo la costa dell’Africa, verso sud. Viaggio dei
fratelli Vivaldi del 1261.
A verso 132 “alto passo” è lo stretto di Gibilterra. 5 mesi dopo il passaggio dallo stretto Ulisse vede
la montagna bruna, la montagna del Purgatorio, ma non sapendo che si tratta del Purgatorio pensa
di essere giunto nella terra australis.
Si scatena un “turbo” (v 137) importante perché Aristotele nel Metereologica scrive che il vento
può essere una prova dell’esistenza della terra australis. Il turbo però è anche un qualcosa di
origine biblica. Nel II libro dei Re, quando viene descritta la discesa del carro di Geremia, dalla
sommità della terra si alza un turbine. In un altro episodio Dio parla a Giobbe ex-turbine. Vento
caldo che viene dal sud, detto in latino “auster”, australe. Il turbine è anche presenza divina: vortice
che fa girare il vascello per 3 volte. Ulisse punito da un Dio che non può conoscere. Ulisse pensa
che sia la fortuna ad ucciderlo.
Il viaggio di Ulisse finisce in tragedia, tragedia nel senso letterario della parola, conclusione con
l’intervento di un deus ex machina, di un volere dall’alto cui l’uomo non può farci nulla, non può
contrastare, non dipende da lui la fine tragica. Dante fa riferimento alle imago mundi del suo
tempo x descivere come era inteso il mondo al suo tempo, dette mappe t-o t formata dai due
fiumi e dal Mar Mediterraneo, con Asia al Nord, la o perché si pensava che terra abitata fosse
circondata dall’oceano, in cui Gerusalemme si trova al centro.
È importante che Gerusalemme sia al centro perché Dante inizia a cercare di conciliare la
tradizione classica riguardo la terra australis con quella cristiana infatti pone la Montagna del
Purgatorio all’esatto opposto di Gerusalemme.
Nel canto XXXIV, attraverso Lucifero, e quindi attraverso il centro della terra, Dante giunge alla
montagna del Purgatorio. Da verso 112 in poi vediamo la geografia costruita da Dante. Spiega come
si è creata la montagna del Purgatorio, scrive un trattato di cosmologia. Già il fatto che nella terra
australis Dante ponga il Purgatorio e quindi l’Eden è un qualcosa di assolutamente nuovo che
concilia le conoscenze geografiche con il pensiero cristiano e con la fede. Per Dante il Purgatorio si
crea con la caduta di Lucifero dal Paradiso dopo che Lucifero, l’angelo più bello del paradiso si
ribella a Dio e cade a testa in giù cioè da sotto in sopra, per paura del male ci sono vari movimenti
della Terra. Si creano due movimenti: da un lato la terra si sposta verso l’alto creando la montagna
del Purgatorio. Dall’altro l’oceano s’insinua tra la montagna e Lucifero, come velo che protegge
l’Eden dal male. La terra che riempiva la caverna abitata da Lucifero è quella che si è spostata per
creare la montagna del Purgatorio. Anche Gerusalemme è frutto della caduta di Lucifero. Il mare si
frappone tra bene e male. Questo è in contraddizione con quanto Dante crede nel Quaestio de aqua
et terra, una lezione che aveva tenuto a Verona nel 1320. Difendeva la tesi tradizionale per cui la
sfera terrestre era effettivamente contenuta nella sfera acquea (come nella mappa t-o), che
escludeva la possibilità dell’esistenza di una terra australis, contraddice quanto detto nella
Commedia. Dante, comunque, non spiega il perché di questo cambio idea e perché ritiene possa
esserci una terra australis, questo perché ritiene sia una questione ben al di sopra dell’ingegno
umano. Inconoscibilità delle verità divine, limite epistemologico della scienza naturale ciò segue
una tradizione di studiosi che avevano negato la possibilità degli antipodi, a partire da
Sant’Agostino. Agostino riteneva che Dio non avesse insegnato agli uomini cosa c’era agli antipodi
perché non è una conoscenza utile alla salvezza. Nel De Civitate Dei (16,9) Agostino dichiara che
non ci sono ragioni né storiche né naturali per credere nell’esistenza di una terra o di abitanti nel
sud dell’emisfero. Semplici congetture dell’intelligenza. Idea che tutto il genere umano venga da
Adamo, che non esiste una seconda stirpe e che i discendenti di Adamo non sono stati in grado di
viaggiare fin lì perché Dio ha posto limiti invalicabili.
Altra fonte per Dante è Macrobio, che riprende la divisione in 5 parti della terra dal Metereologica
di Aristotele. La zona temperata che noi abitiamo nell’emisfero settentrionale, per Macrobio,
suppone l’esistenza di una zona ugualmente temperata nell’altro emisfero, quindi perfettamente
abitale. Dante nel canto di Ulisse aveva definito l’emisfero australe “mondo sanza gente”
rifacendosi alle teorie dell’abitabilità o meno della terra australis. L’idea di una stirpe di antipodi,
secondo Isidoro, viene da speculazioni dei poeti (libro IX, 2, 133 delle Etimologie), non ci sono
prove fisiche. Ipotesi poetiche nate da pseudo ragionamenti. Dante nella Commedia crea una
geografia innovativa, crea una cosmologia morale e spirituale. Gerusalemme al centro esatto della
gran secca, come dice la Bibbia (Ezechiele 5,5).
Nel canto I del Purgatorio, già i primi versi ristabiliscono il parallelo con il viaggio di Ulisse.
“Navicella del mio ingegno”. Necessità di appellarsi all’ingegno del poeta e di trovare la forza per
raccontare qualcosa di superiore, di più alto dell’inferno, di conseguenza con un linguaggio più
adeguato. Dolcezza del colore zaffiro, in contrasto con l’Inferno che era aspro primo elemento
che caratterizza la nuova terra, mite senza alcuna durezza, dolce perché tale è l’animo che si rivolge
a Dio. Lo zaffiro è di colore azzurro che all’epoca ricordava il cielo.
Dante vede delle stelle nuove (v 25-27), che potrebbero essere la Croce del Sud, stelle che gli
uomini dell’altro emisfero usano per orientarsi al posto della stessa polare. Questo è solo
un’interpretazione ma ciò che è sicuro è che le quattro stelle rappresentano le virtù cardinali:
prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, virtù che Dante deve seguire x ascendere a Dio.
Secondo Boitani l’Ulisse dantesco che muore in Dante diventa figura di vere esplorazioni. Nel
Rinascimento Ulisse viene resuscitato dai navigatori e considerato un pioniere. Il primo a
rivalutare Ulisse nel XV secolo è Benvenuto da Imola, commentatore della Commedia, che ammira
Ulisse senza condannarlo, comprende la novità dell’Ulisse dantesco. Anche Luigi Pulci, nel
Morgante, loda Ulisse. Morgante fu iniziato nel 1461 e pubblicato nel 1484, tre anni prima che
Bartolomeo Diaz doppiasse il Capo di Buona Speranza. La scoperte delle nuove terre riabilita
Ulisse. La consacrazione più importante arriva nella Gerusalemme Liberata di Tasso. L’errare di
Rinaldo viene paragonato all’Odissea, dove Sveno appare come un Ulisse dantesco cristianizzato e
Ubaldo come Ulisse omerico. Tasso conosceva benissimo Dante e fa navigare Carlo e Ubaldo,
condotti dalla fortuna, sulla rotta di Inferno XXVI, verso Occidente attraverso il “corto varco” di
Gibilterra. Critica ai limiti posti dal Medioevo alla conoscenza. Condanna per bocca di Fortuna.
Diventa profezia delle scoperte future. Tasso fa riferimento alla circumnavigazione di Magellano,
che imita e supera Ulisse. Ulisse diventa figura di Colombo, Colombo è il significato, il
compimento. Dopo la Gerusalemme Liberata, un altro esegeta della Divina Commedia, Bernardino
Daniello, che nota che l’opinione degli antichi secondo cui non si poteva oltrepassare lo stretto di
Gibilterra, è stata dimostrata falsa e vana. Daniello lega l’Ulisse dantesco alla realtà a lui presenta, e
in maniera figurale ad una profezia dell’età classica, contenuta in Medea di Seneca. Tifi, timoniere
degli Argonauti, figura di Ulisse, che è figura di Colombo. Altro compimento di Ulisse è Amerigo
Vespucci, dal cui nome l’Europa battezza la Nova Terra. Lui stesso legge i suoi viaggi rifacendosi a
Dante. Identifica le quattro stelle con la Croce del Sud, come farà poi Antonio Pigafetta.
Relazione di Antonio Pigafetta

Relazione di Antonio Pigafetta sulla prima circumnavigazione del globo, iniziato sotto la guida di
Magellano e terminato con la guida di Elcano, poiché Magellano viene tragicamente ucciso. Viaggio
che si svolge tra il 1519 e il 1522. L’opera di Pigafetta viene pubblicata tra il 1524 e il 1525 ed è
scritta in parte ex-post, dopo il ritorno dal viaggio. Pigafetta, al suo ritorno, dona una copia del suo
diario di bordo al re di Spagna. Le date sono importanti perché il resoconto di Pigafetta è stato
fondamentale x la letteratura e cultura europea, nel Rinascimento e oltre.
Importante è l’immagine che Stradanus crea dell’impresa di Vespucci nel nuovo mondo. È
importante perché sulla sinistra inserisce Dante, dicendo che nel 1300 descrisse le quattro stelle
antartiche (canto I del Purgatorio). In Dante queste quattro stelle sono oggetto di una
interpretazione morale e allegorica x cui rappresentano le 4 virtù, a distanza di un secolo invece gli
esploratori identificano quelle stelle con quelle dell’emisfero astrale. Quindi nell’era delle grandi
scoperte geografiche Dante è diventato una sorta di profeta per gli esploratori, avendo immaginato
un mondo agli antipodi e non solo, avendo rielaborato la figura di Ulisse, rendendolo il modello
dell’esploratore moderno, come riteneva Vespucci stesso. Stradanus interpreta le quattro stelle
come rappresentazione della Croce del Sud, costellazione dell’emisfero australe da quindi una
prima rappresentazione del cielo diverso nell’altro emisfero. Inoltre Vespucci è uno dei modelli cui
s’ispira Pigafetta.
Pigafetta dedica la sua opera a Filipo de Villers L’Isle Adam. Inizia la sua opera spiegando le ragioni
e lo scopo per cui sta scrivendo l’opera. Lo scopo del viaggio per Pigafetta, non è solo scoprire il più
possibile e fare esperienza, ma anche guadagnare la fama tra i posteri. Il desiderio della fama che
rientra nel clima del Rinascimento Scopo che raggiungerà. A lui si ispireranno Torquato Tasso e
Gabriel Garcia Marquez, quest'ultimo menziona la straordinaria accuratezza con cui Pigafetta
aveva descritto i luoghi da lui visitati nel suo discorso per il premio Nobel nel 1983. Considerato
uno dei suoi resoconti di viaggio più attendibili, soprattutto perché si pone a metà tra letteratura e
scienza ma anche x la straordinaria attenzione che Pigafetta rivela non tanto sui modi e sui mezzi
della navigazione, ma soprattutto all’incontro con l’altro da sé infatti uno degli elementi che più
attraggono Pigafetta è il linguaggio delle popolazioni che incontra. Come dice Leed in “La mente
del viaggiatore” il desiderio di fama è un modo di sopravvivere a se stessi, sopravvivere alla propria
morte, è insito in tutta la letteratura di viaggio. Si racconta il proprio viaggio x lasciare
testimonianza e rimanere in vita tra i posteri, desiderio di perpetuare il transitorio.
La Gerusalemme liberata di Tasso ha avuto una genesi travagliata. Pare che Tasso abbia iniziato a
scriverla in gioventù, intorno al 1559 o 1560 e che prima della pubblicazione abbia rivisto tutto il
poema, togliendo alcuni episodi. Pubblicato solo nel 1581. Nella prima versione, ci sono quindi
episodi che sono stati poi tolti ma non distrutti, raccolti dalla critica sotto il nome di “Ottave
Estravaganti”. Tra queste c’è una versione del viaggio di Carlo e Ubaldo verso l’isola di Armida che
non corrisponde a quella che noi oggi leggiamo nel canti XV della Gerusalemme Liberata perché la
barca avventurosa di Carlo e Ubaldo non si ferma alle Isole Fortunate, ma procede e costeggia il
Sud America. Carlo e Ubaldo incontrano quindi gli Antropofagi e Patagongiganti, resi famosi in
occidente da Pigafetta segno di quanto l’opera di Pigafetta fosse diventata famosa già a
pochissimi anni dalla pubblicazione. Ci sono anche due passi de “La Tempesta” di Shakespeare in
cui Caliban (il mostro che vive sull’isola, prigioniero di Prospero), menziona per due volte Setebos,
una sorta di diavolo che veniva menzionato da Pigafetta nella descrizione della reazione di due
giganti Patagoni quando si resero conto che erano stati ingannati da Magellano.
CALIBAN
I must obey. His art is of such power
It would control my dam’s god, Setebos,
And make a vassal of him.
(The Tempest, Act I, Scene 2, 448-450)
CALIBAN
O Setebos, these be brave spirits indeed! How
fine my master is! I am afraid he will chastise me.
(The Tempest, Act V, Scene 1, 315-316)
Questi due riferimenti a Setebos costituiscono un collegamento tra Shakespeare e l’opera di
Pigafetta, che era stata tradotta in inglese nel 1555.
Il passo di Pigafetta in questione è a paragrafo 29 della relazione, dove Magellano mette in ceppi i
Patagoni, che invocano l’aiuto di Setebos. In una delle prime liste di nomi che Pigafetta aveva
inserito nella sua relazione (paragrafo 39) Setebos era definito “Il grande diavolo”, e come tale
viene ripreso da Shakespeare. Tra le ragioni della fortuna della relazione di Pigafetta c’è il fatto che
durante il Rinascimento in Italia si era sviluppata una tradizione culturale letteraria americanista,
interessata al Nuovo Mondo e Pigafetta si inserisce in questa tradizione ma in un certo senso ne
anche sancisce la fine cioè dopo di lui questa tradizione americanista si affievolisce. Altro aspetto
che contribuisce alla fama del libretto è l’uso del meraviglioso, tratto costitutivo della tradizione del
racconto di viaggio. Il libretto di Pigafetta risente molto anche dell’ambiente delle corti
rinascimentali italiane in cui cresce, si diffonde. La fama è dovuta sia alle gesta eroiche, alle
meraviglie che Pigafetta racconta, nonché al fatto storico ma anche x il fatto che l’opera matura
nell’ambiente di cortenegli anni in cui in Italia si discute, con Bembo, della questione della
lingua, anni in cui compaiono l’Arcadia di Sannazzaro, il Principe di Machiavelli, l’Orlando Furioso
di Ariosto. Soprattutto il libretto di Pigafetta nasce in un momento di profonda crisi politica e
culturale in Italia. È il periodo in cui Francia e Spagna che si contendono la penisola, faida che
culmina con il Sacco di Roma nel 1527. La conseguenza immediata di tutto questo è che l’Italia, dal
punto di vista politico, viene a trovarsi ai margini dell’Europa, anche per quanto riguarda i viaggi di
scoperta ed esplorazione. Come tutte le grandi opere di letteratura italiana del Rinascimento,
l’opera di Pigafetta supera i confini dell’Italia, gode di una fama europa. All’egemonia politica del
resto d’Europa, l’Italia risponde con l’egemonia culturale. Il libello di Pigafetta è espressione della
cultura di corte, parte della letteratura di corte nata a fine ‘400 e che si estende fino alla metà del
‘500. Presenza della questione linguistica, che riflette la natura cosmopolita di questa cultura di
corte. L’opera di Pigafetta si pone in contrasto con quanto nello stesso periodo andava affermando
Pietro Bembo con le Prose della volgar lingua riguardo la questione della lingua. Mentre Bembo
invocava un ritorno alla lingua di Petrarca e Boccaccio, Pigafetta propone una lingua, il volgare, e
porta all’attenzione dell’Europa e delle corti italiane anche il problema della lingua altruiuno
degli aspetti più interessanti dell’opera di Pigafetta sono proprio le lunghe liste di termini delle
popolazioni native a cui affianca la traduzione in italiano importante perché ancora oggi i
vocabolari di Pigafetta sono considerati estremamente validi e accurati (ad esempio il vocabolario
che stila per la lingua del Mali, parlata ancora oggi, è considerato tuttora sufficientemente valido).
E’ importante anche tenere presente due sottogeneri della letteratura di viaggio che confluiscono in
Pigafetta: la tradizione americanista più recente e la tradizione orientalista. Pigafetta fa riferimento
ai molti libri di viaggio letti prima di partire, anche se è difficile stabilire quali abbia letto. Possiamo
supporre che uno di questi sia Paesi nouamente retrouati et Nouo Mondo da Alberico Vesputio
Florentino intitulato di Fracanzio da Montalboddo, libro che contiene i viaggi di Vespucci, ma
anche quelli di Cadamosto (veneziano che per conto del re portoghese compie un viaggio nell’Africa
occidentale e al quale viene attribuita la scoperta delle isole di Capoverde), Colombo e Cabral (che
nel 1500 pare abbia scoperto il Brasile). Vespucci è quello a cui Pigafetta sembra ispirarsi di più.
Altri scrittori americanisti italiani sono Scillacio, autore del De Insulis (tradizione degli isolari, con
la quale pure Pigafetta mostra affinità) e Michele da Cuneo, autore di una lettera a Gerolamo
Annari. Pigafetta rappresenta il momento culmine di tutta questa tradizione del Rinascimento
italiano perché da un lato racchiude le caratteristiche principali di quella tradizione come la
prospettiva eroica dalla quale raccontare i fatti ma al tempo stesso Pigafetta è assolutamente
distaccato dal commercio con gli indigeni e dalle questioni politiche, particolarmente evidente nella
descrizione dei due ammutinamenti, soprattutto quello che avviene il giorno prima che le navi
attraversino lo stretto di Magellano. Altro tratto che ritroviamo della letteratura rinascimentale dei
viaggi è l’uso del meraviglioso, legato all’ incontro con l’altro Pigafetta mostra un grande
interesse x chi è diverso da sé a differenza di molti resoconti di viaggio per Pigafetta gli esseri che
incontra sono esseri umani, seppur primitivi, e non subumani o animali come avviene invece in
altri resoconti. Atteggiamento di assoluta tolleranza nei confronti degli idigeni. Non dice quasi
nulla, invece, dei suoi compagni di viaggio. Molto attento invece ai suoi rapporti con gli indigeni,
quello che succede con loro, ad esempio è interessate quello che dice del suo rapporto con i
Patagoni incontrati in Argentina (paragrafo 36):
“Essendo entrati in questo stretto, trovassemo due bocche, una al scirocco, l'altra al garbino. Il
capitano generale mandò la nave Santo Antonio insieme con la Concezione per vedere se quella
bocca, che era verso scirocco, aveva esito nel mare Pacifico. La nave Santo Antonio non volle
aspettare la Concezione, perché voleva fuggire per ritornare in Ispagna, come fece. Il piloto de
questa nave se chiamava Stefan Gomes, lo quale odiava molto lo capitan generale, perché,
innanzi [che] si facesse questa armata, costui era andato da lo imperatore per farse dare alcune
caravelle per discovrire terra; ma per la venuta del capitano generale sua magestà non le li dette.
In questa nave era l'altro gigante, che avevamo preso, ma, quando entrò nel caldo, morse. La
Concezione, per non poter seguire questa, la aspettava andando di qua e di là. La Santo Antonio a
la notte tornò indietro e se fuggì per lo medesimo stretto”. (Paragrafo 36)
Si preoccupa di narrare la morte del prigioniero, molto di più di quanto si preoccupa di narrare
dell’ammutinamento dei suoi compagni. Allo stesso modo è interessato ad esempio a raccontare
dell’amicizia che ha stretto con l’altro gigante della Patagonia, quello da cui si fa spiegare le parole
per redigere il vocabolario (paragrafo 40): “Me disse questi vocaboli quel gigante, che avevamo
nella nave, perché domandandome capac, cioè pane, che così chiamano quella radice che usano
loro per pane, e oli, cioè acqua, quando el me vide scrivere questi nomi, domandandoli poi de li
altri con la penna in mano, me intendeva. Una volta feci la croce e la baciai, mostrandogliela.
Subito gridò Setebos, e facemi segno, se più facessi la croce, [che] me intrerebbe nel corpo e
farebbe crepare. Quando questo gigante stava male, domandò la croce abbracciandola e
baciandola molto. Se volle far cristiano innanzi la sua morte. El chiamassemo Paolo. Questa
gente quando voleno far fuoco, fregano uno legno pontino con un altro, in fine che fanno lo fuoco
in una certa medolla d'arbore, che è fra questi due legni”.
Questa attenzione che mostra x gli indigeni non la dimostra nei confronti dei compagni, con i quali
è molto più intollerante, molto duro nei giudizi, che potrebbe indicare anche un assoluta non
curanza nei confronti degli europei.
La stessa cosa succede dopo la morte di Magellano, Pigafetta menziona a stento i nuovi
comandanti, li rende partecipi della tragedia epica, della morte di Magellano, dopodiché su di loro
cala il silenzio. Questo aspetto ci riporta anche al tema della fama perché stendere il silenzio su
Elcano e gli altri comandanti della spedizione significa anche condannarli all’oblio. Rende famosi i
giganti patagoni e nega la fama ai suoi compagni, e lo fa in piena consapevolezza.
Altra tradizione che confluisce nel libro di Pigafetta è quella orientalista, dovuta ai legami
dell’opera con gli isolari, che fino alla scoperta del Nuovo Mondo riguardavano perlopiù le isole del
mediterraneo orientale. Tradizione che lui stesso richiama proprio nel parafgrafo iniziale
innanzitutto con la presenza di Francesco Chieregato, colui che portò Pigafetta in Spagna.
Significativa anche la dedica dell’opera a Filipo de Villers l’Isle d’Adam. Chieregato, per il suo
amore per le cose americane, finisce in una novella di Bandello, 34 del libro I, in cui appare a corte
di ritorno dal Portogallo e intrattiene gli ospiti parlando delle meraviglie viste nel Nuovo Mondo.
Contrapposizione tra le usanze del Vecchio e del Nuovo Mondo. Usanza di accogliere un forestiero
permettendogli di giacere con la moglie più bella. Gelosia molto diversa, mentre nel vecchio mondo
era motivo di scontro e duelli, nel nuovo mondo la gelosia è un onore che la propria moglie giaccia
con uno straniero. Questo ci da un’immagine del Nuovo Mondo come paradiso dei piaceri, in
contrasto con il vecchio ondo, con l’Europa che all’epoca era religiosa e travagliata da problemi
legati alla religione (Riforma, Protestantesimo). Chiericato, patrono di Pigafetta, è egli stesso
autore di resoconti di viaggio, uno in particolare dedicato ad Isabella d’Este che racconta di un
viaggio in Irlanda. E’ a Isabella d’Este che Chiericati raccomanda Pigafetta quando torna dalla
spedizione per la pubblicazione del libello. Anche i resoconti di Chiericati oscillano tra
l’esplorazione critica dei territori e l’entusiasmo per il meraviglioso.
L’opera è dedicata a Filipo de Villers l’Isle Adam è uno dei cavalieri dell’ordine di Rodi, è un
orientalista, rappresentante di quel tipo di tradizione. La dedica appare in un momento storico
cruciale per l’ordine dei cavalieri di Rodi, ordine degli ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme,
che rappresentavano la frontiera del Cristianesimo ad oriente. I cavalieri, per lotte intestine, sono
costretti a fuggire da Rodi, inizialmente si rifugiano in Italia (a Viterbo), poi a Malta questo
rivolgimento ha ripercussioni anche in Europa, soprattutto per quanto riguarda il potere del
Cristianesimo nel mediterraneo, perché la fuga dei cavalieri da Rodi significa abbandonare l’oriente
al proprio destino x quanto riguarda la religione. Questo si riflette anche nel racconto della
circumnavigazione del globo da parte di Pigafetta questo legame è dovuto proprio al dialogo
continuo che Pigafetta instaura con gli isolari durante la stesura. Gli eventi che si condensano
intorno alle figure di questi due patroni rappresentano lo sfondo letterario e ideologioco dal quale
prende forma il libro di Pigafetta, perché suggerisce una prospettiva di lettura.
“Perché sono molti curiosi, illustrissimo ed eccellentissimo signor, che non solamente se
contentano de sapere e intendere le grandi ed ammirabili cose che Dio me ha concesso di vedere e
patire ne la infrascritta mia longa e pericolosa navigazione, ma ancora vogliono sapere li mezzi e
modi e vie che ho tenuto ad andarvi, non prestando quella integra fede a l'esito se prima non
hanno bona certezza de l'inizio; pertanto saperà vostra illustrissima signoria, che, ritrovandomi
nell'anno della natività del Nostro Salvatore 1519 in Spagna, in la corte del serenissimo re dei
Romani con el reverendo monsignor Francesco Chieregato, allora protonotario apostolico e
oratore de la santa memoria di papa Leone X, che per sua virtù dappoi è asceso a l'episcopato de
Aprutino e principato de Teramo, avendo io avuto gran notizia per molti libri letti e per diverse
persone, che praticavano con sua signoria, de le grandi e stupende cose del mare Oceano,
deliberai, con bona grazia de la maestà cesarea e del prefato signor mio, fa esperienzia di me e
andare a vedere quelle cose, che potessero dare alcuna satisfazione a me medesimo e potessero
partorirme qualche nome appresso la posterità”. (Paragrafo 2).
Nel paragrafo 2 dell’opera, Pigafetta presenta gli eroi del racconto, lui stesso e Magellano, che
incarnano i due aspetti principali del viaggio: narrazione ed esplorazione. Pigafetta è molto attento
a mantenere gli equilibri tra i due personaggi. Pigafetta presenta Magellano come figura del buon
pastore (richiamo biblico) e del buon cavaliere (richiamo alla letteratura di corte). È importante il
modo in cui Pigafetta esalta la figura di Magellano, il trattamento epico della morte di Magellano
che avviene quasi a metà del libro, dalla quale emerge la figura eroica di Magellano come il primo
ad aver circumnavigato il globo. Cosa che però gli viene negata dal destino mentre gli viene
affidata questa missione, allo stesso modo gli viene negata perché muore prima di portare a
compimento l’opera, qui c’è l’aspetto epico-tragico.
“Questi, conoscendo lo capitano, tanti se voltorono sopra de lui, che due volte li buttarono lo
celadone fora del capo; ma lui, come buon cavaliero, sempre stava forte. Con alcuni altri più de
una ora così combattessemo e, non volendosi più ritirare, uno Indio li lanciò una lanza de canna
nel viso. Lui subito con la sua lancia lo ammazzò e lasciogliela nel corpo; volendo dar di mano
alla spada, non potè cavarla, se non mezza per una ferita de canna [che] aveva nel brazzo.
Quando visteno questo tutti andorono addosso a lui: uno con un gran terciado (che è como una
scimitarra, ma più grosso), li dette una ferita nella gamba sinistra, per la quale cascò col volto
innanzi. Subito li furono addosso con lancie de ferro e de canna e con quelli sui terciadi, fin che lo
specchio, il lume, el conforto e la vera guida nostra ammazzarono. Quando lo ferivano, molte
volte se voltò indietro per vedere se èramotutti dentro ne li battelli: poi, vedendolo morto, al
meglio [che] potessemo, feriti, se ritrassemo a li battelli, che già se partivano. Lo re cristiano ne
avrebbe aiutato, ma lo capitano, innanzi [che] desmontassimo in terra, gli commise [che] non si
dovesse partire dal suo balangai e stesse a vedere in che modo combattevamo. Quando lo re
seppe come era morto, pianse. Se non era questo povero capitano, niuno de noi si salvava ne li
battelli, perché, quando lui combatteva, gli altri si salvavano ne li battelli”. (Paragrafo 98).
Questa è la morte epica e tragica di Magellano, colui che fino alla fine protegge i suoi uomini e il re
del luogo convertitosi al cristianesimo. Nel momento della morte viene riconosciuto da Pigafetta
come specchio, luce, conforto e guida. Nessun altro compagno riceve un trattamento del genere,
neanche lontanamente simile. Riserva solo a sé stesso uno spazio altrettanto importante, al
paragrafo 3. Pigafetta presenta se stesso come un patrizio e cvaliere di Rodi, quasi al pari di
Magellano. Se la morte di Magellano viene descritta in termini epici come una sorte di martirio
cristiano, anche Pigafetta non può essere da meno e quindi racconta un episodio in cui lui stesso
rischia di morire, altrettanto importante.
“Nel luni santo, a venticinque de marzo, giorno de la Nostra Donna, passato mezzodì, essendo di
ora in ora per levarsi, andai a bordo della nave per pescare, e, mettendo li piedi sopra una
antenna per discendere ne la mesà di guarnigione, me slizegarono li piedi perchè era piovesto, e
così cascai nel mare che niuno me vide. E essendo quasi sommerso, me venne ne la mano sinistra
la scotta de la vela maggiore, che era ascosa ne l'acqua: me tenni forte e comensai a gridare,
tanto che fui aiutato con lo battello. Non credo già [che] per miei meriti, ma per la misericordia di
quella fonte di pietà, fossi aiutato. Nel medesimo giorno pigliassemo tra il ponente e garbin infra
quattro isole: Cenalo, Hiunanghan, Ibusson e Abarien”. (Paragrafo 55)
Per rendere questo episodio semplice più solenne, lo lega alla Vergine Maria, non è un caso che
avvenga il giorno dell’annunciazione. A lei attribuisce la sua salvezza, non ai suoi compagni che
sono intervenuti in suo soccorso, bensì all’intercessione della Vergine.

La struttura dell’opera di Pigafetta è volta a far apparire le varie imprese come prove eroiche.
Stessa impostazione si ritrova quando Pigafetta racconta di essere sopravvissuto alla traversata del
Pacifico, mentre invece diciannove uomini sono morti e altri si sono ammalati. C’è l’idea di eroismo
e trionfalismo di Pigafetta rispetto agli altri membri, dell’essere sopravvissuto a tanto, che emerge
in particolare quando descrive la morte di Magellano e si definisce come l’unico testimone degno di
raccontare gli eventi. Pigafetta oltre a celebrare la sua esperienza come membro dell’equipaggio,
celebra se stesso e la sua impresa di scrittore. Per confermare lo statuto eroico della sua impresa,
come Vespucci, è attento a menzionare tutti i grandi personaggi della storia che in qualche modo
possono legittimare la sua impresa (patroni). Infatti nel paragrafo 2 cita l’imperatore e il papa, che
avrebbero dato il benestare al suo viaggio. C’è anche un’ allusione a papa Clemente, che riguarda
un momento a viaggio concluso Il papa si sarebbe offerto di sostenere la pubblicazione del
libello. Questa strategia di legittimazione della propria impresa è un luogo comune che ricorre in
diverse occasioni, ad esempio compare nella lettera di Vespucci a Soderini, che dice di aver fatto i
suoi due viaggi su richiesta del re di Castiglia, Fernando VI e poi di Re Manuel del Portogallo, per
legittimare la sua impresa agli occhi del cardinal Soderini. In Pigafetta questo tentativo di
legittimazione avviene una seconda volta, nell’ultimo paragrafo dell’opera, al punto che si potrebbe
dire ci sia una narrazione circolare. Topos dell’invocazione a Dio. La narrazione torna al contesto
cortese dal quale aveva preso il via.
“Partendomi da Siviglia, andai a Vagliadolid, ove appresentai a la sacra maestà de don Carlo,
non oro nè argento, ma cose da essere assai apprezzate da un simil signore. Fra le altre cose li
detti uno libro, scritto de mia mano, de tutte le cose passate de giorno in giorno nel viaggio
nostro. Me ne partii de lì al meglio [che] potei; e andai in Portogallo e parlai al re don Giovanni
de le cose [che] aveva vedute. Passando per la Spagna venni in Franza; e feci dono de alcune cose
de l'altro emisfero a la madre del cristianissimo re don Francesco, madama la reggente. Poi me
ne venni ne la Italia, ove donai per sempre me medesimo e queste mie poche fatiche a lo inclito e
illustrissimo signor Filippo de Villers Lisleadam, gran maestro de Rodi dignissimo”. (Paragrafo
208)
Pigafetta dopo il suo viaggio, nel ritorno fa il giro delle corti, raccontando di aver narrato le sue
imprese e scoperte modo di legittimare il suo viaggio agli occhi del lettore e sottolineare
l’interesse dell’Europa per la sua impresa. Diversamente da Vespucci, il cui viaggio era stato
commissionato su richiesta dei Re, Pigafetta invece fa un tour al ritorno. Questo è importante
perché rispetto alla prima impresa di Colombo, nel 1492, che si riteneva “inventore” del nuovo
mondo, Pigafetta non si ritiene inventore ma degno testimone oculare. In Colombo coincidono
esploratore e scrittore, in Pigafetta no. A metà strada si pone Vespucci, che contribuisce
all’invenzione letteraria del Nuovo Mondo, ma nei suoi scritti confluiscono anche le sue conoscenze
geografiche e la sua esperienza come navigatore. Questo modo di raccontare il mondo nuovo in
Italia tramonta perché emerge con Pigafetta (30 anni dopo la scoperta dell’America) il testimone
oculare che vive a bordo della nave questo modo di raccontare la spedizione riflette anche le
condizioni storiche dell’Italia, cioè la marginalizzazione dell’Italia x quanto riguarda le grandi
scoperte e il suo ruolo nel Mediterraneo. La fama di Pigafetta come testimone e scrittore di
un’impresa storica che non è stata voluta dagli italiani ma dalle potenze iberiche che erano emerse
a seguito della scoperta dell’America, esemplifica il carattere umanistico e letterario del modo con
cui il rinascimento italiano risponde all’età delle scoperte. Mentre gli altri facevano i fatti,
esploravano, l’Italia si limita a narrare e rimaneva al di fuori delle scoperte i grandi protagonisti
erano Spagna e Portogallo, che si erano spartiti il mondo con il trattato di Tordesillas, a opera del
papa.
Questa risposta letteraria dell’Italia si inserisce in un altro discorso che riguarda la funzione della
letteratura di viaggio. Pigafetta, come vediamo nel paragrafo 4, concepisce la letteratura di viaggio
come intrattenimento, letteratura disimpegnata.
“E perchè ne l'esser mio in Italia, quando andava a la santità de papa Clemente, quella per sua
grazia a Monteroso verso di me si dimostrò assai benigna e umana e dissemi che li sarebbe grato
li copiassi tutte quelle cose [che] aveva viste e passate nella navigazione, benchè io ne abbia avuta
poca comodità, niente di meno, secondo il mio debil potere, li ho voluto satisfare. E così li offerisco
in questo mio libretto tutte le vigilie, fatiche e peregrinazioni mie, pregandola, quando la vacherà
dalle assidue cure rodiane, si degni trascorrerle; per il che mi parerà esser non poco rimunerato
da vostra illustrissima signoria, a la cui bona grazia mi dono e raccomando”. (Paragrafo 4)
Questo ha a che fare con la tradizione del meraviglioso. Anche questo atteggiamento ha un
precedente in Vespucci, che rivolgendosi a Soderini, diceva quasi la stessa cosa. Invitava Soderini a
rilassarsi con il suo resoconto di viaggio. Letteratura di viaggio intesa come icreativa, non per
questo però senza utilità. Geografia, usi e costumi dei popoli (antropofagia, modo di trattare i
morti, eccetera). Letteratura che mentre intrattiene fornisce anche informazioni sui luoghi visitati
da chi racconta la storia. In questo senso uno degli elementi importanti di questa letteratura è l’ uso
del meraviglioso dovuto al fatto che questa letteratura nasce a corte e alle corti è destinata.
Meraviglioso motivo per cui il resoconto di Pigafetta acquista fama, e non quello di Massimiliano
Transilvano (uno dei primi a raccontare di Magellano raccogliendo le testimonianze di chi era a
bordo). Pigafetta rende il resoconto godibile. Questo elemento del meraviglioso compare fin da
subito, ad esempio quando arrivano alle Canarie, all’inizio del viaggio.
Saperà Vostra illustrissima signoria che in quelle isole de la Gran Canaria c'è una in tra le altre,
ne la quale non si trova pur una goccia de acqua che nasca, se non [che] nel mezodí [si vede]
discendere una nebola dal cielo e circonda uno grande arbore che è nella detta isola, stillando
dalle sue foglie e rami molta acqua; e al piede del detto arbore è addrizzata in guisa de fontana
una fossa, ove casca l'acqua, de la quale li uomini abitanti e animali, cosí domestici come
salvatici, ogni giorno de questa acqua e non de altra abbondantissimamente se saturano.
(Paragrafo 10).
Prima descrizione di elementi e oggetti meravigliosi ma è importante anche perché il meraviglioso
entra nella storia di Pigafetta grazie a Colombo, il primo a parlare di questo presunto albero della
pioggia fu Colombo, riferimento che ogni lettore colto del 500 avrebbe colto e apprezzato. A
Colombo si devono molti altri elementi che Pigafetta riprende. Questa descrizione dell’albero
dell’acqua è importante perché nella narrazione, tanto in Colombo quanto in Pigafetta, segna il
passaggio dal vecchio al nuovo mondo. Altre meraviglie descritte sono le tempeste straordinarie, i
fuochi di Sant’Elmo, animali dalle forme favolose e via dicendo.
C’è un passo molto importante, ripreso poi da Tasso, che riguarda la famosa caccia dei pesci:
“Acciò che vostra illustrissima signoria il creda, quando éramo in questo stretto, le notte erano
solamente de tre ore e era nel mese d'ottobre. La terra di questo stretto a man manca era voltata
al scirocco e era bassa. Chiamassemo a questo stretto el stretto patagonico, in lo qual se trova,
ogni mezza lega, securissimi porti, acque eccellentissime, legna se non di cedro, pesce, sardine,
missiglioni e appio, erba dolce, ma ce n'è anche di amare; nasce attorno le fontane, del quale
mangiassimo assai giorni per non aver altro. Credo non sia al mondo el piú bello e miglior
stretto, come è questo. In questo mar Oceano se vede una molto dilettevole caccia de pesci. Sono
tre sorte de pesci longhi uno braccio e più, che se chiamano doradi, albacore e boniti, li quali
seguitano pesci che volano, chiamati colondrini, longhi un palmo e più; e sono ottimi al
mangiare. Quando quelle tre sorte trovano alcuni di questi volanti, subito li volanti saltano fora
de l'acqua e volano, finchè hanno le ale bagnate, più d'uno trar di balestra. Intanto che questi
volano, gli altri li corrono indietro, sott'acqua, a la sua ombra. Non sono così presto cascati ne
l'acqua, che subito li pigliano e mangiano: cosa invero bellissima da vedere”. (Paragrafo 38).
Una caccia tra pesci, in cui il pesce che rimane in acqua segue l’ombra del pesce che vola e quando
cade in acqua lo mangia È una descrizione importante che segna momento di svolta per la
spedizione, passaggio attraverso quello che poi verrà chiamato Stretto di Magellano ma segna
l’alterità del Nuovo Mondo rispetto al vecchio. Stesso fine raggiunto tramite altre strategie, come
nel racconto del primo incontro con i nativi, basato sull’ autorità di Colombo e Vespucci (paragrafi
dal 16 al 22).
Anche la descrizione dei giganti Patagoni non è una pura invenzione di Pigafetta, ma si ispira a
Vespucci, che nella lettera a Soderini e nel Mundus Novus descriveva i giganti americani.
L’attenzione che Pigafetta da alla descrizione dei nuovi luoghi cozza con lo scarso interesse nei
confronti della vita a bordo, noi non sappiamo quasi nulla dei compagni, di quello che succede a
bordo, nemmeno del tentativo di ammutinamento a Puerto San Julian raccontato in maniera
sbrigativa e superficiale. Questo costa a Pigafetta molte critiche. Uno dei più autorevoli critici e
studiosi di Magellano, Guillemard (autore della vita di Magellano), accusa Pigafetta di esser stato
troppo superficiale ed impreciso nel narrare l’ammutinamento, che lui invece narra con dovizia di
particolari. Critica anche all’uso del meraviglioso, alla tendenza all’esagerazione nelle descrizioni
dei luogi, dei popoli eccetera, soprattutto da parte di Oviedo. Queste critiche perdono di vista il
fatto che il libello non vuole fare storia, ma essere ricreativo, e Pigafetta non nasconde questo
aspetto.
L’elemento del meraviglioso è dovuto anche alla curiosità insaziabile di Pigafetta. Ad esempio la
descrizione dell’albero della cannella:
“Poi al levante, quarta di greco, passassemo tra due abitazioni, dette Cavit e Subanin e una isola
abitata, detta Monoripa, lungi X leghe da li monticelli. La gente de questa hanno loro case in
barche e non abitano altrove. In quelle due abitazioni de Cavit e Subanin, le quali sono ne la isola
de Butuan e Calaghan, nasce la miglior cannella che si possa trovare. Se stavamo ivi due giorni,
ne caricavamo le navi; ma per avere buon vento e passare una punta e certe isolette, che erano
circa de questa, non volessemo tardare e, andando a la vela, barattassemo diciassette libbre per
certi coltelli [che] avevamo tolti al governatore de Pulaoan. L'albero de questa cannella è alto tre
o quattro cubiti, e grosso come li diti della mano, e non ha più di tre o quattro rametti; la sua
foglia è come quella del lauro; la sua scorza è la cannella. La se coglie due volte all'anno; così è
forte lo legno e le foglie, essendo verde, come la cannella. La chiamano caiumana; caiu vuol dire
legno, e mana dolce, cioè legno dolce”. (Paragrafo 131)
Questa descrizione è importante perché l’occidente non conosceva l’albero della
cannelaDapprima usa l’immagine della mano umana, dall’altro fa un paragone con l’alloro, da
un’immagine familiare all’occidente perché era molto diffuso in occidente e infine spiega
l’etimologia. Esempio di mix tra meraviglioso e familiarità.
La stessa cosa succede con la descrizione dell’uccello del paradiso, quando i nativi mandano dei
doni a Magellano per il re di Spagna:
“Marti donassemo al nostro re certi pezzi de artiglieria come archibusi, che avevamo pigliati in
questa India, e alcuni pezzi de li nostri con quattro barili de polvere. Pigliassemo quivi ottanta
botti de acqua per ciascuna nave. Già [da] cinque giorni lo re aveva mandato cento uomini a far
legno per noi a la isola di Mare, perchè convenivamo passare per ivi. Oggi lo re de Bachian con
molti altri de li suoi discendette in terra per fare pace con noi. Dinnanzi de lui andavano quattro
uomini con stocchi dritti in mano. Disse, in presenza del nostro re e de tutti li altri, come sempre
starebbe in servizio del re di Spagna e salvaria in suo nome li garofoli, lasciati da li Portoghesi,
finchè venisse un'altra nostra armata, e mai li darebbe a loro senza lo nostro consentimento.
Mandò a donare al re di Spagna uno schiavo, due bahar de garofoli (glie ne mandava X, ma le
navi per essere troppo caricate non li poterono portare), e due uccelli morti, bellissimi. Questi
uccelli sono grossi come tordi, hanno lo capo piccolo con lo becco lungo; le sue gambe sono lunghe
un palmo e sottile come un calamo; non hanno ali, ma in luogo di quelle, penne lunghe de diversi
colori come gran pennacchi: la sua coda è come quella del tordo: tutte le altre sue penne, eccetto
le ali, sono del colore de taneto, e mai non volano se non quando è vento. Costoro ne dissero questi
uccelli venire dal paradiso terrestre e li chiamano bolon dinata, cioè uccelli de Dio. Ognuno de li
re de Maluco scrissero al re de Spagna che sempre volevano esserli suoi veri sudditi. Il re de
Bachian era forse de settanta anni: e aveva questa usanza: quando voleva andare a combattere,
ovvero a fare qualche altra cosa importante, prima se lo faceva fare ue o tre volte da uno suo
servitore che nol teneva ad altro effetto se non per questo”. (Paragrafo 176)
Anche qui elementi favolosi mescolati ad immagini familiari, come l’immagine del tordo. L’aspetto
importante è che la curiosità di Pigafetta è rivolta all’unicità delle cose che vede. Gli interessa
descrivere solo lo straordinario, le cose uniche, fuori dall’ordinario. Questo fa sì che vi sia poco
spazio per i nomi, la rotta, le geografia in senso stretto. Questo emerge in particolare quando si
trova a contatto con i nativi dei luoghi in cui non abbiamo una descrizione idealizzata Pigafetta,
pur guardando a questi uomini da europeo, non esprime mai giudizi morali, non giudica i loro usi e
costumi, i loro riti, le loro usanze, si limita ad osservare con stupore e a registrare perché quello
che guida la sua descrizione è il desiderio di capirne le usanze e razionalizzarle. In questo emerge il
discorso che sta alla base del discorso delle scoperte del nuovo mondo, l’opposizione tra natura e
cultura. Ad esempio la descrizione degli antropofagi:
“Sono disposti uomini e femmine come noi; mangiano carne umana de li suoi nemici, non per
buona, ma per una certa usanza. Di questa usanza, lo uno con l'altro, fu principio una vecchia, la
quale aveva solamente uno figliuolo, che fu ammazzato da li suoi nemici, per il che, passati alcuni
giorni, li suoi pigliarono uno de la compagnia che aveva morto il suo figliuolo e lo condussero
dove stava questa vecchia. Ella, vedendo e ricordandose del suo figliuolo, come cagna arrabbiata,
li corse addosso e lo mordette in una spalla. Costui de lì a poco fuggì ne li suoi e disse come lo
volsero mangiare, mostrandoli el segnale de la spalla. Quando questi pigliarono poi di quelli, li
mangiarono, e quelli de questi; sí che per questo è venuta tale usanza. Non se mangiano subito;
ma ogni uno taglia uno pezzo e lo porta in casa, mettendolo al fumo; poi ogni 8 giorni taglia uno
pezzetto, mangiandolo brustolato con le altre cose per memoria degli sui nemici. Questo me disse
Ioanne Carvagio piloto, che veniva con noi, il quale era stato in questa terra quattro anni”.
(Paragrafo 17)
Resoconto quasi sterile dei fatti, del perché c’è l’usanza del mangiare carne umana, privo di
giudizio, sottolineandone solo il valore rituale. Successivamente torna su questo tema quando
descrive l’usanza degli abitanti dell’isola di Butuan:
“Pigliando lo cammino al greco e andando a una città grande detta Maingdanao, la quale è
nell'isola di Baluan e Calaghan, acciò sapessemo qualche nova de Maluco, pigliassemo per forza
uno biguiday (è come uno prao) e ammazzassemo sette uomini. In questo erano solum dieciotto
uomini, disposti quanto alcuni altri vedessemo in questa parte, tutti de li principali di
Maingdanao. Fra questi uno ne disse che era fratello del re de Maingdanao e che sapeva dove era
Maluco. Per questo lassassemo la via del greco e pigliassemo la via de scirocco. In un capo de
questa isola Butuan e Caleghan, appresso de uno fiume, se trovano uomini pelosi, grandissimi
combattitori e arcieri; hanno spade larghe uno palmo; mangiano se non lo cuore dell'uomo,
crudo, con sugo de naranzi o limoni, e se chiamano Benajan, li pelosi. Quando pigliassemo la via
del scirocco, stavamo in sei gradi e sette minuti all'Artico e trenta leghe lungi da Canit”.
(Paragrafo 132).
Hanno l’usanza di mangiare il cuore crudo degli uomini. Nessuna manifestazione di orrore o
disprezzo. Raccoglie informazioni e fa descrizione chiara e diretta. Atteggiamento generale di
Pigafetta, che ritiene questi esseri umani e non subumani per quanto siano primitivi e quindi è
tollerante con loro.
Altro aspetto molto interessante del resoconto è l’attenzione di Pigafetta all’aspetto linguistico. Si
preoccupa di redigere lunghissime liste di termini. Atteggiamento assolutamente contrario rispetto
a quello che ha nei confronti dei suoi compagni, quasi del tutto ignorati. Esalta Magellano a
discapito di tutti gli altri. Elemento ancora più importante dopo la morte di Magellano. Dei due
comandanti, in particolare di Elcano, che riportano la Vittoria in Europa, ci vengono detti solo i
nomi e poche altre informazioni. Questo è importante perché dopo la morte di Magellano, sulla
spedizione cade il silenzio, Pigafetta non ci racconta nulla di ciò che succede a bordo  non dire
nulla significa condannare quei personaggi all’oblio, nessuno saprà mai nulla di loro.
Altro tema che tralascia sono gli aspetti commerciali delle esplorazioni mentre invece Zweig lo
pone al centro. Importante è il paragrago 25:
“Partendo de qui arrivassemo fino a 49 gradi a l'Antartico. Essendo l'inverno le navi intrarono in
uno bon porto per invernarse. Quivi stessemo dui mesi senza vedere persona alcuna. Un dì a
l'improvviso vedessemo un uomo, de statura de gigante, che stava nudo ne la riva del porto,
ballando, cantando e buttandose polvere sovra la testa. Il capitano generale mandò uno de li
nostri a lui, acciò facesse li medesimi atti in segno di pace, e, fatti, lo condusse in una isoletta
dinanzi il capitano generale. Quando fu nella sua e nostra presenzia, molto se meravigliò e faceva
segni con un dito alzato, credendo venissemo dal cielo. Questo era tanto grande che li davamo
alla cintura e ben disposto: aveva la faccia grande e dipinta intorno de rosso e intorno li occhi de
giallo, con due cuori dipinti in mezzo delle galte. Li pochi capelli che aveva erano tinti de bianco:
era vestito de pelle de animale coside sottilmente insieme; el quale animale ha el capo et orecchie
grande come una mula, il collo e il corpo come uno camello, le gambe di cervo e la coda de
cavallo; e nitrisce come lui: ce ne sono assaissimi in questa terra. Aveva alli piedi albarghe de la
medesima pelle, che coprono li piedi a uso de scarpe, e nella mano uno arco curto e grosso, la
corda alquanto piú grossa di quella del liúto, fatta de le budelle del medesimo animale, con uno
mazzo de frecce de canne non molto longhe, impennate come le nostre. Per ferro, ponte de pietra
de fuoco bianca e negra, a modo de frezze turchesche, facendole con un'altra pietra”. (Paragrafo
25)
Dopo la visita in Brasile la flotta arriva a Puerto San Julian (dove avverrà l’ammutinamento), il 31
marzo del 1520, dove rimangono per 5 mesi, durante l’inverno australe. Nella descrizione di questo
soggiorno rientra la descrizione dei patagoni. Si rifà alla descrizione dei giganti nella tradizione
classica e cavalleresca. Il nome Patagoni ricorre in un romanzo cavalleresco spagnolo del 1512,
Primaleón, qui figura un personaggio chiamato Patagon. Molto probabilmente Magellano
conosceva il romanzo. Accanto a questa descrizione esagerata degli uomini, per le donne invece la
descrizione è assolutamente realistica:
“Queste [donne] non sono tanto grandi, ma molto più grosse. Quando le vedessimo, grandemente
stessemo stupefatti. Hanno le tette longhe mezzo braccio; sono dipinte e vestite come [i] loro
mariti, se non [che] dinnanzi a la natura hanno una pellesina che la copre. Menavano quattro de
questi animali piccoli, legati con legami a modo de cavezza. Questa gente, quando voleno pigliare
di questi animali, legano uno di questi piccoli a uno spino; poi véneno li grandi per giocare con li
piccoli; ed essi, stando ascosi, li ammazzano con le frezze. Li nostri ne condussero a le navi
disdotto tra maschi e femmine, e furono ripartite a le due parti del porto acciò pigliasseno de li
detti animali”. (Paragrafo 27).
Nella descrizione di questi nativi inserisce anche l’elemento religioso, paragrafo 28 racconta la
storia di una conversione:
“Di lì a 6 giorni fu visto uno gigante, depinto e vestito de la medesima sorte, da alcuni che
facevano legna. Aveva in mano un arco e frezze. Accostandosi a li nostri, prima se toccava el
capo, el volto e el corpo, e il simile faceva a li nostri, e dappoi levava le mani al cielo. Quando el
capitano generale lo seppe, lo mandò a torre con lo schifo e menollo in quella isola che era nel
porto, dove avevano fatta una casa per li fabbri e per metterli alcune cose de le nave. Costui era
piú grande e meglio disposto de li altri e tanto trattabile e grazioso. Saltando ballava e, quando
ballava, ogni volta cacciava li piedi sotto terra un palmo. Stette molti giorni con noi, tanto che 'l
battizzassemo, chiamandolo Giovanni. Costui chiaro pronunziava Gesú, Pater Noster, Ave Maria
e Giovanni come noi, se non con voce grossissima. Poi el capitano generale li donò una camisa,
una camisotta di panno, braghesse di panno, un bonet, un specchio, uno pettine, sonagli e altre
cose e mandollo da li sui. Ghe li andò molto allegro e contento. Il giorno seguente costui portò uno
di quelli animal grandi al capitano generale, per il che li dette molte cose acciò ne portasse de li
altri: ma piú nol vedessimo. Pensassimo [che] li suoi lo avessero ammazzato per aver conversato
con noi”. (Paragrafo 28)
Conversione, di cui il nativo non è consapevole mentre invece l’europeo pensa di essere riuscito
nell’impresa.
Dopo aver trascorso 5 mesi qui, il 24 agosto la flotta parte e arriva a Rio Santa Cruz, dove prima era
naufragata un’altra nave della spedizione, la Santiao. Rimangono qui fino al 18 ottobre quando si
decide di mandare in avanscoperta un gruppo di navi, esplorare il fiume che loro vedono sulla costa
ed inizia così l’esplorazione di quello che poi diventa lo Stretto di Magellano.
In questi tre mesi e venti giorni andassemo circa de quattro mila leghe in uno golfo per questo
mar Pacifico (in vero è bene pacifico, perchè in questo tempo non avessimo fortuna) senza vedere
terra alcuna, se non due isolotte disabitate, nelle quali non trovassimo altro se non uccelli e
arbori; le chiamassemo Isole Infortunate. Son lungi l'una dall'altra duecento leghe. Non
trovavamo fondo appresso de loro, se non vedevamo molti tiburoni. La prima isola sta in 15
gradi di latitudine a l'australe, e l'altra in 9. Ogni giorno facevamo cinquanta, sessanta e settanta
leghe a la catena, o a poppa. E se Iddio e la sua Madre benedetta non ne dava così buon tempo,
morivamo tutti de fame in questo mare grandissimo. Credo certamente non si farà mai più tal di
viaggio. (Paragrafo 42).
È interessante la descrizione dello stretto, che a detta di Pigafetta è il più bello che abbia mai visto.
Durante la navigazione sullo stretto ci sono le descrizioni più belle e più accurate. L’impressione
che noi deduciamo da questa descrizione è che x tutto il tempo Pigafetta non fa che osservare il
mondo della natura con stupore e meraviglia. E qui assume coscienza dell’unicità di questa
esplorazione.
Melville - Benito Cereno

Benito Cereno, racconto di Herman Melville. Fu pubblicato a puntate sul Putnam's Monthly nel
1855 e poi incluso, leggermente rivisitato, nella raccolta The Piazza Tales. Racconto di grande
valore artistico ma anche il pensiero che sta dietro l’opera e quindi anche il contesto storico non
può essere ignorato. Il tema è quello della schiavitù, delle problematiche razziali. Inizialmente si è
fatta fatica ad ammettere che il messaggio contenuto in quest’opera è un messaggio non contro lo
schiavismo, non c’è pensiero antischiavistico c’erano critici che ignorano il contesto in cui fu
prodotto Benito Cereno e quindi ignorano il messaggio sulla razza e altri invece che rivelarono
l’assoluta appartenenza di quest’opera ai suoi tempi, tempi in cui il dibattito sulla razza era
all’ordine del giorno e quindi non si può attribuire a Melville un pensiero antischiavista e non
abolizionista.
All’uscita dell’opera si pensava che la storia fosse interamente opera della fantasia dell’autore,
finché nel 1928 uno studioso trova un diario del capitano Amasa Delano, nel quale è contenuta
tutta la storia di Benito Cereno, Harold H. Scudder, Melville's 'Benito Cereño' and Captain
Delano's Voyages, saggio contenente le vere pagine del diario  quindi è una storia, un evento
realmente accaduto, quindi quest’opera è la riscrittura di una relazione diaristica del capitano
Amasa Delano che fu testimone di quell’evento, di una rivolta di schiavi realmente accaduta nei
mari del Sud America e dell’ ammutinamento su una nave spagnola che doveva portare schiavi e
merci dal Cile fino in Spagna. Melville fa alcuni cambiamenti significativi per esempio nel nome
delle navi protagoniste del racconto.
Altro saggio significativo, che riassume il contesto del racconto, è Black Masks: Melville' s "Benito
Cereno" di Jean Fagan Yellin.
Il contesto in cui Benito Cereno è stato scritto è stato per lungo tempo ignorato dalla critica
europea, che aveva interpretato il testo come un’indagine generale sul problema dell’ambiguità del
male, che per molto tempo è stata la chiave di lettura principale, a discapito della questione razziale
e politica. Nel 1782 Thomas Jefferson nel suo Notes on Virginia, suggerisce un’immagine dello
schiavo americano che sarà poi ripetuta nella plantation fiction, primo genere letterario che
presenta lo schiavo nero, con tutta una serie di stereotipi che Melville userà. Jefferson attacca il
sistema schiavistico ma questo non vuol dire avere l’idea che i neri siano come i bianchi, ipotizza
l’inferiorità dei neri, sia nel corpo che nella mente. Vede il nigro come vittima di una società
malvagia questa visione porta alla abolitionist literature. Qui lo schiavo è vittima, nella
plantation fiction era schiavo felice di essere schiavo, stupidamente fedele alla sua sottomissione.
Ciò che anticipa Benito Cereno sono le narrazioni autobiografiche degli schiavi stessi, che
raccontano le loro esperienze di fuga, né happy slaves né vittime, uomini in guerra con la schiavitù,
un rapporto di conflitto che hanno con l’uomo bianco. Quindi Melville non scrive Benito Cereno dal
nulla, ma è preceduto da tutta una letteratura dedicata alla schiavitù Anche il suocero di Melville,
Lemuel Shaw, fu un giudice che si occupò di schiavitù e che negò la libertà a George Latimer,
schiavo fuggito il cui caso divenne molto famoso.
L’anno prima che Melville cominciasse a pubblicare Benito Cereno, delle truppe federali furono
usate a Boston per riportare in Virgina Anthony Burns, altro schiavo fuggitivo. Quando Melville
consegna la sua storia alla rivista nella primavera del ’55 il direttore della rivista era Frederick Law
Olmsted, uomo del Sud primo importante magazine ad assumere una posizione netta contro la
schiavitù.
Un lettore newyorkese del 1855 non poteva non riconoscere in Benito Cereno e nel modo in cui la
nave fantasma viene avvistata all’inizio del racconto l’esperienza di Amistad nel 1839, una nave
spagnola di schiavi avvistata a largo di Long Island. Si trattava di una nave di ammutinati, che
avevano costretto il capitano a riportarli in Africa. Il capitano riuscì, però, a ingannarli e a portarli a
New York, dove furono processati per omicidio e l’avvocato che li difese, John Quincy Adams,
riuscì a vincere la causa e a regalargli la libertà, sancendo quindi che uno schiavo potesse uccidere
il suo padrone, colui che si poneva tra lui e la sua libertà. Poterono tornare in Africa. Altro caso
simile fu quello della Creole nel 1841. Tutti eventi che anticipano Benito Cereno.
Melville modifica la datazione degli avvenimenti. Mentre nella realtà l’ammutinamento avviene nel
1804, Melville lo sposta al 1799 e cambia i nomi delle navi mentre la nave su cui viaggia Don
Benito, dunque quella su cui gli schiavi si ammutinano è la Trial, nella finzione diventa San
Dominick questo è il riferimento all’insurrezione di schiavi che avvenne a Santo Domingo
nell’ultima decade del 1700, sotto l’impulso della rivoluzione francese poiché gli schiavi si resero
conto che i principi di liberté, égalité e fraternité valevano solo per i bianchi, x cui insorgono e fu
una strage questa rivolta farà parlare di Black Terror, strage di bianchi durante la rivoluzione ma
soprattutto strage di neri durante la repressione. Nel 1800 il Black Terror arriva anche al sud, per
la prima volta c’è un’imponente rivolta di schiavi a Richmond, in Virginia. Anche questa rivolta
viene sedata nel sangue: ucciso il capo Gabriel e altri 36 schiavi. Altro modello nella storia reale,
che si riflette nella figura dello schiavo Babo la mente dell’ammutinamento, è Nat Turner, ribelle
nero sui generis, soprannominato il profeta perché era un mistico religioso con le stigmate, che
ascoltava voci divine. Altra rivolta sedata nel sangue nel giro di 24 h. 16 schiavi giustiziati. Il terrore
evocato da queste rivolte detta l’atmosfera in cui Melville scrive. E’ quindi antistorico pensare a un
Melville che scrive per denunciare la tratta degli schiavi, perché in quel periodo il sentimento
comune ai bianchi è un sentimento di paura e timore verso i neri.
I protagonisti della vicenda sono tre: il capitano americano Amasa Delano, il capitano spagnolo
della nave ammutinata che è Benito Cereno, e lo schiavo africano Babo. Attraverso questi 3
personaggi Melville cerca di gettare luce sulla natura del male, e il male che compare in Benito
cereno è quella delle relazioni di potere tra bianchi e neri, tra padroni e servi. L’americano è uno
yankee, viene dal nord degli Stati Uniti, si crede figlio della provvidenza, salvatore della patria.
Quando arriva sulla nave di Cereno pensa di poter risolvere tutto. Il capitano Delano rappresenta il
Nuovo Mondo, Cereno il Vecchio dell’ Europa in decadenza. Delano come democratico,
compassionevole, di polso, ma cieco al male e incapace di imparare dalla propria
esperienzaaccecato dallo stereotipo dello schiavo nero docile, che accetta di buon grado la
schiavitù, a cui interessa servire il proprio padrone bianco per questo motivo il capitano Delano
fallisce nel capire la situazione nella quale si trovava. Delano non riesce a penetrare le apparenze
perchè la scena che si ritrova, la finzione di tranquillità, risulta credibile per lui, perché conforme
alla sua idea di realtà, la convinzione dell’uomo democratico del nuovo mondo che la relazione di
potere che fondava la società cioè padroni bianchi e schiavi neri fosse normale e che fosse accettato
pacatamente dal nero. L’impressione che ha del rapporto tra Don Benito e Babo è quella che si
aspetta situazione tipica della plantation tradition: schiavo docile, stupido, fedele, con innato
senso della musicalità e religioso. Incarnazione di un sistema patriarcale che conosce. Babo appare
come lo schiavo perfetto ai suoi occhi, al punto che vorrebbe comprarlo. Delano quindi si dimostra
estremamente sciocco che vuole compare uno schiavo che in realtà è un malvagio, parodia dello
yankee.
Le autobiografie dei fuggitivi che descrivevano le azioni di coloro che erano riusciti a fuggire in
cerca di libertà rivelano il fatto che la docilità dello schiavo è spesso una maschera, un modo che i
guerrieri hanno per non essere percepiti come minaccia. Il capitano Delano è quindi incapace di
vedere che il padrone è in realtà lo schiavo e lo schiavo è il padrone  ciò richiama la tradizione
citata da Alessandro Portelli in Canoni Americani, il minster show, molto in voga negli anni 50 del
1800, decade decisiva per la questione dello schiavismo. Nel Minster Show attori bianchi si
mascheravano da neri e li scimmiottavano. Il razzismo lampante di questa pratica. Anche i neri si
dipingono il viso di nero e prendono in giro i bianchi che li prendono in giro. Sistema ambiguo e
complesso perché sul palco del minster show nel personaggio del nero vengono in qualche modo
proiettati i desideri nascosti dei bianchi, irrealizzabili, ad esempio una sessualità più disinibita che
il bianco puritano non può permettersi. Pur nel suo razzismo, il minister show contribuisce ad
inaugurare una cultura americana ambigua, contaminata che confonde i confini tra il nero e il
bianco lo stesso succede in Benito Cereno, il bianco che in realtà è vittima e schiavo del nero che
invece è padrone, ruolo normalmente occupato dal bianco.
Il mondo di Melville è un mondo diviso in modo netto: bene e male, luce e ombra, bianco e nero. Il
nero rimane a simbolizzare il male, ma all’inizio della storia tutto è grigio, non c’è distinzione tra
bene e male e questo è il problema, l’incapacità di distinguere il male dal bene. Tutto intorno era
calmo e silenzioso; tutto era grigio. Il mare, per quanto scorresse in lunghe ondate rigonfie,
sembrava immobile, e alla superficie era lucido come piombo ondulato quando si raffredda e
deposita nello stampo di fusione. Il cielo pareva uno scuro pastrano. Stormi di uccelli grigi
inquieti, in tutto simili agli inquieti stormi grigi di vapori cui erano mischiati, sfioravano bassi e
a scatti le acque, come rondini il prato prima del temporale. Ombre presenti, che adombravano
più cupe ombre future.
La nave di Benito Cereno viene avvistata all’imboccatura di un’insenatura sull’isola deserta di Santa
Maria, dove la nave di Amasa Delano si era fermata per l’acqua. Percepiscono che c’è qualcosa di
strano. Qui la descrizione del capitano Delano, descritto appunto come una persona d’indole
fiduciosa, un bonaccione che quindi non capisce la situazione.
“Considerando il luogo solitario e sottratto a ogni legge, e le voci che correvano a quel tempo su
quei mari, la sorpresa di Capitan Delano avrebbe potuto oscurarsi d’inquietudine, se egli non
fosse stato un uomo d’indole singolarmente fiduciosa, incapace, salvo per stimoli eccezionali e
ripetuti, e forse nemmeno allora, di permettersi delle apprensioni che comunque implicassero
l’imputazione di malvagità al prossimo. Se poi, visto ciò di cui gli uomini sono capaci, un simile
tratto riveli, oltre a un cuore benevolo, una prontezza e una finezza di comprendonio più che
ordinarie, lasciamolo decidere a chi sa.”
Ingenuo e puritano, incapace di credere che l’altro sia incarnazione del male.
“Diminuita la distanza, la nave, quando fu chiaramente visibile sul pelo dei flutti plumbei coi suoi
brandelli di nebbia che qua e là l’ovattavano lacerandosi, apparve come un imbiancato
monastero dopo la bufera, piantato su un fosco precipizio dei Pirenei.”
Descrizione della nave come whitewashed e non white. Già qui Melville ci suggerisce la finzione, la
realtà della nave è allegorica, è una maschera. Sembra bianca, sembra che tutto vada bene, ma non
è così. Sotto è nera, sotto è male.
“Accostandosi dell’altro, questa parvenza dileguò e si vide chiaramente la natura della nave –
una mercantile spagnola di prima classe, in trasporto di schiavi neri e altra merce di valore da
uno scalo coloniale all’altro.”
Schiavi sono accostati alla merce.
“Ogni qualvolta si sale in altomare sopra una nave grande e popolata, specialmente se straniera
e d’equipaggio esotico come lascari o filippini, l’impressione che se ne riceve differisce
bizzarramente da quella prodotta al primo entrare in una casa sconosciuta e abitata da ignoti in
un paese ignoto. La casa come la nave – l’una per mezzo delle pareti e delle persiane, l’altra delle
murate alte come bastioni – nascondono alla vista i loro interni fino all’ultimo; ma nel caso della
nave c’è questo in più, che il vivente spettacolo da essa contenuto ha nella sua repentina e
integrale apparizione, in contrasto col vuoto oceano che la circonda, l’effetto quasi di una scena di
miraggio. La nave sembra irreale; e i costumi, i gesti, i visi inaspettati, un chimerico quadro
emerso allora dall’abisso, che ringhiottirà subito ciò che ha dato fuori”.
Accostamento esplicito alla casa misteriosa, casa lontana abitata da ignoti in un paese ignoto è un
chiaro riferimento al romanzo gotico, seppur in una ambientazione differente.
Successivamente arriviamo alla descrizione di Don Benito:
“Questi, un capitano spagnolo che agli occhi di un forestiero sembrava giovane, educato e pieno
di ritegno, vestito con singolare sfarzo ma con impresse chiaramente le tracce ’insonni affanni e
travagli recenti, se ne stava passivamente appoggiato all’albero di maestra, quasi disposto a
lasciare che la natura parlasse per se stessa dell’angoscia che lo schiacciava, o altrimenti
disperando di sapersi contenere. Guardava ora, con occhio tetro e spento l’agitazione della sua
gente, ora con mestizia il visitatore. Gli era a fianco un negro piccolotto, sul cui viso rude, quando
come un cane da pastore per caso lo sollevava silenzioso in quello dello spagnolo, passavano
misti il dolore e l’affetto”.
Descrizione di Cereno e di Babo. In Babo Delano vede dolore e affetto. Dolore come nella
letteratura abolizionista, affetto come nella plantation fiction (happy slave). Docilità rappresentata
con la similitudine del cane, Babo guarda il padrone come fa un cane.
Don Benito ricorda per certi versi Quixotte, un idalgo decaduto e in preda alla malinconia, alla
depressione e all’accidia. Incarnazione del vecchio continente ma anche dello schiavista vero e
proprio.
“Ma la debolezza del capitano spagnolo – fosse costituzionale o causata dalle angustie, fisiche o
mentali, che aveva sofferte – era troppo evidente per passare inosservata. Preda di un
abbattimento ormai fisso, quasi che, essendo stato per tanto tempo beffato dalla speranza, non
volesse più saperne nemmeno adesso che questa non era più una beffa, Benito Cereno non
sembrava minimamente incoraggiato dalla prospettiva di potersi mettere all’ancora, quel
giorno, o quella sera al massimo, con acqua in abbondanza per i suoi, e un capitano suo collega a
consigliarlo e soccorrerlo”.
Delano concentra tutta la sua attenzione sul capitano. Tutta la prima parte dell’opera è impiegata x
raccontare dei sospetti che Delano ha sul capitano, del suo ritegno, del suo atteggiamento
remissivo, non si preoccupa dello schiavo, ma del padrone mancando completamente il bersaglio.
“Il suo cervello pareva sfasato, se non tocco in modo anche più grave. Imprigionato fra quelle
pareti di quercia, incatenato a un monotono giro di comando, la stessa assolutezza del quale lo
riduceva all’impotenza, egli, simile a un abate ipocondriaco, s’aggirava adagio, a volte
arrestandosi d’improvviso, trasalendo o sbarrando gli occhi, mordendosi il labbro, mordendosi le
unghie, imporporandosi o facendosi terreo, tormentandosi la barba, con altri sintomi, ancora di
uno spirito assente o turbato. […] Non c’era da stupirsi se, mentre andava barcollando in questo
stato, il servo addetto alla sua persona lo seguiva con apprensione. Talvolta il negro offriva il
braccio al padrone o gli cavava per lui il fazzoletto di tasca; e adempiva queste mansioni e altre
consimili con quello zelo affettuoso che trasforma in qualcosa di filiale o fraterno atti soltanto
servili in se stessi. Questo zelo ha guadagnato ai negri la reputazione di essere i più cordiali
valletti del mondo: valletti coi quali non è necessario che il padrone stia sulle sue, e può invece
trattare con fiduciosa familiarità: più compagni devoti, insomma, che servi”.
Ironia di Melville. Delano non capisce di essere lui quello imprigionato. Melville smaschera non
tanto che la schiavitù sia un male ma piuttosto lo stereotipo dello schiavo docile. Non è la bruttura
della schiavitù che Melville mette in luce, ma l’errore della stereotipizzazione. Delano non capisce
che anche i neri sono capaci di malvagità. Definirli capaci di male vuol dire anche definirli
ingegnosi, capaci, umani. Qui l’enigma sta nell’assassinio, compiuto non da Cereno ma dallo
schiavo, che sembra vittima ma è carnefice. Delano è insospettito solo da Don Benito. Romanzo
non solo sulla natura di bene e male, ma anche sul punto di vista narrativo, che distorce la visione
della realtà, nel senso che cambiando la posizione da cui si osserva una vicenda può cambiare
anche la realtà stessa di quella vicenda.
Delano interroga poi Cereno, chiedendogli cosa sia successo, perché la nave sia lì, eccetera.
“Sono più di sei mesi, – cominciò lo spagnolo con la sua voce cavernosa, – che questa nave
armata di buoni ufficiali e di un buon equipaggio e con diversi passeggeri di cabina (una
cinquantina di spagnoli in tutto), fece vela da Buenos Aires per Lima con un carico vario, articoli
di ferro, tè del Paraguay e simili, e inoltre, – tendendo il dito innanzi a sé, – quel branco di negri
ora ridotti appena, come vedete, a centocinquanta, ma allora più di trecento. Al largo del Capo
Horn toccammo violente burrasche. Di notte, in un solo colpo, persi tre dei miei migliori ufficiali e
quindici uomini, insieme alla grande antenna che si spezzò, barche e tutto, sotto di loro mentre
tentavano di abbattere con stanghe la vela ghiacciata. Per alleggiare lo scafo, gettammo in mare
i sacchi più grossi di mate, tenendo legate sul ponte quasi tutte le trombe d’acqua. E fu
quest’ultima necessità che, unita ai ritardi interminabili che ci toccarono in seguito, causò a suo
tempo le nostre sofferenze più gravi. Quando... Qui lo prese un repentino deliquio accompagnato
da tosse, senza dubbio a causa della sua ambascia psichica. Il servo lo sorresse e traendo di tasca
un cordiale glielo avvicinò alle labbra. Egli tornò un poco in sé”.
E’ evidente, come molte altre volte nel testo, Don Benito ha paura di tradirsi. Babo lo tiene sotto
scacco e Cereno ha paura che Babo possa fargli del male. Desidera l’aiuto di Delano, ma non può
chiederglielo. In più occasioni tenta di dare qualche velato indizio a Delano, nei limiti di ciò che
può fare con Babo accanto, ma Delano non coglie, anche quando la paura di Don Benito è ovvia.
Delano sospetta solo di Don Benito, pensa che sia lui a recitare una parte, a volersi impadronire
della sua nave. Spesso è vicino a capire cosa sta realmente accadendo, ma vede poi qualche
particolare che lo rassicura, che rientra nel suo schema.
Figura importante che però non compare mai se non in forma di scheletro nel racconto, è
Alexandro Aranda, defunto, ex padrone degli schiavi, ucciso da Babo per dare esempio agli altri
bianchi e quindi a Don Benito. Così facendo gli schiavi vorrebbero costringere i bianchi a riportarli
in Senegal. Lo scheletro del negriere viene sostituito alla polena della nave, con sotto la scritta
“follow your leader”. Messaggio rivolto principalmente a Don Benito, avvertimento. Se non
esaudisce i desideri di Babo seguirà il suo capo, sarà anche lui uno scheletro. Questo scheletro era
stato coperto da Babo prima che Delano salisse a bordo, viene rivelato solo alla fine.
Altra personaggio importante è Atufal, enorme schiavo nero, braccio destro di Babo. In questa
messinscena è un principe africano ora schiavo, incatenato e apparentemente deferente nei
confronti di Don Benito. Ogni due ore si presenta a lui perché dovrebbe chiedere perdono per
qualcosa che ha fatto in precedenza. Perdono che non chiede mai per orgoglio, che si rifiuta di
scusarsi per 60 giorni, segnale che indica qualcosa di strano. Delano non coglie quanto sia strano
che uno schiavo così insubordinato non venga giustiziato, non capisce che non può essere vero. Fa
tutto parte della finzione, modo di giustificare la vicinanza di Atufal a Don Benito, per tenerlo
d’occhio.
“In quel preciso momento, con un lugubre e funereo rintocco che tradiva una crepa, la campana
del castello battuta da uno di quei grigi stoppai, proclamò attraverso la greve bonaccia che erano
le dieci; e l’attenzione del capitano cadde sulla mobile figura di un negro gigantesco che
emergeva dalla comune folla sottostante e avanzava adagio alla volta dell’alta poppa. Gli
cingeva il collo un collare di ferro, donde partiva una catena che gli dava tre giri intorno al
corpo, e le due estremità finivano insieme assicurate a un lungo nastro di ferro che gli faceva da
cintura”.
Descrizione di Atufal, ancora una volta Delano non capisce la reale dinamica di potere tra i due,
Atufal in apparenza schiavo ma in realtà capo e Don Benito in apparenza padrone ma in realtà
schiavo. Ritiene anzi che sia stato troppo severo nel tenere incatenato questo gigante per 60 giorni.
Nonostante la stazza, Delano lo considera una creatura docile, che non rappresenta una minaccia e
che quindi non necessita di essere incatenato. Delano si preoccupa che Don Benito possa essere un
impostore che vuole impossessarsi della nave, mentre l’atteggiamento di Don Benito è di paura,
paura che Babo uccida entrambi.
“Si ricordò il contegno dello spagnolo durante il suo triste racconto. Era stato pieno di scure
esitazioni e di rigiri. Era appunto il contegno di chi inventa via via un racconto per scopi
malvagi. Ma se la storia non era vera, qual era dunque la verità? Che la nave era caduta
illegalmente nelle mani dello spagnolo? Ma in tanti dei suoi particolari, specialmente rispetto ai
tratti più dolorosi, come le morti dei marinai, la conseguente deriva prolungata, le passate
sofferenze nelle accalmie ostinate, e la persistente tortura della sete: in tutti questi punti, e in altri
ancora, il racconto di Don Benito era stato confermato non soltanto dalle esclamazioni lamentose
della mista moltitudine di bianchi e di neri, ma pure – ciò che pareva impossibile a simularsi –
dall’espressione e dal gioco stesso di ogni fisionomia umana che il capitano aveva osservato. Se il
racconto di Don Benito era da cima a fondo un’invenzione, allora tutte le creature della nave, fin
la più giovane delle negre, erano ben scaltriti complici nel complotto: conclusione incredibile.
Eppure, se c’era motivo di mettere in dubbio la sua veracità, questa conclusione era legittima”.
Quando vede parlare Babo con Benito, Delano pensa che neri e bianchi possano complottare contro
di lui, ipotesi che scarta perché ritiene impossibile che neri e bianchi possano unirsi in una società
con gli stessi obiettivi.
“Ditemi, Don Benito, – continuò con un sorriso, – questo vostro uomo mi farebbe comodo...
quanto vorreste per cederlo? Che ne dite di cinquanta dobloni?
— Padrone non si separerebbe da Babo per mille dobloni, – mormorò il negro, che aveva udita
l’offerta e la prendeva sul serio e, con la strana vanità dello schiavo fedele apprezzato dal
padrone, sdegnava di sentirsi valutato così poco da un estraneo. Ma Don Benito, che appariva
non del tutto rimesso e che la tosse aveva ripreso, diede una confusa e incoerente risposta”.
Ancora una volta Delano male interpreta i segnali.
Descrizione delle schiave donne sull’imbarcazione. Vede una donna schiava con un bambino.
“Colpiva la sua attenzione una negra addormentata, che attraverso l’intrico di certe manovre
s’intravedeva, distesa, le giovani membra negligentemente abbandonate, sottovento alla murata
come una daina all’ombra di una rupe selvosa. Si divincolava sul capezzolo del suo seno il suo
cerbiatto vispo e nudo, col corpicino lucido semi-sollevato sul ponte, di traverso al corpo della
madre: e le due mani come zampette le davano la scalata a bocca e il naso frugavano inutilmente
per giungere al segno, emettendo intanto un fastidioso grugnito che si confondeva al pacato
russare della negra. La non comune vigoria del bimbo finì per svegliare la donna, che balzò in
piedi, facendo fronte a distanza al capitano. Ma, come se nulla le importasse dell’atteggiamento
nel quale era stata colta, essa afferrò gioiosamente il bimbo in un trasporto d’amore materno, e
lo coprì di baci. Ecco qui la natura schietta: nient’altro che amore e tenerezza, pensò il capitano,
compiaciuto. L’incidente lo indusse a osservare le altre negre con più attenzione di prima. E i loro
modi lo incantarono: come la maggior parte delle donne non incivilite, esse apparivano insieme
di tenero cuore e di fibra durissima, pronte ugualmente a morire per la loro prole e a difenderla
combattendo. Primitive come leopardesse, amorose come colombe”.
Donne come creature esotiche, primitive, molto più simili ad animali che a persone.
Altro passo importante è quello in cui dei marinai bianchi tentano di mandare segnali a Delano,
che lui non coglie, come al solito.
“Poteva sì. Ma se i bianchi conoscevano qualche truce segreto di Don Benito, era dunque possibile
che egli avesse insomma per complici dei negri? Erano troppo stupidi per questo. E poi, chi ha
mai sentito di un bianco rinnegato al punto da apostatare, per così dire, dalla sua specie, facendo
coi negri lega contro di essa?”.
Importanti riferimenti alla letteratura enigmatica, prima alla sfinge, l’enigma per eccellenza, poi al
racconto gotico.
Il vecchio aveva l’aspetto di un sacerdote egizio intento a stringere nodi gordiani per il tempio di
Ammone.
Enigma come nodo troppo stretto da poter sciogliere e infatti Delano fallisce a sciogliere. Anche
quando vede uno schiavo redarguire un marinaio con un coltello Delano sospetta di Don Benito,
invece che degli schiavi. Pensa che il problema della nave sia la mancanza di polso di Don Benito,
che ai suoi occhi dà un lato è troppo violento (come nei confronti di Atufal) e da un lato lascia
correr troppo. Mancanza di ordine e disciplina, che si rivela poi essere il motivo per cui
l’ammutinamento si è verificato. Aranda era colui che aveva consentito agli schiavi di girare
liberamente sulla nave, il che lo porterà a diventare lo scheletro. Delano non è più a suo agio sulla
nave ed è felice che la Bachelor’s Delight, la sua nave, lo stia venendo a prendere. La lancia, la
scialuppa che lo viene a prendere si chiama Vagabondo.
“C’è un non so che nei negri che bizzarramente li designa per le mansioni della toeletta. La
maggior parte di loro sono valletti e parrucchieri nati: hanno una simpatia nativa per le spazzole
e i pettini come per le nacchere, e li maneggiano, pare, con altrettanta soddisfazione. Di più in
queste loro funzioni rivelano un morbido tatto che s’accompagna a una prodigiosa vivacità,
blanda e sorda, non priva d’eleganza, singolarmente gradevole a vedersi ma anche di più a
sperimentare. Essi hanno soprattutto il gran dono del buonumore. E non intendo qui il sorriso o
la risata. Ciò sarebbe disdicevole. Ma una certa fluente gaiezza, armoniosa in ogni gesto e
sguardo, come se Iddio avesse accordato la razza tutta quanta su un amabile tono. […] Di fatto,
come quasi tutti gli uomini dal cuore buono e contento, Capitan Delano s’affezionava ai negri non
per filantropia, ma per simpatia, a quel modo che altri fanno coi cani di Terranova”.
Stereotipi ereditati dalla plantation novel.
“Nel caso presente l’acqua era di mare, mancando l’altra, e vennero insaponati soltanto il labbro
superiore e parte della gola, dato che il resto era barba coltivata. Apparendogli questi
preliminari alquanto nuovi, il capitano sedette e guardò con molta curiosità, sì che di
conversazione non ce ne fu, né Don Benito pareva disposto per il momento a rinnovarla. Deposta
la bacinella, il negro rovistò fra i rasoi come cercasse il più affilato e, trovatolo, ne affinò il taglio
un altro poco ripassandoselo con molta destrezza sulla pelle ferma, liscia e grassa della palma
aperta. Poi fece il gesto di cominciare, ma s’arrestò per un istante a mezz’aria: una mano
brandiva il rasoio, l’altra tastava professionalmente fra la schiuma la gola scarna dello spagnolo.
Non indifferente alla vista del lucido acciaio sospeso nell’aria, Don Benito ebbe un fremito
nervoso: la saponata accresceva il suo pallore consueto, e veniva a sua volta resa ancor più
spettrale dal contrasto col corpo fuligginoso del negro. Tutto sommato, la scena aveva qualcosa
d’insolito, almeno per il capitano; che osservando quei due così atteggiati, non seppe vincere il
ghiribizzo di vedere nel negro un carnefice e nel bianco una vittima al ceppo. Ma era soltanto un
altro di quei grotteschi capricci che istantaneamente appaiono e dileguano, dai quali non va forse
esente nemmeno il cervello meglio regolato”.
Importantissima la scena della rasatura. Don Benito che si fa radere da Babo. Concretizzazione dei
loro ruoli, viene rappresentata in maniera evidente la maschera che vestono i due, l’inversione dei
ruoli. Babo ha in mano il rasoio, fa la barba a Don Benito che è avvolto nella bandiera spagnola.
Don Benito interpreta il suo vero ruolo, di vittima. Don Benito assume così una posizione
vulnerabile attraverso una scena che rappresenta il servilismo dei neri verso i bianchi perché gli fa
la barba ma comunque ha un rasoio in mano scena x mettere paura a Don Benito, x mettergli
letteralmente il coltello alla gola.
Quando finalmente arriva la scialuppa, Don Benito, che diceva di non volerlo accompagnare, si
lancia sulla scialuppa. Babo si lancia di conseguenza sulla scialuppa, con un coltello. Babo si rivela
l’essere malvagio e Delano riesce a portare in salvo Don Benito. L’ultima parte del racconto è
narrata tramite i documenti delle testimonianze di Don Benito, l’altro punto di vista della storia,
con tutto ciò che è successo prima dell’entrata in scena di Delano. Ora tutti i misteri vengono
svelati e ogni dettaglio spiegato. Interessante è quindi anche la struttura del racconto perché nella
prima parte c’è la realtà di Delano, offuscata e filtrata dai suoi stereotipi, dal suo punto di vista,
nella seconda parte invece abbiamo il risvolto della situazione, tutto quello che è successo prima.
Personaggio secondario di Ermenegildo Gandix, uno dei marinai che tentava di avvisare Delano.
Interessante perché vittima della confusione tra bianchi e neri tipico del minster show. Infatti lui e
Don Joaquin finiranno per essere uccisi dai bianchi che leggono le loro azioni come minaccia,
vittime di un malinteso. Ambiguità e malleabilità dei limiti che separano neri e bianchi, padroni e
schiavi. L’ultimo mistero del racconto è il perché Don Benito non riesca a riprendersi, nonostante
la conclusione in suo favore. Affetto da una depressione che non era solo legata alla minacce di
Babo, ma più esistenziale, perché si rende conto che tutte le sue certezze sono crollate. La sua idea
di schiavo docile e inferiore, incapace di male, crolla. Capisce che il male è ovunque, anche nella
creatura che pensiamo essere più docile.
“Voi siete salvo, – esclamò Capitan Delano, sempre più sorpreso e addolorato, – siete salvo: che
cosa vi ha gettato addosso quest’ombra?
— I negri”.
Tasso – Ottave Estravaganti

Il canto 15 della Gerusalemme Liberata, che tratta il viaggio di Carlo e Ubaldo alle Isole Fortunate,
in una prima versione non era come lo conosciamo noi oggi, non era un viaggio atlantico che
terminava alle Canarie, ma era un viaggio molto più lungo che arrivava fino allo stretto di
Magellano. Itinerario completamente diverso da quello che noi oggi leggiamo nella Gerusalemme
Liberata. Nella prima bozza la Barca Avventurosa dei due oltrepassa le colonne d’Ercole e le isole
Fortunate e fa rotta verso il Nuovo Mondo, verso l’America del Sud.
La rotta descritta da Tasso segue il percorso di Magellano dal Brasile fino allo stretto la nave di
Carlo e Ubaldo costeggia la Patagonia, dove vedono sia gli antropofagi che i giganti patagoni, e
passando per lo stretto raggiunge l’Isola di Armida un viaggio molto più lungo. Questa prima
versione viene eliminata nella fase di revisione del poema, grossomodo tra il 1575 e il 1576 Tasso
sceglie di mantenere nella Gerusalemme Liberata solo le ottave che celebrano le imprese di
Colombo e degli esploratori rinascimentali e fa terminare il viaggio alle Isole Fortunate, nelle
Canarie.
Le ottave estravaganti sono importanti perché in parte hanno a che fare con le speculazioni dei
critici sulle conoscenze geografiche di Tasso, le ottave che sono state espunte dal poema
testimoniano l’interesse dell’autore per le scoperte geografiche e per il Nuovo Mondo e queste
ottave hanno costretto la critica a rivedere le proprie posizioni Era stato detto che Tasso fosse
poco interessato alle scoperte, e che ne avesse solo notizie molto vaghe. Invece queste ottave
contraddicono ciò e mostrano anche che Tasso conosceva il resoconto di Pigafetta. Inoltre queste
ottave permettono anche di inserire Tasso nella tradizione americanista che aveva caratterizzato
l’Italia ai tempi delle scoperte e di inserire nella giusta prospettiva la celebrazione che Tasso fa di
Colombo. Dimostrano anche che aveva letto l’opera di Ramusio, particolarmente nota e diffusa nel
periodo della composizione della Gerusalemme (1562-1568). “Navigazione e Viaggi” non è scritta
da Ramusio, egli si limita a mettere insieme diversi resoconti di viaggio. E’ da Ramusio che Tasso
riprende Pigafetta e l’epistola di Massimiliano Transilvano (uno dei primi a fornire un resoconto
della navigazione di Magellano, pur non avendo partecipato alla spedizione, intervista i
sopravvissuti all’impresa). Se Ramusio è certamente una delle fonti principali di Tasso, bisogna
chiedersi per quale ragione Tasso mantenga Colombo nella versione originale e Magellano nella
prima versione del viaggio di Carlo e Ubaldo. Sicuramente l’ispirazione viene da un precedente
illustre Girolamo Fracastoro, che scrive il poemetto De Syphilis, in cui profetizza (all’inizio del III
libro) l’avvento di un poeta che racconterà del Nuovo Mondo, attratto dalle sue novità e dedito a
cantare eroi e grandi imprese potrà cantare di navi che hanno tentato il viaggio attraverso i
pericoli di un oceano mai solcato prima. Prosegue dicendo che potrebbe ricordare le terre, le città,
le razze, i mostri che sono stati scoperti in questi viaggi. C’è un altro punto molto importante per
quanto riguarda Tasso e il suo modo di presentare Magellano nelle ottave estravaganti, libro 3 del
De Syphilis, Fracastoro profetizzando l’avvento di questo poeta dice che potrebbe cantare quello
che i posteri non stenteranno a credere quando sentiranno le gesta e cioè tutto ciò che il grande
oceano abbraccia, ovvero le terre, era stato attraversato e misurato da una singola nave.

Il canto 15 all’ottava 30 recita:


Tempo verrà che fian d'Ercole i segni
favola vile a i naviganti industri,
e i mar riposti, or senza nome, e i regni
ignoti ancor tra voi saranno illustri.
Fia che 'l piú ardito allor di tutti i legni
quanto circonda il mar circondi e lustri,
e la terra misuri, immensa mole,
vittorioso ed emulo del sole.
Punti di contatto con Fracastoro sta nella profezia di un viaggio che misurerà la terra.
Circumnavigazione. Idea di un’unica barca, sola a compiere l’impresa una barca vittoriosa ed
emula del sole questo è un cambiamento rispetto a Fracastoro che parlava di una nave “felix” ma
in Tasso è “vittoriosa”, probabilmente Tasso fa un’allusione al nome del Vittoria, la nave di
Magellano che compie tutta la navigazione. Tasso non menziona Magellano, che non sopravvive
all’impresa, ma la nave. Quindi fin dall’inizio il canto 15 della Gerusalemme liberata si collega alla
tradizione americanista e in particolare al testo di Fracastoro che era il testo più importante sulle
scoperte americane, pubblicato intorno al 1530 ma scritto già nel 1521. Ispirandosi a Fracastoro
Tasso nella versione delle ottave estravaganti compone la sua versione della circumnavigazione del
globo, inserendo questa impresa di per sé epica in un poema epico. L’ispirazione di inserire
Magellano nella Gerusalemme liberata viene probabilmente a Tasso durante un soggiorno a
Padova tra il 1564 e il 1565 dove ha l’occasione di frequentare la biblioteca di Pinelli in cui sono
presenti i testi di Fracastoro e Ramusio. Emerge nelle ottave estravaganti anche la conoscenza
profonda di Ramusio, da cui riprende Pigafetta.
Nella prima versione il viaggio arriva fino all’isola di Armida e non ha valore allegorico. Questa
parte del viaggio si trova in 3 ottave estravaganti che seguono alla celebrazione di Colombo nelle
ottave 31 e 32 della versione definitiva del canto XV.

Queste le ottave 31 e 32:


Un uom de la Liguria avrà ardimento
a l'incognito corso esporsi in prima;
né 'l minaccievol fremito del vento,
né l'inospito mar, né 'l dubbio clima,
né s'altro di periglio e di spavento
piú grave e formidabile or si stima,
faran che 'l generoso entro a i divieti
d'Abila angusti l'alta mente accheti.
Tu spiegherai, Colombo, a un novo polo
lontane sí le fortunate antenne,
ch'a pena seguirà con gli occhi il volo
la fama c'ha mille occhi e mille penne.
Canti ella Alcide e Bacco, e di te solo
basti a i posteri tuoi ch'alquanto accenne,
ché quel poco darà lunga memoria
di poema dignissima e d'istoria."

Queste ottave estravaganti sono l’encomio del canto XV che sono nella versione definitiva, encomio
affidato a Fortuna che fa una profezia. A queste, nella versione originaria seguono tre ottave dove la
barca continua il viaggio verso il nuovo mondo:
Così parlava, e le non corse strade
solca fra l’occidente e ’l mezzogiorno.
Già son dove ogni stella sorge e cade
e sempre gira egual la notte e ’l giorno.
Qui miete l’anno le mature biade
due volte, e doppio ha il verno il suo ritorno;
vanno innanzi scorrendo, e già lor sorge
il polo cui l’Europa unqua non scorge.
Miran quasi duo nuvoli di molte
luci in un congregate, e in mezzo a quelle
girar con angustissime rivolte
due pigre e brune e picciolette stelle;
e sovra lor, di croce in forma accolte,
quattro più grandi luminose e belle:
– Eccovi i lumi opposti al freddo Plaustro,
che qui segnano – disse – il polo d’Austro. –
Miran duo merghi indi con l’ale molli
quasi radendo andar l’onda marina.
La fatal donna a i duo guerrier mostrolli
per segno che la ripa è già vicina.
Ed ecco di lontano oscuri i colli
scopron de l’umil terra peregrina;
lor nel petto un desio subito viene
di lasciar l’acque e di calcar l’arene.
In queste ottave che raccontano la traversata dell’Atlantico fino all’America del Sud, le fonti non
sono solo Pigafetta e Transilvano ma nella descrizione dell’altro polo Tasso ricorre a dei topoi della
letteratura delle esplorazioni. Descrive un itinerario idealizzato in cui integra fonti storiche e
poetiche (Pigafetta, ma anche Dante nel riferimento alle quattro stelle della Croce del Sud).
Ad esempio Pigafetta al paragrafo 44 descriveva le stelle dell’altro polo. Da tener presente che
Tasso non legge il resoconto di Pigafetta ma la versione contenuta in Ramusio.
Il paragrafo 44 recita:
Il polo Antartico non è così stellato come lo Artico. Se vede molte stelle piccole, congregate
insieme, che fanno in guisa de due nebule poco separate l'una dall'altra e uno poco offusche, in
mezzo delle quale stanno due stelle molto grandi, nè molto relucenti e poco se moveno. La
calamita nostra, zavariando uno sempre, tirava al suo polo Artico; niente de meno non aveva
tanta forza come da la banda sua. E però, quando èramo in questo golfo, il capitano generale
domandò a tutti li piloti, andando sempre a la vela, per qual cammino navigando pontasseno su
le carte. Risposero tutti: Per la sua via puntualmente data: li rispose che pontavano falso, così
come era, e che conveniva aiutare la guglia del navigare, perchè non riceveva tanta forza dalla
parte sua. Quando è ramo in questo golfo vedessimo una croce de cinque stelle lucidissime, dritto
al ponente e sono giustissime una con l'altra.

Leggendo questo passo un poeta non poteva non pensare al canto I del Purgatorio e la descrizione
che Dante fa delle quattro stelle del polo antartico alla fine dell’inferno Dante si arrampica sul
corpo di Lucifero per riemergere la mattina di Pasqua sulla riva del Purgatorio e vede queste 4
stelle. Questi versi di Dante diventano un topos x le descrizioni del cielo antartico, in particolare nei
racconti di esplorazioni italiani ripreso anche da Amerigo Vespucci.
Probabilmente quando Tasso legge il passo di Pigafetta, che parla di nebule e stelle ma non
menziona la forma a croce del Sud, pensa a Dante ma anche a Oviedo, trovato in Ramusio, che
avevano ripreso questa immagine nei loro resoconti. Qui trova la conferma che le quattro stelle di
Dante e le stelle del firmamento a forma di croce che trova in Oviedo sono le stesse. Tasso rielabora
queste fonti in particolare nella seconda delle 3 ottave.
Nella terza invece aggiunge altre fonti ad esempio l’immagine degli oscuri corvi viene dal libro III
dell’ Eneide così come l’idea degli uccelli con le ali molli viene da Oviedo che nella sua storia parla
di questi passeri negri che radono le onde del mare. Queste ottave ci danno l’esempio del modo in
cui Tasso procede x la descrizione del viaggio di Carlo e Ubaldo nella prima versione mette
insieme fonti storiche e fonti poetiche.
Successivamente, le ottave che seguono corrispondono al testo pubblicato, momento in cui Carlo
esprime il desiderio di abbandonare il viaggio e tornare x raccontare alla gente il suo viaggio, le
cose nuove che ha visto ma Fortuna glielo nega. Dell’ottava 40 sopravvivono solo due versi nelle
ottave estravaganti:
E la memoria di tant’opre in breve
ne gli abissi d’oblio tuffar si deve.
Infatti nella versione pubblicata subito dopo l’ottava 38 si arriva alle isole fortunate, qui c’è invece
un momento di transizione. Il seguito all’ottava 40 è nelle ottave estravaganti, una lunga porzione
di testo che arriva fino all’incontro con i giganti patagoni:
E ciò sarà ne’ secoli maligni
che per tutto fia svelto il mirto e ’l lauro,
e muti languiran su ’l Tebro i cigni
e in Arno e in Mincio e in Taro ed in Metauro.
Solo fra i corni del gran Po ferrigni
avranno i nidi più belli che d’auro,
avranno gli antri e l’acque e l’ombra e l’erba:
oh glorioso chi gli accoglie e serba! –
Così dicendo e trascorrendo, il legno
la fatal duce a un promontorio accosta.
Gli inospitali Antropofàgi il regno
han quivi, e quindi stesa è la gran costa
per lunghissimo tratto incontra ’l segno
al quale è l’Orsa d’Aquilone opposta,
benché talor si pieghi alquanto e torca
verso le parti dove il sol si corca.
Giungon poi dove un fiume al mar confina,
che tante dal gran vaso acque diffonde
che ’l ceruleo color de la marina
segna un lungo sentier di torbide onde.
Né il Danubio sì grande o ’l Po dechina,
né quel che ’l fonte a l’un de’ poli asconde
ed a l’altro la foce, né sì grande
l’Eufrate o ’l Gange mai si gonfia e spande.
Sette isolette ha ne la bocca e tiene
più suso una provincia infra due corna,
ricca di preziose argentee vene
ond’ella ha il nome e ’l fiume anco n’adorna.
La lunga spiaggia de le salse arene
non è di borgo o di castello adorna:
rare case e disperse, e spesso scorti
son da lor fiumi e promontori e porti.
Venner dopo gran corso al sen che detto
ha di San Giulian l’Ibero audace:
loco a’ legni opportun, se non che ’l letto
pieno di sirti e innavigabil giace.
Si volser quivi a un improviso obietto
(è di Tifei, d’Enceladi ferace
quivi la terra): orribili muggianti
scopron su ’l lido i Patagon giganti.
Era in Gemelli il sol quando più breve
qui l’ombra annotta e i dì maggiori alluma,
ma là ’ve il suo valor non si riceve
verna stagion di tenebre e di bruma.
Scopron da lunge al fin monti di neve
carichi, ov’ella mai non si consuma;
poi tra lor chiuso il varco angusto appare
che parte il mar del sud da l’altro mare.
La descrizione dell’arrivo in Argentina che prosegue nelle stanze successive fino alla stanza m,
arrivo in Perù:
Spettacol quivi al nostro mondo ignoto
vider di strana e d’incredibil caccia:
volare un pesce, un altro girne a nòto.
Fugge il volante, il notatore il caccia
e ne l’ombra ch’è in acqua osserva il moto
che quel fa in aria e segue ognor la traccia,
fin che quel, che non regge a volo il peso
per lungo spazio, in mar cadendo è preso.
Escon del breve stretto ad oceano
vasto ed immenso il qual co’ venti ha tregua,
sì ch’onda pur non disagguaglia il piano
cui stabil calma e quasi eterna adegua.
Or perché ’l corso, che da senno umano
retto non è, rapidamente segua,
spinge sempre soave e sempre eguale
gli aventurosi erranti aura fatale.
A destra è lungo tratto, e quivi è il Guito
e co ’l ricco Perù l’aurea Castiglia;
ma la nave seguendo il manco lito
vèr la terra anco ignota il camin piglia,
e trova un mar sì d’isole fornito
che l’Egeo con le Cicladi somiglia.
E già da che lasciàr l’arene ibere
eran dieci albe scorse e dieci sere.
Qui la versione originaria si collega qui con l’ottava 42 della versione definitiva, solo con qualche
piccola differenza. Il viaggio si interrompe con l’arrivo all’isola di Armida e nella descrizione
emerge, a differenza di quanto accade nei resoconti, un’atmosfera da romanzo che ha dei
precedenti letterari, si rifa a dei miti a dei topoi della letteratura rinascimentale. In particolare
Tasso si ispira al topos degli avventurieri erranti e alle loro imprese meravigliose. C’è anche qui
un’atmosfera del meraviglioso però con una differenza il modello del romanzo che troviamo nella
descrizione di Tasso e l’uso del meraviglioso vengono storicizzati da Tasso proprio grazie all’uso
delle fonti storiche, al fatto che collega questi elementi ripresi dal romanzo rinascimentale alla
storia delle navigazioni e delle scoperte. Il modo in cui Tasso descrive l’avvistamento degli
antropofagi è ripreso dalle epistole di Transilvano, ma in qualche modo Tasso li nobilita passando
dal chiamarli cannibali ad antropofagi, nome più scientifico, nonostante li definisca inospitali. Si
ispira anche alla descrizione dei cannibali di Pigafetta, come il paragrafo 23 in cui li descrive. Nel
modo in cui Tasso rielabora Pigafetta e Transilvano, Tasso sintetizza due temi principali della
letteratura delle scoperte: la descrizione dei cannibali unita alla descrizione della costa sulla quale
appaiono gli antropofagi. In realtà il primo a parlare dei cannibali sulla costa argentina non era
stato Pigafetta, ma Vespucci, nella lettera a Soderini. Qui diceva che i cannibali mangiavano i
cristiani creando così un topos. Tasso aveva sicuramente presente questa fonte.
Nella descrizione del fiume, il Rio della Plata, Tasso rispetta i dati storici ma ne sfrutta il potenziale
poetico quindi da un lato offre una descrizione iperbolica, tende a ingigantire tutto quello che vede.
Allo stesso tempo introduce dettagli che tendono ad ancorare la descrizione nella storia, in
particolare nell’ottava quando fa riferimento alla presenza dell’argento nel fiume, Plata sta per
argento, argento presente nel fiume. Dettagli storicamente attendibili. La descrizione della natura
maestosa e dei fiumi giganteschi è un topos della letteratura dei viaggi di scoperta. Queste
descrizioni confermano la conoscenza non superficiale di Tasso di questa letteratura. Nella
descrizione delle Sette Isolette Tasso abbandona Pigafetta come fonte e descrive un paesaggio
stereotipato, topos di poche case, mancanza di città o borghi, che risale alla lettera in cui Colombo
annunciava la scoperta del nuovo mondo. Nell’ottava riguardo San Giuliano l’Ibero Tasso fornisce
alcune informazioni storiche tra cui l’impossibilità di navigare lo stretto di Magellano. Allo stesso
tempo però rielabora Pigafetta e Transilvano per la descrizione dei Patagoni giganti, nobilitandoli.
Nell’ottava successiva abbellisce Transilvano sull’alternanza di primavera e inverno, ritorna poi a
Pigafetta nella descrizione dello stretto. Destoricizza però la fonte non menzionando il Pacifico per
aumentare la risonanza poetica del passo. Allo stesso modo nel passo successivo riscrive la caccia
dei pesci di Pigafetta, eliminando i nomi dei pesci quindi a partire dalla stanza l Tasso
destoricizza il viaggio di Carlo e Ubaldo, abbandona la base storica. Evidente soprattutto nella
stanza l dove il corso della nave viene descritto come placido e tranquillo, al contrario della
spedizione di Magellano, in cui l’attraversamento dello stretto è il momento più arduo in assoluto.
Alla fine la barca meravigliosa lascia lo stretto ed entra nell’oceano qui Tasso aggiunge dei nomi
anhe anacronistici per dare un tocco esotico a tutta la descrizione, con riferimenti al Perù, alla
Castiglia, oltre alle allusioni all’Egeo. Ciò ci fa vedere come il resoconto storico dei viaggi delle
scoperte influenzano la letteratura e vengono riscritte in letteratura, cioè come la grande letteratura
dialoga costantemente con la letteratura di viaggio, almeno da Colombo in poi.
Il Magellano di Zweig

Zweig nel suo Magellano rispetto a Pigafetta pone l’intera impresa del navigatore sotto tutt’altra
luce. L’impresa di Magellano è importante sotto molti punti di vista, innanzitutto apre nuovi
orizzonti conoscitivi e geografici perché almeno fino all’impresa di Balboa, 1513, nessuno aveva
pensato alla circumnavigazione del globo, mai contemplata nei viaggi di scoperta. I motivi dei
viaggi di esplorazione erano solo economici, soprattutto dopo che Spagna e Portogallo si erano
spartite le nuove terre con il trattato di Tordesillas. Il contenzioso tra Spagna e Portogallo nasce per
le Isole Molucche, poste in posizione strategica, vicine ai territori di entrambe. La questione viene
risolta solo nel 1529 quando le isole vengono assegnate al Portogallo con il trattato di Saragoza.
Il tema delle spezie è il punto con cui si apre l’opera di Magellano. Zweig intitola il primo capitolo
con una citazione di Plutarco: “navigare necesse est” che pare fosse l'esortazione che Gneo Pompeo
diede ai suoi marinai, i quali opponevano resistenza a imbarcarsi alla volta di Roma a causa del
cattivo tempo. La prima frase è “in principio erano le spezie”. Queste due citazioni sono importanti
perché sottolineano il modo in cui Zweig riscrive la storia di Magellano, la vita perché qui Zweig
non racconta soltanto la circumnavigazione ma anche la vita di Magellano, mentre celebra anche la
grandezza del Portogallo dell’epoca sotto l’impulso di Enrico il navigatore.
L’allusione a Pompeo suggerisce ideali aldilà delle necessità contingenti della vita umana, cioè
l’ideale eroico, dell’uomo che si prende le responsabilità e si preoccupa del benessere della sua
popolazione. La citazione di Pompeo allude anche al potere dell’Impero Romano, ottenuto con
l’egemonia navale sul Mediterraneo. In questo modo Magellano appare come colui che in epoca
moderna incarna gli ideali di Pompeo, non solo perché era determinato a scoprire un passaggio a
sudovest per arrivare alle isole Molucche senza passare per i possedimenti del Portogallo, ma anche
perché Pompeo era colui che era stato incaricato di procurarsi provigioni, il nutrimento per
l’impero così Zweig richiama l’attenzione del lettore sia sul tema dell’impresa cioè scoprire una
via che portasse alle isole delle spezie ma anche sul ruolo della Spagna nella zona del Pacifico, che
lui mette allo stesso livello della Roma di Pompeo nel mediterraneo. C’è quindi un dialogo costante
dell’autore con le fonti classiche attraverso diversi modelli come la figura di Alessandro Magno a
cui viene assimilato tanto Rico il Navigatore quanto Magellano.
Il commercio delle spezie e lo scopo del viaggio di Magellano sono strettamente legate, il
commercio delle spezie era una delle attività principali dei viaggi di esplorazione, a partire dal
15°secolo. Per questo secondo Zweig Magellano intraprende questo viaggio che lui definisce di
durata incommensurabile. Zweig parla del catalogo di bordo (catalogo delle navi nell’Iliade).
Riferimento a Omero, parallelo illustre. Inoltre c’è un’atmosfera completamente diversa rispetto a
quella in Pigafetta non interessato agli aspetti commperciali, qui invece c’è enfasi sugli aspetti
commerciali.
Tutto il primo capitolo è importante perchè fa da introduzione a tutto il racconto della vita di
Magellano che ha questo impulso epico alla conquista del mondo prende mossa dal commercio, da
cose come molto terrene, le spezie. Non c’è nulla quindi di romantico, di eroismo. Tutto si
riconduce al commercio. Inoltre dice anche che l’impresa non è stata pianificata in anticipo
secondo Zweig, il tutto è una fatale coincidenza. Parla di “ore stellari dell’umanità” che racchiudono
tutte le grandi imprese dell’umanità, compresa la corsa al Polo Sud.
L’Oceano Atlantico, che da occidente viene a infrangersi contro le sue coste, è considerato, in base
alla geografia tolemaica (unica autorità del Medioevo), un deserto d’acqua infinito e non
navigabile. Le mappe tolemaiche dichiarano altrettanto impraticabile la via del sud, lungo la
costa africana: è impossibile, affermano, veleggiare attorno al grande deserto di sabbia, giacché
questa distesa spopolata e inospitale giunge fino al polo Antartico: è congiunta, senza possibilità
di passaggio, con la Terra Australis. Secondo il parere degli antichi geografi, il Portogallo, in
quanto posto fuori dall’unico mare navigabile, il Mediterraneo, avrebbe la posizione più
sfavorevole fra tutte le potenze marinare d’Europa L’idea dominante di un principe portoghese
sarà quindi di rendere possibile questa impossibilità, tentando di far sì che, secondo il motto
biblico, «gli ultimi» diventino «i primi». Se Tolomeo, questo geografo massimo, questo pontefice
della cosmografia, si fosse ingannato? Se questo oceano, il quale talvolta scaglia sulle rive
portoghesi strani legni esotici, che pure devono essere cresciuti in qualche terra, non fosse affatto
sconfinato, ma conducesse a nuovi lidi ancora sconosciuti? E se l’Africa fosse abitabile anche di là
dal tropico; se quel greco onnisciente avesse favoleggiato affermando che non si può
circumnavigare il continente inesplorato, che non vi è nessun passaggio all’Oceano Indiano? Se
fosse così, il Portogallo, appunto perché posto all’estremo limite occidentale, sarebbe il vero
trampolino di ogni scoperta, avrebbe il percorso più breve verso l’India; non più chiuso
dall’Oceano, ma, come nessun’altra terra in Europa, chiamato alla missione di avanscoperta.
Questo sogno, di fare del piccolo e debole Portogallo una grande potenza marinara,
trasformando l’Oceano Atlantico da insuperabile sbarramento in via di transito, è in nuce l’idea
vitale dell’«infante» Enrique, che la storia, a torto e a ragione, ha soprannominato Enrico il
Navigatore.
Il viaggio di Magellano secondo Zweig è dovuto alla coincidenza tra il genio della persona e il genio
dei tempi. In particolare, il genio di Enrico il navigatore ha reso possibile che un piccolo paese
posto ai margini dell’Europa fosse il motore delle nuove scoperte. L’opera di Zweig stabilisce le
coordinate entro cui vine narrata poi l’intera vita di Magellano al centro della quale ovviamente c’è
l’impresa della circumnavigazione. Ricorre frequentemente ai modelli antichi, alla fine del 15°
secolo il Portogallo è diventato un grande paese e tutta l’Europa in generale inizia a rendersi conto
che le scoperte geografiche avrebbero determinato grandi cambiamenti.

Mai, forse, un popolo si è stretto in uno sforzo grandioso e vittorioso quanto il portoghese alla
fine del secolo XV: non soltanto trova d’un tratto il suo Alessandro e i suoi argonauti in
Albuquerque, Vasco da Gama, Magellano, ma trova anche il suo Omero in Camões, il suo Livio in
Barros. Da un’ora all’altra sono pronti gli eruditi, gli architetti, i grandi mercanti: come la Grecia
sotto Pericle, l’Inghilterra sotto Elisabetta, la Francia sotto Napoleone, un piccolo popolo attua in
forma universale la sua idea più profonda e la presenta quale azione concreta al mondo intero.
Per un indimenticabile momento il Portogallo è la prima nazione d’Europa e guida tutta
l’umanità. Ma ogni grande conquista di un popolo singolo è anche compiuta per tutti i popoli.
Tutti avvertono che avventurandosi oltre l’ignoto si sono anche capovolte le misure, i concetti, le
distanze sino allora riconosciuti; e perciò in tutti i porti, in tutte le università si attendono e si
seguono con trepida impazienza le notizie da Lisbona. Con singolare chiaroveggenza l’Europa
intuisce la genialità di quest’azione amplificatrice dell’universo; comprende che viaggi e scoperte
trasformeranno in breve il mondo più decisamente di tutte le guerre e di tutti i cannoni, che
un’epoca centenaria, millenaria, il Medioevo, va a finire e s’inizia un’età nuova, l’età moderna,
che penserà e creerà con altre dimensioni.
Nella visione di Zweig alla fine del ‘400, la scoperta del Nuovo Mondo cambia tutti i paradigmi
conoscitivi che fino a quel momento avevano dominato la cultura europea, c’è una rivoluzione a
360° di quello che era non soltanto la cultura intesa nel senso lato quindi anche quella scientifica
non solo letteraria e storica ma anche un cambiamento totale dell’immagine del modo. Le scoperte
geografiche segnano la fine del Medioevo e inizio dell’età moderna. Il Portogallo viene celebrato da
uno dei personaggi più importanti dell’umanesimo italiano, Poliziano, il quale in un’epistola ne
celebra le imprese e si fa portavoce della gratitudine dell’Europa nei confronti di questo paese.
Zweig scrive:
non solo ha lasciato dietro di sé le Colonne d’Ercole e domato un Oceano infuriato, ma ha
riconosciuto l’unità fino a oggi interrotta del mondo abitabile. Quali nuove possibilità e quali
vantaggi economici possiamo ancora aspettarci, quale elevazione del sapere, quali conferme
della scienza antica finora ripudiate come incredibili! Nuove terre, nuovi mari, nuovi mondi sono
sorti dalle tenebre secolari. Il Portogallo è oggi il custode di un altro mondo.
Un altro mondo che comprende sia le nuove terre che le vecchie, la nuova immagine del mondo con
cui l’Europa deve fare i conti per questo secondo Zweig l’impresa di Magellano cancella
definitivamente l’immagine tolemaica del mondo perché dimostra che la terra è sferica, apre nuovi
orizzonti in termini di vie commerciali e x le esplorazioni del Sud, ma apre anche nuovi orizzonti
alla scienza perché l’uomo si ritrova improvvisamente di fronte un uomo sconosciuto in termini
geografici, antropologici, etnografici, di fronte a una nuova flora e fauna, soprattutto di fronte a una
natura maestosa, immensa.
Dopo il passaggio di Magellano attraverso lo stretto, l’Europa si dimentica di quell’area, della
regione dello stretto, della Patagonia e della terra del fuoco, nessuno in Europa pensa di eplorare
quelle terre quindi tutto quello visto in Tasso, Pigafetta ecc viene dimenticato. L’Europa non
disturba il dominio della Spagna sul Pacifico, nessuno dimostra interesse nonostante la popolarità
delle opere a riguardo, considerate intrattenimento, fino all’Inghilterra di Elisabetta I che diventa
una grande potenza marittima che ad un certo punto di incuriosisce dell’America compare allora
Sir Francis Drake, al quale la regina dà l’incarico di mappare ed esplorare le coste dell’America. Il
viaggio di Drake, che poi si trasforma in una vera e propria rincorsa negli oceani con gli antagonisti
spagnoli, si svolge tra il 1577 e il 1580. Non appena Drake compare sul Pacifico la Spagna reagisce.
Mandare un esploratore in territorio spagnolo significava minacciarne il dominio. Per questo
motivo il re spagnolo si rivolge ad un condottiero, Pedro Sarmiento de Gamboa, grandissimo
esploratore incaricato di fronteggiare Drake, in questi anni si assiste proprio ad una rincorsa tra
spagnoli ed inglesi.
Sarmiento de Gamboa noto come “L’Ulisse d’America”, cerca di stabilire insediamenti nello stretto
di Magellano perché ovviamente se nella zona abitavano europei insieme ai nativi, sarebbe stato
più difficile per gli inglesi conquistare l’area. Operazione senza successo. Fonda due insediamenti
che patiscono la fame tanto che quando gli inglesi giungono trovano solo scheletri e rinominano la
zona da “Rey Felipe” a “Port Famine”, i cui resti si trovano vicino alla città di Punta Arenas. Storia
che infiamma l’immaginazione europea Da vita al mito della Città dei Cesari, che sarebbe stata
fondata dai pochi sopravvissuti di Rey Felipe. Introvabile. Nel 1600 diventa uno dei luoghi
dell’Utopia.
Nonostante la fama iniziale di Sarmiento, egli cade progressivamente nell’oblio, l’Europa si
dimentica di Sarmiento finché nella seconda metà del diciottesimo secolo e soprattutto nel
diciannovesimo, gli esploratori dei mari del sud, dopo il ritrovamento del manoscritto di Sarmiento
in una biblioteca di Madrid, cominciano a leggerne il resoconto di viaggio usandolo come guida x i
loro viaggi di esplorazioni. Sarmiento diventa di nuovo un eroe per gli esploratori moderni lodato
per la sua perseveranza e determinazione dall’esploratore Fitzroy. Fitzroy cita l’ancient mariner di
Coleridge e lo paragona a Sarmiento Fitzroy riporta in auge la figura di Sarmiento di Gamboa.
Prima di Fitzroy però c’è tutta un’altra storia di esplorazioni dell’area del Pacifico tra la fine del
1700 e la corsa per il polo. Ricominciano grazie all’iniziativa del francese Buganville e dell’inglese
John Byron, nonno del famoso poeta, che 250 anni dopo Magellano circumnaviga il mondo, e
inaugura la cosiddetta “età dei grandi velieri”. A questo punto l’uomo guarda al mondo con un
nuovo sguardo ed enfasi sulla maestosità della natura, bella e minacciosa questo ovviamente si
riflette nei resoconti di viaggio in cui non avremo più soltanto la semplice descrizione dei luoghi, la
cronaca degli eventi eccetera ma anche l’aspetto antropologico, etnografico, estetico, attenzione x la
bellezza del mondo naturale. Basta vedere il cambiamento evidente nella differenza di descrizione
dei patagoni tra Pigafetta e Cook e Darwin. Cook è molto severo. Darwin sarà ancora più duro nel
suo giudizio: parla di una terra selvaggia e di selvaggi, li presenta come se fossero delle scimmie.
Dice che la differenza tra i selvaggi e uomini civili è maggiore di quella tra un animale selvaggio e
uno addomesticato, parla di un linguaggio primitivo, li definisce tra gli essere più miserabili sulla
terra. Siamo quindi molto lontani dal resoconto di Pigafetta e ciò rende l’idea del modo in cui i
resoconti cambiano, innanzitutto perché c’è un giudizio etico morale, l’incapacità dell’uomo
europeo di riconoscere l’ altro da sé. Cook ad esempio si chiede se abbiamo un capo, perché ricerca
nell’altro un governo simile a quello europeo, ricerca quello che conosce. La stessa cosa per quanto
riguarda la descrizione che Darwin fa del linguaggio, sono suoni simili a quando noi ci schiariamo
la gola ma non c’è la disponibilità a pensare che anche quella possa essere una forma di linguaggio.
Gli esploratori moderni non si dimostrano neanche disposti ad avvicinarsi al linguaggio, schernito
perché gutturale, senza alcun tentativo di comprensione.
La spedizione di Cook è importante perché diversamente organizzata rispetto alle altre
esplorazioni. Introduce dei cambiamenti: Cook vuole scienziati a bordo, imbarca infatti l’esperto di
botanica Joseph Banks, a capo di un gruppetto di artisti e scienziati perché pensa sia necessario
riportare in Europa un quadro fedele del nuovo mondo per questo serve uno specialista. Scienziati
per descrivere flora e fauna e artisti per disegnare accuratamente l’ambiente e gli animali
guardare quel mondo con occhi esperti e riprodotto fedelmente in forma scritta e visiva. Anche
Darwin si imbarca come specialista per fare una riproduzione accurata. Raccogliere tutte queste
informazioni e riportarle significa avere una conoscenza precisa dei luoghi, conoscenza utile perché
a casa si traduce in potere geopolitico, non è un caso infatti che buona parte del Sud America e in
particolare la terra del fuego ancora oggi rimangono nelle mani degli inglesi perché sono quelli che
conoscevano meglio quei territori e che quindi hanno tradotto tutta questa conoscenza in potere
geopolitico. Inoltre viene anche sottolineato il valore scientifico della spedizione, novità del mondo
moderno. Viaggio di Cook è sponsorizzato dalla Royal Society, che vuole mandare un astronomo in
Terra del Fuoco per osservare il passaggio di Venere sul Sole, nel 1769 a giugno, nell’emisfero
australe e possibilmente nella parte più a sud del mondo, missione quindi con fini scientifici,
astronomici. La spedizione di Cook quindi porta in Europa una mole ingente di dati. La prima
spedizione di Cook stabilisce un modello che poi l’Inghilterra applicherà a tutti gli altri viaggi di
esplorazione.
Importantissimo anche il resoconto di viaggio alle regioni equinoziali di Alexander von Humboldt,
specchio del nuovo modello della ricerca scientifica. Introduce nel suo resoconto un nuovo modo di
fare ricerca scientifica basata su un metodo comparativo: confronto scientifico tra nuovo e vecchio
mondo. Il rinnovato interesse per le esplorazioni rivive anche il mito della terra australis che aveva
dominato tutto il medioevo questo interesse per la terra australis è suscitato anzitutto da mappe,
mappamondi e racconti. Questo avviene almeno fino alla seconda spedizione di Cook, nel 1755,
seconda spedizione perché il governo britannico aveva ordinato a Cook di circumnavigare il mondo
nella parte più a sud possibile, per vedere se c’era un qualche continente nella parte più estrema,
cioè la terra australis. Per bene 3 volte Cook in questa spedizione oltrepassa il circolo polare
antartico e alla fine dimostra che la terra australis è un mito e che se l’Antartide esiste deve essere
aldilà della barriera di ghiaccio, che siccome non può essere attraversata rimarrà inaccessibile agli
uomini.
Dopo Cook il mito dei mari del sud è ormai nato. Iniziano le esplorazioni della terra australis,
ultimo confine del mondo. Circa 50 anni dopo il russo-tedesco Fabian Gottlieb von Bellingshausen
arriva in Antartide nel 1820. Probabilmente è il primo, ma non sa di essere in Antartide. Nel 1831
John Biscow circumnaviga l’Antartide. Da questo punto in poi tutti i paesi europei cominciano ad
organizzare spedizioni per arrivarci. Temporaneamente rimane fuori UK, non interessata
all’Antartide. C’era stata la spedizione di Ross, che diede il nome al Mare di Ross, che dopo essere
andato al Polo Nord magnetico si reca anche al Polo Sud, che però non riesce a raggiungere, ma
scopre che il pack antartico può essere attraversato contrariamente a quanto sosteneva Cook.
Dopo Ross UK mostra scarso interesse, la Royal Geographical Society era impegnata invece a
discutere se accettare le donne nella Royal Society. Finché non diviene presidente Clements
Markham nel 1893, che per distrarre l’attenzione dalla questione riporta la discussione sui viaggi di
esplorazione al polo sud. UK diventa nuovamente il vero protagonista. Nel 1895 a un convegno
della Royal Society, Carsten Borchgrevink sostiene di essere arrivato in Antartide. Si rinfiamma la
competizione. Quindi poi viene approvata una mozione con cui gli inglesi dichiarano la necessità di
tutto il mondo di impegnarsi per le spedizioni in Antartide. Per Markham le spedizioni dovevano
ridar credito alla Royal Geographical Society. Spedizione di Scott importante nella misura in cui
stabilisce un nuovo modello di eroismo. Nel 1902 parte la prima spedizione di Scott. Nel 1911,
seconda spedizione di Scott in Antartide. Spedizioni fallimentari. Nella prima spedizione Scott deve
essere salvato, la seconda finisce in tragedia. Spedizioni comunque considerate un successo dal
pubblico perché stabilisce un nuovo modello di eroismo, nuovo paradigma dell’eroe. Scott
comunque non accetta la sconfitta. Nel 1909 arriva la notizia che Shackelton, che aveva partecipato
alla prima spedizione di Scott, è arrivato a 97 miglia dal polo sud, quasi a destinazione. Shackelton
però deve abbandonare il viaggio, è costretto a tornare indietro per mancanza di provviste. I
rapporti tra Scott e Shackelton si erano raffreddati. Scott decide di ripartire una seconda volta,
organizza una nuova spedizione. Arrivato in Nuova Zelanda viene a sapere che anche Roald
Amundsen è diretto al polo sud, dopo aver nascosto a tutti il suo vero obiettivo e che inoltre voleva
stabilire il suo campo nella zona dove voleva stabilirlo Scott. Amundsen è il primo arrivare al polo
sud. Nonostante le sconfitte gli inglesi guardano con orgoglio alle spedizioni. Scott e la sua truppa
scompaiono, vengono poi ritrovati morti nei loro sacchi a pelo dai soccorsi. Scott prima di morire
riesce a lasciare un messaggio al pubblico, che lo rende leggenda. Scott riassume tutta la sua
spedizione, mettendone in luce anche i difetti, e alla fine dice di non essersi comunque mai pentito
di aver intrapreso il viaggio. Non dice che non era riuscito nell’impresa perché la spedizione fu mal
organizzata ma accusa la sfortuna per il fallimento. Rischi che andavano corsi per l’onore del paese.
Nelle sue ultime parole fa un ritratto della nazione, dell’Inghilterra edwardiana, fa qualcosa che
nessuno aveva fatto: sul punto di morte da testimonianza di quello che era successo ma costruisce
anche il racconto del ritorno, dice che se fosse sopravvissuto avrebbe raccontato una storia di
sofferenze, ma che ora invece lo faranno i loro cadaveri. Qui sta il mito di Scott, passato alla storia
come Scott of the Antartic, lo scopo patriottico dell’impresa, non è per la loro gloria ma per l’onore
del paese che l’uomo si è sacrificato anche a costo della vita. Ciò diventerà un manifesto
dell’eroismo.
Shackelton

La Endurance Expedition di Shackelton avviene invece negli anni della prima guerra mondiale,
elemento che influenza la spedizione e il mito di Shackelton. Non è tanto lui a diventare un mito,
quanto la nave, la Endurance triturata dai ghiacci. Shackelton parte che lascia l’Inghilterra
edwardiana e si ritrova al ritorno nella prima guerra mondiale in un mondo completamente
cambiato, in cui i valori sono diventati altri e in cui sono tutti concentrati sul problema della guerra
per cui c’è poca attenzione alle spedizioni polari. La Endurance è una delle storie più affascinanti
sulle esplorazioni del polo sud perché la nave viene letteralmente stritolata dai ghiacci, è una storia
di dolore e disperazione finno allo stremo ma anche la storia di un grande salvataggio perché
Shackelton mette a rischio la sua vita per salvare i suoi compagni, intraprende una traversata
spaventosa per terre mai attraversate per arrivare a chiedere i soccorsi e riportarli a casa. Nel 1909
Shackelton era già stato al Polo Sud, era arrivato a circa 170 chilometri dal Polo Sud ma dovette
tornare indietro e per un po’ aveva abbandonato l’idea di tornarci. Quando arriva in Inghilterra
viene a sapere della morte di Scott e dell’arrivo al polo di Amundsen. Decide quindi di ripartire per
ridar credito al Regno Unito come grande potenza marittima e grande paese di esploratori. Parte
anche per riscattare la morte di Scott. Traversata dell’Antartide passando per il polo, impresa
titanica che secondo Shackelton solo gli inglesi possono compiere. Pianifica la traversata con due
navi: Endurance e Aurora, con l’obiettivo di raggiungere l’Antartide da due mari diversi, il Mare di
Weddel (quasi inesplorato) e il Mare di Ross (usato da Scott e Amundsen). L’Aurora che doveva
giungere dal Mare di Ross doveva predisporre depositi di cibo e carburante. L’Endurance dopo
essere partita dalla Georgia del Sud nel 1914 viene ben presto bloccata dai ghiacci e dopo 10 mesi
ne finiscono stritolati, quindi rimangono senza navi e da qui parte l’ impresa epica della ricerca di
soccorsi.
L’Endurance Expedition di Shackelton parte l’8 agosto del 1914, quattro giorni dopo l’ingresso di
UK nel conflitto mondiale. Questo aspetto fa la differenza riguardo il suo ritorno perché quando
tornerà sarà cambiato innanzitutto il paradigma di eroismo Shackelton non sarà acclamato come
era successo quando tornò dalla prima spedizione o come lo era stato Scott perché il mondo ha ben
altri problemi, la gente moriva nelle trincee, la guerra era ancora in corso. Infatti quando nel 1916
l’Aurora, nave che accompagnava l’Endurance, manda una richiesta di aiuto, Churchill risponde
sostanzialmente che ha altro di cui preoccuparsi, fin quando tutti i malati e i feriti non saranno stati
curati, fin quando non sarà chiusa ogni sottoscrizione x aiutare gli ospedali a far fronte al problema
dei feriti di guerra, solo allora avrebbe potuto occuparsi dei pinguini. Fu proprio denigratorio. 10
anni prima o poco più nessuno avrebbe mai dato una risposta del genere a Scott. Quando arriva in
UK la notizia della morte di Scott viene celebrato come eroe. Quando Shackelton torna nessuno gli
presta molto attenzione. Per di più il polo sud era stato già raggiunto e la traversata dell’Antartico
per raccolta di informazioni scientifiche e topografiche interessava molto poco al pubblico. Seppur
sia comunque un grande eroe delle esplorazioni, lo è in un periodo in cui questa idea di eroismo è
passata in secondo piano perché ormai era nata una nuova figura di eroe e cioè l’eroe di guerra. La
spedizione e la sua storia di Shackelton è il racconto di una delle storie di esplorazione più
straziante e angosciante, più di quella di Scott. Questo risuona ancora di più quando lo mettiamo a
confronto con quello che era stato lo scopo che aveva spinto Shackelton a organizzare questa
avventura lui diceva che questa spedizione aveva incentrato tutte le sue ambizioni, speranze e
desideri quindi poi la disfatta totale appena arrivano al Sud è ancora più straziante, il fallimento è
immediato. Per cui quello che noi leggiamo in South, che non è il diario della spedizione ma un’
opera scritta da un ghostwriter sotto dettatura di Shackelton, scritta dopo la fine dell’avventura,
rivela tutto il dolore e la disperazione di questa missione seppur non mancano il coraggio e la
speranza. Pur di salvare i compagni rimasti a Elephant Island, dopo aver perso l’Endurance,
intraprende un viaggio verso l’ignoto, verso la South Georgia. Isola completamente inesplorata. In
3 e a piedi attraversano l’isola per arrivare al porto e chiedere aiuti. Mentre Scott è l’eroe di una
sconfitta, Shackelton segue un modello diverso, è un viaggio verso la morte e poi un modello di
rinascita e salvezza con la risalita verso la Georgia del Sud ma Shackelton sa del falimento delle
precedenti spedizioni e soprattutto sa già in partenza che incontrerà il ghiaccio perché i
comandanti delle baleniere lo hanno avvertito.
“The situation became dangerous that night. We pushed into the pack in the hope of reaching
open water beyond, and found ourselves after dark in a pool which was growing smaller and
smaller”.
Si concretizza ciò che gli avevano detto i comandanti delle baleniere infatti Hussey e Worsley,
due testimoni della spedizione, parlano di un “mondo di una colossale e interminabile ostruzione”,
la sensazione che tutti hanno di quella spedizione è significativo perché dopo aver navigato nei
ghiacci la navigazione continua, quindi al volgere del 1914 tutto sembrava procedere per il meglio,
finché il 10 gennaio vedono la terra per la prima volta da quando erano partiti dalla Nuova Zelanda.
Decidono però di proseguire il viaggio, perdendo così la loro ultima possibilità di toccar terra. Con
l’aumentare del viaggio aumenta la loro angoscia, prendono consapevolezza del rischio di rimanere
intrappolati nel ghiaccio.
“The ice was packed heavily and firmly all round the Endurance in every direction as far as the
eye could reach from the masthead. There was nothing to be done till the conditions changed, and
we waited through that day and the succeeding days with increasing anxiety”.
C’era l’impossibilità di attraversare la banchisa, non c’è nessuna apertura. Racconto
progressivamente più angosciante. Non è un caso che Shackelton citi il libro di Giobbe, pagina che
salva dall’Endurance e conserva fino al momento della salvezza. La storia di Giobbe è importante
perché è un uomo che viene privato di tutto da Dio (il diavolo disse che Giobbe non era fermo nella
sua fede perché se viene privato alla fine ripudia il suo Dio), viene messo alla prova, perde tutto, ma
non perde mai la fede, è l’esempio della forza della fede. Legame tra Giobbe e Shackelton.
“I tore the flyleaf out of the Bible that Queen Alexandra had given to the ship, with her own
writing in it, and also the wonderful page of Job containing the verse:
Out of whose womb came the ice?
And the hoary frost of Heaven, who hath gendered it?
The waters are hid as with a stone,
And the face of the deep is frozen”.
Qui Giobbe si interroga sulla natura dei ghiacci.
A proposito della nave imprigionata nei ghiacci Hussey scrive che è un atomo senza speranza,
serrata dai ghiacci, che va alla deriva impotente insieme alla banchisa. A fine gennaio appare chiaro
a tutti che passeranno tutto l’inverno sulla nave e aspettare la primavera.
“We must wait for the spring, which may bring us better fortune. If I had guessed a month ago
that the ice would grip us here, I would have established our base at one of the landing places at
the great glacier. But there seemed no reason to anticipate then that the fates would prove
unkind. This calm weather with intense cold in a summer month is surely exceptional. My chief
anxiety is the drift. Where will the vagrant winds and currents carry the ship during the long
winter months that are ahead of us? We will go west, no doubt, but how far? And will it be
possible to break out of the pack early in the spring and reach Vahsel Bay or some other suitable
landing place? These are momentous questions for us”.
La preoccupazione maggiore è la deriva, che solleva anche il problema del disorientamento, non
solo geografico ma anche morale, esistenziale. La Endurance va alla deriva ma nonostante tutto
hanno ancora fiducia nel fatto che la nave riprenda il suo corso a primavera. Ma poi quello che
succede è che nel mezzo del pack che va alla deriva l’isola di ghiccio diventa il centro di una
pressione tremenda, pressione che distruggerà l’Endurance. Quando il pack si scontra con la
banchisa, con le lastre di ghiaccio è una gigantomachia, una battaglia tra giganti. La nave comincia
a sentire la pressione dei ghiacci. Da atomo la nave diventa giocattolo nelle mani dei ghiacci, a detta
di Hussey.
“There was some movement of the ice near the ship during the concluding days of the month. All
hands were called out in the night of August 26, sounds of pressure having been followed by the
cracking of the ice alongside the ship, but the trouble did not develop immediately. Late on the
night of the 31st the ice began to work ahead of the ship and along the port side. Creaking and
groaning of timbers, accompanied by loud snapping sounds fore and aft, told their story of
strain. The pressure continued during the following day, beams and deck planks occasionally
buckling to the strain. The ponderous floes were grinding against each other under the influence
of wind and current, and our ship seemed to occupy for the time being an undesirable position
near the center of the disturbance; but she resisted staunchly and showed no sign of water in the
bilges, although she had not been pumped out for six months. The pack extended to the horizon in
every direction”.
Quindi l’ Endurance è al centro dello stritolamento, ma per un momento sembra possibile
riprendere la spedizione. Dopo 9 mesi, il 14 di ottobre credono di essersi liberati dal ghiaccio, per
poi ritrovarsi intrappolati in nottata. E questo fu l’inizio della fine secondo Shackelton ed emerge
sempre più forte il senso di estraniamento dell’uomo a quell’ambiente al punto che Shackelton
scrive:
“We were helpless intruders in a strange world, our lives dependent upon the play of grim
elementary forces that made a mock of our puny efforts”.
Si sentono degli intrusi impotenti in un mondo strano, un mondo altro dall’essere umano.
Resistono ancora qualche giorno.
“Almost like a living creature, she resisted the forces that would crush her; but it was a one-sided
battle. Millions of tons of ice pressed inexorably upon the little ship that had dared the challenge
of the Antarctic. The Endurance was now leaking badly”.
Ma il 27 ottobre un lastrone alla deriva colpisce l’Endurance.
“After long months of ceaseless anxiety and strain, after times when hope beat high and times
when the outlook was black indeed, the end of the Endurance has come. But though we have been
compelled to abandon the ship, which is crushed beyond all hope of ever being righted, we are
alive and well, and we have stores and equipment for the task that lies before us. The task is to
reach land with all the members of the Expedition. It is hard to write what I feel. To a sailor his
ship is more than a floating home, and in the Endurance I had centered ambitions, hopes, and
desires. Now, straining and groaning, her timbers cracking and her wounds gaping, she is slowly
giving up her sentient life at the very outset of her career. […] The ship was hove stern up by the
pressure, and the driving floe, moving laterally across the stern, split the rudder and tore out the
rudder post and stern post. Then, while we watched, the ice loosened and the Endurance sank a
little”.
Comincia la fine dell’Endurance, il giorno più nero, fatale, decidono di abbandonare la nave dopo
aver consumato un ultimo pasto a bordo. Worstley, un altro compagno, dice dopo aver lasciato la
nave che in realtà hanno lasciato casa, hanno coscienza che non è solo la fine dell’Endurance ma
che quel ghiaccio potrebbe diventare la loro tomba.
Dopo la perdita della nave Shackelton tenta invano di raggiungere la costa con le slitte, senza però
alcun successo. Prendono il mare con 3 scialuppe di salvataggio. Iniziano una navigazione terribile
e dopo 5 giorni arrivano ad Elephant Island e costruiscono un campo.
Capitolo “Escape from the ice”, c’è la descrizione di tutto il viaggio fino a quando arrivano:
“Rowing carefully and avoiding the blind rollers which showed where sunken rocks lay, we
brought the Stancomb Wills towards the opening in the reef. Then, with a few strong strokes we
shot through on the top of a swell and ran the boat on to a stony beach. The next swell lifted her a
little farther. This was the first landing ever made on Elephant Island, and a thought came to me
that the honor should belong to the youngest member of the Expedition, so I told Blackborrow to
jump over. He seemed to be in a state almost of coma, and in order to avoid delay I helped him,
perhaps a little roughly, over the side of the boat. He promptly sat down in the surf and did not
move. Then I suddenly realized what I had forgotten, that both his feet were frostbitten badly.
Some of us jumped over and pulled him into a dry place. It was a rather rough experience for
Blackborrow, but, anyhow, he is now able to say that he was the first man to sit on Elephant
Island”.
Storia dello sbarco.
“A curious spectacle met my eyes when I landed the second time. Some of the men were reeling
about the beach as if they had found an unlimited supply of alcoholic liquor on the desolate shore.
They were laughing uproariously, picking up stones and letting handfuls of pebbles trickle
between their fingers like misers gloating over hoarded gold. The smiles and laughter, which
caused cracked lips to bleed afresh, and the gleeful exclamations at theight of two live seals on the
beach made me think for a moment of that glittering hour of childhood when the door is open at
last and the Christmas tree in all its wonder bursts upon the vision”.
Il momento dello sbarco è un indescrivibile, quando fa il paragone tra gli uomini che fanno cadere
la ghiaia tra le mani agli avari che fanno cadere l’oro dalle mani c’è tutto il senso dello sbarco 
toccare terra è la ricchezza più grande, momento in cui si apre uno spiraglio di salvezza.
Descrizione ispirata alla famosissima scena dello sbarco di Robinson Crusoe sull’isola sconosciuta.
Nonostante questa gioia iniziale, Shackelton sa che quell’ isola è fuori da tutte le rotte di
navigazione, è quindi impossibile che qualcuno venga a salvarli, quindi sono a terra ma hanno la
consapevolezza che quella è l’inizio della fine e anche se arrivasse un aiuto in qualche modo,
nessuno penserebbe di andare ad Elephant Island.
“Obviously we must find some better resting place. I decided not to share with the men the
knowledge of the uncertainties of our situation until they had enjoyed the full sweetness of rest
untroubled by the thought that at any minute they might be called to face peril again. The threat
of the sea had been our portion during many, many days, and a respite meant much to weary
bodies and jaded minds”.
Tutto ciò che l’isola può offrire ai suoi uomini è riposo. Quindi decide di non condividere le sue
preoccupazioni. Si interroga però su come intraprendere un viaggio per cercare aiuto solo con 3
scialuppe. Non è semplice perché la terra più vicina è di fatto lontanissima e per raggiungerla
bisogna attraversare il difficile Stretto di Drake, uno degli stretti più difficili da attraversare.
Bisogna però correre il rischio. Shackelton sceglie di partire per la Georgia del Sud, perché tempo
prima l’Endurance vi si era fermata quindi sanno che lì c’è un porto, c’è gente. Quindi parte e lascia
9 persone sull’isola e ne porta con sé 5.
“The crew of the Stancomb Wills shook hands with us as the boats bumped together and offered
us the last good wishes. Then, setting our jib, we cut the painter and moved away to the
northeast. The men who were staying behind made a pathetic little group on the beach, with the
grim heights of the island behind them and the sea seething at their feet, but they waved to us and
gave three hearty cheers. There was hope in their hearts and they trusted us to bring the help that
they needed”.
La barca naviga x un paio di settimane, hanno ovviamente difficoltà a mantenere la rotta perché il
rischio è che anche spostandosi di pochissimo si possa perdere la South Georgia e ritrovarsi
nell’oeano aperto, il che significa la fine. Giungono in South Georgia, ma sbarcano dal lato opposto
del porto e devono attraversare le montagne, il ghiaccio, per arrivare dall’altro lato. Non ci sono
indicazioni, non hanno nessun tipo di attrezzatura quindi è un altro viaggio nell’ignoto, devono
avventurarsi. Costruiscono un campo, chiamato Peggotty Camp (citazione da Dickens), in cui
sostano x alcuni giorni e si cibano dei pulcini degli albatros.
“My doublebarreled gun and some cartridges had been stowed aboard the boat as an emergency
precaution against a shortage of food, but we were not disposed todestroy our little neighbors,
the Cape pigeons, even for the sake of fresh meat. We might have shot an albatross, but the
wandering king of the ocean aroused in us something of the feeling that inspired, too late, the
Ancient Mariner. So the gun remained among the stores and sleeping bags in the narrow
quarters beneath our leaking deck, and the birds followed us unmolested”.
Ancient Mariner modello più volte richiamato. Ad un certo punto decidono di ammazzare gli
albatros, non prima di aver descritto come nascono questi pulcini.
“We might have shot an albatross, but the wandering king of the ocean aroused in us something
of the feeling that inspired, too late, the Ancient Mariner. So the gun remained among the
stores and sleeping bags in the narrow quarters beneath our leaking deck, and the birds followed
us unmolested”.
Dopo essersi ristorati, Shackelton insieme a due suoi compagni si mettono in viaggio alla ricerca di
aiuti, cercare una stazione di baleniere non molto lontana ma il punto è che nessuno sapeva cosa ci
fosse al centro dell’isola viaggio quindi attraverso l’ignoto. Impiegano 36 ore e alla fine stremati
vedono un’insenatura. Momento di grande emozione:
“We went through the gap at 6 A.M. with anxious hearts as well as weary bodies. If the farther
slope had proved impassable our situation would have been almost desperate; butthe worst was
turning to the best for us. The twisted, wave-like rock formations of Husvik Harbor appeared
right ahead in the opening of dawn. Without a word we shook hands with one another. To our
minds the journey was over, though as a matter of fact twelve miles of difficult country had still
to be traversed. A gentle snow slope descended at our feet towards a valley that separated our
ridge from the hills immediately behind Husvik, and as we stood gazing Worsley said solemnly,
“Boss, it looks too good to be true!” Down we went, to be checked presently by the sight of water
2500 ft. below. We could see the little wave ripples on the black beach, penguins strutting to and
fro, and dark objects that looked like seals lolling lazily on the sand. This was an eastern arm of
Fortuna Bay, separated by the ridge from the arm we had seen below us during the night. The
slope we were traversing appeared to end in a precipice above this beach. But our revived spirits
were not to be damped by difficulties on the last stage of the journey, and we camped cheerfully
for breakfast. While Worsley and Crean were digging a hole for the lamp and starting the cooker
I climbed a ridge above us, cutting steps with the adze, in order to secure an extended view of the
country below. At 6:30 A.M. I thought I heard the sound of a steam whistle. I dared not be
certain, but I knew that the men at the whaling station would be called from their beds about that
time. Descending to the camp I told the others, and in intense excitement we watched the
chronometer for seven o’clock, when the whalers would be summoned to work. Right to the
minute the steam whistle came to us, borne clearly on the wind across the intervening miles of
rock and snow. Never had any one of us heard sweeter music. It was the first sound created by
outside human agency that had come to our ears since we left Stromness Bay in December 1914.
That whistle told us that men were living near, that ships were ready, and that within a few
hours we should be on our way back to Elephant Island to the rescue of the men waiting there
under the watch and ward of Wild. It was a moment hard to describe. Pain and ache, boat
journeys, marches, hunger and fatigue seemed to belong to the limbo of forgotten things, and
there remained only the perfect contentment that comes of work accomplished”.
Tutte le difficoltà vengono cancellate dal semplice fischio di una sirena. C’è un’altra grande scena
della letteratura in cui un fischio fa dimenticare tutte le sofferenze, in Se questo è un uomo di
Primo Levi, un fischio di treno. A partire proprio da questo fischio inizia un percorso di rinascita.
Finché rimangono sperduti su Elephant Island sono in un certo senso morti al mondo, su un’isola
sperduta e nessuno ha più notizie di loro. Rischio dell’oblio. Stessa situazione di Ulisse da Calipso.
Hanno toccato con mano il limite estremo a cui l’uomo può arrivare. Per questa ragione il percorso
che li porta verso il porto di hoozvick è un passaggio dal mondo dei morti al mondo dei vivi. In
questo senso è importante l’incontro con i balenieri, grande scena di riconoscimento che segna il
passaggio da ignoranza a conoscenza in senso aristotelico. Riconoscimento che vviene attraverso la
voce perché Shackelton e i compagni sono diventati davvero irriconoscibili.
“That was all, except our wet clothes, that we brought out of the Antarctic, which we had entered
a year and a half before with well-found ship, full equipment, and high hopes. That was all of
tangible things; but in memories we were rich. We had pierced the veneer of outside things. We
had “suffered, starved, and triumphed, groveled down yet grasped at glory, grown bigger in the
bigness of the whole.” We had seen God in his splendors, heard the text that Nature renders. We
had reached the naked soul of men”.
Sono diventati dei nessuno. Hanno perso tutto. Anche le sembianze umane.
“We tried to straighten ourselves up a bit for the thought that there might be women at the station
made us painfully conscious of our uncivilized appearance. Our beards were long and our hair
was matted. We were unwashed and the garments that we had worn for nearly a year without a
change were tattered and stained. Three more unpleasant-looking ruffians could hardly have
been imagined. Worsley produced several safety pins from some corner of his garments and
effected some temporary repairs that really emphasized his general disrepair. Down we hurried,
and when quite close to the station we met two small boys ten or twelve years of age. I asked
these lads where the manager’s house was situated. They did not answer. They gave us one look
—a comprehensive look that did not need to be repeated. Then they ran from us as fast as their
legs would carry them. We reached the outskirts of the station and passed through the “digesting-
house,” which was dark inside. Emerging at the other end, we met an old man, who started as if
he had seen the Devil himself and gave us no time to ask any question. He hurried away. This
greeting was not friendly. Then we came to the wharf, where the man in charge stuck to his
station. I asked him if Mr. Sorlle (the manager) was in the house.
“Yes,” he said as he stared at us.
“We would like to see him,” said I.
“Who are you?” he asked.
“We have lost our ship and come over the island,” I replied.
“You have come over the island?” he said in a tone of entire disbelief.
The man went towards the manager’s house and we followed him. I learned afterwards that he
said to Mr. Sorlle: “There are three funnylooking men outside, who say they have come over the
island and they know you. I have left them outside.” A very necessary precaution from his point
of view.
Mr. Sorlle came out to the door and said, “Well?”
“Don’t you know me?” I said.
“I know your voice,” he replied doubtfully. “You’re the mate of the Daisy.”
“My name is Shackleton,” I said.
Immediately, he put out his hand and said, “Come in. Come in.”
“Tell me, when was the war over?” I asked.
“The war is not over,” he answered. “Millions are being killed. Europe is mad. The world is mad.”
Mr. Sorlle’s hospitality had no bounds. He would scarcely let us wait to remove our freezing boots
before he took us into his house and gave us seats in a warm and comfortable room. We were in
no condition to sit in anybody’s house until we had washed and got into clean clothes, but the
kindness of the station manager was proof even against the unpleasantness of being in a room
with us. He gave us coffee and cakes in the Norwegian fashion, and then showed us upstairs to
the bathroom, where we shed our rags and scrubbed ourselves luxuriously. Mr. Sorlle’s kindness
did not end with his personal care for the three wayfarers who had come to his door. While we
were washing he gave orders for one of the whaling vessels to be prepared at once in order that it
might leave that night for the other side of the island and pick up the three men there. The
whalers knew King Haakon Bay, though they never worked on that side of the island. Soon we
were clean again. Then we put on delightful new clothes supplied from the station stores and got
rid of our superfluous hair. Within an hour or two we had ceased to be savages and had become
civilized men again. Then came a splendid meal, while Mr. Sorlle told us of the arrangements he
had made and we discussed plans for the rescue of the main party on Elephant Island”.
A questo punto ci sono due gruppi da salvere, gli uomini sull’isola e quelli che non erano giunti al
porto. La scena in cui viene preparato il riconoscimento lento di Mr Sorlle è molto importante
perché è un lento passaggio dallo stato selvaggio alla civiltà. Significativo che i primi a incontrare
questi 3 mostri siano bambini e poi un vecchio che fuggì come se avesse visto il diavolo, quindi
spaventato non solo la loro identità non è riconoscibile, ma non sono riconoscibili come esseri
umani. Queste scene sono importanti perché Shackelton e il suo scrittore stanno complicando il
riconoscimento, lo rallentano per farlo diventare poi ancor più emozionante. Mr Sorlle non lo
riconosce dall’aspetto ma dalla voce. “I knew thy voice” citazione leggermente variata dal King Lear
di Shakespeare, quando Lear e Gloucester si rincontrano. Lear diventato pazzo e Gloucester cieco,
che aveva appena tentato il suicidio, Sente il matto vaneggiare e ne riconosce la voce, Gloucester
tenta poi di salvare Lear. Citazione che riporta alla tragedia.
La difficoltà del riconoscimento serve a sottolineare la distanza tra l’uomo che è partito e l’uomo
che è diventato nel viaggio. Differenza soprattutto nello spirito, perché Shackelton aveva incontrato
i limiti estremi del mondo, rischiando la morte e la follia (per il vedere solo ghiaccio, come Lear era
impazzito nella tempesta). Gli uomini che si apprestano a tornare in Inghilterra non sono gli stessi
che sono partiti perché hanno fatto esperienza del mondo estremo e dell’interiorità dell’uomo.
Esperienza in un certo senso sovrannaturale, risurrezione. Riferimento all’episodio di Emmaus,
ripreso anche nella Wasteland di TS Eliot.
Jules Verne

Autore prolifico, Inventore del genere fantascientifico. Scrive ben 62 romanzi a metà dell’800. Il
primo romanzo è Cinque settimane in pallone del 1863. Romanzi pubblicati a puntate su riviste,
poi uniti successivamente. E’ Pierre-Jules Hetzel, l’editore di Verne, che lo rende un autore per
ragazzi. Hetzel crea una collana per ragazzi a partire dal 1860, la Bibliotheque d'education et
récréation. Operazione molto importante, assoluta novità se si considera che all’epoca, Francia del
19° secolo, l’educazione dei ragazzi era monopolio della chiesa, quindi educazione prettamente
religiosa. Hetzel era un repubblicano, combatteva molto per gli ideali di libertà contro la tirannia
che lo portarono all’esilio. Nel 1859, quando torna in Francia, ha questa idea anche con un fine
politico, cioè togliere al clero il monopolio sull’educazione, creare quindi una formazione laica
fondato su valori politici che lui e Verne condividevano: abolizionismo contro la schiavitù,
anticolonialismo, antimilitarismo, nazionalismo.
Nella collana di Hetzel, Verne pubblica anche i suoi racconti di viaggio verso mondi conosciuti e
sconosciuti rispecchia una società industrializzata, mostrare alle nuove generazioni le grandi
invenzioni tecnologiche. Quindi oltre agli ideali politici la sua letteratura si metteva al servizio della
scienza e del progresso che si forma a partire dall’influsso del positivismo l’idea di un mondo
antropocentrico in cui l’uomo tramite la scienza domina e sottomette la natura. Inizio della
divulgazione scientifica. Intrattenere per permettere di apprendere.
I romanzi di Verne si svolgono su una struttura ripetitiva in cui gli episodi, le avventure, sono
pretesti per la descrizione, per le inserzioni di divulgazione scientifica, ad esempio in Viaggio in
Sud America, l’avventura è un pretesto per descrivere la geografia, la natura, la flora, la fauna di
quella terra, i luoghi, gli animali, eccetera.
Verne non visita mai questi luoghi, non viaggiò mai in Sud America, al Polo Sud ma è un avido
lettore di letteratura di viaggio, quindi le notizie le otteneva dai resoconti, dalle cronache di viaggi
reali la principale ispirazione sono Jacques Arago, cartografo che nel 1817 fece un viaggio verso
l’Antartide, e Élisée Reclus, geografo e viaggiatore, ma anche un anarchico, che scrisse un’immensa
opera di geografia planetaria, la Nouvelle Geographie Universelle. Opere enciclopediche e riviste,
da cui trae informazioni che mette in bocca ai personaggi che incarnano il sapere scientifico nelle
sue opere. Verne condivide con i geografi la missione enciclopedica del sapere e della scienza.
Tensione verso la raccolta del sapere. Altra fonte è Camille Flammarion da cui trae le informazioni
astronomiche, in particolare La pluralité des mondes habités sarà l’ispirazione per Dalla Terra
alla Luna.
Verne nacque a Nantes, città sia di mare che di fiume. Verne sarà infatti un uomo di mare. Ha 3
barche, tutte chiamate Saint-Michel (nome del figlio). Stretto rapporto con il fratello, che lo
accompagna in molti dei suoi viaggi. Non fa viaggi particolarmente lunghi, va in alcuni paesi
europei e fa il tour del Mediterraneo. Arriva a Tunisi e attraversa lo stretto di Gibilterra. Di fatto è
un attraversatore delle Colonne d’Ercole. Altra traversata importante è quella dell’Atlantico, a
bordo della Great Eastern nel 1867, al tempo il più grande vaporetto al mondo. Approda a New
York.
Sappiamo che a fine ‘700 lo scienziato, il personaggio del savant il sapiente che accompagna
l’esploratore comincia a essere una figura richiesta nelle spedizioni per esempio al Polo Sud. I
capitani chiedono che a bordo ci sia qualcuno di competente, perché il fine del viaggio non è solo
commerciale ma anche eplorativo, scientifico.
In Verne un primo esempio è Giacomo Paganel ne I figli del capitano Grant. Che parte dalla
Scozia alla ricerca di Grant con i figli Grant, che partono alla ricerca del padre che si dice si sia
perso nei Mari del Sud tutto il viaggio sarà una traversata spettacolare via mare, via terra x il Sud
America.
Romanzi costruiti a partire dagli ideali del progresso, romanzi positivisti, atti a diffondere la
scienza, il sapere scientifico e tecnologico dell’epoca alle nuove generazioni. Ovviamente però se lo
sguardo della scienza è analitico cioè guidato dall’ideale dell’esattezza, compilativo, classificativo, lo
sguardo dell’arte è poetico, un approccio che non vuole dominare la natura, ma guarda con stupore
e meraviglia a tutto ciò che non conosce pienamente fenomeni naturali che generano una
sensazione di sublime, misto tra terrore e stupore, smarrimento e attrazione. In Verne troviamo
anche questa sensazione. Paganel non è solo uno scienziato, ma incarna anche lo sguardo dell’arte,
è un abile narratore, una sorta di Sherazade la narratrice di Mille e una notte, infatti scrive
memorie che chiama “Sublimi impressioni” qui invoca non la musa della storia, Clio, ma la musa
della poesia epica, Calliope. Questa coesistenza di sublime e sguardo analitico è un dettaglio che
racchiude il senso di tutta l’opera. Mentre tanti dettagli in Verne sono notazioni scientifiche a fine
conoscitivo, ma accanto a questi vi sono dettagli a servizio dell’invenzione poetica, funzione di
creare mito, di creare racconti, avventure a partire dal dettaglio si innesca tutto il motore
dell’avventura solitamente i dettagli sembrano bloccare l’azione, distruggere il dinamismo
dell’azione ponendo una sorta di pausa ma alcune volte però i dettagli sono di natura poetica e non
interrompono l’azione, sono seme del mito, del plot.
Il Sud America in Verne è una terra metamorfica, in continua transizione, tutto è precario e
ambiguo. Evidente nella descrizione di Thalcave, indigeno patagone che guida la spedizione dei
figli del capitano Gravo. Thalcave ha un cavallo, Thauka e il rapporto tra cavallo e cavaliere è
descritto da Verne come una simbiosi, come se fossero un’unica creatura metà uomo e metà
animale. In un certo senso questa stessa ambiguità è l’impressione che hanno del continente, non
solo ambiguità tra uomo e animale, cavallo e cavaliere ma tutto il luogo appare ibrido ad esempio
nella scalata della Cordigliera delle Ande: il paesaggio che trovano via via salendo di altitudine è
una lotta tra roccia e vegetazione. Ulteriore immagine di confusione e transizione, qui regno
vegetale e regno minerale si uniscono l’uno all’altro fino a confondersi dando l’immagine di una
terra in continua metamorfosi, transizione, qualcosa descritto comme perennemente transitorio.
Confini tra un elemento e l’altro continuamente trasgrediti. Dettagli che creano sublime e non
esattezza.
Passo dell’attraversamento delle Ande, pag 84:
La vegetazione erbacea lottava tuttavia contro l'invasione della pietra; ma si sentiva già il regno
minerale alle prese col vegetale; la prossimità del vulcano d'Antuco si riconosceva da alcune
strisce di lava di un colore ferruginoso e irte di cristalli gialli, in forma di guglie. Le rocce,
addossate le une alle altre, si reggevano contro ogni legge d'equilibrio e minacciavano di cadere;
certo i cataclismi dovevano facilmente modificare il loro aspetto, e
considerando quei picchi senza appiombo, quelle cupole goffe, quei cumuli mal fatti, era facile
indovinare che non era ancora suonata, per quella regione montagnosa, l'ora dell'assetto
definitivo.
Da qui si percepisce che l’America appare come un continente sempre sull’orlo dello
sconvolgimento, della catastrofe che ne mescola le categorie. Con “catastrofe” è definito il dettaglio
nell’arte Daniele Ras, critico d’arte del Rinascimento definisce il dettaglio come una catastrofe
visiva, come una cosa che attira l’occhio facendo perdere la visione generale. Baudelaire e Delacroix
odiavano il dettaglio, segno di influenza scientifica nell’arte. Baudelaire scrive che il pittore
moderno deve vedere le cose grandemente, nel loro insieme, e deve rifuggire i particolari. Delacroix
dice che la crudele realtà oggettiva è da fuggire, arte come riparo dalla realtà, lo scopo dell’artista
non è riprodurre esattamente la realtà, gli oggetti
Il dettaglio in Verne, come nota Michel Butor, può fare poesia. Senso di esotico che crea poesia.
Parole in spagnolo per le piante, parole sconosciute al lettore che creano un senso di estraneità.
Emozione scaturita proprio dal fatto che non si conosce. Basti pensare all’infinito di Leopardi,
l’infinito ovviamente è solo qualcosa di immaginario grazie alla siepe ma ci suscita emozione
perché gli danno il sentore di stare x vivere e conoscere qualcosa di sconosciuto. Stessa funzione dei
nomi in Proust, che si sofferma a filosofare sull’impressione che i nomi generano nei ragazzi. Altro
studioso di Verne è Roland Barthes che lo definisce un maniaco della pienezza e della chiusura,
voleva raccogliere tutto lo scibile umano, tutto il caos e la relatività dell’universo in classificazioni
precise, da qui la mania all’elenco, delle liste, delle descrizioni. Quindi Verne a partire dai dettagli
genera avventura e connette episodi tra di loro.
Altro esempio di come utilizza i dettagli:
“Qui e là alcuni picchi di porfido o di basalto sporgevano dal bianco lenzuolo, come le ossa di uno
scheletro, e talvolta frammenti di quarzo o di gneis rosi dall'aria franavano con un rumore sordo,
appena percettibile in quell'atmosfera rarefatta”.
La montagna è descritta come se fosse un ammasso di ossa, è una descrizione fatta di minuzie.
Lo stato di fusione tipica dell’America la troviamo descritta magistralmente nell’eruzione
dell’Antuco, un vulcano:
“A ovest la luce rischiarava ancora i contrafforti che reggono le pareti a picco dei fianchi
occidentali: era uno spettacolo stupendo. Verso il nord increspavano una serie di vette che si
confondevano insensibilmente e formavano come una linea tracciata con una matita. L'occhio si
smarriva confuso, ma al sud lo spettacolo si faceva splendido, e col cader della notte doveva
divenir sublime; infatti, guardando nella valle selvaggia del Torbido, si dominava l'Antuco, col
cratere spalancato che si apriva a due miglia di distanza. Il vulcano ruggiva come un enorme
mostro, simile ai Leviathan dei giorni apocalittici, ed eruttava fumo ardente, misto a torrenti di
fiamme fuligginose. Il cerchio di montagne che lo attorniava sembrava un incendio; grandine di
pietre incandescenti, nuvole di vapori rossastri, e razzi di lava si univano in fasci di fuoco. Un
bagliore, che aumentava di continuo, riempiva il vasto cerchio di riflessi, mentre il sole spariva
come un astro spento nelle ombre dell'orizzonte. Paganel e Glenarvan sarebbero rimasti a lungo
a contemplare quella magnifica lotta dei fuochi della terra e dei fuochi del cielo, che
gl'improvvisati taglialegna cedevano agli artisti”.
Terra e aria qui vengono uniti dal fuoco del vulcano, descritto tramite il frantumarsi delle pietre
encandescenti. Duello tra fuoco terrestre e fuoco celeste. Descrizione di un quadro sublime.
L’immagine del fuoco la troviamo in diverse declinazioni nel corso dell’opera, quella più sublime
con l’eruzione del vulcano fino ad altre manifestazioni di questo elemento, più piccole come la
scintilla del fuocherello che gli esploratori avevano acceso.
“Pensò al capitano Grant e ai due marinai liberati da una dura schiavitù; quelle visioni
passavano rapidamente nella sua mente, distratta a ogni istante dallo scoppiettio del fuoco o da
una scintilla crepitante nell'aria, o da una fiamma vivida che illuminava la faccia dei compagni
immersi nel sonno, agitando qualche ombra sulle pareti della casucha, poi i suoi presentimenti gli
ritornavano con maggiore intensità”.
Dal masso di lava del vulcano si passa ad una fiammella, una scintilla sfrigolante metamorfosi
della forma del fuoco  la sublime immagine del vulcano si comprime in una scintilla. Il fuoco non
è l’unico elemento che lega sublime e piccolo, abbiamo anche sensazioni uditive di varie intensità
attraverso cui Verne costruisce tutto il capitolo 12, ad esempio l’episodio dell’Antuco inizia con un
colpo di fucile sparato x scacciare del bestiame che stava x travolgere tutta la compagnia. Questo
bestiame produce un fracasso assordante
“Improvvisamente arrivò una valanga furiosa d'esseri animali, pazzi di terrore; tutto l'altopiano
sembrava agitarsi; quegli animali giungevano a centinaia, a migliaia forse e, malgrado la
rarefazione dell'aria, producevano un fragore assordante”.
Fragore assordante che anticipa il cataclisma successivo, il terremoto, che riduce tutta la grandezza
sublime delle Ande in frantumi. Grandi picchi polverizzati dal terremoto. Altro rumore definito
assordante è il russare della compagnia. Il capitolo 13 si era aperto con un proiettile di Mac Nabbs
sparato per ferire una delle bestie della valanga e si conclude con i corpi in discesa sul fianco della
montagna assimilati a proiettili, ecco che il dettaglio fa nascere la narrazione ma la fa anche
chiudere perché ricompare nella similitudine con cui Verne descrive la posizione dei corpi in
caduta.
Altra descrizione importante è quella della grande alluvione, che costringe la compagnia a rifugiarsi
su un albero, mentre sotto tutto è allagato. Abbiamo anche qui l’assenza di linee separatrici, di
confine tra acqua e terra. Se prima si confondeva la linea di separazione tra cielo e terra, qui invece
la linea di demarcazione trasgredita è quella tra acqua e terra, tutta la pianura diventa un oceano:
“Non un albero usciva dalla pianura sommersa, l’ombu, solo, nel mezzo delle acque straripate,
fremeva al loro urto; in lontananza, andando alla deriva dal sud al nord, passavano, trasportati
dall'impetuosa corrente, tronchi sradicati, rami contorti, stoppie strappate a qualche rancho
demolito, tavole di capanne divelto dai tetti delle estantias, cadaveri d'animali annegati, pelli
sanguinose e sopra un albero vacillante tutta una famiglia di giaguari ruggenti, che si
aggrappava con gli artigli alla fragile zattera”.
Da un lato attenzione al sublime, confusione mai vista tra terra e acqua, dall’altra abbiamo invece
tutti i dettagli (tetti di paglia, rami contorti, tronchi sradicati, carcasse di bestie ecc). quindi qui la
situazione è che si salvano da questa marea grazie all’albero e trovano accampamento sui grandi
rami dell’albero. Dopo la fusione tra terra e acqua cresce il dinamismo, la metamorfosi in atto
perché in questa confusione sublime si aggiunge anche il cielo, dall’orizzonte arriva una tempesta
annunciata dai fulmini.
“Tutta quella metà della sfera celeste, fino allo zenit, era avvolta in un vapore caldo. Le splendide
costellazioni dell'emisfero australe sembravano velate d'una leggera garza e si scorgevano
confusamente, tuttavia si vedevano abbastanza da riconoscerle, e Paganel fece osservare a
Robert, a profitto del suo amico Glenarvan, la zona circumpolare dove le stelle sono splendide. Gli
mostrò, fra le altre, la Croce del Sud, gruppo di stelle di prima e di seconda grandezza, disposte in
forma di rombo, all'altezza circa del polo; il Centauro, in cui splende la stella più vicina alla terra,
a soli ottomila miliardi di leghe: i nuvoli di Magellano, due vaste nebulose, la più estesa delle
quali copre uno spazio duecento volte maggiore della superficie apparente della luna, e infine
quel nero fondo in cui sembra mancare assolutamente la materia stellare. Con suo grande dolore
Orione, che si lascia vedere dai due emisferi, non si mostrava ancora; ma Paganel insegnò ai suoi
due allievi un curioso particolare della cosmografia patagona: per quegli Indiani poetici, Orione
rappresenta un immenso lazo e tre bolas lanciati dalla mano del cacciatore che percorre le
praterie celesti. Tutte quelle costellazioni riflesse nello specchio delle acque suscitavano
l'ammirazione dello sguardo, creandogli intorno come un cielo doppio”.
Il capitolo 25 “Tra il fuoco e l’acqua”, è il vero capolavoro di tutto il romanzo. Qui una descrizione a
chiari fini divulgativi perché accanto al nome delle stelle da informazioni ad esempio sulla distanza
che c’è tra la terra e il cielo, però riesce comunque a mantenere un tono poetico. Il cielo viene unito
alla metamorfosi perché le stesse sono visibili riflesse nell’acqua che ora ricopre tutta la terra. La
terra quindi diventa anche cielo e tutto viene capovolto, l’albero su cui stanno sarà come racchiuso
in un doppio cielo, quello vero e quello riflesso sull’acqua.
Prima c’èera la metamorfosi del fuoco dall’eruzione alla scintilla, ora abbiamo la metamorfosi della
luce che è al centro del capitolo. Dopo aver visto il firmamento riflesso nell’acqua, il cielo viene
perturbato da fulmini e una miriade di punti luminosi che Paganel spiega essere fosforescenze
dovute alle lucciole, lampade viventi come le descrive Paganel, note in Argentina come tuco-tuco
dalle stelle passiamo ai piccoli dettagli delle lucciole. Poi abbiamo un percorso inverso: se prima si
passava dal vulcano alla scintilla e quindi dal sublime al piccolo dettaglio, qui si passa dal piccolo al
sublime, dalle lucciole alla tempesta elettrica che incendia l’albero su cui si sono rifugiati e li
costringe ad una fuga precipitosa su una zattera.
“Scoppi più violenti di tuoni interruppero la conversazione. La loro intensità cresceva,
spingendosi ai toni più elevati che si accostavano e passavano dal grave al medio, se ci è
permesso prendere a prestito un esatto paragone; dopo poco divennero stridenti e fecero vibrare
con rapide oscillazioni le corde atmosferiche. L'aria era in fiamme, e in quell'incendio non si
poteva riconoscere a quale scintilla elettrica appartenessero quei brontolii indefinitamente
prolungati che si ripetevano d'eco in eco fino nelle profondità del cielo. Baleni incessanti avevano
varie forme; taluni, lanciati perpendicolarmente a terra, si ripetevano cinque o sei volte nello
stesso luogo; altri, avrebbero eccitato estremamente la curiosità d'uno scienziato, poiché se
Arago nelle sue curiose statistiche non rilevò che due esempi di lampi forcuti, qui si
riproducevano a centinaia. Taluni, divisi in mille rami diversi, si svolgevano a zigzag
coralliformi, e producevano in quella volta oscura meravigliosi giochi di luce arborescente.
In breve tutto il cielo, dall'est al nord, fu invaso da una striscia fosforescente abbagliante”.
Continua metamorfosi. Fulmini paragonati a zigzag coralliformi, poi alberi paragonati a serpenti
che si dimenano nel fuoco, tutto questo x descrivere la tempesta. Ultimo stadio della
trasformazione sono i coccodrilli, che da sotto minacciano gli esploratori. Paganel nota in mezzo
alla tempesta, al diluvio e al fuoco, i riflessi che la luce dei fulmini crea sul dorso squamato dei
coccodrilli. Ancora una volta il sublime della tempesta si riflette nel particolare del dorso del
caimano.

La Sfinge dei Ghiacci è un romanzo che Verne scrisse in vecchiaia, nell’ultima decade dell’800 e che
non ebbe molto successo all’epoca. Qui c’è meno attenzione alla descrizione scientifica, è un
romanzo più riflessivo, malinconico, decadente. Ciò lascia intendere che Verne lesse Dostoevskij, il
personaggio del narratore del romanzo ricorda suoi personaggi. Meno attenzione alla divulgazione
scientifica e più introspezione nei personaggi, più lentezza e monotonia nell’azione, che prima era
l’elemento dinamico del testo, mentre la divulgazione era l’elemento statico.
Descrizione di una spedizione al polo sud, che nasce non per fini scientifici ma per un motivo
strampalato, cercare i superstiti di un equipaggio di un’opera letteraria, Le avventure di Gordon
Pym, romanzo di E.A. Poe. Verne scrive in qualche modo un sequel forse perché il finale di Pym era
un finale completamente apertoIl romanzo si conclude con Pym su una scialuppa che si trova di
fronte la sagoma di un gigante. Non si sa se è un finale allegorico, non si sa se Pym muore. Anche il
paratesto è complicato, non si capisce chi narra la storia. Sembrerebbe un resoconto scritto da Pym
poi riempito e terminato da Poe. Confine labile tra finzione e realtà, che Verne confonde
ulteriormente perché nella spedizione verso il polo guidata dal capitano Len Guy il romanzo di Poe
viene usato come guida per rintracciare i probabili superstiti il romanzo di Pym diventa una sorta
di guida geografica. Nave chiamata Halbrane. Len Guy cerca il fratello disperso durante la
spedizione di Pym, poi durante il loro tragitto la Halbrane recupera Peters, un superstite della
spedizione di Pym, personaggio già in Poe lavoro incredibile perché c’è un collegamento
ipertestuale, il personaggio di un romanzo diventa personaggio di un altro romanzo che lo fa
sembrare come se fosse una persona reale.
L’enigma al centro del tutto è Pym. La Halbrane si mette in viaggio per ritrovarlo. Loro risolvono
l’enigma e ritrovano Pym ci riesconoproprio attraverso i dettagli, perché durante il cammino
ritrovano tracce e frantumi che Pym aveva lasciato lungo il percorso. Dettagli sparsi che il relitto
della Jane aveva lasciato, nave che aveva soccorso Pym e su cui aveva proseguito la spedizione fino
al naufragio. Grazie ai rimasugli di questa nave l’equipaggio completa la missione: abbiamo una
serie di dettagli, oggetti come fossero fossili, rovine pezzi della nave, messaggi sbiaditi, il collare
di Tiger (il cane di Pym): tutto concorre a risolvere l’enigma.
Alla fine dell’opera poi vi sono un ammasso di dettagli che riempiono il polo sud. In corrispondenza
del polo magnetico, antartico troviamo una sfinge di ghiaccio. Vista da lontano sembrava un
promontorio. Si rivela una sorta di calamita che attrae a sé ogni sorta di metallo. Quindi la fine
della storia coincide con un nuovo ammassarsi di frantumi, dettagli.
“Quando fummo giunti alla sua base, ritrovammo i vari oggetti di ferro sui quali si era esercitata
la sua potenza. Armi, utensili, l'ancora del Paracuta erano attaccati ai suoi fianchi. Là si
vedevano anche quelli provenienti dalla barca dell'Halbrane, e anche le chiodature, le caviglie, le
piastre della chiglia, gli scalmi, la ferramenta del timone”.
Mania di elencare delle liste dei primi romanzi enciclopedici di Verne. Verne aveva già esplorato il
polo nord nel suo secondo romanzo, Le avventure del capitano Hatteras, ma i due poli sono molto
diversi nell’immaginario letterario, il polo nord per l’Europa è più accessibile. All’inizio del
romanzo non si sa chi sia il capitano Hatteras, che comunica con il suo equipaggio solo tramite dei
pizzini, dei messaggi e quando raggiunge il polo nord vittorioso impazzisce e finisce in un
manicomio a Londra. Hatteras sarà ispirazione per un esploratore del polo sud reale, Jean-Baptiste
Charcot. Michel Serres sottolinea il rapporto tra dettaglio e totalità. Secondo Serres per Verne il
polo rappresenta il polo magnetico che attrae a sé tutti i fili della narrazione. In questa ottica Serres
definisce il mondo romanzesco di Verne come una continua alternanza tra cerchio e punto. Cerchio
perché le varie tappe del romanzo d’avventura potrebbero ripetersi all’infinito, ma allo stesso
tempo c’è un’energia centripeta, che spinge verso a conclusione. Ossessione che guida il divagare.
Per Butor l’inaccessibilità del polo nord come punto lo rende sublime. Per Serres c’è un
magnetismo, dei punti privilegiati attorno a cui la finzione prende forma e si organizza. Punto
sublime, promessa che attraeva il ciclo d’avventura potenzialmente infinito verso un centro. Per
Butor il polo significa il punto centrale in cui notte e giorno, cielo e mare, smettono di apparire
come contraddittori. La sfinge ammassa dettagli e frantumi, tra cui il cadavere di Pym, che si è
attaccato alla sfinge a causa del suo fucile ed è quindi morto assiderato. Peters riconosce in questo
scheletro il proprio capitano. Anagnorisis tragica. Il riconoscimento era un mezzo tramite cui la
trama della tragedia classica si scioglieva.
Musil

Robert Musil (Klagenfurt, 6 novembre 1880 – Ginevra, 15 aprile 1942) scrive negli anni in cui tutta
l’Europa è presa dalla corsa verso al polo sud, dopo le prime spedizioni di Scott e Shackelton. Clima
in cui prende forma nella mente di Musil ma anche di tutti i poeti dell’espressionismo tedesco l’idea
di scrivere sull’avventura antartica perché c’è un uso allegorico dell’Antartide per affrontare i
problemi politici dell’Europa, come anche il tema dell’alienazione sociale dell’uomo moderno.
Periodo in cui nell’Europa centrale c’è un grande fermento politico che riguarda l’impero
austroungarico, la Germania, la Jugoslavia, eccetera.
Dopo il primo viaggio di Shackelton in Antartide del 1908, sia Scott che Amundsen decidono di
arrivare al polo a gloria dei loro rispettivi imperi. Queste imprese hanno grande risonanza, la gente
attende con ansia notizie dal polo. Questa suspense sui destini di questi esploratori che viene a
crearsi ispira gli scrittori a narrare di storie dei poli. Altro grande scrittore tedesco che utilizza la
corsa al polo come metafora dell’Europa nel periodo dell’espressionismo è Georg Heym, il quale è
particolarmente toccato tra il 1910 e il 1911 dalla prima impresa di Shackelton. Si vedrà che anche
Ursula Le Guin sarà ispirata da questo arrivo mancato di poco al polo.
Musil già nel 1911 annota nei propri diari appunti per una possibile storia sulla conquista del polo
sud, non con l’intento di criticare la conquista del polo sud ma per narrare allegoricamente
dell’Europa del suo tempo e di un mondo incantato dal polo Lotta tra Amundsen e Scott che dal
punto di vista di Musil è pericolosa ed inutile. Il tutto è legato alla società tedesca in cui Musil vive,
fredda e distaccata, in parte alienata. L’ambiente della metropoli moderna viene paragonato al
freddo e all’isolamento in capo al mondo infatti nelle storie di esplorazioni al polo sud risuonano
sentimenti di frustrazione e alienazione tipici dell’uomo europeo di inizio 900.
Abbiamo quindi il ghiaccio come metafora della condizione dell’uomo moderno, metafora che ha
sia radici filosofiche (Zarathustra di Nietzsche, Heidegger) che letterarie. L’uso dell’emisfero
australe e del deserto aldilà delle Colonne d’Ercole può essere sia ricondotto a Inferno 26 di Dante
sia a The rime of the ancient mariner di Coleridge (1797), Frankenstein di Mary Shelley (in cui la
scienza viene redenta tra i ghiacci) e The Narrative of Arthur Gordon Pym di Poe.
L’interesse per il polo sud di Musil si ritrova già in un appunto sul diario di Musil del 1899, già 12
anni prima degli appunti per il racconto. Musil dice di vivere in una regione polare, in un luogo di
vuoto e isolamento, Germania tanto fredda e gelisa e solitaria quanto il polo. Il silenzio glaciale è
uno dei leitmotiv degli scritti di Musil. Silenzio glaciale che nasce proprio dalla mondanità sociale
dell’epoca. Musil vive ai margini dei circoli letterari rivoluzionari della Berlino dell’epoca, pur
condividendo alcune idee del movimento espressionista. Musil è autore de L’uomo senza qualità ed
è un grande conoscitore di Nietzsche. Come lui e altri si schiera contro i mali della vita moderna.
I primi appunti riguardo una storia sul polo risalgono al 1911, gli ultimi al 1937. Per anni medita su
questo racconto senza arrivare mai ad una forma definitiva. Ciò che ritorna in tutti gli appunti è
l’idea di una terra che si trova su un punto nel quale l’uomo non ha ancora messo piede. Diverse
opzioni: il centro di una metropoli, un punto sperduto dell’Asia centrale e solo poi l’ultimo confine
del mondo. C’è poi una nota molto lunga, non datata ma probabilmente risale al 1911, in cui c’è lo
schizzo della trama di un romanzo a riguardo, a quanto pare l’idea iniziale era di scrivere un
romanzo e non un racconto. Secondo le note di Musil doveva essere diviso in due parti. La prima
doveva essere una distopia polare: parla di un regno antartico in cui un congresso di animali
detiene il potere (immagine molto cara a Musil, che utilizza anche altrove, in altro racconto), e dove
abita una razza polare che ha capacità straordinarie ma non conosce la tecnologia. Questa gente
non utilizza le risorse della terra, l’unica loro fonte di energia viene dall’anima. Significativo è
anche il nome che Musil sceglie per il regno, lo chiama Fattoria Inferno (con Inferno scritto in
italiano) dove le anime vengono utilizzate come energia combustibile. La seconda parte riguarda
invece un mondo più vicino a noi. Il racconto della seconda parte riguarda il passaggio della
Cometa di Halley nel 1910. Fa riferimento a questo nel suo diario. Il protagonista senza nome è un
giovane matematico la cui unica aspirazione è fare una spedizione al polo sud per ricercare verità
tangibili, perché stufo delle speculazioni matematiche, della sua inutilità. Giovane molto ambizioso
che ha il desiderio di fuga dalla società. Tutti hanno timore che il passaggio della cometa significhi
catastrofe. Il racconto inizio a Roma, che per certi versi è l’antitesi del polo. Luogo conosciutissimo
e frequentatissimo per tutti gli europei (tradizione del Grand Tour nell’800). Roma al centro
dell’Europa e con una storia millenaria. Pochi giorni dopo il mancato passaggio della cometa.
Descrizione di una Roma piena, infuocata e rumorosa, antitesi del polo. Delusione per la cometa
che non solo non ha causato catastrofi, ma è stata niente di più che un tenue bagliore. Arrivano alla
conclusione che da qualche parte, una grande massa, probabilmente un pianeta, giace sul polo sud.
Il giovane matematico da un lato cerca di sfidare le leggi dell’astronomia, della fisica ma anche di
ampliare le teorie scientifiche e quindi per provare questa teoria è necessaria una spedizione al
polo. Il ragazzo cerca di convincere l’amico della validità della sua ipotesi, della presenza di un
corpo celeste sconosciuto. Termina l’incontro tra i due. L’impresa che il ragazzo propone al suo
interlocutore è un caso straordinario. Nelle annotazioni di Musil il ragazzo ha circa 25 anni ed è
tutto preso dai problemi della matematica, ma con il suo progetto di una spedizione al polo sud
considerata una sorta di follia è anche l’ultimo rappresentante di una serie di viaggiatori fittizi che
si avventurano ai poli e che nell’epoca moderna iniziano con l’Ulisse dantesco, il quale convince i
compagni a fare un ultimo viaggio aldilà delle colonne d’Ercole solo x curiosità, x conoscere. Ulisse
incarna la curiosità conoscitiva dell’uomo moderno. La scoperta di nuovi mondi influenza
relativamente poco la letteratura, non quanto le regioni polari che hanno un fascino particolare per
l’Europa. Il fascino è dovuto al fatto che rimane una terra incognita anche quando il polo sud viene
raggiunto. Rimane sempre un luogo misterioso, non fatto per l’uomo. A sancire la natura
enigmatica dell’Antartide è il capitano Cook, che dice che è irraggiungibile e sempre lo rimarrà.
Anche la letteratura romantica sarà particolarmente sensibile a questo fascino del polo Sud. Nel
1936 Lovercraft scrive “Alle montagne della follia”, assimilando l’Antartide alla follia. Il tema
giunge fino al 1989, anno in cui Le Guin pubblica il suo racconto. Qui l’Antartide è ancora un luogo
misterioso, misterioso ma diventa inutile, un posto qualunque un luogo in cui non vale neanche la
pena piantare una bandiera. Ambientazione tra il 1909 e il 1910, piena febbre polare in Europa.
Il progetto di Musil risente della tradizione di storie sul polo e delle storie delle spedizioni. Musil è
affascinato anche dal Polo Nord raggiunto nel 1910. Sul polo nord c’era tutta una diatriba che aveva
coinvolto sia Europa che America riguardo Frederick Cook e Robert Peary, che rivendicavano la
scoperta del Polo Nord.
L’aspetto importante del racconto di Musil è il passaggio della Cometa di Halley è uno degli eventi
più sensazionali prima della guerra, evento che suscita una febbre in tutta Europa. In questo
contesto il progetto di Mister X assume maggiore rilevanza di organizzare una spedizione al polo
sud, perché il mistero dei poli viene agganciato all’altro grande evento misterioso del periodo, cioè
il passaggio di una cometa.
Contemporaneamente agli appunti di Musil nel 1911 viene pubblicato un altro scritto “Il viaggiatore
del Polo Sud” di Heym in cui descrive il lato negativo delle spedizioni, come i conflitti a bordo della
nave che arrivavano fino a piani di omicidio, alla perdita dell’umano. Heym riscrive il diario della
prima spedizione di Shackelton, immaginando Shackelton provato dalla spedizione, dalle avversità,
che si rifugia in un luogo caldo e viene trasformato in un zombie. Influenza è quella del Gordon
Pym di Poe e dei racconti di Cook a differenza di questi racconti, il progetto di Musil si distacca
un po’ dalla tradizione perché la spedizione del giovane non avviene, rimane una aspirazione, un
progetto non realizzato e non solo, il narratore stesso, che sembra essere un giornalista, agisce da
sabotatore, fa in modo che questa spedizione non si realizzi Manda alla redazione del giornale
una nota in cui dichiara che il giovane ragazzo è affetto da una psicosi. Il giornalista rincontra il
ragazzo qualche anno dopo, e in questa occasione il giornalista ha la possibilità di guardare,
rivedere i calcoli del giovane. X lo riconosce e gli lascia le sue annotazioni, che probabilmente lo
convincono, alla fine il giovane ha avuto ragione da qui c’è il proposito di pubblicare le
annotazioni del ragazzo questo proposito di Musil non ha visto la luce però in una nota datata
1911, Musil riprende l’inizio del racconto dove lo scienziato questa volta racconta di aver amato
l’esattezza della scienza fino a quando all’età di 31 anni ha lasciato la terra questa è la bozza di un
altro romanzo di Musil in cui il viaggio al polo diventa un viaggio verso un altro pianeta. Romanzo
noto come “Pianeta Ed” in cui quindi il viaggio al polo sud viene sotituito dal viaggio
interplanetario Passaggio che avviene anche in Le Guin cioè negli appunti il passaggio dalla
terra a un altro pianeta viene presentato come un cambiamento di stato del corpo umano, che in un
certo senso evapora e riprende forma materiale su un altro pianeta. Pianeta come luogo
paradisiaco, a differenza delle descrizione dell’Antartide. A partire da questa nota l’interesse di
Musil si sposta verso il viaggio interplanetario, perdita generale di interesse verso il Polo Sud.
Le Guin

Con Le Guin facciamo un salto di circa 80 anni, dal 1911 al 1989. In questi anni l’immaginario
riguardante l’Antartide è diventato molto popolare, ci sono riscritture non solo nella letteratura di
tipo alto e in quella popolare ma anche nei film, serie televisive, documentari in cui gli eventi
vengono riscritti con un sentimento di nostalgia e ammirazione x le imprese eroiche. Queste
riscritture rappresentano anche un atto di omaggio. Riscritture che sfruttano le nuove conoscenze
scientifiche che sono state fatte nel frattempo, ad esempio per quanto riguarda l’aspetto
meteorologico ma anche per quanto riguarda l’impatto dell’isolamento sulla psicologia. Spesso
queste storie vengono raccontate anche da una prospettiva politica. Al di la delle tante riscritture
colui che si era imposto di più nell’immaginario era Scott, morto martire per la causa la sua
genialità sta soprattutto nel modo in cui narra la sua impresa. Nel vasto panorama delle riscritture
occupano un posto particolare le storie narrate dai personaggi secondari delle imprese, uomini a
bordo, che raccontano la storia dalla prospettiva del personaggio secondario. Si sviluppa anche
tutta la fiction sull’esplorazione, testi che immaginano una storia diversa in cui spesso a prendere la
parola non i grandi eroi ma gli esclusi, gli emarginati perché le storie delle spedizioni sono tutta
maschile ed Europea. Nella fiction invece viene concesso anche ad altri di intraprendere il viaggio.
C’erano conflitti per le donne che volevano entrare a far parte della Royal Geographical Society.
Molta della letteratura di finzione sulle spedizioni al polo sud è affidata proprio alle donne, donne
che non hanno mai partecipato alle spedizioni, ma nella fiction diventano protagoniste, come in
Sur di Ursula Le Guin (1982) ma già nel 1969 aveva pubblicato The Left Hand of Darkness in cui
aveva riflettuto sull’unione tra il genere e l’Antartide, per quanto il romanzo non sia ambientato in
Antartide ma su un altro pianeta, Inverno. 20 anni dopo il romanzo, in un saggio Le Guin rivela
tutto il suo amore per le spedizioni antartiche. Saggio significativamente intitolato Heroes, qui
descrive il fascino che l’epoca delle grandi esplorazioni ha suscitato in lei. In The Left Hand of
Darkness dà voce a un uomo nero e a un androgino, in Sur alle donne. Dar voce agli esclusi.

Ursula Le Guin sceglie di dar voce agli esclusi, in particolare alle donne, attraverso un discorso non
solo al femminile ma anche femminista perché lei immagina non solo che un gruppo di donne
faccia vela verso l’Antartide ma anche che vi giunga un anno prima di Amundsen e Scott. Donne
che non sono solo europee, ma cilene, argentine e peruviane e quindi fa anche un discorso
antimperialista contro l’Inghilterra e l’Europa il racconto è del 1982 che è anche l’anno della
guerra delle Falkland la guerra che l’Inghilterra combatte contro l’Argentina quindi il racconto si
inserisce anche in un discorso di tipo politico, rivendicando a livello di finzione la scoperta del polo
sud x i sudamericani. Racconto di fantasia in cui Le Guin intreccia vari discorsi: di genere, politici,
culturale (ad esempio quando prende in giro i costumi inglesi, gli inglesi in particolare perché
erano i grandi eroi delle esplorazioni, traferendosi in Argentina e convertendo i patagoni). C’è
inoltre un dialogo costante con la grande letteratura delle esplorazioni, in particolare Scott e
Shackelton, letteratura fino a quel momento al maschile e tutto ciò che si riccollega a questo come
lo spirito di competizione, il cameratismo, il patriottismo, il coraggio.
Sur cambia prospettiva sull’esplorazione, prospettiva duplice: punto di vista femminile e punto di
vista sudamericano (molto diverso da quello del Vecchio Mondo). Prospettiva di un popolo per
lungo tempo considerato inferiore e che durante la prima parte del 900 è ancora sottomesso
all’Inghilterra. La spedizione di queste donne avviene tra il 1909 e il 1910. Una delle partecipanti
della spedizione scrisse un racconto dell’impresa, sull’avventura in Antartide, racconto ritrovato
poi in soffitta insieme ad altri oggetti significativi della donna, oggetti tipicamente femminili, che
rappresentano il matrimonio e la maternità. Il sonaglio di argento è un oggetto che solitamente gli
inglesi regalano ai nuovi nati. Stivali di pelle del tipo che si usa solo nelle regioni polari. Questi
oggetti, questi dettagli definiscono l’identità della donna. Queste donne conoscono Scott e
Shackelton, le loro prime spedizioni, e vogliono emularli. La donna dice anche di essere rimasta
affascinata dagli articoli che erano apparsi sulle spedizioni di Scott e Shackelton, dicendo di aver
anche comprato e letto più volte il libro di Scott libro galeotto, che fa nascere nella protagonista
il desiderio di vedere coi suoi occhi il continente. Qui Le Guin riprende un topos della letteratura,
letteratura che condanna le donne e che induce le donne a commettere una colpa (Francesca
nell’Inferno che rivela a Dante la sua colpa, Madame Bovary). Nella letteratura europea le donne
sono vittime delle storie che leggono le donne di altre culture soccombono comunque alla
letteratura, ma facendo nascere in loro un desiderio di conoscenza e intraprendenza che porta la
protagonista e il suo gruppo a vedere e conoscere il vecchio continente.
Anche in questo caso l’ Antartide viene descritta come un continente puro, inesplorato, una nuvola
bianca e vuota, questo lo sivede dalla mappa che la donna allega al suo resoconto, proprio come
facevano Scott e Shackelton. Di Antartide c’è ben poco, alcuni luoghi già conosciuti come il Mare di
Ross ma poi nulla di più, alcuni nomi inventati da loro.
Tutto quello che le donne vogliono fare è solo quello di andare a vedere e conoscere, non c’è ad
esempio spirito di competizione con chi è stato al sud prima di lei desiderio di mettere da parte
quel mondo maschile fin dall’inizio, seppur il titolo Sur strizzi l’occhio d South di Shackelton.
L’organizzazione e la formazione del gruppo di queste donne le colloca nel loro contesto geografico
e socialele esploratrici non sono europee, la narratrice è peruviana, ma non dice il suo nome, la
sua amica Juana, anche lei peruviana, e parla di altre 3 donne argentine e 4 cilene. Ad eccezione del
Brasile sono rappresentati tutti i grandi paesi del Sud America. Soprattutto Cile e Argentina che si
contendono tutt’ora la terra del fuoco. E poi anche il contesto sociale: tutte partono inventando
scuse con i mariti, nessuno rivela il loro piano, una dice che va in convento, un’altra dice che va a
Parigi x trascorrere l’inverno scuse che non appartengono agli strati bassi della società, quind
sono donne comunque di buon ceto sociale, ben inserite nella vita di famiglia al punto che alcune
donne contattate per partecipare devono rinunciare per i doveri verso la famiglia, per esempio
accudire un figlio. Tutte sono accomunate dal desiderio di vivere una vita nel pericolo, del rischio,
incertezza ma anche dalla speranza che la loro spedizione avrà buona fine.
Per la spedizione ovviamente hanno necessità di raccogliere i fondi, reso possibile dagli uomini 
quindi abbiamo un’impostazione in parte femminista, ma un femminismo mitigato. Queste donne
non sono completamente indipendenti, ma hanno ancora bisogno di uomini. In questo racconto ciò
si rivela un punto di forza. Queste donne riescono ad ottenere l’aiuto degli uomini e a sfruttarlo al
meglio. Ottengono soldi da un anonimo benefattore e sono poi aiutate dal capitano di una nave e
dai suoi uomini, che le scortano in Antartide, perché ovviamente c’era anche il problema di come
raggiungere l’Antartide non essendo loro esperte di marineria eccetera. Giunte in Antartide questo
gruppo di uomini le aiuta anche a costruire il loro rifugio, la loro base.
All’interno del racconto c’è un forte gioco intertestuali, numerosi richiami a Shackelton, molto
rilevante x la spedizione di queste donne infatti la nave che le accompagna al polo si chiama
Yelcho che è la nave che nel 1916 aveva portato in slavo gli uomini rimasti ad Elephant Island,
nome significativo che ci fa pensare anche positivo, conoscendo la storia di Shackelton ci fa sperare
che la spedizione avrà successo.
Le donne si portano dietro una mappa fatta a mano coi pochi luoghi conosciuti che erano stati
nominati già dagli uomini e poi altri nomi scelti da loroQuando loro giungono in Antartide
cominciano a dar nomi alle cose che visitano, usando nomi che fanno parte della loro cultura qui
troviamo una differenza perché i nomi dati da uomini sono legati ad eroi, personaggi illustri come
il lago di Ross, quelli dati dalle donne sono legati ad aspetti culturali sudamericani.
Altro tratto che caratterizza il loro gruppo e che è in netto contrasto con le altre spedizioni europee
è la totale assenza di una gerarchia tra di loro. C’è ovviamente un capospedizione che è leader solo
in caso di emergenza. Ogni decisione è messa ai voti. Condivisione di idee democratiche. Benché
queste vengano da ceti sociali alti fanno riferimento al gruppo semplicemente con crew, ciurma.
Spirito di amicizia, collaborazione e cameratismo che non viene mai meno. Approccio molto
diverso rispetto a Scott e Shackelton i quali invece si sentivano sempre responsabili delle sorti dei
compagni, erano sempre loro a decidere.
Importante è il momento del loro arrivo perché per prima cosa le donne trovano il rifugio di Scott
ed è particolare perché qui assieme all’estasi dell’arrivo vi è l’occhio femminile che esamina il
rifugio lasciato dagli uomini quindi all’inizio la donna si sente a casa perché da fuori il rifugio
sembrava proprio come lei lo aveva visto dalle fotografie di Scott ma poi guardandolo meglio c’è
sempre un lato negativo. È circondato da un mondo di morte, il rifugio, ossa, pelli di foca,
immondizia eccetera, insomma un rifugio in rovina aspetto che nelle relazioni maschili non
traspare. Ossa metafora dei fallimenti di Scott.
Quando entrano dentro poi c’è l’occhio della casalinga, nulla è come dovrebbe essere, hanno
lasciato perfino il te aperto ciò denota lo sguardo diverso delle donne sulle cose che hanno una
gestione della casa non come un dovere ma come un’arte modo questo anche x riscattare tutte
quelle donne rimaste a casa, che non avevano potuto partecipare alla spedizione sacrificando se
stesse x l’amore della loro famiglia.
La vista di questo rifugio in rovina, in completo disordine introduce il discorso sull’eroismo, su cosa
esso sia. La narratrice riflette sul lato negativo dell’eroismo, lato oscuro e triste, quello che ha
appena visto nel rifugio in rovina. Lato che conoscono soltanto le donne e la servitù, che rimangono
a casa perché chi parte alla ricerca di terre nuove non si preoccupa di chi rimane a casa e di cosa
significa questo Nonostante ciò l’eroismo non è meno reale. È una sorta di critica ma anche
elogio dei viaggi eroici. Critica perché gli uomini non si curano di ciò che lasciano indietro, delle
conseguenze del loro egoismo ma dall’altro è un elogio perché nonostante questi lati negativi quegli
uomini vengono riconosciuti come eroi e il loro valore. C’è quindi un ambivalenza di fondo in tutto
il racconto.
La donna cita anche un poeta inglese di cui non dice il nome, unica citazione diretta. Potrebbe
apparire inappropriata a prima vista, perché non riguarda il mondo delle esplorazioni ma
l’imperialismo inglese, soprattutto del ruolo dell’Inghilterra in India, si tratta di un inno recitato
dai missionari e composto da un arcivescovo di Calcutta (From Greenland icy mountains). Invito ai
pagani indiani a convertirsi al cristianesimo. Importante perché l’opera inglese in Terra del Fuoco
inizia proprio come opera di conversione (fallimentare) finché la famiglia Bridges non decide di
restare lì e accettare l’altro da sé. Imporre le religioni, forzare le conversioni spesso risultavano in
stragi quindi inserire questa citazione è un allusione a ciò che gli inglesi avevano fatto nel sud del
mondo. Tra le righe anche una critica ai modi della colonizzazione nel sud del mondo.
Le donne lasciano subito il rifugio, si dirigono verso la banchisa, dove costruiscono la loro base,
costruzione di un ruolo utopico. Veuve Cliquot per celebrare i momenti significativi della loro
spedizione e i compleanni. Nel ghiaccio costruiscono una stanza comune e delle piccole stanze
singole. Villaggio chiamato South South America.
Qui c’è posto anche per la tecnologia. Bertha ed Eva sono architetti che costruiscono la base e la
rendono confortevole, capacità che era considerata tipicamente maschile. Bertha si occupa dell’arte
fine a sé stessa, mentre l’architettura ha uno scopo, qui il fine è di rendere la base confortevole.
Arte fine a sé stessa che manca in Scott e Shackelton, che sì si intrattengono con arte, ma lo scopo è
passare il tempo, qui la bellezza è fine a se stessa, è li x essere ammirata e guardata e basta.
Particolare è anche il paragone che la narratrice fa tra il sottile strato di ghiccio che la donna lascia
paragonato al tetto di una serra perché questa teca che protegge le sculture è come la serra
protegge la natura dall’inverno. Arte che per vivere deve restare lì.
Dopo la costruzione della base, gli uomini se ne vanno e le donne iniziano i preparativi per il
viaggio al polo. Fanno viaggi preliminari per mettersi alla prova e testare i propri i limiti, cercano di
capire quali difficltà potrebbero incontrare eccetera. Al momento della partenza si dividono in 3
gruppi. Un primo gruppo parte e lascia i depositi di cibo e carburante che servono al ritorno, gli
altri due partono trasportano loro da sole tutta l’attrezzatura x il viaggio, non hanno cani come
Scott e Shackelton. Sono infatti compiaciute della loro forza fisica. I tre gruppi si ritrovano poi
insieme alla fine due gruppi partono e cercano di salir sul ghiacciaio che le porterà sull’altopiano,
luogo che dovrebbe essere il polo sud. Lungo il percorso ovviamente trovano tracce degli altri
esploratori. L’autrice fa molta attenzione e prendere le distanze dall’impresa di Shackelton,
chiarisce che le donne non conoscono la rotta di Shackelton, che non hanno seguito il percorso
altrui. Questo è importante perché segna una presa di distanza dall’esplorazione degli uomini e
quindi chiarire che hanno seguito un percorso tutto loro. Mentre stanno risalendo verso l’altopiano
trovano la bandiera piantata da Shackelton e le orme orme che sono messe in maniera contraria
alla bandiera e quindi segnano la ritirata di Scott. La narratrice è anche attenta a spiegare il perché
queste orme si siano conservate, sono segno di sconfitta dettaglio del realismo che Le Guin vuole
inserire nella storia queste orme al contrario vengono definite “una vista inquietante” perché
innanzitutto non offrono una direzione, sono il segno di un fallimento, e non segnano nemmeno un
sentiero verso il polo.
Durante il cammino giungono in un magnifico luogo di ghiaccio che sembra una cattedrale, anche
qui la narratrice è sempre attena a prendere le distanze da Shackelton, infatti dirà che quel luogo
Shackelton non lo ha mai visto. È importante il nome che loro danno a questo luogo, qui onorano
Florence Nightingale, eroina della croce rossa. Differenza con i nomi assegnati dagli uomini, le
donne non onorano gli inglesi citando Shackelton ad esempio, ma inonore dell’imperialismo
britannico denominano questo luogo con Florence Nightingale che non è nemmeno
un’aristocratica ma una semplice donna che ha fondato la croce rossa qui riporta al tema
dell’importanza e del potere delle donne nelle spedizioni.
Poi arrivano all’altopiano che chiamano la Pampa e immaginano sull’altopiano la vita dei contadini
dell’epoca, i mandriani che guardano gli animali pascolare nella campagna. In questo momento c’è
l’unico istante di esitazione della narratrice, la narratrice mette in dubbio l’opportunità della loro
spedizione, comincia a mostrare dubbi: l’Antartide non è un luogo fatto per le persone, di qualsiasi
genere. Pensa che sarebbero dovute tornare indietro ma forse valeva la pena andare avanti. Non
tutte vanno avanti, alcune donne vanno via, 2 perché malate e 1 che le segue per prendersene cura.
Un gruppo invece arriva al polo sud: anticlimax x eccellenza di tutta la storia perché mentre nei
diari di Scott vediamo la delusione x il fatto che Amunsen era arrivato prima mentre invece le
donne arrivano e iniziano a discutere se sia il caso di lasciare il segno. Trovano un ambiente alla
ancient mariner, bianco e ghiaccio, atmosfera paurosa. Non lasciano traccia del loro arrivo, non c’è
motivo di farlo perché se l’Antartide non è un luogo per l’uomo, qualsiasi cosa l’uomo faccia lì è
insignificante. Sistemano la tenda x ripararsi e fanno quello che fanno tutti gli inglesi, bevono il
tè Ironia feroce nei confronti degli inglesi non solo perché sul commercio del tè avevano costruito
parte della loro fortuna ma anche perché nulla di più scontato caratterizza gli inglesi della
proverbiale tazza di thè. C’è anche qui un gioco intertestuale con i diari di Scott, viene ripresa
l’esclamazione che Scott fa quando scopre che Amundsen era arrivato prima dicendo “Oh buon Dio
questo è un posto tremendo e abbastanza terribile x noi che abbiamo faticato tanto x raggiungerlo
senza essere stati ricompensati dal primato”  l’esclamazione della narratrice riprende un po’
questa esclamazione. Quindi decidono di non lasciare un segno perché lasciarlo avrebbe significato
affermare un primato che invece preferiscono lasciarlo agli uomini.
Il viaggio di ritorno si rivela più difficile di quello dell’andata, tempeste di neve, condizioni meteo
difficile, vento, perdono gli occhiali della neve, fanno esperienza dell’accecamento sulla neve, tante
difficoltà fino a quando vengono salvate dalle compagne che erano tornate indietro e le riportano
alla base dove scoprono che una di loro era incinta, dà alla luce una bambina, che chiama Rosa del
Sud. L’esplorazione termina con la nascita di una nuova vita e non con la morte (Scott) o con il
rischio di morire (Shackelton) un finale femminista, adatto alle donne. La bambina muore 5 anni
dopo. L’opera finisce con una nota in cui la nonna chiede alla nipote di non rivelare il suo segreto
per non spezzare il cuore di Amundsen, che erano state attente a non lasciare nemmeno un’orma.
Critica durissima agli esploratori uomini, ma pur sempre delicata e sublime. Una delle conclusioni
più belle perché è un racconto eccezionale.

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