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Nietzsche nietzscheana

La morale dell’eroe saggi


10

Giuliano Campioni

Edizioni ETS
A
partire da Umano, troppo umano, nella filosofia di Nietz­
sche, accanto al genio e al santo, si “ congela l’eroe” esalta­
to nella metafisica dell’arte della Nascita della tragedia.
Questo contrasta certamente con la figura consolidata del mito
eroico di Nietzsche che ha comunque caratterizzato, in più modi e
direzioni, la fortuna e talvolta perfino il culto del filosofo.
Il tema dell’eroismo appare un termine di confronto continuo e
centrale che permette al filosofo di differenziare la propria posi­
zione dalle molte “morali eroiche” dell’epoca (da Carlyle a Gobi­
neau, da Wagner a Baudelaire).
La prima parte di questo lavoro percorre il tema dell’eroismo in
Nietzsche cogliendone - fino alla radicale critica - i significativi
mutamenti: la filosofia dello spirito libero dissolve, con le certezze
metafisiche, ogni propensione verso una morale eroica che può ar­
rivare all’estremo ascetico sacrificio di sé. La seconda parte è de­
dicata alla complessa figura di Socrate, “eroe” della decadenza, la
cui scelta di morte rivela il vero senso della sua filosofia. La terza
parte analizza la lotta di Nietzsche contro le “ ombre di Dio” che
offuscano l’orizzonte, le diverse figure ed atteggiamenti che il
grande avvenimento della morte di Dio produce. L’“ uomo superio­
re” della quarta parte di Zarathustra ha in sé i caratteri dell’eroi­
smo: dalla lotta contro il movimento di Verkleinerung che porta al
dominio dell’“ ultimo uomo” , alla necessità del proprio tramonto
per il sorgere di una forma di esistenza legata a nuovi valori.

ISBN 9 7 8 - 8 8 4 6 7 2 2 4 5 - 4

€ 16,00 9 788846
111 722454
Eroismo - è il sentimento di un uomo che aspira
a un fine rispetto al quale egli medesimo
non conta più nulla. Eroismo è la buona volontà
del tramonto assoluto di noi stessi.

Deve ancora disimparare la sua volontà eroica


[...]. Ha soggiogato mostri, ha risolto enigmi:
ma egli dovrebbe liberare anche i suoi mostri
e i suoi enigmi e trasformarli in figli del cielo.

Friedrich Nietzsche
allievo della Scuo­
G iu l ia n o C a m p io n i
la Normale Superiore di Pisa, si è
laureato nel 1970 in Filosofia presso
l’Università di Pisa con Nicola Ba­
daloni. Ha insegnato all’Università
di Lecce e di Pisa dove attualmente
è professore di Storia della filosofia.
È direttore del Centro interuniversi­
tario “ Colli-Montinari” . Dal 2001 è
coordinatore nazionale di ricerche
interuniversitarie. È curatore e re­
sponsabile del completamento e re­
visione dell’edizione italiana Colli-
Montinari delle Opere e de\VEpisto­
lario di Nietzsche e della nuova edi­
zione dei Frammenti postumi 1869-
1889 in 21 voll. (Adelphi 2004). È
tra i curatori del Catalogo della bi­
blioteca del filosofo (de Gruyter
2003). Ha compiuto studi sulla filo­
sofia e sulle culture tedesche e fran­
cesi dell’800 e del ’900, con partico­
lare riferimento a Nietzsche ed alla
sua fortuna. Si è occupato, nell’am­
bito della storia della filosofia italia­
na, della “crisi dell’attualismo” e di
alcune figure del movimento positi­
vista. Ha indagato momenti e figure
centrali della riflessione francese sui
temi dell’etnocentrismo, del razzi­
smo e dell’identità nazionale.
Tra le pubblicazioni recenti: la cura
delle Lettere da Torino di Friedrich
Nietzsche (Adelphi 2008) e degli
Scritti filosofici di Ernest Renan
(Bompiani 2008); la monografia Der
französische Nietzsche (de Gruyter
2009).
nietzscheana
10
collana diretta da
Giuliano Campioni, Franco Volpi

Sandro Barbera, già condirettore della collana sin dalla sua nascita nel
2004, è improvvisamente scomparso il 5 febbraio 2009. Segnaliamo
uno scritto di Giuliano Campioni in sua memoria su questa pagina:
www.schopenhauersource.org/barbera.html
Giuliano Campioni

Nietzsche
La morale dell’eroe

Edizioni ETS
w w w .ed izio n iets.co m

Pubblicato con un contributo dai fon di PR IN 2005 cofinanziati dal M IUR


e dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pisa

© Copyright 2008
EDIZIONI ETS /
Piazza Carrara, 16- 19, I-SóDiVPisa
info@edizioniets.com
www.edizioniets.com

Distribuzione
PD E, Via Tevere 54 , 1-50019 Sesto Fiorentino | Firenze |

ISBN 978-884672245-4
memoria di Sandro Barbera
Introduzione

«Lopposto di una natura eroica».


Per una lettura antimitica di Nietzsche

- «Io sono l’opposto di una natura eroica» (EH, Perché sono


così accorto 9). Così Nietzsche, in Ecce homo, conclude il brano
che mostra, con metodo genealogico, «come si diventa ciò che
si è» riassumendo il percorso che lo ha portato alla perfetta ma­
turità della forma. Il filosofo caratterizza la propria persona, in
quella particolare esposizione di sé alla fine della sua avventura
di pensiero, con tratti fortemente antieroici e antifanatici. Del
suo libro dichiara: «L’ho scritto per distruggere alla radice ogni
mito su di m e»1 e, in ima lettera a Heinrich Köselitz del 30 ot­
tobre 1888: «Non vorrei assolutamente presentarmi all’umanità

1 FP 25[6] dicembre 1888-gennaio 1889. Le lezioni, affollate di uditori, sul ‘radi­


calismo aristocratico’ di Nietzsche, tenute a Copenhagen nell’aprile-maggio 1888 da
Georg Brandes, il critico danese cosmopolita, rappresentano il primo contatto del filo­
sofo con un pubblico più vasto, al di là della cerchia ristretta in cui finora era stato va­
lorizzato. Nietzsche comunque coglieva i segni di pericolosi fraintendimenti e ‘mitizza­
zioni’ già nella devozione acritica di alcuni seguaci in cerca di nuove fedi, nella lettura
germanica, idealistica, ‘eroica’, addirittura ‘antisemita’, e in quella biologico-darwinia-
na, del superuomo. «L a parola “ superuomo” [...] è stata intesa, quasi ovunque, con to­
tale innocenza, nel senso proprio di quegli stessi valori il cui opposto si è manifestato
nella figura di Zarathustra» (EH, Perché scrivo libri così buoni 1). Si veda anche la lette­
ra a Franz Overbeck del 24 marzo 1887: «C ’è un fatto curioso di cui divento ogni gior­
no più cosciente. H o un “influsso”, molto sotterraneo, ben inteso. In tutti i partiti radi­
cali (socialisti, nichilisti, antisemiti, cristiani ortodossi, wagneriani) godo di una straor­
dinaria, quasi misteriosa, considerazione. L’estrema purezza dell’atmosfera, in cui mi
sono posto, seduce». «Zarathustra, l’“uomo divino”, è piaciuto agli antisemiti; ne esiste
un’interpretazione specificamente antisemita, che mi ha fatto ridere molto».
8 Nietzsche. L a morale dell’eroe

come profeta, mostro, spauracchio morale». Nietzsche raccon­


ta se stesso attraverso la propria minuta quotidianità fatta di
«piccole cose, secondo il giudizio comune»: lontano ogni sfon­
do grandioso, lontana anche la corona di spine che caratterizza
l’iconografia della leggenda, lontano ogni pathos dell’atteggia­
mento («chi ha bisogno di atteggiamenti è falso ... Attenzione
agli uomini pittoreschi!»). Il grande compito presuppone la
grande accortezza nelle piccole cose: «Alimentazione, luogo,
clima, svaghi, tutta la casistica dell’egoismo - sono inconcepi­
bilmente più importanti di tutto ciò che finora è stato conside­
rato importante» (EH, Perché sono così accorto 10).
Ecce homo è anche l’ostensione di un corpo - che si realizza
essenzialmente come corpus di opere - nell’autosuperamento
della malattia e della decadenza in una superiore forma. Non
allo splendore della salute della ‘bionda bestia’ o di ‘cornuti
Sigfridi’, cui la stupidità si accompagna come l’ombra, ma alla
ripetuta pratica del dolore e della pazienza di un corpo che ha
vissuto a lungo e ripetutamente negli angoli della malattia,
Nietzsche manifesta la sua gratitudine. La malattia ha liberato il
suo spirito, gli ha dato «la capacità psicologica di “vedere die­
tro l’angolo”», alla malattia Nietzsche deve la profondità e le
nuances: «Le devo la mia filosofia» (NW, Epilogo 1). La fisiolo­
gia è il presupposto della scrittura: l’essere stato «come summa
summarum» sano, ha reso possibile lo Zarathustra che pone un
nuovo inizio: la vera prova di forza sta nella distanza da ogni
profetismo e fanatismo delle convinzioni (Zarathustra è ‘diver­
so’, «qui non parla un “profeta”, uno di quegli spaventosi ibri­
di di malattia e volontà di potenza» (EH, Prologo 4). U ‘essere
benriuscito’ si caratterizza per l’autodeterminazione nella misu­
ra, contro ogni atteggiamento eroico ed estremo che seduce
senza argomentare. 1
Le chiare affermazioni di Ecce homo esprimono la coerenza
di un atteggiamento teorizzato a partire da Umano, troppo uma­
no dove, accanto al genio e al santo, congela l’eroe. Questo in
contrasto certamente con la figura consolidata del mito ‘eroico’
li Nietzsche che, in molte direzioni e in diversi momenti, in più
Introduzione 9

modi e accentuazioni, ha comunque caratterizzato la fortuna e


talvolta perfino il culto del filosofo2. Da tempo il lavoro storico
e filologico, legato soprattutto all’edizione Colli-Montinari, sta
fornendo strumenti per una collocazione più precisa e sempre
più articolata, una migliore definizione di categorie filosofiche
centrali della riflessione di Nietzsche, del suo stile di pensiero,
dei movimenti interni al suo percorso. Emerge il duplice atteg­
giamento, che caratterizza l’originalità di Nietzsche, di assimila­
zione e di distacco dalle immagini proposte dalla sua epoca.
E tuttavia non mancano ancora approcci ideologici e imme-
diatistici alla sua filosofia, nuove letture strumentali ed anche la
cruda riproposizione, al termine di un percorso che ha bruciato
rapidamente le maschere della ‘liberazione’ e del gioco estetico,
della terribile semplificazione che lega come un destino il
Nietzsche eroico al nazismo.
Il tema dell’eroismo appare comunque un termine di con­
fronto continuo e centrale che permette al filosofo di differen­
ziare la propria posizione dalle molte ‘morali eroiche’ dell’epo­
ca (da Carlyle a Gobineau, da Wagner a Baudelaire).

La prima parte di questo lavoro percorre il tema dell’eroi­


smo in Nietzsche cogliendone - fino alla radicale critica - i si­
gnificativi mutamenti: la filosofia dello spirito libero dissolve,
con le certezze metafisiche, ogni propensione verso una morale
eroica che può arrivare all’estremo ascetico sacrificio di sé. La

2 Sulla forte presenza del tema dell’eroismo nella fortuna e nel culto di Nietzsche ri­
mando agli studi di Sandro Barbera, basati su una attenta esplorazione di archivi (tra cui
il Goethe-Schiller-Archiv di Weimar), che hanno portato alla luce e valorizzato con esiti in­
novativi e sorprendenti epistolari inediti, diari, appunti. Barbera ha seguito le varie meta­
morfosi del tema a partire dai «volumi della biografia in cui Elisabeth fissava le linee ca­
noniche per il culto del fratello, descritto come un genio che assomma in sé anche i tratti
della santità e dell’eroismo» fino all’interpretazione agonale e guerriera di Baeumler degli
anni Trenta, riveduta radicalmente nel dopoguerra. Cfr. in particolare: L’Archivio Nietz­
sche tra nazionalismo e cosmopolitismo (in «Giornale critico della filosofia italiana», 2003,
voi. LXXXm, pp. 21-41) e “Er wollte zm Europa, wir wollten zum Reich“. Anmerkungen
zu den Nietzsche-Interpretationen von Alfred haeumler in S. Barbera, R. Müller-Buck ed.,
Nietzsche nach dem ersten Weltkrieg, E TS, Pisa 2006, pp. 199-234.
10 Nietzsche. La morale dell’eroe

seconda parte è dedicata alla complessa figura di Socrate, ‘eroe’


della decadenza, la cui scelta di morte rivela il vero senso della
sua filosofia. La terza parte analizza la lotta di Nietzsche contro
le ‘ombre di Dio’ che offuscano l’orizzonte, le diverse figure ed
atteggiamenti che il grande avvenimento della morte di Dio
produce. L’‘uomo superiore’ della quarta parte di Zarathustra,
ha in sé i caratteri dell’eroismo: dalla lotta contro il movimento
di Verkleinerung che porta al dominio delDultimo uomo’, alla
necessità del proprio tramonto per il sorgere di una forma di
esistenza legata a nuovi valori.
Avvertenza

Per gli scritti di Nietzsche, quando non diversamente indica­


to, il riferimento si intende sempre all’edizione: Friedrich Nietz­
sche, Werke, Kritische Gesamtausgabe, herausgegeben von G.
Colli und M. Montinari, de Gruyter, Berlin 1967 sgg. [KGW],
La traduzione italiana utilizzata (quando disponibile) è quella
dell’edizione italiana Colli-Montinari delle Opere di Friedrich
Nietzsche, Adelphi, Milano 1964 sgg. [Opere] attualmente da
me curata per il completamento e la revisione. Per i frammenti
postumi degli anni 1869-1874 il riferimento è ai voli. 1-4 di
Frammenti postumi, della nuova edizione da me curata (con la
collaborazione di Maria Cristina Fornari), PBA, Adelphi, Mila­
no 2004 sgg. Salvo diversa indicazione, la numerazione dei
frammenti e dei voli, delle Opere corrisponde a quella dell’edi­
zione tedesca. Per le lettere di Nietzsche e dei suoi corrispon­
denti il riferimento s ’intende sempre all’edizione: Friedrich
Nietzsche, Briefwechsel, Kritische Gesamtausgabe, herausgege­
ben von G. Colli und M. Montinari, de Gruyter, Berlin 1975
sgg. [KGB]. La traduzione italiana utilizzata (quando disponibi­
le) è quella dell’edizione italiana Colli-Montinari dell'Epistolario
di Friedrich Nietzsche, Adelphi, Milano 1976 sgg., attualmente
da me curata per il completamento e la revisione [Epistolario]. I
riferimenti sono dati utilizzando: per gli scritti di Nietzsche, le
sigle dell’edizione critica seguite dal numero dell’aforisma o del
frammento e identificando le lettere dalla data e dal nome dei
corrispondenti.
Il primo capitolo è stato pubblicato nel volume La filosofia e le
sue storie (a cura di M.C. Fornari e F. A. Sulpizio, Milella, Lecce
12 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

1998, pp. 87-133) con il titolo “Leggere Nietzsche. Dall’agoni­


smo inattuale alla critica della ‘morale eroica’”. Il secondo capi­
tolo, nel volume Socrate in Occidente (a cura di E. Lojacono, Le
Monnier, Firenze 2004, pp. 220-257) con il titolo “Il Socrate
‘monstrum’ di Friedrich Nietzsche”. Il testo dei due saggi è stato
arricchito, rivisto e aggiornato nei riferimenti. Il terzo capitolo è
inedito. I temi di questo capitolo sono stati presentati nei conve­
gni internazionali di Villa Vigoni («L’annuncio della “morte di
Dio” e la scienza come problema. Aspetti dell’attualità di Nietz­
sche», 10-13 settembre 2007); di Xalapa, Veracruz, Mexico
(«^N ietzsche ha m uerto?», 1-5 ottobre 2007) e di Malaga
(«Nietzsche y la cultura contemporanea», I Congreso Intemacio-
nal de la Sociedad espanda de Estudios sobre Nietzsche, 3-5
aprile 2008). In Appendice è tradotto il testo giovanile di Nietz­
sche Ueher das Verhältniß der Rede des Alcibiades zu den übrigen
Reden des platonischen Symposions non compreso nel primo vo­
lume delle Opere e analizzato nella seconda parte di questo volu­
me. Ringrazio Maria Cristina Fomari, che da tempo collabora in
maniera preziosa alle edizioni da me curate, per avermi messo a
disposizione il testo di Nietzsche da lei tradotto.

Sigle

GA = Nietzsche’s Werke («Großoktav-Ausgabe»), C.G. Nau­


mann (poi Kröner), Leipzig, 1894-1926 (edizione delle ope­
re di Nietzsche in 20 voli., di cui uno dedicato agli indici,
pubblicata per iniziativa di Elisabeth Förster-Nietzsche)
KGB = Nietzsche. Briefwechsel, kritische Gesamtausgabe, a cura di
Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Walter de Gruyter,
Berlin-New York, 1975 sgg.
KGW = Nietzsche. Werke, kritische Gesamtausgabe, a cura di Gior­
gio Colli e Mazzino Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-
New York, 1967 sgg.
KSA = Friedrich Nietzsche, Kritische Studienausgabe in 15 Ein­
zelbänden, hrsg. von GiorgkrColli und Mazzino Montinari,
Walter de Gruyter, Berlin-New York 1980,1988 2. Auflage.
Avvertenza 13

Opere ~ Opere complete di Friedrich Nietzsche, edizione italiana


diretta da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, testo cri­
tico originale stabilito da G iorgio Colli e Mazzino
Montinari, Adelphi, Milano, 1964 sgg.
Epistolario = Epistolario di Friedrich Nietzsche, edizione italiana di­
retta da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, testo criti­
co originale stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Mon­
tinari, Adelphi, Milano, 1977 sgg.
BN = Libri della biblioteca di Nietzsche (Nietzsches persönli­
che Bibliothek, hrsg. von G. Campioni, P. D ’Iorio, M,
C. Fornari, F. Fronterotta, A. Orsucci, de Gruyter,
Berlin-New York, 2002).

NA = Nachgelassene Aufzeichnungen
NF = Nachgelassene Fragmente
FP = Frammenti postumi
AC = E Anticristo
BA = Sull’avvenire delle nostre scuole
AC = E Anticristo
CV = Cinque prefazioni per cinque libri non scritti
DS = David Strauss, l’uomo difede e lo scrittore
EH = Ecce homo
FW = La gaia scienza
GD = Il crepuscolo degli idoli
GM = Genealogia della morale
GT = La nascita della tragedia
HL = Sull’utilità e il danno della storia per la vita
JG B = Al di là del bene e del male
M = Aurora
MA = Emano, troppo umano
NW - Nietzsche contra Wagner
SE = Schopenhauer come educatore
UB = Considerazioni inattuali
VM = Opinioni e sentenze diverse
WA = Il caso Wagner
WB = Richard Wagner a Bayreuth
WS = Il viandante e la sua ombra
ZA = Così parlò Zarathustra
Agonismo “inattuale” e critica
della “morale eroica”

1.L e ‘inquiete’ e ‘mutevole inclinazioni


del giovane Nietzsche
Di nessuna grande personalità è conosciuto in così larga mi­
sura, come per Nietzsche, il materiale postumo relativo agli an­
ni dell’infanzia e della fanciullezza: disegni, abbozzi di drammi,
poesie, poemi, composizioni musicali, riflessioni autobiografi­
che e critiche sui più vari argomenti etc. Nella canonica del vil­
laggio natale il piccolo figlio del pastore è affascinato in parti­
colare dalla stanza del padre: «L e file dei libri, molti dei quali
illustrati, le pergamene, rendevano quel luogo uno dei miei sog­
giorni prediletti»1. Così pure, nel vicino villaggio di Pobles, do­
ve abitava la famiglia del pastore David Ernst Oehler: «L a mia
stanza preferita era lo studio del nonno, dove il mio più grande
passatempo era scartabellare tra i vecchi libri e i quaderni»2. I
taccuini di quegli anni ci restituiscono continui progetti ed ap­
punti di lettura; i libri, di cui è continua la richiesta nelle lette­
re, costituiscono nutrimento vitale per la sua formazione. Il
rapporto con la lettura diventa e rimarrà un continuo oggetto
di riflessione. C ’è in Nietzsche la precoce volontà di non subire
le forti passioni del suo temperamento: la necessità di trasfor­
marle, dominarle in consapevolezza critica e sapere. Di qui la
continua assimilazione, quasi incorporazione, di letture in una
mobile riflessione critica e intellettuale, in una continua speri­
mentazione di scrittura e di stili che appartengono interamente

1 NA 4[77] Januar-September 1858; Opere I, I, p. 16.


2 NA 4[77] Januar-September 1858; Opere I, I, p. 38.
16 Nietzsche. L a morale dell’eroe

alla volontaria costruzione di sé.


Naturale e comune per il fanciullo l’essere colpito dagli avve­
nimenti della guerra di Crimea: l’emozione mette in moto i pre­
vedibili vivaci giochi infantili con truppe di soldatini, flotte e
terrapieni per riprodurre fedelmente le battaglie. La passione
non si sfoga solo nei rumorosi giochi («con palle di pece, zolfo
e salnitro»3) comunque sorretti dalla minuta sapienza tecnica
delle vicende di guerra e registrati e regolati per scritto. Nei
quaderni troviamo anche una poesia sulla caduta di Sebastopo­
li, più Orakularia e altri complessi giochi di dadi, un Festung­
sbuch con interminabili e prolisse catalogazioni, disegni con
dettagliati piani e i movimenti dell’assedio e la presenza fanta­
siosa di un invincibile guerriero che chiamava, nel suo latino in­
certo, Vexpungnator invictus. «Saccheggiavamo tutto quanto
potevamo trovare concernente l’arte militare [...] le nostre rac­
colte si arricchivano sia di lessici, sia di libri militari nuovissimi,
e già progettavamo di scrivere insieme un grande dizionario mi­
litare»4 si legge nell’abbozzo autobiografico del 1858: le fanta­
sie ‘eroiche’ del ragazzo volgono immediatamente all’erudizio­
ne non priva di pedanteria.
Ai contemporanei soldati delle cronache di guerra, «gli eroi
che han trovato la morte» nell’assedio di Sebastopoli - su cui
Nietzsche versa lacrime e a cui, nella poesia a loro dedicata, ri­
volge un solenne saluto finale - succedono, negli interessi del
giovane, gli eroi della tradizione classica e delle saghe della mi­
tologia nordica e germanica. Troviamo, fin dai primi anni gio­
vanili, il forte fascino per le figure di eroi di primitiva e selvag­
gia grandezza, caratterizzati già dal termine ‘sovrumano’ e da
metafore che esprimono il loro vigore animale. Tale lo sguardo
della natura superiore, capace di incutere terrore, oppure lo
sguardo di Swanhilde figlia di Gudrun {«das übermenschliche
Glänzen ihrer Augen»5).

’ N A 4[77] Januar-September 1858; Opere, I, I. p. 24.


4 Ibidem.
5 NA 16[3] Oktober 1863 bis März 1864; Opere I, I, p. 331. Nella riproposizione
Agonismo “inattuale” e critica della “m orale eroica' 17

Nel 1858 in un abbozzo di riflessione critica Su M edea,


Nietzsche mette a confronto Medea con la Chrimhilde della sa­
ga nibelungica: in Chrimhilde «domina una rozzezza tedesca,
che si abbassa fino alla bestia, mentre Medea rimane sempre
nell’ambito ideale della grecità». Ma anche i caratteri greci pri­
mitivi, come le origini «rozze e violente» di tutte le civiltà, por­
tano in sé passioni selvagge che si esprimono nelle «enormi im­
prese e avventure eroiche» come quelle della leggenda degli Ar­
gonauti (NA 4[44], [46] Januar-September 1858). Sulle origini
primitive dell’umanità il giovane si esercita anche in due rifles­
sioni critiche: Jäger und Fischer e Die Kindheit der Völker.
Giasone e Medea, il componimento poetico scolastico del
1858, accompagna altri componimenti che rivelano l’interesse
di Nietzsche per le figure eroiche dell’immaginario nazionale-
romantico, come quelli dedicati all’esecuzione a Napoli del gio­
vane ‘eroe’ Corradino, o alla leggenda del Barbarossa che dor­
me sottoterra in attesa di un risveglio che porti ‘l’età aurea’ a
tutte le terre unite «in pace e benedizione» (la leggenda, ripresa
anche da Heine, in Nietzsche è derivata direttamente da Frie­
drich Riickert).
Intorno alle figure degli eroi si unifica la multiforme attività
del giovane: i vari tentativi di composizioni drammatiche, poeti­
che, musicali di carattere eroico sono presto sorretti da una ana­
lisi critica, storica e filologica. L’interesse va prevalentemente ai
materiali epici della saga nibelungica: un esercizio poetico è de­
dicato alla morte di Sigfrido, un componimento scolastico alla
caratterizzazione della figura di Chrimhilde, la cui passione vio­
lenta e demoniaca non può essere compresa dalle nature piccole
e deboli, capaci di rispecchiare la propria impotenza solo nella
limitatezza delle loro azioni. Numerosi gli abbozzi e gli appunti
per un commento critico del Nibelungenlied volto a individuar­
ne gli aspetti genetici (il rapporto tra gli ‘elementi pagani’ e le

in rima del poema eroico serbo Der grimme Bogdan (Il feroce Bogdan), tradotto dallo sla­
vo da Talvj von Jacob, Bogdan è caratterizzato come «der starke, grimme, wutherfüllte
H eld» (NA 10[4] März-August 1861).
18 Nietzsche. L a morale dell'eroe

‘risonanze cristiane’ nell’etica e nella mitologia, l’influenza degli


ideali cavallereschi sulla formazione del mito, il lontano sfondo
storico, le caratteristiche estetiche, l’opposizione ai caratteri
omerici etc.) (NA 15[24] Aprii 1863 bis September 1863).
Nietzsche è affascinato soprattutto dalla prima figura della
storia germanica, il re degli Ostrogoti Ermanarico, il cui domi­
nio si estendeva dal Mar Nero al Baltico e la cui leggenda si svi­
luppa, a partire dalla cronaca latina di Jordanes - De origine ac-
tibusque Getarum scritta intorno al 552 - per almeno sette se­
coli contaminandosi con leggende nordiche, danesi e con la sa­
ga nibelungica. In tal modo, la morte per suicidio di Ermanari­
co nel 375 testimoniata da Ammiano Marcellino, diventa, ne La
saga dei Volsunghi e nel canzoniere eddico (Incitamento di Gu-
drun e II Canto di Hamdhir), una sanguinosa e cupa uccisione
per vendetta. Questo spinge il giovane a mettere in versi La
morte di Ermanarico, a progettare e abbozzare una tragedia ed
a comporre un poema sinfonico a programma per due pia­
noforti (avendo come modello la Dante-Symphonie di Liszt) de­
dicate alla figura deU’«ultimo e più grande eroe dei Goti»6. Gli
interessi per Ermanarico persistono, con vari intervalli, dall’e­
state del 1861 all’agosto del 1865, quando Nietzsche abbozza
un ultimo, breve schema di tragedia. Tutto quanto resta di que­
ste elaborazioni è improntato fortemente a un ingenuo eccesso
romantico fatto di passioni selvagge e primitive, notturni tradi­
menti, tempeste, roghi, sangue etc. Più significativa dell’erom-
pere senza freno della fantasia è la fredda, decisa autocritica
sulla sinfonia Ermanarico. Nietzsche, infatti, un anno dopo la
prima stesura (allora «non ero ancora in grado di analizzare im­
parzialmente il flusso di sentimenti che animava tutta l’ope­
ra»7), nell’ottobre del 1862, modifica il poema sinfonico e ne
analizza i risultati. La musica gli appare capace di decantare,
più della poesia, la forza della sua passione per la leggenda cu­
pa ed eroica di Ermanarico. Tutti i miglioramenti apportati (il

6 NA 16[3] Oktober 1863 bis März 1864; Opere I, I, p. 320.


7 NA 14[2] Oktober 1862 bis März 1863; Opere I, I, p. 251.
Agonism o “inattuale” e critica della “m orale eroica 19

«folle impeto» del nuovo finale), il recuperato vigore comples­


sivo, non redimono però la sua composizione da «acerbità ed
eccessi». L’influenza decisiva e negativa di Liszt è confessata: «I
miei personaggi non son certo dei Goti, dei Tedeschi, bensì -
non mi perito di affermarlo - figure ungheresi; [...] ardenti
anime magiare»8. Soprattutto colpisce la piena consapevolezza
autocritica del giovane che sembra anticipare - nella dichiarata
impossibilità di una poesia ‘ingenua’ - alcune mosse della sua
critica matura ai pretesi eroi germanici di Wagner: «Mancano ai
personaggi i primitivi, possenti tratti germanici; i sentimenti so­
no più scavati e moderni, troppa riflessione e troppo poco vigo­
re naturale»9. Né la via della tragedia né quella della musica
sembrano soddisfare il giovane che invece decanta definitiva­
mente tutto il materiale della leggenda di Ermanarico prima in
uno studio storico ‘molto secco’ (luglio 1861), poi in un lavoro
di carattere filologico dell’ottobre del 1863 (La formazione della
saga del re ostrogoto Ermanarico fino al X II secolo) sui cui risul­
tati esprime una ‘quasi’ soddisfazione.
Questo è il primo lavoro filologico di Nietzsche, che precede
il componimento di congedo da Pforta, in latino, sul poeta Teo-
gnide di Megara a cui è stata dedicata, da parte della letteratura
critica, maggiore attenzione. Frutto della rigorosa lezione dei
valenti suoi maestri a Pforta («Steinhart, Keil, Corssen, Peter,
uomini dallo sguardo aperto e dai freschi slanci»), è anche un
significativo esempio di quella continua volontà del giovane di
trovare nel rigore della scienza un «contrappeso alle inquiete e
mutevoli inclinazioni». Entrambi i saggi intendono recuperare
il nucleo originario, storico, della figura ‘germanica’ di Ermana­
rico - a partire dalle cronache, Jordanes, Saxo Grammaticus -
liberando e spiegando le molte incrostazioni e contaminazioni
del mito nordico (lo Jormurenck dell’Edda) di cui Nietzsche
subisce comunque pienamente il fascino terribile e sublime
‘che schiaccia l’uditore’.

8 Ibidem.
9 N A 14[2] Oktober 1862 bis März 1863; Opere I, I, p. 252.
20 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

È un fatto ben noto che la saga nordica traspone in chiave terribi­


le, misteriosa, sublime quanto in quella germanica si trova ancora nel­
l’ambito della chiarezza storica e dell’umanità [...]. La natura solitaria
e selvaggia del Nord dà l’impronta anche ai suoi canti; sono canzoni
che si levano fino al cielo come rupi, dotate di una titanica forza pri­
migenia, gigantesche nella forma. Tutta la rappresentazione è quanto
mai concisa; ogni parola, possente e greve di significato, è scagliata
come una folgore nell’azione10.

Il saggio filologico percorre analiticamente, in tutte le ramifi­


cazioni e varianti, i momenti e le scansioni della tradizione che
trasfigurano negativamente la figura storica di Ermanarico (ori­
ginariamente paragonato per le sue grandi imprese ad Alessan­
dro) in una leggenda deformata dall’odio verso i conquistatori
e che presta a Ermanarico i tratti dello stesso Attila (già ne II
canto dell’errante Ermanarico è ‘furioso’, ‘traditore’ e il mano­
scritto d’Exeter lo paragona al lupo). Secondo Nietzsche Erma­
narico è inizialmente estraneo alla tradizione nordica nibelungi­
ca e solo il nome comune di Gudrun (la maga), mette in rela­
zione due cicli di leggende. Mentre le leggende nordiche si in­
teressano solo alla cupa fine (non al precedente potere e alle vi­
cende del vasto regno), per la tradizione germanica Ermanarico
è al centro di un ciclo di leggende che si interessano alle sorti
del re prima della catastrofe. Il valore e poi la crudeltà dell’eroe
appartengono allo sviluppo del suo carattere. Comunque - af­
ferma Nietzsche - «per la saga popolare, fintanto che essa si
mantiene nella sua purezza originaria, le forti passioni sono for­
se oggetto di orrore, ma non di biasimo»11.
Il filosofo crede di poter recuperare, soprattutto in Jordanes,
i tratti originali della figura storica dell’eroe ostrogoto a cui si
attacca la leggenda. La catastrofe finale, la morte e forse il suici­
dio all’awicinarsi degli Unni di Attila, presuppongono un re
ormai vecchio, piegato dalla malattia dovuta a una ferita al fian­

10 N A 10[20] Ermanarich, Ostgothenkönig. Eine historische Skizze, März-August


1861; Opere I, I, p. 164.
11 N A 16[3] Oktober 1863 bis März 1864; Opere I, i, p. 346.
Agonism o “inattuale” e critica della “m orale eroica 21

co: una natura «fisicamente abbattuta e annientata, per poter


trovare più comprensibile il suicidio»12. Nietzsche vede bene
anche l’articolazione dei caratteri eroici nel mondo della saga
nibelungica, non omologabili in un unico paradigma. Nella
Völsungasaga e nel Canto di Hamdir, dei tre figli di Gudrun che
devono vendicare su Jörmurenk (Ermanarico) la morte della
sorella Swanhilde, Hamdir «dal sublime coraggio» ha il tipico
carattere da eroe (ein Heldencharakter) «animo acceso e batta­
gliero, molto orgoglioso, alieno dal riconciliarsi e dominato da
cieco egoismo»13. Accanto a lui Sörli «dallo spirito saggio» e
nobile riconosce la forza del destino: «Alta fama conquistam­
mo; oggi o domani moriremo. Nessuno vedrà la sera contro la
sentenza delle N om e»14. Erp, chiamato, per disprezzo, ‘bastar­
do’ e ‘nano bruno’ dai fratelli che lo uccideranno, viene assassi­
nato - ipotizza Nietzsche respingendo le motivazioni avanzate
da Simrock - per invidia della sua ‘superiorità intellettuale’ e
del suo coraggio, riunendo in sé i caratteri degli altri due.

2. Titanismo e crepuscolo degli dèi


Nietzsche subisce il fascino sublime di questi eroi violenti e
determinati nel destino di morte, figure sovrumane che agisco­
no sullo sfondo cupo dell’annunciata morte degli dèi. Questa
fine, che si accompagna a rivoluzioni e catastrofi cosmiche, è
descritta con crudo naturalismo dal canzoniere eddico e dal-
l’Edda di Sturluson Snorri. Già nella composizione poetica La
morte di Ermanarico, i neri corvi nelle «nebbie sanguigne» an­
nunciano «il rogo del mondo, il fosco e splendido crepuscolo
degli dèi»15. Nel suo primo saggio storico, Nietzsche afferma:
Quel crepuscolo degli dèi, in cui il sole si oscura, la terra sprofonda

12 NA 16[3] Oktober 186} bis März 1864; Opere I, i, p. 348.


13 NA 16[3] Oktober 1863 bis März 1864; Opere I, i , p. 333.
14 NA 16[3] Oktober 1863 bis März 1864; Opere I, I, p. 334.
15 NA 12[17] Oktober 1861-März 1862; Opere I, i, p. 187.
22 Nietzsche. L a morale dell'eroe

nel mare, vortici di fuoco avvolgono l’albero nutritore del mondo e la


vampa lambisce il cielo, è la più grandiosa invenzione mai escogitata
dal genio di un uomo, insuperata nella letteratura di ogni tempo, infi­
nitamente ardita e terrificante, eppure risolta in incantevoli armonie1617.

Nietzsche cita, a riprova, i versi dalla Vôlospà (Profezia della


Veggente) in cui la descrizione del nuovo inizio di una età del­
l’oro, dopo le cupe vicende dell’annientamento del mondo, è
affidata alla lieve immagine del ritrovamento tra l’erba delle pe­
dine d’oro con cui giocavano un tempo gli dèi: il ciclo della vita
ricomincia.
L’uso del termine Götterdämmerung}1 e il forte interesse di
Nietzsche per la mitologia eroica germanica si devono anche al­
le prime appassionate informazioni su Wagner che l ’amico
Krug gli veniva fornendo. Con lui e con Pinder Nietzsche aveva
fondato, nell’estate del 1860, l’associazione culturale Germania,
«per stimolare, e al tempo stesso tenere a freno» i giovanili im­
pulsi culturali. Krug vi aveva tenuto più conferenze su Wagner:
sul Tristano e Isotta (marzo 1861), sulla Faust-ouverture (feb­
braio 1862) e infine su L ’oro del Reno (marzo 1862) (NA
13[28] April-September 1862).
Il tema dell’eroismo si connette, fin dall’inizio, con quello
della morte di Dio, col crepuscolo degli dèi. In questa direzione
va anche l’iniziale interesse per la figura di Prometeo. Già in
una lettera di fine aprile-primi di maggio 1859 diretta all’amico
Pinder, in un piano comune di lavoro sulla figura di Prometeo,
Nietzsche è affascinato soprattutto dal tema della
fine di Zeus (in rapporto alle saghe tedesche) [...]. Vi si trova la fi­
ne di Zeus, conosciuta in precedenza da Prometeo, il solo in grado di
evitarla, in rapporto con il tramonto delle divinità tedesche, che ven­
gono annientate dalle forze della natura (le quali, presso i Greci, sono
appunto i Titani).

16 NA 10[20] März-August 1861; Opere I, i, p. 164.


17 Götterdämmerung traduce ragnamkkr dalla Edda di Sturluson Snorri: anche se il
termine più antico è ragnarek, ‘il fato degli dèi’. Wagner ha certo contribuito in manie­
ra determinante alla fortuna dell’espressione.
Agonism o "inattuale” e critica della “m orale eroica 23

Il cammino dello ‘spirito libero’ troverà nelle grette reazioni


dell’ambiente domestico un motivo continuo di sofferenza fino
ad affermare in Ecce homo la ‘disharmonia praestabilita’ con la
sorella e la madre (perfette macchine infernali capaci di ferirlo
nei ‘momenti supremi’) e a vedere nella loro esistenza «la più
profonda obiezione contro “l’eterno ritorno”» (EH, Perché sono
così saggio 3). La Bibbia conservata a Weimar nella biblioteca
postuma di Nietzsche, con i molti segni di lettura del padre,
porta annotato, accanto al nome del pastore Ludwig, con la data
di acquisto del volume (1820), il nome del figlio Friedrich con la
data 1858, l’anno in cui il giovane lascia la famiglia per andare a
studiare a Pforta ed eredita, come viatico per una ideale conti­
nuità, il volume paterno18. E questo il simbolo visibile di una
lunga catena familiare, difficile da spezzare, fatta di generazioni
di pastori, di una severa e ristretta fede luterana che si esprime
nelle angustie della ‘virtù di Naumburg’. Nelle lettere degli anni
Ottanta, in un periodo di profonda crisi, si legge tutto il peso del
vissuto quotidiano: «Consideri che vengo da un ambiente che ri­
tiene riprovevole e abietta tutta la mia maturazione; ed è stato
soltanto in conseguenza di questo che mia madre l’anno scorso
ebbe a definirmi una “vergogna per la famiglia” e “un disonore
per la tomba di mio padre”» (lettera a Malwida von Meysenbug
del 20 aprile 1883). La liberazione non poteva assumere, dato il
temperamento del giovane ed il peso dei vincoli, che il carattere
‘eroico’ di una ribellione radicale, che necessitava di ima forza
‘sovrumana’ per arrivare all’affermazione della morte di Dio.
Tali impulsi verso la libertà dalla tradizione e dalla fede sono
nutriti delle letture sotterranee degli anni di Pforta dedicate alle
figure prometeiche e addirittura sataniche: dal Manfred di By­
ron ai Masnadieri di Schiller. A tale proposito Nietzsche scrive
già nell’estate del 1859: «H o letto ancora una volta I Masnadieri
[...]. I personaggi mi appaiono quasi sovrumani, sembra di as­
sistere a una lotta di titani contro la religione e la virtù»19.

18 C fr.B N .p p . 671-672.
19 NA 6[77] Aprii-Oktober 1859; Opere I, i, p. 101.
24 Nietzsche. L a morale dell’eroe

Nietzsche si sofferma a caratterizzare la caduta dell’eroe in


Schiller, in un confronto interno tra una poesia giovanile del
poeta e un passo del dramma, con l’immagine dello splendore
del sole al tramonto. La metafora, presente anche in Byron ed
Hölderlin, tornerà più volte in Nietzsche, soprattutto nello
Zarathustra. Karl Moor vuol ripetere nel suo eroismo estremo
la virtù dei grandi uomini di Plutarco e assume lo spirito ribelle
del Satana di Milton contro la mediocrità dell’epoca, contro la
legge e la morale comune: «L a scintilla del fuoco di Prometeo
si è spenta sostituita dalla fiamma dello zolfo, un’innocua fiam­
ma da teatro [ ...]. L a legalità non ha mai generato un
grand’uomo, mentre la libertà produce colossi ed eventi memo­
rabili»20. Il filosofo stesso si esercita in brevi scritti, in un gioco
stilistico improntato a un satanismo romantico, di maniera,
spinto subito al grottesco. In tal modo si esprime e si esorcizza
ad un tempo l’irrequietudine giovanile: è il caso dell’abbozzo
della ‘ripugnante’ novella EufOrione, che fin dal titolo rimanda
alla figura di Byron (questo il nome del poeta inglese nel Faust
di Goethe), e di altri componimenti rimasti o di cui si ha noti­
zia da brevi appunti («“Satana ascende dall’inferno” insoddi­
sfazione: difficoltà a cogliere il satanico e a rappresentarlo»21).
E nota la passione giovanile di Nietzsche per il poeta inglese vi­
sto come espressione di una uhris titanica, prometeica, che
rompe ogni limite sfidando il cielo. I suoi eroi - in particolare
Manfred - non scendono a patti con nessuna forza superiore fi­
dando solo sull’energia della propria volontà. Per ben tre volte
a proposito di Manfred il giovane Nietzsche (dicembre 1861)
adopera il termine Übermensch22, - usato più volte dallo stesso
poeta inglese - per definire il personaggio, il carattere della sua
disperazione e per connotare l’opera di Byron. La crisi profon­
da della fede e la sfida nei confronti della tradizione, avevano

20 F. Schiller, Die Räuber [ / m asnadieri, atto I, scena seconda.


21 N A 14[1] Oktober 1862 bis März 1863; Opere I, I, p. 247.
22 F. Nietzsche, Über die dramatischen Dichtungen Byrons, 12[4] Oktober 1861-
März 1862; Opere 1 ,1, p. 177-183.
Agonismo “inattuale” e critica della "m orale eroica: 25

trovato, nello stesso periodo, altri strumenti di liberazione: dal­


la critica filologica ai Vangeli della scuola liberale, alla filosofia
di Feuerbach e di Emerson. Infatti, con gli appunti e i saggi
della primavera del 1862, il filosofo approda all’affermazione di
una piena immanenza, che vede nella fede cristiana, contro la
forza degli antichi che credevano nel fato, una scelta di debo­
lezza, «una incapacità a plasmare da sé, con decisione, il pro­
prio destino». Citando da L’essenza del cristianesimo di Feuer­
bach, Nietzsche pone il cammino del recupero dall’alienazione
(«Dio è diventato uomo»), come espressione di un nuovo eroi­
smo: «L’umanità acquista la sua virilità attraverso gravi perples­
sità e ardue battaglie; essa riconosce in sé “l’inizio, il centro e la
fine della religione”» 23.
Nell’aprile del 1859 Nietzsche scrive un breve dramma in un
atto dedicato a Prometeo, i cui riferimenti sono la Teogonia di
Esiodo (w. 521-564) e l’inno Prometeo di Goethe del 1773: il
primo per l’inganno a Zeus, durante il sacrificio, il secondo per
le caratteristiche del titano solitario che sfida gli dèi coprendoli
di disprezzo e rifiutando di condividere con loro il cielo. Pro­
meteo vuol governare sugli uomini da lui creati: la creazione
degli uomini a propria immagine, da parte del Prometeo
goethiano, è il tratto più rivoluzionario/superomistico dell’in­
no. Il riferimento va però anche alla composizione poetica Das
Göttliche in cui Goethe afferma il valore normativo degli im­
mortali che possono essere ‘in grande’ ciò che l’uomo è ‘in pic­
colo’ e postula una sorta di conciliazione e necessaria collabora­
zione tra il mondo umano e il divino. Sullo sfondo l’ostile in­
sensatezza della natura che non distingue buoni e cattivi e che
tutti imprigiona in un ciclo eterno. Il Prometeo di Nietzsche ri­
fiuta l’alleanza ‘di terrore’, proposta dal padre Japeto («Voglio
essere libero e sovrano di questi uomini cui ho dato l’esistenza25

25 Willensfreiheit u. Fatum, N A 13[7] April-Oktober 1862; Opere I, I, p. 213. Cfr.


L. Feuerbach, Lessem a del cristianesimo, a cura di F. Bazzani, Ponte alle Grazie, Firen­
ze 1994, cap. X IX , p. 234. In una nota di libri per il compleanno, conservata tra le carte
di Nietzsche presso il Goethe-Schiller-Archiv di Weimar, si trova indicato, di Feuerbach,
oltre a questo scritto anche Gedanken über Tod und Unsterblichkeit.
26 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

[...] non tollero alcun padrone»24). Dopo l’inganno del sacrifi­


cio, di cui gli dèi onniscienti subito si accorgono e per cui puni­
scono il titano, il coro degli uomini risolve ingenuamente - e la
soluzione estetica non è certo felice - la tensione accogliendo la
conciliazione dell’inno goethiano. L’impulso edificante permet­
te la collaborazione degli uomini con gli dèi che fungono loro -
soltanto - da norma e da specchio: «M a guai a coloro / che
adorano dèi / anch’essi non liberi / da colpe e da vizi»25. Il ten­
tativo poetico, ancora una volta, è seguito da una riflessione au­
tocritica, un dialogo umoristico/satirico che si richiama ad un
registro stilistico del tutto diverso: il modello esplicito è Jean
Paul. Si mette in scena l’incomprensione e il contrasto tra il
poeta e vari rappresentanti del pubblico: un capitano, uno stu­
dente, un professore, un consigliere, una vecchia signora. Il
pubblico che affonda, in modo diverso, nella stupidità - la
grossolanità, l’ignoranza, la pedanteria etc. - rende impossibile
un ritorno nel mondo contemporaneo al linguaggio della classi­
cità: il dialogo satirico di Nietzsche sembra annullare nell’auto­
critica ogni possibilità di tentativo epico.

3 .L a filologia e la ‘seconda natura’

Questi diversi registri di scrittura appartengono alla lenta e


metodica invenzione di uno stile che è costruzione di sé. Nietz­
sche ha insistito più volte, fin dagli appunti autobiografici del
1867-68, su una ‘seconda natura’ estorta con forza alle ‘libere’
inclinazioni considerate un pericolo. Lasciata alle spalle la meta­
fisica romantica e l’esperienza wagneriana, ai vecchi amici che
vedono nello ‘spirito libero’ una ‘decisione stravagante’ che lo
estranea da se stesso, Nietzsche ribadisce: «Soltanto grazie a
questa seconda natura ho preso possesso della mia prima natu­
ra» e, in modo più radicale, in una lettera a Rohde: «H o ima

24 Prometheus, N A 6[2]; Opere I, X, p. 61.


25 Prometheus, N A 6[2]; Opere I, l, pp. 66-67.
Agonism o “inattuale” e critica della "m orale eroica: 27

“seconda natura”, però non per distruggere la prima, bensì per


reggere a questa. La mia “prima natura” mi avrebbe distrutto
già da un pezzo - anzi mi aveva già quasi distrutto» (a Hans von
Bülow, primi di dicembre 1882 e a Rohde, stesso periodo)26.
Anche per la poesia il tentativo, sempre consapevole e forte­
mente autocritico, dell’‘operoso fabbricatore di rime’, che arriva­
va ad imporsi, per un certo periodo, di scrivere una poesia al
giorno, è quello di «mostrare non già come si nasce poeti, bensì
come lo si diventa»27. Una continua e insoddisfatta analisi («Scri­
vevo orribili poesie, ma col più grande ardore»28) che segue evo­
luzioni e decise svolte, e la richiesta principale ai propri versi:
«Mancava pur sempre la cosa principale, i concetti», «Una poe­
sia priva di concetti ma ammantata di frasi ed immagini assomi­
glia ad una mela rossa di fuori, che all’interno ha il verme», «Una
trascuratezza nello stile si perdona più facilmente di un’idea con­
fusa». Così pensa il giovane di quattordici anni che ancora vuole
sentire, nelle sue vicende, la guida sicura di Dio, che sente la mu­
sica come «splendido dono di Dio» capace di elevare e guidare
verso il Bene e la Verità ed esprime tutta la sua diffidenza verso
la stravaganza e confusione della «cosiddetta “musica del futu­
ro”»29. Nietzsche esplicita fin dagli anni giovanili il suo fondo
‘tellurico’, la sua natura impulsiva, passionale, ricca e debordante
in più direzioni. Ben presto coglie come il libero abbandono agli
impulsi possa essere dissolvente e come sia necessaria una consa­
pevole rinuncia ed una limitazione del campo di attività. Questa
sensibilità si esprime spesso nella assidua funzione pedagogica
(talvolta rude) verso gli amici e ancor più verso se stesso.
La prima lettura di Schopenhauer (nel 1865) significa la deci­
sione di vivere, fino in fondo, la filosofia di quel «genio cupo ed
energico». Ciò provoca nel filosofo una vera «rivoluzione spiri­
tuale», ma anche «una violenta agitazione nervosa» e il pericolo

26 Sul tema della ‘seconda natura’ cfr. NA 6011] Herbst 1867 bis Frühjahr 1868;
Opere I, II, p. 266; H L 3, BA 2; M 455.
27 NA 14[12] Oktober 1862 bis März 1863; Opere I, I, p. 258.
28 Mein Leben, NA 18[2] Sommer 1864; Opere I, i, p. 444.
29 NA 4[77] Januar-September 1858, Opere I, I, pp. 43, 42.
28 Nietzsche. La m orale dell’eroe

di follia: il rimedio è visto nell’ordine, nell’«obbligo degli studi


regolari». Significativa la riflessione sull’amico Romundt - «in
lui erano disperatamente mescolati i tratti di studioso, poeta e fi­
losofo»30 - che diventa specchio negativo dei pericoli in cui può
incorrere la pluralità di aspirazioni e di doti che non abbiano al­
cuna definizione di traguardi: l’impotenza e la «perpetua insod­
disfazione». Gli scritti autobiografici insistono sui pericoli della
dispersione che può diventare disgregazione: il «vagabondare
senza meta in tutti i campi dello scibile» («Giungevo perfino a
disegnare e a dipingere»31, «Mi ero talmente immedesimato nel­
l’idea di acquistare scienza e capacità universali, che correvo il
rischio di diventare un vero stravagante e visionario»32). A que­
sti pericoli un Nietzsche, ‘passionalmente severo’, contrappone
la serietà dello specialismo, la volontà connaturata di «risalire fi­
no alle radici più remote e profonde dei singoli argomenti»33.
La scelta per la filologia non è, nelTautoriflessione del filo­
sofo, espressione di un ‘istinto’ o vocazione, ma nasce dalla
«educazione, riflessione, forse addirittura dalla rassegnazione».
«Quando mi volgo a considerare», si legge in un appunto auto-
biografico dell’inizio del 1869, «come sono passato dall’arte al­
la filosofia, dalla filosofia alla scienza, e in quest’ambito a inte­
ressi sempre più ristretti: la cosa ha quasi l’aria di una consape­
vole rinuncia»34. E ra anche, in un comune sentire scho-
penhaueriano, la consapevole scelta dell’amico della giovinezza,
il filologo Erwin Rohde, esplicitata in una lettera a Nietzsche
del 4 novembre 1868. Per chi non ha la libertà del genio si po­
ne la necessità di «conquistare un terreno solido, un campo che
possa essere coltivato con risorse minori; giacché, a noi piccoli
uomini, l’agio necessario per l’esistenza non può darcelo se non
un lavorio coscienzioso, in una sfera liberamente scelta del fili­

30 Rückblick au f meine zwei Leipziger Jahre, 17 Oktober 1865-10 August 1867, NA


60[1] Herbst 1867 bis Frühjahr 1868; Opere I, il, p. 279.
31 Mein Leben, NA 18[2] Sommer 1864; Opere I, i, p. 444.
32 Mein Leben, NA 15[41] April 1863 bis September 1863; Opere I, I, p. 312.
33 Mein Leben, NA 18[2] Sommer 1864; Opere I, i, p. 446.
34 NA 69[10] Frühjahr 1868; Opere I, II, p. 488.
Agonismo “inattuale” e critica della “morale eroica 29

steismo». Sempre più, per Rohde, la inesorabile chiusura nel­


l’orizzonte domestico e nel lavoro filologico, trova come com­
penso e trasfigurazione ideale la musica eroica di Wagner:
«Bayreuth, l’unico posto al mondo dove posso dimenticare me
stesso, i miei dolori e insieme la filologia [...] e naufragare in
un mare di piacere» (a Friedrich Nietzsche, 2 luglio 1876).
Ad una natura ‘tellurica’ come quella di Nietzsche, solo per
poco tempo poteva dare rassicuranti confini la limitazione libe­
ramente scelta fatta di ininterrotta lettura, di rigore e comple­
tezza dell’informazione bibliografica con la sensazione di «esse­
re murato tra i libri» (a Carl von Gersdorff, 7 aprile 1866). («Il
dotto in fondo non fa che “compulsare” libri - circa duecento
al giorno per il filologo medio»; EFI, Perché sono così accorto
8). Questo non ha nulla a che fare con l’immagine caricaturale
- è stato fatto anche questo - di un Nietzsche alieno ed ostile
ad ogni lettura e che, carico di ispirazione e geloso della sua ge­
niale indipendenza di pensiero, scrive, mentre passeggia, folgo­
ranti aforismi e massime da restituire, magari in opportuni bre­
viari, per opportune citazioni alla ‘bello superiore’.
Nietzsche, comunque, porta entro la cornice della scienza
più accademica e rigorosa della Germania dell’epoca le forti
tensioni e gli impulsi che avevano caratterizzato il suo percorso
giovanile. Egli cerca, volta a volta, nuovi punti di equilibrio e di
convivenza tra metafisica dell’arte e filologia, fino alla definitiva
conquista di una ‘propria’ filosofia. Solo lo spirito diventato li­
bero può sciogliere definitivamente il rapporto di subordina­
zione del filologo/educatore nei confronti del ‘genio’, e conti­
nuare a valorizzare «l’arte di leggere bene» propria della filolo­
gia. L’atteggiamento filologico rimarrà sempre lo strumento ne­
cessario di pulizia e di probità intellettuale contro ogni tentati­
vo di ‘corruzione’ del testo attraverso il suo ‘approfondimento’
con interpretazioni morali e teologiche: è il caso delle letture
pneumatiche della natura o della lettura in termini di colpa e
castigo di sofferenze fìsiche35.

35 Cfr. WS 17; JG B 22,31.


30 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

Nell’ultimo periodo Nietzsche propone la solidarietà di in­


tenti critici tra filologia, fisiologia, genealogia, contro le inter­
pretazioni predeterminate, fisse, pre-giudiziali che rifiutano il
lavoro paziente. Si tratta di leggere le intenzioni e le forze che
attraversano il testo, che lo costituiscono: leggere bene, lenta­
mente, con «la cautela, la pazienza, la finezza. Filologia come
ephexis nell’interpretazione: si tratti di libri, di curiosità giorna­
listiche, di destini o di fatti metereologici - per non parlare del­
la “salvezza dell’anima”» - scrive Nietzsche ne Lanticristo (52).
Una ‘volontà di sapere’, di andare fino in fondo, mettendosi di
fronte alle varie manifestazioni della complessità del reale, leg­
gendone i segni e sciogliendone i geroglifici senza prevaricarne
il senso con distorsioni pregiudiziali, fissate e rigide. Questo at­
teggiamento contribuisce a svelare l’apparato di falsificazione
che sorregge la mistificazione del ‘genio’ metafisico, l’illusione
dell’immediatezza. Ma il professore di filologia a Basilea non
usa ancora questa carica liberatrice contro l’ideale metafisico:
permane una sorta di solidarietà spontanea tra la subordinazio­
ne del filologo e l’impero del genio, quasi che il mestiere quoti­
diano, ‘macchinale’, abbia bisogno della trasfigurazione oppia­
cea dell’ideale e della musica di Wagner.
La pubblicazione, attualmente in corso nell’edizione critica,
dei materiali filologici (in particolare gli appunti dei vari corsi
di lezione a Basilea) ha facilitato una più accorta e autonoma
valutazione del lavoro filologico di Nietzsche all’interno della
storia degli studi classici e ha permesso di conoscere il comples­
so rapporto di interazione e conflittualità tra un mestiere, prati­
cato con crescente sicurezza, e il sorgere della identità
filosofica36. Certamente l’interesse filosofico non significa per

36 Su questi temi, importanti le indicazioni di F. Gerratana: «Jetzt zieht mich das


Allgemein-Menschliche an». 'Ein Streifzüg durch Nietzsches Aufzeichnungen zu einer
«Geschichte der litterarischen Studien», in «Centauren-Geburten». Wissenschaft, Kunst
und Philosophie beim jungem Nietzsche, hrsg. von T. Borsche, F. Gerratana u. A. Ventu-
relli, de Gruyter, Berlin 1994, pp. 326-350; trad. it. in F. Gerratana, Scritti su Nietzsche
editi e inediti, ETS, Pisa 2009.
Agonismo “inattuale” e critica della “m orale eroica” 31

Nietzsche allontanamento o ostilità nei confronti della filologia,


piuttosto la volontà di sovrintendere ad una pratica inattuale
della disciplina. Nuovi problemi sul senso del mestiere speciali­
stico, sui pericoli del filisteismo legati alla professione (i filistei
come «gli individui continuamente affaccendati nel modo più
serio attorno a una realtà che non è tale»37), sui compiti più ge­
nerali per la rinascita culturale della Germania, si intrecciano
alla filosofia del ‘musagete’ Schopenhauer, «il filosofo di una ri­
destata classicità, di una grecità germanica»38. Il culto del genio
- già presente nei tratti aristocratici delle riflessioni di Lipsia -
si sviluppa soprattutto dopo l’incontro con Wagner: «Nessun
altro mi fa manifesta l’immagine di d ò che Schopenhauer chia­
ma “il genio”»; « E il mio corso pratico di filosofia scho-
penhaueriana» - scrive Nietzsche, con entusiasmo, agli amici39.
All’interno dei suoi studi sulle tradizioni della storia lettera­
ria, nei primi anni di Lipsia, il filosofo intraprende una radicale
critica dei metodi, delle angustie, delle finalità degli studi filolo­
gici della sua epoca incapaci di cogliere lo spirito dell’antichità.
La prospettiva muove da Schopenhauer ed assume anche i ca­
ratteri di critica, a favore della visione artistica, contro la so­
pravvalutazione della storia e contro i ‘costruttori’ di storia che
usano le categorie interpretative di ‘progresso’, ‘necessità’, ‘svi­
luppo’. La storia è essenzialmente storia dei confusi bisogni e
impulsi della massa, «la singola personalità conta solo in quan­
to ha agito sulla massa», il successo è legato alla capacità di
soddisfare bisogni. «I bisogni il cui soddisfacimento è più visto­
so e si esprime in guerre, letterature, etc. non per questo sono i
più importanti. Un pezzo di pane è sempre più importante di
un libro»40. È evidente in queste riflessioni l’influenza della ca­
ratterizzazione che Schopenhauer fa del ‘talento’ come di colui

37 A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, 2 voli., a cura di G. Colli, Adelphi,


Milano 1981,1, pp. 462-463.
38 NA 75[20] Februar 1868 bis Oktober 1869; Opere I, II, p. 333.
39 KGB, II, I, pp. 35 e 17; Epistolario, II, pp. 34 e 17.
40 N A 56[7] Herbst 1867 bis Frühjahr 1868; Opere I, II, p. 199.
32 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

che è capace di rispondere ai bisogni dell’epoca, al servizio co­


munque della volontà e diverso, per sua natura, dal genio
di solito in contraddizione e in lotta contro il suo tempo [...]. Gli
uomini, che hanno solo talento, arrivano sempre al momento giusto:
infatti, poiché sono stimolati dallo spirito del proprio tempo e provo­
cati dal bisogno del presente, sono anche in grado di soddisfare que­
sto preciso bisogno41.

Per Schopenhauer solo al genio e al «vero eroe» (tra loro av­


vicinati per l’isolamento e la lotta contro le tendenze dell’epo­
ca) si addice il predicato di ‘grande’: «Andando contro la natu­
ra umana, non hanno cercato il proprio interesse, né hanno vis­
suto per sé, bensì per tutti»42. Solo i grandi possono percepire
il grande e solo il grande filosofo capace di una visione univer­
sale dà impulsi al lavoro subalterno e riproduttivo del filologo.
Il confronto tra il genio filosofico (‘datore di lavoro’) e il filolo­
go (‘operaio di fabbrica’) - la metafora è direttamente derivata
dai Parerga di Schopenhauer - torna più volte nelle riflessioni
del giovane Nietzsche. «Anche i nostri massimi talenti filologici
sono solo relativamente datori di lavoro»; da un punto di vista
più alto non sono essi stessi che «operai al servizio di qualche
grande semidio della filosofia»43.
La filologia - si legge nella prolusione di Basilea - è un nome
che copre attività scientifiche tra loro diverse e che ha un carat­
tere composito: «È un po’ storia, un po’ scienza naturale, un
po’ estetica»44. H tentativo è quello di trovare, in quella ‘pozio­
ne magica’, miscuglio di materiali e impulsi più eterogenei, una
via di uscita dai muri dalla prigione storicistica che pone anche

41 A. Schopenahuer, I l mondo come volontà e rappresentazione, (Supplementi, cap.


31), Mondadori, Milano 1989, p. 1249.
42 Ivi, p. 1242.
43 KG B, I, n, 316; Epistolario, I, p. 623 (a Paul Deussen, settembre 1868). Si veda
anche NA 52[30] Frühjahr 1867 bis Winter 1867/68 e 57[31]; Opere I, n, p. 187 e
p. 208; Encyclopédie der klassischen Philologie 7, KGW, II, III, pp. 369-370; BA 4, Ope­
re, III, II, p. 112. Per il riferim ento ad A rthur Schopenhauer cfr. P arerga e
Paralipomena, cit., II, par. 254, pp. 642-643.
44 Omero e la filologia classica, Opere I, n, p. 516.
Agonism o “inattuale” e critica della “m orale eroica 33

il migliore filologo in un rapporto esclusivo «con i pensieri fis­


sati per scritto»45. Sotto l’influenza di Schopenhauer, Nietzsche
sottolinea, nei suoi appunti per una storia degli studi letterari,
come oltre alla membrana «spessa ed impenetrabile» che avvol­
ge le cose in sé, l’osservatore storico sia da esse separato anche
da «quelle due membrane che sono le rappresentazioni del
tempo e delle fonti»46. Una via d’uscita verso una realtà più im­
mediata, sembra essere, a partire dall’inverno 1868-69, la consi­
derazione sulla «conoscenza scientifica [naturwissenschaftlich]
dell’essenza del linguaggio»: il più bel trionfo della filologia «è
la linguistica comparata con la sua prospettiva filosofica» grazie
alla quale «sono state scoperte delle leggi, si è entrati tra le
scienze naturali [...], si è cercata una via verso i problemi del
pensiero». La componente naturwissenschaftliche della filologia
è da Nietzsche collegata alla tematizzazione del «più profondo
istinto dell’uomo, l’istinto linguistico». Nietzsche sembra cre­
dere, dopo la lettura di Eduard von Hartmann, che la tematica
degli istinti, caratterizzati come oscura potenza della storia, gli
permetta un rapporto più diretto con la natura: in tal modo
non ci si limita più ad esaminare solo «gli occhiali con cui uo­
mini lontani vedevano il mondo».
Se noi cerchiamo di intendere questi uomini straordinari, insieme
ai loro pensieri, solo come sintomi di correnti spirimali, come sintomi
di vita ininterrotta degli istinti, tocchiamo direttamente la natura. Lo
stesso accade quando procediamo fino all’origine del linguaggio47.
Gli interessi verso le scienze della natura, sviluppatisi a partire
dalla lettura della Storia del materialismo di Lange e presenti an­
che negli appunti sulla teleologia (del 1868) e negli studi demo­
critei, lasceranno il posto, nel percorso più visibile della riflessio­
ne di Nietzsche, alla ‘metafisica dell’arte’. Il filologo ideale sarà
allora subordinato e complementare all’attività del genio artisti­

45 N A 77 [4] September 1868 bis Herbst 1869; Opere I, II, p. 478.


46 NA 56[6] Herbst 1867 bis Frühjahr 1868; Opere I, II, p. 198.
47 NA 77 [4] September 1868 bis Herbst 1869; Opere I, II, p. 478.
34 Nietzsche. La morale dell’eroe

co (Wagner) e la sua «inclinazione pedagogica» sarà recuperata


in un senso più alto contro l’aspetto, apologetico ed ‘umanisti­
co’, dominante nello studio attuale dell’antichità. Significative in
questa direzione le lezioni tenute nel semestre estivo del 1871 e
invernale del 1873-74 (Encyclopädie der klassischen Philologie
und Einleitung in das Studium derselben) in cui il filologo assume
un posto centrale con la funzione di educatore: per essere tale
veramente egli deve comprendere la ‘classicità’ senza mistificar­
la. Di qui il necessario momento propedeutico della filosofia
che, al contrario della scienza, riesce «a porre in luce da ogni
punto di vista anche ciò che è particolarissimo»48 senza smarrire
la visione complessiva, in grande, che permette di porre al passa­
to domande nuove per avere nuove risposte49. Nelle lezioni si
precisa la professione di fede espressa con la temeraria inversio­
ne del motto di Seneca («philosophia facta est quae philologia
fu it»50) e posta da Nietzsche alla fine della sua prolusione su
Omero. La scelta filosofica, propedeutica necessaria per il nuovo
filologo, è l’‘idealismo’ inattuale promosso da Schopenhauer:
«Qui appare la cosa più utile l’unione di Platone e Kant». Ciò
comporta, come nella prolusione, un conciliante programma in
cui l’attività filosofica sembra poter integrarsi, senza dilacerazio­
ni, con la stessa attività filologica. La ricerca dell’«antichità rea­
le» degli studi filologici non necessariamente preclude ^ a n ti­
chità ideale». Il nuovo filologo - dotato di una enorme ‘ripro­
duttività’ di contro alla creatività del genio - diviene così l’inse­
gnante ideale, «il mediatore tra i grandi geni e i nuovi geni in di­
venire, tra il grande passato ed il futuro»51. Nietzsche afferma
che il filologo deve essere ‘uomo moderno’ ma legato con la
grandezza moderna capace di aprire la via alla grandezza reale
dell’antichità. Il tema è ripreso e sviluppato nelle conferenze Sul­
l’avvenire delle nostre scuole che pongono una necessaria conti­

48 KGW, II, III, 372.


49 NA 57[30] Herbst 1867 bis Frühjahr 1868; Opere I, II, p. 208.
50 Omero e la filologia classica, Opere I, n, p. 538.
51 KGW, II, in, p. 368.
Agonism o “inattuale” e critica della “m orale eroica" 35

nuità di aspirazione «verso la terra della nostalgia, la Grecia», tra


i grandi classici tedeschi e il nuovo educatore: non è possibile
«saltare direttamente, senza servirsi di ponti, in quello straniato
mondo greco»5253. L’affermazione che troviamo più volte nel pe­
riodo giovanile, del «legame che avvince realmente la più intima
natura tedesca al genio greco» - con qualche richiamo, perfino,
alla «fedeltà del soldato tedesco» - appare ima concessione alle
posizioni wagneriane e sarà oggetto di una decisa e ferma auto­
critica a partire da Umano, troppo umano.
La filosofia di Schopenhauer guida la ricerca, nel passato, di
atteggiamenti pessimistici che vanno al di là della divisione tra
Paganesimo e Cristianesimo. Ciò impone anche una cautela cri­
tica nei confronti della categoria della «serenità greca [.griechi­
sche Heiterkeit]» che non tiene conto del sostrato della trage­
dia, dei misteri, della filosofia di Empedocle. La prospettiva ca­
pace di fornire l’orizzonte di senso al lavoro filologico è ‘l’ele­
mento universalmente umano’: «L’arte greca è l’unica che so­
pravanzi i limiti nazionali: qui giungiamo per la prima volta
a^H um anität cioè non alla umanità media, ma alla umanità più
alta»55. Nietzsche insiste, qui come altrove, sulla falsificazione
umanistica della essenza naturale, tragica, della natura umana,
che si rivela scopertamente nel mondo greco dove l’individua­
lità è possibile in maggior misura e con maggior forza che nel
mondo moderno. Nel mondo greco è ancora unito ciò che nel
mondo attuale, sotto l’impero della civilizzazione e della divi­
sione del lavoro, è in pezzi: l’arte con la religione, l’individuo
con la comunità e lo Stato. Il concetto di ‘Humanität’ non ha
niente a che fare con i «diritti fondamentali»: la bella comunità
che rende possibile belle individualità ha come sua condizione
terribile la schiavitù.
Nietzsche propone l’immagine dell’uomo ideale come qual­
cosa di raro, come capace di tenere insieme e in equilibrio gli

52 BA 2, Opere, pp. 131-135.


53 KGW, II, m, p. 371; cfr. NA 58[52] Herbst 1867 bis Frühjahr 1868; Opere I, n,
p. 263. Si veda anche lettera a Erwin Rohde, 1-3 febbraio 1868.
36 Nietzsche. La morale dell’eroe

istinti: egli è ad un tempo «profondo, mite, artistico, politico,


bello, dalla nobile forma». Per arrivare a questa immagine idea­
le Nietzsche ritiene ancora necessario il modello greco. Negli
anni successivi, quando matura la crisi della metafisica dell’arte
e del rapporto con Wagner, tornando con più radicalità ad una
critica della filologia attuale, Nietzsche ritiene che «dalla civiltà
antica noi siamo separati per sempre, in quanto le sue fonda-
menta sono per noi diventate completamente fradicie» (5[156]
primavera-estate 1875). Il mito, il pensiero ‘impuro’, la religio­
ne e anche l’arte, succedanea della religione - in quanto ‘narco­
tici’ e ‘medicine inferiori’ - non possono più essere i fondamen­
ti della nuova civiltà.
Proprio Wagner a Bayreuth, segna la crisi radicale della cen­
tralità metafisica dell’arte vista ora come « l’attività di colui che
riposa»: «G li oggetti a cui mirano gli eroi tragici non sono
senz’altro di per sé le cose più degne d’essere desiderate». L’o­
pera d’arte viene valorizzata solo in quanto semplifica i proble­
mi e le soluzioni: per questo essa appartiene al sogno ristorato­
re che precede la battaglia eroica dell’individuo contro il ‘pote­
re’, la legge, le convenzioni. «L’arte non è certo una maestra e
un’educatrice per l’agire immediato; l’artista non è mai in que­
sto senso un educatore e un consigliere». Per chi è divenuto
«veggente di fronte al reale» l’arte rappresenta, nella sua sem­
plificazione delle «reali lotte della vita» e del «calcolo infinita­
mente complicato dell’agire e del volere umano», un ristoro
momentaneo. La fuoriuscita immediata dal caos, promessa dal­
l’arte tragica e legata alla morte redentrice dell’eroe («Il modo
più bello di vivere per gli individui è di maturare per la morte e
immolarsi, nella lotta per la giustizia e l’amore»), appartiene al­
la consolazione momentanea. «Perché l’arco non si spezzi, per­
ciò esiste l’arte» (WB 4). Nella ‘semplificazione’ wagneriana del
mondo è già avvertito il pericolo della letargia. La categoria
ampia di ‘educazione’ si sviluppa ora in contrapposizione a
questi pericoli presenti nell’arte. Accanto ad un fondo immuta­
bile e tragico dell’esistenza, si riconosce un campo di mobilità
che, liberato dalle strutture metafisiche, può essere plasmato
Agonism o “inattuale” e critica della “m orale eroica Y!

dall’attività umana ordinatrice, dalT«effettivo potere sulle co­


se». La filosofia deve stabilire «fino a che punto le cose abbiano
natura e forma invariabile: per poi procedere col coraggio più
intransigente al miglioramento della parte di mondo riconosciuta
mutabile» (WB 3). L’«educazione» viene definita «anzitutto
una dottrina del necessario, ed in seguito una dottrina di ciò
che si trasforma ed è modificabile».
Per questo compito, ai tradizionali educatori della gioventù
tedesca, Nietzsche ritiene si debbano sostituire «il medico - il
naturalista - l’economista». Negli appunti per l’Inattuale sulla
filologia che pongono come centrale il tema dell’educazione e la
necessità di «educare gli educatori», il filologo non ha più un
ruolo centrale positivo. L’ultimo importante tentativo di Nietz­
sche di aprirsi un varco verso la realtà ancora aü’interno della
disciplina filologica rinnovandone radicalmente la pratica, pri­
ma di abbandonare definitivamente la cattedra di Basilea per di­
venire filosofo e fugitivus errans, è costituito dall’uso dell’etno­
logia e della sociologia dell’epoca (Tylor, Lubbock, Wuttke,
Hellwald, Bagehot, Spencer) ampiamente documentato dalle le­
zioni sul culto divino dei Greci54. Riflessioni centrali di questo
corso diverrano aforismi di Umano, troppo umano.

4. Lillusione vitale in Nietzsche e Renan.


L’eroismo della razza celtica

Alcuni frammenti della fine del 1874 contengono l’abbozzo


di un dramma allegorico su Prometeo in cui Nietzsche intende­
va affrontare la critica della civiltà moderna nel suo rapporto
con la Grecità. I temi accennati nei frammenti su Prometeo - e
la forma che vuole esprimerli - sono, come anche il più artico­

54 Der Gottesdienst der Griechen, KGW II/5, pp. 355-520. Sugli studi di Nietz­
sche, sulla loro importanza e vastità si veda il volume di A. Orsucci, Orient-Okzident.
Nietzsches Versuch einer Loslösun vom europäischen Weltbild, de Gruyter, Berlin-New
York 1996.
38 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

lato tentativo di tragedia su Empedocle, lontani prodromi dello


Zarathustra. Mentre la figura di Empedocle dipende fortemente
da Hölderlin, questo abbozzo si richiama a Goethe, in partico­
lare alla Pandora che esprime la Sehnsucht per la bellezza e la
felicità del passato.
Al centro ancora la morte di Zeus, andato in rovina a causa
del figlio e del fatto che Prometeo non ha voluto svelare il se­
greto della fine del dio. Zeus, volendo la distruzione degli uomi­
ni, aveva inventato la splendida civiltà greca: gli uomini in tal
modo avrebbero perduto il gusto della vita nell’impossibile ten­
tativo di uguagliare i Greci e nella assoluta nostalgia di quella ir­
raggiungibile bellezza. Il figlio di Zeus provvede all’uopo ren­
dendo gli uomini stupidi e timorosi della morte: da ciò il loro
odio per il mondo greco e l’attaccamento ad una ‘piccola’ so­
pravvivenza. Prometeo manderà Epimeteo per contrastare la
volontà del figlio di Zeus, volenteroso anche lui di annientare in
altro modo gli uomini. Epimeteo suscita Pandora (‘la storia, il
ricordo’) e con essa ‘la favolosa Grecità’. Essa in un primo tem­
po seduce gli uomini alla vita; in un secondo momento, rivelati­
si ‘terribili e inimitabili’ i fondamenti reali di quella cultura, li
allontana dalla vita. Prometeo dopo aver ridotto gli uomini ad
un’amalgama (una ‘massa’, una ‘poltiglia’) può creare il nuovo
uomo, ‘l’individuo del futuro’. Per rinascere in una nuova for­
ma superiore gli uomini ‘devono anzitutto perire’. In questi
frammenti compare anche Dioniso, ‘colui che supera il mondo’,
destinato comunque, come Zeus, ad andare in rovina. Da alcuni
cenni si comprende come, nelle intenzioni di Nietzsche, il
dramma dovesse avere caratteri grotteschi e satirici: «G li dèi so­
no stupidi (l’avvoltoio chiacchiera come un pappagallo) [...].
L’avvoltoio non vuol più divorare. Il fegato di Prometeo cresce
troppo [ ...]. Prom eteo e il suo avvoltoio sono stati
dimenticati»55. Tale avvoltoio, alla luce delle affermazioni dello

55 FP 3811-7] fine 1874. Ricordiamo le poche righe dedicate da Franz Kafka ad un


Prometeo dimenticato: «Tutti dimenticarono: gli Dèi, le aquile, egli stesso [...]. Ci si
stancò di lui che non aveva più motivo di essere. G li dèi si stancarono, la ferita - stanca
Agonism o “inattuale” e critica della “m orale eroica 39

scritto postumo su Lo stato greco, potrebbe essere compreso co­


me la verità dell’affermazione: «La schiavitù rientra nell’essenza
di ogni cultura». Scrive infatti Nietzsche che la violenza esercita­
ta sulla casta di schiavi (terribile e necessaria per la creazione di
una cultura), è la realtà «che non lascia alcun dubbio sul valore
assoluto dell’esistenza. Tale verità è l’avvoltoio che divora il fe­
gato al fautore prometeico della cultura»56. Da questa verità
l’uomo moderno rifugge nascondendo, a se stesso e agli altri, la
generale schiavitù del mondo che lo circonda, priva di senso e
finalità superiori, attraverso l’«allucinazione concettuale» della
dignità dell’uomo e del lavoro.
Nietzsche, in più luoghi, riprende le pagine dove Scho­
penhauer attacca la ‘dignità dell’uomo’ come una formula va­
cua che nasconde l’assenza del concetto. La concezione metafi­
sica di Nietzsche, che vede come finalità ultima e necessaria
della realtà la produzione del genio, propone un’altra dimen­
sione, più dura ed eroica, della dignità: «Ogni uomo, con tutta
la sua attività, acquista una dignità solo in quanto sia, coscien­
temente o incoscientemente, uno strumento del genio [...]. Solo
come essere pienamente determinato, al servizio di scopi ignoti,
l’uomo può giustificare la propria esistenza»57. H dovere appare
come «obbedienza verso un istinto, che si presenta nella figura
di pensiero» (7[26] fine 1870-aprile 1871]. Nell’istinto si espri­
me direttamente una volontà che sottomette con l’inganno l’in­
dividuo. La vergogna, che accompagna nel mondo greco anche
la produzione artistica come seduzione alla vita, è l’espressione
della consapevolezza dell’uomo greco di essere solo uno stru­
mento di fenomeni della volontà che lo trascendono infinita­
mente come individuo. I veri moventi della volontà sono nasco­

si chiuse» (Prometeo, 1918). Perfino il ricordo dell’eroe supremo è caduto. Sembra la


definitiva sanzione di una impossibilità - nella condizione moderna - di un eroismo
prometeico: l’eroismo è nell’oscura vita quotidiana.
56 D er griechische Staat, CV 3, Opere ili, II, pp. 226-227.
57 Ivi, p. 270; Opere III, n, p. 236. Si veda come questa dedizione assoluta sia vista
come espressione di «sublimità morale, l’istinto per l’eroismo e il sacrificio»: 6 A 4,
Opere HI, n, p. 181.
40 Nietzsche. La morale dell’eroe

sti dalle rappresentazioni del dovere e si impongono come


istinti. La struttura di inganno è quella individuata da Scho­
penhauer nella metafisica dell’amore sessuale: l’istinto è illusio­
ne (Wahn) che perpetua la volontà di vivere, è l’inganno da par­
te del ‘genio della specie’ a spese dell’individuo. Il postulato
iniziale di Nietzsche della impossibilità pratica della negazione
della vita, comporta l’accettazione di questi meccanismi di illu­
sione funzionalizzati alla costruzione di una civiltà superiore.
L’arte e il mito sono l’immagine illusoria più alta di seduzione
alla vita: «Correggere il mondo - ecco la religione o l’arte. Co­
me deve apparire il mondo, perché valga la pena di vivere?»
(5[32] settembre 1870-gennaio 1871). La trama delle illusioni è
nelle mani del genio tragico che, per amore e compassione della
comunità, asseconda l’inganno dell’Uno originario. La scelta
della Grecità è lontana dal puro dionisiaco (letargico) come dal
nefando ottimismo alessandrino del mondo moderno: la civiltà
greca è una costruzione piramidale che ha al suo culmine la
realtà del genio ed è saldamente vincolata alla vitalità dell’istin­
to. In tal modo si mantiene un rapporto non distruttivo (velato
e protetto dal mito) con il fondo tragico che nel genio soddisfa
in modo potenziato la sua capacità artistico-rappresentativa.
L’adeguarsi all’inconscia teleologia della natura significa subor­
dinarsi in modo assoluto al genio.
Un meccanismo analogo di illusioni che si impongono come
istinto, in connessione con l’inganno della natura, si trova in Re­
nan. L’autore francese, non a caso, è valorizzato in questi anni
da Wagner e da Nietzsche soprattutto per la centralità che asse­
gna al tema del genio/eroe fino ad interpretare (contro Strauss)
in tal modo la figura di Gesù. Anche Renan si richiama esplicita­
mente alla metafisica dell’amore sessuale di Schopenhauer, criti­
candone l’atteggiamento di rivolta: è più saggio lasciarsi ingan­
nare, sottomettersi al ‘machiavellismo’ della natura: «Il suo sco­
po è buono; quindi dobbiamo volere ciò che essa vuole. La virtù
è un amen ostinato, detto agli oscuri fini che la Provvidenza per­
segue tramite noi». La forte teodicea, la garanzia teleologica di
uno stato finale di pieno valore («Dio è una necessità assoluta.
Agonismo “inattuale” e critica della “m orale eroica: 41

Dio sarà e Dio è. Sarà come realtà, è in quanto ideale»58) impo­


ne la generale subordinazione e gerarchizzazione. L’eroismo del­
la devozione e il grado di ascetismo garantiscono della posizione
che ognuno assume nella gerarchia in cui tutti, comunque, ser­
vono a fini superiori. Di qui la valorizzazione del sacrificio degli
eroi umili ed oscuri (tutti costruiscono la piramide, tessono la
tela di cui ignorano il disegno): «Si costruisce un’opera infinita,
in cui ognuno inserisce la propria azione come un atomo»59 con
la garanzia che nulla vada perduto. La guerre savante e la vitto­
ria della Prussia, spingono Renan alla conferma di un modello
sociale che unisca saldamente struttura gerarchica e valori feu­
dali alla modernità tecnico scientifica. L’affermazione egoistica
deve essere sacrificata all’efficienza e forza della macchina com­
plessiva in cui il singolo è inserito come funzione: la guerra
«suppone una grande assenza di riflessione egoistica poiché, do­
po la vittoria, quelli che più vi hanno contribuito, cioè i morti,
non ne godono». Il forte spirito antiborghese di Renan si scaglia
contro la stupidità e volgarità di una esistenza ‘étroite et finie ',
non illuminata dall’ideale, che comporta la dispersione egoistica
di energia non finalizzata alla realizzazione del Dio. Agli ‘insipi­
di mercanti’ Renan contrappone la ‘sublime follia’ dello stilita,
dell’asceta, dell’«héros de la vie désintéressée», perfino del fana­
tico che mette con gioia il suo capo sotto le ruote del carro sa­
cro, perché questa follia testimonia comunque, in modo irrazio­
nale, lo slancio verso l’ideale. «Il barbaro, con i suoi sogni e le
sue favole, vale più dell’uomo positivo che non comprende che
il finito»60. Nelle discussioni seguite alla guerra franco-prussiana
sul ruolo dell’educazione primaria per l’affermazione di una cul­
tura, con particolare cinismo, Renan si pronuncia contro l’illu­

58 E. Renan, D ialoghifilo so fia, in Scritti filosofici, testo francese a fronte, a cura di


G . Campioni, Bompiani, Milano 2008, p. 247.
59 Lettera a Sainte-Beuve del 5 maggio 1862, in Oeuvres Com plètes de Ernest
Renan, 10 volt, a cura di H . Psichari, Calmann-Levy Éditeurs, Paris 1947-1961, vol. X,
p. 353 (d’ora in poi O C, seguito dal numero romano per il volume, dall’eventuale spe­
cificazione dell’opera in esso contenuta e dal numero arabo per le pagine).
60 O C, III, L’avenir de la science, pp. 795-797.
42 Nietzsche. L a m orale d e ll eroe

sione «che facendo balbettare qualche parola razionale all’essere


informe che la luce interiore non illumina, ne facciamo un uo­
mo»61. Il popolo va lasciato nella sua ignoranza, fedele ai suoi
istinti che lo spingono, con cieca sicurezza, a servire l’ideale, a
godere per procura della bellezza e superiorità dei grandi: i vin­
coli della ‘devozione’ non devono essere spezzati in nessun mo­
do. Alcuni di questi temi elitari sono presenti anche in
Burckhardt e nel giovane Nietzsche: la consapevolezza portata
alla ‘cieca talpa della cultura’, in nome di un ‘nefando ottimi­
smo’, è distruttiva della rete di illusioni vitali.
Burckhardt agisce su Nietzsche come contrappeso critico al­
l’ideologia germanica di Wagner: i due professori di Basilea ve­
dono nella guerra ‘zoologica’ tra nazioni, un minaccioso perico­
lo per la cultura. «Il più delle volte, il vincitore diventa stupido,
il vinto diventa malvagio. La guerra semplifica [...]. È un letar­
go invernale della civiltà» (32[62] inizio 1874-primavera 1874).
E più volte Nietzsche, in questo periodo, vede la regressione
dell’uomo attuale alla ‘bestia da preda’ che corre «sul grande
deserto della terra», che ingaggia, in una furia generale, «lotte
dilaniami con altri animali» spinta solo da istinti immediati. La
breve esperienza nella guerra franco-prussiana come infermiere
volontario conferma Nietzsche nell’atteggiamento antieroico di
compassione verso l’orrore materiale dei campi di battaglia fat­
to di ‘lezzo di cadaveri’ e purulenti ferite. La ‘patria’, la nazione
(anche nel periodo giovanile) sono comunque, per Nietzsche,
solo forme inferiori di illusione vitale {Wahn). E fino agli ultimi
appunti del gennaio del 1889, paralleli ai ‘biglietti della follia’,
Nietzsche si scaglia, in nome della fisiologia e della ‘grande po­
litica’ della vita, contro la pace armata delle nazioni in Europa
(«un porcospino dall’eroico sentire»62*) e contro la guerra: «È
follia che poi si metta davanti alla bocca dei cannoni il fior fiore

61 O C, I, p. 71.
62 Lettera a Reinhart von Seydlitz, 12 febbraio 1888. Il perspicuo riferimento di
Nietzsche (ripreso più volte anche in altri contesti) è alla parabola di Arthur Scho­
penhauer dei Parerga e Paralipomena, (396). II, cit., p. 884.
Agonismo “inattuale” e critica della “m orale eroica” 43

della forza e della giovinezza e della potenza» (25 [15] dicembre


1888-gennaio 1889).
Gli eroi di Renan hanno il carattere della assoluta dedizione e
sacrificio all’ideale. Nella costruzione del suo mito personale, Re­
nan si richiama alle sue radici bretoni e al «sangue celtico» che
ne avrebbero determinato il carattere idealistico, disinteressato,
devoto. I bretoni sono presentati, più volte, come popolazione
non contaminata dalla volgarità della civiltà moderna (egoistica
ed utilitaria, perciò atea): «Questa razza ha nel cuore un’eterna
sorgente di follia»63 vive di sogno e si logora «a perseguir l’idea­
le». L’epopea culmina nel saggio del 1854 su La poesia delle razze
celtiche. Qui si trova la variante nordica del mito dolce di Gesù:
colui che «fece compiere alla sua specie il massimo passo verso il
divino», «il principio inesauribile di rinnovamento morale»64,
pur lontano dal sentore che vi fossero ‘leggi’ di natura, ignaro di
ogni scienza. Il «vangelo degli umili» comporta il primato del va­
lore morale, cancellato, invece, dalla logica dei Dialoghi filosofici
dove la figura di Gesù lascia interamente il campo al Dio-tutto e
agli scienziati tiranni, dèi superuomini capaci di imporsi attraver­
so la minaccia di un inferno effettivo. Ne La poesia delle razze cel­
tiche è significativo il confronto tra gli eroi delle saghe germani­
che (dove regna «l’orrore della barbarie grondante sangue, l’eb­
brezza del massacro») e quelli delle saghe celtiche (impregnate di
un «profondo senso di giustizia, ima grande esaltazione della fie­
rezza individuale unita a un grande bisogno di devozione»). L’e­
roe germanico si caratterizza per la sua «brutalità senza oggetto»,
per l’amore del male, per il gusto disinteressato della distruzione
e della morte di contro all’eroe càmbrico «dominato da abitudini
di benevolenza e da una viva simpatia per gli esseri deboli», per
gli animali, la natura, le pietre. L’eroe cimbrico non si distingue
dal santo ed è capace di rivolgere la sua dolce pietà, come in una65

65 E. Renan, Ricordi d ’infanzia e d i giovinezza, a cura di S. D e Simone, UTET, To­


rino 1954, p. 84 (nell’ed. fr. Souvenirs d ’enfance et de jeunesse, Calmann Lévy, Paris
1883, p. 78, BN).
64 O C, IV, pp. 370 e 367.
44 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

leggenda di San Brandano, perfino a Giuda sofferente nell’infer­


no. Il sogno, che sostituisce la realtà, impronta l’anima celtica e
la sua sete di avventura è ancora «una corsa senza fine dietro
l’oggetto sempre fuggevole del desiderio»65.
La razza celtica resiste al tempo e difende le cause disperate:
da qui - afferma con malizia Renan - la sua inettitudine alla vi­
ta politica. Quegli uomini hanno il senso della fissità della vita e
dell’impossibilità di poterla cambiare: si rassegnano alla fatalità.
La loro posizione è antitetica all’eroismo prometeico: «A veder­
li così poco audaci contro Dio, si crederebbe appena questa
razza figlia di Japeto»6566. La volontà di infinito e di illusione
comporta ravvicinamento al narcotico:
Questa razza vuole l’infinito; essa ne ha sete, essa lo persegue ad
ogni prezzo, al di là della tomba, al di là dell’inferno. Il difetto essen­
ziale dei popoli bretoni, la tendenza all’ubriachezza, difetto che, se­
condo tutte le tradizioni del VI secolo, fu la causa dei loro disastri, è
legato a questo invincibile bisogno di illusioni.
E questo, nonostante la lontananza da ogni sensualità gros­
solana: i Bretoni «cercavano nell’idromele quello che S. Bran­
dano e Pérédur perseguivano alla loro maniera: la visione del
mondo invisibile»67.
Un quadro teleologico, che garantisce il progresso e la realiz­
zazione del Dio, fa del sacrificio e dell’ascesi gli elementi carat­
terizzanti la grandezza. Il godimento dell’individuo sembra
trattenuto e rimandato alla sua realizzazione finale, nel piacere
immenso di un corpo immenso di cui l’individuo sarà una cel­
lula vivente: «Un solo essere che sente, che gode, che assorbe
con la sua gola ardente un fiume di voluttà che strariperebbe
fuori di lui in un torrente di vita [...]. La natura, a tutti i livelli,
ha l’unica preoccupazione di ottenere un risultato superiore
con il sacrificio di individualità inferiori»68.

65 OC, II, pp. 258-259.


66 OC, II, pp. 256-257.
67 OC, II, p. 259.
68 E. Renan, D ialoghifilosofici, cit., p. 229.
Agonismo “inattuale” e critica della “m orale eroica 45

5. Una ‘consolazione metafisica’ per l’eroe che muore

In Nietzsche, la metafisica dell’artista impone la necessaria


distruzione della individualità dell’eroe perché sia possibile il
raggiungimento di una nuova forma. La tragedia attinge con la
morte dell’eroe la consolazione metafisica che permette, anche
per la filosofia di Schopenhauer, l’affermazione eroica della vi­
ta: malgrado la morte e la caducità di tutte le cose individuali,
ogni essere che vuole esistere ha assicurata l’esistenza senza fine
ed interruzioni. «L’eroe, la più alta apparenza della volontà, vie­
ne con nostra gioia negato, perché è comunque solo apparenza,
e la vita eterna della volontà non viene toccata dalla sua distru­
zione»69. Dopo la morte della tragedia, la dissonanza tragica -
l’eroe martirizzato dalla sorte - perde la superiore consolazione
metafisica e cerca una soluzione terrena, un deus ex machina
per il lieto fine di una ricompensa terrena: «L’eroe era diventato
il gladiatore a cui, dopo che era stato bellamente scorticato e
coperto di ferite, si donava talvolta la libertà»70.
Nella Nascita della tragedia - il cui frontespizio portava come
vignetta la figura di Prometeo liberato dalle catene realizzata da
Leopold Rau - appare centrale il riferimento alla ubris come
‘peccato attivo’ del titano Prometeo a partire dall’inno goethiano
(«Vero e proprio inno dell’empietà»). Viene qui utilizzata la du-
bitosa categoria interpretativa di ‘ariano’ (per il mito ‘maschile’
di Prometeo), diffusa in lavori di linguistica e storia del linguag­
gio71 allora in voga anche se segnati da grande confusione (la ca­
ratterizzazione ariana corrispondeva, per molti, al principio pri­
mordiale femminile, materno). Ricordiamo come Michelet, nella
sua Bible de l’humanité (la Bibbia solare che nasce presso gli
Ariani ‘figli della luce’) veda in Prometeo «l’émancipateur primi­
tif» contro le tenebre dell’oriente, «toute énérgie libre a procédé

69 G T 16, Opere, III, I, p. 111.


70 Ivi, p. 117.
71 Cfr. B. von Reibnitz, 'Ein Kommentar zu Friedrich Nietzsche “D ie Geburt der
Tragödie aus dem Geiste der M usik" (Kapitel 1-12), Metzler, Stuttgart 1992, p. 246.
46 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

de lui», la sua lezione «est directement contraire aux Sauveurs


ténébreux, aux faux libérateurs». Prometeo è espressione di una
umanità che non si piega: «on sent que l’héroisme en l’homme
est la nature»72. Certamente la contrapposizione tra il mito aria­
no di Prometeo e «il mito semitico del peccato originale», in cui
predomina una «serie di affetti eminentemente femminili», pote­
va compiacere l’antisemitismo del suo interlocutore privilegiato
Wagner ma non appare essenziale alla costruzione metafìsica che
dà il senso al mito.
Prometeo rappresenta P«eroico impulso» dell’individuo a
superare i limiti dell’individuazione in una tensione verso l’uni­
versale. La sua volontà di essere ‘l’unica essenza del mondo’
comporta l’assunzione su di sé della contraddizione originaria:
il Titano «commette un delitto e soffre». L’interpretazione di
fondo è legata alla struttura della metafisica dell’arte e al tema
schopenhaueriano della ‘giustizia eterna’: la volontà originaria
che ha commesso la colpa dell’individuazione subisce la soffe­
renza. Anche Prometeo che, come i vari eroi della scena tragi­
ca, appare preso nella rete della volontà individuale e che come
individuo «sbaglia, lotta e soffre», è in realtà la maschera apolli­
nea di Dioniso-Zagreus dei misteri, sofferente, fatto a pezzi dai
Titani e che aspira ad una rinascita che ponga fine all’indivi­
duazione. La soluzione della tragedia pessimistica che giustifica
il male umano eticamente, nella direzione schopenhaueriana,
viene superata in Nietzsche dall’accettazione tragica della
realtà: «Tutto ciò che esiste è giusto ed ingiusto, e in entrambi i
casi ugualmente giustificato». Tale affermazione dell’innocenza
del divenire, in Nietzsche, è ancora ostacolata dall’accettazione
di categorie metafisiche schopenhaueriane sia pure profonda­
mente modificate alla luce della riflessione teorica di Wagner.
Nietzsche afferma che lo sguardo dello spettatore tragico,
potenziato dalla forza della musica, non si arresta alle belle illu­
sioni plasticamente vive sulla scena: deve rifugiarsi di nuovo in
grembo alla vera e unica realtà attraverso la distruzione dell’e­

72 J. Michelet, Bible de l’humanité, Chamerot, Paris 1861, pp. 260-264.


Agonismo “inattuale” e critica della “m orale eroica” 47

roe-individuo. «A un altro essere e a una gioia superiore, l’eroe


combattente, pieno di presagi, si prepara con la sua rovina, non
con le sue vittorie»73. Il mondo trasfigurato della scena viene
visto da uno sguardo che «desidera essere cieco», aspira cioè
alla superiore chiaroveggenza musicale (il «sogno vero» del
cuore del mondo capace di comunicarsi solo attraverso le im­
magini depotenziate del sogno allegorico, della mattina). Nietz­
sche utilizza in modo ravvicinato per la sua riflessione le tema­
tiche del Beethoven di Wagner, in cui il musicista riformula, in
termini completamente nuovi e coerenti col primato scho-
penhaueriano della musica, la teoria del dramma musicale. L’u­
nità del dramma è garantita ora non più, come nelle teorie gio­
vanili, dal ricongiungimento delle arti sorelle divise e degradate
a técnaì sotto il dominio della civilizzazione, ma dalla visione
romantica della musica come un linguaggio privilegiato capace
di produrre visioni.
La svolta di Wagner era stata radicale. Come Nietzsche avver­
tirà polemicamente: il musicista diventa ora portavoce privile­
giato dell’in-sé delle cose, oracolo, sacerdote, «ventriloquo d’id ­
dio». Il tentativo di Nietzsche è quello di valorizzare in Wagner
l’affermazione tragica dell’arte, il serio ‘gioco’ con la realtà, con­
tro i pericoli nichilistici impliciti nelle scelte del musicista. Que­
sto comporta l’accentuazione degli elementi di continuità e una
lettura anticristiana del tema dell’eroismo wagneriano.

6. Veracità eroica e inattualità: la lezione


di Schopenhauer

Nietzsche, nella sua radicale autocritica del periodo romanti­


co, vedrà nell’atteggiamento ‘inattuale’, in quella forma di ago­
nismo contro il proprio tempo, una espressione di gioventù, di
inesperienza ma anche di reale debolezza: «Oggi io comprendo
che con questa specie di accusa, di esaltazione, di scontentezza,

73 G T 19, Opere, III, I, p. 139.


48 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

io appartenevo, proprio per questo, ai più moderni tra i moder­


ni» (2[201] autunno 1885-autunno 1886). Quella delle Inattua­
li è ‘la metafisica della cultura’ che è anche una metafìsica della
gioventù capace di un nuovo eroismo (il modello è Sigfrido): la
situazione della cultura viene giudicata in base ai solitari, gran­
di eroi di un’epoca ed al loro rapporto con il popolo74. Tutta
l’azione di Nietzsche (e le Inattuali pretendono di essere azione
contro le viltà e le pigrizie dell’epoca) si presenta come sacrifi­
cio e dedizione per la realizzazione del genio.
La lotta è contro le varie maschere del filisteismo e la pavi­
dità che fa uso della passata grandezza per opporsi alla costru­
zione di una nuova cultura e alla possibilità di nuovi genii. I fili­
stei, nascosti dietro il rassicurante ‘noi’ e a maschere irrigidite
nei ruoli sociali, «preoccupati della commedia comune e niente
affatto di sé», hanno come parola d’ordine: «non dobbiamo più
cercare»75. Anche in questo caso il riferimento di Nietzsche è,
puntuale, a Wagner che parla del dono fatto, a chi nasce, dalla
più giovane delle Nome perché tutti, un giorno, possano diven­
tare dei genii: «Lo spirito mai soddisfatto e che cerca sempre
qualcosa di nuovo»76.
L’affermata ‘patria metafisica’ del genio diventa momento di
fanatica convinzione con la possibilità della rovina dei nuovi
eroi: «Le loro parole e azioni sono esplosioni ed è possibile che
per esse, essi stessi periscano».
In un frammento del 1878 Nietzsche ribadisce a proposito di
Schopenhauer, accanto alla «diffidenza verso il sistema fin dall’i­
nizio», la valorizzazione costante della persona, «tipica come fi­
losofo e promotore della cultura» (30[9] estate 1878). Il giovane
Nietzsche, già nella primavera del 1868, aveva fatto i conti defi­
nitivamente, in poche, tormentate pagine di appunti, dell’ele­
mento sistematico della metafisica di Schopenhauer, sulla base

74 BA 3, Opere, III, n, p. 145.


75 D S 2, Opere, III, I, p. 177.
76 R. Wagner, Una comunicazione a i m iei amici, ediz. Studio Tesi, Pordenone 1985,
Agonism o “inattuale” e critica della “m orale eroica 49

della lettura di Lange e di altri filosofi neokantiani, mantenendo


una fedeltà superiore a Schopenhauer. Nella terza Inattuale il fi­
losofo diventa maestro di eroismo: il riferimento privilegiato so­
no le pagine dei Parerga in cui la ‘eudemonologia’ è in primo
piano come l’arte, l’accortezza, gli strumenti per ‘superare la vi­
ta’ con la consapevolezza che «una vita felice è impossibile: il
massimo che l’uomo può raggiungere è una vita eroica>>7778.Nietz­
sche riprende queste parole dei Parerga per caratterizzare l’ago­
nismo educatore di Schopenhauer, la necessità di un «animo du­
ro, corazzato contro il destino e armato contro gli uomini»: «On
meurt les armes à la main>J%. Il ritratto di Schopenhauer ha in­
dubbiamente toni emersoniani, parenetici: la stessa caratterizza­
zione dell’eroismo risente da vicino dei saggi del filosofo ameri­
cano e, in particolare, delle considerazioni su questo tema. L’es­
senza dell’eroismo, questa «attitudine militare dell’anima», è
«obbedienza ad un impulso segreto in un carattere individuale»,
«fiducia in se stessi», «diffidenza per la falsità e il torto». E il co­
raggio della veridicità contro le illusioni, contro «la falsa virtù
che si basa sulla salute e sulla ricchezza»79. L’elemento che
Nietzsche aveva valorizzato fin da giovane in Emerson è la sfida,
piena di amore per l’immanenza e di energia, alle limitazioni po­
ste dalla natura, è il «non curvare la schiena» di fronte al ‘fato’,
un ‘drago’ da dominare e cavalcare.
Da Schopenhauer procede sia la ‘vivisezione’ dell’illusione,
sia il sonno metafisico più profondo del genio wagneriano. Il
nucleo del ritratto che Nietzsche fa del filosofo assume però,
sempre più, i caratteri della «veracità eroica». Lo Schopenhauer
inattuale conduce «nella più sottile e pura, gelida aria alpina,
per far sì che possiamo decifrare i geroglifici di granito della na­
tura». Esige la prova di forza: «Chi non resiste lassù tomi pure

77 A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, II, cit., p. 421. Cfr. SE 4, Opere, III, I,


p. 398.
78 A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, I, cit., pp. 642-643.
79 Si veda in particolare di R.W. Emerson il saggio Eroismo, in Saggi, Boringhieri,
Torino 1962, pp. 182 sgg.
50 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

giù in fretta a rifugiarsi nella mollezza della sua cultura trasfigu-


ratrice» (34 [21] primavera-estate 1874). Le metafore del gelo di
montagna e l’espressione ‘spirito libero’ (con quella di «distrut­
tore che libera [befreiender Zerstörer]») caratterizzano, negli ap­
punti della primavera-estate 1874, la figura del filosofo pessimi­
sta. Questo Schopenhauer, già «volterriano», nonostante il
pathos della verità e il travestimento emersoniano, apre a Nietz­
sche la via della liberazione, al pieno recupero di se stesso.

7. « Siegfried , il filosofo in divenire»

La riflessione e la passione di Nietzsche per il tema dell’eroi­


smo è anche, immediatamente, una riflessione sui drammi musi­
cali di Richard Wagner. La nasata della tragedia è anche ‘rina­
scita’ della tragedia e ‘azione’ inattuale sul presente a favore del­
la cultura. Nella posizione del giovane Nietzsche prevale l’inter­
pretazione metafisica della distruzione dell’individualità eroica
(intesa come apparenza) che aspira alla dissoluzione nell’unità
superiore («Il genio è l’apparenza che annienta se stessa. Ser-
pens nisi serpentent comederit, non fit draco»80). Accanto al pri­
mato schopenhaueriano della musica («Il musicista assoluto: il
solitario dispregiatore del mondo della parvenza») che è il pre­
supposto di questa interpretazione, Nietzsche sviluppa temi le­
gati alla riflessione giovanile di Wagner quali la centralità della
mimica e della danza, «il più materiale tra tutti i generi d’arte»,
che ha come materia il corpo umano, l’uomo fisico nella sua in­
terezza. Nella musica dionisiaca l’individuo aspira ad esprimersi
come essere appartenente alla specie [ Gattungswesen], il coro
dei satiri lo rappresenta simbolicamente come «uomo della na­
tura tra uomini della natura». La tragedia greca era per Wagner
un modello, non solo artistico, capace di realizzare l’unità delle
arti ma anche un atto di bella ‘religione umana’: l’individuo ri­

80 FP 7 [160] fine 1870-aprile 1871. L a citazione viene da A. Schopenhauer, Il


mondo come volontà e rappresentazione, § 27, cit., p. 222.
Agonismo “inattuale” e critica della “m orale eroica 51

trovava immediatamente nell’eroe sulla scena ‘la parte più nobi­


le di sé’, se stesso potenziato nella verità dell’elemento umano
generico. Nel dramma antico, come festa popolare, l’individuo
vedeva realizzata la sua destinazione comunitaria: l’arte era allo­
ra «gioia di sé, dell’esistenza, dell’umanità intera». Motivi della
filosofia della storia hegeliana (la libertà dei pochi come limite
del mondo greco, la ‘schiavitù reciproca e universale’ dell’impe­
ro romano, il Cristianesimo come espressione della ‘coscienza
infelice’ etc.) ma soprattutto il materialismo e universalismo di
Feuerbach sono fortemente presenti nelle riflessioni giovanili di
Wagner. Ancora nel 1853, nel commento alla terza sinfonia di
Beethoven, Wagner descrive l’eroe come «l’uomo completo cui
sono proprie tutte le sensazioni puramente umane - amore, do­
lore, energia - nella loro massima pienezza e potenza»81. La po­
sizione del giovane Wagner è fortemente anticristiana: il Cristia­
nesimo appare espressione di rinuncia alla vita, negazione del­
l’arte, ‘orrore della comunità’, alienazione82. Nietzsche opporrà
al Wagner ascetico dell’ultimo periodo, le espressioni letterali
sulla ‘sana sensualità’ come redenzione, da lui usate in gioventù,
direttamente derivate da Feuerbach (GM, IH, 3). Wagner, nel
suo profilo autobiografico del 1843 e nella successiva La mia vi­
ta, ricorda appunto come, contro il «misticismo astratto», aves­
se imparato attraverso l’Ardinghello di Heinse e La giovane Eu­
ropa di Laube ad «amare la materia», a «godere la vita», «guar­
dare il mondo con occhi sereni». Nella sua opera giovanile Di­
vieto d’amare «la libera, aperta sensualità - scrive Wagner - vin­
ce con le sole sue forze, l’ipocrisia puritana»83.
Più volte Nietzsche lega la sua superiore fedeltà al Wagner
ateo e anticristiano: ancora nei frammenti postumi per la tormen­
tata quarta Inattuale, il filosofo insiste, in un confronto con

81 R. Wagner, La «Sinfonia Eroica» di Beethoven, in Ricordi, battaglie, visioni, Ric­


ciardi, Milano 1955, p. 174.
82 Si veda in particolare: R. Wagner, Harte e la rivoluzione, in Ricordi, battaglie,
visioni, cit., pp. 297 sgg.
85 R. Wagner, Scritti scelti, Longanesi, Milano 1983, pp. 89-90. Cfr. anche: R.
Wagner, La mia vita, a cura di M. Mila, UTET, Torino 1960, pp. 134-135.
52 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

Eschilo, libero di fronte ai vari Zeus (14[6] autunno 1875-prima-


vera 1876), sul carattere irreligioso dei poeti e sullo specifico atei­
smo di Wagner, uomo moderno che «crede in se stesso». Nietz­
sche riprende il legame forte tra eroismo, amore e morte, presen­
te nei drammi wagneriani, interpretandoli alla luce delle teorie
giovanili del musicista e insistendo sull’elemento vitalistico:
La morte è il suggello di ogni grande passione ed eroismo: senza di
essa, l’esistenza non ha alcun valore. Essere maturo per la morte è la
cosa suprema che possa venir raggiunta, ma altresì la cosa più diffici­
le, che si conquista attraverso lotte e sofferenze eroiche. Ogni morte
di questa natura è un vangelo dell’amore (14[6] estate 1875).

Il tema dell’amore era al centro, in particolare, della riflessio­


ne e della poetica wagneriana negli anni 1848-1854: l’amore è il
mediatore tra la forza e la libertà. Non imposto dall’alto come
l’amore cristiano, esso è la manifestazione più attiva della natura
umana. Forte l’influenza di Feuerbach, soprattutto dei Pensieri
sulla morte e l’immortalità: l’amore trova il suo compimento nel­
la morte come ultima redenzione dall’egoismo verso il raggiun­
gimento dell’unità più reale. I tratti pieni dell’ebbrezza di morte
nel finale del Tristano, la vittoria definitiva sulle menzogne del
giorno che separa gli amanti (l’io e il tu), devono comunque
molto, sia pure attraverso la Volontà di Schopenhauer, alla teo­
ria giovanile di Wagner sull’amore. Scrive Nietzsche: «L 'amore
nel Tristano deve essere inteso in senso non già schopenhaueria-
no, bensì empedodeo: manca del tutto l’elemento peccaminoso:
l’amore è un segno e una garanzia di unità eterna» (11 [5] estate
1875). Wagner consapevolmente fin dal 1857, su questo punto,
ritiene di dover correggere e completare il filosofo pessimista:
l’amore che sorpassa la volontà individuale manifesta una via di
salvezza, porta la possibilità di una purificazione della volontà.
Analogamente, la morte significa la fine dell’individualità e
la continuazione della vita nella pienezza della specie, «l’ultimo
sicuro annullamento dell’egoismo». E anche il senso del sacrifi­
cio e della redenzione di molti eroi e, soprattutto, eroine wa­
gneriane. «Ogni forte passo della vita sul palcoscenico è accom­
Agonism o “inattuale” e critica della “m orale eroica 53

pagnata dall’eco cupa della morte» —commenta Nietzsche


(11 [18] estate 1875). La morte per amore è quindi ricerca del
‘puro umano’, superamento dei limiti individuali e degli ostaco­
li di una vita dominata dagli arbitri della legge: «Il peccato con­
tro la proprietà è determinato unicamente dalla legge della pro­
prietà». Queste parole si trovano nell’abbozzo Gesù di Naza­
reth, in cui il Cristo è espressione della ‘coscienza infelice’ del­
l’artista nella situazione degradata del mondo moderno. La «fu­
ga davanti a questa vita», l’autoannientamento, appare l’unica
soluzione possibile per sciogliere i legami di una bassa sensua­
lità e per realizzare una natura purificata non potendo distrug­
gere, attraverso la rivoluzione, le leggi e le convenzioni di «una
società senza amore». Gli eletti - gli eroi - restaurano l’ordine
pacificato, retto dall’amore contro la proprietà, rappresentano
il futuro e la vita contro il dominio del passato e delle morte co­
se. Nella lettera indirizzata a Röckel del 25 gennaio del 1854,
Wagner afferma che «la paura della morte» caratterizza «azio­
ni, leggi, istituzioni» attuali: «Dobbiamo imparare a morire, e
morire nel senso più pieno della parola. La paura della fine è la
sorgente d’ogni mancanza d’amore».
Nietzsche, negli anni Settanta, prende sul serio fino in fondo
le intenzioni di Wagner ed il carattere filosofico delle sue affer­
mazioni. In particolare valorizza VAnello del Nibelungo in quan­
to «immenso sistema di pensiero» espresso in una «forma visibile
e sensibile»84. Il musicista ha saputo trarre dalle filosofie l’ele­
mento agonistico: «Maggior coraggio e decisione, non succhi
narcotici». «Wagner è filosofo soprattutto là dove è più energico
ed eroico»85. Nell’appunto preparatorio a questo brano di Wa­
gner a Bayreuth Nietzsche fa significativo riferimento, per il loro
ardito simbolismo, al gesto e alle parole di Siegfried in risposta
alle figlie del Reno86. Gettando via, al di sopra del capo, una zol­

84 WB 9, Cfr. FP 11 [18] estate 1875.


85 WB 3, Cfr. FP 11L38] estate 1875.
86 Cfr. R. Wagner, I l crepuscolo degli dei, Atto terzo, Preludio e Scena prima, w.
1600-1602.
54 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

la di terra, alludendo alla sua vita, Siegfried afferma: «Così la


getto via, lontano da me». E il tema dell’eroe che vive nella leg­
gerezza e nella pienezza dell’amore e della immediata vitalità
istintiva e, per questo, non ha conosciuto la paura. La filosofia
che esprime Siegfried è quella che «distrugge gli dèi, contro la
quale va in pezzi la lancia di Wotan». Nietzsche continuerà a va­
lorizzare Siegfried, dandogli un ruolo filosofico centrale, insosti­
tuibile anche quando coprirà di sarcasmi gli altri eroi ed eroine
wagneriane. In A l di là del bene e del male (aforisma 256) valo­
rizza contro il Parsifal la creazione di un Siegfried ‘antilatino’, li­
berissimo, gaiamente e innocentemente barbaro e anticattolico,
decisamente antiromantico. Afferma in più punti che solo la
propria filosofia è adeguata a quella figura e che Schopenhauer
ha falsificato la direzione dell’arte wagneriana, decisamente anti­
cristiana87. Ancora più estrema è la sibillina affermazione: «Sieg­
fried il filosofo in divenire [Der werdende Philosoph Siegfried]»
(34[2] primavera-estate 1874). Certo nelle intenzioni di Nietz­
sche, Siegfried significava il recupero da parte di Wagner delle
sorgenti naturali: ancora «l’uomo non è stato esaurito». Wagner
«scaccia la rappresentazione secondo cui il mondo sarebbe di­
ventato organicamente vecchio». Il dummer Siegfried afferma la
forza della creazione attraverso l’inconscio, contro la conoscen­
za degli dèi che porta all’annientamento. La conoscenza astratta
trova solo nella propria fine la redenzione possibile. Nell’eroe
nibelungico si legge la possibilità dell’artista/artigiano libero, ca­
pace di foggiarsi, contro l’impotenza della tecnica di Mime, per
puro piacere, la spada (una ripresa del mito di Wieland il fab­
bro). Siegfried è libero perché non toccato dalla maledizione del
possesso: «Unico retaggio il mio proprio corpo; vivendo lo con­
sumo» [einzig erb’t ich / den eignen Leib; / lebend zehr’ ich den
au f l»88. Non possiede, non è posseduto. Soprattutto il libero
gioco è l’elemento che caratterizza Siegfried come «überfroher

87 JG B 256. Ma significativo anche l’accostamento alla filosofia di Spinoza: « “Tut­


to ciò sa molto più di Spinoza che di me” - direbbe forse Schopenhauer» (FW 99).
88 R. Wagner, I l crepuscolo degli dèi, Atto primo, Scena seconda, w . 405-407.
Agonism o “inattuale” e critica della “m orale eroica” 55

H eld» [«eroe supremamente giocondo»]89, nel suo rapporto di


antitesi/complementarietà con Wotan, il dio triste, «di tutti il
meno libero»90.
L’eroe si caratterizza per lo scherzo, la serenità e la leggerez­
za in cui è immerso e che esorcizzano il mondo della tragedia e
del mito. Nietzsche sembra cogliere l’aspetto di fiaba (la defini­
zione è di Dalhaus) della seconda giornata àÆ Anello quando
insiste sul carattere di ‘idillio’, in senso schilleriano, del Sieg­
fried-, «L a natura e l’ideale sono reali, questo dà gioia» (9[142]
1871). Lo stesso pessimismo di fondo, di matrice schopenhaue-
riana, non riesce ad eliminare ma solo a modificare il tema della
redenzione/rigenerazione che resta sempre possibile: «il dram­
ma [è] profezia di una vita più pura (in contrapposto al dram­
ma antico che è retrospettivo)» (12[19] estate-fine settembre
1875). «Hidillio tragico-, l’essenza delle cose non è buona e deve
perire, ma gli uomini sono talmente buoni e grandi, che i loro
delitti ci commuovono nel modo più profondo, poiché essi sen­
tono di essere incapaci di tali delitti. Siegfried è l’“uomo”, e noi
invece siamo i bruti senza pace né meta» (9[149] 1871). Questo
riferimento all’uomo rimanda puntualmente alla riflessione di
Wagner in Una comunicazione ai miei amici in cui la figura del­
l’eroe caratterizzato dall’amore (quasi visibile nella sua corpo­
reità) e dalla piena «gioia di vivere», rappresentava «la palpi­
tante manifestazione sensibile dell’uomo nella sua più naturale
e serena pienezza [...] l’“uomo” nella pienezza della sua forza
più alta e più immediata e della sua più indiscussa amabilità»91.
Il tema dell’anticristianesimo di Siegfried, nella valorizzazio­
ne di Nietzsche, non può comunque limitarsi a questi elementi:

89 R. Wagner, Il crepuscolo degli dèi, Atto terzo, Scena seconda, v. 1677. Nel saggio
postumo Su verità e menzogna in senso extram orale, Nietzsche designa come «eroe su­
premamente giocondo» l’uomo intuitivo che, diversamente dall’uomo razionale che af­
fronta i più impellenti bisogni armato di «previdenza, prudenza, regolarità», non vede
neppure quei bisogni e «considera come reale soltanto la vita trasformata dalla finzione
in parvenza e bellezza» (WL 2; Opere, HI, n, p. 371).
90 R. Wagner, L a Walkiria, Atto secondo, Scena seconda, v. 879.
91 R. Wagner, Una comunicazione a i m iei am ici, cit., pp. 118-119.
56 Nietzsche. La morale dell’eroe

soprattutto non andrà confuso mai con la pagana salute della


‘bionda bestia’ o del primitivo germano. Nietzsche ne prende le
distanze, sarcasticamente, quando con disprezzo parla di «ado­
lescenti tedeschi, cornuti Sigfridi e altri wagneriani» che hanno
bisogno del ‘sublime’, del ‘profondo’, dello ‘sbalorditivo’. L’ele­
mento rivoluzionario di Wagner, al di là dei travestimenti, non
può che rimandare alla Francia e alle decisive esperienze filoso­
fiche giovanili: «Wagner era un rivoluzionario - scappava via
dai Tedeschi» (EH, Perché sono così accorto 5).
NelPi4«e//o, la strada degli uomini viene intrapresa per primo
dall’ignaro e innocente Siegmund, la cui sorte è pianificata senza
spazi di libertà, che è disposto a rinunciare alla condizione di
eroe nel Wahalla offerta da Brunhilde a favore della vita umana
legata all’amore di Sieglinde: «Dove vive Sieglinde, / in piacere
e patire / colà anche Siegmund vuol rimanere [Wo Sieglinde lebt
/ in Lust und Leid, / da will Siegmund auch säumen\»n . Stessa
rinuncia, per motivo d’amore, da parte di Brunhilde nel HI atto
del Siegfried. Wagner riprende lo spunto tracciato nel 1851 per
1’Achilleide: a Teti che promette l’immortalità ad Achille, purché
rinunci a vendicare l’amico Patroclo, l’eroe oppone uno sdegna­
to rifiuto. La dea si inchina riconoscendo la superiorità dell’uo­
mo sul dio: «G li eterni dèi sono gli elementi che danno vita al­
l’uomo. Nell’uomo la creazione è al suo culmine»9293, l ’uomo è il
perfezionamento del Dio.
Nietzsche in Ecce homo afferma: «Un dio che venisse sulla
terra non potrebbe fare altro che torti - prendere su di sé la col­
pa , non la pena, questo sarebbe veramente divino» (EH, Perché
sono così saggio 5). Il tema toma più volte in Nietzsche ed è svi­
luppato, in antitesi al Cristianesimo, in pagine centrali della
Genealogia della morale. H Dio redentore cristiano si sacrifica,
innocente, per la colpa degli uomini portando all’iperbole il sen­
so di debito verso gli avi e la divinità e rendendo impossibile

92 R Wagner, La W alkiria, Atto secondo, Scena quarta, w . 1349 sgg.


95 R Wagner, Entw ürfe. Gedanken. Fragm ente. A us nachgelassenen Papieren
zusammengestellt, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1885, p. 59 (BN).
Agonismo “inattuale” e critica della "morale eroica' 57

ogni risarcimento ed espiazione. «Un debito verso Dio-, questo


pensiero diventa per lui [l’uomo dalla cattiva coscienza] stru­
mento di tortura». Gli istinti animali vengono reinterpretati dal­
l’uomo, la «dissennata triste bestia», come una colpa verso Dio.
Ogni negazione di sé diventa affermazione di un contrario,
proiettato fuori da sé: la sofferenza e il rimorso, il senso di colpa
non trovano vie d’uscita. Gli dèi greci, invenzione di una vita af-
fermatrice, tengono invece lontana la cattiva coscienza, hanno la
funzione di togliere la colpa agli uomini per assumerla essi stessi:
“Deve pur averlo accecato un dio”... In tal modo allora gli dèi ser­
vivano a giustificare, entro una certa misura, l’uomo anche nel male,
servivano come cause del male - in quel tempo essi non si assumeva­
no la pena, bensì, come è più nobile, la colpa (GM I I 23).
Nietzsche nella Genealogia sviluppa questo tema confortato
dalla lettura di Die Ethik der alten Griechen (1882) del filologo
Leopold Schmidt94 a cui Nietzsche si riferisce, implicitamente,
soprattutto per l’analisi dell’origine e delle trasformazioni dei
termini buono e cattivo. Il tema era comunque già presente nel­
la riflessione sugli dèi greci e, soprattutto, trovava nella caratte­
rizzazione iniziale di Wagner della figura di Siegfried, bene
esplicitato, questo aspetto decisamente anticristiano. Nel Mito
dei Nibelunghi, l’abbozzo in prosa per la Morte di Siegfried (la
Heldenoper del 1848 che Nietzsche, come risulta dai D iari di
Cosima, nel giugno del 1871, aveva addirittura ricopiato per la
stampa) il finale suonava: «Udite dunque, voi Dèi possenti: il
vostro torto è cancellato; siatene grati all’eroe che assunse su di
sé la vostra colpa». Questo comporta, con la restituzione dell’a­
nello alle figlie del Reno, la fine del servaggio dei Nibelunghi, la
liberazione dello stesso Alberich, il regno pacificato di Wotan
lontano dalla maledizione del possesso. Sembra quasi che Wa-

94 Si veda 7[160] primavera-estate 1883. Sull’importanza di questo autore come


fonte della Genealogia si veda A. Orsucci, Nietzsche, Wundt e il filologo Leopold Sch­
midt. A proposito di una fonte della 'Genealogia della morale1, in «Giornale critico della
filosofia italiana», L X X (1991), pp. 275-303.
58 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

gner tenga presente la fine del mito di Prometeo con il ritorno


di Zeus (Wotan) e delle sue leggi in un mondo purificato. Que-
to tema, centrale, è esplicitato in più punti: «Senza colpa ha
preso su sé la colpa degli dèi [Er hat schuldlos die Schuld der
Götter übernommen] » ^ . Lo stesso Wotan non può cancellare
l’ingiustizia «senza commettere una nuova ingiustizia: soltanto
una volontà libera, indipendente dagli stessi dèi, che è in grado
di assumersi tutta la colpa e di espiarla, può rompere l’incanto;
e gli dèi riconoscono nell’uomo la capacità di una tale libera vo­
lontà». L’uomo redentore della colpa divina comporta l’autodi­
struzione degli dèi:
Per questa alta destinazione, cioè perché egli espii la loro propria
colpa, gli dèi allevano l’uomo e la loro intenzione sarebbe realizzata,
se creando gli uomini, essi annientassero se stessi, se fossero, nella li­
bertà della coscienza umana, obbligati a rinunciare alla loro influenza
immediata9596.
La colpa degli dèi, anche per Nietzsche, è la fissazione irrigi­
dita, in un cielo lontano, di valori e morali che hanno perduto il
loro carattere di mobilità e esperimento vitale, che pesano co­
me estranei sull’uomo. La libertà è fine dell’alienazione: l’uomo
trasforma se stesso acquistando una ‘nuova innocenza’. L’inse­
gnamento che Nietzsche recepisce da Wagner, con riferimento
preciso alle parole con cui Wotan esprime la sua aspirazione
verso 1’“altro’, l’eroe che solo può redimere97, è che «chiunque
voglia diventare libero, deve diventarlo da sé, e che a nessuno
la libertà cade in grembo come un dono miracoloso» (WB 11).
I lunghi tempi della realizzazione deWAnello conoscono
profondi mutamenti in Wagner, nella teoria musicale come nei
riferimenti culturali. La linearità della proposizione che porta
dalla morte di Dio all’uomo, si gioca poi nella complessità delle
relazioni e nella continua ambiguità rispetto ai temi iniziali. H

95 R. Wagner, Der Nibelungen-Mythus. A ls Entw urf zu einem Drama (1848) in Säm­


tliche Schriften und Dichtungen, Breitkopf & Härtel, Leipzig, 1911, II, pp. 166 e 163.
96 Ivi, p. 158.
97 Cfr. R. Wagner, L a W alkiria, Atto secondo, Scena seconda, w . 1062-1063.
Agonism o “inattuale” e critica della “m orale eroica 59

protagonista effettivo, l’eroe, diventa sempre più Wotan il dio


‘schopenhaueriano’ della rinuncia e della volontà di fine. Il cre­
puscolo degli dèi mostra la profonda perversione della natura­
lità: il mondo che ha al suo centro la maledizione è un mondo
snaturato, e il finale, nella sua ambiguità affidata alla forza sug­
gestiva della musica, accentua il motivo nichilistico della reden­
zione, possibile solo come annientamento della realtà tutta, non
solo degli dèi e della loro colpa. La musica dei Leit-motive vuole
esprimere non rigide maschere o enfatizzare situazioni: attraver­
so l’uso delle varianti, dei legami e derivazioni dei motivi l’uno
dall’altro, come è stato messo in luce, la linearità del percorso si
complica e si contraddice. Parola e musica spesso si relaziona­
no, dialetticamente o a contrasto, producendo nuove e inedite
connessioni di senso. Il mito eroico di Wagner assume i caratte­
ri dell’ambiguità: la sua musica più che sopraffare e violentare,
nella sua ‘festa di relazioni’ (Thomas Mann), vuole essere capita
da una «riflessione integralmente consumata» che sola può dare
«un sentimento ed una facoltà di percezione musicale che vada­
no al di là dell’abbacinamento acustico» (Cari Dalhaus).

8. G li eroi fig li della grande città


Sul tema centrale della redenzione che caratterizza gli eroi
wagneriani, l’ultimo Nietzsche eserciterà i suoi strali fino al sar­
casmo. Il confronto avviene anche con UAnello del Nibelungo,
con la svolta schopenhaueriana che ‘redime’ Wagner dal ‘ne­
fando ottimismo’ rivoluzionario dei suoi giovani anni, trasfor­
mando la primitiva volontà rivoluzionaria ed emancipatrice nel­
la volontà del nulla. Wagner è confermato da Schopenhauer co­
me décadent-, i suoi eroi in realtà sono figli della grande città,
travestono in vesti antiche, per esotismo, sentimenti modernis­
simi, patologici: «Che i bravi Tedeschi riescano qui a fantastica­
re di sentimenti primigeni di robustezza ed energia germanica,
è qualcosa che fa parte di quei sintomi spassosi della cultura
psicologica dei Tedeschi» (15[99] primavera 1888). Il germane-
60 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

simo e l’eroismo nazionale di Bayreuth («una palude di arro­


ganza, oscurità e tedescheria»), il cui idealismo non riesce a na­
scondere gli sporchi risvolti, sono, nella matura analisi di Nietz­
sche, un involucro che deforma radicalmente la genuina natura
di Wagner. Il culto della passione, il suo eccesso e la sua tiran­
nia, è riportato da Nietzsche al clima romantico francese degli
anni Trenta e Quaranta: «Wagner ha creduto all’amore come
tutti i romantici di quel decennio folle e sfrenato. Cosa ne re­
stò? Quella insensata divinizzazione dell’amore e, accanto a ciò,
della dissolutezza e finanche del delitto»98.
Le eroine wagneriane, al di sotto della leggera ‘scorza eroi­
ca’, sono della stessa natura di madame Bovary: viceversa, l’e­
roina di Flaubert, tradotta in scandinavo e norvegese, sarebbe
un libretto ideale per il musicista. «Come ha saputo Wagner,
con suoi eroi, venire incontro ai tre bisogni fondamentali del­
l’anima moderna: essa vuole il brutale, il morboso e l’innocen­
te... Questi mostri magnifici, con corpi di epoche preistoriche
e nervi di dopodomani»99. Gli eroi di Wagner non sono più
promessa di ideale rigenerazione di una civiltà e neppure l’eco
di epoche passate - come li aveva pensati Nietzsche in periodi
diversi - ma esprimono, nella loro stessa fisiologia, la disgrega­
zione e la decadenza dell’epoca moderna. Parigi li definisce e li
esprime: «Sempre a quattro passi dall’ospedale! Niente altro
che problemi modernissimi, problemi assolutamente da grande
città» (WA 9). E noto come Nietzsche utilizzi per il ‘caso’ Wa­
gner le analisi di Bourget (in particolare quelle dedicate a Bau­
delaire: «Un des “cas” les plus réussis» della decadenza100) per
caratterizzare la complessità e la contraddizione, la convivenza

98 FP 15[14] primavera 1888. Cfr. anche JG B 256.


99 FP 14[63] primavera 1888. Si veda anche FP 15[15] primavera 1888: «Ogni
fisiologo commenta: è tutto falso!» e FP 2[113] autunno 1885-autunno 1886: «L ’im­
possibilità psicologica di queste pretese anime d’eroi e di dèi, che sono nello stesso
tempo nervose, brutali e raffinate come i più moderni tra i pittori e i lirici parigini».
100 P. Bourget, E ssais de psychologie contemporaine, Lemerre, Paris 1883, p. 17;
trad. it. Décadence. Saggi di psicologia contemporanea, a cura di F. Manno, Aragno Ed.,
Torino 2007, p. 14.
Agonism o “inattuale” e critica della “m orale eroica: 61

di anime inconciliabili e inconciliate nell’opera del musicista.


«Mi sono chiesto se ci sia mai stato qualcuno, tanto moderno,
morboso, molteplice e contorto da poter essere considerato al­
l’altezza di affrontare il problema Wagner. Tutt’al più in Fran­
cia: penso a Charles Baudelaire» (15 [6] primavera 1888). Cer­
tamente la fisiologia dell’arte di Nietzsche vede nel bisogno
energico di dominare, tirannizzare il pubblico coi forti colori e
l’eccesso della passione, l’espressione della debolezza moderna
di Wagner. L’eroismo appartiene di nuovo completamente alla
scena, alla volontà di sedurre e dominare il pubblico, adattan­
dosi ai suoi bisogni più bassi: è uno strumento della politica de­
cadente della crisi che agita caoticamente i sentimenti senza pu­
rificarli, ordinarli, trasformarli.

9. Altri eroi ‘modernissimi’: i casi di Hugo, Michelet,


Baudelaire, Gobineau nella critica di Nietzsche

Principalmente attraverso il Wagner dalla natura ‘francese’ ed


europea e attraverso il suo ‘fratello’ Baudelaire, Nietzsche si apre
la via alla comprensione dell’eroismo come soggetto della mo­
dernità nel suo rapporto con la décadence. Baudelaire valorizza
la tradizione di rivolta che, partendo dal Satana di John Milton,
attraverso il Caino di Byron, il Prometeo di Percy Bysshe Shelley,
definisce l’atteggiamento del poeta della grande città, solidale
con ogni ribellione quanto impotente ad una azione che non sia
gesto teatrale (l’‘impotenza epica’). Sulle orme di Bourget, Nietz­
sche sottolinea nei decadenti la pronta fuga nell’‘ideale’, nell’al­
lucinazione provocata dall’incapacità di dominare il prestissimo
delle sensazioni. Esemplare la posizione di Baudelaire di «disde­
gno contro i boulevards» (16[34] primavera-estate 1888): «Cer­
tes, je sortirai, quant à moi, satisfait / D ’un monde où l’action n’e­
st pas la sœur du rêve» (Baudelaire)101. Il dare forma a quel caos

101 Ch. Baudelaire, I fio ri del m ale, CXV III (Il tradimento di San Pietro), in Opere, a
cura di G. Raboni e G. Montesano, Mondadori, Milano 1996, p. 249.
62 Nietzsche. L a morale dell’eroe

degli istinti che caratterizza l’uomo moderno, presuppone una


disciplina del corpo e dell’atteggiamento, la scelta dell’‘artificio’
contro la natura. Se non vi è forza sufficiente per arrivare ad una
nuova forma, subentra la volontà di apparire. L’unità e lo svolgi­
mento della forma postulata dal desiderio, ma resa impossibile
dalla malattia della volontà, viene giocata sul palcoscenico: il
mondo moderno è il teatro dell’attore, dell’istrionismo della de­
cadenza. Nello stesso Victor Hugo - come Nietzsche polemica-
mente ha colto - l’eroe e l’istrione sono tra loro solidali: la gonfia
epopea del progresso marcia con Dio attraverso coloro che apro­
no all’umanità la via dell’infinito, che rompono la gabbia che rin­
serra l’uomo. «Tutti coloro in cui Dio si concentra», «i combat­
tenti delle idee, i gladiatori di Dio» grazie a cui «une sorte de
Dieu fluide coule aux veines du genre humain», «ces acteurs du
drame profond [...] ces splendides histrions ces histrions sont
les héros!»102.
La stessa decisa critica di Nietzsche è rivolta a Michelet, pie­
na espressione della debolezza romantica: lo storico ha tutti i ca­
ratteri dell’istrionismo che nasce dall’impotenza e dalla mimesi
della grandezza, è «un concitato, sudato plebeo», un «tribuno
popolare». Il romanticismo di Michelet ha affermato la morte
del Dio cristiano solo per sostituirvi la nuova religione del po­
polo capace di estinguere, nel banchetto universale del genere
umano, ‘la fame di Dio’. Un dio che si costruisce e che quotidia­
namente diviene, di contro al ‘Dieu tout fait ’ del Medioevo.
Il giudizio sferzante di Nietzsche culmina in un gesto di defi­
nitiva opposizione («Tutto quello che a me piace gli è estraneo:
Montaigne come Napoleone»; 26[403] estate-autunno 1884) e
rimanda, anche puntualmente, alle critiche di Paul Bourget103,

102 V. Hugo, Les M ages, in Les Contemplations, Lévy frères, Paris 1856, pp. 184,
201,197,192-193.
105 Cfr. P. Bourget, E ssais de Psychologie, cit., p. 224: J . Michelet «ne pouvait com­
prendre et n’a compris ni Montaigne ni Bonaparte» (saggio su Taine). Trad. it., cit.,
p. 129. Nel saggio di Paul Bourget Enfance de Michelet si legge una decisa critica al ro­
manticismo dello storico «frémissant jusqu’au spasme à la moindre impression, sensible
jusqu’à la colère, capable d ’une perspicacité divinatoire quand il voit juste, incapable
Agonism o “inattuale” e critica della “m orale eroica: 63

Karl Hillebrand104, e a quelle di Hippolyte Taine105, da cui i pri­


mi due sembrano in gran parte derivare. La caratterizzazione di
Michelet come ‘uomo della compassione’, che ha «l’ammirevole
capacità di ricostruire in sé gli stati d’animo», il confronto con
Hugo e la sua ‘allucinazione pittorica’, la febbre dell’anima che
«déborde en expressions convulsives» sono temi presenti in Tai­
ne e Bourget. Nietzsche e Taine concentrano la loro critica sullo
stesso punto, l’elemento plebeo e istrionico (charlatanisme) del­
l’atteggiamento di Michelet: «Il veut persuader le public; bien
plus, le peuple». La sua storia «è ammirabile e incompleta; se­
duce e non convince»106. A tal proposito ci dobbiamo ricordare
delle parole con cui Zarathustra mette in guardia gli ‘uomini su­
periori’: «Sul mercato si persuade coi gesti. Le ragioni, invece,
rendono diffidente la plebe» (ZA IV, Dell’uomo superiore 9). Il
popolo è la gonfia epopea della riconquista del Dio «nel quale
gli uomini si riconoscano e si amino», per il quale sia possibile
di nuovo ed abbia un senso superiore ‘il sacrificio’ degli eroi,
umili o grandi.
Altro eroe, il dandy. La riflessione sul dandysmo, appare ne­
gli appunti di Nietzsche intrecciata alla lettura degli scritti po­
stumi di Baudelaire. L’‘eroismo’ del dandy, la sua solitudine,
nasce dalla necessità di distinguersi come ‘individuo’ sullo sfon­
do della grande città, ma anche, più in generale, di una società
e di un momento storico particolarmente meschini (la caratte­
rizzazione di Marx della seconda repubblica: «Passioni senza
verità, verità senza passione, eroi senza azioni eroiche, storia
senza avvenimenti»107).
La ‘sublimità’ del dandy (per Baudelaire « l’ultimo bagliore

de contrôler ses erreurs quand la passion l’égare» (cit. in E. Seillière, Paul Bourget psy­
chologue et sociologue, Édition de la Nouvelle Revue Critique, Paris 1937, p. 39).
104 K. Hillebrand, Zeiten, Völker und Menschen, Zweiter Band: Wälsches und Deut­
sches, R. Oppenheim, Berlin 1875 (BN), pp. 140 sgg.
105 H. Taine, E ssais de Critique et d ’Histoire, Hachette, Paris 18662, pp. 175 sgg.
106 Ivi, pp. 189-190.
107 K. Marx, I l diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte, Editore Riuniti, Roma 1964,
pp. 87-88.
64 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

di eroismo nei tempi della decadenza») sta nel giocare una par­
te aristocratica per non rendersi accessibile ai sensi del grande
gregge dominante: il suo eroismo sta nella quotidiana fatica
della costruzione di sé per l’apparenza («Il dandy deve vivere e
dormire davanti a uno specchio»). Indubbiamente Nietzsche
subisce il fascino di questa figura possibile di eroismo della mo­
dernità. Ricordiamo il suo interesse per De Custine, Barbey
d’Aurevilly oltre che la costante presenza (più o meno esplicita)
di Byron nei suoi scritti e la sua trascrizione dei passi di Baude­
laire dedicati al dandy.
La stessa figura di Cesare, che appare negli ultimi scritti, è
lontana dalla semplificazione di una affermata volontà di po­
tenza ‘imperiale’ o guerriera. Cesare è piuttosto più vicino alla
complessa e ambigua figura posta come modello più illustre dal
dandy (De Custine, Delacroix, d’Aurevilly) e che fa esclamare a
Baudelaire: «Che splendore di sole al crepuscolo getta nell’im­
maginazione il nome di quest’uomo! Se mai uomo in terra ha
avuto somiglianza col Divino questi è Cesare»108. Nietzsche,
come Baudelaire, insiste sulla cura che Cesare aveva della pro­
pria persona (era un dandy raffinato dalla «pelle bianchissima»
nonostante le marce), sulla costante capacità di autodominio,
sull’esercizio della ‘forma’. Nietzsche lo presenta tra gli «estre­
mi, e perciò quasi essi stessi già decadenti... La breve durata
della bellezza, del genio, del Cesare, è sui generis» (14 [133 J pri­
mavera 1888), ed altrove si legge della «estrema vulnerabilità di
una macchina delicata». L’appunto «Cesare tra i pirati» (11 [52]
novembre 1887-marzo 1888) mi pare significativo in questa di­
rezione di lettura per il riferimento a Plutarco (cap. 2): Cesare
caduto in mano a pirati sanguinari si comporta con impassibi­
lità e pieno autodominio della collera, come un principe che
impone la distanza o concede familiarità senza poi tralasciare,
dopo il riscatto, una vendetta inaspettata e a freddo. «Scriveva
poesie e discorsi, e glieli faceva ascoltare, e se non glieli applau­
divano li chiamava bruscamente illetterati e barbari, e spesso,

108 Ch. Baudelaire, Salon del 1859, in Opere, cit., p. 1223.


Agonism o “inattuale” e critica della “m orale eroica” 65

ridendo, minacciò di impiccarli; anch’essi ne ridevano». Dopo


il riscatto armò delle navi e con freddezza realizzò ciò che aveva
predetto ai pirati.
Altri eroi modernissimi sono quelli creati dalla disperata vo­
lontà di fuga del conte di Gobineau di fronte al mondo contem­
poraneo: una fuga impotente nella immaginaria purezza di lon­
tani eroi ariani oppure nella allucinata costruzione di impossibi­
li genealogie per una personale epopea (il pirata norvegese Ot-
tar Jarl). È la debolezza e impotenza che spinge Gobineau a de­
lirare l’intero processo storico con una mitica filosofia della sto­
ria, che ha nella metafisica della razza il suo fondamento e nella
catastrofe finale la sua verità. La grande città è l’inferno’ dove
tutto si mescola: all’universale mediocrità («Médiocrité de force
physique, médiocrité de beauté, médiocrité d’aptitudes intellec­
tuelles»109) e alla certezza di una fine della storia legata alla ro­
vina della razza ariana, si oppone solo il sogno di evasione (un
Iran eroico e mitico, le origini chiare, pure e felici dell’umanità,
i mostri di forza del Rinascimento, i ‘fiori d’oro’, i ‘figli dei re’,
etc.). Nell’universale mediocrità non vi sono più classi, popoli,
ma solo qualche individualità «surnageant comme des débris
sur un déluge».
Nietzsche è deciso contro questo eroismo decadente, di car­
tapesta. Tra le maschere degli ‘uomini superiori’ nello Zarathu­
stra, troviamo i due re che parlano il cupo e crudo linguaggio
dell’aristocratico pessimista sull’epoca della decadenza. Nella
nobiltà
tutto è falso e marcio, prima di tutto il sangue [...]. È il regno della
plebe, - non mi lascio più ingannare. Plebe, però, vuol dire: intruglio.
Intruglio plebeo: lì è tutto mescolato alla rinfusa, santo e ladrone e no­
biluomo e giudeo, ogni sorta di bestie dall’arca di Noè. Buoni costumi:
presso di noi tutto è falso e marcio (ZA IV, Colloquio con i re 1).

Le parole dei due re sono quelle, piene di risentimento, che

109 A. Gobineau, E ssai sur l ’inégalité des races humaines, in Oeuvres, I, Gallimard,
Paris 1983, p. 1163.
66 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

caratterizzano anche la scimmia di Zarathustra che sputa il suo


veleno sulla grande città di cui è reale espressione e prodotto. Il
linguaggio degli uomini superiori non deve essere confuso con
quello di Zarathustra: essi appartengono completamente, in va­
rio modo, alla decadenza ed alla reattività, soffrono dei valori
dati e correnti senza avere la forza di superarli.

10. Il superamento dell’eroismo nell’ultimo Nietzsche


«Più in alto del “tu devi” sta l’“/o voglio” (gli eroi); più in al­
to dell’“io voglio” sta “io sono” (gli dèi dei Greci)» (25[351]
primavera 1884). In questo appunto del 1884 Nietzsche riassu­
me, applicandolo al tema dell’eroismo, il percorso tracciato da
Zarathustra nella parabola delle tre metamorfosi: dall’accetta­
zione di ogni peso gravoso come esperimento e prova di una
forza che isola (il cammello che corre nel deserto) alla lotta per
la libertà contro il costume rigido della comunità e i valori mil­
lenari (l’io voglio del leone lotta contro il tu devi). Anche nel
leone è durezza per «crearsi la libertà per una nuova creazio­
ne». Ed infine il fanciullo come «innocenza e oblio» e «gioco
della creazione», come risultato.
Prima di pubblicare lo Zarathustra, il filosofo si confronta, in
maniera radicale e prendendone le distanze, con la morale
‘eroica’ proposta da Heinrich von Stein nel suo scritto Helden
und Welt, Dramatische Bilder. In questo testo, inviato a Nietz­
sche in ultime bozze, Stein si richiamava al modello degli affre­
schi drammatici de La Renaissance di Gobineau, e alle teorie
dell’ultimo Wagner e del suo maestro Dùhring, interpretato co­
me espressione di ‘pessimismo eroico’. Stein è rappresentante
deir'idealismo germanico’, legato alla prospettiva antisemita
comune ai suoi maestri. La purezza del sangue, la liberazione
del Cristianesimo dagli elementi ebraici, il confronto simpateti­
co con molti temi della cupa filosofia della storia di Gobineau,
il legame forte tra ascetismo ed eroismo caratterizzano l’ultima
filosofia di Wagner. Nietzsche con sicurezza, per tempo, ha
Agonism o “inattuale” e critica della “m orale eroica 67

preso le distanze dall’antisemitismo (i contrasti con Wagner e


Diihring - come poi con i Förster, sorella e cognato - hanno in
sé anche questo elemento critico) e sono deboli e inconsistenti i
tentativi (a diversi livelli, dai più volgari ai più rispettabili) di
leggere nella sua filosofia una contrapposizione all’elemento
‘semitico’. Si potrebbero moltiplicare i passi, più o meno noti,
che vanno nella direzione di una lotta all’antisemitismo dell’e­
poca. Preferisco rimandare agli attacchi che YAntisemitische
Correspondes riserva al ‘filosofo dell’avvenire’ alla fine del
1887 e al decisivo - per la sua virulente chiarezza - appunto
inedito del Nachlaß di Eugen Dühring110:
Nietzsche. Tipo giudaico, e certo uno dei più puzzolenti e insolen­
ti. Non c’è quasi frase in cui egli non dia di balta. Non si tratta solo di
roba aforistica, ma proprio di roba sconnessa e spezzettata. Questa
sconnessione del pensiero è solidale con la tipica violenza ebraica.
Inoltre ottuso fino alla demenza, e con questo già prepara la vera e
propria, letterale, piena demenza, in cui lo stato del paziente finisce
con l’essere inguaribile. La sua malattia consisteva, a prescindere dalla
follia già da prima cronica, in una sorta di febbrile e vanitosa esalta­
zione, che lo condusse infine alla catastrofe lasciandolo nella più ottu­
sa demenza. Un caso esemplare da manuale psichiatrico.
La critica di Dühring mette in gioco tutti gli elementi del de­
lirio antisemita per caratterizzare la personalità e la filosofia di
Nietzsche. D suo successo - «una colossale messa in scena» - si
ebbe solo quando «lo schiavo sfuggì al suo padrone» Wagner
per scatenarsi a favore degli Ebrei. Nietzsche non fu danneg­
giato neppure dall’essere ospite del manicomio di Jena perché
era sostenuto dagli interessi e dalla stampa ‘ebraici’. Dühring
accusa inoltre Nietzsche di aver ‘saccheggiato’ le sue opere e di
averne rovesciato completamente il senso dirigendo i suoi at­
tacchi, carichi della «sfrontatezza del tutto giudaica», contro

110 L'appunto, rinvenuto da Andrea Orsucci, si trova conservato presso il Nachlaß


Diihring (cassa numero 5) della ‘sezione manoscritd’ della Staatsbibliothek di Berlino.
Ringrazio Orsucci per avere permesso l’utilizzazione di tale inedito per questo mio
lavoro.
68 Nietzsche. La morale dell’eroe

tutto ciò che è «rispettabile e nobile al mondo» e contro i più


alti rappresentanti della morale. Gli antisemiti contemporanei
ben riconoscevano in Nietzsche un loro attivo oppositore che
fino all’ultimo, già dentro la follia, manifesta nei biglietti da To­
rino la volontà di farli tutti fucilare.
L’opposizione a Stein è decisiva per chiarire la posizione più
profonda, acquisita a partire da Umano, troppo umano, sull’e­
roismo. Nella lettera da Genova dei primi di dicembre del
1882, Nietzsche afferma: «Riguardo all’eroe io non ne penso
tanto bene come Lei. Certo, questa è pur sempre la forma di
esistenza più accettabile, soprattutto se non si ha altra scelta».
L’ascetismo è carattere essenziale dell’eroismo in quanto sacrifì­
cio della cosa più cara imposto «dal tiranno che è in noi (che
saremmo disposti a chiamare “il nostro io superiore”)». «Quel­
lo che Lei tratta - afferma Nietzsche contro Stein - sono quasi
unicamente questioni di crudeltà». Se il filosofo sente di avere
dentro di sé e nel suo percorso qualcosa di questo carattere
‘tragico’, ritiene anche necessario il suo superamento: «Vorrei
liberare l’esistenza umana da quello ch’essa ha di straziante e di
crudele». Nietzsche insiste, in più punti centrali dei suoi scritti
della maturità, contro questa «morale degli animali da sacrifì­
cio», in cui l’entusiasmo della vittima nasce dal sentirsi una sola
cosa con «il potente essere, sia esso un Dio o un uomo» a cui è
consacrata. La sua potenza viene testimoniata e verificata pro­
prio dal sacrificio: «Non sembrate tanto immolarvi, quanto, in­
vece, trasmutarvi, col pensiero in divinità e, come tali, godere
di voi stessi» (M 215). Con la fine delle convinzioni va in crisi il
primato dell’eroismo che presuppone comunque una fede e
pretende una garanzia metafisica o teologica. In qualche caso,
come nel romantico Carlyle, la volontà di fede nasconde la
mancanza di fede propria della debolezza moderna, una «conti­
nua appassionata disonestà verso se stessi».
L’eroismo si lega sempre più, nell’ottica critica di Nietzsche,
alla certezza soggettiva, che è propria della religione e che è ne­
mica dell’indagine e della verità. Sulle orme di Taine, Nietzsche
critica radicalmente Carlyle il cui ‘fanatismo’ si ricongiunge a
Agonism o “inattuale’’ e critica della “m orale eroica” 69

quello dei puritani. «L a fede è sempre tanto più ardentemente


desiderata, tanto più urgentemente necessaria, laddove manca
la volontà» (FW 347). Nietzsche coglie bene il carattere di reli­
giosità e di fede nel programma eroico e di ‘culto degli eroi’ del
romantico inglese Carlyle, da cui prende con forza le distanze.
L’eroismo è la disponibilità della vittima a lasciarsi usare per
fini che la trascendono, che non sono i suoi: si contrappone alla
forza dei grandi spiriti, capaci di ‘scetticismo’ e di una grande
passione che subordina ai suoi fini anche le ‘convinzioni’, senza
esserne subordinati. La libertà degli orizzonti è il presupposto
dell’«individuo sovrano» che poggia su se stesso. Nello Za­
rathustra si riconosce grande eroismo alla figura del prete per la
‘sofferenza’ che infligge a se stesso e agli altri e la cui stoltezza
ha inventato la testimonianza del sangue (il peggior testimonio)
a favore della verità. L’eroismo è la buona volontà del tramonto
assoluto di noi stessi ed appartiene all’‘uomo superiore’, la figu­
ra del ‘decadente’ dopo la morte di Dio che con la sua fine pre­
para il rovesciamento dei valori e la via all’individuo sovrano. A
questa tensione estrema, agonistica, che caratterizza la volontà
eroica, propria dei ‘sublimi’, Nietzsche contrappone, nello
Zarathustra, la forma pacificata, la bellezza che ha imparato il
sorriso. Al ‘sublime’ cristiano, idealistico, Nietzsche oppone il
sublime legato alla pienezza dell’energia, in consonanza con la
fisiologia della passione, propria di Stendhal.
È l’ultima, più diffìcile forma di eroismo, quella che caratte­
rizza il ‘supereroe’: contro l’idealismo che ‘trasfigura’ se stesso e
le sue mete, l’eroismo sta nel «non lottare sotto la bandiera del­
l’abnegazione, della dedizione, del disinteresse; consiste nel non
lottare affatto». L’eroe sublime «ha soggiogato mostri, ha risolto
enigmi: ma egli dovrebbe liberare anche i suoi mostri e i suoi
enigmi e trasformarli in figli del cielo» (ZA II, D ei sublimi).
Socrate monstrum:
eroismo e decadenza

1. Cercare tesori e trovare lombrichi

Dopo aver gettato lo sguardo in lontananze tanto remote, rivolgia­


molo di nuovo su Socrate, che nel frattempo si è certamente trasfor­
mato in un mostro: «E già appare come un ippopotamo, con occhi di
fuoco e mascelle terribili».
Così si legge al termine di un lungo appunto in cui Nietzsche
delinea le conseguenze fatali, destinate alla compiuta afferma­
zione nella contemporaneità, della criticità razionalistica di So­
crate e de]J’‘arte socratica’1. Tale direzione troverà sviluppo e
sistemazione nella singolare ‘filosofia della storia’ della Nascita
della tragedia. In questo appunto, intanto, Nietzsche riprende
l’immagine del Faust di Goethe: il barbone nero che rassicura­
va il famulo Wagner («è un cane, non un fantasma. Ringhia ed
esita, si mette pancia a terra, scodinzola. Proprio come fanno i
cani»; w. 1163-65) e aveva inquietato fin dal suo apparire, nella
passeggiata fuori porta, il dottor Faust («sembra ch’egli tenda
attorno ai nostri piedi dei sottili lacci magici per prenderci»; w.
1158-59), assume, nel chiuso dello studio, proporzioni e forma
mostruosa («già appare come un ippopotamo, con occhi di fuo­
co e mascelle terribili»2) e si rivela alla fine essere Mefistofele,

1 Si veda FP 7[124] fine 1870-aprile 1871. Tale frammento corrisponde alla parte
finale del cap. 22 di Urspung und Ziel der Tragödie in Nachträge, KGW, III, vq, p. 195.
2 Cfr. Goethe, Taust I, 1254-55: «schon sieht er wie ein Nilpferd aus,/ mit feuri­
gen Augen, schrecklichem Gebiß». Cfr. DS 3 dove Nietzsche riprende queste immagini
dal Taust di Goethe contro il filisteismo di Strauss, che si ingigantisce: cane barbone, si
72 Nietzsche. La morale dell’eroe

«lo spirito che sempre nega». Socrate - figura familiare, simbo­


lo educativo agli occhi del moderno filisteo alla scuola di una
rassicurante filologia tradizionale -, si svela agli occhi del giova­
ne filosofo tedesco come il possente demone che ha cambiato il
corso della storia in una direzione nichilistica: «M a ti conosco
bene! Per tale genia seminfernale ci vuole la chiave di Salomo-
e ne» (w. 1256-58).
Nietzsche propone, del filosofo greco, ima consapevole «ti­
pizzazione», investita da passionalità («io mostro una caricatu­
ra»; 1[11], 1869), di cui rivendica la vitalità e la forza rispetto al­
le altre ricostruzioni: «Diglielo ancora una volta ai filologi, che il
mio Socrate ha mani e piedi: sento un tale contrasto tra la mia
descrizione e quelle altre, che mi appaiono tutte così morte e in
putrefazione». Il filosofo scrive questo nella lettera a Rohde del
16 luglio 1872, in cui discute con l’amico la linea di difesa per la
risposta specialistica contro il «rappresentante di una ‘falsa’ filo­
logia», lo «sfacciato giovanotto» Wilamowitz, che aveva attacca­
to con estrema durezza e sarcasmo La nascita della tragedia in
uno scritto intitolato La filologia dell’avvenire. Nietzsche sugge­
risce molti argomenti di replica che l’amico riprenderà nella sua
Afterphilologie [Filologia deretana]. Fin dall’inizio, egli è consa­
pevole dello scandalo nel mondo accademico del suo scritto
«centauro» e sente l’esigenza di una presa di posizione scientifi­
ca da parte del filologo amico (quella che Wilamowitz, definirà
con malizia un « sacrificium intellectus» di Rohde, ritenuto «lon­
tano dalla vertigine dionisiaca» di Nietzsche3). «Hai forse mai
pensato di pronunciarti sul mio libretto sulla tragedia? Temo
sempre che i filologi non lo vogliono leggere per via della musi­
ca, i musicisti per via della filologia, e i filosofi per via della mu­
sica e della filologia...» (lettera a Rohde del 23 novembre 1871).
Rohde interviene: in modo simpatetico all’ombra di Scho-

«fa lungo e largo» e «si voltola già come un ippopotamo sulla ‘strada mondiale dell’av­
venire’».
3 Cfr. U. von Wilamowitz-Mòllendorf, Filologia dell'avvenire! Seconda parte , in
Nietzsche, Rohde. Wilamowitz, Wagner. La polemica sull'arte tragica, a cura di F. Serpa,
Sansoni, Firenze 1972, pp. 300 e 302.
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 73

penhauer e Wagner, nelle sue prime recensioni4, immergendosi a


pieno in quella «purpurea oscurità», parla il linguaggio nuovo di
Nietzsche, della sua «cosmodicea» e «metafisica dell’arte». Ritie­
ne che non si debba sottolineare particolarmente «l’aspetto filo-
logico-storico» del libro («questo può andar bene per gente ras­
segnata») ma «in primo luogo risvegliare un bisogno profondis­
simo di piena formazione umana» (lettera di Rohde del 26 feb­
braio 1872). Nella volontà di un impegno culturale inattuale e
più vasto (nel libro, secondo Rohde, si affratellavano «la scienza
dell’antichità greca e la trattazione filosofica dell’arte»5) il pre­
supposto comune ai due amici è la critica della miseria della filo­
logia quale veniva praticata correntemente (una riflessione che
Nietzsche portava avanti, nei suoi appunti, da alcuni anni). Nella
tipizzazione critica del filologo «attuale», incapace di una visione
in grande, Nietzsche ricorre ancora una volta al Faust di Goethe:
«Il vero santo della filologia», il vero filologo e martire di questa
scienza, deve essere individuato in Wagner, il famulo filisteo -
«l’arido ipocrita» - del Faust: «ogni stupido storico della lettera­
tura si crede in diritto di pisciargli addosso: questo è il martirio.
E sai come si chiama? Wagner, Wagner, Wagner! Ah, che libro
pericoloso è il Faust di Goethe!» (così scrive Nietzsche a Deus-
sen nel settembre 1868). E singolare che anche Wilamowitz veda
nel famulo Wagner il prototipo del filologo improduttivo il cui
scavare è cieco e fine a se stesso, del tutto autonomo rispetto ad
ogni superiore scopo conoscitivo. Usa infatti questa immagine:
«Chi scava senza sosta alla ricerca di tesori ed è contento quan-

4 La prima recensione di Rohde fu rifiutata dal «Literarisches Centralblatt» a cui


era destinata e pubblicata solo nell’ambito dell’edizione critica dell’Archivio-Nietzsche:
F. Nietzsche, Werke und Briefe, Historich-kritische Gesamtausgabe, hrsg. von H J . Mette
u. K. Schlechta, Beck, München 1933 sgg., Briefe , 1850-1877 (cinque voll, usciti)
[BAB], voi. III, pp. 451-456. La seconda fu pubblicata nella “Norddeutsche Allgemei­
ne Zeitung”, 26 maggio 1872. La polemica con Wilamowitz Afterphilologie, col sottoti­
tolo Lettera di un filologo a Richard Wagner, uscì presso l’editore Fritzsch di Lipsia.
5 E. Rohde, Comunicazione nella “Norddeutsche Allgemeine Zeitung”, 26 maggio
1872, in La polemica sull'arte tragica, cit., p. 200.
74 Nietzsche. La morale dell’eroe

do trova dei lombrichi, presto cercherà lombrichi. Non devi la­


sciarti scoraggiare e smettere di cercare tesori se per una volta
hai trovato lombrichi, ma gettali via». Queste espressioni riman­
dano direttamente a Goethe. Faust infatti così caratterizza la so­
lerzia del meschino Wagner: «Scava con avida mano in cerca di
tesori ed è tutto contento se trova dei lombrichi!»6.
Nietzsche usa più volte, a proposito del lavoro dei filologi
del suo tempo, l’immagine del cieco scavare delle talpe: «le ca­
vità mascellari rigonfie e lo sguardo cieco, contente di essersi
accaparrate un verme, e indifferenti verso i veri, urgenti proble­
mi della vita» (lettera a Rohde del 20 novembre 1868). E, nella
Nascita della tragedia, per caratterizzare il lavoro senza fine (e
senza un ultimo risultato) dell’uomo di scienza, tornerà ancora
alla metafora dello scavare, pensando probabilmente alla scien­
za filologica: «I suoi seguaci dovrebbero sentirsi come individui
che volessero scavare un foro attraverso la terra: ciascuno di es­
si vedrebbe bene che anche con il massimo sforzo, protratto
per tutta la vita, sarebbe in grado di scavare solo una piccolissi­
ma parte dell’immane profondità, la quale verrebbe di nuovo
colmata sotto i suoi occhi dal lavoro del vicino, sicché un terzo
sembrerebbe far bene a scegliere per conto suo un altro luogo
per i propri tentativi di perforazione» (GT 15).
Mentre l’orizzonte di Wilamowitz rimaneva del tutto interno
alla disciplina filologica alla cui educativa «ascesi e abnegazio­
ne» affidava la gioventù tedesca, Nietzsche, con La nascita della
tragedia, rompeva con forza i confini delle discipline cogliendo
già nello stesso «concetto della filologia classica» l’intima con­
traddizione tra arte e scienza: «la differenza, anzi ostilità reci­
proca, degli impulsi fondamentali riuniti ma non fusi insieme
sotto il nome di filologia»7.
Nelle sue recensioni, Rohde coglie bene il significato epoca­
le, di svolta, che Nietzsche attribuisce alla figura di Socrate:

6 Goethe, Faust, w. 604-605. Cfr. U. von Wilamowitz-Moellendorf, Erinnerungen


1848-1914, trad. it., Filologia e memoria, Guida, Napoli 1986, p. 142.
7 F. Nietzsche, Omero e la filologia classica, Opere, I, II, p. 519.
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 15

Socrate apparì quando i Greci «non capirono più la propria


giovinezza [...], il pensiero astratto dei Greci in fasi alterne si
impose progressivamente fino a vittoriosa chiarezza; e sappia­
mo che in Socrate esso comprese distintamente se stesso e i pro­
pri fini e che con un entusiasmo quasi arrogante si impadronì
dell’intera vita». In Socrate proruppe «con la demoniaca poten­
za dell’istinto» «l’ansia di pervenire direttamente a una nozione
concettuale» di quel cosmo intero dei cui «ultimi segreti» la
tragedia greca aveva potuto parlare, un’ansia che tenne in se­
guito occupate «tutte le forze del lungo autunno e inverno della
cultura ellenica»8.

2. Socrate: caricatura e semiotica


Nei primi lavori filologici di Nietzsche non v’è un particolare
interesse per la figura di Socrate, anche se, evidentemente, ac­
canto a Platone (una delle sue letture principali fin dagli anni di
Pforta9), Senofonte e Aristofane, il filologo conosce bene le al­
tre numerose testimonianze e le vite di Socrate che ci proven­
gono dall’antichità: a partire da quella di Diogene Laerzio, sulle
cui fonti ha a lungo lavorato, della Snida10, e di Aristosseno di
Taranto11.
La passione per il Simposio («la mia opera preferita»; Scritti
giovanili, Opere, I, I, p. 445), letto e studiato con grande cura
fin dagli anni di Pforta (dal 1863) è testimoniata dal breve scrit­
to di Nietzsche del 1864 La relazione del discorso di Alcibiade

8 E. Rohde, Comunicazione nella "Norddeutsche Allgemeine Zeitung, cit., p. 205,


Comunicazione per il “Literarisches Centralblatt’’, in La polemica sull’arte tragica, cit.,
p. 195.
9 Si veda l’appunto del 1863 (NA 15[20] Aprii 1863 bis September 1863) in cui
Nietzsche manifesta il proposito di leggere, dopo le vacanze estive, L’apologià, Il Crito-
ne e ì'Eutifrone. Si veda anche la richiesta al tutore Kletschke di farsi ordinare «Platonis
dialogi ex recog. Hermanni voi. I l » (26 settembre 1863).
10 Si veda l’appunto sulla voce Socrate della Suidas\ NA 74[10], Marz 1868 bis Mai
1869, K G W I, v, pp. 86-87.
11 Su Aristosseno quale «vera fonte di tutte le dicerie calunniose su Socrate» cfr.
Per la storia della silloge tegnidea in Opere, I, II, p . III.
76 Nietzsche. L a morale dell’eroe

con gli altri discorsi del Simposio platonico12.


Al centro del saggio non è tanto la figura di Socrate, che rap­
presenta il lato teorico, astratto, della consacrazione alla bellez­
za, quanto quella dello stesso Eros che attraversa, con forza
crescente, tutti i discorsi illuminandoli di parziali verità. Nietz­
sche insiste su questo punto che vuol porre in testa alle sue
considerazioni. E, nelle lezioni sui dialoghi platonici, conferma,
sul Simposio, le affermazioni presenti nel saggio giovanile: «Del
tutto sbagliato credere che Platone si proponesse in questo mo­
do di rappresentare diverse posizioni errate: in effetti, sono tut­
ti Xóyot filosofici - e tutti veri - che illuminano aspetti sempre
nuovi di un’unica verità»13.
Tale verità trova la sua piena evidenza non tanto in Socrate
quanto nella necessaria polarità tra Socrate e Alcibiade: il pri­
mo mostra il lato teoretico dell’uomo consacrato al bello origi­
nario, mentre il secondo ne mostra il lato pratico. Infatti solo
«attraverso l’opposizione di Socrate e Alcibiade viene finalmen­
te alla luce quella doppia natura demonica di Eros stesso, in

12 NA 17[12] Aprii 1864-September 1864. Questo saggio, tra i più significativi del
periodo preuniversitario, non presente nel volume I, tomo I, delle Opere, viene dato, in
appendice, nella traduzione italiana di M.C. Fomari. A questo scritto giovanile dedica
la sua attenzione, tra i pochi, F. Ghedini, Il fiatone di Nietzsche. Genesi e motivi di un
simbolo controverso (1864-1879), ESI, Napoli 1999, pp. 25-31, che fa una completa p a­
noramica degli studi a proposito. Il volume di Ghedini, per le sue analisi e per la ric­
chezza dei riferimenti, è anche una opportuna e utile guida attraverso gli studi su
Nietzsche e Socrate. Per un’analisi di questo saggio giovanile di Nietzsche e per il suo
rapporto con gli studi su Platone del filologo Karl Heinrich August Steinhart, professo­
re a Pforta, si veda, in particolare: H.J. Schmidt, Nietzsche absconditus, II Jugend, t. 2,
IBDK Verlag, Berlin 1994, p. 605 sgg.
13 KGW II, rv, 106; trad. it. [parziale, basata sul testo della GA, Philologica III,
pp. 235-304], Plato amicus sed, Introduzione ai dialoghi platonici, a cura di P. Di G io­
vanni, Bollati Boringhieri, Torino 1991, p. 70. Nelle lezioni Nietzsche legge, in questo
procedimento di Platone, in diretta connessione con il Pedro, la messa in opera della
nuova retorica filosofica contro «la scuola di Lisia e tutta la teoria sofistica dell’arte e
della retorica». Nella parte delle lezioni dedicata al Fedro, Nietzsche scriveva: «Il rap­
porto tra retorica e filosofia in senso stretto è il medesimo che corre tra bellezza e ve­
rità: come la bellezza, quando non è riflesso della vita eterna, si riduce ad una inganne­
vole apparenza, così la retorica e l ’amore che le si porta sono soltanto una forma di
gretto materialismo» (ivi, p. 100; p. 69).
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 77

mezzo tra il divino e l’umano, lo spirito e i sensi; come, d’altra


parte, attraverso la comparsa di Alcibiade, il Dialogo stesso ri­
ceve quella coloritura meravigliosa, quell’oscillare tra opposte
tonalità di colore che si può seguire fin nelle singole parti e che
si riverbera sullo stesso linguaggio». L’effetto del discorso di
Socrate viene potenziato dall’irruzione di Alcibiade con la sua
schiera di ubriachi: ispirato dal vino «il discorso di Alcibiade
agisce attraverso dati di fatto, quello di Socrate attraverso idee;
e i dati di fatto agiscono con più forza e più efficacia delle idee
enunciate». Nietzsche conosce bene, anche dai versi dei lirici
greci che in quel periodo leggeva con passione, quella ripercus­
sione fisica, che atterra, di Eros dominatore14.
A parte questo scritto giovanile dedicato al Simposio, la figura
di Socrate (con la critica del socratismo dominante nel mondo
«attuale») emerge improvvisa solo con la conferenza tenuta il
1 febbraio del 1870, Socrate e la tragedia: non la nascita ma la
morte della tragedia è al centro della riflessione di Nietzsche. Il
filosofo greco, prototipo dell’uomo teoretico e ottimista, è stato
capace di distruggere una forma di vita la cui espressione più alta
appare l’equilibrio realizzato nella tragedia classica tra il princi­
pio dionisiaco (la musica) e apollineo (la bella forma, il limite, la
parola, il gesto). Il testo di questa conferenza suscita scandalo,
fraintendimenti tra gli uditori, speranze e preoccupazioni a Trib-
schen: certo già si configura il tema «politico» della rinascita del­
la tragedia in Germania attraverso la musica di Wagner e la vitto­
ria sul socratismo. La figura di Socrate assume una valenza fatale

M Nel corso di lezioni sui lirici greci Nietzsche ricorda come Saffo venisse parago­
nata a Socrate dal retore e filosofo platonico Massimo di Tiro per la natura omoerotica
dei loro amori. «M a la sua fine sensibilità ci garantisce che lei, come Socrate, abbia
amato il bel corpo sempre solo in quanto vaso della bella anima. Questa fine sensibilità
si manifesta nel rapporto con Alceo, che le dice: “Tu, dal crine di viola, dal dolce riso,
divina Saffo, vorrei dire qualcosa ma me lo impedisce il pudore” . Lei risponde: “Se il
tuo desiderio fosse di cose nobili e belle e se la lingua non si muovesse per qualcosa di
male, la vergogna non ti farebbe arrossire le guance ma parleresti apertamente di una
cosa giusta”» (Die g riechischen Lyriker, KGW II, 11, p. 135). L’episodio è tramandato da
Aristotele (Retorica 1367a7). Nietzsche aggiunge, all’inizio della frase di Alceo il ce­
lebre rigo (fr. 384 Lobel-Page) citato da Efestione nel suo Manuale di metrica.
78 Nietzsche. La morale dell'eroe

ed epocale che, pur in varie metamorfosi, non abbandonerà più:


«Socrate, il punto decisivo [Wendepunkt\ e il vertice della cosid­
detta storia universale» (GT 15) - scrive Nietzsche usando lo
stesso termine Wendepunkt con cui Hegel termina la sua tratta­
zione del filosofo greco nelle Lezioni sulla storia della filosofia 15.
Un Socrate monstrum e caricatura - ma anche sfuggente e
ambiguo demone tentatore, che ha sedotto e seduce - rivelan­
do e sottolineando aspetti della riflessione e della personalità di
Nietzsche, ne accompagna da questo momento l’intero percor­
so filosofico16. Come per Hegel e Kierkegaard, anche per
Nietzsche si può parlare, con la Kofman, di «un roman socrati-
que symptomatique seulement de son auteur»17.
L’incontro con la figura di Socrate avviene in tempi diversi, a
più livelli, nella sua complessità, in relazione anche alle diverse
letture che si sono sovrapposte e intrecciate nel tempo. Il con­
fronto comporta passionalità, veemenza, eccesso: solo con Ri­
chard Wagner Nietzsche ha avuto un simile atteggiamento per­
ché, come nel caso del musicista, Nietzsche sente di doversi
difendere da una inquietante vicinanza, troppo pericolosa:
«Socrate - lo confesso - mi è talmente vicino, che devo quasi
sempre combattere contro di lui» (6[3] 1875-1876). Se Wagner

15 G. F. W. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, trad. it. di E. Codignola e G.


Sanna, voi. II, L a Nuova Italia, Firenze 1973, p. 108.
16 Questa interpretazione si è affermata a partire dalla penetrante e affascinante
lettura - sia pure con i forti limiti di una direzione mitopoietica - di Ernst Bertram,
Nietzsche - Versuch einerMythologie, Berlino 1918 (ediz. ital. a cura di Lea Ritter Santi­
ni, Il Mulino, Bologna 1988). In particolare è stato Pierre Hadot, a valorizzare, nelle
sue riflessioni su Socrate, il capitolo che al filosofo greco ha dedicato Bertram (del cui
volume ha ripubblicato la traduzione francese di Robert Pitrou del 1932 con una lunga
introduzione: éditions du Félin, Paris 1990). Cfr. in particolare La figura di Socrate, in
P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, trad. it. di A.M. Marietti, Einaudi, Torino
1988, pp. 87-117. Cfr. anche P. Hadot, La philosophie comme manière de vivre, Entre-
tiens avec Jeannie Carlier et Arnold I. Davidson, Albin Michel, Paris 2001, in particola­
re il cap. 8: De Socrate à Foucault, pp. 193-227. A Pierre Hadot, si deve aggiungere, in
una posizione originale, Alexander Nehamas, in particolare per il suo scritto: The art o f
living. Socratic Reflections from Flato to Foucault, University of California Press, Berke­
ley, Los Angeles, London 1998 oltre che per Nietzsche. La vita come letteratura, trad. it.
di D. Stimilli, Armando, Roma 1989.
17 S. Kofman, Socrate(s), Edit. Galilée, Paris 1989, p. 322.
Socrate monstrum; eroismo e decadenza 79

e Socrate sono dei decadenti (décadents), anche Nietzsche sa di


esserlo e riconosce quanto la sua filosofia debba alla malattia. E
se Socrate è stato, nel tempo, maschera e «semiotica» di altri fi­
losofi, a cominciare da Platone (EH, Considerazioni inattuali 3),
questo vale certamente anche per Nietzsche.
Scrive Bertram: «Nell’ odio-amore di Nietzsche per Socrate,
odio e trasfigurazione di se stesso si incontrano in una straordi­
naria unità»18. Molte sono le tracce che confermano questo in­
tenso rapporto: in particolare le caratterizzazioni ambigue del fi­
losofo greco che valgono anche per Nietzsche. Socrate ha in sé
caverne e nascondigli, ha necessità di mascherare la propria
realtà per la comunicazione: «Credo di sentire che Socrate era
profondo - la sua ironia era prima di tutto la necessità di mo­
strarsi superficiale per poter in genere aver rapporti con gli al­
tri...» (34[148] 1885). E Nietzsche per sé: «Tutto ciò che è
profondo ama la maschera [...] più ancora, intorno ad ogni spi­
rito profondo cresce continuamente una maschera, grazie alla
costantemente falsa, cioè superficiale interpretazione di ogni pa­
rola, di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà» (JGB 40)
Socrate «fu quel pagliaccio che si fece prendere sul serio» (GD,
Il problema Socrate 5) e Nietzsche su sé: «Non voglio essere san­
to, allora piuttosto un pagliaccio... Forse sono un pagliaccio»
(EH, Perché sono un destino, 1). Il termine Selbstüberwindung,
che in Nietzsche definisce l ’atteggiamento di Socrate (cfr.
5[128] 1875), è lo stesso che, nelle lettere, viene usato dal filo­
sofo per caratterizzare «la sua risorsa principale» nella vita, per
la vita. Nietzsche accetta la definizione che di lui ha dato Rohde:
«Tausendkünstler der Selbstüberwindung [giocoliere dell’auto-
dominio /nell’arte di vincere se stesso]». Anche Nietzsche affer­
ma, come Socrate, di avere un suo «demone» che identifica con
la «voce ammonitrice del padre»19. Infine, sulla problematica

18 E. Bertram, Nietzsche - Versuch einer Mythologie, trad. it., cit., p. 393.


19 FP 11[11] estate 1875, cfr. frammento 28[9] della primavera-estate 1878. Si veda
anche lo schema di lettera a una persona sconosciuta (forse Lou von Salomé) della fine
novembre 1882 in cui si legge: «come parlare con il mio demone».
80 Nietzsche. La morale dell’eroe

relazione tra il Nietzsche «educatore» e il Socrate «corruttore»


della gioventù - su cui hanno scritto con efficacia Bertram e H a­
dot - basti ricordare espressioni del tipo: «io persisto a “guasta­
re la gioventù” (non sfuggirò sicuramente alla cicuta)» (a Ida
Overbeck, lettera del 19 gennaio 1882).
Nietzsche cerca un senso e un significato al momento primo
ed esteriore dell’approccio con la figura del filosofo greco: quel­
la bruttezza fisica, univocamente documentata dalle più diverse
testimonianze da Platone a Aristofane, da Senofonte alla com­
media greca, e che sembra rompere l’ideale di armonia tra bel­
lezza fisica e bellezza interiore, il modello greco classico del
xaXóv Kayaróv 20. Lo stesso Socrate, nel Simposio di Senofonte,
nella gustosa gara di bellezza con il giovane e venusto Critobulo,
ironicamente rovescia il valore delle forme esteriori a favore di
una considerazione teleologica che veda il primato dei suoi sgra­
ziati organi21. Solo nella seconda lettera di Platone troviamo un
enigmatico «xaXò<; 2(oxpaT7]<;», un «Socrate bello»22 che
Nietzsche non manca di rilevare e di cui cerca una spiegazione
nella possessiva gelosia di Platone che vuole avere il maestro
«tutto per sé», nella volontà «di sottrarlo agli altri socratici, di
definirsi suo continuatore». Perciò «lo permea di sé, pretende di
abbellirlo» ponendolo in una «luce affatto non storica» (27 [75]
primavera-estate 1878)23. E, nelle lezioni sulla storia della lette-

20 Per il ruolo del Sileno come modello fisiognomico di Socrate si veda il saggio di
D. Lanza, Lo stolto. D i Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso co­
mune, Einaudi, Torino 1997, p. 26 e sgg. e passim. Si vedano anche le osservazioni di
Michela Sassi, Fisiognomica, in Lo spazio letterario della Grecia antica, a cura di G.
Cambiano, L. Canfora, D. Lanza, L. Giuliani, Salerno editr., Roma 1993, voi. I, t. II,
pp. 431 sgg.
21 Senofonte, Simposio, 5,1-10. Cfr. anche Plutarch. quaest. conviv. I I 1 632 B. Ab­
biamo utilizzato per le traduzioni dei testi su Socrate: Socrate. Tutte le testimonianze da
Aristofane e Senofonte ai Padri cristiani, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari
1986 [Giannantoni]. Sulla gara di bellezza in Senofonte: cfr. G. Reale, Socrate. Alla sco­
perta della sapienza umana, Rizzoli, Milano 2001, pp. 9-11.
22 Platone, Lettere 2,314: « ... non esiste e non esisterà mai alcun trattato di Platone.
Quanto ora gli si attribuisce, è dovuto a Socrate, bello e giovane». Anche in Ateneo (5,
219) troviamo “il bel Socrate” che se ne va a caccia di giovani. Cfr. Giannantoni, p. 284.
23 Su questo si veda anche: Geschichte der griechischen Litteratur, KGW, II, V,
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 81

ratura, Nietzsche afferma che Platone opera con le teorie filoso­


fiche di Socrate «come i poeti avevano operato con il mito»,
«con una grande predilezione per l’elemento singolare, persona­
le, bizzarro». «Un Platone che parla attraverso Socrate - conti­
nua Nietzsche - è proprio una caricatura, perché il pieno con­
trasto tra interiorità ed esteriorità, tra l’elemento plebeo e il ge­
niale aristocratico, la fredda ragionevolezza contro il mistico­
profetico è portato agli estremi: del tutto affascinante»24.
Io «mostro una caricatura» aveva scritto Nietzsche e per
l’appunto in Platone ritrova questo, ma diversa è la direzione:
«il Socrate platonico è propriamente una caricatura; egli, infatti
è sovraccarico di qualità che mai si potranno incontrare in una
persona sola» (18[47] settembre 1876; cfr. 5[193] 1875).
La riflessione su Socrate si estende a questo complesso rap­
porto con la piena consapevolezza che alla ‘magia’ delle molte
anime di Socrate corrisponde anche la pluralità di anime di
quel Platone Cagliostro «uomo dalle molte caverne e facciate»
(34 [66] 1885).

3. “Der freieste M enschD em ocrito contra Socrate


Nietzsche, nei suoi primi lavori filologici, nei suoi non molti
riferimenti, non vede affatto in Socrate quella figura centrale di
«mistagogo della scienza» e razionalista che emergerà con La

p. 198. Nella nota Nietzsche dopo aver ripreso l’intera espressione (xaXò^ x a i véog)
della seconda lettera di Platone, ed aver rinviato ad un passo di Athen. 505 D, afferma:
«cosa si intende qui con “giovane e bello” ? Idealizzato? Oppure redivivus?». Un altro
riferimento non esplicito nel frammento 8[15] estate 1883: dove a proposito dei Greci
come conoscitori degli uomini si legge: «L ’idealizzare (“giovane e bello”), l’avversione
per ciò che non rientra nel tipo, la menzogna inconscia (manca il prender posizione
contro se stessi, una certa magnanimità)».
24 Cfr. Geschichte der griechischen Litteratur, KGW, II, V, p. 198 in cui Nietzsche
insiste sull’atteggiamento “non storico” di Platone. Si vedano anche le lezioni sui filoso­
fi preplatonici dove Platone è presentato come «natura assolutamente non storica» che
si immerge in un’atmosfera mitica: «Platone non ha intenzione di fissare l’immagine di
Socrate, ne crea senza posa di nuove come controfigure della propria evoluzione». An­
cora un giudizio analogo in JG B 190.
82 Nietzsche. La morale dell’eroe

nascita della tragedia. Piuttosto, su questi temi, la sua attenzio­


ne, simpatetica, si rivolge (fin dall’estate 1867) a Democrito la
cui fisionomia provò a ricostruire partendo dall’esame critico
dell’immagine che ne aveva dato Diogene Laerzio. Democrito è
«un razionalista fiducioso», il «padre di tutte le tendenze illu­
ministiche e razionalistiche», colui che «raggiunge, primo fra i
Greci, il carattere scientifico, che consiste nel tentativo di spie­
gare in modo unitario una quantità di fenomeni senza chiamare
in aiuto, nei momenti più critici, un deus ex machina».
Democrito vuole liberare dalle paure e dalle superstizioni,
dal «timore degli dèi», dalla «fosca mitologia», attraverso la co­
noscenza scientifica: per questo condanna «ogni intromissione
di un mondo mitico». L’attività scientifica ha in Democrito un
senso etico: nella scienza egli vede «lo scopo di ogni eudaimo-
nia». Nietzsche sottolinea però come Democrito non trovi af­
fatto nella scienza la felicità che cercava essendo figura assolu­
tamente anomala, in lotta solitaria contro il suo tempo e contro
i filosofi precedenti ancora legati a concezioni mitiche. «Una vi­
ta scientifica era a quel tempo un paradosso», la sua dedizione
assoluta al sapere «contraddiceva alla formazione armonica e
alla misura» proprie del mondo greco. Tale scelta lo condannò
ad una vita «nomade e inquieta, piena di disagi». Democrito
pagò con l’infelicità il grande merito di avere per primo credu­
to alla scienza come «principio di vita». Nietzsche sottolinea il
carattere «fanatico», passionale del democriteo «impulso al sa­
pere [W issenstrieb]» che comporta uno «slancio poetico»: «D e­
mocrito una bella natura greca, come una statua all’apparenza
freddo eppure pieno di ardore nascosto»25.
Ancora nell’inverno 1872-1873 Nietzsche può definire De­
mocrito «il più libero» (Demokrit derfreieste Mensch) (23[17]).
E quindi evidente che, al di là dell’apparente vicinanza e comu­
ni aspetti (razionalismo e scienza), tra la figura di Democrito e

25 NA 57[48] Herbst 1867 bis Frühjahr 1868; Opere, I, n, pp. 215-216. Cfr. anche:
Demokrit der wissenschaftliche Reisende («colui che viaggia per la scienza») ( 191318]
1872-1873).
Socrate monstrum.- eroismo e decadenza 83

quella di Socrate - già delineata, in questi anni, ne La nascita


della tragedia - vi è una profonda differenza e forti elementi di
opposizione. Soprattutto: in Democrito «il mondo [è] senza si­
gnificato morale o estetico, pessimismo del caso» (23 [35] inver­
no 1872-73), la sua ipotesi scientifica di spiegazione della realtà
allontana come superfluo il Nous di Anassagora. In Democrito
Nietzsche valorizza, fin dall’inizio, la lotta contro la teleologia
(gli appunti filologici sul filosofo greco si mescolano con le ri­
flessioni personali su questo tema). Con Socrate comincia inve­
ce l’ottimismo: egli «ha una teleologia e crede in un dio buo­
no», con lui, «com incia la fede nell’uomo buono che sa»
(23[35] inverno 1872-73). Un frammento dell’autunno 1867-
primavera 1868, chiarisce questa differenza sostanziale: «Che
cosa ha portato alla scarsa considerazione di Democrito? La
sua decisa opposizione alla teleologia. Per la vita di Socrate fu
un fatto epocale la lettura di Anassagora, che per primo ab­
bozzò una forma di teleologia. Socrate riconobbe questo pun­
to, ne trovò scadente l’attuazione e non sapeva che fare. Poi
venne il Seuxepos ttXou^»26. Nietzsche, con questa espressione
metaforica («Seuxepo^ ttàoùc»: la seconda navigazione, quella
che si fa con i remi in mancanza di vento) ricorda la scelta che
Socrate dice di aver fatto dopo l’insoddisfazione provata nei
confronti delle teorie cosmologiche e fisiche precedenti, tra cui
quella di Anassagora, incapace anch’essa di conoscere «la vera
causa» (Fedone, 99cd). La teleologia del Nous di Anassagora
per Democrito è superflua e antiscientifica, per Socrate insuffi­
ciente e fuorviarne. Se l’impulso etico di Democrito si identifi­
cava con una ricerca scientifica senza presupposti, in Socrate la
ricerca è invece sorretta e spinta da presupposti etici che ne in­
ficiano, a priori, la radicalità. Nelle lezioni sui filosofi preplato­
nici questo emerge con estrema chiarezza: «la filosofia socratica
è assolutamente pratica: essa è avversa ad ogni conoscenza non

26 NA 57 [34], Herbst 1867 bis Friihjahr 1868; Opere, I, II, 209. Su questo tema
Nietzsche utilizza anche il saggio di Carsten Redlef Volquardsen, genesis des Socrates in
“Rheinisches Museum”, X IX [1864], pp. 505-520, cfr. Opere, I, II, p. 211.
84 Nietzsche. La morale dell’eroe

congiunta a conseguenze etiche» «conoscenza e moralità coin­


cidono» «da Socrate prorompe un flusso morale e per questo
egli appare profetico e sacerdotale. Egli è convinto di dover
compiere una missione»27.
Da qui anche la differenza di stile. Nietzsche fa propria la
valorizzazione, da parte della tradizione, degli scritti filosofici
di Democrito come «modelli di esposizione filosofica»28. Anco­
ra nelle Lezioni sulla storia della letteratura greca, Democrito è
definito «il primo classico» (der erste Klassiker): il suo stile
scientifico viene contrapposto a quello retorico e argomentati­
vo di Socrate. Dai due stili contrapposti risulta la differenza
epocale: il “<pt,AÓXoyo^” Socrate sviluppa, in modo straordina­
rio, l’arte del «parlar bene» contro il rigore scientifico che ca­
ratterizza il «piccolo numero» di filosofi precedenti. Le loro ri­
cerche, in più campi, sono ritenute da Socrate lontane dall’inte­
resse dell’uomo. «Tra Democrito e Socrate un baratro, nessun
ponte: Socrate inventa una nuova forma del “eù a^oXà^etv”
con la passione del dialogo, ma rende ai suoi scolari oggetto di
ripulsa la ricerca scientifica e la vita solitaria del dotto»29.
«Socrate è nell’etica ciò che Democrito è nella fisica» (1[106]
autunno 1869).

27 K G W II, IV, p. 355; trad. it., Ifilosofipreplatonici, a cura di P. Di Giovanni, La-


terza, Roma-Bari 20052, p. 149. Cfr. anche sull’“attività missionaria” di Socrate: ST,
Opere, III, II, p. 36. Nell’aforisma 72, WS, Missionari divini, l’arroganza di colui che si
sente “missionario divino” è mitigata in Socrate dall’ironia e dal gusto di scherzare: il
compito «di mettere il Dio alla prova» è intesa come una espressione, non compiuta,
sulla via della «libertà dello spirito».
28 KGW I, IV, 57136]; Opere, I, II, p. 211. Cfr. la lezione di Nietzsche sui filosofi
preplatonici, par. 15, KGW II, IV, p. 331: «È un grande scrittore: Dionigi di Alicarnas-
so {De comp. verb., c. 24) lo cita assieme a Platone e Aristotele come scrittore modello.
Cicerone, De orat. ,1, 11, lo avvicina a Platone a causa del suo slancio e dell'ornatum ge-
nus dicendv, in De divinai., II, 64, si loda la sua chiarezza, Plut., Sympos., V, 7, 6, ammi­
ra il suo slancio». Cfr. Diels-Kranz, 68 A 34, 68 A 77.
29 KGW II, v, p. 308 e 312. Tra le definizioni storiche del filologo che troviamo
nelle prime pagine delle lezioni introduttive allo studio della filologia, Nietzsche pone
quella di Platone che definiva filologo Socrate in quanto ‘amico della conversazione
orale’ e dei logoi filosofici, rispetto ad Aristotele per il quale filologo è il filosofo in
quanto ha bisogno di una grande mole di materiali empirici (Encyclopàdie der klassi-
schen Vhilologie undEinleitung in das Studium derselben in KGW, II, III, pp. 342-343).
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 85

Nel cammino verso la filosofia dello spirito libero, soprattut­


to nei frammenti postumi degli anni 1875-1876, Nietzsche in­
contra di nuovo la figura di Socrate in contrasto con i filosofi
che lo hanno preceduto caratterizzati nella loro volontà di «tro­
vare la via dal ‘mito’ alle leggi della natura, dall’immagine al
concetto, dalla religione alla scienza»30. Anche Socrate - a dif­
ferenza di Platone, «il primo grandioso carattere misto» - ap­
partiene comunque, per la sua forza caratteriale, a «quegli uo­
mini tutti d’un pezzo, scolpiti da da una sola pietra. Tra il loro
pensiero e il loro carattere interrcorre una rigorosa necessità»
(PHG 1, Opere, IH, III, p. 273).
I filosofi preplatonici mostrano nuove concrete possibilità di
vita, al di là della fede nei miti e nella religione. Scelsero un mo­
do di vita al di fuori delle illusioni «in cui le difficoltà sono enor­
memente accresciute...». Si spogliarono del mito che faceva ri­
splendere la vita dei Greci, eppure riuscirono a vivere in modo
superiore. L’individuo «vuole poggiare su se stesso» (6[7] estate
1875), l’istinto tirannico è proprio di questi grandi filosofi.
La scelta dell’abbandono delle illusioni è vista come difficile,
specialmente in Grecia dove il mito è espressione di valori di
vita ascendente, ed è originato da quella stessa tracotanza che
spinge i preplatonici alla solitudine della conoscenza: «Conteni­
mento dell’elemento mitico. - Rafforzamento del senso della ve­
rità di fronte alla libera poesia. Vis veritatis, ossia rafforzamento
del puro conoscere (Talete, Democrito, Parmenide» (23 [14]
1872-1873). Il mito ha però una forza isolante e disgregatrice,
limitato com’è alla comunità della polis. I limiti della polis sta­
vano nella sua forza tirannica, nell’irrigidimento del mito. Il do­
minio politico di Atene che soffocò grandi forze spirituali, im­
pedì l’avvento di quella riforma panellenica preannunciata dai
filosofi presocratici, e che avrebbe, secondo Nietzsche, favorito
il sorgere di grandi e belle individualità. La lotta contro il mito
da parte dei filosofi presocratici si accompagna quindi a pro­
getti politici alternativi a quelli della comunità naturale della

30 KGW II, IV, p. 214; trad. it., I filosofi preplatonici, cit., p. 5.


86 Nietzsche. La morale dell’eroe

polis, illuminata, ma anche circoscritta, dal mito.


I presocratici con la loro vita realizzarono le premesse delle
nuove individualità: vissero «in modo libero» senza diventare
« dei pazzi o dei virtuosi». «I greci erano sul punto di trovare un
tipo di uomo ancora superiore a quelli precedenti, ma interven­
ne allora un colpo di forbici» (6[18] estate 1875). Questo fu
dovuto, nel campo della filosofia, a Socrate: il filosofo «rove­
sciò tutto quanto, nel momento in cui ci si era massimamente
avvicinati alla verità; ciò è particolarmente ironico» (6 [7] estate
1875). Attraverso Socrate («bastò un cervello strambo...») si
compì «l’autodistruzione dei Greci» (6[23] estate 1875): tra le
conseguenze perniciose l’annientamento dello spirito scientifi­
co che aveva trovato l’espressione più compiuta e pura in De­
mocrito31. Il radicalismo scientifico di Democrito appare la
causa più forte del «socratismo»: «Democrito: il mondo è del
tutto privo di ragione e di istinto, è prodotto da uno scotimento
che mescola ogni cosa. Tutti gli dèi e i miti sono inutili. Socrate:
allora non mi rimane null’altro che me stesso; la preoccupazio­
ne per noi stessi diventa l’anima della filosofia» (6[21] estate
1875). La filosofia diventa «individualistica e eudemonologica»:
da Socrate in poi si manifesta «la sciocca pretesa alla felicità»32
come prima motivazione speculativa. La filosofia, «si separò
dalla scienza quando pose la questione: qual’è quella conoscen­
za del mondo e della vita nella quale l’uomo vive più felice? Ciò
avvenne nelle scuole socratiche: col punto di vista della felicità
si legarono le vene alla ricerca scientifica e lo si fa ancor oggi»
(MA I, 7). Questo tema, con diverse accentuazioni, sarà presen­
te fino alle ultime riflessioni di Nietzsche: «filosofia: è, da

31 Si veda anche MA 261 (I tiranni dello spirito), che rielabora e riassume i conte­
nuti dei frammenti delPestate 1875 dedicati ai filosofi preplatonici. Socrate appare qui
la pietra nell’ingranaggio capace di far saltare la macchina fortemente accelerata della
cultura greca: «in una notte lo sviluppo della scienza filosofica, fino allora così meravi­
gliosamente regolare, anche se troppo celere, fu distrutto».
32 Cfr. i frammenti 6[14] e 6[15] estate 1875. La citazione di Nietzsche (una frase
di Merck, amico di Goethe), è tratta da A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, I,
cit.,pp. 551-552.
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 87

Socrate in poi, quella suprema forma di accortezza che non ca­


de in errore quando c’è di mezzo la felicità personale» (25[17]
primavera 1884).
Il giudizio sembra addirittura opposto a quello della Nascita
della tragedia in cui Socrate viene presentato quale «araldo» e
«mistagogo della scienza», padre del razionalismo scientifico e
dell’alessandrinismo. La teleologia dominante che comporta la
conciliazione tra verità e morale è, nel suo aspetto più profon­
do, ostile e inconciliabile con una radicale ricerca scientifica
senza presupposti etici.

4. Monstrum in fronte, monstrum in animo


Nietzsche mostra un interesse continuativo e costante per la
fisionomia del filosofo greco dando ad essa un diverso signifi­
cato in contesti profondamente modificati (dalla metafisica del­
l’arte della Nascita della tragedia alla fisiologia della decadenza
degli ultimi scritti).
Già nella conferenza Socrate e la tragedia, il filosofo tedesco
rievoca «quell’aspetto esterno di Sileno che era proprio di So­
crate, i suoi occhi sporgenti, le sue labbra tumide, il suo ventre
cascante» ed afferma: «è significativo che Socrate fosse il primo
grande Greco a essere brutto» (ST, Opere, III, II, pp. 39-40).
Nelle lezioni sui filosofi preplatonici, Nietzsche afferma che il
fascino di Socrate emanava oltre che dalla drammatizzazione
del dialogo e dalla voce estremamente seducente, dalla «singo­
larità della sua fisionomia di Sileno [das Excentrische seiner sile-
nischen Physiognotnie]» («naso piatto, labbra grosse, occhi
sporgenti») (KGW II, IV , p. 358). Questa caratterizzazione
giunge ai suoi estremi critici e paradossali nel Crepuscolo degli
idoli: Socrate, «monstrum in fronte, monstrum in animo» (GD,
Il problema di Socrate 3).
Certamente l’aspetto fisico del filosofo greco, che è proprio
del Sileno, quale viene presentato unanimemente nelle testimo­
nianze, è carico di ambiguità ed assume immediatamente una
88 Nietzsche. La morale dell’eroe

valenza filosofica: rimanda, già in Platone, alla dialettica appari-


re-essere. Dalle parole ebbre di Alcibiade che fa l’elogio di So­
crate, emerge il primato della bellezza interiore: Socrate-Sileno
è solo apparenza esteriore, come quei sileni di legno che aperti
in due mostrano dentro di sé simulacri preziosi di divinità.
Il tema del rapporto tra fisionomia esteriore e realtà interio­
re, si pone nel confronto tra Alcibiade e Socrate nel saggio gio­
vanile sul Simposio in cui Nietzsche scrive: «Socrate è l’amante
del bello originario, ma anche Alcibiade è amante del bello ori­
ginario. Tuttavia, quale diversità delle nature: tanto moralmente
sublime è l’uno, quanto moralmente corrotto l’altro, tanto bello
nel corpo l’uno, quanto brutto l’altro, tanto sobrio e padrone di
sé l’uno quanto ebbro e senza controllo l’altro».
Qui Nietzsche non sembra allontanarsi dall’interpretazione
tradizionale del primato dell’interiorità e dell’autodominio.
Nelle lezioni sui preplatonici, in cui il confronto personale con
Socrate non compare ed è in primo piano la ricostruzione stori­
co-filologica, il filosofo greco appare - soprattutto con la scelta
volontaria della morte - come l’ultimo tipo di sapiente origina­
le e genuino, «vincitore degli istinti attraverso la crocpia»: «Gli
istinti sono superati: la chiarezza intellettuale domina la vita e
sceglie la morte» (KGW II, IV, p. 360).
Già in Hegel la classicità di Socrate (la sua figura come una
statua monoblocco) è frutto di un lungo esercizio di autoforma­
zione e disciplina di sé (enkrateia). Il filosofo si caratterizza per
il dominio, attraverso la ragione e la conoscenza, degli impulsi
sensibili di cui il suo corpo porta i segni (la bruttezza è il sim­
bolo della forza di questa naturalità).
Scrive Hegel: «la pietà del cuore, la religione deH’animo,
possono abitare anche un corpo che, considerato per sé nella
forma semplicemente esteriore, è brutto, così come la disposi­
zione e l’attività morale possono albergare nel volto da sileno di
Socrate»33 e altrove chiarisce: «E noto che il suo aspetto este-

33 G. F. W. Hegel, Estetica, ediz. it. a cura di Nicolao Merker, Feltrinelli, Milano


1978, p. 1137.
Socrate monstrum; eroismo e decadenza 89

riore risvegliava l’idea di un temperamento in preda a passioni


malvagie e basse, ch’egli però ha saputo padroneggiare, come
egli medesimo ci dice»34.
Vi è in Hegel, come in Nietzsche, la valorizzazione dell’in­
contro tramandato da più fonti (in particolare Cicerone) tra il
filosofo greco e il fisiognomico tracio Zopiro a cui qui si allude:
Zopiro, che affermava di saper riconoscere il carattere di ognuno
dall’aspetto fìsico, aveva attribuito a Socrate un cumulo di vizi, susci­
tando il riso di tutti gli altri, che non trovavano in lui quei vizi: ma in
suo aiuto venne proprio Socrate, il quale disse che quei vizi erano in­
siti in lui, ma che li aveva scacciati da sé con la ragione35.
Più esplicito il riferimento di Nietzsche nel Crepuscolo degli
idoli, che riscrive l’episodio per confermare la fisiologica dege­
nerazione di Socrate di cui la bruttezza è il sintomo primo: «La
bruttezza è abbastanza spesso l’espressione di uno sviluppo
ibrido, ostacolato dall’incrocio. In altri casi essa appare come
un 'involuzione nello sviluppo. Gli antropologi che si interessa­
no di criminologia ci dicono che il delinquente tipico è brutto:
monstrum in fronte, monstrum in animo. Ma il delinquente è un
décadent. Era Socrate un delinquente tipico? Per lo meno a ciò
non contraddice quel famoso giudizio fisionomico che aveva un
suono così urtante per gli amici di Socrate. Uno straniero che si
intendeva di facce, allorché venne ad Atene, disse in faccia a
Socrate che egli era un monstrum - che nascondeva in sé tutti i
vizi e le bramosie peggiori. E Socrate si limitò, a rispondere:
“Lei mi conosce, signore!”» (GD, Il problema di Socrate, 3).
Monstrum in fronte, monstrum in animo-, il giudizio dell’antico
fisiognomico tracio è confermato, per quest’ultimo - parados­
sale - Nietzsche, da sue recentissime letture. Il filosofo trova
nello scritto Dégénérescence et criminalité dello psichiatra posi-

34 G. F. W. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, cit., p. 49.


35 Cic. tusc. disp. IV 37,80 (Giannantoni, p. 290). Cfr. anche: Cic. de fato 5,10 dove
Zopiro aveva dedotto che il filosofo greco era stupidus, bardus, mulierosus. All’origine
di questo episodio, probabilmente, il dialogo Zopiro di Fedone (cfr. Diog. Laerz. II
105). Si veda anche Eusebio Praep. evang. VI 9, 22 (Giannantoni, p. 507).
90 Nietzsche. L a morale dell’eroe

tivista Charles Féré, medico a Bicétre, (tale lettura risale alla


primavera del 1888) il richiamo alle opinioni di «Lombroso e
dei suoi emuli»: «si nous savions que le caractère principal du
criminel est d’être laid, ‘monstrum in fronte, monstrum in ani­
mo’ , les anthropologistes ont fait l’histoire naturelle de cette lai­
deur, et personne ne peut prévoir quelle sera la portée des faits
importants qu’ils ont mis en lumière»36. La fisiologizzazione
della decadenza investe anche il demone di Socrate, interpreta­
to come una sorta di allucinazione acustica. «Non dimentichia­
mo nemmeno quelle allucinazioni acustiche che sono state in­
terpretate in senso religioso, come il ‘demone socratico’» (cfr.
anche il frammento 14 [92] della primavera 1888: «Allucinazio­
ni acustiche in Socrate: elemento morboso»). Lo aveva già fatto
il frenologo Lélut {Du démon de Socrate), medico a Bicétre (co­
me poi lo sarà Féré), dedicando un intero volume ad un ritratto
improntato alla riduzione deterministica e patologica37. Questo
in un volume in cui, dopo aver tracciato - sulla base delle testi-

36 Ch. Féré, Dégénérescence et criminalité. Essai physiologique, F. Alcan, Paris


1888, p. 80. Il libro è conservato nella biblioteca di Nietzsche a Weimar con vari segni
di lettura (anche all’altezza della frase citata vi è un segno a lato e le parole “être laid”
sono sottolineate). Avevo già segnalato questa fonte nella mia recensione: Un caso di
«tersitismo»: Verrecchia contra Nietzsche, in «Il Ponte», n. 1, 1979, pp. 129-130. Cfr.
anche Bettina W ahrig-Schmidt, "Irgendwie - jedenfalls physiologisch". Friedrich
Nietzsche, Alexander Herzen (fils) und Charles Féré 1888, in «Nietzsche-Studien», 17
(1988), pp. 434-464.
37 F. Lélut, Du démon de Socrate spécimen d’une application de la science psycholo­
gique à celle de l’Histoire, Trinquait, Paris 1836. Nietzsche, già in MA 126 parlando
della falsa lettura morale del dolore fisico, degli «stati di malattia [...] interpretati in ba­
se a radicati errori religiosi e psicologici» afferma: «Così anche il demone di Socrate è
forse solo un mal d ’orecchi, che egli interpreta, secondo la sua prevalente maniera mo­
rale di pensare, diversamente da come si farebbe oggi». Voglio qui ricordare come
Charles Baudelaire in Assommons les pauvres {Le Spleen de Paris, X LIX ), scherzi sul
proprio demone confrontandolo con quello socratico e se la prenda - qui come altrove
- con le teorie di Lélut: «Puisque Socrate avait son bon Démon, pourquoi n’aurais-je
pas mon bon Tinge, et pourquoi n’aurais-je pas l’honneur, comme Socrate, d’obtenir
mon brevet de folie, signé du subtil Lélut et du bien avisé Baillarger? Il existe cette dif­
férence entre le Démon de Socrate et le mien, que celui de Socrate ne se manifestait à
lui que pour défendre, avertir, empêcher, et que le mien daigne conseiller, suggérer,
persuader. Ce pauvre Socrate n’avait qu’un Démon prohibiteur; le mien est un grand
affirmateur. le mien est un Démon d’action, ou Démon de combat».
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 91

monianze tradizionali - il ritratto di un Socrate riformatore del­


la morale e volto alT«intellectualisation des croyances religieu-
ses» (p. 74), si occupa della «psicologia di Socrate», l’originale
e strambo scurra Atticus (Cicer. de nat. deor. I, 34). Al centro le
«allucinazioni» di Socrate, in particolare quelle auditive: «l’e-
spèce de folie la plus irréfragable» (p. 98) a cui dedicherà poi
molte pagine «scientifiche» in appendice. Premessa la teoria di
una vicinanza fisiologica tra genio e follia, Socrate appartiene a
coloro che hanno fatto il passo deciso nella direzione della fol­
lia: è pertanto «l’expression au moins hallucinée de la raison,
de la philosophie et de la vertu» (p. 179).
L’episodio tramandato del fisiognomico Zopiro è la fonte co­
mune di Hegel e di Nietzsche. Lo è, in effetti, anche di Montai­
gne che, nel suo saggio Della fisionomia si era soffermato sulla
bruttezza di Sperate così «disdicevole alla bellezza della sua
anima, lui così innamorato e appassionato della bellezza» ri­
chiamando lo stesso episodio tramandato da Cicerone: «Socra­
te diceva della sua [deformità] che ne avrebbe appunto rivelato
una uguale nella sua anima se egli non l’avesse corretta con l’e­
ducazione». Ma Montaigne aggiunge di ritenere che il filosofo,
dicendo questo, scherzasse come soleva fare perché «mai anima
tanto eccellente si fece da sola»38.
Siamo di fronte a tre diverse interpretazioni e valutazioni
dell’episodio di Zopiro. Per Hegel si tratta della vittoria dello
spirito su una naturalità che mantiene forte i segni inscritti nel
corpo: la stessa figura di Socrate è ‘tragica’, vivendo in due
mondi e contraddicendo, col nascente principio della coscienza
riflessa, il vecchio mondo e i suoi valori. Per Montaigne, che so­
litamente valorizza la ‘naturalità’ e spontaneità di Socrate con­
tro ogni artificio, la bruttezza è un paradosso inspiegabile: «la
natura gli fece ingiustizia»39. Nietzsche prende sul serio e fino
in fondo il tema della bruttezza come segno di disgregazione e

38 Michel de Montaigne, Saggi, a cura di Fausta Garavini, Adelphi, Milano 1996,


III, cap. XIII, p. 1414.
39 Ibidem.
92 Nietzsche. La morale dell’eroe

decadenza, come anomalia, tanto da vedere nel dominio della


ragione e nell’enkrateia non un rimedio bensì l’espressione più
conseguente di un istinto degenerato. « Notre mal s’empoisonne
du secours qu’on lui donne»40, l’espressione è di Montaigne, ma
vale bene ad indicare il sentire di Nietzsche. Il tema della deca­
denza (a cui si accompagna con forza, non solo simbolica, la
bruttezza dell’aspetto esteriore) assume diverse valenze all’in­
terno della giovanile «metafisica dell’arte» e nell’ultimo perio­
do in cui la valutazione fisiologica dei valori è in primo piano.

5. Socrate anomalo: il filosofo che non scrive

Prima ancora di dare una piena caratterizzazione di Socrate


quale «fenomeno più perturbante di tutta l’antichità», Nietz­
sche si sofferma, sulle orme di Schopenhauer, sull’anomalia di
un filosofo che rinuncia alla scrittura.
In Schopenhauer, Nietzsche poteva trovare, a vantaggio di
Platone, ima svalutazione della figura di Socrate che ha il suo
punto di partenza nel giudizio fisiognomico: «Secondo Luciano
(.Philopseudes 24) Socrate avrebbe avuto un grosso ventre, ciò
che non fa davvero parte dei segni distintivi del genio». Il dub­
bio viene avvalorato dal fatto che Socrate, con «stupefacente
tracotanza», non abbia lasciato nulla di scritto («l’organo con
cui si parla all’umanità») e abbia voluto limitare la sua influenza
su pochi e occasionali discepoli. Il seme nobile, destinato a di­
sperdersi nel terreno generalmente cattivo degli uditori, può es­
sere salvaguardato solo con la scrittura: «solo essa permette la
più alta precisione e concisione, e una pregnante brevità, risul­
tando il puro ectipo del pensiero». In tal modo il pensatore può
uscire dal gregge, rivolgendosi alle «eccezioni, gli ottimi, che so­
no quindi rari». Con la sua scelta Socrate, come tutti coloro che

40 Su questo tema, che torna più volte a caratterizzare la décadence, ancora un


volta, puntuale il riferimento a Charles Féré: Cfr. WA 5; frammento 15 [37] primavera
1888 e Ch. Féré, op. cit., p. 92.
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 93

non hanno scritto, appartiene alla schiera degli «eroi pratici che
hanno operato più col loro carattere che con la loro mente»41.
In Schopenhauer gioca un ruolo essenziale l’assoluta diffi­
denza verso il dialogo e l’ostilità al confronto con gli altri, giac­
ché non può discenderne alcuna verità filosofica profonda che
può nascere solo dalla meditazione personale: in essa «tutto è
come ritagliato da un solo pezzo, o come sonato in una sola to­
nalità; perciò si può raggiungere pieno nitore, chiarezza, e au­
tentica coerenza, anzi unità»42. La forma dialogica può valere
solo nel caso in cui più opinioni si completino per giungere ad
una giusta comprensione della questione in oggetto oppure
quando siano permesse più opinioni del tutto diverse. In que­
sto caso la drammatizzazione deve essere reale. Non è questo il
caso dei dialoghi platonici in cui Socrate non ha veri interlocu­
tori e avversari che lottino realmente, mettendo in pratica tutti i
mezzi per ottenere ragione, strappando la rete in cui si erano
progressivamente impigliati e distruggendo comunque ài filo­
sofo ironico «il suo bel gioco costruito ad arte»43.
Nietzsche riprende puntualmente l’argomentazione sull’ano­
malo ascetismo nei confronti della scrittura, all’inizio del suo lun­
go appunto filologico, dell’estate 1867, su «17civaxs? dei Demo­
critea».
«Non sappiamo ciò che spinse Socrate a non scrivere e attra­
verso la scrittura portare una chiara espressione del suo spirito
ai posteri: le sue ragioni devono essere state di ben strana natu­
ra, poiché non ci è dato di capire questa forma di àfixYjcrt?, at­
traverso la quale egli si privò da un lato di un grande piacere e
sfuggì dall’altro a quel dovere, che è assieme il privilegio delle
teste più eccellenti, di incidere cioè sulla più lontana umanità e
di essere attivo non solo sulla passeggera generazione dei suoi
contemporanei, ma su ogni tempo»44. Nietzsche è qui fedele -

41 A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, I, cit., pp. 68-70.


42 Ivi, II, p. 14.
43 Ivi, I, p. 71.
44 NA 14[1] Juli-September 1867. In questo lungo appunto filologico, Nietzsche
94 Nietzsche. L a morale dell’eroe

fino alla lettera - a Schopenhauer anche se, presto, non potrà


concordare con lui: mentre per Schopenhauer la scelta di non
scrivere significa la rinuncia a parlare agli isolati, possibili geni
dell’umanità futura - la rinuncia ad uscire dal gregge per essere
un pastore - per Nietzsche l’azione Socrate, come quella di Cri­
sto, ha tale forza da capovolgere i valori: la sua influenza «si è
estesa sulla posterità fino a questo momento, simile ad un’om­
bra che diventa sempre più grande nel sole della sera» (8[19],
inverno 1870-71-autunno 1872).
Nietzsche, nell’appunto sovracitato sui Tttvaxe? degli scritti
di Democrito, dopo aver quasi parafrasato Schopenhauer, met­
te immediatamente in luce come questa forma di ascesi sia pre­
feribile alla selvaggia e infelice prolissità di un Crisippo che,
spinto dalla rivalità con Epicuro, scrisse 705 volumi raffazzona­
ti e così pieni di citazioni che, a giudizio di un malizioso epicu­
reo che ne contestava il valore, se si fossero cancellate sarebbe
restata solo la pagina bianca (KGW I, IV , pp. 284-285). Nietz­
sche trova questa notizia in Diogene Laerzio (X, 27), che rivol­
ge lo stesso rimprovero ad Aristotele. Scrive Nietzsche: «L a
prolissità e la furia compilatrice, istinti che hanno fatto la loro
prima apparizione, in modo epidemico, nella scuola peripateti­
ca da dove hanno esteso il loro dominio su tutta l’antichità, de­
vono esser nati dalla testa di Aristotele, dalla testa di uno Zeus
della filosofia». Questo appare altrettanto sconvolgente dell’a­
nomalia socratica: «siamo più inclini a perdonare a Socrate di
non aver scritto che ad Aristotele di averlo fatto in modo così
smisurato e, inoltre, con interessi disparati e dispersi» (KGW
I, IV , pp. 285-286). Qui è fortemente attivo in Nietzsche il pre­

si muove ancora sulle orme di Valentin Rose e del suo “scetticismo” nei confronti della
tradizione (cfr. V. Rose, De Aristotelis librorum ordine et auctoritate commentatio, Diss.
Phil., Berlino 1854, BN, pp. 6-10) e di tutte le opere che vengono attribuite a Democri­
to dai ttivaxE? di Trasillo ritiene che solo una o due siano realmente del filosofo.
Nietzsche muterà opinione. Su questo cfr. la lettera a Cari von Gersdorff del 16 feb­
braio 1868. Sulle ragioni per cui Socrate non abbia scritto nulla, si veda il cap. I li del
già citato voi. di G. Reale, che inizia appunto dalla citazione di Nietzsche da me com­
mentata: op. cit., pp. 71-93.
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 95

supposto schopenhaueriano che oppone la cpt-Xoaocpia alla


IcTTopla con la conseguente caratterizzazione dei filosofi preso­
cratici come coloro che hanno, per lo più, concentrato la loro
saggezza in un solo libro.
Se Socrate non scrive, pure da lui ha inizio una vasta produ­
zione: i suoi discepoli, per primi, scrivono in misura massiccia,
la loro scrittura sembra perdere il vigore dell’argomentazione
scientifica, mentre distrugge le forme artistiche precedenti.
«Socrate come colui che “non scrive” egli non vuole comu­
nicare nulla, ma soltanto interrogare» - si legge in un frammen­
to dell’autunno 1869 e, poco dopo: «il socratismo distrusse già
la forma in Platone, e ancor più i generi stilistici nei Cinici»
(1 [24] e [25]).
Il dialogo platonico nasce dalla volontà di una nuova forma
che si adatti al vero artista, l’artista filosofico: ma la sua essenza
è «la mancanza di forma e di stile, prodotta dalla mescolanza di
tutte le forme e di tutti gli stili esistenti [...] ondeggia così fra
tutti i generi di arte, fra prosa e poesia, narrazione, lirica e
dramma, e d’altronde ha infranto l’antica legge rigorosa della
forma linguistica stilisticamente unitaria. Il socratismo giunge a
una deformazione ancora più spinta negli scrittori cinici: costo­
ro cercano - con la massima screziatura dello stile e con un on­
deggiamento tra forme in prosa e forme metriche - di rispec­
chiare in qualche modo quell’aspetto esterno di Sileno che era
proprio di Socrate, i suoi occhi sporgenti, le sue labbra tumide,
il suo ventre cascante»45.
E Nietzsche ancora, con un preciso riferimento alle teorie
estetiche espresse da Wagner in Oper und Drama46, vede negli
scritti di Platone il prototipo della forma di scrittura moderna,

45 ST, Opere, IH, II, p. 39. Il brano è interamente ripreso, con qualche modifica, in
GT. Sui Cinici («divenuti gli umoristi dell’antichità») e sulla loro volontà di tradurre
l’ironia e la doppiezza della natura di Socrate, da lui impresse nel discorso, in un nuovo
stile cfr. anche NA 74[61] Marz 1868 bis Mai 1869.
46 Richard Wagner, Oper und Drama, a cura di Klaus Kropfinger, Reclam, Stutt­
gart 1984. Si veda in particolare la seconda parte, cap. I e II. Cfr. i frammenti 1 [108]
autunno 1869, 7[124] 1870-1871.
96 Nietzsche. La morale dell’eroe

il romanzo, che prende il posto dell’arte drammatica, svilup­


pando il dramma letterario (das Litteraturdrama), destinato alla
solitaria fruizione. «Realmente Platone ha fornito a tutta la po­
steriorità il modello di una nuova forma d’arte, il modello del
romanzo-, questo si può definire come una favola esópica infini­
tamente sviluppata, in cui la poesia vive rispetto alla filosofia
dialettica in un rapporto gerarchico simile a quello in cui per
molti secoli la stessa filosofia ha vissuto rispetto alla teologia,
cioè come ancilla, questa fu la nuova posizione della poesia, in
cui Platone la spinse sotto la pressione del demonico Socrate»
(GT, 14, Opere, II, I, p. 95).
E certo che, per Nietzsche, da Socrate che non scrive, para­
dossalmente, procede con forza la scrittura: i primi a scrivere
sistematicamente di tutto sono i socratici, da loro poi, in conti­
nuità, Aristotele e gli alessandrini. Parlando della fioritura dei
molti dialoghi socratici, Nietzsche, notando come lo sviluppo
artistico del dialogo socratico derivi da chi ha avuto una educa­
zione retorica, afferma: «credo che Socrate non scrisse perché
non lo sapeva fare» (Geschichte der griechischen Litteratur
K G W II, V , p. 195).

6. Eurípides eìn Sokratistès


Socrate, se pur non scrive, dà origine alla critica letteraria che
sostiene un’arte per l’intelletto, legata all’astrazione dei concetti,
alla lettura solitaria. Nietzsche, nel periodo de La nascita della
tragedia, ritiene che nella scrittura Socrate si incontri con Euri­
pide e, per questo, forza a simbolo, consapevolmente, «il pette­
golezzo, sfruttato più volte dai comici, che egli avesse aiutato
Euripide a poetare»47. Lo spunto iniziale si trova nelle prime ri­
ghe che Diogene Laerzio dedica al filosofo greco: «Si credeva
che avesse collaborato con Euripide nella composizione delle

47 Così si legge nella stesura preparatoria della conferenza su Socrate e la tragedia. D


testo della conferenza e di G T è meno problematico su questo punto: “In Atene era as­
sai diffusa l’opinione che Socrate aiutasse Euripide a poetare” (ST, Opere, III, n, p. 35).
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 97

tragedie...» (II, 18). Più nota ed esplicita l’influenza di Aristofa­


ne - «elettivamente affine come nessun altro al genio a Eschilo»
(ST, Opere, III, II, p. 45) - che, con «profondi istinti», combatte
insieme la «modernità» di Socrate ed Euripide fino a realizzare,
vivente Socrate, ne Le Nuvole una sorta di catartica quanto vio­
lenta liberazione facendo appiccare il fuoco al «pensatoio» del
filosofo48. Ma Nietzsche riprende e parafrasa altre fonti come
ad esempio Claudio Eliano che scrive: «Socrate frequentava po­
co i teatri e vi si recava solo quando il poeta tragico Euripide
gareggiava con nuove tragedie...». E Nietzsche: «E tramandato
inoltre che Socrate si astenesse dal frequentare la tragedia, met­
tendosi tra gli spettatori soltanto quando veniva rappresentato
un nuovo dramma di Euripide» (ST, Opere, III, II, p. 35)49.
La scrittura di Euripide appare, al Nietzsche wagneriano,
andare verso la «letteratura», in un distacco dalla tragedia ori­
ginaria, intesa come «arte vivente» e lontana premessa dell’arte
nuova dell’avvenire.
E la continuazione della critica intellettualistica di Socrate con
altri mezzi. La scrittura in quanto potenziamento e generalizza­
zione della critica, trionfo dell’astrazione e allontanamento dalla
vera arte, appartiene a Socrate. Per Nietzsche: se da una parte vi
è Schopenhauer che critica la non scrittura del filosofo come se­
gno di impotenza e difetto di genialità («filosofi si nasce»), dal­
l’altra vi è Wagner che afferma il primato dell’«arte vivente» sulla

48 È stato messo in luce come questa utilizzazione da parte di Nietzsche di Aristo­


fane risenta dell’influenza di August W. Schlegel. In particolare si veda il classico saggio
di B. Snell, Aristofane e l’estetica in La cultura greca e le orìgini del pensiero contempora­
neo, Einaudi, Torino 1963, pp. 166-189. Altra traccia importante, meritevole di sviluppi
analitici, quella suggerita da Mazzino Montinari nel suo saggio L‘onorevole arte di legge­
re Nietzsche, in “Belfagor” , 3, X LI, 1986, pp. 37-44. Montinari rimanda alla critica di
Heinrich Heine contro Schlegel. L o scrittore romantico (non diversamente da Aristofa­
ne da un punto di vista reazionario) è critico di Euripide («che si avvicinava alla trage­
dia borghese») e del «razionalista Socrate, che predicando una più elevata morale»,
preparava il «tramonto dell’intero Olimpo». Cfr. H. Heine, La scuola romantica in La
Germania, a cura di Paolo Chiarini, Laterza, Bari 1972, pp. 75-76.
49 Aelianus var. bist. Il 13 (Giannantoni, p. 67). Nietzsche stesso lo cita a p. 121
della Geschichte der griechischen Litteratur (K G W II, v).
98 Nietzsche. La morale dell’eroe

scrittura. Per il musicista si tratta di riconquistare, contro il do­


minio della «letteratura», del freddo sapere, della polimatía, la
piena conoscenza della «musica» come vera «arte delle muse»
(in cui poesia e arte dei suoni sono una sola cosa indivisibile) e la
concreta realizzazione della stessa: «quell’arte nella quale ciò che
vogliamo diventa realmente ciò che possiamo»50.
Riassume Nietzsche: «Eurípides ein Sokratistès» (9[38] 1871)
«Eurípides der dramatische Sokrates», il Socrate drammatico
(1 [44] autunno 1869). «E ora si immagini, dietro tale intelletto
unilaterale, una volontà smisurata, e si pensi alla più personale
violenza originaria di un carattere integro, accompagnata da una
bruttezza esterna bizzarramente attraente: si comprenderà allo­
ra come persino un grande talento quale Euripide proprio per
la serietà e la profondità del suo pensiero dovette essere trasci­
nato tanto più inevitabilmente sull’aspro cammino di una crea­
zione artistica cosciente» (ST, Opere, III, II, p. 36). Con Socrate
e con Euripide «il pensiero filosofico cresce al di sopra dell’ar­
te», «la poesia diventa politica, discorso. Ha inizio il regno della
prosa» (1[7] autunno 1869). E visibile nel testo di Nietzsche la
trama degli scritti teorici di Wagner che premetteva all’opera
giovanile L’arte e la rivoluzione il motto «Quando l’arte tacque,
ebbe inizio la sapienza politica e la filosofia. Oggi che lo statista
e il filosofo sono alla fine, tocca di nuovo all’artista»51.
«Euripide si accinse a mostrare al mondo, come anche fece
Platone, l’opposto del poeta irragionevole...; il suo principio
estetico “tutto deve essere cosciente per essere bello”, è, come
ho detto, la proposizione parallela al precetto socratico “tutto
deve essere cosciente per essere buono”». Per conseguenza Eu­
ripide può essere da noi considerato come il poeta del socrati-
smo estetico» (GT 12).

50 R. Wagner, Uber musikalische Kritik, trad. it. di E. Pocar, Della critica musicale,
in Ricordi battaglie, visioni, cit., pp. 341-342. Questi temi, centrali, sono sviluppati in
più saggi teorici.
51 Wagner toma su questo motto nell’introduzione al III e IV voi. degli “Scritti e
poemi” (1872), traduz. italiana in R. Wagner, Scritti scelti,-cit., p. 185.
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 99

Wilamowitz critica con asprezza Nietzsche per il legame So-


crate-Euripide da lui posto dando fede alla «vecchia e triviale
favola dei rapporti tra questi due uomini». Per il giovane criti­
co in realtà Nietzsche può collegare i due nomi solo per « l’odio
cocente di cui contro di essi è pieno»52, dato che la cronologia
nega la possibilità che Socrate abbia potuto essere il demone
ispiratore di Euripide. In realtà Nietzsche già consapevole del­
la difficoltà di accreditare, sul piano della ricostruzione filolo­
gica, «il pettegolezzo» dei comici, sembra essere stato colpito
in modo forte da questo appunto, saccente e impietoso: dopo
La nascita della tragedia i due nomi non compariranno più in­
sieme e, addirittura, quello di Euripide scomparirà dalle rifles­
sioni del filosofo. Anche nel tardo Tentativo di autocritica, in
cui si vede come centrale la scoperta della categoria del socrati-
smo come «segno di declino, di stanchezza, di malattia, di
istinti che si disssolvono anarchicamente» (GT, 1), non vi è
cenno al tragediografo greco che tanta parte aveva avuto nella
morte dello spirito dionisiaco.
La difesa di Rohde, su questo punto, riguarda l’elemento so­
stanziale, la vicinanza ideale, di tendenza: «nella presente que­
stione si deve tener conto, più della documentata certezza, dei
motivi interni per i quali in passi tanto numerosi Socrate ed Eu­
ripide sono rappresentati amici e alleati di idee». E significativo
che Rohde difenda le concezioni filosofiche ed estetiche dell’a­
mico, giungendo ad una critica di Aristotele - la balia di Wila­
mowitz - in nome della teoria teatrale wagneriana: Aristotele
sbaglia quando afferma che la piena efficacia di una tragedia si
ha «anche senza una chiara rivelazione a tutti i nostri sensi, sen­
za spettacolo né attori, cioè nella semplice lettura»53.
Nota è l’interrelazione tra i temi della Nascita della tragedia e
le teorie estetiche wagneriane (sia quelle giovanili, influenzate
da Feuerbach, sia quelle improntate a Schopenhauer). E certo

52 U.v. Wilamowitz, Filologia dell’avvenire! in La polemica sull’arte tragica, cit.,


p. 233.
53 E. Rohde, in La polemica sull’arte tragica, cit., p. 286 e 289.
100 Nietzsche. La morale dell’eroe

che, sul tema della decadenza della tragedia greca - modello


costante del dramma musicale wagneriano - troviamo, negli ap­
punti per lo scritto Das Künstlertum der Zukunft (1849) l’acco­
stamento Aristofane-Socrate e la sorprendente affermazione
«Geburt aus der Musik: Aischylos. Décadence - Eurípides»54.
Tutti temi che Wagner, del resto, ripropone in Opera e dramma:
«Nella rettitudine didattica e slealtà artistica risiede la ragione
della rapida decadenza della tragedia greca, nella quale il popo­
lo presto notò, che essa non voleva già determinare il suo senti­
mento involontario, sibbene voler arbitrariamente determinare
la sua intelligenza. Euripide scontò a sangue, sferzato dallo
scherno di Aristofane questa menzogna grossolana che egli ave­
va scoperta. Poi la poesia, sempre più informata a intenzioni di­
dattiche, doveva convertirsi in rettorica pratica di Stato e final­
mente in prosa letteraria»55.
Siamo negli anni giovanili del Wagner rivoluzionario che al­
trove afferma: «Col crollo dello Stato ateniese coincide esatta­
mente la decadenza della tragedia. Come lo spirito della comu­
nità si spezzettò in mille indirizzi egoistici, così anche la totale
opera dell’arte tragica si sciolse nelle singole componenti arti­
stiche: sulle rovine della tragedia Aristofane, il commediografo,
pianse la sua folle risata e ogni entusiasmo artistico si arrestò
davanti alle severe rifessioni della filosofia volta a studiare la
causa e la fugacità d’ogni bellezza e d’ogni forza umana»56.
Vent’anni dopo, nel novembre 1869, mentre a Tribschen si
leggono con ammirazione commossa i dialoghi di Platone valo­
rizzando - con sensibilità cristiana - la figura di Socrate57,

54 R. Wagner, Entwürfe. Gedanken. Fragmente. Aus nachgelassenen Papieren


zusammengestellt, cit., p. 68. Ma si veda anche a p. 39 e 52 i riferimenti ad Aristofane e
Socrate.
33 R. Wagner, Oper und drama, cit., pp. 296-297.
56 R. Wagner, Kunst und die Revolution4,trad. di E. Pocar, Parte e la rivoluzione, in
Ricordi, battaglie, visioni, cit., p. 301.
57 Si veda: C. Wagner, Die Tagebücher, a cura di M. Gregor-Dellin e D. Mack, voi.
I: 1869-1877; voi. II: 1878-1883, Pieper, München/Zürich 1976-1977. Bd. I: p. 171, 20
nov. 1869, in cui Cosima riporta le riflessioni del musicista su Socrate. Dal novembre
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 101

Nietzsche elabora una simbologia forte del Socrate monstrum.

1869 al maggio 1870, i Wagner si dedicano, con passione, alla lettura dei dialoghi di
Platone (Menane, Eutifrone, l’Apologià, Critone, Gorgia, Cratilo, Teeteto, Il simposio -
6-7 aprile, «una delle impressioni più profonde della mia vita» - il Fedone) e il 7 aprile
del 1870 leggono i Memorabili di Senofonte. Questa l’immagine che ne dà Wagner: «È
molto evidente come si presenti in modo del tutto negativo e come in questo sia sag­
gio, non filosofo. Vuol cercare sempre e dovunque la verità, in cielo e sotto terra,
nell’Ade. Per questo atteggiamento è da confrontare con Kant, con la sua Critica della
ragion pura che afferma insolubile il problema, e si rapporta a Platone all’incirca come
il primo libro di Schopenhauer si rapporta al secondo. In tal modo egli è anche il tipo
più puro di uno stadio di sviluppo dello spirito umano. Non poteva che essere dolce e
buono, poiché vedeva l’errore dappertutto. Deve aver irritato in modo terribile poiché
non si poteva collocare in nessuna categoria, neppure in quella dei filosofi, traendo tut­
tavia tutto a sé; se solamente avesse accettato danaro, tutto sarebbe andato bene. Il pri­
mo filosofo fu Platone - Socrate era solo suo precursore, per lui di grande importanza,
poiché rimetteva in discussione tutto ciò che veniva ammesso. I filosofi anteriori come
Anassagora, Pitagora etc. erano solo pratici che cercavano una spiegazione del mondo
oggettivo. Platone è il primo, che ha riconosciuto l’idealità del mondo e che afferma
che il genere è tutto, l’individuo nulla». Il ritratto risente di Schopenhauer (avvicina­
mento allo spirito di Kant, valorizzazione di Platone) ma anche di Feuerbach quando
si parla della prevalenza del genere sull’individuo. Il giorno seguente, tornando sull’ar­
gomento, Wagner afferma: «il cristianesimo non poteva trasmettere questa morale - il
cristianesimo produce l’estasi, l’annientamento totale del mondo, ma per ciò che può
essere fatto dentro questo mondo, mai si può andare più in alto di Socrate. Il santo,
con il suo grande cuore, vede e può parlare solo in immagini simboliche, le immagini
simboliche della religione, ma chi non vede l’immagine come lui la vede, non può com­
prendere i simboli». Ancora il 22 novembre, a proposito del saggio Uber das Dirigiren,
scritto in quel periodo, si ripromette: «voglio come Socrate, essere il tafano che non
cessa di pungolare. E infame come viene trattata l’intera nostra arte». Cfr. anche p.
194, (3 febbraio 1870), sulla conferenza di Nietzsche su Socrate e la tragedia. Wagner si
mostra colpito dal riferimento di Nietzsche al sogno di Socrate che rimanda al proble­
ma del musicista e della musica come espressione diretta della volontà. Il 26-27 gen­
naio 1879, Wagner rilegge i Memorabili (in particolare il dialogo tra Socrate e Theodo-
ta), il 31 gennaio Plutarco sul demone socratico. Ancora, il 18 e 19 agosto 1879, rileg­
gendo l’Apologià di Socrate: «Impressione magnifica». H punto di partenza che Wag­
ner approva è la criticità, la negatività della filosofia di Socrate che deve lasciare il
posto all’inesprimibile, «la pace dell’anima» che nasce dalle illusioni distrutte e che
muove all’azione. Agli inizi di ottobre, ancora a Bayreuth si legge il Critone. Wagner
mostra di non apprezzare l’esaltazione dello stato: «non fa parte degli scritti migliori».
Una testimonianza dell’interesse per Socrate a Tribschen nella lettera di Cosima a
Nietzsche del 30 novembre 1869. « ... il Maestro la sera mi legge Platone, siamo alle
prese con il Gorgia. [...] Vorrò parlare di Socrate in ogni occasione [...] Riderà se le
dico che le ultime parole di Socrate, nell’Apologià, ci fanno pensare a quel folle subli­
me? [Don Chisciotte]».
102 Nietzsche. L a morale dell'eroe

7. Socrate e l’istinto
Questo ci porta al centro dell’anomalia socratica de La nasci­
ta della tragedia: il filosofo greco appartiene «ad un mondo as­
surdo e rovesciato» affermando la consapevolezza e la riflessio­
ne della coscienza nella sua lotta contro l’inconscio. «Il socrati-
smo disprezza l’istinto e quindi l’arte» (ST, Opere, III, II, p. 37).
Socrate è monstrum, anche nella fisionomia: il suo corpo, pa­
radossalmente, rimanda a quella naturalità istintiva, dionisiaca,
da lui combattuta ad internecionem con la riflessione. Socrate
che distrugge «la terribile saggezza di Sileno» {«die schreckliche
Weisheit des Silen») ne conserva l’aspetto vicino a quello del
Satiro del coro originario della tragedia «quella figura fantasti­
ca, che appare così urtante, del Satiro saggio ed esaltato, il qua­
le è insieme, in contrapposizione al dio, l’uomo tonto: immagi­
ne della natura e dei suoi istinti più forti, anzi simbolo di essa e
insieme annunciatore della sua saggezza e arte - musicista, poe­
ta, danzatore e visionario in una sola persona» (GT 8). Il Sileno
può dire all’uomo moderno e alla sua civiltà: «noi siamo la ve­
rità, voi la menzogna»58.
Socrate è vivente paradosso: è monstrum, testa balzana, cari­
catura, histrio in quanto segna una diversità epocale rispetto al
mondo in cui vive: è monstrum in quanto razionalista in un
mondo dominato dall’istinto. «L o si sarebbe potuto mandar
fuori dai confini, come qualcosa di assolutamente enigmatico,
inclassificabile, inesplicabile...» (GT 13). Criticando il cosid­
detto «demone di Socrate», Nietzsche scrive nella Nascita della
tragedia-. «Questa voce, quando viene, dissuade sempre. La sag­
gezza istintiva si mostra in questa natura assolutamente abnor­
me soltanto per contrastare qua e là, ostacolandolo, il conoscere
cosciente. Mentre in tutti gli uomini produttivi l’istinto è pro-

58 Così scrive nella stesura preparatoria in P I 16. Cfr. GT, Note, p. 510. Sul com
plesso significato della fisionomia da sileno di Socrate si veda anche Remedios Ávila
Crespo, Aquella excéntrica fisonomía de sileno" , Agonismo y piedad en la reflexión
de Nietzsche en torno a Grecia, in «Logos». Anales del Seminario de Metafisica, Madrid
2000, n. 2, pp. 91-117.
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 103

prio la forza creativa e affermativa, e la coscienza si comporta


in maniera critica e dissuadente, in Socrate l’istinto si trasforma
in un critico, la coscienza in una creatrice - una vera mostruo­
sità per defectum\» (GT 13). L’istinto è qualcosa di primitivo, di
«dato», che la consapevolezza socratica (sviluppatasi sotto il di­
spotismo della Civilisation) distrugge, portando alla rovina l’in­
tera comunità estetica. Si tratta per Nietzsche di un recupero
della dimensione profonda-istintuale, al di là del mondo delle
convenzioni e dell’astrazione che caratterizzano la cultura mo­
derna. Ogni pratica sociale è legata immediatamente alla parte
oscura della coscienza collettiva: l’istinto sicuro di se stesso de­
termina la naturalezza del comportamento e la realizzazione
della totalità estetica. Socrate, «nelle sue peregrinazioni critiche
per Atene, incontrava dappertutto, parlando con i maggiori sta­
tisti, oratori, poeti e artisti, la presunzione del sapere. Vide con
stupore che tutte quelle celebrità non avevano un’idea giusta e
sicura neanche nella loro professione, e che la esercitavano solo
per istinto» (GT 13).
L’istinto si rapporta immediatamente ad una saggezza del­
l’inconscio collettivo della volontà ellenica. Forte e diretto l’in­
flusso di Eduard von Hartmann: già negli appunti dell’ultimo
inverno di Lipsia, Nietzsche parla degli uomini e dei loro pen­
sieri come «sintomi di correnti spirituali, della vita ininterrotta
degli istinti»: «La storia non mostra principalmente il potere di
singoli ingegni: piuttosto l’oscura potenza di immani istinti, di
una volontà inconscia»59.
La vicinanza alla natura è la garanzia dell’istinto. Con Socra­
te la divisione del lavoro nel mondo greco, accettata liberamen­
te come fatum, cessa di essere «naturale» e al servizio della cul­
tura vissuta. Prima di lui, in Grecia, manca perfino l’idea di ar­
tificialità: «quella finzione, quel rinnegamento della miseria,

59 NA 77[4] September 1868 bis Herbst 1869; Opere I, II, p. 478. Sulla presenza
di von Hartmann nella riflessione del Nietzsche di Basilea cfr. F. Gerratana, Der Wahn
jenseits des Menschen. Zur frühen E. v. Hartmanns-Rezeption Nietzsches, in “Nietzsche-
Studien”, voi. 17/1988, trad. it. in F. Gerratana, Scritti su Nietzsche editi e inediti, cit.
104 Nietzsche. L a morale dell’eroe

quello splendore delle intuizioni metaforiche, e in generale quel­


l’immediatezza dell’inganno accompagnano tutte le manifesta­
zioni di una siffatta vita. Né l’abitazione, né l’andatura, né l’ab­
bigliamento, né l’orcio d’argilla lasciano scorgere di essere stati
inventati da un bisogno impellente. Sembra quasi che attraverso
tutte queste cose debba esprimersi una sublime felicità, una se­
renità olimpica, e per così dire un giocare con ciò che è serio»60.
Socrate porta la consapevolezza e la riflessione del singolo, e
con essa l ’affermazione dell’illusione fenomenica: la propria
sfera di volontà egoistica si trova necessariamente in conflitto
con le altre sfere: nasce il filisteo come «servo di una realtà che
non è tale»61.
Con Socrate trionfa il ceto medio borghese che «sempre ri­
flette e domanda», che calcola, che vuole il dominio ed esercita
la violenza sulla natura (cfr. il contenuto realistico didattico del­
le opere di Euripide nella interpretazione di Nietzsche). E qui
certamente prevale, nell’interpretazione, il Socrate di Senofonte
che spesso sembra identificare il bene con l’utile. Ma più in ge­
nerale è con un «ragionamento da mercante» che il filosofo
greco identifica la conoscenza con la virtù morale portando con
sé la certezza teleologica che la virtù conduca alla felicità. Per
Nietzsche una riprova di questo sta nella forte valorizzazione in
John Stuart Mill (esempio primo di una morale del «gregge»,
utilitaria ed edonista) di Socrate come campione di libertà, «il
più virtuoso del suo tempo» «capo e prototipo di tutti i succes­
sivi maestri di virtù», la cui morte è avvicinata a quella del Cri­
sto («altro caso di iniquità giudiziaria»). Questi passi dell’esem­
plare, in traduzione tedesca, del Saggio sulla libertà della biblio­
teca di Nietzsche presentano segni di lettura62.

60 W L 2. Anche su questo punto appare, sviluppata, la suggestione di Schopen­


hauer, cfr. ad es. Parerga, cit., II, cap. XVII, § 191, pp. 534 e cap. X IX , § 214, p. 564.
61 Per la definizione di Schopenhauer, cfr. Parerga, cit., pp. 462-463: «Sarei ora
tentato di determinare la definizione di filisteo da un punto di vista superiore, indican­
do con tale termine gli individui continuamente affaccendati nel modo più serio attor­
no a una realtà che non è tale».
62 John Stuart Mill, Die Freiheit, übersetzt von Th, Gomperz, Fues (R. Reisland),
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 105

E certo che dal Socrate della Nascita della tragedia procede


impetuosamente lo sviluppo tecnico. Il «dio delle macchine e
dei crogiuoli» uccide gli dèi del mito: l’ottimismo attivo, super­
ficiale, orientato dall’utile consapevolmente posto e ricercato,
sostituisce e distrugge alle radici il mito tragico, sicuro fonda­
mento per l’unità comunitaria. Con esso si perde la fissità di va­
lori sentiti e vissuti, la fede nell’ideale come forza eternizzante.
Il mito rappresenta il legame con il fondo naturale che veniva
rivelato solo attraverso la sublimazione estetica (la tragedia).
Qui, con Hartmann, è all’opera una forte teleologia dell’in­
conscio: l’istinto è definito «un agire finalizzato senza coscienza
del fine», di esso il filosofo offre la più vasta fenomenologia e va­
lorizzazione. Il primato dell’istinto, per Nietzsche, porta lontano
daU’illuminismo («disprezza l’istinto: esso crede soltanto nelle
ragioni»), ma anche dal romanticismo («i romantici mancano di
istinto: le creature illusorie dell’arte non li stimolano ad agire,
essi rimangono nel loro stato di eccitazione») (5[45] 1870-1871).
La giovanile metafisica dell’arte, propone un dio che sogna e
il mondo come l’ingannevole sogno del dio/Ur-Ein. Essa pre­
suppone, e vuole, il dio che inganna (artisticamente) attraverso
“l’istinto” che si esprime direttamente come volontà che sotto­
mette con l’inganno l’individuo. La struttura di questo inganno
è quella individuata da Schopenhauer nella «metafisica del­
l’amore sessuale»: l’istinto è illusione che perpetua la volontà di
vivere, è l’inganno da parte del «genio della specie» a spese del­
l’individuo. Saggezza tragica significa adeguarsi all’inconscia te­
leologia della natura: l’Uno primordiale, il dio che inganna, si
libera dalla contraddizione originaria attraverso le belle imma­
gini del sogno. L’arte e il mito sono l’immagine illusoria più al­
ta, la bellezza è intesa quindi come la più alta seduzione alla vi­
ta: «Che cos’è il bello? - Un senso di piacere che ci nasconde le
vere intenzioni della volontà [...] è un sorriso della natura, un
sovrappiù di forza e un senso di piacere dell’esistenza» (7 [27],
fine 1870 - aprile 1871).

Leipzig 1869, in John Stuart M ills Gesammelte Werke. Erster Band. Le pp. 23, 24, 25
presentano segni di lettura.
106 Nietzsche. L a morale dell’eroe

Simbolicamente: «il brutto e plebeo Socrate» rappresenta


«la vendetta di Tersite» ucciso dallo «splendido Achille». «So ­
crate ammazzò Vautorità dello splendido mito in G recia»
(6[13] estate 1875).
Il Nietzsche metafisico vedeva nel razionalismo antico (So-
crate/Euripide) potenziato in quello moderno (Descartes) le
forze negative capaci di distruggere la bella illusione legata alla
vita istintuale. Ma il ‘razionalismo’ è esso stesso un’illusione ot­
timistica - di più basso valore, rispetto alla «consolazione meta­
fisica» - che conferma e rinchiude l’individuo nelle maghe del
fenomenico scambiato per la vera realtà. La onnipotente teleo­
logia dell’inconscio fa dello stesso socratismo uno strumento
per la realizzazione di fini superiori dell’Uno-originario.
Già la serenità teoretica appartiene ai gradi più nobili dell’il­
lusione vitale (Wahn) e seduce comunque all’esistenza contro
«l’etica pratica del pessimismo»: «vita io ti voglio, tu sei degna
di essere conosciuta» (GT 17)63. La parentela tra lo schemati­
smo logico (propria del socratismo) e la chiarezza apollinea è il
tentativo di far rimanere anche la figura di Socrate nella dialet­
tica apollineo-dionisiaco. Il socratismo esprime una critica eroi­
ca comunque ben diversa dalla critica odierna che «non sa pro­
durre martiri né parla la lingua del ‘più saggio fra i Greci’, che
certo non si vanta di non saper nulla, ma che in verità non sa
nulla» (ST, Opere, III, II, p. 45).
L’Uno originario, artistico e provvidenziale, assegna a Socra­
te morente un ruolo decisivo nella «cosmodicea»: «La scienza,
spronata dalla sua robusta illusione, corre senza sosta fino ai
suoi limiti, dove l’ottimismo insito nell’essenza della logica nau­
fraga. Infatti la circonferenza che chiude il cerchio della scienza
ha infiniti punti, e mentre non si può ancora prevedere come
sarà possibile misurare interamente il cerchio, l’uomo nobile e

63 Tale espressione si trova già nella Prolusione su Omero e la filologia classica nel
caratterizzare “gli impulsi” fondamentali che caratterizzano la filologia: «L a vita è degna
di essere vissuta, dice l’arte, la più bella seduttrice; la vita è degna di essere conosciuta,
dice la scienza» (Opere, I, II, p. 519). Cfr. anche 3 [3] inverno 1869-70 - primavera 1870.
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 107

dotato giunge a toccare inevitabilmente, ancor prima di giunge­


re a metà della sua esistenza, tali punti di confine della circon­
ferenza, dove guarda fissamente l’inesplicabile» (GT 15). Faust
rappresenta lo Streben dell’uomo moderno senza posa legato a
quella «brama di sapere» che deriva da Socrate: da lui anche il
senso di insoddisfazione e l’aspirare all’azione. «D al vasto e de­
serto mare del sapere» si anela di nuovo ad una costa (GT 18).
Simbolo è il ricorrente sogno di Socrate: «L a cosa più profon­
da, peraltro, che poteva essere detta contro Socrate, l’ha detta a
lui un sogno. Molto spesso gli veniva in sogno, come racconta
in carcere ai suoi amici, una stessa apparizione, che diceva sem­
pre la stessa cosa: “Socrate, datti alla musica!”» La percezione
del limite della conoscenza, esplorata fino agli estremi limiti,
apre la via inevitabilmente all’arte tragica, alla musica. La scien­
za stessa in definitiva serve il mito: l’uomo socratico appartiene
interamente alla teleologia dell’inconscio che prepara una nuo­
va e superiore arte: «Lo scopo della scienza, inaugurata da So­
crate, è la conoscenza tragica come preparazione del genio. Il
nuovo stadio dell’arte non fu raggiunto dai Greci: esso rientra
nella missione germanica. L’arte suscitata da quella conoscenza
tragica è la musica»64.

8. Socrate spirito libero

Umano, troppo umano, monumento di una rigorosa «autodi­


sciplina», di un autosuperamento, segna una svolta radicale nel­
la direzione antimetafisica: una volontaria lontananza dal­
l’ubriacatura romantica che aveva portato dalla esaltazione di
Democrito alla Nascita della tragedia. Si tratta di tornare «buoni
vicini delle cose prossime», fare a meno dei dogmi ideali, delle

64 FP 71174] fine 1870-aprile 1871. Cfr. anche 7[166]: «Euripide e Socrate danno
una nuova impostazione allo sviluppo dell’arte: partendo dalla conoscenza tragica. Questo
è il compito dell’avvenire [...] la tragedia greca si può vedere solo come preparazione:
serenità inappagata».
108 Nietzsche. La m orale dell’eroe

religioni che hanno bloccato e impedito, sulla base di menzogne


antivitali, lo sviluppo sociale e umano. La scienza e la ragione
critica sostengono una battaglia liberatrice e definitiva contro il
rovesciamento del mondo: la precedente scelta antivitale della
metafisica dell’artista e la pericolosa superstizione del genio.
Radicalmente mutata l’ottica: nella Nascita della tragedia era
dominante la prospettiva della bella comunità contro i pericoli
del caos atomistico e dell’emancipazione individuale, la perdita
dell’istinto significava allontanamento della Kultur e della so­
cietà dal fondo vitale in direzione della «civilizzazione». In pri­
mo piano, ora, l’emancipazione dell’individuo dai vincoli del
costume e dagli organismi che, con loro forza gregaria, si fanno
eredi degli elementi di costrizione della comunità. La tradizio­
ne diventa incorporazione di costumi etici che spingono il sin­
golo nella direzione del gregge. Vige l’irriflessa convinzione che
«solo come totalità possiamo conservarci». Solo con Socrate
nasce «la morale per gli individui, nonostante la comunità e i
suoi principi» (4 [77] estate 1880). Di Socrate si valorizza ora la
libertà ed originalità rispetto alla pratica istintiva dei concittadi­
ni della polis: l’emancipazione individuale che si esprimeva nel­
l’ebbrezza della della dialettica come «arte divina». Contro un
«pensiero stregato dall’eticità... sicché il pensare era un ripetere
il già detto» e il piacere stava essenzialmente nel trasmutarsi
della forma, Socrate operò un rovesciamento scoprendo «l’in­
cantesimo antitetico, quello della causa e dell’effetto, del fonda­
mento e della conseguenza» (M 544). Socrate e i socratici sono
tra «gli spiriti più rari, più eletti, più originali» che aprirono
nuove possibilità per l’individuo e perciò vissero sotto il peso
della cattiva coscienza, in contrasto con « l’eticità del costume»:
«Quei moralisti che al pari di chi procedette sulle orme socrati­
che mettono nel cuore dell’ individuo la morale dell’autosupe-
ramento e della temperanza come il suo più reale vantaggio, co­
me la chiave più personale della felicità, costituiscono l’eccezio­
ne, e, se ci appaiono diversamente, è perche noi siamo stati
educati sotto il loro influsso; tutti costoro percorrono una nuo­
va strada, con la massima disapprovazione di ogni rappresen-
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 109

tante dell’eticità del costume, essi si sciolgono dalla comunità in


quanto non ligi all’eticità e sono, nel senso più profondo, mal­
vagi [...] non è possibile calcolare quel che devono aver soffer­
to nell’intero corso della Storia propria gli spiriti più rari, più
eletti, più originali, per il fatto che vennero sentiti come i mal­
vagi e i pericolosi, per il fatto anzi che essi stessi si sentirono ta­
li. Sotto il dominio dell’eticità del costume l’originalità di ogni
specie ha acquistato una cattiva coscienza; fino a questo mo­
mento il cielo dei migliori ne è stato ancora più offuscato di
quanto avrebbe dovuto esserlo» (M 9)65. Anche nel caratteriz­
zare la decadenza moderna, Nietzsche valorizza la figura di So­
crate: «L e condizioni per la nascita del genio non sono affatto
migliorate, semmai peggiorate. Ripugnanza generale per gli
uomini originali. Con noi Socrate non avrebbe raggiunto i set­
tantanni» - scrive in un appunto per l’inattuale su Schopenhauer
(34 [15] 1874).
Per il Nietzsche che intraprende il cammino della liberazio­
ne, è necessario finirla con i narcotici e le consolazioni, con
l’impurezza metafisica: alla lunga il rovesciamento del mondo, il
privilegiamento dell’al di là (sia esso Dio, Essere, Uno-origina­
rio, Volontà ecc.) comporta una completa e radicale svalutazio­
ne dell’unico mondo reale: del flusso di forze in divenire da se­
guire nei suoi sviluppi «storici». La ragione e la scienza sono, in
questa prospettiva, con un puntuale rimando al Faust di Goethe
(I, v. 1852), «la forza umana più alta di tutte» (24[47] estate
1877) «che non conoscono compromessi col mito religioso»
«vivono su pianeti diversi» (MA 110). Questa posizione com­
porta una diversa valutazione della figura di Socrate: egli appa­
re adesso, in una certa misura, «spirito libero», Wanderer critico
e tafano molesto (con riferimento ad Apologia 30e). Cosi viene

65 Su questo punto Nietzsche si sente confortato da una riflessione di Montaigne,


che annota nei suoi quaderni: 26[291] 1884: «Montaigne I p. 174: “Le leggi della cos­
cienza, che secondo quanto pretendiamo derivano dalla natura, derivano piuttosto
dall’abitudine. Ognuno venera nel suo cuore le opinioni e i costumi approvati e intro­
dotti nel proprio paese, sicché non se ne può sottrarre senza rimorsi, e non agisce mai
secondo i loro dettami senza un certo diletto”» (1.1, cap. XXIII).
110 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

definito nell’aforisma 433 dove si giustifica il ruolo decisivo di


Santippe che «rendendogli casa e focolare inabitabili e inospita­
li [...] gli insegnò a vivere per le strade e dappertutto dove si
poteva chiacchierare ed oziare, facendo di lui il più grande dia­
lettico ambulante di Atene: il quale da ultimo dovè paragonare
se stesso a un tafano molesto, posto da un dio sul collo del bel
cavallo Atene per non fargli aver pace» (si veda anche Taf. 437).
Ora Socrate non è più il potente araldo della scienza e l’otti­
mista teoretico: è prevalentemente il saggio che ricerca e inda­
ga, lo «scrutatore di anime» e maestro di vita quotidiana. A lui
si richiama quella ragione che non viene «falsamente indirizzata
e artificiosamente stornata dalle cose piccole, le vicinissime»:
«G ià Socrate si difendeva con tutte le forze contro quella altez­
zosa trascuratezza dell’umano a favore dell’uomo, e con un det­
to di Omero soleva richiamare al vero àmbito e all’essenza di
tutte le cure e i pensieri: “è ciò e solo ciò” diceva “che mi acca­
de di casa di bene e di male”» (WS 6). Ancora una volta il pun­
to di partenza è Diogene Laerzio che tramanda il verso dell’O ­
dissea (IV, 392) come divisa di un Socrate che, «convinto che la
speculazione naturalistica non ci riguarda affatto, discuteva di
questioni morali nelle officine e nel mercato» (DL, II, 21).
Nietzsche valorizza il Socrate umano di Senofonte contrap­
posto alla «caricatura» platonica: in particolare i Memorabili of­
frono un «modello immediatamente imitabile» (5[192] prima­
vera-estate 1875). E un libro che «bisogna saper leggere»: «I
filologi, in fondo, ritengono che Socrate non abbia nulla da dir
loro, perciò si annoiano alla lettura di questo libro, per altri in­
vece è una lettura che trafigge il cuore e, insieme, rende felici»
(18[47] settembre 1876)
Certamente - dirà poi Nietzsche - anche Senofonte, con la
grande libertà che caratterizza i Greci e con la stessa libertà di
Platone, si è creato di Socrate «un’immagine a proprio uso e
consumo» (8[15] estate 1883), anche lui si è messo a dormire
nella prima delle molte anime di Socrate (34 [66] aprile-giugno
1885).
Il Socrate che progressivamente emerge è il filosofo che ri-
Socrate monstrum: eroism o e decadenza 111

cerca un’«etica puramente umana, basata sui fondamenti del


sapere», quale già era caratterizzato nelle lezioni sui filosofi
preplatonici. Nel 1884, tornando sui testi delle lezioni in una ri­
flessione complessiva e nuova sulla Grecità, riprende, in un
frammento significativo, tale caratterizzazione: «Socrate non
cerca la saggezza, bensì un saggio - e non lo trova; ma il cercare
è da lui definito la sua massima felicità. Infatti non vi sarebbe,
secondo lui, niente di più alto della vita che parlar sempre di
virtù» (26[64] 1884). Qui Nietzsche parafrasa un passo dell’/l-
pologia (38a) ripetendo anche l’affermazione: «Una vita senza
tali ricerche, non è vita» {Die vorplatonischen Philosophen,
KGW, II, IV, p. 357; trad. it., p. 139). Questo tema della ricerca
e dello sperimentare è talmente centrale nella filosofia dello spi­
rito libero che Nietzsche, in un appunto postumo, pensava di
utilizzare le parole di Socrate a conclusione del libro in elabora­
zione: «Alla fine: “vi è felicità maggiore del cercare l’anima -
una vita senza ricerca: où ßuoxo?”» (33[6] autunno 1878). Nel­
l’esemplare dell’Apologia, che Nietzsche rilegge in questo pe­
riodo («con intima commozione» 28[ 11 ] primavera-estate
1878) e commenta nel suo corso estivo del 1878 dedicato a
quest’opera, conservato nella sua biblioteca con molte glosse e
segni, questo passo - come rileva Montinari in una lettera66 - è

66 Su questo si veda la lettera del 10 settembre 1967 a Giorgio Colli di Montinari


che, lavorando agli apparati dell’edizione tedesca della sezione IV, segnala all’amico un
errore di decifrazione fatto per l’edizione Adelphi (tuttora da correggere): «L o Ast in­
vece mi ha inaspettatamente aiutato a risolvere un problema di decifrazione assai più
difficile, quello del frammento 3318] il cui testo non mi convinceva per nulla, perché
niente affatto rispondente allo stato d’animo di Nietzsche nell’autunno del 1878. Esso
era: “Giebt es ein größeres Glück als die Seele zu greifen - ein Leben ohne Poesie: où
ììlojtóc. ” . Non ti sto a raccontare i tentativi e i passaggi intermedi. In ogni modo, mar­
tedì ho guardato per scrupolo la voce ßtwrö? in Ast e ho trovato il rimando a Apologia
38a, che è proprio il passo che cercavo, a patto di leggere invece di “greifen” “prüfen”
(che avevo già letto sul manoscritto!) e “Prüfen” sostantivato invece di “Poesie”. Socra­
te dice: “ó Sé ave^ÉTaToq ßto? où ßtwro? av!)pwjt«> [dativo di anthropos]" - “ein
Leben ohne prüfen où ßtta-ro?”. Io ho anche l’esemplare dell’Apologià, che Nietzsche
sembra aver riletto proprio in questo periodo, con molte glosse, questo passo è sottoli­
neato e commentato: Glück des Socrates. Mi è sembrato anche un passo molto bello,
per quello che posso ancora capire di greco e in pieno accordo col significato del fram-
112 Nietzsche. La morale dell’eroe

sottolineato e commentato: «Gliick des Socrates».


A questo avvicinamento a un Socrate simpatetico e umano,
lontano dal monstrum, contribuisce senza dubbio l’influenza di
Montaigne. Con Montaigne Nietzsche afferma «Non c’è niente
di più allegro, più sveglio - e quasi più divertente - del mondo
e della sua saggezza» dopo aver ancora con lui detto «un’anima
in cui alberghi la saggezza renderà sano con la sua sanità anche
il corpo»67.
Sul confronto di Nietzsche con Montaigne manca ancora
una puntuale ricerca: i suoi scritti sono da Nietzsche letti con
attenzione e in più stagioni, con la consapevolezza che quelli
del filosofo francese sono «pensieri della specie che crea pen­
sieri» (WS 214) e che egli rappresenti il punto più alto dell’one­
stà (25 [74] primavera 1884). I testi furon letti fin da quando
Cosima Wagner, per il Natale del 1870, regalò a lui, giovane fi­
lologo devoto alla causa wagneriana, «un’edizione imponente»
degli Essais (lettera a Franziska ed Elisabeth Nietzsche, 30 di­
cembre 1870)68. «Veramente - scrive Nietzsche qualche anno
dopo - per il fatto che un tal uomo abbia scritto il piacere di vi­
vere su questa terra è stato aumentato [...]. Con lui mi intende­
rei se fosse posto il compito di trovarsi una patria sulla terra»
(SE 2). Ancora in Ecce homo, Nietzsche esalta Montaigne su
tutti gli amati francesi, confessando di avere «nello spirito e,
chissà?, forse anche nel corpo» la sua malizia ardimentosa
(Muthwille) (EH, Perché sono così accorto 3).
Molti i temi di vicinanza che qui posso solo enumerare: dal
tema della maschera a quello del vacillare di ogni cosa data per

mento» (G. Campioni, Leggere Nietzsche. Alle origini dell’edizione critica Colli-Monti-
nari, cit., p. 433).
67 Cfr. 40[59] 1885. Per Montaigne si veda Essais, 1.1, XX V I, trad. it., cit. pp. 213-
214. Cfr. anche V. Vivarelli, Nietzsche und die Masken des freien Geistes: Montaigne,
Pascal und Sterne, Königshausen & Neumann, Würzburg 1998, pp. 78-79.
68 Nella biblioteca di Nietzsche si trovano due edizioni degli Essais di Montaigne:
Essais avec des notes de tous les commentateurs, Paris 1864 e Versuche, nehst des Verfas­
sers Leben, nach der neuesten Ausgabe des Herrn Peter de Coste, ins Deutsch übers., 3
Bde. Leipzig 1753-54.
Socrate monstrum: eroism o e decadenza 113

ferma («la stessa costanza non è che un movimento più debole;


non descrivo l’essere descrivo il passaggio», 1. Ili, cap. II); l’esi­
bizione di «una forma sovrana» che si realizza divenendo ciò
che si è6970. Se Nietzsche avvicina, in un primo momento, nel-
l’«onestà», Montaigne a Schopenhauer ‘educatore’ in quanto
‘distruttore’ di illusioni, nell’ultimo periodo ritrova Montaigne,
sia pur riduttivisticamente interpretato, come riferimento forte
degli psicologi romanciers dei boulevards parigini. A Montaigne
si richiamano gli «psicologi» e i nuovi scettici che vedono nel
suo atteggiamene le origini del «dilettantismo». «Non è tanto
una dottrina quanto una disposizione di uno spirito, ad un tem­
po molto intelligente e molto voluttuosa, che ci fa inclinare, di
volta in volta, verso le diverse forme della vita e ci spinge a pre­
starci a ciascuna di esse, senza darci ad alcuna» - scrive Bourget
che subisce il fascino di questa forma di vita della ‘décadence'1®.
Egli vede in Renan un «homme supérieur» e un suo maestro fi­
no a dichiararsi «élève de Montaigne et de M Renan». E nella
stessa definizione di dilettantismo Bourget si richiama, anche
nelle espressioni, a Montaigne: che «si dà agli altri senza toglier­
si a sé», che dichiara la necessità di «darsi in prestito e acciden­
talmente, mentre lo spirito si mantiene tranquillo e sano, senza
passione»71.
Per il filosofo francese, Socrate appare espressione felice e
naturale di un “gaio sapere” umano, di una «saggezza gaia e ur­
bana»72: «Socrate era un uomo e non voleva essere né sembrare
altro»73. Come il Nietzsche di questo periodo, Montaigne ritie­
ne che il filosofo greco abbia fatto «un gran favore alla natura
umana mostrando quanto essa può per se stessa...»: «E lui che
ricondusse giù dal cielo, dove perdeva il suo tempo, la saggezza
umana, per restituirla all’uomo, dove è il suo più giusto e labo-

69 Montaigne, Saggi, cit., p. 1076.


70 P. Bourget, Essais de psychologie contemporaine, Paris 1883, p. 36; trad. it.,
cit., p. 38.
71 Montaigne, Saggi, cit., p. 1343 (libro III cap. X).
72 Ivi, pp. 1119-1120.
73 fot, pp. 1187.
114 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

rioso compito, e il più utile», «non abbiamo bisogno di molta


dottrina per vivere a nostro agio. E Socrate ci insegna che essa
è in noi, e la maniera di trovarla e valersene»74.
Di Socrate viene valorizzato, sulle orme di Montaigne, quella
capacità di corrispondere ai diversi temperamenti e di media­
zione, recando in sé una pluralità di anime e facendo valere le
ragionevolezze contro la ragione unica:
Se tutto va bene, verrà il tempo in cui, per promuovere il proprio
innalzamento spirituale e morale, si prenderanno in mano i Memora­
bili di Socrate a preferenza della Bibbia, e in cui Montaigne e Orazio
saranno utilizzati come messaggeri e guide per la comprensione del
più semplice e imperituro mediatore-saggio, Socrate. A lui riconduco­
no le strade delle più diverse maniere filosofiche di vita, che sono in
fondo le maniere di vita dei diversi temperamenti, stabiliti dalla ragio­
ne e dall’abitudine, e tutti quanti rivolti con la loro punta verso
la gioia di vivere e di se stessi; dal che si potrebbe concludere che
l’aspetto più peculiare di Socrate sia stato un prendere parte a tutti i
temperamenti. - Rispetto al fondatore del cristianesimo, Socrate ha in
più la gioconda forma di serietà e quella saggezza piena di birbonate,
che costituisce per l’uomo lo stato d’animo migliore. Inoltre aveva un
intelletto più grande (WS 86).

9. Socrate: eroismo e decadenza


La figura di Socrate, pur da Nietzsche finora diversamente
tratteggiata, appartiene alla Grecità, è quella di un «filosofo
della vita» (K G W II, IV , p. 354; Lezioni sui filosofi preplatonici,
p. 137): la serenità dell’uomo teoretico della Nascita della trage­
dia è comunque legata ad una illusione superiore che seduce al­
l’esistenza ed ancora di più vitale è la gaia saggezza - impronta­
ta alla lettura di Montaigne - amica delle cose prossime del
«mediatore-saggio».

14 Ivi, pp. 1386-1387. Montaigne riprende, alla lettera, l'espressione di Cicerone:


Tuscul. Quaest. L. V, 4, 10. «Sócrates autem primus philosophiam devocavit a coelo, et
in urbibus conlocavit, et in domus edam introduxit: et eoegit de vita et moribus re­
busque bonis et malis quaerere».
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 115

Nella Gaia scienza, prima degli aforismi che annunciano l’e­


terno ritorno e la discesa tra gli uom ini del persiano
Zarathustra, si trova l’aforisma dedicato a Socrate morente (FW
340). L’ammirazione per la saggezza e la forza d’animo di «que­
sto Ateniese, spirito maligno e ammaliatore, beffardo e innamo­
rato, che faceva tremare e singhiozzare i giovani più tracotan­
ti...», si volge immediatamente in critica per l’atteggiamento di
Socrate davanti alla morte che svela la sua essenziale natura di
decadente. Nietzsche commenta l’ultima frase pronunciata dal
filosofo greco (Fedone, 118 a): «sono in debito d’un gallo ad
Asclepio». «Queste ridicole e terribili “ultime parole” significa­
no per chi ha orecchie: “O Critone, la vita è una malattia”». So­
crate con queste «ultime parole»75 che, per superiore spirito e
«magnanimità» non avrebbe dovuto pronunciare, svela la sua
natura ascetica ed il senso profondo del suo «eroismo»: «Un
uomo par suo, che visse serenamente sotto gli occhi di tutti co­
me un soldato - era pessimista! Non s’era appunto preoccupa­
to d’altro che di far buon viso alla vita e per tutta la durata di
essa aveva tenuto nascosto il suo giudizio ultimo, il suo più inti­
mo sentimento! Socrate, Socrate ha sofferto della vital». Come
tutti i sofferenti, spinto dal risentimento, se ne è vendicato «con
quelle parole velate, atroci, pie e blasfeme» prive di magnani­
mità. Nietzsche, mentre si appresta a predicare con Zarathustra
il suo «antivangelo» a favore della piena affermazione della vi­
ta, nel valutare la morte di Socrate giudica che: «noi dobbiamo
superare anche i Greci». Individuata la natura di sofferente e
malato di Socrate, torna con virulenza la sua caratterizzazione
di «mostro» e antigreco76. La scelta per la morte di «questo ac­
cortissimo tra tutti gli abbindolatori di se stessi» assume ora il

75 Cfr. anche FW. 36. Per una lettura radicalmente diversa delle ultime parole di
Socrate si veda Glenn W. Most, A Cock for Asclepius, in “Classical Quartely” 43, 1993,
pp. 96-111. Contra: Alexander Nehamas, The ari ofliving, cit., pp. 246-248.
76 GD, Il problema di Socrate 3. In questo Nietzsche ha, come precedente, E. Zel­
ler che parla dell’elemento “non greco” dell’aspetto e del carattere di Socrate e che giu­
dica storicamente attendibile l’episodio di Zopiro. Si veda anche: Hans Günther See-
beck, Das Sokratesbild vom 19. Jahrhundert bis zur Gegenwart, Phil. E , Diss., Göttingen
1947, pp. 296-297.
116 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

suo pieno significato: « “Socrate non è un medico” - disse pia­


no a se stesso - In questo mondo la morte soltanto è il medi­
co... Quanto a Socrate, egli fu semplicemente a lungo mala­
to...» (GD, Il problema Socrate 12).
La malattia e la decadenza sono caos privo di ordine, anar­
chia di istinti incapaci di misura. «Tutto in lui è esagerato,
buffo, caricatura, tutto è al tempo stesso occulto, pieno di se­
condi fini, sotterraneo [...] E un indice della décadence in So­
crate non soltanto la confessata sregolatezza e anarchia degli
istinti; precisamente a essa rinvia anche la superfetazione della
logica e quella malvagità da rachitico che lo caratterizza. Non
dimentichiamo nemmeno quelle allucinazioni acustiche che so­
no state interpretate in senso religioso, come il “demone socra­
tico”» (GD, Il problema Socrate 12).
Quello che, positivamente, era stato visto, in precedenza, co­
me anima plurale e complessità di istinti capaci di partecipare
ai diversi temperamenti, alle diverse umanità, ciò che caratteriz­
zava la superiorità del «saggio-mediatore», diventa ora - in sin­
tomatico rovesciamento - espressione di decadenza fisiologica.
Si riprendono i termini della Nascita della tragedia-, «la superfe­
tazione della logica» (cfr. anche: 14 [42] 1888; cfr. ST, Opere,
III, II, p. 41; G T 13; 1[7] 1869) riappare come mostruosità fi­
siologica, una «abnormità» che corrisponde alla «violenza e
anarchia degli istinti».
Nietzsche ricorre alla caratterizzazione fatta da Aristosseno,
musico di Taranto, che insiste nel suo «pettegolezzo peripateti­
co», sulla natura assolutamente passionale e sulla mancanza di
autodomino di Socrate: «intollerabile e indecente», «smodato
nel godimento dei piaceri venerei... pronto all’ira», capace cer­
to di sedurre e persuadere, come nessun altro, attraverso tutto
il suo atteggiamento: «questo però quando non si adirava, per­
ché quando invece si infiammava di questa passione, diventava
intollerabile e indecente: e non c’era parola o azione di cui
avesse ritegno»77.

77 Aristosseno, fr. 54a Wehrli, (Giannantoni, pp. 272-273). Si veda anche 5[128]
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 117

Ed accanto ad Aristosseno, il riferimento di Nietzsche va al­


l’episodio del fisiognomico Zopiro, di cui già ho parlato, e che
assume tutta la sua valenza simbolica.
La volontà forte si caratterizza, per il filosofo, come la capa­
cità di ordinare il caos e la contraddizione senza semplificare la
molteplicità, tagliando via in nome di un’istanza dominante e
tirannica. La volontà esprime - come forza di coordinazione -
10 stato di salute e di energia di un corpo. Una civiltà si caratte­
rizza per la grandezza ed anche la ‘terribilità’ delle passioni che
può permettersi senza andare in rovina, per la sua capacità di
‘usarle’ (9[138] autunno 1887): «il dominio sulle passioni, non
11 loro indebolimento o sradicamento! Quanto maggiore è la
forza dominatrice della volontà, tanto maggiore è la libertà che
si può concedere alle passioni» (9[139] autunno 1887).
Il caos appartiene all’ambiguità del mondo moderno: «gli
istinti corrono ormai a ritroso in tutte le direzioni e noi stessi
siamo una specie di ‘caos’» (JGB 224); l’uomo europeo è ‘ibri­
do’, la storia è il suo guardaroba (JGB 223). Tale caos può por­
tare rapidamente se non alla disgregazione della fine, ad una
forma rigida e semplificata, oppure essere la premessa per una
forma nuova e più ricca. La forza del «tiranneggiare» semplifi­
ca. L’azione del fanatismo morale, per ordinare, taglia via vio­
lentemente tutto ciò che non può essere ridotto in schemi pre­
determinati. La prova di forza e di salute sta nel dire sì alla to­
talità e nella capacità di ordinare il caos accogliendo la pluralità
mobile e contraddittoria in una forma superiore e tollerante ar­
rivando così a\Y«uomo più vasto possibile, ma non perciò
caotico»-, «i contrasti sono domati, ciò che è il più alto segno
della potenza, rispetto alla contraddizione, e fra l’altro senza
tensione» (7 [3] 1886-1887).
Questa la prova di forza: il decadente Socrate di fronte alla
forza tirannica e anarchica dei suoi istinti, che si riflettono nella
sua fisionomia da Sileno, cerca la soluzione nella tirannia di una

1875, «Forza enorme del superamento di sé, ad esempio nel cittadino, in Socrate, che
era capace di ogni malvagità».
118 Nietzsche. La m orale dell’eroe

ragione esterna ed ostile agli istinti, che taglia via senza ordina­
re: la «superfetazione della logica» non è un primum, non è
l’istinto che dissuade con la voce del demone, ma è la conquista
di uno strumento che appare necessario agli occhi del decaden­
te («o andare in rovina o ... essere assurdamente razionali») che
riconosce la stessa forma di decadenza nel mondo che lo cir­
conda. «C ’era ovunque l’anarchia degli istinti: ovunque si era a
pochi passi dall’eccesso, il monstrum in animo era il pericolo
generale». « “Gli istinti vogliono tiranneggiare, occorre inventa­
re un tiranno opposto che sia più forte”. Quando quel fisiono­
mista ebbe rivelato a Socrate chi egli fosse, un covo cioè d’ogni
malvagia brama, il grande ironista disse ancora qualcosa che ci
dà la chiave per comprenderlo. “Questo è vero - furon le sue
parole - ma io sono diventato signore di tutti”» (GD, Il proble­
ma Socrate 9). «L a più cruda luce diurna, la razionalità ad ogni
costo - scrive ancora nel Crepuscolo degli idoli - la vita chiara,
fredda, prudente, cosciente, senza istinto, in contrasto con gli
istinti, era essa stessa soltanto una malattia, una malattia diversa
- e in nessun modo un ritorno alla “virtù”, alla “salute”, alla fe­
licità... Dover combattere gli istinti - questa è la formula della
décadence-, fintantoché la vita è ascendente, felicità e istinto sono
eguali» (GD, Il problema Socrate 11).
Di fronte alla morale greca capace di mantenere - nella sua
espressione corporea - la ricchezza e multiforme vitalità (pro­
pria anche dell’uomo del Rinascimento), Socrate si presenta,
con la sua enkrateia, come espressione di una fanatica unilate­
ralità: «l’antico ideale è fatto a pezzi» (7[441 1883). Il tratto or­
dinatore autoritario ed esterno, che tenta di imporsi ad una
molteplicità in movimento e in lotta, è proprio dei «monstra
morali»: «Una tale preponderanza di un elemento sugli altri
(come nel monstrum morale) si contrappone appunto ostilmen­
te alla potenza classica dell’equilibrio» (9[166] autunno 1887).
Ancora una volta possiamo richiamare - per contrasto - la
figura di Montaigne come colui che, nell’ordinare il caos, è più
radicale e consapevole: il suo ordine e la sua ‘verità’ fanno a
meno delle certezze che garantiscono e rassicurano. Gli Essais
Socrate monstrum: eroismo e decadenza 119

presentano anche un distacco del filosofo francese da Socrate:


«Non ho corretto, come Socrate, con la forza del ragionamen­
to, le mie tendenze naturali, e non ho in alcun modo turbato
con l’artificio la mia inclinazione. Mi lascio andare, non com­
batto nulla...»78.
E l’ultimo Nietzsche sembra far eco, caratterizzando la pro­
pria persona con tratti fortemente antieroici e antifanatici:
«Non riesco a ricordarmi di essermi mai sforzato - nella mia vi­
ta non si rintracciano segni di lotta, io sono l’opposto di una
natura eroica», «non vorrei assolutamente presentarmi all’uma­
nità come profeta, mostro, spauracchio morale» (EH, Perché
sono così accorto 9).
La serenità di Montaigne esprime la volontà di un secolo for­
te e ordinatore: già in Schopenhauer come educatore, Nietzsche
vedeva nel francese una «reale serenità rasserenante. Aliis lae-
tus, sibi sapiens»79. Montaigne esprime la serenità del coraggio
e del vigore: «il dio vincitore accanto ai mostri che ha combat­
tuto» (SE 2, pp. 371-372). E Nietzsche allude qui, esplicita­
mente, alla vittoria sui mostri che Montaigne si è portato die­
tro, che lo hanno assediato nella sua solitudine80.
Un Montaigne, con Nietzsche, lontano da un’eroismo che
presuppone certezze e fanatismo81 - sia pure quelle di una ra-

78 Montaigne, Saggi, cit., p. 1416.


79 Nietzsche si serve qui di un passo di Emerson per caratterizzare la «reale sere­
nità rasserenante» di Montaigne «spirito liberissimo e vigoroso»: «Aliis laetus, sibi sa­
piens»'. «Il più grande privilegio della salute è uno stato d ’animo gaio [frohe Stimmung]
che, nelle opere del talento, è più importante del talento stesso. Per le pesche nulla può
compensare la mancanza di sole, e per sfruttare la conoscenza si deve possedere sere­
nità [Heiterkeit] della saggezza [...]. La gioia dello spirito indica la sua forza [Die gei­
stige Freude bezeichnet die Geisteskraft], Tutte le cose sane sono gaie [fröhlich]. Il genio
crea con gioia e la divinità gli sorride di rimando [...]. È un’antica regola per la condot­
ta intellettuale: Aliis laetus, sapiens sibi, che rende il proverbio inglese: “Sii lieto e sag­
gio”» (cfr. Ralph Waldo Emerson, Die Führung des Lebens. Gedanken und Studien.
Ins Deutsche übertragen von E.S. von Mühlberg [E. Sartorius]. 2. Aufl., Steinacker
Leipzig, 1862 (BN), IX, 179).
80 Montaigne, Saggi, cit., pp. 39-40.
81 Nietzsche trascrive da Paul Foucher, tra gli altri, anche un significativo passo
che riguarda Montaigne: « “Ci si stupisce delle molte esitazioni e dei tentennamenti nel-
120 Nietzsche. L a m orale dell’eroe

gione tiranna - che è disponibilità della vittima a lasciarsi usare


per fini che la trascendono, che non sono i suoi. L’eroismo si
contrappone alla forza dei grandi spiriti, capaci di ‘scetticismo’
e di una grande passione che subordina ai suoi fini anche le
‘convinzioni’, senza esserne subordinati. E il caso estremo del
Socrate eroe e martire, sublime e istrione, commediante dell’i­
deale: seduttore non alla vita ma alla morte.

le argomentazioni di Montaigne. Ma, messo all’indice dal Vaticano, da gran pezza so­
spettato da tutti i partiti, egli impone forse volontariamente alla sua pericolosa tolleran­
za, alla sua calunniata imparzialità, la sordina di una specie di interrogativo. Ciò era già
molto ai suoi tempi: umanità che dubita...”» (11 [63] novembrel887 - marzo 1888).
Cfr. Paul Foucher, Les coulisses du passé, E. Dentu, Paris 1873, p. 203: «C ’est lui [Mon­
taigne] qui aurait eu le droit de dire au démon de la guerre : Tu égorges, tu brûles, tu
pilles, tu violes, tu peux illustrer, mais qu’est-ce que tri prouves? On s’est étonné des
tâtonnements de l ’argumentation de Montaigne, mais son incertitude n’a été peut-être
que de la prudence. Mis à l’index au Vatican, facilement suspect à tous les partis, il
mettait peut-être volontairement à sa tolérance dangereuse, à son impartialité calom­
niée, la sourdine d ’un point d ’interrogation. C ’était déjà beaucoup, dans son temps,
que de l’humanité dubitative. Censuré à Rome pour son éloge de Julien l’Apostat, et
condamné à des corrections, - qu’il ne fit pas - qui sait? avec un chapitre plus affirma­
tif, il eût été brûlé. Or, martyr, ce n’était point la destinée de Montaigne. C ’est la foi,
non le raisonnement, qui fait les martyrs» (Il capitolo è dedicato a «Les pyrrhoniens an­
tiques & modernes - Horace-M ontaigne»).
Le ombre di Dio

1. Nuove battaglie
L’espressione “ombra di Dio” in Nietzsche è legata a due im­
portanti aforismi: l’aforisma 108 “Neue Kämpfe” (Nuove batta­
glie) e 109 “Hüten wir uns!” (Stiamo all’erta!) che si trovano al­
l’inizio del terzo libro della Gaia scienza. Se l’espressione “om­
bra di Dio”, così pregnante, è presente solo in questi aforismi
(e nel frammento preparatorio 14[14] dell’autunno 1881) la te­
matica è invece diffusa e ha un ruolo importante nelle riflessio­
ni del filosofo. La stessa celebre parabola de Guomo folle (FW
125) che irrompe sul mercato ed annuncia, non inteso e irriso,
la morte di Dio, nel manoscritto M III 5 ha una conclusione
che rimanda direttamente al significato connesso all ’ombra e al­
le ombre di Dio: «Se noi continuiamo a vivere e a bere la luce,
apparentemente come sempre abbiamo vissuto; non è come per
il rilucere e lo scintillare di astri che si sono estinti? Ancora non
vediamo la nostra morte, la nostra cenere; e questo ci inganna e
siamo indotti a credere di essere noi stessi luce e vita - ma non
è che la vecchia vita nella luce di un tempo, l’umanità passata e
il Dio passato, i cui raggi e bagliori ci raggiungono ancora - an­
che la luce vuol tempo, anche la morte e la cenere vogliono
tempo! E infine, noi che ancora viviamo e riluciamo, che cosa
ne è della nostra forza luminosa? a paragone con quella delle
generazioni passate? E essa qualcosa di più della luce grigio-ce­
nere che la luna riceve dalla terra illuminata?» (14 [25] autunno
1881). Dagli astri estinti ancora proviene la luce che ci permet­
te di vivere «apparentemente come sempre abbiamo vissuto» -
122 Nietzsche. La morale dell’eroe

non riluciamo di luce propria, solo di luce riflessa, impoverita,


cinerea come quella che la luna riceve dalla terra.
N ell’aforism a 108 Nuove battaglie si legge: «D o p o che
Buddha fu morto, si continuò per secoli ad additare la sua om­
bra in una caverna - un’immensa orribile ombra. Dio è morto:
ma stando alla natura degli uomini, ci saranno forse ancora per
millenni caverne nelle quali si additerà la sua ombra. - E noi -
noi dobbiamo vincere anche la sua ombra!». Nietzsche si riferi­
sce qui al culto superstizioso delle reliquie del Buddha di cui
parla, in breve, anche l’ampia, classica, monografia di Koeppen
conosciuta dal filosofo fin dall’autunno del 1870: accanto alle
ossa e ai denti e ad altre reliquie oggetto di culto, egli «ha la­
sciato per la salvezza anche la sua ombra che appare ai creden­
ti. Essa si mostra in più caverne o grotte». Koeppen fa riferi­
mento anche alla narrazione del pellegrinaggio buddista dal
629 al 645 del cinese Hiouen-Thsang (tradotta e pubblicata in
francese da Stanislas Julien nel 1853) che trova un punto culmi­
nante nella commossa descrizione della visita alla caverna dove
i discepoli di Cakia-Mouni credono che il loro maestro abbia
lasciato la sua ombra. Solo dopo ferventi preghiere Hiouen-Th­
sang «vede la grotta inondata di luce, e l’ombra di Buddha,
d ’un biancore accecante, si disegna maestosamente sul muro,
come quando le nubi si aprono e lasciano percepire tutt’a un
tratto l’immagine meravigliosa della montagna d’oro». Questo
episodio leggendario, nella versione curata da Stanislas Julien,
si trova ripreso anche nei saggi che Renan dedica al buddismo:
la singolare allucinazione, il credere alla macchina dell’illusio­
ne, rivela per Renan l’ingenuità e la buona fede del pellegrino1.

1 Cfr. C.F. Koeppen, Die Religion des Buddhas, Schneider, Berlin 1857, Bd. I, pp.
523-524. Il volume ebbe un’ampia recensione di H. Taine, probabilmente conosciuta
da Nietzsche, in cui non vi è riferimento all’ombra di Buddha (H. Taine, Le Bouddhis-
me, in Nouveaux Essais de critique et d’histoire, Hachette, Paris 1866, pp. 317-383). Cfr.
anche E. Renan, Le Bouddhisme, in Nouvelles Etudes d’histoire religieuse, Paris 1884,
pp. 115-117. Entrambi fanno riferimento a Histoire de la vie de Hiouen-Thsang et de ses
voyages dans l'inde : depuis l’an 629jusqu’en 645, par Hoei'-li et Yen-thsong; ediz. a cu­
ra di Stanislas Julien, Impr. imperiale, Paris 1853, p. 81: «Après avoir pénétré dans le
Le ombre di Dio 123

Nietzsche più volte è ricorso all’immagine dell’ombra (delle


ombre) dell’eroe della storia o del pensiero che agisce con forza
sul presente: questo a partire da Socrate la cui azione (al di là
dei contorni reali della figura) domina la modernità. La sua in­
fluenza «si è estesa sulla posterità fino a questo momento, simi­
le ad un’ombra che diventa sempre più grande nel sole della se­
ra» (8[19] inverno 1870-71-autunno 1872). Nella vita quotidia­
na l’individuo incorpora in modo inconscio la tradizione che lo
determina: «Alle spalle del presente comincerebbe immediata­
mente l’oscurità: in essa si aggirano, come ombre, grandi e in­
certe figure, che si estendono gigantesche e agiscono su di noi,
ma come possono agire gli eroi, non già come agisce la comune
e luminosa realtà giornaliera. Ogni tradizione sarebbe quella
quasi inconscia dei caratteri ereditati: gli uomini viventi, nelle
loro azioni, sarebbero prove di ciò che in fondo viene traman­
dato attraverso di essi» (29[172] 1873).
Nella stesura preparatoria l’aforisma sull’ombra di Buddha
terminava con la messa in guardia: «Insomma, guardatevi dal­
l’ombra di Dio. - È detta anche “metafisica”» 2. L’espressione
hütet euch collega direttamente questo aforisma a quello suc­
cessivo: Hüten wir uns che termina: «Ma quando la finiremo di

caverne où vécut le grand initiateur, animé d ’une foi profonde, Hiouen-Thsang s’accu­
sa de ses péchés avec un cceur plein de sincérité; il récita dévotement ses prières en se
prosternant après chaque Strophe. Lorsqu’il eut ainsi fait cent salutations, il vit paraìtre
une lueur sur le mur orientai. Pénétré de joie et de douleur, il recommenja ses saluta­
tions, et de nouveau il vit une lumière de la largeur d ’un bassin qui brilla et s’évanouit
cornine un éclair. Alors, dans un transport de joie et d’amour, il jura de ne pas quitter
cet endroit avant d’avoir vu l’ombre auguste de Bouddha. Il continua ses hommages,
et, après deux cents salutations, soudain toute la grotte fut inondée de lumière et le
Bouddha apparut, d’une blancheur édatante, se dessinant majestueusement sur le mur.
Un éclat éblouissant éclairait les contours de sa face divine. Hiouen-Thsang contempla
longtemps, ravi en extase, l’objet sublime et incomparable de son admiration. Il se
prosterna avec respect, célébra les louanges du Bouddha, et répandit des fleurs et des
parfums, après quoi la lumière céleste s’éteignit. Le brahmane qui l’avait accompagni
fut aussi ravi qu’émerveillé de ce miracle. “Maitre, lui dit-il, sans la sincérité de votre
foi et l’énergie de vos voeux, vous n’auriez pu voir un tei prodige”».
2 Cfr. Vs. N V 7, 16: «Kurz, hütet euch vor dem Schatten Gottes. - Man nennt
ihn auch Metaphysik», Kommentar, KSA 14, p. 253; FW, Note, Opere V, II, p . 640.
124 Nietzsche. L a morale dell’eroe

star circospetti e in guardia! Quando sarà che tutte queste om­


bre di Dio non ci offuscheranno più? Quando avremo del tutto
sdivinizzato la natura! Quando potremo iniziare a naturalizzare
noi uomini, insieme alla pura natura, nuovamente ritrovata,
nuovamente redenta!». Nel primo aforisma l’ombra, al singola­
re, si identifica tout court con «la metafisica» (FW 109). Nietz­
sche, contro Schopenhauer e la diffusa concezione filosofica,
nega che all’origine della religione stia «un bisogno metafisico»:
esso viene dopo, assai dopo, come un «tardivo germoglio».
«Sotto il dominio di pensieri religiosi, ci si è abituati alla rap­
presentazione di un “altro mondo (retro-, sotto- e sovrastante)”
e nell’annientamento dell’illusione religiosa si avverte un senso
spiacevole di vuoto e di privazione - è da quest’ultimo senti­
mento che rigermoglia così un “altro mondo”, ora non più reli­
gioso, ma soltanto metafisico» (FW 151). All’origine sta la plu­
ralità della vita e delle forze che caratterizza «la creazione di
Dèi, eroi e superuomini di ogni specie» (FW 143).
«Nella loro mitologia, i Greci hanno risolto l’intera natura in
personaggi greci. Essi hanno considerato la natura, per così di­
re, unicamente come una mascherata e un travestimento di uo­
mini-dèi» (19[115] estate 1872-inizio 1873). «D a Talete a So­
crate - nient’altro che trasposizioni dell’uomo nella natura -
straordinario gioco d’ombre dell’uomo proiettato sulla natura,
come sulle montagne!» (19[134] estate 1872-inizio 1873).
La forza attiva che significa la pluralità della vita che crea gli
dèi viene progressivamente assorbita ed annullata dall’astrazione
del monoteismo, dal Dio cristiano, e dalla spiritualizzazione del
Dio. Gli antichi dèi finirono «essi non trovarono la morte nel
“crepuscolo”. .. essi risero una volta da morire, fino a uccidere se
stessi! Questo accadde, quando la più empia delle frasi fu pro­
nunciata da un dio stesso, - questa: “Vi è un solo dio! Non avrai
altro dio accanto a me”» (Za III, Degli apostati). Già nel 1870-71
(frammento 5[31]), dopo la lettura di Koeppen, Nietzsche pone­
va il contrasto tra la vitalità della mitologia greca e «la fede in un
solo spirito»: «Divinità sotto forma di re, di padre, di sacerdote -
La mitologia greca ha divinizzato tutte le forme di un’umanità
Le ombre di Dio 125

significativa. La fede in un solo spirito è una fantasia: sorgono su­


bito sostituti antropomorfici, anzi politeistici. L’impulso ad ado­
rare, come sentimento di piacere per l’esistenza, si crea un ogget­
to. Quando manca questo sentimento - sorge il buddhismo».
La «cosa in sé» della metafisica è un ulteriore depotenzia­
mento del Dio unico: viene dopo, non è il primum come af­
fermavano Mainländer e Hartmann (il Dio-Uno originario,
Ur-Ein, cosa in sé). Per Philip Mainländer (Die Philosophie der
Erlösung, 1876) «questa Unità semplice è stata, essa non è più.
Mutando, la sua essenza si è dispersa del tutto nel mondo della
pluralità. Dio è morto e la sua morte fu la vita del mondo (Gott
ist gestorben und sein Tod war das Leben der Welt)»3. Una posi­
zione antitetica a quella di Nietzsche che riprende l’annuncio
della morte di Pan - ripresa da Plutarco e narrata da Heine in
Ludwig Börne - a simbolizzare la fine del mondo antico, la re­
pressione della vitalità naturale: gli dèi muoiono per «l’intimo
raccapriccio» del sangue redentore, sgorgato dal G olgota4.
Heine torna più volte su questo tema (di fronte alla sfida del
Cristo sofferente gli dèi «tacquero, impallidirono, impallidiro­
no sempre più e alla fine dileguarono in nebbia»5) che sta al
centro dello scritto Gli Dèi in esilio. Già in Heine, come in Za­
rathustra, le chiese si presentano come mausolei o tombe degli
dèi pagani. Questo rafforza il contrasto — in più modi dram­
matizzato, riecheggiato anche nel capitolo Dell’uomo superiore,
tra Himmelreich ed Erden-Reich6: la contrapposizione tra gli
dèi che significano pluralità di valori terrestri, vitali e il Dio del­

3 Ph. Mainländer, Die Philosophie der Erlösung, Berlin 18792, p. 108. Su questo
cfr. G. Campioni, Der französische Nietzsche, de Gruyter, Berlin-New York 2009, p. 250
e sgg.
4 Heinrich Heine's Sämmtliche Werke, Hoffmann und Campe, Hamburg 1867,
voi. XII, p. 73 sg. Cfr. G T 11, e ST 1; 5 [116]; 7[8], 7 [15] 1870-71.
5 H. Heine, Die Stadt Lucca, in Heinrich Heine’s Sämmtliche Werke, cit., voi. II,
p. 74.
6 Cfr. H. Heine, Deutschland, ein Wintermärchen, Kap. I: «Ein neues Lied, ein
besseres Lied,/ O Freunde, will ich euch dichten!/ Wir wollen hier auf Erden schon/
Das Himmelreich errichten» e F. Nietzsche, ZA IV, La festa dell’asino 2; cfr. anche FP
32[11] 1884-1885.
126 Nietzsche. La morale dell’eroe

la rinuncia che muore in un processo di crescente spiritualizza­


zione e di astrazione dalla vita7. Nel racconto dell’ultimo papa
la progressiva perdita di forza porta Dio alla morte, viene a
mancare ogni rapporto con la potenza della vita che è all’origi­
ne della creazione degli dèi. Il Dio che muore è anch’esso già
quasi ombra e la metafisica l’ombra di un’ombra.

2. Nous oublions le dieu pour adorer ses traces!


Fin dagli anni di Lipsia Nietzsche combatte i pericoli della
teleologia e vede in Democrito lo «spirito più libero» che «rag­
giunge, primo fra i Greci, il carattere scientifico, che consiste nel
tentativo di spiegare in modo unitario una quantità di fenomeni
senza chiamare in aiuto, nei momenti difficili, un deus ex ma­
china» e che vuole liberare gli uomini dal timore degli dèi, dalla
«fosca mitologia» che aveva caratterizzato il suo grande prede­
cessore Empedocle. «Egli ha proprio un’incondizionata fiducia
nella forza deduttiva della ratio·, ritiene che il mondo e gli uo­
mini siano per lui senza veli e rifiuta perciò gli involucri e i con­
fini che altri impongono a quella ratio» 8. Democrito è il più
conseguente contro le ombre del mito che oscurano la vita:

7 Questo è espresso con particolare forza drammatica anche in Per la storia della
religione e della filosofia in Germania. L’azione di Kant nei confronti del Dio tradizio­
nale è analoga, per efficacia, a quella della rivoluzione francese: «il vecchio Geova in
persona si prepara a morire». Lo sguardo storico lo segue fin dall’infanzia nelle sue
metamorfosi: in Egitto «cresciuto fra divini vitelli, coccodrilli, sacre cipolle, ibis e gat­
ti», divenuto in Palestina presso un popolino di pastori, «un piccolo Dio-re» che abi­
tava in un proprio tempio, fino a che, adulto, emigrato a Roma «rinunciò ad ogni pre­
giudizio nazionale e proclamò la celeste uguaglianza di tutti i popoli». Questo evento
decisivo comporta l’inizio di una irreversibile decadenza: « l’abbiamo visto spiritualiz­
zarsi ulteriormente, piagnucolare teneramente, divenire un padre affettuoso, un uni­
versale filantropo, un benefattore del mondo - tutto questo non gli servì a nulla. U di­
te il suono della campanella? Inginocchiatevi... portano i sacramenti a un dio moren­
te» (H. Heine, Zur Geschichte der Religion und Philosophie in Deutschland in Heinri­
ch Heine’s Sämmtliche Werke, cit., voi. V, pp. 177-178, trad it. La Germania, cit.,
pp. 263-264).
8 NA 57 [48] Herbst 1867 bis Frühjahr 1868, Opere, I, π, pp. 215-216,
Le ombre di Dio 127

«V oleva sentirsi nel m ondo com e in una stanza piena di lu ce»9.


Nella lotta contro le «ombre di Dio», intrapresa nuovamente
con la filosofia dello spirito libero, si deve leggere anche il sen­
so di una radicale autocritica nei confronti della metafisica del­
l’arte della Nascita della tragedia, espressione di «oscuramento
romantico» all’ombra di Schopenhauer e di Wagner: «Un tem­
po pensavo che la nostra esistenza fosse l’artistico sogno di un
Dio, che tutti i nostri pensieri e sentimenti fossero in fondo le
sue invenzioni nel poetare il suo dramma... la regolarità della
natura era per me comprensibile come regolarità delle sue rap­
presentazioni» (11 [285] 1881). Nietzsche riprende nello Za­
rathustra il motivo autocritico: «Un tempo anche Zarathustra
gettò la sua illusione [WahnX al di là dell’uomo come tutti colo­
ro che abitano un mondo dietro il mondo [Hinterweltler]. E al­
lora il mondo mi sembrò l’opera di un dio sofferente e tortura­
to». Un mondo certo lontano dalla perfezione, «eternamente
imperfetto, immagine riflessa di un’eterna contraddizione»,
«imperfetta immagine» di un dio «spettro» che ora è possibile
riconoscere come «frammento misero di uomo e di io» (ZA I,
Di coloro che abitano un mondo dietro il mondo). Nel Nietzsche
della Nascita della tragedia il mondo appariva ombra imperfet­
ta, fantasma di un dio artista e sofferente: ma lo scritto restava
una superiore cosmodicea. L’abbandono della metafisica dell’ar­
te, nel 1879, dopo la pubblicazione di Umano, troppo umano,
appare ai wagneriani espressione di un «nihilisme écceurante»
(accusa formulata per primo dal musicologo alsaziano Schuré).
Mathilde Maier in una lettera del luglio 1878 sosteneva con en­
fasi appassionata l’accusa di un atteggiamento nichilistico che
distrugge la venerazione e l’illusione {Wahn) necessaria alla vi­
ta: «Abbiamo costruito con fatica e sforzo una religione senza
Dio, per salvare almeno il divino - anche se Dio è perduto, e
ora Lei ci sottrae il fondamento che, per quanto aereo e nebu­
loso, è però forte a sufficienza per sorreggere il mondo ... ora
Lei distrugge tutto! Tutto fluttuante, non più salde immagini,

9 N A 58[17] Herbst 1867 bis Frühjahr 1868; Opere, 1 ,11, p. 245.


128 Nietzsche. La morale dell’eroe

soltanto eterno movimento!». Quello che non gli si perdonava


era l’abbandono delle posizioni che aveva espresso nel periodo
wagneriano: la necessità dell’illusione metafisica e il richiamo
alle forze antistoriche e sovrastoriche contro la posizione nichi­
listica del discepolo di Eraclito, incapace di agire, una volta
condannato a vedere dappertutto un divenire, un flusso di for­
ze. Emancipatosi dalla tirannia della metafisica dell’arte wagne­
riana (una «religione senza Dio, per salvare il divino»), Nietz­
sche si sente ora volto verso nuovi e aperti orizzonti, e per la
prima volta, nell’autunno del 1881, fa suo il termine nichilismo:
«In che misura ogni orizzonte intellettuale più limpido appare
come nichilismo» (12[57]).
La natura dell’Uno originario ( Ur-Ein), con le sue laceranti
contraddizioni, teneva lontano la giovanile metafisica dell’arte
sia dalla tradizione biblica che islamica in cui la figura dell’om­
bra di Dio comporta una forte rassicurazione per l’uomo in
quanto espressione della protezione del Dio che accoglie gli
eletti nella sua ombra. «L a gloria del Signore sarà una protezio­
ne ed una tenda, un’ombra contro il calore durante il giorno,
un rifugio ed un riparo contro la bufera e la pioggia» (Isaia IV
6). Betsaleel, il nome dell’artigiano costruttore dell’arca santa,
significa «nell’ombra di Dio», evoca «Γunzione»: a lui è dato di
concepire e realizzare l’opera di Dio. Nella tradizione islamica
e nel pensiero politico sunnita il Sultano, il Califfo sono come
l’ombra di Dio e del Profeta sulla terra10.
Se la caverna di Buddha dell’aforisma 108 della Gaia scienza
rammemora il mito platonico delle ombre nel processo della
conoscenza, certamente l’espressione «ombra di D io» è fatta
propria dal neoplatonismo e dallo spiritualismo improntato a
Platone. A partire da Filone d’Alessandria per cui l’ombra di

10 Per la diffusione del tema si veda ad es. la poesia di Friedrich Rückert, Fürst
und Volk: « Kutheir Ben Murra hat berichtet;/ So sprach Muhammed: wer da herrscht
und richtet, /Ein Fürst des Volks, ein Hirt der Herde,/ Ist Schatten Gottes auf der E r­
de,/ Der Schutz und Schirm Verfolgten beut,/ Ermüdeten die Kraft erneut,/ Und Se­
gen und Erquickung streut» (Friedrich Rückert’s gesammelte poetische Werke in zwölf
Bänden, J.D . Sauerländer, Frankfurt a.M. 1868, Bd. 6, p. 72).
Le ombre di Dio 129

Dio è il suo Logos, di cui egli si è servito come strumento per la


creazione del mondo (Legum Allegoriae, III 96) l’immagine ri­
torna nel neoplatonismo umanistico e rinascimentale: non è un
caso se Marsilio Ficino traducendo il De Monarchia di Dante
rende «dici potesti cum totum universum nihil aliud sit, quam
vestigium quoddam divinae honitatis» con «Niente di meno si
può dire tutte le creature esser fatte a divina similitudine, per­
chè l’universo non è altro che un’ombra di D io»11. Anche l’i­
dealismo romantico di Emerson - che segna visibile la differen­
za del filosofo americano da Nietzsche - ricorre a questa
espressione: «Tutte le cose sono le ombre di D io»12, cioè rifles­
so della superanima (Oversoul, Die höhere Seele). Emerson mo­
stra la convinzione che la natura segua un disegno e che questo,
sebbene rimanga imperscrutabile all’uomo, sia disposto per il
suo bene. La natura diviene così depositaria della divinità e del­
le sue prerogative provvidenziali. Alla fine «il bene resta, il ma­
le scompare» - così il giovane Nietzsche13 riassumeva un tema
che più volte torna in Emerson.
Lux umbra Dei: «la luce è l’ombra di Dio», era l’iscrizione
che si poteva leggere sui quadranti solari medioevali. Joseph
Joubert, platonico, riprende questo in una delle sue massime
[titre XIII, XII]: «L a luce è l’ombra di Dio; il chiarore [clarté],
l’ombra della luce». Joubert pur accomunato a Nietzsche dal­
l’ambizione «di dire in dieci proposizioni quello che ogni altro
dice in un libro - quel che ogni altro non dice in un libro» (GD
Scorribande ... 51). («S’il est un homme tourmenté par la mau­
dite ambition de mettre tout un livre dans une page, toute une
page dans une phrase, et cette phrase dans un mot, c’est moi»:

11 Dante Alighieri, De Monarchia, in Prose, Pubblicato da L. Ciardetti, 1841,


p. 537. Cfr. anche M. Ficino, De Amore, VI orazione: «N ei corpi ameremo l’ombra di
Dio, negli animi la similitudine di Dio, negli angeli la immagine di Dio».
12 Cfr. R. W. Emerson, Versuche (Essays). Aus dem Englischen von G. Fabricius,
C. Meyer, Hannover 1858 (BN), p. 227: «Wir lernen, daß Gott ist; daß er in mir ist;
und daß alle Dinge Schatten von ihm sind». Si tratta del saggio Kreise su cui Nietzsche,
fin dagli anni giovanili, più volte è ritornato con la lettura.
13 NA 15[17l Aprii 1863 bis Septemberl863; Opere, I, I, p. 298.
130 Nietzsche. La morale dell'eroe

Joubert), è comunque lontano dalla sensibilità del filosofo tede­


sco. La forma breve è sentita dal francese come espressione di­
scontinua e slegata ma pur sempre riflesso di una verità supe­
riore a cui si aspira. Appare significativo l’uso critico che Nietz­
sche fa dei fratelli Goncourt che affermano che a Joubert
«manca la determinatezza francese. Ciò non è né chiaro né
frane» (11[296] novembre 1887-marzo 1888). Joubert, che in
vita non ha pubblicato nulla, ha lavorato al suo Journal senza
arrivare alla forma cui aspirava. Muore nel 1824 ed una prima
raccolta di pensieri fu pubblicata postuma da Chateaubriand -
suo grande amico - nel 1838. Nietzsche aveva nella sua biblio­
teca l’edizione di Paul de Raynal in due volumi14. Nietzsche ap­
prezzava di Joubert la politesse - la signorilità - la finezza nei
giudizi: per il resto siamo agli antipodi. Egli vede che «il secolo
è tormentato dalla più terribile “malattia dello spirito”, il disgu­
sto delle religioni. Non è la libertà religiosa che pretende, ma la
verità irreligiosa» (p. 215). Un secolo riempito di un orgoglio
gigantesco, come i giganti, nemico degli dèi (p. 249). «L a reli­
gione è la poesia del cuore» (p. 21); «Il dio della metafisica non
è che una idea; ma il Dio delle religioni, il creatore del cielo e
della terra, il giudice sovrano delle azioni e dei pensieri, è una
forza» (p. 12). In Joubert troviamo la difesa tradizionalista di
Dio dalle ombre di Dio - dalle traduzioni metafisiche della reli­
gione che avanzano impetuosamente in quegli anni. Tema for­
temente presente in Lamartine: «N ous oublions le dieu pour
adorer ses traces!» - scrive (nel poema La mort de Socrate)15.
Nel suo Voyage en Orient Lamartine afferma che, di fronte allo
spettacolo della natura ed alla sua forza che atterrisce, l’uomo
un tempo avrebbe pregato. «Depuis la révolution de juillet, on
n’en fait plus. La prióre est morte sur les lèvres de ce vieux libé-
ralisme du XVIIIe siècle, qui n’avait lui-mème rien de vivant

14 L’edizione dei Pensées di J. Joseph curata da P. de Raynal appare nel 1842 (Pa­
ris, Gosselin, 2 voli.). L a casa editrice Didier (Paris) ripubblica la medesima raccolta
dei Pensées di Joubert condotta da P. de Raynal nel 1861, in 2 volumi. Nella biblioteca
di Nietzsche è conservata la sesta ristampa (1874).
15 A. de Lamartine, CEuvres complètes, voi. Il, chez l’auteur, Paris 1860, p. 22.
Le ombre di Dio 131

que sa haine froide contre les choses de Fame. Ce soufflé sacré


de Thomme, que les fils d’Adam s’étaient transmis jusqu’à nous
avec leurs joies ou leurs douleurs, il s’est éteint en France dans
nos jours de dispute et d’orgueil; nous avons mèlé Dieu dans
nos querelles. L’ombre de Dieu fait peur à certains hommes»16.
La posizione di Joubert (come quella dei romantici a cui si as­
simila per questi temi) è agli antipodi di quella di Nietzsche, che
potrebbe affermare, col suo discepolo colombiano: «L a nada es
la sombra de Dios» (Nicolas Gòmes Davila). Non a caso un im­
portante aforisma di Aurora si presenta come un commento ad
una citazione - non esplicitata - di Joubert17. «Le ultime riso­
nanze della cristianità nella morale. “ On n est bon que par la pi-
tié. Il fau t donc qu’ il y ait quelque p itié dans tous nos
sentiments”- così suona oggi la morale!» (M 132). Joubert trova
la pitié perfino nell’indignazione, nell’odio verso i malvagi, nel­
l’amore verso Dio («pietà verso di noi, come ve n’è sempre nella
riconoscenza»). Nietzsche scopre l’ombra più nascosta di Dio:
la morale del sentimento altruistico che unisce i «liberi pensato­
ri» del positivismo (il riferimento esplicito è a Comte e Mill) alla
debolezza cristiana propria dei romantici tradizionalisti. Lo
sciogliersi dai dogmi ha significato far retrocedere il primato
dell’«assoluta importanza dell’eterna salvezza personale» e spin­
gere in primo piano «la credenza collaterale nell’“am ore” ,
nell’“amore del prossimo”», «Quanto più ci si scioglieva dai

16 A. de Lamartine, Souvenirs, impressions, pensées et paysages pendant un voyage


en Orient, 1832-1833 ou, Notes d’un voyageur, Pagnerre, Hachette, Fum é, Paris 1856,
p. 28.
17 Cfr. J. Joubert, Pensées, essais, cit., t. II, p. 72: «O n n’ est bon que par la pitié. Il
faut donc qu’ il y ait quelque pitié dans tous nos sentiments, mème dans notre Indigna­
tion, dans nos haines pour les méchants. Mais faut-il qu’ il y en ait aussi dans notre
amour pour Dieu ? Oui, de la pitié pour nous, comme il y en a toujours dans la recon-
naissance. Ainsi tous nos sentiments sont empreints de quelque pitié pour nous ou
pour les autres. L’ amour que nous portent les anges n’est lui-mème qu’ une pitié conti-
nuelle, une étemelle compassion. Chacun est compatissant aux maux qu’ il craint. Si Γ
on n’ y prend garde, on est porté à condamner les malheureux. Il faut encore plus exer-
cet les hommes à plaindre le malheur qu’ à le souffrir. N ’ayez pas P esprit plus difficile
que le goüt, et le jugement plus sévère que la conscience».
132 Nietzsche. La morale dell’eroe

dogmi, tanto più si cercava quasi la giustificazione di questo af­


francamento in un culto dell’amore umano: non restare indietro
su questo punto all’ideale cristiano, bensì, se possibile, sorpas­
sarlo, fu un segreto incentivo in tutti i liberi pensatori francesi,
da Voltaire fino a Auguste Comte; e quest’ultimo, con la sua fa­
mosa formula morale, vivre pour autrui, ha in effetti ultracristia­
nizzato il cristianesimo [...]. Lo si confessi o no, si vuol niente­
meno che una radicale trasformazione, anzi un affievolimento e
una soppressione dell’individuo: non ci si stanca di annoverare e
di accusare tutto quel che di malvagio e di ostile, di prodigo, di
dispendioso, di sfarzoso c’è stato fino ad oggi nella forma dell’e­
sistenza individuale; si spera di realizzare un’economia più a
buon mercato, meno pericolosa, più regolare e unitaria, purché
esistano ancora grandi corpi con le loro membra. Viene avverti­
to come buono tutto quel che in qualche modo corrisponde a
questo istinto plasmatore di corpi e di membra, e ai suoi istinti
ausiliari: è questa la fondamentale corrente morale del nostro
tempo; in tutto ciò sensibilità simpatetica e sensibilità sociale
reagiscono l’una sull’altra in un reciproco giuoco».
E certamente - a partire dal pontefice Comte - nelle filosofie
del positivismo, nelle loro cosmologie e pretese scientifiche, si
trovano «le forme più celate del culto D E L L ’ID EA LE M O RALE CRI­
S T IA N O », si scopre nella natura quell’«umanità» morale-cristiana
e si arriva ad avere, come oggetto di culto, il concetto di «U o­
mo» «effemminato e vile» alla Comte (che si ispira alla lmitatio
Christi: «la religione del cuore»; GD, Scorribande di un inattuale
4) e Stuart Mill (10[170] 1887-88). Comte appare una continua­
zione del X V III secolo per il dominio del cuore sulla testa
(«Herrschaft von coeur über la tète»), che comporta una «esalta­
zione altruistica {altruistische Schwärmerei)» (9[178] 1887).

3. Stiamo all’erta!

Nietzsche pone un legame tra positivismo e romanticismo:


«quest’ultimo è un contraccolpo del romanticismo, opera di ro­
Le ombre di Dio 133

mantici delusi» (2 [131] 1885-86). Il frammento 14 [14], che


prepara l’aforisma 108 della Gaia scienza, chiarisce il senso di
questo movimento: «Dovunque è venerazione, ammirazione,
gioia, timore, speranza, presentimento, si cela il dio di cui ab­
biamo detto che è morto - egli si insinua ovunque per vie tra­
verse e vuole soltanto non essere riconosciuto e chiamato per
nome. In tal caso infatti scompare come l’ombra di Buddha nel­
la caverna - egli continua a vivere alla condizione nuova e sin­
golare che non si creda più in lui. Certamente, però, è diventato
uno spettro!». Il dominio del cuore («venerazione, ammirazio­
ne, gioia, timore, speranza, presentimento») sulla testa annulla
la probità scientifica: un dio che non vuole essere chiamato per
nome «continua a vivere alla condizione nuova e singolare che
non si creda più in lui». Un’ombra, uno spettro che mantiene in
vita i valori che il Dio della tradizione garantiva.
Affrontiamo brevemente il testo dell’aforisma 109: Stiamo al­
l’erta!. Qui Nietzsche mette in guardia dalle ombre di Dio (pre­
giudizi morali, antropomorfismi e teleologie) che caratterizzano
le cosmologie e le scienze della natura contemporanee e che al­
lontanano dalla probità scientifica pregiudicando la conoscen­
za. Si tratta di «redimere la natura dalla mascherata divina».
Come scrive in un appunto per Zarathustra: «vogliamo prende­
re da lei ciò di cui abbiamo bisogno per poter sognare al di là
dell’uomo» (13 [1] estate 1883).
L’espressione ombra di Dio (af. 108) compare al plurale, non
può essere riassunta con la parola «metafisica» (stesura prepa­
ratoria dell’aforisma) la pluralità di atteggiamenti che si aprono
alle molteplici nuove religioni senza Dio. Nel quaderno Μ III 1
(in cui Nietzsche espone e discute, per sé, la teoria dell’eterno
ritorno dell’identico) immediatamente dopo il primo abbozzo
dedicato al «nuovo peso» si trova la stesura preparatoria del­
l’aforisma 109:
Guardatevi dal dire (Hütet euch zu sagen) che il mondo è un essere
vivente. In che senso dovrebbe estendersi! Da dove dovrebbe nutrir­
si. Come potrebbe crescere e aumentare!
- Guardatevi dal dire (Hütet euch zu sagen) che morte sarebbe
134 Nietzsche. La morale dell’eroe

quel che si contrappone alla vita. Il vivente è soltanto una varietà di


ciò che è morto: e una varietà rara.
- Guardatevi dal dire che il mondo crei eternamente qualcosa di
nuovo.
- Guardatevi dal dire che esistano leggi nella natura. Non vi sono
che necessità: e allora non c e nessuno che comanda, nessuno che tra­
sgredisce.
- Se sapete che non ci sono scopi, sapete anche che non esiste il
caso: perché soltanto accanto ad un mondo di scopi la parola caso ha
ancora un senso.
- Guardatevi dal dire che esistano sostanze che durano in eterno,
anche se molto piccole: l’atomo è un errore quanto il dio degli Eleati
(KSA 14, p. 253).
Parlo come uno che ha avuto una rivelazione? Allora disprezzate­
mi e non datemi ascolto. - Siete ancora fatti in modo da aver bisogno
di dèi? La vostra ragione non è ancora giunta a provare ripugnanza
per un nutrimento così cattivo e a buon prezzo? (11 [142] 1881).

Paolo D ’Iorio, nel suo lavoro di tesi (un po’ di anni fa) diven­
tata poi un’ottima monografia18, analizzava, sulla scorta docu­
mentale dei volumi della biblioteca di Nietzsche e delle glosse, i
precisi riferimenti, i termini della discussione con le varie ipotesi
cosmologiche contemporanee. In particolare gli avvertimenti so­
no rivolti alla cosmologia di Otto Caspari (.Zusammenhang der
Dinge, 1881) che concepiva l’universo come un grande organi­
smo vivente ed attribuiva alle monadi viventi della concezione
organicistica la capacità di una continua creazione di nuove for­
me. Nietzsche ha presente e discute, oltre che Caspari, il proces­
so del mondo di Hartmann e Dühring (di cui riecheggia l’e­
spressione: «Guardiamoci (hüten wir uns) da tali superficiali
sconsideratezze») e il meccanicismo di Thomson quali espres­
sioni delle ombre, residui del vecchio Dio, nelle concezioni della
natura. Ma molteplici altre sono le ombre di Dio che caratteriz­
zano la modernità, che tengono ad oscurare l’orizzonte umano.

18 P. D ’Iorio, La linea e il circolo. Cosmologia e filosofia dell*eterno ritorno in


Nietzsche, Pantograf, Genova 1995.
Le ombre di Dio 135

4. Le molte ombre di Dio


Nel discorso di Zarathustra Vom höheren Menschen la morte
di Dio significa la potenziale liberazione e riscatto dell’uomo
superiore nella direzione del superuomo. «Questo Dio è mor­
to! Uomini superiori questo Dio era il vostro più grande peri­
colo. Da quando egli giace nella tomba, voi siete veramente ri­
sorti!» (ZA IV, Dell’uomo superiore 2).
L’annuncio dell’“uomo folle” (FW 125) irrompe drammati­
camente per svelare la genesi del disordine, del caos. Vi era un
alto e un basso, un centro ed una periferia, un sole, un orizzon­
te determinato, una gerarchia ed un senso dati: tutto ciò non è
più. L’avvenimento ha come sfondo la vicissitudine cosmica:
comporta l’oscuramento, lo sciogliersi della Terra dal vincolo di
gravità, il suo raffreddarsi progressivo «via da tutti i soli». La
conseguenza è il senso di una fine assoluta: l’allusione va alle
teorie cosmologiche che ponevano la morte termica dell’univer­
so come necessaria, per progressiva degradazione dell’energia.
Nietzsche vede e combatte in queste teorie il residuo di Dio
(nella teleologia negativa e nella postulazione di un inizio asso­
luto19) come esigenza della debolezza.
La morte di Dio e l’uomo superiore sono tra loro strettamen­
te legati (come l’eterno ritorno e il superuomo): l’uomo supe­
riore - la sua sofferenza, il suo infrangersi, il suo spezzarsi - è
un aspetto della grande crisi che ha la sua origine nella morte di
Dio e che trova varie risposte. L’uomo superiore non è la rispo­
sta adeguata: solo la sofferenza, il disagio, il «grande disprez­
zo», la non rassegnazione che accompagnano la sua vita, signifi­
cano già una resistenza se non un contromovimento verso l’au-
toaffermazione dell’epoca nella direzione dell’“ultimo uomo”.
La morte di Dio è «il più grande avvenimento», caratterizza

19 Cfr. 26[383] estate-autunno 1884: tra gli «effetti postumi del vecchio dio»
Nietzsche pone la diffusione crescente di cosmologie che postulano un inizio del mon­
do, che si ribellano all’idea di una «infinità all’indietro»: «Q ui si trovano d ’accordo
Mainländer, Hartmann, Diihring, ecc.».
136 Nietzsche. La morale dell’eroe

un “punto intermedio” estremamente pericoloso «in cui si può


giungere fino aH’“ultimo uomo”». Anche gli uomini del merca­
to, che aspirano all’“ultimo uomo” accontentandosi dell’Eden
borghese, che irridono all’annuncio dell’uomo folle, sono re­
sponsabili della morte di Dio: «Idabbiamo ucciso - voi ed io!
Siamo noi tutti i suoi assassini!» - grida loro l’uomo folle. «Dio
è morto: ma ancora gli uomini non si accorgono affatto di vive­
re esclusivamente di valori ereditati» (35 [74] 1885), per loro è
quindi possibile la salda rassicurazione nelle piccole virtù dei
piccoli egoismi che rafforzano il processo di Verkleinerung. Di
fronte a ciò l’uomo superiore non si rassegna, dispera, esprime
sofferenza e disagio: «in verità, io vi amo, uomini superiori,
perché oggi non sapete vivere! Così, infatti, voi, vivete - nel
modo migliore!» (ZA IV, Dell’uomo superiore 3).
Nel primo aforisma del libro quinto della Gaia scienza ,
Nietzsche ritorna - dopo lo Zarathustra e dopo aver effettuata
la diagnosi del nichilismo e della décadence - sulla morte di
Dio, il «più grande avvenimento recente» che «comincia a get­
tare le sue prime ombre sull’Europa». Per gli «ultimi uomini»
tale avvenimento è lontano da una benché minima possibilità di
comprensione, di esso a loro non è neppure arrivata notizia:
continuano a vivere come se nulla fosse accaduto. Per quei po­
chi invece «la cui diffidenza negli occhi è abbastanza forte e sot­
tile per questo spettacolo, pare che un qualche sole sia tramon­
tato». E la sensibilità dell’uomo superiore che ricava dalla se­
poltura della fede il senso del crollo, dell’inarrestabile oscura­
mento, della perdita irrimediabile: «una lunga, copiosa serie di
demolizioni, distruzioni, tramonti, capovolgimenti ci sta ora di­
nanzi», l’ombra precede la notte. Ma accanto all’atteggiamento
di chi (l’ultimo uomo di Zarathustra) sta al di qua dell’avveni­
mento e di chi ( l’uomo superiore) avverte drammaticamente
nell’avvenimento solo caos, sconvolgimento e approssimarsi
della fine definitiva, vi è l’atteggiamento dello «spirito libero»
per il quale le ombre non sono quelle del crepuscolo che prece­
de la notte ma quelle che si aprono al giorno, alla luce: «ci sen­
tiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora... final­
Le ombre di Dio 137

mente l’orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo


che non è sereno» (FW 343). Si tratta di sperimentare con peri­
colo nuove forme di vita, lontani dalla falsa sicurezza metafisica
dell’«eroe» di Carlyle che cammina con Dio ed esprime la divi­
nità del mondo, l’eroe che viveva all’ombra protettrice del Dio
- bontà e ordine progressivo del mondo. «Ci siamo fatti insen­
sibili, raggelati e induriti nel sapere che nel mondo le cose non
vanno in modo divino, anzi neppure razionale, pietoso o giusto
secondo l’umana misura: lo sappiamo, il mondo in cui viviamo
è sdivinizzato, immorale, “inumano” - troppo a lungo ce lo sia­
mo spiegato in maniera falsa e menzognera, ma secondo i desi­
deri e i voleri della nostra venerazione, vale a dire secondo un
bisogno. [...] Ci guardiamo bene dal dire che esso ha minor va­
lore: la pretesa dell’uomo di scoprire valori che dovrebbero so­
vrastare il valore del mondo reale è qualcosa che oggi ci fa ride­
re - da ciò appunto siamo tornati indietro, come da un aber­
rante traviamento della vanità e irragionevolezza umana, che a
lungo non è stato riconosciuto come tale» - scrive Nietzsche
nel 1887, dopo aver attraversato i sentieri deserti del nichilismo
(FW 346).
Gli uomini superiori sono i «decadenti» nelle loro varie si­
tuazioni, gli estremi prodotti di un’epoca di transizione, ancora
incapaci di signoreggiare e ordinare i molti istinti - tra loro in
contraddizione - di cui sono costituiti come figli della moder­
nità. Nietzsche analizza e combatte le multiformi espressioni di
una décadence storicamente definita (esotismo, cosmopolitismo,
culto del primitivo e dell’innocente, religione della sofferenza,
tolstoismo, wagnerismo come oppiaceo, buddismo etc.) che ha
in sé comunque disagio e rifiuto nei confronti dell’uomo “me­
dio” e del suo progressivo “rimpicciolimento”. Molte maschere
della decadenza si trovano rappresentate nelle “figure” simboli­
che e allegoriche dell’uomo superiore nella IV parte dello Za­
rathustra. Gli uomini superiori ancora condizionati dai vecchi
valori non sanno rinunciare a nuove religioni senza Dio. La «fe­
sta dell’asino» comporta inizialmente la regressione: gli «uomi­
ni superiori» divengono «fanciullini» e «devoti» di fronte ad un
138 Nietzsche. La morale dell’eroe

dio che ha riacquistato la sua materialità (contro la spiritualità


del Dio ormai ombra e fantasma) solo nella veste dell’asino
(«meglio adorare Iddio in questa che in nessuna forma!» affer­
ma l’ultimo papa). Ma la devozione, per il ridicolo del suo og­
getto, si trasforma immediatamente in gioco, in festa, in riso
giullaresco capace di avviare gli «uomini superiori» verso la
guarigione.
Paul Bourget, che introduce Nietzsche alle varie espressioni
della décadence e del nichilismo, vede l’epoca, priva di un «cre­
do generale», come caratterizzata dalla morte degli dèi, di tutti
gli dèi che cercano di sopravvivere nella loro realtà di eterne
idee oggetto della verità dell’arte. Da Leconte de Lisle Bourget
riprende più volte, con ambigua vicinanza alla sensibilità deca­
dente, il tema della religione dell’arte che sostituisce i valori
estinti: «En ce siècle où les Dieux sont tout éteints, j ‘estime/que
l’artiste est un prètre, et doit, pour tester tei, / dévouer tout son
coeur à l’Art, seniDieu réel...»20. Wagner (il vecchio mago in­
cantatore della IV parte dello Zarathustra) si propone come
“ventriloquo di D io” ed affida alla musica ed al sacro dramma
musicale la rigenerazione sociale. La musica wagneriana - scri­
ve Nietzsche - «riconduce, anzi seduce a tornare a tutto quanto
fu una volta creduto! [...]. La nostra coscienza intellettuale
non ha bisogno di vergognarsi, - perché ne resta fuori, - quan­
do un qualche antico istinto beve, con labbra tremanti, da calici
proibiti» (14[2] 1888).
La filosofia di Renan appare il tentativo più conseguente di
salvare il sentimento e i valori della religione tradizionale dopo
la morte del Dio della tradizione: liberare la religione dagli
aspetti dogmatici, significa la possibilità di vivere ancora a lun­
go dell’ombra di Dio inverandone i valori. «A d un primo
sguardo, l’umanità dei nostri giorni sembra costretta in una po­
sizione senza uscita. Le vecchie credenze per mezzo delle quali
si aiutava l’uomo a praticare la virtù sono compromesse e non

20 Hart in La vie inquiète (1874-1875), in Oeuvres: Poésies (1872-1876), Lemerre


Editeur, Paris 1885, p. 71.
Le ombre di Dio 139

sono state sostituite. Per noi altri, spiriti colti, gli equivalenti di
queste credenze che l’idealismo ci fornisce sono più che suffi­
cienti, perché agiamo sotto il dominio di vecchie consuetudini;
siamo come quegli animali a cui i fisiologi levano il cervello e
che nondimeno continuano certe funzioni vitali per effetto
dell’abitudine. Ma questi movimenti istintivi si indeboliranno
con il tempo. Fare il bene perché Dio, se esiste, sia contento di
noi, ad alcuni sembrerà una formula alquanto vuota. Noi vivia­
mo nell’ombra di un’ombra. Di cosa si vivrà dopo di noi?...
Una sola cosa è sicura, che l’umanità escogiterà tutto ciò che è
necessario in fatto di illusioni, per riuscire a compiere i suoi do­
veri e a realizzare il suo destino. Finora in questo non ha mai
fallito, e non fallirà in avvenire»21.
Più volte Renan ripeterà l’espressione, «noi viviamo nell’om­
bra di un’ombra»22: è l’estremo tentativo di affidare alla forza
delle illusioni che permangono dopo la morte di Dio, la spinta
per proseguire il cammino. «Le sage est celui qui voit à la fois
que tout est image, préjugé, symbole, et que l’image, le préjugé,
le symbole, sont nécéssaires, utiles et vrais»23.
L’epiteto di «nichilista» accompagna Renan fin dall’uscita
della scandalosa Vita di Gesù. Il critico cattolico bretone Ernest
Hello (1828-1885), si impegnò in una critica radicale del conter­
raneo Renan in cui affermava che per caratterizzarne «la dottri­
na a cui nessuna parola conosciuta si addice, perché tutte le pa­
role tendono ad esprimere l’essere che questa dottrina tende a
negare, si deve creare una parola tanto spaventosa quanto la co­
sa stessa, una parola che non dica niente, una parola che signifi­
chi il niente: questa parola sarebbe nichilismo. Dio e la società

21 E. Renan, Dialogues philosophiques, Calman Levy, Paris 1876, Préface, p. XIX,


trad. it., in Scritti filosofici, cit,, p. 93. H o analizzato il confronto di Nietzsche con Re­
nan in G. Campioni, Der französische Nietzsche, cit., pp. 65-134.
22 Cfr. anche E. Renan, Discours et conférences in Oeuvres complètes a cura di H.
Psichari, voi. I, p. 786: “Nous vivons d ’une ombre, du parfum d ’un vase vide; après
nous, on vivrà de l’ombre d’une ombre” .
2? E. Renan, Uavenir religieux des sociétés modernes, in Questions contemporaines,
Paris 1868, pp. 414-415.
140 Nietzsche. L a morale dell’eroe

soppressi, il bene e il male confusi, il vero e il falso che non sono


che il bene e il male nel loro principio, sono naturalmente con­
fusi. Se il vero e il falso sono identici, o solo indifferenti all’uo­
mo, cosa diviene la scienza che solo esiste alla condizione di di­
stinguere l’uno dall’altro, e di preferire l’uno a l’altro?»24. L’atei­
smo di Renan («apologia del niente delicata e piena di sottili sfu­
mature») appare subdolo in quanto vuol mantenere la religione:
«Si può dire: io sono ateo; Dio non esiste. Si può dire come Re­
nan: io credo in Dio, l’adoro; ma egli non esiste». Anche la sua
«gaieté» - afferma Lemaitre in un saggio conosciuto da Nietz­
sche - è espressione di malcelato nichilismo: «Non vi è sfumatu­
ra che tenga. Dubitare e in tal modo scherzare, è semplicemente
negare; e questo nichilismo, per quanto elegante sia, non po­
trebbe essere che un abisso di nera malinconia e disperazione.
[...] Niente, niente, non vi è niente al di fuori dei fenomeni»25.
Renan affida al sentimento religioso anche l’estrema e pa­
ziente resistenza contro il crescente dominio egoistico
dell’«Eden borghese». Ma anche Renan, in un saggio in cui cri­
tica il pessimismo di Amiel, con acutezza vede la parabola in
corso verso nuove consolazioni religiose e, nel caso di Amiel,
verso «una religione triste, più simile al buddismo che al cristia­
nesimo»: «al culmine del nichilismo si fa il voltafaccia». «Q ue­
sta ricostruzione del cristianesimo sulla base del pessimismo è
uno dei sintomi più sconvolgenti del nostro tempo. È così diffi­
cile privarsi dell’appoggio di un culto stabilito, che dopo aver
distrutto le chiese di granito, si costruiscono chiese con i calci­
nacci» («Journal des Débats», 30 settembre 1884).

5. L’univers se ripète...
L’uomo superiore è detto anche: « l’ultimo residuo di Dio tra
gli uomini, cioè gli uomini del grande anelito, della grande nau­

24 E. Hello, M. Renan, l’Allemagne et l'athéisme au X lX e siècle, Douniol, Paris


1859, p. 43.
25 J. Lemaitre, Les contemporaim, Ie sèrie, Leeone et Oudin, Paris 1886, p. 207 (BN).
Le ombre di Dio 141

sea, del grande disgusto» {der letzte Rest Gottes unter Men­
schen, das ist: alle die Menschen der grossen Sehnsucht, des gros­
sen Ekels, des grossen Überdrusses) (Za IV, Il saluto). In un cer­
to senso gli «uomini superiori» potrebbero esser definiti «om ­
bre di Dio» se considerati rispetto al presente o al passato op­
pure «ombre del superuomo (Schatten des Übermenschen)» se
considerati rispetto al futuro, alla possibile loro guarigione.
Mentre il superuomo si pone al di là dell’attività «generica»,
l’uomo superiore è tale ancora in relazione al metro sociale di
giudizio: riflette drammaticamente la crisi dei valori di un certo
periodo storico, incapace di creare un’alternativa. L’uomo supe­
riore è condizionato fino in fondo dai vecchi valori (anche nell’e­
stremo rifiuto o nel tentativo di capovolgimento) e soffre quindi
per la loro crisi: in questo è un decadente. Il disgusto davanti a se
stesso e agli altri è il tratto distintivo dell’uomo superiore, della
sua nobiltà: per lui si tratta di superare decisamente se stesso e le
proprie contraddizioni o di far naufragio. In più punti si legge
come il compito di Zarathustra stia proprio nell’educare queste
«nature superiori colte da ogni specie di folle degenerazione», e
nel dar loro uno scopo (27[23] estate-autunno 1884). Ma qui
vorrei solo ricordare la presenza del tema del «grande disgusto»,
del «grande disprezzo» che non deve confondersi con «l’odio di
sé», espressione di ascetica inimicizia verso la vita. Nell’«odio di
sé» come nell’«amore di sé» si esprime l’angustia della prospetti­
va che misura tutto su se stesso: «amore di sé è un’espressione
sbagliata, troppo ristretta; l’odio di sé e tutti gli affetti agiscono
di continuo con la stessa ristrettezza; come se noi fossimo al cen­
tro di tutto» (11[10] 1881), sono espressioni di un fantasmatico
ego - debole e piccolo - plasmato dal milieu. Di contro - con il
salire all’orizzonte del pensiero dell’eterno ritorno - si tratta di
imparare a «S entire in modo cosmico» - «Al di Là di “me” e
di “te” !» (11[7] primavera-autunno 1881).
«Nella storia dell’umanità gli eventi sono i grandi disprezzi:
in quanto sorgente del grande desiderio del superuomo. Non
fatevi ingannare - una volta si desiderava l’aldilà, oppure il nul­
la, oppure l’unione con D io!? Tutte queste parole di vario colo­
142 Nietzsche. La morale dell’eroe

re servivano semplicemente ad esprimere che l’uomo era stufo


di se stesso - non delle sue sofferenze, bensì del proprio modo
abituale di sentire» (5[1] 270, 1882-1883).
L’educazione degli uomini superiori culmina nel loro con­
fronto con il «pensiero più grave», la dottrina dell’eterno ritor­
no. La capacità di assimilare tale pensiero senza andare in rovi­
na comporta la profonda e radicale trasformazione nella dire­
zione del «superuomo».
L’«ombra di Dio» permane e costituisce il pericolo maggiore
e più insidioso per l’uomo superiore: nuove religioni senza Dio
(religione della scienza, dell’arte, del progresso, dell’Umanità,
«de la souffrance humaine» etc.) sostituiscono le vecchie religio­
ni dogmatiche mantenendo la centralità dei valori dati. La pro­
spettiva del superuomo in Nietzsche, come possibilità agli estre­
mi del nichilismo, passa attraverso l’affermazione del Chaos sive
natura confermato dall’ipotesi dell’eterno ritorno: un divenire
innocente nel suo radicale immanentismo distrugge ogni residua
«ombra di Dio» e valorizza ogni attimo dell’esistenza. La nuova
innocenza, legata all’eterno ritorno, deve vincere anche l’ombra
di Dio. Per Nietzsche «la disgregazione, dunque l’incertezza, è
propria di quest’epoca: niente è su di una base solida e su di una
risoluta fede in se stessi; si vive per il domani, perché il dopodo­
mani è incerto. Tutto è liscio e pericoloso sul nostro cammino, e
intanto il ghiaccio che ancora ci sostiene è diventato così sottile:
noi tutti sentiamo il caldo, sinistro respiro del vento australe -
dove noi ancora camminiamo ben presto non potrà più cammi­
nare alcuno» (25[9] primavera 1884).
Si tratta di vincere il «terribile sentimento del deserto» che ci
afferra davanti agli orizzonti liberi, alla «prospettiva in tutte le
direzioni» che si apre con la fine delle vie prefissate e autorita­
rie della tradizione; la prova di forza sta nel confrontarsi affer­
mativamente con il nichilismo che discende dalla teoria dell’e­
terno ritorno. E questo possono farlo gli uomini più forti, ovve­
ro i più «moderati», capaci di superare in sé Γ horror vacui sen­
za ricorrere al mito e alla metafisica, coloro che hanno saputo
attraversare il deserto, «che sanno pensare, riguardo all’uomo,
Le ombre di Dio 143

con una notevole riduzione del suo valore, senza diventare per­
ciò piccoli e deboli», scrive Nietzsche alla fine del testo sul ni­
chilismo, scritto nella solitudine di Lenzer Heide, chiudendolo
con la domanda che lo assillerà per il resto del suo percorso fi­
losofico: «Come penserebbe un tale uomo all’eterno ritorno?»
(5[71] 16, estate 1886-autunno 1887).
E certamente la teoria cosmologica dell’eterno ritorno da
Nietzsche concepita come ipotesi scientifica estrema, sperimen­
tale, capace di liberare gli orizzonti dalle ombre di Dio, si in­
contra con altre teorie cosmologiche dell’eterno ritorno capaci
di mantenere in sé l’ombra di Dio. Nell’ultimo periodo del suo
percorso Nietzsche si confronta con un testo significativo di
Guyau, Dirréligion de Γavenir (1887), in cui il filosofo-sociolo­
go francese intende opporsi alle molte “religioni dell’avvenire”
“vecchie e nuove fedi” che pullulavano in quegli anni. Se per
alcuni aspetti «la metafisica e la morale sono una religione, o al­
meno il limite a cui tende ogni religione che sta per sparire {en
vote dH‘évanouissement")»2(>, Guyau intende combattere nelle
molte religioni dell’avvenire il compromesso ipocrita con le re­
ligioni positive fino alla proposizione di culti e cerimoniali quali
il culto feticistico dell’Umanità, il Catechismo positivistico alla
Comte («altra cosa è l’amore dell’umanità, altra cosa l’idolatria
dell’uomo, la “sociolatria”»). L’attenta lettura di Nietzsche del
grosso volume di Guyau è testimoniata dai molti segni di lettu­
ra e dalle numerose glosse a margine nella copia della sua bi­
blioteca. Molte delle argomentazioni e riflessioni presenti negli
appunti postumi sembrano essere una risposta alle argomenta­
zioni del filosofo francese di cui Nietzsche aveva già letto 1Έ-
squisse d’une morale sans Obligation ni sanction (Alcan, Paris
1885). Il nome di Guyau compare nei testi di Nietzsche solo
quattro volte: in lui il filosofo tedesco legge comunque la piena
conferma della direzione che caratterizza il positivismo, in par­
ticolare quello rappresentato dalla race moutonnière dei socio­
logi francesi. Nel “Freidenker” Guyau, avvicinato a Mill e a26

26 J.M . Guyau, Uirréligion de l’avenir, Alcan, Paris 1887 (BN), pp. XI-XII.
144 Nietzsche. La morale dell’eroe

Comte oltre che a Fouillée, le tematiche da Nietzsche affronta­


te trovano una risoluzione nella direzione opposta. La fine delle
religioni positive porterà - per Guyau - a più libere speculazio­
ni metafisiche e cosmologiche già irrigidite in “formule pretese
immutabili”: «il dogma si sarà estinto, ma il meglio della vita
religiosa si sarà propagato, sarà aumentato in intensità ed esten­
sione». «L ’uomo dell’evoluzione è veramente l’Uomo-Dio del
cristianesimo [...]». La religione si trasformerà «in quello che
vi è di più puro al mondo, l’amore dell’ideale», in una «metafi­
sica di finalità immanente». «Dio è il termine umano con cui
noi designamo quello che rende possibile il movimento del
mondo verso uno stato di pace, di concordia, d ’armonia»27.
Nietzsche commenta: «Il progresso come miglioramento tangi­
bile della vita, come trionfo della logica come trionfo dell’amore
(Guyau)» (10[171] autunno 1887). Anche l’amore di Zarathu­
stra è espansione di vita, ma non «naturalmente» garantito dal­
la realtà naturale dell’evoluzione, come in Guyau.
Nietzsche contesta con forza che l’espansione vitale come
principio motore dell’evoluzione abbia in sé il carattere della
socialità garantita («il supremo ideale dell’umanità e anche del­
la natura, consiste nello stabilire rapporti sociali sempre più
stretti tra gli esseri»28) e, a lato delle affermazioni entusiaste di
Guyau, si trovano frequenti annotazioni: «Esel, Eselei», punti
esclamativi e commenti critici (purtroppo rovinati dal rilegato­
re che li ha tagliati). L’impostazione di Guyau, legando morale
e arte («la delicatesse morale et la delicatesse esthétique»), arri­
va a negare la possibilità di sani giudizi estetici a Baudelaire e a
Byron, provocando la reazione di Nietzsche che sommerge la
pagina di Esel! e scrive, in fondo alla pagina, significativamen­
te, Manfred, Borgia, Cellini29. Guyau valorizza invece Wagner e
la musica in quanto “arte più religiosa”, la più capace di gene­
rare «des émotions commmunes et simpathiques d’un genre

27 Ivi, pp. 391-92.


28 Ivi, p. 340.
29 Ivi, p. 355.
Le ombre di Dio 145

élévé». «Wagner n’avait pas absolument tort d’y voir la religion


de l’avenir ou tout au moins le culte de l’avenir»30.
Sarebbe interessante soffermarsi su quest’esempio significati­
vo di extratesto capace di render conto di molti riferimenti pre­
senti negli scritti e nel Nachlaß di Nietzsche, che ci introduce
nella discussione del tempo sulla fine delle religioni positive e
sul ruolo e le pretese del positivismo evoluzionistico nell’orien-
tare l’organizzazione sociale. Qui ci interessa vedere come la
morale e i valori che guidano e limitano la libertà della ricerca
dc\Virreligion de l ’avenir, incontrino e facciano propria una ver­
sione cosmologica dell’eterno ritorno che permette ancora la
realizzazione dell’amore sociale. Già nel quaderno Μ III 1 si
trovano appunti che mettono in guardia nei confronti di versio­
ni dell’eterno ritorno che conservino ombre di Dio: «Guardia­
moci dall’attribuire a questo corso circolare una qualsiasi aspira­
zione o uno scopo [...]. Guardiamoci dal pensare come divenu­
ta la legge di questo circolo»; «Guardiamoci dall’insegnare una
simile teoria come un’improvvisata religione! Essa deve infil­
trarsi lentamente, intere generazioni debbono lavorare a essa e
divenire fertili per essa - affinché diventi un grande albero che
proietti la sua ombra su tutta l’umanità avvenire» (11 [157],
[158] 1881); «La misura della forza del cosmo è determinata,
non è “infinita”: guardiamoci da questi eccessi del concetto!»,
(11 [202] 1881); «Guardiamoci dal credere che il cosmo abbia
una tendenza a raggiungere certe forme» (11 [205] 1881).
Nello stesso anno 1881, nei Vers d’un philosophe, Guyau
prende le mosse dai risultati dell’analisi spettrale e dalla cosmo­
gonia di Laplace per approdare a una cosmologia molto simile
a quella di Auguste Blanqui (Léternitépar les astres, 1872)
Partout à nos regards la nature est la mème:
L’infini ne contient pour nous rien de nouveau. [...]
Q u’y découvririons-nous? L’univers se répète...
Qu’il est pauvre et stèrile en son immensité!31.

30 Ivi, p. 365.
31 J.M . Guyau, Vers d’un philosophie, Alcan, Paris 1881, pp. 195-196.
146 Nietzsche. L a morale dell’eroe

L’infinità dell’universo, del tempo e dello spazio, il numero


finito degli elementi rivelati dall’analisi spettrale, porta necessa­
riamente alla ripetizione :
Depuis l’éternité, quel but peux-tu poursuivre?
S ’il est un but, comment ne pas l’avoir atteint?
[...]
L’éternité n’a donc abouti qu’à ce monde!
[...]
Ce qui passe revient, et ce qui revient passe:
C ’est un cercle sans fin ...
(L’analyse spectrale)ì2

Guyau trae da questa ipotesi scientifica un’immagine dispe­


rante e nichilistica. Ma la stessa versione infinitistica dell’eterno
ritorno, permette invece - nella lrréligion - di lasciare spazio al­
la speranza. Guyau si richiama alla teoria di Blanqui (mai espli­
citamente citato) dei mondi infiniti sosia nel tempo e nello spa­
zio, che autorizzano a sperare nella possibilità di realizzazioni
superiori abortite in questo mondo3233. Guyau cerca di salvare il
progresso nella direzione della socialità e dell’espansione vitale:
«Non è probabile che noi siamo l’ultimo scalino della vita, del
pensiero, dell’amore»: «L a grande risorsa della natura è il nu­
mero di cui le combinazioni possibili sono esse stesse innume­
revoli e costituiscono la meccanica eterna. I casi della meccani­

32 Ivi, pp. 198-199.


33 Blanqui usa l’infinità del tempo e dello spazio per dare uno scacco estremo al
senso di fallimento. Certo, la notte eterna è popolata dalla «processione funebre» dei
pianeti spenti, «cadaveri siderali»: ma le risorse dell’infinito (affidate ad un’ipotesi
strettamente meccanicistica) permettono la rinascita della vita: mondi sosia, copie,
ristampe, varianti innumerevoli che giocano destini uguali e diversi. «Esiste un’altra
Terra dove l’uomo segue la strada disdegnata nell’altra dal sosia. La sua esistenza si du­
plica, un globo per ciascuno, poi si biforca una seconda, una terza volta, migliaia di vol­
te. Egli possiede così dei sosia completi e delle varianti innumerevoli di sosia, che mol­
tiplicano e rappresentano sempre la sua persona, ma non prendono che dei lembi del
suo destino». Chi ha perduto quaggiù vince e vincerà altrove e in altri tempi. È la legge
dell’infinito. Cfr. A. Blanqui, Léternité par les astres. Hypothese astronomique, Baillière,
Paris 1872, p. 57 e sgg.
Le ombre di Dio 147

ca e della selezione, che hanno già prodotto tante meraviglie,


possono produrre esseri ancora superiori». Nietzsche pone a
lato di questo estremo tentativo di salvare l’ombra di Dio, un
deciso “no” nella pagina del libro. Per lui una potenza infinita,
capace di evitare la ripetizione e il ritorno, non potrebbe che
essere chiamata Dio.
Contro il panteismo pessimista alla Hartmann, Guyau con­
clude: «Sarebbe forse meno difficile il creare dell’annientare, il
fare Dio dell’ucciderlo»34.

34 J.M . Guyau, Lirréligion de ΐ avenir, cit., p. 420.


Appendice
Friedrich Nietzsche,
Il rapporto del discorso
di Alcibiade con gli altri discorsi
del Simposio platonico (1864)“
Voglio porre subito in evidenza come io veda il rapporto che
vi è tra i primi cinque discorsi e quello di Socrate: mi pare com­
pletamente errata la tesi che Platone, in quei cinque discorsi,
abbia messo insieme solo opinioni erronee sull’Eros, per op­
porre loro come l’unica giusta quella di Socrate. Socrate stesso
non nega il suo consenso a questi discorsi, egli ritorna su tutti
assegnando alle singole opinioni il posto loro dovuto. Credo
piuttosto che, dal primo discorso fino all’ultimo, abbia luogo
un chiaro sviluppo, in quanto l’opinione che segue accresce ed
amplia su un punto essenziale quella di colui che precede; i sin­
goli oratori vedono il concetto di Eros formarsi davanti a loro
con crescente evidenza, Socrate, in fondo, completa solo con
una volta l’edificio da loro gradualmente eretto, certo non lo
abbatte di nuovo. Ciò vale, naturalmente, solo per le opinioni
fondamentali di ciascuno: ciò che gli altri aggiungono come or­
namento alle loro esposizioni, viene più volte ricusato da Socra­
te come non giustificato.
Il discorso di Fedro delinea solo l’ambito in cui si muove la
questione: egli descrive Eros come il dio più antico e causa dei
più grandi beni. Tralascio qui naturalmente il significato dei
singoli discorsi per la caratterizzazione dei personaggi e metto
in risalto solo i pensieri fondamentali. - Pausatila spiega l’Eros
della dea celeste come l’amore che ha per fine il perfeziona­
mento attivo o passivo dell’uomo. Erissimaco estende la consi-

K G W I, III, pp. 384-388, traduzione di Maria Cristina Fornari.


150 Nietzsche. La morale dell’eroe

derazione di Eros a tutti gli esseri viventi in natura, mentre en­


trambi i primi oratori rappresentano l’amore solo nei suoi effet­
ti sull’uomo. Aristofane afferma che alla base di Eros c’è una
necessità naturale, la legge dell’affinità elettiva. Agatone infine
chiama Eros l’amore per il bello, che genera ogni cosa buona e
grande, nella natura, nell’arte, dappertutto. Riassumendo, il
concetto di Eros secondo questi discorsi sarebbe: Eros è l’amo­
re per il bello come legge naturale in vista del concepimento e
procreazione del bene. Non diversa, nella sostanza, suona la
definizione di Socrate: Eros è l’amore volto a procreare nel bel­
lo, che egli quindi designa come impulso all’immortalità insito
nella natura spirituale e fisica. Nella scala da lui eretta verso il
tipo più elevato di Eros, noto la particolarità che vi si ritrovano
i diversi punti di vista degli oratori. Fedro è di certo, come al
solito, solo Γ “ostetrico” dei discorsi seguenti. Ma Pausania, nel
cui discorso non si deve mai tralasciare il suo amore per Agato­
ne, mostra il punto di vista dell’uomo, fintantoché egli ama an­
cora un bello, sia questo corporeo o spirituale. Erissimaco è
amante di tutto il bello, per come si rivela nell’intera natura.
Aristofane sta già sul gradino superiore dell’amore per l’arte e
per la scienza, così come Agatone che, mi sembra, in quanto
poeta tragico ha ricevuto da Platone un posto più alto rispetto
ad Aristofane: un giudizio che noi oggi non condivideremmo
più: l’uomo spiritualmente più grande è di gran lunga Aristofa­
ne. Infine, Socrate stesso raggiunge il gradino che Diotima ha
indicato come il più alto, l’amore per il bello originario; noi
non dubitiamo che egli lo abbia raggiunto, ma Socr<ate> stesso
non ce lo dice, e non lo può, conformemente al suo carattere.
Bene egli descrive come in passato sia stato irretito nello stesso
errore che ora è di Agatone; quella approfondita concezione
egli l’ha acquisita. Ma in che misura essa sia passata nella vita e
se, in genere, possa essere realizzata, deve rimanere incerto per
il lettore del dialogo. Alcibiade entra in scena per rappresentare
l’amore per il bello originario nel suo effetto sulla vita pratica
dell’uomo; e precisamente l’effetto di questo amore nell’uomo
singolo come in Socrate, e la ripercussione di un uomo pieno di
Appendice 151

cotanto amore su un altro, come di Socrate su Alcibiade. Qui


sta il punto, perché Platone abbia scelto proprio Alcibiade per
descrivere questo effetto. Fosse entrato in scena, per celebrare
Socrate, uno qualsiasi dei suoi giovani, l’effetto sarebbe stato
incomparabilmente più debole. Alcibiade è, al contrario, un
apostata di Socrate, un giovane del tutto estraniato dalla filoso­
fia. L’influenza di Socrate su un tale uomo, e di certo così ge­
niale, è la più splendida prova che Platone avrebbe potuto ad­
durre di quella suddetta ripercussione. Inoltre Alcibiade non sa
nulla dei discorsi precedenti: tra la sorpresa degli ascoltatori,
egli mostra il lato pratico dell’uomo consacrato al bello origina­
rio, mentre Socrate ne mostrava il lato teoret<ico>. Platone lo
rappresenta ebbro, per lasciarlo maggiormente libero di espri­
mersi su cose che dovrebbero essere evitate in un dialogo più
serio e misurato; ma la loro menzione era necessaria, tanto più
che si trattava di fatti storici. Il contrasto fra il discorso di So­
crate e quello di Alcibiade è da rilevare come il contrasto fra
due nature: l’uno e l’altro esprimono i loro più profondi senti­
menti, l’uno per bocca della profetessa ispirata dal dio, l’altro
nell’ispirazione del vino, i loro più profondi ma certamente
analoghi sentimenti per il bello originario, l’uno riconoscendo­
lo nell’idea, l’altro nel rinvio alla realtà: Socrate è l’amante del
bello originario, ma anche Alcibiade è amante del bello origina­
rio. Tuttavia, quale diversità delle nature: tanto moralmente su­
blime è l’uno, quanto moralmente corrotto l’altro, tanto bello
nel corpo l’uno, quanto brutto l’altro, tanto sobrio e padrone di
sé l’uno quanto ebbro e senza controllo l’altro.
È chiaro che questi punti di vista si riferiscono al contempo
alla filosofia come alla costruzione estetica del dialogo. E da
notare che, con la comparsa di Alcibiade, si verifica un improv­
viso mutamento di tono; è un ricorso artistico tra i più audaci il
fatto che nell’attimo in cui il discorso di Socrate ha condotto gli
ascoltatori, per così dire, nel mare aperto del bello, faccia irru­
zione la schiera degli ubriachi e degli esaltati, e tuttavia l’effetto
del discorso di Socrate non venga vanificato, ma potenziato. Il
discorso di Alcibiade è opera di Eros, così come il discorso di
152 Nietzsche. La morale dell’eroe

Socrate. Ma il discorso di Alcibiade agisce attraverso dati di fat­


to, quello di Socrate attraverso idee; e i dati di fatto agiscono
con più forza e più efficacia delle idee enunciate. I discorsi di
Socrate e di Alcibiade si muovono in modo simile a quelli di
Agatone e Aristofane, di Erissimaco e Pausania, solo, in una
sfera superiore. Socrate, Agatone, Erissimaco sono i pensatori
più grandi, Alcibiade, Aristofane e Pausania agiscono attraver­
so fatti e miti: quanto a Pausania si deve infatti notare che egli
ha sempre presente il proprio amore per Agatone. I tre pensa­
tori innalzano l’Eros nell’ambito più vasto delle arti e delle
scienze di loro pertinenza, Erissimaco tratta l’Eros come medi­
co, Agatone come poeta, Socrate come filosofo.
Attraverso l’opposizione di Socrate e Alcibiade viene final­
mente alla luce quella doppia natura demonica di Eros stesso,
in mezzo tra il divino e l’umano, lo spirito e i sensi; come, d’al­
tra parte, attraverso la comparsa di Alcibiade, il Dialogo stesso
riceve quella coloritura meravigliosa, quell’oscillare tra opposte
tonalità di colore che si può seguire fin nelle singole parti e che
si riverbera sullo stesso linguaggio. E in modo proprio uguale,
ricorda qui la mirabile fusione del discorso filosofico con il pia­
cere del vino.
La comparsa di Alcibiade appare il punto di svolta dell’azio­
ne drammatica come pure dello sviluppo filosofico in direzione
della realtà; e, se mi si consente di azzardare un paragone, Pla­
tone ha connesso tutte le parti del Dialogo in questo punto no­
dale, non diversamente da come Zeus raccolse e strinse, con il
cordone ombelicale, le diverse parti e pelli degli uomini in un
unico nodo.
Indice

Introduzione
«L’opposto di una natura eroica». Per una lettura
antimitica di Nietzsche 7

Avvertenza 11

Agonismo “inattuale” e critica della “morale eroica” 15


1. L e ‘inquiete’ e ‘mutevoli’ inclinazioni del giovane Nietzsche 15
2. Titanismo e crepuscolo degli dèi 21
3. La filologia e la ‘seconda natura’ 26
4. L’illusione vitale in Nietzsche e Renan.
L’eroismo della razza celtica 37
5. Lina ‘consolazione metafisica’ per l’eroe che muore 45
6. Veracità eroica e inattualità: la lezione di Schopenhauer 47
7. «Siegfried, il filosofo in divenire» 50
8. Gli eroi figli della grande città 59
9. Altri eroi ‘modernissimi’: i casi di Hugo, Michelet,
Baudelaire, Gobineau nella critica di Nietzsche 61
10. Il superamento dell’eroismo nell’ultimo Nietzsche 66

Socrate monstrum; eroismo e decadenza 71


1. Cercare tesori e trovare lombrichi 71
2. Socrate: caricatura e semiotica 75
3. “Der freieste Mensch” : Democrito contra Socrate 81
4. Monstrum in fronte, monstrum in animo 87
5. Socrate anomalo: il filosofo che non scrive 92
154 Nietzsche. La morale dell’eroe

6. Euripides ein Sokratistès 96


7. Socrate e l ’istinto 102
8. Socrate spirito libero 107
9. Socrate: eroismo e decadenza 114

Le ombre di Dio 121


1. Nuove battaglie 121
2. Nous oublions le dieu pour adorer ses tracesl 126
3. Stiamo all’erta! 132
4. Le molte ombre di dio 135
5. L’univers se répète... 140

Appendice
Friedrich Nietzsche, Il rapporto del discorso di Alcibiade
con gli altri discorsi del Simposio platonico (1864) 149
Finito di stampare nel mese di dicembre 2008
in Pisa dalle
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19,1-56126 Pisa
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www.edizioniets.com

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