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I Libri di Monte Prama

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21 ottobre 2012-15 aprile 2015
905 giorni 909 post pubblicati

Libro II

Gigi Sanna e il codice di scrittura nuragico


I Parte: Sardi, Etruschi e Latini
Monte Prama Edizioni 2016

Dove non altrimenti segnalato, gli articoli sono stati pubblicati su monteprama blog
e hanno Gigi Sanna come unico autore. Alcuni post erano stati ripresi dal blog di
Gianfranco Pintoree ripubblicati su monteprama blog (sezione rewind).

1
INDICE

Pg. 3. Il nome di Tharros (THARRUSH) in un' iscrizione nuragica, etrusca


e latina del III - II secolo a.C. Un Lars di nobile origine etrusca 'curulis' di
Roma in Sardegna

Pg. 12. Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei Sardi (I)

Pg. 25. Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei Sardi (II)

Pg. 36.GIOCHIAMO A DADI E IMPARIAMO L'ETRUSCO. I 'dadi enigmatici'


(ύξί) di TIN e di UNI. Il gioco combinatorio circolare delle
'parole-immagine a contrasto' e dei 'numeri alfabetici' dei dadi di Vulci.

Pg. 51.Stele di Avele Feluskes. I nobili etruschi figli di Tin e di Uni. Scrittura
e lingua dei documenti funerari. L'acrofonia sillabica e non, la
numerologia e la chiara dipendenza dell'etrusco dal nuragico (II)

Pg. 67.CERVETERI. L'iscrizione (IV secolo a.C.) del cosiddetto Pilastro dei
Claudii. LARIS AVLE LARISAL figlio di TIN/UNI. Il linguaggio dei numeri
nuragico ed etrusco. I documenti di Crocores di Bidonì e di Nabrones di
Allai (III)

Pg. 74.Cos'è il disco plumbeo di Heba di Magliano? Ce lo spiega il


dischetto lapideo di Allai (Sardegna)

2
DOMENICA 27 APRILE 2014

Il nome di Tharros (THARRUSH) in un' iscrizione nuragica,


etrusca e latina del III - II secolo a.C. Un Lars di nobile
origine etrusca 'curulis' di Roma in Sardegna*

Po sa 'die de sa Sardigna'

Qualche anno fa è stata scoperta da Stefano Sanna di Cabras (1) un' iscrizione insistente su di un
blocco di arenaria disposta su due righe. Detto blocco ha un'altezza di cm.42, una larghezza di cm
100 e uno spessore di cm 25.

Il reperto, di eccezionale importanza, come si vedrà, dal punto di vista epigrafico, paleografico e
linguistico, è stato rinvenuto nelle campagne del Sinis, in un rudere di un edificio, forse di antica
fabbricazione romana, che si trova in una località che per ora ci riserviamo, per evidenti motivi (2),
di nominare e di rendere pubblica se non per la sigla BM. Così come del resto abbiamo fatto altre
volte nelle numerose occasioni di pubblicazione di documenti scritti dell'età nuragica.

1. Dati epigrafici.
L'iscrizione corre per due linee parallele per tutta la superficie della pietra con dei segni di
grandezza varia: la prima riga ha una progressività a scalare di grandezza, con delle lettere molto

3
grandi a partire dalla sinistra per terminare con delle lettere sempre più piccole e disposte le une
sulle altre; la seconda riga parte con una lettera di piccole dimensioni seguita da cinque lettere
leggermente più piccole delle prime della prima riga e si conclude con le ultime lettere
decisamente più piccole. Il solco tracciato dallo scriba con lo strumento di incisione è rimasto più
evidente nella prima riga mentre nella seconda sei segni su undici sono ben visibili, gli altri meno.
Evidentemente questa parte è quella che ha subito più danno per l'azione degli agenti
atmosferici.

Comunque, complessivamente il documento risulta abbastanza leggibile e mostra una certa


difficoltà di lettura nel sesto/settimo segno e negli ultimi tre della prima riga, mentre nella
seconda riga i segni sono tutti leggibili anche se in parte sbiaditi (v. fig. 2).

2. Dati paleografici
Dal punto di vista paleografico l'iscrizione è assai intrigante perché le lettere alfabetiche, in
numero di 30, appartengono come tipologia (v. fig.3) non ad un solo alfabeto ma a tre alfabeti
diversi. Alcune come ad es. il decimo segno a partire da sinistra nella prima riga ed il trentesimo ',
ovvero l'undicesimo della seconda riga sono manifestamente nuragiche di ispirazione 'cananaica',
altre come le prime cinque sono di tipologia latino - romana, altre ancora come l'ottava della
prima riga e la sesta della seconda riga sono di tipologia etrusca. Altre ancora come la seconda, la
quinta, la tredicesima e la quattordicesima della prima riga e la seconda, la terza, la quarta, la
quinta, la settima sono decisamente ambigue e possono appartenere a due sistemi diversi o
etrusco latino o sardo-etrusco.
Le legature (fig.3) sono, con ogni probabilità, tre e riguardano il sesto ed il settimo segno della
prima riga, il diciassettesimo ed il diciottesimo, sempre della stessa riga, ed il quarto il quinto della
seconda riga.

4
Oltre alle legature c'è da registrare il dato che nella parte estrema destra della prima riga le
lettere (le più piccole di tutte) sono disposte per gruppi di due, una al di sopra dell'altra, con
lettura che parte sempre dal segno più alto. Nella seconda riga questo artificio è ripetuto ma una
sola volta con la lettera quinta che si legge prima della sesta, più sbiadita, posta più in basso (N +
S).
Risulta da ciò evidente e cioè dal mix degli alfabeti, dalle legature e dall'andamento della
scrittura di concezione arcaica, che l'iscrizione si iscrive nella lunga tradizione del nuragico che, sin
dall'alba della sua storia (3), ha fatto uso del mix alfabetico, dell'agglutinamento e della lettura
varia compresa quella (frequente) dall'alto verso il basso (secondo il sistema di scrittura egiziano).
Tanto più poi che l'iscrizione si presenta con una certa numerologia, tipica sempre del nuragico,
attenta alla presenza dei numeri magici ovvero del tre e dei suoi multipli (4).
Ricordiamo che il fatto del mix, la varietà della lettura e la numerologia non costituiscono una
novità in periodo tardo perché essi sono ben presenti in una iscrizione tarda etrusco -latina -
nuragica di cui abbiamo parlato (5) e nella stessa nota iscrizione di Aidu entos di Bortigali (6) .
Purtroppo le iscrizioni nuragiche tarde, per quanto presenti, non vengono notate o prese nella
giusta considerazione dagli archeologi, neppure quando esse si trovano nei musei cui
sovrintendono, venendo scambiate epigraficamente e paleograficamente per ben altro. Di queste
parleremo nelle prossime settimane avendo deciso di anteporre il loro interesse a quello delle
numerose iscrizioni più antiche (ancora non pubblicate) perché si capisca una volta per tutte una
cosa molto semplice ma che risultava ancora dubbia e per alcuni (7) addirittura assurda: che i
nuragici caratterizzarono il loro sistema di scrittura, dandogli così una notevolissima continuità nel
tempo (8), in virtù del semplice ricorrere agli alfabeti 'esterni' sia a quelli 'storici' sia a quelli che via
via si 'inventavano'. Quindi il fatto quasi incredibile è che nelle iscrizioni, in quelle che, per
comodità, abbiamo chiamato 'nuragiche', si trovano presenti pressoché tutti i sistemi di scrittura
del Mediterraneo orientale ed occidentale, ivi compreso il sistema egiziano (9). Praticamente
nessuno fu escluso: l'interessante era che i segni 'nuovi' dei repertori fossero disciplinatamente
inclusi in quelli che ormai da empo si caratterizzavano non più come segni di ispirazione semitica
cananaica ma sarda. Chiunque troverà dei documenti nuragici (di scrittura nuragica), antichi o
recenti, troverà questo sistema di scrittura; un sistema da chiamare 'nazionale' perché il codice era
diffuso capillarmente in tutta l'isola dal momento che scuole scribali 'ortodosse' nuragiche si
trovavano evidentemente dappertutto. Scuole scribali religiose, non lo si dimentichi, e mai 'laiche'
perché la scrittura nuragica è proprio a buon diritto la ' scrittura del nuraghe' e chi fabbricava e
sovrintendeva a questo elaborava e sovrintendeva anche a quella. La scrittura, da considerarsi a
tutti gli effetti 'geroglifica' o 'sacra' come quella egizia, era impiegata per il dio e per i suoi figli dei
in terra e mai (stando almeno a tutta la documentazione in nostro possesso) per gli uomini
comuni.
Si spiega così facilmente quell' assurda 'aleph della prima riga (nona lettera) della nostra
iscrizione, così come si spiegano le varie 'resh' orientate a destra, così tipologicamente diverse
dalla 'erre' latina (terzo segno della prima riga), che non devono essere considerate 'ro' greche ma
antichissime 'resh' protocananaiche sarde, come mostrano ad abundantiam la 'resh' legata alla '
'ayin' dell'arcaica iscrizione di Perdu Pes di Paulilatino (fig.4), le due artistiche 'resh' a puntinato
della barchetta di bronzo dell' Antiquarium arborense (v. figg. 5-6), la 'resh' della scritta in
protocananaico della scogliera diTharros (fig.7) e la 'resh della stessa barchetta fittile di Teti (fig. 8)
manufatto questo che sappiamo, da prove scientifiche effettuate recentemente (10), essere del IX
- VIII secolo a.C.

5
fig. 3

fig. 5

6
3. Dati contenutistici
Il contenuto dell'iscrizione si mostra interessante quanto e forse più della scrittura
dell'iscrizione stessa. Infatti nella prima riga si presenta il praenomen di un personaggio di nome
LARS seguita dalla formula trimembre che rende sempre il praenomen del padre e del padre del
padre: LARS figlio di ARNT figlio di LARS. Formula ovviamente attestante il rango e l'altissima
nobiltà di LARS.

7
I tre praenomina, variamente scritti, sono assai frequenti nelle iscrizioni etrusche e non hanno
certo bisogno di presentazioni e di commento (11). Quello invece che bisogna rimarcare è il fatto
che il personaggio LARS, con un chiaropraenomen etrusco e solo etrusco, compaia in una
iscrizione non etrusca ma nuragica, la quale risulta, tra l'altro, in tutta evidenza, non solo scritta in
tre alfabeti diversi ma anche in tre lingue diverse.

Infatti, la lettura di tutta l'iscrizione, che parte dalla sinistra di entrambe le righe, ci dà l'esito
seguente:

LARSARNTLARS CURU[LI]
SNATUSTHARRUS

Se LARS ARNT LARS sono voci chiare della lingua etrusca, CURULIS NATUS e THARRUSH sono
altrettanto chiaramente voci della lingua romana le prime due e della lingua sarda del tempo
l'ultima. Su ciò non possono esservi dubbi, anche accettando la possibile obbiezione che la prima
voce romana, ovvero CURULIS, possa essere discutibile perché di lettura un po' faticosa nei primi
quattro segni e molto incerta nel quinto e nel sesto.
Lo scriba (certamente un sardo) ha quindi adoperato il codice di scrittura sardo nuragico per
redarre un' iscrizione di un altissimo magistrato che, forse perché tanto alto, necessitava, di un
certo tipo di scrittura altrettanto nobile come era quella nuragica che veniva adoperata - come
sappiamo - praticamente solo nelle iscrizioni religiose indicanti e la divinità ed i nomi divini di
questa e cioè i principi sardi tori Giganti (12). Se la lettura della iscrizione da noi proposta è giusta
(e mi pare che non ci possano essere obbiezioni sostanziali) io ritengo che altra spiegazione di una
scritta così 'strana', da ritenersi quasi bizzarra, non ci possa essere.
In ogni caso il nome di un personaggio di rango, un nobile etrusco, 'CURULIS' (13), ovvero di un
magistrato dotato della più alta carica in Sardegna, soprattutto in fatto di applicazione della legge
(in fondo in fondo ancora un 'signore giudice' o shardan che si voglia chiamare), riteniamo, stando
alle nostre conoscenze, che sia un dato del tutto singolare per quanto riguarda l'amministrazione
della Sardegna in periodo romano repubblicano.
La magistratura dei 'curules', da quanto si sa (14), venne istituita in Sardegna a partire
dall'anno 217 a.C. e cioè all'incirca due anni prima della celebre battaglia di Cornus nella quale i
Romani sconfissero il 'dux' Amsicora e si spense nei tre secoli successivi, nonostante le rivolte,
ogni speranza di indipendenza e di libertà della Sardegna. La datazione dell'iscrizione di BM,
anche per dati squisitamente epigrafici e paleografici può essere ricondotta a questo periodo (tra
la fine del terzo secolo a.C. e l'inizio del secondo). Tra tutti i dati paleografici emersi, quello che ci
sembra più convincente nel mostrare una notevole recenziorità del documento, oltre ai chiari
segni romani della 'erre' e delle 'elle', è la scrittura 'quadrata' della 'teth' (un segno questo che, tra
l'altro, ci sembra enfatizzato rispetto a quello di tutti i segni della seconda riga) ovvero del
particolare grafema usato per esprimere la dentale aspirata (v. più avanti) con cui inizia la voce
THARRUSH (15).
Ma se la presenza di un etrusco romanizzato, magistrato di Roma, risulta per la Sardegna un
dato singolare, del tutto straordinaria risulta la presenza della voce sarda nuragica 'Tharrush', voce
che, in quanto tale, non viene declinata dopo il latino NATUS. Si sa bene che l 'archeologia e
l'epigrafia isolana non hanno avuto mai la fortuna di essersi imbattute in un documento diretto
attestante l'antico nome della splendida città della Sardegna, una volta capitale, prima che essa,
in periodo basso medioevale (1070) fosse trasferita (16) in Aristanis. Le colte fonti
storiche (17) parlano qui e là di Tharrosma con il nome sempre incerto (Tarri, Tharra, Tirrha,

8
Thurra) e senza la sibilante finale. Invece la parlata popolare sarda, contraddicendo le fonti
letterarie, ha resistito senza tentennamenti e non ha smesso mai, per millenni, di darne il nome e
la pronuncia, da quanto stiamo qui scoprendo, davvero autentici: THARRUS o THARROS.
Ancora oggi THARRUS è voce viva popolare, con la 'U' ben pronunziata, così come la si
pronunciava anche in Oristano alla fine dell'Ottocento e per tutto il Novecento. Tutti infatti
conoscono il famoso detto in lingua sarda 'campidanesa' riguardante le costruzioni nobiliari
oristanesi (18): De sa 'idda 'e Tharrus(u) /portânt(a) is perdas(a) a carrus(u)! (Dalla città di Tharrus/
portavano le pietre a carri).
Ora, la testimonianza di BM ci dice che nel III/II secolo a.C. la capitale, non più nuragica (19) ma
romana, della Sardegna si chiamava THARRUSH . Sette secoli prima nella Stele di Nora alla
seconda riga (in realtà alla terza) si registra per la prima vota per iscritto il nome della città
nuragica, citata peraltro insieme alla città di COR(R)ASH (CORNUS) e di NORAN(20).
Risulta allora evidente che la sequenza grafica con consonantismo alfabetico di tipologia 'fenicia'
TRSHSH della stele nuragica norense dovesse essere letto, con l'aggiunta delle vocali, TARSHUSH e
non TARSHISH (come nel testo biblico). La variazione rispetto al testo del documento di BM sta
nella consonante dentale sorda iniziale che però, si badi, risulta essere quella foneticamente
giusta. Infatti, la consonante iniziale del nome della città è 'T' e non 'TH'. TH lo diventa perché in
seguito, secondo noi, si assume come grafema/fonema quello che si sente nella pronuncia
intervocalica (sa 'dda 'eTharrus e non sa 'idda 'e Tarrus). E' lo stesso errore che a sua volta lo
scriba della stele di Nora commette quando scrive il 'W GRSH (va gorash: e Coras/Corras/ Cornus)
che è riportato in questo modo in quanto è la pronuncia intervocalica della consonante velare
sorda (che passa a sonora fricativa) che la fa sentire più come un 'G' che una 'C'.
Quanto alla doppia 'R' di THARRUSH al posto della iniziale TARSHUSH la trasformazione fonetica
potrebbe essere avvenuta con l' indebolimento iniziale, la caduta della prima 'shin' ed il
conseguente raddoppiamento della consonante precedente : TARSHUSH > TARRUSH.

4. Riassunto dei dati paleografici e contenutistici fondamentali del documento


a) Quella di BM è un'iscrizione che, dai dati complessivi, si può collocare temporalmente tra il III
ed il II secolo a.C.
b) E' stata composta da uno scriba nuragico (forse della stessa Tharros) con una tipologia di
scrittura e di lettura antiche prettamente nuragiche.
c) Possiede tre tipologie di segni alfabetici consonantico - vocalici: latini, etruschi, sardi.
d) Possiede tre lingue: etrusca, latina, sarda.
e) Reca il nome, con formula onomastica trimembre del praenomen', di un nobilissimo magistrato
etrusco – romano, un CURULIS (praetor) addetto all' amministrazione militare e della giustizia in
Sardegna.
f) Mostra, fatto questo che accade per la prima volta in modo diretto, il nome specifico della città
di Tharros, nome citato in modo diverso e oscillante dalle fonti storiche sarde
g) Mostra il nome di TARRUSH/ THARRUSH con la vocale finale, così come da sempre pronunciato
popolarmente in Cabras, in Oristano e nei paesi tutti del Campidano di Oristano
f) Mostra, con illuminante vocalizzazione aggiuntiva, lo stesso preciso nome citato sette secoli
prima (IX sec. a.C.) nella Stele di Nora (continua).

* Il presente articolo non vuole essere che informativo e pertanto è una anticipazione, in estrema sintesi, di un più
corposo saggio riguardante e l'iscrizione di BM e quelle altre che, per forme e contenuti simili di scrittura, possono
essere considerate iscrizioni del tardo nuragico. Detto saggio uscirà, con ogni probabilità, nel n° 66 della

9
rivista Monti Prama edita dalla PTM di Mogoro.

Note e riferimenti bibliografici


1. Stefano Sanna è un cittadino di Cabras appassionato di archeologia. Si è reso benemerito in campo epigrafico e
archeologico per aver scoperto diverse testimonianze scritte in San Giovanni del Sinis (Tharros). In particolare
ricordiamo i cartigli egizi della scogliera del Sinis e, soprattutto, la scritta della cosiddetta Sala da Ballo (corruzione
toponomastica di 'sha'ar ha ba'al', porta d'ingresso del dio Baal Sole) che possiede, raffigurato in un spigolo di una
parete, il 'volto' di Ba'al illuminato ciclicamente dagli equinozi e dai solstizi. Su questo fenomeno (da lui visto e
registrato fotograficamente, cioè scientificamente, per tutti gli eventi astronomici) si veda Sanna S. 2013, Il magnifico
fenomeno del tramonto del sole nelsolstizio d'inverno nella Sala da Ballo (Shar ha Ba'al) in San Giovanni delSinis; in
Monteprama blog (20 dicembre).
2. Primo fra tutti quello di tutelare, nel miglior modo possibile, una scritta di tale rilevanza epigrafica, paleografica,
linguistica e storica dall'azione di eventuali tombaroli o male intenzionati.
3. Sanna G., 2011, Scrittura nuragica: ecco il sistema. Forse unico nella storia della scrittura; in Monti Prama. Rivista
semestrale di cultura di Quaderni Oristanesi, n.62, pp. 25 -38; idem, 2011, Scrittura nuragica: ecco il sistema ecc, .in
gianfrancopintore blogspot.com (6 Novembre).
4. Detta numerologia si può vedere in tantissimi documenti da noi presentati e commentati. Si vedano, tra gli altri,
soprattutto, (in quanto concepiti con intenso ricorso al valore magico e di senso dei numeri) la stele di Nora, i sigilli
cerimoniali A1,A3,A4, A5 diTzricotu di Cabras, il cosiddetto 'brassard' di Is Locci Santus di San Giovanni Suergiu, il
ciondolo di Pranu Antas di Allai, l'anello sigillo di Pallosu di San Vero Milis e la pietra di Terralba.
5. Sanna G, 2012, Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei sardi; in Monti Prama. Rivista di cultura di Quaderni
Oristanesi, n.° 63, pp. 3 -30.
6. Sanna G., 2009, No Caro Pittau no, così non va; in gianfrancopintore blogspot.com (22 marzo)
7. Pittau M., La scrittura nuragica: mai esistita.Il punto di vista di Massimo Pittau; in Lacanas (rivista bilingue
dell'identità fondata da Paolo Pillonca) 22. Marzo 2014.
8. Il sistema, compreso il prestito delle lettere e dei segni per attuare il 'fondamentale' mix, durò, con ogni
probabilità, dal XVI secolo a.C. al secolo II a. C. e forse anche oltre. Praticamente abbracciò tutto quel tempo che
Giovanni Lilliu ha definito periodo 'nuragico'. Cioè dal nuragico arcaico al nuragico recente (1500 a.C. - 238 a.C.). Si
veda il suo La civiltà dei sardi, dal neolitico all'età dei nuraghi, ERI ed. Torino, p. 12.
9. L'uso dell'egiziano in mix con quello sardo è attestato, al di là di ogni ragionevole dubbio, in uno scarabeo rinvenuto
in una tomba Monte Sirai. V. Atropa Belladonna, 2013, Gli scarabei sigillo della Sardegna e la scrittura segretadel Dio
nascosto; in Monte Prama blog (26 ottobre).
10. Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro. Conferenza di presentazione delle
analisi di autenticità sulla barchetta fittile (02 dicembre 2013). Il fatto curioso (diciamo così) è che la dott. Nadia Canu,
incaricata da parte della Sovrintendenza di Sassari di illustrare il documento nella conferenza di di Teti, ha parlato
dell'autenticità e della datazione del reperto di S'Urbale ma, per quanto giudicato e dichiarato manifestamente
epigrafico (e con i segni della scrittura impressi 'ante coctionem'), ha preferito non esprimersi sulla tipologia di
scrittura presente in esso, dichiarando incompetenza personale e invocando, tra le proteste del pubblico, futuri
pronunciamenti di esperti studiosi di epigrafia. Ma c'è ben poco ormai da esprimere e da domandarsi su quella
scrittura nuragica in mix, di ispirazione protocananaica. Infatti, in proposito ci si è pronunciati già ormai diversi anni fa:
Sanna G., 2009, Buon Natale da Teti. NR HE 'AH HE 'AB H; in gianfrancopintore blogspot.com (17 Dicembre). Il
medesimo saggio si trova ora, ripreso integralmente, nel Blog di Aba Losi (MONTEPRAMA BLOG) con una sua breve
prefazione: Sanna G., 2013, Auguri da Teti. NR HE 'AH HE 'AB H (9 dicembre 2013).
11. Cristofani M.,1991, Introduzione allo studio dell'etrusco, Leo S. Olschki editore, cap. III, Il sistema onomastico pp.
93 - 102.
12. Si veda circa la scrittura su di essi il nostro ultimo saggio: Sanna G., 2014, Un Gigante nuragico ‫( כד‬brocca) di Il
YHWH in quel di Cubas di Dualchi. Parola di documento in sardo'protocananaico' ; in monteprama blog (2 aprile).
13. E' appena il caso di ricordare, dal momento che il personaggio citato nell'iscrizione è un nobilissimo Etrusco, che
fu tra i simboli e dai simboli del potere dei magistrati etruschi che 'sella curulis' ...sumpta est' (Livio, Hist. I,8).
14. A nostro parere Lars deve essere stato 'curulis' in Sardegna nel periodo immediatamente successivo alla
magistratura (196 -194 a.C.) di T. Sempronio Longo (Livio, Hist. XXXIII, 24 -26), il figlio del famoso omonimo console
Tiberio Sempronio Longo sconfitto da Annibale nel 218 a.C.
15. La lettura della 'S' come 'shin' ci viene suggerita con sicurezza da due testimonianze documentarie: la prima, nota,
è quella della Stele di Nora (TRSHSH) dove l'ultima consonante è una 'shin' e l'altra, non nota (ma di imminente
prossima pubblicazione), è stata offerta recentemente da una scritta trovata nella scogliera a sud-est di Tharros. In

10
quest'ultima con i caratteri molto simili a questi dell'iscrizione di BM, compare la voce semitica ' Sh'R' (ingresso,
porta), con la consonante 'Shin' iniziale.
16. Casula F.C., 1994, La Storia di Sardegna, Sassari, Carlo Delfino Editore, pp. 312 -313.
17. V. Zucca R., 1984, Tharros, Oristano; Sanna G., 2009, La Stele di Nora, Il Dio il Dono il Santo. The God the Gift the
Saint(trad. in lingua ingl. di Aba Losi), PTM ed. pp. 75 - 80.
18. Il dato edilizio - architettonico è testimoniato ancora oggi dai muri, quelli non ancora intonacati o rifatti, dei
palazzi del centro storico. Furono i conci in arenaria ed in basalto ad essere trasportati, spesso di notevolissime
dimensioni. Il saccheggio interessò evidentemente tutta Tharros ma in particolare i grossi muri di Murru Mannu.
19. Credo che l'iscrizione, tra l'altro, faccia vedere la vera e propria sciocchezza mitico - archeologica di un Tharros
fenicia prima (addirittura fondata da filistei o da fenici!) e punica poi. Se Tharros fosse stata fenicia o punica ab
origine non sarebbe stata certamente indicata come 'sarda' nelle tre lingue e lo scriba non avrebbe potuto attuare il
suo 'lusus' numerico. Ma, cosa rilevante ancora è che lo scriba mostra che, nonostante il momento di occupazione
romana e la recente sconfitta 'nazionale' dei Sardi, probabilmente proprio in Tharros (dove altrimenti?) si trovava la
grande scuola scribale nuragica, ovvero il centro della cultura religioso -letteraria della Sardegna, ancora in vita e così
dura a morire nonostante il mutamento politico -religioso e istituzionale. E altra considerazione, non certo ultima
per importanza, proviene dal dato inequivocabile che se Lars, come altissimo magistrato romano, accettò
quell'iscrizione così 'strana', può essere avvenuto per due motivi. Perché egli come etrusco di cultura ancora etrusca
era a conoscenza di scuole etrusche che, in qualche modo, ancora usavano (o avevano usato storicamente) il mix o il
rebus nella scrittura, così come quelle sarde (cioè il modo di scrivere non gli era estraneo per cultura paterna). Oppure
perché il magistrato si trovò di fronte ad una situazione scribale locale ben radicata e tale da non poter essere
sostituita ancora da una 'scuola' romana dove certe simbologie e un certo lusus scrittorio, di origine e caratura
religiosa, non era più contemplato. Questa problematica la vedremo commentando, in un prossimo saggio, un'
iscrizione ancora in mix e, per nostra fortuna, non molto lontana temporalmente da questa. In essa però il nome del
'protagonista', ovvero di colui che è citato non è quello di un magistrato romano ma di un principe sardo con un
bellissimo praenomen di tipo sardo -semitico. Un' iscrizione che ritengo potrà illuminarci (e non poco), insieme ad
altre, per iniziare a comprendere le 'forme' del passaggio politico - istituzionale della Sardegna dopo il 215 a.C. Dal
governo dei Principi sardi Giganti, figli della divinità, a quello romano dove 'principi divini', in qualche modo,
sostituendosi ai precedenti, cercarono di diventarlo agli occhi dei Sardi, i nobili magistrati inviati da Roma.
20. Sanna G., 2009, La stele di Nora. Il Dio il Dono il Santo ecc., cit. pp. 74 - 82.

11
http://gianfrancopintore.blogspot.it/ giovedì 14 giugno 2012

Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei Sardi (I)


Dedicato ai 'letteratissimi' Sardi nuragici

Fig. 1. La stele funeraria

1. Il documento lapideo e il supporto. I pronunciamenti degli studiosi.

Il documento è stato rinvenuto dal rag. Armando Saba (1) di Allai il 10. XII. 1984, in S'isca de su
Nurachi, località sulla sponda sinistra del fiume Massari (o Flumineddu), poco distante dal ponte
che si trova all'ingresso del paese di Allai.
E' in roccia vulcanica e misura in altezza 36 cm e in larghezza 43 cm. Lo spessore varia tra i 4 e i 5
cm. La forma doveva essere triangolare perché, in maniera evidente, tutto il manufatto si trova
ad essere, dove più dove meno, smussato in quanto, per tantissimo tempo, era stato 'a lungo nel
letto del fiume vicino come semplice ciottolo alluvionale' (2)
Fu fatto conoscere (3) alla fine degli anni '90, tramite fotografie, al prof. Massimo Pittau docente
di Linguistica Sarda nella Facoltà di Lettere di Sassari. Questi, ritenutolo documento autentico
senza dubbio alcuno (4) lo studiò per un certo tempo e lo pubblicò con traslitterazione e con
commento critico, filologico e storico, nel 1994.
Nel frattempo sulla scritta romano-etrusca di Allai si era pronunciato il romanista Lidio Gasperini
che, in seguito ad un' ananlisi epigrafica e paleografica, dichiarò apertamente (5), contro il parere
del Pittau, la certa falsità del documento, aggiungendo che 'se fosse vero che quella di Allai è
effettivamente un'iscrizione etrusca, la notizia dell'avvenimentodovrebbe comparire nella stampa
di tutto il mondo'.
Ai pronunciamenti del Gasperini e del Pittau si è aggiunto, recentemente, quello piuttosto
ambiguo dell'etruscologo Marco Rendeli che pur sospettando di non autenticità la stele non si
pronuncia però apertamente sulla falsità di essa anche perché ammette di non poter fornire alcun
elemento critico utile per poterla confermare (6).
Sul documento di Allai dunque ci sono stati sinora, sostanzialmente, due pronunciamenti: uno a
favore dell'autenticità, uno contro, ché non mette conto rimarcare più di tanto il terzo, un
semplice 'sospetto', non basato su alcuno studio di natura scientifica .
Prima di fornire il nostro di pronunciamento sarà bene riprendere in mano tutto ciò che attiene
all'esame epigrafico, paleografico, stilistico, linguistico ( alfabetico, morfo -sintattico, lessicale) di
esso.

12
Va innanzitutto detto e precisato che la lastra (stele funeraria, come si vedrà)) si presenta in
forma non 'vagamente trapezoidale', come è stato affermato (7) ma di forma chiaramente
'triangolare', di un triangolo forse equilatero con la base verso l' alto ed il vertice verso il basso,
calcolando, circa l'aspetto iniziale della pietra tombale, che le due parti della sezione orizzontale
sono state smussate e arrotondate dall'azione del dilavamento dell'acqua; così come smussato e
arrotondato si presenta anche anche il bordo superiore (v. fig. 2) .Segno questo evidentemente di
notevole antichità del documento.
Insomma, il manufatto ha mantenuto le sue fattezze iniziali, mutandosi solo per un certo
arrotondamento dei lati e preservando così, per fortuna, se non la forma almeno l'integrità di
tutto il contenuto epigrafico. In ragione di ciò si può tranquillamente affermare che in origine la
stele avesse in altezza e in larghezza qualche centimetro di più (all'incirca 40 X 48 cm: v. ancora fig.
2) rispetto agli attuali 36 e 43. Detta forma triangolare, come si vedrà, è molto importante per lo
studio epigrafico del documento dal momento che di 'significante' non c'è solo il 'normale'
contenuto epigrafico, esaminato, più o meno accuratamente dagli studiosi, ma lo stesso
supporto.

Fig. 2. La geometria della stele

2. Il contenuto epigrafico. I segni: le lettere alfabetiche e non.

I segni (grafemi) che si presentano all'esame epigrafico sono costituiti, a primo acchito, da lettere
alfabetiche e da un singolo pittogramma. Sulla destra della stele si trovano, ad occupare una
buona metà della superficie dell'oggetto, in caratteri piuttosto grandi, su linee oblique da sinistra
verso destra, 15 lettere alfabetiche di tipologia chiaramente latino-romana: sei nella prima
linea, tre nella seconda linea, sei nella terza (v. fig. 3). L'incipit dei segni delle tre linee non si deve
ritenere accidentale o esito di una scrittura maldestra da parte dello scriba ma intenzionalità,
ovvero un chiaro proposito di voler disporre in quel modo, manifestamente obliquo, le lettere
dall'alto verso il basso.
La tipologia delle lettere è facilmente riconducibile agli alfabeti presenti nei documenti romani
del V - IV secolo a.C. (8). Interessante si rivela subito, dal punto di vista epigrafico e paleografico,
l'andamento della velare sonora ('g' forse gutturale e non palatale) arcaica che mostra il consueto

13
andamento a spirale. Detta consonante non è da considerarsi simbolo alfabetico e basta, ma con
ogni probabilità, è ancora intenzionalità simbolica, trattandosi in particolare di una lettera a
spirale o a serpente, cioè di un vero e proprio pittogramma, all'interno di tutto il codice grafico
simbolico di esorcizzazione della morte posto in essere (come si vedrà più avanti) nella lapide.
Sulla sinistra della prima sequenza di lettere si trova un serpentello, disegnato verticalmente, di
dimensioni tali da coincidere con l'altezza dei segni della suddetta sequenza. Il serpente, come si
sa , è simbolo di ' immortalità' e di 'rinascita' ' (9) usato nell'iconografia, mortuaria e non, di molti
popoli. Posto com'è, e cioè verticalmente, esso si affianca chiaramente al segno precedente, e
cioè alla consonante spirale -serpente, che è anch'essa simbolo di energia, di continuità della vita
e di rinascita.
Sulla sinistra della stele compaiono, disposti anche stavolta obliquamente da sinistra verso
destra , 26 segni ( v. ancora fig. 3) di tipologia alfabetica etrusca, così disposti: 4 segni nella prima
linea (a partire da sinistra), 6 segni nella seconda linea, 8 segni nella terza e altri 8 segni nella
quarta. I grafemi non compaiono tutti di proporzioni uguali: i segni della prima linea sono
manifestamente più piccoli di quelli delle altre tre . Anche i caratteri etruschi con facilità possono
essere ricondotti per tipologia (10) a quelli in uso in Etruria nel V - IV secolo a.C.. Pertanto tipologia
dei segni alfabetici latini e tipologia dei segni etruschi sembrano denunciare subito una
contemporaneità delle due scritte della lapide essendo contemporanei gli stessi alfabeti.
Insomma, lo scriba che ha redatto sia il testo latino che quello etrusco operava scrivendo con dei
segni in voga nel suo tempo o poco prima.

Fig. 3

3. Le tre direzioni della scrittura: verticale, obliqua verso destra e obliqua verso sinistra

Anche ad un primo sguardo si nota che la scrittura non è uniforme per andamento: ora è
verticale (prima linea della scritta in etrusco ), ora obliqua verso destra (le sequenze del

14
nome Giorre Utu Urridu e le altre tre linee della scritta in etrusco) ora obliqua a sinistra . Per
realizzare quest'ultima non è difficile notare che lo scriba ha impiegato solo certi 'segni ' creando
una visibilissima anomalia rispetto all'obliquità della scrittura latina e di quella etrusca. Infatti, ha
riportato sfalsate, con esito così di disposizione obliqua, le lettere iniziali delle tre linee in
caratteri latini; ma stavolta, al fine di evidenziare il dettaglio, ha cambiato, non senza significato, l
'orientamento, così da imporre una lettura da destra verso sinistra e dall'alto verso il basso.
Infatti, se si osservano le 'tre' obliquità si nota che la prima linea immaginaria obliqua destrorsa
della scritta in latino, la linea obliqua immaginaria sinistrorsa data dai tre grafemi sfalsati e la linea
obliqua immaginaria destrorsa data dall'ultima sequenza della scritta in etrusco, sono disposte
così da formare il segno a zig -zag (v. fig. 4). Ciò consente di ottenere, così come vedremo nel
capitolo 6, un senso molto importante e forse il più importante per 'religio' del contenuto della
lapide.

Fig. 4
Già da queste primissime osservazioni si nota quindi che non c'è una prima e una seconda mano
scribale. E' una sola la mano che traccia ed esegue un 'progetto' grafico ben pensato e mirato, in
quanto chi incide la pietra sa bene 'cosa' bisogna realizzare in una stele funeraria che si rivelerà ai
nostri occhi non comune e destinata ad un personaggio non comune.

4. La direzione della lettura del testo con caratteri alfabetici lineari. Lo 'strano' bustrofedico.

Dal punto di vista paleografico - epigrafico gli studiosi che si sono interessati della lapide di Allai
non potevano, ovviamente, non accorgersi di due macroscopiche 'stranezze' presenti nella scritta
in alfabeto etrusco. Infatti, la prima linea mostra all' inizio (presunto) della lettura una chiara
vocale 'E' orientata al contrario, così come la quarta linea registra, alla fine del testo, la presenza
della chiara consonante liquida 'R' orientata ugualmente al contrario.
Come mai? Quale é il motivo dell'anomalia del 'contrario'? Perché poi non un solo 'errore', ma
addirittura due, con due lettere scritte infrangendo la regola? Perché fuori norma quelle lettere
stesse che nel resto della scritta sono disposte tutte (sia la 'E' che la ''R') giuste, con la direzione
prevista dal codice?
Ben lontano dal capire il motivo vero della stranezza e dell'anomalia il Pittau cerca di risolvere a
naso il problema affermando: 'La parola della prima riga è probabilmente di mano differente da
quella del resto dell'iscrizione: lo indiziano sia i caratteri più piccoli sia la E iniziale, che risulta
rovesciata rispetto a quelle delle righe successive. E si può trarre la conclusione che si tratti
probabilmente di una parola aggiunta da un individuo differente, in un tempo successivo - ma non

15
di molto – mosso dall'esigenza di completare un epitaffio che gli sembrava incompleto (p. 100).
Naturalmente, dato l'errore pacchiano del documento, il Pittau avrebbe dovuto aggiungere
all'incirca: da un individuo o molto sbadato o poco pratico nello scrivere l'etrusco!
Per la consonante anomala dell'ultima linea ipotizza, correndo dietro a 'ipotesi suggestive', ma
del tutto campate per aria, che non solo la 'R' possa essere la 'abbreviazione di un aggettivo etnico'
ma che la consonante possa celare, addirittura, l'abbreviazione della voce RASNA. E per rafforzare
l'assunto, ovvero l'ipotesi fantasiosa, non esita a supporre una colpa dello scriba, accusato
d'essere un vero pasticcione nel suo umile lavoro di puro lapicida (11)!
Le cose non stanno proprio così e tutta la enorme confusione ermeneutica (che proseguirà
inevitabilmente, come si vedrà, anche nella traslitterazione e nel tentativo di traduzione del
brano) è dovuta al fatto che lo studioso non è riuscito a sciogliere il nodo del primo (del resto non
molto difficile) dei rebus di una scritta composta praticamente, come si vedrà, tutta a rebus. Si
osservi infatti dove sono collocate le due lettere con andamento anomalo e si cerchi di capire il
valore di quella collocazione e della forma del segno stesso che dicono, con avvertimento circa la
lettura della sequenza fonetica : 'al contrario'! Procedi al contrario!'. Cioè la prima linea deve
essere letta al contrario rispetto al normale andamento della lettura regressiva dell'etrusco; cioè
deve essere letta da sinistra verso destra e non da destra verso sinistra: ΘRAE e non EARΘ. Così
come al contrario (ma rispettando ovviamente stavolta la normalità delle lettura dell'etrusco) deve
essere letta l' ultima linea. Con i due orientamenti delle lettere lo scriba ha voluto così avvertire
che la lettura del brano scritto in etrusco andava fatta in senso bustrofedico: sinistra/
destra/ sinistra/destra. Lettura questa non prevedibile in un periodo in cui la scrittura
bustrofedica, peraltro già non comune nei documenti etruschi arcaici, praticamente non si usava
più. Solo il rebus (un rebus tra i rebus come vedremo) e la conseguente programmata singolarità
della lettura della composizione giustificavano quel procedimento di direzione della scrittura, così
arcaico e mai 'normativo' (12) .
Quindi la lettura sarà:

ΘRAE (lettura destrorsa)


MI PERI (lettura sinistrorsa)
IUNYΘYHA (lettura destrorsa)
VELΘCNER (lettura sinistrorsa)

5. La seconda e la terza lettura.

Vediamo ora come lo scriba ha proceduto ancora ad 'arte' circa la lettura dell'intero documento.
Ha escogitato, oltre a quella bustrofedica del testo in etrusco che si è vista, una lettura destrorsa e
una sinistrorsa. Una è data dal praenomen, dalnomen e dal cognomen del defunto e cioè da Giorre
Utu Urridu, l'altra è ottenuta attraverso le tre lettere iniziali delpraeanomen, del nomen e
del cognomen e cioè G V V (v. fig.5) disposte obliquamente. Di queste lettere (e numeri assieme)
parleremo più avanti .

16
Fig. 5
6. Le 'tre' tipologie dei segni.

Naturalmente non sono solo questi primi particolari numerici che possono bastarci, fare
'scienza', renderci del tutto certi dell'intenzionalità dello scriba. Se ne nota subito un altro che
tende a confermarli. Infatti, se noi dall' orientamento della lettura e dalla direzione della scrittura,
che abbiamo ora esaminato, passiamo alla tipologia dei segni impiegati nella lastra ci rendiamo
subito conto che essi sono 'tre': di tipologia latina, di tipologia etrusca e di tipologia nuragica.

Anche qui una tabella può contribuire a rendere più chiara la detta intenzionalità (v. fig. 6).
Naturalmente essa è suggerita subito per noi dalla tipologia dei caratteri lineari latini ed etruschi,
ma non subito dalla tipologia nuragica che risulta molto più nascosta, sofisticata ed inafferrabile,
se non a coloro che conoscono appieno i segni dell' ultimo sistema. Infatti è il cosiddetto zig
zag (lo schema a torto ritenuto solo 'decorativo' degli archeologi), che ci offre il segno nuragico, il
quale nota, come si è visto tante volte, il nome, estremamente schematico, della divinità yhh. Per
capirlo si riportano, ancora una volta (13), i documenti nuragici che forse meglio lo fanno vedere e
cioè il ciondolo di Solarussa (fig. 7) e il vaso di La Prisgionadi Arzachena ( figg. 8 -9)

Fig. 6

17
Fig. 7 Fig. 8

Fig. 9
7. I tre serpentelli e le tre divinità

Si osservi ora che il serpente come simbolo religioso mortuario appare manifestamente visibile
nella scritta una sola volta mentre in realtà esso si trova riportato, in modo criptato, altre due
volte. Una volta nella lettera alfabetica, marcatamente a spirale o a serpente, che nota la 'G' del
nome GIORRE e un'altra nella lettura della scritta etrusca che, impiegata in senso bustrofedico,
formalmente altro non è che un 'serpente' (14); aspetto questo che suggerisce la stessa prima
linea (verticale) della scritta in etrusco, che risulta, non certo a caso, meno della metà delle altre
tre disposte obliquamente. Anche qui una tabella può servire a rendere più esplicita
l'intenzionalità grafico -simbolica dello scriba lapicida (v. fig. 10).

18
Si osservi ancora, dettaglio non trascurabile, il sapiente accostamento che lo scriba è riuscito a
realizzare collocando nella lettura i tre serpenti uno dopo l'altro e, si direbbe, in progressione di
grandezza.

Fig. 10
Se così stanno le cose, come noi pensiamo che stiano, si può già tranquillamente affermare che la
lapide di Allai non si dimostra quella semplice e pasticciata (addirittura riciclata!) scritta esaminata
dagli studiosi, ma, inopinatamente, una composizione ben mirata e assai sofisticata, tutta
organica com'è, senza sbavature, dal supporto alla scrittura - lettura e ai segni impiegati, a rendere
magicamente il numero 'sacro' della divinità; numero che è quello che la rappresenta
astrattamente al massimo grado; divinità che, con la sua immensa forza luminosa, permetterà la
rinascita, il nuovo ‫(ﬣיִﬣ‬essere, esistere) del defunto, il nuovo passaggio dal buio alla luce. E si può
affermare ancora che la lastra mortuaria è stata così composta, con tutti i suoi significanti sia
manifesti che nascosti, al fine di esorcizzare la morte e di fornire la speranza di una nuova vita. Il
dio nuragico dalla taurina potenza luminosa (NR) e vincitore delle tenebre è, come si sa, YHH. Ma
lo scriba, proteso sempre alla realizzazione del numero sacro, con la scritta in etrusco e in latino fa
capire che ci sono altre due divinità: una è data da Tin/Uni, la inscindibile coppia luminosa etrusca
formante il dio del sole e della luna; l'altra è data da Iunu ovvero Giunone (15). Si noti però, nel
riportare il nome delle divinità, il grado assoluto di astrazione impiegato: solo il nome di Iunu è
scritto e subito leggibile (per chi naturalmente sa leggere l'etrusco). Quelli di YHH e di TIN-UNI
sono ricavabili l'uno dalle linee immaginarie (ricavate a zig zag come abbiamo visto) e dalla
numerologia e l'altro dalla numerologia e dai simboli pittografici.

8. Perché il serpente. Serpenti etruschi, serpenti di Allai, serpenti nuragici.

Il serpente è, come si è detto, simbolo di energia, di rinascita e di ciclicità cosmica,


particolarmente venerato e con frequente iconografia negli oggetti etruschi e anche romani. Esso
in etrusco si accompagna non di rado alla scrittura, anzi 'contiene' la scrittura, come si può
vedere, ad esempio, nel bellissimo vaso (aryballos) di Montalto di Castro presso Vulci (v. fig. 11).
Nell' ormai famosa Tomba della Quadriga infernale di Sarteano di Siena compare con tre teste (v.
fig. 12) : particolare numerologico questo molto importante per la nostra lapide. Ma particolare
ancora più importante è il fatto che il serpente a tre teste della tomba di Sarteano mostri due
spire interamente circolari: una più grande, chiaramente alludente al sole ed una più piccola,
alludente alla luna; alludenti cioè al dio Tin e alla dea Uni (v. ancora fig. 12). Accenniamo qui solo
brevemente al fatto, assai indicativo, che in Umbria e nell' Etruria meridionale a Capena, capitale

19
della popolazioni dei Capenati, vicino a Roma, c'era l'uso di preparare per il giorno del solstizio
d'inverno (21 dicembre, nascita del sole) un dolce in forma di serpente o di grossa anguilla in
onore della divinità solare; uso rimasto vivissimo ancora oggi (v. fig. 13).
Se il simbolo zoomorfo della divinità si trova in Etruria si deve precisare che esso risulta ben
presente nell'Isola, come dimostrano non pochi manufatti sardi e le incisioni rupestri, soprattutto
nella Sardegna centrale.
Infatti proprio il territorio di Allai, luogo di rinvenimento della lapide, nonché quello di Bidonì,
mostrano con una certa insistenza il culto del serpente solare sia con la bella testimonianza su
rupe di Pranu Margiani (fig. 15) sia con il serpentonedella cosiddetta 'Capanna del sacerdote'
tracciato nella roccia a strapiombo presso Nabrones sia con la testimonianza (fig. 14) del dischetto
di Crocores (16), rinvenuto agli inizi degli anni '90 dal funzionario cartografo della Regine Sarda
Armando Saba allorquando il lago Omodeo, bacino artificiale del centro della Sardegna, era in
secca a motivo della perdurante siccità (17).
Ma la testimonianza simbologica del serpente (serpenti) nella lapide di Giorre Utu Iurridu è tanto
più importante in quanto gli stessi documenti nuragici mostrano da secoli e secoli, almeno da
settecento anni prima, non solo la presenza della figura del serpente (v. figg. 16 -17) ma anche la
tendenza a triplicare (v. fig. 18), così come accade per il toro (18), la figura dell'animale. Non solo;
sia il documento in latino e in etrusco di Allai sia i documenti nuragici, di
molto precedenti, tendono a criptare la triplicazione (19)

Fig. 11 Fig. 12

Fig. 13 Fig. 14

20
Fig. 15 Fig. 16

Fig. 17 Fig. 18

9. La tomba etrusca del 'Dialogo sublime' della necropoli di Sarteano (Siena). Il linguaggio del
corpo, il numero tre e il trionfo sulla morte.

Per far comprendere però sino in fondo la scrittura e l' iconografia simbolico - numerica etrusca
nascosta nella lapide diGiorre Utu Urridu e di conseguenza anche quella nuragica legata alla magia
del numero 'tre' strettamente collegata al serpente, ci sia consentito di riprendere le immagini
(quelle che di più possono interessare il nostro discorso) della suddetta tomba di Sarteano che
abbiamo già citato per la presenza dei 'tre' serpenti e delle divinità luminose Tin e Uni. Sono
queste delle figure note anche al grosso pubblico e non solo agli etruscologi in quanto presentano
motivi non solo del tutto singolari ma anche esaltati al massimo grado dalla bellezza e dalla
raffinatezza dei pittori che li eseguirono. Tra le varie scene dipinte della tomba salvatesi, ben
conservate e completamente visibili, ha destato particolare interesse quella che raffigura due
persone, una giovane e una più adulta, sedute su di una klinē, mentre si scambiano (stando
almeno all'apparenza) delle tenerezze (v. fig.19).

La rappresentazione, pur nella singolarità di disegno, è apparsa 'normale' e non eccessivamente


carica di senso tanto che la risposta ermeneutica degli studiosi è stata quella che in quella scena
siano rappresentati due amanti, una coppia omosessuale festante che si scambia battute ed

21
effusioni in un ' banchetto ' nell'aldilà. E' stata ritenuta, in altre parole, un motivo decorativo e
niente di più; uno dei tanti, eseguito per rendere, come altre volte nella pittura sepolcrale
etrusca, accogliente, fastosa e prestigiosa la tomba del ricco e sicuramente illustre defunto.

Figura 19
Ad un attento esame però si nota che il supposto banchetto non c'entra per nulla, mentre c'entra
e tantissimo l'aldilà. Per capirlo basta superare la superficie, stare attentissimi ai dettagli per
poter 'leggere' nel profondo ciò che lo scriba pittore ha inteso realizzare, con allusione discreta
quanto efficace, tramite il linguaggio del corpo (viso e mani) Non è chi non veda infatti che la
persona adulta sulla destra è in atteggiamento triste, dubbioso e pensieroso assieme; stato
d'animo questo molto chiaro che viene magistralmente realizzato attraverso il sopracciglio sinistro
corrugato e la leggera smorfia della bocca. Il giovane sulla destra, al contrario, è raffigurato in
atteggiamento sereno e sorridente, con la mano sinistra che tocca morbidamente, quasi
sfiorandola, la mano sinistra dell'adulto mentre la mano destra è protesa verso il suo volto in un
particolare e inequivocabile gesto: con tre dita chiuse, l'indice ben separato e messo in evidenza
e senza che si veda il pollice. Non è difficile comprendere che quei segni, quella 'scrittura
ottenuta disegnando', ci sono in quanto realizzano suoni e parlano, perché intendono esprimere
i pensieri e le parole dell'uno e dell'altro. Diciamo, se vogliamo ricorrere al conosciuto, che manca
solo la scrittura di agevolazione dei 'fumetti'. Il resto della grafica c'è proprio tutto.
Infatti, l'adulto 'dice', grosso modo: 'Sono scettico, dubbioso, non so'. L'altro sorridendo e
prendendo dolcemente la sua mano gli risponde all'incirca: 'Stai tranquillo e sereno '. Ma aggiunge
anche, con la mano destra: ' il tre, la forza del tre, (è)quello che te lo indica, che lo dimostra'.
Cioè il giovane (che è sano e mostra nel dipinto un bel colorito) rassicura l'altro, probabilmente il
suo amante (che ha invece un colorito pallido, con probabile allusione alla morte imminente), che
la sua sorte sarà felice, che attraverserà il fiume con la potente quadriga, che trionferà sulla morte
perché rinascerà in virtù della forza immensa e dell' energia del 'tre' ovvero della potente divinità
con simbolo serpente.
E che le cose stiano così lo dimostra proprio la scena successiva con il serpente dalle 'tre' teste
che descrive con le sue singolarissime spire circolari, una più grande ed una più piccola, la forza
del Sole e della luna assieme e cioè, come si è detto, la forza di Tin/Uni (v. di nuovo la fig. 19 e le
figg. 20 - 21 -22). Naturalmente la forza e l'energia del serpente sono dati non solo da questi ma
anche da non pochi altri segni 'scritti' sui quali pensiamo di tornare tra breve con un articolo
apposito (20) .
Ci basti comunque aver sottolineato, grazie alla efficacissima pittura etrusca 'parlante', il dato
sulla forza del 'tre' che serve da un lato a far capire che il personaggio sulla destra non è una

22
persona qualsiasi ma lo stesso defunto per il quale è stata realizzata la tomba e dall'altro, per
quanto più strettamente ci riguarda, a dirimere ogni dubbio che nella lastra diGiorre Utu Urridu ci
siano i tre serpenti e che, volutamente, ci sia tutta la numerologia tendente a iterare, più o meno
nascostamente, il numero sacro divino, per esaltare quella forza luminosa che è necessaria perché
il defunto possa tornare in vita. E ci basti ancora aver sottolineato l'errore macroscopico di
interpretazione circa il magnifico e fantastico serpente che non è affatto uno dei tanti 'mostri'
dell'oltretomba etrusco, ma al contrario, la raffigurazione sublime, altissima dal punto di vista
simbolico, delle due divinità solari, del padre e della madre celesti che faranno rinascere il 'figlio'.
Tutta la tomba quindi risulta un commovente sforzo, tradotto in pittura, di 'credere', di aver
fiducia attraverso la serena demolizione del dubbio; ma anche un un 'grido', attualissimo, di
speranza realizzato per esorcizzare la morte e per trionfare 'razionalmente' e 'matematicamente'
su di essa. Tanto che essa si potrebbe chiamare, con maggiore precisione filologica e semantica,
'Tomba del dialogo sublime sull'aldilà'.

Tra la lapide etrusca di Giorre Utu Urridu e la tomba dell'innominata persona lievemente
barbuta della tomba di Sarteanonon c'è in fondo gran differenza: certo differenza di quantità, di
fasto e di bellezza ma non di significato, di credenze, di simboli e di metafore. La forza del 'tre'
luminoso o del serpente solare/lunare è celebrata al massimo grado nell'una così come nell'altra.
Anzi in un certo senso si potrebbe dire che il 'tre' è dotato ancora di più di energia nella lastra di
Allai perché addirittura tre sono le divinità interessate alla resurrezione del defunto.

Fig. 20 Fig. 21 Fig. 22

[1. continua]
Note e bibliografia essenziale

1) Pittau M. 1994, Nuova iscrizione etrusca rinvenuta in Sardegna; in Ulisse e Nausica in Sardegna, Insula ed.
Nuoro, VIII p. 97.
2) Pittau 1994, cit. VIII, p. 97.
3) Il Pittau (1994, cit. VIII. 97) aggiunge: 'A suo tempo lo scopritore aveva regolarmente segnalato il suo rinvenimento
alla Soprintendenza alle Antichità delle province di Cagliari e di Oristano. Ma il reperto è ancora in suo
possesso, sicuramente perché chi di dovere non gli aveva attribuito alcuna importanza'.
4) 'E' da premettere e da precisare che, in virtù della patina biancastra della lastra, l'alternanza del chiaro e dell'oscuro
è esattamente quella naturale del reperto, senza che ci sia stata una preliminare marcatura delle lettere da parte del
Saba in vista della effettuazione delle fotografie. La lettura dell'intera iscrizione etrusca è quasi sicura in tutte le sue
lettere, per alcune è sicurissima. I caratteri risultano incisi in maniera abbastanza sicura. C'è da precisare che quelli che
nelle fotografie appaiono come punti, sono semplicemente piccolissimi buchi naturali della pietra' (Pittau M., 1994, cit.
VIII, p. 99.

23
5) Gasperini L. 1991, Atti del IX Convegno di studio '' L'Africa romana', Nuoro 13 -15 Dicembre (pubbl. Sassari 1992),
pp. 637
e segg. V. anche Pittau 1994, cit. XII, p. 190, n. 1.
6) 'Siamo di fronte a casi non differenti da quello che nel corso degli anni '90 vide Allai come protagonista?' Questa è
una risposta che non sono in grado di offrirle'. V. M. Rendeli, Relazione tecnico-scientifica' del 3 Marzo 2008 (inviata
alla Sovrintendenza di Sassari in merito all'autenticità o meno dei documenti etruschi di Allai e allegata agli atti del
processo).
7) Pittau 1994, cit. VIII, p. 97.
8) V. Buonopane A., Manuale di Epigrafia latina, Carocci 2009.
9) V. Chevalier J - Gheerbrant A., 1982, DICTIONNAIRE DES SYMBOLES, ed. Laffont, vox. Serpent, pp. 867 -878.
10) Cristofani M., 1991 (rist. 1997), Introduzione allo studio dell'Etrusco, OLSCHKI ed. p. 25. Di una certa
arcaicità compaiono le lettere Y, M, N, R mentre decisamente più recenti appaiono i segni della A e, soprattutto, il Θ a
cerchietto semplice.
11) Pittau 1994, cit. VIII p. 10. 'Viene da supporre che, avendo il lapicida incontrato una certa difficoltà a scolpire le
linee curve delle lettere (si vedano la Θ di UELΘ e la C di CNE) per un migliore uso dello scalpello abbia proceduto a far
girare la lastra sul tavolo di lavoro, col risultato però di aver confuso ed invertito la direzione del rho finale'.
12) Cristofani 1991, cit. , I, p. 28.
13) Pilloni F. 2009, Due ciondoli che strizzano l'occhio al nuragico; in Gianfrancopintore. Blogspot.com (17 giugno);
Sanna G., 2009, La stele di Nora. Il Dio il Dono il Santo. The God the Gift the Saint (trad. ingl. di Aba Losi) 2, pp. 54 -55.
Sulla natura fonetica del segno a zig - zag si veda ancora Sanna G. 2004, Sardōa Grammata, 'ag 'ab sa'an yhwh. Il dio
unico del popolo nuragico, passim; idem, 2011 L'emblema del museo archeologico di Nuoro, Decorato? No, scritto;
in gianfrancopintore, blogspot.com (16 maggio); idem, 2011, La tavoletta (pietra) di Loghelis. Decorata? No scritta;
in gianfrancopintore. blogspot.com ( 29 maggio). Si ricordi che YHH è voce che va letta palindroma: YH Lui (H) Lui (H)
che dà la vita (HY).
14) Il bustrofedico inteso come simbolo della divinità, 'serpente' a tre spire, riportato in maniera nascosta
attraverso l'andamento della scrittura, è abbastanza comune nella documentazione nuragica: si vedano, a titolo
esemplificativo, le quattro tavolette sigillo di Tzricotu di Cabras (Sanna G. , Sardoa Grammata, cit., 4, tab. 1 bis p. 87 ),
il motivo 'a serpente' nella lettura centrale della stele di Nora (Sanna 2009, La stele di Nora. cit. 3, p. 106; e ancora il
motivo 'a serpente' della pietra di Nurdole di Orani (Sanna 2011, L'emblema del Museo archeologico di Nuoro, cit, ).
15) V. par. 15: commento filologico del testo in caratteri etruschi.
16) Sullo straordinario documento di Crocores di Bidonì in forma di serpente e riproducente una parte organica del
famoso disco di Magliano (contenente con ogni probabilità il nome del 'serpente' in etrusco) intendiamo ritornare,
appena possibile, con un articolo apposito. Sarà sufficiente qui affermare che si tratta di un reperto genuino, prodotto
di una scuola scribale templare sarda; un oggetto di culto che, insieme a tutti gli altri rinvenuti (oggi motivo di una
aspra controversia giudiziaria), conferma in pieno il clamoroso contenuto della lapide di Giorre Utu Urrridu rinvenuta,
tra l'altro, in Allai nel 1984, cioè all'incirca dieci anni prima. (ndr: si veda: G. Sanna, Cos'è il disco plumbeo di Heba di
Magliano? Ce lo spiega il dischetto lapideo di Allai (Sardegna), monteprama.blogspot.it, 19 FEBBRAIO 2013)
17) V. Sanna G., Gli Etruschi nella Sardegna centrale tra il VI e il II secolo a.C. (estratto e riassunto della Relazione
tecnicoscientifica tenutasi in Allai il 8 dicembre 2007); in Paraulas, 2007, Anno X, n.30, pp. 3 -11) .
18) Sanna G., Sardoa Grammata, cit. passim; in part. 4, tab. 16, p. 154; idem 2009, Buon Natale da Teti: NR HE 'AK HE
'AB HE; in gianfrancopintore.bolgspot.com ( 17 Dicembre). ndr: si veda: G. Sanna, Auguri da Teti. Firmato: NuR Hē ’AK
Hē ’ABa Hē, monteprama.blogspot.it, 9 DICEMBRE 2013)
19) V. nota 13.
20) I dipinti della tomba contengono altri simboli attinenti, tra l'altro, al superamento della 'prova' dell'anima del
defunto. Uno di questi, con ogni probabilità, è dato dal colino che in quanto 'filtro' è paragonabile in qualche modo, a
nostro giudizio, alla prova della 'piuma' e della bilancia di Anubi nella 'religio' egiziana. Prova questa della leggerezza
dell'anima 'giusta' e priva di 'incrostazioni' che era contemplata anche nella religio sincretistica nuragica come sembra
dimostrare il rinvenimento di una statuina del Dio Anubi nel territorio della Sardegna centrale. V. Sanna
2012, Religione nuragica: l'origine dei presunti falsi di Allai. Il dio Anubi (inp.w) e il dio Yhwh 'ab šrdn; in
gianfracopintore blog.spot.com (18 marzo).

24
http://gianfrancopintore.blogspot.it/ venerdì 15 giugno 2012

Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei Sardi (II)

Fig. 23
10. Perchè l'obliquità centrale destrorsa e anomala rispetto alle altre due? Il chi, il quando,
il come.

Cerchiamo ora di capire a fondo il dato dell'obliquità centrale che è chiaramente segnalata dal
fatto che, come si è detto, le lettere iniziali della scritta in caratteri di tipologia romana si
presentano tutte e tre sfalsate rispetto ad una linea teorica verticale. Se è vero che detta obliquità
serve a notare il segmento che accostato agli altri due contribuisce a dare lo schema a zig -zag è
vero anche che essa tende a segnalare, a mettere in una certa evidenza, i tre segni costituiti
apparentemente da soli segni fonetici alfabetici. Infatti non è chi non capisca che lo scriba con i
segni 'G' 'V' 'V' ha voluto realizzare anche dell'altro, ovvero degli ideogrammi nascosti così da
comprendere nella scritta un dato ormai comune nelle lapidi mortuarie e cioè l'età del defunto. Ha
scritto cioè il numero 110 (centodieci) approfittando del fatto
che praenomen, nomen e cognomendi Giorre Utu Urridu ( il segno di C agglutinato a G e le due
apparenti 'U' ) davano l'opportunità, grazie alla combinazione delle lettere iniziali, di rendere i
simboli grafici numerici in uso nella numerazione convenzionale romana: C + V + V.
Si noti ancora che il dato numerico dell'età, ricavato con l'obliquità, consente ancora allo scriba di
ottenere un esito davvero spettacolare: il fatto cioè che la lettera iniziale 'G' di GIORRE diventa
organicamente di valore 'tre' (serpente, lettera alfabetica e lettera numerica); cosa questa che le
consente di affiancare efficacemente il tre del serpentello a tre spire a sua volta affiancato
dal tre della scritta etrusca in bustrofedico o, meglio, a serpente con tre spire.
Ora, l'età del defunto potrebbe sembrare sulle prime eccessiva, tale da inficiare l'ipotesi, se non
osservassimo due aspetti ancora dell'iscrizione. Il primo è che lo scriba ha realizzato il
manufatto sempre attento a rispettare ed esaltare il numero sacro e cioè il 'tre'. Quindi in ragione
di ciò ha riportato sulla destra (con lettura destrorsa) il 'chi', ovvero l'identità del defunto a cui
appartiene la lapide, il 'quando' (l'età della morte) e il 'come' o perché' di essa (v. fig. 23).

25
Il secondo aspetto lo si avrà con l'esame, con l' interpretazione e la traduzione del testo in
caratteri etruschi che sappiamo già, con assoluta certezza, essere in bustrofedico. Vedremo come
il testo in etrusco (ma non tutto in lingua etrusca) con la sua chiara terminologia, ovvero con un
preciso lessico, spieghi molto bene quella data straordinaria e l'età della morte così avanzata.
Spieghi bene cioè il 'come' della morte di Giorre Utu Urridu.

11. Il codice di scrittura nuragico e i requisiti (griglia di Sassari). Sardo, egiziano, etrusco, latino.

Da qualche tempo sappiamo che il codice della scrittura nuragica, documentato ormai da decine
e decine di scritte (21) si fonda su una serie di requisiti ben precisi. E' normato cioè, in tutto o in
parte, da particolari regole; tanto che se esse non si riscontrano nei documenti si può dire
tranquillamente che non si tratta di scrittura nuragica. E' questa una scrittura complessa che si è
illustrata numerosissime volte in questa sede (22) e riteniamo che non sia il caso di riparlarne.
Basterà solo far presente che detta scrittura, sempre usata in mix, con chiari codici orientali
semitici di riferimento (ugaritico, protosinaitico, protocananaico, gublitico e fenicio arcaico e
recente), stavolta non li adopera per un chiaro motivo: perché il destinatario di essa ha un nome
strettamente sardo, con tanto di vocali oltre che di consonanti e forse fa parte di una comunità
templare all'interno della quale è ben noto sia il codice di scrittura etrusca che quello di scrittura
latino. .
Il nome GIORRE UTU URRIDU non può essere espresso, per il notevole impiego delle vocali
(soprattutto per la loro posizione iniziale e finale) con il codice semitico perché un GRR T RRD
sarebbe un non senso, costituirebbe una sequenza fonetica del tutto incomprensibile. Così come
non può essere espressa la lingua etrusca della parte sinistra del documento che, con il suo lessico
indoeuropeo metà greco e metà latino (come si vedrà) basato anch'esso sulla presenza massiccia
delle vocali, non può servirsi efficacemente di nessun codice semitico.
Però non è chi non noti che la scritta di Allai, pur non essendo riportata con grafemi semitici
(tranne nel caso del nome YHH ottenuto con lo schema a zig -zag), segue però 'in toto' quelle che
sono le caratteristiche del codice di scrittura usato dai sardi nuragici semitici per circa un
millennio. E' ancora scrittura in mix e a rebus, ancora profondamente numerologica, sempre
leggibile con molta difficoltà, appannaggio quindi di elites scribali templari. Nel sofisticato lusus
scribale ai codici strettamente semitici si sostituiscono i due codici di matrice indoeuropea: latino
ed etrusco. In fondo siamo di fronte alla stessa stupefacente operazione scrittoria di natura
religiosa, riguardante ugualmente il motivo delle credenze del defunto nell'aldilà e il desiderio
della rinascita, individuata per la prima volta dalla dott. Aba Losi da pochissimo tempo (23); quella
che gli scribi sardi attuano con i sigilli amuleti mortuari, impiegando oltre che il sardo nuragico il
codice egiziano. Il sincretismo religioso templare di Monte Sirai e di Tharros li porta a sostenere
magicamente le sorti del defunto attraverso la forza di TUTHMOSI, di BONARGAN, di AMUN RA e
di YHH; invece il sincretismo templare di Allai attraverso l'energia di YHH e di TIN/UNI. L'unica
differenza consiste nel fatto che nei sigilli 'egittizzanti' intercessori dei defunti sono i prediletti figli
carnali della divinità; nella lapide di Allai i figli di Dio sono assenti perché la lapide non è un
amuleto -sigillo. Quest'ultimo forse sarà stato sul petto del defunto.
Sembra così quasi chiudersi un enorme cerchio temporale per le potenzialità d'uso della
scrittura nuragica in mix. Partiti con i codici semitici (praticamente tutti i codici consonantici
orientali conosciuti) e quello egiziano, usati per 700 -800 anni e forse di più , gli scribi usano le
ultime 'novità', stavolta 'occidentali', in fatto di scrittura, impiegando nel V-IV secolo a.C. anche il
sistema latino e quello etrusco. Se solo si pensa che l'etrusco è chiaramente derivato dall'alfabeto
greco si può dire che nessun sistema di scrittura manchi nella documentazione scritta nuragica.

26
Tutto ciò in un lunghissimo, consapevole, sapientissimo corso 'storico' di scrittura del tutto
impensabile fino a poco tempo fa.
Si veda ora, per comprendere la relazione tra la scrittura scribale nuragica sarda del V -IV secolo
a.C e quella ugualmente nuragica dell'età del bronzo finale, la seguente tabella (fig. 24) dove i
requisiti della 'griglia di Sassari' ci sono proprio tutti, compreso il 'tre' del determinativo; quello
che nei documenti semitici nota anche e soprattutto la lettera aspirata del pronome 'hē' (Lui/Lei).

Fig. 24

12. La posizione nel terreno della lapide di Allai

Da quanto detto sopra non è ora difficile capire come la lapide originariamente si trovasse
collocata nel terreno . Essa era disposta con la parte in latino (praenomen, nomen e cognomen +
data) poste di fronte per una lettura più o meno immediata e testo etrusco posto obliquamente
per la lettura più complessa e a rebus.
Si trovava per un terzo circa conficcata sul terreno anche se la sofisticata composizione di essa e
l'età singolare del defunto facciano sospettare che la parte più bassa potesse costituire, così come
per la stele di Nora, un 'tenone' (24) da inserire su di una base quadrata o rettangolare, forse con
le simbologie sottese ad uno schema geometrico evocatore di 'forza' e di 'stabilità', Un numero
simbolico da collegare al tre (triangolo) della lapide mortuaria ( fig. 25)

27
Fig. 25

13. Trascrizione, traslitterazione e traduzione della scritta della stele in caratteri e lingua etrusca
da parte del Pittau (25)

EARΘ
MI PERI
AIΘY NUI
UELΘ CNE R

vale (?)
ego paravi (?)
Orcum Novius
Velthur Cne(i)

Addio (!)

Io ho raggiunto (?)
l'Ade Novio
Velthur (figlio di) Cneo R(asenna)

14. Nostra trascrizione, traslitterazione e traduzione

28
ΘRAE
MI PERI
IUNY ΘYHA
UELΘ CNER

Dissolse
me completamente
la τύχα di Iunu
in guisa di polvere.

( La sorte in mano a Iunu


mi annientò facendomi morire
per consunzione)

15. Commento linguistico - filologico del testo in caratteri etruschi.

l. ΘRAE: imperfetto senza aumento dal verbo gr. Θράυω. In etrusco il dittongo 'au' diviene 'a'
(έθραυε > eθrae > θrae). 'Annientare, distruggere, spezzare'. Si veda per un esempio
analogo Crocores 6: EΠAIE > ΠAIE > ΠAE (per la citazione del nostro articolo v. nota 26).
li. MI: accus. alla greca o influenzato dal latino (με/me). In etrusco solitamente l'accusativo del
pronome sembra essere MINI (Cristofani 1997, pp.72 -72).
lii. PERI: è la preposizione greca περί in anastrofe. L'accento è pertanto πέρι. Essa va collegata al
verbo θράυω. Περιθράυω è verbo abbastanza frequente, attestato in Ari. Pr. 935Bb 2 con
significato di 'break small, grind down'; si trova ancora con questi significati, principalmente al
passivo, ancora in Ari. ib. A 38; Hp, Morb. 4.55; J. Ibj6.1.3;Plu. 2.6 26b; Gal.UP. 2.17. Metaf. (Ph. 1.
564); ha anche il significato di 'to crush' cioè di 'annientare, distruggere, polverizzare'. V. Liddel -
Scott, Greek -English Lexicon, 1961 p. 805.
liii. IUNU: Si tratta di IUNO, Giunone, dea del pantheon latino. E' sorella e sposa di Zeus. Qui
naturalmente è la Juno del culto dei morti che sarà inferna in Virgilio, averna in Ovidio e stygia
in Stazio.
liv. ΘYHA: è il greco dor. τύχα (att. τύχη). Sui fenomeni di consonantismo, dentale sorda/aspirata ( θ
=τ) v. Cristofani 1997, p. 48. Sulla spirantizzazione della consonante (χ > h) e sulla 'gorgia' toscana
v. in part. Agostiniani L. (1983),Aspirate etrusche e gorgia toscana: valenza delle condizioni
fonologiche etrusche; in Agostiniani L. - Giannelli L. (a cura di) 1983, Fonologia etrusca, fonetica
toscana: il problema del sostrato, Firenze Olschki ed., pp. 25– 60. La voce ΘYHA del documento
sardo sembra dar ragione al Pittau sul fatto che 'è quasi certo che la cosiddetta 'gorgia
toscana […] sia un relitto fonetico della lingua etrusca (v. Pittau 2002, La lingua etrusca.
Introduzione; http:// web. tiscali.it/noredirect -tiscali/pittau/Etrusco/Studi; idem, 1989, Colpo di
glottide barbaricino, gorgia dorgalese e gorgia toscana; in Quaderni Bolotanesi 15, pp. 285 -290).
Si veda per una sintesi del problema Matteucci P., Fonologia etrusca e fonetica toscana: il
problema del sostrato (versione corretta ed adattata dell'intervento del 28 Agosto del 2003
nel Forum di discussione dell'Accademia della Crusca).
Per ΘUHA qui si deve intendere il 'destino', cioè la sorte regolata dalla divinità che può essere o
buona o cattiva. Ovviamente un 'destino' di vita di 110 anni come è quello di Giorre Utu Urridu è
del tutto singolare e quasi impensabile, davvero una buona Θuha; possiamo dire, stante il fatto
che la vita umana aveva allora una media di neanche sessanta anni, che la persona (a noi del tutto
sconosciuta) citata nella lapide di Allai, è vissuta più del doppio di un comune mortale.

29
lv. VELΘ: lat. velut/veluti. 'Come, in guisa di'. La congiunzione si spiega con la parola seguente e cioè
CNER (C(I)NER: lat. cinus, cineris). La lunghissima esistenza di Giorre Utu Urridu deve aver
rinsecchito e incartapecorito la persona, rendendola come 'polvere' o 'cenere'. Praticamente
dissolvendola. Non si dimentichi il significato suddetto del verbo περιθράυω che significa in greco,
tra l'altro, proprio 'polverizzare'.
Il testo come si vede presenta un lessico sia di origine greca che latina, un mix che però non è
casuale ma voluto; si tratta cioè di una lingua artificiale e non naturale mirata a dare, ancora una
volta, il numero divino impiegato nel resto della scritta. Si noti infatti che le parole greco- etrusche
sono tre, così come tre sono le parole latino- etrusche:

ΠΕΡΙΘΡΑΕ / ΜΙ / ΘΥΗΑ

IUNU VEL(U)Θ C(I)NER

Le due sequenze ternarie lessicali vanno ad unirsi naturalmente alla prima sequenza sarda
nuragica di 'tre' parole ovvero quella di GIORRE UTU URRIDU. Tre lingue dunque e tre parole per
ciascuna lingua.

16. Elenco degli aspetti particolari della scritta formanti il numero 'tre' e il numero 'nove' (26).
Tabella riepilogativa.

1) Agglutinamento: Serpente, segno fonetico, ideogramma numerico


2) Pittogrammi: tre serpenti con valore di 'tre'
3) Scrittura: Obliqua verso destra – verticale - obliqua verso sinistra
4) Lettura: destrorsa -sinistrorsa – bustrofedica
5) Numeri: C V V
6) Alfabeti: nuragico, etrusco, romano
7) Divinità: YHH, TIN/UNI, IUNU
8) Lessico : sardo nuragico – etrusco greco - etrusco romano
9) Supporto : triangolo.

30
Conclusioni e qualche riflessione ancora

La lapide di Giorre Utu Urridu si mostra come un documento eccezionale nell'ambito degli studi
di epigrafia nuragica, di etruscologia e di linguistica in genere. Del tutto travisato circa la sua
identità, ha corso il rischio d'essere addirittura classificato come un falso a motivo di una assurda
questione giudiziaria (27) su presunti falsi e dell'assoluta ignoranza nel campo dell'epigrafia isolana
(e non) della scrittura nuragica; quella che è in grado oggi di mettere in luce e di accertare tutti gli
aspetti di forma e di contenuto presenti nel testo di Allai.
Attraverso questa testimonianza la scuola scribale nuragica mostra così di aver influenzato non
solo la scrittura etrusca sarda (quella presente in Allai nel V-IV secolo a. C.) ma, con ogni
probabilità, anche quella precedente, dato che la scrittura a 'rebus' e in mix, realizzata
disegnando, dipingendo, costruendo, la si riscontra da diverso tempo in Etruria, all'alba della
nascita stessa della scrittura etrusca (28).

31
Particolare significato assume tra i requisiti, come si è visto, la numerologia che è necessaria,
'sacra', inviolabile, mai trascurabile, perché la scrittura templare usa il massimo rispetto per la
divinità che è rappresentata da ben precisi numeri -simboli (in genere il tre, il sei, il nove e il
dodici) che ne esprimono con 'perfezione' ed esattezza matematico-astronomica la natura e
l'essenza. Il tre 'solare' e il tre 'lunare' pertanto sono presenti nelle tavolette di Tzricotu di Cabras,
nell'anello diPallosu di San Vero Milis o nella stele di Nora (e in numerosi altri documenti ancora)
per la divinità androgina YH; così come sono presenti in Etruria nel famosissimo Sarcofago degli
Sposi di Villa Giulia in Roma, nella Tomba della quadriga infernale di Sarteano (Siena) e in Sardegna
nei documenti etruschi di Crocores di Bidonì 1, 3,4,5,6 .
Sappiamo che è cosa dura accettare questo dato numerologico ma senza di esso, come si è visto
anche per la scritta diGiorre Utu Urridu, si rischia di non capire nulla del 'fondamentale'' , del
come e del perché gli etruschi, così come i nuragici, procedessero in un certo modo nel comporre
i loro documenti. Inoltre, senza essere ben consapevoli che il testo, ogni testo, va affrontato con
l'attenzione e la tensione continua nel risolvere dei rebus, spesso complicatissimi, al massimo si
può restare nella superficie della comprensione. Crediamo che l'esempio sull'interpretazione delle
scene dipinte della tomba di Sarteano possa essere istruttivo: senza tener conto del significato dei
numeri e del numero fondamentale, per noi oggi criptico ( ma non per gli etruschi che ben
capivano l'allusione) si scambia per un banale banchetto tra amanti un motivo di triste quanto
sublime dialogo sull'aldilà; si prendono addirittura per 'mostri infernali' gli sposi celesti
dell' indice ovvero i 'rassicuranti', i potentissimi padre e la madre della 'religio' etrusca; l'uno, il due
e il tre nello stesso tempo che presiedono alla rigenerazione dei defunti.
Ma non è solo il numero che conta nell'espressione scritta nuragica ed etrusca: conta moltissimo
anche la figura zoomorfa ovvero il simbolo pittografico antichissimo della divinità. E anche questo
procedere nella scrittura etrusca con certi pittogrammi, cioè attraverso i simboli di particolari
animali indicanti potenza, energia e vitalità, fu con ogni probabilità dovuto all'influenza della
scrittura nuragica a 'tutto campo' la quale da secoli e secoli (dalla fine del periodo del Bronzo
finale) ha in particolare nel toro e nel serpente (e non di rado il serpente con le tre spire!) i segni
più significativi, più forti e più densi di valori mitico-religiosi.
Sarà bene ancora sottolineare il fatto che la lapide di Giorre Utu Urridu, documento nuragico
della seconda metà del primo Millennio a.C., scritto da qualche membro di una scuola scribale
templare del centro della Sardegna, attesta l'esistenza di un impensabile fenomeno culturale
attinente l'uso della scrittura,. Gli scribi nuragici impiegarono, nell'arco di un millennio circa, quasi
tutti i codici alfabetici a loro disposizione: l'egiziano, il protosinaitico, l'ugaritico,
il gublitico, ilfenicio. Ma non ne usarono mai uno solo, anche se questo poteva sembrare (29), per
un semplice motivo: che tutti gli scritti dovevano avere come caratteristica di 'scuola' il mix,
l'impiego di più sistemi. Quello che consentiva una necessaria costante ermeticità (praticamente
solo gli scribi erano in grado di leggere testi così complessi), nonché l'originalità e la continua
varietà del documento, pur soggiacendo questo a ben precise regole di sistema. La lapide
mortuaria di Allai mostra che in Sardegna, stante questo criterio, si potevano usare anche il latino
e l'etrusco, cioè codici occidentali non semitici o camitici (egiziani); praticamente ogni alfabeto si
mostrava sempre funzionale, senza rischi di infrangere minimamente l'antichissima tradizione di
realizzazione formale.
Del resto prove di questo mix, ancora più recenti del documento di Allai, si trovano ancora
nel Nuraghe Rampinu di Orosei dove la scritta è in caratteri latini ma il testo in greco-etrusco (30),
nel Nuraghe Sanilo di Aidomaggiore dove la scritta è in caratteri latini ma il testo è ancora in
greco-etrusco (31) e nell'architrave del Nuraghe Aidu Entos di Bortigali dove la scritta è in caratteri
latini ma con testo composto da lessemi sia nuragici, sia strettamente semitici che latini (32).
Scritte tutte nelle quali sembra scorgersi l'ossessione, sino a che si mantenne viva la scuola

32
scribale nuragica, per il riporto del numero 'tre'. Infatti all'alfabeto e alla lingua gli scribi associano
ancora, con ogni probabilità, anche il supporto che, naturalmente è indigeno o sardo nuragico. Del
resto, per ottenere una scrittura compiuta non basta solo un alfabeto e una lingua ma è
necessario soprattutto un supporto dove riportarli. E stavolta la superficie scrittoria risulta
davvero singolare. Il supporto non è dato da una pietra a parte, simbolicamente sagomata, ma da
una o più pietre del monumento simbolico principe dell'architettura sacra sarda nuragica. Così
come già testimoniato, per la scrittura protocananaica di sei secoli prima, nell'architrave della
stanza interna del Nuraghe Aiga di Abbasanta (33).

Infine riteniamo importante dire che il documento di Allai tende a confermare il sincretismo
religioso esistente nei santuari nuragici: il culto fondamentale isolano per il dio cananaico YHH (o
YHW o YHWH) non impediva che altre divinità a lui simili, in quanto solari-lunari, soprattutto se
androgine, come la coppia etrusca TIN/UNI, potessero essere venerate in subordine. Un
fenomeno questo di sincretismo e di relativa tolleranza religiosa che hanno ben messo in luce in
territorio siro-palestinese i noti studi di Morton Smith (34) sulla religione ed il culto ebraico del
'partito' dello 'Yhwh solo'.
Insomma, Giorre Utu Urridu non è altro che uno di quei defunti sardi che affidavano, così come
in Tharros o in Monte Sirai, la loro 'salvezza' e speranza di rinascita a divinità che potevano
sembrare d'essere diverse ma che in fondo erano sempre la stessa divinità con nome diverso.
In ragione di tutto ciò ci sentiamo di concludere affermando che la lapide 'nuragica' (e neanche
in parte 'strettamente' etrusca) di Giorre Utu Urridu, così importante e direi decisiva ai fini della
conoscenza della scrittura nuragica ed etrusca (e non solo),sarebbe degna veramente, come ha
scritto il Gasperini, ironizzando a torto sulla sua genuinità, 'd'essere fatta conoscere in tutto il
mondo' (35).
Note e riferimenti bibliografici essenziali

33
21) Attualmente i documenti nuragici in mix con segni alfabetici di tipologia protosinaitica, protocananaica, gublitica,
ugaritica, fenicia arcaica, fenicia, egiziana, etrusca e latina sono oltre cento. Le ultime due tipologie, come si è visto,
sono presenti nel documento oggetto del presente saggio.
22) Per il mix nuragico -egiziano si veda ultimamente Sanna G., Lo scarabeo di Monte Sirai. L'obelisco di Amun Ra e di
Yhh Nl. Faraoni santi egiziani e padri 'santi' nuragici; in gianfrancopintore.blogspot.com (22 Aprile 2012).
23) Losi A., Gli 'omini' di Amun negli scarabei sardi; in gianfrancopintore, blogspot.com (16.3.2012)
24) Sanna 2009, La stele di Nora, cit. I, 1, p. 16 e p. 19. fig. 3.
25) Pittau M. 1994, cit., VIII, pp. 99 -100. Naturalmente non mette conto qui riferire più di tanto sui tentativi
ermeneutici dello studioso per cercare di venire a capo di un documento del quale, già in partenza, non si è capito
nulla della sua identità di forma e di contenuti. Se un imperfetto senza aumento temporale e con la preposizione in
anastrofe di un verbo di origine greca, per rispetto della presunta 'giusta' norma di lettura, ti diventa EARΘ, se il
nome di IUNY sei costretto a interpretarlo e a risolverlo come Y - NUI e un sostantivo, per quanto lapalissiano come
ΘYHA, ti compare come AHYΘ -Y (addirittura come AIHΘ a motivo di una lettera fraintesa), le possibilità di afferrare
gli ipotetici significati del rimanente lessico, anche di quello tentativamente esaminato nella giusta direzione della
lettura, risultano pressoché nulle. Si procede senza bussola e gli esiti, inevitabilmente, sono quelli che sono. Del resto
la traduzione e la interpretazione del brano in etrusco, della quale onestamente si ammette la debole consistenza ( 'se
la interpretazione e la traduzione della nostra iscrizione lascia più di un dubbio..'), sono non a caso, per una buona
metà, infarcite di punti interrogativi oppure di parentisi integrative. Né interessa più, a questo punto, parlare
dell'identità del Giorre Utu Urridu, presunto soldato ' mercenario' etrusco di una guarnigione stanziata in Allai in un
'preciso' periodo e sepolto in Sardegna, perché il defunto della lapide di Allai è, con ogni probabilità, un indigeno per
la cui salvezza ultraterrena è stata realizzata una lastra mortuaria nel rispetto della tradizione religiosa 'nuragica'
locale e delle concezioni sincretistiche delle divinità soli -lunari.
Naturalmente circa il significato di Urridu (pp. 105 -106) proposto dal Pittau vale la seconda delle ipotesi: 'urridu' ha
proprio a che fare con il vocabolo della lingua sarda 'urlo', ancora oggi presente in Allai, ed è il soprannome
o cognomen di Giorre Utu (praenomen il primo e nomen il secondo).
26) Riteniamo quasi superfluo sottolineare il fatto che la ricerca del 'tre' da parte dello scriba per ottenere il '12'
solare richiama perfettamente i documenti nuragici più estesi dal punto di vista della scrittura e cioè le quattro
tavolette di Tzricotu di Cabras (v. Sanna, 2004, cit. pp. 4 -179; idem, 'Su Santu doxi'. I numeri perfetti o santi. Il sette e
il dodici nella simbologia logo-pittografica, geometrico numerica e nella scrittura lineare consonantica dei nuragici. Il
santu Doxi e il Santu Jacu nella lingua popolare sarda, in Quaderni Oristanesi, 2006, nn. 55-56, pp. 83-102) e la Stele di
Nora (v. Sanna 2009, L'organizzazione del testo e della scrittura. Le simbologie e le scrittura numeriche con i 'segni
taurini nella SteNo; in La stele di Nora. cit. pp. 107 - 126 ). Ricordiamo inoltre che il 'tre' ed il 'nove' per ottenere il
'dodici' sono alla base della numerologia del documento in caratteri etruschi di Crocores 6 di Allai per il quale
rimandiamo al nostro saggio 'Falsi di Allai. Crocores 6 è un documento fasullo? Davvero davvero? in gianfrancopintore
blogspot.com (9. 1. 2011)
27) Carta E., Reperti archeologici o falsi? Allai, la procura chiude l'inchiesta: c'è un indagato; in La Nuova Sardegna (4
Ottobre 2009, p. 26); Pintore G., I 'falsi di Allai fra giudizi così così e solidi pre-giudizi; in gianfrancopintore
blogspot.com (5 Novembre 2009) Si veda recentemente anche Sanna G., Religione nuragica: l'origine dei presunti falsi
di Allai. Il dio Anubi ('Jnp-w) e il dio YHWH 'ab šrdn; in gianfrancopintore blogspot.com.
28) Si veda ad es. la famosa iscrizione del cosiddetto 'guerriero di Vetulonia' (aule feluske) i cui segni non sono dati
dalla sola apparente scrittura etrusca che è riportata a mo' di cornice nel bordo della lastra ma anche da tutti gli altri
'segni' (gli oggetti e gli aspetti presenti nel disegno) . Ma anche di ciò si parlerà in un nostro articolo (che seguirà al
primo pubblicato il 16 Giugno 2011: Glozel, Maimoni di Cabras, Etruria: l' acrofonia e la spettacolarità della scrittura
arcaica per immagini pitica, šardan ed etrusca).
29) Istruttivo è il dato della scrittura nuragica protocananaica riportata nell'obelisco del sigillo 'egittizzante' di Monte
Sirai. Non è un caso che uno studioso, M. Guirguis, abbia ritenuto in qualche modo dei geroglifici egiziani poco chiari
(v. M. Guirguis - S. Enzo - G. Piga, Scarabei dalla necropoli fenicia e punica di Monte Sirai. Studio crono -tipologico e
archeometrico dei reperti rinvenuti tra il 2005 e il 2007, in Sardinia, Corsica et Baleares Antiquae 7 (2009), p. 109)
quelle che in realtà erano lettere del codice di scrittura nuragico, subito individuate come tali dalla dott. Aba Losi
(2012 : Gli 'omini' di Amun negli scarabei sardi, cit;) e successivamente riprese e commentate dal sottoscritto (
2012: Lo scarabeo di Monte Sirai. cit.)
30) Sanna G., Gli Etruschi di Rampinu, nella costa di Orosei; in gianfrancopintore blogspot.com (6 Ottobre 2009).
31) V. per il testo 'URSETINERCAUNI', graffito nella pietra, Pittau M., L'iscrizione nuragica in lettere latine del Nuraghe
Aidu Entos; in Ulisse e Nausica in Sardegna, cit. XII, p. 208. Il significato della scritta è 'Sorgi Tin vai (tramonta) Uni'.
Cioè: ' Orsù o Sole, suvvia o Luna'. URSE è voce etrusca (imperativo) derivata dal greco OPSEO/OPSEU (imperativo
epico dell'aoristo primo m. atem. di OPNUMI: ŌPSA: Il. 3.250; 19.139). OPSEU > URSEU > URSE (per l'indebolimento in

34
etrusco del secondo elemento del dittongo). ERCA è ugualmente voce etrusca (imperativo) derivata dal greco (imp.
presente medio epico di EPXOMAI: ERXEO/EPXEU: Il. 12.343). EPXEU > EPCEU > EPCE > EPCA .
32) Sanna G., No, Caro Pittau no, così non va; in gianfrancopintore blogspot.com (22 marzo 2009)
33) V Sanna G., Le scritte nuragiche, tecnicamente parlando...; in gianfrancopintorebpgspot.com ( 8 giugno 2008);
idem, 2009, La stele di Nora, cit. p. 2, p.57 figg. 17 -18.
34) Smith M., 1984, Fazioni religiose tra gli israeliti prima del 587; in Gli uomini del ritorno (trad. di Paolo Xella) II, pp.
29 - 76.
35) V. nota 5.

35
SABATO 8 NOVEMBRE 2014

GIOCHIAMO A DADI E IMPARIAMO L'ETRUSCO


I 'dadi enigmatici' (ύξί) di TIN e di UNI. Il
gioco combinatorio circolare delle 'parole-immagine a
contrasto' e dei 'numeri alfabetici' dei dadi di Vulci.
Dedicato ai sardi e ora 'etruschi' Franco, Gigi e Paolo

Si dice che la lingua etrusca è ancora, per svariati motivi, un enigma e un 'rebus'. Ciò si sostiene,
naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa molti
degli aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il 'rebus' sussiste e resiste nel
tempo non 'solo' per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e soprattutto perché
si stenta a considerare un aspetto essenziale dell'etrusco: che la scrittura è criptica, cioè
organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E' realizzata per non essere capita se non da
pochissimi. Pertanto nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del
rebus, posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la lingua etrusca.
Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e nuragici. In particolare quelli
inventati dagli scribi di questi ultimi.

1. La questione numerico linguistica.

I due dadi d’avorio, rinvenuti nel 1848 dai fratelli Campanari a Vulci (1) , sono stati ritenuti sempre
della massima importanza per lo studio e la conoscenza della lingua etrusca.
Il motivo dell’attenzione costante degli studiosi, direi quasi privilegiata, per gli oggetti del gioco,
è molto chiaro: individuare, con un certo grado di sicurezza, i sei numeri scritti nelle facce dei dadi
potrebbe voler dire avviare alla soluzione o quasi il problema dell’identità della lingua etrusca.
E’ essa una lingua indoeuropea? Se così è allora le parole indicanti i numeri, in tutto o in parte,
dovrebbero, in qualche modo, accostarsi o essere simili a quelle dei primi sei numeri del greco, del
latino, del germanico, dell’indiano e così via.. E queste parole allora, parzialmente riportate o no,
dovrebbero essere presenti anche nei dadi di Vulci.

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Non è una lingua indoeuropea? In questo secondo caso il lessico numerico dei dadi dovrebbe
essere completamente diverso e le radici di esso andrebbero individuate, se possibile, in altre
lingue.
Oggi la maggior parte degli etruscologi , per motivi di varia natura linguistica, tende a ritenere la
lingua etrusca non facente parte del grande gruppo del ‘ceppo’ indoeuropeo, anche se però fa una
fatica enorme nel cercare di inquadrarla nel vasto e complesso panorama linguistico delle altre
lingue note europee, mediterranee e non (2).
Si ammette genericamente che qualche forma grammaticale (la presenza del genitivo in -i, del
dativo in -si, del pronome dimostrativo ica, ika, eca, del perfetto cappatico in - ke, come 'svalce,
murce, tleχe, la forma dell'imperativo, come, tur, ture o cav, cave, ecc. ), possano essere derivati
dall’indoeuropeo. E così ci si pronuncia per alcuni monemi (pruχum, aska, θafna), anche se si
tende a spiegarne la presenza con il semplice fatto dell’influenza delle lingue dei popoli italici vicini
agli Etruschi (latini, greci, umbri, sanniti, ecc.).
Un ruolo decisivo per il consolidarsi di questa erronea opinione, ormai molto diffusa, ha giocato
l'autorevolezza indiscussa del grande archeologo Massimo Pallottino che, in diverse occasioni ma
soprattutto nell'opera più nota (3), ha sostenuto la 'specificità' o singolarità della lingua etrusca e
ha espressamente sottolineato che la natura di essa è ancora tutta da dimostrare, dal momento
che l'etrusco, per certi aspetti, lessicali, morfologici e sintattici, si mostra assai restio a farsi
includere in precise famiglie linguistiche.
La sua posizione di somma prudenza, di dubbio sistematico e di scetticismo (giudicato addirittura
un 'deterrente') sulla scoperta dell’identità dell’etrusco è stata contestata con forza da qualche
studioso, seguace della tesi indoeuropeista dell’etrusco, che lo ha anche accusato, tra l'altro, non
senza una qualche ragione, d’essere solo un 'archeologo' che parla abusivamente da linguista e di
aver praticamente ingessato da molti anni la ricerca linguistica specifica con la sua forte
personalità e con la sua fama di studioso (4).

2. Numeri o lessico non attinente ai numeri? Aspetti normativi del gioco e non. Dadi latini e dadi
germanici.

Comunque, linguistica etrusca paralizzata o meno che sia stata e che ancora lo sia, c'è da
mettere nel debito rilievo che anche la presunta 'serie' numerale cardinale, θu, zal, ci, huθ, maχ,
sa (uno, due, tre, quattro, cinque, sei), sulla quale, com'è noto, non c’è accordo unanime tra gli
etruscologi, non sembrerebbe, stando almeno all'apparenza, portare in alcun modo acqua al
mulino dei filo - indoeuropeisti, in quanto non parrebbe rispecchiare affatto, nonostante il faticoso
e talvolta disperato etimologico per qualche singolo numero, la serie numerica indoeuropea.
Tanto che proprio l'enigma 'numerico' dei dadi di Vulci, la straordinarietà del presunto lessico
numerale ivi contenuto, ha indotto i non indoeuropeisti a negare ancora più fermamente
l'esistenza di rapporti stretti di parentela dell’etrusco con il latino, con le lingue italiche, con il
greco e così via.
Tuttavia non è chi non veda che la presunta specificità e singolarità etrusca della serie numerica
ha già, nella sua apodittica definizione di 'serie numerica', che risale al Campanari, ovvero allo
stesso scopritore degli oggetti, una sua debolezza di fondo. Questa chiara debolezza, sebbene
notata da alcuni linguisti, non aveva e non ha trovato sinora ascolto nell' ambito della fitta schiera
degli assertori della 'sicura numerazione' di carattere lessicale (uno, due, tre, quattro, cinque, sei),
numerazione cardinale che sarebbe presente nelle sei facce dei dadi.
Infatti, non si è tenuto e non si tiene ancora in debita considerazione il fatto che non può essere
ritenuta metodologicamente corretta l' affermazione (fastidiosamente aprioristica ed esito solo di
apparenti certezze prive di dubbi), che il lessico presente nelle facce dei dadi si riferisca

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'indiscutibilmente' (tutto nella scienza - cosa che stranamente si dimentica - è discutibile: bisogna
vedere come e perché si possa mettere in discussione) solo a dei numeri. E' questa, ad esempio, la
posizione di chi trascura persino, forte della sua 'convinzione', di citare, anche 'en passant',
l'eventualità di ipotesi diverse da quella seriale numerica circa il gioco dei dadi di Vulci (5).
Si capisce che la convinzione 'numerale' e cioè della presenza della serie dei numeri cardinali 1
2 3 4 5 6 scaturisce, già in prima istanza, dal considerare e constatare che la documentazione
storica dell’antichissimo gioco dei dadi, a partire già da quella egiziana, offre il caso comune,
continuo e ben fermo, di facce che presentano ideogrammi numerici (punti e linee, soprattutto) o
cifre. Convinzione vieppiù accresciuta dal fatto che non pochi dadi etruschi 'normali' sono stati da
tempo rinvenuti e oggi, esposti nei musei, indicano ad abundantiam i segni della serie
numerica. Quindi, per molti degli studiosi, anche i dadi di Tuscaniadevono, per logica e di
conseguenza, contenere e notare 'parole' sostitutive degli ideogrammi numerici stessi. L'unodato
dal punto o dal cerchietto (puntato o no) oppure dall'asta verticale o altro di ideografico,
il due dato da due punti o da due cerchietti , ecc. (v. figg. 3 e 4)

Fig. 3 Dieci degli undici dadi del Museo Etrusco Guarnacci di Volterra Fig.4 Uno dei dadi

Logica e conseguenza però affatto certe perché sorge immediata l'obbiezione che se è vero
che la serie lessicale numerica doveva costituire la norma essa tuttavia non valeva sempre e
comunque.
Lo dimostra in modo inequivocabile il noto rinvenimento di un dado usato dai Romani recante
nelle facce delle parole, le quali non esprimono il nome dei singoli numeri ma solo, per calcolo dei
grafemi di cui esse parole sono composte, il numero stesso: I (uno) - VA (due) – EST (tre)– ecc.; e lo
dimostra ancora, in modo anch'esso molto chiaro, il fatto che dei dadi tedeschi, forse di
antichissima tradizione, non presentano nelle facce dei significanti numerici (ideografici o non) ma
solo delle singole parole (Wir - Du - Ich): presentano lessico, cioè i pronomi che servivano per
estrarre a sorte e per 'indicare', senza possibilità di appello e senza scuse, colui/colei al quale/alla
quale o coloro ai quali sarebbero spettate le incombenze specifiche di quel determinato giorno; ed
infine lo comprova, in via definitiva, il dato di una piccola trottola a sei facce, sempre
germanica (6), che non riporta in esse la serie numerica, ma quella, più estesa lessicalmente, del
gioco collettivo che si potrebbe denominare del 'prendi - paga':

‘paga uno’,
‘prendi uno’,
‘paga due’,
‘prendi due’,
‘pagano tutti’,

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‘prendi tutto'.

3. Il 'barraliccu' sardo e il dreidel ebraico per la festa di Hanukkah. Voci e acrofonia.

Per rafforzare però gli esempi suddetti, latino e germanici, di parole che hanno a che fare con i
numeri (della posta in gioco) ma che numeri non sono, citeremo anche il caso della Sardegna che
possedeva e ancora possiede un gioco antichissimo quasi ‘nazionale’ (perché specifico di non
poche delle città e delle ville sarde), che si svolgeva, di solito, durante le maggiori festività
dell'anno e particolarmente durante quelle del Natale e del Capodanno.
Esso consiste, così come quello tedesco succitato e suesposto, in una piccola trottola -
dado o cubo, che reca però, soprattutto per praticità di esecuzione formale di essa, quattro sole
facce e non sei. In una di esse c’è scritto, in lingua sarda, pone (metti), in un'altra mesu (metà), in
un’altra nudda (nulla) e in un’altra ancora totu (tutto). Nel primo caso il giocatore deve porre
(pone: imper. del sardo ponzo, lat. pono) nella posta una moneta (o altro che si giocasse in altri
tempi: fave, ceci, castagne, ecc.), nel secondo caso si prende la metà (mesu) della posta in gioco,
nel terzo caso il giocatore non prende nulla (nudda), nel quarto infine prendeva il tutto (totu).
C'è ancora da dire e rimarcare (per quanto si dirà più avanti), l’aspetto grafico della dicitura della
detta trottola, chiamata in sardo ‘barralicu’ o 'baddarincu' o 'pipiri(m)poni/e, in quanto le quattro
voci assai di rado venivano e sono riportate per esteso: generalmente (v. fig. 5 e 6) vengono
abbreviate o, per dire più correttamente, sintetizzate per via acrofonica consonantica con le
lettere maiuscole latine (P – M – N – T) oppure, come ci sembra di ricordare nell'immediato
dopoguerra in Abbasanta e in Oristano, per via acrofonia sillabica (PO - ME - NU - TO).

fig. 5 fig.6 fig.7

Ora, nel caso in cui le voci fossero riportate non in acrofonia, si capisce che sarebbe certamente un
fatto del tutto normale che uno, nell'osservare i significanti dell'oggetto (ovviamente una persona
non esperta della lingua sarda) sulle prime fosse indotto a pensare che il barralicu trottola riporti
dei numeri in lingua locale, dall' uno al quattrooppure, osservando i dati acrofonici, che questi non
siano altro che i numeri riportati in modo abbreviato. Ma, come si sa e come si è visto, non è così.
Perché è un gioco in cui i numeri sono completamente assenti e sono presenti invece quattro voci
composte da un verbo e da tre sostantivi. Lessico dunque ancora, come nei dadi latini e germanici,
ma affatto pertinente alla numerazione. Stessa cosa accade per i noti dadi ebraici che si usano in
inverno per hanukkah e cioè, proprio come su barralicu per la festività del natale. E' importante
sottolineare, per ciò che si dirà in seguito, che dietro le sigle enigmatiche 'nun', 'gimel', 'het' e
'shin' (nulla, tutto, metà, prendi) gli ebrei per acrofonia leggano un'intera frase e cioè ' un grande
prodigio è accaduto lì' (8)
Si vede dunque da questi esempi che il pericolo di sbagliare, insito nell' apriorismo della sola
presenza della serie numerica, 'classica' o non, è altissimo. I rischi di travisamento generale e

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particolare dei significanti che si presumono già essere in qualche modo 'significati' sono scontati e
prevedibili; soprattutto in una lingua che non si conosce per tanti aspetti o di cui non si sa se non
pochissimo del lessico.
Quindi - insistiamo - non è detto proprio per nulla che i dadi di Vulci riportino
'obbligatoriamente' lessico numerico anche se questa ipotesi, sulle prime, potrebbe, come si è
detto, sembrare la più 'plausibile' perché, almeno apparentemente, la più logica. La più logica
certamente, ma non la 'sola' logica. Soprattutto se si considera che il gioco dei dadi è appunto
'gioco', invenzione divertente, quasi il gioco per eccellenza e per ciò campo assai esteso della
varietà e della fantasia creativa.

4. Un gioco popolare antico e moderno. Il gioco della 'sequenza oppositiva circolare'. Sasso,
forbici, carta.

Ora, fatta questa premessa cercheremo di (di)mostrare, sulla base dell'esperienza di un gioco
‘povero’ e semplice, popolarissimo, che si faceva da bambini (e che ancora oggi si pratica) ed
anche sulla base di considerazioni di natura linguistica attinenti l’etrusco ed in particolare il suo
modo d'essere scritto , che è più 'verisimile' e più 'probabile' che nelle facce dei dadi di Vulci ci
fosse del lessico che serviva ad indicare non tanto dei numeri quanto delle parole disposte,
diciamo così, in ‘sequenza oppositiva circolare'. Dette parole, fondate, tra l'altro, sulla scala
grafico pittografica alfabetica etrusca (9), realizzavano un gioco molto facile e divertente perché
ricco di varie (sei) possibilità combinatorie, in virtù delle immagini in opposizione o a contrasto di
cose, di oggetti e di animali; un gioco inoltre molto attraente e simpatico perché le dette immagini
si trovavano ad essere su di un piano di perfetta parità: 'tutte forti' ma nello stesso tempo 'tutte
deboli'.
Prima però di passare all’esame delle 'sigle' (per ora chiamiamole così), ovvero delle
singole parole delle facce dei dadi di Tuscania (uguali in ogni singolo dado), portiamo ora alla
nostra attenzione il suddetto gioco di noi bambini, come quello che più degli altri, può aiutarci a
ricavare la soluzione dell’enigma della scrittura dei nostri dadi. E’ esso un gioco antichissimo e
diffusissimo (si direbbe a livello planetario), imperniato sulla gara di due (o più sfidanti), che
usano confrontarsi e sfidarsi sulla base del gesto della mano e di tre sole parole: Sasso - Forbici -
Carta.
Consisteva ed ancora consiste nelle combinazioni che si realizzano tra i giocatori (posti in genere
in piedi frontalmente, così come nel noto gioco della Morra), obbligati a stendere la mano
contemporaneamente. I giocatori sanno di poter realizzare con il gesto tre possibilità 'figurative'
(naturalmente molto approssimative e del tutto convenzionali) diverse: se la mano è del tutto
chiusa, a pugno, intende indicare il ‘sasso’; se è del tutto aperta e distesa intende indicare
‘la carta’ (o la 'rete'), se invece delle cinque dita risultano aperti solo l’indice ed il medio, vuole
indicare le ‘forbici’. Va da sé che il sasso 'vince' le forbici (‘spunta’ o 'lima' le forbici), che le forbici
'vincono' la carta (‘tagliano’ la carta), che la carta o la rete 'vince' il sasso (‘avvolge’ il sasso). Così
come va da sé che se i due giocatori dovessero mostrare contemporaneamente lo stesso
significante (cioè pugno-pugno, carta-carta, forbici - forbici) il punto risulta nullo e si deve ripetere
il gioco (v. fig. 5).

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Fig.8. Sasso Carta/Rete Forbici

C'è subito da mettere in rilievo che il passatempo è essenziale, molto pratico, perché fa a meno di
qualsiasi oggetto ma raggiunge perfettamente, in virtù del linguaggio delle mani e della
convenzione, lo stesso scopo combinatorio; è meno complesso ma comunque efficace quanto la
famosa suddetta ‘Morra’ che si basa su più combinazioni.

5. La loxόthς di partenza. Il gioco combinatorio circolare, con sequenze oppositive o a contrasto,


dei dadi etruschi di Vulci.

Osservando ora con attenzione i dadi di Vulci si deve notare innanzitutto che le diverse
sequenze grafiche di ciascuna faccia non sono diritte ma oblique. Questo dettaglio, stranamente
sfuggito, da quanto sappiamo, all' attenzione degli studiosi, è di primaria importanza. Infatti,
la loxόthς presente in ogni faccia e quindi in tutto il dado suggerisce subito l'aspetto dell'enigma
da risolvere, perché 'obliquità' vuol dire che quei segni non sono 'certi', che sono una cosa ma
vogliono anche significarne qualche altra. Vale a dire che chi intende giocare con quei dadi deve
andare oltre la superficie e cercare di capire come e perché essi sono realizzati o scritti in un certo
modo. Non ci sono i punti o le lineette che di norma indicano i numeri cardinali dall'uno al sei, ma
ci sono invece sei sequenze grafico fonetiche che bisogna interpretare e 'leggere' una per una.
Ora, come si può notare da ciò che segue, a noi sembra che i singoli 'segni' fonetici possono
essere interpretati come esito di acrofonia sillabica di sei parole di tre lingue (10); esse offrono
questa, non crediamo casuale, sequenza:

SA/XU(M) - MAΧ/PAI - HUQ/LA - ZAL/TA - KI - QU/RA).

SAXU(M) - SUTELA: voci latine : sasso - rete.

MA×AIRAI - QURA : voci greche: forbici/coltello - porta

ZALTA - KI(S) : voci etrusche - greco lidiche (?): pesce - verme.

Il gioco secondo questa nostra lettura dà, inequivocabilmente, sei combinazioni molto 'logiche' in
opposizione o a contrasto:

saxu(m) versus/contra maχ(rai)

maχ(rai ) versus/contra huq(la)

huθ(la) versus/contra zal(ta)

zal(ta) versus/ contra ki

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ki versus/contra qu(ra)

qu(ra) versus/contra sa(xum)

Cioè:

Il sasso (la cote) si mangia (affila o spunta ) le forbici.

Il coltello si mangia (taglia) la rete.

La rete si mangia (cattura) il pesce.

Il pesce si mangia il verme.

Il verme si mangia (rode) la porta (il legno della porta)

La porta (l’ingresso, l' apertura, il foro) si mangia il sasso (muro).

Le immagini grafiche seguenti possono contribuire a capire meglio la 'sequenza contrastiva


circolare':

Quindi se la sequenza acrofonica è stata da noi interpretata giustamente e dietro di essa si celano
le dette voci - immagine, si tratta del succitato gioco, ancora in voga, del Sasso - Forbici -
Carta/Rete; solo reso più ricco e vario con l'aggiunta di altre combinazioni suggerite
dal pesce (zalta), dal verme (ci) e dalla porta (θura).

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6. La numerologia 'sacra' nei dadi etruschi. Il numero 'sei'.

Riteniamo dunque che l'ipotesi suesposta potrebbe già da questi elementi costituire una
soluzione convincente, dell' enigma del gioco etrusco
Tuttavia ci sembra che nel suddetto lessico loxόν dei dadi di Tuscania, il dato combinatorio,
'oggettivo' e non facilmente confutabile, non sia tutto. I dadi sembrano dire altro perché hanno
degli altri significanti e quindi altri significati.
Infatti il dado, già indicativo di per sé, come 'scrittura' perché indicante il divino ovvero il
numero sei (11), é composto da particolari 'aspetti', tutti attinenti la scrittura, che obbediscono a
chiari intenti numerologici:

- da un supporto geometrico: un cubo che ovviamente ha sei facce


- dall'alfabeto: pittografico - ideografico con sei segni della serie numerica
- dalla scrittura: con sei acrofonie sillabiche
- dalla direzione della scrittura : con sei sequenze segniche da destra verso sinistra e oblique
- dal lessico : con sei parole
- dalla sintassi: con sei combinazioni (a scalare dal numero più alto e con ripresa dall'uno).

Tutta la scrittura etrusca, a qualsiasi livello di riproduzione (cioè non solo quella detta 'lineare')
si mostra particolarmente attenta, così come quella nuragica (12), alla numerologia, affinché di
volta in volta siano salvaguardati i numeri 'sacri', in particolare il 'tre' e il 'sei' che sono simboli
sostitutivi della divinità. Infatti, scrivere un 'tre' con tre sbarrette (│││), la lettera C (terza lettera
dell'alfabeto) o la voce numerica 'CI' (tre) o scrivere Tin e Uni è la stessa precisa cosa. E poiché la
divinità è androgina (13), essa come unità è tre ma come 'doppio' è sei.
Si può dire che quasi non si contano, come si vedrà dall'esame di altri documenti scritti (14), gli
esempi dove gli scribi etruschi tendono a scrivere, in modo quasi sempre (v. figg. 6 -7 -8) criptato
(frequente è quello della coda curva dell'animale o quello reso con il 'linguaggio' delle mani), il
numero tre o il numero sei, veri e propri 'tituli' (15) specifici divini, appartenenti alla coppia
TIN/UNI e solo ad essa.

Fig. 9 Fig. 10 Fig. 11

Gli studiosi purtroppo non hanno tenuto e non tengono, generalmente parlando, minimamente
conto della presenza 'ossessiva' dei numeri sacri, ma non vedere e non capire ciò vuol dire
precludersi la possibilità di 'leggere' tanto, anzi tantissimo, della fantasiosa scrittura etrusca (e non
solo etrusca!), di quella scrittura sacra che è al primo posto nella mente (e se si vuole nel cuore)
degli scribi sacerdoti dei santuari, luoghi nei quali il particolare codice veniva inventato,
organizzato e diffuso.

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Questo lo si vedrà particolarmente nei sarcofaghi o nelle urne dove la 'scrittura con', cioè la
scrittura ottenuta soprattutto attraverso l'acrofonia di determinati e direi, topici oggetti, tende a
rendere formule più o meno fisse con la presenza e della 'madre' (ati) e del 'padre' (apa) ovvero
della inscindibile coppia divina UNI/TIN.
Ma dal momento che si è richiamato anche il nuragico vorremmo far presente che una delle
caratteristiche fondamentali del codice sardo è proprio quella dell'obliquità o loxόthς. Spesso non
solo alcuni dei segni ma anche intere scritte vengono riportate, più o meno
manifestamente, oblique, quasi a indicare subito, secondo una precisa convenzione, che il testo
contiene dei significanti i cui significati non sono subito 'leggibili'. Bisogna sforzarsi un po' per
leggerli (16) E' il caso, tanto per fare solo due esempi di documenti noti (17), ovvero del coccio
del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore e della Stele di Nora (v. figg. 9 e 10), documenti nei quali il
rebus della interpretazione, dell'andare oltre il 'certo' dei significanti, è alquanto difficile.

Fig. 12 Fig. 13

7. I segni dell'alfabeto etrusco e la loro pittograficità.

Detto ciò e chiarito il motivo per cui nei dadi da gioco etruschi si trova iterato il numero sei,
vediamo di spiegare perché risulta presente e da cosa si ricava l'alfabeto pittografico -ideografico
etrusco. Spieghiamo cioè cosa autorizza a dire che oltre al gioco combinatorio, dovuto al
particolare lessico in acrofonia, ci siano i simboli specifici (sei simboli specifici) della serie
numerale dell'alfabeto etrusco.
Il motivo è dato dal fatto che, per quanto molto schematici, i segni alfabetici etruschi risultano,
in qualche modo, anche pittografico - ideografici (18), danno cioè anch'essi una certa idea d'altro,
partecipano dell'ambiguità, venendo a coincidere con le voci del gioco riportate per acrofonia.
Infatti, deve essere accaduto che l'osservazione di una certa quale pittograficità dell'alfabeto
abbia non solo suggerito la sigla da dare al simbolo (qu, ci, huq ecc.) ma anche (forse in seguito) il
gioco combinatorio del 'mangia', soprattutto perché i simboli pittografici-ideografici alfabetici
anche sotto il profilo numerico si prestavano al gioco, essendo la sequenza progressiva a scalare
dal segno più alto nella sequenza numerica.
Naturalmente per realizzare tutta la 'scala' combinatoria risulta evidente che gli scribi non si
sono riferiti all'alfabeto tardo etrusco (19), ma ad uno molto più antico, quello completo teorico
(tanto per intenderci, a quello di Marsiliana d'Albegna o a qualche alfabeto dello stesso periodo)

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con la presenza anche delle consonanti sonore 'B' e 'D'. Così è stato possibile riprendere
l'immagine schematica della consonante (inutilizzata) 'd' 'pesce' ' e inserirla opportunamente
tra θura e huθla onde rendere organica la serie combinatoria sino all'uno o alla prima lettera
dell'alfabeto.
La tabella seguente (tab.1) può far capire meglio la detta corrispondenza tra simboli alfabetici e
parole immagini 'scritte' :

Tab. 1

C'è da osservare ancora che è solo l'immagine, ad un certo punto del gioco, che lo rende
intrigante (e organico per numerazione sacra) con il principio del tutti forti e tutti deboli (anche
qui, se si nota, l'ambiguità) perché il solo numero 1 con l'andamento completo circolare non
avrebbe potuto ovviamente vincere il numero 9 (v. ancora tabella). Infatti, solo la figura della
'porta' che 'mangia' il 'sasso' (cioè la porta, il foro, l'ingresso che buca, che corrode, la parete
sassosa) può permettere la vittoria impossibile del segno numerico piccolo sul segno molto più
grande.
La tabella quindi chiarisce che nei dadi non è presente la serie numerica cardinale dal numero 1
al numero 6, come ipotizzato dai più (v. tab. 2), ma sono presenti, in relativa sequenza, partendo
dall' uno, sei dei segni alfabetici numerali dell'intero alfabeto. La sequenza è relativa perché viene
saltato il due (la lettera 'b') e viene invece riportato il 'nove' (la lettera 'θ') che va così al sesto
posto essendosi ancora saltato il settimo e l'ottavo segno .
Ora, ammesso che i segni della serie alfabetica, tutti o in parte, fossero impiegati come numeri
cardinali (20), risulterebbero presenti nelle sei facce del dado da gioco i
numeri uno (θu), tre (ci), quattro (zal), cinque (huθ), sei (maχ), nove (sa).

45
Tab. 2

In ragione di ciò, ovvero della probabilità che i simboli alfabetici venissero impiegati anche come
numeri cardinali, possiamo sostenere che l'espressione husur max acnanas della scritta etrusca
TLE 887 (Spitus Larθ Larθal svalce LXIII/ husur maχ acnanas) va intesa ' avendo generato sei figli' e
non 'cinque figli' come sarebbero indotti a sostenere l'Oltzscha, il Cristofani e il Pittau o 'quattro'
come avrebbe inteso invece lo Hamp.

8. Modalità (23) del gioco dei dadi di Tuscania.

Due giocatori erano ciascuno in possesso di un solo dado. Uno di essi a turno lo lanciava e la
faccia del dado superiore ovviamente andava a realizzare una determinata sigla riferentesi ad una
immagine (o numero che si volesse intendere). Questa immagine essendo il gioco ' combinatorio
contrastivo circolare' era irrilevante in quanto poteva essere forte e debole nello stesso tempo
perché non c'era alcuna figura (animale o cosa) della serie che non potesse essere 'vinta' o
'mangiata'. Poniamo che il primo lancio avesse sortito un 'ci', un 'tre' ovvero il verme. Se
nella ptώsei kύbwn del secondo giocatore fosse uscito un segno 'θu' ovvero la porta, vincitore
risultava il possessore del 'ci' (colui che aveva estratto il 'ci'), in quanto il 'verme mangia la porta'.
Nel caso in cui fosse invece uscito uno 'zal', il 'quattro' ovvero il 'pesce', a vincere sarebbe stato il
secondo giocatore o sfidante. Ovviamente le non poche possibilità di combinazioni non pertinenti
perché non contrastive (verme: rete, verme: verme, verme -forbici ecc.) venivano sanate con la
ripetizione del lancio ad oltranza fino a quando non usciva una delle due combinazioni che
potevano decretare la vittoria o la sconfitta degli sfidanti. Va da sé che la bellezza del gioco
consisteva anche nel lancio nullo il quale se ripetuto per diverso tempo accresceva ancor più
l'ansia e il desiderio di arrivare alla combinazione fortunata e vincente. Senza contare poi il fatto
che ad ogni 'nullo' la posta poteva via via anche aumentare, con ulteriore versamento di danaro o
di altro che fosse.
Il gioco più semplice fatto con le mani (carta, forbici, sasso) e con sole tre combinazioni è
ovviamente più rapido perché con meno possibilità di combinazioni nulle. E più rapido ancora in

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quanto basato sul fatto che i giocatori stendono contemporaneamente le mani e sono pronti a
ridistenderle in ogni caso in pochissimo tempo.
Ma quello che il gioco con il linguaggio delle mani acquista per rapidità, il gioco dei dadi etrusco
lo acquista per maggiore varietà combinatoria che spesso obbligava a molte ripetizioni del lancio.
Non è improbabile inoltre che in caso di 'nullo' il lancio potesse essere fatto anche da un terzo
giocatore o da più giocatori secondo un turno prefissato.

9. Il gioco combinatorio etrusco oggi in internet.

Come si può vedere dalle figure su riportate, l'antichissimo gioco etrusco oggi si trova
comodamente in internet e in lingua inglese si chiama Rock Paper Scissors (sasso, carta forbici). Si
può giocarlo online , in vari modi, direttamente dal nostro computer. Lo stesso sito del New York

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Times offre una sezione dedicata ai passatempo in cui troviamo proprio il gioco Sasso Carta
Forbice.
Come però si può osservare dai diversi 'logo' che si trovano in rete le combinazioni possono
essere ancora maggiori passando dalle 'tre' della norma alle quattro o anche alle cinque. Ciò si può
ottenere sempre sulla base del gioco contrastivo circolare, aumentando cioè le figure (in genere di
animali o di cose) che si oppongono secondo il criterio del 'mangia' o del 'vince'. In ciò il gioco
mediatico si avvicina molto come concezione al gioco dei dadi etruschi di Tuscania.
Ma non è chi non veda che la grafica che si propone continuamente o che pure si innova, è del
tutto laica, cioè finalizzata alla sola realizzazione visiva delle combinazioni (24), senza riferimento a
niente che possa toccare la sfera del religioso.
Il rebus grafico del gioco moderno, disegnato su di un supporto qualunque, è limitato
all'essenziale (capire il motivo del 'mangia' ovvero la combinazione), quello etrusco invece, basato
già sui dadi 'significanti', cioè su di una particolare figura geometrica, tende ad arricchire al
massimo, attraverso altri particolari significanti, la presenza dei significati, a rendere cioè il gioco
'magico' e misterioso, imperniato sulla presenza di una volontà superiore.
Infatti, i dadi sacri etruschi (questi particolarissimi dadi) hanno il pregio di ricordare,
'scrivendolo' nascostamente, che l'uomo è sempre uomo, che la sua volontà è sempre ben poca
cosa e che pertanto la buona o la cattiva sorte che si avrà nello svolgimento della gara è sempre
opera del dio doppio luminoso Sole e Luna. Chi vuole vincere cerchi di ottenere la benevolenza
di Tin e di Uni o del Sei. O se si vuole, del 'dado' stesso.

Note
1. Colonna G., 1978; in Studi Etruschi, 46, p. 125.
2. Per la questione si veda Pittau M., 1998, La lingua etrusca. Grammatica e lessico, Introduzione, § 3, pp. 28 - 33
3. Pallottino M., (1936), Elementi di lingua etrusca, Firenze; idem, 1984, Etruscologia , Milano.
4. Pittau M., 1998, La lingua etrusca. ecc. cit. p. 29. Lo studioso (ibid. p. 29 n.16), a proposito di studi fatti da
archeologi e storici e non da linguisti, riporta anche le 'lamentele' di G. e L. Bonfante (Lingua e cultura degli Etruschi,
Roma 1965, p. 9).
5. Si veda ad es. Pittau M., I dadi da gioco etruschi. I numerali etruschi, htp://www. Pittau.it/Etrusco/Studi/ dadi. html.
Lo studio si trova anche in «Atti del Sodalizio Glottologico Milanese», vol. XXXV-XXXVI, 1994 e 1995 (1996), pagg. 95-
105.
6) Per tutti questi esempi, di cui sono debitore, si veda Monte L. e Richter U., Gli enigmatici dadi di Tuscania;
in Antikitera.net http:// www. Antikiera. Net/ download/ Dadi di Tuscania, PDF.
7) Non esiste a tutt'oggi uno studio specifico sul gioco popolare sardo. Il gioco e il nome sono citati dal linguista
Rudolph Böhne nel suo saggio Zum wortschatz der Mundart des Sarrabus (Südostsardinien) Berlin 1950, p. 49. Di
recente uno studio sulle tradizioni popolari di una 'villa' (bidda) della Sardegna centrale (Casula F., Traditziones
populares de Abbasanta, 1994, p. 131) cita il gioco affermando, tra l'altro, che l'oggetto poteva essere in legno ma
anche in ferro. La testimonianza del Casula, per quanto scarna, è importante perché dimostra che il gioco non era
diffuso solo in area campidanese (sud dell'Isola), come spesso si dice, ma anche in altre zone della Sardegna.
Perlomeno nella cosiddetta zona linguistica cosiddetta 'grigia'. Comunque, un' elegante esposizione con breve
excursus storico del gioco è in internet: http: //casa del cappellaio.blogspot.it /2009/12/girlo -dreidel -teetotum – o -
baddarincu. Html. Molto interessante il raffronto con il dreidel ebraico che, oltre ad essere gioco del periodo della
festività invernale, si differenzia da quello natalizio sardo per i soli simboli alfabetici acrofonici consonantici del
semitico (lingua yiddish) al posto di quelli indoeuropei. Il breve saggio non contempla però la citazione del gioco
portoghese della 'Perinola' (o Pirindola) che qui ci piace segnalare perché le facce dell'oggetto sono sei (e non
quattro) e per di più scritte linguisticamente per esteso: Pon 1 - Pon 2 - Toma 1- Toma 2 - Toma todo - Todos ponen.
8. Nes Gadol Haya Sham. Allusione al miracolo della luce perenne del candelabro del tempio di Gerusalemme che
continuò a bruciare per otto giorni sebbene l'olio fosse ormai completamente esaurito. Il fatto accadde nell' anno 165
a.C. nelle fasi della lotta per la cacciata dei dominatori seleucidi dalla regione ad opera dei Maccabei. In
Gerusalemme ai giorni nostri il dado si legge Nes Gadol Haya Po perchè in esso non riporta la consonante acrofonica
'shin' sostituita dalla consonante 'pe' . In Gerulalemme ovviamente la voce 'lì' viene sostituita con quella 'qui'.

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9. La pittografia è, come si vedrà più avanti, pur nelle forme quasi del tutto astratte e schematiche, presente in alcuni
segni dell'alfabeto etrusco.
10. Le lingue sono il latino, il greco e l'etrusco. Non stupisca questo fatto dei tre codici linguistici perchè, come si vedrà
in altri articoli successivi al presente, la documentazione della scrittura etrusca mostra molto spesso il dato del mix.
Ciò lo si vedrà particolarmente nella 'scrittura' a rebus delle lastre mortuarie e dei sarcofaghi. Si tenga presente che la
scrittura in mix, cioè con l'uso di tre lingue (o di tre codici alfabetici diversi) è attestata nella scrittura nuragica. Si veda
Sanna G., 2004. Sardōa grammata. 'b 'ag sa'an yhwh, S'Alvure Oristano; idem, 2009, La stele di Nora. Il Dio, il Dono, il
Santo. The God, the Gift, the Saint (trad in lingua ingl. di Aba Losi); idem, 2014, Ardauli conserva e salva Norbello. Tre
codici alfabetici e un Norb principe sardo a 'farfallino'! E la storia si vendica degli irriverenti a caccia di ...'farfalle', in
MontePrama blog (6 maggio); idem, 2014, Il nome di Tharros (THARRUSH) in un' iscrizione nuragica, etrusca e latina
del III - II secolo a.C. Un Lars di nobile origine etrusca 'curulis' di Roma in Sardegna; in MontePramablog (27 aprile).
Le parole Saxum e huθla sono latine; maχrai e θura sono greche e zalta e ci sono etrusche. Huθla è probabile
trasformazione in fonetica etrusca della parola latina 'SUTELA' (cf. anche SUTA, SUTOR, SUTUS, SUTURA, SUTILIS) che
si trova in PL. Capt. 692. Per l’esito dell’aspirata che passa alla sibilante o viceversa (sut = huq), cf. gr. ὔω (sscr. su,
sunoti); gr. sύricoς e ὑricός; gr. ὕrax (sscr. svirati; lat. sorex); gr. ἃllomai (lat. salio; sali: etr. hal); lat. sus, suis (gr. ῦς,
ὑός), gr. ὑpό (lat. sub), ecc. Per la il passaggio della dentale sorda alla dentale aspirata v. Cristofani
M.,1991, Introduzione allo studio dell'etrusco, Olschki ed. pp. 46 - 48. In part. 'I grafemi p, f, t, q, k, c o f diventano,
ognuno nell'ambito della sede di articolazione che designano, espresssioni grafiche che non realizzano fonemi
differenti, ma piuttosto una variante grafica di uno stesso arcifonema'.
Per quanto riguarda macrai dal gr. mάcairai (kourίdeς) dobbiamo pensare prima a una monottongazione (mάcarai) e
poi alla caduta della vocale mediana in posizione post tonica. Solo così possiamo ipotizzare la divisione per sillabe che
possa dare mac. Più agevole è invece ricavare 'zalta' etrusco dalla voce originaria semitica 'daleth' e poi greca 'delta'.
Per il passaggio da 'd' a 'z' delle parole greche (anche per la problematica della pronuncia etrusca di 'z' come
consonante 'sonora'), si veda ancora Cristofani, 1991, o.c. p. 49.
Sicure e senza difficoltà sono le acrofonie sillabiche di saxum, qύra e ci. Quest'ultima è voce che si trova nella lingua
greca ma assai rara, attestata due sole volte (cf. Liddel § Scott, 1961, Greek - English Lexicon, Stuart Jones § Mc Kenzie,
Oxford, p. : kί ς, kiός, cf. Pl. Fr, 222; in acc, kί n cf. Thphr, CP 4.15.4). Con ogni probabilità il 'tarlo' in etrusco (greco -
lidico?) si diceva 'ci', voce che coincideva con il numero tre dell'alfabeto e nello stesso tempo della serie numerale
cardinale. Il 'ci' come numero cardinale tre è da tempo ritenuto certa dagli studiosi (cf. Cristofani, 1991, o.c. , pp, 54,
77, 78, 133, 134 e Lessico, p.158; Pittau,, 1997, La lingua etrusca. Grammatica e lessico; Insula ed. Nuoro 1997, §§ 69,
70,Lessico, p. 69.
11. La sacralità del numero 'sei' , come titulus esclusivo della coppia luminosa soli - lunare TIN/UNI la si può vedere già
dal numero delle lettere alfabetiche che formano i due nomi. E questo è uno dei motivi per cui forse si preferisce
scrivere il nome TIN al posto di TINIA. Vedi ad es. In uno dei 'settori' del Fegato di Piacenza: TIN CI V ENTINθ ecc.
12. Si veda in particolare Sanna G., Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei Sardi, in Monti Prama. Rivista semestrale
di cultura di Quaderni Oristanesi PTM ed. n. 63, pp. 3 - 30.
13. Tin e Uni rappresentano entrambi una stessa entità luminosa, un unico ma doppio occhio soli -lunare.
L'iconografia etrusca, cosi' come quella nuragica, presenta in svariati modi, quasi sempre criptici (schema ad MF),
questa entità doppia con il sole maschio e la luna femmina. Basti osservare le due 'C' (simbolo del 'tre') raffigurate
contrapposte nei sarcofaghi.
14. I documenti verrano presentati in degli articoli successivi.
15. 'Titulus' è termine latino che prendiamo per il suo significato di 'titolo onorifico' ma anche di 'fama ' e di 'gloria'
(sustinere titulum consulatus, Cic.; Titulo Spartanae victoriae inflatus, Curt.). La voce, per la sua importanza specifica
per la 'scrittura' funeraria etrusca, la si vedrà nel prossimo articolo riguardante le lastre tombali etrusche.
16. Naturalmente lo 'sforzo' doveva essere da parte dello scriba; di un altro scriba (o sacerdote), che leggeva il testo
del documento. Dobbiamo sempre tener presente che la scrittura a rebus, sia che essa fosse in Sardegna sia che fosse
in Etruria o - poniamo - a Pito (Delfi), era appannaggio della casta scribale sacerdotale dei santuari (v. Cristofani M.,
1991, Introduzione allo studio dell'etrusco, Olschki ed., p. 16). Pochissimi forse, al di fuori di essa, erano in grado di
decifrarla. Il rebus, talvolta di elevata difficoltà e raffinatissimo, era l'espediente fondamentale attraverso il quale i
'segni' magico -religiosi' si potevano guardare ma non capire. Perchè la scrittura era anche e soprattutto potere
segreto degli eletti, distanziazione elitaria.
17. Si veda Sanna G., 2010, Il documento in ceramica del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore; in Shardana jenesi degli
Urim di L. Melis, PTM ed. Mogoro, pp. 153 -168; idem, La stele di Nora. Il Dio il Dono ecc. cit.
18. Si vedano in particolare i segni 'A', 'C' , 'V', 'Θ' . Un aspetto significativo pittografico molto marcato è senz'altro
quello della prima lettera della serie alfabetica, quella che significativamente 'apre' la sequenza dei segni. Essa se si
nota è molto distintiva rispetto ai corrispondenti segni suoni vocalici del greco e del romano. Infatti si può notare che
la barretta mediana tra i due segni a V capovolta è sempre 'manifestamente' obliqua, a connotare quindi non

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la 'aleph (toro) semitica o l'alfa e la 'A' romana da essa derivate ma quella etrusca. La differenziazione, a nostro
parere, serve a far capire che non si tratta del toro ma della 'porta' (Θura).
19. Nell'alfabeto tardo etrusco, come si sa dai numerosi 'alfabetari' , mancano di norma le consonanti 'B' e 'D' ovvero
la sonora labiale e quella dentale.
20. Si sa che spesso nella storia della scrittura la serie dei codici alfabetici venne usata ad indicare i numeri cardinali o
ordinali. Queste stesse note che riportiamo nel presente articolo attraverso la serie dei numeri avremmo potuto
metterle indifferentemente in elenco atraverso la serie delle lettere alfabetiche: a. b. c. d. e. ecc.
21. Per questa prima serie di interpretazioni sui numeri cardinali presenti nei dadi si veda Pittau, I dadi da gioco
etruschi. ecc. al cui lavoro rimandiamo anche per la bibliografia.
22. V. Cristofani, 1991, Introduzione allo studio dell'etrusco. ecc. cit., pp. 76 -77.
23. Ovviamente può darsi che non fosse solo questa la modalità del gioco e ce ne fossero delle altre. Può essere ad es.
che la ptώsiς kύbwn riguardasse entrambi i dadi da parte di un solo giocatore il quale, rispettando ovviamente la
turnazione, vinceva la posta quando usciva una delle sei combinazioni.
24. Le sei combinazioni, cioè un numero di esiti a contrasto così alto del gioco 'sacro' di Vulci, non sembrano
comparire nel gioco ormai noto in tutto il mondo. Esse si fermano al cinque.

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VENERDÌ 28 NOVEMBRE 2014

Stele di Avele Feluskes. I nobili etruschi figli di Tin e di


Uni. Scrittura e lingua dei documenti funerari. L'acrofonia
sillabica e non, la numerologia e la chiara dipendenza
dell'etrusco dal nuragico (II)

Fig. 1

Fig. 2

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Fig. 3 Fig. 4
Si dice che la lingua etrusca è ancora, per svariati motivi, un enigma e un 'rebus'. Ciò si sostiene,
naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa molti
degli aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il 'rebus' sussiste e resiste nel
tempo non 'solo' per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e soprattutto perché
si stenta a considerare un aspetto essenziale dell'etrusco: che la scrittura è criptica, cioè
organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E' realizzata per non essere capita se non da
pochissimi. Pertanto nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del
rebus, posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la lingua etrusca.
Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e nuragici. In particolare quelli
inventati dagli scribi di questi ultimi.

1. Articolo precedente. L'acrofonia e il rebus.

Il 16 giugno del 2011 scrivemmo un articolo nel noto blog di Gianfranco Pintore (1) dal
titolo 'Glozel, Maimoni di Cabras, Etruria.L'acrofonia e la spettacolarità della scrittura arcaica per
immagini, pitica, šardan ed etrusca'. In esso abbiamo messo in rilievo il fatto che l'acrofonia non
riguarda solo le singole lettere consonantiche semitiche (2) da cui derivano le lettere di alfabeti o
codici di scrittura come quello fenicio, sardo, greco o etrusco-latino. Riguarda anche la scrittura
pittografica, ottenuta o attraverso gli oggetti o attraverso 'aspetti' particolari suggeriti di volta in
volta dal disegno che viene realizzato. Per dirla in breve e in altre parole lo scriba del secondo
millennio a.C., ma anche quello di una lunghissima parte del primo, compone dei rebus che sono
molto simili a quelli che si trovano nella nostra 'Settimana enigmistica'. Per leggere cioé una
determinata espressione criptata dal rebus bisognerà stare attenti ai significanti (pittogrammi e/o
ideogrammi ) che possono o dare parole o 'alludere' (fornire l'idea) a delle parole le quali, unite
nella catena grafica, danno il senso compiuto.
Tanto per fare qualche esempio e ritornare al nostro precedente articolo, lo scriba pitico si serve
dei pittogrammionfalos (ὀμφαλός), lupo (λύκος), collana (ὅρμoς), spada (ξιφίδιον) e
punta (ἀκμή) di freccia (v. fig.1) per realizzare così nascostamente (acrofonicamente) il nome del

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dio cacciatore ovvero il LOXIA. Stesso risultato ottiene, con l'acrofonia dei singoli oggetti, il
cosiddetto Pittore di Pentesilea nel disegnare Apollo. Anche lui ricava, del tutto nascosta, la parola
LOXIA con l'acrofonia consonantico - vocalica degli oggetti che si trovano (3) disegnati (aggiunti)
nella persona nuda del dio (fig. 2). Invece, servendosi del ricorso allo 'aspetto' (il modo con cui si
presenta un dato e cosa mai questo suggerisce), lo scriba nuragico ricorre alla chiara
sottolineatura della potenza maschile e a quella del sesso femminile della persona raffigurata, per
rendere assieme la potenza dell'androgino (4) ovvero della unica divinità yhh (che significa
'maschio femmina lui': lui, il dio androgino)

2. La lastra tombale di Auvele Feluskes. I tre settori di scrittura e la tipologia diversa dei
significanti.

L'acrofonia per pittogrammi e ideogrammi nella storia della scrittura (5) durò evidentemente
molto a lungo se è vero, com'è vero, che gli etruschi, forse per ultimi, se ne servirono (come
vedremo) nelle realizzazioni scultoree e grafiche dei sarcofaghi e dei monumenti funerari in
genere del III - II secolo a.C. (6).

La testimonianza più antica sembra essere la lastra tombale (fig. 5) detta di 'Auvele Feluske'
risalente al VII secolo a.C. (7).

Fig. 5 Fig. 6. Fig. 7

Noi in questa sede non ci interesseremo della lettura 'solita' della lastra, quella che da sempre ha
particolarmente interessato gli studiosi come scrittura o come solo dato epigrafico, cioè quella con
i caratteri lineari tipici dell'alfabeto etrusco. Rimandiamo per questa all'ottimo saggio di Adriano
Maggiani (8). Detta scrittura etrusca, che chiameremo 'normale', riguarda, nella composizione
complessiva della lastra, 'tre' parti, ovvero i lati verticali di essa e quello orizzontale inferiore (v.
fig. 5).
Ma la scrittura normale non è tutto. Infatti, nella lapide tombale insistono anche altri due tipi di
'scrittura', non riconosciuti come tali perché considerati di carattere 'figurativo (9). Sarà bene

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affermare subito che la lettura di questi due tipi, ottenuta con un nuovo apografo (10) non
'comporta se non qualche correzione di dettaglio' (11). Ragion per cui l'esame di essi ai nostri fini
ermeneutici è del tutto sicura e non soggetta ad incertezze di interpretazione grafica.
La prima scrittura è data dagli apparenti segni decorativi a zig -zag incisi nel settore orizzontale
alto della pietra, la seconda è data dalla raffigurazione di un 'guerriero' con elmo munito di
pennacchio e con le armi (scure e scudo) che campeggia al centro della lastra. Ritenuta
quest'ultima (sulla prima gli studiosi non si soffermano minimamente) raffigurazione di tipo
decorativo (il disegno intenderebbe molto semplicemente, nell'interpretazione dei più, celebrare
la forza del guerriero defunto Auvele Feluskes) l'attenzione e gli sforzi ermeneutici si sono
concentrati sul tipo di armatura presente nella raffigurazione della lastra, trovandone la tipologia
in armi di tipo corinzio oppure specificamente etrusche (12).
Tuttavia detta analisi tipologica delle armi e il confronto puntuale con altre raffigurazioni' ha
portato almeno ad un dato sufficientemente sicuro: la lastra è da datarsi, con ogni probabilità, in
un periodo risalente alla seconda metà del VII secolo a.C. Quindi siamo davanti ad un' iscrizione
assai antica, tra le più antiche della scrittura etrusca sinora attestate (13).
Diciamo subito che particolarmente interessante per la nostra interpretazione e
decodificazione della lastra è ciò che il Maggiani dice (e per come lo dice) a proposito della scure: '
[il guerriero] agita davanti a sé la doppia ascia; fiumi di inchiostro sono stati versati su questo
dettaglio di volta in volta richiamato a proposito degli esemplari reali e delle rappresentazioni
figurate di varie parti dell'Etruria. In questo caso si può discutere se l'arma sia esibita soprattutto
per il suo valore simbolico (questa e la successiva sottolineatura sono le nostre), legato al potere
militare del quale il personaggio doveva essere investito o come effettiva arma di
combattimento (14).
Vedremo come la lettura epigrafica che noi attueremo, su base numerale e acrofonica, delle
parti ritenute semplicemente figurative o decorative, sarà in grado di svelarci il significato preciso
della scure o meglio dell'idea che suggerisce, ai fini scrittori e spiccatamente simbolici, quell'arma
che il guerriero agita davanti a sé.

3. Lettura completa del documento. Il rebus, il mix e l'acrofonia

Ma andiamo con ordine circa l'analisi puntuale del documento che va rigorosamente letto, così
come generalmente(15) i documenti pittografici e ideografici nell'antichità, dall'alto verso il
basso.
Il motivo apparente a zig -zag, se uno appena appena ci bada, non è altro che l'iterazione del
segno grafico ideografico etrusco a V rovesciata, ideogramma che nota il numero cinque. Segno
che con ogni probabilità è ripetuto nella lastra sette volte (v. fig. 5)
Al di sotto di questa striscia di lettura che chiameremo 'numerale' o 'numerologica' c'è la
raffigurazione del guerriero alla cui nudità (16) si aggiungono in progressione, dall'alto verso il
basso:

- un elmo (di tipologia corinzia) con cresta e celata.


- una piccola scure brandita dal guerriero con la mano destra.
- un dito pollice messo ben in evidenza (non stretto agli altri quattro).
- uno scudo rotondo con un motivo 'decorativo' composto da 'sei' foglie all'interno di un
'esagono'.
- una punta di lancia (17).

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Ora, se noi diamo un valore o agli oggetti o alle idee o agli aspetti che possono suggerire gli
oggetti o ad altro (come si presenta la mano che stringe l'arma) comprendiamo che ci troviamo di
fronte ad un' espressione che risulta essere sia organica a quella lastra tombale sia molto
significativa per l'identità della persona citata nell'espressione in scrittura lineare nel bordo alla
destra della lastra e cioè Auvele Feluskes.
Infatti, l'acrofonia, di tipo vocalico, sillabico e consonantico (18), ci consente di ottenere un
risultato il cui senso apparirà chiaro dalla seguente tabella:

Se si osserva detta acrofonia (19), è ottenuta dallo scriba lapicida, in modi differenti, talora assai
criptati e difficili da capire. La prima è resa attraverso il ricorso alla prima vocale di un oggetto con
nome latino (l'apex o elmo), la seconda attraverso il ricorso alla prima sillaba non dell'oggetto (la
scure) ma dall'idea che esso offre ovvero quello simbolico di 'titulus' (20) e di 'bipenne', la terza
dal prestito della prima vocale del nome del dito pollice (allex), quello steso innaturalmente (21),
la quarta dal prestito della sillaba iniziale dell'oggetto scudo circolare (lat. parma) e
dell'ideogramma geometrico - numerico (22) che suggerisce il nome etrusco del Sole o di Tin ed
infine la quinta dalla consonante iniziale dell'oggetto 'punta' reso in lingua greca (κέντρον).

Da tutto ciò sembra evincersi

a) che la cosiddetta 'decorazione ' o 'immagine figurativa' è in realtà un tipo di scrittura a rebus
con impianto acrofonico.
b) che detto impianto si basa su tre modi differenti nell'ottenerla (vocalica, sillabica e
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b) che la scrittura è in mix, cioè impiega parole di tre differenti codici linguistici sia per scopi
numerologici magico religiosi sia per il chiaro motivo di rendere ermetica e pressoché
impenetrabile la dicitura (23).
c) che l'intento precipuo è quello di rendere l'espressione ATIC APAC, cioè l'espressione 'e la
madre e il padre (fig.6, r. 6) in lingua etrusca (24). Ma nel contempo quello di ottenere la voce Tin
e Uni dal momento che le due 'C' alludono graficamente alla coppia divina.
d) che detta espressione, stando in una lastra mortuaria, richiama ovviamente un padre e una
madre celesti e non terreni (25) . Aspetto questo che viene nascostamente esplicitato dai due
simboli luminosi e cioè dal cerchio e dalla scure - bipenne. Chiaro simbolo, come si è detto, del
sole il primo e della luna la seconda.

4. La scrittura 'numerologica' e la scrittura pittografica - ideografica si spiegano reciprocamente

Naturalmente l'espressione ' e padre e madre', cioè sole (Tin) e luna (Uni), risulterebbe del tutto
monca se non si mettesse in chiaro la funzione del loro nome nella lapide tombale. Essa è
ovviamente di carattere salvifico e di auspicio di rinascita dopo la morte. Il guerriero Auvele
Feluskes avrà nell'oltretomba, in virtù di quella scritta magica e segreta, la protezione dei genitori
celesti. I significanti che mettono in evidenza il potere e l'energia occorrente per quella rinascita
non possono essere che dati dal numero 'cinque' e dalla sua iterazione per 'sette' volte. Sono
offerti cioè dal simbolo numerico che, per convenzione (26), esprime la forza o la potenza (come il
cinque della yad o 'mano' in semitico) e dal numero 'sette' che, sempre per convenzione, esprime
la voce 'santo' (27).
Quindi la lettura completa della scritta della lastra con la somma dell'ideogramma a zig -zag e dei
pittogrammi ed degli ideogrammi disegnati al centro della stele sarà la seguente:
Cinque (potenza) sette (santa) e (C = UNI) di ATI BIPENNE (luna) e (C= TIN) di APA Dodici (sole).
Ovviamente a questa lettura va aggiunta quella meno 'sacra' e per questo più visibile e leggibile
e cioè quella dei segni 'normali' (lineari) dell'alfabeto etrusco e cioè (tenendo presente quella
avanzata dal Maggiani) [mi a]uveles feluskes tusnutai [es pa]panalas mini muluvaneke hirumi[n]a
φersnal [n]as (28).

5. Le altre prove. Il pollice (a-llex), la patena (pa-tena/pa -tna), il papiro (pa -pyrus) e il fazzoletto
(pa -nnusκιθόνος).

E' evidente che la lettura suddetta della lastra di Auvele Feluskes, se sola e non accompagnata da
altre (e numerose) prove, potrebbe apparire dubbia e essere soggetta a contestazioni in quanto
possibile esito del caso ovvero di fortuite combinazioni. Ma a parte il perfetto riscontro con la
scrittura nuragica cosiddetta 'con' (29), se si esclude la normalediversità nell'ottenimento dell'
acrofonia dovuta alla differenza del codice linguistico (semitico consonantico l'uno e consonantico
- vocalico indoeuropeo l'altro), la iconografia tombale etrusca, soprattutto quella dei sarcofaghi e
delle urne, offre non poche conferme al fatto che gli scribi lapicidi etruschi adoperarono sia la
scrittura 'sacra' a rebus sia quella con le lettere dell'alfabeto etrusco. Infatti, per quanto molto
limitata possa essere la conoscenza del lessico etrusco e nonostante la (relativa) difficoltà di
individuare le parole in mix degli altri due codici (greco e latino), i dati acrofonici e ideografici ci
consentono di individuare e di capire, con pochissimi margini di errore, la 'scritta' topica sacra
formulare, posta magicamente a tutela del defunto per la rinascita in virtù della forza del padre e
della madre celesti e cioè di Tin e di Uni.

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Si prendano i tantissimi sarcofaghi etruschi che recano lo schema fisso della patena (o disco)
sulla quale si ostenta il dito pollice (vedi figg. 8 e 9). Questo potrebbe, a prima vista, voler
significare un gesto naturale dal momento che un piatto o un vassoio o altro si porgono
generalmente in quella maniera, ovvero con il pollice sopra l'oggetto e le altre dita sotto. Ma non è
solo il 'solito dito' pollice che colpisce quanto anche il 'solito recipiente' ovvero la patena
o patna(30) che viene mostrato e che 'manifesta' all'interno sempre il suo solito 'centrum' (31).
Ora non è chi non veda che, sia pur in forma differente rispetto a quella della lastra di Auvele
Feluskes, lo scriba ha inteso scrivere nascostamente, con acrofonia sillabica e consonantica, le due
parole 'apa' e 'c' , voci che, con ogni probabilità, si trovano al di sotto e dopo le parole ati e c,
ottenute anch'esse per via acrofonica, data la formula fissa(32).
Ma che le cose stiano proprio così tende a dimostrarlo il fatto che in altre raffigurazioni di
sarcofaghi il dito pollice si trova sempre ostentato, sempre ben messo in evidenza e cioè anche al
di sopra del papyrus srotolato (v. fig.10) oppure, come variatio, al di sopra
del pannus κιθόνος. La pa-tna, il pa-pyrus e il pannus, con l'aggiunta dell'acrofonia dell'apex in
posizione iniziale, sono tutti oggetti fissi ed adoperati nella stragrande maggioranza dei casi in
quanto hanno la funzione di realizzare facilmente per via acrofonica sillabica la voce 'apa'.
Riteniamo che sia impossibile negare questo dato così ricorrente, anche perché il dito della
lastra di Auvele Feluskes è proprio 'indicato', messo in evidenza, quasi che lo scriba volesse con
quel dettaglio singolare suggerire in qualche modo un'altra lettura della stele. Perché (ed è
davvero strano che nessuno abbia posto l'accento sul dettaglio non insignificante) nessun
guerriero mai brandirà una scure senza stringere il dito pollice, quello che più di ogni altro esprime
e realizza la forza del πάλλειν ovvero del brandire.

Fig.8 . Allex, patna, centrum Fig.9. Allex, patna, centrum

Fig.10. Allex, papyrus,certificatum

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Fig. 11. Allex (pollice), papyrus (papiro), certificatum, sigillum

Fig. 12. Allex, pannus κιθόνος (fascia del chitone), sigillum (?)

Si noti poi il fatto che lo scriba lapicida quando non ricorre alla patna con il centrum ma ad un
altro oggetto come il pannus κιθόνος o il papyrus) è costretto a ricorrere o a qualche 'aspetto'
della figura della persona o dell'oggetto stesso per rendere l'enclitica -c. Ad es. nel famosissimo
sarcofago di Laris Pulenas (33) al papyrus segue non a caso il significante dato dal papiro
stesso che certifica (in quanto quello che srotola Laris è un certificato, una garanzia scritta). Così
quella -c di certificatum serve allo scriba per ottenere l'enclitica dopo la sillaba -pa di papyrus.
All'enclitica, così realizzata, segue poi come ideogramma ciò che il defunto porta al dito anulare
ovvero l'anello sigillo. Esso, così' come la voce precedente, dà l'idea (ideogramma) perché con
l'oggetto anello - sigillo si 'certifica' (certificare: certum facere), si offre l'assoluta garanzia di un
evento. Quindi abbiamo il 'certifico' dato per un verso dall'anello e il 'certificato' dato per un altro
verso dall'idea che offre il papyrus srotolato.
Invece nel sarcofago di Chiusi (v. fig.12) la parte della formula riguardante la voce apa
+ l'enclitica 'c' è ottenuta attraverso il solito allex più il pannus κιθόνος.

6. Il resto della formula. L'apex, il titulus e il κίθων

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Più difficile ma non impossibile è capire il procedimento raffigurativo attraverso il quale si
ottiene la sequenza atic;cioè la sequenza che prevede la formula della lastra di Auvele
Feluskes. Infatti essa, come si è visto, mostra per primo, realizzato acrofonicamente, il nome
di madre (ati) e poi quello di padre (apa).
Il faro per orientarsi è ovviamente l'espediente di scrittura a cui è ricorso lo scriba della lastra
di Auvele Feluskes e cioè quello degli esiti ottenibili attraverso il mix linguistico, l'ideografia, la
numerologia e l'acrofonia. In altre parole anche in questo caso, ovvero per il coperchio del
sarcofago, ci serviremo del dato acrofonico partendo dalla ipotesi che gli oggetti o
(eventualmente) gli aspetti presenti nella raffigurazione siano espressi in lingua etrusca, latina e
greca, ovvero nelle tre lingue del mix lessicale.
L'ipotesi della presenza del greco e del latino oltre che dell'etrusco ci sembra in prima istanza del
tutto legittima in considerazione del fatto che è naturale che i preziosi e talora artisticamente
raffinati sarcofaghi, d'uso esclusivamente nobiliare e gentilizio, riportino oggetti o indumenti alla
moda e tipici dell'aristocrazia, per così dire, 'internazionale'. Quindi alcuni di essi con
denominazione non specificamente etrusca. Prova ne è ad es. il chitone (kithon, χίθων,)d'uso
greco (34) e l'ornamento (lat. apex) del capo che può essere un velo per le donne (v. fig. 12) o un
copricapo o un diadema o altro ancora per gli uomini.
Ma l'ipotesi è rafforzata ancor più dal fatto che, così come nei dadi di Vulci (35), per motivi
numerologici si escogita o meglio si segue (36) la formula delle tre lingue per salvaguardare al
massimo la sacralità della 'scritta con', ottenuta cioè con l'acrofonia di determinate parole.
Per poter comprendere come si realizza la prima parte della formula si prenda ancora come
esempio il suddetto sarcofago di Laris Pulenas nel quale si è già individuata la dicitura apa-c. Il
nobiluomo reca sul capo e sul collo due oggetti inequivocabili, uno indicante la barύthV o
la gravitas, l'altro il prestigio e il riconoscimento per le azioni e il suo comportamento degni di
ammirazione e di lode. Ora, in latino l'ornamento si dice nella stessa precisa maniera con cui è
espressa la prima acrofonia, quella della cresta o pennacchio dell'elmo, della lastra di Auvele
Feluskes e cioè apex,mentre l'oggetto di prestigio, del merito e della buona fama, ovvero la
collana (37), si chiama titulus. 'Titulus' che corrisponde ancora all'idea della bipenne raffigurata
brandita da Auvele Feluskes.
Se così è, come sembra essere, si ottiene per via acrofonica sillabica la parola ati (apex +
titulus) alla quale segue per ordine di lettura l'acrofonia di chitone (κίθων). Si avrebbe dunque,
con il ricorso all'espediente della 'variatio' (38) l'atic apac della stele del supposto 'guerriero' di
Vetulonia.

7. Il nome nascosto di 'forza, sostegno'. Il pulvinar geminatum.

Abbiamo visto come il probabile prototipo della formula, quello di Auvele Feluskes, prevede in
apertura la voce 'forza' ripetuta per 'sette' volte attraverso il numero 'cinque'.
Ora, quasi tutti i sarcofaghi dell'Etruria recano, artisticamente più o meno lavorato e con
significato più o meno pregnante (39), il motivo del doppio cuscino (pulvinar geminatum) sul
quale si appoggiano con il gomito, a seconda dei casi, il defunto o la defunta oppure entrambi. Il
perché del pulvinar sembra più che evidente: si esorcizza la morte facendo vedere già il defunto
non in posizione prona (40), come sarebbe quella da morto, ma con parte della persona sollevata
in virtù del gomito che fa forza e sorregge. Sembra chiaro allora che il topos atic apac avrebbe
poco senso se alla formula non si aggiungesse (l'oggetto è solitamente ultimo nella lettura) la

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voce suggerita dal pulvinar, non più su base acrofonica sillabica ma ideografico logografica, così
come nella lastra di Auvele Feluskes con l'ideogramma 'cinque'.
Sarà bene anche in questo caso supportare l'assunto con un esempio, questa volta tratto da un
altro (fig. 13) noto sarcofago di Chiusi.

Fig. 13

Mettiamo in fila, con lettura sempre dall'alto e procedendo verso sinistra, gli oggetti convenzionali
scolpiti sul coperchio del sarcofago per esprimere i valori pittografici acrofonici sillabici e
pittografici ideografici. Avremo:

- apex
- titulus
- cithon
- allex
- patna
- centrum
- sigillum
- certificatum
- pulvinar simplex
- tre

Otterremo così atic apac + certificatum + sigillum + pulvinar + 3. Risulta del tutto evidente che
stavolta le ultime due voci prima del 'tre' non hanno più valore acrofonico ma stanno a suggerire
(a dare l'idea) dell ' 'autenticare' ilcertificato della 'forza' o 'sostegno' di TIN E UNI assieme (41). Se
noi dunque procediamo a ricavare tutta la lettura,acrofonica la prima con la formula apac
atic e ideografica l'altra con il sigillo e il cuscino, otterremo: (La lastra tombale oppure 'io lastra
tombale') sigillo il certificato (ovvero sigillo e certifico) della forza del tre e della madre Uni e del
padre Tin.
Come ultimo (e forse più probante) esempio forniamo quello, assai noto, del sarcofago,
anch'esso proveniente dal territorio di Chiusi (fig. 14), della collezione Bonci Casuccini. Esso
proprio per il fatto che si stacca dall'iconografia convenzionale facendo apparire il defunto munito
di corazza e la donna (sicuramente la concubina prediletta) eccezionalmente raffigurata con i seni
scoperti, non lascia adito a dubbi che lo scriba lapicida ha ideato 'in quel modo' la scultura del
coperchio tombale: non solo e non tanto per intenti 'decorativo -simbolici', ma per organizzare

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fonetica e far così parlare il sarcofago. Infatti, se noi poniamo in ordine, partendo sempre dall'alto
e privilegiando il segno più alto nella direzione della scrittura (42) le parole significative del
'documento' otterremo stavolta, con lettura che procede sempre dall'alto verso il basso ma
separata e per prima quella dell'uomo da quella della donna:

- apex (ornamento della capigliatura dell'uomo)


- lorica
- pulvinar
- tre
- allex
- patna
- centrum
- apex (ornamento della capigliatura della donna)
- titθός (seno)
- κίθων

Il risultato dell'acrofonia e dell'ideografia sarà:

a + lo + pulvinar + tre + apa-c ati-c e cioè (Io sarcofago) alimento la forza del tre e del padre TIN e
della madre UNI(43)

Fig. 14
A questo punto crediamo che sia opportuno riassumere e mostrare una tabella al fine di
comparare con quali oggetti o altro si riesce ad ottenere, sempre tramite (relativa) variatio, la
sequenza formulare originaria (44) riguardante la certificazione della forza della madre (ati) e del
padre (apa).
Riprenderemo dunque sia la scrittura della lastra di Auvele Feluskes sia quella dei coperchi dei
sarcofaghi. Per questi ultimi ci serviremo della raffigurazione del coperchio del sarcofago di Laris
Pulenas e di quella del coperchio del succitato sarcofago della collezione Bonci Casuccini .

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Note e riferimenti bibliografici

1. Purtroppo detto articolo, per motivi di non più leggibilità completa di tutti i post inviati e pubblicati nel Blog del
noto giornalista, si presenta solo nella parte introduttiva e con il corredo dei post a commento. Ciò è avvenuto con e
per il decesso del direttore del Blog nel mese di settembre del 2012.
2. Cioè tutti i 'signa' del codice di 22 lettere note a partire dall'alfabeto cosiddetto 'protosinaitico' ('aleph,
bue, beth casa, dalet pesce, ecc.)
3. Sanna G., 2007, I Segni del Lossia Cacciatore. Le lettere ambigue di Apollo e l'alfabeto protogreco di Pito, S'alvure ed.
Oristano, ANAQEMATA 4, pp. 381 - 403. Qualche volta bisogna però tener presenti anche quelli che 'non si trovano' e
che, proprio per questa assenza ovvero per sottrazione, suggeriscono la voce e quindi l'acrofonia mancante. E' il caso
della 'akmή (la punta della freccia) che 'stranamente' , come ognuno può notare, non è presente in una delle saette in
mano ad Apollo - Lossia.
4. V. nota 1. Ed ancora Sanna G., 2006, Nuovi sistemi di scrittura orientali e occidentali. La 'clè epigraphique' nuragica e
la decifrazione del codice di scrittura pitica protogreca dei documenti di Glozel (Francia). Il Lossia (Apollo) IHIOS ed
HIOS; in Alle Origini della scrittura. Codici mesopotamici e codici mediterranei. La scrittura nuragica e quella di Pito
(Delfi). Documenti e nuove acquisizioni paleografiche, linguistiche, storiche e religiose. Architettura simbologia e
scrittura. Scrittura archeologia e genetica. Seminario di Studi della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Facoltà di
Sassari diretto dalla dott. Maria Rita Piras (28 ottobre). C'è da precisare, rispetto a quanto detto nell'articolo
pubblicato nel blog del Pintore, che il 'testo' del bronzetto deve essere accresciuto dalla voce 'oz ( 'oz yhh) in quanto
l'idea che dà l'androgino, a motivo delle sue ampie spalle, è quella della 'forza' o 'potenza'. La parola
semitica 'oz (criptata o meno) all'inizio dei documenti è una delle più frequenti e si trova in un arco di tempo molto
lungo; si può dire dalla nascita al tramonto della scrittura nuragica (XVI secolo a.C. - III secolo a.C.). Per l'età punica si
veda il documento (lastrina in osso) scambiato per punico dal Barreca ( Barreca F., 1986, La civiltà fenicio punica in
Sardegna, Delfino E. Sassari, p. 158). Nel chiaro pittogramma a rebus non è chi non veda che gli occhi della presunta
divinità e le guance vanno a formare dalle due chiare voci 'oz (ayin pittografica + zayn lineare) essenziali per la lettura
complessiva del curioso manufatto. .
5. Naveh J., 1996, Early history of the Alphabet. An introduction to West Semitic Epigraphy anda paleography Leiden J.
Brill 1982; Aspesi F., 2000, Alle origini della scrittura; inAlfabeti, Preistoria e storia del linguaggio scritto, Demetra,
Varese, pp. 17 - 26; Biga M.G., 2000, Il Vicino Oriente; in Alfabeti, cit. pp. 27 - 58; Roccati A., 2000, La scrittura
dell'Egiziano, in Alfabeti, cit. pp. 60 - 80; Brugnatelli V., 2000, Gli Alfabeti semitici del II Millennio, in Alfabeti, cit. pp.
106 – 120; Amadasi M.G., 1999, Sulla formazione e la diffusione dell'alfabeto, in Scritture Mediterranee tra il IX e il VII

62
secolo a.C. (Atti del Seminario 23 - 24 Febbraio 1998, Università degli studi di Milano. Istituto di Storia antica) Milano
1999, pp. 27 - 51.
6) Bianchi Bandinelli R - Giuliano A., 2000, Etruschi e Italici prima del dominio di Roma, Milano, BUR Biblioteca Univ.
Rizzoli; Cristofani M., 1999, Dizionario illustrato della civiltà etrusca, Milano, Giunti Editore; Gentili M. D., Sarcofago
in Enciclopedia dell'arte antica classica e orientale, Roma, Istituto della enciclopedia italiana, 1997; Matz F.,
1966, Sarcofago ,in Enciclopedia dell'arte antica classica e orientale, Roma, Istituto della enciclopedia italiana; Prayon
F., 2009, Gli etruschi, Bologna, Il Mulino, 2009; Torelli M. L'arte degli Etruschi, Bari, Laterza, 2008.
7) La stele, stava forse su di un tumulo di terra di una tomba a circolo. Rinvenuta alla fine del XIX secolo nella necropoli
vetuloniese di Costaccia Bambagini, fa parte dal maggio 2005 della collezione del Museo Archeologico di Vetulonia. Si
tratta di una lastra rettangolare alta circa un metro. E' considerata tra i più antichi esemplari di stele rinvenute in
Etruria.
8) Maggiani A., 2007, AUVELE FELUSKES. Della stele di Vetulonia e di altre dell' Etruria Settentrionale, Rivista di
archeologia, vol. XXXI.
9) E' il 'figurativo' o il cosiddetto 'decorativo simbolico' che ha indotto e induce ancora in errore gli studiosi. In realtà,
così come accadde per la scrittura egiziana, una volta ritenuta caparbiamente solo simbolica e decorativa, anche i
Cananei, i Nuragici, i Greci pitici, i Greci attici e infine gli Etruschi adoperarono una scrittura 'fonetica', servendosi degli
oggetti e dei monumenti. Nella nostra pagina di apertura nelle figure 1,2 e 3, ci sono tre esempi (due greci e uno
sardo) molto chiari e riteniamo indiscutibili di scrittura ottenuta con il ricorso all' acrofonia, ai pittogrammi e agli
ideogrammi per rendere dei suoni e quindi delle parole. Praticamente questo tipo di scrittura, così poco o per niente
conosciuta e riconosciuta, abbracciò un periodo di quasi due millenni.
10) Maggiani A. 2007, cit. p. 69.
11) Maggiani A., 2007, cit. ibid.
12) Maggiani A, 2007, cit. pp. 69 -70.
13) La scrittura che qui ci interessa sarebbe di qualche decennio successiva a quella della famosa tavoletta per scrivere
di Marsiliana d'Albegna e contemporanea a quella dell'altrettanto noto calamaio in bucchero da Cerveteri del 630
a.C. (v. Cristofani M., 1997, Introduzione allo studio dell'etrusco, Leo S. Olschki ed. Firenze, pp16 -17).
14) Maggiani A., 2007, cit. pp. 69 -70.
15) Diciamo 'generalmente', perché nella storia della scrittura non mancano certo le eccezioni. Infatti, si è visto ad
esempio come nell' Apollino di Pito (v. fig. 1), rinvenuto in Glozel,la lettura di O ΛΟΧΙΑ parta dal basso verso l'alto con
movimento circolare.
16) Quello della 'nudità' è espediente basilare, diremmo collaudato e usato ovunque, per ottenere efficacemente
lettura fonetica, realizzando scrittura attraverso gli oggetti aggiunti o mediante particolari aspetti della persona nuda.
Esempi numerosi del genere possono essere fatti circa la scrittura nuragica a rebus dei cosiddetti bronzetti che, di
proposito, presentano la nudità totale con l'aggiunta solo di qualche elemento e perlopiù 'mostruoso'. Si è già visto
l'androgino della fig. 3 ma si può ricorrere alnotissimo bronzetto 'musico e ballerino' recante il seno femminile e il
membro eretto maschile. Sembra evidente che anche qui non si ha l'androginia a caso, che il flauto a tripla canna
abbia valore aspettuale o ideografico numerico e che probabile acrofonia renda il berretto ‫ ﬣﬢרּﬣ‬che (a bella posta)
contrasta vivamente con l'assenza totale di abbigliamento nel resto del corpo. Anche i coperchi dei sarcofaghi
etruschi, come si vedrà più avanti, ricorrono all'artificio del rebus contando sul significato (acrofonico o pittografico
ideografico) degli oggetti o degli aspetti riguardanti talvolta gli uomini o le donne nudi o seminudi. Si ha però qualche
caso che all'inverso è la nudità (il seno) a dare il valore acrofonico occorrente per la sequenza formulare.
17) Detto segno è considerato da numerosi etruscologi e dallo stesso Maggiani (cit. p. 69) 'virgulto vegetale che si
alza dal suolo tra le gambe del guerriero'. Si tratta invece di una punta di lancia per una semplicissima considerazione
che si aggiunge al valore acrofonico fonetico dato dalla 'punta' (κέντρον): che tutta la sequenza pittografica è resa
attraverso il solo ricorso alle armi: elmo, scure, scudo e lancia. Che ci starebbe a fare un 'virgulto' vegetale in tutta
quella sequenza organica? E i 'collarini' (Maggiani, ibid.) non sono forse più realistici come 'legacci' per la fermezza
della punta dell'arma piuttosto che come aspetti naturali di una pianticella?
18) Sembra di capire da questo e da altri esempi che tutte e tre (si tenga sempre presente nella lettura dell'etrusco
questo numero 'sacro') le acrofonie possibili vengono applicate. Non fosse per altro perché l'etrusco ricorre nella
scrittura a delle enclitiche come la consonante 'C' che corrisponde al latino -que. In questo caso può bastare (come si
può vedere attestato nel cippo dei Claudii: Cristofani M., 1991. Introduzone allo studio dell'Etrusco, Olsschki, pp. 131 -
133) la sola consonante iniziale della parola e non interessa invece la sillaba. Ma ciò si spiega anche e soprattutto con
il fatto che la 'C' è segno del 'tre' nell'alfabeto etrusco e quindi i due tre alludono al 'sei', e cioè alla coppia androgina
inscindibile TIN/UNI (si veda di recente Sanna G. 2014, Giochiamo a dadi e impariamo l'etrusco. I 'dadi egigmatici'
(kύboi loξoί) di TINe di UNI. Il gioco combinatorio circolare delle 'parole-immagine a contrasto' e dei 'numeri alfabetici'
dei dadi di Vulci, in monteprama blogspot.com (8 Novembre).

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19) L' acrofonia si riscontra ad abundantiam in altri documenti (sarcofaghi) etruschi che via via si commenteranno.
Alcuni bronzetti nuragici riportano anch'essi l'atto di brandire un'arma (una spada, una lancia, ecc.), ma l'acrofonia
ricavabile (se presente, come penso) in questo caso riguarderebbe il lessico della lingua semitica.
20) L'arma è una 'bipenne'. In quanto tale il suo valore con le 'due' pinnae è più simbolico che legato al tipo di arma in
sé. Infatti, allo scriba, tutto attento a dare il massimo della pregnanza allusiva al disegno complessivo della lastra
tombale, interessa contrapporre la bipenne allo 'scudo', ovvero al simbolo solare di Tin. Così, in modo molto
sofisticato, si allude sia a Uni (la luna -bipenne) sia al sole. La protezione, in termini di rinascita del defunto, è data
non solo in virtù dei nomi criptati di 'apa' (Tin) e di 'ati' (Uni) ma anche dei simboli potenti che li riguardano
rispettivamente.
21) Credo che non possa sfuggire a nessuno che quel pollice della mano destra è 'disteso', quasi ostentato, in quel
modo per richiamare l'attenzione e far capire 'a chi legge' che esso si carica di senso. Uno che va all'attacco e
brandisce una 'scure' non la impugnerà mai in quel modo. Saranno comunque le immagini che si produrranno più
avanti, con l'allex ostentato (quel dito e solo quel dito) che confermeranno il dato del valore fonetico del 'segno'.
22) Il disco solare è manifestamente composto, oltre che dal cerchio, da 'sei' petali' inscritti in un 'esagono'. Ati,
ovvero la luna madre bipenne, viene così simbolizzata dalle due fasi cicliche del sorgere e del tramontare 'mensile',
Tin, ovvero il sole padre, è simbolizzato attraverso il ciclo dei dodici mesi.
23) Un esempio chiarissimo di tale mix si ha nella cosiddetta lapide di Giorre Utu Urridu, rinvenuta in Sardegna. Il
breve testo etrusco, per altro già in mix perché associato al latino e al nuragico, nelle sue quattro righe in
bustrofedico, presenta il mix dell'etrusco, del greco e del latino (v. Sanna G, Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei
Sardi, in Monti Prama, Rivista semestrale di cultura di Quaderni Oristanesi, N° 63 (giugno 2012) pp. 3 - 30.
24) La sequenza apac atic ci è nota da tempo attraverso l'iscrizione incisa in un pilastro della tomba dei Claudii
(necropoli della Banditaccia). Cerveteri IV secolo a. C. (v. Pallottino M., 1969, in SE XXXVII, p. 79 segg.; CIE, 6231; Rix
H., 1971, in Kadmos , X p. 169 e segg.; Scritofani M., 1997, Introduzione ecc. cit. pp. 131 -133. Risulterebbe ora
evidente dato il valore che si è visto (e che si vedrà ancora) che, con ogni probabilità, l'espressione apac atic/
sanisva θ/ui cesu non può essere interpretata, come in Cristofani, ' e il padre e la madre morti (?) qui giacciono', ma
presumibilmente 'qui giacciono nella (o per) la forza di salvezza del padre e della madre'.
25) L'informazione è davvero straordinaria: se Auvele Feluskes è figlio di Tin e di Ati, cioè del Sole e della Luna, ciò
vuol significare una sola cosa: che è una persona celeste anche lui, anche lui 'santo' e partecipe del divino dei genitori.
E' la forza di questi ultimi che permetterà al principe etrusco di raggiungere la loro casa o il tempio della luce. E dal
momento che, come vedremo, i sarcofaghi etruschi sembrano mostrare sempre la dicitura nascosta ATIC APAC, si
evince che la nobiltà etrusca, così come quella nuragica, si riteneva di ascendenza divina. L'ideologia dei reges e
dei principes nuragici si era trasferita paro paro in quella etrusca. Sempre più si capisce che un filo rosso collega i sigilli
dei reges di Tzricotu di Cabras e le statue dei divini Tori Giganti di Monte 'e Prama ai principi e ai Lucumoni etruschi
(per altro assunti dai 'Sardi' secondo la nota testimonianza di Strabone).
26) Il 'cinque', il quattro più uno, con significato di potenza (potenza taurina) si trova in nuragico, attestato
soprattutto nel noto saluto dei bronzetti nuragici e nelle stesse navicelle nuragiche (molto usate, come si sa, dagli
etruschi come oggetti del corredo mortuario) con la simbologia del ponte a 'nuraghe' cosiddetto 'quadrilobato'
(quattro torrette più la torre centrale).
27) Nella scrittura nuragica l'ideogramma si accompagna spesso al disco luminoso (simbolo anche dei 12 mesi solari).
Si veda, anche per l'espressione in lingua sarda viva ancora oggi 'su santu doxi' (per il santo dodici), Sanna G., 2006, Su
Santu Doxi. I numeri perfetti e santi. Il Sole e il Dodici nella simbologia logo-pittografica, geometrico e numerica e nella
scrittura lineare consonantica dei nuragici. Il Santu Doxi e il Santu Yacu nella lingua popolare sarda, in Quaderni
Oristanesi, n° 55 -56, pp. 83 -102. Gli scribi etruschi, con ogni probabilità, appresero dai nuragici l'uso dei segni
numerici e geometrici con valore di termini astratti (forza, potenza, perfezione, santità, luce, ecc.).
28) Maggiani A., 2007, Auvele Feluskes. Della stele ,ecc., p.73.
29) V. per un solo esempio, la fig. 3. Sono gli ideogrammi e l'acrofonia consonantica che permettono la lettura del
bronzetto sardo. Naturalmente di questo ed di altri bronzetti ancora.
30) La voce etrusca attestata per 'patena' è 'patna' (lat. pătĭna, gr. πατάνη).
31) Centrum è voce latina. Abbiamo già sottolineato, nel commento alla stele di Avele Feluskes, che il lapicida scriba si
serve dell'uso del lessico di tre lingue (etrusco, greco, latino) per attuare il magico mix. Nella stele di Auvele Feluskes lo
scriba usa l' acrofonia della voce greca κέντρον, invece nei coperchi dei sarcofaghi (e non solo) quella che si ricava
dalla voce latina centrum. L'esito è comunque il medesimo in quanto si ottiene l'enclitica -C (che allude sempre al
numero 'tre' di Tin). Si stia attenti ancora ad un dettaglio non certo insignificante che riguarda la simbologia
dell'oggetto: il lapicida nella maggior parte dei casi aggiunge dei 'raggi' a quel 'centrum' ed essi sono in numero di
dodici. Nelle due patene della base del sarcofago sfarzoso di Larthia Seianti si vedono chiaramente i dodici doppi
raggi simbolici dell'astro luminoso. Anche qui naturalmente, sia pur con altri pittogrammi e ideogrammi differenti

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indicanti la forza e il sostegno, sta scritta la formula medesima che si trova nel coperchio. Ma di ciò (della formula
scritta presente anche nella base di questo e altri sarcofaghi) si parlerà in un saggio a parte.
32) Tutti i sarcofaghi da noi esaminati posseggono l'espressione atic apac (qualche volta, ma raramente, c'è l'inverso e
cioè apac atic) riportata più o meno nello stesso modo. E cioè attraverso gli stessi oggetti. Le varianti più consistenti
della formula completa (alcune delle quali si vedranno più avanti) riguardano il riporto ideografico della voce 'forza,
sostegno' resa con differenti 'segni'. Essa può essere accompagnata da verbi ricavati attraverso ideogrammi
(certifico la forza....) e qualche volta da oggetti (tipico è il caso di apex +lorica ) che offrono l'acrofonia per la lettura
(alimento la forza...). Naturalmente va anche detto e sottolineato subito che talvolta il rebus è ostico anche perché il
sarcofago mostra degli oggetti particolarmente curiosi (ad es. un cofanetto aperto o un abaco) ma si capisce dal resto
della raffigurazione topica che è presente una semplice 'variatio' e che dietro di essi si celano gli aspetti acrofonici o
ideografici che tendono a rendere la solita formula soteriologica.
33) La tomba dei Pulena, di cui il sarcofago fa parte, fu rinvenuta nel 1878. Il capostipite è stato identificato in Laris: il
suo sarcofago è detto, forse impropriamente, “del magistrato” e presenta sulla cassa la scena, a rilievo, dell’arrivo del
defunto nell’Oltretomba. L’elemento più importante per cercare di conoscere l'identità di Laris Pulena è costituito dal
coperchio del sarcofago, sul quale è ritratto lo stesso Laris sdraiato sul fianco sinistro; tra le mani tiene il rotolo sul
quale sarebbe riassunta la sua vita. Grazie al disegno di questo papiro con una iscrizione incisa non solo si è potuto
dare un nome al defunto (Laris figlio di Larz) , ma anche ricavare alcune notizie sulla sua esistenza e forse anche delle
sue opere scritte.
34) In realtà il cίqwn o kίqwn era di origine semitica (ktnt ‫)כתנת‬. La voce si trova già nell'antico ebraico: v. Gen. 37.3.
35) V. Sanna G., 2014, Giochiamo a dadi e impariamo l'etrusco. I 'dadi enigmatici' (kύboi loξoί) di TIN e di UNI. Il gioco
combinatorio circolare delle 'parole-immagine a contrasto' e dei 'numeri alfabetici' dei dadi di Vulci.,in monteprama
blog spot (8 novembre).
36) V. nota 23. Si tenga presente che l'uso delle tre lingue nelle lapidi commemorative rimase per molto tempo nella
scrittura nuragica. Basti considerare il fatto che alla fine del III secolo a.C. il sardo (nuragico) è associato, all'etrusco e
al latino. V. Sanna G., 2014, Il nome di Tharros (Tharrush) in un'iscrizione nuragica, etrusca e latina del III -II secolo
a.C. Un Lars di nobile origine etrusca 'curulis' in Sardegna, in monteprama blo spot ( 27 aprile).
37) Il 'titulus' può variare nell'iconografia dei sarcofaghi etruschi ma quello della collana è particolarmente prediletto.
Talora la collana risulta l'oggetto più enfatizzato nella 'decorazione' dei nobili personaggi raffigurati nei coperchi. Si
veda ad es. la bella collana del sarcofago cosiddetto dell' obeso del Museo di Tarquinia oppure quella, lunghissima e
particolarmente sinuosa, del magistrato (?) raffigurato nel sarcofago del Museo di Chiusi (fig. 10). Forse non sarà
inopportuno far osservare che l'espediente della collana e dell' apex, come oggetti per la 'scrittura con', si trovano
nell'iconografia greca, pitica ed attica. V. in apertura di articolo le figg. 1 e 2.
38) La 'variatio' nel comporre oggetti, monumenti, statue ecc. é tipica del nuragico. Non solo i documenti in scrittura
lineare ma gli stessi documenti scritti 'a rebus' sono diversi l'uno dall'altro e si può dire che, per quanto se ne siano
rinvenuti oltre 200, non esistano scritte perfettamente uguali. Gli stessi sigilli di Tzricotu del Sinis di Cabras, sigilli
spettacolari, tra i più straordinari e sofisticati di tutta la sfragistica dell'antichità, pur basandosi su di uno stesso
'specimen' come supporto e disegno generale, risultano diversi. La stessa cosa accade per i cosiddetti 'bronzetti' e per
la grande statuaria di Monte Prama. E' noto che i cosiddetti 'Giganti' che ancora si rinvengono (e sicuramente si
rinverranno ancora) manifestano, se si esclude la significativa serialità raffigurativa degli occhi, una realizzazione
formale sempre differente. Si vedano ad es. le statue esposte al Museo di Cabras (v. Bedini A - Tronchetti C. - Ugas G.
- Zucca R., 2014, Giganti di Pietra, Fabula ed. Cagliari.
39). Talora il pulvinar è arricchito da segni (cerchi, frange, bottoni, ecc.) che tendono a fornire numericamente l'idea
di chi è quel simplex o doppio sostegno. Naturalmente essi come ideogrammi vanno letti e aggiunti al resto della
scritta seguendo la direzione di essa.
40) In alcuni de sarcofaghi la posizione del defunto è proprio questa. Si vedano ad es. il sarcofago in arenaria di Villa
Corsini di Firenze o il sarcofago detto 'del magistrato' dei Musei vaticani. Tuttavia la iconografia e quindi i simboli
fonetici per l'ideografia e l'acrofonia religiosa per lo scopo formulare non cambia (patena con il centrum, collana,
κίqwn, ecc.).
41) Si ricordi che i 'titoli' numerali di Tin e Uni sono il tre (numero comune ad entrambi) o il 'sei' (il numero
raddoppiato). Insomma TIN/UNI, il dio doppio o androgino, può essere simbolizzato indifferentemente da un tre o da
un sei.
42) Questa scrittura - lettura è tipica dell'egiziano. Con ogni probabilità, attraverso la scrittura cosiddetta
protosinaitica e poi quella cosiddetta protocananaica, essa passò in Sardegna e da qui in Etruria. Fondamentali per
capire questo tipo di scrittura dall'alto verso il basso e tenendo sempre presente il segno più alto nel verso della
direzione della scrittura (ad es. bustrofedica o a serpente) sono i già citati sigilli cerimoniali rinvenuti nei pressi del
nuraghe Tzricotu di Cabras e appartenenti ai Giganti di Mont' e Prama (v. Sanna G., 2004, Sardôa grammata. 'ag 'ab
sa'an YHWH. Il dio unico del popolo nuragico, S'Alvure ed. Oristano, cap. 4, pp. 85 -179.

65
43) Si ricordi che TIN e UNI si ricavano attraverso le due - C enclitiche (v. nota 18).
44) Noi oggi possediamo attestata per prima, come formula, quella di Auvele Feluskes del VII secolo a.C., ma
riteniamo verosimile che essa sia stata preceduta da altre iscrizioni analoghe più antiche, più o meno elaborate e più
o meno variate. Non si dimentichi che i bronzetti nuragici, probabili ispiratori della statuaria etrusca resa attraverso
scrittura 'con', sono riconducibili anche al XIII -XII secolo a.C.. Le stesse statue dei Giganti di Mont'e Prama di Cabras,
anch'esse 'scritte' e alle quali per tantissimo tempo si poterono ispirare gli scribi etruschi, sembrano oggi risalire al IX o
al X secolo a.C..

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DOMENICA 11 GENNAIO 2015

CERVETERI. L'iscrizione (IV secolo a.C.) del cosiddetto


Pilastro dei Claudii. LARIS AVLE LARISAL figlio di TIN/UNI.
Il linguaggio dei numeri nuragico ed etrusco. I documenti
di Crocores di Bidonì e di Nabrones di Allai (III)

Fig. 1 (trascrizione)
Si dice che la lingua etrusca è ancora, per svariati motivi, un enigma e un 'rebus'. Ciò si
sostiene, naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa
molti degli aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il 'rebus' sussiste e
resiste nel tempo non 'solo' per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e
soprattutto perché si stenta a considerare un aspetto essenziale dell'etrusco: che la scrittura è
criptica, cioè organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E' realizzata per non essere capita
se non da pochissimi. Pertanto nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso
sofisticati, del rebus, posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la
lingua etrusca. Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e nuragici. In
particolare quelli inventati dagli scribi di questi ultimi.

1. Trascrizione fonetica

laris au
le laris
al clenar
sval cn suθi
ceriχunce

apac atic
sanisva θu
i cesu

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clautieθ
urasi

La 'interpretazione' del Cristofani (1) è la seguente: Laris (e) Avle di Laris figli vivi questa tomba
costruirono. E il padre e la madre morti (?) qui giacciono. Ai Claudii.
Naturalmente ai noi dell'iscrizione interessano particolarmente alcuni dati e non altri. In primo
luogo importa la scritta della sesta linea (v. fig. 1 e trascr.) che reca significativamente il nome
padre (apa) e madre (ati) e cioè di Tine di Uni, quelli che abbiamo visto essere 'titolari' (2) dei
numeri simbolici tre e sei (3).
Da quel che siamo riusciti a capire dagli articoli precedenti, attraverso i numerosi riscontri,
possiamo affermare che nei coperchi dei sarcofaghi c'è sempre scritto (spesso con delle fantasiose
varianti) che 'il sarcofago sigilla (garantisce) la forza doppia del Padre e della madre' cioè di Tin e
di Uni. I loro nomi sono realizzati graficamente in modo nascosto e difficile da comprendere grazie
al ricorso alle due enclitiche (C...C) che intendono non solo realizzare le congiunzioni coordinanti
ma anche per due volte il numero 'tre' (4).
In base a questo dato certo oggi siamo in grado di afferrare meglio il significato
dell'etrusco sanisva che segue aapac atic; significato che non può essere quello supposto, pur con
tutti i dubbi, dal Cristofani e cioè 'morti'(5). E comprendiamo anche che il Padre e la Madre di cui si
parla non sono quelli 'terreni' di Laris Avle, ma sono quelli celesti citati in tantissimi sarcofaghi per
via acrofonica e ideografica (6). Quindi il significato del passo sarà (v. più avanti), con buona
probabilità, con un soggetto non plurale ma singolare, Laris Avle..... ' qui tu giaci (cesu) con il
sostegno del Padre Tin (C) e della Madre Uni (C).
2. La simbologia numerica.

Ma il cippo non spiega solo in questo modo quello che è più importante dal punto di vista
religioso e cioè la rinascita di Laris ad opera del Padre e della Madre. Lo spiega anche con una
intensa simbologia numerica che può essere subito notata dallo strano modo con cui lo scriba
suddivide il testo della lapide mortuaria. Infatti, a nessuno sfugge il fatto che il testo nel pilastro è
'tripartito' (7), ma -si badi - con un numero di linee differenti e a scalare. Cinque nel primo settore
a partire dall'alto, tre nel secondo settore e due nel terzo.
Perché dunque questa particolare, disarmonica e certamente non 'logica' suddivisione? Essa è
accidentale o esito di intenzionalità? A nostro giudizio essa è voluta per il semplice fatto che lo
scriba intende creare e crea senso anche e soprattutto con i numeri; un senso tanto più
importante in quanto è , per 'religio' magicamente criptato (8). Noi sappiamo già bene cosa, per
convenzione, significano ideograficamente e foneticamente quei numeri (9). Sono le parole
'forza' (cinque), 'divinità' (tre)' e 'doppio' (il due).
Quindi 'forza del dio doppio' o 'forza dell'androgino', forza della luce di Tin ed di Uni', del Sole e
della Luna. Si ripete quindi per via numerale ideografico - logografica convenzionale (un segno
numerale una parola) quanto nel cippo è stato scritto per via alfabetica consonantico - vocalica
(apa-c ati-c sinasva). La iterazione della formula serve ovviamente per raddoppiare quella forza
che è assolutamente necessaria perché Laris possa superare l'oltretomba e arrivare al regno della
luce dei genitori celesti.

Quindi, ricapitolando, abbiamo dal punto di vista del lusus della scrittura numerologica (10)

- la linea sei che simboleggia la coppia del tre.


- il numero dei tre settori in cui è diviso il testo nel cippo.
- il numero 'cinque' che sappiamo significare la 'forza' (11).

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- il numero tre che è il titolo numerico riferibile ad entrambe le divinità.
- il numero due che allude alla inscindibile coppia divina (12).

3. Etrusco e nuragico. I documenti sardo - etruschi di Bidonì.

Per quanto riguarda il 'titolo' numerico riferibile sia a Tin che a Uni si tenga presente che in
Sardegna sono stati rinvenuti nel 1993 nel lago Omodeo (allora in secca), tra gli altri, dei minuscoli
e bellissimi documenti lapidei (13) con caratteri etruschi che ci fanno vedere bene il mix del 'tre'
anche se esso risulta criptato. Infatti non solo si riscontra la presenza del 'tre' come numero (|||)
e come numero della serie alfabetica (C), non solo constatiamo la presenza delle 'tre lingue'
(latino, greco, etrusco), ma anche quella delle due enclitiche con valore di 'C' e quindi del 'tre'.
Nelle figure 2 e 3, che per comodità riportiamo anche in trascrizione e quindi con la
interpretazione (14), ognuno può rendersi conto di questi aspetti basilari del codice etrusco
mutuati dal nuragico.
Infatti, riteniamo che nessuno possa negare che i documenti etrusco - nuragici di Crocores di
Bidonì adoperino lo stesso sistema di scrittura 'sacra' numerica a rebus che troviamo nascosta nel
cosiddetto Cippo dei Claudii.

Fig. 3 trascrizione

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Fig. 3 trascrizione

Circa la suddetta traduzione (interpretazione) dei documenti facciamo osservare, come primo
aspetto, che essi sono in scrittura bustrofedica con partenza da sinistra verso destra per la prima
linea di scrittura e da destra verso sinistra per la seconda. Lo scriba suggerisce nascostamente
l'insolita lettura (il bustrofedico si trova praticamente solo (15)nella scrittura arcaica) proponendo
alcune lettere al contrario sia nella prima che nella seconda linea.
L'accorgimento non è affatto nuovo (almeno per la Sardegna) se solo si pensa che nella lastra
di Giorre Utu Urridu(16), trovata dieci anni prima rispetto alla pietruzza di Crocores di Bidonì,
abbiamo una tarda scritta etrusca (v. fig. 4) in bustrofedico che presenta, alla fine della prima linea
e alla fine della quarta, due lettere ( 'e' e 'r') poste al contrario(17).

Il lessico dei due documenti del lago Omodeo, leggermente variati solo per quanto riguarda la
quantità della grafica numerologica, è composto, come si può vedere, da tre lingue, ovvero dal mix
linguistico di cui si è parlato nei nostri due articoli precedenti (18). Infatti, il latino è rappresentato
da ' vlte' (valete) e 'c' (que), il greco (19) da 'm' (μᾶ), 'tineti' (τίνετε); l'etrusco da 'ci' (signif. di tre
volte) e dai nomi di Tin e Uni criptati attraverso le lettere alfabetiche ('C') che notano anche il
'tre'.

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Fig. 4 trascrizione

4. Il mix linguistico del Cippo dei Claudii.

Ora, riscontrata anche nei documenti sardo etruschi l'esistenza del mix linguistico (latino, greco
ed etrusco), ci sembra evidente, per la magia del 'sei', ovvero dei sei aspetti da individuare e
calcolare (v. supra), che anche nel cippo dei Claudii non possa mancare quello che è presente,
come abbiamo visto dagli articoli precedenti, nei dadi di Vulci, nelle lastre mortuarie e nei
sarcofaghi.
Infatti se si analizza con accuratezza tutto il testo si noterà facilmente che il lessico è riportabile
ai suddetti codici:

1) Lars , Avle, Larisal , clenar, sval, suθi, apa, ati : etrusco


2) cn , c , c , sanisva (?), Clautie : latino
3) ceriχunce (20), θui (21), cesu (22), θurasi (23): greco

Alla luce di quanto detto la interpretazione del testo ci sembra essere questa:

Di Laris Aule figlio di Laris i figli vivi questa tomba fecero fare. Tu (Laris Aule) qui giaci (giacevi) con
il sostegno e del padre Tin e della madre Uni. Pilastro (24) per l'ingresso (della tomba) dei Claudii.

Note e indicazioni bibliografiche

1. V. Cristofani M. 1991, Introduzione allo studio dell'etrusco, Olschki ed. pp. 131 -133.
2. Per questa voce e la sua presenza nelle lastre e nei sarcofaghi v. Sanna G., 2014, GIOCHIAMO A DADI E IMPARIAMO
L'ETRUSCO. I 'dadi enigmatici' (kύboi loξoί) di TIN e di UNI. Il gioco combinatorio circolare delle 'parole-immagine a
contrasto' e dei 'numeri alfabetici' dei dadi di Vulci, in montepramablog spot (8 novembre).Nota 15.
3. Sanna G., ibid. Sulla simbologia del 'tre' e del 'sei' nel nuragico si veda ancora Sanna G, 2009, La stele di Nora. Il Dio,
il Dono, il Santo (trad. in inglese di Aba Losi), PTM ed. Mogoro pp. 55 e 93. Bisogna tener presente che i templi sardi
ad Antas erano a sei colonne o, forse più raramente, a tre. Per quest'ultimo caso l'unica testimonianza si ha grazie alla
raffigurazione del santuario che si trova nella chiesetta bolotanese di Santu Bachis.
4. V. Sanna G., 2014, GIOCHIAMO A DADI E IMPARIAMO L'ETRUSCO. I 'dadi enigmatici' (kύboi loξoί) ecc.; idem,
2014, Stele di Auvele Feluskes. I nobili etruschi figli di Tin e di Uni. Scrittura e lingua dei documenti funerari. L' acrofonia
sillabica e non, la numerologia e la chiara dipendenza dell'etrusco dal nuragico (II), in montepramablog spot. Com (28
Novembre)
5. Cristofani M., 1991, Introduzione allo studio, ecc. cit. p. 135: […] per quest'ultima parola, ammettendo un parallelo
con 'sval' della formula precedente, si potrebbe avanzare l'ipotesi che corrisponda a <<morti>>.
6. Sanna G., 2014, Stele di Auvele Feluskes. I nobili etruschi figli di Tin e di Uni. Scrittura e lingua, ecc.

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7. Per la tripartizione del testo nella scrittura nuragica si veda Sanna G., 2004, Sardŏa grammata . 'ag 'ab sa'an Yhwh.
Il dio unico del popolo nuragico, S'Alvure Oristano, cap. IV,passim; idem, 2009, La stele di Nora. Il dio, il dono, il santo,.
The God, the Gift, the Saint (trad. in lingua inglese di Aba Losi), capp. 3 -4, in part. pp. 110 e 124.
8. Si può dire per quanto riguarda il nuragico, al quale si ispira l'etrusco, non esista testo scritto che non abbia
presente la numerologia sacra del dio YH (o YHH, YHW, YHWH). Non vedere e non calcolare questa caratteristica della
scrittura 'sacra' o geroglifica vuol dire leggere i documenti superficialmente e solo per metà. I sigilli di Tzricotu di
Cabras, il ciondolo di Allai, la scritta della fusaiola del Museo Nazionale Sanna di Sassari, la stele di Nora, l'anello sigillo
di Pallosu di Cabras, il coccio del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore, il coccio di Orani, il coccio-tavoletta di Selargius,
tanto per fare alcuni esempi, risultano quasi banali per senso se ad esso non si aggiunge quello, spesso elaboratissimo
(e pertanto non sempre facile da cogliere), reso attraverso i numeri e i significati logografici convenzionali di cui essi
sono portatori.
9. V. nota precedente.
10. Si ricordi ancora che la scrittura per numeri è uno dei requisiti fondamentali richiesti tra quelli che caratterizzano il
sistema o codice nuragico. Nella 'Griglia di Sassari' (Sanna G., 2011, Scrittura nuragica: ecco il sistema. Forse unico
nella storia della scrittura, in Monti Prama, Rivista semestrale di cultura di Quaderni Oristanesi, n. 62, Dicembre, pp.
25 - 38) sono compresi, in varia misura, oltre a quello numerologico, la lettura del supporto, il mix logografico
pittografico, ideografico e consonantico acrofonico, la lettura varia (doppia o tripla), la presenza del 'determinativo'
per indicare la divinità, l'obliquità e l'agglutinamento (per legatura o nesso). Non è chi non veda che il 'sistema'
etrusco si ispira e talora rispecchia quello sardo.
11.V. Sanna G., 2014, Stele di Auvele Feluskes. I nobili etruschi figli ecc. cit.
12.V. Sanna G, 2014, Stele di Auvele Feluskes. I nobili etruschi figli ecc. cit.
13.V. Sanna G., 2007, Gli Etruschi nella Sardegna centrale tra il VI ed il VII secolo a.C. (estratto della relazione tecnico -
scientifica del prof. G. Sanna per il Comune di Allai, inParaulas. Rivista di economia, storia, lingua e cultura sarda, anno
X, n° 30 , pp. 3 -11. Carta E., Reperti archeologici o falsi? Allai, la procura chiude l'inchiesta: c'è un indagato; in La
Nuova Sardegna (4 Ottobre 2009).
14. In realtà, come si vedrà, è più una 'traduzione' che una interpretazione. Infatti la possibilità di comprendere in
toto tutti gli aspetti dei documenti (direzione della scrittura e quindi della lettura, alfabeto, lessico in mix, sintassi,
ideografia numerica) consentono di riportare il testo completo in una (qualsiasi) lingua differente da quella (mista a
rebus) adoperata dagli scribi etruschi.
15. Cristofani M, 1991, Introduzione allo studio ecc, cit. p. 28. C'è da mettere in rilievo però, rispetto a quanto dice il
Cristofani circa il bustrofedismo che nei due oggetti di Crocoresdi Bidonì esso non è dovuto alla 'ristrettezza dello
spazio' o 'al gusto decorativo' quanto allo scopo di rendere ancora più ermetico un testo già di per sé molto ermetico.
Lo dimostra l'etrusco bustrofedico della lastra di Giorre Utu Urridu che presenta lo stesso preciso modo di 'avvertenza'
sul come si debbano leggere le singole linee della scritta (v. la bibliografia che ci riguarda alle note 16 e 17).
16. Pittau M., 1994, Nuova iscrizione etrusca rinvenuta in Sardegna, in Ulisse e Nausica in Sardegna, Insula ed. Nuoro,
VIII p. 97; Sanna G. 2012, Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei Sardi; in Monti Prama. Rivista semestrale di Cultura
di Quaderni Oristanesi, PTM Mogoro, n° 63, pp. 3 -30.
17. Sanna G., 2012, Scrittura nuragica: gli Etruschi ecc. cit., pp. 8 -9.
18. Sanna G., 2014, GIOCHIAMO A DADI E IMPARIAMO L'ETRUSCO. I 'dadi enigmatici' (kύboi loξoί) di TIN e di UNI ecc.
cit.; idem, 2014, Stele di Auvele Feluskes. I nobili etruschi figli di Tin e di Uni. Scrittura ecc. cit.
19. La consonante 'm' scritta nel documento in una forma tarda (III -II secolo a.C.) è da leggersi, con ogni probabilità,
μᾶ (grido d'invocazione o d'esclamazione: cfr. Liddell & Scott,Greek -English Lexicon' , 'shorter Aeol. and Doric form
for μήτηρ in the phrase μᾶ γᾶ = μήτηρ γῆ; as an esclam. used by women (perh. = Demeter), Herod. 1.85 4.20; μᾶ
πόθεν ὥνθρωπος;). Per quanto riguarda sia l'esclamazione che 'tineti' si veda il fegato di Piacenza (bordo destro): Tin
ci v entinθ... Ricompensate Tin con tre oh! V. Sanna G. 2011, Falsi di Allai, Crocores 6 un documento fasullo? Davvero
davvero?; in gianfrancopintore blog spot. Com (9 gennaio). Il greco τίνετε (imp. pres. di τίνω) può essere scritto in
etrusco 'tinθ' o 'tineti'. Nel documento Crocores 6 di Bidonì la formula del fegato di Piacenza è lievemente, ma
efficacemente, modificata dal punto di vista temporale) con la forma dell'imperativo aoristo (tisθ = τίσατε); v. Sanna
G. 2011, Falsi di Allai, Crocores 6 un documento ecc. cit.
20. La forma verbale è indubbiamente 'cappatica' ovvero del tempo 'trapassato'. Cf. Pittau M., 1997, La lingua
etrusca. Grammatica e lessico, Insula, Nuoro, pp. 119 -120. Ma la radice verbale? Da κάλυμμα (καλύπτω): tomba? V.
anche κάλυξ : involucro.
21. Greco τύι (dall'eolico τῦιδε) V. anche Pittau M., 1997, La lingua etrusca ecc. cit. Lessico, p. 197,
22. Da 'κεῖμαι'?: ἔ-κεισο> ceiso > cesu (seconda pers. sing. imperfetto senza aumento). Quindi 'giacevi' V. anche CIE
5447; TLE 105 : vel: aties: velθurus: / lemnisa: celati: cesu (Vel Aties figlio di Velthur quello di Lemno qui giacevi). La
formula latina 'hic iacet' è evidentemente in etrusco 'hic iacebas' (θui cesu). Probabilmente l'imperfetto è ritenuto più

72
pertinente dal punto di vista linguistico temporale per il fatto che il defunto non si trova ormai più lì dove è sepolto,
nel buio, ma nel grembo luminoso dei genitori UNI E TIN.
23. V. Cristofani , 1991, Introduzione allo studio, ecc. cit. p. 133. A noi però sembra che la voce provenga dal greco:
θύρα + si (il noto suffisso del dativo). 'Per la porta dei Claudii'
24. Riteniamo che il 'pilastro', forse soprattutto il pilastro (in latino 'anta'), avesse una grande funzione simbolica, se
solo si pensa che l'iconografia mortuaria etrusca propone infinite volte l' anta nelle casse dei sarcofaghi, spesso in
numero di 'tre', due o più volte ripetuto, con evidente allusione al 'sostegno' della divinità luminosa paterna e
materna per il viaggio nell'oltretomba. Non c'è dunque solo il semplice aspetto decorativo come di norma sostenuto.
C'è molto di più. Tanto che ci sembra che si possa legittimamente affermare, dalla lettura generale del sarcofago, che i
pilastri o 'antas' delle casse mortuarie altro non siano che una variazione simbolica (e forse non solo simbolica) del
'pulvinar', 'geminatum' o 'simplex' che si trova al di sopra nel coperchio. Sul ruolo simbolico (e fonetico assieme) del
'pulvinar geminatum' come 'sostegno' e del 'pilastro' presenti nelle stesse tombe etrusche (e non solo nei sarcofaghi)
ci piace ricordare la presenza abbinata di essi nella famosissima Tomba dei rilievi dipinti di Cerveteri. In essa, come si
sa, oltre ai duegrandi pilastri 'scritti' (e non decorati, come si dice), si trovano i tredici letti inseriti nelle nicchie scavate
nella parete, ciascuno dei quali contiene il 'pulvinar geminatum' colorato di rosso. Ad indicare 'scrivendolo' che 'il
sostegno per la vita (la rinascita: il rosso)' si avrà attraverso il doppio del padre e della madre, attraverso Tin e Uni.
Attraverso - diciamolo ancora una volta - il dio androgino soli-lunare. Infatti, i due grandi pilastri o antas della grande,
sontuosa tomba, sofisticatissima per allusioni e segni simbolici, altro non sono che una 'variatio' del doppio cuscino o
'pulvinar geminatum' dei letti delle nicchie.

73
MARTEDÌ 19 FEBBRAIO 2013

Cos'è il disco plumbeo di Heba di Magliano? Ce lo spiega il


dischetto lapideo di Allai (Sardegna)

Fig. 1
1. Premessa.

Sui cosiddetti 'falsi' a priori o immediati (di qualunque codice scrittorio essi siano) così ritengo che
ci si possa esprimere :non operiamo come se noi fossimo gli avvocati superbi di noi stessi
difendendo ad oltranza la nostra dottrina, perché non è essa a essere in gioco. Non è la nostra
conoscenza ad essere imputata di disonestà e di malafede. Ma agiamo unicamente come se
fossimo umili - ma nello stesso tempo assai determinati - difensori dei documenti perché sono
questi ad essere accusati. Sono in una situazione di assoluta inferiorità e in nostra balia perché
spesso non possono difendersi come vorrebbero. Sono come delle creature inermi sulle quali non si
deve agire con severità eccessiva solo perché su di loro grava o può gravare un certo sospetto (in
fondo sempre 'soggettivo') da parte di chi osserva e giudica. Non meritano mai dei rimbrotti o dei
ceffoni ma sempre il massimo del rispetto e della comprensione. Bisogna farli parlare ed ascoltare
con molta pazienza, anche quando l'evidenza sembrerebbe, sulle prime, dare loro torto marcio.
Se poi i documenti sono più di uno bisogna prima sentirli separatamente e osservare bene quello
che dicono. E tutto quello che dicono: mai privilegiando questo o quell'aspetto quando si pongono
loro delle domande. Poi bisogna comparare le loro affermazioni tenendo in considerazione anche e
soprattutto quelle più insignificanti e anche quelle che possono sembrare, sulle prime,
scandalosamente impertinenti. Se davvero dicono la verità la si scoprirà - pian piano e quasi mai
subito - per come la dicono e per quanto la dicono.
Ciò vale soprattutto per quelle discipline, come ad es. l'etruscologia, nelle quali la conoscenza è
assai
limitata, dove molte sono le zone d'ombra e tantissime le incertezze e dove i pareri su questo o
quell'argomento, come si sa, sono assai contrastanti (1).
E' inutile dire che occorre il massimo della prudenza. Un documento etrusco (scritto in caratteri
chiaramente etruschi) giudicato subito o col tempo un falso per questo o per quel motivo può
dimostrarsi, secondo noi, un ottimo banco di prova non solo per un sereno giudizio di falsità o non
in sé; ma potrebbe anche dimostrarsi un ottimo banco di prova per la ricerca scientifica, per il
progresso di questa, perché le stranezze e le anomalie riscontrate in un esame (più o meno

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condotto in superficie) possono essere proprio quelle che rivelano ed illuminano, se ben
comprese, aspetti oscuri della scrittura o della lingua o precedentemente ignorati o non visti,
anche dopo reiterati tentativi di 'lettura'.
E' questo il caso dei documenti di Crocores di Bidonì e di Nabrones di Allai (2) che sulle prime
possono apparire, perché apparentemente ripetitivi e riproducenti 'stranamente' temi e testi già
noti all'archeologia e all'epigrafia etrusca, esito di riproduzione più o meno meccanica di essi.
Senonché, come già si è visto in questo Blog (3), i documenti Crocores 2 e 6 mostrano all'analisi
approfondita d'essere una cosa ben diversa rispetto ai (presunti) modelli o originali: sia per motivi
epigrafici e paleografici sia per motivi contenutistici. Ora vediamo di esaminare con il dovuto
'rispetto' ed il massimo dell'attenzione, senza pregiudizi di sorta, anche il pezzo più interessante
nonché esteticamente il più valido della ex 'collezione' del Saba, ovvero il documento lapideo in
chiara forma circolare o di dischetto.

Fig.2
Il prof. Rendeli, pur ammettendo una certa capacità manuale del presunto falsario (4), nel
riportare i segni del prototipo ovvero il disco di Magliano, si pronuncia apertamente sulla sua non
genuinità e lo fa non su chiare basi epigrafiche e contenutistiche, esposte dettagliatamente, come
sarebbe stato doveroso, ma, forse per troppa sicurezza, sbrigativamente e 'semplicemente', quasi
con 'fastidio', partendo dalla considerazione che l'autore del dischetto avrebbe realizzato un
'monstrum' epigrafico (5) solo perché esso riprodurrebbe una
parte della circolarità del disco più grande. E per far capire il presunto modo, volgarmente
ingenuo, dell'operazione traccia con il compasso un cerchio che include, grosso modo, le lettere
del dischetto ed esclude le altre lettere etrusche presenti nel presunto originale. Non fa
nient'altro, in sostanza, per stare alla metafora in esordio, che prendere subito a sberle, senza
pazienza, con sufficienza e severità eccessiva di dottrina, un documento che invece deve essere
ben ascoltato, fatto parlare perché, come vedremo, quello che dice è ben più complesso di quel
che uno possa immaginare (altro che uso del compasso!) e - sottolineiamolo subito - davvero
straordinario ed importantissimo per tutta l'epigrafia e la stessa 'religio' etrusca.
Vediamo di analizzarlo nel generale e nei dettagli, di farlo parlare per il molto e non l'
apparentemente poco che dice (stando all'analisi del perito).

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1. Il supporto.

L'oggetto circolare è proprio un 'dischetto', cioè un oggetto consistente (lapideo) con sagoma di
forma circolare. Ma la composizione di esso, con la spirale formata da cinque (6) spire, ci mostra
subito che dette spire (così come del resto nell'originale) non sono uguali. Tutt'altro. Partendo dal
centro si nota la prima spira
piuttosto grossa, tranne che nella parte iniziale, la seconda spira più sottile e tendente a
ingrossarsi in progressione, la terza e soprattutto la quarta che vanno ad ingrossarsi vistosamente
per poi dar luogo ad una quinta spira ad assottigliamento progressivo che si chiude quasi con una
semplice linea (7).
Ora, se uno appena appena ci fa caso nota che quella spirale altro non simula con le sue spire se
non la figura di un serpente acciambellato (fig. 3). C'è la testa, il collo, la pancia (molto grossa) e la
coda (sempre più sottile). Ora, se si paragona lo schema di Crocores a quello del disco di Magliano
sarà semplice cogliere la differenza (una delle differenze) di disegno tra i due oggetti.
La quinta spira di Heba di Magliano non si assottiglia affatto in forma per il semplice motivo che il
serpente è ben più lungo e possiede una spira in più, la sesta con la sua specifica coda.

2. Le analogie con il serpente di Montaldo di Castro e di Sarteano.


Il disegno del nostro dischetto, riportato su di un piano verticale, con le spire più distese e a
semicerchio, assomiglia al serpente che (con il corpo ugualmente scritto in tutta la sua
estensione!), è tracciato sull' aryballos di Montaldo di Castro (v. fig. 4). Ma il dato della stessa
circolarità del dischetto -serpente non può non richiamare il serpentone a tre teste e con le spire
costituite da 'due cerchi' (chiari simboli luminosi o astrali di Tin sole e di Uni luna), della tomba
di Sarteano di Siena (v. fig. 5). Di entrambi si è, sia pur per motivi diversi, già parlato in questo Blog
e in altra sede (8)

Fig.3 Fig. 4

76
Fig.5
Se qualcuno però nutrisse qualche dubbio sull'esistenza e sull'identità della figura zoomorfa
disegnata dallo scriba diCrocores di Bidonì basterà osservare ancora due particolari assai
significativi presenti nel dischetto.
Il primo è da considerarsi davvero straordinario per 'lusus', criptato ad arte com'è. Non si può
coglierlo subito ma solo per intuito e per notevoli capacità d'osservazione. Si noti come la bocca
del serpente venga completata con il ricorso ad uno scaltro artificio a rebus di scuola scribale; cioè
all'uso di una lettera etrusca
molto caratteristica, la consonante 'z'. Questa, mentre da un lato risulta ovviamente segno
normale simbolico
consonantico lineare di tutta la sequenza scritta, dall'altro, legata alla linea della spirale 'in quel
preciso punto' (v. figg. 6 -7), vuol essere anche segno pittografico nascosto in quanto tendente a
simulare, senza che uno se ne accorga, la lingua bifida dell'animale. Lingua bifida che, se si osserva,
non manca d'essere disegnata anche nel serpente dell'aryballos di Montaldo di Castro (v. ancora
fig. 4)
La lettera 'z' è dunque elemento di ulteriore, fondamentale, senso nella scritta, così come lo è la
lettera finale (si tenga presente che la lettura del testo parte dalla prima spira esterna e cioè dalla
coda dell'animale) presente nella spira, ovvero la velare R della sequenza AMAR (9). Detta lettera
alfabetica simula pittograficamente, date qui le sue caratteristiche ad occhiello quasi chiuso (10),
l'occhio del serpente. Insomma, lo scriba etrusco (o sardo- etrusco) si è servito di due precise
consonanti del codice etrusco con
delle caratteristiche formali ambigue per realizzare nascostamente (11) sia l'occhio sia la lingua del
serpente.
Non sfugga però in Crocores, nello stesso particolare, un piccolo particolare ancora: che lo scriba
disegnatore e incisore accentua leggermente i tratti superiori della lettera per dare così maggiore
movimento e 'realismo' al dato pittografico della lingua che fuoriesce dalla bocca del serpente.

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Fig. 6 : Testa del serpente di Crocores di Bidonì Fig. 7. Testa e coda del serpente

Ora, i dati suesposti, sia pur del tutto evidenti e epigraficamente 'oggettivi', potrebbero, al limite,
essere ritenuti opinabili e quindi in qualche modo non decisivi. Ma per nostra fortuna ( ma non
potrebbe essere diversamente, dato lo stesso significato generale dei due oggetti) è lo stesso disco
di Heba di Magliano che, in una lettura più accurata 'a posteriori', ce li conferma, dal momento
che si possono notare gli stessi particolari presenti nel dischetto di Crocores e cioè l'occhio e la
lingua bifida che fuoriesce dalla bocca.
Solo con la variante, per quanto riguarda la lingua bifida, che lo scriba di Crocores sfrutta (forse
con maggiore esito di verosimiglianza) la lettera etrusca 'z' mentre l'autore del disco di Heba di
Magliano ricorre alla forma della lettera '╕'. Due segni alfabetici comunque non molto differenti
per aspetto data l'asta iniziale di entrambi e i tratti superiori dei grafemi.
Ma non basta. Per eliminare definitivamente ogni dubbio sull'artificio (lettera alfabetica lineare
nonché pittogramma' adoperato nella composizione di entrambi gli oggetti), si noti ancora che
mentre tutte le altre lettere risultano visibilmente staccate, il '╕' nel disco di Magliano è
'stranamente' l'unica lettera legata (12) alla linea della spira interessata alla resa del nascosto
dettaglio anatomico del serpente (v. fig.8 e figg. 11 -11 bis).

Fig. 8 . Trascrizione del disco di Heba di Magliano

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Il secondo particolare è dato dal fatto che nella coda le lettere alfabetiche etrusche sono non solo
progressivamente più piccole (si osservino la consonante 'l' e la vocale 'y') ma anche sempre meno
leggibili.
Ma leggibili lo sono, per fortuna, per quel tanto che basta per poterle individuare e per certificarle
come del tutto corrispondenti a quelle presenti nel disco - serpente più grande (13).
Esse si presentano progressivamente sempre più consumate nella parte superiore (v. figg. 9 e 10)
; segno questo, con ogni probabilità, dell'erosione dell'acqua in quella parte della circonferenza
quando il dischetto ne subiva l'azione continua trovandosi esso nella parte incorrentata ovvero,
come riferito dal Saba (14), presso il letto del fiume, divenuto poi lago con la costruzione della
diga.
Infatti, il dischetto si rivela, circa la sua integrità, non solo sbeccato in prossimità della punta della
coda del serpente ma anche non perfettamente rotondo dalla parte delle lettere consumate,
come doveva essere invece in origine. L'erosione è solo di pochi millimetri ma c'è, prodotta inoltre
in modo del tutto uniforme.

Fig. 9. Le lettere della coda del serpente Fig. 10. Le lettere erose in progressione

Per quanto eroso però possa essere il documento esso mostra, inconfondibile, la forma via via
sempre più sottile di una coda di serpente. Cosa questa che dimostra che il dischetto non è una
'scopiazzatura' con la ripresa di una parte (quella 'tranciata') del disco più grande. Se ciò fosse
accaduto la terminazione della spira sarebbe stata ben diversa. Non l'avremmo trovata sottile e
progressivamente chiusa in quel modo ma aperta e larga come in Heba di Magliano.
Ma al fine di far capire ancora meglio tutto questo sarà bene riportare la figura di un articolo di F.
Roncalli e di Lidia Storoni(15) riproducente a compasso, diciamo 'more rendeliano' (v. fig. 11 e 11
bis), del disco di Magliano solo una certa parte(16) ma rispettosa dell'originale in toto (tipologia
delle lettere, puntuazione, collocazione dei segni e delle linee), essendo stavolta la figura
nient'altro che la 'sforbiciata' circolare ottenuta per riproduzione.
Il famoso etruscologo, forse per far vedere meglio l'oggetto e le sue caratteristiche formali
scrittorie ne riporta una parte consistente nella quale è assente però ciò che in Crocores appare
come dato macroscopico e cioè l'assottigliamento dell'ultima spira. E ciò è naturale, essendo
diverso l'interesse, il fine e l'atteggiamento dei due, scriba del passato e studioso del presente, nei
confronti dell'oggetto.
Lo scriba di Crocores, che sa bene, molto bene, che cos'è quell'oggetto discoidale e cioè un
serpente, lo rende più piccolo e ne modella ad arte la nuova lunghezza; l'etruscologo invece, che
ignora totalmente che cosa sia, si limita ad accorciarne solo una parte 'epigrafica' lasciandola
identica a quella compresa nel tutto.

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Insomma l'uno è, diciamo così, un 'epitomatore' che crea e adatta un testo con consapevolezza,
l'altro semplicemente un illustratore che si limita a ridurre senza nulla cambiare.
In quest'ultimo caso si agisce proprio come farebbe veramente un falsario che non vuol correre
rischi di credibilità con l'arbitrarietà, più o meno accentuata, circa la disposizione di tutti i
significanti. In ogni caso, i due serpenti, quello 'tagliato' del testo del Roncalli e quello in diversa
dimensione rispetto all'originale, sono simili anche se non identici (v. fig. 12)

Fig. 11 Fig. 11 bis

Fig. 12. Testa, occhio, lingua, collo e spire dei due simili ma non identici serpenti.

A questo punto è il momento di chiedersi: dove sta dunque il cosiddetto 'monstrum' epigrafico? La
presunta assurdità? Proprio da nessuna parte. Si capisce molto bene (ora) il perché della riduzione
operata sul cosiddetto originale.
Il 'monstrum' epigrafico, ovvero la singolarità di disegno dell'oggetto di Bidonì, è da ricercarsi
semmai nel supporto originale (presunto) che è un simbolico serpentone chiuso, reso
completamente con le spire strette e chiuse o a 'ciambella'; 'monstrum' da individuarsi nel motivo
evidente di culto e di venerazione etrusca per l'energia e la ciclica potenza del dio solare Tin (17),
che rinasce e si rigenera, e che pertanto genera; un 'monstrum' serpentone - cerchio non
compreso minimamente dalla scienza archeologica ed epigrafica etrusca nonostante non poche
analogie ed esempi eclatanti; nonostante le immagini diversamente disegnate (e quindi più
esplicite), come dimostra il suddetto serpentone dell' aryballosdi Montaldo di Castro.

3. La puntuazione in Magliano e in Crocores. La parola CEPEN.

Nella sua analisi epidermica e perciò semplicistica (e vedremo ancora perché) sui dati epigrafici
del dischetto il prof. Rendeli ammette tuttavia che, rispetto alla mano incerta di falsari circa gli
altri oggetti di Crocores di Bidonì e di Nabrones di Allai (falsari che sarebbero quindi più di uno), la
mano di questo falsario si dimostrerebbe molto più sicura e tale da farlo apparire un conoscitore

80
non sprovveduto dell'etrusco (18), anche se non in grado di evitare errori formali e contenutistici
(ma non si dice minimamente quali).
Procedimento davvero inconcepibile questo in un'analisi peritale di tale importanza dove persino i
dettagli contano immensamente.
Ora, se è vero com' è vero che il dischetto riproduce un serpente ricavandolo dal serpentone e
che in esso, evidentemente, si trova una parte organica dell'intera scritta di Magliano, non si può
non sottolineare una certa quale comicità che nasce dall'atteggiamento di un attuale professore di
etrusco del XXI secolo d.C. che si erge a sicuro censore e non si accorge di fare le bucce con la
matita rossoblu allo scritto di un etrusco in carne ed ossa, professore scriba del IV -III secolo a.C!
Addirittura con l'asserzione perentoria che quel prodotto è un pasticcio inverosimile (monstrum),
che non può fregare nessuno!
Ma vada per il serpente, per l'oggetto in sé, davvero difficile da individuare e da comprendere,
soprattutto con il ricorso alle 'sberle'. E del resto dei dati epigrafici, squisitamente epigrafici,
nonché paleografici, anche quelli macroscopici? E della cosiddetta 'puntuazione' (19)? Non se ne
parla? Anch'essa davvero 'mostruosa', essendo quasi inesistente e limitata a due soli 'miseri' punti
rispetto alla ricchezza di puntuazione (sempre costante con i punti di 'separazione' dei lessemi e
anche tre di particolari periodi ) del disco plumbeo di Magliano? Un altro indizio della scarsa
familiarità del falsario con l'etrusco? Ancora un segno di approssimativa scopiazzatura? Una certa
bravura ma condizionata dalla trascuratezza e dalla fretta nel riprodurre?
No, non è così che funziona. Non funziona di certo procedendo ora con il ricorso al silenzio su
alcuni dati ora con le 'grida' isteriche su altri. Perché il testo nell'analisi epigrafica va rispettato il
più possibile,soprattutto quando entrano in gioco caratteristiche salienti, importantissime (anche
perché non del tutto chiarite, come si sa) della scrittura etrusca. Niente, ma proprio niente va
trascurato e preso sottogamba.
Ogni dettaglio è importante, tanto più se si tratta, come in questo caso, di dare giudizi di estrema
responsabilità (perché penalmente molto rilevanti) di falsità o non su un certo documento. Perché
dunque quella puntuazione così parca rispetto al presunto originale? Perché quei due soli punti (v.
figg. 13 e 13 bis) che isolano una precisa sequenza alfabetica che rende la voce CEPEN?

Fig. 13 Fig.13 bis

Si potrebbe continuare con il sospetto più duro e con le sberle asserendo che il falsario ha ancora
copiato e/ o ricopiato, più o meno fedelmente, solo quella piccola parte del dischetto (anche nel
disco di Magliano i due punti separano la voce) e che abbia trascurato, per pigrizia o per altro, tutti
gli altri segni di interpunzione.
Cosa questa davvero difficile da sostenere e da provare. Anche perché molto più valida è la
considerazione che quella particolare puntuazione sia dovuta a ben altro, a qualcosa di specifico e
di attinente la scrittura etrusca; cioè al fatto che lo scriba in maniera consapevole (ricreando il
testo con 'gusto' personale) ha isolato quella voce rispetto a tutte le altre presenti nel nuovo
dimidiato serpente.

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E se la ha isolata e in qualche modo enfatizzata con quella vera e propria 'sottolineatura', vorrà
dire che essa è molto importante, forse la più importante non solo del minuscolo dischetto ma
verosimilmente anche del disco più grande. Pertanto c'è da chiedersi, cercando e tentando ogni
via possibile per capirlo, cosa significa in etrusco la voce CEPEN. Noi ce lo siamo chiesto e richiesto,
ci abbiamo lavorato a lungo su e diamo ora la nostra prudente risposta; anche se si è ben
consapevoli che con il lessico etrusco, stante l'incertezza quasi totale sulla lingua, si maneggia
sempre dinamite e le probabilità di prendere fischi per fiaschi sono sempre altissime, come sanno
bene tutti i 'traduttori' o meglio 'gli interpreti', in genere molto cauti (20), della lingua etrusca.
Una risposta che ci pare di poter offrire con notevoli margini di sicurezza dal momento che sia il
contesto (dato soprattutto dalla comprensione 'oggettiva' di che cosa è il supporto) sia quel che si
sa con certezza di lessico sintatticamente vicino alla sequenza CEPEN, ci consentono per fortuna,
per evidente accostamento organico, di agevolare la comprensione della voce.
Ora, dalle nostre conoscenze non possiamo dire se la parola CEPEN, riportata in questo o in altro
modo, significhi veramente 'serpente', ma sappiamo bene però che la sequenza vocalico-
consonantica che precede il CEPEN, e cioè ECA, è molto nota e ormai del tutto acquisita alla
grammatica e al vocabolario etrusco (21).
Infatti, ECA altro non è che il pronome dimostrativo (o meglio in questo caso 'indicativo') etrusco
con valore di 'questo, questa', 'questo qui', 'questa qui'. Questo/a chi dunque? 'ECA CEPEN,
sembrerebbe; cioè questo/a CEPEN di cui si parla, posto in risalto (in manifesta ed esclusiva
puntuazione!) e disegnato pittograficamente come cerchio -serpente; 'questo qui' ovvero il
simbolo della divinità della cui 'religio' evidentemente si tratta nel testo, opportunamente
accorciato. Testo ovviamente dato dalla sequenza dei lessemi riportati.
Eppure anche se il pronome indicativo offre un fortissimo indizio con il 'questo', 'questo qui', cioè
il supposto serpente' in 'verbo' e in 'signo', cerchiamo di provarci e di indagare ancora, senza
stancarci, dal momento che riteniamo che sia necessaria ancora qualche altra prova per
dimostrare che la voce CEPEN ha quel significato e nessun altro (22). Un significato oltre al resto
molto importante dal momento che basta leggere la letteratura per capire che il culto del serpente
o del dio solare Tin è un culto presente in Etruria soprattutto nelle raffigurazioni tombali (23).

4. La città di Capena, il fiume Capenas e i Capenati. Il dolce natalizio di Capena.

Riteniamo che come prova ulteriore ci venga in soccorso, per chiara via indiziaria, un dato molto
importante dal punto di vista lessicale etimologico riguardante una città etrusca alle porte di Roma
che si chiamava un tempo e si chiama ancora CAPENA. Il toponimo mostra di aver la stessa radice
di CEPEN, anzi d'averla identica, in quanto è nota la tendenza dell'etrusco a porre la vocale 'E' al
posto della 'A' e viceversa (24). Quindi poiché CAPEN o CEPEN non fanno foneticamente e
linguisticamente alcuna differenza il nome di CAPENA potrebbe derivare proprio da quello del
serpente; anche per il motivo che sia la città capoluogo sia il popolo dei Capenati prendevano
anticamente il nome dal fiume Capenas . Infatti, non è certo azzardato sostenere un rapporto
CEPEN/CAPEN serpente con CAPENAS fiume dal momento che dovette essere la particolare
sinuosità del corso d'acqua a offrire l'origine del suo nome (v. fig. 14)

82
Fig.14. Il fiume Capenas

Ma la prova comparativa etimologica tra CAPENA città, CAPEN fiume e CEPEN serpente, suggerita
dalla sottolineatura tramite 'puntuazione' dal dischetto di Crocores viene, per nostra fortuna,
rafforzata anche da un ulteriore dato, ovverosia da quello che offre un' antichissima ed
originalissima tradizione dei Capenati e in particolare della città di Capena: l'uso di celebrare
l'evento del solstizio d'inverno, cioè della nascita del sole (oggi evento del Natale ), con la
produzione popolare di particolarissimi dolci (v. figg. 15 -16 -17 e 17 bis) in forma di serpente
(talvolta di grossi serpenti).
Oggi i dolci si chiamano 'serpentoni' (nome più recente dovuto certamente al prevalere della
parola latina una volta che le città dell' Etruria persa l'indipendenza perse anche la sua vitalità
linguistica), ma anticamente il loro nome doveva essere quello etrusco di CAPEN(A)TONI o
CAPIN(A)TONI (25). Questo perché i dolci in forma di serpente (o di grossa anguilla) di Capena
costituivano, in età precristiana (forse sin dall'età del I Ferro), un doveroso omaggio simbolico, di
altissimo valore religioso, al dio solare TIN, grande 'apa' (padre) CEPEN, il cui culto doveva essere
celebrato particolarmente a Capena.

Fig. 15 Fig.16

83
Fig. 17 e 17 bis : Il capitone

5. Serpenti di Allai, serpenti nuragici e la 'religio' nuragica del dio 'el yhh serpente.

Il serpente o CEPEN di Crocores di Bidonì e il serpentone o CEPEN/CAPINTONE di Heba di


Magliano
si inquadrano dunque nel culto antichissimo (26) del serpente; culto che, guarda caso, si trova
particolarmente attestato nei siti archeologici nuragici di Pranu Margiani di Allai e presso la
cosiddetta 'capanna del sacerdote', in un curioso avvallamento, con parete a strapiombo, di fronte
al Nuraghe Nabrones, dove si trova scavato nella roccia un enorme serpente.
Cosa questa che non desta meraviglia, perché il culto del serpente, come si è potuto appurare da
tanti documenti scritti 'nuragici' (v. ad esempio figg. 18 -19 -20 -21 -22 -23 -24 -25 -26 -27 -28) ,
non era solo di Allai ma era diffuso in tutta la Sardegna nuragica sin dall'età del bronzo recente, se
non da prima, come simbolo del dio solare cananaico 'el yhh (27).

Fig. 18 Fig. 19 Fig. 20

Fig. 21 Fig. 22 Fig. 23

84
Fig. 24 Fig. 25 Fig. 26

Fig. 27 Fig. 28

6. Ricapitolando (con qualche considerazione finale sulla 'letteratura cultuale' delle scuole
scribali etrusche)

Quindi, ricapitolando, possiamo dire che il dischetto di Crocores mostra chiaramente, al di là di


ogni ragionevole dubbio, d'essere un oggetto autentico, con ogni probabilità legato al culto
religioso, con riferimento simbolico oltre che al serpente al 'cerchio' (lo stesso dischetto, il
supporto), ovvero al disco luminoso solare-lunare del dio androgino etrusco, padre e madre (apa
atic) assieme, Tin-Uni.
Rispetto al serpentone di Magliano vuole essere deliberatamente un serpente più piccolo, un
serpentello con cinque (28)spire invece di sei e, naturalmente, con lessico opportunamente
ridotto rispetto a quello della formula (d'invocazione o/e di augurio, o di protezione contro il
negativo, ecc.) più estesa e più completa.
Non è detto però, data la odierna autorevole testimonianza di Crocores di Bidonì, che di serpenti
scritti in forma di disco (solare), a 'ciambella' , con linee a spirale, non ne esistessero anche degli
altri. Niente autorizza ad escluderlo. Anzi. Potrebbe darsi che l'archetipo, considerato anche il
materiale scrittorio scadente (piombo) del 'disco' di Magliano, fosse un altro ancora: un oggetto di
metallo più pregiato (bronzo) o di pietra dura di un santuario capenate diventato in qualche modo
famoso; tempio dal quale potrebbero aver attinto entrambi i manufatti sia di Crocores che
di Heba. E chissà quanti altri dischi e dischetti con serpentoni e serpentelli.
Inoltre è' più che lecito ipotizzare che nelle scuole scribali etrusche, sorte e prosperanti nei
santuari dell'Etruria o della Sardegna, fossero presenti più oggetti scritti attinenti il culto; oggetti
non necessariamente originali ma copie e/o rifacimenti più o meno fedeli di altri, da usare, tra
l'altro, come modelli per le esercitazioni degli apprendisti scribi; costretti questi ad imparare e a

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conoscere non solo gli alfabeti dai diversi alfabetari (29), non solo molti esempi di scrittura da
particolari 'exempla' testuali (riportati su cocci, su
pelli, su legno o su altro materiale) ma anche e soprattutto una 'letteratura' formulare religiosa
templare molto nota e quasi d'obbligo, riguardante il culto di questo o quel dio e in particolare
quello soli-lunare di Tin/Uni.
Tanto più poi se quella 'letteratura' risultava utile in quanto si adattava sincretisticamente al culto
di divinità di popolazioni di territori differenti e permetteva, con tutte le conseguenze
immaginabili (soprattutto sul piano economico), l'allargamento della base dei credenti e dei
devoti.
L'esempio più eclatante di questa letteratura' religioso - cultuale ricopiata e presente nei luoghi di
culto lo abbiamo nel documento etrusco più famoso perché il più esteso dal punto di vista lessicale
e cioè nel cosiddetto 'liber linteus', nelle bende della cosiddetta Mummia di
Zagabria (30) rinvenute addirittura in Egitto. Quelle bende scritte in etrusco riportano, come ben
sanno gli studiosi, un linguaggio ripetitivo o formulare di un testo archetipo di qualche santuario
nonché scuola scribale etrusca; ripetitività e formularità così estese e pronunciate che
praticamente riducono la ricchezza e la varietà delle voci ad un terzo circa del totale. Quindi le
bende egizio-etrusche custodite nel museo di Zagabria altro non sono, ovviamente in formato
letterario più esteso, se non quella 'copiatura' di scuola religiosa che il dischetto di Crocores attua
rispetto al cosiddetto disco di Heba di Magliano di Grosseto o, con maggior probabilità, rispetto ad
un altro disco ancora.
In questo scenario riteniamo che si comprendano molto bene quelle che sono state giudicate,
avventatamente e frettolosamente, più o meno infelici o infelicissime 'imitazioni' di falsari: come si
riproduceva la forma e una parte del lessico formulare del disco - serpente di Heba di Magliano (o
di qualche altro prototipo), così si riproducevano in sede scribale nelle scuole etrusche e,
ovviamente anche in quella sarda ed etrusca di Crocores di Bidonì, parti del lessico formulare del
fegato di Piacenza; lasciando ora intatto il testo di partenza ora modificandolo, riportandone dei
brani, a seconda della volontà o della capacità di 'variatio' letteraria ed epigrafica dello scriba o
dell'apprendista scriba.
Infatti, abbiamo già fatto presente (31) nell'esame di Crocores 6 che il testo (v. figg 29 -30) è
certamente preso dal settore delle caselle del Fegato di Piacenza ma abbiamo spiegato che quel
testo, riferentesi alla 'religio' di Tin e di Uni (ancora e sempre quella!), è stato in parte modificato
(anche dal punto di vista lessicale -grammaticale con evidente variazione dell'imperativo (32) di
ispirazione greca) per esigenze di carattere numerologico (la presenza del numero 3 e del numero
9, fondamentali perché simboli affatto trascurabili (33) della divinità androgina etrusca).
In altre parole, i documenti di Bidonì e di Allai (Crocores e Nabrones) sono sicuramente delle parti
ricopiate da altri documenti; ricopiate o riprese non certo da falsari ma da etruschi in carne ed
ossa che riprendevano modificandola, dove più e dove meno, la 'letteratura' religiosa, i 'sacri testi'
noti e canonici riguardanti la divinità e il suo culto; letteratura esistente non in un solo santuario
ma certamente in più santuari tra di loro collegati.

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Fig. 29 Fig. 30

Ne consegue che sia nel caso del dischetto di Crocores sia in quello di Crocores 6 (e naturalmente
anche negli altri documenti accusati di falso) si constata solo organicità, una ripresa cosciente e
non una scopiazzatura dei presunti originali. Infatti, dall'attenta analisi epigrafica e contenutistica,
essi si dimostrano essere ben altra cosa rispetto ai modelli e contraddicono clamorosamente
quanto supposto dalla 'scienza' supponente, frettolosa e ingenuamente troppo sicura di sé (v. fig.
34) *.
I due documenti di Crocores (e tutti gli altri) si dimostrano quindi importantissimi non solo
perché, come abbiamo già fatto osservare in più circostanze (34), tendono a far notevole luce, a
dare una prospettiva nuova sul versante specifico della scrittura e della lingua, ma anche su quello
della 'religio' etrusca. Luce sulla coppia TIN/UNI, Padre -Madre, Sole -luna: decisamente la più
importante rispetto a tutte le altre divinità.
Infatti, senza l'individuazione del serpentello di Crocores era assai difficile comprendere non solo
la simbologia dell'oggetto, il perché di quella forma circolare a spirale e a ciambella , ma ancora
più difficile, senza l'individuazione di una particolare 'puntuazione', tesa alla sottolineatura di una
singola parola, l'argomento e il soggetto per il quale quel particolare oggetto, piccolo o grande che
fosse, era stato concepito.
L'etrusco di Bidonì, ritenuto assurdamente falso, è invece inopinatamente quello che, con la sua
chiarezza di
simboli di natura pittografica e lineare, ci spiega l'etrusco autentico e non soggetto a sospetti di
sorta; ma un etrusco ritenuto per lungo tempo oscuro e indecifrabile o, al più, parzialmente
decifrabile.

7. Tipologia delle lettere etrusche, andamento delle spire e sbarrette dei due documenti

Naturalmente ci sarebbe ora da fare l'operazione in genere ritenuta la più importante dal punto
di vista della norma e della scienza epigrafica: analizzare cioè una per una ogni lettera del
dischetto, esaminarne la tipologia (35) e la collocazione nelle spire, osservare attentamente il
tracciato di queste rispetto al presunto originale.
Essendo però già più che sufficiente, a nostro parere, quello che sul dischetto si è capito e si è
detto, basti il riporto sintetico, in parallelo sinottico con tabella, di tutte le lettere presenti nel
supporto circolare e nella parte interessata 'accorciata ' (v. fig. 31) di quello di Heba di Magliano.
Così come si riportano in tabella il diverso movimento delle spire concernente le due spirali (v.
figg. 32 - 33).
Lasciamo pertanto ai volenterosi (anche ai non specialisti) notare le differenze (le vistose
differenze), le quali, in quanto tali, dati i presupposti, non vanno ascritte alla mano di uno che
copia senza capire o capire poco di un certo modello, ma alla mano di chi forse neanche 'copia'

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perché sa a memoria il contenuto di certi testi, ricorda bene e bene sa scrivere l'etrusco, con una
sua specifica grafia. Una grafia certo del suo tempo ovvero 'datata' ma 'tutta' sua.
La grafia autentica di uno scriba (maestro o alunno che sia) di una scuola scribale etrusca (e forse
nuragico - etrusca) della Sardegna del IV - III secolo a.C. Come lasciamo ai volenterosi notare la
mancanza di tre lettere (i, u, θ) rispetto al presunto originale e la modifica di due successive, segno
evidente della lieve correzione apportata al testo 'letterario', con ogni probabilità, in seguito alla
'sottolineatura' con puntuazione della voce CEPEN.

Fig. 31

Fig.32 Fig.33

Essendo stato riportato negativamente (molto negativamente) il parere dell'esperto etruscologo


prof. Rendeli sulla falsità o non del dischetto di Crocores, per motivi di doverosa correttezza,
dovendo ognuno farsi un parere il più chiaro possibile su quanto effettivamente affermato da altri,
riportiamo (così come sempre in altre occasioni riguardanti pareri diversi o totalmente diversi dal

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nostro sul piano ermeneutico), l'intero brano in fotocopia del rapporto peritale inviato dallo
studioso alla Sovrintendenza di Sassari; rapporto oggi agli atti del processo penale in corso nei
confronti del rag. Armando Saba.

Fig.34

Note e riferimenti bibliografici

1) Si pensi soltanto, per restare sul piano della lingua e della scrittura etrusca, alla 'quaestio' circa la serie numerale in
etrusco ritenuta, a secondo della interpretazione ricavabile dai famosi dadi di Tuscania, ora attinente in qualche modo
alla numerazione indoeuropea ora a lingue preindoeuropee. Sulla stessa sequenza i pareri sono discordi e,
praticamente, si concorda solo sul numero tre (ci). Cf. K. Olzscha, Etruskische thu "eins" und indogermanisch *du-oo
"zwei"; in «Indogermanische Forschungen», 73 (1968); M. Pallottino, Etruscologia, 1984; G. Bonfante, Lingua e cultura
degli Etruschi, 1985; M. Cristofani, Introduzione allo studio dell'etrusco, OLSCHKI 1991; A. Morandi, Nuovi lineamenti di
lingua etrusca, 1991; M. Pittau, La lingua etrusca, Insula 1997; A.J. Pfiffig , Die Eruskische Sprache, 1998;
2) V. G. Sanna, Gli Etruschi nella Sardegna centrale tra il VI e il II secolo a.C (estratto della relazione tecnico -scientifica
per il Comune di Allai) ; in Paraulas, Rivista di economia, storia, lingua e cultura sarda diretta da F, Pilloni, Anno X,
n.30, pp. 3 -11.

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3) G. Sanna, Falsi di Allai. Crocores 6 un documento fasullo? Davvero davvero? In Gianfranco Pintore Blogspot.com (9
gennaio 2011); idem, Crocores 2 di Bidonì. Etruschissimo. Purché non capovolto, in Gianfrancopintore. Blogspot.com
(15 febbraio 2011).
4) V. testo della relazione alla fig. 32.
5) ...l'autore del nostro testo si è limitato a tranciare in maniera più o meno 'allegra' la penultima spira creando in
questa maniera una sorta di 'monstrum' epigrafico ( v. ancora testo della relazione alla fig. 34)
6) Il numero 'cinque' , così come il numero 'tre' e il numero 'dodici', e non è senza importanza nella scrittura religiosa
dei santuari etruschi. Sono questi gli stessi numeri, con valori 'logografici', presemti e abbondantemente documentati
nella scrittura nuragica. V. G.Sanna, Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei sardi; in Monti Prama, Rivista semestrale
di cultura di Quaderni Oristanesi, n° 63, Giugno 2012, 3 -30.
7) La perfetta 'progressione', con la parziale cancellazione delle lettere, fa capire che la parte terminale del serpente
(della 'spirale') ha subito una lenta ma costante azione erosiva dell'acqua corrente nel letto del fiume (poi divenuto
lago).
8) G.Sanna, Scrittura nuragica, cit. , pp. 12 - 17.
9) Detta sequenza è AM. AR per il disco di Magliano (con segno d'interpunzione). Mentre è AMAR (senza segno
d'interpunzione) in Crocores 6. Si veda per la lettura AM AR finale del disco di Magliano anche la relazione Rendeli (v.
fig 34).
10) Il grafema è ascrivibile al periodo cosiddetto 'tardo' dell'alfabeto etrusco, ovvero al IV -III secolo a.C.
11) Il 'lusus' scribale per realizzare a rebus dei pittogrammi attraverso le lettere alfabetiche o, viceversa, delle lettere
alfabetiche attraverso pittogrammi è ugualmente della scrittura nuragica. Numerosi esempi di ciò si trovano nei sigilli
cerimoniali regali di Tzricotu di Cabras dove, ad es. la testa di un antropomorfo è riportata attraverso una lettera
ugaritica (gamla) o la lettera yod è criptata attraverso il 'sesso' o le 'narici' della protome taurina disarticolata ( V. G.
Sanna, Sardôa Grammata, 'ag 'ab sa'an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico, 2004, 4, pp. 85 - 179).
12) Il particolare è ben visibile nell' originale. Qualche riproduzione che circola anche in 'internet' è da considerare con
molta prudenza, non solo per una certa approssimazione nel riporto dei caratteri etruschi ma anche delle stesse spire
del serpente. Il 'testo' che consigliamo, per la parte che ci interessa, è quello riportato nell'articolo di F. Roncalli (v. più
avanti alla nota 15.)
13) Praticamente risultano quasi mancanti 2/3 cm della circonferenza del dischetto e stando almeno alla quantità di
lettere della quarta spira mancano all'appello 4 o 5 segni.
14) V. la lettera di donazione di Armando Saba al Sindaco e al Comune di Allai ( Paraulas, cit. p. 13).
15) V. F. Roncalli, Etruschi, le parole; in FMR (mensile di F. M. Ricci), Novembre 1985, p. 33 e pp. 129 - 136; L. Storoni,
Etruria capta, ibid., pp. 138 - 143.
16) In tutto 51 lettere alfabetiche e 12 segni d'interpunzione.
17) Per il dio solare Tin sposo di Uni e la religione etrusca si veda M. Torelli, Archeologia in Etruria Meridionale, 2006,
pagg. 249 - 286. Tin e Uni corrispondono alle divinità romane Giove e Giunone. Il loro culto era conosciuto in Sardegna,
sincretisticamente rielaborato e unito alla divinità nuragica androgina yh, come dimostrano le iscrizioni del
Nuraghe Rampinu di Orosei e la lastra mortuaria di Giorre Utu Urridu di Allai. Cf. G. Sanna, Gli Etruschi di Rampinu,
nella costa di Orosei; in Gianfrancopintore. blogspot. com (6 Ottobre 2009); idem, Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi
dei Sardi (I); in gianfrancopintore.blogspot.com (14 giugno 2012); idem, Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei Sardi
(II); in gianfrancopintore.blogspot.com ( 15 Giugno 2012). Ora in Monti Prama, Rivista semestrale di cultura di
Quaderni Oristanesi, 2012, n° 63, pp. 3 -30.
18) V. relazione Rendeli alla fig. 34.
19) V. M. Cristofani, Introduzione allo studio dell'etrusco, cit. p. 28.
20) Sulla saggia preferenza data al termine 'interpretazione' piuttosto che 'traduzione' per la lettura dei brani di lingua
etrusca si veda ancora Cristofani, Introduzione ecc., cit., IV, Testi, pp. 107 -151.
21) V. M. Cristofani, Introduzione ecc., cit. II, pp. 72 -73; M. Pittau, La lingua etrusca, cit. pp. 101 -103.
22) M. Pittau in La lingua etrusca cit., Lessico, pp. 180 -181 riporta la voce CEPEN con significato di 'sacerdote'
rapportandola alla radice del latino 'cupencus' (!?). Inoltre ritiene, sulla base della lettura della 'tabula capuana', che
debba trattarsi della variante fonetica CIPEN ugualmente con significato di 'sacerdote'. Risulta evidente, da ciò che si è
detto e che ancora si dirà, che la parola etrusca non può avere quel supposto valore.
23) G. Sanna, Monti Prama ecc. cit. pp. 14 - 17.
24) M. Cristofani, Introduzione ecc. cit. p. 41; M. Pittau, La lingua etrusca, cit. p. 45.
25) Da cui l'italiano 'capitone', voce che solitamente si fa risalire al lat. ' caput, capitis' perché l'anguilla avrebbe la...
testa grossa. Ognuno può vedere che il capitone è un 'grossa anguilla' ma non con la testa 'grossa' in quanto
proporzionata (come quella di tutte le anguille). E' evidente che la voce 'CAPENTONE/ CAPINTONE' (si ricordi lo
scambio frequentissimo nell'etrusco tra 'E' ed 'I)', per esito fonetico del tutto normale ( caduta della nasale davanti
alla dentale), è diventata ' capitone': CAPENTONE / CAPINTONE > CAPITONE.

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26) Il culto del serpente ha origine forse nella religione caldea o in quella egiziana. Gli egittologi sanno bene che la
parola egiziana 'it' (padre) è seguita da un serpentello 'cerasta' cornuto come determinativo. Esso significa 'padre', così
come la stessa parola ' it', perché il simbolo delle creatore del mondo, del 'padre' del mondo (e in seguito solo quello
comune di 'padre'), era il serpente. Quindi chiunque fosse ' 'padre' era anche 'serpente' ( V. C. Jacq, Il segreto dei
geroglifici, 1995, pp. 125 -126). Per la simbologia del serpente come principio e vita del mondo si vedano J. Chevalier -
A. Gheerbrant , Dictionnaire des Symboles, Mythes , Rȇves, coutumes , gestes, formes, figures, couleurs, nombres,
Laffont ed. 1982, pp. 867 - 878.
27) G. Sanna, La pietra nuragica di Losa. Tre simboli e un universo concettuale; in gianfrancopintore. blogspot.com (29
novembre 2009); idem, Serpentelli di tutti i nuraghi unitevi!; in giangrancopintore.blogspot.com (16 gennaio 2010).
28) V. nota 6.
29) Due di questi non completi, in pezzi di ceramica 'rossa' di chiara tipologia etrusca, sono stati rinvenuti dal
rag.Armando Saba nel letto del fiume Tirso durante il periodo in cui il Lago Omodeo era in secca (v. Paraulas, Rivista di
economia, storia, lingua e cultura sarda , cit. pp. 3 - 11 e 13 - 14).
30) J. Krall, Die etruskischen Mumienbinden des Agramer National-museums. Wien 1892; K. Olzscha, Interpretation der
Agramer Mumienbinden; idem, Die Kalendardaten der Agramer Mumienbinden; in Aegyptus 39 1959 pp. 340 segg.; in
Klio Beiheft 40 Leipzig 1939; A.A.J. Pfiffig, Studien zu den Agramer Mumienbinden; in Denkschriften der Österreiches
Akademie der Wissenshaften, philosophische-historische Klasse Bd. 81 Österreichische Akademie der Wissenschaften,
Wien 1963; .F. Roncalli, Etruschi, le parole, cit. p. 134 e fig. p. 135; M. Pittau, La lingua etrusca, cit. p. 33; L. B. van der
Meer, Liber linteus zagrabiensis. The Linen Book of Zagreb. A Comment on the Longest Etruscan Text. Louvain/Dudley,
MA 2007; F. C. Woudhuizen, Ritual prescriptions in the Etruscan Liber linteus, Res Antiquae 5 Bruxelles 2008 p. 281-
296.
31) V. Sanna G., Falsi di Allai. Crocores 6 un documento fasullo? Davvero davvero? cit.
32) TISaq (imperativo aoristo primo 2a pers. plurale del verbo tίnw)al posto di TINeT( imperativo presente).
33) Per rendersene conto basta solo osservare la simbologia numerica del tre e del nove, attuata con l'uso delle mani,
nel famoso 'sarcofago degli sposi' di Cerveteri (di cui si parlerà in un altro articolo).
34) V. Sanna G., Crocores 2 di Bidonì. Etruschissimo. Purchè non capovolto!; in gianfrancopintoreblogspot.com (15
febbraio 2011).

Nota aggiuntiva: Armando Saba è stato completamente scagionato di ogni accusa, con sentenza
del Gennaio 2015

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