OPERE
di
.iM
FRANCESCO BERNI
rivcdule
e
mio-
vamerit
illiislrale.
PARTE PRIMA.
Prefazione e vita
tore:
dell'au-
Rime:Come!loalcaplolo
di
della
Primiera
PIETRO PAULO
CHI-
DA SAN
RICO: Noie
alle ri-
n"^
me.
DEL PROTESTANTISMO
del
Berni
per
PIETRO
PAOLO VERGERIO.
BIBLIOTECA RARA
PUBBLICATA DA
G.
DAELLI
TIP. GUGLIELMINI.
Propriet* letteraria .
DAELLI
e C,
PREFAZIONE
di
suonano come un
secoli, si
riso
simpatico e comuni-
propagandosi pei
molto, e noi non
suoi primi udi-
di
non
pi
il
Masetto mutolo,
del nostro
ma
Masetto castaido. I
di
vizj
secolo
numero che
quelli del
ma
vizj
di
una
non
una societ
ecclesiastica, vale
a dire di
VI
PREFAZIONE
societ
una
contro
dire
natura.
in
Societ
eccle-
siastica
vuol
religione
formalismo
ed inquisitoriale, ora frivolo, ed ora atroce; in filosofia formalismo scolastico; in amore, perversione e vergogna. Or
superstizioso
da queste
delle sue
fonti trasse
il
Berni
arguzie
salvate
tempo dalla verit e dal coraggio di bandirla salvate appena adesso da uno stile
;
meraviglioso.
Non
queste
improbabile, dice
il
Roscoe, che
stile in altri
pii
facili
com-
pagni
considerare esser
che sono
le
di
Cervantes e
I precipui
elementi dello
il
stile
del Berni,
dice argutamente
con che
stanti,
trova
somiglianze
oggetti di-
e la rapidit
nette le idee
profferisce
di
ac-
PREFAZIONE
cuiiar bonariet con che
VII
con indulgenza, e
allo
maco
gli
errori
le
la
parenza di
cerbezza
;
semplicit
singolare
ed avversione
unit di
all'
a-
la
cuore con
inteso a
momento che
i
tutto
farne strazio:
stile
precipui
sono
la
elevatezza del
fievolezza
dell'
verso che fa
argomento , i pi gravi concetti esposti nella forma pi. 1' uso opportuno di strane metacasalinga
contrasto alla
;
ragione pi
risibili
ove
si
considerino
ri-
gliere
nodo gordiano
come
il
si
sciogliedi
rebbe un legaccio
cravatta, n
di calza o
nodo
una
irte ed attorte,
ben riassunta
cos:
vili
PREFAZIONE
Oh veramente
e resto
Ora comincio a
fosti fatta,
oro
quella
chioma d' argento fine senza arte lascivamente scherzargli intorno: quei bellissiini occhi risplendenti a guisa di due orientali perle,
torti,
e ritrosi di rivoltarsi
in
quella parte,
men
deli-
ampia
non bruttamente
ma
bene
rari, e
tria disposti, n
Quanto fosse ricca la vena del Borni si vede nel capitolo ch'egli fece nell'elezione di Papa Adriano, tanto detestata dai Komani, che quando i cardinali, aperto il conclave, tornarono a casa, furono per tutto svillaneggiati, e ad alcuni passando dal Ponte Sant'Angelo
fino
agli
artigiani
ai
fanciulli
con occhi
batteron
mano
come a
quelli
che
avevan privato
papato , e
gli
Italia e
Roma
dell'
onore del
PREFAZIO^
cvillaneggiati eran cos
IX
con volto
fossero
loro che
ringrazi
villanie
molto che
sole
contenti
delle
contro
avevano meritato tutti gli estremi supplicj, e non vendicassero la pubblica ingiuria con sassi. Veramente Adriano VI si abbatt, come egli stesso dicea a sua scusa, a tempi infelici per guerre, per peste, fame e altri danni; gran contrasto alla felicit del regno di Leone; ma egli era veramente duro
e rintuzzato,
come nota
e
il
il
liberale
Egli dava
tutto in
mano
ei
suoi fiam-
fece cardinale,
cofort, e
a quel Teodorico
impedito.
dola,
le
Ezio
che
avrebbe fatto
sprezzan-
Egli
crebbe
i
la
peste
come solevano
Tedeschi, e levando
dov poi rimettere; egli non seppe soccorrer Rodi, che si perde nel suo
cautele, che
in
pontificato, e
quel
l'
architrave
appena
%
la
PREFAZIONE
festa
della Nativit
e
i
di Cristo; egli
era avarissimo
voleva far
doni, spesso
rendere
Leone
come Galba
i
Nerone rivomitare
le
gi pap-
arti
volgeva
come da simulacro pagano; egli che s'era tirato dietro un buffone di Spagna, il Toccino, per rallegrarsi con goffaggini degne di lui, odiava il genio di Pasquino, e voleva gettarlo in Tevere o farne calcina, se non era Lodovico, duca di
occhi dal Laocoonte,
Sessa che
gli
non
istette
grezza
tali:
le
medico, con un
Liberatori Patria,
,
S. P.
del Borni
satira politica
si
un
di
scus
nelle
innanzi sciupato
lodi
eW Anguille
e eV Orinale,
Questa potente
Boccalini parve
ironia
del
Borni
che al
pi
effi-
meno
strepitosa
ma
PRESTAZIONE
XI
fece
proscri-
Berni non
si
lesse pii
sura italiana al
secolo
al
XVII
primo
fatte
Nel verso:
Con un hranco di
lestie e di persone,
j'
nel verso:
un
ser saccente,
un ricco scambia
scancellato
j^ref e;
ser
da Varlungo del
Boccaccio.
Anche
la
San Giuliano si converte in un ceri' uomo San Gio) in un franciosato! Sani' Anton in qualch'altro. Il venerahil Beda nel travagliato Ameda! Dio rimosso per ogni dove. In f di Dio cede il posto a In f buona; Quando Dio volse a Quando il del volse; Che
^II
noi
PREFAZIONE
era Dio grazia ammattonata a La quat non era jpunto ammattonata. Dio il dica per me a Aitici il dica. Il bicchiere cresimato si
muta
in risciacquato e
il
verso:
le
man Tommaso,
nel ridicolo:
E poi
mi
feci delle
mani un vaso!
le
Divisando
ristampare
avevamo cominciato a
ci
raccoglierle;
quando
venne innanzi la nitida ed elegante edizione del Barbera (Firenze 1863). Ci parve
abbreviata la fatica; e la seguimmo da prin-
Rime, forse pi che non ci saria bisognato. Se non che nel corso della stampa ci dipartimmo da lei, e di tutto
cipiO;
massime
nelle
Dialogo contro
non parve
pida. Basta
cosi:
Gli
scherzi
inetti,
egli dice, e la
maledicenza comune ed
insi-
insomma cominciarlo a leggere per non finirlo, non che per non giudicarlo del Borni. Il nuovo editore, signor Carlo
??
PREFAZIONE
XIII
Gamba
il
lo dice piacevolissimo.
Lo
stesso
Gramba ne aggiunge
tutte rarissime
,
Gargiolli
Ferrara
Scipione e
in-8; e
Modena, 1540,
il
senza luogo e
Alla
nome
di stampatore,
1542, in-8.
si
sua
ristampa
Gargiolli
servi di
quella del 42, giovandosi ad un tempo di una copia manoscritta nella fine del secolo XVI,
che si conserva nella Magliahechiana, Noi per
la nostra riproduzione ci
valemmo
del testo
come
il
mappello, che
non
ci
parve poter
il
signor Carlo
Giunta
l'altra
anche
Londra
rata dall'
Se non che
mente slW Errata- Corri g che il Bottari fece a questa edizione, e stamp in fondo al terzo volume. Cos non tenne conto dell' edizione procurata a Londra da P. Antinoo Kullo, per Giovanni Pickard 1721-24. Noi, nei
,
XIV
nostri
PREFAZIONE
dubbj
ricorremmo
al
Bottari
ed al
vere
Rolli, e
ne traemmo
le Varianti, talora
,
e necessarie emendazioni
fine della
che inserimmo al
Non sappiamo
il
troveranno mai
;
le cor-
dicendo
Magliabechi attestava che in mano sua era venuto, per regalo fattogli da
Andrea Torti Pievano di Castel Fiorentino, un MS. di mano del Borni, nel quale erano
alcune cancellature e correzioni
egli
,
ed averlo
mandato a Raffaello Dufresne per farlo stampare in Parigi il che non segui sog;
,
giunge
il
Rolli,
Malman-
tile,
inseriti in quel
volume, dice:
Quel (terzo)
altri
libro apparisce
in- 8,
stampato
in Firenze, 1723,
due
libri di dette
che portano
in fronte l'edizione di
Londra;
ma
per tutti
uscito
fuori
il
frontispizio. Ci
tesoi'o della
premessa dal
PREFAZIONE
XV
Lasca
e la
alla
sua edizione,
il
zione.
Dall' edizione
alle
traemmo
le
le
note
ritoccammo.
noto che
e
Nivalsi o
il
Salvini v'ebbe
;
mano,
non sono da spregiare ma il Berni aspetta ancora un annotatore, che spiegandone le allusioni, ne faccia rivivere tante bellezze ed
arguzie perdute.
Notiamo che
(^n lode del
capitoli
XXXI
XXXII
caldo del
dubbj; e dubbia la
(cap.
Vn).
Il
:
pittore
dice
Fu
un capitolo al quale rispose Fra Sebastiano con un altro assai bello, come quegli che essendo universale seppe anco a
far versi toscani e burlevoli accomodarsi.
Il
sonetto
XXXVI
(Jo
ho
sentito,
la
di
mano
MaMa-
XXXVII
(N navi n
cavalli),
XVI
PREFAZIONE
rime, a
di
Annibal
ci-
La canzone
vetta
si
attribuisce
generalmente
al
Firen-
Brunone Bianchi
nell'
Firenze Le Mouil
nome
del
Firenzuola
edizione citata
del
Pickard
l'ha,
il
Gargiolli.
lezioni
Noi
,
seguimmo
in
alcune
ponemmo
Le Mounier, contrassegnando
la lettera B. Il
varianti con
il
Madrigale
Vero inferno
mio petto) fu
schede del
del hi
prima edizione,
del
Roma
1534 (per Bernardinumde Bindonis, dell'isola de Lago Maggiore), assai scorretta, e da non poterne sempre uscire ad onore. Alcuno pi felice od ingegnoso saner agevolmente
i
il
'
passi,
PREFAZIONE
rati.
XVII
Anche
il
fessiamo non
grande; ed
il
Fiacchi
sentenzi eh'
felice
di
comenti piacevoli
il
burle-
sche,
ed
Gamba
Caro
egli stesso)
alla piace-
con propriet ed
,
di
stile
e'
indusse
pi
che
altra
nimento
la nostra edizione.
Al
Berni
fine della
seconda parte
ponemmo un
tratti
mina quinque hetruscorum poetarum (Firenze, Giunta, 1562). E merito del signor GargioUi l'averli dissotterrati e noi li raccogliemmo nella nostra edizione, non tanto pel pregio
,
che
tut-
sono
si
sparsi
per
entro.
Pi corretti
nel
tavia
leggono in parte
tomo
II dei
XVIII
PREFAZIONE
Per
la
Catrina e
il
Mogliazzo
il
signor
Ronchi, 1825), e quella senza luogo e anno (Napoli) a cura di L. Ciccarelli, pur giovandosi
per
la Catrina
dell' altra
di
Firenze
(Panizzi, 1567).
Non
Ferrarlo
nelle Poesie
drammatiche ru-
sticali,
tavia risconrammo , e ne
buona variante, e le note, gio, ma non prive affatto di della lingua. Le ritoccammo
nuovi
in pochi luoghi,
ma
di ridurle
ad oro
o d'illustrar
pienamente que'
Il
signor
Gargiolli
riprodusse
le
Lettere
Gamba
numero
(Venezia, Al-
XXV;
non
che
si
tuto correggere
la
XIII
la
XIV
e la
XV
ne pubblic Alessandro
PREFAZIONE
XIX
Mortara nella sua ra'ccolta: Alcune lettere di celebri scrittori (Prato Alberghetti, 1862).
M^
il
volume
Milano
dello
,
Opere
ri-
burlesche
del
Berni
in
tipografia
1806). Se le avosse
Noi
poniamo
del
in fine le Varianti
dell'
edizion mi-
1601 ed
i
altre, e dal
confronto appariranno
fatti e in
facilmente
miglioramenti
parte an-
Tra
le
venticinque
lettere
compresa
la
miera , che
noi
riponemmo innanzi ad
alla pag.
all'
esso
Comento
ed
1'
avvertiamo che
203
supplire
evid*5nte
mancanza
si
dubit
della ge-
migliori giudizj attribuiscono a Niccol Franco. Si dubit anche della prima edizione
i
che
perugina quanto
il
Brunet dubita
nella
ancora. Ecco
si
legge
Bua
pregevolissima
XX
opera:
rigi
PREFAZIONE
Manuel du
e ^Qg^.
1860
de l'Aretin. [30731]
dition faite Londres, vers 18^1, d'aprs une pr-
tendue dition originale de Prouse, per Bianchini del Leon, 1537, qui serait devenue fort rare. S'il fallait s'en rapporter un avis imprim au verso du il n'aurait f. qui suit le titre de ce petit volume t tire qu' 23 exempl. sur pap. et 2 sur vlin. (1 liv. 10 sh. mar.beu, Libri.) Le prix de cliaque exempl. tait 28 sh. (21 fr. De Bure). Il est fort douteux que cette vie soit du Berni, et mme qu'il existe une dit. de 1537. Nous remarquons que l'exempl. impr. sur vlin, qui a t vendu 1 liv. lo sh. chez Hanrott, est annonc dans le catal. de ce bibliophile, 3 partie, n. 44, sous le nom de Singer.
,
Il
Gamba
pi sicuro e
ne d la seguente
1259. G-A.
Vita
di Pietro Aretino.
Perugia,
rissima.
BiancHn
in
Stampato
in Pe-
PREr AZIONE
mni
,
XXI
a d xvii
d'
carte bianche.
Si legge al principio
il
una
il
lettera in data di
Roma
che ha fatto forse sospetsiavi altra edizione di che Vermiglioli tare al eh. Roma; ma egli non facile che di si osceno com-
XX
di settembre 1538,
ponimento
ristampa.
in
Roma, una
PERGAMENA.
del Berni,
lo
non
ma
sia piuttosto
libro.
Ma
pi distintamente
ne parla Giuseppe
voi.
articolo dell'Antologia,
(
XLiv
,
Firenze
Vieusseux
tip.
in-8.
Il Mazzuchelli scrivendo egli pure , o piuttosto scrivendo egli primo la vita dell'Aretino, disse d'aver veduto quest'altra vita, o piuttosto questa sa,
tira
in
dialogo
attribuita
,
al
Berni
bench infine
manoscritta vi leggesse
XXII
PREFAZIONE
che
la
stampa fosse mai stata eseguita. Ma la stampa fu pur veduta dal Tiraboschi presso il suo amico Tommaso Farsetti, che dodei carme ni 1537, dubit
mente invidiata. Ora una specie d sta stampa uscita pocanzi a Londra in piccolissimo numero di esemplari, per cura d'una societ editrice de' libri pi rari.
s'intitola Roxbourge-Club, la qual
se ben
mi rammento, nel
Decameron) in occasione che fu venduto un Boccaccio pi centinaia di sterline, e pubblic, fra le prime
cui la sui)erbissima colle miniature del Gigola. L'edizion novella della vita o della satira attribuita al
perugina
che per
la
ornamenti del frontispizio, che ci presenta il rovemedaglia che l' Aretino si fece fare appunto nel 1537 col Divus Petrus Aretinus Flagellum Principum dall'una parte, e il Veritas odium parit dall'altra; ed ha a riscontro il ritratto inciso (sic) da Tifino e inciso dallo Swaine. Quanto all' autore della vita o della satira, gi il Rolli, che pur la vide manoscritta, aveva osservato ch'ella non poteva essere del Berni, il quale scriveva con troppa maggior propriet ed eleganza. Al Mazzuchelli parve di poterla attribuire con certa verisimiglianza a Niccol Franco. Ma essa potrebbe anche attribuirsi al Formassime tunio cho vi lodato pi del Franco alla fine, i.i una supposta lettera del Berni all'Arescio di quella
,
,
tino.
PREFAZIONE
XXIII
titolo
alla
curiosit, e
non offendendo il senso morale, che veramente non troppo riguardato neppur nelle Rime; ma almeno il poeta vela
quello che
il
seguimmo
testo di
accennavano a nomi o
Cortigiana
commedia
A maglo
ponemmo
il
a riscontro
il
mmo
testo
Aggiungemmo
dal
la
vita
dell'
autore scritta
Mazzuchelli, resecando
ci
le
annotazioni
che
parevano meno
ci
utili.
catori;
pregiamo d'esser buoni cavalma la stampa ai nostri di veramente la mula di Florimonte. Fa nascere i
sassi dal centro dell'inferno.
Noi non
E portar ielle
bolge
il
Sacramento.
XXIV
PREFAZIONE
Peggio quando si stampano di questi li>ri scomunicati. Morir nel bacio del Signore
impossibile.
Zoilo.
Il Sanfa,
VITA
DELL'AUTORE
SCRITTA
D
GIAMMARIA MAZZUCHELLI
chiarissimo jpoeta
stile
volgare,
massimala
mente nello
XV
Le
ci
pii
belle
notizie
sono state
lasciate
da
medesimo nel suo poema delV Ovls^no Innamorato. Quivi dunque ci narra d'essere
lui
ma
povera,
d' ori-
al-
An-
(2)
XXVI
tinO; j)aese
VITA
situato venti miglia
ad Oriente
stello nobile e
detto Casentino;
di questo egli,
cio
il
XIX
Roma
si
accomod presso a un cardinale suo parente, il quale non gli fece ne bene n male; e che morto questo, stette con un nipote di detto cardinale, che lo tratt come il zio; ond'egli,
si
chiamassero
detti personaggi,
cui egli
servi ;
ma
che
il
cardinale, presso
il
cui alla
prima
si
cardinale Bernardo
il
detto
comunemente
il
cardinal
di
nipote, presso al
quah
vuole
Divizio da Bibil
quale
si
appunto che fosse nipote di detto cardinale. Certo che il Berni fin da' suoi pi teneri
dell' autore
XXVII
anni serv
il e
sua grazia
vette
d'
confidenza,
dopo
es-
il
nostro Berni,
fu
il
rona,
Leone X,
cui
il
Berni,
il
quale aveva gi
grado di
in
Roma
(4).
Ma
egli
certo
Berni
si
trov
ma
del frutto
niva
e della retribuzione
{p), sebbene ci
sollevarne l'animo e
gran numero
de' quali
seppe conciliarsi in
suo ingegno
(6).
Egli fa
uno
mavano in
Roma
XXVIII
VITA
con altri
V accaderau-
mia
cK era
solita
mantovano.
Fiori in
Roma principalmente
circa
il
1526,
cui allora
pure ne
gran danno, restando spogliato d'ogni cosa che aveva (7). Non poche pur sono le notizie che da alsent
tri suoi
componimenti
si
possono trarre
essi
in-
che serv
XVI
Da
Monsig. Gihertij che da guest' ultimo fu mandato nell'Abruzzo al governo d'una sua Abbazia, di che molto si dolse, come di carico
col
esso
pur
fu con
si
trovava
1530 (8); poi and a Venezia ed a Padova; che fece moltissimi altri viaggi per l' Italia, e con molta celerit; ch'era egualmente facile ad innamorarsi che
anni
1529
stato,
dello
stesso
suo
la
ad aguzzare
dell' autore
x^ix
letterati, e
a sparlare per
Adria-
VI
allorch questi
fu
eletto,
ed anche del
suo successore Clemente VII, che pur l'am dir (9), come che il Berni si vantasse di non
mai male
per voto fatto alla beata Vergine, che nel 1533 doveva trasferirsi a Nizza per servigio di Monsig. Giberti coli' occasione dell' andata di Papa Clemente a Marsiglia, ma che per affari di sua casa, e molto pi per una lite
pestifera infermit,
da cui
libero
rest
per quanto
Ve-
due
zie
ed un zio,
che
sino
per
madre
maggiori anticaglie
meno vivace (10). Ebbe eziandio un fratello per nome Tommaso, che fu poi suo erede (11), e
zione di se medesimo, che non niente
soggiacque a gravissima infermit nel 1533, nel qual anno erano ancor vivi sua madre ed
il
zio.
XXX
VITA
si
dici,
ma
allievo
della
e si
di
suo zio,
piamo
se
veramente fosse
stume come
Zilioli (12).
ci viene descritta
da Alessandro
Bens fa d'uopo credere che restasse poscia molto disgustato di esso duca
da
lui
composto
Empio
Lieto
Venir
ti
Che
ti
porti di peso a
re^ni bui.
Che
ti
f'
signore,
s'egli altri
che
ti
dia favore.
lui.
Ma
s*
ad un
eccesso di tanto
sfogo giugnesse
sandro, non
inverisimile che il
quale
pemava
modo
DELL* AUTORE
XXXI
da un
v^
tal
pera sua in
fatto
il
disegno, giacche
ha
detto
cardinale
al Berni
appunto raccomandasse un tale attentato, e il modo pure quegli gli additasse per ridurlo ad effetto. Altri tuttavia scrive che il duca
fosse quegli che tentasse di valersi del Berni
il
detto
cardi-
Comunque
ci sia si
aggiugne dall'una
dall'altra parte
che
il
duca
perti,
per isfogare la rabbia loro contro al medesimo Berni, facessero poi avvelenare esso Beimi (14)^ la cui morte vien posta a' 26 di
luglio
del
1536.
Ma
sebbene
una
tal
data
sembri soggetta a qualche grave difficolt, per lo. quale appare essere vissuto il Berni sino
al 1543, ci
colt
diffi-
come che per altro sia chiaro che non poteva essere fatto avvelenare
non
dal detto cardinale, mentre questi era morto
sin dall'agosto del
1535 avvelenato, come allor fu creduto, per ordine di detto duca. Ne da altro canto verisimile che il duca facesse
avvelenare
il
XXXII
VITA
il
avvelenare
detto
cardinale
^perciocch il
ma
del Berni.
Esso Berni fece il suo testamento, il quale ancora esiste manoscritto y lasciando erede Tommaso suo fratello ; e si vuole che il Berni
medesimo comjponesse
taffio
:
jper se il seguente
Epi-
POSTQUAM SEMEL BIBIEKA IN LUCEM HUNC EXTULIT QUEM NOMINAVIT iF.TAS ACTA BERNIUM, JACTATUS INDE ET SEMPER TRUSUS UNDIQUE VIXIT DIU QUAM VIXiT ^'.GRE AC DURI TER, FUNCTUS QUIETIS HOC DEMUM VIX ATTIGIT.
Egli
si dilett
il
miglior poeta
ma
altri, e
Certo
maggior grado
dell* espres-
a singolare coltura
in
dell' autore
XXXIII
come
il
capo di
ci ha
presa da
lui la
denominazione,
suol
chiamarsi Bernesca.
bia favellato con
poca stima,
piena tutta-
per altro che a lui un tal modo di comporre costasse, come sembra all'apparenza, poca fatica: mentre all'incontro si saputo dal suo testo a penna originale, che ogni verso era da lui pi e pi volte in varie maniere rifatto (16). Il gran male, che
Falso
vi si
sivi
trova,
la
a oscenit, sopra di che sovente si aggirano gli argomenti da lui trattati, cos che
cassero
intrinseci
amici; ed in
1536;
le
alcune
di
non
si
coli' a-
iuto della
memoria di
chi
aveva sentite a
quale pare che
le
recitare dal
Berni (17);
solito
il
a tenere scritte
libert
Di
la
anche
servirgli
gran licenza
del suo
IH
2LXXIV
VITA
in
femjpo,
cui
si
per
maggiori laidezze^ come pur si vede da simili componimenti fatti da altri poeti di quel tempo, che pur erano, non men del
sali
le
Orlando Innamorato del Bojardo , che quanto colto per la lingua^ tanto in pi luoghi
tira
Anche nella
di
sa-
fu
non
si
care
alle
volte
l'eccesso
della
maldicenza
co' sud-
Berni
pronto
meno piacevole
tal
segno la gio-
pu trapassare; e poco appresso aggiugne che il Berni essendo stato quegli che perfezion
la giocosa
e
altres quegli
dello di
tira
ben comporre in questa spezie di sa* ecc. ov' per altro da avvertire che il\
dell' autore
XXXV
nome di
Beimi.
le
rime facete
delle
del
qiti
])ro]posito
satire
de' suoi
ragguagli di Parnaso
rifiutasse
la di-
che Giovenale
sfida fattagli dal nostro Berni di cimentarsi seco nella satirica poesia; del qual rifiuto
'per
altro
intese
Giovenale
di
giustificarsi
i
poeti
a mi-
sura che
cos
si
fanno grandi
non essendo V et sua, cio di Giovenale, da paragonarsi con quella del Berni tanto
peggiorata, infurbita, intristita, egli non poteva cimentarsi in
sopra vizj
pu
lin-
seppe altres di
delle
sue
lettere
ce
fa
fede.
XXXVI
NOTE
ALIA VITA DEH' AUTORE
(1)
il
XV si
in
massimamente
daW essersi
egli trasferito a
Roma
et di
XIX
questo cardinale,
(2)
il
scovado di Firenze.
(3)
lo
affermano
Giuseppe Mannucci
l'autore
il
P.
Negri:
le
dietro questi
r che
si
crede
sai verisimile s
trovarsi
qual altro
Roma
Berni
si trovasse ai
XXXVII
In Verona compose
il
il detto
si
ii
Cant.
I,
St. 5,
6 e
8,
ove indirizza
passa per mezzo a Quella citt. Egli era ancora in Verona nel 1529
Anche
il
marchese MaJ'ei afferma nella parte II della sua Verona illustrata a e. 314, che il Berni compose col
molte delle sue facete
(5)
e giocose poesie.
Si ascolti
il
Berni
stesso, che di s
parla in
tal
Credeva
Il
il
pover
uom
di
saper fare
E pur non
padron non pot mai contentare, usc mai di quello impaccio. Quanto peggio facea, pi avea da fare. Aveva sempre in seno e sotto il braccio.
un
fastello,
scriveva e stillavasi
il
cervello.
'1
Quivi anche, o fusse la disgrazia, o Merito suo, non ebbe troppo bene:
Certi beneficioli aveva loco.
poco
gli
Or Or
la
il
foco.
B poco
naturale :
il
proprio
XXXVIII
NOTE
di servit
Nessun
giammai
si
dolse.
N pi ne
fu nemico di costui;
E pure
a consumarlo il Diavol tolse, Sempre il tenne Fortuna in forza altrui Sempre, che comandargli il'padron volse. Di non servirlo venne voglia a lui:
:
Voleva far da s non comandato, Com'un gli comandava, era spacciato. Cacce, musiche, feste, suoni e balli. Giuochi, nessuna sorte di piacere
Troppo
Assai,
il
movea; piacevangli
si
cavalli
ma
Che modo non avea da comperalli. Onde il suo sommo bene era in jacere. Nudo, lungo, disteso, e '1 suo diletto Era non far mai nulla e starsi in letto.
Tanto era dallo scriver stracco e morto. Si i membri e i sensi aveva strutti ed arsi. Che non sapeva in pi tranquillo porto. Da cos tempestoso mar ritrarsi; N pi conforme antidoto e conforto Dar a tante fatiche che lo starsi. Che starsi in letto, e non far mai niente, E cos il corpo rifare e la mente. Quella diceva, che era la pi bella Arte, il pi bel mestier, che s facesse.
Il
Ed.
XXXIX
gli affanni.
%^^^'Orlando
tristo stava.
ben voluto
dalla gente.
Di quei signor di corte ognun l' amava. Ch'era faceto e Capitoli a mente D'Orinali e d'Anguille recitava, E certe altre sue magre poesie, Ch'eran tenute strane bizzarrie.
Era
Non
Era
era avaro,
fedele ed
non ambizioso:
:
amorevol molto Degli amici amator miracoloso. Cos anche chi in odio aveva tolto. Odiava a guerra finita e mortale. Ma pi pronto era a amar, eh' a voler male.
(7)
Il
Berna a
rimase
via
un gran cumulo
il
di lettere dirizzate a
Datario, al quale
ma
sentendo non so chi gridar Chiesa, Chiesa^ le lasciarono ecc. Cos scrisse allora da Roraa, cio ai 24 d'ottobre del 1526, Girolamo Negro con lettera inserita
nel Voi.
I.
XL
(8)
NOTE
Sue lettere scritte da Verona nel 1530 a Vinapenna presso al P. Bernardo
Maria de Rues.
(9)
Bianchini,
Gran Duchi
di
pag. XXIII.
(10) Si trova nel
r>
r>
-n
Di persona era grande, magro e schietto, Lunghe e sottil le gambe forte aveva, B'I naso grande, e il viso largo e stretto Lo spazio che le ciglie divideva,
w
^
r>
e netto;
" n
n
Di lui fece pure il ritratto Giorgio Vasari nei suoi Ragionamenti a cari. 136. La sua effigie si trova altres dipinta fra quelle dei pi chiari Poeti Fiorentini in una delle volte della real Galleria di Toscana, come si vede dalla Tav. VII di essa Galleria che si ha alla
stampa.
(11) Ci si
B andini.
L'opera
Italiani,
il
penna
XLt
fede che se gli debba prestare. Scrive dmigue mor in Firenze, dove stanco di seguire ritirato, innanzi s'era poco tempo le Corti, contentandosi del canonicato che possedeva
quivi il Zilioli che il Berni
sua allegrissima con le onorata conversazioni de'Letterati, che ambiziosamente cercavano di avere la sua pratica, e con la fedele e semplice servit della sua celebrata fantesca, e di un solo ragazzo, di dove forse ebbe origine quella poca onesta fama, che gli emuli suoi e in vita e dopo morte gli addossarono, d'avere esercitato scandalosamente di continuo il vizio contro natura; bench negli ultimi anni avesse dato segno d'essere alieno da quelle dila vita
colui,
"
lui.
Vi aggiunsero anco
di quello si
conveniva ad un prete interessandosi nelle pratiche de' giovani, cadesse molte volte guidato dalla vivezza e dall'allegria de' suoi spiriti nei
disordini e nelle leggerezze, ecc.
(13)
Forse componendo
:
gnore,
rn,a
vi si sostituito:
il soggetto
Che
per coprire
contro cui
fu
composto.
(14) Magliabechi, loc. cit. Un cenno ne fa anche il Quadrio nel Voi. II della Stor. e Rag. d' ogni poesia
XLII
NOTE
a car. 557, ove questi scrive che il Berni fu tolto sgraziatamente di vita non per altro motivo, che per non
aver voluto aderire all'altrui malvagie intenzioni* Questo passo del Quadrio si pu render chiaro con al^ tro del signor canonico Bandini nel Voi, I del suo Specimen Literat. Florent. ove a car. 22 scrive che il Berni, obiit veneno, ut ferunt, a Card. Hippolyto
Mediceo
illi
propinato;
ma
quanto
ci sia falso, si
dir appresso.
(15) Gli Attori che
licit del nostro
tissimi, e
hanno esaltato il valore e la feBerni nella Poesia giocosa, sono moltroppo lunga impresa saree il volerne ri-
ferire le testimonianze.
Fra queste
Cedile
Romanique
ri
"
Urbano et quisquis tincta lepore canit. Bernius est, cui sola Venus se pandit, ah ipso Cui se detexit vertice nuda Charis.
linit
Quae vigili studio saepe pelila fugit. Ai quali versi cos ha soggiunto, come per ispiega-\ zione, il medesimo Toscano. Biblena Etruriae oppidunji Bernium protulit Jocosi carminis auctorem, quem multa praeclara ingenia sunt aemulata' non irrite! conatu, nullum tamen nativa Illa urbanitate nullr
n
!
bechi, e da questo
XLIII
occupazioni del
impedirono a questo V esecuzione d'un tal disegno, e poi succedette la sua morte; n si sa a qual destino sia
soggiaciuto quel manoscritto. Tutto ci si racconta da
Giuseppe Mannucci nella Giunta alle Glorie del Clusentino a car. 116, e si riferisce pur dal Cinelli nella Scanzia I della Bib. Volante a car. 30, e quindi dal Crescimdeni nel Tom. IV della Storia della Volg. Poes.
a car.
26.
Qui
si
pu a
come
tuttavia
sebbene
no7i originali,
Rime del Berni si conservano in Firenze nella Libreria Ma g Ha b e chiana, come altres nella Riecar diana alla Scanzia S. I. numero 3 in foglio, nella
contenenti
de'
Una
una
ove
Caro
7iel
Tom. I a car.
l'I,
L'Ago del
trova se non cosi spuntato e scrunato come avete veduto, perch egli non lo dette mai fuori e dopo la sua morte, quel che ne va d'intorno, si cav la pi parte da monsignor Ardinghello,
si
:
Bernia non
che intendendolo recitare a lui solamente due volte, lo impar a mente. Se con la memoria di qualche altro si potr supplire al resto, si vedr di mandar
velo intero ecc.
LETTERA
DI
LASCA
LORENZO SCALA
uno dei pi
spiriti, e dei
pi
M. Lorenzo,
tanto
lacere e smembrate,
per
difetto
la
solamente e
per colpa
e
stampatori:
qual
cosa
citt, e
XLV
Umidi, la quale jprincijalmente fa professione, sendovi tutte persone dentro allegre e spensierate, dello stil burlesco, giocondo, lieto, amorevole, e
il
quale
tanta stima,
e.
ma da
uomini
nobili e
le
da signori: avendo
tezze e
le
le
petrarcherie,
squisi-
stuc(^
'nfastidito
cosa
quasi ripiena di
un sopraccapo
in
un fondo
tale
che
a poterne uscire , bisogna altro poi che la zucca: e per lo pi ^tuttavia se ne vanno su per le cime degli arbori. Ma tu, o Berni da bene , o Berni gentile , o Berni divino non e' inzampogni , non e' infinocchi , e non ci vendi lucciole per lanterne: ma con parole non istitiche o forestiere , ma usate e
naturali, con versi non gonfiati o scuri,
sentenziosi e chiari, con rime
ma
non stiracchiate
fai
conoscere
aspre,
ma
dolci
pure,
ci
G-
XLVI
latina,
la
come tu
e
stesso di-
qui
qua
si
trovano sparse
seminate:
e di-
ligenza
ritrovate,
alla
prima
avemo, per dover darle a benefizio universale, per utilit comune, e per passatempo pubblico alle stampe: accioc-
forma
indotte
ch poi,
corrette e emendate,
si
manifestino
aperta-
al mondo, la
qual
tanto
cosa
confess' io
s
mente, che n
succedere
bene, ne
lo
felicemente
e
mi
poteva senza
aiuto
l'accu-
per la qualit dBl poema, e per V affezione che portavano ad esso Autore, non si sono sdegnate d' affaticarsi in,
,
le
quali, e
in guisa tale
che,
se
da,
esso Al.
Francesco
poco
o niente sarebbero
si
trovano al pre'
le
rime
Bernesche
ma
tutte
V altre ancora
rivedute^
XLVII
diamo di M. Giovanni della Casa, del Varclii, del Mauro, e di tutti gli alvi
tri
mo non indegni d' esser da voi veduti e letti: ma voi, generoso e gentile Scala mio, a cui
e
di
Giunta,
per
mia
indiritte
libro insieme
l'opere miracolose
Berni:
le
come a
da
tutte
parti
molto
e e
vi si convengano,
ma
sopra ogn'altro,
pi per la riverenza incredibile che avete, per V affezione incomparahile che portate
a
loro
e
a chi
le
compose: l'uno
e
l'altre
difendendo,
onorando,
zando perinsino al
cielo.
ma
tosto onorarvi
prima Parte,
in sulla burla}
Rime
gran yarte ridotte insieme per doverle stampare in questo secondo libro,
che
avemo tra
non
ci
s'
le
mani dell'opere
Autori composte:
burlesche
il
da vari
se altro
e diversi
quale,
attendete
solito.
Di
Firenze alli
luglio
MDXLVIIL
IL Lasca.
INTERLOCUTORI.
Sanga.
Berni.
Marco.
Giovanni di Modena.
DIALOGO CONTEA
POETI
Sanga.
-
mi
aiuti.
Bem, Che cosa ci ? Sanga, che avete? Sanga. Che ho? guardatemi un poco in viso, se
Berni. Per Dio si; che voi avete
e' vi
un
cattivo viso:
dite, di grazia,
che vi sentite.
dolvi niente
Sanga. Male.
Berni.
Che male?
sotto
il
braccio o
tempi sospetti^
come
voi sapete.
Sanga. Ci peggio.
Beimi.
mal
DIALOGO
Semi. Dio
Sanga.
ci aiuti;
ha
Un
poeta traditore mi
quando fui presso al fine sperando con qualche sfogameuto, o d'andarmi a sollazzo, o di compagnia, o di qualche altro passatempo ristorarmi del fastidio preso, ed eccoti alla porta battere uno quanto pi poteva: il garzone apre per vedere
chi , e trova un poeta maladetto, che prosuntuosamente urta senza pur dire quel che vuole. Viensene a me come un porco ferito e alla bella prima mi
,
squaderna forse
modo
dur.
trovai
bi-
sogn star
Bemi.
forte
fin
che
che cosa era? Dio che cosa era! era il malan che Dio li dia, cos com'egli ha dato a me. E mi venne da prima tanta stizza e di poi trovandomi in quel
Sanga.
,
non che io ponessi cura a che cosa quella si era. Bemi. Per certo non si pu vivere noi siamo spac;
ciati: e
mi maraviglio come
le
leggi e la giustizia
non provvedono
Or che pi
uomini
Il
altri
inconvenienti.
CONTEA
to sei
dosi,
POETI
pagnotte per necessit; o uno che defendenper qualche altra disgrazia ara ammazzato
un altro: questi traditori, nimici della quiete del mondo e della vita delli uomini, vanno liberi e securissimi per tutto, mostrando versi a questo e quello, col seno e con le mani piene di cartuccie, e talvolta
di
non
chi
un gran giovamento alla generazione umana, dover essere accarezzati e adorati dalla gente, come se egli avessino racquistato Terra Santa, e menato
Turco in prigione suppa
le
ti
;
il
cantare come fa
putte.
Platone, perch
non
le
vvesti tu
tanto che
forze con-
formi a l'animo,
dette
ti
siano le
mani?
;
ti dir il vero se non ch'io li scuso per pazzi, perch essi medesimi si battezzano cos, ed hanno piacere di esser chiamati pazzi, dicendo
Sanga. Berni, io
che son
furiosi, e
che hanno
li
il
lano sopra
la
scannerei. Diavolo! se
le
mente, che l'uomo difenda la vita sua contra qualunche cosa fin alla morte, perch non lecito a noi fare il simile contra questa maladizione? e che crudelt questa?
Sanga?
io dir
quel che ho
:
la
una setta comincia, e non ci rimedio che totalmente non segua, quando alcuni di essa comiu-
(*>
DIALO
(1
numero
;
di queste bestie
che verso
messer Domenedio,
mi il saldo, e aiutarmi, io vi prometto che Annibale non fu cosi ostinato e crudel nimico del nome romano, come sar io di quel de' Poeti. Vi prego dunque, non mi mancate.
Sanga. Ch'io vi manchi? In f di Dio,
mi mancaste
voi a me, e
che volesse esser meco, io son risolutissimo solo solo fare aperta professione di nimico de' poeti, co-
minciando da ora a
diavol ch'io vi
Berni,
dirlo a chi lo
manchi?
abbiate voi; de' pari vostri ci fos-
Oh bene
sero assai!
Sanga. E forse che l'uomo non ha causa di far questo? Di grazia discorriamo un poco ragionando, e vediamo che sorta d'uomini sono e' poeti. Lasciamo andare che siano pazzi, perch questo essi lo
detti
mai
la
pi inutil gente, e
si
non
so-
lamente inutile
tali e in ispirito
con tutti e' peccati morpossono avere ? Cominciamo prima dalla religione nostra. Essi son cristiani, hanno il carattere di cristiano, se il battesimo lo d loro come agli altri: or conosceste voi mai poeta, che non pizzicasse un poco dello eretico; anzi, che dico dello eretico? del non credere in niente. Vedansi le opere loro secondo il detto dello evangelio. Essi chiamano nostro signor Jes Cristo quando Giove, quando Nettunno, quando il Tonante,
santo che
ma dannosa,
CONTILA
viuaiido
il
POETI
Padre delli Idii, quando il malanno clie Diodia loro la nostra Donna lunone. Diana, Cerere,
:
li
Santi,
Mercurio, Marte, Ercole, Bacco, le pi mostruose cose, le pi nefande che mai si udissero. Procediamo poi di mano in mano all'altre cose che si apparten-
ad uomo cristiano. Vediamo li dieci comandamenti i quali lasciamo che si sdegnano d' imparare, tenendole cose basse e indegne del loro ingegno; pure sendo cosi conformi alla natura come sono bisogna che ne abbino ingenite la pi parte se non che poi per malignit e operosit le negano e abominano. Del primo, che onorare Dio, e degli altri che appartengono alla religione avemo detto e mostro quanto ne servano che non pur non fanno quel che la Chiesa comanda espressamente di san-
gono a
fare
tificar le feste
udendo
la
messa
li
ma
se
lo disprezzano e se ne ridono; e che peggio, pure accade in qualche lor cosa nominare li sa-
crifizi
e riti nostri, si
vergognano
dire
il
nome
loro
proprio,
e
ma li
quasi burlandosene, e dileggiandoli li chiamano giochi e feste, come fece verbigrazia l'Alcionio e,
che peggio, in una orazione dello Spirito Santo: che se pure l'avesse fatto in verso, n'andava con li
ma volse mostrare d'essere singolare. Del confessarsi e comunicarsi non bisogna parlare,
altri pazzi,
che se pure il fanno. Do sa con che animo: e che pi? per parer cristiani, e non esser cacciati di chiesa, nella quale stanno volentieri solo per far male e per nuocere. O perversit del mondo! e non ci si provvede. Quel luogo, che
le
leggi
sicu-
DIALOGO
non
li
pu
con
la loro
nato, e
non
stando in chiesa che in su il pi bello della messa ardiscono, come i malvagi uomini fariano d'una spada contra l' inimico, cos essi sfoderare, addosso alle persone pie e religiose epigrammi e versi che sono peggio che pugnali avvelenati n fanno ci a
,
:
perch come essi non sono, cos non vorriano che gli altri fossero cristiani. Anzi per farsi da buon
rit, quelli
capo ad impugnare la fede nostra, e levarle l' autoche fumo il principio di essa, cio li Profeti e' buoni autori della Scrittura Sacra e del Testamento Vecchio, dicono che fumo poeti e che
feciono
versi.
il
come
dire
padre e la madre, voi potete pensare che se si fanno beffe di Dio e lo stimano poco, che manco stimeranno gli uomini. Vedete quel che dice Ovidio, in non so che luogo delle opere sue, della obedienzia che aveva a suo padre che quel buon uomo, come savio, voleva che egli attendesse ad altro che
onorare
;
muse
che altra professione pi utile, e onorevole; e lui, albanese messere, fece disperare quel poveretto, che dove aria potuto essere un buon procuratore, o mefar qualche arte da guadagnare, si empi el dico,
corpo di vento, e and a comporre Elegie, e Metamorfosi, e Fasti, e frasche di che avea composto il
cervello.
fece dar
in
che
era, e lo
mand
Gli altri se
non hanno
CONTEA
dri e madri, forse
gii
POETI
perch non hanno potuto, o non nome che dopo Dio ci onorabile sopra ogni cosa, ed la seconda piet che possiamo mostrare, hanno vituperato e infamato disonestissimamente, scrivendo le cantafavole di
accaduto. Almeno quel
Mirra, e di Cinira, di Edipo e di locasta, e di mille
da far scurare il sole hanno fatto che Giove cacci del regno Saturno, ed esso castri il Cielo suo padre; che Tieste si mangi i figliuoli; Oreste ammazzi Clitennestra poi di mano in mano i fratelli amino le sorelle, ed e converso poi che si
altre ribalderie
:
ammazzino, come dire Eteocle e Polinice e procedono anche pi oltre con la empiet a dire di Dio,
:
mostri crudelissimi, e farlo ora diventare aquila per portar via un putto, ora toro per una donna, ora cigno per un'altra, or che s' imbriaca, ora che egli
legato dagli altri dii, ora fa alle
li
pugna con
loro,
riprende M. Tullio, come voi sapete, e Luciano se ne ride. Poi dicono che fingono, e qual di loro va
fantasticando pi orrende ed esorbitanti cose, quel dicon aver pi bella invenzione or vedete che figuli
:
son questi e che maestri di porcellana. Bemi. Voi mi avete con quel nome di
venir voglia di ridere
,
Jlgul fatto
ricordandomi d' un pensiero che ho avuto e ho del continuo sopra questa generazione se mai fussi tale da poterlo mandare ad effetto; sappiate che regio e conforme a quel d'Alessandro Magno, quando a quel buon balestriero che
,
per mostrare la valenteria sua li fece vedere che a colpo per colpo dava in un cece, diede in premio
come
tirare
dire
il
un rubbio di ceci, acciocch avesse a che tempo della vita sua. Volete che vi dica quel
lo
t) I
T.
fi
che farei dei poeti? Giaccli si usurpano questa dedi flguli, e vogliono che si dica che li metterei fingono, io a fare de' mattoni tutti quanti ne potessi trovare, e darei loro da fingere tanto, che se ne caveriano la voglia; e vi so dire che delle ope-
nominazione
San
Pietro, e le
Loggie
di Belvedere, e
;
Sanga.
io
credo che
;
primo esercizio
mu-
rare
ma
poi,
il
come soglion
hanno poco
capo a far bene, e come anche fanno ai di nostri i medici ( verbi grazia maestro Giovanni da Macerata, che di medico, bench assai tristo, diventato poeta), cos queste bestie si sviassero, e
lasciata stare quell'arte, che aria loro
messo qual-
che conto pi che la poesia, si dessero a far versi e baie perdendo il tempo, e rompendo altrui la testa.
Che credete che vogli dire quel misurare i versi a piedi che fanno? se non che come prima sendo muratori misuravano i loro lavori con quella misura, che gli antichi chiamavano deccmpeda^ perch era divisa in x piedi, oggi inostri chiamano canna, cos avendo poi mutato esercizio, e volendo misurare anche le opere loro come se fussero cose da mettere in considerazione, n sapendo come farsi altrimenti, adoperarne il medesimo instrumento che avevano prima, e andando drieto alla loro ordinaria pazzia non si fermorno ad una certa legge di tanto numero
di piedi
per verso,
ma
gula,
ne
fecero di tanti
CONTRA
dete che chi ne
sei,
POETI
11
ha
di
secondo che erano pii o meno poltroni; fin ad un gaglioffo che per estrema poltroneria and a farne
di due.
Beloni.
lor
capo maestro, e serv Laomedonte a credenza pi di due anni a rifar le mura di Troia; poi, per isdegno che non fa pagato, and a disfarle. Sanga. S; e Anflone che fece le mura di Tebe, e a questi d un altro che mi present certe mele ap-
con un epigrammetto di sopra, che ho trovato poi che muratore, e sta con Giulian Leno, non vi par che sia argomento manifestissimo, che questa fu da principio l'arte loro? Voi troverete, Berni, che tutti i poeti alla fin sono o muratori o manovali. Oh che inspirazione divina che vi venuta a dargli cos conveniente ricapito, che quasi meglio che quello che aveva pensato io talvolta da me che darei
pi
,
E quale?
il
fatto
loro
non
se
non
soli-
dit; e perch ci
vuol premio, io
durano pur fatica, ed ogni fatica pagherei con moneta equivalente, e darei loro come dire un mazzo di fiori, o un uccellino che cantassi, o un testo di bassilico, quando una di queste penne lavorate di seta; se mi estenli
un par
di guanti, saria
ben gran cosa. Se venissero per desinar meco, come fanno quasi tutti prosuntuosamente, non mi acchiapperesti ad invitarli; ma cos in fine del mangiare li
darei
una ciocca
di finocchio, o
uno spicchio
di pera.
12
e bere
DIALOGO
un tratto,
e va'
premj convenientissimi a poeti. Berni. Per Dio ho detto de' mattoni, e dir pi oltre, Sanga; e' son cosi fastidiosi e maledetti, che credo li farei mettere in galea a provare se cosi dolce cosa a sentir cantar le sirene; come fingono di Ulisse che per non sentire s'impegol le orecchie e a vedere il delfino che port Arione, e quelli sopra che fuggi Venere il mostro marino, e se Scilla ha cani o gatte attaccate alle cosce, e se Proteo d beccare ai cefali, o mena a pascere li storioni perch lo fingono pecoraio de' pesci. Io vorrei una volta che egli uscissino di finzioni, e dicessero il vero de msu; che s che uscirla la voglia di esser poeta, e di rompere altrui la testa con gli scartabelli! Saiga. Vedeste voi mai gente pi inetta, e che abbi alle mani pi impertinente esercizio di questa? Lasciamo andare, che tutti quanti gli altri studj sian migliori di quello, che e' chiamano umanit; anzi per dir meglio, sieno buoni, e questo solo sia tristo I)ure anche essa umanit ha in se qualche parte che buona a qualche cosa. Chi si d alla prosa, e facci qualche profitto nello stile, pu ad un bisogno fare una orazione in cappella; piacere, se per disgrazia gli verr detta qualche cosa buona, ed acqui; ; ;
un Cardinale, laudarlo
e beccarsi su fino a quindici o venti ducati di care tal volta pi, secondo la liberalit di lor si-
gnorie reverendissime.
siglierei a farlo se
Un
altro
non a chi
avendo
ed eserci-
tazione,
pu
CONTRA
signore
;
POETI
13
fine,
non perder in tutto il tempo. Si troveranno di quelli, che sapendo parlare per lettera, serviranno ad un bisogno per interpreti a qualche imbasciatore polacco inglese che vadi a torno. Chi sar condotto ad Orvieto o a Velletri per maestro di scuola; chi
un poco
pi onorevolmente otterr
un luogo
nello
Studio di
Roma
la fatica.
ma non
un
si
degneil
poeta,
quale
che uomo, perch ha lo spirito divino, non conviene fare cose da uomo; e cos standosi su la riputazione, se '1 furor viene, faranno qualche pazzia; se no, si terranno le mani a cintola, e che , che , non faranno pane in casa, e poi, buona notte. Semi. Furfanti veramente! Non vidi mai, Sanga, convenienti epiteti che dare loro. Chi vuol i pi
pi bella furfanteria e adulazione, che quando se ne
vengono
ti
pure
se
voi uscite
se no, con la
fin d'
medesima im-
pudenza vi affronteranno
promettendovi in pagamento di mettervi nell' opera loro, e farvi immortale; e talvolta saranno cos maligni, che se voi state sodo al macchione, vi minacceranno di scrivere contro, e darvi il licambeo ve^lene, e cotali altre loro inezie.
14
Satiga.
r> i
LOG
il
Come mi danno
mio
ha un pezzo cicalato alle orecchie del Principe, chi la pi favorita e propinqua persona che abbi. Verbigrazia quando fatto un Papa, chi
do, poi che
lo
conoschino,
ma
li
ab-
bino voluto mal prima, e allora gliene voglino pi che mai per fare il fatto loro non si curano del
,
resto, e sfacciatamente si
ne fanno un
li-
messo
ad oro coperto di taffett bertino o turchino, o verde che significa speranza, con fettuccie alla divisa, eccetera: dentro fanno la prefazione in lettere maiuscole in triangulo, pongono i cognomi, pronomi e agnomi loro, che si hanno mendicati dagli antichi per parer dotti e persone rare. Anzi quelli che il battesimo ha dati loro, per rinnegarlo bene e parere in ogni modo che possono di non esser cristiani, vanno mutando e stroppiando; e si chiameranno, verbigrazia, se uno ara nome Giovanni lano, se Domenico Domizio, se Luca Lucio, se Pietro Pierio o Petreo, se Tommaso Tamira o Tamisio. Al signore
a chi scrivono diranno Mecenate, o Varr, e cos gli
faranno un presente del quale non crederanno avere ricompensa, se si desse loro tutti i Vescovadi del mondo. Alcuni saranno che una qualche loro operetta fatta mille anni innanzi a diversissimo fine, o vero mutatis mutaiidis, volteranno a questo, o vero
lasceranno pure star cos, e faranno scrivere in lettera formata con le main>'^^ip'+tp d'oro, o di azzurro
CONTEA
lita e
POETI
15
da bene
la intitoleranno,
come ha
fatto l'Al-
ha
intito-
lato a sette o otto persone ad un tratto. E in fin di essa diranno a quel tale: o et pi'aesidium et dulce decus itievM; con adulazioni per dentro impudentissime, da metterli issofatto sopra una schiavina. Ma che di-
remo della boria del fare stampare? Pu essere maggior vanit al monJb di questa? Non ha prima uno messo insieme cinquanta sillabe, che si consu-
ma
d'andare,
in verga, ed esdi
Roma
o per le scale
Palazzo,
cima d'un baquando stone, allegando il detto di quella bestia pazza di Persio arciduca de' pedanti che bella cosa esser mostro a dito, e che si dica: il tale ito in istampa;
cappella o concistorio, in
;
credendosi cos dovere essere immortali. Berni. Voi mi fate ridere, Sanga; che e' pare che
vi siate
fermo sopra
la
che vi eravate prima messo a contare. Sanga. Non dubitate: questa stata un poco di evagazione per imitar loro, quando saltano di palo in frasca, sendo in su il pi bello di raccontare una cosa, e il tempo non ci fugge. Dove eravamo noi?
Berni. Circa alle cose della religione nostra, a pro-
ed avevamo detto padre e la madre. Sanga, Bene sta; dopo quello ne viene che non si ammazzi, ove in verit per ora non mi soccorre esempio di omicidio attuale di alcun poeta. Ma voi sapete, che le cose della sacra Scrittura hanno pi sensi, e
:
16
DIALOGO
particolarmente intendono la morte degli uomini in due modi, l'uno per quella del corpo secondo il senso
litterale; l'altro per quella dell'anima
secondo
:
lo
allegorico.
Ute timere
Onde par che quel detto evangelico noeos qui occidmit corpus, animam miteni non
:
])ossmit interflcere
sti sia
che ammazzano l'anima solamente, e da quemassime da guardarsi: e chi dir che e' non
zano e cavano altrui l' Avete visto di sopra abbondantissimamente questo essersi provato per lo esempio mio, della cui disposizione il viso vi ha fatto testimonio, e voi ancora, sendo della opinione che sete centra di loro,
trino.
so che
delle mali-
ne voglio a credenza vi so dire che e' son persone graziose ed attrattive da far l'amor con loro. Sanga. Dio grazia, in confirmazione di questo, se ogni altra cosa ci mancasse, essi medesimi non mi lasceranno mentire. Voi vi ricordate bene in quanti luoghi Catullo, che un di loro Satrapi, te li ritrova come asini, chiamandoli ora saecU incommoda; ora dolendosi d'uno amico, che li avea dato a leggere non so che libro d' un poeta, il quale dice d' esser pieno di veleno, e di pestilenzia. Orazio ancora, che fa la poetica, e par che li piaccia tanto, fa una satira intera centra uno di questi traditori, che una volta se li messe attorno a recitare versi e alla fine si vendica con dire che passando per corte Savella Dio r aiut, che uscirno fuori non so che sbiri-i '
Bern. Pensate che
: ;
CONTRA
messero colui
tutto
il
POETI
in prigione:
resto,
uno a questi
Beriii.
compassione che
li
fu
La
piacquemi mirabil-
mente: cosi l'avessero messo nella secreta, e datoli li meritava assai pi innocenti. Egli, chi potesse altri meschini che quelli dere, ha fatto morir d'affanno a' suoi d cinquanta persone, recitando versi. Ha che pi bella prova
dieci tratti di corda, che forse
Non dicono
Cielo,
eglino che
e'
versi
possono tirar
e far mille
la
luna dal
cavar
di
li
spiriti delle
sepulture, tramutare
un campo
biada ad un altro,
che sorta di veleno ci bisogna? Per Dio io credo che n l'arsenico, n il nappello, ne le cantarelle, n la polvere del diamante, n l'argento vivo, n il menstruo delle donne sia di tanta malignit, quanto sono i
versi,
che fanno
fin
si
con lamentava perch si era secco, dicendo che uno epigramma traditore, che gli
il
quale
me
sogliono per
del buon vivere mandar bandi che non si porti arme sulla terra, io )glio mandarli non si mostrino versi: e sopracci costituire uq bargello particulnre, che non attenda l'I altro d e notte, clie andar per la terra cercando maniche e il seno a' poeti per li versi come si fa delle arme: e tutti, quanti ne trova in fallo, tanti ne meni in prigione, dia la corda, e l' impicchi ancora.
quiete e
mantenimento
e proibizioni
Bernl.
Parie
T.
18
DIALOGO
E se pur non uscir co.^ al primo a far questo per non parere al vulgo ( che non sa quante giuste cause
arci di farlo) troppo crudele,
e far leggi, che
dai cristiani
come i Giudei per esser segnalati come gente infame e odiosa, portano le
il
berrette gialle o
e'
poeti por-
ch
se
li
la
lasciare accostare.
banda bianca, come gli ammorbati; e pi credo che farci una inquisizione particulare sopra i poeti, come si fa degli eretici, o de' marrani in Spagna: e sappiate che saria necessario, perch l'uomo non sa oramai pi da chi aversi a
Berni. Io dico la
guardare.
hanno cominciato andare in maschera, e dove prima solevano portare abiti da pedanti e da filosofi con le maniche lunghe, e con la berretta da una piega, o da prete, adesso vanno vestiti da uomo, e hanno cappe alla Spagnuola bigheassassinare altrui,
rate di velluto, e frappate, e mille gentilezze. Voi
gno
zer.
e galante: e darete in
Or
dell'
omicidio de'
non abbastanza: pur basti che si sappi che sono ammazzatori d'uomini. Che siano anche ladri, non ne voglio altro testimonio che da loro stessi. Essi si tengono a gloria il rubare, e lo portano per impresa, dicendo che chi non ruba non pu essere buon poeta. Non mica che rubino cappe, n altro robe (il che credo per che sia non per coscienza, ma perch son da poco e poltroni, e sanno che se
f ussero
un
CONTI? A
stonate),
all'altro.
por TI
l'
19
ma rubano
uno
cosi anche
da credere che questi togliessero da altri, perch dicono che niente si pu dire che non sia stato detto prima. Venghisi poi ai nostri dolcissimi; che per Dio grazia, ci che scrivono, o sono (come essi chiamano) centoni, cio cose d'altri rappezzate e cucite insieme, o se pur sono di lor testa, son cose che non ne mangerebbono i cani; acciocch sappiate che li poeti de 'tempi nostri son qualche cosa peggio che non furono gli antichi. Ecco adunque che i poeti son ladri. Quid voUs videUir? Smiga. Fussi io cosi lor giudice, come sono accusatore vi so dire che non sariamo adesso in questa disputa, n mi domandereste il parer mio: che vi arei gi risposto con gli effetti.
e'
,
Marco. Ol.
Sanga. Giovanni; o Giovanni,. Giovanni!
Giovanni.
Sanga.
occhi;
porta: tu
mai fa' altro che dormire. Vedi chi batte non odi?
Giovanni.
Eh
Berni?
t, dice
monsignore
che vi dia queste lettere, e li parliate poi stasera. Berni. T su quest'altra maladizione. O Dio, dam-
mi pazienzia! Or non
vi par,
20
fratelli carnali de'
D T A I- o a o
poeti?
'l'
(|ua
vedi se
manca
lor
faccenda che vengono a turbar la quiete mia, scrivendo al Datario senza proposito per intratteni-
mento. uno che si scusa e pregalo che gli perdoni, se non gli ha scritto da otto d in qua che stato occupato e promette di ristorar per l' avvenire. Si trova pure alcuna sorta d'uomini, che potevan fare senza essere, anzi ariano fatto m^olto bene a non essere, perch son molesti a s e ad altri: certi fastidiosi scioperati, che credono acquistar ben della grazia de' Signori quanto pi li molestano e fastidiscono con quelle cortigianerie magre; una seconda specie di quelli che vengono a fare il coram vohis, e bella la stanza con le lor presenzie pontificali, credendo fare un gran piacere altrui e che si
, ;
,
si
ca-
che
si
bisogna fare quistione con loro per ispiccarseli dalle spalle; e se alcuna volta mancano, fanno anche la scusa di non vi essere stati molesti, s che e' non possibile usar la libert che Dio ne ha data: e molti sono che a tuo dispetto vogliono che tu li conosca, e ti salutano, e si mettono a ragionar teco per forza.
compagnare,
Sanga.
Grande
umana
che simili animali si trovino al mondo. Ci parer poi gran fatto che la natura abbi produtto le mosche, e le pulci, e le cimici, e le bisce; quasi questi
pii fastidiosi e
dispettosi di quelle.
Berni. Sappiate che anche monsignore ha poca faccenda, e credo che il facci per fare rinnegare la
spacciandoli per
il
generale
come meritano
non
CONTEA
gli
POETI
le risposte
12
a far
peggio
piglieriano partito
,
ben
,
presto.
Ma
ben sa-
pete che
sendo prosontiiosi naturalmente la prosunzione si mette volontieri ove trova buona stanza. Marco. Ors, compare, a Dio. che tu mi hai BeTii. Vatti con Dio a tua posta
,
dato
il
mio
resto.
Ma che colpa ci ho io, compare? Bemi. Nessuna: non mi tor la testa anche mi faresti far qualche pazzia. Marco. Ah, compar, tu hai il torto. Sanga. Compare, non te ne andare ancora
Marco.
tu,
che
sta'
un
el
severe sta
non
so; ancora
non ne son
ti
risoluto.
pare
di
questi
poeti?
smarrivuo
man guard
coni
E che credi tu che cerchino? Giovanni. A crez mi chi vagati fazand dal mal
,
e
i
ro-
band
de
sort, signor
me
atei
rorfipro
im zorne
Sanga.
ni
Tu non mi
potresti fare
il
maggior piacere
mondo.
Bernl,
Ammazzane uno,
e pagati.
22
(xiomnni.
ve servir ?
DIALOGO
Mo
lag
,
pw far
che
cita
E savi
V ammazaro
con un sckioppet,
Giti in
campe.
Marco. Oim, compari, che questo che avete confar ammazzare? Or non i poeti, che li volete sono eglino persone dotte ? Non fanno que' bei versi divini? Come? Che cosa questa? Berni. Sono, e fanno il malanno, che Dio dia loro, e presso che non dissi a te ancora. Tu vai cercando
Marco. Dio mi aiuti! perch capiter io male? Berni. Perch tu vuoi difendere e' poeti. Marco. Io voglio difendere la verit. Or
non
sail
mondo ?
Saoifja.
Contamene un che
glie le dia.
sempre una bestia, e empre sarai. Berni. Lasciate, che egli ha allegato il testimonio dice che i poeti medesimi si lodano. di san Gennaro non avete letto Ovidio massime in Marco. S quella elegia che fa della morte di Tibullo, ed esso
fusti
;
:
Tu
Tibullo?
Sanga. S
;
quando
,
e'
che le Muse e Apollo son d' oro e di seta; sciagurato, che si doverla vergognare! Berni. Io aspettavo che egli allegasse il Donatello., perch comincia l'opera sua ^^Voeta, qtwi pars est?
donne, che dice
Marco.
poeti?
Tullio pr Ardila poeta, che difende cos gagliardamente quell'uomo da bene, laudando l'arte sua, e dicendone tante belle cose?
CONTEA
quella orazione, poich
di
POETI
23
non
ti
la debbi
aver letta
non
prima cosa ch'ei fa, si scusa d' avere a dir contra la opinione sua in laude della poetica; pure che per uno amico convien far cosi. Poi bon da crederli cosa che dica, come se quelli
M.
Tullio, e
che
la
che fanno orazioni fussero evangelisti, e non dicesil fatto loro: e che esso
Tullio
M.
vanta in molti luoghi d'aver messo il cervello a partito ai giudici con le paroline sue, e datoli ad intendere una cosa per un'altra? Vedi
si
non
quel che
e'
dice poi a
,
sangue freddo
;
quando sta
in cervello
di
questa canaglia
se in moltissimi
,
luoghi non
studio loro
dileggia
duce il testimonio di quell'uomo da beue, M. Catone, che butt in occhio e riprese, come di cosa malissimo fatta, un M. Fulvio che aveva menato seco in Etolia un poeta; e chi? forse che fu un qualche
guattero
Fu
saria il Siculo o un altro deserto ? per Ennio, che, quanto patisce quella maladetta
,
come
un pezzo
,
poi che
il
si
alli
uomini
crebbe
si
Ma quando
trovano
non
infiniti
mondo ?
e che cicalano
come
tu non credi
essere
non possibile che la verit dopo essere stata un pezzo occulta venga in luce e
di quelli?
=;i
uno
ritrovi?
Marco.
S,
che
p.s 'libile.
24
Swtiga.
DIALOGO
Or questo
;
il
sia stato
bestia, e
alle
e domandane Platone. Ma tu che se' una non sai che cosa sia poesia, te ne vai preso grida, e credi che sia una gran cosa mettere
gli
insieme cinquanta sillabe che stordischino altrui orecchi: e sappi che non niente.
;
Marco. Or io v'intendo voi volete parer cima d'uomostrando di mini con questa nuova invenzione sentire altrimenti di quel che sente tutto il mondo, e la e far il grande. Chi dicesse a voi che i versi poetica vi son stati buon mezzi a farvi conoscere
,
mi parerla
il
,
di esserne
tenuto a re-
Tu
uomini da bene che ci amano di poco iudicio a credere che la grazia che avemo con loro proceda da questo. Ma saria gran fatto che come Dinocrate poi che ebbe un pezzo stracco le porte d' Alessandro Magno
padrone, e gli
altri
, ,
li
mai impetrarlo,
si
d'esser pazzo, e vestitosi da Ercule con la pelle del leone, e con la clava,
fece far largo, e con quella
Non
,
sai tu
che que-
medesime
bestie confessano
che sWtitarii
summa
est?
Berni. Deh scempio, egli peccato a parlar teco! Acci che tu veda che non si cicala a caso come fai tu, vion qu: provami, non dico che i poeti non abbino
COLTRA
POETI
(che questo
25
si
sa, e se tu fussi venuto un poco prima, ne aresti sentito contare qualcuna), ma che ne facessero mai una buona. Marco. Come? Non si dice che Anflone col suon della sua lira senza opera umana edific le mura di Tebe? Sanga. Ah! ah! vedi se 1 furor divino lavora. Compare tu debbi anche tu esser mezzo poeta o vero tu hai bevuto un poco. Come ti se' abbattuto a ricordare Anflone che poco fa l' abbiamo concio per le feste. Or sappi che Anfione non fu poeta, ed vero che fece le mura di Tebe, perch fu muratore.
,
Marco.
Sanga.
sta
E E
quel
ti
dico.
il malanno che Dio li dia. TriTebe se non fussero stati i maestri e manovali Sanga. Ben sapete, Berni, che se si presuppongono e l'annosi lor buoni i trovati e favole che e' fingono, che da uno inconveniente ne seguitano molti. Ma levateli le prosopopeie e la nebbia, con che adoprano e corrompono le cose, e cercate la verit; vedrete
che resteranno bestie. Marco. Oh! Orfeo, che fu poeta teologo, non si dice che con la dolcezza de' suoi versi cav la moglie dell'inferno, mosse le fiere, e i monti, e i fiumi, ei sassi? che costoro vogliono che per allegoria significhi, che la poesia ha tanta forza che muove a meraviglia gli
uomini grossi, e li fa disciplinabili e colti. Berni. Mades; di qui nasce che alli balordi e castroni solamente piaceno li poeti: gli uomini da bene, che hanno ingegno, non li possono patir di
vedere.
26 Sanga. Per
DIALOGO
non fusse per non parere pazzo come loro, e' mi fanno venir tate, se
i
mia
poeta, idest
sassi
con altro che con le viole e c'oi liuti, si possano e forse che si tireria altro che sassi. Ha trovato costui che Orfeo tirava a s i sassi, e che era teologo credi che la teologia stessi fresca nelle mani sue? che ti dovresti vergognare fece hene un fine quella bestia, da prosumere che fusse teologo, se vero , secondo la fede nostra, che chi ben vive ben muore. Marco. E che fin fece?
:
il
resto
che cosa fu? Sanga. Fu sbranato e squartato dalle donne: e quanta ragion n'ebbero, che il traditore trov quella bella invenzione che voi sapete. Berm. Si, questo ci rest a dire dei poeti, quando che avevamo a punto finito di dire costui venne
Marco.
,
Ma
al
settimo
ove
si
proibisce l'adulterio.
Sanga.
Non
di
questo
assecuro
e invero
non
la
figliuoli
come lasciano
star le
donne
d' altri
ci
hanno ben
provvisto, vi so dire.
Bernl. Voi avete, Sanga, tocco
il
bel
punto adesso
fin
e'
con provar
che
fusse
Sanga. Ci
mancano
questa
ri-
CONTEA
baldi,
altri.
POETI
27
che erano ancora pi impii e scellerati che li Cominciamo un poco da Omero, che fu il primo
ad aprir la via a quest' altre bestie. Lasciamo stare che fusse cieco il tempo della vita sua, e mendicasse il pane cantando in banca, come il conte Otse voleva vivere alla fine mor disperato e tavio
,
:
crep per non aver potuto solvere lo enigma de' pidocchi. A Lino che anche lui fu maestro in teolo,
gia,
di cantare in
banca
oche non avesse egli avesse stizza d'altro, o che colui buona voce, o che si fusse, ad Ercole mont la mosca, e prese la ribeca con che ei cantava, e ne gli fece una scuffia cos piacevole, che con essa lo mand a dormire, di sorta che non si svegli mai pi. A
come
Esiodo , che vide le Muse in carne e in ossa , una volta per mutar cibo venne voglia de' fichi fiori ; e dove gli altri poeti sogliono guardarsene come dal
fuoco,
una certa poco pratico, seppe s donna, con la quale, come ben governarsi che la sdegn; e fece si che contra il costume delle donne non solo non volse mai confantasia se gli tocc di
non so che
sentire,
fecelo
ma
lo
disse
ai
fratelli
e parenti suoi, e
ammazzare una
sera.
quella
bestiaccia
d'Empedocle, che andava in zoccoli per l'asciutto, venne un altro capriccio di diventar Dio prese una
:
e cos
mor
che fu magnato dai cani. Anacreonte forse che un fatto d'arme, o in qualche gloriosa impresa? Magnando dell'uva passa, un acino se gli
in
tempo
della vita
38
DIALOGO
e Pagliari
, ,
perche li era stato che si guardasse da una cosa che gli doveva cadere in testa, e per questo non voleva a3itare in case murate, alla fine un d che andava passeggiando per un prato, e forse componeva versi una aquila che portava una tartaruga per aere la lasci cascare, e abbattessi a darli in su
detto dall' oraculo
,
la testa, e
^ie
la fracass di sorte
un altro ghiotto che attendeva a dir male di questo e di quello, come suol fare la pi parte di questa canagl a quando si
pi n versi n altro. Eupolis,
muor
di
fame
non
le
si
sa aiutare altrimenti,
un d mare che
:
mani! Un altro sgraziato che mangiava in tinello d'Alessandro Magno, e chiamavasi Cherilo, per parer che quel pane non fusse in tutto perduto, fece non so che Veneziade in laude sua; e un giorno, recitandogliela a suo dispetto gi per un fiume, Alessandro stomacato per la disonest delle buge che ci erano dentro, prima gli strapp il libro di mano e lo gitt in acqua, poi caric lui di pugna e ce lo mand drieto a capo di sotto. Quel Gallo, compar di Virgilio, per quello amorazzo che scrive nell'ultima egloga, perse il cervello eli venne appetito di diventar Bruto fece non so che coniurazione contra il principe, onde capit male. Lucrezio per le sue buone opere, che fece contro alla religione, prima impazz, poi si ammazz da s stesso. Lucano, sapete che Nerone li dette la stretta, che
benedette gli sian
:
mai altra buona opera a' d suoi; e beati noi, se come seg le vene a Seneca vecchio, cos avesse segata la gola anche al nipote, a Silio Ita-
non
fece
lico,
CONTEA
POETI
29
poi il mondo di veleno. Di Ovidio dicemmo di sopra che mor di freddo in quel paese. Quell'altra pecorn favorita de'pedanti di luvenale, anch'egli ebbe bando del capo, e fece una morte simile. Di quelli che son
stati ai d nostri ci
Il
non
cre-
come un
chiamato Cecina. Il aiuzzarello per li suoi buon portamenti fu buttato in un pozzo insieme con la sua mula e il garzone n mai pi si vide. Messer Marco Cavallo poco pi d'uno anno che contraffece Catone Uticense, perch
iu quel di Pisa,
un fiume che
aveva il cognome suo, e chiar il mondo del cervello che si ritrovano i poeti. Dire, che il Postumo ammonito lungo tempo dalla febbre quartana che faceva male a far versi, e alla fine come miscredente fu ammazzato da essa, impertinente. E lungo saria raccontare l'infelice fine della maggior parte di in loro basta che conosciate per questi esempj che grazia siano appresso Dio gli uomini di questa
:
Or va adesso, compare, e difendi e' poeti impara a far versi. Marco. Voi m'avete mezzo sbigottito oh possibile che siate cos inimici di tutti generalmente?
professione.
va,
;
:
Scinga.
Di
tutti.
Marco. Di tutti?
Sanga. Messer
s,
di tutti.
Marco.
Sanga.
:
Non
ve ne dispiace
sai
men uno
che un altro?
com'ella ? nessuno me ne piace pur per far piacere a te , se vuoi eh' io dica quel che ne sento, il dir. E' poeti mi paiono quella sorte d'animali che disse il Piovano Arlotto nella sua predica che non erano buoni se non morti o
Compare,
So
DTA
T.
GO
;
questi erano i porcL I poeti sono come i porci se pur mi piaceno, non mi piaceno e non morti: per
vorrei che fussino tutti morti.
Marco.
stra,
Oh
del
Bembo,
Sanga.
altri dell'Aca
ho io detto che tu fosti sempre unn sempre sarai? Or se' tu cos matto, che tu pensi ch'io chiami poeta chiunque fa versi? e ch'io metta questi uomini da bene, che hai raccontato, e
ti
Non
bestia, e
molti altri amici miei in conto e in dozzina di poeti? Io non chiamo poeta, e non danno, se non chi fa versi
tristi
si
non
buono ad
altro.
Que-
quando
;
vogliono. Essi
pur han fatto qualche cosa ai suoi di, mostrare al mondo che oltre alle opere virtuose, che appartiene a far ad uomo, non im^^ pertinente con qualche cosa, che abbi men del grave, recrearsi un poco e che sanno anche far delle bagattelle per passar tempo. Anzi dir che quelli pochi versi che han fatto, han fatto per mostrare a quepoeta
e se
stato per
sti
stentano e sudono e
Grio.
mordono
,
le
mani facendo.
Mo
messer Marche
Marco. T su quest'altro
a te?
poeti
Sanga. Compare, la verit troppo potente credi, che non senza causa ha messo a costui nell' animo
:
questa impressione.
COXTTA
POTI
,
3l
Mafco.
Berni.
E
Il
clie
hai fatto
ie
An-
luille e le
compare e confessai che era stato poeta, rendendomene in colpa come dolente e pentito e proponendo a essere alprima
elie
tu venissi
il
ridico
adesso,
non credere che abbi durata una fatica al mondo, perch mi son venute fatte) si debbono chiamare poesia, da ora io le rinunzio ma non le tengo per tali, perch con esse non ho fatto quel
di' (nelle
;
d' acquistarsi
nemico ognuno. Anzi pi tosto credo esser voluto mal da qualcuno che ara voluto verbigrazia , che
,
gli dia le
r ar potuto dare cos presto, e va' discorrendo. Pure se anche per questo debbo esser detto poeta, io rinunzio al nome; e se da mo innanzi, compare, tu trovi ch'io faccia mai pi versi (se non comandato da chi pu sforzarmi), di' ch'io sia un can traglie
ditore.
ho detto e ridico io. io ho paura che se i poetj risanno queste cose che voi dite di loro, sendo tanti e s maladetti, vi si metteranno attorno con li versi
Sauga. Altrettanto
e vi
faranno una schiavina. Berni. Eh , compare, semo stati poeti ancora noi
e
possono fare
e'
poeti
Ne
Sanga.
Oh
la
bench
maggior difesa
tanti asini
mi gridassero
non
di
meno
per
32
trattarli
D lyM. o
ri
bastonate il dir male, e la maggior vendetta che usino questa, vi do la fede mia, che se gli tanta
lia
ne dar
delle
far
lor
conoscere se
quando voglio ancor io son poeta, e armato medesime armi che essi minacciono.
Berni. Egli vero che
e'
,
son maligni e traditori non di meno sono anche poltroni e da poco come dicemmo di sopra; e non credo che saranno cos pazzi, che intendendo per quante vive ragioni questa opinione della tristizia e dappocaggine lor sia
;
rarci
verit, che
latti, e
le
parole
si
viene
ai
come si castigano i discredenti. Nondimeno, compare se e' non fussero ancora ben chiari tu che sai se ancor io mi trovo la mia parte della lingua quando ci metto mano, guadagnati un par di
,
calze; va', di' loro da parte nostra, che venghino via, che noi stiamo paratissimi soli, senza altro aiuto, a difendere la verit, e mantenerli quel che si detto
qui
che
li
la pi trista, la pi sciagurata
Marco. Questa senseria non voglio far io, compare, che non ho bisogno di rilevare, o dall' una parte o dall'altra, qualche bastonata. Pi tosto voglio esser con voi a dirne male e averli per inimici che ad ogni modo mi pare abbiate mille ragioni, e dichiate
,
pi che
'1
vero, che
e'
Dio
compari.
G?'ov.
sti
messer Marche,
ben :
mo sappia che
potete son
mala
zente.
CONTEA
lasciate stare
POETI
i
33
dui ultimi
;
perch
comandamenti: e si contengono
;
pu
medesima, e quante volte aprono la bocca, tante mentino per la gola. E se quelli che ministrano la giustizia facessero il debito loro, che che , voi trovereste in ponte un poeta immitriato un altro scopato un altro suggellato chi col naso mozzo; chi senza orecchi, tutti per testimoni falsi.
dire sieno la falsit
;
;
Poi seguiteriano
li
cinque
Ma
ci
bugie.
glio che
se
non
ci
sar
resto.
Buona
notte.
Bem'.
Parte
I-
RIME
in
IL
IN
LASCA
LODE
DI MESSER.
FRANCESCO BERNI
voi, ch'avete
non gi rozzo o
il
vile.
Ma
delicato e generoso
core.
tanto e tanto
Muse
favore.
Che primo
E seppe
ben dire e fare Insieme colla penna e col cervello. Che invidiar si pu, non gi imitare.
in quello si
sia chi
Non
mi
ragioni di Burchiello,
Che
saria proprio
come comparare
Caron Demonio all'Agnol Gabriello. Leggete, questo '1 bello. Quanti mai fece versi interi e rotti, Tutti son belli, sdrucciolanti e dotti;
fi
Che a leggergli ne va
la
marcia spalla.
Chi non ha di farfalla, Ovver d'oca il cervello, o d'assiuolo. Vedr eh' io dico il vero, e ch'egli solo. E mentre al nostro polo
Intorno gireranno
Fia sempre
il
il
carro e
'1
corno,
nome suo
di gloria adorno.
IL
LASCA
CHI LEGGE
01,
il
suono
Berni divino
Udite ne la
fin
Quanti mai fur Poeti al mondo e sono Volete in Greco, in Ebreo o in Latino,
petto a lui
E con un
Che ve
Tant' dotto, faceto, bello e buono. stil senz'arte, puro e piano. Apre i concetti suoi s gentilmente.
li
Non
Toscano, Unquanco, guari, mai sempre e sovente. Che pi ? da lui si sente Anzi s'impara con gioia infinita
Come
viver
si
debbe in questa
vita.
40
IL
BERNI
IN
NOME
DI M. PRINZI VALLE
Da PONTREMOLI
buone persone. Che costui ch'ha composto questa Non persona punto ambiziosa, Ed ha dirieto la riputazione.
01 avete a saper,
cosa,
L'aveva fatta a sua soddisfazione. Non come questi Autor di versi e prosa. Che per far la memoria lor famosa, Voglion andar in stampa a processione: Ma perch ognun gli rompeva la testa,
me
'1
presta
se gliel dava,
mai non
fatti
lo rendeva.
pochi avanzi
dinanzi.
ognun
venutogli innanzi
Un
41
IL
IN
LASCA
HI
brama
di fuggir
malinconia.
Chi vuol cacciar da s la gelosia, martel d' amore , come diciam noi Legga di grazia quest'opera mia. Che gli empir d' ogni dolcezza il core Perch qui dentro non ciarla e non gracchia
, ;
11
Bemho Merlo
'1
Petrarca Cornacchia.
s'allor
non
Mi conveniva impazzare
e stordire:
i
Frati
non
morti.
42
se pi volte guastai la
Io
Quaresima
me
Perch'ella sempre
una cosa medesima, Se ne fa s per tutto buon mercato. Ma or per non tenervi troppo a ere sima
Chi vuol viver allegro in ogni stato. Senza imparare o cercare altre vie,
le
rime mie.
pi degni eroi.
Che nominar con laude m'apparecchio, La Peste ricordar, la qual fra voi
'1
vin vecchio
al
Ferravecchio;
Ma
M. Pmizivalle da PontremoU,
iS
CAPITOLI
I.
VERONESE
DITE, Fracastoro, un caso strano.
Era
ito
Degno di riso e di compassione, Che l'altr' ier mi 'ntervenne a Povigliano. Monsignor di Verona mio Padrone, quivi accompagnare un frate
,
Con un branco
di bestie e di persone.
Fu
a' sette
E non bastavon
Se ben tutte
Il
le
un
ser saccente
Venne a far riverenza a Monsignore, Dentro non so ma fuor tutto ridente Poi volto a me, per farmi un gran favore, Disse: stasera ne verrete meco, Che sarete alloggiati da signore.
,
;
44
CAPITOLI
vin, che fa vergogna al greco.
vi
r ho un
Con esso
Da far vedere un morto, andare un cieco. Fra tre persone arete quattro letti Bianchi, ben fatti, isprimacciati, e voglio
Che mi
Io
non soglio. di non dare. Come detti in malora, in uno scoglio. In^f di Dio, diss'egli, io n'ho a menare Alla mia casa almanco due di voi: Non mi vogliate questo torto fare.
Lo
licenziai,
che gioir di
temendo
Non
La sera dopo cena andando a spasso. Parlando Adamo, ed io, di varie cose.
Costui faceva a tutti il contrabbasso. Tutto Vergilio, e Omero c'espose.
Disse di voi, parl del Sanazzaro:
Nella bilancia tutti a due vi pose.
Non son,
Son bene
ben caro.
Un ceffo accomodato a far san Marco. Mai non volse levarcisi d'appresso.
Fin eh' a Adamo, e a
me
dette di piglio,
A lERONIMO PRACASTOKO
Era discosto pi d'un grosso miglio L'abitazion di questo prete pazzo, Contr'al qual non ci valse arte o consiglio. Io credetti trovar qualche palazzo
45
Quando Dio
volse, vi
in
giugnemmo
alfine.
Entrammo
Convenne
Dove
aria rotto
il
Salita quella, ci
trovammo
in sala.
Che non era. Dio grazia, ammattonata, Onde il fumo di sotto in essa esala. Io stava come l'uom, che pensa e guata Quel ch'egli ha fatto, e quel che far conviene. Poich gli stata data una canata. Noi non l'abbiamo. Adamo, intesa bene.
Questa
la casa, dicev'io, dell'Orco:
Una
Era dipinta a olio e non a fresco Voglion certi dottor dir ch'ella fusse Coperta gi d'un qualche barberesco. Poi fu mantello almanco di tre usse.
Poi fu schiavina, e forse anche spalliera,
si
ridusse.
46
eA P
TO
1.
E d
dissi,
a dormire?
meco
il
la signoria vostra
'1
Rispose
sere, io ve
;
far sentire.
Io gli vo dietro
il buon prete mi mostra La stanza eh' egli usava per granaio Dove i topi facevano una giostra. Vi sarebbe sudato un di gennaio.
la
semenza,
'1
'1
pagliaio.
Eravi
un
Un
Dove
Tre mazzi
Quivi
ci
E E
io
un
capezzale.
Datemi ber eh' io mi muoio di sete. Ecco apparir di subito un bicchiere. Che s'era cresimato allora allora, Sudava tutto, p non potea sedere:
A lERONlMO FRACASTORO
Pareva il vino una minestra mora; Vo' morir, clii lo mette in una cesta. Se 'n capo all'anno non vel trova ancora. Non deste voi bevanda si molesta
4'
il
morbo
o le petecchie
ladra e disonesta.
Vidi posto
un
lettuccio, anzi
un
canile;
E
Il
Le lenzuola
Come fortuna va cangiando stile. Era corto il canil, misero e stretto, Pure a coprirlo tutto, due famigli Sudaron tre camicie ed un farsetto; E v'adopraron le zanne e gli artigli.
Tanto tirar que' poveri lenzuoli. Che pure a mezzo alfin fecion venigli. Egli eran bianch come due paioli. Smaltati di marzocchi alla divisa: Parevon cotti in broda di fagioli.
La
Fra Cosa nessuna non era divisa. Qual colui , che a perder va la vita Che s'intrattiene, e mette tempo in mezzo, E pensa, e guarda pur s'altri l'aita;
Tal io schifando a quell'orrendo lezzo;
Pur fu forza il gran calice inghiottirsi E cos mi trovai nel letto al rezzo. Muse, Febo, o Bacco, o Agatirsi,
Correte qua, che cosa
s
crudele
dirsi.
, ,
48
CAPITOLI
le dure mie querele. Raccontate l'abisso, che s'aperse. Poi che furon levate le candele. Non men tanta gente in Grecia Serse, N tanto il popol fu de' Mirmidoni Quanto sopra di me se ne scoperse; Una turba crudel di cimicioni. Dalla qual poveretto io mi schermia. Alternando a me stesso i mostaccioni. Altra rissa, altra zuffa era la mia. Di quella tua che tu, Properzio, scrivi Io non so in qual del secondo elegia. Altro che la tua Cintia avev' io quivi Era un torso di pera diventato, un di questi bachi mezzi vivi, Che di formiche addosso abbia un mercato: Tante bocche mi avevan, tanti denti Trafitto, morso, punto e scorticato. Credo che v'era ancor dell'altre genti.
"
Narrate voi
animose e
valenti.
ma
usava
il
naso
conoscer
le
E come
fece colle
man Tommaso,
io
mi certificai. Che r immaginazion non facea caso. Dio vel dica per me, s' io dormii mai
Cosi con quello
:
riscaldarsi
marinai.
rotte.
Scotendo d'Ischia
grotte.
A lEROKIMO FRACASTORO
Notate qui eh" io metto quest'esempio
4^
Levato
dall' Ene'da di
peso,
E non
un scempio
Perch mi han
Un
Il
Che
Ma
lasciam
ero*
Eran nel palco certe assaccie fesse Sopra la testa mia fra trave e trave. Onde calcina parca che cadesse:
Aresti detto che le fussin fave.
Il
il fumo che quivi si stillava Passando agli occhi miei faceva motto. Un )amhino era in culla che gridava E una donna vecchia che tossiva, E talor per dolcezza bestemmiava. Se a corteggiarmi un pipistrel veniva, E a far la mattinata una civetta. La festa mia del tutto si forniva;
Onde
Bella quale io
non credo avervi detta La millesima parte, e poi ci quella Del mio compagno ch'ebbe anch' ei la
stretta.
Mi
Io diventava
il
venerabil Beda,
He
l'epitaffio
Berni
Porte
50
CAPITOLI
Mi levai ch'io pareva una lampreda, Un'eutropia fine, una murena: E chi non me '1 vuol creder non me '1 creda. Di buchi aveva la persona piena: Era di macchie rosse tutto tinto; Pareva proprio una notte serena. Se avete visto un san Giulian dipinto Uscir di un pozzo fuor fino al bellico,
D'aspidi sordi e d'altre serpi cinto;
un san Giob in qualche muro antico, E se non basta antico, anche moderno,
sant'Anton battuto dal nemico;
Tale avevan di
me
fatto
governo
Io vi scongiuro, se voi
mai venite
un
servizial d'inchiostro.
V/VAyxA.-'V
u
IL
DELLA PESTE
,on
ti
S'io
non volevo
Che non la pu capire ogni scodella. Cominciano i poeti dalla destra Parte dell'anno, e fanno venir fuori
Un
elementi,
Che
conventi.
a dieci, a venti
Non
pi a due a due,
il
ma
si
Fanno che
pover asin
alle
dispera
Ragliando dietro
'tt2
CAP
Altri
hanno detto, che g-li me' la state. Perch pi s'avvicina la certezza, Ond' abbino a sfamarsi le brigate:
il
Si batte
gran,
si si
veggono indolcire
Che non si pu cos per poco dire; Son quei d lunghi, che par che s'intenda
Per discrezion, che l'uom debba dormire. Tempo ha di farla almen, chi ha faccenda: Chi non ha sonno, faccenda o pensieri, Per non peccare in ozio, va a merenda:
si
reca dinanzi
al
un
tavolieri
Incontro
Che apparecchia
le
Ha
Che
Paia de' versi miei forse il construtto. Dico che questi tal voglion maturo Il frutto, e non in erba, avere in pugno.
Non in aria l'ucccl, ch' pi sicuro; Per lodan l'ottobre pi che '1 giugno. Pi che '1 maggio il settembre e con effetto Anch'io la lor sentenza non impugno. Non manonto ancor chi abbia detto Gran ben del verno, allegando ragioni:
:
Che
DELLA PESTE
Che
tutti gli auimali allor
38
son buoni
fassi
i
il
Quel che
Fino a quattr'ore, e cinque, e sei, e Adoprasi in quel tempo pi la teglia A far torte, e migliacci, ed erbolati.
sette.
tuo breviario
cuoci
il
Mentre che
Chi cuoco
ti
di' l'uflzio, e
bue,
come
sei tue,
Chi va con lo sparvier pigliando gruc. Chi imbotta il vin, chi la vinaccia strigne
mesi hanno sotto le lor feste, Com' ha fantasticato chi dipigne. Or piglia insieme tutte quante queste
Tutti
i
A paragon
N
vo'
N ch'io
Come
s'io fussi
un merlo
una ghiandaia.
Io ti voglio
empier
Dell'intelletto, anzi
che tu facci
fino all'orlo
54
CAPITOLI
Dico che sia settembre, o sia gennaio, altro, appetto a quel della moria,
Non bel tempo, che vaglia un danaio, E perch vegghi ch'io vo per la via, E dotti il tuo dover tutto in contanti,
Intendi molto ben la ragion mia.
Prima
ella
furfanti.
Come
K
fa
si fa
dell'oche l'Ognissanti.
di stento:
In chiesa
non
In su
'l
Non
si
Che non creditor, che ti molesti. Se pur ne vien qualcun, di' che tu hai Doglie di testa, e che ti senti al braccio: Colui va via senza voltarsi mai.
Se tu vai fuor, non hai chi ti dia impaccio. Anzi t' dato luogo, e fatto onore. Tanto pi se vestito sei di straccio.
Sei di te stesso e degli altri signore.
Vedi fare alle genti i pi strani atti. Ti pigli spasso dell'altrui timore.
Vivesi allor con nuove leggi e patti.
Tutti
i
Quasi lecito agli uomini esser matti. Buoni arrosti si mangiano e buon lessi; Quella nostra gran madre vacca antica Si manda via con taglie e bandi espressi
Sopra tutto si fugge la fatica Ond'io s^on schiavo alla peste in (-atena. mia mortai nemica. Che l'urta e l'altra
:
('
DELLA PEK TE
Vita scelta
Il
00
;
si fa,
chiara, e serena
tempo
si
'1
Tutto fra
S'hai qualche vecchio ricco tuo parente. Puoi disegnar di rimanergli erede.
Purch
gli
muoia
in casa
un solamente.
Ma
questo par che sia contro alla fede. Per sia detto per un^verbigrazia.
Che non
si
non
crede.
Di far pazzie la
natura
si sazia.
Perch 'n quel tempo. si serrau le scuole, Ch' a' putti esser non pu la maggior grazia, Fa ognun finalmente quel eh' e' vuole
:
Ch'esser
cara a tutto
il
mondo
suole.
Non
dubitar, se
ti
Trova ognun le sue cose ove le pone. La peste par ch'altrui la mente tocchi,
la rivolti
a Dio: vedi le
mura
Di san Bastian dipiute, e di san Rocchi. Essendo adunque ogni cosa sicura,
d' oro, e
quel celeste
Or
Se le tocchi con man, se le ti vanno. Conchiudi, e di', che tempo della peste
'1
'1
,,
5^
CAPITOLI
m.
DELLA PESTE
IL
Ancor non ho
io
maestro Piero,
N l'ho vestita dal d delle feste; Ed ho mezza paura, a dirti il vero. Ch'ella non si lamenti, come quella, Che non ha avuto il suo dovere intiero. Ell' bizzarra, e poi donna anch' ella: Sai tutte quante che natura eli' hanno
Cantai di
Voglion sempre aver piena la scodella. lei, come tu sai l' altr' anno
E com'ho
Per de'
fatti
man
del panno.
Non
vo', ch'ella
mi rompa pi
il
Pandora, canchero e
la febbre,
dolor fa ebbre,
Perch par loro aver con essa sdegno: Dicon; Se non s'apriva quel cotale. Non bisognava a noi pigliare il legno.
DELLA PESTE
Infln,
31
Fa che 1 mal bene, e '1 ben si chiama male. Quella Pandora un vocabol greco. Che in lingua nostra vuol dir tutt' i doni E costor gli hanno dato un senso bieco. Cosi son anche molte opinioni, Che piglian sempre a rovescio le cose: Tiran la briglia insieme, e dan di sproni. Piange un le doglie e le bolle franciose. Perch gli pazzo, e non ha ancor veduto
Quel, che gi messer Bin di lor compose.
Che tu arai quel mal, se non l' hai Non fu mai malattia senza ricetta.
La natura
l'
avuto.
ha
fatte tutt' a
due
il
,
bue,
la lepre e
;
lupo
r agnel
'1
cane
campane,
e dolce
il
mle,
E
Eli'
l'erbe virtuose, e le
il
mal sane;
candele,
ha trovato
buio e
le
E E
Vedi ben tu, che da lei non si cava Altro che ben, perch bont infinita.
Trov
la Peste,
perch bisognava;
Eravamo
non
si
trovava;
58
CAPITOLI
:
Tanto multiplicavano i furfanti Sai che nell'altro canto io messi questo Tra i primi effetti, della peste, santi.
Come
si
crea in
un corpo indigesto
umori
;
Per mangiar, per dormir, per istar desto E bisogna ir del corpo, e cacciar fuori Con riverenza, e tenersi rimondo,
Com'un
mondo.
feccia
mena.
Bisogna spesso risciacquare il fondo. E la natura, che si sente piena, Piglia una medicina di moria. Come di reubarbaro o di sena; E purga i mali umor per quella via Quel che' medici nostri chiaman crisi Credo ch'appunto quella cosa sia. E noi balordi facciam certi visi. Come si dice la peste 'n paese Ci lamentiam, che par che siamo uccisi Che doveremmo darle un tanto il mese.
:
Intrattenerla
com'un capitano,
i
Come
fan tutti
fiumi all'Oceano,
E r accoglienze
Che
tali
di vassallo
ognun
si fa
suo amico.
fratei carnali.
Ogni maluzzo furfante e mendico allor peste, o mal di quella sorte, Com'ogni uccel d'agosto beccatico.
, , , ,
DELLA PESTE
Se tu vuoi far le tue faccende corte Avendosi a morir, come tu sai, Muorti, maestro Pier, di questa morte.
59
Almanco intorno non arai notai Che ti vog'lin rogare il testamento. N la stampa volgar del Come stai; Che non al mondo il pi crudel tormento. La peste una prova, uno scandaglio. Che fa tornar gli amici a un per cento: Ka quel di lor, che fa del grano il vaglio Che quando eli' di quella d'oro in oro, Non vale inacetarsi, o mangiar aglio. AUor fanno gli amanti il fatto loro,
uom di sua parola, Quel che dicea: madonna, i' spasmo, i' moro. Che s'ella ammorba, ed ei la lasci sola, Se non si serra in conclave con lei,
Vedesi allor s'
Si vede ch'ei
Bisogna che
le
E son poi grazie date dagli Dei. Non muor chi muor di peste alla moderna;
Non Che
Son
si fa
ti
troppo spesa in
il
frati o preti.
cantino
requiem eterna.
gli altri
Cercano il corpo per tutte le bande. Costei va sempre a' luoghi pi segreti Come dir quei che copron le mutande O sotto il mento, o ver sotto le braccia, Perch' ell' vergognosa, e fa del grande. Non vuol che l' uom di lei la mostra faccia Guarda san Rocco com' egli dipinto Che per mostrar la Peste si sdilaccia.
,
:
60
sia che questo
CAPITOLI
male ha per
il
istinto
Ferir le
membra, ov'
la carne del
'1
vital vigore,
;
Ed
Il
O veramente
cuore
fegato, e
Questo problema debbi tu sapere. Che sei maestro, e 'ntenditi di carne. Pi che cuoco del mondo al mio parere.
,
E
Or
le
cognosci
li
Che chi lo vuol tirare inflno al tetto Ara faccenda pi eh' a dir l' uflzio Non hanno i frati di san Benedetto: Per qui di murar finir io.
,
Lasciando
il
lascioti ir,
maestro Piero mio, Con questo salutifero ricordo. Che la Peste un mal che manda Dio,
un
balordo.
IV.
IN
Tutte
le
Come
e francesclie.
poponi.
,, ,
,,
15?
G
:
piaccion
secche e fresche
Ma, s'io avessi a esser giudic'io. Le non hanno a far nulla colle pesche.
Queste son proprio secondo
Sasselo ognun, eh'
i'
il
cuor mio;
Che r ha
fatte
Buono innanzi,
nel
mezzo
e dietro
pasto,
Ma
pesche bene. Perch non ne facevan troppo guasto; Ma chi ha gusto fermamente tiene
Ch'
-elle sien le reine delle frutte
i ragni e le murene. menzion Margutte Fu perch' egli era veramente matto, E le malizie non sapeva tutte.
Non hanno
Come
de' pesci
non ne
fece
Chi assaggia
le
E non ne
Si
pu
dir
Come bisogna
Che non san delle cose ragionare. Le Pesche eran gi cibo da prelati. Ma perch a ognun piace i buon bocconi. Vogliono oggi le Pesche inflno ai frati Che fanno l'astinenzie e l'orazioni:
Cos intervenuto ancor dei Cardi,
Che
Queste
62
CAPITOLI
E
al giudizio
lo Pesche son buone, mio non acconsente,
C'hanno pi tempo,
E
Son
Piaccion ai vecchi, pi
le
altra gente.
Come
s'
Che non sa se s' morto e se si vive. Le pesche fanno un ammalato sano. Tengono altrui del corpo ben disposto, Son fatte proprio a benefizio umano;
Hanno
Com' hanno
E gli Ma non
altri
s'insegna a tutti
grossolani:
di
questo affanno.
Che
ce n' pure assai, che 'nsegneranno Questo segreto , e un' altra ricetta Per aver delle Pesche tutto 1' anno. frutta sopra all'altre egregia, eletta,
Utile dalla scorza inflno all'osso,
L'alma
e la
Se non quant' dalle stelle concesso A un, ch'abbia il cervel come me grosso.
E che r
usarle molto
non
gli costa,
IN
LODE
n
DF.T
LE PESCHE
sua posta
Ha sempremai qualcun clie gliele dia, E trova la materia ben disposta. Ma i' ho sempre avuto fantasia,
Per quanto puossi
un indovino apporre
avventurato sia
Che sopra
gli altri
V.
IN
LODE
DE" GHIOZZI
Ghiozzi,
O sopra
egregi tanto
rozzi,
,
Alzando al ciel la vostra leggiadria. Di cui per tutto il mondo avete il vanto. Voi siete il mio piacer , la vita mia Per voi, quand'io vi veggio, ogni mia pena Cessa, e ogni fastidio passa via. Benedetto sia il fiume che vi mena O chiaro ameno e piacevol Vergigno, In te non venga mai tosco n piena. Poich tu siei s grato e s benigno, E ti ci mostri assai miglior vicino. Che quel, che mena solo erba e macigno.
,
:
^'4
<
'
A P
']'
T- T
Dio
lo
mantenga
Acci ch'altro non facci, che pigliarvi Col bucinetto o colle vangaiole.
Io vorrei
Ma
Ch'io possa degnamente sodisfarvi. Quand'io veggio Nardin con quel piattello Venire a casa, e colla sua balestra, Io grido com' un pazzo, vello, vello. Accenno verso lui colla man destra, Tant' allegrezza mi s'avventa al cuore, Ch' io mi son per gittar dalla finestra. Poi ne vo verso lui con gran furore, Correndo sempre e sempremai gridando, Come si fa d'intorno a chi si muore. Poi eh' io v' ho visti, io vo considerando
Vostre fattezze tutte a parte a parte, Come chi va le stelle astrolagando.
Certo natura in voi pose grand' arte
Per fare un animai cotanto degno. Da esser scritto in centomila carte. La prima lode vostra e '1 primo segno Ch'io trovo, quel, ch'avendo voi gran testa forza, che vo' abbiate un grande ingegno;
La cagion per
l'effetto
manifesta:
Un gran coltel vuole una gran guaina, E un grand' orinale una gran vesta.
J^egue da questa un'altra disciplina,
Ch' avendo ingegno e del cervello a iosa Bisogna voi abbiate gran dottrina.
IN
65
A me
pare
un miracolo, una
s
Che
Cosi stupenda e
Questa per un miracol contar puossi, E pur si vede, e tutto il g-iorno avviene. Che voi sete miglior, quanto pi grossi.
Se cos fussin fatte
le
balene
ceti, i lucci, i buoi, i lionfanti. So che le cose passerebbon bene. pesci senza lische, o pesci santi.
Da comperarvi
a peso ed a contanti;
i
Ma
miei sermoni.
v'
Provar
vi
ha provati.
Come
modo buoni
V/WXA/V
VI.
LETTERA AD UN AMICO
Questa per avvisarvi, Baccio mio, Se voi andate alla prefata Nizza,
Che, con vostra licenza, vengo anch'io. La mi fece venir da prima stizza. Parendomi una cosa impertinente Or pur la fantasia mi vi si rizza.
:
Berul.
Purte
I.
66
eA
risolvo
1' I
To
mi
meco finalmente.
Che posso e debbo anch'io capocchio andare Dove va tanta e si leggiadra gente. So che cosa galea, che cosa mare^ So che i pidocchi, le cimici e il puzzo Mi hanno la curatella a sgangherare; Perch'io non ho lo stomaco di struzzo. Ma di grillo, d mosca e di farfalla: Non ha il mondo il pii ladro stomacuzzo. Lasso, che pur pensavo di scampana,
E ne
feci
'1
ogni sforzo
coli'
amico.
Che sto con lui, come dire a credenza. Mangio il suo pane e non me 1' affatico. Volevo far, che mi desse licenza.
Lasciandomi per bestia a casa, ed egli Mi sment per la gola in ma presenz'^;
disse: pigliati
un
.,
Mettiti
una casacca
turchesca
d'amor stoppino ed esca. Risposi a lui: sonate pur eh' io ballo; Se non basta ire a Nizza, andiamo a Nsa, Son
del fuoco
Dove fu Bacco su tigri a cavallo. Faremo insieme una bella divsa, E ce ne andrem cantando come pazzi
Per
Io
la riviera di
Siena e
di Pisa.
mi propongo
Uno
sguazzi.
,,
LETTERA AD UN AMICO
Toi conoscete
gli asini da'
67
buoi.
vostro favore
fa in gran parte piacer questa gita, Perch gi fuste in Francia imbasciadore. Un' altra cosa ancor forte m' invita
Mi
Ch'
io
ho sentito
quella
dir
che
v' la
peste
E questa
che mi d
la vita.
Credo sappiate quant'ella mi piaccia. Se quel, ch'io scrissi gi di lei, leggeste. Qui ognun si provvede e si procaccia Le cose necessarie alla galea Pensando che doman vela si faccia. Ma '1 sollion s' ha messo la giornea,
E A
par che
gli osti
l'
abbin salariato
il
vin
si
bea;
fla
passato.
imbarchiamo. mondo in tutto non spiritato. Se E se egli anche, adesso adesso andiamo,
Innanzi forse che noi
'1
e'
Andiam
v^.
Che
ci
Oh che
Vedere
Un
, ,
68
CAPITOLI
E
prelati miei amici
:
abbiate cura
Che
Ed
non abhiam ^aura mal che codesto, Lo torrem per guadagno e per ventura. Anzi per un piacer simile a questo Andremo a posta fatta in Tremisenne:
essi a
:
me
noi
Se non
ci fatto altro
Sicch, quel s' ha da far, facciasi presto. Mentre scrivevo, questo mi sovvenne Del Molza nostro, che mi disse un tratto. Un dotto di costor molto solenne; Fu un, che disse, Molza, io son s matto. Che vorrei trasformarmi in una vigna. Per aver pali e mutar ogni tratto. Natura ad alcun mai non fu madrigna
:
ne' problemi
E andiam
POST SCRITTA
Post scritta
,
1'
ho saputo
E indi al Pin con esso andar volete. Ammelo detto, e non vi paia strano,
Messer Pier Carnesecchi segretario.
Che sa
le
co^
non
le dice in
vano,
LETTERA AD UN AMICO
Io
69
n'ho martello,
panni necessario
Che
fra
me
Oh
Arete
Al qual vo' ben, non come a cardinale. N perch' abbia il ricetto o il cappuccino: Che gli vorrei per quel pi tosto male; Ma perch'io 'ntendo, ch'egli ha discrezione,
E
Seco
Ma
Dice
pi dotto poi
che Cicerone
le
Sa greco, sa ebraico, ma io So che lo conoscete, e sono un matto. Salutatel di grazia in nome mio, E seco un altro Alessandro Ricorda, Ch' un certo omaccin di quei di Dio. Dico che con ognun tosto s'accorda.
Non aspett giammai tratto di corda. Quando gli date uno spicchio di pera
7d
APITOL
VII.
Padre, a
me
la lor
reverenza
intendo;
Fino a quei goffi degP Inghiesuati Che fate voi dappoi ch'io vi lasciai Con quel, di chi noi slam tanto divoti. Che non donna, e me ne innamorai?
:
Io dico
Che quando
voti;
pi pia.
Che farsi bigia o bianca una giornea, Quand' un guarisce d' una malattia.
Costui cred' io che sia la propria idea
Della scultura e dell'architettura.
Come
della giustizia
monna
figura,
Astrea.
una
Che
le
Credo che farla lui per forza pura. Poi voi sapete quanto egli dabbene, Com' ha giudizio, ingegno e discrezione.
Come conosce
il
vero,
il
bello e
il
bene.
Ho
Sono ignorante , e pur direi d' avelie Lette tutte nel mezzo di Platone.
, ,
"il
E anche E da
Chiunque vuole il mestier vostro fare Venda pi presto alle donne i colori.
Voi solo appresso a lui potere stare, E non senza ragion, s ben vi appaia
Amicizia perfetta e singulare. Bisognerebbe aver quella caldaia, Dove il suocero suo Medea ristrisse
Per cavarlo di
fosse viva la
man
della vecchiaia,
donna d'Ulisse, Per farvi tutt'a due ringiovanire, E \dver pi, che gi Titon non visse.
disonesto a dire
A ogni modo
fate
legni e
sassi vivi
Abbiate poi com' asini a morire. Basta che vivon le querci e gli ulivi,
I
cerbi, le cornacchie,
cervi e
cani,
E mille Ma questi
animalacci pi cattivi. son ragionamenti vani. Per lasciamgli andar, che non si dica Che noi siam mammalucchi o luterani.
Prego vi, padre, non vi sia fatica. Raccomandarmi a Michelagnol mio E la memoria sua tenermi amica. Se vi par anche dite al Papa, ch'io Son qui, e l'amo, e osservo, e adoro.
Cerne padrone e vicario
di
Dio.
12
CAPITOLI
tratto ch'andiate in concistoro.
vi sien
S un
Che
congregati
cardinali,
Dite a Dio da
mia parte a
,
tre di loro:
Per discrezion vo' intenderete quali, Non vo' che voi diciate tu mi secchi Poi le son cirimonie generali.
Direte a monsignor de' Carnesecchi,
Ch'io non
gli
ho invidia
gli
di quelle
sue scritte,
di color
che
Ho ben martel di quelle zucche fritte, Che mangiammo con lui 1' anno passato
Quelle mi stanno ancor negli occhi
fitte.
Che m' ha senza ragion dimenticato. Senza lui, mi par esser senza un braccio. Ogni d qualche lettera gli scrivo,
perch'
eli'
plebea
dipoi la straccio.
io
non servivo.
Or servo
Ditegli, che mi tenga in grazia vivo. Voi lavorate poco, e state sano,
Non
A A
vi paia ritrar bello, ogni faccia: Dio caro mio padre fra Bastiano,
rivederci a Ostia a
prima laccia
78
Vili.
Com'io ebbi la vostra, signor mio, Cercando andai fra tutti i cardinali, E dissi a tre da vostra parte addio. Al medico maggior dei nostri mali, Mostrai la data, onde ei ne rise tanto Che il naso f due parti degli occhiali. Il servito da noi pregiato tanto Cost e qua, siccome voi scrivete N'ebbe piacere, e ne rise altrettanto.
Ma
le
cose pi segrete
Sonci molti
altri,
Che voi non siate qua n d lor noia Che chi men crede si tien manco tristo.
Di voi a tutti caver la foia Di questa vostra, e chi non si contenta Affogar possa per le man del boia.
La carne, che nel sai si purga e stenta, Che saria buon per carnovale ancora.
Di voi pi che di s par
Il
si
contenta.
Che
ognora.
eterno,
il
74
CAPITOLI
qui non nuoce n state n verno.
Da tempo
Che fama
a'ssenti
da morte crudele
in governo.
di virt
non ha
i
E come
Disse
versi belli,
Dunque io son pur nel numero di quelli Da un goffo dipintor senza valore
Cavato da pennelli ed
Il
alberelli.
Che
il
vero
Ma
la sua disciplina il lume intero Mi pu ben dare e gran miracol fia A far d'un uom dipinto un daddovero.
,
Cosi
mi
Che fia apportator di questa mia. Mentre la scrivo a verso a verso rosso Divengo assai, pensando a chi la mando, Sendo al mio non professo grosso e mosso. Pur nondimen cos mi raccomando Anch'io a voi, e altro non accade, D' ogni tempo son vostro e d' ogni quando.
,
,
voi nel
numer
Tutto mi v'offerisco,
cade.
non
farei per
me
a schifo
come
frate
e fate poi
da
voi.
IX.
Se voi andate dietro a questa vita Compar, voi mangerete poco pane,
farete
una
trista riuscita.
le
Seguitar d e notte
puttane,
dire
il
Voi dite poi che vi duole una spalla, E che credete avere il mal franzese;
Almen venisse il canchero alla falla. Ben mi disse gi un, che se ne intese. Che voi mandaste via queir uom dabbene
Oh veramente matto da
S' io dico
mi
si
conviene.
Pur non so
fame o sete,
Che
gran maestri, e de' ragazzi. Se ne' bisogni non ve ne valete? Rinniego Dio, se voi non siete pazzi. Che lasciate la vita, per andare Dietro a una puttana, che v'ammazzi. Forse che voi v'avete da guardare. Che la gente non sappia i fatti vostri, B stievi dietro all'uscio ad ascoltare?
Voi
"76
CAPITOLI
che colei ad un tratto vi mostri In su '1 pi bello un palmo di novella,
Da
mostri;"
E E
E profumare
il
letto e le lenzuola,
dormir poi con lei per maggior pena? la signora non stia sola, Anzi si tenga bene intrattenuta. Star tre ore impiccato per la gola. Oh vergogna degli uomini fottuta. Dormir con una donna tutta notte. Che non ha membro addosso che non puta. Poi piagne , e dice eh' ha le rene rotte E e' ha perduto il gusto e l'appetito, E gran merc a lui se se lo fotte. Ringrazio Iddio, eh' i' ho preso partito.
E perch
Che
le
Inflno
Ch'io acconsenta, che si dica mai, Ch' una puttana sia cagion eh' io muoia.
ho veduto sperienza assai, E quanto vivo pi, tanto pi imparo, Facendomi dottor per gli altrui guai. Or per tornare a voi, compar mio caro,
Io n'
Ed
a'
che non
i
si
pu
le
Che
facevan
stagion passate.
77
Quando
e'
vi
Che finalmente
men
pericoloso,
E non domanda
Il
altrui n
pan n vino.
Non
Che
stomaco acetoso.
Andrete
sano.
Non guardate
X.
SOPRA
IL
DILUVIO DI MUGELLO
a'
ventidue.
,
Una mattina a buon' otta a digiuno Venne nel mondo un diluvio che fue
,
S rovinoso, che da
No
in l
A un
, ,
78
e AP
il
li I
e Mongibello,
Non
donne eh' egli era il fragello E eh' egli era il demonio e '1 satanasso E '1 diavolo, e '1 nemico, e la versiera, Ch' andavon quella volta tutti a spasso.
Disson
,
non
si
S' eli' era persa, monachina o nera. Tuonava e balenava a pi potere, Cadevon le saette a centinaia; Chi le sent, non le volea vedere.
Non
In
modo
Quella canzona, che dice, o ve' baia. La Sieve f quel eh' eli' aveva a fare
Cacciossi innanzi ogni cosa a bottino: Menonne tal, che non ne volea andare.
Non rimase
pei fiumi
un
sol
molino,
maladetto quel gambo di biada. Che non n' andasse al nimico del vino. Chi stette punto per camparla a bada,
Io
Avrebbe poi voluto esser altrove. Che non rinvenne a sua posta la strada. potrei raccontar cose alte e nuove
Miracoli crudeli e sterminati,
Dico pi
d' otto
Come
dir bestie e
Querce sbarbate,
Case spianate
e
ponti rovinati.
, ,
SOPRA
Io ne vo
IL
DILUVIO DI MUGELLO
erri.
O buona
E
Si
questa tempesta
Or udirete cosa che fu questa. Un fossatel che si chiama il Muccione Per r ordinario s secco e s smunto Che non immolla altrui quasi il tallone. Venne quel d s grosso e s raggiunto. Che costor due credendo esser da lato. Si trovaron nel mezzo appunto appunto.
,
E non vedendo modo di fuggire. Come fa ch'in tal casi s' trovato, Vollono in sur un albero salire, E non dovette darne loro il cuore.
Io
si volessi dire.
il
Eron
ch'era
maggiore
e 'n
le spalle
suo fratel
su minore.
Quivi
Muccion con tutta quella valle Menava ceppi, e sassi aspri e taglienti
il
Tutta mattina dlie, dlie, dlie. Furon coperti delle volte venti,
E quel
di sotto, per
non
il
affogare.
viso e
i
All'albero
appoggiava
denti,
Wd Tuno
e l'altro
CAPITOLI
Che bisognava lor far altro verso. Se non che Cristo mand loro un legno. Che si pose a queir albero attraverso.
Quel dette loro alquanto di sostegno, E non bisogna che nessun s'inganni,
Che
'n altro
modo non
e percosso.
Ed era a ordin com'un san Giovanni. Quel di sopra anche aveva poco indosso. Pur gli parve aver tratto diciannove, Quand' ei si fu della furia riscosso. Quest' una di quelle cose nuove.
Ch'io non ricordo aver mai pi sentita. N credo sia mai stata tale altrove. Buone persone, che l'avete udita,
E pure E
WV/V\/V
XI.
IN
E
Io
non
IN
Bl
Kon
le
direbbon tutti
futuri,
miei parenti.
stati, e
i
che saranno.
presenti.
passati e
Quei che son og-gi vivi non le sanno: Quei che son morti non l'hanno sapute: Quei e' hanno a esser non le saperanno. L'anguille non son troppo conosciute, E sarebbon chiamate un nuovo pesce
Da un che non l'avesse pi vedute. Vivace bestia, che nell'acqua cresce, E vive in terra e 'n acqua, e 'n acqua e 'n terra.
Entra a sua posta ov'ella vuole, ed esce.
Potrebbesi chiamarla Vinciguerra,
Ch'ella sguizza per forza, e passa via,
Quant'un pi con
le
man
la stringe e serra*
Vedrebbe che all'anguilla corrisponde La pi capace figura che sia. Tutte le cose, che son lunghe e tonde.
Hanno
in s stesse pi perfezione,
Che quelle, ove altra forma si nasconde.^ Eccone in pronto la dimostrazione, Che i buchi tondi, e le cerchia, e 1' anella Son per le cose di questa ragione. L'anguilla tutta buona e tutta bella, E, se non dispiacessi alla brigata, Potria chiamarsi buona roba anch' ella;
Ch'eli' morbida, bianca e dilicata,
Ed anche non
Sta nella
punto dispettosa,
mota il pi del tempo ascosa; Onde credon alcun ch'ella si pasca, E non esca cos per ogni cosa.
Berni.
Parte
/.
*3
,,
B2
CAPITOLI
il
Com'esce
Ed escon
anche
granocclii,
hanno
della frasca.
Ha
Sa
fatti
E pur con
Pur poi che Fra tanti
'1
non s'impaccia,
capo a qualcuna si stiaccia affanni. Dio le benedica. Ed a loro ed a noi buon pr ci faccia.
Fiumi,
fossati, pozzi, fonti e laghi,
dura a pigliarle fatica; tutti quei che son del pescar vaghi. Dio gli mantenga sempremai gagliardi,
E chiunque
iJer
me
Benedetto
sii tu,
Matteo Lombardi
:
Che
Cristo
leghi, e sant'Anton
i
ti
guardi
;
Che guarda
porci, le pecore
e'
buoi
tiri
ti
riscuota.
Disobblighiti
tuoi mallevadori,
caviti del
Acci che tu attenda ai tuoi lavori, E non senta mai pi doglie n pene, Paghiti i birri, accordi i creditori, in effetto un uom dabbene. facciati E
XII.
IN
Dei ghiozzi, dell'anguille e di Nardino, Io vo' dir qualche cosa anche de' cardi.
il
pane e
il
vino:
daddovero. Direi di s per manco d'un quattrino. anche mi parrebbe dire il vero.
s'io avessi a dirlo
Ma
la
me
lo
crede,
E fammi
Bench pure
vede
dice:
Quei che credono altrui senza vedere. Come dicon le prediche dei frati.
Non
ti
J4
CAPITOLI
Io
non dico dei cardi da cardare. Che voi non intendessi qualche baia, Dico di quei che son buoni a mangiare Che se ne pianta l'anno le migliaia.
Ed attendonvi appunto i contadini Quando e' non hanno pi faccende all'aia; Fannogli anche a lor mano 1 cittadini,
sono oggi venuti in tanto prezzo. Che se ne cava di molti quattrini. Dispiacciono a qualcun che non avvezzo,
Come
suol dispiacere
il
caviale.
Che par s schifa cosa per un pezzo. Pur non dimanco io ho veduto tale. Che come vi s'avvezza punto punto. Gli mangia senza pepe e senza sale; Senza che sien cos trinciati appunto. Vi d ne pi n men dentro di morso. Come se fosse un pezzo di pane unto.
'1
torso.
Ma
gli appetiti:
e il
Ognuno ha
Dietro fra
suo giudizio
suo discorso.
mele.
castagne e fra
le
Dipoi che gli altri cibi son forniti. Mangiousi sempre al lume di candele. Cio volevo dir, mangionsi il verno, E si comincia, fatto san Michele. Bisogna aver con essi un buon Salerno,
sa provvedere chi ha governo. Chi vuol cavare i cardi di stagione. Sarebbe proprio, come se volesse
un Come
,,
,,
IN
E
I
Ditegli che
non sa mezze
s sodi,
le
messe.
Ma non A voler
per
che la gente se ne
esser troppo ben maturi. Anzi pi presto alquanto giovanetti Altrimenti non son molto sicuri. Sopra tutto bisogna che sien netti: E se son messi per la buona via.
Non voglion
Causano infiniti buoni effetti. Fanno svegliare altrui la fantasia, Alzan la mente agli uomini ingegnosi,
Dietro
a'
segreti dell'astrologia.
Quanto pi stanno sotto terra ascosi Dove gli altri eotal diventan vecchi.
Questi diventan belli e rigogliosi.
Non so quel che mi dir di quegli stecchi. Che egli hanno ma secondo il parer mio
:
posson comportar cos parecchi Perch poi che gli ha fatti loro Iddio, Che fa le corna e l'unghie agli animali, Convien eh' io abbia pazienza anch' io Purch non sien per di quei bestiali. Che come gli spuntoni stanno intieri. Tanto che passerebbon gli stivali. Anton Calzavacca dispensieri. Che sei or diventato spenditore. Compraci questi cardi volentieri.
Si
;
;
Non
ti
Signore.
50
CAPITOLI
i
Se
cardi
ti
Non
gli lasciar,
i
Che patiscano
Il
vin, la carne,
sale e
il
il
lardo,
resto,
XIII.
IN
E'
A
E
I
sensi,
il
naturale.
Per discoprire
Ma
Che
la
Pur, perch nulla fa quel che null'osa. S'io dovessi crepare,- io s'on disposto.
Di dirne in ogni
modo qualche
cos accosto.
cosa.
s'io
non potr
il
ir
affatto drento,
IN
87
La gelatina
un quinto elemento, s'ella non fusse, l'anno Di verno quando piove e tira vento: Ch'ella vai pi, ch'una vesta di panno E presso ch'io non dissi anche del fuoco. Che tal volta ci fa pi tosto danno. Io non la so gi far, ch'io non son cuoco, E non mi curo di saper, ma hasta,
guai a noi,
Ch'ancor
io
me
Farei forse vedere alla brigata. Che chi acconcia l'arte e chi la guasta.
La gelatina scusa
la insalata,
io,
che
ci
buon colore,
Che se
la gelatina colorita,
buon sapore.
Consiste in essa
una
virtute unita
Che
fa che
l'
uom
se ne lecca le dita.
Io vi voglio insegnare
un mio segreto. Che non mi curo che mi resti addosso: Io per me la vorrei sempre di dreto.
B8
Un
altro
ne vo'
della discrezione,
i
tuoi parenti;
Come
dir gelatina di
cappone.
soii
E
Io
di
buone.
non
potrei dir
Ch'io non posso dipignerti a pennello, N dir quel che per te di sotto m'esce. Pur vo fantasticando col cervello.
Che Che
piattello.
cose tue.
Come
Al
fin
XIV.
IN
l'orinale:
vi si faccin
il
drento
senza
se fussi
un dottor
di
medicina.
Che
le volessi tutte
quante dire,
fatto proprio
come
fatto
il
mondo,
Che, per aver la forma circulare, Vogiion dir che non ha n fin n fondo. Questo lo sa ognun, che sa murare E che s'intende dell'architettura. Che 'nsegna altrui le cose misurare. Ha gran profondit la sua natura.
Ma
Diversamente a
panni
alle
persone
90
CAPITOLI
da persone dozzinali Quella d'altri colori da signori. Quella eh' rossa sol da cardinali
vi
La bianca
Che
Che
di fuori.
Che
le
Adopranli ordinariamente
preti,
appresso al letto, Drieto ai panni d" arazzo e ai tappeti; dicon, che si fa per buon rispetto.
E tengonlo
la notte
Che s' e' s'avessino a levar la notte. Verrebbe lor la punta e '1 mal di petto, E forse a un bisogno anche le gotte. Ma sopra ogni altra cosa il mal franzese C ha gi molte persone mal condotte. Io r ho veduto gi nel mio paese
Essere adoperato per lanterna,
chi r
E
Io
s'io dicessi,
non
direi bugie,
me
vi
messi
IN
91
E non
Che
lo
si
mio
difetto.
Bisogna l'orinai tenerlo netto, E ch'egli abbia buon nerbo e buona schiena, E darvi drento poi senza rispetto Che se il cristallo di cattiva vena.
;
si
schianta, e chi
fastidio e
si
fende.
Ed
proprio
un
una pena.
Conosce molto ben chi se ne intende. E chi v' ha drento punto d' interesso Giudicher, com'io, che l'orinale vaso da scherzar sempre con esso. Come fanno i Tedeschi col boccale.
XV.
IN
uomo
intera intera,
di Titone,
ben quella
Non basterebbe a dir della Primiera. Non ne direbbe affatto Cicerone, N colui ch'ebbe, come disse Omero,
Voce per ben novemila persone.
9
, , , ,
92
CAPITOLI
che volesse dirne daddovero Bisogneria ch'avesse pi cervello.
Un
Che chi trov gli scacchi e '1 tavoliero. I^a primiera un giuoco tanto bello,
tanto travagliato
e tanto vario
;
Non lo ritrovarebbe il calendario. N '1 messal, eh' s lungo, n la messa. N tutto quanto insieme il breviario.
Dica le lode sue dunque ella stessa Per eh' uno ignorante nostro pari Oggi fa bene assai, se vi si appressa. E chi non ne sa altro, almanco impari.
Che colui ha la via vera e perfetta. Che giuoca a questo giuoco i suoi danari.
Chi dice, egli pi bella la bassotta. Per esser presto e spacciativo gioco
se egli
ha
fretta.
Come fanno color eh' han poco sale E quei che son disperati e falliti E fanno conto di capitar male: Ha la primiera mille buon partiti.
Mille speranze da tenere a bada.
Come
Chi l'ha,
dir carte a
e chi
monte,
e carte a inviti.
e
non vada.
,
Stare a
f russi
a primiera
e dire
a voi ,
E non
Che
venire al
Se tu noi vuoi tener lascialo andare, Metter forte, e pian pian, come tu vuoi;
, ,
IN
98
Puoi far cou un compagno anche a salvare, Se tu avessi paura del resto, E a tua posta fuggire e cacciare. Puossi fare a primiera in quinto e 'n sesto
Che non avvien cos negli altri giuochi, Che son tutte novelle appetto a questo;
Anzi son proprio cose da dappochi. Uomini da niente, uomini sciocchi. Come dir, messi, e birri, e osti, e cuochi. S'io perdessi a primiera il sangue e gli occhi,
Non me ne
perdo tre baiocchi. Non uom s fallito e s meschino, Che s'egli ha voglia di fare a primiera.
Rinniego Do
s' io
Non
trovi d'accattar
si
sempre un
fiorino.
Ha
la
primiera una
s fa
allegra cera
Ch' ella
Per la sua grazia e per la sua maniera. Ed io per me non trovo altro piacere.
Che, quando non ho il modo da giocare. Star di dreto ad un altro per vedere.
mangiare.
non avessi altro da fare E per suo amore andrei fino in Egitto,
s' io
:
Come
E anche
Ma
s' io
Difendendola a torto e a
Non
Per
s'
a questo non
si
pu venire
Io per
me non
, ,
04
CAPITOLI
XVI.
IN
LODE
D'
ARISTOTILE
Non
maestro Pier, quel che ti pare Di questa nuova mia maninconia Ch'io ho tolto Aristotile a lodare. Che parentado, o che genealogia Questo ragionamento abbia con quello, Ch' io feci r altro d della moria Sappi, maestro Pier, che quest' '1 bello. Non si vuol mai pensar quel che l' uom
SO,
;
faccia.
Ma
io
non trovo persona, che mi piaccia. N che pi mi contenti, che costui; Mi paion tutti gli altri una cosacela. Che fumo innanzi, seco e dopo lui; Che quel vantaggio sia fra loro appunto Ch' fra '1 panno scarlatto e i panni bui
Quel eh'
fra la
Che
sai
Quel tempo fastidioso quando giunto, Ch' ogni di ti bisogna frigger pesce Cuocer minestre, e bollire spinaci. Premer l'arance fin che '1 sugo n'esce. Salvando, dottor miei, le vostre paci, r ho detto ad Aristotile in segreto.
Come
il
Petrarca, tu solo
mi
piaci.
IN
Il qiial
LODE
D'
ARISTOTILE
95
porlo innanzi,
,
come
,
'1
pose dreto.
,
Costui
maestro Piero quel eh' insegna Quel che pu dirsi veramente dotto.
;
Che di vero saper l'anime impregna Che non imbarca altrui senza biscotto,
Non
Ma
Che
un argomento.
Fino
al cervello, e
Sempre con
sillogismi ti ragiona,
la
Quella
Dilettasi d'
ti mette: scambia, che non ti par buona. andar per le vie strette
E non
Fra
gli altri tratti Aristotile ha questo. Che non vuol, che l'ingegni sordi e loschi, E la canaglia gli meni l' agresto.
Passandosi
le
cose di leggiero,
'1
E non abbia
Ma
piacer che tu
il
conoschi.
suo pensiero:
non l'intende.
'1
vero.
Come
falcon
un
96
CAPITOLI
le
squarta, e sminuzza, e trita, e pesta, Ogni costura, ogni buco ritrova. S che scrupolo alcun mai non ti resta. Non vuol che l'uomo a credergli si muova. Se non gli mette prima il pegno in mano, Se quel che dice in sei modi non prova. Non fa proemi inetti, non in vano.
Dice
le
E non
Quando
Parla
favellar toscano.
d' ognun pi presto ben che male Poco dice d'altrui e di s niente: Cosa che non han fatto assai cicale. Che volendo avanzarsi la fattura, S' hanno unto da sua posta lo stivale. regola costui della natura Anzi lei stessa, e quella e la ragione Ci ha posto innanzi agli occhi per pittura. Ha insegnato i costumi alle persone: La felicit v' per chi la vuole Con infinito ingegno e discrezione. Hanno gli altri volumi assai parole: Questo pien tutto di fatti e di cose. Che d'altro che di vento empier ci vuole Oh Dio, che crudelt, che non compose
Credo eh'
ella
Che quel tuo ricettario babbuasso. Dove hai 'mparato a far la gelatina; Che t'avrebbe insegnato qualche passo, Pi che non seppe Apizio mai, n Esopo, D'arrosto e lesso, di magro e di grasso.
IN
LODE
D'
ARISTOTILE
97
Ma
io che fo? che son come quel topo. Ch'ai lion si flcc drento all'orecchia,
del
mio
folle ardir
m'accorgo dopo.
mondo ima
tutto
il
novella vecchia.
E metter
mare
in poca secchia.
sugo alcuno, Che punto d'eloquenza non riceve: E che sia '1 ver, va', leggi a uno a uno
Sterile, asciutta, e senza
I
Capitoli miei
eh' io vo'
S'egli subietto al
Io
mondo
se
morire pi digiuno:
dire
non mi so scusar,
Quel ch'io
non con
son capricci, Ch'a mio dispetto mi voglion venire, Com' a te di castagne far pasticci.
dissi di sopra: e'
xvn.
A MESSER MARCO VENIZIANO
io vo pi pensando alla pazzia Messer Marco magnifico , che voi Avete fatto e fate tuttavia, D' esservi prima imbarcato e dipoi Para pur via, sappiate che mi viene
Quant'
Compnssion
Bmii.
Parte I
98
CAPITOLI
:
Che dovevamo con cento catene Legarvi stretto ma noi semo stati Troppo dappochi, e voi troppo dabbene. Quel Monsignor degli stivai tirati
Poteva pure star due giorni ancora, Poi che due mesi ci aveva uccellati Con dire: io voglio andare, io andr ora; Che pur veniva da monsignor mio La risposta la quale venut' ora. E dice eh' contento, e loda Iddio Ch'io con voi venga, e stia, e vada, e torni, E faccia tanto quanto v' in disio Purch la stanza non passi otto giorni; Ma Dio sa poi quel che sarebbe stato
,
:
Al pan
Poi
si
s'
inforni
gli infornato.
Or basta, io son qui solo com' un cane, E non mangio pi ostriche, n flato.
Che
siate
almen qui
Perch altrimenti non sarei sicuro. Cio avrei da far, voi m' intendete.
Che sapete
il
preterito e
il
futuro;
Diranno: noi voglam che tu sia prete, Noi vogliam che tu facci e che tu dica
,
non
ci siete.
Senza che pi ve lo scriva o ridica Venite via: che volete voi fare Fra cotesti orti di malva e di ortica? Che son pe' morti cosa singolare, Come dice il sonetto di Rosazzo Io vo' morir se vi potete stare.
:
un
bel sollazzo
stata quasi
eli'
un
caprccio di pazzo.
Per certo
Santa Maria
Delle quali io
mi
varia sorte
messer Pagol Serra: Che mi vien ora il sudor della morte, A dir eh' io m' ho a partir di questa terra, Ed andarmi a ficcare in un paese. Dove si sta con simil cose in guerra. Di quella graziosa alma cortese. Che vive come vivono i Cristiani, Parlo della brigata genovese Salvaghi, Arcani, e Marini e Goani, Che Dio dia ai lor cambi e lor faccende La sua benedizione ad ambe mani. Era ben da propor da chi s' intende Di compagnie e di trebbi, a coteste Generazion salvatiche ed orrende. Che paion sustituti della peste: Or io non voglio andar multiplicando In ciance che vi son forte moleste. E 'n sul primo proposito tornando.
Dico cos, che voi torniate presto:
A
E mi
vostra signoria
mi raccomando,
il
resto.
100
CAPITOLI
XVIII.
Messer Francesco, se voi siete vivo, Perch' io ho inteso che voi siete morto Leggete questa cosa eh' io vi scrivo Per la qual vi consiglio e vi conforto A venire a Venezia, che oggimai A star tanto in Piacenza avete il torto; E quel eh' peggio, senza scriver mai: Che pur s' aveste scritto qualche volta. Di voi staremmo pi contenti assai. Qui messer Achille dalla Volta, E '1 reverendo monsignor Valerio,
:
Che domanda di voi volta per volta; mostra avere estremo desiderio. Non pur sol egli, ma ogni persona
Be voi aveste, non vo' dir le gotte. Ma '1 mal di sant'Antonio e '1 mal francese,
le
gambe
Tanto ognun
si
consuma
di vedervi,
le
spese.
Ma non
Che
Se
i
101
il mio messer Francesco, prometto due cose eccellenti L' un' il ber caldo, e l'altra il mangiar. fresco. E se voi avete mascelle valenti. Vi giover, che qui si mangia carne
Che
vi
Ma
api, a
modo vostro,
vi
prometto.
Che n'abbiam
Io parlo d'
Vo' sotterrarvi infln sopr' al ciuffetto Capi di latte santi, non che buoni.
Io dico capi, qui si
chiaman
cai.
;
Da
berlingozzi e confortini.
La miglior cosa non mangiaste mai. Voi aspettate, che l'uom vi strascini; Venite, che sarete pi guardato.
Che
il
Ben
visto da
Chi v'udir,
un Anfione, Anzi un Orfeo, che sempre aveva drieto Bestie in gran quantit, d'ogni ragione. Se siete, come io spero, sano e lieto.
Parrete per quest'acque
Per vostra f
non
vi fate aspettare.
102
CAPITOLI
Secondo il tempo, cci Valerio vostro, Che in cortesia sapete singulare. Ci eh' di lui possiam riputar nostro, E pan, e vin; pensate, che adess' io Scrivo colla sua carta e col suo inchiostro. Stiamo in una contrada e in un rio.
Presso alla Trinit e all'Arsenale,
Che fan
la
Idest, che
vicino,
Che
l'altr'ier se
XIX.
AI SIGNORI ABATI
si
AI SIGNORI ABATI
108
Sapevo ben ch'io ero prima matto, Matto, cio, che volentieri amavo,
Ma
or
mi pare aver
girato affatto.
Le virt vostre mi v' han fatto schiavo E m' han legato con tanti legami, Ch' io non so quando i pie mai me ne cavo Gli forza eh' io v'adori, non eh' io v'ami.
D'amor per di quel savio d'irtene. Non di questi amoracci sporchi e infami.
Voi siete
s
cortesi e si dabbene,
sol,
ma
ancor da tutti.
Amor, onor, rispetto vi si viene. Ben sapete, che l'esser anche putti, Un non so che pi v'accresce e v'acquista, Massimamente, che non siete brutti.
Ma
N dalla vista sol, ma dal pensiero. Una fantasiaccia cos trista. Ch'io v'amo, e vi vo' bene, a dir il vero.
Non tanto, perch siete bei, ma buoni, E potta, ch'io non dico, di san Piero,
Chi colui, che di voi non ragioni? Che le virt delle vostre maniere. Per dirlo in lingua furba, non canzoni?
Che non
oggi facile a vedere, Giovane, nobil, bella e vaga gente. Che abbia anche insieme voglia di sapere, Ch'adorni il corpo ad un tratto, e la mente; Anzi eh' a questa pi che a quello attenda.
Come voi fate tutti veramente. Per non vo', che sia chi mi riprenda,
S' io dico,
104
CAPITOLI
se
i
Volessin eh'
genio vostro
s
il
m'
invita
ma
bel saria,
Che come dolce, fosse anche infinita. Oh, che grata, o che bella compagnia! Bella non per me; ma ben per voi. So io che bella non saria la mia. Ma noi ci accorderemmo poi fra noi; Quando fussimo un pezzo insieme stati.
,
Ognuno andrebbe a far i fatti suoi. Faremmo spesso quel giuoco de' frati.
Che certo bello, e fatto con giudizio In un convento, ove sien tanti abati.
il
nostro uflzio,
Voi cantereste, io vel terrei segreto. Che non son buono a s fatto esercizio. Pur per non stare inutilmente cheto, Vi farei quel servigio, se voleste. Che fa chi suona agli organi di dreto. Quai pi solenni e quai pi allegre feste, Qual pi bel tempo e quai maggior bonaccia.
di queste?
tengo
al
il
sommo bene
un
in questo
mondo,
Lo
Il
stare in
compagnia che
sodisfaccia.
terno
fuoco in
A
E
dire
ognun
io di lui
Questo piacer non ha n fin n fondo. pensando s m'adesco, Che credo di morir, se mai v'arrivo: Or parlandone indarno, a me rincresco.
105
che mi spedivo
Per venir
via, ch'io
muoio
di martello,
E
Io
vostro anello.
Fatemi apparecchiare in tanto il letto, Quella sedia curule e due cuscini, Ch'io possa riposarmi a mio diletto,
XX.
AL CARDINAL IPPOLITO DE' MEDICI
Non
Ma temo
Io
che
'1
mio
dir
non
vi dispiaccia.
da muratori. Di queste case qua di Lombardia, Che non van troppo in su co' lor lavori.
stil
ho un certo
Compongono a una
Me
Non bisogna parlarmi di fatica, Che, come dice il cotal della peste. Quella la vera mia mortai nimica.
106
CAPITOLI
stato detto
stil
M'
Un
Come
pi alto,
un pi
lodato inchiostro
Che cantasse
Unico
stile,
il
di Pilade e d'Oreste;
il
sarebbe, verhigrazia,
vecchio,
vostro
o singolare, o raro,
Che vince
non che
'1
tempo
;
nostro.
Per ch'ogni bottega non ne vende: Ne siete a dire il ver pur troppo avaro.
Io
ho sentito
il
mondo;
Hovvelo
detto, e voi
Onde anch'io
taccio, e pi
al stil
Ma
per tornare
E n'ho
Ma
non
vorrei.
Come
sarebbe, se
'1
vostro Gradasso
Leggessi greco in cattedra agli Ebrei; Quel vostro degnamente vero spasso. Che mi par esser proprio il suo pedante,
Ma messer Cintio mi tir gli orecchi, E disse; Bernio, fa' pur dell'anguille.
Arte non
il proprio umor dove tu pecchi. da te cantar d'Achille; A un pastor poveretto tuo pari Convien far versi da boschi e da ville.
Che questo
Il
107
Ma
Non fla pi pecoraio^ ma cittadino, E metterocci mano unquanco e guari, Com'ha fatto non so chi mio vicino, Che veste d' oro, e pi non degna il panno, E dassi del messere e del divino.
Far versi di voi che fumeranno, E non vorr che me ne abbiate grado, E s'io non dir il ver, sar mio danno. Lascer stare il vostro parentado,
E E A
vostri papi, e
'1
l'altre
le
pere,
E come
Nelle
l'uova fresche, e
come
frati,
mie filastrocche
e tantafere;
Ma
N metterovvi con uno in dozzina. Perch d'un nome siate ambo chiamati:
dir
prima
di quella divina
Che ne promette
bella mattina:
al
mondo
si
trovorno;
Onde
lo studio delle
le
cose buone,
Che fan perder la scherma a chi compone. N tacer da che largo torrente La liberalit vostra si spanda,
dir molto, e
pur
e'
sar niente.
108
CAPITOLI
Questo quel fiume, die pur or si manda Fuori, e quel mar, clie crescer s forte.
Che
'1
mondo
Non
genti accorte
ma tempo
le
ancora
chiuse porte:
se le stelle, che
'1
vii
popolo ora.
fare
il
sole?
Beato chi udir dopo mill' anni Di questa profezia pur le parole.
Dir di quel valor, che mette
i
vanni,
E potria far la spada e il pastorale Ancora un d rifare i nostri danni. Far tacere allor certe cicale.
Certi capocchi, satrapi ignoranti,
Ch' alla vostra virti commetton male. Genti che non san ben da quali e quanti
Spiriti generosi
accompagnato,
Dico oltre a quei ch'avete sempre allato, Che tutta Italia con molta prontezza
Varia
Questo
di l dal
mondo
seguitato.
vi fece
romper
la cavezza,
Legazion tutti i legacci, Tanto da gentil cuor gloria s'apprezza. Portovvi in Ungheria fuor de' covacci S che voi sol voleste passar Vienna: Voi sol dei Turchi vedeste i mostacci. Quest' la storia, che qui sol s'accenna: La lettera minuta, che si nota. Dipoi s' estender con altra penna.
della
A IPPOLITO
Dt;'
MEDICI
10
E mentre
il
Che
di biacca per man di Tiziano, Spero ancor' io, s'io ne sar mai degno, Di darvi qualche cosa di mia mano.
V/VA./VVV
XXI.
AL CARDINAL DE' MEDICI
IN
LODE DI GRADASSO
Che
Io
un'opra
faccia:
son contento,
io vi voglio ubbidire;
Ma
s'ella vi riesce una cosacela. La vostra signoria non se ne rida E pensi eh' a me anche ella dispiaccia. Egli nella Poetica del Vida Un verso, il qual voi forse anche sapete. Che cos agli autor moderni grida: Oli tutti quanti voi, che componete, Non fate cosa mai che vi sia detta. Se poco oiior aver non ne volete
;
Ilo
CAPITOLI
lavorate a posta
Non
mai n in
fretta,
come
quella cosa.
lei.
Dunque negarvi
versi io non potrei, Sendo chi siete; e chi gli negherebbe Anche a Gradasso mio re de' Pimmei? Che giustamente non s'anteporrebbe A quel gran Serican, che venne in Francia Per la spada d' Orlando e poi non l' ebbe. Costui porta altrimenti la sua lancia:
,
Non peserebbe
solo
il
suo pennacchio
La stadera dell'Elba e la bilancia; Con esso serve per ispaventacchio Anzi ha servito adesso in Alemagna A Turchi, e a Mori: io so quel che mi gracchio.
far
moresche
e salti:
Un
grillo,
il
un
gatto,
In prima
periglioso, e poi
mortale;
l'
Non ha
erba
Bettonica, quant'ha quest'animale. La cera verde sua brusca ed acerba Pare un viso di sotto, quando stilla
si
serba.
La sua genealogia
un
di
quei buchi
la Sibilla.
,, ,
,,
IH
Eunuchi,
i
bruchi.
;
di qua dal centinaio grande eh' io credo che manchi Poca cosa d'un braccio a fargli un saio. Se si trovava colla spada ai fianchi
Ed
si
Quando
topi assaltarono
ranocchi
E
M'
Che va incontro
stato detto di
non so che
,
Che
quand' egli
Se cos tosto a seder non s'appresta. Fate dall' altra banda traboccano A capo chino e par che vadi a nozze
,
ha
fatto
il
callo.
Cos le bestie
Che ve le mena meglio assai eh' a mano E parte il giuoco fa delle camozze; Un certo giuoco, eh' io ho inteso strano, E che si lascia il matto a corna innanzi
Cader dagli
alti
Antona
i
Buovo
d'
Agrismonte,
Questo della montagna il vero Veglio Questo solo infra tutti pel pi grasso, E per la miglior roba eleggo e sceglio.
112
CAPITOLI
si dica il Serican Gradasso, Questo cognome ornai si spegne e scorcia, Come la sera il sol, quand' egli basso. Viva Gradasso Berrettai da Norcia.
Pi non
XXII.
LAMENTO
DI
NARDINO
vi dilettate,
piaccionvi
Pregovi in cortesia che m'ascoltiate. Io vi dir il lamento di Nardino, Che fa ognor con pianti orrendi e fieri Sopra il suo sventurato cornacchino:
e gentil sparavieri,
mano
E avutone
umano,
mano;
testa a ignuda
buon segno,
LAMENTO DI NARDINO
13
Non avea forza, ma gli aveva ing-egno, come dicon eerti, avea- destrezza, E in tutte le sue cose assai disegno. Tornava al pugno, eh' era una bellezza, Aspettava il cappel com' una forma:
In fine, egli era tutto gentilezza. Oli Dio, cosa crudel fuor d'ogni norma!
il
tempo
delle starne^
fuori alcuna
torma.
Appena ebb' ei cominciato a pigliarne. Che gli venne un enfiato sotto il piede, Appunto ove pi tenera la carne;
.ccome tutto
il
d venir si
vede
gli
come nuovi.
si crede.
Come
si sia,
comunque tu
gli
provi
chiovi.
un male.
i
e frale;
Quant' verace il precetto Divino: Che non si debba amar cosa mortale Cominci indi a sospirar Nardino,
E star pensoso e pallido nel volto. Dicendo d e notte: o cornacchino, cornacchin mio buon, ehi mi t' ha tolto? Tu m' hai privato d'ogni mio sollazzo. Tu sarai la eagion eh' io verr stolto. impiccato sia io, s' io non m'ammazzo, S' io non mi metto al tutto a disperare!
E come
Che qualche uceel fantastico restio, Cos in un tratto non volea volare.
Bemi.
Parte
I.
, ,
114
CAPITOLI
mordeasi per rabbia ambo le mani. Gridando: Ove sei tu, cornacchin mio?
d lor bastonate da cristiani: eh' suo (ne vo' c^e vi dispiaccia) ha nome Fagianino, eh' un buon cane. ssi adirato, e non ne vuol pi caccia; E spesso spesso a drieto si rimane: Dicono alcun, che lo fa per dolore; Un tratto e' va pi volentieri al pane. Vedete or voi quanta forza ha l' amore
E E
gli
chiama,
minaccia,
Ond'un,
Che insino
gli
animali irrazionali
del lor signore.
Hanno compass'ion
Queste son cose pur fiere e bestiali. Chi le discorre e chi le pensa bene, Ch' intervengon nel mondo agli animali. Per, s' alcuna volta c'interviene Cosa eh' a gusto non ci vadi troppo Bisogna torsi al fin quel che ne viene; Che si d spesso in un peggiore intoppo. Ed talor con danno altrui 'nsegnato. Che gli meglio ir trotton, che di galoppo.
Perch non s'abbia al tutto a disperarne: lo cavi di questa tentazione. Io voglio in cortesia tutti pregarne: Pregate Dio per questo cornacchino; Dico a chi piace uccellare alle starne, Ch' proprio un dei piacer del Magnolino.
113
XXIII.
SOPRA UN GARZONE
Ilo
ho sentito
Dette
dir,
che Mecenate
farsi frate.
un
jE
I
Che non si desse alla disperazione. Fu atto veramente da Romano, Come fu quel di Scipion maggiore^ Quand'egli era in Ispagna capitano* non son n poeta n dottore.
Ma
chi
mi desse
a quel
modo un
'1
fanciullo.
core.
Credo ch'io
gli darei
l'anima e
un
trastullo
sia bello.
Da
per
me
il
bordello,
E
S
quand' io m' avvedessi Che mi facesse rinnegare Iddio, Xon dispetto ch'io non gli facessi.
Dio, s'io n'avessi un, che vo' dir io,
|)h
Poss'io morir
S'io
ila
non
gli dividessi
io
ho a
far
Ma
C'han
16
CAPITOLI
Per Dio, noi altri siam pure sgraziati. Nati a un tempo, dove non si trova Di questi cos fatti Mecenati.
Sar ben un, che far una prova. Di dar via una somma di danari;
Da
quello in su,
non
uom
che
si
muova.
Or che diavolo ha a
Se non
ci
far qui
un mio
pari,
Poich
D'accomodare un pover uom dabbene, E di far un bel tratto in vita loro? Ma so ben' io donde la cosa viene:
Perch
la gente, se lo trova
sano.
vai n sant'Anton n san Bastiano. cavami tu di questo affanno, O tu m'insegna, come io abbi a fare, Aver la mala Pasqua col mal' anno.
Non
meco
Che
sei
Rinniego Iddio s'io non m'ammazzo teco, Poich '1 gridar con altri non mi vale.
117
XXIV.
IN
LAMENTAZION D'AMORE
In f di Cristo,
Amor, che tu
liai
'1
torto,
Assassinare in questo
modo
altrui,
E volermi ammazzar quand' io son morto. Tu m' imbarcasti prima con colui Or vorresti imbarcarmi con colei Io vo' che venga il morho a lei e a lui;
;
;
E presso eh' io non dissi a te e a lei, Se non perch' io non vo' che tu t' adiri;
ogni
modo
i'
io te
1'
appiccherei.
:
avvezzo a rider tuttavia, Or bisogna eh' io pianga e eh' io sospiri. Quand' io trovo la gente per la via
Io era
'0
Ognun mi guarda per trasecolato, E dice eh' io sto male e eh' io vo via. me ne torno a casa disperato: E poi eh' io m' ho veduto nello specchio
fi
'
Conosco ben eh' io son trasfigurato. Farmi esser fatto brutto, magro e vecchio, E gran merc, ch'io non mangio pi nulla, E non chiudo n occhio n orecchio. Quand' ognun si sollazza e si trastulla,
Io attendo a trar guai a centinaia:
E fammegli tirar una fanciulla. Guarda se la fortuna vuol la baia. La m' ha lasciato stare insino ad ora Or vuol eh' io m' innamori in mia vecchiaia.
118
CAPITOLI
:
non volevo innamorarmi ancora Che poi eh' io m' ero innamorato un tratto Mi pareva un bel che esserne fuora-. A ogni modo, Amor, tu hai del matto: E credi a me, se tu non fossi cieco. Io ti farei veder ci che m' hai fatto. Qr se costei l'ha finalmente meco. Questa rinnegataccia della Mea
Io
Di grazia, fa' ancor, ch'io l'abhia seco. Poich tu hai disposto eh' io la bea
;
S'ella
mi fugge,
ancor giudea.
Pensa eh'
io t'
se tu
mi percuoti
non
ti
do la stretta,
ci
s' io
fornisco a mostaccioni.
metta:
Tu non me
Ch' io ti far parere una civetta, Non potendo valermi con costei: Per vendicarmi de' miei dispiaceri.
Faretti quel eh'
i'
arei fatto a
lei.
pi volentieri.
Non
creder ch'io
^on
Cupido, se tu
servi altrui
Abbi compassion
mie pene.
IN
LAMENTAZION
D'
AMORE
1]|
Non guardar perch'io t'abbia detto questo: La troppa stizza me l' ha fatto dire
;
io non vorrei morire: il vero Ogni altra cosa si pu comportare. Questa io non so com' ella s'abbia a ire. Se costei mi lasciasse macinare. Io le farei di dreto un manichino, E mostrerei di non me ne curare. Ma chi non mangia pane e non bee vino l'ho sentito dir che se ne muore,
dirti
E
Per
S'
io
me
lo
indovino;
:
vo' pregare
o Dio d'
Amore
ho pure a morir per man di dame. Tira anche a lei un^verretton nel cuore; Fa' eh' ella muoia d' altro che di fame,
XXV.
NEL TEMPO CHE FU FATTO PAPA ADRIANO VI.
man
dei fiorentini,
Che credete che importin quegli uncini. Che porta per insegna questo arlotto
Figliuol di
un cimator
di
panni lini?
120
CAPITOLI
E
Onde
diravvi
il
Che
gli
manc da
far
un cardinale?
Che vi faceste cos bello onore. Andate adesso a farvi far ragione, O Volterra, o Minerva trad'itore,
canaglia diserta, asin, furfanti.
Avete voi da farci altro favore? Se costui non v'impicca tutti quanti, E non vi squarta vo' ben dir che sia
,
Veramente
la
schiuma
dei pedanti.
mia,
Che ti par di questi almi allievi tuoi. Che ti han cacciato un porro dietro via? Almanco si voltasse costa' a voi,
E vi fesse patir la penitenza Del vostro error: che colpa n' abbiam noi? Che ci ha ad esser negato l'udienza, E dato sul mostaccio delle porte:
Che
Cristo
non
ci
arebbe pazienza.
Ecco che personaggi, ecco che corte. Che brigate galanti cortigiane,
Copis, Vinci, Corizio e Trincheforte
!
Questa
, ,
PER
L'
121
E canta per
Che
dice:
Andai in Fiandra
non
tornai,
Che
Al qual senza ragion foste chiamati. Oltre canaglia brutta, oltre al bordello; Che Cristo mostr ben di avervi a noia.
Quando in conclave vi tolse il cervello. S'io non dico or da buon senno, che io muoia; Che mi parrebbe fare un sacrifizio. Ad esser per un tratto vostro boia.
ignoranti, privi di giudizio. Voi potete pur darvi almeno
il
vanto
Basta
che
gli
hanno
fatto
un papa santo
Che dice ogni mattina la sua messa E non se '1 tocca mai se non col guanto. Ma state saldi, e non gli fate pressa; Dategli tempo un anno e poi vedrete
,
lui
1'
arista lessa.
Santi, s che voi vedete Cristo, Dove ci han messo quaranta poltroni, E state in cielo, e s ve ne ridete. Che maladette sien quante orazioni,
E quante
Dai
litanie vi fur
mai dette
frati in quelle
tante processioni.
Ecco per quel che stavan le staffette Apparecchiate a ir annunziare La venuta di Cristo in Nazarette,
,
, ,
122
CAPITOLI
me
fui vicino^a spiritare.
sentii gridar quella Tortosa:
Io per
Quando
scongiurare.
scrupolosa.
Per questo non volevan levar 1' assi Di quel conclave ladro scellerato. Se forse un'altra volta e' bisognassi. Da poi che seppon ch'egli ebbe accettato. Cominciarono a dir che non verria, E dubitava ognun d' esser chiamato. Allora il Cesarin volle andar va Per parer diligente, e men seco Serapica in iscambio di Tubbia. sciocchi, a Ripa s tristo vn greco. Che non avessi dovuto volare Se fossi stato zoppo, attratto e cieco? Dubitavate voi dell'accettare? Non sapevate voi, che egli avea letto Che un vescovado buon desiderare? Or poi che questo papa benedetto Venne cos non fussi mai venuto Per far agli occhi miei questo dispetto;
;
Roma
Oh Non si
rinata,
il
mondo
riavuto.
:
La peste
dice pi mal de' cardinali Anzi son tutti persone dabbene Tanto franzesi, quanto imperiali. mente umana, come spesso avviene
Ch'
un loda
In pr e
e la piglia
;
gli viene
PER
Cos adesso
L'
123
E mal
mondo
una.
Dice
il
suo Todorico
una buona coscienza. E Come colui che gliel' ha vista sotto. L'una e l'altra gli ammetto, e credo senza Che giuri, e credo che gli abbia ordinato Di non dar via benefizi a credenza.
ch'egli ha
Purch denar contante gli sia dato. Questo perch la chiesa bisognosa, E Rodi ha gran mestier d' esser soccorsa Nella fortuna sua pericolosa. Per questo si riempie quella borsa Che gli fu data vota; onde pi volte La man per rabbia si debbe aver morsa.
Ma
si
124
CAPITOLI
vi staranno a sessanta per cento,
Che
E non
Ch'
i
arate pi sospezone,
denar vostri se gli porti il vento. Non dubitate di messer Simone, Che Maestro Giovan da Macerata Ve ne far plenaria assoluzione.
videbimus; a questa Si d una udienza troppo grata. Ogni domanda lecita e onesta, E che sia il ver, bench fosse difeso. Pure al Lucchese si tagli la testa. Io non so s' il vero quel eh' i' ho inteso,
dicesi,
Ch'
ei
tasta a
se
i
un a un
tutti
denari,
E guarda
Ora chi non
lo sa studi e
impari.
Che
Cos
tiene a
Roma
le
la dovizia,
fannosi venir
spedizioni
le sette
virt cardinalesche.
ne' sermoni.
Ma con
E
Che gli pur vecchio, ed in parte ha provato La santa cortigiana vita nostra.
Di questo quasi l'ho per iscusato:
Che non
vizio
Ma
difetto
che
gli
PER
L'
125
Che non sarebbe, se non buon cristiano, Se non assassinassi si la gente. Pur quand' io sento dire Oltramontano, Vi fo sopra una chiosa col verzino, Idest nimico del sangue italiano.
'
Nato alla stufa: or ecco chi presume Signoreggiare il bel nome latino! E quando un segue il libero costume Di sfogarsi scrivendo e di cantare. Lo minaccia di far buttare in fiume. Cosa d' andarsi proprio ad annegare Poich r antica libert natia Per pi dispetto non si puote usare. San Pier, s'io dico poi qualche pazzia. Qualche parola eh' abbia del bestiale Fa' con Domeneddio la scusa mia. L' usanza mia non fu mai di dir male E che sia il ver, leggi le cose mie. Leggi l'Anguille, leggi l'Orinale, Le Psche i Cardi e 1' altre fantasie Tutti sono inni, salmi, laude ed ode: Guardati or tu dalle palinodie. Io ho drento uno sdegno, che mi rode
:
sforza contro
all'
ordinario mio
Mentre costui
di noi trionfa e
gode
dir di Cristo e di
Domeneddio.
12G
CAPITOLI
XXVI.
IN
Quanta
fatica,
messer Alessandro,
E Cleombroto, E
e quell'altra brigata.
'1
sommo
bene,
alma
e beata.
Chi vuol di scudi aver le casse piene. Chi stare allegro sempre e far gran cera, Pigliando questo mondo com'' viene; Andare a letto com' e' si fa sera. Non far da cosa a cosa differenza. Non guardar pi la bianca che la nera:
Questa hanno certi chiamata indolenza, Ch' , messer Alessandro, una faccenda. Che l'Auditor non v' ha data sentenza;
Vo' dir, eh' io credo che la non s'intenda.
Voi chiamatela vita alla carlona. Qua un che n' ha fatto una leggenda. Un' altra opinion, che non buona, Tien, che l'imperador e '1 prete Ianni Sien maggior del Torrazzo di Cremona: Perch veston di seta, e non di panni, Son spettabili viri, ognun gli guarda,
Son come
barbagianni.
, ,
IN
127
fu
una vecchia lombarda. Che credeva che '1 papa non fuss' uomo, Ma un drago, una montagna, una bombarda;
tratto
un
vedendolo andare a vespro in duomo ^Si fece croce per la maraviglia: Questo scrive un istorico da Como.
gli errori, si
scompiglia.
lavoratori
Starebbon ben, s'egli avessin cervello, Se fussin del lor ben conoscitori. Ma questo alla sentenza stran suggello, come dare innanzi intero un pane
chi
coltello.
E
E
Che danno l'ignoranza per precetto, E non voglion che mai libro si guati. Non mancato ancor chi abbia detto Gran ben del matrimonio e de' contenti Che son nel maritai pudico letto.
IQuesto
amo
io pi,
che tutti
miei parenti
E
I
Ma
uomini
e le vite
le altrui
celebra e canta.
preti,
poche uscite.
128
CAPITOLI
flosofl e poeti;
Or tacete,
Voi Svetonio,
Lasciate dir a
'1
Platina, e Plutarco,
Che scriveste le vite, state cheti; me, che non imbarco, E sono in questo cos buono autore. Sono stato per dir, come san Marco.
al
Pi bella vita
mondo un
debitore.
Ha, che '1 Gran Turco e che l'imperadore. Questo colui che si pu dir beato In tutto l'universo, ove noi stiamo.
,
:
Non
perch paia che noi procediamo Con le misure in mano e con le seste, Prima quel che sia debito vediamo.
le
cose oneste.
Come
Trar
conviene
Adunque
E quanto
Or
fatto
il
fatto
debito pi spesso,
e tiene.
presupposito, e concesso
Che
'1
Un uom ch'affronti, e faccia scrocchi uom da fargli fare ogni gran cosa: Non ebbe tanto cuore Ercole mai,
N que' che vanno
teste
assai;
Ma
E
, ,
IN
129
Non
s'altri
stretti.
pi accarezzato
pi servito
Un
Che
on par che tenga memoria d'altrui: Andate a dir, che un avaraccio boia
Abbia
le belle
grazie
ch'ha costui?
Anzi non chi non brami che muoia Tanto perseguitato e mal voluto,
veduto.
Mai non
si
d' altri mantenuto. quando va per banchi. Che sberrettate egli ha da ogni canto. Quanta gente gii sempre intorno a' fianchi. Liesto colui che si pu dare il vanto Di vera fama e di solida gloria. Quel eh' canonizzato come un santo Non ha proporzione annale o istoria Con gli autentici libri de' mercanti. Che son la vera idea della memoria.
Sempre
alle
(iiiardate
un
r^
E
\'oi
canti.
Con
1'^
un
cristiano,
Parte
I.
130
CAPITOLI
debitor, eh' savio,
Un
dorme sodo.
Fa sonni che
Disse
un
Ch' avea di certi conti dispiacere Voi siete pazzo per lo vero Dio;
O qualche modo
Che
i
pi presto trovate,
gli
creditor
non
abbino a vedere.
Che
se
debiti
ad un metton pensiero.
Vedete, Caccia mio, s'io dico il vero. Che '1 peggio che gli possa intervenire, r esserne portato com' un cero.
Voi vedete
il
Con una certa grazia e leggiadria. Che par che voglia menarvi a dormire. N so quand' io veggo un che vada via Con tanta gente da lato e d' intorno Che differenza a lui dal Papa sia. Poi forse che lo menano in un forno? Serranlo a chiave in una forte rcca, Com' un gioiel di m.olte perle adorno. Come egli giunto, ognun la man gli tocca.
,
,
Ognun Ognun
Luogo Degno
gli fa
carezze e accoglienze.
luogo divino,
E prima
S'
che
abbassa
IN
131
voi
nessuna fabbrica
altra a
agguaglia.
'1
Culiseo,
s'
Roma
pi
degna anticaglia.
suoi baroni
;
\'oi siete
^1
popol che discese da Teseo tenete in stia come i capponi. gli Voi Mandate il piatto lor pubblicamente,
Non
<^'om'
altrimenti che
quivi
,
si fa a'
Lioni.
uno
'1
giunto finalmente
la
Che
mente.
genti industriose:
Chi stecchi, e chi mille altre belle cose. Non vi ha n l'ozio n '1 negozio scusa.
L'uno
Se
Di tutti duoi
scienza infusa.
Voi siete quasi le prime a sapella: Par che corrieri addosso il Ciel vi piova.
qui
si
sente
un rumor
di martella.
Di picconi e di travi, per mandare Libero ognun in questa parte e 'n quella.
Ma
io non mi curo; Appena morto me ne voglio andare. Non so pi bel, che star drento ad un muro Quieto, agiato, dormendo a chiusi occhi, E del corpo e dell' anima sicuro.
E
Che
il
pensier t&cchi
la tela ordisce
un,
l'altro la tesse.
, ,
132
CAPITOLI
XXVII.
IN
LODE DELL'AGO
Tra tutte le scienze e tutte l'arti. Dico scienze ed arti manuali. Ha gran perfezi'on quella de' sarti
Ell' sol quella, che ci fa diversi,
noi ci
mettiam sopr'alla
pelle
Verdi panni, sanguigni, oscuri e persi; facciam cappe, mantelli e gonnelle, E pi maniere d' abiti e di veste
Che non ha rena il mar, n 1 cielo stelle; mutiamci a vicenda or quelle or queste. Come anche a noi si mutau le stagioni
E
Ci
son da lavoro,
la state
e
i
d di feste.
mangerebbon
mosconi
Essendo dunque l'arte buona e bella, Convien che gli strumenti ch'ella adopra, Delle sue qualit prendin da quella,
man
vago,
m'
Che
sol di
ricordarmene m'appago.
, , , ,
IN
Dissi gi in
\
LODE DELL'AGO
133
una certa opera mia Che le figure che son lunghe e tonde Governan tutta la geometria: Chi vuol saper il come, il quando o il donde,
,
Vadi a legger
la storia dell'Anguille,
Che quivi a chi domanda si risponde. Queste due qualit fra l'altre mille
Nell'ago son cos perfettamente,
Che sarebbe perduto il tempo a dille. {Manca la rima.) Questa dell' ago sua propria fortuna Si posson tr tutte l' altre in motteggio A questo mal non speranza alcuna. Le donne dicon ben, ch'hanno per peggio. Quando si torce nel mezzo o si piega: Ma io quella con questa non pareggio; Perch quando egli guasta la bottega
:
Rotta
Si
la
toppa, e spezzati
:
serrami.
pu
io n'
dire al maestro
vatti anniega.
ho visti in molti luoghi assai servon tutti quanti per farne ami. ^on gli opran n bastier , n calzolai
E E
N simili altri, perch' e' son sottili. Quante pu l' ago assottigliarsi mai. ^on cose da man bianche e da gentili Per le donne se gli hanno usurpati. N voglion che altri mai che lor gli infili; non gli tengon punto scioperati,
:
Anzi
'ra
la notte e
'1
sempremai
seni.
il
pieni
stanno,
non so com'
eli'
han
la sera reni.
IS4
CAPITOLI
Quai 'o l'ago si spunta grande affanno: Pur perch' al male qualche medicina
Si ricompensa in qualche parte il danno; Tanto sopr' una pietra si strofina E tanto si rimena innanzi e indreto, Cli' acconciarne qualcun pur s' indovina. Quando si torce ha ben dell'indiscreto,
un
lo dirizza.
Questo
alle
donne
,
fa venir la stizza,
ci intervien
perch' egli
un
ferraccio
Vecchio d'una miniera marcia e vizza. Per quei da Damasco han grande spaccio In ciascun luogo, e quei da San Germano;
Il
resto si
pu
si
dir carta
da straccio.
Ma
Temperati
Vulcano.
)
Manca
la rima.
Chi la vista non ha sottile e pronta. Questo mestier non faccia mai la sera.
Che a manco delle quattro ella gli monta: Che spesso avvien che v' entra dentro cera
terra o simile altra sporcheria.
Che innanzi
un
si dispera.
{Manca
la rima.)
E rende ad
altri
quel ch'altri
gli dette.
{Maoica la rima.)
Opra d'amor tener le cose unite: Questo fa l'ago piii perfettamente, Che per unirle ben le tien cucite. {Manca la rima,)
IN
LODE dell'ago
podere.
1*35
Camminando
Entra uno stecco al villanel nel piede Che le stelle nel d g-li fa vedere. Ond' ei si ferma, e ponsi in terra, e siede, E poi che in sul ginocchio il pie si ha posto Cerca coir ago ove la piaga vede; E tanto guarda or d'appresso or discosto, Ch' al fin lo cava, e s' egli indugia un pezzo. Pare aver fatto a lui pur troppo tosto. Infilasi coir ago qualche vezzo... {Manca la rima.) Godete con amor, felici amanti: State dell' ago voi sarti contenti
:
Che per
vii
lo
strumento degli
strumenti.
XXVIII.
DELLA PIVA
Nessun' inflno ad or persona viva.
Ch'io sappia, in prosa o 'n versi ha mai parlato
Dell'eccellenza e virt della piva;
Ond'
io forte
,
mi son
stato
Vedendo
eh' egli
E degno
Conosco degli ingegni pi di cento. Buoni e gentili, atti a far questa cosa. Ma il capo tutti quanti han pien di vento.
136
CAPITOLI
si
perdon chi in scrivere una rosa Chi qualche erba, od un fiume, od un uccello, qualche selva, o prato, o valle ombrosa: E cos van beccandosi il cervello. Ma dirla alcun: tu ancor fosti di quelli; Io '1 confesso e di questo non m' appello. Ma diciam pur, eh' alli sug-getti belli E degni doverebbono attaccarsi Quei, che gl'ingegni hanno svegliati e snelli. Vogliono in certe baie affaticarsi. Che fanno belle mostre al primo aspetto. Poi son suggetti bassi, nudi e scarsi.
,
La piva cosa pi bella in effetto, Che 'n apparenza, e per con ragione Pu scriver d' essa ogni bell'intelletto. Veramente non senza gran cagione Mantova vostra l'ha sempre onorata,
lodata.
eccellenze eccelle
Oggi in rima da me sia celebrata. le pive io ho per buone e belle, corte, E e lunghe, e grandi, e Piccolino; Bench queste son pive da donzelle. Pur quelle, che son deboli e meschine, Io non approvo: perch, a dire il vero. Non si suona mai ben con le piccine. Per mio giudizio pive daddovero Solo si posson dir le Mantovane, Belle di forma e d' un aspetto altiero. Quando si suona, almanco empion le mane; E tante ve ne son per quel paese. Quanti bulbari son quante son rane.
Tutte
,
Mi
DELLA PIVA
Queste pive si ponno a tutte imprese Usar, a nozze, a feste, giorno e notte,
sonar a un bisogno tutto un mese; Che salde restan a tutte le botte.
131
Onde sen
fa
La piva in somma esser vuol grossa e forte. Senza magagna tutta intera e nuova.
Talch a veder ed a sonar conforte. Chi la vuol buona, la de' tr per prova.
Perch
la vista facilmente
inganna,
'1
mi rimetto.
Perch
l'effetto l'opera
io
condanna.
non ammetto
Da un brutto
'f;i
S' possibil,
1 piffer,
Io
modo alcuno i frati Se sonar voglion, suonin le campane, qualch' altri strumenti sciagurati casa mia non vengon ei per pane
V'
non
accetto in
Non che
a sonar la piva, e
s' io g'
incontro.
Soner lor, come si suona a un cane. Manco laudo costor, che al primo incontro A richiesta d' ogn' nom pongon la mano
Alla piva, e gli corrono all'incontro.
ma
, ,
138
CAPITOLI
Dee la piva tener netta e forbita, E con acqua, e con vin spesso lavare;
Non
Nessun
la terria tutto
si
'1
mondo
pulita.
busi,
E mandar molto ben del flato fuore: Che quando i busi ha ben serrati e chiusi S'egli non sa poi far altro che questo.
Color che ballan tutti alzano
i
musi.
Mi piace ben
Ma
pi
mi
,
Or presto or tardi or dare or ritenere Ora dal destro, or dal sinistro lato; E con questi bei modi intertenere
,
,
Quello,
Sicch' abbian essi ancor qualche piacere. Bisogna ancor aver la lingua amica, E saper darla, e a tempo, e con arte. Come il sapete ben senza ch'io '1 dica. Alcun d della lingua con tant' arte.
Che subito
S bene
il
>,
tempo comparte.
Quanto
i
'1
balli e la festa.
'1
DELLA PIVA
Se avesse, come a dir, pieno Di balli in testa,
Ordinati com'
139
un
lento ed
un armario un gagliardo.
:
un
bel calendario
Ed
Sonasse, or
il
Purch
il
Quando
egli
ha un ballo
Voglio
A me
Quando un buon sonator, che ha buona lena Suona il di chiaro finch vien l'aurora; E quando io veggio far atti di schiena Giovani, o donne, e giuocar di gambetta Sotto il suon di una piva grossa e piena.
Quest' unico rimedio e la ricetta
Da guarir
Quando non sa quel ch'ella si vorria, E tien che alcuna femmina cattiva Le abbia fatto mangiar qualche malia. S'ella ha il conforto allor di qualche piva. Tu vederai che s' ella fosse morta
,
Far il suo sforzo di saper sonare Di questa piva, che tanto conforta. Al tempo antico si trovaron rare Persone, bench ve ne fosser tante. Che non sapesser ben la piva usare.
,,
140
CAPITOLI
Bench
fra tutti di quella contrada
e ardito.
aperser la strada
grande onor, ben questa piva oprando. Assai pi che non fecer con la spada. Cos credo io si fece grande Orlando
Con
Ma
la piva acquistaron, non col brando. che bisogna dir tante novelle? la piva
il
Senza
mondo non
il
nulla,
le stelle.
Ed
qual saria
ciel
senza
e Piccolino,
Anticamente, e l'un la volse in guerra, L' altro in la pace al buon culto divino. Al nostro tempo, se '1 mio dir non erra, Ciascun la vuol in tutti quanti 1 lochi. In tutti i tempi, e per mar e per terra.
Ella onora
i
conviti,
balli e
giuochi.
Ricordatevi allor , eh' andrete lieto Ch' una piva vi vada sempre innante
s'
Acci tenga
per galante.
141
XXIX.
ALLA SUA INNAMORATA
Quand'
io ti g-iiardo
eh' io
fatti miei.
un
bel
donnone.
Da non
,
Tanto capace sei con le persone. Credo che chi cercasse tutto il mondo Non troveria la pi grande schiattona.
Sempre
sei la
maggior
buona
Ad ogni gran rifugio e naturale, Sol con l'aiuto della tua persona. Se tu fussi la mia moglie carnale. Noi faremmo s fatti flgliuoloni Da compensarne Bacco e Carnevale.
Quando io ti veggio in sen que' dui flasconi, Oh mi vien una sete tanto grande. Che par che abbia mangiato salciccioni.
Poi quand' io penso
all'
altre tue
vivande.
Mi si risveglia in modo l'appetito. Che quasi mi si strappan le mutande. Accettami ti prego per marito Che ti trarrai con me tutte le voglie, Perciocch' io sono in casa ben fornito.
,
Io
non avea
il
Ma
quand'
io
142
CAPITOLI
la
Che vede
balla e salta,
come un paladino,
ti sono allato suono il citarino,
:
Cos fo io or eh' io
Io ballo, io canto, io
Che non
Se vuoi che
scuoprirebbe
un
cittadino.
mio amor in te rimetti, Eccomi in punto apparecchiato e presto. Pur che di buona voglia tu l'accetti; E se ancor non ti bastasse questo Che tu voglia di me meglio informarti. Informatene che gli ben onesto. In me ritroverai di buone parti: Ma la miglior io non te la vo' dire;
,
Or se tu vuoi
Stringiamo insieme
parole e
fatti,
E da uom
E
se poi
il
discreto
chiamami a dormire.
Io
mio esser piaceratti Ci accorderemo a far le cose chiare; Che senza testimon non vaglion gli atti. so che appresso m' arai a durare
che tu vuoi im marito galante:
piglia
Adunque
Io ti fui
me, non mi
lasciare.
Da
Fo questo e quello eh' allajmoglie giova. Meco dar ti potrai mille piaceri, Di. Marcon ci staremo in santa pace Dormirem tutti due senza pensieri; Perocch il dolce a tutti sempre piace.
143
XXX.
ALLA DETTA
sei disposta pur eh' io muoia affatto Prima che tu mi voglia soccorrire, E farmi andar in frega come un gatto. Ma se per tuo amor dehho morire. Io t' entrer col mio spirito addosso, E sfamerommi innanzi al mio uscire. E non ti varr dir, non vo', non posso; Cacciato eh' io ti avr '1 mio spirto drento
Tu
Non
ti
avvedrai che
il
Quando aran
visto, che io
sia
non me ne
curi,
Crederanno che
Presa a mangiar
qualche malia.
troppo duri
;
gli scaffl
venga da pazzia. Cos alla fin non mi daranno impaccio, E caverommi la mia fantasia.
s' io
Ma
insegnergli ad esser
crudaccio.
mi ammazzer domane.
t'
Ed
entrerotti dove
esce
il
pane
144
CAPITOLI
Io
ti
S che vedi or se tu
Non
Altramente diman mi vo' morire. esser, come suoli, cruda e fiera. Perch s' io ci mettessi poi le mani. Ti faria far qualche strana matera.
Che specchiandoti arai maggior paura. Che non ebbe Atteon in mezzo ai cani. Se tu provassi ben la mia natura.
Tu
E non
me
dura.
In fine son disposto d'ammazzarmi; Perch ti voglio in corpo un tratto entrare, Ch' altro
S'io
v'
modo non
ti
da vendicarmi.
entro, io
Quand'io
ar tutte
le vesti rotte.
Io ti far ancor
maggior dispetto,
di sul letto,
E E
IC
caverotti
il
il
leverotti
ti
panno
Diavol maladetto.
Che non sarai mai pi per aver bene, S' io non mi sciogli*o di questo legaccio/
Sicch stu vuoi uscir
d' affanni e
pene,
Ma io ti veggio star tutt' ostinata, E non aver piet dei miei gran guai,
Ch' forza farti andar co' panni alzata,
di farti
hai.
145
XXXI.
IN
Messer Michele, un medico m'ha detto, Ch' a distendere i nervi rag-gricchiati Niente buon, quanto il caldo del letto;
Perch
li
gonfia e
li
li
fa star tirati.
Li conforta,
lati.
Che in breve spazio sotto le lenzuola Ogni tenero nervo pi s'indura. Se '1 Mauro Monte Varchi e Firenzuola Considerassin ben le sue moresche Non parlerebbon sempre della gola.
,
\ir
un piaccion
le
Queir altro non si pu saziar di pesche. '^on vo' negar, che non sian cose ghiotte
Queste;
A.
ma non
il
Da empiersene
me
Ciascun faccia secondo il suo cervello. Che non siam tutti d' una fantasia.
Qn
Ma
ha celebrato il ravanello non si parte dal dovere. Che veramente il frutto buono e bello,
altro
;
costui
Che
drieto al pasto
li
fa
buono
il
bere.
Bmii.
Parte
I.
IO
146
CAPITOLI
quel medico mio, eh' molto esperto.
'1
Ma
Dice, che
si
possa,
ben coperto.
tutte l'ossa,
Quivi hen
compongon
standovi ben caldo insino a sesta. Ogni materia dell' uomo s' ingrossa. Mi ha detto ancor un' altra bella festa Che questo caldo detto assai sovente L'uomo dal sonno lacrimando desta.
11
Ma
E
Perch la state a molti vien a noia, questo piace sempre ad ogni gente.
i
Guarisce
granchi, e fa tirar
le
cuoia,
Che stancherian l'Aretin e '1 Pistoia. Ma non toglio per questi suggetti. Per quel caldo d' amor, che presto presto
pur materiale Fregando in su e 'n gi con modo onesto. Ma '1 caldo buon, vero e medicinale
Si fa col fuoco
quel ch'esce
molti
il
dell'
Provandol voi, vi sentirete spesso Miracolosamente sotto i panni Tutte le membra crescere un sommesso.
Questo
Vi far giovin di venticinque anni. Quivi con salutifero sudore. Stando coperto ben, vi sentirete Uscir da dosso ogni soverchio umore
, ,
d^
'^.l
letto
te
se lite
Con qualche donna, che sia s ritrosa Che non voglia con voi pace o quiete, Non potresti trovar pi util cosa. Che farla riscaldar nel letto vostro, Oppur del vostro caldo, ov' ella posa; Che la vedrete in men d' un paternostro Sentendo il caldo, farsi mansueta. Se fusse ben pi feroce che un mostro.
Giove soleva in camera segreta Con questo caldo medicar la moglie,
Quando veniva a
,
E con maschi e con femmine tra noi E lei lasciava in Ciel piena di doglie; Ma quando sazio in Ciel tornava poi.
Quivi
i
il
:
Cielo
Era in tribolazion con tutti i suoi Ma quel che ben sapeva, ove quel pelo
Di gelosia la tirasse, taceva.
Fin che dava alla terra ombroso velo Poi insieme al letto andavano, e faceva
Quel caldo
suoi
effetti, e la
si
mattina
vedeva.
Che cosa
Se ancor
Io
par un arrabbiato.
e
Con un maglio,
Tosto eh'
io
148
CAPITOLI
or impiastri vi martira
Che
Il
Pensa con medicine, in van s'aggira. Ma se il consiglio di un, che vi vuol bene
Seguirete, per certo in breve spero Vedervi san de' nervi delle schiene. Perch siete oggimai di anni severo,
petto
un
vivo cuoio,
nervi.
XXXII.
DEL PESCARE
vita al
mondo un
pescatore.
di tutte le
pesche gode
il
flore.
, ,
DELPESCARE
S' io volessi contare a parte a parte
Il
HQ
Non
E quante
reti son gittate in mare, Quante nei fiumi, e quante nei pantani.
Chi non
Per potersi alle pesche esercitare. s' imbratta nel pescar le mani, E non si sforza di trovare il fondo.
Sia squartato
il
poltrone
Che pu ben dir d' esser soverchio al mondo Chi non fa del pescar la notomia.
Essendo tra' piaceri il pi giocondo. Che tanto attendere all'astrologia! Marcanton da Urbin v' su impazzato Or fa il buffon colla chiromanzia. Che vale esser felice in grande stato! Chi non tiene il pescare arte suprema Dica non esser uomo al mondo nato. Oh che piacere, oh che allegrezza estrema
;
Si
prende
far che
il
'1
pescator, che
si
conforte
A
E
Massime quand'
serra bene
s' ella
provata e forte
Che
una morte.
dibattano,
Sendo tal volta fuor d' ogni misura Avviene spesso eh' ei te la fracassano. Ma un pescator, eh' ha seco la ventura Giunta con l'arte e con sicura rete. Di quel lor travagliar poco si cura. Oh quant' allegrezza ha chi '1 frutto miete Della fatica, che pescando ha fatto. Che tanta nel pax lecurii non ha il prete.
150
CAPI
a terra
le
E quando
E
E
pigliarne
un
di quei pi grossi in
mano,
Che gli par possa nel canestro entrare. perch tal piacer poscia gli sano. Tutto sei caccia drento a poco a poco,
E spesso cambia or l' una or l' altra mano. Quel neir entrar in cos stretto loco
Si sbatte
,
'1
pi bel giuoco.
Un' altra volta e un' altra quel solazzo, Talor sta in quattro ritto , or a giacere.
il dolce pazzo Di scazzellar con quel pesce a man piena. Che scrivendone anch' io giubilo e sguazzo.
Infln, crediate a
me, questa
la
vena
Come
ma un
stento
il verno e se '1 pescar piace la state. Di verno il suo piacer non resta spento. Vuoi tu conoscer se queste pescate Son cose da tener con riverenza.
Come
dal ciel le grazie gratis date;
Vedi ogni oltramontan per reverenza Pesca poco in sue terre, perch indigno Son d' aver di tal grazia conoscenza Ma tratto dal disio che a Roma il spigne Diventa nel pescar s furibondo
:
al
par di
DELPESCARE
E per non terra, in tutto Che pi di Roma abbonde
il
,
151
mondo
parer mio
il
al
Di chi ben peschi, e meglio tocchi per lo corpo, che non vo' dir io
fondo.
il
pane
d'
il
vino,
A
E
rispetto
il
pescar
manco
un
fio.
'n fatti,
gli
ignorante o contadino
Chi non prende piacer di pescagione: Che un pesce buono un boccon divino. Blossio, Giovio, Domizio e il buon Rangone, Che tengon nel pescar la monarchia
un monte
di
letame sotterrare.
152
SONETTI
SOPRA DIVERSI SOGGETTI
SCRITTI A DIVERSE PERSONE
I.
Un' ombra, un sogno, una febbre quartana, Un model secco di qualche figura; Anzi pure il model della paura. Una lanterna viva in forma umana. Una mummia appiccata a tramontana. Legga per cortesia questa scrittura.
A questo modo fatto un Cristiano, Che non contadin n cittadino E non sa s'ei s' in poggio, e s'ei s' in piano.
Credo che sia nipote
di
Com'
Longino: il grano
un
carlino.
SONETTI
Ha
indosso
153
un gonnellino
Porta attraverso
,
Quadro
Una brachetta
accattata a pigione.
di
montone.
Non
farla la ragione.
Di quante stringhe ha egli e '1 suo Muletto, Un abbachista, in cento anni, perfetto. Nimico del confetto,
E degli arrosti, e della peverada. Come dei birri un assassin di strada. opinion eh' ei vada
,
Del corpo
1'
anno quattro
tratti soli
Fugge
Acciocch non
Tant' sottil
,
da' ceraiuoli
lo
Buonarroto Dipigne la quaresima e la fame, Dicon che vuol ritrar questo carcame. Con un cappel di stame Che porta d e notte, come i bravi, E dieci mazzi a cintola di chiavi;
il
Comunque
Che venticinque schiavi a' pie non fan tanto remore, E trenta sagrestani ed un priore.
Coi ferri
154
SONETTI
Va per ambasciadore
Ogni anno dell'aringhe a mezzo maggio, Contra a capretti, a uova e a formaggio: E perch' gran viaggio Ha sempre sotto il braccio un mezzo pane, ;pd ha un giuhbon di sette sorti lane
:
Con
acqua
tinta.
Una
Un uom
II.
Chiome d'argento
,
Senz'arte, intorno ad un bel viso d'oro; Fronte crespa u' mirando io mi scoloro Dove spunta i suoi strali amore e morte; Occhi di perle vaghi, luci torte.
Da
Dita, e
dolcemente grosse e corte; Labbra di latte, bocca ampia celeste Denti d'ebano, rari e pellegrini. Inaudita ineffabile armonia;
man
Costumi
Son
le bellezze della
donna mia.
SONETTI
155
III.
Dove sei tu? che ti perdi un subbietto, Un'opra da compor, non che un sonetto, Pi bella che '1 Danese e che l'Ancroia. Noi abbiam qua P ambasciador del boia. Un medico maestro Guazzaletto Che se m'ascolti infln ch'io abbia detto,
,
si
condisce l'insalata,
fa
le monete. morir di sete. Di sudore, di spasimo e d'affanno. Una sua vesta, che fu gi di panno.
Mi
peli, e
Che porta
Quella gli scusa saio. Cappa, stivai, mantello e copertoio. Intorno al collo par che sia di cuoio;
Saria buon colatoio.
Un che l'avesse agli occhi, vedria lume. Se non gli desse noia gi l' untimie.
156
SONETTI
Come
le
Son
forti
vaghe
e ghiotte
Le maniche in un modo strano fesse, VoUer esser dogai, poi fur hrachesse.
Piagnerla chi vedesse
Un
Che
sudor
ha bigio in gualdirosso: E mai non se 1' ha mosso anni in qua che se lo fece,
fatt'
Chi
lo
guarda,
non
rece,
Ha stomaco
di
porco e
di gallina.
Che mangian
,
gli
La mula poi divina: Aiutatemi Muse a dir ben d' essa Una barcaccia par vecchia dismessa. Scassinata e scommessa, Se le contan le coste ad una ad una.
,
;
Passala
il
sole, e le stelle, e la
luna
E
Che
il
vigilie
digiuna,
calendario
Come un
Chi
vendesse a canne,
Si faria ricco in
una settimana.
,
In cambio di
E d
Ha
Intorno
a'
pi funi e pi corde
fornimenti sgangherati
sei navigli
ben armati.
SONETTI
Nolla vorriano
i
S1
frati.
Quando
salir le
vuol sopra
il
padrone.
:
Geme
Vede
clie
par
le calze
sfondate al maestro,
Colla fede del destro
Scorge chi ha
Il
la vista
pi profonda
D una
La mula,
Dice
il
volta tonda
maestro,
wMs me
commendo.
IV.
Verona
una terra
,
eh'
ha
le
mura
Parte di pietre
e parte di
mattoni
Con merli, e torri, e fossi tanto buoni. Che mona Lega vi starla sicura. Dietro ha un monte innanzi una pianura Per la qual corre un fiume senza sproni Ha presso un lago, che mena carpioni
,
;
Dentro ha spelonche, grotte ed anticaglie Dove il Danese, ed Ercole, ed Anteo Presono il re Bravier colle tanaglie
;
Due
Che
archi soriani
un
Culiseo
le
battaglie.
re di Cipri con
Pompeo;
158
SONETTI
La Ribeca, che
Oi'feo
un istrument,
Com' hanno
1'
Fatte in geometrie.
Da
fare ad Euclide e
Passar
gli architettor
vuol far
Archimede con uno spiede. E chi non ve lo crede, pruova della sua persona.
otto di a Verona;
la
fama suona
in accenti asinini.
Che van su
pe'
cammini,
E su
Passando in gi e in su
E han
dietro
Di marchesi, di conti e di speziali. Che portan tutto l'anno gli stivali; Perch i fanghi immortali Ch' adoran le lor strade graziose,
Producon queste ed
Ma
Da
sotterrarvi
quattro pi famose.
insino a gli occhi
un drento
SONETTI
V.
159
Non
dite pi
ha
il
Bargello
Ognuno
stia in cervello,
viva in pace.
VI.
Del pi profondo
tenebroso centro.
i
Dove Dante ha
alloggiati
Bruti e
i
Cassio
sassi
La vostra mula per urtarvi dentro. Deh perdi' a dir delle sue lodi io entro, Che per dir poco, me' eh' io me la passi? Ma bisogna pur dirne, s'io crepassi. Tanto il ben eh' io le voglio ito addentro.
,,
160
SONETTI
Come
a chi rece senza riverenza.
Regger bisogna il capo con due mani Cos anche alla sua magnitcenza. Se secondo gli autor, son dotti e sani
I
sostenere
suoi
Bisogna acciaio temprato in aceto. Di qui nasce un segreto. Che se per sorte il Podest il sapesse, Non danar di lei che non vi desse; Perch quand' ei volesse Fare un dei suoi peccati confessare, Basteria dargli questa a cavalcare. Che per isgangherare
Dalle radici le braccia e le spalle,
Corda non
che
si
Ch' eir matricolata gioielliera. E con una maniera Dolce e benigna da farsele schiave. Se le lega nei ferri, e serra a chiave. Come di grossa nave Per lo scoglio schifar torce il timone Con tutto il corpo appoggiato un padrone;
Cos quel gran testone
, , ,
SONETTI
Bisog-na ad ogni passo
l6l
Raccomandarsi a Dio,
far testamento,
Sacramento. Se siete mal contento. Se gli qualcuno a chi vogliate male. Dategli a cavalcar quest' animale
il
O con un
cardinale
Per paggio la ponete a far inchini Ch'ella gli fa volgar, greci e latini.
MI.
donna, che ogni sera Io abbia a stare a mio marcio dispetto In fino all' undici ore andarne a letto A petizion di chi giuoca a primiera?
Pu
far la nostra
Direbbon poi costoro: ei si dispera, maggiori di s non ha rispetto; io l'ho pur detto, Corpo di Hassi a vegliar la notte intera intera? Viemmisi questo per la mia fatica, Ch' io ho durato a dir de' fatti tuoi Che tu mi sei, primiera, s nimica ?
ai
Signor
Bench bisogneria voltarsi a voi. che se volete pur eh' io '1 dica Volete poco bene a voi e a noi.
,
innanzi cena
e poi
Giuocate d e notte tuttavia, E non sapete che restar si sia. Qucst' la pena mia Ch' io veggio, e sento, e non posso far io: E non volete eh' i' rinniegh Dio?
So'nL
Parte
J.
11
, ,
162
SONETTI
VITI.
Cancheri
e beccaflchi
magri arrosto,
carbonata senza bere. Essere stracco, e non poter sedere. Avere il fuoco presso, e il vin discosto; Riscuotere a beli' agio, e pagar tosto, E dare ad altri per avere a avere; Essere ad una festa, e non vedere, E sudar di gennaio come d'agosto; Avere un sassolin n' una scarpetta, E una pulce drento ad una calza
E mangiar
Che vadia
in gi e in su per istaffetta;
Una mano imbrattata e una netta Una gamba calzata ed una scalza.
Esser fatto aspettare, ed aver fretta: Chi pi n' ha, pi ne metta
conti tutti
la
dispetti e le doglie
di tutte l'aver moglie.
Che
maggior
X.
in profezia
che cascherebbe;
lui
Con questa casa, che non ancor mia. N forse anche a mio tempo esser potrebbe
In esser marcia gli occhi perderebbe
:
,, ,
SONETTI
La prima cosa in capo arete
i
163
palchi.
Non
fabbricati gi da legnaiuoli.
Ma
Non arem
Ma
Con
gufi ed assiuoli
il
Valler:
Come
dir la stadera.
un trespolo, un paniere. un fiasco, un lucerniere. Mi par cos vedere Farvi, come giugnete, un ceffo strano, E darla a dietro, come f' Giordano;
arcolaio,
Un Un
predellino,
Borbottando pian piano, Ch' io mi mettessi con voi la giornea Come gi fece Evandro con Enea. E trar via 1' Odissea,
greche e 1' ebraiche scritture. Considerando queste cose scure. Messer, venite pure, Se non si studier greco od ebreo Si studier, vi prometto, in caldeo.
le
Ed aremo un
corteo
Di mosche intorno, e senza aver campana. La notte e il d soneremo a mattana. Ma sarebbe marchiana, Id est, vo' dir, sarebbe forte bello. Se conduceste con voi l' Ardinghello, Faremo ad un piattello Voi e mia madre , ed io la fante e i fanti Poi staremo in un letto tutti quanti.
, ,
164
SONETfl
E
leverenci santi
ci
Non che
Sendo
pudichi: e non
sar furia
tutti ricette
da lussuria.
X.
ho per cameriera mia l'Ancroia, Madre di Ferrali, zia di Morgante, Arcavola maggior dell' Amostante Balia del Turco e suocera del boia. la sua pelle di razza di stuoia, Morbida come quella del liofante: Non credo che si trovi al mondo fante
lo
,
Pi orrida
pi sudicia e squarquoia.
sopra manco,
Commesse
d di Befania
Perch qualcun le dia d' una balestra. Ch'eir s fiera e alpestra. Che le daran nel capo d'un bolzone. In cambio di cicogna e di aghirone. S'eir andasse carpone Parrebbe una scrofaccia, o una miccia. Ch'abbia le poppe a guisa di salciccia: Vieta, grinza, ed arsiccia, filino^ (ini tinta in verdn,a-i:illo, Becca
p,
SONETTI
Con
porri e schianze, e suvvi qualche callo.
165
Non
La lingua
e'
le
fu dato in fallo
XI.
Non vadin pi pellegrini o romei La Quaresima a Roma, agli stazioni. Gi per le scale sante inginocchioni.
Pigliando
le
indulgenze e
gli
giuhbilei;
e'
N contemplando
archi
culisei
E E
la torre,
Se vanno
Che l'uno
Se
Io
e l'altro
mostrer
lor io.
la fede canuta,
come
scritto.
ho mia madre, e due zie, e un zio. Che son la fede d'intaglio e di gitto-
166
SONETTI
Paion
gii
Dei di Egitto,
altri
omeghi
Han pi proporz'on ne' capi loro, E pi misura, che non han costoro.
Io gli stimo
un
tesoro,
mostrerogli a chi li vuol vedere Per anticaglie naturali e vere. L'altre non son intere,
qual
manca
la testa, a qual le
mani;
dei cani.
Son morte,
e paion state in
man
Questi son vivi e sani, dicon che non voglion mai morire:
ei la
La morte chiama; ed
lascian dire.
Dunque
Venga a Firenze
nella
chi si
ha a
chiarire
mia taverna.
XII.
Un
Or
la veste, or l'anello, or la
catena,
Un
Che
compagnia.
pena.
nell'inferno
non
altra
Un darle desinare, albergo e cena. Come se l'uom facesse l'osteria: Un sospetto crudel del malfranzese.
Un
SONETTI
Per darle, verbigrazia, un tanto il mese: Un dirmi, ch'io vi torno troppo spesso;
Un'eccellenza del signor marchese. Eterno onore del femmineo sesso: Un morbo, un puzzo, un cesso.
167
Un non
Son
le
cagion che
mi meno
la riila.
Xlll.
Ser Cecco non pu star senza la corte. la corte pu star senza ser Cecco:
E
E
ser Cecco
la
Pensi
Chi vuol saper, che cosa sia ser Cecco, e contempli che cosa la corte Questo ser Cecco somiglia la corte,
168
SONETTI
XIV.
Piangete, destri,
il
N tenghin gli occhi asciutti gli orinali. Che rotto il pentolin del haccelliero. Quanto dimostra apertamente il vero
Di giorno in giorno agli occhi de' mortali,
Che per nostra speranza in cose frali. Troppo nasconde il diritto sentiero. Ecco chi vide mai tal pentolino
,
snello.
l'arte.
Natura
il
ha perduto
il
mattino.
Che il vedevan talor portare in parte. Ove usa ogni famoso cantarello.
XV.
Che l'Alcionio poeta laureato Ebbe in commenda a vita masculina; Che gli scusa cavallo e concubina. S ben altrui la lingua d per lato;
Tanta lana
SONETTI
Ed ha un
paio di natiche si strette,
ella
le
169
pare
come
berrette;
Tra r anime celesti benedette Come un corpo diafano traspare: Per grazia singulare. Al suo padrone il d di Befania Annunzio '1 malan, che Dio gli dia; E disse, che saria Vestito tutto quanto un d da state; Idest, ch'arebbe delle bastonate. Da non so che brigate; Che per guarirlo del maligno bene Gli volean fare un impiastro alle rene; Ma il matto da catene Pensando al paracimeno duale.
Non
prognostico fatale: E per modo un cornale Misur, ed un sorbo, e un querciolo. Che parve stato un anno al legnaiuolo.
intese
il
A me ne
Che
incresce solo.
Che non
gli
170
SONETTI
XVI.
Godete, preti, poich '1 vostro Cristo V'ama cotanto, che se pi s' offende, Pi da Turchi e Concili vi difende,
pi felice fa quel eh' pi tristo. Ben verr tempo, eh' ogni vostro acquisto.
cosi bruttamente oggi
si
spende. Ti lever: che Dio punirvi intende Col fulgor, che non sia sentito o visto. Credete voi per, Sardanapali,
Potervi fare or femmine or mariti,
Che
la chiesa or
spelonca ed or taverna?
E E
non
E non
hont superna?
XVII.
Signore,
io ho trovato una badia. dea della distruzione:
Che par
la
Templum
Appetto a lei, sono una signoria. Per mezzo della chiesa una via. Dove ne van le bestie e le persone: Le navi urtano in scoglio, e '1 galeone Si consuma di far lor compagnia. Dove non va la strada son certi orti D'ortica e d'una malva singulare.
morti.
SONETTI
Chi volesse di calici parlare, averebbe mille torti: Non che tovaglie, non v' pure altare. Il campanil mi pare Un pezzo di frammento d'acquidotto.
171
di croci,
Un
Che mai non s'odon dire una parola. La casa una scuola Da scherma perfettissima e da ballo. Che mai non vi si mette piede in fallo:
Netta com'un cristallo.
Leggiadra, scarca, snella e pellegrina. Che par eh' eli' abbia pi' sa medicina.
Ogni stanza
Camera,
cantina.
Ma
donna
E ha
la
universale,
somma
di
e traditori!
I
XVIII.
,,
l'72
SONETTI
:
11 papa papa, e tu sei un furfante, Nudrito del pan d' altri e del dir male Hai un pie in bordello, e l'altro allo spedale, Storpiataccio ignorante ed arrogante.
,
Giovammatteo e gli altri eh' egli ha presso. Che per grazia di Dio son vivi e sani. T'affogheranno ancora un d n' un cesso.
,
Boia, scorgi
costumi tuoi
ruffiani:
se pur vuoi cianciar, di' di te stesso. Guardati il petto e la testa e le mani. Ma tu fai come i cani. Che d pur lor mazzate se tu sai. Scosse che l' hanno son pi hei che mai. Vergognati oggimai Prosuntuoso, porco, mostro infame, Idol del vituperio e della fame: Che un monte di letame Ti aspetta, manigoldo, sprimacciato. Perch tu muoia a tue sorelle allato; Quelle due, sciagurato. Ch'hai nel bordel d'Arezzo a grand' onore, A gambettar, che fa lo mio amore.
,
Di queste, traditore.
Dovevi
E non
del
sorelle.
Che mal vivendo ti faran le spese, E il lor, non quel di Mantova, marchese; Che ormai ogni paese Hai ammorbato, ogni uom, ogni animale:
Il ciel,
e Dio, e
'1
diavol
ti
vuol male.
SONETTI
Che
ti
173
siion di bastonate
muoia
:
E per maggior
favore squarteratti.
quei tuoi lecca piatti
E
Ti canteranno
il
Or
vivi e ti
XlX.
Chi fla giammai cos crudel persona. Che non pianga a cald' occhi e spron battuti Empiendo il ciel di pianti e di starnuti. La barba di Domenico d'Ancona? Qual cosa fla giammai s bella e buona. Che 'nvidia o tempo o morte in mal non muti
, ,
Poich
Ad una barba
Almen
Pili
pi singolare
'n prosa.
tu tagliato
il
collo
Che
li
SONETTI
E
fra le cose rare
Porlo sopra ad un uscio in prospettiva Per mantener l' immagine sua diva.
Ma
pur almen
si
scriva
Questa disgrazia di colore oscuro. Ad uso d' epitaffio in qualche muro Ahi caso orrendo e duro! Giace qui delle barbe la corona, Che fu gi di Domenico d' Ancona.
:
XX.
Chi avesse, o sapesse chi avesse Un paio di calze di messer Andrea Arcivescovo nostro, ch'egli avea Mandate a risprangar, perch eran fesse Il d che s' ebbe Pisa se le messe.
una giornea Chi l'avesse trovate non le bea, Ch' al sngrestan vorremmo le rendesse.
Ed ab
antico furo
Perch' egli liberal gentil signoro. Cos grid il predicator del duomo:
Intanto
il
paggio
le
si
trova in prigione
Ch'ha perduto
brache a monsignore.
SONETTI
XXI.
Dovizie mio, io son dove
175
La
riva, a cui
la
il
Battista
il
E non
Non mica scaglia, ma buona compagna. Qui non si sa chi sia Francia n Spagna,
N
lor rapine,
Grattisi
cui,
adesso in van
si
lagna.
Fra sterpi
il
cuore,
XKiJ.
Venir
Che
ti
E
Che
venir possa
un canchero a
colui,
signore:
s'egli altri, che ti dia favore. Possa venir un canchero anche a lui. Ch'io ho voglia di dir, se fusse Cristo,
v-^iie
Non
non fusse un
tristo.
, ,
l7'5
SONETTI
Or
tinla col
ti
dia,
Ch'un
mi renderai
roba mia.
XXIII.
Pu Che tu
fare
il
ciel
sordo
sentimenti?
far
1'
Non
accordo Per ischiacciarti il capo come al tordo Coi lor prefati antichi trattamenti? Egli universale opinione. Che sotto queste carezze e amori
Ti daranno la pace di Marcone.
Ma
e'
Vettori
Son compagni
di corte e cimatori.
Voi altri imbarcatori,Renzo, Andrea d'Oria e Conti di Gaiazzo, Vi menerete tutti quanti il cazzo. Il papa andr a sollazzo Il sabato alla vigna a Belvedere, E sguazzer, che sar un piacere: Voi starete a vedere Che e che non , una mattina Ce ne far a tutti una schiavina.
:
SONETTI
XXIV.
Fate a
Il
IT
modo d'un
vostro servidore.
Non
Padre santo,
dico
mo
di
cuore,
vi
Perch
dica:
Il
papa ha male
muore;
E che son
E han sempre
il
Pigliate
un
orinale.
Date loro con esso nel mostaccio: Levate noi di noia, e voi d'impaccio.
di rispetti.
Di considerazioni e d discorsi:
ma,
di s, di forsi.
;
d assai
non
sborsi.
e bei detti;
12
Parte
I.
nS
SONETTI
Di pie di piombo e di neutralit.
Di pazienza, di dimostrazione.
D'innocenza,
di
buona intenzione:
Ch' quasi come dir, semplicit. Per non le dare altra interpretazione
Sia con sopportazione.
Lo dir, pur vedrete che pian piano Far canonizzar papa Adriano.
XXVI.
Eran gi i versi ai poeti rubati, Com' or si ruban le cose tra noi
salvare
suoi.
distici abbozzati.
A me
E
dicon tu
Sicch, poeti, io son da pi di voi; Dappoi ch'io son vestito, e voi spogliati.
Ma
Vi faceva
le
tonache
di scudi.
,
a voi danari
gli studi,
un
altro alle
Non son
la
gente faceta
di prose e carmi.
SONETTI
Come
s' io
179
lussi di razza di
marmi.
;
Come
Il
vede fuor qualche sonetto. 1' Derni ha composto a suo dispetto. E fanvi su un guazzetto
si
il
Cielo,
Se Luter
fa pi stracci del
Vangelo.
non ebbi mai pelo, Che pur pensasse a ci, non eh' io '1 facessi E pur lo feci, ancor eh' io non volessi. In Ovidio non lessi
Io
Mai, che
gli
uso
di
trombetta veneziano.
gli
legge
il
bando piano.
Aspetto a
mano
XXVII.
Se mi vedesse la segreteria prebenda del Canonicato,
io
la
Com'
m' adatto a
bollire
un bucato
notomia.
Cavandone
Per farne
l'
il
Ognissanti
pan Acato
un arrosto, o
altra leccornia;
180
SONETTI
L'
una m'accuserebbe
fatto
al
Cardinale,
un animale.
me
al
Guascone,
non porto
di dietro lo straccale
vostro resto?
Recate
facciam conto presto: La corte avuto ha in presto Sedici anni da me d'affanno e stento,
i
libri, e
io
da
lei
ducati quattrocento:
O pi, a me per cortesia donati Da duoi, che soli son per me prelati: Ambedue registrati
Nel libro del mio cuor eh'
in
carta buona;
L'uno
Ridolfl, e quell'altro
Verona.
a dare,
Or
Arrechi
il
se fusse persona
gli avessi
Che
siate
XXVIII.
S'io avessi l'ingegno del Burchiello,
Io vi farei volentieri
SONETTI
Signor mio caro, io mi trovo in bordello. Anzi trovianci, per parlar pi retto; Come tante lamprede in un tocchetto Impantanati siam tino al cervello. L' acqua e il fango e i facchini e i marinari Ci hanno posto 1' assedio alle calcagna, Gridando tutti: Dateci danari. L'oste ci fa una cera grifagna, E debbe dir fra s: frate' miei cari. Chi perde in questo mondo e' ci guadagna. All'uscir della ragna Di settimana renderem gli uccelli,
181
facci vezzi
quelli,
abbiamo intesa Pi presto sotto a mangiarci lo strame Che andare innanzi, e morirci di fame A queir albergo infame Che degnamente detto Malalbergo Ond' io per stizza pi carte non vergo.
;
Che noi
XXIX.
SI
IN CUI
STAVA
VERONA.
S'io posso un d porti le mani addosso, Puttana libert , s' io non ti lego
e poi
ti
frego
in dos<?o
:
Cos ritta ad
182
SONETTI
Poss' io
siccome io posso Rinnegar Cristo che ogni ora il rnniego: Da poi che non mi vai voto n priego Centra il giogo pi volte indarno scosso. A dire il vero eli' una gran cosa,
,
mal capitar
Ch'
io
stillare
il
cervello
fegatello.
morirsi di fame.
Oh
il
gran bordello!
XXX.
ma
prugnuoli.
Cacasangue vi venga a tutti quanti Qualche buon pesce per questi di santi,
Se non altro de' talli di vivuoli Sappiam, che siete spasimati amanti,
E E
come
lusignuoli.
Ma
Non
ci
pasciam, ne ne pigliam diletto: Perocch l'uno acqua, e l'altro vento. Poi quando vogliam leggere un sonetto. Il Petrarca e '1 Burchiel n' han pi di cento
e di dispetto:
SONETTI
Concludendo in effetto. Che noi farem la vita alla divisa.
Se noi stiamo a Firenze, e voi a Pisa.
183
XXXI.
Dunque
Il
se
'1
cielo invidioso
'1
ed empio
secol giocondo.
N'ha
un vivo esempio
acerbo scempio?
Deh Donna
mano
il
freno.
Ch'avete
dolor vostri.
Che
Tenete vivo quel lume sereno. n' rimaso e fate che si mostri
,
Al guasto
mondo
e di tenebre pieno.
184
SONETTI
XXXII.
RINCANTAZIONE
S' io dissi
DI
VERONA.
di
Verona
Come
al
mondo ne
Verona
una terra
buona
:
perdona a chi si pente. Alma citt, ti prego or mi perdona. Che '1 martello eh' io ho del mio padrone Qual Dio vi tiene a pascere il suo gregge.
Se da Dio
,
Ma
si
corregge.
:
Perdonatemi ognun eh' ha diserezione Chi pon freno a' cervelli, o d lor legge?
XXXIII.
DELLA INFERMIT'
II
DI
PAPA CLEMENTE
VII.
papa non fa altro che mangiare. Il papa non fa altro che dormire Quest' quel che si dice e si pu dire A chi del papa viene a dimandare:
;
Ha buon
Bella lingua,
tossire;
, ,
SONETTI
Questi son segni,
185
Ma
e'
medici
lo
Perch non
ci
sarebbe
il
lor
onore
Avendo detto: gli spacciato, e' muore. Trovan cose terribil, casi strani:
Egli ebbe
'1
parocismo
alle
due ore,
i
Farian morire
cani
Non che
'1
Che a dispetto
ognun l'ammazzeranno.
xxxn'.
VOTO
Quest'
DI
PAPA CLEMENTE.
Lo
pover'
uom non
aveva niente
affatto:
se l'aveva,
non l'aveva
Che
di scesa.
E
S'
Chiesa,
gli stivali.
, ,
18(>
SONETTI
Voi, maestri Cotal,
un branco
di ladri e di castroni.
XXXV.
Poich da voi, signor, m' pur vietato dir le vere mie ragion non possa.
le
Che
Per consumarmi
midolle e
strazio e
1'
ossa
non usato;
fiato,
Finch spirto avr in corpo, ed alma, e Finch questa mia lingua aver possa. Grider solo in qualche speco o fossa La mia innocenza, e pi l'altrui peccato. E forse eh' avverr quello eh' avvenne Della zampogna di chi vide Mida, Che suon poi quel ch'egli ascoso tenne. L'innocenza, signor, troppo in s fida. Troppo veloce a metter ale e penne, E quanto pi la chiude altri, pi grida.
,
XXXVL
Io ho sentito Giovan Mariani Che tu sei vivo, e sei pur anco a Vico: Io n'ho tanto piacer (ve' quel ch'io dico), Quant' io avessi mai '1 d de' ... Le carestie passate e i tempi strani, Ch' hanno chi morto e chi fatto mendico
, .
SONETTI
Fan che di te non arei dato un fico Tu m' eri quasi uscito dalle mani
Or
vi sei
:
187
Che questa buona nuova oggi m' ha dato. Dimmi, se' tu nimico pi de' solchi.
Come
A
Che stan
seme getti?
Ch'io
ti
si
sverni.
xxxvn.
N navi, n cavalli, o schiere armate. Che si son mosse cos giustamente,
Posson ancor
Italia e
la
misera
e dolente
Roma
porre in libertate.
:
S'
Onde al vulgo ancor io m' ascondo e celo Non leggo, e scrivo sempre, e'n mal soggiorno Perdendo I' ore spendo e non guadagno. Cosa grata non ho dentro o d' intorno Testimon m' colui che regge il cielo Di me sol, non d'altrui mi dolgo e lagno.
; :
;
188
RIME VARIE
CACCIA D'AMORE
amorosa Dea
lia
Citerea,
Dalla piaggia odorifera sabea Venuti con gli 'ngegni e reti nostre. Per cacciar solo nelle selve vostre. Sappiam che '1 terren vostro pien Che inetti e pochi cacciatori avete; E perch raro dentro vi si caccia
di caccia.
Offese spesso dalle fere siete. Per quando con noi cacciar vi piaccia,
L' alta perfez'on nostra vedrete
Oltre che vi
fla
certo
il
cacciar grato.
Che si faccia nel mondo, e la pi cara La pi soave e la pi dilettosa. La pi dolce, pi onesta e la pi rara; La caccia l'arte ne' segreti ascosa. Che con maggior difficult s'impara.
Ed
RIHIE
VARIE
189
Bisogna un sodo ingegno naturale. Per trovar prima della caccia i luochi. Ed esser ben nell'arte universale. Trovar cacciando mille belli giuochi;
il
generale.
Provato abbiam che in s diletti ha pochi. Convien, donne, alla caccia usar gran cura, Servar ordini, tempi, arte e misura.
Come
la caccia a chi sa
i
ben cacciare
'1
di tutti
diletti
il
meglio e
flore
stare
Son nella caccia mille bei segreti. Che questi vostri cacciator non sanno V'ha grand' ingegno nel piantar le reti.
:
Luoghi dove
Spinger
si
le fere
ad uscir vanno;
de\ quand'arrestar cacciando. Non son tutti i terreni accomodati. N ciascun campo ha dilettevol caccia:
Molti vaghi paesi
abbiam
trovati.
Dove senza
Fan
delle fere ai
si
can perder
la traccia;
Salvaticine vi
piglian rare.
si
N senza
usatti vi
pu cacciare.
190
RIME VARIE
Queir Ugualmente in general perfetto, Ch' duro e sodo, e che non sassoso; Caccia troviam d'un singular diletto, E d'alto frutto in ogni bosco ombroso. Folto non gi, non gi chiuso n stretto
Da
Pur sempre
meglio
e di pi
preda certa,
aperta.
Quando
Son
di
si
caccia alla
colline,
campagna
Queste
Ma
Che non
Perdonvi
N pu di corno inanimargli il suono; La salita gli stanca, ed in brcv'ora Fuggon le fere della caccia fora. Non avvien questo a' nostri can cacciando.
Perch cacciamo accomodatamente,
Cogliam le fere all'aspettato varco, N tiriam colpo mai, che indarno scocchi. Data la botta, in un momento carco E cosi sta Anch' ad un'altra tocchi; N quella fugge pi ch'una sol volta
;
RIME VARIE
L' astute volpi, che
191
schernendo vanno
Con
non sanno.
'ngegni;
dalli nostri
E che non
F
di
quest'immortali
Secondoch troviamo il terren grato, Facciam sempre la caccia, e lunga e breve. Abhiam, Madonne, veltro accomodato. Che n per sol si stanca, n per neve;
Scorre e passa or da questo or da quel lato,
o s riposta.
Che non v'entri cacciando egli a sua posta. Qual piacer, donne, vi credete voi. Che sia cacciando una fugace belva.
Poi d'averla cacciata
un
pezzo, e poi
can l'ha spinta nell'estrema selva. Vederla stanca dar del petto in noi, AUor che '1 can gagliardo pi s'inselva, E da pi morsi punta appi d'un colle. Rendersi alfin tutt' affannata e molle? Dateci campi, ove cacciar possiamo.
'1
Che
Che
piacer che
nell'opra
i
si
comparte.
il
pi mettiamo.
dardi,
E che
Vostra sar
preda e vostro
il
frutto.
192
lUMK VAKIK
CANZONE.
Messer Antonio,
io
sono innamorato
:
vo'gli bene
Guardogli
il
Quando
lo
fuora.
Da
rovescio e da ritto, Tanto che m' ha trafitto E vo'gli bene, e sonne innamorato. Quand' io mei veggio indosso la mattina, Mi par direttamente, che sia mio:
:
vo'gli bene: e
sonne innamorato.
,
Messer Anton
Vedete questo saio, se non pare Ch' io sia con esso indosso un mezzo Marte? Fate or conto di metterlo da parte: Io sar vostro bravo, E servidore e schiavo Ed anch' io porter la spada allato.
KIME VARIE
193
mondo
errante
Partendo nella tua pi verde etade, Hai '1 viver mio d' ogni ben privo e casso Dalle sempre beate alme contrade
terren peso,
il
passo.
la
tutto
il
petto
bagna
Di lagrime, ed il cor colma di doglia: Che persi ogni piacer al viver mio. Quel d eh' al ciel santa spiegasti '1 volo
Da indi in qua n grassa n gentile Non ebbi cena mai ma magra e vile ;
,
Talch sovente al mio desco m' involo , E son venuto senza te in oblio Ai pettirossi, ai beccaflchi, ond' io
Dir odo poscia andando tra la gente u Quel poverel divien magro sovente.
Ohim, che chiusi son quegli occhi gialli. Che solean far di scudi e di doppioni E dei ben dei banchier fede fra noi Spezzinsi adunque, e brucinsi i panioni
!
E
I
poi
con noi. Che Che con quello smontare e rimontare Ed ora in qua ed ora in l voltarsi.
Abbassarsi e innalzarsi
Berni.
mia non
Parte
I.
13
,,
1^
Fea
RIME VARIE
tutti intorno a s gli augei fermare;
E E
lieta e
In sul vergon gli fea balzar di netto. Di poi lieta ver me volgea le ciglia
Quasi volesse
Mi tenea
'1
viva.
mia dolce
il
e giuliva.
vago animaletto Visto sei volte ben tonda la luna, Quando morte crudele empia l'assalse, Ed in un tratto con doglia importuna
Cotal
le
strinse
il
delicato petto.
Che d'erbe
o di parol' virt
non
valse
trarla delle
ella del
la
man
invide e false.
Onde
Venir
Mi
vergoni
Venut'
ora che io
civette
i
men
E dove
Si
le
e'
civettoni
Gli allocchi e
posan
lieti, il
Delle fatiche
B.
RIME VARIE
Rimanti in pace: e pi non pot dire. Qual rimas' io quando primier m' accorsi Del caso orrendo, spaventoso e fiero! E maraviglia ben com' io son vivo. Qual padre vide mai destro e leggiero
Figli uol sopra
195
un
d'
ogni pigrizia schivo. Mentre corre pi lieto e pi giulivo Cadern' a terra* e rimanerne morto.
Di ogni vilt,
E lungo E senza
Stetti;
Ahim che tolto m' hai** la mia civetta. Anzi la mia sorella, anzi la sposa.
Anzi
la vita, anzi
l'anima mia;
ai gufi, ai
Toglieva
il
vanto
barbagianni
Degna Che
Sono
i
far, lasso!
bei
il
mia dolce compagna? Che mi solea con essa sempre andare, E con un asinel mio diportando, Ora per questa or per quella campagna; Ed u' cantando il rosignuol*** si lagna,
Privato della
196
RIME VARIE
sverna
il
E dove E dove
Ed
il
gentil capinere,
meno
accorto* pettirosso
beccafico vero,
Alletta a pi
non posso.
il
u' s'ingrassa
Tendea**
l'insidie; e
mentre
l'
io
li
prendeva.
Un mio
servo carcava
asinelio
Di legne per poter cuocer la sera La caccia, e far con essa buona cera. Cos lieto passava il tempo , e quello Che sopra ogni altra cosa mi piaceva
Era il ben pazzo eh' ella mi voleva. Or tutto il mio diporto e '1 mio riparo pianger la sua morte col somaro. Canzon, se ben vedi acceso '1 desio A far pi lunga la tua rozza tela E la civetta mia porget' il filo ,*** Stanca la penna, e cotal fatto '1 stilo, Com' al soffiar de' venti una candela.
Per voglio por fine**** al duro pianto. Che ci far chi pianger altrettanto Con stil pi grave pi canoro***** e bello
,
Be non m' inganna '1 mio caro asinelio. Discreto asinel mio, che gi portasti Sopra gli omeri tuoi si ricche piume Ed ogni sua maniera, ogni costume, E le prodezze sue , tutti i suoi gesti
Gi tante
fiate lieto ti godesti,
*ic*** f^^mro.
RIME VARIE
19^
Con
MADRIGALE.
Vero inferno '1 mio petto. Vero infernale spirito son io
'1
foco mio.
e
non consuma,
tale
non
si
vede
mia fiamma
Madonna non
la crede.
E del divino aspetto lo spirito misero infernale Ed io gli sono eguale E vivo senza '1 mio vitale obbietto.
;
N speme ha
la
Ed
ostinato in
'1
core:
Han
gli spirti
Ardono in foco, ed
ardo innocente:
E bestemmian l' autor dell' esser loro Ed io chi mi tormenta amo e adoro.
Ci.
B.
198
RIME VARIE
itMADRIGALE.
Pu far Domeneddio che tu consenti Ch' una tua cosa sia Mandata nell' Abruzzi a far quietanze?
fatto
mio
,'
Come
lo
Forse piet m' areste qualche benefzio mi dareste Che se '1 dicesse Dio
;
Pur
fo,
io,
Ancorch'io sappia, ch'io non vi contento. Voi mi straziate, e mi volete morto. Ed al corpo di Cristo avete '1 torto.
'
L
199
RIME VARIE
il
quale era da
Como
,
Fu da
Non
domo;
,
Ma
E
Tenea
l'istoria scriveva di
Gradasso.
quando mangiava.
Qualche buffoneria sempre diceva, E sempre qualche cosa ne cavava; Gli venia voglia di ci che vedeva: Laonde or questo or quell'altro affrontava D' esser basci grand' appetito aveva Avea la bocca larga e tondo il viso
, ,
Solo a vederlo
ognun moveva a
riso.
Un cagnaccio superbo
Oh' era
il
e traditore.
Dispetto e fu chiamato
altro di
Amore
Non ebbe
CAPITOLO
DEL GIUOCO DELLA
PRI.MI|ERAJ
GOL COMENTOj
DI M
Compare^
io
scheriiirmi, che
piwe
e
,
mi
bisognato
V ho
,
fatto
n per
immortalarmi come
fatica
el cavalier Casio
ma
per fuggir la
mia
e
melo
non
avendo
,
mi bisognava o scriverlo, o farlo scrivere, e l'uno e V altro 7ion mi piaceva troppo per non mi affaticare, e non mi obligare. Poi che rtii ci sono lasciato crre, ringrazio Dio che son pwr stato tanto savio, che, dicendomi qmsti nostri poeti e oratori moderni che
doglielo a dare
Cos
il
Testo.
204
l*
opera a qwxlcuno,
come hanno
spese.
fatto
Ma
possi par-
mia
f,
mi pareria
si trovano che
hanno pi denari
men
mai uomo
n
pi
volentieri di voi.
Chi diceva di
tutti
Br andini
,
chi di
cos
nella quale
voi.
che
la si
raccomanda a
come fo ancora
io.
Bi Roma.,
M. B.
26.
L. Gelasino de Fiesoli.
DI
DA RADICOFANI
El pi bel libro eh' io vedessi mai. Che n' ho veduto pur anch' io qualcuno
Ver
mi
crederai.
che non pasto da ogni uno un pedante ci d su de morso. Ci si romper e' denti a un a uno. un libro da uomini di discorso. Da ingegni svegliati e pellegrini, E che gustino il vino al primo sorso.
s'
sia chi mi ragioni di latini. N d'ebraichi o grechi a petto a questo, Ch' i' non darei di tutti duo quattrini.
si
Qui
il
sesto.
Che
Hanno
primica
, ,
206
CAPITOLO
se tu guardi
ben a parte a parte. Cose son qui che non saranno altrove, Se tu volgessi cento milia carte. Cose util, cose belle, e cose nuove;
verno. quand' sol, quando piove. L'altr'arti, o le ti fanno ir all'inferno. Come le leggi, se ci vuoi far frutto, le ti fan stentar in sempiterno. La medicina sta nel mal per tutto
d'
'1
Cose
adoperar la state e
e'I d,
La notte,
la filosofia eh'
Scambio
di savio
ti
un poco
manco che
niente.
Che lasciam ir, che gli cos bel gioco, Che oltra quel che n'ha scritto 1' autore,
dir el resto
i'
diventarci fioco.
maggiore,
tanta in questo, a
d'
un
,
Che
In
un
a
furfante pu farsi
man
un pazzo,
si gli
a 'nsegnargli primiera,
E perder
avessi
un
Bench' io conosco tal persona eh' era Scimunita e sventata, che giocato
guadagno.
fatto
sol
un pazzo, ma
d'
'1
Lo purga
IN
LODE DELL'OPERA
sempre a sedere.
207
Per che
lo fa star
N mai pensar ad altro eh' a s solo Con piccola fatica, e gran piacere. Ch' io ti giuro si avesse un mio figliuolo, r lo farei star fitto in questa cosa, Com' in cucina el treppiede e '1 paiuolo. E va, di' che ci sia verso n prosa. Che con lor diceria, con le lor fole
Avanzin la rettorica qui ascosa: he solamente con quattro parole. Passo, vada, l'invito, vo'e non voglio, la rinvito, s' ha quel che l'uom vuole. \ ti bisogna andar in Campidoglio Gracchiando come f' gi Cicerone, tener sempre la penna in sul foglio. Qui s'osserva giustizia, e fa ragione
Sommaria,
Perde
e'
danari e la riputazione.
mi par un gran conforto che, mentre che l'uom a questo bada. Acquista molto onor, pur che sia accorto.
Ed
in
si
vada.
da imperator gli fatta strada. E pu' ficcar il capo in tutti e' buchi, N alcun sar mai che lo riprenda, E dove vuol, non lo meni e conduchi. Farmi ancor maraviglia eh' un, ch'attenda
Da Da
A
O
ci
o sete
o sonno
caldo,
passioni
3*
mai non
accodtonno,
208
CAPITOLO
amorosi che stan sotto e' tetti Appresso a questi parrebbon poltroni:
gli
Che
se
non
volume
;
son tutti e' precetti che eleganza, E con con che fiume D'eloquenza, con che fonda dottrina Noi dico che da s la si fa lume Da starci la sera a la mattina,
ci
,
;
Che
O grande
autor, tu
ti
Pi eh' un pugnai
dall'
uno
all'
altro canto,
le
carte fai
Istrumento di tanta e tal virtue. Adesso s che' fatti tuoi farai. E se non se' un asino o un bue. Sarai pi obligato a tal persona. Che a chi padre, e chi madre ti fue. E mettera'le in capo una corona, Non de' tuoi re, n delle tue madame. Ma d'ogni loda e d'ogni cosa buona. E voi librai che gi morti di fame Vi veggo con cotesti scartafacci. Deh mandategli a fiume col letame: E non sia alcun di voi che pi s'impacci. Se non di vender el Testo el Cemento De la Primiera, acci che vi rifacci. Ne spaccerete ogni ora pi di cento Come vorrete; se ben saran cari Nessun per ne sar mai contento.
IN
LODE dell'opera
209
Anzi da que' che saranno pi avari, Fatt' el conto all' entrata e all' uscita, Non guardaran n a roba n a danari.
l'per
son per metterci la vita. Per averne e per passar e' guai Con tal' opera d' ogni ben fornita.
,
me
la pi bella eh'
i'
vedessi mai.
^erni,
Parte
I.
14
CAPITOLO
DEL
GIUOCO
DELLA PRIMIERA
COL COMENTO
DI
Tutta
l'et
Se
la fusse
ben quella
di Titone,
Non
giuoco delle
nome suo,
o per invidia di
tempo
in fra
n veggio perch, si debba cedere o a Pirro inventore del giuoco delle tavole, a Palamede delli scacchi, o a qual si voglia altro autore di qualunque altro giuoco; perch ricercata diligentemente la qualit di ciascheduno degli altri, certamente questo, e d' artifcio, e di variet, e di piacevolezza, non pure non inferiore ad alcun di loro, ma, secondo l'opinion mia, di gran
lodati di cos fatta professione
212
CAPITOLO
li
mente nobile, che e' paiono una imagine delle sanguinose battaglie, e in essi si pu contemplare la virt di questo e di quel capitano di quello e di
,
n ha per questo giuoco con tutto ci maggior prerogativa , n pi forte conflrmazione delle laudi sue, che dire di signoreggiare solo fra gli altri alla fortuna, e di non aver a far niente con lei, conciossiach tutto dall'ingegno e dalla industria si regga; il che non diranno miga le favole d'avere in tutto, ma in gran parte s, affermando essere giuoco da gentili uomini e da gran signori i quali non se commetteriano totaldi cavalieri e degli altri soldati:
mente
non vedessino
con virt d'ingegno e con natun taceranno anche questo, che il fatto loro ha pi vita e pi speranza che molti altri giuochi, n cos ad un tratto mettono al punto lo stato
di poter reggerla
rale intelligenza,
con esso loro s'impaccia, come fa verbigrazia la bassetta o li tre dadi , e che a questo si pu conoscere principalmente la loro dignit che comunemente sono usati da persone di senno e di consiglio, come sono i vecchi, de' quali principalmente
di chi
agevolmente rispondere che non per tanto da giudicare che questo sia pi bel giuoco del mondo conciossiach anche le pesche, le quali non scn cos per:
fette frutta
come si stima, piacciono a cos fatte persone, s come scritto nel capitolo di quelle E vedr ben che queste pesche tali
:
IN
213
E bench
gioni
si
non
dice,
come
intender voglio. gione filosofica a proposito di ci, che essendo la natura del bene diffusiva, e chiamandosi quello maggior
me, quel che io tacendo Sol non tacer una potentissima ra-
si
diffonde,
di s,
carte
si
possono chiamar
sommo
bene, per-
ch del piacer loro infiniti, a dir cos, sono i participanti, n cos disutil giuoco in esse, sia pur stretto a sua posta, che riceva men di quattro persone e volesse Dio che tanti fossero coloro che avessero il modo, come son quegli che hanno il luogo appresso di quelle, s come sa molto bene chi in esse ha punto d'esperienza. Io lascio stare la di;
contare
ad uno ad uno arci troppo che fare. Taccio similmente il mirabile piacere che di quelle pure a guardarle si cava. La pittura nonch altro innamora gli
animi dei riguardanti
lori
,
gradi, numeri,
,
punti,
co-
le figure
si
diverticuli
gli strani
passatempi
che in esse
ficaci
meno
ef-
che la natura la cui forza grandissima, non meno per essa opera mirabilissimamente negli uomini, che per qualunque
altra cosa se sia.
Non
ha vedute
le
le carte
che egli
appetisce,
le
desidera,
prima mediante gli anni della discrezione ha imparato ad annumerare insino a dieci che
seguita, n
214
CAPITOLO
io di
cosa son danari, spade, coppe e bastoni, e ho veduto quegli che prima hanno imparato questo, che
il
l'Ave maria o
una delle scienze infuse da Dio nell'anima nostra quando ella vien nel corpo, la quale, secondo il placito di Platone, per bere del fiume Leteo, insieme
con
che
il
ma questo
mio non
il
veramente
in tutte le cose
Se
io
me non
se
Ma perch il principale instituto mio di dichiarare, quanto in me fla, il presente capitolo, la cui intenche lodare il giuoco della Primiera, ripetendo un'altra volta i primi tre versi', dico che. fra gli altri infiniti e bellissimi giuochi delle carte
zione
altro
non
uno
il
cui
nome
Primiera,
postoli cos,
cuna certezza affermare la etimologia, o vogliamo dire la propriet di questo vocabolo avere o depenconvenienza, o denominazione da cosa del mondo, perch non se n' avendo certezza per scrittura, o per testimonio, follia sarebbe la mia volermi
denza,
mettere ad indovinare; ma se i pareri di cos fatte cose son liberi agli uomini, siami concesso, non per affermare, ma per istimare o imaginare, dir che io per me credo che la denominazione di questo nome
IN
215
ne
ma
chi.
E a
dir
il
ha pi grandezza, pi
N la ronfa, n la erica, n i trionfi, n la bassetta ha a far cosa del mondo con esso questo fasti;
Primiera piacevole, nobile, figurata, e, a dir cosi, buona compagna; e con tanta destrezza fa le cose
sue, che se ella facesse altrui tutto il mal del mondo, bisogna che l'uomo le resti schiavo, s come di sotto
sangue e gli occhi, non me ne curo; e una grandissima prova della sua grandezza, che i gran signori a Primiera giuocano e non ad altro giuoco o rarissime volte. Da quel che ella si sia denominata adunque sia in
dice
il
il
non
molta importanza, e trista lei se con questo argomento s'avesse a provar solamente la dignit sua. Similmente di chi ne fusse inventore o di chi la illustrasse primamente, poca certezza si ha, ne quella poca conflrmata per autorit di fede degni; alcuni dicono del magnifico Lorenzo de' Medici, e raccontano non so che novella d'una Badia, la quale, perch in verit l'opera non merita il pregio, e io ne potrei, narrandola, aver cos mal grado come buono, lascer cercare a pi curiosi. Altri vogliono che il re Ferrando di Napoli, quello che tanto magnificamente oper, la trovasse
:
altri
:
il
re Mattia
altri
il
ghero
certi
Ungran
Siniscalco.
216
CAPITOLO
come
la
COS superflua
mente trovare a chi desidera sapere quanti barili di vino desse Aceste ad Enea, o come avesse nome
la balia d'Anchise, e cotali altre curiosit
peggio che
domandato, direi che ella stata sempre e sar sempre; e sono d'opinione che non le carte la trovassero, ma ella trovasse le carte, e che assai maggior merito s'acquista di lodarla e di celebrare le virt sue,
che
di
vanamente consumare
tutte
il
tempo intorno a
il
cos
poeta nostro
accortosi, pretermesse
le
superfluit, e
non
senza grandissimo
artificio, dice:
Se
la fusse
ben quella
di Titone,
Non
non
stanza quanto ne pareva che a ci appartenesse, pur per non pretermettere la istoria di Titone la quale
,
in vero
degna
di notizia,
il
Omero
LaomedOnte padre
lei
i
di
rora, e da
Costui fingono
il
che allegoricamente non vuol dir altro se non che la vecchiezza ' sempre loquace. Di lui fa menzione il Petrarca nel principio de' suoi Trionfi, e nella
descrizione del nuovo giorno, dicendo
:
IN
217
Scaldava il sol gi l'uno e l'altro corno Del Tauro, e la fanciulla di Titone Correa gelata al suo antico soggiorno.
in
un
altro luogo
Che con
la
E Dante
un
di
La concubina
Titone antico.
vi-
vacissimo e massimamente loquace , posto dal poeta nostro per esempio di lunga et, e d'uno che
quasi potesse a sufficienza dire della Primiera
;
ma
non
gli
e'
soggiugne
licenza di questi
che
s'
rendo certissimo pochi esser quegli, litterati, che non sappino quale e quanto fusse messer Tullio Cicerone nella Romana repubblica; conciossiach la vita sua e le sue opere non meritino minor contezza di quello che s'abbino: pure per soddisfar, com'io dissi poco anzi, al debito mio e al desiderio di quegli che di simil notizia hanno bisogno, dico che Marco Tullio Cicerone fu da Ar-
mi massimamente
218
CAPITOLO
pino, non molto nobile castello nel regno di Napoli. Venne in Roma nella sua pi fanciullesca et, e, aiutato dalle gran doti dell' animo e della persona, di-
vent grande, and a Rodi ad imparar retorica da uno Apollino*^ottimo retorico in que' tempi, dal quale fu laudato publicamente. Di poi per mezzo di questa arte, cresciuto nella opinione degli uomini, merit esser nel Senato romano accettato, dove assai onori
e magistrati
si
gli
furon dati
come partitamente
pu vedere da chi scrive la vita sua. E volendo Catilina per mezzo d'una sua coniurazione farsi signor di Roma con publico consentimento del Se,
:
nato fu fatto console: volt s contro di lui, ed estinselo, e liber la patria molto gloriosamente and proconsole in Cilicia, e di quelle genti ebbe non so
che
di
vittorie. Nelle
guerre
civili
parti sue, e da
quello fu adoperato in diverse faccende. Ma morto che fu l'uno e l'altro di loro, e fatto a Roma il triumvirato di Augusto, Lepido e Marcantonio, Cicerone,
che con costui avea particolari inimicizie, credendosi esser nell'antica libert di
Roma,
pi volte e
permissione d'Augusto, e ad istanza di Marco Antonio fu morto da' soldati suoi , e il capo di lui messo per ispettacolo a tutto il popolo. Fu assai
fine per
buon uomo
n mai si dice che pigliasse cause contro ad alcuno, n volle mai prezzo d'esse, e nella maggior parte delle sue defensioni otnelle sue azioni,
tenne e persuase.
Fu
* Cosi
il Testo^
IN
e' si
219
crede che
per tanto, parendogli che n anche costui fusse bastante a cos fatta impresa, fa una maggiore esagerazione, dicendo:
tone
;
ma non
Ne
colui ch'ebbe,
come
dice
Omero,
milia persone.
il
poeta abbia
testifica
quale,
come
Omero, fu nello tanto che con le grida stordiva e vinceva gl'inimici tutti; s come anche si dice del re Bravieri, che fu vinto dal Danese, ma non si trova mal che Omero
dicesse particolarmente, che costui avesse voce per
nove
dissima,
onde opinione
il
di Stentore,
ma
di
Marte
quale
il
Diomede a solo a solo, fu ferito da lui sconciamente in un fianco, per la qual ferita messe tanto gran voce quanto metterebbeno nove o dieci milia persone; s come sonano appunto le parole d' Omero il che
;
pronto a vedere a chi vuole, com' io dissi nel quarto della Iliade circa il fine: pure a chi piacesse pi quell'altra opinione sia rimesso in lui,
una volta
l'in-
tenzione
Latini
amplificar la cosa
chiamano
iperbole, la quale
nostri poeti
220
eAP
ITOLO
come il Petrarca
volte usurpata, si
e molti altri
bellissima cosa in
una
Un
Che
'1
tavoliero.
Accennammo
di
non
fede, pur,
perch cosi
crede
istoria sia
faccia a di-
chiarazione
poeta, quanto se ne pu
per altrui relazione avere notizia, diremo che Palamede fu nepote di Belo di Fenicia, non immerita-
mente annumerato
fra gli altri capitani che andorono con Agamennone a Troia. Fu quello che, fingendo Ulisse d' esser matto per non andare a quella
guerra, gli pose innanzi il figliuolo. Arando egli e seminando sale, fece assai in quella spedizione con le mani e col consiglio: trov le ascolte, contrassegni
i
come dimo-
nostro poeta.
Il
IN
221
da Pirro re degli Epiroti, cio degli Albanesi. Costui diceva esser parente d'Achille: fu il. primo che menasse elefanti in Italia, quando fece guerra ai Romani: fu peritissimo della disciplina
dire che fusse trovato
militare; trov l'uso di porre
il
campo qua
e l, e
sue invenzioni fu detto. Perch adunque come tavole, quella delle l'uno e l'altro di costoro furono grandissimi uomini,
degli alloggiamenti
,
e fra
l'
altre
pone
il
poeta appresso a
Titone e a Cicerone;
si
ma
bene
quegli per
amor
della elo-
non
pu
stia.
La Primiera
un giuoco tanto
non basta a
bello,
Che
Dicono
i filosofi,
logici
buona
genere e
la diffe-
prima
si
debbe proporre, e poi dividere, e che la proposizione e la divisione sono le principali parti del diflnito, e bench di sopra si possa pi tosto dire che noi abbiamo laudata la Primiera che diflnita vogliamo
,
luogo di diflnizione
conciossiach
il
di-
grosso uomo che non ne sappia, sarebbe cosa pi tosto disutile che altrimenti, e la intenzion nostra
solamente cose piacevoli e fruttuose. In diversi luoghi, diversamente adoperato questo gioco,
di dir
222
si
CAPITOLO
di levare
i
costuma
nove, invitasi, e tiensi sopra ogni piccolo punto, seconda carta, e quando si dice passo, bisogna per forza scartarle tutte, sebbene uno avesse un asso o un sei in mano cos a Venezia, verbigrazia, debbe esser diverso il modo del giocare,
fassi del resto alla
: ;
ma di tutte le
cos,
della corte di
Roma, la quale
come
gli spiriti,
si
del
mondo quanti ha
fama
Roma,
continuamente concorrere tutti i valorosi animi ad essa come i fiumi al mare; n mai d, n ora, n momento, che qualche bella cosa non
la cui
apparisca or di questo, or
diverse maniere, che io
(Vi
quell'altro;
e in s
non mi vergogner a dire, che se mai fu questo piccol mondo in supremo grado
n debbe aver punto di Cesare. Cond'invidia alla ciossiach n di variet, n di grandezza, n di bellezza non ha da vergognarsi da lei. In questa gloriosa
nostra Roma, a quella
corte adunque, fra le altre lodevoli usanze, fiorisce
sommamente
decoro,
numeri,
le
non se gli toglie n sette, scartare, e non scarsi Qui pu nove. n otto, n tare amendue le carte, poi che detto una volta: passo. Non si fa cos alle due carte del resto, come forse non meno malignamente che leggermente s' usa di fare altrove, e che grandissimo argomento di
figure e le parti sue: qui
288
quale usanza come che ella sia da qualcuno biasimata per le ragioni che di sotto nel progresso della
fatica nostra
porremo, pure a
me non
dispiace; n
non mi
usanza;
ma a me non par di poterne dire alcuno pi ef-^ flcace, pur che e' mi sia concesso di dirlo senza carico di superbia, che cos come li molti, che dico,
aver autori, non giocherebbero ove non s'usasse di
dir:
io
che in corte;
sto e
non
altro sia
modo
di giocare;
n
gioil
primo inventore
di
si
que-
sto gioco, se
non che
cos e
non altrimenti
casse. Di questo
modo
La Primiera
un gioco tanto
bello,
che considerato quali e quante sieno quelle persone, a chi questa cosa diletta, certamente l'autorit, il nu-
mero, e quel ch'io stimo maggior cosa di tutto, la natura, artefice ingegnosissima, chiaramente dimostrer
questo esser pi vero che la verit stessa. Qual quell'imperatore, quel re, o quel principe che
non
gio-
non
di venga
sarebbe cosi? Quale quel cittadino, quell'artigiano, quel contadino quel cosi mendico e deserto, che non
verr drieto a questa cosa
come
la
pazza
al figliolo ?
224
cJapJitol'o
alle
noi vegg-amo quella dimostrarle e le opere sue pi efficacemente nelle cose inferme e deboli, dove l'arte e il consiglio
:
Ma vegnamo
nelle altre , e infondere in quelle dal principio della creazion loro l'appetito del bene e l'odio del male, s come si vede per espe-
ha
biso;
gno questo
donna? quale pi trasportato dai adunque noi veggiamo questo animale non aver prima cognizione di cos fatta dolcezza che egli non vorrebbe mai far altro che stare in essa, che diremo se non che tanta maggior la bellezza della Primiera quanto eli' ^pi secondo la natura, e quanto la natura per mezzo di lei in noi
perfetto che la
naturali appetiti? Se
opera
effetti
si-
ma-
gnifici; e bench questo sia verissimo, pure non molto malagevole a credere, per esser naturale la magnificenza a'signori. Ma che si dir se e' s trovano uno avaro, uno sordido un poltrone, un meschino
,
giocando a Primiera divenir prodigo, splendido, valoroso e ricco, e per conseguente famoso volare al cielo per la bocca di questo e di quello. Non giuochi
buon compagno, e a dirlo in un tratto, uomo da bene, perch e'.non riceve cosa che in alcuna parte macchi il caijdore dell'animo:
a questo giuoco chi
non
in esso sono le tre principali virt, fed;^ la speranza e carit, accompagnate da pazienza, modestia, lon-
come
di ;Sotto, partita-
di esse
dimostreremo
IN
22o
pur che
la
materia
che
io della bellezza
abbia
con gli detto assai, o almeno voluto ing-egni vostri a' difetti miei, essendo tempo da pasdire, e supplite
sar pi avanti.
Tanto travagliato
I
e tanto
vario.
si
lei, l'altro
giuoca; e per maggior notizia di questo da sapere, che travaglio non altro appresso i buoni autori che
mutazione e alterazione da una cosa ad un' altra onde si suol dir volgarmente una cosa esser travagliata, che per qualche diverso accidente muta o
colore,
voglia, o stato, e
comunemente
si
piglia in
il
mala parte.
vaglio
il
Ma non
in questo
modo
e' si
ha preso
tra-
qualche via a questa significazione; solo per quando appartiene a' giuocatori di Primiera ella si dir
travagliata per
della
glio
le molte variet che in essa sono e maniera e della fortuna; sua, il principal travadi questo giuoco si posson chiamare i suoi due
il
principali capi,
flusso e la Primiera, e
si
chiama
il
punto.
un terzo Da questi
miera intervengono cotidianamente, cio, maggior flusso e minor flusso, maggiore e minor Primiera, pi e men punto, dalle quali diversit nascono infinite controversie e mille be' punti da disputare, come manifestamente si potr vedere nel processo dall'opera nostra, pur che la occasione il richiegga. Di qui cavato il fare al meno, nel qual modo di giocare
Berni
Parte
I.
15
226
CAPITOLO
io di quelli
il
quale
io a
rio, e
Un
altro
non men
cose vincano e
come
dir quattro
il che a molti moltissime volte intervenuto, nei quali nominare volentieri mi affaticherei, se non temessi di offendere qualcuno che forse questa legge non ammette nel giuoco suo perch a dire il vero ella non cosi universale antica, come qualcun' altra; e potrebbesi pi convenientemente chiamare statuto essa legge bella ella a ogni modo, particolare o generale che ella sia, e un grande ornamento di questo giuoco. Ma che diremo, che dalla Primiera si derivono altri giuochi, che ciascuno d' essi ha proprie diffnizioni, regole e giudicj? La Pariglia non giuoco, e forse poco men travagliato che la Primiera, e puossi fare nelle prime e nelle terze carte, e pu esser maggiore e minore, secondo la dispensazione della fortuna. Chi stimarebbe che la Bassetta che tien tavola da sua posta, e ha tanta riputazione, che son molti che non voglion giocare ad altro giuoco, fusse derivata dalla Primiera? Forse non stato uomo infino a qui che se ne sia ac-
corto; e puree
un grandissimo argomento di questo, Non egli un giuocare quando i giuocatori di Primiera 1' un
con l'altro metton denari da parte per doversi tirare da quelli a chi prima la fortuna mander il punto di comun consentimento chiamato? Io non dico gi che il giuoco della Zara sia derivato da questo, per-
IN
S27
anche mia
e e'
cerchin questo
curiosi,
mia libera opinione, che io per me tengo per fermo non esser altro quel che
mi consentino
dir la
si
punto a tre dadi, che quel che poco sopra chiamare un numeroso una figura delle carte a beneficio di colui a chi prima verr e sebbene quello dei tre dadi pi. famosa cosa appresso del mondo che questo, non si debbe per
dice mettere al
dissi
;
modo
sia
minor
di quello
anzi
questo in tanto esser men chiaro che l'altro, e pi il giuoco da tre dadi pi ristretto ella non avesse limitato che la Primiera; che se tanti diverticuli e tanti, a dir cosi, luoghi comuni,
quanto
ne sarebbe meno
illustre
il
Ma
povert di questo e
il
non avere
capo in s, il fa essere il pi imitato, e per conseguente pi celebre. Non si debbon chiamare punto minor travaglio della Primiera le leggi, i patti, le condizioni, i modi del gioaltro principal
care,
dubbj,
casi, e le
cotidianamenlie intervengono,- le quali tutte cose insieme, e ciascuna da per s hanno bisogno di
grandissima dichiarazione. Sa ognuno questo essere nella Primiera per legge comune che il flusso la vinca n cosi barbara o cos strana nazione, che non
;
suo: e credo io che pochi si trovino a cui non sia manifesto quest'altra esser general legge nel giuoco
meno, che la Primiera e il flusso perdino, il che potrebbe molto ben accadere, che qualcuno, non
del
la
general legge
S28
CAPITOLO
me
detta di sopra, in questo
s'
ingannasse a partito, e cadesse in qualche inconveniente; n sarebbe miracolo che il medesimo, ingannandosi cos fattamente, avendo verbigrazia flusso, volesse vincere uno che avesse Primiera di quattro cose, il che potrebbe generar discordia e scandalo grandissimo fra i giuocatori, e esser causa di molto male e acciocch questo non abbia ad intervenire, per dichiarazione di questo passo da sapere, che questa Primiera
,
da
di quattro cose come ho detto di sopra, non ricevuta da tutti per legge comune; per cos frequentata nella nostra corte, che, avendo io poco innanzi per alcuna ragion voluto mostrare, questa cortigiana usanza esser perfettissima, e ci che in essa si ammette, potersi sicuramente per ottima legge tener da ciascuno, che usandosi questa fra l'altre universalmente, mi par che senza rispetto veruno se ne debba dar precetti particolari. La Primiera delle quattro cose sopra ogni altra Primiera, e sopra ogni grandissimo flusso puossi accusare per l'uno e per l'altro; pu invitare, passare, lasciar passare ad altri; ha tutti questi privilegi che si possono avere, e non cosi brutta Primiera, sia pur d'otto di nove a sua posta, che non gli goda: ben vero che anch'ella ha i gradi suoi, come hanno l'altre Primiere, ed vinta la minore dalla maggiore come nella Pariglia interviene. A questa legge se ne potrebbono aggiungere molte altre universalissime per tutto il mondo, come dir che n sopra flusso, n sopra Primiera si possa invitare, n passare con l'uno o con l'altro senza pregiudicio che il punto stesso, e non la lingua, giuochi, e alcune
altre, quali io
di leggieri
mi paa.
IN
ser,
22
molta esposizione
;
per dubbj che dentro ne intervengano e bisogna correre dove pi ne strigne la necessit. Se ben m^
ricordo, facendo
menzion
non molto
di sopra
dissi esser
grandissima parte
la
quale
usanza cade in grandissima controversia fra dottori di questa professione, se per legge, o per statuto, o per patto si debba ammettere e poi che eli' ammessa, se cosa laudevole, attento il bene e il male che da quella pu venire ed stata questa sottilissima disputa in pendente sotto diversi giudici in
;
mano
di
tra parte.
data la sentenza,
per seguir
mio ordinario
come
si dice,
il
So-
del
non minore, n di manco potenza che quella muovonsi questi tali da un zelo ben comune, causato ogni volta che questa legge
con essa
si
ovvia alla
rovina di molti, che in giuoco per lor ventura non aranno tanti denari quanto gli altri, e alla temerit
e audacia di coloro che, disprezzato
il
picciol
numero
qualche volta fanno capitar male, e fondonsi brevemente gli amici di cos fatta legge in sul dire che dove il fin della Primiera non sia il vincer principalmente, ma il passar tempo, ella sia massimae altri
di
che
io dissi
di sopra.
da non meno cflicaci ragioni mossi sentono diversamente, che questa cosa n per legge, n per ista-
250
CAPITOLO
si
al
tutto
che a molti con una tristissima primiera sar levato un ottimo punto da uno, che per ghiottonia, o per sicurezza, che io vodi
e pi
mostrar possino,
huon giuoco, tiene un mediocre invito, fatto da quello del buon punto per tirar sui compagni; e non senza grandissimo pregiudicio di lui gli
glia dire, del
struere tutte
le
che il zelo, da che color si muovono, al tutto falso, e ingannonsi di gran lunga credere che in quel modo men denari si giuochino; conciossiach e molte ragioni, e la speranza massimamente dimostri essere
il
contrario. Io, come ho detto, fra due cos potenti oppugnazioni volentieri sar uomo di mezzo, lasciando dar la sentenza a chi ne sa pi di me. Piacemi bene aver fatto questo discorso per utilit di
d'amendue
le
parti igno-
senton ben costoro, e per general legge mettono il potersi dir: senza mal giuoco; ma in un caso solo, e questo ogni volta che uno, trovandosi assai men denari innanzi di quel che si trova l'altra brigata, fa e questo perch non pregiudichi del suo resto
;
bench, a dire
il
vero,
anche
IN
231
questo a
i
necessario, conciossiach
il
compagnia
di
nuovo, perch
la si fa
che
cano,
quali,
ju due
l'altro
modi
per passioni e accidenti che agli uomini intervengono giuocando le maniere del giuocare sono diverse secondo la diversit delle genti che giuocano. Alcuni son larghi nel giuoco, alcuni stretti, alcuni astuti, riservati, alcuni matti e sbardellati, alcuni timidi e da poco, alcuni animosi e risoluti,
alcuni impazienti e temerari, alcuni pazientissimi
e saldi, certi sottili e volonterosi, certi altri
e gravi, e un'altra specie
arrecano a sospetto
ho vista
di molti
un
buona o trista cosa che la sia, essi gli se la fanno,* che ne renderanno la ragione a chi la vorr sapere a me basta averla
altro star a veder le carte
; ;
messa insieme con l'altre sopraddette maniere e opinioni per non mancare all'officio d'un buon comentatore. Ma che dir io di certi che giuocando a primiera, si egli avvien che e'vinchino, cappono della somma continuamente, e imborsano le miglior monete? La qual cosa la nostra corte con peculiar vocabulo chiama imbrachettare questa dico io bene il vero, che se me ne fusse domandata sentenza so:
* Cos
il Testo.
232
pra, direi che
la fusse la pi
CAPITOLO
non me ne paresse punto bene; anzi brutta cosa del mondo, e che non
potesse procedere da altro che da pusillanimit o da avarizia. Difendensi pur questi tali, se e' sanno,
che finalmente non daranno ad intendere per via di rag-ione ad uomo del mondo, che la sia real cosa, bench eglino stessi, se punto di vergogna avesseno, conoscerebbono che mai non fanno cos vile atto, che con lor grandissima ignominia non siano notati da circonstanti; senza che la fortuna severa castigatrice delle cose
detta,
li
mal
ven-
solo
vinti denari,
ma di
quegli che
luce.
Ma io
al-
che
questa lor larghezza procede da natura, che a cos essere gli sforza. Questa maniera di giuocare, se sia laudevole o no, gran disputa nasce fra i nostri dottori, e finalmente, dopo molte ragioni di qua e di l allagate, si conchiude, ove se questa tal larghezza non accompagnata e regolata da cervello, el sia pi tosto dannosa e da biasimare, che altrimenti; conciossiach il proverbio, che cotidianamente si
ode nella bocca di questo e di quello, che a Primiera bisogna poco cervello e assai denari, non n autentico n approvato, e detto pi tosto a ventura, che con fondamento di scienza. In questa specie ho io conosciuti pure assai amici, e oggid ne onosco molti, che per questa lor naturai larghezza non son molto avventurati nella primieresca repubblica. Altri si
trovano
non man-
IN
233
come i primi di audacia; n medesimamente a dottori, affermando che senza grandissimo pregiudicio non si
cano
di timidit, cos
possine
gli altri con costoro impacciare; e trovasi bene spesso gli amici con un cinquantaquattro o con un cinquantacinque aspettare che uno inviti, e fargli del resto, o veramente passare per corgli meglio: onde non immeritamente nella nostra corte,
di
chiamono aspettoni,
,
conosco io pure assai. diano ad intendere di sapere far meglio i fatti loro che gli altri; anzi gli tratta peggio la fortuna, quasi per vendicarsi contro alla lor malvagia natura, e il proverbio vicos fatti, siccome de' primi
tali si
tuperosamente gli condanna, quando dice, che in capo dell'anno spende pi l'avaro che il largo. Sono
alcuni altri assenti e riservati, alcuni matti pazienti,
impazienti, subiti, volonterosi, n alcuno ritto che
non abbia
niere,
il
mapo-
cappando
de' migliori
si
un
giocatore,
si
Non lo ritrovarebbe il calendario, Ne '1 niessal, eh' s lungo, ne la messa, N tutto quanto insieme il breviario.
hanno bisogno questi versi, sendo per s stessi assai noti, n contenendo in s
cosa, per la quale
i
Di poca dichiarazione
* Cosi
il
Testo,
284
CAPITOLO
sione debbino affaticare gl'ingegniloro. La figura poetica, molto bella, e della quale abbondano tutti
i
buoni autori ogni volta che in simili esagerazioni, descrivendo qualche cosa, vogliono con cos fatti fioretti far a bello bello il poema loro, s come Verluoghi ha
fatto, e
il
gilio in infiniti
Petrarca:
Venghin quanti
filosofi
fur mai.
:
dell'Anguille:
S'
i'
finalmente tutti
quali
Non
Ma
lo
ritrovarebbe
il
calendario.
perch e'potria parere a qualcuno che legluogo dello si fa in questo impossibile, esser cos poco religiosamente detto
gesse l'addurre che
dallo autore, come anche impertinente, non avendo convenienza alcuna la messa n il breviario col giuoco della Primiera ma sendo totalmente l'uno all'altro contrario, si risponde, che, come secondo d'Orazio, alli dipintori concessa ogni il piaci' cosa, e qualche volta sia lecito non solo con iperboli passare il segno della verit, ma, con piacevolezze e motti che abbia qualche sapore, adescare le orecchie dei lettori, e ben spesso uscir di pr,
IN
235
li
buoni,
non absurdamente, non solo quello che pu parere impertinenza pertinentissima, ma se qualche cosa vi fusse meche pur che
si
come
dice Orazio,
li
per mitigarla, o per fiorire pi quella elocuzione, ovver per dichiararsi meglio siamo forzati aggiugnere qualche altra simile e consequente a quella: come in questo luogo, avendo usato il poeta il pro,
il
quale vulgarmente
si
ha in
bocca quando
trovarsi,
si
come quello della carta da navigare, pare che fusse consentaneo, salva la reverenza del breviario e del messale e della messa, libri e cose ordinate per numeri, metterli a canto a quella,
come
massimamente
che,
come
dice Orazio,
non ha
motteggiato senza gravit. Di queste figure son pieni i poeti, che lungo saria raccontare; e il Boccaccio, autore nelle sue cose facetissimo, ne abbonda;
come quando
dice della
e del
CAPITOLO
novella di messer Ricciardo di Chinzica, e in altri infiniti
il
no-
stro
Dica le lode sue dunque ella stessa, Per ch'uno ignorante nostro pari Oggi fa bene assai, se vi si appressa.
Quanto pi si va procedendo in questo capitolo, tanto maggiore ci si scorge dentro arte, e profondit
d'ingegno. Erasi sforzato l'autore di dire ci che lei, pigliando soggetto e da lunghezza di tempo, da eloquenza d'uomini, da valenteria di lingue, da forza di invenzione, da
a lui era possibile in laude di
beneficio in
un
lo
certo
modo
di divinit,
quando disse
Non
Come
ritrovarebbe
il
calendario.
una tanta cosa; come anche fece Vergilio nel nono della Eneide, volendo raccontare il miracolo della metamorfosi delle troiane navi quando
scriver bene
,
disse
Qual
dio,
Muse, ecc.
come
Dica
le
ritrovando
modo alcuno
di
laude
me-
IN
237
desima, e
il
chiarisi, e dica di s.
Oggi
Luogo
fa
bene
assai, se vi si appressa.
ingeniosissimamente da Plinio nel liPetrarca in molti luoghi, parlando della sua madonna Laura, e non potendo anche egli dir tanto che si satisfaccia in lodarla, ora l'assomiglia a s stessa, ora dice che in s stessa respira, e con simili discrezioni va dicendo quel che pare che non possa dire. A questo par simile quell'altro luogo usato dal nostro medesimo poeta nel capitolo delle
tolto
il
stelle
concesso, ecci
si
potrieno
addur in similitudine di questa figura, usata adesso da lui con uomini idioti, che non molto ben sapessino il conto loro come debbon sapere quelli che a Primiera giuocono e non con dottissimi avessimo
,
a ragionare.
chi
non ne sa
colui
altro,
almanco impari,
vera e perfetta.
i
Che
ha
la via
suoi denari.
Recitansi originalmente nella Poetica di Orazio questi due versi; Li poeti vogliono, o dilettare, o
288
CAPITOLO
ovvero insieme dir cose piacevoli e utili quando un poeta non si ha proposto questi, vera la sentenza del filosofo che
,
:
giovare
uno
di
non veggo
dura fatica per impoverire, come ben dice di sotto il poeta nostro in fine della presente opora. Quando anche tanta
si
che sia e utile e piacedebbo veramente chiamar poeta, e tener sempre in mano, sempre leggersi, sempre studiarsi; perch come dice il medesimo Orazio nel medesimo luogo: chi ha insieme l'utile e il piacevole, ne cava la macchia. Questo che sia nel poeta
nostro manifestissimamente
,
non vegga,
o
?
cos presuntuoso o
disca negare
mentecatto e
in lui
tristo,
non
sia
somma
piacere, dice:
E
E
chi
non ne
sa altro^
almanco impari.
quale appetito pi, secondo la natura umana, che questo? Per lascTare andare quel che dice il filosofo, che tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere, e
9
il
ne'Proverbj,
Petrarca
IN
239
quanta
il
bene.
Onde vengono
quanti
i
le
ricchezze, onde
li
beni, se
non
di
rire dalle bestie, se non questa? Che pu fra noi medesimi aver maggiore e minor grado se non maggiore e minore scienza? Che fu proposto al
,
primo uomo dallo inimico della umana generazion per indurlo al peccato, se non questo? Che, bench restasse ingannato pur fu sotto specie di questo bene. Ma senza che pi lungamente andiamo ripe,
nostra, venga in
il
mezzo
la esperienza,
doman-
disene chiunque ha
mente non
lo
poeta nostro
ai lettori
nosciuto e laudato lo artificio che usa circa l'uno e l'altro fine, e che un pari suo si deve proporre scri-
vendo, lasciato da parte quello del dilettare, che della materia stessa senza altra elocuzione o disposizione del poema si vede manifestissimo, da considerare in che
modo,
,
si
pu
chi
non ne
colui
sa altro^ al
la via
manco
impari,
Che
ha
vera e perfetta,
i
suoi denari.
mi bisogni
affaticare in
240
CAPITOLO
avessi, se
quelli
reietta, rispon-
dendo a
mente per
dir meglio,
vizj, in-
odj, le
come
zelo,
lor radice
certo
non
se
se alquanto
pi reservati
non
il
perch in verit
giuoco in
Marco Tullio parlando della eloquenza: questa bench sia di natura pi presto trista che altrimenti, non per tanto che, moderata e sostenuta dalla ragione di chi 1' usa, facci cos terribili efifetti di malignit, come costoro
versi effetti producono,
dice
come
vogliono senza redenzione alcuna che faccia. Vediamo niente essere stato prodotto dalla natura invano,
nessuna cosa cos maligna o fiera che con qualche arte e contrappeso non si converta in qualche buono uso. Chi dirla che del veneno si facesse medicina? e pur si vede per ordinaria esperienza questi e mag-
Ma concedasi a questi che il giuoco pessima cosa, poich anche il nostro Boccaccio, in quella sua prefazione della prima giornata, pare che senta con loro, quando dice esser necessario che
gior miracoli.
sia
si
conturbi l'animo
anche a
e
me
il
che
ci
lerabile, piacevole,
che
io
IN
241
durar doppia fatica in laudare la divina invenzione della Primiera ( che non mi parrebbe mai grave), ma di mettere, come
a venire a questo,
di
si
non dico
dice,
il
il
poeta
di
cavare d'igno-
ranza uomini cosi indegni, dandola loro ad intennon pi presto lasciargli andare in malora
la loro
oscura diligenza, standosi su le banche a grattar la pancia tutti d per coscienza di non giuocare a Primiera. Posto adunque, e non concesso, che il giuoco sia mala cosa, gi che noi semo cos fragili e impotenti dei nostri appetiti, che non ci potremo in tutto guardarne, ditemi, padre, quando pur ci vien questa maledetta tentazione, come avemo
con
a fare; risponde:
Che
colui
ha
la via
vera e perfetta,
i
suoi denari.
giuocare a qualche giuoco, giuoca pi presto a Priscrupoloso, fantastico, malinmiera che ad altro.
mezzo luglio in villa uno ignorante, e da bene vedrai quattro o cinque buon compagni ad una tavola allegramente far una Primieretta galante per passar tempo fino all'ora del diporto, che farai? dormirai che cos dormissi tu sempre e massimamente quando di' mal della Primiera. Vedrai la
conico,
quando tu
e
ti
troverai a
dopo desinare,
sarai
Bgrni.
Parie
IG
242
virt, e per
CAPITOLO
sei
dappocaggine la lascerai stare, perch tu neanche degno di conoscerla. Queir altro, che non cos tetrico, dir che egli meglio giuocare sei giuochi a sbaraglino perch giuoco da gentiluomini, giuoco che dura e ha vita, e non sa eh' egli ha pi presto la morte, e la febbre la rabbia, e' canchero che li venga; giuoco da gottosi, da ribambiti, da chi ha le gamberacce; giuoco trovato
non
per far rinegar Cristo a san Paolo e perder la pazienza a Socrate: ma di sotto in questo proposito,
dichiarando quel terzetto, che dice:
S'io perdessi a Primiera
il
sangue e
gli
occhi ec.
di
ne
diremo
di
belle.
Un
altro
pi piacevolone
la festa, e
un poco pi
dar
e pargli es-
dugento
carte, che
quando ha appena
le
in
le
mano un numero
pu tenere,
e,
per
non vuol dir Tarocco che ignocco, sciocco, balocco, degno di star fra fornari, e calzolari, e plebei a giuocarsi in tutto un d carlino in quarto a Tarocchi, o a Trionfi, o a Sminpiace questo giuoco, che altro
chiate che si sia; che ad ogni modo tutto importa minchioneria e dappocaggine, pascendo l'occhio col solo e con la luna, e col dodici, come fanno i putti. Alcuni bravi, che fanno professione di giudizio, vorranno combattere in camiscia, che la Ronfa giuoco bollissimo ol possibile, perch lo trov el re Ferrando perch ci bisogna grandissima mwuoria in tenere
;
IN ifoDE
DELLA PRIMIERA
243
un poco
piacere,
che meritamente
il
si
pu
dire a questi,
come
poeta nostro:
vi dilettate,
piaccionvi
da dispiacere,
non che quello, nel quale siano mescolati infiniti dispetti, parendomi che, come dice quel buon compagno, pi presto nuoca che giovi quel diletto che si compra con dispetto. Per non sia alcuno cosi prudente autore, che mi persuada esser bella cosa levarsi tre
a rischio di rompere
senza mangiare, correr drieto a chi fugge il collo per non pigliare un poci
ha n colpa n peccato, che io dir che ei sia assai pii!i pazzo e maggiore animale di lui e cosi dico sommariamente d' ogni piacere che sia di questa lega. Che diremo dell'altra moltitudine infinita dei giuochi, che come clie siano in;
numerabili, inetti, sgraziati, non per cosi deserto alcuno, che non abbi particolarmente qualche favorito a chi e' piaccia, s
donna cos
di-
244
CAPITOLO
come
dice
il
:
Ognuno ha
il
suo giudizio
'1
suo discorso,
cos anche da questa diversit nasce un certo temperamento, che concilia una similitudine e una convenienza fra s, simile a quella concordia che
fra
li
ma
contra-
ri, si
quelli,
che co-
non
come
dire
li
che quello sia da pedanti, questo tenga un poco del li altri di questa sorte, senza
quelli, di
ragionamento nostro, che troppo lungo calendario saria, conchiuderemo nessuno essere che, per vicinanza o parentado che abbi con madonna Primiera, sia degno, ove si consumi
numerar
che
il
li
sbirri,
Trionfi piccoli
le
contadini,
il
Flusso e
il
il
Trentuno
stia
donne,
il
addosso a Papa Giulio che lo trov. Neviera, Sestiera e Quintiera i troppo speculativi ingegni che, non contenti dei confini di questo esercizio, hanno trovate queste gentilezze per andare un poco pi oltre finalmente tutti li altri che mi soccorrono n voglio perder tempo in numerare, siano di chi se ne diletta senza concorTrichetracche o
Dormire
rente
liberamente
facciasi
madonna
,
Bassotta
in-
nanzi che se
le tira
cos forte
che
il
le
pare esser
poeta nostro:
IN
215
Chi
dice,
e spacciativo giuoco,
Fa un gran male
Sanno
hanno
al-
che bel giuoco per esser presto e spacciativo o se tu l'hai cos in sommo, vai cos in diligenza, che ti paia mille anni d'averla spedita, poich, a dirla
:
come si deve, mostri di giuocare per marcia avarizia, non per piacere, a che consumare anche quel poco di tempo in aspettar la prima o seconda? che non dai quando ti vien quella voglia, i denari che
tu vuoi giuocare in deposito a chi che sia, e spogliatoti in camiscia tu e il compagno tuo con un pugnale
per uno in
mano non
fai
e'
chiamato
il
punto
e scoperte le
il
una
ansiet,
aspettando
che venga quel che tu vuoi, o il malanno e la mala pasqua ad un tratto. Forse che ci redenzione o refugio alcuno altro che quel
magro
ordinario di farne
della posta? forse
che speranza, o recreazione alcuna? quivi bestemmie in chermisi di Cristo e di Santa Maria, quivi rinegamenti villani, e rabbia, e disperazione strac;
magnarsele, dir loro mille vergogni; quando non fusse mai altro che il strazio che si fa loro in questo maledetto giuoco con tanta iudignit, pigliandole per l'orecchio, come si fanno i gatti o i
ciar carte,
S46
CAPITOLO
da quell'uso, perche
al
le
perdoni
quale ha
parlando di questa
Questa bassetta, spassativo gioco. Si pu far ritto ritto in ogni loco. Ma egli ha in s un mal che dura poco.
bene egli ha, questo che poco; che, come dice Dante:
di
ce.
Anzi quanto
e'
dura
Che dove l'argomento della mente S'aggiunge al mal volere ed alla possa. Nessun riparo vi pu far la gente.
Avesse almanco cos giudizioso uomo detto
sta quel che disse del flusso nella
di
que-
medesima canzo-
netta
Il
detto
veramente una certa comune opinione invecchiata, che talvolta ne* ben forbiti ingegni ha tanta forza, che gli fa uscire dalla
saria stato, e pi
ma
vera via.
IN
247
Fa un gran male
Come
se dicesse: perch
non corre
la
posta pi pre-
sto, non vola, o non si getta gi per una balza per avanzar tempo, se ha tanta furia? ed simile elocuzione ;i quella che usa il Boccaccio nel fine delle sue Centonovelle, nella apologia, ove si scusa ecc., in quella parte che dice: se le buone donne, che riprendono le sue novelle di lunghezza, hanno da far qualche
tempo
cosa che pi loro importi, follia fanno a perdere il in quelle cos questi tali cos frettolosi, per:
ch se sono occupati in agibiUMis et in tiegotiis, non fanno pi presto quel che hanno a fare, lasciando
giuocare alla Bassetta, quelli che vendono
arrosto, o le ciambelle,
i
caldi
loro
che peggio di
senza offendergli, seguitare l'instituto mio di mostrar al mondo la eccellenza della Primiera, perch
io
veggo alcuni
di
al
che,
mondo, presumono esser qualche cosa a comparazione di questa. S come alli oratori concesso in defensione delle cose loro impugnare le contrarie, sia anche a me licito, per mostrare questa vera via e questa utilit, che propone il poeta nostro alli uomini, in qualunque modo usar mezzi che faccino a questo line; e chi non in tutto di corrotto giudicio, il pigli in buona parte se vuole;
se no, lasci stare.
senza un giudizio
Questa
fa le sue cose a
eli'
poco a poco,
troppo bestiale,
Quell'altra, perdi'
Pone ad un
248
CAPITOLO
fanno color cli'han poco
sale,
Come
E E
E
falliti,
una comparasi pu
comprendere il vantaggio che dall'uno all'altro. E per star su quella sola differenza, in che si fonda il poeta, parendoli che anche sola debba bastare a
provare la intenzione sua, veggasi che cosa maturit e prudenza, che temerit e pazzia, di quanto
ben
sia
causa quella,
si
di
discor-
per autorit,
eserciti e citt
trover la verit.
,
Avemo
male:
vi-
per leggerezza e
al-
imprudenze
gravit
non
solo es-
ma
di
grandissimi pericoli e
mine
Troppo vulgar cosa saria addurre per esempio quello che da Livio quasi ad ogni passo della sua istoria si scrive, e di Quinto Massimo e del contrario. La sperienza supplisce ove mancano tutte le
altre ragioni.
mi
alleghi la prela
quale
dalli
pu esser cos male intesa, come ben lodata perch io dir, che questa a punto facci a proposito mio, che non voglio cos assottigliare la proposizione del poeta e mia, che non s' intenda la
virt,
che
si
come sono
era Cesare
le
altre
virt.
Non
IN
249
nella pre-
sommo bene
seg-no di precipitoso, se
forza
come dicono costoro; anzi non mostr mai non in quelli casi che li era il pur vedere, se diligenche si pu essere:
temente si leggono e considerano le cose sue. Non la Primiera lenta come i Trionfi, non agiata come il Trichetracche, non fastidiosa come lo Sbaraglino, non sazievole come la Ronfa; ma ha in s una certa laudabile mediocrit con la quale si va
,
Tuno estremo e l'altro n si distende in cinquanta carte come quelli, n si restrigne in due come la Bassetta, ma nel perfettissimo numero
temprando
fra
:
del quattro, al quale da Platone principe de' filosofi sono attribuite tante laudi, che, se io volessi raccontarle, saria lungo. A me par argomento assai suflciente a provare che, se la virt un mezzo di due estremi viziosi, come dice Orazio, da ogni banda ristretto, questo si vede per prova cos manifestamente essere nella Primiera, che oramai se le doveria concedere il primo luogo poi che messa al parangone di quello che a qualcuno pare che li facci
;
concorrenza, finalmente
si
grandissimo intervallo, ma, non avendo fra s queste due qualit, alcuna sorte di similitudine, se non in essenza, bisogna concedere la comparazione essere totalmente falsa e viziosa. Chiama la Bassetta
bestiale
ficano
che
in
si
come cosa veramente da bestia i nomi denomiche vanno in ale, per la maggior parte signiuna certa participazione della sostanza, da derivano, come dire animale da anima, cor])o~
il
poeta,
modo che
bestiai
250
CAPITOLO
E
se cos
cosa da bestia.
giuoco,
non
vaglia; elio
natura,
ma
una
raccontati
con tutti quelli difetti, che di sopra avemo n gli basta esser bestia se non anche
;
mettere ad un tratto
di
ben dice
il
poeta:
Quell'altra^ perdi'
eli'
troppo bestiale^
Pone ad un
Usando una gentilissima translazione da un bufalo da un elefante, che avendo assai carne addosso, assai anche ne pu cuocere alla volta; proverbio
cotidiano tratto da quel cuoco, o da quella fantesca,
che portandole
lo
la
mette
al
fuoco ad un tratto, o per smemoraggine, o per ghiottonia, che tutto torna a proposito di chi inconside-
ratamente
si
Come
sale,
pare che stia nella translazione del cuoco, e non cos; perch, dicendo uno aver poco sale, non conseguente che debba mettere
non avendo da insalarla: dice adunque semplicemente poco sale, imprudenza e beassai carne a fuoco,
stialit.
IN
*25l
E
sare,
quei
son disperati e
falliti.
come dice Ovidio in quella di Dido, che, avendo perso la fama e l'onore e ogni cosa, leggier cosa le
era perdere anche le parole; per son cos risoluti
li
uomini disperati e falliti. Fallito si pu intendere in qualunque modo V uomo abbi perso il credito,
di
di scienza, o di favore
modarsi ad ogni sorte di perdita che si faccia, dalla quale possa nascere merita disperazione, e per conseguente risoluzione d'animo ad ogni fortuna.
cio e' si hanno proposto il capitar male per fine, non miga per fine necessario e che proceda da elezion volontaria, ma che se accadesse loro non sariano per dolersene, come farla chi non fusse cos disposto come essi sono.
Ha
la
partiti,
Come
dir carte a
monte, e carte a
inviti.
di
mia
fatica
non essere n
n professi on mia
ma
solamente dichiarare la mente dello autore per quanto mi fusse possibile, perch la prima parte cos nota, che sarebbe ben pazzia se volessi descri-
$52
CAPITOLO
ha innanzi agli medesima insegna; la
si
seconda tanto profonda e infinita, che se io pennon che col scrivere o sassi con la imaginazione col parlare aggiugnervi, troppo pi inconsiderato potrei chiamarmi, che chi per non perder tempo si mette a giocare alla Rassetta, massimamente avendomi tolto l'animo e l'ardire il poeta, quand in quella sua prima amplificazione, narrando la grandezza del subietto che per lui si scrive, dice che non ne
,
direbbe
afi'atto
Cicerone, n Marte, n
il
Calendario
ma
ogni ben
buona volont, per non parer per sbigottito in tutto, n mi metter troppo in alto a pescare, n mi torner a casa coi piedi
come
asciutti; e quelli
di
me nella scienza
,
primieresca, vedendomi aver pretermessi infinitissimi luoghi che si sariano potuto mettere scusino benignamente la ignoranza e la impotenza mia, e
si
possa n
si
debba
partiti.
i
adunque
buon
mi par necessario
agevolmente al significato, in che l'autore lo piglia. Partito in primo modo si piglia per una risoluzione che da se medesimo l'uomo piglia nelle sue azioni, iion come fine immediato, ma mediato e ordinato ad
un ultimo
in
come se tu dicessi deliberazione, la nome chiamano appunto latini; questo modo lo piglia il Morgante, quando fa dire
fine,
i
:
quasi
IN
253
uno esser
si
uomo
di partito,
delle conclusioni.
Non
dice
di partito
che allora
si
piglia in
poco onesta significazione, cio che la sia, come dice il Boccaccio, femina di mondo. Altrimenti si dice, uno andar cercando partito, o aver trovato partito, esser un buon partito ec; quella volta vuole significare ricapito, avviamento e indirizzo. Dicesi eziandio,
uno essere a mal partito, quando ha le cose sue mal condotte, tanto che non sa pi che si fare, e significa mal termine. In corte si piglia in un altro senso, quando nelle cose de' beneficj uno cerca di
far partito
con
altri
nessun
di questi lo
poeta nostro, n
lo
n per permutazione,
ma
Ha
Cio
si
la
partiti.
modi da
Come
dir carte a
monte, e carte a
inviti.
licenza
una cosa per un' altra, impropriamente trasferendo da una cosa ad un' altra le propriet e i modi del dire, ora ponendo un tempo per un altro, ora una persona, ora un caso, e via discorrendo. Carte a monte parola peculiare della Ronfa, quando non avendo le parti in mano carte che satii,
254
faccino,
il
CAPITOLO
s'
accordano a metterle a monte amendue e di nuovo. Ma perch in effetto tanto suona quanto a Primiera il dir Passo, non lia avuto per inconveniente il poeta metter questo per quello; e bench anche questa non si possa metter fra quelli partiti, di che ha intenzione di dire, e che poco disotto da lui e da me saranno messi, pure pu difendersi con la medesima licenza poetica, esser se non partito,
rifare
giuoco
al
il
principio d'esso.
Che cosa
sia
dell'Orinale:
ognun che
sa murare.
ognun che
sa giuo-
ch chi non sa giuocare a Primiera, senza scrupolo pu separare dal consorzio delli uomini; n io curo, n anche importa, che sappi quello che sanno li uomini. Nel dir. Passo, da notar qualdi coscienza, si
che punto che importa alla dechiarazione del testo, e ancora che sia cosa assai resoluta fra i gran dot-
ho a giovare ai principianti, che non sanno cosi ogni cosa come quelli, da avvertire diligentemente che non si faccia mai preiudizio al compagno, dicendo quella parola, ma si lasci andar per ordine la proposta e la risposta, secondo che va la mano, non preoccupando mai la volta d'alcuno; n bisogna esser cos volonteroso di levarsi di mano le carte che non piaccino, che non si aspetti che
tori,
perch
io
tutta la compagnia
si
cos,
IN
255
d'altri; altrimenti
non
le
due
carte,
fia utile
an-
cora nel processo del giuoco, circa il sopra invitare, cio, quando uno si trova in mano un buon punto,
e invitando
un
ha animo
di rin-
vitarlo di sopra, e per troppa pressa non lascia che se lo vogliono, o no li altri compagni respondino
che segno d'imprudenza, e causa danno non piccolo, perdendosi quello che coloro ariano forse teil
si
mal
giuoco;
ma
non
quando si usa, quando no, ed e' poi anche sempre quella eccezione. Domandasi qui se, avendo passato tutta la compagnia, salvo che colui che fa le carte, pu quel tale di chi
pare che non se risolvino questi
nell'arbitrio
de' giuocatori
;
la volta invitare, e
legisti,
ma
la
i
lascino
patti,
volendo che
che fra loro sopra ci si fanno di potere o di non potere, si tenghino per legge. Alcuni vogliono che s come facendo le carte, ha disavvantaggio colui, e nell'esser l'ultimo alla mano, e nell'avere a metter la posta doppia, perch non abbi il malanno e la mala pasqua, possa pure invitare, e non tenendosi per ninno l'invito, sa in potest sua scartare e
non
usando il privilegio tante volte quante bisogna. In un altro modo si suol dire. Passo, di che il poe^a poco di sotto far menzione dicendo:
256
CAPITOLO
signiflca dire
imme-
dopo
voi, e
il
questa parola
cune circostanze che la fanno in alcuna cosa differire. Alle due prime carte si suol dire ordinariamente Passo alle terze e alle quarte non cos, perch, cominciandosi da quelle il giuoco di poca im;
portanza
materia riscaldata, pi consideratamente e con pi rispetto si parla, perch come che tutte le altre
parole in questo giuoco non apportino pregiudicio
alcuno a chi
glie le
le dice,
ma le
carte
medesime
punti
sue ragioni ad uno, detta in tempo e fuor di tempo come dicemmo di sopra essere quando le carte sono messe una volta a monte, quel tale, che
,
mette con quelle medesime, non deve aver azione alcuna nel giuoco adunque dire carte a monte, Passo, e a voi, in s una medesima cosa ma si debbe usare in diversi tempi, volendo importare diverse
le
; ;
intenzioni.
Carte a
che, sendo data la quarta carta intorno senza far menzione di chi l'ha o chi non l'ha, il che fa dichiarato di sotto, vero, non essendo stati tutti d'accordo di fare, ad uno che prima aveva nelle tre un mediocre punto, sar venuto un sei, o un sette, il che gli ara fatto crescere la cosa in mano, di sorte che, non contento della prima posta, e vedendo non poter pi vincere se non con nuova condizione, dice questa parola, carte a inviti, cio, scartinsi e diausi
il
che, se piace a
IN
257
si
compagni
torna
n pi n manco ne' termini delle tre prime carte, e vanne tal volta il resto gagliardamente, o al meno grandissime poste, secondo che la fortuna va dispensando i punti che corrispondine a quello che ha fatto l'invito. Questo si pu mettere fra i primi buon partiti della Primiera, che tal volta sar uno che
alla
ventura
si
Primiera, o con buone, o con triste carte, secondo che accade e venendoli la seconda volta fatta come
;
che non contento di vincere in pace^ quello che la sorte gli aveva proposto per troppa ingordezza, va cercando Maria per Ravenna; se anche non gli vien
fatta
il
buon
Ha
la
cemente esser posto dal poeta il nome di speranza secondo il significato generale di quella passion d'a-
nimo descritta da' filosofi per contrario della paura, ancor che per questa si trovi molte volte usata dalli scrittori, che non or tempo di raccontare, e dicono
nella Primiera esser mille
speranze da tenere a bada, cio, da intrattenersi, da aspettar sempre qualche cosa che megliori, o che emendi la condizione e
lo stato del
volta
si
giuoco loro; e di qui nascere che alcuna accorder la compagnia a mettere a monte,
Bemi,
Parte.
I.
Il
258
CAPITOLO
le carte
a passare venticinque, e trenta, e quaranta volte fln che le si riducano a niente: tuttavia,
aspettando d'affrontare qualche punto sopra che si possa fondare l'invito, di qui procedere che, alcuna volta invitandosi forte per la maggior parte de' compagni su qualche buon punto, o facendosi del re-
come interviene, un terzo che si trover in mano, come dir tre sette, o tre sei, parte per non far loro ingiuria, parte per speranza che ha che
sto,
gagliardamente venga gli fallita, perch stare a Primiera, ove tutti li altri abbino punto per il pi, cosa fallacissima, non per che questa non sia specie di speranza. Similmente si dice speranza in questo giuoco, aspettare che venga flusso quando l'uomo vede vinto il punto suo da un maggiore, potersi accordare col vincitore, che, uno con chi si ha fatto a salvare, vinca la posta, e in breve generalmente si pu dire speranza il naturai desiderio
la tiene
;
debba venire o il quarto che gli faccia far Primiera, e bench il pi delle volte
o qualche altro
simile
e appetito che si
le altre
ha
di
vincere
come
in tutte
chiama speranza, senza la quale nessuna voglia. Questa come che possa esser principale e sola intenzione dell'autore, non per
al fine, si
cosa
si fa di
mi
fia
negato
il
credere, che
come
in tutte le altre
questo abbi voluto poeticamente porre speciem ro come da poeti molte volte si suole e per
,
una passione
care,
sola dell'animo avere voluto significhe tutte le altre si trovano manifestissimamente nell'atto del giuocare a Primiera. Dicemmo
di sopra, s^
1* tre
IN
259
;
virt teologiche
le teologiche
,
fede,
le
speranza e carit
,
non
,
solo
e le
ma
cardinali
e le
vescovali
papali.
fetti,
ma
tutti
li
af-
nimo umano vedersi cos espresse, come se tutte in una maestrevole pittura ci fussero poste innanzi agli occhi, in modo che cos, come da quella mente
che dice Virgilio nel sesto, esser infusa da Dio nei corpi nostri, nascono i quattro accidenti del timore,
desiderio, dolore
e allegrezza, cosi dalla Primiera,
in
nascere in noi di nuovo, o destarsi talmente, che nessun altro umano atto possono cos ben no-
tarsi
come
e
il
timore
trova un cinquantacinque e ha
gli faccia
mano
una
gli sia
un punto mediocre, non vinto da un maggiore, un trentanove per uno in mano in due carte quello che ha la mano, che gli altri non riscontrino prima di lui, che non sia fatto del resto sopra l'invito che si fa per un mediocre punto, e
cos in tutti
li
altri pericoli,
che
diremo, se non che chi vuol conoscere quando causa abbino quelli che dicono il fine del giuocare esser il piacere e il passar tempo, non l'appetito del vin-
cere?
Come
consideri ben di
quanti colori
si
finita, che da ognuno sia accusato, o punto o Primiera; e se essi per sorte avanzano li altri, con
quanta avidit
si
votino innanzi
il
piatto della
po-^.
260
sta, tirino
il
CAPITOLO
resto d' ogni intorno senza cercar se
moneta, o oro v' da cambiare, o da rendere indietro ad alcuno, o da salvare chi per ventura
si
sar
si
usa
di far
molte volte.
difettoso,
ben grosso
qualunque
,
a parenti
a fra-
madre o a padre a s stesso, per modo di dire, che non si volesse vincere loro la vita e l'anima, se fosse possibile. Non ha trovato la natura maggior coniunzione fra li uomini ne pi potente che quella dello amore. Venga Platone, venga Marco
a
,
venghin quanti filosofi, fur mai, quella che accidente, o per rarissimi almeno, par nessuno per che si possa separare. Tuttavia i' ho visto due innamorati ben da maledetto senno giuocare insieme, e a giuoco che non saria degno di scalzare la PriTullio,
ma
venuti crudel-
mani,
e si
senno
non per altro, che per desiderio di vincere bench, come di sopra dicemmo, non avvenghino mai questi inconvenienti, se non fra persone di corrotta mente, e che non tendono,
esser diventati inimici,
;
giuocando, a quel
fine,
il
qual ciascun
uomo
inge-
nuo deve proporsi, pur non , che questa passione evidentemente non apparisca con le altre dette di
sopra, e che di
lore
mano
in
mano
si
ancora chi a parte a parte considerasse, non dico quanto siano li effetti che si causano in noi, ma li segni che esteriormente si monstrano, manifestamente conoscerebbe quasi la maggior parte del giuoco ber dolore; che se ben interamente non si
IK
261
gusta, se non poi che ognuno partito da quello, da quelli che restano alla line perditori, non che
fra
'1
giuocare, or uno, or
un
altro,
quella,
non
Quando
parte
il
si
riman dolente,
colui,
ecc.
Non
cosi
magnanimo
avere per male il perdere, e non se bene non notabilmente, almeno qualche poco da s; perch naturai cosa non solo all' uomo, ma a tutti gli animali che lian qualche eccellenza di senso contristarsi del danno suo. Cos vadasi discorrendo per tutte l'altre perturbazioni dell'animo prossime, e derivate dalla allegrezza, o dal dolore, due capi e fonti principali di tutti gli affetti dell' anima nostra e per non esser troppo lungo, concludasi che tutti insieme, e ciascuno da per s, si conoscono cos notabilmente nel giuoco della Primiera, anzi via molto pi che in qualunque altro atto umano. Io ho pi
:
non ne muover, se
so se
si
che
le
le
si scoprono nell' atto del gioco mirabilissimamente, n cosa che dichiari pi la ingenuit e la gagliofferia, la umanit e la bestialit,
dicono
nature,
e finalmente la
bont e la tristizia che il giuoco. Onde, continuando nel proposito nostro a provare la eccellenza della Primiera, e in pronto formare un sillogismo dimostrativo, che s'egli vero sip^'O quia
clic nell'atto del
un
62
CAPITOLO
le
specchio tutte
passioni
La Primiera
desiderio,
'1
l'
allegrezza, e le altre
raccontate, la speranza e
timor, la
fiamma
'1
gelo,
ma
morali, non
le quali
che teologiche e cardinali, come si disse di sopra; per non avere a raccontare e provar tutte di nuovo, basti dir solo della carit, che la capiquale maggior carit che mettere tre, o quattro,
cinque, o pi, secondo che accade, per uno?
come
suo per mezzo d' altri? qual maggior dimostrazione di bont, che dare alli compagni intorno intorno la lor carta corrente con tanta affezione, che a pena si daria cos il pane, darli abilit
dir tutto
il
d'
accusare pi o
men
punti,
fin
che
le
ha il rasoio alla gola? Vergogninsi quelli hanno che levato in canzone, e par lor dire una bella cosa quando chiamano la Bassetta il giuoco della carit, perch si d prima la carta ad altri che a s, come se anche in questo non si facesse cos: e non sanno i poveretti che la prima carit comincia da s stesso, e che se non hanno altra analogia, onde formare tale denominazione, questa assai magra, bench, a confutare la loro sciocca posizione, poco
'
IN
di sopra
2fl8
mi pare che abbiamo detto assai parlando questa bestialit. S che nella Primiera son mille SPERANZE DA TENERE A BADA, cio sono mille intratdi
tenimenti,
come
si
tra esposizione, e
non
si
Come
,
dir
carte a
MONTE
ad uso
di
buon
diflnitore
va descendendo
sua pi lucida. sentenza del filosofo e tanto trita, che non frate al mondo che non la sappia per lo senno a mente, che per mezzo degli universali si viene in cognizion de' particulari, come dire non si sapr mai cosa cane, cavallo, pecora, uomo ec, se non si saputo prima che cosa animale, n animale,
se
non
substantia ^
n sustcmtia se non
ens.
Non
si
sapr che cosa dir carte a monte, se non si sa che cosa sono le speranze e intrattenimenti, che inter-
vengono nel gioco della Primiera. adunque carte a monte una di queste speranze, di che essendo di sopra detto abbastanza, secondo il parer mio seguiteremo pi avanti, dichiarando le altre pi necessarie cose:
Stare a
frussi,
a primiera, e dire
a voi,
non venire
al
di
Questo alli novizzi che navigano per l'alto mare questa divina invenzione, trasportati dal vento dell' appetito alquanto pi avidamente che la navicella piccola del loro ingegno non sopporta suole
,
essere
uno
un guado
264 e
di
si
CAPITOLO
golfo pi fastidioso e pericoloso che le secclie
e lo stretto di Scilla e Cariddi;
un
Barberia
tanto
ci
l'ha e chi kon l'ha bisogna circonscriverlo con tante perifrasi, che se fusse una delle
glia dire CHI
bisogna durarci, quanto l'appellazione, a dir cos, e l'usanza del dire non uniforme. In corte fra i
buoni 6 che giuocono del vero giuoco della Primiera, si usa universalmente di dire chi l' ha e chi non l'ha, a Fiorenza e in qualche altro luogo di Toscana ho io sentito dire se la non c'; altrove si debbo dire altrimenti. Basta che al fine la torna tutta in uno, come avviene della variet de' pesi, delle monete e delle misure, che quando la cosa si ben lambiccata e dibattuta, finalmente chi non ha denari suo danno; cos qui, se la non c', o chi non l'ha,
non importano
le
parole purch
fatti se
intendino,
a. parlare
adunque,
della
prima
un patto
un
accordo che
voglia d'allungare
invita
ch ha tristo in mano, o perch ha troppo buono e i compagni a fare a chi non l'ha, cio vedute che sono le carte a scartar di nuovo quelle poche,
assai che pi a ciascheduno parer, invitando, o
tratto di
del resto,
non invitando, a beneplacito di chi ha il nuovo in mano per poter fare se bisogna
per poter sperare di salvarsi in qualche
modo con
non
si
usa
far questo, se
si
risposto del
o del no a chi
IN
265
carte, si trover
vedendo dare intorno le quarte in mano, e non che basti a onore fatto aver gli parendo fino allora quel bel punto invitando, vorr ristorare il danno con
un cinquantacnque
compagni, chi non l'ha, cio vaglia a scartare se in questa mano non si scopre Primiera, e rifaccisi di nuovo, dando ad ognuno libert di fare i fatti suoi come pi li piace. Se il
un'altra volta, e dir
alli
partito
aggrada
alla
compagnia, allora
il
pi vicino
a colui che lo propone, risponde di s per le medesime parole, poi l'altro, e l'altro di mano in mano secondo il numero dei giuocatori, e cosi viene ad accordarsi la musica, e dices fare a chi non l'ha; ed questa una legge fermissima, tanto che consffentito una volta per tutti nella convenzione, non
come se fusse un istrumento publico. Altrimenti si dice fare a chi non l'ha, bench una medesima cosa sia quando il mesi
pu pi retrattare n
Iterare,
desimo
di chi la volta,
buona o
dubitando
di
non
alli
la far
medesima condizione
essi,
compa-
mette bene,
l'altra, e
la
vuol dire, far chi l'ha, quando, sendosi invitato A chi non l'ha, uno a chi non piace la festa,
star
perch non sta a Primiera come pensa che debbino l altri dice, e chi l' ha, cio voi volete fare
,
che,
cisi
anche
la si
se
il
ha propo-
266
sto l'altro, e
alli
e:
> I
To
i.
compagni
di
mano
in
mano,
dannovi drento rinforzando le poste pi meno, secondo che si trovano pi men grosso in mano. Ove da notare che, come in tutte le altre cose, secondo che dice il filosofo nella sua logica, la negazione di tanta malignit, che ruina ci che trova, e induce il senso contrario, cos in questa non degenera dalla natura sua. Sicch, essendosi accordata non solo la maggior parte della compagnia ad una cosa, ma tutti sino
stabilisce fra loro per legge, e
opponga
s
che ogni cosa guasta e manda per terra. Similmente da sapere, che come non solo usanza, ma dovere
era quello de' Tribuni della plebe a
delle due di queste condizioni proporre la prima sola, dicendo chi non l'ha, cos assurda e mal fatta cosa
Roma,
seconda innanzi alla prima, dicendo amendue ad un tratto, e dannomi il mio CHI L'HA, resto coloro che corrono a furia senza vedere se a loro tocca la mano, se si fan bene o male a dire CHI L'HA E CHI NON L'HA, bestialmente e senza una prudenza al mondo. Bisogna adunque non equivocare da una cosa ad un'altra, ma servar l'ordine della mano, del luogo, del parlare, e di tutti i numeri necessari perch un che ne manchi, guasta la
proporre la
,
cucina.
Vada
ornamento, che vogliamo dire, dell'opera, conciossia che poca nulla convenienza abbi vada e non vada col fare a chi l'ha e chi non l'ha, pure perch
ancor egli uno dei numeri del giuoco, e considerasi a proporzione come fanno gli altri, da sapere che
IN
si
267
dice
del chi
VADA parlando prima dell'uno, come di sopra, non l'ha, ogni volta che, essendo date le carte
si
abbatte a
la quale gli
par
avendo detto tutti li altri, passo, e questo in caso che egli non abbi la mano; o vero, avendola innanzi agli altri, non dice pi passo, ma, fermatosi, piglia
un
quattrino o
un grosso,
un
giulio, o quella
somma
primo
la
e che fra
che con proprio vocabolo si chiama il vada, li giuocatori innanzi tratto si stabilisce per
invito, e dice,
vada che
;
l'in-
secondo
si
di chi
mano dopo
dice
il
come
petito risponde di s o di
no
e,
volendola, risponde
sua in mezzo; cosi di mano in mano li altri per successione, tanto che si viene a cominciare il giuoco a questo modo, che, pur che un solo tenga l'invito, basta; attaccata la bategli la parte
mettendo ancor
taglia
e' si
rinforzano
le poste,
secondo che
le carte
alle parti,
che se
sono
che
alli altri
il
giuoco
come
se all'ora se co-
minciasse.
si
non
riabbi la voce e
non
sia
metta
chiamammo
cio,
e se
268
CAPITOLO
Ove da notare che, bench impropriamente e per abusione soglia chiamarsi questo vada l'invito, perch molti, volendo attaccare il giuoco, come quelli che si trovano ben forniti a carte, alcuna volta non dicon, vada, ma invito, non per da considerare questa voce secondo che si proferisce, ma secondo che vuol significare. A differenza adunque delli altri inviti che si fanno
attaccati sopra la terza carta.
nelle terze e quarte carte, e poi di
mano
in
mano
secondo occorre, diremo che la prima posta che si mette sopra le due si chiamer propriamente vada, e non invito, ma le altre si chiameranno poi inviti, e non vada, altrimenti si confonderebbero i vocaboli e consequente i sensi n si potriano dare pre;
facemo pro-
NON VADA si pu ben dir che del tutto sia messo dal poeta superfluamente, e pi tosto per far la rima al verso che per altro conciossiach mai nel giuoco non soglia accadere usarsi questa voce, se non alle volte motteggiando da qualcuno che non vorr tener l'invito sentendo dir da un altro vada, dice egli non vada, non perch sia necessario dir cos, ma gli vien detto per significare che non vuol tenere, il che potria anche far tacendo e gitfessione
:
tando
zione.
le
Non
il
il
lenne
dir
adunque de stylo curlcB, n parola sonon vada, ma posta cos dal poeta per
fornire
Due
capi principali ha
soli,
il
sopra
si
IN
269
l'altro Pri-
volge e
si
regge, e chiamasi
uno punto,
miera. Questo PUNTO chiamato dall'autore, per licenza poetica, FLUSSO, non per impropriamente, conciossiach
ha seguitato
la
derivazione
di
quella
quattro carte differenziate, e questa quattro carte d'una sorte, le quali, quando si abbattono a venire
ad uno, colui
sia derivato e
si
nome, onde
perch
non con altro vocabolo, si disputa fra i dottori nostri. N ancora si risolve, se non con dire, che s come in latino Jlisso vuol dire un corso di cosa liquida, e una certa liquida^zione uniforme,
sorte, flusso, e
cos nel giuoco della Primiera, flusso, voglia significar similitudine di carte.
Come
si
sia, di
questo
capo principale di questo giuoco ha voluto intendere il poeta stare a flusso, perch in verit, bench
come ad alcuni
il
altri
li
che
di
subietto di tutti
si
giuochi, e
massimamente
i
quelli che
numeri,
si
chiama
vincere o
il
perdere, se
non essere
il
per questi pi
la Pri-
miera. Per chi pi sottilmente considera questa scienza, conoscer senza dubbio la perfezione di quel che chiamano punto non esser altro che flusso, cio venire con quattro carte, nelle quali si finisce
il
dicemmo
di sopra,
stare al punto, esser far flusso, e cos vincere il punto e la Primiera, e ogni cosa. Che se il fine quello che d la perfezione alle
e cos
270
CAPITOL*
anche
col principio e col
il
fine
del
punto
flusso
flusso,
e cos
poeta, che
e al
stare a flusso, voglia dir stare al punto punto a flusso, n esser un capo solo, n un su-
come vogliono
al-
cuni,
l'altre
di
due come avemo detto noi di sopra. Tutte son novelle a petto a questo, come dice poco sotto l'autore e in questo proposito non fia forse
;
ma
disutile avvertire
mina
che causa in questo giuoco quella che si chiama Pariglia, della quale da alcuni vogliolosi inquieti,
,
degni di giuocar pi presto alla Bassetta come li sbirri, che a Primiera, fatto tanto conto che vi si strug-
gono attorno, n
si
sovvengono che
la
mette sotto
gna
con romper finalmente la testa a sanamente sentendo, bada al vero modo del che cos Dio il giuocare, e ha il capo a far bene perdoni a chi fu inventore di cotal sciocchezza, come non fu trovata mai la pi trista cosa. Il medesimo diremo delle altre impertinenti invenzioni, se alcuna ne che io, o non sappia, o non mi ricordi, o vero
tenere a mente
chi, pi
:
il
divino giuoco
della Primiera
come fu
i
tuttavia di narrare
passatempi
trattenimenti che
propose di sopra dicendo, mille buoni partiti ecc. e dice che fra li altri questo dire a voi per il che
:
da intender
e,
pi oltre che
dire,
di
271
:
sopra dicemmo esser il dir, passo, e carte a mokte ha per pi profonda considerazione come dice il poeta nel Capitolo dell'Orinale, e non poco differente
,
da quello, se non nel significato, almeno nel tempo del significare, cio che ad uno tempo s' usa il dir, PASSO, ad un altro il dire, a voi. Dicemmo di sopra dichiarando quel verso che dice
:
Come
dir,
carte a
monte
ecc.,
la
quale famigliarissima,
carte a monte, che l'una e l'altra si usava in principio del giuoco quando si dava intorno le due prime carte: n era solito, o concesso, dandosene pi, adoperarla anche pi, ma che se n'adoquesta,
perava un'
altra,
volendo intender
dall'autore. Dicesi
di
questa che
voi,
;
dunque a
poich fermo
seguitandosi
le
il
giuoco su
terze e le
tarle, dice,
e cos,
desiderando scar-
la volta e le azioni
si
mie
pi vicino
all' altro,
che se
dire
rimettersi
Il
o d' invi-
medesimo
,
si
pu
con animo di non scartare ancora ma di stare ad ogni volta de' compagni, secondo che si accordano a disporre del giuoco, e cos torna tutta in uno, che
il
mano sua ad un
il luogo e la n si debbe dire altrimenti, n in altro tempo che dopo le prime carte.
dire,
VOI,
non
altro
:
che cedere
altro
si
usa
2*72
CAPITOLA
i
Chi fa il contrario mostra d' intendere male termini del giuoco della Primiera, e parmi aver bisogno del maestro delle cerimonie,
E
scrim,
non venire
al
con
le
pur da due, che a caso venghino alle mani si suole a poco a poco andare
innanzi senza
dinariamente
alle strette,
si
appena
si
pu
come
si
prima voha ad essere argomento veramente manifestissimo di mera avarizia e tactre dadi, e delli altri simili, che alla bella
cagneria.
Che
quel che
ti
pare, senza
non
ti
gno, per non aver cos buono agio di farlo, puoi non lo tenere; e
passato che
si sia
In
273
Se
lo
Metter
Cio
forte, e
come
ti
piace
onde
si
quando
si-
crescono.
Forte
in lingua nostra
uno avverbio
di qualit,
gnifica quantit,
come
dire,
lora significa
,
coniunge con verbi, e alquando qualit, quando quantit, s come dire uno aver battuto un altro forte vuol dire tanto quanto acerbamente; alcune altre significa quantit, come dire, in questo luogo metter forte, vuol dire, quel che noi diremo buone poste; ed quantit numerale discreta, come dicono i la,
tini,
uno spender
menti
dire,
s'
significa
il
medesimo.
Altri-^
intender
un
cavallo, o altro
animale cor-
non
con
ma assai
come
,
spazio di via in
in questo luogo,
si
poco tempo.
Il
che
dice piano, e
s'
circunscrizioni la natura e la importanza del contrario suo forte, se vero che conosciuto
uno dei
1&
Berni
Parte /.
Sl'
CAPITOLO
anche
l'altro.
Che
sia
vero,
poeta medesimo per dichiararsi disse: metter FORTE E PIANO, chc tanto vuol dire, quanto
il
resto^
Questa voce salvare e il significato suo, credo io, che s'usi nel giuoco della Primiera, solamente perch in nessun altro suole accadere; e se pure accade, debbe chiamarsi quell'atto con altre parole che con queste, il che se , o se non , sia altrui cura il
cex'care. Io
non
solo,
come
la
luna fra
mostra tanto maggiore e pi lucida, ma come il sole, che tanto le avanza di luce che le estingue cos questa sia una veramente unica e sua, e per questa e per l'altre infinite simili in lei si trovano, possi meritamente
1'
altre stelle
delle quali si
aggnagiiarsi di propriet
altri giuochi,
il
alli
come
il
adun-
que, FARE A SALVARE, fra li giuocatoi'i, Ogni volta che andando qualche buona posta, sopra la quale si siano tutti fermi con le quattro carte, uno che ara qualche buon punto in mano, e accortosi che alcuni de' compagni stiano a Primiera, dubita che con essa non gli sia levato, come bene spesso, anzi il pi
delle volte in termine,
sendo
la
IN
275
dilettarsi di fare
che faccia maravigiiare la gente cos quel tale, parendoli pur male di perder quel bel punto, invita colui che pensa stare a Primiera, e domanda se lo vuol salvare, cio, se caso che la gli venga fatta, e vincendo la posta, si contenta di renderli li denari che ha messo, offerendo a lui ancora il medesimo, el quale si cio che vincendo esso col suo punto
,
,
d ad intendere che
di renderli indietro
le poste;
li
sia pi
il
sicuro, perch
cos
proco,
cio,
come dicono i latini, e come noi, scambievole; non si fa mai questo patto fra due, che l'uno
che vorria che al poeta che tenga un poco della furfanteria, o di dappocaggine almeno, e pur per esser uno de' punti e delle speranze da tenere a bada, che sono nella Primiera, stato quasi sforzato a metterla in calendario, s' ancora egli salvato, e scusato col dire
fusse fatto a s.
non
E perch
resto,
alcuna volta, per paura di non al mondo, fare qualche cosa meno che conveniente al decoro dell'uomo da bene, e arrecarsi a qualche indignit come qui, perch a qualcuno non venisse voglia uscir del ma lecito
:
Quasi dica,
pur
276
CAPITOLO
pensando che la cosa non ahbi a dir pi avanti, deve onestamente cercar di rimediare alle cose sue meglio che pu, come fanno i principi nelle cose della guerra, che appostando ogni loro avvantaggio, vanno ora cercando, ora fuggendo l'amicizia di questo e di quello, non guardando pi ad onest che a vergogna per schermirsi e defendere il stato loro, e mesurano le amicizie e le inimicizie con li commodi e con
cre,
che sia quella usanza, che di sopra in principio della nostra fatica dicemmo essere in alcuni luoghi frequentata, il dire, SENZA mal giuoco, che con tutto che tenga anche pi di questa del dappoco e del pusillanime pure ricevuta da alcuni e non di,
,
come si sia l'una come avemo de' punti del per un detto, dall'autore giuoco, e non perch si debba, ma perch non si disdica e possasi
;
almeno
posta,
senza scrupolo
di
coscenza usarla.
Come avemo
poeti
ordinariamente mettere tempo per tempo, caso per caso; cos ha messo qui numero finito per infinito e dice che si pu fare a Primiera in quinto e
pu giuocare a Primiera chi vuole che tante fussero le carte da dare, quanti possono esin sesto
;
cio
aere
IN
877
sono
per e quieti, a ci che dove moltitudine senza ordine, non sia conclusione: adunque dire
savi
in quinto e in sesto
quanto
tuttavia
continua,
chi alquanto
a drento considera la profondit de' sensi, in laudar questo giuoco con quella potentissima ragione filo-
che se ben mi ricordo subito da principio della nostra interpretazione adducemmo per provare la eccellenza e bont della Primiera, dicendo della natura del bene, acci che questa verit pi chiasofica,
li
quando
buoni argomenti che ne hanno il paragone d'un altra, cos il poeta, con lo esempio di quelli altri graziosi giuochi, la turba de' quali tanto fastidiosamente avemmo raccontata di sopra, dichiara quale e quanto sia questo dicendo:
altri
a questo.
termine della comparazione, a petto a QUESTO, cio a comparazione di questo, ed translazione di giostranti che, volendo fare sperienza della
persona
loro, e
si ri-
scontrano con le lance dandosi nel petto, e cos si dicono stare a petto l'un dell'altro: elocuzione e figura di parlare schietta toscana. N so io, per quanto mi sovviene , quale altra lingua volgare se
l'usi, e
modo
di parlare al-
278
CAPITOLO
e famig-liare,
quanto umile
altro au-
tore de' nostri che il Boccaccio l'abbi usato nelle sue prose n per che in rima non possa usarsi sicuramente, massime in questa sorte che scrive il poeta, che certo tanto famigliare che ha molto pi similitudine con la prosa che col verso.
;
Uomini da
Come
In effetto
non
si
pu
mar qualche cosa per lodarne un'altra, come di sopra dicemmo. Ed lecito, anzi attibuito ad arte, e una delle parti della oratoria, che si chiama secondo costoro confutazione, che quando l'uomo ha provato con le pi e migliori ragioni che ha potuto il fatto suo, non l restando a fare altro che buttar per terra, se alcuna ne ha l'avversario che sia atta
a tenere le orecchie delli auditori
si
non ben persuase, mette loro attorno e risponde ad una ad una, se pu modestamente, se no, nel modo che pu. Cos fa il poeta al presente, vedendo la prosunzione che
hanno
li
altri
erro? loro
plebei
,
come
si fa alli
li
DAPPOCO
,
appresso
li
nomi mascu-
uomo
Nel numero
mai
IN
in caso alcuno,
29
,
come
dire
dappoco,
via discorrendo
mi ricordo averla
letta
non
che
di dire
tempo dell'autore
stesso,
come
imli
accade usarlo. Li luoghi particolari a quante carte e a che mano sono in pronto a vedere a chi ne ha
voglia, e a chi anche
non
il
si
contentasse
di
questa
cercare, consideri,
come
si
derivazione d'essi.
composta
le
da
e i poco,
serva
che il conmolte altre simili che nel numero plurale non mutano terminazione n si dice uomini o donne da eni o uomo e donna d'assalo, il che essendo come in fatto, pare che il poeta nostro abbi mal posto questa del dappoco, avendo detto dappoco nel numero del pi; ma si salva con dire che quel che non stato lecito al Boccaccio, n saria a chi altri volesse scriver prosa, concesso ad un poeta nelli privilegi dell'arte sua, s come stato a Dante molte cose assai pi esorbitanti di queste, al Petrarca ancora, per non dire delli latini, de' quali li esempli ci avanzerebbono, che la necessit del verso ha indotti a storpiar nomi, e formar nuove desinenze e accenti, casi e numeri, e mille altre cose. Basta che la licenza tollerabile, e scusasi probabilissimamente senza scru-^
nella lingua nostra
dir, d'assai,
altre
parole composte
j^
polo,
dicio.
CAPITOLO
massimamente appresso a
chi
ha benigno
iu-
sciocchi.
Pareva al poeta aver detto poco in dappochi, se non esagerava la materia in dir, da niente, e in questo anche non si sendo satisfatto aggiugne uomini SCIOCCHI. Bel procedere di grado in grado che '1 da poco sia men mal che da niente non deve essere chi non sappi che poi sciocco sia peggio dell' uno e dell'altro, il mostra la esperienza manifestamente. Dappoco difetto alquanto tollerabile, potendosi sperare, che chi ne sente possa col tempo con la industria, con lo esercizio farsi un d da qualche cosa; conciossiach, con tutto che poco vaglia, pur sendoci quel poco come un seme atto a far qualche frutto, e crescere, come avemo detto, se ne pu sperare qualche bene ma da niente ben mala cosa, e tristo a chi cotale, che gran fatto sar che n'abbi onore. Peggio di tutti poi l'essere sciocco, che non solo ha in s le due qualit predette, ma una terza sopra venuta gentilezza, che non solo disutile per natura e per negligenza, ma per sciocchezza, idest per mancamento di cervello; e di questo male non si trov mai che ne guarisse alcuno Messer Domeneddio, perch e' buoni uomini a detto del Salmista, gli danno la stretta peggio che chi riniega in Galea, * come scritto nel salmo vigesimoterzo nel
,
, ,
;
principio.
Come
* Cos
IN
281
Dichiara chi siano queste gentil persone favorite de' giuochi soprannominati, che hanno in s queste
tre egregie parti, e di' che sono,
sti in
Toscana
si
dicono famigli di
ma
che quelli vanno citando, o richiedendo la gente per usare i vocaboli di l questi vanno e pigliando persone armati a fare altro che citare e pegni e ci che vien loro alle mani senza discrezione alcuna, e furon quelli che pigliarono lesu Cristo in altro paese si chiamano zaffi in qualche altra specie
, ;
e in questi
s'intende
il
queste brigatene si trastullano volentieri con questi manigoldi passatempi. Osti e cuochi sono due nomi
cos chiari e usitati per tutto, ch'io non credo che alcuno ne aspetti altra dichiarazione. Queste quattro specie di brigatene ha messo il poeta in esem-
perch s'intenda generalmente di tutto il resto ed quella figura che si not di sopra nel terzetto:
pio,
^n sesto.
Dicendo che avea posto il numero finito per l'inche se li avesse avuto a mettere in calendario tutte quelle gerarchie che portano le domeniche di maggio il palioto a san Bastiano ci saria stata
finito;
,
Primiera
;
il
sangue e
gli occhi,
Non me ne
curo
dove a sbaraglino
, ,
282
CAP
Cj
Veramente in
discreti lettori
,
servizio d questo
gioco traditore,
vorrei
dissi,
non
ci
avei^mi
promesso quel
che poco
in testa
di
di
sopra
terzetto; perch se
mi
non esser tenuto da poco. Se anche li ritrovo le non mi sia dato nome di appassionato massime da che gi sono due anni che, giocandoci per disgrazia, come si sa, e sendo
costure, bene ho paura di
,
vicino per
mali trattamenti suoi a farmi tener pazzo da' circumstanti feci voto di non ci giocar
li
,
cos Dio
la
mi
voglia,
morte, se vo in luogo ove mi sia lecito lasciare stare il tavolieri per le carte: pure, perch vedendo il poeta (per un certo singulare odio che ha anche egli a questo morbo quasi valendosi di lui, dimostrando alli ascoltanti la malvagit sua) pretermessa la ciurma delli altri, aver fatto di questo particulare e singulare menzione, io come fedele interprete debbo seguitare li vestigi del duca mio, mi sfogher pure cos il meglio che potr con una mediocrit fra l'uno estremo e l'altro, riservandosi ad un altro tempo a far pi aspra e pi allegra vendetta. Dello Sbaraglino credo io veramente che il diavolo fusse trovatore e da molto tempo in qua a ci non vi pensaste che la origine sua fusse cos antica, cos illustre, come
vivo, e
,
mentre che
anche da poi
che da poi che l'inimico dell'umana generazione, mandato da Dio a tentare nella pazienza
,
come si lob con tanti e s dispettosi argumenti legge nella istoria sua , non ebbe forza di moverlo punto dal proposito suo, vedendosi vinto, e desi-
IN
288
gnando sopra noi altri, che semo poi successi, vendicarsi della vergogna sua, and pi e pi tempo
pensando che cosa potesse proporre per venire a
questo
flne,
,
un pezzo mento della constanza e fermezza dell' animo che deve avere un uomo fece che '1 magnifico messer Pino, come costoro vogliono, e come noi in principio dell'opera dicemmo, trov questa bella scusa,
,
,
n alcuna sufficiente trovandone, stent fin che per nostro mal grado e disfaci-
le parti
che
si
conven-
gono ad un corpo bene organizzato, ci mise drente tutte quelle piacevolezze che mette Omero nel scudo di Pallade, e Virgilio nel carro di Marte, le quali chi vuol vedere distintamente legga el duodecimo libro della Eneide e il quinto della Iliade e anche ce n'aggiunse da una dozzina in su di suo per esser tenuto pi eccellente artefice che Vulcano o che i
,
che chi giocasse a quel gioco fusse prima la cosa a reverenza di Dio e della Vergine Maria, bestemmiatore, baro che va per l'ordinario,
Ciclopi. Volse
non
dico iracundo n fantastico, dispettoso, che un peccato veniale, spiritato, malinconico, gridasse com'una
bestia, dicesse villania
non
solo
al
compagno con
cui giuoca,
ma
cuno, come accade ben spesso, dice qualche parola in favore dell'avversario^lsuo, perdesse
il
sonno, e
talvolta
le notti
il
mangiare,
si
scempi *
si
straccasse stando
* Cosi
il
Testo,
284
CAPITOLO
,
e tutte
queste gentilezze
le
per entrare in casa, o per levare, o per che e' non ti sia dato, per dare ad altri? Qual maggior dispetto
e 'non viene aspettato da te, o pel conquando viene non aspettato ne desiderato, anzi avuto in odio? Che consumamento d'animo, che ansiet peggio che star aspettando d'essere im-
che quando
trario
pu dir pili l, come accennam di sopra esponendo el testo dicemmo non so che e forse che non vogliono nobilitar questo morbo^ con dire che giuoco da gentiluomini, giuoco di reputazione, perch ci giuocano li uomini vecchi,
che non
si
l'autor e noi,
la-
sciamo andare si sia lor risposto nel principio della fatica nostra con lo esempio delle pesche, che piaccino a simil sorte d'uomini pi che all'altra gente e non sono per la miglior cosa del mondo, io voglio accrescere questa loro ragione, e farla migliore col consentirli che non solo tali uomini ci giuocano,
;
ma
ancora
li
principi,
li
tiranni
li
re
e che sia
vero,
domandisene
un che giuocava seco, e fu ammazzato ad uso di bue. Ad un altro capo di parte di Trevisi fu fatto la festa tirando un sei, cinque e
tre,
che fu dato per segno a chi era deputato sopra ci. La istoria sua, chi vuol pi distintamente sapere, legga le croniche e troveralla. Ecco che scherzi piacevoli son quelli dello Sbaraglino, senza che ne
potrei
raccontare
infiniti
altri,
lasciando stare
li
PRIMIERA 285 gran maestri, e venendo a persone di pi bassa mano, come quello che intervenne, non sono per quattro anni, in Roma ad un della terra mia, che giuocando a questo giuoco traditore, li fu dato d'un pugnale nel petto. Li esempj della disperazione, della
rabbia, del rinegar Dio e
nito,
li
W LODE DELLA
danno
el
altrui fra
,
li
piedi,
tersi a raccontarli
tanto
merita
pregio. Basta, io
el bossolo di Pandora (del quale scrive Orazio nelle ode quello che fu dato a Epimeteo, onde usc la febbre el mal francese e quel di S. Lazzaro el canchero, e tutte le disgrazie) che lo Sbaraglino, e
, , ,
pomo che
,
per-
suase l'inimico dell'umana generazione al primo parente nostro che dovesse mangiare promettendoli
la scienza del
bene
e del
poi
non ne fu
,
altro; e
questo e che il diavolo non volesse dire in suo linguaggio, quando disse, mangiate questo pomo, imparate a giuocare a Sbaraglino, e capiterete male.
Lasciamo andar
le
cose pi leggieri
li
che
di*>
sopra
avemo accennate
berretta,
del far
uomini
spiritati, furiosi,
mano
,
senza
domandando
a'
dentro
e dadi, e quello
che alla
mano
venir fra s
da cani; tanto che si diano dei ho veduto io, e ne potrei addurre infiniti esempj ma prima el d mi verria manco che la materia; tal che si li pu ben
tili, dirsi
villanie
S8<J
CAPITOLO
verso che poco di sotto
:
mette
il
Basta che
la
Basta che el Sbarag^lino un brutto, un traditore, e un maladetto g-iuoco, dico di sorte, ch'el Toccadiglia, Tornagalca, e' Minoretto, e li altri simili, fino a Scarica l'asino, che el pi diserto che ci sia,
come
dice colui,
ma
ranno
ristorati i danni a g-ran misura, e dir tanto male, anzi pur la verit che da chi vorr conoscere el frutto d'essa, e quanta utilit li apporti il dir mio,
mi sar avuto grado conveniente, e non meno laude ripeter di qual si sia mai stato benefattore della generazione umana.
Non
uom
s'egli
fallito
Che
ha voglia
Non
trovi d'accattar
sempre un
fiorino.
di
que-
Marco Varrone
questo? Io non so se mi abbi letto nello Etimologicon, o nella Poliantea, o pur sentito dire all'avolo mio al fuoco una certa novella d'una fata, che dette a tre uomini amici suoi tre belle e avventurose cose da far diventar ricco in un'ora, fra le quali era una borsa che, semprech al padron d'essa
come
fa
IN
28
metteva la man dentro, li veniva cavato un ducato, tanto che se un milion di volte avesse fatto questo atto tanti ducati si trovava da spendere. Bel trovato veramente, se e' non fu vero io credo che ei
;
come
sono scritte a dottrina nostra, e ogni cosa ci data sotto allegoria, non volesse intendere altro colui, che trov questa figura, che della Primiera, della quale io non so qual sia pi bella borsa, se vero,
che chiunque ha voglia di giuocare
cattar
si
trovi d'ac-
sempre un
fiorino,
io certo
in vita sua,
come
gno, e quelli
loro che
si
non farei se potessi, n hanno punto d'ingeche non hanno ancora, come dir coel
beccano
essenza
tante novelle
imparare una
Ha
la
Primiera una
allegra cera,
Che
Per
ben
volere,
Continua
a Dio, poco di sotto finir, e usa una ragion potentissima a provare la intenzione sua, quella che certo deve muovere e persuadere ognuno sopra ogni altra; ed la bellezza della quale
e Platone e tutti quelli filosofi speculativi
hanno
tutto insegna
questa la bellezza,
bellezza quanto la grazia, la quale ancor pi potente, come vogliono costoro che fan professione di
288
CAPITOL
vagheggini. Dice che la Primiera si fa per forza ben volere con la sua grazia per forza. Serva ben i ter-
mini descrivendo la natura della cosa. scritto in un distico delli epigrammi greci, dove si fa una comparazione della bellezza e grazia all'esca e all'amo,
e dice, che la bellezza senza la grazia
diletta sola-
mente, ma accompagnata con essa, piglia e strigne e a questa alludendo il poeta, dice che la Primiera si fa ben volere per forza con la sua grazia, quasi dica, sforza altrui, o vogli o non vogli a farsi amare, e per la sua maniera. Tutt'uno ancor che alcuni ci facciano differenza, e ponghino la grazia a de tutte le cose, e particolarmente parlando d' una bella in certi atti e movimenti del corpo con tempo e con misura, che piaccion pi che senza essa, la maniera poi nel parlare e ne' costumi ma quella considerazione si lasci alli pi sottili. Maniera importa tanto quanto modo, cio differenza di far le cose ad una foggia o ad un' altra, ed vocabolo
;
;
latini,
come appresso
si
di loro
Ed
io
per
me non
modo da
giocare,
Quanto poeticamente, e con quanta arte procede^ seguitando e' vestigi di quelli che innanzi a lui
hanno camminato per simile strada. Quando Virgiebbe detto un pezzo delle laudi della agricoltura, contando tutte le ragioni che li occorsero, non
lio
li
el
el
IN
289
come con-
nominando
li
pi famosi e
pronto ad ognuno
li
avendo
auditori
e
pareva a tirare
e
li
che
questa di se stesso^
che non trova altro piacere che far quello che si sforza persuader alli auditori; che che cos fa Messer Tullio nelle Tusculane, parlando della immortalit dell'anima, e
'1
medesimo Vergilio
buoni autori ed
;
in molti luoghi,
li
zione potentissima
che ha
stano
li
el
altri
uomini.
ritto ritto,
Come
s'io
non avessi
va tuttavia crescendo e
esagerando, come ha fatto di sopra in molti luoghi, e particolarmente in quel che notammo con la figura
iperbole, cio della impossibilit,
quando
disse:
Tutta
l'et
d'un
uomo
La elocuzione
dichiarazione.
Berni.
chiara,
n ha bisogno di molta
19
Parte
I.
290
CAPITOLO.
per suo amore andrei fino in Egitto,
maggiore
che indignit, e stassi con poca reputazione ; andare in Egitto, el qual paese venuto
sia,
dir, Callicut, o
come
Termistitan, o Zimia*;
come Ca-
pensava che fosse l'Abruzzo, n ha ma d'un delle pili lontane parti del mondo che sia. Grandissima cosa poi combattere in defensione altrui in qualunque modo si facci, che dove si espone la vita proCentonovelle
si
me
che pi non
la
si
possi fare.
Maggior
quanta
lo opporseli
manifestamente: e pure el poeta dice, che lo farla per mostrare la affezione che ha a questo giuoco: ma non dubita d'aver a venire a questo, dico di difenderlo a torto, avendo per tante vie di sopra provato che egli ha seco tutte le ragioni
del
mondo:
s'io facessi e dicessi
Ma
per
lei
dire,
Non
^ Cosi
il
IN
291
Quasi disperato di potere con alcuna sorta di opere pagare el debito che ha alla eccellenza della Primiera, e per conseguente acquistare della grazia sua per questa via, dice queste parole e indi seguitando, o per dir meglio, ritornando nella opinione
;
Dica
le lode sue
dunque
ella stessa.
si
estende a dichiarare
ecc.,
sog-
si
pu venire^
s
me non
poco
Durar
non riuscendo.
Durar
un proverbio che s' usa, o a me par che si usi solamente a Fiorenza; ed proprio accomodato a quelle persone che hanno fra le mani qualche impresa,
non
che
solo difficile e inutile,
li
ma
:
dir verbigrazia
si
tener pazzo, o
menar
li
292
e'
eAt>iT0t0
l'istmo.
Romani, cavar
Finalmente
dice,
epilogando
conflrma-
si
delli auditori,
ad uso
di
non m'inganno
io
mUle
mig'lia
conosco non mi esser accostato a quel che deve pigli simile assunto, e molte cose ho pretermesso e commesso altrimenti di quel che avevo a fare, e finalmente non satisfatto. Me ne scusai in principio, si ben mi ricorda, e continuai ancora le scuse nel progresso del scriver mio, dicendo esser
uno che
mia intenzione non tanto dichiarare i sensi del poeta con li numeri convenienti, dando precetti della Primiera, ponendo i casi in termine ecc. come alcuno forse aria voluto, ma accompagnarlo e aiutarlo a laudare questa divina invenzione. Se mi bastato, come deve per a presso li benigni iudicii, ne ho nell'animo mio el grado che si conviene; se altrimenti, torno umilmente a pregare chiunque legger queste mie inezie, che le pigli in buona parte, non guardando a quel che detto, ma a quel che si saria voluto dire, che tanto quanto offerir la buona
Volont, ove siano mancati
li
effetti.
IN
Pagina
37.
BwcMello. Barbiere della contrada di Calimala in Firenze; anticamente chiamata di Callismala dei panni Franceschi. gli compose poesie in stile di
gerghi, e piene di strane metafore,
ma
graziose
dentro:
fior
Roma
nel 1448.
si perde la
Ne
spalla
Perdere
il gioco
marcio
si
pi'oprio.
di
molto,
sof-
frono.
Il
il
Como
della Luna.
294
primo
IL
LASCA
IN
NOME DEL
41.
BERNI.
Pagina
Per non tenervi troppo a cresima: a bada, ad aspettare; come suol fare chi va per esser cresimato ne' d
solenni con la moltitudine.
La Stanza quarta leggiadramente comincia come la quarta Stanza del Canto primo dell'Orlando Furioso del divino Ariosto.
AL FRACASTORO.
Cap.
Fracastoro.
I.
pag.
43.
,
nato in
Verona nel
Povigliano.
morto nel
1553.
Nome d'un
Verona.
villaggio.
scovo
Iclest.
di
Molte parole latine si sono trasportate nel nostro idioma di pianta senza variarle di niente come p. e. Eziam^ che si trova usato nel Mal;
mantile
al
Cant.
il
I.
Staz.
7.
Ed eziam
Ad unguem
Al) antico
Ab
eterno. Bocc. Gior. X. Nov. 8. Non riguardano, che ab eterno disposto fosse, che ella non di Gisippo
divenisse,
ma
mia.
NOTE ALLE
IU>IE
St. 16, idest la gtierra,
,
295
I.
ed
non poche. Ed
erano tanto usi
ci fatto
al latino,
,
perch
gli scrit-
che scappava loro bocca delle parole di quella lingua siccome hanno fatto i Latini, che hanno mescolato ne' loro ragionamenti delle greche ed i Greci de' temp^ bassi dalle latine, nei libri particolarmente delle riportati nel loro linguaggio leggi romane ed
,
:
altri
popoli ancora.
M.
trasposizione,
il
Da
far vedere ecc. Dovrebbe veramente dire Da far andar vm morto, e teder un cieco : ma quel cangia-
Nisiely
:
le fa dire.
Io ho
Con esso
Da far
Scherza prima con l'equivocazione Da far vedere un morto, cio che alcuno possa vedere un morto dipoi forma il ridicolo porgendo una cosa per mirabile, essendo arcicredibile, com', che i ciechi vadano. E appresso
; ,
Solecismo piacevole
accomodato. Similmente
Non
dante.
296
Adamo
Sannazaro Napo-
L'insegna
Venezia
segna quivi popolarmente chiamata San Marco. Salir da orsi. Cattivo e difficile salire. L'orso un animale, che sebbene par goffo e disadatto, nondimeno assai destro, e facilmente sale anche in luoghi inaccessibili; donde noi abbiamo: Esser come V orso, cio goffo e destro. Orco dal latino Orcus. Mostro imaginario delle favole fanciullesche, il quale, per far paura a' fanciulli,
fingesi divoratore d'uomini.
Carpita. Coperta villosa: a carpendo, dice
il
Salvini.
Barberesco.
detti Barberi,
da Bar-
pi veloci.
si favella, e
prende in cattivo significato. Significa pur anche cosa rimarcabile in lingua furba.
Imita con la sconcordanza, come
Nisiely,
l'
uomo
rustico che
si
vilmente.
Cotale la voce latina talis,
d'uomo
prepone
:
al
nome
privati
voce accorciata
29Tf
da Donno che deriva dal latino ablativo Domino. Gli Spagnuoli se ne onorano tutti indifferente-
mente
reciprocamente.
si
dice
manda
a cui
non
vuoisi rispondere
(
Che dite?
ci
(Gh. ). Quando alcuno, domandato di non risponde a proposito, si suol dire: una cosa,
Albanese, messere; Io sto co' frati: o Tagliaronsi di
maggio;
Tommaseo Vocab.
Marzocchi, secondo
il
nome
dato
le
a'
immondezze
macule
e pi grandi.
d'
egual
condizione
li-
bro
il
cui quarto
verso
rixafmt. S* io dormi' mai. Dormi' per dormii. Viene spesso presa questa licenza nel verso per evitar l' iato che nascerebbene ed appunto in questo caso, dove s' avrebbe avuto a dire dormii mai, Virgilio ha preso un granci2)orro, uno sbaglio nel celebre luogo d'Omero Iliad. lib. 2., ove delia frase hi Arimis fece una sola voce hiarime. En. lib. 9. Tum sonitu Prochyta alta tremit, durwmque cubile Inarime
Quantagtce, sublato lumine,
:
Jovis, imperiis
imposta Typhoeo.
Ma non mancano
298
i
Il
Modicio
Dif. di Yrg.
cap.
repre?ie?isus est
ah Aldo Manutio
los aliquot
et
Puossi udire, o
pii
imag-inare la pi leggiadra, e la
piacevole
opportunissimo appicco cosa di molto maggior lode e merito, che non tutta la critica del Modicio il quale non dice cose, che non sieno state
,
prima considerate da altri e quelle, che esso per s va investigando, son considerazioni triviali e pedantesche. Fermamente s'egli avesse avuto co;
la
pra la poetica, si sarebbe morso le mani, piuttosto che impiegarlo a ferire stoltamente il pi
riguardevol Satirico che sia mai fiorito nell'Arte.
TJn
con
le sole
Hac sunt
Eutropia:
Bedae tenerahilis
ossa.
nome
verde
tempestata
di gocciole rosse.
il
Demonio.
pag,
51.
E fassi il
dini di
Solcano
conta-
Toscana nel
d festivo di S. Giorgio
con
299
forno, fare
con stecchi o spini diseccati in d' un uomo armato, vestendolo poi come un guerriero, perch rappresentasse quel
il
fusto
Santo.
Che
la scopetta a
i
Napoli e la
streglia^
istrumenti da
polire
ed abbondanza di
quella Metropoli.
numero
in quel
Regno, ed
tic
in
Chi
ctioco ti
tue,
in vece di
per la
uopo
come o
v'
il
esservi
Come
fa delV oche V Ognissanti, cio nella stagione che accade il giorno festivo di tutt'i Santi; nel
si
si
mangian
non
si
mangia pi
lo scherzo mangiarne.
Che VvMa
Purch
gli
V altra,
mima
il
in casa
in tal caso si
muran
impedirne
Se
ti
commercio.
qualunque cosa pi
preziosa.
300
pag.
la
5C.
,
nota
favola di Pandora
la
da Vulcano, e darle in dono da ciascuno degli Dei le pi belle parti, affine di farne innamorare Prometeo, ed indurlo ad aprire un vaso pieno di tutti i mali, che Giove aveva dato alla medesima, che lo donasse a Prometeo (che vuol dire Provvidente, Che antivede) per vendicarsi dell'ingiuria, da esso fattagli, quando rub il fuoco celeste; ma non l' avendo Prometeo voluto accettare, lo prese Epimeteo suo fratello ( che significa Pmdente dopo il fatto) il quale l'aperse, e vennero M. fuori tutti i mali, che sono nel mondo.
Dicon: Se non
5'
Pandora, non
saremmo
legno.
Scherza.
senza senno, smarrita dal cammino della ragione. oro in oro, per di quella vera. Guarda san Rocco ecc. Dipingesi questo santo che
della coscia
con sopravi
M.
901
LODE
Cap. V.
DE' GHIOZZI.
pag.
63.
iosa.
Questo A iosa credo sia parola corrotta, e che si dovesse dire A chiosa^ che significa quelle cappelle, che hanno le bullette: e ogni piccola piastra di piombo, di rame, o d'ottone, ridotta tonda, e simile alle nostre monete: delle quali Chiose i nostri ragazzi si servono per giuocare alla trottola, in vece di monete: e per
Chiosa s'intende per
moneta
di
niun valore.
11
Persiani disse:
Ma
A
se in tasca non ho
i7itanto
mantenermi,
grande ahhonAanza,
che se
71'
M.
LETTERA AD UN AMICO.
Cap. VI.
Sonate
pag.
65.
pur ch'io
ballo,
servo.
Giornea^ Si dice Affibbiarsi, Mettei'si, Calzare la Giornea.
Veste
civile,
con cintura
si
di cuoio,
chi, o davanti, si
r antiche pitture
biarsi la giornea^
cosa di conseguenza. M.
sura.
Qui
dell'
estrema ar-
Ghin di Tacco, ladrone, del quale parla il Boccaccio neila Giornata X. Nov. 2. Lo fa venir qui a pr-
302
prigioniero.
POST SCRITTA.
Pagina
Passignano,
68.
nome
di villaggio.
Ponte nella Badia di Fiesole, posseduta anch'oggi dal Duca Salviati. Detto villaggio fu illustrato dalla nascita di Marcello Virgilio, Segretario della Repubblica Fiorentina, che s lodatamente scrisse in latino sopra Dioscoride.
villa del
Che
i^ar le quattro
pag.
70.
Ordine soppresso di religiosi: li chiama goffi, per non aversi saputo conservare. Manca una giornea. Sogliono alcun' infermi Bigia
votarsi
a'
per un anno abito del colore e panno che i di lui Religiosi vestono, se scampano dalla malattia.
come piante
iuutili svelte,
e le cui
radiche s'espongono
al sole
perch'ei
le disecchi.
Donna
303
da noi in de-
perch infedeli.
e
Magistrato in Roma,
a' Curiali;
i
Cardinale
Non
ti
dipingere la sembianza d'ogni faccia: perch consigliandolo a lavorar poco, lo consiglia a solamente
merito personale.
A prima
Laccia, a
Primavera
Laccia
nell'
un pesce
di
acqua dolce.
pag.
alla
:
73.
mo
che fosse
il
sti versi
han relazione
Medico
mifior.
le
Ma
Che
.
cose pi segrete,
ecc.
maniera popolare
per signi-
804
La
Monsignor Pietro
Carnesecchi.
S' appiccan voti, ecc. la
di
un
mediocre dipintore,
quale solo per riguardo del rappresentato s'ardono incensi, ecc., e non peralla
susseguenti versi
mosso
essendo
io
me
non
mia pro-
fessione.
me
che
mi
sfrati,
manchi
M.
dell'offerta.
ANTONIO DA BIBBIENA.
Cap. IX.
pag.
sa
75.
O-iocare a billi:
stimo che
si
bocciano nove
tre, se
non
Almen
Trucco, detto da' Francesi Billard. venisse il canchero alla falla: imprecazione
si
che
305
E gran
pr; latino prosit, ecc. se se lo, ecc. per se Io crede, volgarissimo gergo, usato qui per continuazione
d'alto disprezzo.
casa Miclielino,
le
nome
forse
d'un
ruffiano.
si
Le badie,
godono
a,
con-
servarsi la salute.
Ragazzino,
di
nome
di
per s;
il
ma
tenda
dotta.
produttore sotto
nome
SOPRA
IL
DILUVIO DI MUGELLO.
Cap. X.
pag.
Ti.
graziosamente scritto imitando lo stile delle storiette rimate del volgo. Moiachina di colore scuro, come per lo pi ne portan
Questo Capitolo
l'abito le monache.
ve'
qualche
In
sw
wi albero:
la
so2)i'a
un ecc
Dlie dlie dlie, specie d' avverbio espressivo di continuazione, usata dal Boccaccio. Com' mi san Giocarmi, cio quasi nudo
malcondotto,
come quello che rappresentando detto Santo sopra un carro che va in volta in Firenze nel di lui
giorno festivo, ad ogni scossa del carro, tracolla ed urta ad un'antenna sul plaustro conficcata,
ov'egli legato perch
Tratto diciiiUiiote,
a quel che
20
Bemi.
Parte
306
V intento.
IN
p. 44.
pag.
83
i
Cardi
Cardi o altro frutto d stagione dovrian esser intesi del vero tempo di mangiarli.
Non
sa mezze
le
messe,
IN
pag.
91.
si
La Primiera
con carte dell' Ombre : il sette conta 21 punti, ed carta maggiore; il sei 18, V asso 16, il cinque
un giuoco
d'invito che
fa
le
la
15,
10.
il
quattro 14,
il
tre 13,
il
danno due carte a primo, delle quali si scarta non piace si fa invito poi con le due che piacciono; e s'altri tiene l'invito, se ne danno due di pi delle 4 poi si scartan quelle che non fanno al caso e se ne ritorna a compire di nuovo il numero. Il che fattosi, ciascuno mostra il suo gioco. 4 carte di medesimo colore si chiaman flusso f russo: il sette, il sei, e Vasso del medesimo colore, fanno 55, e vincono la Primiera: la Primiera composta di 4 carte di difiTerente colore, e vince il punto il punto composto o di due o di tre carte d'un colore. Quel poi di loro vince
Si
quella che
l'altro della
delle carte
307
Non
lo
invece dell'inventore.
Carte a monte, far, d'accordo, nullo
il
Vada, cio
il
si
compisca
il
gioco
non vada^
annulli
gioco.
renire a mezza S'pada.
Non
catore
e a
poco
ambe le mani la tira su, come appunto fa chi stiaccia un pulce tra l'unghie delli due pollici; e' ci dicesi in Italia tirar V orecchie al
Diavolo;
si
vien poi
salvarsi: unirsi
con un
altro, e
vince salva
Cacciare.
il
compagno
dalla perdita.
Quando
s'invita, ed ^y fi'/ige
in pena, e quella si
Sbaraglino, gioco
lombardo
di tavolieri.
IN
LODE
D'
ARISTOTILE.
Cap. XVI.
pag.
94.
Come
il
il
prima,
etti io
dissi:
tu sola
mi piaci, imitando
tu
Fama
ove pone Aristotile dopo alatone. Acea 2)^1 ecc. in vece di avrebbe avuto, non fartene esempio.
capitolo
3,
303
Per avanzarsi
lo stivale:
per risparmiare
s'
il
premio da
hanno da
Apizio,
De
gulae irritamentis,
A
Para pur
via
:
M.
MARCO VENIZIANO.
Cap. XVII.
partire
,
pag.
97.
men
Rosazzo,
rivoltarsi a
nome
cognome
soprannome
di
taluno in
nome.
M.
FRANCESCO DA MILANO.
Cap. XVIII.
pag.
100.
trova
Quod
Vero ad
tuas
munus ipsum attinet, scito sacchareas Placentas non modo salutares et voluptaveruni etiam eruditioris cuut
interpretationis occasionem dedisse,
jusdam
parum
placet; a
maza
lat.
placenta
et
pane
rnazap)anes
vocatus
di paste
;
existimemus.
M.
nome
309
il
chiamano
la
Veneziani
il
giorno festivo
Bucintoro a far
in mare, in segno di
AI
Potta.
SIGNORI ABATI.
Cap. XIX.
pag. 102.
10 te
Esclamazione, o specie di giuramento. terrei segreto. I frati nel coro cantano i salmi
di quella parte
che tace
quando
l'altra
tener segreto.
Voi avete il raio cor serrato e stretto sotto la chiave; cio, ne siete padroni assoluti.
tener sotto
Diciamo
sigillo
che
si
porta scolpito in
gemma
in
un
equivoco.
pag.
105.
Mio vicino. Parla di Pietro Aretino, il quale era vanissimo nel vestirsi ricco e pomposamente. Fumar. L'edizione del Rolli Sfumare^ ed aggiunge
l'annotatore che in lingua furba significa scintillare, risplendere ecc.
LODE
DI
GRADASSO, AL MEDESIMO.
Cap. XXI.
Gradasso, era
pag, 109.
un nano
del suddetto
Cardinale,
al
310
posto
un
tal
nome famoso
nelli
Poemi
I
nisi forte
coactus
'
Magnorum
imperio Regum.
grande
e greve,
che non
lo
si
peserebbe la stadera ove si pesa il ferro che cava noVEla, isola del mare Ligustico.
Il periglioso, il mortale,
fra' saltatori.
nomi
de' salti
li
pi stimati
ber-
il
come fanno
\'i\.
hriicM'.
divorano
di
Granchi concludono
la battaglia.
un
palmo,
dritte,
ma
ritorte in
ghi pi alpestri, e quando cacciata, si getta da altissime rupi a capo in gi sulle sue corna, le
quali a guisa di suste o molle la sostengono.
non fanno al mio caso, e non gli stimo farian meglio a non comparir pi in questo mio componimento. Le carte da giocare scartate messe insieme, diconsi messe a monte: e quando si fa partito di far nullo un giuoco per cominciarne un
,
Polo ne'
Capo dogli assassini. Marco suoi viaggi latini della Tarteria ne parla.
311
terza ne fa motto, e la
la storia
il
cognome
dell'arte fattagli
appren-
dere.
Da
il
di lui
padre facea
Eunuchi; ed i castratori sono per lo pi di Norcia. Eccotene la storia in due stanze del primo Canto d'un Poemetto giocoso MS.
Norcia un'antichissima
Chiara nella trascorsa
cittade
questa etade
Per
li
Che per le lor ghiandose aspre contrade San cura aver degli animai porcini, E s gli castran con maestra mano. Che quasi tutti han voce di soprano.
Questi chiamati per l'Italia in giro,
I
Che
s vii opre in grembo a te si fanno! Hai tal privato e pubblico martiro Di povert, che per fuggirne il danno. Gran turba de' tuoi figli indur si suole
la prole.
LAMENTO
DI NARDINO.
Gap. XXII.
pag. 112.
Questo Capitolo del carattere di quel del Diluvio del Mugello a pag. "77.
312
Cristiano e Frate.
A questo proposito leggiamo nel Nisiely: Per conchiudere tutto questo ragionamento
si
sto: che
poeta, o altro
ma nell'altrui
burlesche
si
conceda
di riso,
eccitamento
ton dall'arte.
cipe di tutti
come
questa ragione
permetil
Un
siffatto artifizio
adoper
prin-
satirici,
suo capitolo,
Frate.
Io ho udito dir,
LAMENTAZION
D'
AMORE.
117. Cap. XXIV. mancando, e m'avvicino alla partenza dal mondo. Mea. Nome plebeo romano invece di Bartolomea. ChHo la dea, o beva, cio eh' io beva questo amaro calice, come suol dirsi in vece di dire eh' io soffra questa
pag.
disgrazia. L'articolo la
in.
tali casi
d'indefinito
genere,
come
il
neutro latino.
come una
ci-
notturno.
XXV. pag.
119.
Questo Papa fu gran nemico de' Poeti, e per credo che il Poeta scrivesse questa satira contro di
lui.
313
man
fii
dei fiorentini,
perch l'antecessore
d'Adriano
Marrano.
roti,
Il
Leone
de' Medici.
2 4 14
di Mori. Infedele.
Arlotto.
a'
Soprannome
disprezzo
che
suol
darsi
un
un
Piovano
Nome
fittizio di
suddetto.
Volterra.
titolo di S.
Maria
Roma
presso al
d'Adriano VI.
boccon
dili-
messo
in sottosenso d'oscenit.
Adriano
Ispagna a confortare
Collegio e del Popolo
il
Papa, in
mente
in
Roma.
trovo il terapica in una Girolamo Negro nel primo tomo delle Principi a p. 115.
colle
a Ripa, sponda del Tevere dirimpetto al Aventino, dove approdano le barche, le quali
s tristo vin
314
nel
mare Mediterraneo
sede
un tempo
mano Ottomano,
l'anno loil.
Beltedere.
Pontificio al Vati-
IN
Auditor della
giudici in
Ca:^.
j)ig.
126.
de'
supremi
un della piede, perci le Satire d' Andrea da Bergamo scritte alla popolare, son intitolate satire
le quali sono graziosissime e molto primo volume fu stampato in Venezia per Paolo Gherardo nel 154^^, il secondo ivi ancora per gli Stagnini nel 1565, ambo in 8, e sono rari. Istorico da Como. Il Giovio nato in Como citt del
alla carlona:
stimate.
Il
Milanese.
Il
di
non pagare.
libri
NOTE ALLE
:
1?IME
315
con colore differente le due suddette droghe tingono in giallo l'acqua con la quale scrivonsi quelle partite, o si inarcano i nomi dei debitori delle medesime. Da tal differente colore nasce lo
scherzo dell'abito Ducale: come se
debitore segnato a giallo fosse
il il
nome
del
debitore mede-
giallo.
nomi romanzeschi.
benefattori
i
della
suoi Baroni.
debitori poveri
chiama
il piatto
pubblico.
A' Lio9ii, del Serraglio del Gran Duca di Toscana. Libero ognuno, ecc. all'accessione d'un nuovo gran
Duca, alla nascita d'un suo
prigionieri di delitto
figlio, e
ad altra
lieta
i
non criminale.
per la
delaninia, per
mancanza
l'umano commercio.
IN
C/i a
Gap. XXVII.
non
si
debba usare,
316
ma debbasi
ancora
il
sempre
diede, diedi,
non
dette, detti,
Da
qiiest'
abuso nasce
DELLA
PIVA.
Cap. XXVIII. pag. 135. Bulhari. Pesci, specie di carpa nel lago di Mantua. E H pentirsi da sezzo mUla giova. Verso usato poi dal Tasso neir Aminta: da sezzo avverbio antiquato,
e vale in ultimo, di poi., alla fine, tardi.
// Marchese. Titolo di
qualche Ballata.
A me
per quanto a me. Maniera popolare. Mangiar qualche malia. Molti visionarj credono che una persona possa affatturare e indemoniare un'altra, dandole a mangiare qualche cibo ammaliato.
Temistocle ignorante.
fldibus
Cic. Tusc.
Vi tenga
il
studio,
V Universit,
la
compagnia
un uomo
galante.
il
Mila-
nesi nelle sue note al Cecchi: parola contadinesca, e vale giovane. Presa dalle piante
come
dire
317
le
Giglio incarnato.
Leggo
piglio, e
non
te
Gglio: e siccome
senso nell'antica lettura; cos penso che dovesse dire come ho corretto, perch parlasi d'una donna
perci poteasi
fatti
all'improv-
uno avvezzo
che ne fanno.
D Marcon, la pace di Marcone. Motto proverbiale d senso osceno deriva da questa Novelletta. Marcone era uno scimunito d'un villaggio in Toscana, dove essendo alcune private inimiczie insorte, e perci in due fazioni diviso il popolo, messer lo Arci:
le
parti
nemiche con
una predica
borazione delle sue ragioni, mostrare che fino gli scimuniti, per solo principio d natura erano inclinati alla pace:
alla
segn a rispondere ad alta voce, pace pace, quand'egl dal pulpito l'interrogasse cos: e
cone, che vuoi?
il
tu,
Mar-
Venne
il
addotte,
cadere
il
mente inventata dimostrazione, che fino gli seimuniti e fatui per istinto naturale, amavano e desideravano la pace: onde con sonora voce inton la sua richiesta, e tu Marcone, che vuoi? sinvconeche addormentato s* era, risvegliato dal grido
della
domanda
fattagli, rispose,
non Pace
Pace,
ma
l'osceno verbo di
318
4, st. 66.
d' allora
in
poi, la
verbio.
ALLA DETTA.
Cap.
Soccorrire. Dialetto
Scaffi,.
XXX.
pag. 149.
Gusci delle
per se
tu,
idiotismo.
IN
pag,
145.
Monte Varchi, o in una sola parola Montevarchi, luogo nel Fiorentino patria di Benedetto Varchi
,
nome
d' altro
dice wi
Quella Persona.
Bonastolo.
Il
qualche medico. Bolog?iese llomaiiolo. Forse, uomo raffinato, accorto come a dire un Bolognese stato al suo vantaggio lungo tempo nelle corti di Rorm.
di
:
Nome
DEL PESCARE
Cap. XXXII.
Fabriano. Citt
della
pag.
14S.
Marca Anconitana
in Italia,
dov'
NOTE ALLE
novo Canonico, ei abbracciato da tutt'
Canonico
v'
RlilE
319
dal capitolo
e
un
va ad abbracciare
suoi
ad essere
11
compagni
jDrt.27
clie nell'atto
dell'abbracciamento, dicono
/e;^f//^.
novo
mento
della
de'
quadrupedi
dovesse dire
si
taloi'
perch l'uomo in quattro curvo e non ritto; ancora perch nell'occasione presente la numerazione pili numerosa delle giaciture mostra
s
pi la dilettazione
dirsi
del
pescatore.
Pu
in
oltre
d'un quadrupede
dirsi ritto
ritto in quattro,
sua natu-
ma dell'uomo
non pu
munque
difendo
per
il
siasi,
non biasmo
l'altrui parere, e
mio.
Specie di giuramento.
B per
lo corpo, ecc.
hi/ tenue, che facendo sonare Vh, come una/, viene a dirsi volgarmente i^/o. Dicesi similmente, ?/ia/ico d/un iota,
ecc.
SONETTO
Com'egli visto fuor:
pesta: fa
trista,
I.
p. 152.
di pioggia e
come segno
d'
tem-
che
lo
il
per
meno,
un
carlino la misura.
dini di
Romagna.
320
Boti
chiamiamo quei Fantocci o Statue, che si mettono attorno alVimmagim miracolose per contrassegni di
dovrebbe dir
Voti,
ma per
iscambiamento
biasimo d'un
di
lettera si
uomo
brutto:
ceraiuoli,
Fugge da'
Acciocch non lo vendan 2^er un doto; che anticamente detti fantocci si facevano d cera, e per lo pi colle mani giunte in atto d'orare: e per questo il Lippi dice:
Per starsene a man giunte come un doto, che s'intende d'uno, che non sappia o non voglia operare e muover le mani per lavorare: e vuole
inferire: Che fai
tu tu delle
mani
non
V adoperi
giuria?
M.
mezzo maggio.
Tempo pasquale
si
in cui, lasciati
le carni.
cibi
quadragesimali,
mangiano
SONETTO
Pistoia.
III.
p. 155.
nato
Giovanni de' Rossi da Pistoia, soprannomiPistoia; Poeta satirico o persona maledica. Pietro Aretino g' indirizza molte delle sue lettere. L'Ariosto ne fa questa menzione nella satira 7 al
il
Cardinale Bembo:
Tu
Danese, Ancroia.
Nomi romanzeschi di
storielle rimate
antiche e pedestri. / Castroni, cio la lana, il panno, il giubbone, ecc. Prende l'animai che la produce invece della cosa,
prodotta e tessuta.
321
delle simili.
Dogai.
Suppongo significhi manica lunga e grande, come quelle d'un abito magnifico d' un Doge.
che dovrebbe dire
in
guado;
nome
non
ma
menti non ci trovo senso; poich non abbiamo la voce Grualdi. Colla fede. Con la lettera autentica o 'patente, che comunemente chiamasi fede, perch fa fede e testimonianza.
Del destro. Qui
comune.
un
sustantivo, e significa
il
luogo
SONETTO
Mona
le
IV. p. 157.
facendone una dwma d l'antico titolo di Madonna. Fiume senza sproni. Ladice o Adice, di corso rapidisLega.
la lega, e
Animando
simo.
Lago oggi detto di Garda., anticamente Benaco. Metia, ha seco, nutrisce Carpioni, pesce peculiare di quel lago, il quale delicatissimo; ed rosso dentro
;
Salmone: mi pare che la Trota salmonata inglese lo somigli di quantit, qualit e colore.
come
il
il
Dove
Danese^ ecc.
Un misto
favolosi,
che ha
la
dell'unione e dell'azione.
Culiseo:
nome
Tito in
di
chiamasi Colosseo, per lo Colosso Nerone gi quindi non lunge situato e perch
:
Roma
in
egli dice
che v' un
21
Culiseo,
come se
Demi,
Parte
322
aver
nome
simile a quello di
Roma
similmente
immaginario e grazioso l'intaglio di quelle sognate battaglie, ed il rimanente della descrizione. Da fare ad EtwUde, ecc. Vuol dire che sono tanto mal
proporzionate quelle cose, che EitcUde ed ArcM^ mede ne avrian , per isdegno , ammazzati gli ar^
chitetti.
Spiriti,
Intende in parte gli Spiriti ideali che favoleggiasi viver in aria, ed in parte gli uomini di
spirito.
Istriazzo, o Strazzo
perch
la I
v'
aggiunta per
prima edizione del Lasca del 1548: dice per solazzo con meno viva immagine nella seconda del 1552. l'ho conservata la prima voce, perch parlasi di spiriti che vanno su pe' tetti a guisa de' gatti. La voce striazzo lombarda e significativa di quando i gatti vanno
;
in amore
pronunciata in azzo verbigrazia: TJomaccio, catti?5' uomo vien da' medesimi detto Omazzo e perch per favola popolare dicesi che la notte le
,
Streghe
gatti;
vadan
pe' tetti
strepitando in forma di
i
gatti
vanno
il
'1
allora
in striozz, cio
stregaz o stregaccio,
in gattaccio: e
taforica e giocosamente
d'una persona libidinosa. N tal voce devesi rifiutare perch lombarda poich ne abbiamo moltissime tali adottate dai divini Dante ed Ariosto; e tanto pi, quanto non
,
:
di simile significato:
suono
della
medesima
ottimo
non
353
che nulla affatto strano al nostro orecchio: ragione primaria per ammettere una nuova voce in
alcuna lingua.
SONETTO
V. p.
150.
perch
barbe,
tal
come ora
mustacchi.
Oli Otto. Magistrato di Firenze d' otto Giudici.
Ve'
Suppongo
fosse
ch quando il maggior numero degli Otto va in una sentenza, quella parte vince il punto, e fa il
Partito.
Temello in vece di
tergerlo,
per
la
rima.
Per
sette fate,
la fava
bianca e chi contraddice la fava nera donde il Berni fa nascere il giuoco dell' aggiunta d'un baccello per mettere pi in ridicolo il sud-,
detto Partito,
SONETTO
Padrone.
VI. p. 159.
di vascello o
il
il
capo
d'
titolo
SONETTO
VII. p. 161.
Questo Sonetto fatto per lo dispetto e rabbia che aveva talvolta il Berni, obbligato a vegliare com' io
324
Verona, guand*
giocava a primiera.
Pufar
la,
ecc. Specie di
giuramento o d'esclamazione,
come pi
di gratis-
Ch'
non vada
in collera, e
non
giuri ?
SONETTO
Melampo, indovino.
Jflclo, fratello
.'
IX. p. 162.
Ercole.
scommettesse con questa a qual di loro sia peggiore, perderebbe la scommessa. Jsfencia. Nome di qualche donna bruttissima.
Valler.
Nome
di qualch'
uomo deforme,
cui rile
tratti si
Nome di qualche povero, o di taluno, eh' essendo tale, faceva il ricco e si vantava d'aver casa ben fornita, non avendoci altro che le cose quivi sotto numerate. (riordano. Fiume della Giudea, come nel versetto 3
del
Salmo
313.
gli
325
da
lussuria,
male
della lussuria.
SONETTO
Ancroia.
p. 164.
finta
in
un Poema,
in-
titolato la
ma
Regina Ancroia: e perch questo Poeche si trovino nella lingua nostra, mi do a credere, che quando si dice V An degli antichi,
croia^
s'intenda
una vecchia.
venga da Croio
qitoio.
^
Ma pu
un
adiettivo, che
,
Zotico e Duro
Da questa voce
Croio abbiamo il verbo Incroiare^ che vuol dire Aggrinzante e Indirire: ed Incroiato, per intendere Pelle grinza e secca e indurita^ come
che nel parlare, perch l'ultima lettera di Mona confonde e mangia la prima d'Incroia, viene a suonare Ancroia, che vuol dire
scherzo.
incroia,
Mona
un
Qtioio
che
per esser
grinzoso
:
stato presso
al fuoco, sia
divenuto dtro e
ed
il
simile
chiata. Si dice
ma di questo pi proprio Incorezzato, dal latino Coirigia. Il Vocasodo per gli untumi e lordure;
bolista Bolognese dice, che Ancroia significa
chia, che va crollando il capo.
Vec
si
Ma venga donde
Donna
presente luogo.
M.
323
SONETTO
Stanzoni in vece di Stazioni: in alcune Chiese.
Vergilio, ecc.
XI. p. 165.
Nome
di
fatto
raccontato.
SONETTO
Rilla.
XII. p. 166.
Membro
osceno.
SONETTO XV.
Alcionio letterato in Venezia.
p. 168.
Damaschina o dommascliina. Damasco la Metropoli della Siria, che forse diede il suo nome al Drappo
il
un Drappo tessuto
a fio-
rami:
il
dell'Autore.
Paracimeio.
Greci; cio
pensando solamente
SONETTO
ragone
di, ec.
XVII.
p. 170.
Le navi, in termine architettonico: le navi d'una chiesa sono i grandi spazi delle cappelle; onde
per lo Galeone intendesi la gran nave per lungo,
dalla porta all'aitar maggiore:
il giuoco di parole. Donna imversale. Erede universale.
quindi nasce
321
SONETTO
del
XVIII. p.
171.
de' Medici.
gambettar, che fa lo mio amore, cio a danzar sull'aria della Ballata che
incomincia cosi:
il
suo
SONETTO
Dovizio.
XXI.
p. 175.
fine:
fece
non gi cosa
XXII.
il
SONETTO
Empio
Medici.
p. 175
Duca Alessandro
de'
Chimenti.
mente.
vece di Cle*
328
Ne far ima
SONETTO XXV,
p. 177.
SONETTO XXVI.
Due
distici, ecc.
p. 178.
Sic vos
non
vobis, ecc.
:
bando,
il
decreto del
dietro
Magistrato, dettatogli
Notaio.
sottovoce di
dal
SONETTO XXVII.
Ognissanti.
p. 179.
sella fascia
uomo grave
e che
tenea riputazione,
MdolfL Cardinale Fiorentino. Verona. Il Vescovo di Verona gi nominato. Voi, Madonne, cio mie donne. Dame e belle donne che ho amate: non vuo' saper pi nulla di voi, voglio vivere nella mia villa: non m'infracidate, non m'infastidite, v'
darmi
di pi.
329
SONETTO XXX.
Jhica Alessandro Medici,
p. 182.
primo Duca
di Firenze.
SONETTO XXXI.
p. 183*
Marchesana di Pescara. Vittoria Colonna celebre poetessa, moglie di quel famoso Marchese di Pescara,
Generale di Carlo
Imperatore.
p. 184.
SONETTO XXXII.
Giustamente si disdice il Berni di quel clie nel Sonetto IV aveva a torto scritto contra la illustre citt di Verona, cospicua per antichi e moderni
ediflcj, e
il
il
tu,
che tu
ritieni
vescovo del
CACCIA D'AMORE,
p. 188.
Queste stanze sono di dolcissimo stile, nulla inferiori alle famose del Poliziano e del Bembo, e tanto pi da stimarsi, quanto conservano 11 burlesco
degli equivoci nella gentilezza dell' espressioni, e
nella dolcezza del
numero.
p. 192.
CANZONE
Bastoncini. Verghette,
ornamenti all'Asole,
fatti
d'uso
al presente.
380
p. 193.
me
di stampatori, si trova
,
questo componimento
.
attribuito al Berni
a pag
57
in
amendue
gli
mate
le migliori, attribuito al
Firenzuola.
Non
ignor certamente
edizioni
come
si
Il
mente sapesse che questa Canzone fosse del Firenzuola^ e non, come altri credeva, del Berni. burlesco di questo componimento consiste principalmente nell' esser egli una Canzone dello stile, col quale il Petrarca pianse la morte della sua Madonna Laura.
ocelli di
Civetta
monete
d'oro.
ma
v' differenza
e quelli
lunghe,
piantati in cerchio
con
i
la Civetta
detto Mazzolo,
si fa
masi
Civetta quella
Donna che
la
Francesi chia-
mano
civetta.
Coquette, e /aire
licenza
331
:
ecc. verso
del
Petrarca
ve ne son
tali in
questa canzone.
MADRIGALE,
p. 198.
sentimento di Disprezzare e Saper mal grado, come vuole il Vocabolario, che pone questo esempio
del Berni:
Amore,
io te
ne incaco,
propriamente napoletano: e
mi pare
di quel dialetto. Mi ricordo bens adesso d' un esempio di Filippo Sgrutteudio nel Sonetto 19, della Corda I della sua Tiorba a Taccone, ove lodando il collo della sua Cecca, cos comincia:
bello ciollo,
Ad
un
Tu
de bellizze
tutte
Vescovo Como.
a caso,
di
Da'
venti,
come cosa
332
Kon
Il
com'
intitol nel
suo libro
De Piscibus
JRomanis
PauU
Jovj Medici.
all'
tondo
Credo che dovesse dir lungo e non tondo: perch i ritratti del Giovio da me veduti^ lo mostrano di lungo viso, e lungo aquilino naso. Neil' edizione in ottavo del suo Dialogo delle Imil viso.
il ri-
suppongo
dalla
DEL
PARLA
ROMANA
sassi grideranno.
AVVERTENZA
Nel terzo volume dell'edizione cZe^Z'Orlando Innamorato del Boiardo, e (^e?Z' Orlando Furioso dell' Ariosto cirata
da Antonio Panizzi (London, William Pickering), riferito un opuscolo di Pietro Paolo Vergerio, inteso a
provare
il
Prima Parte
innanzi
manla
dargli
seguente
u
in
forma
d' avvertenza
occorse
scoletto
un opu-
336
AVVERTENZA
fra V altre, cose, diciotto stanze del Berni, premesse da lui al Canto XX c^eZ^ Orlando
parlai sulla fede del Fontanini, dello Zeno, del Volpi e del Mazzuchelli,
i
Innamorato.
Ne
veduto
libro.
I Fratelli Volpi
i
(nelle
loro
Comino) furono
l'
il titolo
dal-
stampato a
e il
Firenze
1563,
titolo
luoghi tradotti
fuor
M. Francesco Pe
XX
fa
Canto, ecc.
lo
Senza-
ch asserirono, come
volume fu stampato a Basilea nel 1555 e pi, volte dopo , a detto del Fontanini, sotto al
mi valsi di un esemplare posseduto da Lord Grenville, impresso nel 1554 e non nel 1555; non ha nome di
medesimo
titolo.,.. Io
stampatore, ne indicazione del luogo, ove fu, pubblicato; ma, secondo tutte le apparenze,
fu pubblicato
in Basilea.
8.,
un
solo foglio di
stampa, in piccolo
scolo resulta:
in carattere corsivo,
contesto
dell'opu-
eccetto il frontispizio.
l.o che
Dal
Av^^lRTE^'zA
^
fu
che
si
corte di
libri che
Roma,
spa-
ventava pi dei
di
lei,
versi
guastano
il
XX
nel Ri-
li-
io
il
maggior parte
non
e
le
qui,
nell'edizione del
poema
rifatto
dal
Berni,
poche che
si
riscontrano altres
Roma
vita.
Sappiamo
e
Ghiberti
introdusse
ne lev
ed
egli
era
il
pi
il
intrinseco
Cardinal
Federico Fregoso
fu
in concetto di pendere in
e
abbia docu^
22
Parte
I.
338
AVVERTENZA
inchinassero
mento che
quei ^rincijpj ,
il
te-
rono ;
che
di fra
classi
si
popolari che
nostri.
principj liberali ai d
Petrarca
Ma
A tempo
sco Derni
,
di
Papa Clemente
letterato, e
VII, gi pi di venti-
uomo
mondo
di
delle
quali egli
Ma
perch
il
nome suo
era
mondo
tirasse a s, e
non
gli manifestasse
;
in
somma
egli
per sua
840
infinita
ILARIO
bont
e misericordia, glielo fece conoscei*
il
buon
Berni,
nuova creatura,
ardendo
che tutto
il
mondo
ve-
lesu Cristo
calpestata
,
la
quale era
falsit ed abbominazione dell'Anticristo, la qual regnava. Ma veggendo egli che questo gran tiranno non permettea, onde alcuno potesse comporre all'aperta di
la
li
man
d'ognuno un certo
il
libro profano
un
bel trattetto; e ci
le
fu ch'egli
e poi
pose a racconciare
aggiungendovi di suo alcune stanze, pens di entrare con quella occasione e con quel mezzo (insinch altro migliore ne avesse potuto avere) ad
insegnare
la verit dell'Evangelio, e scoprire gl'in-
dell'Italia
Ma
sottilissima, avendosi
cultamente se
il
gli
libro,
il
Ma
forse che
un
egli
malgrado che n'abbia l'Anticristo (quantunque non ci manchino per grazia di Dio, che la strada ci va allargando, altri mezzi, co' quali possiamo spargere
e far intendere
la
AI LETTORI CRISTIANI.
esso. Frattanto vi do a
di quelle stanze,
341
che erano state dal Berni aggiunte, nelle quali vedrete (questo importa, notate bene, per vi do ora queste piuttosto che alcune altre a
leggere)
delle
una ritrattazione
;
de' passati
suoi studj
vane sue poesie e insieme vedrete una libera confessione della pura dottrina di lesu Cristo, dov'egli intrepidamente afferma questa, che il Papa perseguita, esser la vera; e questo il proprio frutto
dell'Evangelio
tutto nella
,
ritrattare
di
passati
falli,
e gettarsi
man
Dio
la
e di Cristo,
so-
sono svegliato a toccarvi un Berni nel tempo della sua i nfedelt scritto tante cose profane, vanissime e, molte volte, poco oneste poi quando piaciuto a Dio a donargli il lume e la fede, avendosi egli posto a scrivere di quelle che sono gravi oneste e divine, queste il Papato non vuol patire che si possano stampare e leggere e si sforza di tenerle nascose quanto pi egli pu. Ma egli lascia bene, che ognuno a suo piacere stampi e legga quelle, che sono contra i buoni costumi, e contro la dottrina e l'ouor di Dio (e forse che le librerie e infine i porquesto fine
;
Ma su
io
bel passo
che avendo
il
tici e le
non
carogne?) e a queste egli d de' favori e de' privilegi ampiamente, quanti mai glie ne sono richiesti; una tal partita sola dovrebbe bastare
sono piene
342
ILARIO
il
Alli
XX
Di nuova istoria mi convien far versi. Per dar materia al vigesimo canto. Dove potr chiaramente vedersi.
Che ogni uom non cos, come par, santo; N per gli abiti bigi, azzurri, o persi, N per aver un breviario a canto, E nomar con le labbra il Salvatore Senza punto sentirlo entro del core. N per portar in testa una coppetta, ventosa, o cappel da stufaiolo; N per portar, o non portar braghetta
Allacciata con molti
,
un
laccio solo
Che pare un guardacor da barcaruolo. Con ciancio e paternostri; altro ci vuole Che per rei fatti dar buone parole. La carit incomincia da le mani.
Non da
panni
umani.
i
a far le maschere
fa,
Cristiani,
E, chi altrimenti
va con inganni,
Al LETTORI CRISTIANI.
343
Questi son quella sorta di ribaldi, A i quali il nostro Dio tanto odio porta.
Contro cui solo par che si riscaldi, Ogni altro error con pi piet sopporta.
O agghiacciati dentro, e di fuor caldi. In sepolcri dipinti, gente morta. Deh non guardate a quel che sta di fuori.
Ma
rinnovate prima
vostri cuori.
Dicon certi plebei, che or or il Papa Vuol riformarsi con gli altri prelati; 10 dico, che non ha sangue la rapa, N sanit, n forza gli ammalati, E de l'aceto non si pu far sapa; Dico, che allor saranno riformati.
Quando
11
'1
macello senz' ossa e senza cani. Di piombo , Sanga, questa empia stagione, Poi non si pu pi ragionar del vero;
Oggi
tenuto
un
goffo ed
un poltrone
ribaldono
L'uom che
Ne
gli
occhi oggi
f sempre un
Ipocrita,
con
E ti chiama bizzarro, o Luterano; E Luterano vuol dir, buon Cristiano. Han tesa un'ampia rete i preti avari, E con squille, con solfi e con piviali,
Oman
A
E
Che prometton far gli uomini immortali. Fan voto a questo legno marinari,
i
quel gesso
dati a
la
soldati
e gli orinali
Son
344
Il
ILARIO
baron Sant'Antonio ha
il
fuoco in seno,
Ed ha
Onde
E
E
oltra modo han qui i monaci pieno, per ogni contrata, il ventre e '1 sacco; Quello Abbate sen va come un Sileno,
Il
in ogni parte
La parola
di
Dio
s'
risentita,
E
E
Scovrendo quell'occulta empia magagna, Che ha tenuto gran tempo sbigottita E fuor di s la Francia, Italia e Spagna;
Gi per grazia
di
Che cosa Chiesa, Caritate e Spene. O gran bont de l'eterno Signore! Ecco '1 Figliuol, che un'altra volta appare,
E comincia
De l'incredule chierche empie ed avare. Che han tentato celar l'immenso Amore, Che mosse il gran Fattor de l'opre rare
A
E
provar caldo e gelo, col sangue segnar la via del cielo. Non si ragiona qui di questo sangue
farsi servo, e
di Cristo
Innocente
ed
Uomo
e Dio,
Che estinse il velenoso e rigido angue Re malvagio del cieco e basso obblio; Questo Signor nel suo bel corpo e sangue
Uccise
il
vecchio
Adam
superbo
e rio,
AI LETTORI CRISTIANI.
345
Questo quel santo e benedetto seme Promesso ai padri antichi, che conduce
nostra Speme;
Questo
il
vittorioso e
sommo
Duce,
Che
Questa
Che ottenebra
li
savi del
mondo
Primo inventor
de'
Deh
Che
sol dona, col sangue puro e mondo. L'indulgenza plenaria al cieco mondo.
Quell'Anticristo,
il
d di festa dire;
Tu
sei del
nostro
mar
vela e temone;
Tu
sei il Dio de la destruzione. Padre di tante vane ipocrisie, Di tanti abiti strani ed eresie. Deh, Sanga, per amor di Monsignore Di Verona, deponi il tuo Marone,
Tibullo, e Lucrezio, e
'1
vivo onore
De la lingua latina Cicerone; Ed abbracciam con le braccia del core Il nostro buono maestro e padrone, Che ne fa degni degli eterni chiostri.
Senza
le
diligenze e
merti nostri.
346
ILARIO
E fate accorto, prego, il Molza ancora Marc' Antonio Flaminio e '1 Navagero, Che qui si trova altro che lano, e Flora, E Glauco, e Teti, onde superbo Omero
Le dolci carte Qui si scorge
de' poeti infiora.
ai)
experto
ti
il
falso e
'1
vero,
quel bel
sei
sol,
che
fa
veder chiaro.
l'orecchio
Che
A
E
le
sirene de la poesia,
nell'eterno e vivo specchio,
ti stai
nuovo patto, ora del vecchio. Sei sgombro pur di quella frenesia. Che avevi col Fondul i giorni a dietro Di accordar con Platon, Paolo e san Pietro.
Ora
del
Ed
Dove
Per
i
suoi
frondosi giardini!
Con
Se quel
di
Voi avete sentito la confessione della fede del noil quale d tutto l'onore della redenzione e salute nostra a Dio per lesu Cristo, affermando questo esser l'eterno Agnello, e sagrificio, e l'eterno
stro Berni,
* OlUndmoniati Domenicani,
AI LETTORI CRISTIANI.
Pontefice
il
;
347
l'Anticristo,
e d'altra parte
,
il
Papa essere
voi
non urtate addosso de' Papi e della Curia Romana, dicendo parole tanto aspre dell'uno e dell'altra? Rispondo di no; che non possiamo far conoscere la
purit della dottrina insegnataci dal flgliuol di Dio
les Cristo Signor nostro, la quale stata tanto imbrattata, e tanto tempo di lungo stata tenuta
non dimostriamo da cui, e con quali con quali fini ed oggetti siano stati fatti quegl' imbrattamenti e quelle sepolture; tanto pi che i buoni Papi si sono posti bravamente alla difesa, e con estrema crudelt e rabbia (dico col ferro e col fuoco) attendono a voler pur mantenere
sepolta, se noi
occasioni
per cose sanfe e per cattoliche quelle che sono manifestissimi e palpabilissimi
possibile, che
errori.
Dunque com'
possiamo astenerci
di sgridarli, e farli
ogni d pi conoscere per quei capitalissimi nemici della gloria di Dio che essi sono? Gi intorno a ducento cinquant' anni, quando visse il Petrarca, le piaghe di quella meretrice Babilonica erano brutte ed orribili senza fallo perch gi era fatta la
,
inundazione dei culti falsi, ed insieme delle lordure di tutti i pi brutti vizj e peccati i quali, come l'ombra del corpo, vanno sempre in compagnia con le idolatrie e false dottrine. Ma pur non erano ancora n tanto sozze, n tanto incancherite,
,
quanto son nei giorni nostri , ne' quali esse sono ascese a queir altissimo colmo di corruzione e di puzza, che sia possibile immaginarsi; e nondimeno
insino allora, a quei principi, quel valente
uomo
348
ILARIO
si
vegga, che
il
Berni e
gli altri
che abbino di que' Papi e di quella Roma voluto gagliardemente dire quello che in effetto. E se il Petrarca, che tanto in pochi versi ne disse, fosse oggi al mondo, e vedesse quei tanti e tanti accrescimenti s de' culti
soli,
e dottrine falsissime,
come
quanto dobbiamo
lungo adoprarne quel felicissimo suo stile e quasi andar per tutto l'universo contro que' diavoli esclamando? Ver che, per grazia di Dio, il quale in
,
ogni et sa ritrovarsi
di
paiono necessari, non mancano oggi di quei che scrivano ed esclamino; e se non lo sanno fare con tanta vaghezza di parole Toscane, e con tanta rettorica quanto
un
ebbe (quella fu una scintilletta ed ora ve n' un buon fuoco acceso) e conseguentemente con molto maggior frutto. Ma leggete i Sonetti.
,
;
f^
Qui vengono
tare.
J
del Ciel su le tue treccie piova, ecc.
il
Fiamma
Fontana
sacco, ecc.
^Tien
d'una
Si-
sa
il
nme.J
AI LETTORI CRISTtANI.
B49
Che da principio
Perch cos
Tutti
i
tuoi predestinasti
la cui
ti
piacque; in
li
mente
vedesti e tutti
adottasti
Per mezzo
E E
gratificasti.
per suo mezzo fai loro sentire, Che in alcun modo non potran perire.
IL FINE
350
INDICE
DELLE MATERIE CONTENUTE NELLA PARTE PRIMA,
Proemio
Dialogo contra
1
Pag.
poeti
n
V.
3.
Rime
Il Il Il
35.
87.
Lasca in lode di messer Francesco Berni Lasca a chi legge Berni in nome di M. Prinzivalle da Pontremoli
39.
. . .
40.
11
Gap.
41.
43.
II.
I.
...
. .
. .
51. 56.
60.
63.
III. w
II.
V.
...
,
VI. - Lettera ad
un amico.
65.
68. 70. 73.
Post scritta
w
VII. -
Piombo.
di fra
"
VIII. - Risposta in
nome
Bastiano
IX.
n n
X.
XI.
75. 77.
80.
...
.
83.
86.
XIV.
XV.
XVI.
"89.
91.
4,
INDICE
Pag-. Cap. XVII. - A messer Marco veniziano n XVIII. - A messer Francesco da Milano.
.
351
97.
100.
XIX.
Ai signori Abati.
...
, .
.
102.
105.
XX.
XXI.
di
"
Gradasso XXII. - Lamento di Nardino. XXIII. - Sopra un garzone. XXIV. - In lamentazion d'Amore. XXV. - Nel tempo che fu fatto Papa Adriano VI
.
. .
109.
112.
115.
"
117.
119,
r>
XXVI.
123.
132.
135.
n V
XXVII. - In lode dell'Ago. XXVIII. - Della Piva XXIX. - Alla sua Innamorata.
141.
143.
XXX.
Alla detta
del letto.
"
145.
148.
scritti a diI.
. .
Sonetto
153.
154. 155.
Sonetto
r>
II
III.
.
,
IV
V, e VI VII
Vili, e
157.
159.
t>
n n
)
161.
162.
IX
X
XI.
XII
XIII
rt
XIV XV.
168.
ivi*
170*
XVI, e XVII
iNDIFi
-
Sonetto XVIII.
XIX
173.
174.
XX
1*5.
179.
XXIV,
XXV
177.
178.
XXVI
r>
V "
XXVII
XXVIII XXIX. Si duole della
179.
180.
suggezione in
...
n w
181.
XXX.
dro in Pisa
n w
XXXI Alle Marchesana di Pescara, XXXII. - Rincantazone di Verona. XXXIII. - Della infermit di papa Clemente VII XXXIV. - Voto di papa Clemente.
-
ivi.
185.
186. 187.
188.
Rime varie. Caccia d'amore.. Canzone Sopra la morte della sua Civetta.
Madrigale
Id.
.'
"
192.
193.
197.
....
"
198.
ivi.
199.
ivi.
Capitolo e
un cane del duca Ales. De' Medici. Comento del giuoco della Primiera.
201.
293.
333.
..."
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FRANCESCO BERNI
vamenle riveduta
Versi latini:
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Vi-
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PARTE SECONDA.
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GLiAzzo,
IL
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scherzi
scenici: Lettere:
Note
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ARETINO
sclierzi
scenici.
conlenente la
vita
il
di
PIETRO
attribuita a F. Derni
ed a riscontro
terre-
moto
di
ANTON
FRANCESCO DONI
contro
lo stesso
Aretino.
BIBLIOTECA RARA
PUBBLICATA DA
G.
DAELLI
TIP.
GUGLIELMINI.
Propriet letteraria G.
DAELLI
e C.
OPfRE
DI
FRi^IsTCKSCO
BERNI
PARTE SECONDA
CARMINA
Sw
CAEMINA
ELEGIA
Anser edax, clamose, quid o clangore protervo Ad dominam nobis improbe claudis iter?
An tu
Tarpeise
quondam custodia
rupis
Non ego barbaricus romani nominis hostis In Capitolinum molior arma Jovem,
Sed foribus dominse obnixus noctem moror unam,
Quam modo
Tu tamen
ingratis clamoribus improbus instas, Et retegis sanctse dulcia furta Dose; Furta, quibus non nocturni magis orgya Bacchi
Non
Quid prodest mea quod custodes docta puella Nuper diversos egerit usque canes,
POESIE LATINE
Et procul a caro limine abesse iubes? Sic ego crediderim rictu latrasse trifauci JEgdem centra atqiie Amphytrioniaden
Spedare invitum sydera nostra canem. quidem meritas solvit pr crimine poenas,
Dignaqiie crudelis supplicia invidiae:
At non humanas potuit Proserpina tsedas Atque ad mortales Iseta venire thoros Tseda nempe magis mortali leeta thoroque
Quam
Ah
Ditis
magno
nobilis imperio.
Ut coleres Ut nigri
fleres
domos,
At nos quid miseri tantum turbamus amantes, Cur hostes canibus anseribusque sumus? Cur tantum natura illis concessit odoris,
Quod magis
Qus possim cupidae tectis succedere amicse Et fessa in molli membra fovere sinu. Sic tua nobilium fugiant precordia coenas Et tua perpetuo sit satura ingluvies: Sic ubi Thestiadis meditatur furta puellse luppiter in piuma se tegat usque tua.
I>0ESIE LATTICE
EPIGRAMMA.
Dulcem nectareo sugis ab ore animam, Quid mirum si tain suavi feris sethera cantu?
Illa tui est
auctor carminis,
illa soni.
A quo vox omnis vitaque ducta tua est. Huius ego setherei partem si nectaris unam Haurirem, roseis pendulus e labiis. Non mea tana ssevse popularent pectora flammse Illa foret nostris ignibus aura levis.
VOTUM
Servasti semel incolumen sanctssima Virgo
Et per te dulcis reddita vita mihi est. Arida cum miseros febris depasceret artus
Mox
etiam
pellis dirse
contagia pestis.
POESIE LAtTNfi
AMYNTAS
Sederat argutse pastor Meli'boeus ad um"brtim
Ilicis, et
Dumque
Et
iaceret,
leviter
Ipse cava
Dum
In
Nequicquam,
numerum
referebat,
eum nemora
avia circum
Audivere, sonant etiam nunc Carmine sylvae: nymphse nemorum, vos dicite nymplise,
vidistis
Et
Quos
saltus,
dum
indulget amori
dicit
Dum
queritur
dum
te
crudelem
Amynta?
Namque
animum saturarit amore; pecudes curse, non ruris amoeni Cultus erat densis horrebant sentibus arva, Et neglecta situ nequicquam armenta iacebant. Ipse puer viridi tum primum setate iuventse, Muneribusque potens domini, non fletibus uUis,
Errarit tristique
Non
illi
lUum
nimium formosus
Apollo.
POESIE LATINE
Ventt Amor, long^um pertaesus corde dolorem, Ecquis erit modus, o Lycida, tibi vulneris? inquit;
Non Non
non imbribus agri. enim Ille autem, quid crudelibus improbe verbis Prosequeris Lycidam et morienti sedulus instas?
tibi
fuit,
Non
Res
cum
superis tunc
cum me
sseve petisti
teli;
haud tauris concurrere fortibus audet. Unum adeo, mihi quod suprema in morte loquendum Restat, habe et memori pasto res mente tenento.
Tempus
erit fors,
cum
nemora, o
colles, o nostri
piena laboris
Arva
Amynta
es.
eum Nymphse Cyllenides exceperunt Pallentem inque humeros flexa cervice labantem. Olii tergeminse nerant iam stamina Parcse,
lam medium
stygiis Proserpina merserat undis Dilectum Musis caput et pastoribus seque. Non illi quisquam cantu se contulit olim Non iaculo pedibusve bonus, non arte palestrse, Testes vos sylvse, vos o vaga flumina testes.
Quantum amor et tristis Lycidse mors abstulit agris; At casu concussse animum morientis amici Septem illum luces, totidemque ex ordine noctes Ad tumulum prope parthenium, et sperchiadas undas Nades ingemuere, tuleruntque annua dona
Florentes violas, et puri pocula lactis,
lo
POESIE LATINE
Et dxere.
Amor
lam vos
Custodes, vitate,
malum
vitate furorem,
Nempe
Pestis
venenum
est,
Amor pecudum,
ille
iuvencas
In furias agit,
Et macie pecus omne peremptum conficit segra. Hsec memini in sylvis Meliboeum forte canentem
Non semel
Admonuit
et querulis
ELEGIA
DE PUEKO PESTE iKGROTANTE.
Ergo
te
Eripuere? meisque oculis tua tristia cernam Funera, et infelix ipse superstes ero?
Et poter infelix tantum spectare dolorem Et non in lacrymas ire et in exitium? Ergo me miserum illa eadem fata improba, fata Impia, fata meis invida deliciis Servavere, tuis superessem ingratus ut annis Et desiderio conflcerer misero? Ut te crudeli consumptum peste viderem Et ferrem tristes munera ad exsequias? Te ne rogo positum sine me mea vita videbo? Nec me eadem absumptiim fiamma inimica feret?
, ,
POESIE LATINE
11
mi suadebit amor pietasque dolorque; Namqiie simul tecum me illa perire iubent. Scilicet hoc scelus admissuin purgabimus in te, Quod tibi supremo in tempore defuimus, Quod nimium vitee memores stultique timoris
Haud
ita
officia.
Et puto
Incusasti
Dig-na?
mi quse
satis hiscat
tali
humus
prsemia culpa
meum
Non
eg'O suppliciis
Deprecor, aut
vitse
Quae mihi te vivo ut fuerat iratissima quondam Nunc eadem extincto tristis et aspera erit.
Pestis iniqua, proterva,
Pestis avara,
Tu ne mei
Ausa
es pallidulis
Agnovi certe vitiati sig"na coloris, Obscuras gemini luminis esse faces: Et tamen ignarus causas meditabar inanes Non erat ad tantum mens bene docta malum. Tu ne etiam (scelus) o morienti ingratus abessem
Tu
potuisti esse ut
immemor
efflcerer
Dii quale
malum
An ne
Qua natos
Cessat et humanse foedus amicitise. Quin etiam in sacros pestis mala ssevit amantes Et quoque nescio quid pessima iuris habet.
Illa
modo nimium
vitse
me
fecit
avarum
12
POESIE LATINE
non satis esse mei. incommoda, pessima pestis, In tam coniunctas ferre manus animas? Ergo qui omnia vincis amor, cui csetera parent Unum non potes lioc perdomuisse malum? At poteram domuisse ego perditus, una voluntas Defuit una puer culpa putanda mea est. Debueram tecum stratis iacuisse sub iisdem Et conferre tuis oribus ora mea; His etiam soevo de vulnere dira venena Exhaurire, et tecum inde perire simul. Non ego nunc furiis agitari nempe viderer Attonitusque umbras effugere ante tuas. quibus iratos placem pr crimine manes
Et
pueri
memorem
Tu
potuisti, inimica,
mea?
mortes
Non mea
Crimina multiplici morte queam luere. Farce puer qua3so, atque ulcisci desine amantem:
Non
Sic tua
Et
tibi
non onerosa cubet super ossa sepulti perpetuo florida vernet humus.
cucliinnis;
POESIE LATINE
13
Quos gaudere bonis decet sodalis: Meus nam puer ille convalescit,
Ille,
inquam, puer, ille convalescit Cui nos carmina moQsta dixeramus Nuper, quem mala febris occuparat Et contagia pestilentiarum Ille, inquam, e manibus tenebricosis Orci et palldulis nimis tenebris Vitse ad lumina restitutus almse est.
:
sodalis.
ELEGIA.
Ergo ego transactos intempestivus amores Cogor ab ingratis trudere numinibus. In me mutato quse nunc livore feruntur Et dant rivali vota secunda meo, Quod male custodi veniens alienus abactor Abstulerit praedse gaudia longa mihi. Et modo cum nulla est nostro medicina furori Nitimur liaec studio fundere verba levi. At primum iratus longe siet ille Cupido, Et si quod nostri numen amoris erat. Quos indoctus adhuc nulla miser arte fefelli, Dum staret medio tuta carina mari. Ah nimium tuta peragebam tempora mente.
Ah quantum
t>0t3SIE
LATINE
Compositum nullo claudit ab orbe greges, Perque vias patltur nulla cum lege vagari Nec vigilat, nuda sed requiescit humo ; Dumque tenet turpis titubantia lumina somnus Infestus medias irruit hostis oves. Sic mea quisque videns in amore pericula discat
Semper
Nil
sollicitis vivere
si
luminibus.
patientia prsestet,
capi.
Seu
vi
non
possit, seu
magis arte
T U M.
Hanc quam
Scriptam Carmine non sat erudito, Olim cum mihi forte febris esset Et lecto miser usque decubarem Confectus macie periculosa, Vovi scilicet, integrae saluti Olim si modo restitutus essem,
Votum
POESIE LATINE
15
ANGELO
DIVITIO.
Si
qua
fides
est
Pro pietate animi et moribus ingenuis, Dum sibi conscia mens nihil aut fecisse maligne Aut dixisse uUo in tempore se meminit, Sed sanctam coluisse fldem, sed foedera sancta
Servasse, et sanctas semper amicitias:
Debetur certe nobis hsec plurima apud te Pro pietate animi et moribus ingenuis. Nam quod perditus ante malo flagraverim amore Et fuerim toto infamia nota foro, Pro quo te caruisse, diuque ingratus abesse Debueram, et tristes extimuisse minas, Crede mihi, fuit id fortunse crimen iniqufis. Non morum aut animi non satis ingenui: Fortunse omnipotentis apertum in corpora nostra Inque auimos late quee gerit imperium, Mergens fortia colla profundo vortice amoris Et torquens csecis corda cupidinibus. Quse licet oblitumque hominum, oblitumque deorum Extremam prorsus me ingerit in rabiem:
Nulla tamen rabies
fuit,
Quae tete nostro avelleret ex animo. Te quem longus amor media in preecordia fixum lussit in seternos usque manere dies Cuius amorem nulla iniaria temporis unquam
:
e pectore dissolvet,
(umque
Quidquid erit postliac, qusecumque hominumque deFortunseve in me dictaque factaque sint. Quare si hactenus insano labefactus amore
16
POESIE LATINE
Adinisisse in te noxam aliquam potui, Pro qua te caniisse diuque ingratus abesse Debuerim, et tristes extimuisse minas, Ignosces, etenim post longa incommoda, longa
Supplicia et longi dedecus exilii, Denique post demptam per sseva piacula labem, Si qua erat, iratum desinere usque decet. Et mihi reddere te et vivacem extinguere curam Qu86 pectus tristi torquet amaritie. Ne forte Adriacas si unquam vesanus in undas Deferar, heu vestris naufragus ex oculis, Aut terra ignota iaceam neglectus, et exsul, Et matutinis praeda data alitibus, Dicaris miserse mortis tu causa fuisse, Et tua sit nostris funeris invidia.
ANGELO
DIVITIO.
Ergo ego
amari. atque anima, Unum quem petii toto animo Cui mea devotis mens dedita sensibus uni
te ante alios
POESIE LATINE
Ibo equidem
17
quocumque
ferent
tu*-i
iussa, libensque,
ocilis.
l
acerbum
est,
DE ELYCE.
Quid
Istis
me
istis,
improbulis et ebriosis, Istis improbulis ocellulis, qui Ignem tui iaculantur in me iullf s.
Qui me urunt penitus, med:J.lit isqu Et csQcos animo movent furces? Nimirum furor est mihi impetusque
In istos gravis involare ocellos,
Istos improbulos et ebriosos.
meumque
Nam
quid est aliud nisi venenum Ossa quod labcfacta percucurrit Quod me urit penitus medullitusque Ab istis, Elyce, improbis ocellis? Quare ne rabies furorque vecors In tantum me adigat scelus furentem Ut istos violem improbos ocellos. Ne me istis Elyce eneces ocellis.
Berni
Parte
II.
18
POESIE LATINE
AUCTORIS TUMULUS.
in lucem hunc extulit nominavt setas acta Bernium, lactatus inde semper et trusus undique
Quem
Vixit din
quam
demum
vix
attigit.
SCHERZI SCENICI
LA CATRINA
ATTO SCENICO RUSTICALE
INTERLOCUTORI.
NANNI.
BECO.
MECHERINO.
GiANNONE, rettor del popolo.
PODEST'.
CATRINA.
LA CATRINA
NANNI
BECO.
NANNI.
Beco, tu sia
il
ben giunto.
BECO.
Oh! dagli
NANNI.
Fotta del
ciel!
'1
giorno.
o tu par de bucato.
Tu sei pi bianco ch'uno spazzaforno, Sarest mai de nulla accalappiato? Diacin che me responda! e' fa '1 musorno.
BECO.
Che vuoi
sii
manganato!
22
SCHERZI SCENICI
NANNI.
Dond'esci tu?
BECO.
De qua.
NANNI.
Dell! tu fa'
'1
grosso.
ciel,
NANNI.
No
io.
BECO.
Mettiti gli occhi.
NANNI.
Secci tu solo,
sei
venuto teco?
BECO.
Son con
color.
NANNI.
Con
chi?
LA CATRTNA
NANNI,
83
Oh! Io ci son anch'io. Deh! dimmel. Beco, Dimmelo, che la rabbia te spannocchi,
Vuomel tu
dir?
BECO.
Dicotel
io,
la testa,
ha' calzoni,
gli aghetti
de seta,
e'
nastri al tocco.
BECO.
Oh! tu mi tien di questi decimoni! Io non son reo, bench' io te paia sciocco.
NANNI.
Oh! che so io? tu sei sempre a riddoni; Io te veddi domenica al Murrocco, Che tu parevi un maggio delle sei. Deh! dimme '1 ver: togliest poi colei?
BECO.
Chi?
NANNI.
La Catrina.
BECO.
E quale?
24
SCHKRZl"'SCENICI
NANNI.
Ehi ghiarghionaccio,
Tu
fai
'1
balordo eh?
BECO.
Oh bugiardon
quella de
Ton de Chele,
Oh! tu me gratti, Nanni, aval la rogna: Che vuoi tu far de cotesta carogna!
NANNI, ss'ella teco mai rappattumata A poi che voi pigliasti il bofonchiello?
BECO.
Eim, Nanni,
NANNI.
chi?
BECO.
Mecarin da Ceppatello.
NANNI.
Diacin lo voglia!
LA CATRINA.
BECO.
25
Ed enno una brigata. Ed bagli intanto compero il guarnello, Ed io ne meno smanie, io me rivilico, E de far qualche mal son stato in bilico.
NANNI.
Oh
Da
lagal'
ir,
non mi
far pi palore.
il
grillo.
BECO.
Eh non far, Nanni: ella me buca il cuore. Ed hammel trapanato con lo spillo. Tal che me sento sgretolar d'amore, Come fanno le vacche per l'assillo.
Che tu
deresti, stu la
guardi in viso.
Ch'eli' derittamente
un
flolariso.
NANNI.
Be' si tu entri pur nel vitalbaio
:
Lagal'
ir,
che
ti
caschin
le cervella.
BECO.
Io
ho
di loro a sgherrettar
il
un
paio,
cavar loro
ventre e
le budella.
Ed ho
'1
petto, le rene e
un
lancione,
meco
far questione.
NANNI.
Dah! no.
*2fi
-SCHERZI SCENICI
LA CATRINA
21
non
rispose.
oh tu
sei
bravo!
BECO.
Alla pulita.
NANNI.
Be'
s,
tu
fra! lor
dunque
villania?
BECO. a venire alle dita. Nanni, mai, s'ha Se Le prime busse vo' che sien le mia. Al corpo a dieci, a santa Margherita,
Alle guagnel, ch'io fr qualche pazzia;
E
Io
se gli
ammazzon me prima
costoro,
ammazzer
NANNI.
PuoUo
far l'aria.
BECO.
Oh!
be' noi ce
slam drento;
Tu non
lo credi?
NANNI.
Io
'1
credo.
28
(SCHERZI SCENICI
BECO.
O che
Io ne vo' saldamente addosso cento.
cicali?
ne ridi tu, de' principali. quand' io fuggo, paio proprio il vento, Ma Vedi ch'io porto sempre gli stivali: E quand' io vo' crre un, perch non m'oda. Io gli do sempre dove sta la coda.
te
Tu
NANNI.
Dove?
BECO.
Derieto.
NANNI.
Ohi cos
la 'ntend'io:
Tu me
Se
Io
Io
me
me
vedessi,
e'
non
vi
srebbe
il
mio;
Ma
quand' io
'1
fo? quand'
un mei
tiene.
NANNI.
Tu
ma
quei vicini?
Oh! laghiam
ir,
LA CATRINA
NANNI. tu qua fra questi cettadini?
BECO.
29
Che
fai
Che credi
all'oste
un
canestrol di zacchere,
slanci
un nugolon de gaveggini
nacchere:
Con
la staffetta, pifferi e le
NANNI.
Oh
to' col,
tu?
NANNI.
Ed
io?
BECO.
E che
ci fai
che sbonzoli?
NANNI.
Ho
De
trainato
fichi,
un asin pien
di cose
terracrepi e pappastronzoli.
Per queste vie stranacce e rovinose. Ed all'ostessa anch'un de' mia lattonzoli. Ma a questa festa (muta un po' mantello) Hai tu veduto ancor nulla de bello?
BECO.
Io
lungro.
30
SCHERZI SCENICI
Che pare il mo paglia', ma non s grosso. Gli ha quinamonte in vetta a mo' d'un fungo
Ch' giallo, e verde, e pagonazzo, e rosso:
S'io te fussi in sul capo, io
non v'aggiungo.
NANNI.
E
;
Quando
vedestu?
BECO.
Veddilo
ieri;
BECO.
Che viene a
NANNI.
No, mattacone.
BECO.
de che?
NANNI.
De legname.
BECO.
Questho io apparato pure izera, Alle guagnel che gli enno un gran bestiame! O se ne fussi a vendere alla fiera.
LA CATEINA
Noi fremo. Dio, che train de litame ch'nn'ei buoni?
31
NANNI
vamo Nanni?
NANNI. Perch abbiam noi a andare?
BECO.
Oh E me
brulicho.
NANNI.
Oh tu
BECO.
Oh,
de quegli,
srebbe appuntamente
il
fatto mio.
Vanne, che
sia impiccato
NANNI. tu ed
?
egli.
Ma
Qual, Nanni?
non gi
io; e
dove stava?
NANNI.
A un
capresto
all'
aria e dondolava.
32
SCHERZI SCENICI
BECO.
Porta del
cieli e
qual?
NANNI.
Non
BECO.
odi quello.
Oh,
Io te dar
to' trestizial
un
NANNI.
Er'un
diflcio,
un
coso.
BECO.
Alle guagnel, che tu sei dispettoso
;
Che
te cost'egli a
NANNI.
Che diavol ne so
io, s'io
noi conosco:
Ed aveva uno
stil
BECO
Er'ei femmena o mastio?
LA CATRINA
NANNIS ch'eg-U era.
Sg
BECO.
Che?
NANNI.
Femmena.
BECO.
Oh che
Non
sapevi tu
ir
tanto codiandola?
NANNI.
E' dicevon eh' eli' era la girandola.
BECO.
Pur
lo dicesti,
che te caschi
NANNI.
il
flato.
Do'! tu
me
frai
venir la sconciatura
che fegura?
NANNI.
Un
Egli era brutto
diavol incantato
E che
faceva?
Semi.
~ Parte //,
34
SCHERZI SCENICI
KANNI. '1 pi bel giuoco;
Ve': mai
BECO.
NANNI.
NANNI.
Con
BECO.
le
mani.
NANNI.
Egli era, te so dir, de que' marchiani.
Da
un noce.
BECO.
Eravi gente?
Oh!
NANNI.
E
Tu
sresti aval nel letto
con
LA CATRINA
BECO.
S5
Oh!
io
NANNI.
Vanne che
BECO.
E'
non uom per tutti esti paesi Che vadi, come me, senza mantello.
Ora giugne
MECHERINO,
MECHERINO.
e dice:
Ve',
che
ti
t'
intesi.
Che
ciarli
Al corpo a
dieci,
che
gli
Mecariuo
Come
fr io avale?
NANNI.
Oh!
fa'
Ch'io per
me
la vo'
dar quinc'entro
BECO.
al
piano.
Deh! Nanni, stenta ancora un mi chinino, Ch'e' non me mandi in qualche buco strano. Ve' tu, ch'egli ha '1 pugnale e la sguerruccia,
bertuccia.
36
SCHERZI SCENICI
MECHERINO.
S'io te rigiungo, ragazzaccio stiavo.
Te vo' conciar, che tu non srai pi buono: E che non si smillanta e fassi bravo. Appuntamento quand'io non ce sono.
BECO.
Non
Se tu
perdono.
MECHERINOr
Io
'1
vo' veder.
BECO.
Vien
MECHERINO.
Io
non
BECO.
Oh, te dia
'1
cancro.
MECHERINO.
Oh, tu
BECO.
me
stracci e panni.
Damme
pi,
damme
pi.
MECHERINO. Or te dr
BECO.
io.
Deh! viernmi atare un po', se tu vuoi, Nanni; Ch'io sono avvolto in t'un gran pricolio.
LA CATRINA
IVIECHERINO.
3^
Non
t'accostar in
qua
pe' tua
magli anni.
NANNI.
MECHERINO.
In f de Dio,
me
ne scrupo,
al lupo.
NANNI.
tu.
NANNI.
Questa
MECHERINO.
Ohi, Ohi!
BECO.
MECHERINO.
Non me
date pi.
88
SCHERZI SCENICI
NANNI.
Lagga
star Beco.
MECHERINO.
Io
non
lo
laggher.
NANNI.
Tu ne
toccrai.
MECHERINO.
Lagga ch'io me
riabbia.
Oh, te venga
'1
MECHERINO.
Tu
hai
'I
torto, Giovanni.
NANNI.
Io l'ho deritto.
ho reciso
il
naso.
NANNI.
Fruga
'ntu
'1
ceffo.
BECO.
Oh
Ve' che
ci strai:
te dia
tu
ci sei
LA CATRINA
MECHERINO.
In
f
39
NANNI.
Eh
tu cacrai.
Io
non
Che
la
Catrina sua.
MECHERINO.
Eli'
mia.
BECO.
Eir mia.
NANNI.
Dagli pur. Beco.
BECO.
Io lo trafiggo.
NANNI.
Oh!
MECHERINO.
Guardami
gli occhi,
BECO.
gaglioffaccio, te
venga
la morte.
40
SCHERZI SCENICI
GIANNONE
G ANNONE.
venitene meco.
NANNI.
E ove?
GIANNONE.
Presto
al Potest, alla
Corte:
NANNI.
Avviat' oltre innanzi
un
po',
Giannone.
GIANNONE.
Innanzi vi vo'
io,
brutta gentaccia;
BECO.
Tu
E
BECO.
tu
le braccia.
Or
mia?
MECHERINO.
Tu
vai caiendo.
LA CATRINA
BECO.
41
E che? diavol
MECHERINO.
lo faccia.
Tu ne vuoi anche.
BECO.
El mal che Dio te dia.
GIANNOLE.
state cheti in malor, gentaccia grossa.
Che ve venga
il
Giungono al PODEST', e
GIANNONE
dice:
GIANNONE.
Dio ve dia
'1
C hanno
l.
POTEST'.
Che quistion
'1
vino:
Ed
io gli
MECHERINO.
Io
latino:
un
po'
'1
cervel grosso.
POTEST'.
Vi vo' far far la pace oggi,
s' io
posso.
US
SCHERZI SCENICI
NANNI.
Beco, va'
oltre, e di' la
tua ragione.
No laga
:
dire a
me
io.
BECO.
E E
tu debbi voler
rifar cristione:
che
s,
ch'io te
mando
al solatio!
MECHERINO.
io dir.
BECO.
Tu non
dirai,
ghiarghione.
MECHERINO.
MECHERINO.
Ben
lo vedr.
BECO.
Se tu non Te ne dr una.
istai cheto.
MECHERINO.
E ove?
BECO.
S de dreto.
LA CATRINA
POTEST'.
43
Ors che
la
BECO. Oh, Dij ve faccia sano! Noi siamo innanzi alla magniflcaggine Di ser lo Podest di San Casciano:
MECHERINO.
Tu
sei
un
tristo.
BECO.
Deh! lasciami
Ch'
al
dire,
sangue,
lo
son Beco.
MECHERINO.
De Chi?
Bi::co.
Tu me
Sta' cheto, dico.
to'
'1
capo:
MECHERINO.
Ed
Io
io vo' favellare.
MECHERINO.
Ser lo Vicario,
e'
ve vuole ingannare.
44
SCHERZI SCENICI
BECO.
De Biagozzo de Drea
Rapo.
MECHERINO.
To', s'egli
ha cominciato a
BECO.
cicalare!
abbiali tolto
Siam
tutti ricchi, e
Come me
Lagatel
dir,
fa
gli dovizia,
lo
strame.
Ed ognuno
fornito a masserizia.
PODEST'.
MECHERINO.
Un
brulicame.
PODEST'.
Avete voi
la
La
casa, e
'1
forno, e
la Catrina,
LA CATRINA
45
E
Io
vuoila
com'un
fante per
le spesi,
non posso
patir che
me
l'addesi,
E una
sofflciente bracciatoccia.
le
ghiande,
E
E
L'
'n
quattro volte
e'
l'ara sfanfanata;
io d'allotta in
qua
ho infine a questo punto gaveggiata Prima eh' io me mettessi le mutande Pensate s'ell' mia questa gambata.
;
vuole,
PODEST'.
ei
cosi?
BECO.
MECHERINO.
BECO.
Ton de
Parti, ch'io sappia dirti s'ell'
Chele*
dessa?
Quand'io guardavo le bestie con essa, L'anel se tu mei metti un tratto in dito, Annogni modo io te vo' per marito.
46
SCHERZI SCENICI
MECHERINO.
eli'
mia,
per
men un
BECO.
Be', se
MECHET?INO.
Codesto tempo
Io
non
BECO.
Tu
MECHET^INO.
che
me
puoi tu far?
BECO.
Tu
Io
lo vedrai
son venuto
al
Podest per.
PODEST'.
Io per
me
Forse contento.
LA CATRINA
MECHERINO. mentre ch'io ce
47
A
Un
tratto
il
str.
mio no
BECO.
E' m' venuto
il
pi bello appipito
Di darti, te so dire,
un rugiolone.
MECHERINO.
Fa' conto, eh' io
mi
srei tagliato
il
dito,
Tu
PODEST'.
Fate ch'un zitto non
si sia
sentito;
NANNI.
Ser
s,
EU'
vedete,
una camarlingona.
in
La pare un assiuolo
su
la
nona.
Ed ha dinanzi appunto meno un dente, E delle dua lucerne una n'ha buona,
L'altra se potre' metter tra le spente.
PODEST'.
Dove
NANNI.
In Vacchereccia.
48
SCHERZI SCENICI
PODEST'.
Va', mettegli
una
30ce.
NANNI.
Ai, Catrina.
La CATRINA
di lontano risponde
fossato.
CATRINA.
Ho
io
Attraversa
il
Che noi veggiam cotesta tua bocchina, Che pare un maluscristo inzuccherato.
PODEST'.
Hagliel tu
messo?
BECO.
Eccola qua
la ladra.
Che
ci
LA CATRINA
PODEST'.
49
Che tu risponda, st
sei
domandata.
CATRINA.
Io rispondr, io.
PODEST'.
<
Tu
vedi cost
Mechero, a chi tu eri maritata: Or tu hai a dire in coscienza tua. Chi tu vorresti pi di questi dua.
CATRINA.
De
me
frete
vergognare:
Guarda
Di'
pure
il
tuo parer,
non
dubitare.
Che non
Guardagli in viso.
CATRINA.
io gli
guardo basso,
PODEST'.
S.
CATRINA.
Io vo' Beco.
Ser}}>.
Parte IL
50
SCHERZI SCENICI
la rabbia.
il
rovenio
un
brulichio,
Io te far
duo pezzi
delle stiene.
E E
NANNI.
Or vanne, Mecherin,
fatto al ritroso,
'1
piato.
BECO.
Per l'allegrezza.
POTEST'.
E'
mi
parre' dovere.
IL
MOOLIAZZO.
FRAMMESSO.
INTERLOCUTORI.
Nencionb.
Leprone.
Giannole.
Meia.
IL
MOaLIAZZO
NENCIONE
LEPRONE.
NENCIONE.
Ond'esei
tu,
Lepron,
si
spricolato?
uguanno tanto dirubbiato. la lonza m'ho avuto a menare: E son, Nencione, come un disperato, E temo il car no m'abbia a spricolare: Semino poco, 'un ricoggo granello, E per ristoro uguanno io ho il balzello.
Egli
Talch
NENCIONE.
Alle guagnel, Lepron, noi
siamo un paio!
E vanne tutto l'olio e '1 mio danaio, E ci che ho guadagnato in su' mercati.
54 E' cittadin ci
SCHERZI SCENICI
mandano
al beccaio,
E com' asini ci hanno scorticati; Ma s'io potessi, ve', colle mie mani
Gli scannerei, e poi gli dare'
a'
cani.
LEPRONE.
Noi facciam de parole un semenzaio. Noi pur beliamo, e lor pongon la soma;
s'
Perch
E s ci E non vai
hanno
le
Perch aiam
l'un l'altro
accusiamo
questo
modo
tutti spricoliamo.
vai tu ratolando?
NENCIONE. E che so io? tornavo dal mercato. r mi partii, venni qua valicando, Perch' i' fu' oggi de piatto chiamato
Da
Vengo a saper
Che vuo'tu
Tu mi
""arai,
come
gli sofficiente
IL
MOGLIAZZO
;>5
NENCIONE.
Io te giuro, ch'egli recipiente;
Egli
un garzonaccio
spricolato,
E sempre
Egli
fa cristione in sul
mercato.
Che paion ghiandaion propio a vedelli, E sempre han delle busse alle questione,
E porton cinti al cui tutti e' coltelli: E son gagliardi, e son di que' del Ruota, E dan pel fango, come nella mota.
LEPRONE.
Com'nno
NENCIONE.
Non dimandar; gli han tutti del gran d'anno, E vigne, e campi poco, e processioni. La roba in casa d lor poco affanno.
LEPRONE. Laghiamo andar usciam fuor di tenzon Che vuol de dota? questo il mio malanno
;
<
NENCIONE.
E che
LEPRONE.
Non
lo vo' fare, io
me
n'andre'
a'
confini
^
Rattienti
SCHERZI SCENICI
NENCIONE.
un poco:
Egli
un
disrobbiato lagorante,
E buon
Gli
bifolco, e
il
veggone
segnali,
:
Gli spricola
poder
ha sforacchiato infln dentro a' casali, E non ti dico un grosso mercatante E' suona lo sveglion, quand'egli in bilico,
:
E
E
il bassilico.
dota
Dara'li
un buco
al
campo
allato al sodo.
LEPROlrB.
Io
non
vo' fare.
NENCIONE.
Io
non
Non
borsa vota.
LEPRONE.
Io
son contento
far
come
te pare.
NENCIONE.
Fatti con Dio:
il
cMamar
:
GIANNONE
gridando
egli
oda
IL
MOGLIAZZO
57
GIANXONE.
Chi l? chi
l?
sii
impiccato.
GTANNONE.
Alle g-uagnel, che gli Nencion del Poda.
Io vo',
Che
NENCIONE. Deguazzati e 'ndovina quel che sia. Demena tanto che tu te n'addia.
GIANNONE.
Io
Vorresti! mai,
NENCIONE.
Alle guagnel, che tu
Io vo',
l'
hai 'ndovinata.
Giannon mio, darti pene e doglie, E dtti una manzotta adoperata. Che sar' '1 primo, se ben te ne incoglie. Eir una bellezza quant' un papa, E tonda, e bianca, che pare una rapa.
58
SCHERZI SCENICI
EU' ha dna occhi in testa stralucenti. fuor del mur tutti e' mattoni,
a tromba, bianca infno
a' denti.
Che paion duo ceston propio altrimenti, E sempre ha dreto un branco de garzoni.
Ed
'1
N mai
Non
La
sa cucir, n tesser, n
'1
filer 'ntro
l, e
mese un fuso
d'accia,
Ponla pur
lagavela stare.
la vuole, ella se caccia,
Ma
E
ve',
quando
ella si
par eh'
vogha
spricolare.
E sempre mai
E hanne un
E
'1
maggior
dreto al minore
oente propio da busse e da cristione, E fanno un gran fracasso e gran rumore, Son com' e' ghiri un branco de fratelli, E vanno in frotta come gli stornelli. placet' ella ancor, eh' io ho da dire?
GIANNONE, che d de dota?
Ella
me
piace;
ma
NENCIONE
Venticinque
florin.
Non
te fuggire.
GIANNONE.
Io noi vo' fare.
IL
MOGLIAZZO
59
NENCIONB.
Io
non
vo'
che te squota.
GIANNONE.
Io vo'
lire.
NENCIONE.
Tu gli spali tra fango e tra la mota: Sono un monzicchio de moneta appunto. Che non gli salteresti mai, pie giunto.
'1
per miglioramento
ti
vuol dare
Non
lo vo'far,
Deh laga
fare a
GIANNONE. Guata, che qualche buco tu mi cacci. Io so' contento, fa' con descrizione.
in
NENCIONE.
Fatti
con Dio,
Ora
io vo' trovar
Leprone.
ma
chiamar
LEPRONE.
NENCIONE.
Leprone, o Lepron, che sii bruciato, Aval aval son stato con Giannone,
60
SCHERZI SCEUlC
;
E hottel un gran pezzo deguazzato E holla acconcia, se vorrai, Leprone: Ma fa' che non mi guasti po' mercato.
'I
LEPRONE.
Com' hai tu
NENCIONE.
Venticinque
fiorin,
no
far parola.
LEPRONE.
tu
me
un pazzerone.
NENCIONE.
Lasciat'
un
po',
Leprone, strascinare.
LEPRONE.
Noi
far,
NENCIONE.
S farai.
LEPRONE.
Tu vuo'
qustione:
Tu mi
NENCIONE.
ponla su, mozzala, mcrdellone.
Se' tu contento?
LEPRONE.
Si,
post crepare.
IL
MOGLIAZZO
NENCIONE.
61
l'
ho accordata,
tutti andrno a ber poi de brigata. Or ponla su, Giannon, ch'io t'ho ammogliato: Leprone ebbi un grau pezzo a strascinare Pur tanto, eh' io te l' ebbi arrovesciato,
ti
vuol dare.
Io so' contento, e
Farmi
mano.
NENCIONE.
Ratieon poco andiamo oltre pian piano.
Or ponla
Ve', eh'
i'
v'
LEPRONE. impalmo, senza che la guati, E dottela per sana e per perfetta.
lo te la
NENCIONE.
Or
G ANN ONE.
Ed
io la
toggo, purch la
me
piaccia.
LEPRONE.
Jo so' contento.
SCHERZI SCENICI
vi faccia.
LEPRONE
chiama
la
MEIA.
LEPRONE.
Meia.
SfEIA.
Messer.
LEPRONE.
Vieri qua,
questo Giannone
GIANNONE.
Io
non
va zoppicone.
Perch
s si
Gli suo
mal vecchio,
MEIA.
Ditegli ancor, eh' io son
fo bel cacio, e
Lagatem'ir,
'1
Amor me
fruga e caccia,
E me E sempre vo' far cosa che te piaccia. Tu se' fatticcia, grossa e tutta bella: E parme avere avuto una bonaccia.
cor
IL
MOGLIAZZO
63
non
dubitare.
manicare?
Io vo',
l'anello.
Io so'
le
plore?
LEPRONE,
Faralle qui Nencion, che
ha buon
cervello,
NENCIONE. Io ho imparato a dir da ser Giannello, E ancor dal prete, eh' buon dicitore.
Vien qua, Leprone, e toccagli la mano: E tu, Giannon, gliel metterai pian piano. Dirn al nome dell'Incarnazione,
il
cielo.
Che Dio vi dia del ben la punizione, E mantengav' al caldo e anche al gielo Abbiate d'ogni male compassione. Io ho tanta allegrezza, eh' io trafelo. Dappoi eh' io v' ho appaiati come i buoi.
:
e parrete
uno,
E sempre mal
Dove ne va
l'onor, servite
ognuno:
'1
Ognun de
Siate al
pruno:
volere.
menar
man ben
d'
un
64
SCHERZI SCENICI
Crescete con ognun, moltiplicate. Stentando tanto insieme, che moiate. Vuoi tu, Meia figliuola di Leprone,
marito?
Messer no
LEPRONE.
Tu
sei
matta,
io ti dro':
porgigli
il
dito:
Che vuo' tu
ho
sentito.
NENCIONE. Ella ne vuole un altro ad ora ad ora; Rattienti un po', non gliel mettere ancora. Vuoi tu, Meia, per tuo sposo giulio Giannon di Chel de Meo del Battaglione?
MEIA.
io.
Tu
NENCIONE.
Rattienti a rieto, aval or te
1'
avvio ;
Oh messer
!
si,
dappoi eh'
io
non ho
altro.
NENCIONE.
tu Giannone?
IL
M0GLIAZZ9
GIANNONE.
Io
altro.
come tu
vuoi, o tu
'1
sai fare.
un
tratto,
r--vO''CX^3IC^j/'^^^"-^=''^^
Berni.
Varie
II.
LETTERE
LETTERE
I.
tt
ciechi,
il
madre
antica,
si ritrova.
Questo terzetto
ed buono a dire
avuto tanta allegrezza eh' e' fusse stato vero quel che mi disse Giorgio, che la peste era anche cost, acciocch voi aveste avuto a venire qua a furia, ed io a serrarvi fuori per ammorbato. Oramai voi mi cominciate a somigliare Enea, che s' andava aggirando pel mondo, ed ora
fate voi. Io
arci
come
non
un
quando
si
sar
70
LETTERE
ben cerco, non si trover la migliore n la pi secura stanza di Roma e sar tale, che non se ne vor;
Non
n anche
cost.
Io
non
passa quindici d, che voi ve l'avete; ed eccoci in fuga un'altra volta. Dove andremo poi? A Santo Gemini, a Banco? So ben io che uUimum terriUlmm
sar quella Bibiena, et supplementum Chronicarum,
non vedere io sentir dire: Messer Agnolo a Bibbiena, come mi fu scritto a questi d: a Firenze; poi non fu vero. Oh che belle risa ho io a fare allora, e quanto congratularmi meco medesimo che se Dio mi d grazia eh' io la scampi fino a Natale, non ha da esser il pi contento uomo di me.
vedere e
!
una almeno,
ier
come
fate sempre.
:
A
s
poca voglia par che ne abbiate, scrivendo altrui della sorte che scrivete. Ma in fine egli in fatis eh' io v'abbia a scriver ogni due di, e render bene per
male, come fa Dio.
che voi diceste scrivimi, non ho potuto tenermi, n lasciare passar di cost il vostro Michele senza mie lettere. Egli sar di questa apportatore, che se ne va a Santo Gemini {tandem dopo molte aspettative
senza risoluzione) per tentare la fortuna sua. Credo che quel Giovanni Borgognone l' abbia uccellato e messolo su prima, e poi postolo gi.
di acccttazioni
LETTERB
se ha avuto
"71
fede di
buon mezzo. Hammi domandato una mia mano, come voi gli avete data buona li-
Camera cum honoribis et oneribus in grammatica; che se la vedeste, vi farebbe morir delle risa. Dio voglia eh' e' non abbia ad adoprarla in pi necessario servigio!
Ecco che a poco a poco voi vi scaricate di famiglia. Che volete? Costui se n' ito; Dionisio non c'; Antonio ha avuto licenza; Giovanpaolo si va con Dio. Diavolo, noi rimaniamo troppo soli Avete fatto bene a liberarvi della mula e degli staffieri ad un tratto. Cos fa chi vuol scemare spesa: prima d licenza alle bestie, poi alle persone. Doveste essere indovino, che la peste avesse a durare quanto ella
!
fa, e
che per questo non vi bisognasse pi cavalcatura per Roma. Sar bene che noi diamo licenza an-
che alla coperta, sed tamen amoto gii<sramus seria ludo. Io non sono stato da Campeggio per parlargli del
Breve, perch
non m'
diffi-
la per-
diffidavo,
diffido io di parlarne in
modo
al
Cardinale (dico
e'
non
si
II
comudel-
un
72
LETTERE
con le medesime Lettere innanzi, non areste saputo dipinger tale. Ma, come vi dico, non mi pare che in questa cosa ci abbia pi luogo Brevi, siano di qual tenore si voglia. Mutatida est ratio, modusqiie mis; n per cosa superflua ho
Breve, che voi stesso,
voluto affaticare Sua Santit, la quale vuol riservarsi per altro. Al domandargli parere sopra l'osti-
non
pigliar voi la
forse
Badia, ho
tanto,
star a spac-
ciare in Francia.
siglio
non ad
difficolt
s'
Intendo anche, che con grandissima d audieuza bene a' grand' uomini, e ch'e'
formicaio:
io
abbia ci che
in
ovvero sono due questi uomini. Uno, mi disse Nicolas domenica, che prigione a Milano, e chiamasi messer Benedetto di Vivaldo, e per tal se;
Roma
Ma
poich
e' ci
Saremo
1'
questa ha da essere
una cetera che non se ne verr mai a capo. Io non so come e' si sia ben fatto (dico quando bene la cosa fusse in procinto d'espedirsi, che non per essere a questi d) far dire da Campeggio al Papa che soprassieda, come m'accennate per la penultima
LETTERE
73
mamente avendone gi scritto al Re e domandata ultimamente Suts Majestatis intetitionem super hac re; n se ne avendo avuto risposta pi presto, bisognava che il Valerio presentasse il Breve ad ogni
,
via,
e'
rispondesse
La rosa
colse
Placet,
meno
pu dinegare all'Arcivescovo l'espedizione, non gne n'ara dinegata; dico avanti al Placet. Voglio dire, che non so, se parlando io di questa cosa ^1 Cardinale, egli mi risponder quel che io in ques\o presupposto ho detto a voi, e per conseguente siv per fare l'ufficio malvolentieri. Pur mi rimetto; fut^, non c' che bisogni pigliar partiti subiti; quello
che^veva ad essere stato, secondo me; cos avvieii, e chi non ha: suo danno. Aiui'io adesso vi consiglierei a pigliar la Badia e '1 Vescyado litigiosi o non litigiosi perch a peggio non sbu venire, che a darli con qualche partito, gi che le ose sono ne' termini, che le sono. Ho caro da
:
si
pu
dir,
mano,
si
trova qualche
scusa,
pnon empier mai pi che un foglio di carta. Non vi doria mancar modo da farmi usar la rettorica, come faca;e ultimamente, che lo trovaste cos bello.
Per dio u bella rettorica! svergognare uno per
:
son favori
disse Stra-
74
scino. Ors,
vincit.
LETTERfc
pur non
la
prima
et
tandem patientia
Messer Sisto a Nepi, gi sei d sono, fuggita col vescovo di Calice, la mala ventura. Cos ho stamattina trovato essere, quando sono andato a casa per parlargli, a ricordatomi di quelle censure che dite, e nella lettera sua fate menzione che "l solleseco, che
sana buono ecc.; l'ho trovato, e son rimaso e' venga qui oggi da messer Bartolomeo, e con lui tratti quel che sia da fare circa questa cosa che io per me non me ne intendo e sono inettissimo a queste cose. Pure, a me parerla che e' non fusse da sta-rsi a questo, ma vedere col medesimo messer Sisto ora eh' egli cost vicino, di
citatore
,
,
,
che volevate che facessi io; rh vi sar tanto agevole, quanto sarebbe stato a n^, e meglio per essere voi l'agente, io l'istrumento Mes
fargli fare quello
non
dell'
si
:
la potrian bello
e calare
v' scrissi
come sapete e' egli ha due anno e tre e quattr volte il tutto quest' venne ad una certa ora, che messe Bartoloromperne
la testa
,
meo
prese sospetto grandissimo, perch ^sse voler cenare e dormir qui, che o Chimenti o 'Maddalena
non avessero male; non se gli poteva ca\r del capo per conto nessuno. La gente qui entr i nuovo in
susta, e facevangli viso di matrigna.
dire: che
Eg cominci
molto ben poteva fare quello h' e' faceva, conciossiach anche voi, quando fu il;aso vostro,
LETTERE
ne veniste a stare,
rio
75
etc.
ed a
me non
buon
viso; e
'1
ti-
gnoso entr in collera, e cominci a dire: Io me ne andr io non ci voglio stare tu dovresti far pi carezze agli uomini dabbene che tu non fai; quando bene io fussi infetto, potrei venire e stare in questa
;
;
casa,
ma
io
parole,
come sa Dio e la Nostra Donna che facevo. Appunto non c'era ordine; la voleva pur con esso
me, e pure diceva tanto che io fui tutto tentato di dargli quel che andava cercando, e fussesi poi venuto a lamentare e a pianger con voi.
;
Roma,
Fraschetta va fiutando quanti bordelli sono per spirita di paura, sa d'aceto che pare un'in-
salata, e poi
l'uomo
gli dice
una parola per burla, crede gli sia non uomo in questa
casa che l'abbia veduto pi volentieri di me. Se e' sapesse quel che gli altri ne sentono, non ci arriveria mai. Domine ignosce
faduni.
illis, quia nesciunt quid Sento che messer Bartolomeo ragiona d'an-darsi con Dio con esso lui; e gli entrata paura da senno. Stamattina andato per risegnare le pen-
non ha potuto far niente. Dice che oggi si vuol confessare; fa come i putti, che non dicono mai volentieri le letanie se non quando
e'
tuona. Credo che se n' andr a Macerata, o a Baa Loreto. Tanto fa;
s'
gnare,
quello che
abbia a fare.
76
LETTERE
M' inha mezzi ammorche pur adesso trionfavamo. Or Dio e san Rocco
si
ci
r accompagni. Stamattina ho inteso che il Cardinale si vuol partire di cost per Lombardia, ma che non ha potuto avere licenza. Vi dico bene, che se voi v'allontanaste, molto dura cosa mi parebbe a restar qui in questo fuoco senza bisogno; che finalmente sono pur uomo anch' io, e, andando le cose s pessimamente, so che io non ho il cintolino rosso pi che gli altri pure Jidt
;
non mi
vato
il
Macerata, che cos a longe con una buona cera e che le cose d'Anparticolari ;
non ho mai potuto mi risolver, e se potr essere a tempo vel far intendere. Non ho che dire altro, se non che vi ricordo l'o-
Non passer
nor vostro,
lute vostra.
ma
Di Roma,
PS. chi fu
alli iii di
nov. mdxxii.
Il
sollecitatore stato oggi qui, e noi l'abdella cosa. Dice che bisogna sapere
biamo informato
il notaio dell'obbligazione. Se gli disse, che poteva essere l'Apocello; ond'egli and per intendere; finalmente non ne trov nulla. Bisogna che
e' fu,
e se
ne cercher intanto, ma se non la trovassi, sar bene che voi giuchiate in sul sicuro a darne avviso. Oggi messer Bartolomeo ha parlato di nuovo
LETTERE
nato e in su
io parlassi
l'
11
minaceie
e vi so dire, valuto
che
man-
dar colui a farlo soprastare. Della Maddalena di messer Bartolomeo, ch'era sospetta, s'intende finalmente
onde costoro si sono tutti riavuti, bench messer Bartolomeo persevera pur in dire di voler andar via. Dio ci dia grazia che noi la scampiamo, che se ci vien fatta, non la pi valente famiglia n la pi valorosa al mondo! Vi so dire, che e' ci giova essere matti spacciati tutti, cominciando a senioribtcs. Se fussimo punto malinconici, saremmo l'oca. Quel della stalla pazzo pubblico, Parigi da catena; gli altri ne sentono tutti, in modo che qui si pu dire
:
Vanne
via,
malinconia.
II.
AL MEDESIMO.
Ringraziato sia Dio, che voi scriveste una volta pi
ma non
vi
guastaste per,
,
anche non
1'
col rim-
proverarmelo, e bestemmiarmi come se aveste a durare una gran fatica a contentarmi. Io so pure che
anche voi solete scrivere volentieri, e sete indefesso come il Valerio, e dove bisogna il dimostrate bene. Disgrazia mo la mia che io non sono uno di quelli, al quale accaggia scriver s a lungo. Ora, io non voglio per questo farvi male alle mani'
cos bene
78
LETTERE
tari/i
amare manus? Lasciate pure stare s' e' vi nuoce troppo scrivere, e perdonatemi della mia ingordi-
bella?
Ma, mutate
le
e'
non
io
uomo che
si
ne sono ormai
il
vostro solvi
non
merale
mie
Che
'1
si
cava
di
questo
mondo
finalmente al-
tro che
tentarsi?
Non
;
vi sia
dunque
invidia n maraviglia
il
vino.
animo
ecc.
Mad
vata! e per
alle selle
perch
io
su
le
avea messi
in susta?
Questo non conclude, che, sebbene lo un gran tratto e sapete simt non in potestate nostra. Senza primi motus che che, sebbene mi fussi fuggito, non era per altro se non perch questa famiglia mi volea crucifiggere
;
LETTERE
79
messer Bartolomeo e me, come autori della mina loro. Per questo ero in susta, come quello che mal volentieri fo dispiacere ad uomo; e parte temevo in verit dell'ira vostra, che non vi fusse dispiaciuto ecc. Chi sa gli animi degli uomini? Del resto lo sa Dio e la Nostra Donna, che non arci dato un picciolo per conto mio; che, sebben sono uomo, e come uomo tengo conto della vita, ho anche tanta grazia da Dio, che a luogo e tempo so non ne tener conto eh' anche cosa da uomo. Sicch non mi dite pauroso, che io sono piuttosto degno di esser chiamato temerario. La cosa succede bene fin qui. Dio grazia, tuttoch Cristofano con due ghianduzze agat animam; e la Maddalena fantesca, ch'era rimasa l in casa, adesso
;
la febbre; e
non
so
come
il
fargli
sempre
come fa ogni cosa, eziandio quando domando mo vu, che 'n crediu tu? Parvi che costoro abbino da stare allegri, e bere il romanesco, e far vezzi a messer Bartolomeo? Il prete a botta per botta va dicendo per casa, cos in voce
B vt
dimessa: Dio
ci aiuti, se
:
noi la
campiamo
ecc.
la
gente risponde E la nostra Donna, che ce n' bisogno. Dio ne aiuta, che noi semo tutti matti, e non c'
chi voglia albergare malinconia pi eh'
d'ora, per niente.
un quarto Se questo non fusse, non ci riparerebbe tutto il mondo, dico a quel che si vede e si sente tutto d per la terra e per le strade, senza le cose di messer Bartolomeo, che sono uno zucchero di tre cotte. Accaggiono di gran cose ogni ora.
80
LETTERE
ar tempo ve lo far
le
cose
Avete fatto bene a risolvervi delle cose di questo vescovo d'Avila, che vi do la fede mia, se aveste visto la fatica che durai iersera a disporlo, eh' egli aspettasse tanto che voi ci scriveste quel che s'aveva da fare, vi sareste meravigliato ben assai. Mi bisogn parlargli due ore spagnuolo, che non so pur formarne parola, ma ingenium faciedat amor; e pregarlo come si prega la Croce che espetasse asta che gli rompa le braccia, cio sino che voi rispondeste che sicurt s'aveva a trovare per dargli. Perch mi disse, che voleva una sicurt di Banco ben sicura, per sapere dove s' aver a voltare pel suo che est era la maior biwla del mwido; che ya ses annos Jiavia que eran in est; e non so che e' s'abbaiava. Volete voi altro? ch'io sudala farlo mandare uno ad Arteaga, che soprassedesse ad attaccar le scomuniche, fino che voi provvedeste. Credo che stamattina doveste aver mie lettere per via di Ronciglione in proposito di questo, perch subito che quel di Campeggio mi torn a rispondere quello che '1 vescovo gli aveva detto, mi messi a scrivervi, acciocch voi poteste provvedere; e ringraziato sia Dio che l'avete fatto. Ora voi volete pur mettermi alle mani con questo
;
messer
non pu essere
eh' ei
non
con quel vescovo eh' morto, e in grandissimo sospetto. Sia con Dio; io v'andr, e
sia stato
tornerammi a proposito l'essere confessato, e l'avere buon animo. Ciurmar non mi voglio, n pigliar pillole, come mi volevate dare che non voglio perdere quel poco di appetito che ho. Vedr di fare il bisogno, e
;
Ll^TTERE
SI
faccende. Bisogner poi, come vi ho detto dell'altre volte, che la materia sia ben disposta, come dice il capitolo delle Pesche, e che la fortuna e gli uomini del mondo ne voglino aiutare. Certo questo m' pa-
ruto
buon pensamento ad ogni modo, che quando l'ho conferito questa cosa con messer Bartolomeo, non abbiamo mai saputo trovar via, n maniera da poter
:
uscire di questa diavoleria, e levarci questa triaca d' in su lo stomaco e massimamente poi che costui
che voleva promessa di Banco, e volevala buona. Non so ora se si vorr star contento a cento ducati solamente. Egli tanto inve-
cominci
a dire,
che
io
Quanto
si
al pigliare le
censure, io per
me non
so quel che
gio.
Cesure so bene quel che vuol dire, perch m'intendo un poco di versi. Dice messer Bartolomeo che crede che voi le pigliaste il primo tratto che faceste la promessa in forma Camera: Sicch, ove la cosa di messer Sisto non facesse, bisogna che voi diate
subito avviso
quest' altra.
come
ci
Lettere vostre
non
ci
da intendere. Messer Bartolomeo n' ha bene avuto non so onde voi no bisogna aver pazienza.
: :
Credete, eh' io
di
nuova del vescovo Calice per piacere che n'avessi, se non per mavi detti la
non
me la
disse per
Parte
IL
82
certa, e voi sapete
LETl'ERE
che crednla
est:
ond'io
siffatto ar-
maggiore l'allegrezza
contrario,
come suole essere nella perdita delle cose carissime, poi che le
si
l'errore, e
se pure fu,
non fu
volontario.
tulata.
Sapete che messer Giovannantonio dice, rehUo reCon tutto questo non egli sicuro; che, sesi dice,
condo
ha tenuto il fratello continuamente in braccio nella sua malattia onde per parecchie settimane io fo buon proposito carendi consuetudine,
;
vittce
tenues.
Se Giantommaso
morto, o non morto, faccia egli, lo vi dico quello che sento dire: non ne vogliate male a me, che non sum autor. lersei'a mi disse Martino, che anche Pietro Durea, o
Gurea,
'1
eh' io
non me ne
ricordo. Se
mo
non
n articolo
di fede. Io,
per
me, tengo la credenza mia serrata a chiave, e credo solamente quello che veggo e quello che voglio. Dionisio and via stamattina col nome di Dio, e dopo molte informazioni del viaggio, finalmente s' trovato che una via c'era d'andare nell'Abruzzo senza pi; e questa daNarni e Terni ecc., eh' un rallungar la via tre giornate. D'altra banda non passa un
uccello. Dissemi, che
gli saria
una patente
;
di
qualche signore
una lettera al Pisano a Santo Gemini, e credo ch'egli gnene far molto volentieri, perch buon fanciullo, e serve algiovata assai
sicch io
gli feci
trui
quand'egli
richiesto.
Lavora bene
di Breve.
LETTERE
83
Con non
mal
verr eh'
e'
non
lo senta.
Paternostro di san Giuliano, o delle sette Allegrezze. Io, per lo allungamento del viaggio, e perch egli
anche il domand, gli feci sopra i venticinque aggiugnere cinque altri giulj pe' bisogni che gli potevano accadere: e in vero ne parve a tutti ch'e' si richiedessero, sendo il cammino fra l'andare e '1 tornare presso a quattrocento miglia, secondo che dicono costoro.
Baciovi
le
mani
fanno mazzi per risponder loro a luogo e tempo. Dio m'aiuti che i pesi non mi sopraffaccino. Aveva ben pensato di far l'imbasciata al Sanga, secondo le lettere del Valerio; e a dirvi il vero, ogni
proprio
si
come
le
una lettera che venga a voi, mi metto in persona vostra, bench indegnamente, e secondo la mia poca discrezione subito giudico, o mi par di giudicare quel che bisogni far circa essa; quando fo poi qualche mocciconeria, perch non ne so pi. Non gli ho ancor detto niente, perch non ho avuto
comodit con incomodit gnen'arei detto, se la necessit m'avesse cacciato; ma non essendo per espedirsi la cosa di Costanza cos presto, mi pare aver tempo qualche d a dirglielo; bench non passer (con l'aiuto di Dio) domane che a posta l'andr a trovare, che voglio esser seco per altre cose. Vo mal volentieri fuora; questo . Sono stato da Nicolas pi volte per fargli intendere quello che scrive il Valerio; non ve l'ho mai trovato, e Dio sa come anche a lui si favella pericolosamente! Importando la cosa poco pi di quella
:
84
LETTERE
molta istanza "pure non lascer di fare il debito, come prima io possa. Con messer Sisto far un viaggio e due servigi,
del Sang:a,
fatto
;
non ho
cio gli
domander
del Valerio
seri
non credo
eh'
e' si
curi,
perch non
est
mi
scriveste
A
e d'
Desiderio far
le
ranno
con
me
con
l'aiuto di Dio.
un poco
satisfatto
Me
la deste
pi,
pare che
e'
vi
sappia male ch'io vi scriva spesso e lungo. Dite non so che per parentesi: tanto sono le tue. Oh, di
grazia,
non mi
fa,
maggior passatempo che i' abbia. anche non possa ciDiavol calare a mio modo con la carta, scrivendo quel che mi viene a bocca! M'avete data poca allegrezza, vi
vello, eh' egli
amor
di
che questo, e l'avere lettere di voi spesso, mi servono per antidoto. Se voi non mi scriveste, ed io non potessi scrivervi , pensate come mi troverei E' non mai ben di me, se non quel d che mi son
!
LETTERE
85
si
pu, a stare di
buona voglia:
si
il
vino
si
manca
di
quel che
si
finalmente non
si lascia
lieti: sed
quid hcec sine te? L'assenza vostra ci corpiacere, et non sinit esse integnim; per
rompe ogni
ne portaste.
Il
saranno otto giorni. So bene ch'io arei a rispondere a molte cose della vostra lettera, che non mi sono satisfatto scrivendo, e meno penso di satisfare
led
a voi
anche mi bisognerebbe
dir di
non
colo. Per io voglio andar a vedere s'egli vero; n voleva minor cagione di questa a spiccarmi dal ragionar con voi, padron mio. Io mi vi raccomando da maledetto senno.
86
LETTERE
Ut,
Domini mei ad me ?
Certo
un gran
d'una
cos
modo
obbligato alla
Mentre che voi sete stato in covi potrei mai dire il consumamento che ho avuto continuo di scrivervi una volta per cavarmi la voglia di ragionar con voi la quale non stata punto minore di quella che ho avuta col Valerio col quale il pi delle volte m' accadi tanta grazia.
,
non
duto ragionare
Ma non mi
di cose dispettose e malinconiche. sono mai arrischiato tanto in l, n m' bastata la vista di affrontarvi e tanto meno, quanto il prefato Valerio, del continuo ragionandomi di voi, mi diceva che stavate di mala voglia, et quodamvnodo disperato con le vostre negoziazioni. Ora che
;
ho un
domandarlo a bocca non arci saputo eleggere il maggiore, mi pare esser a cavallo e non m'incresce se non che mostrate, per la vostra, essere partito di Corte per andar in luogo, ove forse non sar cos comodit d'inviar le lettere, com' era prima alla Corte. Puro voi col poco, ed io
tale attacco, che a
;
con
lo spesso,
come
dice
il
proverbio, ne scriveremo
LETTERE
tante e tante, che
87
ne dever arrivare a bene; e cominceremo al nome d'Iddio da questa. Che la mia Elegia vi sia parsa bella, potrebbe essere, e ve lo credo anzi che no, perch l'amore che mi portate ad un bisogno vi ara ingannato ed occupato il giudizio senza lasciarvi conoscere il vero. Io non me n'intendo, n altro so di sua bellezza o e in tanto bruttezza, se non che la feci da senno di travaglio quanto fervor di dolore di passione
fatto
, , ,
un gran
mai
cos
si
facesse cosa al
mondo
e cosi
come
la feci
anche imprudentemente
la diedi fuora,
paren-
domi per quella via sfogare gran parte de' miei affanni, e fare fede al
mondo
del
il
ad ognuno. Primi motus non sunt in spotestate nostra; ed io mi sono di poi accorto che con poco avvedimento mi governai. Pure chi si saria potuto tenere ( che fusse stato Francesco ) di non mostrare ogni sua cosa a messer Latino luvenale e a messer Gio. Francesco Valerio, che hanno benigno giudizio,
,
et boni consiilunt, e
come
cos
se stessi?
e
me medesimo,
fatta
i
per dirlo in una parola, mi amano Mi saria parso fare pi ingiuria a sempre mi sarei rimproverato una
,
ingiuria
ricordandomi
tali
ascoso
miei secreti a
mio
fatto
non guardate alla qualit del poema non vale, ed io non me ne inganno;
,
che in
per
ma
quegli affetti
tali
quali sono
considerate cliente
non mi sono per mutato) l'animo mio, e con quanta indegnit la mia fortuna m'abbi (come si dice) giunto al boccone, mettendomi in istato dove, per pi doglia, non
05
LETTERE
sia concesso
il
mi
rossore.
Ecco il Valerio mi riprende e dice eh' io farei bene a lasciare andar queste baie ed a rivolgere i
,
miei pensieri a miglior parte; che maledetto sia egli, e chi sente talmente seco. Che penitenza la mia, a dare ad intendere al mondo che questo si
n me lo sono andato cercando a pofar rider per la gente del fatto mio che non se sta ne ridon per se non gli scempi. Che bisogno mo ,
;
che ognuno faccia sopra di me i suoi conti? Prego Dio che provino una volta questi tali, che cos son pronti a riprendere altrui, la maladizione in che mi trovo ora io, che forse saranno di altra opinione.
Sed nunc non erat
Ms
locus. E'
mi pare
mill'anni che
mmius una
volta ascolti le
mie ragioni.
che m'avete fatta, parlando de' vostri Sonetti e dicendo non so che in iscusa. Messer Latino, questi sono termini troppo generali, e non punto da usare con esso meco prima, perch il giudicio mio non merita che cos fatte Dio vi perdoni
la ingiuria
,
;
cose
gli
e'
sono vostri,
stesso,
tutto. Io
non credo a
me
ma
vi
dico
mia opinione sopra essi, ma di questi tali. E' sono e tengomeli io e di messer Latino belli e buoni molto ben cari appresso, come le cose de' santi. In eo genere ancora io ho fatto non so che baie, anzi ne ho
,
,
fatte tante
LETTERE
89
non
mai creduto essere stato da tanto. Ecco che mi lodo io; non fo come voi, che troppo alla cortegiana ve n'andate: mi lodo da mia posta per
arei
avanzar
la
manifattura. Dice
Di questi
il
non
qua contro a messer Agnolo, che mi strazia senza una misericordia e piet al mondo.
fatto da tre di in
Io,
ri-
medio
venuto fatto questo, che tale quale , vi mando senz'altro cerimonie. Vedetelo, e fategli quello che merita la sua e la mia coglioneria; n ancor io so far meglio, e non sono n anche obbligato. Mandovi appresso la Egloga
m'
con
dell'
la
mandata al Valerio, e s' perduta) medesima intenzione che il Sonetto, cio che uno e dell' altra facciate quello che meglio vi
mette.
a scrivere questa mattina, e intanto intendere oggi ho fatto alle vostre donne, che seriIo cominciai
non pare che le se ne siano curate. Forse non si trovavano in ordine; ma io per questo non ho voluto lasciar di mandarvi la mia che di lor colpa non deve patire. Quando si spaccer di nuovo, se le mi daranno lettere far l' ufficio e scriverovvi ancor io. Stasera non posso scrivere pi, perch tardi; il corriere vuol partire, e a me fa un gran freddo. Qui non sono nuove che meritino d' essere scritte. La peste. Dio grazia, s' dileguata del tutto, e la Corte tornata che pur uno non rimasto
vino; e
,
fuori.
Messer Agnolo
s'aspetta di
manno
di febraro mdxxiii.
Di Roma,
il
primo
90
LETTERE
IV.
AL MEDSIMO.
Ieri mi madonna
fu dato
un
Livia vostra, e
una
lettera spicciolata al
reverendissimo vostro padrone. Al primo ho dato ottimo ricapito, avendolo questa mattina io stesso
portato a casa quella
la vostra
madonna
mi divisate. La seconda del Cardinale ho data a messer Agnolo, che mi dice volerla mandar
con una sua che scrive a sua signoria reverendissima a non so che castello, ove si trova. Dell'altro mazzo, che l'altra volta m'indirizzaste da Parigi, vi scrissi ultimamente quanto avevo fatto; e come anche quello era giunto a buon ricapito: per non
perder altrimenti tempo in replicarvene.
non me ne posso tenere. Bisogna che io con quelle persone massimamente che amo e riverisco di cuore, e dalle quali so che sono riconosciuto; bench penso non vi dever essere stato in tutto molesto lo scriver mio, e ne sar forse stato causa il desiderio che ragionevolmente dovete tenere d'Italia, e per conseguente amare gli scritti
In fine
cicali, e
che vengono d'essa, per isconci e disutili che siano. Qui non pi peste, n se ne parla, se non tanto quanto come s' ella non ci fosse mai stata. Tutto il
mondo
un
tornato
e la Corte s'
rimessa su
eh'
possono di parer molti, poich non sono ricchi. Questi due ultimi di del carnovale si sono fatte di gran maschere. La gente
dinali, e s'aiutano
quanto
e'
LETTERE
91
da principio non s'arrischiava per tema di papa Adriano; poi vi diede pur dentro, e finalmente s' visto che l'inferno non cosi brutto come si dipigne
che Nostro Signore buon compagno. Messer Agnolo, messer Antonio e messer Guglielmo sono- tutti tornati da Civita, e si raccomandano tutti a voi per la pariglia. Il vostro buon messer Armanno si sta pure a Parma. Ancora non s'assicura
e
il
minchione
vuol vedere
le
lui. Messer Bartolomeo si sta 2i BB,nco, ut stipr a. Ancora egli non vuol sbucare se non al sicuro. Non vidi mai tali uomini! Egli era uno di quegli che alla vista, gli argani non ariano cavato di Roma.
per
il
mondo
si
fusse partito,
Dum
.
.
.Nec miseri possunt revocare parentes, Nec moritura super crudeli funere virgo,
eh'
di
ne faceva
ragionarne.
Qui non sono altre nuove che della presa del povero Rodi la quale so che dovete avere prima di noi. L'altro d la parte Colonuese entr in Viterbo a tradimento (non so in che modo), e tagli a pezzi
,
il
principe,
per che
castello
il
,
da Tivoli con
92
LETTERE
altri
si
non so che
trecento fanti ed
il
signor Gio.
Corrado. Coloro
sono
ritirati
,
a Terni e a Narni, e
per quelle terre de' Colonnesi e non fu altro. Qui si ragiona di mandare Legati in volta,
agitur magnis de rebus. Io
et
se
non ho che scrivervi altro, messer Latino mio, non che mi consumo, crepo, ho un gran martello
tornata vostra. Tornate dunque, perch etam si te medio foro invenero, dissuaviabor. Intendo stamattina, la peste da lunedi in qua esdi voi e della
com-
sono
la peste stessa.
case ritrovate, e pi di
Ho
messer Armanno,
il
quale
si
Di Roma,
ormai a tanto nostro desiderio, e state sano. a' xix di febraro mdxxiii.
V.
A VERONA.
Per non esserci
il
Sanga,
elio ieri
LFTTERE
le
93
xxv
del passato; e
visto
il
glior espediente
gliela dietro,
come feci anche ier sera un' altra vostra lunga di non so quanto; massime che in quest'ultima non ho trovato cosa che sia bisognata far qui, e per la quale non si fosse potuto sicuramente mandar cos chiusa a chi ella andava. Basta,
che voi vi fate un gran praticone, e dovete gi esser assai pi dotto in fattorie e in far quitanze, che non ero
io
fanno
gli
uomini!
v'avvi-
non
mai doverete aver fatto il pi forte, e a Natale almanco so che potemo aspettarvi a far una primieretta cos dolce dolce in terzo sopra
un canto
di
vi si
mandasse?
mille gentilezze.
,
croste
commessioni,
avviso per buon rispetto; bench alla diligenza vostra superfluo ricordarlo. Adesso vi si manda
un Breve per
il Sufifraganeo, che mi penso sia la commission sua. Se altro vi bisogna di qua, date avviso, che perch non ci sia Monsignore, rimase in vece di sua signoria quel di Chieti, che supplir
io
come
si-
buono a
servirvi in
qualche cosa,
massime
in far qualche
94
LETTERE
vi
dico
Non so dove abbiate sognato, che il signor Giovanni de' Medici abbi ammazzato il vescovo di Trvisi. Per Dio, gran nuove si dicono a Verona! Dio vel perdoni, che credete, o mostrate di credere simili coglionerie.
Il
signor Giovanni
si
part di
qua
campo con
ebbe la benedizione da Nostro Signore in forma Ecclesia co?isueta. Non so se vi par da credere che egli
abbi ammazzato
il
vescovo
di Trevisi.
ha una nuova al mondo dalla presa di Milano in poi, che ha gi la barba. N l' arcivescovo, n il Boschetto, n messer Bernardino scrivono tanto quanto se non fussino al mondo. Le maggiori nuove che ci vengano sono da voi altri sbisai cost. Pensate come ve ne potemo dar noi! Per le prime che Monsignore scriver, doveremo intendere il tutto; ed io allora (caso che il Sanga
si
,
Qua non
non
dovr
Le vostre raccomandazioni
graziate e
sono
fatte, e tutte
merita
il
addio.
Il II
di
novembre mdxxiv*
a quel Dio d'amore di Alessandro
Raccomandatemi
Ricordi.
LETTERE
95
VI.
AL MEDESIMO.
Egli vero che io ricevo
le lettere
soprammodo
volentieri
che mi vengono scritte di qua e di l; ma quando, per sorte, elle son cos lunghe, o cos belle che non mi d il cuore di risponder loro per le rime, pensate che mi viene il sudor della morte,
come m'
e l'altra
bello e
venuto con
la vostra,
che ha l'una
di
mai
scritto per
mettermi
consonanze.
Ma
che per questa volta arete pure pazienza, che, che non mi voglio mettere in pelaghi cos cupi, mi duol s una gamba per una stincata ch'ebbi che mi volle far carezze che ieri da un cavallo poco ad altro posso pensare che a tenerci le mani.
oltre
,
,
buona verit, se non che il reverendo padrone mio Monsignor di Chieti, col mandarmi a ricordare che stasera si spaccia a Venezia quasi m' ha comandato che vi scriva, rendendovi duplicate le raccomandazioni e cerimonie, che per la mia fate a sua signoria, portava pericolo che non vi dessi cartaccia per questa volta; sicch palavi pur uno zucchero a
in
vostra posta, che v'abbi scritto questi quattro versacci cos a mal in corpo e col braccio al collo.
Gran cosa certo, che questo Suffraganeo e predicatore non siano ancora arrivati! Se fussero altri
che
frati, io sarei
come sono,
non hanno
96
fatto scala, potrebbe
LETTERE
fossato
fiume
molto ben essere che qualche non avesse avuto quel rispetto che si conviene a san Domenico. Fate dir loro la messa di san Gregorio e raccomandateli a
, ,
o pozzo
Dio, e basta: io
ci
dire pi. Si
doveriano vergognare (quando mai non avessero altro peccato) ad avervi fatto mangiare i carpioni
e le trote, e peccar cos
Ieri ci fu
monsignore, poi va al Sanga. de' cinque di ottobre, per mia f assai fresca, da Borsella sicuramente. Dice aver pure ricevuto questa benedetta deputazione
;
che circa la
;
medesima materia dite voi a me per la vostra sicch non ci parso intendere, quanto a questo, altro di nuovo. Le altre cose che ci sono entro, come dir
dell'aspettare
il
SufTraganeo
eh' io per
scrivere al Capitolo e
ecc., fra
voi
me non
so che
mi
vi ri-
Perdonatemi se
(ih.\2i'm2iio
vi
fattore,
,
a far quietanze
par vedere
stris, e
fin di
,
dietro,
,
grande
come un asino
tanto
ora a sini-
pii
ancora io che cosa governare. Questo quel che ruina voi altri poveretti ammartellati, che v'immergete in coteste magnificenze e mettetevi dentro il sommo bene, senza ricordarvi de' poveri saccardelli amici e servidori vostri. Ma per Dio non siate cosi impio, che vi lasciate svolgere da accidente alcuno.
,
LETTERE
S
97
Roma
Roma.
Vel dissi in principio, vel dir anche in mezzo ed in fine, che monsignor di Chieti vi risaluta, vi
lo dir pure), e cos fanno tutti da voi cominciando dal maggiore fino al minore, fino a Simon da Urbino, che venne non ier l'altro pi savio e pi bello che mai, ve ne manda un centinaio, e dice, che in questo viaggio di san lacomo, che vuol fare tra pochi d, pregher Dio per r anima vostra a pi potere. Il nostro Bino, ch'ebbe l'altro d di Spagna un beneficio che n' vacato, mi sta tutto d a romper la testa, pregandomi che ve lo raccomandi. Quello scimunito di Pusillo, che pare uno stronzo di can magro, anch' egli si vuol metter in dozzina, e pi di cento volte s' gi lasciato uscire di bocca che vi vuol scrivere, n per ancora da tanto che metta mano in carta. Final6i
raccomanda (che
mente ognuno desidera essere vostro benevogliente. Le lettere, che mi mandaste sotto la mia, hanno tutte avuto buon ricapito, e subito. Non aspettate che vi dia nuove di Roma, che appena so quello che si fa in camera mia, onde non esco mai, non
che yadi cercando quello che si fa fuori; e lo credo aver detto un'altra volta, e se non ve l'ho detto ve
lo dico ora, che
delle novelle.
(lu quale dite avere saputa che bench fusse pur cosa notabile, se avessi creduto cos, non l'arei scritta. Ora non pi, che sono arrivato col cicalare fin dove non credetti. State sano ed amateci. Di Roma, a'xxr di novembre mdxxiv. Bem "" Parte IL 7
perdita di monsignore
prima)
yy
LETTERE
vn.
ALLl SIGNORI ABATI CORNARI.
Signori miei, longum
tutti tre
esset,
pr
Brescia,
il
alla
me
ne incre-
desinato,
muoiomi
vi ri-
veggo, che sar, spero in Dio, presto ; ma Verona tantum, che a Brescia non bisogna pensare, qui-
et alterius moventi"
S. V.,
monsignor mio
mi
fate.
voi,
nite pure, ed
rette
tate,
uno
mi
porti
da
estate,
un paro e se non
resto.
farli
di berle
por-
tristi
voi!
dolcis-
direi che vi degnaste baciare la mano per me al reverendissimo signor Cardinale mio padrone, ma non voglio parere prosuntuoso: basta che facciate l'ufficio con
carezze e
la
mano
il
il
re
il
LETTERE
delle cerimonie.
99
Ed
io lo
ha da
Di Verona
Servitor di tutti
Francesco Berni.
Vili.
A MONSIGNOR
1\IARC0
CORNARO
100
LETTERE
sono; e abbiate sempre in mente che per" accidente alcuno io non sia mai per mutarmi. Ben sapete che ho pur da fare qualche cosa, se non altro l'andar tuttod innanzi e 'ndrieto dal mio padrone, che mi
occupa tutto poi e' la dappocaggine ordinaria, che ha fatto in fine eh' io non ho mai scritto e ora qui scrivo anche quasi sul ginocchio, perch sono in procinto di andar via. Luned si fa vela generalmante pur tutti e tutti coli' aiuto di Dio ci dirizziamo alla volta di Roma; onde, se ci arrivo mai, e
; ; ;
un poco, potrebbe essere che vi facessi il Vo per la via di Firenze per far l'amore con mia madre quindici o venti d, e andar un poco in coro con la zanfarda, e poi truccar via al nome di Dio, il quale sa quando ci rivedremo! E voi,
mi
riposi
bordello.
messer
lo
l, che non tempo della vita vostra. Ma basta e poi che ho nominato il Piovano, dico a quello di San Tommaso, che non speri da me
il
indulgenze per tutta questa quaresima, perch il papa la consumer tutta in viaggio, ed io non sar con Sua Santit s che lo possa servire. Se la vuol
che sar servito. Godo delle vostre bonaccie e consolazioni; e pi mi rallegro con quello sposo che s' ha goduto e gode quella sposetta divina. Sono certissimo che quel Ruzzante divino, e
poi, gridi
ve n'ho invidia. Noi abbiamo fatto qua corbellerie assai, delle quali non accade darvi conto, che sono
fastidiose; se ne
le ri-
pezzo
LETTERE
di lettera,
101
che cominciai
l'altro d, al
signor Friuli
mio carissimo, acciocch gnene diate, facendoli mia scusa se non la ho finita con tutte le ragioni che vi ho dette di opra. Un d gli scriver una lettera
forse che gli soddisfer, e
comincer cosi:
le
tue querele,
il
duoli a torto,
Che
sai
miele?
mezzo
del petto
ti
porto
fitto,
ho
scritto ecc.
ammazzer
di
mano
volta, che
non posso pi
ora.
Di Bologna.
IX.
AL MAGNIFICO SIGNOR MIO ONORANDO
fatto.
102
cio, lasciatami
LETTERE
perder la cagna disgraziatamente;
li
servi scia-
io
che non ne
potei avere
maggior dispiacere
perch
di quello
il
che ebbi
ed ho
e solo
il
me
mio messer
Vincilao,
la seconda vergogna caccer la prima, che vi pregher vi piaccia mandarmi come prima vi comodo, due paia di prosciutti belli, che li vorrei donare ad un gentiluomo. Sono privo della speranza, in che ero entrato, di potermi venir a stare con voi questa state, ed allora fornirmene; e per bisogna che non campiate dal minor danno, poich sete
,
campato dal maggiore. Ma io sono forse inetto a bene a messer Vincilao, che appresso di me di quelli uomini che non se ne trova pur molti
dire
;
si
ricorder
comandarmi, ricordandosi
pro-
sciutti, se
ciovi la
mano.
Da Verona,
xv
di
maggio mdxxx.
X.
AL MEDESIMO.
Magnifico signor mio.
Io
non aspettavo
liberalit
altro se
tilezza e
vostra,
LETTERE
con
la eloquenza, e ci
103
metteste sopra il sapore delle scuse del parlar furiano, e cotali passate cortigianie, che vi dovreste vergognare a far le cerimonie con chi vi ama tanto. Ch'io non sia venuto a rompervi
il
capo vi ha avvisato
sufficienza;
tesia e
non
sete.
vi
buon
un
in
tratto
men
vi;
d'assai di
che
Come monsignore ha
rettilit pedem
mi
disse
mandarmi
. .
.
gran piacere di farvi rugnire a primiera, e voi d'una gran molestia e per Dio. Ora per tornare la cagna o il cane mi
e cos io son privo d'un
.
:
sar gratissimo,
se
s
ma non
non ne
modo
io
non
ci
sono
avventurato, che sit opera p7'etium affaticarvi tanto. De' prosciutti vi ringrazio sommamente; ma perch
rileggendo la vostra lettera ci ho visto una parola, che mi ha fatto saltar sin al palco, che dice eh' io
non fuggir
giugniate
fosse
quell'altro
d
un
pur vero,
danno che non mi sopragun capo re, deh Dio che quando mi ricordo di quelli di
a rugnirmi
ci
che
e
fummo
ebbi
divento matto, e
alla
non so qual
vita
mi proponessi
speranza di
perch se
non uno, che da Venezia conduca questo messer Marco in qua, io lo vedo murato in eterno in quella
casa di queir ambasciador della Cavagliera. E sapete? Io mi trover questa state in loco, che da It a Piazzuola un passo di gallo e per fatelo, messer Vincilao mio, si Ubi vis oculos debere CaMim,
;
104
LETTERE
vi dispiacer; s^^
,
awm
mi
irrita
donant;
Ho
letta de verbo
ad verbum tutta
la
coda della
et
ed admirari dligentiam
amo-
rem
tuurnh,
Ha ben
inteso
non so che di cavalli che li mandate e parmi che anche voi vogliate cominciar a fare di quelle del signor messer Marco; e se foste altri che voi,
vi darla
un
tienti a
mente;
ma
siavi perdonata.
Dio perdoni a quelli Eremiti, e facciali santi. Monsignore ha carissimo che facciate loro carezze ed
,
che mi piace come le mazzate a' cani tuttavia, poich il padrone vuol cos , da legare l' asino a modo suo. Signor mio, io vi bacio la mano, e vi sono schiavo.
io
,
Da Verona,
alli
vi di giugno mdxxx.
XL
AL' MEDESIMO.
Signor mio magnifico.
Io credo che
di
un quarantanove almeno;
una
, ,
LETTERE
dre e d
far a
libelli, e
105
messer Pamfllo
feci
delle quali
avete a sapere
che non ne
His, et
cum
A Piazzuola
,
vi vorrei io
avere
la baia.
Or
vi do la fede
come monsignore aspetta che facciate che mia erectus est in spem ittgentissimam che dobbiate aver fatto un tempio di Diana Efesina
si
;
tanto
promette dalla vostra Vitruviet e Frontineit, ed io mi metto al punto quanto posso e lassa dire a me. Ma per tornare a proposito, io vorrei de' prosciutti, perch m' venuto un vizio, che non mi piace pi carne di vacca e bisogna che vada aguzzando il gusto con queste ribalderie. Per mi vi racco,
mando; ma non vi sgorbiate. Mandatemene sei, e ad uno ad uno, perch in casa non se ne fa guasto n cosa opese non da me. Li vorrei non magri rosa cio gran macchine come furono quelli che mi mandaste che stetton bene di quella statura perch si avevano a donare; quelli che si hanno
, , , ,
ad adoperare in casa rnagis fmgi esse debent. Dirizzateli a messer Marco con ordine che li mandi a me; e perch sua signoria sar presto a Piazzuola, considerate bene sopra questa parte. Io ho martello di voi tanto che crepo ma bisogna che mi gratti perch non V' altro rimedio se non date volta in qua. Intanto amatemi, e fate una bella fabbrica, e siate contento che vi baci le mani. Da Verona, alli xiv d'agosto mdxxx.
;
106
LETTERE
XII.
AL MEDESIMO.
Signor mo magnifico. La vostra lettera de' 4 agosto sia la ben venuta poich venuta in tanta furia. L'ebbi ier sera e la lessi per non di men gusto n di minor voglia che se la fusse stata d'oggi o di ieri, come un uovo fresco. Imparate per voi per un' altra volta a man;
non dite villania alle genti qua, che non han colpa. Se non feci le vostre imbasciate a messer Pamfilo, non fu perch non le volessi fare, ma perch era in parte, ove non che luca; credo che fusse allora in Venezia; e poi tordarle in pi diligenza, e
di
nato,
si ficc
scritta,
perch se
che
si
da voi.
medesimo
quando intendete, e poi il prefato messer Pamfilo non in paese. Pare che sia ito a Rovere di Trento, onde Dio sa quando torner; e poi, quando torni, egli si levato dal servigio di monsignore e sta da sua posta sicch non so quel che vi possiate promettere di lui circa la fabbrica. Per non errare, ho mandato la vostra lettera a monsignore, eh' in visita, e se me la rimanda stasera, prima ch'io spacci al signor messer Marco vi far qui drento un postscripsi di quel che sua signoria vorr che
,
, ,
vi risponda
se
no
lo saprete
LETTERE
dere di negligenza la diligenza
eh' io
lO
non ho mai
di voi, e
le
n mai
ora
che
non
qualche altro
poich mi vietato il poter venir da voi, dove pur meo jure dovrei venire e stare perch fui pure il primo possessore di Rosazzo, e quel che ruppi ii guado ma '1 diavolo e la fortuna, miei
loco del
;
;
mondo
che stati sono poich si pu dire siano morti martiri cos maltrattati. Se cos , non se ne parli pi; e siate pregato quest' anno che viene ad averci un poco l'occhio, perch volo saturan carnius eonim poich qui non si magna se non l'uccello di san Luca ed la pi ladra cosa che sia nel mondo. E ricordatevi che siano grassetti, e non operosi, come vi
Dio facci pace
all'
anima
di quelli peccatori
,
Di grazia non mi fate venire l' acqua alla bocca con ricordarmi Piazzuola inutilmente, perch io ne sono esclusissimo, e messer Marco cerca d'andarci; me n' ha dato quest' anno le pi belle incanate che voi mai vedeste. Stavo per andare a Brescia, e scorrere per la Lombardia tutto questo tempo che monsignore sta in visita, ma mi pare che Giove e Giunone abbiano fatto lega contro al mio disegno. Ha cominciato a rovinar il cielo di pioggia da quattro di in qua; e tira per il dado di sorte che non so ci che mi far. So bene che ovunque sar et quidquid agam amalo te et tuus ero. Cos vi prego che facciate voi, e andiate dietro spendendo ci che potete
,
108
LETTERE
modo
JicBCpoS-
Che
e
le
veglia
cancaro
e a chi fu
cagione che
si
con essa! Vi bacio la mano, signor mio, vi raccomando. Da Verona, alli xvi di sett. mdxxx.
ritasse
mami
XIII.
AL MEDESIMO.
Addio quel giovine. Voi
fate fatti e state
il
cheto.
cane, che se
non
di
Monsignor
san Zeno vi aveva prima per quel che sete, ma adesso vi tiene per molto pi, e dove vi conosceva solo per nome e relazione di quel poverino a cui Dio perdoni, adesso vi conosce per prova e per la vostra virt. Vi ringrazia e vuole tutto l'obbligo per
,
s; ed
glior
ben giusto, che sua signoria ha molto mispalle che non ho io poveretto il quale non
,
so che
mi
dir altro.
Ottobre, mdxxxi.
Servitor vostro
Francesco.
*M
Affermando quanto
il
n
r>
non
mio, che potrei dire molte cose dandomene occasione questo bel giovine che
ci
avete mandato
al
LETTERE
109
quale ancora speriamo di avere a dar moglie per mano vostra, innanzi che venga la settuagesima,
che
si
j'
ri
un presente degno dell'animo di quello che pi volte mi dipinse quel poverino, la cui amara memoria fa che io interrompa qui lo scristo stato
vere, affermandovi che quel eh'
morto
in lui vive
di voi e di
in
cosi
mi
vi offero,
pregandovi
n
n
che mi raccomandiate al signor vostro fratello messer Eustachio, il quale desidero intendere che
sia sano.
" "
XIV.
AL MEDESIMO.
Magnifico Messere.
e uomo dabbene, ogni cosa. Viene mandato da monsignore, e indirizzato a vostra signoria con ordine di fare quanto li comanderete in tutto quello
per
pilastro
e per
che resterete d' accordo con lui. Vedr il lavorio, e squadrer bene quello che ha da fare et si res exi;
get
che torni in qua per provvedersi di cose necessarie, che non abbi portate seco, lasciatelo tornare, che ritorner poi pi risoluto e pi stabile e si non
:
exiget, lasciatelo
una
Ilo
LETTERE
come
dio, d'accordo
per omnia; e quello che voi farete aremo per rato e fermo. Nec plura his, avendovi scritto alli d passati, credo, abbastanza per quanto si pu scrivere
et
in
un mezzo
io vi
foglio.
Monsignore
vi si
raccomanda,
ed
bacio la mano.
alli
Da Verona,
di luglio
mdxxxii.
XV.
A MONS. IPPOLITO CARD. DE' MEDICI.
Rever. et Illustr. Padron mio.
S'i' avessi
io vi farei
vo-
lentieri
un
subbietto pi dolce, pi piacevol, n pi bello. Signor mio caro, io mi trovo in bordello, anzi trovianci,
in
un
fin al cervello.
ci
:
L'acqua e
fango,
alle
ci fa
facchini e
marinari
hanno
Dateci
posto l'assedio
danari. L'oste
una cera grifagna, ed ebbe a dir fra s: Frate' miei cari chi perde in questo mondo, e chi guadagna; all'uscir della ragna, di settimana renderem gli uccelli e facci vezzi come a' suoi fratelli. Vengon questi e poi quelli e dicon che la rotta sar presa qua intorno a san Vincenzio e santa
:
Agnesa; che noi l'abbiamo intesa pi presto sotto a mangiarci lo strame, che andar innanzi a morirci di fame a quello albergo infame, che degnamente
LETTERE
detto Malalbergo; ond'io per stizza pi carta
IH
non
vergo.*
canchero alle barche, al Po, all' Adige e a Ferrara e al Bondino! non mi trovai mai in :^anta susta chi ne dice una, chi un' altra chi che
Che venga
:
il
a Malalbergo una pescarla che tiene in collo quante barche si son partite da Ferrara e da Bologna da quindici di in qua; chi che si passa, chi che non si
passa.
Non
Dall'
una banda
mi costrigne amore,
tega.
non
Meo buoi
come
filosofo e
Callino,
come
on sapendo che
[er
l^arta
squartata
mani,
il
cui squartamento vi
nostro grazioso stato, ho voluto man[arvelo in scritto, in testimonio di quel che vor-
emmo, e di quel che possiamo fare per pregarvi fhe preghiate Dio per noi, se non ci potete altrilenti aiutare.
* Questo sonetto r abbiamo gi posto a pog. 180; n Xha altra variet che alla l. 9, ove si legge debbe dir Karnio di ebbe a dir.
112
egli spiova, e
LETTERE
che
le
nemo
Baciamo la mano di vostra signoria reverendissima in solidum et in comune. Da Ferrara,. a xix di dicembre mdxxxii.
XVI.
A MESSER
GIO.
FRANCESCO
BINI
Signor Bino mio onorando. Ho avuto la vostra amenissima lettera, che m' ha fatto venir 1' acqua alla bocca, ricordandomi a tavola i morti di Roma; e per Dio avete avuto torto a mettermi in succhio in questo modo, sendo teatino e mortificato, come
sono. Ora io credo d'aver inteso quel che
rete per conto del Signor Sadoleto, e dico
mi
seri-
cos,
che
monsignore stracontento di fare tutto quello che sua signoria vuole; e darassi ordine che sia servito.
Coeterum tres vale sopra l'allegare il Coriolano. Che possa io morire, se s' appose mai sopra pronostico nessuno, se non sopra il mio! Nondimeno ancora
io
vivere
avemo sino
alla
morte a dispetto
di
chi
non vuole, e '1 vantaggio vivere allegramente come conforto a far voi, attendendo a frequentai quelli banchetti che si fanno per Roma, e scrivend(
soprattutto
qn(B vincit
manco che
mundmn. Se potessi
avcnd(
LETTERE
113
quel cervel pazzo che ho, sarei da pi che '1 papa. Sono schiavo a quel poeta, che per dir male degli
comincia da ^q: prima charitas incipit a se ipso; e per Dio arei caro conoscerlo. Signor Bino mio, voi sarete contento darmi licenza che io non scriva pi,
altri
avendo
zctto.
scritto
tutta mattina.
Mi raccomando
alla
XVII.
AL MEDESIMO*
Risposi ieri brevemente alla cortesissma lettera
di vostra signoria;
mi
che non ho altro da dire. Vi dissi, che messer Ubaldino era guarito e ito fuori; ma oggi gli tornata una grossa febbre, che se ferma qui, sar gran ventura perch le recidive, e in questi tempi, sapete di che nature sono. Pure potrebbe anche essere che avesse ventura; ma certo
desiderare per risposta,
s
;
Di
mano
in
mano
vi av-
non mancher
di tutti
che potr, s per sati sfazione di monsignor Carnesecca che l' ama tanto, s anche mia, che non l'amo meno, bench abbi ancor io il mio impiccato e le mie corna, che mia madre sta pessi-
mamente,
mio
fratello
Parte IL
114
LETTERE
Se quel Centurione torna, vorrei che monsignor protonotario gli domandasse conto di quel memoriale e se per sorte messer Giovanni Poggio nun;
avesse dato quella mia translazione della pensione intimata a don Francesco di Mendoza, vorrei che sua signoria se l facesse dare, e fra voi e
zio
gli
lei
guardaste bene; perch m'importa dugento ducati d'entrata. Addio, signor mio: io son chiala
me
mato
da' cristei.
iii
Di Firenze, a
di
settembre mdxxxiii.
XVIII:
AL MEDESIMO.
Scrivendovi
ieri delle
tempo
sente.
di ricordarvi le mie,
memo-
mie faccende, e massime di quella del vescovo di Como, dal quale desidero che mi liberi vel , vel clam, vel precario ; e uno di voi faccia che lo sappi, e non stia pi con questo cocomero in corpo E quando sua signoria, dico quella del protonotario, ara un d parlato de' casi di quel suo amico con
quell'altro amico, che
di
promise
di parlar fino a
Roma
dalle Fate,
qael vescovado che fa far ben versi, ricordisi anche di fargliene avere un poco di risposta. Voi, messer Rino mio, anche non m' abbandonate, e scrivetemi
quella pensione di
e di
XXX,
LETTERE
Io
U
un
pezzo, e
mi veggo
ftto
il
qui per
al
pur ora
scrivendo sento
rumore
dopo
mio povero fratello, avvengach sempre in letto. Quell'altro mio zio sta anche peggio che mai del cervello, e del corpo non bene. Mia madre non pu levar la testa. Bisognami comparire
tre d ch'era stato senz'essa,
innanzi
a'
ho comprata; bisogna che contenda con contadini, che non mi vogliono dar del pane n del vino; e vi so dire, che sto fresco! E '1
sta negra casa che
XIX.
AL MEDESIMO.
Per rispondere alla vostra de' 16 da
vi faccia dell'essere
Roma, mesbuon pr
giunto a salvamento, e sia pregato Dio che vi stiate lungamente senza muovervi pi ad ire per le mondora; che certo sarebbe cosa
da dire
al podest,
che ogni
sei
mesi aveste ad
ire
116
LETTELE
prirna
giugner vostro basta chB r ho inteso ora, e n' ho grandissimo piacere. Cosi dia Dio il malanno e la mala pasqua a quel ghiotto mariuolo, che ha seminato per tutta Italia la morte di monsignor di Verona: che quando tornai l'altro d da Certaldo dal reverendissimo de' Ridolfi, e trovai qui questa baia, pensai che la fusse tale, sendomi detto chi l'aveva portata. Ora veggo ch'ella penetrata sin cost, ed honne avuto lettere e nuove da tanti altri, che da voi, che sono oraltri, il
mai stracco;
e se
avessi nelle
mondo a questo
veggo
modo che
;
che la stata creduta da ognuno. Questo ghiottoncello un figliuolo bastardo di un canonico di Verona, fuggito dal padre pi anni fa, e uomo che l' ha data pel mezzo di tutte le ribalderie immaginabili. Vive in su queste bugie, tro-
domane
Roma,
ad intendere
si
a' frati di
santo Stefano
in Celio
monte che
and
un
cavallo, e
Via.
benissimo questa istoria; fatevela contare, e ditegli che egli quel medesimo. Ora stato qui, in quelli d appunto ch'io fui a Certaldo; empi tutta questa terra di questa poltroneria, di sorte che ho avuto lina fatica incredibile a tener vivo il mio padrone.
Pur
Dio ch'egli vivo, e sar, e in eo gentes sperahnnt, E voi, se vorrete degnarvi di far
sia ringraziato
LETTERE
117
qualcuna delle cose sue, io credo che ve ne ricercher molto volentieri, e arallo di grazia. Cosi ha scritto a me, e so che dice il vero, e che v'ama, e ha fede in voi. ben vero che per stare dov'egli sta non potr con altro rimeritarvi delle vostre fatiche, che con quella gratitudine d'animo e memoria, che suol avere verso chiunque lo serve: sicch con la speranza di questa mercede sola potete entrare a
questo servizio; ed
citer.
io,
se vi fo piacere, lo solle-
bisogna che a' molti piaceri che avete fattD voi a me, aggiugniate ancora questo importantissimo e di grandissimo momento, come vi dir poi a luogo e tempo ma di grazia servitemi bene e presto. Vorrei che mi
Ora, messer Gio. Francesco mio,
e'
:
de' protonotari
apostolici,
partecipanti e
non
dell'archivio, o
dove
le
perch so che, oltre alla fatica che ci arete, ci sar ancora spesa, vi prego, metteteci ancor questa per amor mio, che subito che mi avvisiate quanto ella
sar, vi rimetter
tiate
i
punto.
Ma
fate,
presto, che,
come ho
mamente
all'onore e all'utile.
intanto che
di
mene-
rispondermi due parole alla ricevuta di questa, di quello che sperate di fare intorno a questa materia, e mandatemi le lettere per mano di monsignor nostro protonotario,
vi sia
rete le mani,
non
grave
dirette qui al
con pi riputazione,
118
LETTERE
che pi dire n in proposta n in
E non avendo
domi a
risposta della vostra lettera, far fine, raccomandanvoi ed agli amici senza Qne.
Da
Firenze, a
xvin
di
settembre mdxxxih.
XX.
AL MEDESIMO.
Reverendo signor mio. Io vorrei parecchie cose da voi. La prima e principale che foste contento rispondermi sopra quei privilegi de' protonotari apostolici che vi ho chiesti; idesU che me li mandaste presto ed autentici. Appresso, perch monsignor di Verona me ne ricerca,
vorrei che
mi avvisaste
di
E dicemi
il
medesimo monsignor
daste a dire al
di monsignor di Baiosa, che voi, o pi presto io mi sono dimenticato ma lo vorrebbe di velluto, e tale quale sapr fare sua signoria. Item, monsignor Giovanni della Casa mi ha detto qui, che messer Carlo da Fano cost apparecchiatissimo a pagarmi la mia pensione di questo Natale; il che mi soprammodo grato, e ne ringrazio esso messer Carlo. Ora
;
il signor Protonotario nostro, che se la facesse dare, e come l'ha avuta, mandasse a chiamare un certo mercante fiorentino che ha in campo di Fiore un fondaco, e chiamasi Girolamo
LETTERE
Salvador!, e dicessegli aver ordine da
gli
119.
me
di
pagar;
e se trovi che
monti tanto,
il
gli dia
;
detti denari
se
meno
facciasi dare
resto
se pi,
dica eh' io lo
satisfer
a ogni
prego che siate contento quando andate ad esso monsignor lo Canonico, portare con le vostre proprie mani la qui alligata lettera a casa de' Mellini, raccomandandola strettamente a madonna la madre di messer Piero, con dire eh' ella importa estremamente. A voi e a tutta l'Accademia mi raccomando.
,
Da
Firenze,
alli
XXI.
AL MEDESIMO.
Deh
fate
di grazia,
mai
dire,
che
le
non
si
altre, che dantur sine origine verii. Alla che io son ruinato, se le non si trovano non per me, che non ne ho che far certo, ma per chi m'ha ricerco che le facci venire, ed io gliel'ho promesso,
f
;
come molte
mi vi sono quasi
non mi dissi una strana parola, che messer Gio. Francesco Barengo
a cavaliero. presso che
Non
120
LETTERE
le sepellisse
non
uomo da
,
dar-
vele in
mano
lui
,
un poco
e se-
capo a
mi
scrisse che avevate presa, dico del mezzo ed opera sua; e intanto avvisatemi che diavol di questa
maledetta nave, dove dite eh' il quinterno della Camera, sul quale g'ha l'ultima speranza, che queste negre facult possino essere, acci ch'io abbi almanco da dar pastura a questi miei creditori, a chi
me
cerimonie.
Pu
rimen
la vostra
manco di rispondere a due lettere che gli ho scritto, e non ne voglia cavar le mani? Per Dio, quest'altra chiacchiera mi preme anche pi che la prima, e resto scornato, se non mi mandano tutti due presto
quella attestazione. Monsignor protonotario sa se
mi
pesa, e dirav-
l'ho scritto
perch a sua signoria ultimamente a lungo. Non l' ho scritto, n lo scrivo a voi, per non vi romper gli orecchi, oltre alle gambe e alle mani. In cambio di volerlo intendere, sar forse meglio che intendiate se sua signoria ha avute tutte le mie lettere, che le ho scritte in questa materia; ed avendole avute, la preghiate ad esser contenta di darmene un poco di risposta, perch sono conquiso, assassinato e consumato. Fotta! mi fareste dir qualche pazzia! Questa
una grande
mandar
le let-
ben segno
che
le
LETTERE
121
cose vanno "bene, e che non c' faccenda. Quando il procaccio andr in l, che sar sabbato, le mander
meglio non
vi
posso fare
e questo
messer Gio. Battista Figiovanni vostro e mio che dice che vi vuol tanto bene, quanto presso che non
,
uomo
l'ho ringraziato
,
altro che dire se non che prego Dio, che ogni d abbiate da darmi una nuova simile a quella che m'avete data, e duriate tanto che la cosa si riduca a due fin tre, e poi stia a me quello che voglia far di loro.
non ho
Da
XXII. AL MEDESIMO.
Signor mio osservandissimo. Barba Figiovanni nostro mi ha mostro il capitolo che gli scrivete in una lettera, che mi faccia favore ad entrare ed uscire della libreria di San Lorenzo per far quei servigi di Nostro Signore; alla
Il
nome
il
Dio
sar
addosso
al
Giambullari
caver
marcio dell'uno
e dell'altro
anche a Sua
il
d della nativit
V22
di Piero,
LETTERE
da uno che
lo pu sapere e dice a' 16 di Andr appresso cercando meglio, e
,
tutto
Sua Beatitudine,
le
piedi umil-
mente; ed a voi
Da
Firenze,
aili
XXIII.
AL MEDESIMO.
Il
Figi,oyanni
di
mi
(
dette
l'
altro
d
,
una
lettera di
monsignor
iitroque
Verona
scritta a
me
sotto la sopra-
mano
di
Risponder
alla lettera
Nostro Signore .... servitore Bino. Or domine! che non abbiate pi parlato a questo Nostro Signore, e che non siano mai pi finite le confessioni e le che scrivo d' ogni ego Icems scuse de' d santi? tempo, e scrivo ora che ho una gamba al collo, che ieri tornando dalla Certosa mi ruppe la mia cavalla, cascandomi vi sopra! Sono pure un gran coglione
, I
ancora delle altre volte, e dirovvi, che mi pare esser s come vi dico anche adesso chiaro che noi non faremo mai niente, quanto al ritrovar quelli quinterni scambiati nel libro, di che mi dette la nota mastro Ferrando; perch, oltre alla diligenza che ne feci io il primo d l' ha fatta
Pure
vi scriver
LETTERE
parecchi d alla
I'
123
fila
"
qual
mi
risolve, eh'
si lascia
come cercar de' funghi: pure non per questo di far nuova diligenza n si
,
Quanto al farli riscrivere dall'archetipo, in caso che non si trovassino, non bisogna pensare; perch siamo risoluti che tale libro non solo non V' , ma non vi fu mai. Lo Ippocrate con lo Erolascer.
,
mi
disse
il
signor La-
dice il Giambullari eh' un pezzo che il Guarino cav di libreria, e mandollo a Roma, n sa a chi; e conclude che non v' . E anche di questo non bisogna far conto qua cerchisi cost e per
;
ma
fin
Ho
gatori de'
colla col
sono drieto, e sino ad ora trovo due relazioni, l'una che nacque alli 15 di febbraio, l'altra alli 16 del 75; non ci passeranno per otto d che spero di cavarne il marcio. Se vi par di dire tutte queste novelle a Nostro Signore, fate voi; io ve lo scrivo ac,
il
modo da
e
da non
dirlo. Arci
glielo dice-
mia diligenza;
un
servizio a
me
di dire
mand
124
LETTERE
mai quella mia lettera a Camerino a messer Piero Menino e se crede che io ne possa stare con l' animo riposato e che mi raccomandiate a sua sirgnoria, e a quella del mio dolcissimo maestro Da,
;
miano, con pregarlo che sia contento di raccomandarmi alla mia magnifica madre e padrona madonna Ginevra. Oltre a di questo, quando vi vien visto
monsignor
di Segni, alias
le
mano
in
mano
,
come
sopra
dabbe-
nissimo signor Molza, a messer Giovanni della Casa, e a tutta quella divina Accademia. Cosi vi dia Dio grazia di avere un cosone grande per il vostro orto, con una fruscina trabaie tra gambe e una falciazza
mano, e che non vi s'accosti mai n brinata, n n bruchi n vento pestilente e abbiate fave e baccelli e pesche e carote tutto 1' anno s come desidero di avere io nel mio orticciuolo fallito qua gi, che attendo pure a raffazzonarlo quanto posso; ma trovo finalmente ch' una gran differenza dagli uomini agli orciuoli. Ptvre vo rie fazando el
in
nebbia
melo
cJie
posso, e in
alli
teiui la)07\
St con Dio.
Da
Firenze,
xii d'aprile
mdxxxiv.
XXIV.
A
Priuli
,
M. LUIGI FRIULI.
Ni
te
LETTERE
rhie
125
paratus annos, dico, Qtkintum qm2)ote plwimum perire, peream, et ne tivam. Io non vidi mai il pi dolce
gentiluomo
'1
pi gentile spirito di
d'essa, yXuxCTv ia
a Venezia e a Padova, e
ovunque pensassi che poteste essere per baciarvi, per abbracciarvi e per adorarvi. N si pu stimare
il
martello che m'avete cresciuto a quello che avevo prima, e che, '1 pi che ho potuto, mi sono ingegnato di esprimere nelle lettere che ho scritto a
di Vidore; nelle quali, e in tutte le altre
monsignor
se
non
fo
menzione
di
voi
se
non ho sempre
,
in
bocca voi siccome v' ho nel cuore chi ho avere? che non credo che non pure cost,
io
ad
in
ma
da comho voluto cento volte pigliar la penna per scrivervi e rompere tanto silenzio quanto ho usato con voi da poi che vi lasciai, e darvi conto di m-e e della mia vita, e di tutto quello che fo, come a persona tanto benemerita di me, che deve essere ragguagliata e informata di tutte le cose mie; ma giammai lanegligentaccia, anzi la mia disgrazia mi ha lasciato. Ora
si
trovi persona
,
che voi mi avete prevenuto et in tantis lenedictionius dulcedinis, pensate che mi son vergognato e do-
me medesimo estremamente; pure m' an* che piaciuto estremamente vedere, che non pertanto vi siate punto alienato da me, ma mi scriviate una lettera tanto dolce e tanto cara, quanto non so
luto di se
uomo
potesse scrivere ad
un
altro
ben amatis-
26
LETTERE
e
ben carissimo. Ve ne ring-razio con tutte le viscere dell'anima mia, e prego Dio che ve ne renda merito per me, e voi che siate contento seguitare di darmi talora, quando vi avanza il tempo, qualche consolazione simile che vi prometto per
Simo
;
y-xi
toi
jjLyxv
opxv oao~aai
che non mi pu venire in questa vita cosa pi cara. Infinito piacere ho preso d' intendere che abbiate saputo il progresso della vita mia dappoich vi lasciai; e molto pi infinito, se potessi ricevere argo-
mento che
mia deliberazione, perch non stimo meno il vostro giudizio di me che 1' amore che mi portate; e parmi avere un condimento suavissimo delle mie azioni, avendo il beneplacito vostro. Non so che semi mi avessi, ch'abbino potuto far frutto o fiore alcuno buono so bene che ho da ringraziar il mio Signore Iddio di molte cose, ma d'una massime, che mi dette quando io nacqui il timore e l'amor suo, e '1 desiderio d'esser cristiano il quale interrotto ora dalla mia fortuna dura, ora dalla mia perversit, non ha mai potuto far segno alcuno di s fino ad ora, che ( merc di Dio ) m' pur apparsa un poco di luce della benignit e umanit sua spiritualmente e temporalmente ed ho fatto s ch'io ho preso il camino che avete inteso, che ben un poco viaggio per insino a qui, e una piccola parte di
lodiate la
,
; ;
;
pure mi vo aiutando quanto posso, e ingegnando l'esser ogni d meno riprensibile. Starommi qui fino che piacer alla Maest di quello che mi ha inspirato a fermarmici, e quando non gli piacer pi [che ci stia andr dove sar chiamato da lei; perch non penso d'avere n que,
LETTERE
sta n citt alcuna
sola che
,
121
manente e stabile ma quella non vedo e solamente credo. Voglio dire che non mi dispero per in tutto, come fate voi^ di non avervi a rivedere a godere e a vivere anche con voi gli anni; e forse che mi verr il grizzolo un tratto, senza dir niente qui a persona, di venirmene a Padova per le poste come feci l'altro d a Roma, e tornai), e assalterovvi all'improvvista, che non ve lo penserete. Crederestemi ci che vi dico pi facilmente se poteste vedere il cuore che ho verso di voi e quanto amore vi dentro verso le
,
,
vostre virt e
vostro gentile animo. Salvatemi pure una camera terrena o volete in palco o in mezzo, e segnatela col nome mio che vi prometto ad ogni modo venire ad usarla; e se mi verr bene, torner indietro se no, sar anche uomo per starmi e morirmi col mio Friuli, e seguire il disegno che, sendo a Verona, ebbi pi di cento volte in animo dico di far la mia vita ( e sapete che ve lo dissi ) con voi. Tutta la estrema parte della vostra lettera, mandatami dal veramente unico in ogni virt signor Contarini nostro, era consumata, anzi stracciata di sorte, che non ho potuto leggere se non certi fragmenti di linee; le quali parca che dicessino di non so che mie composizioni, e che desiderereste averne, pensando che ora debbano esser gran cose. Se avete voluto dir questo io vi rispondo che non ho fatto mai a' miei d cosa buona e meno da poi che non
'1
,
, ;
Ma
f
di grazia
,
se pure
l'
avete
128
LETTERE
non credete, perch io non sono per stare lungamente senza la vita del mio reverendissimo padrone monsignor di Verona; e sapete che andando l, non si pu senza infamia lasciare Padova, e '1 complesso di tanti signori virtuosi, e, come voi ben dite, veri
amici miei; e conseguentemente quello de' miei singolarissimi padroni, gli signori Coutarini, che quan-
do penso a quel convento di spiriti divini, mi vien voglia di avere ale &yo\2iTe^ et requiescere ut columda. Intanto andr tollerando questo desiderio al meglio che potr con la memoria e col pensiero e pregher
;
Dio che altrettanto facciate voi verso di me, e preghiate gli altri padroni ed amici che faccino ancora
essi.
Raccomandatemi
di
alli
a quel
Vidore principalmente, al mio signor Navaieretto, messer Iacopo Barbo, e a tutta quella felicissima compagnia; e scrivete qualche volta mandando le che lettere a Venezia a Messer Francesco Corboli fa per li Strozzi, che ne far bonissimo servizio. Di Fiorenza.
a
,
NOTE
AGLF SCHERZI SCENICI
firn.
Far*
ir.
131
Interlocutori.
Catrina Aa Caterina,
Giannone
Accalappiato
10). Accalappiare,
da
illa-
meta/. Saresti
mai ammogliato?
Il), che rnusa; stupido^ insensato.
l.
Y),
per similit.i7ifranto,sfra^
3).
Che
la
l.
Spanspicca
135
i
NOTE
capi,
panico, o di mi-
glio,
dire:
Che
bia
t'
ammazzi.
(^. 23,
?.
Aghetti de seta
di seta.
Tocco coir largo {p. 23, l. 10), sorta di berretta. Decimoni (p. 23, l. 12). Il Bocc. Lab. usa decimo per isciocco, scimunito : qui decimone sembra r accrescitivo di decimo, e mi pare usato con egual senso. Tu sei sempre a riddoni {p. 23, ^.15). Qui riddone
si piglia
per
lo Ridotto,
dal canto ;
e
cM
Riddone,
Tu
parevi
un maggio
delle sei
(i?.
23,
l.
Ghiarghionaccio [p. 24, l.%). Peggiorativo di ghiarghione, che vedremo pi innanzi. Farmi chiacchierone, ciarlone.
No
guagnele {p. 24, ^. 5 ). Guagnelo voce coi'rotta da Vangelo, ed usata a maniera di giuramento da villani^ e contadini, e dicesi alle guagnele e
alle
{p. 24,
l.
8), d'Antonio di
24,
l.
9),
laggi basso,
ma
alquanto lontano.
24, l. 10), aiutasti.
,
Atasti (p.
Batacchiare {p. 24, l. 10), Abbatacchiare Abbacchiare, Bacchiare, battere con batacchio, o pertica,
e dicesi per lo pi delle frutta quando son suir albero*
ALLA CATRINA
val
d
{p. 24,
l.
133
Rappattumare
cere,
al
:
Malm.
la seguente spiegazione a
questo terbo
vin-
l.
16), broncio,
ma
non s'usa
Guarnello
Panno
tessuto d'accia e
bam-
per
Io
lo
me
il chiamar la veste nome del panno di che ella fatta. rivilico {p. 25, l. 4). Nella Crusca si legge sol-
con diligenza e minutamente; parmi che qui rivilicarsi sia preso nel significato di ricercare in se
stesso, meditare, logorarsi la
qualche spediente.
Lagare
{p. 25,
(jo.
l.
7), lasciare.
/.
Sgretolare
mosca,
25,
l.
e talvolta infuriati.
Derittamente
Fiolariso
{p. 25,
l.
15), lo stesso
affatto.
che diritta-
Giglio. Centauil
fioralisi,
perciocch avevano
gambo un
ralisi,
quasi
da
all'adornaI,
mento
p. 78.
134
NOTE
Vitalbaio {p. 25, l. 17). Luogo pien di mtale. Sembra che qui wglia dire: tu t'esponi a sicuro pericolo ec. ci che si
pu dedurre dagli
le
eletti che
sgarrettare {p.
25,
l.
20), tagliare i
Gr aretto
che si congiugne
gambe.
/.
24),
l'
il
Tu
l.
9), tu
mi
cercando.
Arrandellare
in arco
17).
Significa
propriamente
il
randello, e
che s'avventi o
esempio.
Se
tarpa {p. 26, l. 19) , sembra che voglia dire, se afferrandoti, abbrancandoti nel mezzo, t'impedisce
ti
,
fuggire
come
si
fa
cogli
uccelli
tarpando
ossa
penne delV ali; giacch tarpare vale appunto spuntar le penne delV ali, e flguratam.
loro le
spuntando
Ti
manda
al rezzo
{p. 26,
l.
20).
Mandar uno
al
modo basso, vale ammazzarlo, cio mandare il corpo suo sotto terra, al fresco. Sgherro {p. 26, l. 22) qui in slgnijicato di uno che
rezzo flg. e in
fa del bravo,
ma
ALLA CATRINA
To'
!
135
{p. 27,
Z.
l.
Alla pulita {p. 27, ^.9), inforza d' avv. per pulitamente.
Venire
l.
Az-
zuffarsi.
Al corpo a dieci
'
(_p.
27,
1.
come corpo del mondo, corpo del Diavolo ecc. De' principali {p. 28, l. 4), mi sembra che-voglia dire:
tu te ne ridi^ che sarai de' primi
zato.
ad
essere
ammazd'Av-
Avventategli {p.
28,
l.
1.
D'imbolio {p. 28, l. 19), furtivamente. S'egli zuccone ecc. {p. 23, l. 20). Continua a spropositare dicendo di volersi appiccare ai capelli se
'
ha
Gaveggino
gheggiare.
{p. 29.
l.
5), vagheggino.
G2i^eggmve, va-
La
l.
6), che
uno strumento da sonare, fatto a guisa di staffa con alcune campanelle. La staffetta, la quale vogliono
il
Nardo
29,
l.
16).
186
NOTE
ser come cascante per abbondanza di umori; porta
quindi
V esempio
sbonzolante poppa. Per approssimazione al detto significato parmi che qui voglia dire : e perch
sei s pieno, s carico di
ma
roba?
Questo vocabolo non si
Terracrepi
{p.
29,
/.
19).
ma
mangia in insalata. Pappastronzoli {p. 29, l. 19) non si trova nella Crusca: lo stesso che Mangiastronzi,^aro/a qui detta
e si
{p. 29,
l.
Che pare
gliaio,
il
mio
l.
1). Paglia',
Pa-
in covofii, fatta a
Quinamonte
alto^
{p. 30,
/.
ma
alquanto lontano.
1.
a modo di cero,
S.
giorno di
Giovanni
a Firenze nella Chiesa del Santo. Dice il Salvini nelle sue awiotazioni alla Fiera, che eran portati come a figura d'offerta, su certe barelle dagli Abbandonatij che son fanciulli restati senza padre, ed
alimentati in Firenze in
minato.
30,
/.
{p. 30,
16).
Mattacchione, accresc. di
Matto, Pazzerone.
ALLA CATRINA
Traino
(p. 31,
l.
137
) S
Oh vamo Nanni?
Intraversato
il
{p. 31,
l.
6)
Andiamo Nanni.
/.
11).
Intraversare
quando comificiano
a commoversi ;
tuditie d'insetti
e si dice
Mi
si eccit
Che Dio
Sbrucare care, levar via le foglie a' rami. Qui per vorr dire che Dio ti levi da questo mondo.
te
sbruchi {p.
32,
6).
bru-
similit.
Quinc'oltre {p. 32, /. 11), qui intorno. Masserizia {p. 32, /. 12) roba, cosa.
Dificio {p. 32,
l.
Ed aveva uno
Stile
,
stil
(i?.
32, /. 23).
,
legno
tondo, lunghissimo
e diritto
ma
che
Codiare {p.
eh' e' fa,
33,
/. ^),
dove
e' va.
il
suo senso
Girandola
{p. 33,
^
l.
trombe di fuoco razzi, ed altri fuochi lavorati, la quale girando schizza fuoco. Gran fuochi lavorati
appesi
in
a' cerchi.
pertica.
Ch'ha
man
fitta
Sconciatura
per
mal
fatta, onde
138
NOTE
sconciatura si dice anche ad
uom
contraffatto;
mi
3),
dissima velocit.
De que' marchiani
priamente sorta di
l.
Marchiana,
jro-
ciriegia, che
che si favella, e
s,
Or questa
chiana! Salv.
Codiai {p. 35,
so.
l.
Viso de moria
Ch'io per
Moria
mortalit pestilenziale.
me
la
vo'dar
{p. 35,
l.
20), ch'io
me
ne
voglio fuggir.
Quinc'entro
cam. 69
(i?.
V. i Deput.
De-
e 89. Quicentro.
Stentare
{p. 35,
l.
Michinino
Ch'
l.
{p. 35,
miccino
(^. 35,
non me mandi
in qualche
buco strano
Sguerruccia
brottare
arme
offensiva.
E vien bollendo
,
borbottare.
Il
'1
marito
le
disse
non che tu
I.
potresti avere la
mala
117.
Giorn. V, Nov.
IL pag.
ALLA CATRINA
139
Come una
voce^
bertuccia {p.
35,
/.
facendo con la bocca quei gesti che fa la scimia qtia?ido in rabbia, cJie pare eh' ella borbotti.
Dire
il
paternostro o Vavemaria o
V orazione della
Conciar
(j?.
36,
?.
l.
che millantarsi.
Che tu
cio
sra' siavo {p. 36, l. 7). Smvo per savio, prudente, avvertendo, che la segiiente promessa
te dar 1
perdono
ironica.
Dar nella scarsella {p. 36, l. 14), cio per quanto parmi battere sui panni senza offendere?
sai ch'io
me
ne scrupo
37,
l.
(p. 37,
l.
7) cio forse e sa
ch'io
me
al
ne offendo.
lupo {p.
8), prov. usitatissimo
,
Gridar
non
si
non
sia lupo, o
can bigio,
7ion
si
dice
riiai
pub-
Mi
no, come
si
fa gridando al lupo
l.
se?iza inseguirlo.
lite.
10), questione,
l.
Gavocciolo
{p. 38,
^
10), enfiato
cagionato per
volte
lo
pi dalla peste
d'imprecazione.
e dicesi
alle
per maniera
Tu
l.
cheendo,
Rombazzo
[p. 41,
l.
risguarda
il
140
sole:
NOTE
qui posto figuratamente , e
mandar uno
al
Casciano {p. 43, l. 7), paese al miglia da Firenze su la via che mena a Roma. Vogliano (^.43, ^.9) invece di Vogliamo. Za o^^ra edizione per errore ha vogliamo.
Rat ire
{p. 43,
l.
morire di dolore.
Lapo {p. 43, l. 24) da Jacopo. Unguanno, e Uguanno {p. 44, l. 6), questo anno. Gran d'anno {p. 44, Z. 7), cio grano di un anno,
cio m^lta scorta di viveri.
Slate
{p. 44
l.
16
Brulicame
il
Bulicame {p. 44, l. 18), propriamente nome, che si d ad alcune vene d'acque^ che
e
sorgono
di Viterbo; e pigliasi
di
simili acque.
ma
E
'1
sambuco
l.
22).
casa
col forno
ed una
fors' anco
vuoisi intro-
Ciaccherina
Ciacco
,
{p. 45,
/.
2).
Ciaccherino diminutivo di
'Porcello.
dicesi
d'uomo finto
e accorto.
un buon
Che me
Paffuta
ciaccheriuo.
me
la tolga.
45,
/.
ALLA CATRINA
Sofflcioccia {p. 45,
l.
l4i
Braccatoccia 0?.
ciata.
45,
l.
Gambata
ta,
{p. 45,
1.
12).
Aver
la g-ambata, o la stinca-
modo basso esprimente VEsclusio7ie da matrimonio un altro; e dicesi anche Dar la gambata, cio prender per moglie, o per marito la dama, o il damo altrui. Il Saltini fAnn. sopra la TanciaJ d alla suddetta parola wia spiegazioie pi ampia di questa riportata dalla
desiderato, che vien coficluso con
L^
G^.m.h^itB, di
si dice:
fasciati lo stinco.
un
contrattertipo,
che
cade e batte
lo stinco, o la
gamba,
e si riduce
Cosi ne ten-
nomi di stincata, e gambata, e sertiplicemente aver avuto uno sgambetto, essere fatto cadere.
strascinato le parole {p. 45,
/.
Ed hanne
m^i
14), cio
tu t'avvolli
Ayv oliere,
voce COU"
tadinesca., avvolgere,
qui al flg.
1.
proverbio Chi
Che
la te
d(X
PUTA
l.
142
NOTE
47, ^.6),
wce
Rugiolone D'andarne
(^. 47,
l.
7),
pugno.
{p. 47,
l.
10). Cassone vale anche Deposito, Sepolcro, sopra di cui una lapida, e si dice ancora Arca, per esser fatto a questa foggia; onde Kn^^iYQ al cassone, dicesi in modo dasso^
e
al
cassone
per Morire,
Mandare
{p. 47,
l.
al cassone,
per ammazzare.
di
Camarlingona
Recipiente
rito assai
17), accrescit.
Camar-
IS),
per Orrevole
Fir. Nov.
e di laudabili
un ma-
ben recipiente.
47,
l.
Assiuolo {p.
civetta, se
pi ne' monti, al
pianure, ed ha
ama
le
V al-
Capo d'Assiuolo
dicesi al-
ignorante ecc.
Tarchiata
Di grosse mem-
bra; Fatticcia. La
Luig. Pule. Dee.
Stietta
(j?.
Becamia
soda, e tarchiatella.
47,
l.
tarchiata;
era grossa,
ma non
{p. 47,
grassa.
l.
Vendereccia
muove per
Metterli una boce {p. 48, l. 2). fletter voce vale chiamare ; come chi dicesse: Dagli una boce. Dare
una voce
significa Chiamare.
l.
....
ALLA CATRINA
Ciglion (^. 48,
la
?.
143
rilevato
12). Quel
terreno
sopra
fossa che soprast al campo. Maluscristo {p. 43, l. 14) non si legge nella
d'usua.,
ma
bens
,
Manuscristo,
la quale si
fezione
adopera per
48,
l.
Pasticche.
\^).
Occhi
ladri,
rubano
cuori.
48, l.'iA). Scioperare, e scioprare.
Scioprata {p.
der tempo.
Le-
Acetone
(i?.
50,
4), specie di
malattia., epidemica
fra
certi animali.
Fu
usato
a m^do d'impreca-
zione,
come Canchero, peste, malanno venga ecc. Il Cecchi nelle Comm. L'acetone venga alla falla.
ip. 50,
l.
Rovenio
7).
'Pieni di
nuto in mente,
o
l.
l. l.
Biancoso
Relevato
{p. 50,
{p. 50,
Arabico
{p. 50,
Fatto al ritroso
{p. 50,
145
NOTE AL MOGLIAZZO
Il
Mogliazzo
ij).
53,
l.
1), il
Matrimonio.
Quinavalle {p.
lontano.
53, ^.6),
ma
algtcanto
Dirubbiato {p. 53, ?. 7), mi sembra che voglia dire : guest' un anno tanto cattivo^ tanto rovinoso., che
tutto va a precipizio.
Lonza
{p. 53,
l.
8), dicesi
zampe rimane
at-
menar la lonza,
II.
affaticarsi molto,
Berni.
Parte
10
146
NOTE
l.
ci
avvollan
come un
l.
10).
lo
,
piU
sul
di legno
per dipanarla o incannarla. Avvollan qui posto per Avvolgere , poich dicesi in proverbio, Aggirare uno come un arcolaio cio strapazzarlo, av,
si dice
54,
1.
11),
ragionamento
14)
{p. 54,
l.
De
piatto {p. 54
(p. 54,
l.
l.
Buzzicare
Spricolato
55,
l.
3), qui
dire.,
l.
12), vale
Processione
dini.
{p. 55,
l.
il),
Ho bestiame
a'
e case
e processione. Luig.
Pule. Bec,
Andare
l.
AL MOGLIAZZO
Disrobbiato logorante {p.
E'
56,
147
3).
{p. 56,
/.
4), cio se
ne veg56,
l.
Gli spricola
poder fino
alle
piante {p,
5).
come suol farsi popolarmente con certe parole enfatiche. Qui dovree valere metter sossopra, svolgere, in
Gli
l.
{p. 56,
Sveglione
l'uso.
(j3.
56,
antico da sonare
Quand'egli in bilico
si
{p. 56,
l.
8), cio,
per quanto
e difiicilmente
un buco
al
campo
12).
Gli dar
un buco
cio
un pezzetto
l.
di terreno al
Io
al terreno incolto.
te squota [p. 56,
16). Squotere o
Accanato
{p. 57,
l.
e dicesi delle
e delle
persone.
Deguazzati
{p, 57,
l.
13), diguazzati
per dimenai^
148
cio
NOTE
pensa
e
^i?2-
ch tu
te n'
Quasi averla masticata {p. 57, l. 16), averla quasi intesa. Masticare ^^. vale esaminar bene alcuna cosa seco medesimo ragionando tra s, da che ne
segue che la s'intende bene o male., secondo che
viene masticata.
Manzotta {p. 57, l. 21). Giovenca, Vaccherella; quifig. Se ben te ne incog-lie {p. 57, l, 52). Incogliere., e
Incorre in signif. neut. vale Accadere, Intervenire,
Succedere.
Boccata {p. 5S, l. 7). Voce dello stil burlesco Che ha gran bocca. Dassaiaccia {p. 5?, l. 9). Parola che deriva dal Das.
Qui per
15),
ironia.
la
l.
Branco
in
{p. 53,
l.
18),
nimali della medesima specie adornati i7isieme, e fg. modo avvilitivo. Quantit di persone.
{p. 5S,
l.
Teio
19),
l.
Ghiro
il
{p. 58,
23).
Animai salvatico
di colore e di
ma
di coda pannocchiuta,
il 'cerno, e si
Bucellacci (^.59,
fica
l.
10).
io
Giovenco; ma
si
parli
una
giunta,
ad una dote
AL MOGLIAZZO
Strainare {p.
dal lavoro
59,
149
Burrone {p.
profondo^
e
60,
l.
5),
iogo
per angusimilit. vuol dire: trammi dal buio, dalle stie in cui sono di sapere come hai fatto ecc. Pazzerone {p. 60, l. \0),poco meno che pazzo. ponla su, mozzala {p. 60, l. 21), forse finiscila,
per consegiLenza
scuro. Qui
troncala.
Te
l.
can-
Raticon
ilo, e
{p. 61,
l.
13).
Raticone
?;??<?
o 'R^iWo.ov
avver-
andar raticoni
in
andar
ratio,
andar va-
gando
qua
e in l.
l.
Segnata
benedetta
{p. 61,
,
l.
16), aggiunti
che si
li-
non rivolerla.
Per questo
io
non ho
La
Codrione
Codione
{p. 62,
l.
,
15),
V estremit
delle
sesso
pi apparente negli
di grosse
Fatticcia {p.
62,
l.
24), atticciata,
mem-
Cioppa
a guisa di gon-
l.
7)
per parole.
150
NOTE AL MOGLIAZZO
{p. 63,
l.
Ch'io trafelo
e
Pro-
Chelo
quasi venir meno per sovercJda fatica^ o caldo. e Chello {p. 64, l. 15), da Rusticello ^ e pi
rottamente Michello.
{p. 65, l.^)-. forse lo stesso che Scorpare die vale Mangiar lene e assai. Riddon riddone {p. 65, l. 11). Nel Fan/ani si
Scorporare
legge:
ridda.
ant. Con
aria di
NOTE
ALLE LETTERE
153
ILcttera. 5.
A MESSSR AGNOLO
pag. 69.
DIVIZIO.
vizio, detto
a' servigi
comunemente
.to.
li
Cardinal di Bibbiena,
Berni accomod
154
NOTE
Lettera
III.
Di Latino Giovenale, che fu della famiglia de^UsiuetU ci ha lasciate diligenti notizie il Marini {degli
Archiatri Pontiflcj ec.
Tom.
353)
in
I.
e.
334
ed egli ha
prodotta (ivi, T.
crale che gli
II. e.
la Iscrizione sepol-
fu posta
Roma
alla
Minerva , in
e gli onore-
suo
Lettera \,
il
Sanga
ecc.
f^l.
2QJ.
Giambattista
appresso di Papa
fra
Lettera
l\,
AL MEDESIMO,
pag. 95.
Pensai essere
stato
il
nel!'
Abruzzo
l.
22^. Era
ALLE LETTERE
di
nn''
155 Giberti
sue
liCttera
TU.
il
che
E m' han
Le virt vostre mi v' han fatto stiavo, legato con tanti legami Ch'io non so quando i pie mai me ne cavo.
Lettera Vili.
l.
27y.
che sotto
le
famige-
15
'.
NOTE
Lettera IX.
AL
?J
101.
ed ora
ramo della
med^esima.
Lettera X.
AL MEDESIMO.
pag-.
102.
Perch se non uno, che da Venezia conduca questo messer Marco in qua ecc. f^p. 103, l. 207. A
qtcesto
stato
messer Marco da Venezia che sar forse 2m Contarini famglia che ha in Piazzuola
,
,
,
beni staMli
e'
case di delizie
scrsse il
,
,
Semi
il
I pag. 97
e che co-
mincia :
Quant'
io
ALliE
LETTERE
157
Lettera XV.
il
,
Berni
dite
I pag.
105; ed
misfatto si volle
come con-
entramU^i 8i Raggiunse eh' egli fosse soggiaciuto poi per comando del principe alla megere quanto scrive
desima infelicissima fine, su di chepter vuoisi legil Boscoe nella Vita di Pnpa
Leone
-8,
pag. IV-
Lettera XVI.
A MESSER
GIO.
FRANCESCO
BINI.
pag. 112.
Qicesta
e le
fiorentino
eh'
stato
anco costantemente
amico
del Berni,
,
burlesche e di saporiti versi latini. Scriveva il Mazzuchelli /^Scritt. d'Ital.y d'essere in possesso
di otto lettere autografe allo stesso
158
NOTE
affari di monsignore liberti. Riescimmi infruttuoso il tentativoldi aggiugnere anche questo manipolo alla presente raccolta.
ad
Lettera XVIII.
AL MEDESIMO.
pag". 114.
Per conto
rp.
de' suoi
115,
questa negra casa che ho comprata ecc. l. SJ. Di questa sua casa, di sua madre
il
pag. 165.
Lettera
X:JL,
AL MEDESIMO,
pag.
118.
Messer Carlo da Fano ecc. rP' HB, l. 20^. Questo Carlo da Fano era Carlo Qualteruzzi intimo amico
di molti valentuomini del suo
zielt del Cardinale
tempo
nel
ed in ispe-
Roma
la
15*25, in-i.
Monsignor Friuli,
ALLE LETTERE
159
Lettera XXIT.
M. LUIGI FRIULI.
pag. 124.
Et requiescere ut coliimba ecc. rp- 12^, L 9J. QuesV ottetto del Berni pel suo Friuli e per altri amici
viniziani si
fa palese anche
ii
i7i
pitoli burleschi, e
Abati,
si
legge f^Farte
p. 1047;
Se
fati
le stelle, o
Volessin eh'
Secondo gli auspicj e voti miei, Dappoi che '1 genio vostro s m'invita. Vorrei farla con voi eec.
VITA
DI
PIETRO ARETINO
Bern
Parte IL
11
163
Beuedetto Ijoiuellino
il
g^enoTeiie
Berui salute.
cio
il
Mauro
io.
Queste son
le
l'innalzano al suon di
campane
alle stelle,
onde volando la fama, forse creduto dottissimo e ricco. Dotto era quando aveva Agostino Ricci lucchese.
Don
Pasquino
(e
pur fosse
della
sia
egli
Gio. Francesco
taglia Icgne ;
Stuffa
si
il
Bruciolo
ma
il
come
vuole. Io vi dono
la vita di Pietro, e
a non metter
ecco io lo metto.
Di Roma, a
di
20 settembre 1538.
INTERLOCUTORI
Berni
Mauro.
Se tu sapessi per che cosa rido 1' aresti caro. M. Se tu non mi dici altro che questo non lo
B. Forse,
sapr.
che se tu
lo sapessi
Vuoi che
te lo dica?
M. S, dimmelo.
B.
Oh non
,
se tu vai in colera
saprai.
1<56
Vita
B. Son contento. Io lio visto una lettera d Pietro Aretino indirizzata al signor Giovan Giacomo Leo-
ubriaco
pi
si
e
u
dopo
la loda de'
Ma importandomi
il
cuoco che
io gli
,
ruppi
si
un
capitolo
Mauro che
fosse biscan
tato da lui al
suon
Come diavol s tu ne ridi; s rido non mica io. Che vuoi tu? ch'io pianga. Io non stimo la parola d'un asino povero, come Pietro, e dir come dice il Fortunio: io so far pi con li piedi, che non sa far egli con l'ingegno e con le mani. Se
M.
B. le
sue cose durassero dopo la morte, forse ch'io me ne curerei ma non avendo a durare non le stimo
,
un
baiocco.
mi
hai chiarito.
Quando
Che
tu noi sai?
mai Pietro se non in ritratto, il quale trovai di quaresima con un principio delle sue lettere nel caviaro. Ne ho ben udito a dir male di lui dal gentil cavaliero Andrea Zane, ed ho visto non so che lettere sue. Dopo questo ho sentito a contar la sua vita ad un ragazzo, che era stato con lui, ma non iiitesi delle quattro parole le tre.
M. Noi so, n viddi
B. Io
M.
Non ne
DI PIETRO ARETINO
B.
167
Poich tu hai cos caro, avendone tu desiderio, sua vita, la qual parte ho sentito da quel matto di Niccol Franco, e parte da Francesco Marcolini: ma io ti dico bene, che se per sorte
ti
vo' contar la
io lasciassi
qualche cosa , che tu mi perdoni persue gagliofifarie sono tante , che chi le voo non se ne ricorderebbe o non ne lesse contare
,
ch
le
verrebbe alla fine quest' anno. M. L'avr a caro d'udire quel poco che tu mi dirai; s che di' pure ch'io t'udir volentieri, bench
sia
d'
un
furfante
come
per sorte sapr questa cosa. E per Dio , che bisognerebbe impiccar li signori, che gli mandano danari.
B. L'Aretino, acci
que in una
di
villa
padre villano, di madre schiavona e puttana. Fu simil a quel del poeta Virgilio. ma Virgilio col tempo fu ristorato e B. vero romano con Cicerone parentato, e cofatto nobile stui fu stroppiato, e alla fine sar impiccato, come
M.
, ,
,
un mwo.
Dicesi che la
torir
madre
,
la notte innanzi
il
sogn par-
un
otro di vino
sia
ch'egli
si
chiamato di-vino.
madre
di
Pluto
non gi
ma un albore gran-
163
VITA
cinque anni , si mise a studiare il babbuino la Macarona di Merlin Mantovano con tanto studio e con tanta cura, eh' avrebbe di gran lunga perso Alflsibro, che studiava quindici ore ogni giorno. M. Cos par ben nell'opre sue. B. Contasi un miracol di lui.
,
M.
B.
Che
sar.
Fugli posto da picciolo innanzi, Virgilio e il Petrarca da un canto e dall' altro 1' Ancroia e gli Amori di Luciano. Mirabil cosa! egli inspirato da
,
il che fu granr Ancroia e dissimo segno della grandezza dell'animo suo. M. Cosa mirabil certo, e degna d'uomo s fatto. B. Fugli posto da poi dalla madre dinanzi, lauro, edra, mirto cavoli, erbette e lattuga il putto non
,
cieli
tolse di
ebbe cos tosto visto quelle erbe, che egli allanciatosi al cavolo, onorevolmente se ne coron la fronte con gran piacere d'alcuno. M. Non merita altro costui, e degli altri, che ce ne sono assai come il Porro poeta il cavalier Bolognese , Quinto Gherardo il Tinto profeta Carlin capo di Vacca, sier Dragoncino, Matteo conte di San Martino, che nuovamente ha fatto la Pescatoria a concorrenza dell' Arcadia del Sannazzaro divino e colui che fece la spada di Dante. B. E degli altri ancora; ma odime: poseli innanzi sua madre, rame, oro e argento: egli prese l'oro; diede segno evidente del suo saper assassinare ciascuno. Ma che dir io di tanto uomo? Certo merita che alcuno s' agguagli alla grandezza dell' animo suo (ben che egli si muoia di fame), ma questo si dia a licenza poetica.
, ,
, ,
DI PIETRO ARETINO
169
avvedere quando esso va a tavola sparecchiata. B. Che importa questo ? basta eh' egli si .pasca di
alle
volte pi che
di Spirito
Il
non
si
,
Santo.
B.
No, diavol
;
diavol noi
vuole
pensa, se Cristo
una opera
sette
suo giudicio perfetta; il titolo fu Le allegrezze^ quelle dico io, che cantano i ciechi
al
nella chiesa.
mi M. Per Dio eh' elle han dello stile di Pietro maravigliava bene, ch'altri che esso facesse queste cose cosi bene. B. Fece il lamento della Madonna, il concilio e la
,
:
pompa
del
Papa
e dell'Imperatore
il
la circoncisione
comparas
il
calda-
mente rub
vende
M.
Cortigiana commedia
istorie.
Non poteva far meglio che fingersi furbo, bench non finga ma facci davvero. Ho visto tutte le cose che dice e ho visto il capitolo egli mi pare
,
, ;
la sciocca
che vogliono gareggiar teco. Che cera ha Quinto da far capitoli, capitelli , per Dio , mi maraviglio ma ringrazia Dio, che tu hai chi procura di far vendetta per te. B. Chi costui?
,
minestra
cagioni coloro
no
ch'egli
VITA
il
ha lodato, l'ammazza,
aveva
s caro, lo lasci.
B. sta ad udire se tu vuoi; ebbene allegrezza suo padre talmente, che esso venne in speranza di salire a qualche grado onorevole , e in vero eh' egli
non stava mica assai bene. M. Che arte faceva suo padre?
B. Il ciavattaro, e di
ma restano
ancora
sua
,
mano un
tino
sonetti della
mar-
chesa
che non sono stampati. M. Oh questo s che stava bene a costui e non si conveniva altro che questo e io farei potendo , quel che dice Lodovico Dressino, notaro a Vicenza, che ora in Venezia, e tien baratola, cio, ch'egli
,
mi
facesse
sempre
le
B.
Lo
dutolo accostumato
narlo alla
me1
Romana
Corte.
M
bel viso, subito se ne corre verso
Roma
;
....
bardasse
le
le
dotti, le
;
virtuosi
,
li
schiavi
;
da
li
tutti
bardasse
e trionfano e
da
tutti
muoion
di
,
fame
beati
pedanti
:
or togli
mondo
ch'io te
ne incaco,
e a chi si sta.
DI PIETRO ARETINO
B.
,
171
Lo conduce alla corte RoOdi se tu vuoi. mana, n s tosto fu giunto, eli' egli fu tolto per bardassa da messer Agostino Ghisi, uomo riputatisi Simo e ricco. Ivi compose parte de' suoi sonetti divini, compose quel suo strambotto che dice, u " eh' egli ha poi stelluzza d' amor o angel d' orto messo nella Cortigiana comedia fece un sonetto sopra la cuoca del mio padron monsignor Giovan Matteo vescovo di Verona, per il cie ne fu stroppiato col tempo. M. Dimmi di grazia, come and quella cosa? B. La cosa fu come ti dir. Il sonetto ch'egli fece sopra la cuoca, venne in mano a un certo suo innamorato, il quale parte per odio, e parte per questa ingiuria, trovatolo solo, con pugnale lo guast di cinque ferite nel petto e stroppigli le mani. Credessi ciascuno il vescovo aver fatto far simil errore e si disse. L' Aretino saputa la cosa, disse mal di Clemente, che non ne l'aveva volsuto vendicare, e mal del mio vescovo, che l'aveva ingiuriato. Io gli risposi con quel sonetto:
,
, ,
Tu
con
il
sapeva bene, ch'egli era stroppiato, perch ho visto un verso che dice
:
Pii tolte
B.
Tu
hai udito;
ma
tornando dove
,
io era,
dico
eh' egli
compose
il
sonetto
172
lettera in
VITA
nome
,
del cardinal
,
da Siena
, ,
la quale
,
abbi misericordia
ecc.
ed quella , die' io, ch'egli ha messo poi nella detta Cortigiana comedia in nome di messer Maco da Siena. Compose la vita di Lippotopo, la quale, trovata dal Dra-
stesse tanto a far male. A quel eh' io veggo costui merita mille forche, e credo ch'egli sia sempre trattato male, e tutti quelli ch'egli biasma nell'opre sue, son quelli che non gli hanno dato danari, o
gli
hanno
fatto ingiuria
ad ogni ora.
il
B.
Non
poeta,
,
ma
accostatosi
che prima 1' amava parte per le sue virt, e parte per esser egli buona robetta, tenne l'usato cammino, il che gli diede crecol cardinal di san
Giovanni
dito e
fama nel
tinello
che per esSer attissimo a porgergli l'orinai di notte, bench alle volte lo porgesse al maestro di casa. M. Non mi maraviglio dunque quando l'Aretino dice: Si mangia sopra una tovaglia di pi colori, che non il grembiale dei dipentori col resto che seguita; per Dio, che ha provato il tinello costui.
B.
ma
il
la
quale
per gli lasci un saggio di velluto del bisavolo suo, una catenina di dieci ducati, una berretta di velluto, con non so che cosette
in tutto ingrato
,
non
di pi.
Questo fu il primo velluto, ed ebbelo caro, perch messosi in ordine, e sdegnando la corte dei cardi-
DI PIETRO ARETINO
nali, volse acconciarsi
173
con Papa Giulio, il che non successe, perch il maestro di casa dice, che qualunque volta toglieva il poeta, bisognava scacciare
il
Fattolo.
M.
Il
Fattolo dell'orchesse?
B. Quello, si,
come
!
si
dice re e regina.
!
M. Bella questione
insieme
B.
Caduto Pietro da questa speranza e non sapendo dove abitare, e trovandosi in ordine e in et
,
E venutosene
li
in Lombardia, cant
il
Vicenza, imitando
M.
Che
si
mulattiero,
compagno
del
mugnaio,
diavol e peggio.
Poco manco per Dio! So ben questo, che egli gi sazio di cantar in le piazze, s'acconci con l'oste dal Montone in Bologna e quivi , atteso un tempo a servir di mano e di .... volendo uscir di travagli ancor giovanetto, si fece frate in Ravenna. M. Uh che bocconi han questi frati, per Dio, che il miglior tempo, che abbia 1' uomo, il farsi frate le pinzochere li vanno a vedere, gli portano le torte, e li fan mille carezze, e poi quella comodit di parlar alle donne da solo a solo, e quando si vuole!
, ,
!
174
B.
VITA
Quivi studi l'Aretino di cuore non gi Favolo, Agostino, Gregorio , Giovanni , ma invece di quelli leggeva i libri di Baldassar Olimpo da Sasso Ferrato, studiando
il
pur tuttavia con grandissima fatica Burchiello, n mai si seppe dove egli si fosse, n i
i
frati
quali di lui
si
a cantar
M. S
,
forse
il
mssal
li
come
dic'egli
certo, ch'egli
ha cavato
ci che fanno le
B.
l'
monache
Compose, finch
,
oca, e la
ma
con un piacevol
B.
egli,
questa fu
somma
gran poeta
e di ci
sua comedia
lo dice:
il
mondo
si
vote-
rebbe tosto de'signori e de'gentiluomini. M. Oh che furfante dunque egli gentiluomo. B. Se si fanno assai , che non sono , perch non
!
vuoi che
M.
si faccia chi
merita?
a quelli che
il
fanno,
e trovi
nobili.
perch ognuno a d nostri si faccia gentiluomo nuove armi e cognomi; fino i ciavattini sono
pi PIETRO ARETINO
B. 11
1^75
mondo
oggi cos
ma
,
pazienza
lasciamo
Se
ei si
chiama cos
ed egli da s
si
chiama
poeta, perch
non vuoi tu
il
M. Ors
di'.
B. Sfratossi
poeta
e fatto la volta di
Roma,
si
trov appunto alla creazione di Leone, e alla morte del Fattolo inimico, il che quanto gli fu in piacere,
pensalo tu, e messo mezzi col maestro di casa, fece s eh' egli fu tolto a tinello con gli altri non per poeta, non per datario, o scrivano, ma per ruffiano
di bardasse,
M.
B.
Ho
lo tolse
Leone, e lo chiam divino per questo. Cosi , furono suoi compagni in comparte maeil
Rosso e
il
Zoppino, ruf-
qual egli mette nella sua comesai, dia, che tu rub quel capitolo che dice;
il
Oh Dio
M.
B.
Iddio, oml
morlo ftancese.
E che ne sai? Lo so per sua bocca, perch egli lo dice nelle giornate quando ei fa che queste cose le facesse da giovane. Ma, per dirti di lui, fu compagno di Romanello buffone, messo per giudeo nella detta commedia, e vo' che tu sappi, che la sua vita si com,
,
Gran furfante
costui!
non
dire
mal
se
non
dei
si
morti! ora che il Romanello dice mal di che li sar fatta la festa.
lui,
che
176
B.
VITA
Qui l'Aretino cominci a notare li vizj dei prencipi parte n'impar per il bisogno, e parte lasci andare come disutili per il bestemmiare, il giocar, il mentir per la gola di ogni parola che si dice e tutte quelle altre cose che sono amiche alle cose ch'io dico; lasci andare la virti, ed i costumi che fa onorevole e grande ciascuno. Odi il gran Navagero e volse male a M. Pietro Bembo, come imitatore di quello che a lui punto non piacque , n di;
'
lett.
M.
B.
Che vuol
il
dire, ch'egli
li
loda cos?
Per mostrar
dilettarsi de'grand'
,
uomini;
ma chi
vedesse
pensiero
un bocragionar di M. Pietro Bembo, cal alla bocca, che M. Gaglioffo , vai pi l' ombra de' peli de' coglioni
gran Navagero, che non vale esso, con ci ch'egli pensa de' grandi, o sa chiedere
del
Bembo,
e cos del
a bocca.
sua prima , cio del il ruffiano assai volte volse lo spedone in cucina che egli esprime nella detta comedia sotto nome di Cappa, dicendo: Oh soave, oh dolce, oh divina musica che esce dalli spedoni in cucina, ricamati e di capponi quanta consoladi tordi di pernici zione porgi tu all'anima mia? n con' quello che resta. In somma fu avuto caro da signori e monsignori , e mentre che visse Leone bisogn eh' egli s' acconciasse per stafflero col signor don Giovanni
B.
dell' arte
;
Serviva Leone
de'Medici nostro.
M.
ora
il
il
compagno nel
fra-
egli lo
governava come
DI PIETRO ARETINO
tello
,
77
domestico con madonna Maria sua donna come s' ella fosse sua fantesca di casa. da capo torn a Roma e si B. Morto il signore mise con Clemente successor di Leone, dopo quell'asinaccio di papa Adriano. Fu caro a Clemente per esser egli simile a Pietro simile dico nei costumi, d'ingegno dissimile, perch Pietro diceva parole, e Clemente faceva 1 fatti, e che ci sia vero guardisi la mia citt di Firenze. Ma lasciamo andar questo; servi Pietro Clemente di quello che prima aveva servito Leone fino che venne la guerra e il sacco
facendo
,
il
di
M.
Roma. Almeno
papi.
B.
parlare,
io tacer.
M.
Non pu
il
un
torto da certi.
M.
Che torto?
che furono in
B. Entrati
Roma
Spagnuoli, e messo
e
un uccider
abbruciar ogni
i
cosa,
si
prigioni
ricchi dalli poveri , cavarono ciascuno che a loro pareva, e quelli che per nome sapevano con gran cura cercavano. Accadde che l'Aretino fu preso sotto ombra di Giovanni Bandino, fiorentino e messolo
,
Averonlo caro i Spagnuoli, e disposti di fargli l'onore eh' egli si aveva acquistato cosi fatto come era, lo fecero ad un cuoco furiano. Per
,
....
Berni.
Parte
II,
12
1*^
VITA
nella predetta
alli
comedia
egli fa
li
Spagniioli simili
M. Questa mi par l vita d' Ovidio e tu mi pari Aldo nel citare i luoghi nell'opre sue, bench io non dico che Ovidio fosse tristo, come costui.
B.
Tu
odi, lo
M. Pi tosto
un pezzo
di legno,
che
il
manegoldo
non meritava
B.
simil onore.
truffando per
un
ferrarese
se ne
venne a
Venezia.
M. S' intese pi di truffar che di poesia, e credo
il dimandasse quanti piedi bisognano rubare , e quanti a fare un versetto , saprebbe meglio dire del rubare che d'altro. B. Giunto il poeta a Venezia senz' altro favore e senza riconoscenza d'amico, si mise a camera e stato
non so che giorni, scrisse a Francesco re di Francia per certi danari, ed ebbegli.
M. Mi fan ridere certi, che stupiscono di ci.
Il
Re
il
pi liberal
uomo
che sia, e cosi il pi cortese, e chi quel sciocco, che essendo il Re come io dico, che non creda che gli donasse cento scudi a uno, se bene fosse il pi
diserto
uomo
del
mondo. Fu per
,
liberalit
del Re,
non per merito di Pietro, ed ebbe per sua prosonzione, e non per virt e che sia il vero se il Re volesse mandare per virt, non manderebbe egli al Bembo, che il primo?
,
B. S.
M.
Non
gli
dire
adunque?
DI PIETRO ARETINO
B.
179
dell'Aretino gli
danari,
il
Vuol
fa aver
danari;
ma
tant': avuti
poeta
tolse
e diede fuora la
fama, che
fosse co-
non
un garzone,
e vestitolo di
Oh
ti
dia Dio
M.
infelice quel d
secol nostro!
bieri per
Domenico Taglia
Non posso far ch'io non dica, non rester per questo di dire.
M.
B.
Vuoi tu saper
il
il
tutto?
lucchese,
M. S.
B. Tolse
in casa,
il
mina per acconciarsi come voleva il roeta, uomo per acconciarsi come voleva Leonardo, bench anche Polo abbi M. La mi par quella novella di Dante, s' io.... B. E ben s'intricano eglino. Fu caro a Pietro costui e fu il primo bardassa che tenesse Pietro a
.
sue spese, e amollo oltra modo. M. Che s che sar il famoso Alessi di Virgilio.
ferito
Amollo ti dico, e ci chiaro si vede, quando fu da alcuni, e la ragione fu questa scrisse al duca di Ferrara il poeta chiedendo danari non volse
B.
;
180
VITA
Ercole, che
si
un
un
signore
degnasse di lui; ebbe a male il poeta, e scrisse del Duca. Ercole il seppe e tenne uomini, per ammazzarlo a Venezia. Non successe lalcosa perch gli stava serrato in casa, parte per questo, e parte per debiti; per il che furon sforzati dare al ganimede, spiacque molto al poeta, n se ne poteva dar
,
pace.
io.
E che
averesti fatto?
M. Avereigli
di
veleno attaccato, e per quella via sarebbe andatg a Caronte, ove egli ha mandato Gradasso e quell'altri. B. S, ma tu non dici eh' egli si guardava , e si faceva far la credenza di tutto. M. Faceva bene, ma dimmi: non compose egli cosa alcuna? B. Poich vuoi saper l'opre sue, io te lo dir; ma per dirtela dir le sue proprie parole le quali sono queste " In capo delle fini mi fu recata innanzi una cesta di corone per laurearmi: onde io dissi loro, s'io avessi la testa di Alifante non mi bastarla il cuore a portarle come no? mi dice l'amico. Questa di ruta ti si dona per li acuti dialoghi puttaneschi. M. Di foglie di ravano piuttosto. B. u Questa d'ortica per i pungenti sonetti prete,
:
schi ...
B.
di mille divise,
per
le
piacevoli
come-
Questa
di spine, per
cristiani libri
...
M.
Quando
un
palco, o in berlina.
PIETRO ARETINO
B.
181
la mortalit
data
..."
morti.
B.
Questa
d' oliva,
per la pace
acquistata coi
principi
..."
dici.
come tu
B.
V,
Questa di lauro, per le stanze militanti, e per le amorose, e per il dialogo delle Corti il quale l'ultima sua vergogna. M. Questa sar di cavoli, di lattuca,* e radicchio, per onorarlo pi. Ma dimmi un poco, hai tu visto
quelle sue lettere tutte?
B. S.
Che dicono elleno? Le non dicono altro, se non che chiedon danari a questo e quello, e ringrazia quelli da che ne ha avuti, acciocch servino a darne pii largamente; oh se tuie vedessi! troveresti mille coglionerie. M. Come, che? B. Come saria dire, quando si chiama signore, quando loda la Zaffetta, la maggior puttana che sia, e quando loda s stesso, bench lo faccia anco in
M.
B.
parole.
M.
B.
Che fa?
Come alcuno va
segno, perch
che coglioneria, e si loda, che nessuno arriva a quel le sue cose son vive e simil cose. M. Non me ne dir pi. B. Vuoi tu che ti conti della Marflsa che fece ?
M. SI,
si.
18S
B.
VITA
Come
nimici, e
la Marisa fu fuori, si gli scopersero mille prima il Dolce fece le stanze che incomin-
ciano:
tt
Voi
c7ie
tt
e pi gi,
M.
l'Aretino.
B. Egli dice
mal
conto di
di
Oh
se ci era
io, n'
averci fatto
millioni
altro
posato
l'
animo,
"
Certo non
li
bastava
Partito
casa
messer Francesco
Donato,
qual
si
lo fa figliuolo di
DI PIETRO ARETINO
M. Di quel farlo de' Bertolini
183
piace,
non mi
ma si
b en,
B.
ch'egli abbi
nome
tu?
ha Polo,
e Polo
ha
Pietro.
di'
Che diavol
M. Dico di Polo.
B.
Non contento
un Ambrobecco
divino.
M.
Ben
si
B. S, s,
grande madre,
temi
M.
il
volt r animo a far ricordandosi suo nome, del sogno di sua il e e di Leone per le bardasse, si disse, chiama-
Cognome che
colui.
B. Si tolse licenza
....
Finse nelle sue lettere, che il vescovo di Vassone Io voleva far cavaliero, chiamossi profeta nella Cortigiana, e alla fine
M.
e la
si
Oh
miracolo novo
fame sola
di Pietro Aretino.
i
B. Si
Dragonciuo,
fare in
tore, e vi scrisse
intorno cos
vi
u
lauro
e in
mezzo
dir,
che
dirizz
184
VITA
a un bisogno se ne forb il culo , come f' il duca di Mantova delle guerre di Marco Guazzi; n da tacer la berta che f' l'Aretino. M. Dilla di grazia; in ogni modo il furfante merita
esser sepolto in
un
cesso.
i
B. L'Aretino, dati
f'
pri-
ma stampar
stola,
ma
si
che
si
chiamava divino, e non chiamar di qui innanzi Quinto Gherardo poeta bestiale e profeta, che il pi
grosso che
B.
sia.
,
Tu
hai inteso
i
ma
tornando
alla
prima
,
dico,
che messosi
quelli che
titoli,
Pietro
mancava
solo a canoniz^
cominci a mostrar com' era atto a farli immortali, e che aveva ducento ducati dallo stato di Milano per conto dell' Imperadore per immortalarlo, e forse a qualche coglione, che con questa speranza trasse i danari. M. Che mortale o immortale! Durer pi il capitolo che facesti dell'orinale, che non faran tutte l'opre eh' egli ha fatto o pensato di fare, e presto morizarsi per pazzo, e per poter tal effetto
andavano da
lui a
ranno, dalle cose sante in fuora. B. Perch cos, quelle cose sante?
M. Per esservi sopra
il
nome
di
Ges;
ma non
il
du-
perch non
lecito,
che
(^uel di
DI PIETRO EETIXO
185
Tu
hai ragione,
ma
quattro gentiluomini de' primi che fossero in quella il primo fu messer Girolamo Querini, che comDio santo) spirito dotto e galante dilet(per pose
citt;
,
e gentili;
a'
l'al-
me
al latino. Il
uomo
in quella
Republica grandissimo, e per tutta Italia a' d nopittore stri. L' ultimo fu messer Tizian , cavaliere eccellentissimo, tanto in ritratto quanto in disegno, e avuto caro dall'Imperatore e da signori Veneziani. M. So eh' egli and avanti tutti questi, conosco
,
li
pu
ma
opera gio-
perch egli nuoca a nissuno. M. Per levarsi la lepra dalle spalle, disse Lelio
Romano.
B. S, si, spesse volte corse
al
Giudeo con
le
ve-
ste dorate,
la
il
Re
gli
mandasse
il
poeta.
una fune
li
li
le
Avuto il presente il gran poeta Pietro, con una coppa di Antonio di Leva (che tante volte fu coB.
186
VITA
il
dialogo
Nanna; Pippa
si
chiamava sua
e
Nanna
chiamasi sua madre schiavona. Dirizz questi dialoghi ad una scimia, il quale aveva in casa, la qual perch la teneva seco a dorcredo ch'egli mire. Il titolo fu Pietro Aretino al suo Monicchio.
,
.
M.
il
Oh
fece bene,
poeta.
B. Io
M.
B.
mi era scordato il pi hello. Che cosa? Finse che una cos^ sua fosse stampata senza
e di
sua volont,
di Rialto in
seppe.
Francesco Marcolini. M. Chi questo Francesco Marcolini? B. Uno il quale compare di Pietro, e
B.
fagli
la
moglie.
M.
Deve esser
quello, che
tante bastonate,
quando
gli
gli diede
....
la
moglie.
B.
Questo
non
poeta
li
godeva
la
lavoranti,
a suo bene-
M.
B.
Che cose ladre sento io. Innamoratosi in quella Angioletta, ch'egli mette
uomo, che
si
DI PIETRO ARETINO
IS*?
Agostino Ricci, Francesco Caccio, e Niccol Franco di Benevento. Messe Polo benissimo in ordine, e al Franco fece un paio di scarpe di terzo pelo, bench" adesso gli renda mal merto, perch ho inteso dire che Niccol Franco fa certe lettere a concorrenza di
quelle dell'Aretino, pi belle e pi dotte assai mille
volte.
sii
Questo
potrebbe an-
menami
Son contento,
fu vestito di
raso, cominci
(come fanno
giovani)
a far all'a-
more,
e imbattutosi in
mata mandato
la
putta addi,
di Pietro Aretino.
Pietro Aretino) che egli fosse nepote, come dir, del re d' Inghilterra e disiderando attaccarsi con lui, fece tanto che si parlarono insieme; egli la
,
chiese per moglie, ed ella gli promise di torlo; disselo Polo al poeta; ed il poeta confort molto
Polo a menarsela a casa, sperando di goder .... di quella putta, giunse il termine dato alli amanti.
Polo parl da capo alla putta, ed in somma la men seco a casa da Giovan Antonio Serena, quel matto,
dove venuto
per
M.
il
mand men a
.
casa.
Oh ben
oh ben
Riccia,
stalla e taverna.
188
VITA
B. Menatala a casa il poeta, dopo non so che d, cominci a far le baie per La Pedina (non sapendo ancor li chiassi di Pietro) non volse, n valse a Pietro il pregare. Per il che fu ordinato un pasto da Francesco Marcolini, dove che Isabella, moglie di Francesco preg la Perina che
,
si
lasciasse
il
.... a
aveva orda
dinato
poeta.
....
Pietro?
B. S!
ma
Perina
che fece Pietro? gli cominci a dir male di Polo a e gli promise mostrargli, che Polo
,
....
....
uscio,
che la Perina vidde per il fesso d'un dispiacque la Perina, ed entrata in grazia di a Pietro, un d cosa l'and a trovare in camera sua. Ivi Pietro,
:
Pietro,
finita
,
Pietra, Polo, ci
la festa;
,
mancava
la Pola, e sarebbe
mi par
disnando
cenando,
DI PIETRO ARETIJsO
189
non
s'
compose
le
ciano
raggirate
sereno-
un par
di
un
il marito, e cuore di vendicarsi di questo , cominc a praticar col g-ran Pietro, e tenne modo e via che li la Ferina pi e pi fiate, tal che per dispregio la
.
.
bench anco Ambrosio ... e non li bastando s poco, ordin menarsela seco, e messo ordine con la Perina gli fugg di casa con esso, e con un' altra puttana, che vi era. M. Che chiassi son questi! per Dio, che il bordello
della
sala di Pietro,
e saputo,
che Ambro-
sperando col nuovo amore di quella, cacciar via l'amore ch'egli portava a Perina. Fu fatte le nozze, ed egli gettossi nel letto; preg Ambrosio, che non lo volesse abbandonare, che farla s, che sarebbe
erede de' suoi beni.
M.
B.
Che
fece
Ambrosio?
la
Mengli
scioUa in
e poi gli
mano
che la
di
...
a suo uso,
esempio
alli signori, che si vuol esser larghi nei doni, e si dice che Pietro quasi ammalato, colle la-
190
VITA
crime sugli occhi, diceva: oim, Ferina, dove sei tu? in fine, io non trovo chi ti gode ora? M. Ah, ah, ah, per Dio, che l' bella, ma che fu
di lei? B.
La Ferina
se la
men
a casa
la
il
Serena, e
dalla
come
l'ebbe
e gli dice
men
,
madre,
come
le
cose passavano
Fu
collo e
un' altra
rompere capitar male; oltre di questa gli ne diede per bestemmia, ovvero la fece dare ad un
suo vicino, per la quale bisogn che il poeta fuggisse, ed and sulle possessioni della Ferina alle Gambarare, le quali poteva esser tre campi e un forno. Si disse allora, che Polo l'aveva ammazzato, e si dice anco eh' era stato appiccato che Dio il vo:
lesse!
pur
s'aiut.
M.
chi l'aiut?
querela non fu lasciata andar M. Giovan Giacomo Leonardo, il quale opr s, che non fu altro. Ed egli mandato per Folo gli disse Polo io non posso voler quel che
B. L'aiut,
che
la
avanti, e ci
fece
non vuoi tu, ma se tu vorrai far quel che io ti dir, buon per te. Folo promise di far ogni cosa potendo
;
senz'essa;
disse
il
s, s'ella
sier Folo a
don Fietro. M. La cosa andava stretta, merc oh, vada a riposarsi la Calanil Negromante, e quest' altri, io non so che dra pi bella comedia di questa.
DI PIETRO ARETINO
B.
191
la
Torn Polo
al poeta, e gli
disse che
Ferina
chiedeva carta bianca, per metterli quelle condizioni, che voleva, e che come usavano li principi a
metter a
vinti.
Fu contento
il
poeta
)
mandg-li carta
Polo fosse vestito d' oro e di seta, e mantenutogli sempre un ragazzo, come a cavalier da senno a lei facesse una veste di raso divino; l'altro capitolo fu, che mai l'Aretino dimandasse alla Ferina conto alcuno di cosa alcuna, e la tenesse come padrona di casa con due fantesche* l'ultimo fu, ch'egli non gli buttasse mai in occhio, per che cosa era fuggita, n mai li dicesse parola di ci.
;
M. Gli osserv?
B. Gli
osserv
e di
pi egli
si
sottoscrisse
e
Io
mia mano,
n
Non
gli
eh?
B. Diavoli e pii tosto la se
averla cavato
un
oc-
non conosci
le
donne,
non desiderano
altro,
Oh Cristo, che sento io dir di costui! Odi quest'altra, e poi ti lascio avuta la Ferina, e messogli sotto la Catterina, M. Qual Catterina? B. Una fantesca da chi l'Aretino ha avuto una
M.
B.
;
putta.
M. Dio sa s'ella sua
;
la
deve esser
di
pi albu-
mi, che
192
VITA
Adria.
non so che giorni con hanno fatto una burla galante. M* Che burla gli hanno fatto?
e stata
B.
esso,
di
nuovo
gli
Essendo Pietro a ragionamento con Ambrosio Polo con la e forse Ferina tolsero ci che era in cucina, tolsero per sala ogni cosa, bench non ci era altro, che un letto con le cortine di sargia verde, e chiotti chiotti con la Catterina, con le massere e con tutti si sono andati con Dio, ed egli rimaso solo come un cane, M. Che vuol dir, che fuggita? B. Perch l'Aretino, non avendo da vivere, voleva impegnar le robe di Polo e della moglie, di modo che gli veniva a romper i capitoli fatti. M. Gli sta bene molto, e un di la far male. B. Vedutosi l'Aretino solo rimaso, e non avendo danari, e morendo di fame, ha scritto una polizza pur al duca d' Urbino in Venezia, che voglia degnarsi accettarlo pur nella corte con gli altri in tiin
una camera,
Duca non vuol queste genti per casa. Pensa m, come sta TAretino; non ha can n gatta che lo voed ha perso quelli quattro amici eh' io ha ed sazio di stuflfar ciascuno. M. Io vi son schiavo, io non ne voglio pi, se bene
dell'altre,
gli vedere,
dissi,
tu volessi contare
B.
ti
Non
ti
curi, s'egli
goffo, e
DI PIETRO ARETINO
M.
193
curo, e s'egli ha messo me per cumesso su le forche ai corvi, ovvero all'ospedale la sua vita, e sar vero quel detto
:
Non me ne
r ospedale.
d'
Addio.
B. Alauro,
non
ti
curare di parole
:
uomo, come
Semi.
Parte IL
13
195
Il
Berni a Pietro.
Io so che tu
non
ti
un Dialogo contro
contento,
sa pi
il
il
Fortunio:
fallo,
egli
ma
sei desto,
egli
da Viterbo, e
tu
da Villa,
]\Ia
egli
sta
tacciamo di
gettate via; fa
sarai
che
vuoi,
e
che
tu
sempre
sano,
un
asino,
un porco,
un ignorante. Sta
se puoi.
PINE,
TERREMOTO
DEL DONI FIORENTINO
Con la rovina d^ un gri*an eolos^^o hCNtialc AntSc'i'i^to flella no!(i*a et. Opei*a
!^ei*itta
|iei*
anta l'liie{ia
meno
LIBRO
Sed
si
PRIMO
addideris:
minimum
loooooof
loooooog* feOOOOOO^
oOOOOOO"-.
Stampato V anno MDLVI a di primo di marzo.
198
Divino
11
Terremoto.
La Rovina.
n
11
Baleno.
Tuono.
Saetta.
e la Morte.
La
La Vita
Le Esequie
e la Sepoltura.
perdonatemi. Io
ho stampato
libri;
il
mancano
accenti,
come apopure
solo pia-
perch non ho
altro, e
non
cere
particolari
tutt'il
gentiluomini,
ma
univer-
mondo. Perdonatemi adunque se io li publico in questa forma, perch non ho il modo a far meglio. Assai mi ha da esser obbligato tutto il mondo, poich io gli mostro r error suo d' aver comportato
salmente a
,
si
fatto
uomo
scellerato.
200
LO STAMPATORE CONOMELO
si
Dove
si
che
comportassi, o fra
i
turchi,
fra i
mori o
fra
uno che tutti gli altri oltraggiasse? Lo Aretino ha ogni qualit di persona e d'ogni stato e grado lacerate e ferite. Gfran cosa
cani,
certo (per
sino a
oggi.
Perch non
si
levano
ci
popoli
l'e-
hai con
lo scriito, ne'
costumi
l'eresie
ti
mescolate e
;
sei
un nuovo vangelo e tratti cristiani da uno svisceratissimo zelo ini verso l'ottimo e massimo Iddio, e ardentissimo amore inverso il prossimo suo, andare alla casa del nimico di Dio e lapidarlo. E stato ed gran vitupero mantener l'Aretino
conservador della sodomia, affrontator
e ignorantaccio scrittore:
di cia-
lingua e
di Vinegia, tanto
e
:
il
sa-
che
si
si
AL
sia pasciuto
i>oxi
:201
tutto
il
versi
le
disonesti,
con
le
sporche figure
con
ignoranti
scritture
fatica e
favore copia
si
del-
vegga, se ho pu-
Manco male
tutti;
giovando a
dolce,
ancora a
gli
fia
di
raf-
frenarsi; se gi
non
fosse,
come
scrivete
mander
il
re-
Di Iloma, a
VII
di
marzo ^IDLVI.
Ai piacer vostri C.
S.
203
Al T4aperoso scellerato , e d' ogni tristizia fonte e origine. Pietro Aretino, membro puzzolente della diabolica falsit. e vero anticristo del nostro secolo.
,
Questo
libro,
le
son lettere de' tuoi vizj scritte a tutta la cristiana monarchia, e particolare ed universalmente. Ho lasciato solo da parte il discorso che io
ci
Qua dentro
fo
come tu
il
sei
il
L vedrai com' io ho realmente detto che in quest' anno del LVI tu morirai perch l'apparizione che fu della stella ai magi nella nascita del
Cristo.
,
;
tenne per gran segno, ed ora per piccolo tengo io la cometa di questo anno, venuta per conto tuo per esser tu contrario a Cristo. Ella apparita innanzi alla tua morte, s come dopo la nascita apSignore,
si
Tuo padre fu
204
TERREMOTO
nato, come dire, quasi
d
monaca
e di frate
in ombra, dico, e
non
cos piena-
mente, perch tu sei un anticristo, braccio del gran demonio. Veggasi il quadro della Nunziata, che tu tieni in camera, ritratto fatto da M. Giorgio Vasari, fatta copiare da te con dire, che la l'effigie di tua madre, che si fece sopra la porta della chiesa di san Pietro d'Arezzo ritrarre per una Vergine Maria. Cos a tutti di': questa mia madre, mostrando quella madonna. Ecco che tu contrasti con Ges Cristo, che esso veramente fu figliuol di Maria V.; e se bene fosse stata la effigie di tua madre, la dovevi con altro abito far ritrarre, tenere e mostrare.
Ma come
di-
membro
i
di anticristo concorri
con Cristo, ed in
ti
scusi con
dire,
sono ignorante. Tu
di'
Quanto questo
mai questo senso nell'evangelio, chi lo sa lo dica per me. Ma questa la minore; alla riprova ne vedrai mille delle false intelligenze da nessuno mai curate
di leggere, il quale sia stato uomo di lettere; perch non avrebbono sopportato al mondo un corruttor di testi s mendace, uno che si un Genesi
avviluppato attorno a
divini santi
modo
ha tessute tutte
bugie e
di triste
paz-
zie. Questo il titolo del Divino, che ti usurpi falanticristacsamente, veramente contro al Divino. Divino Cristo. al ci terreno, nato per esser contro Basta che tu di' che i re e gli imperadori ti hanno
tributato,
come feciono magi il Salvatore. S, ma esso per amore e degnamente fu presentato; disse
i
DEL DONI
205
Tu
le
scrivendo male
vivendo peggio
colle
Pippe e
tor del
Nanne
e
stizie pubblicate.
mondo,
e sporche Cortigiane, hai le triEsso da noi chiamato il Redentu affermi d'essere il redentor della
da Fuligno, dove ancora chiami il tuo mal dire, maest salute de' principi, e tu flagello. Cristo fond la chiesa, e tu con le pasquinate e con gli scritti hai cercato sempre di rovinarla, mordendo pontefici, lacerando i cardinali e
evangeli. La sua
pungendo vescovi e prelati della ecclesiastica religione. Onde esso ricuper con il sangue l'umana
generazione, e tu con
avviata
alle
gli
mani
Onitera
ti
quasi di tutte
dedicai in
nome
del Per-
duto un inferno, conoscendoti perduta anima, fermamente diavolo incarnato: e tu goffo, mi dicesti e
di
tua
mano me
lo scrivesti,
feci.
che
io ti
tanasso, e cos
Fu
profezia,
Satanasso da tormentare
tra vita, s
i
te e tutti
come in questa hai travagliato i buoni, quali ti hanno fatto un mostro di pezzi come si vede. Aspetta adunque le esequie tue e la tragedia che io ti ho fatta dove, condannatoti alle forche, fo
:
un gian processo delle tue scelleraggini su la scala salito mostri con una diceria brava, che quello nulla che ditto si , e da te medesimo maHfesti cose s vituperose, che stracco il
leggere
:
ma
tu,
ti
la pinta,
ti
non
ti la-
sciando
finire.
In questo mezzo
206
TERREMOTO
e a dirti
gliare
il
vero,
gno della lezione delle tue tristizie, di te medesimo. Che non ti avrei fatto tanto onore se onore per si chiama mettere una veste di vitupero addosso ad un pessimo uomo, come sei tu certo un diavolo vitu,
Il
Doni gastigator
de' tuoi
merari.
BEL DONI
^7
AUi
lettori.
come si pu vedere in venti e pi ho composte mai fu mio costume di dir male di persona particolare alcuna, se ben e' vizj ho ripresi universalmente: e se a qualche uno ho tocco la vena, egli solo ha conosciuto il salasso, per aver taciuto con ogni rispetto il nome. Ha voluto la sorte, che dopo dodici o quindeci anni che io mi sia dalla peste partito di Vinegia e ritiratomi in Pesaro. Lo Aretino bestia, non considerando l'ufficio dell'uomo da bene, che sempre ho fatto, montato sul cavallo della sua invidiosa asineria, e credutosi eh' io gli sia per levare il pane di mano con
Spiriti illustri
io
;
opere che
le
mondo;
e io
affermo mai aver favellato, n favellare, n favellato di lui con sua Eccellenza, in bene con verit; e cos
mi ha con questa
zato a rispondergli
i capegli, son sforche non mi abbia pi da rompere il capo con queste sue sciocche ciance, gli ho risposto tante lettere quant'egli mi ha scritto parole. Si che scusatemi, se ho detto male al suo
;
e acci
giudizio,
io
ma
al
mi
rimetto, in voi, e
pure
o^:^^^o
208
TEimEMOTO
ARETINO SCRlfTA
DOM
FIOREATIAO.
Se io avessi saputo che foste a Pesaro, come si credeva nella Puglia o a Roma, non sarei stato tanto a fare intendere al Duca bonamente mal di voi, e
una invettiva. Il che far senza ben presto, e quando sar scritta se ne creder qualche poco; il che vi fla di danno e di vergogna per tutto, venendo da me scrittore verit. E sar accettata la mia scrittura, se non per amore, almeno per timore della tanto mia famosa penna. Questo lo far in premio della gratitudine che mostrate inverso i continui beneiicj ricevuti da me, che sino a qui mi parso di vendicare di mia natura contro le offese (che mi ha dette il Marcolini, con le quali perseverasti in dir male di me) con la corfare sulla di voi vita
dubbio
le quali
scriver al
mio Guid' Ubaldo. Dalle quali difficilmente, per avermi la di lui Eccellenza in luogo di figliuolo, vi potrete difendere. Ma fa una grande ingiuria alla mia
virt qualunque ve le tiene in grazia. Si che sentirassi
11
come so
dire in trovato
per vero
io,
quello
la di voi verit. P.
Ar.
DEL DONf
k09
Al forbiculario delle 3Iuse. e rubino di Parnaso maestro Pietro Aretino cicalone, plusc|nani perfecto.
Se
il
roganza, penso di sgannarlo. Tu credi adunque, mostro infernale, storpiato manigoldo, ch'io abbia paura
del puzzolente tuo flato velenoso? tu sei in grandis-
adunque intendere, che in dove io sar, che sempre sono per rispondere, per una che tu me ne scriverai, un libro delle lettere, e insegnerotti di non istuzzicare il vespaio mio; il quale forse non sentisti punger mai, perch se trovato lo avessi, non
simo farnetico. Io
ti fo
Roma, a Pesaro,
in Puglia e
Non
vergogni
porcone,
sfron-
uomo
tu metterai
Bern
Parie
li.
14
210
TERREMOTO
Ma dimmi
ignorantone,
affrontatore disonesto, donde hai tu usurpata cotesta autorit di voler cosi assassinare le persone con
tua ling-uaccia marcia? Se fussi battezzato, non terresti la strada che tu tieni, come dice il tuo processo nella tragedia Aretina. Assai ti dovrebbe ba_ stare la mandria delle vacche da minacciar tutto il giorno, e con le bravere farti tiranno della meschinit loro, senza scriver cartaccie attorno a questo
la
e a quell'uomo da bene.
il
bench
senti?
le
le
Nessuno non stato unghie a dosso de' tuoi vituperj, penne delle tue sporcizie la tigna
delle tue
con mani-
golderie, per non s fare spettacolo del popolo? Fa che il diavolo de' tuoi furiosi pensier tristi tenti le persone da bene e vedrai se ti sar stracciata la leonina pelle della arroganza da dosso, e scoperta
,
Ma
che
ti
curi?
li-
ogni
del
modo
la
bri
Franco Cavalieri, te la reputi a onore, e lo debbi fare perch i literati buoni mettono un pari tuo a mostra con onore. Scuotiti adunque quella polvere di su
le
gli altrui
questo libro non sar assai a farti ficcar la penna di dietro tu vedrai se io t' insegner scrivere, perch, riprovando le tue leggende a pezzo
difetti: e se
,
per pezzo,
ti
il fuoco. Voi tu altro, che le et che verranno non leggeranno mai pi le tue disoneste Nanne, n le tue sporche Cortigiane? 11 mondo, vedendo svolazzare attorno uno si gran
DEL DONI
barbagianni
,
211
credeva , perch andava tanto alto, qualche aquila. Per la mia fide, che io ti tarper quegli alieni, e ti far dare uno stramazzo in terra con la ignoranza tua, che mai pi tu leverai la testa: e cos t'Insegner alle tue spese an-
che
la fosse
can che dorme. Ricordati ancora. Aretino, bestiale nimico di Dio, che tu sei un dei maggiori bufoli del fondo, e che per esserti stato dato del dito della adulazione sotto la coda della tua sciocca opinione, tu l'hai alzata troppo perch
dar destando
il
:
con quella linguaccia doppia di serpe, ti sei messo intorno alle cose di Dio, e da cervel grosso ti sei creduto sapere dire bene; e hai da tuo pari diavoloso, bestemmiato, come si vedr, contro al tuo Genesi. Abbi a mente ancora, innanzi che tu metta la tua bocca d'avello pi negli uomini da bene, di conoscerti fiera macchiata d'ogni sporchezza di libelli infamatorj, di bastonate, di fregi, di smerdamenti e di ferite ma quegU, che da altri ti sono stati fatti, poco importano; quegli che tuoi sono, te medesimo imbrodolano. Le vergini da te corrotte, che al chiasso son ite per te dipoi, non son nulla? n le donne che mal condotte si sono? Il diavol non ha da perder
;
non
il
mo
sepellirti a
casa sua
grosso,
ragionano, pienamente
il
si
conoscer.
Tu
fai
adunque
meglio a lavarti con l'acqua del pentimento, che oggi mai la candela della tua vita al verde degli anni vituperosi, e smorbati la casa del chiasso che
tu tieni. Cerca di metter freno alla tua lengua ribalda e dir bene de' buoni e de' letterati , che oggi mai ne sarebbe tempo.
2j2
terremoto
Al lieatissiitio padre, papa Paolo Quarto Vicario del Salvator nostro, splendore
della apostolica sede.
tissimi, le
Padre beatissimo, dopo lo aver baciato i piedi beadomando umilmente perdono, se troppo arditamente io ragionassi. Poich il cielo, Santo Padre,
ha posto
nelle sacratissime
il
peser sopra
la
equalit
la
Ecco che da un canto pone l'uffizio del cavaleratico, e di quegli favello che la Chiesa adorna cui n' degno, quando non violentata da' favori. Questo adunque lo pongo sulla giusta bilancia delle vostre buone opere da un lato, e poi dall'altro metto il poeta Aretino, cavaliere di san Paolo. Il cavaliere vuol essere di buona fama, nobile e ben creato. Ecco un vile infame, e disonesto. Vuole essere il cavaliere di san Paolo litterato costumato e buono; egli ignorantissimo e tristissimo, come sa tutto il mondo, e come in questo libro si vedr. Perch comportare che si dia il frutto giusto della Santa Chiesa al ribaldo, non meno eretico che vituperoso? Non voglion le leggi che si renda a ragione, ci che della fede allo infedele a torto si dispensato? Lo scelestc Aretino, conoscendo non meritare, e vedendo quello che gli potea avvenire, vend la dignit come indegno. Ritrovisi chi la comper, e faccisi rendere il mal venduto, e
della bilancia lo getti a terra.
DEL DONI
i
213
la dignit in
grembo
alla piet
ecclesiastica, dove
stata dallo inganno e dalla falsit aretinesca tristamente furata. Se Iddio ottimo massimo ha dato prudenza sapienza e virt di fortezza alla vostra beatitudine per servizio alla Santa Chiesa sua, provvedete che questo serpente vomiti ci che ha inghiottito. Questa fia opera gloriosa, santa, buona o ricordevole, da scolpire in un arco a perpetua me,
moria del vostro santissimo seggio. O casa Caraffa, quanto sar illustrissimo il nome? Opera adunque che il pio padre facci, che l'infame mostro Aretino, che sempre conculc il glorioso regno della Chiesa
con
le
il rubato onore. Come far casan Paolo l'Aretino? Potevasi egli impiegar peggio tanta dignit? O papa Giulio, o Balduino, voi atterrasti ben la gloria de' Monti quando vesti-
valieri di
sti
il cerbero di pelle d'agnello. Scortichisi la disonesta belva di tanto splendore. Dove la cognizione, dove il prudente veder del cristianesimo a sopportare
una tanta insolenza? Dico a comportare che il vituperoso versificator disonesto viva vituperando il mondo, e si pasca di manna. Diasegli il fiele al puzzolente scrittore di disonest, obbrobrio de' battez-
Chi ha insegnato alla nostra et tutte le diaboliche sporchezze altri che l'Aretino? Egli merta (come ha sputato) tossico da far recere il goduto tanto tempo falsamente dalla Santa Chiesa. Le pazzati.
,
che egli ha scritte nel Genesi suo, le scempila registrate nell'Umanit del Salvatore, e le bugie dette
zie,
ha
fatte e
214
alla scrittura,
TERREMOTO
son non meno bestiali che senza numero. Per merita d' esser privo, non solamente di quello che ha furato alla Chiesa, ma coin eretico ostinato vituperatore de' buoni costumi, debbe essere
scacciato
favellare.
cio dir
ticinque
come martano e morto. Il mio costume Padre beatissimo, sempre nella mia lingua, sempre di ciascun uomo bene, come in vinmie opere a stampa si veduto e vede. Ma con li animali senza ragione, in altra lincon la solita farsi intendere. Con tal Luci-
ha avvezzo a tutte
ore le
sue mani a far male. Ha impiegato tutte le sue parole a vituperio generale di tutti, e la penna destinata a sfregiare ogni bene. Io non ho rispetto alcuno a favellar contro a' suoi canuti peli, perch sono imbiancati nel perverso de' suoi errori. Io rispetterei
bene, se avesse
sensi canuti,
sua sporcizia
ora
i
fiorite
sorte
dei
suo divino vengan fuori della botte del disonesto corpo con molto puzzo. Adunque, Padre beatissimo, siavi raccomandato l'onor di Dio e la purit della Chiesa,
fiori della feccia del
perch l'infernale Lucifero entrato per le finestre, a vergognar la Chiesa e corrompere il cristianesimo con le scellerate composizioni: e di nuovo le bacio
i
predi beatissimi.
c>^3<s
DEL DONI
Alla maest
dell' iiivlttissiiuo
215
Carlo Quinto
Imperatore
dignisftinio di mille
imperi, ecc.
cenno d'inclinazione che veggono nel signore, a qualunque cosa la sia, vi aderiscono subito, e ogni giorno del continuo la inalzano, ancora che la cosa mal fatta sia. Onde in colui, che gi poco di principio favorevolmente tenea,
ne' sudditi, che ogni
la si fa tanto grande,
ed
tenuto
posto a sedere in
fanno favore a un uomo per un rumore universale porta agli orecchi qualche falso suono che
;
l'
un
in testa dipinti.
che non sarebbono degni d' aver due occhi Ma di queste maravigliose cose,
il
mo
reale, a
celeste, e a
un
non
imperatore d'eterna
fama degno, che soggiog Provincie, stati e regni, vinse i non pi vinti, fu chiaro, fu celeste, e non
216
TERREMOTO
ebbe eguale in ogni impresa valorosa fra mortali, ciascuno stupir. Ma dall'altro canto sentendo dire
;
ei
mantenne
vitupero, nutr
la
vizio,
,
manvest
tenne
la falsit,
tenne in piedi
adulazione
come potranno
Ah
piet
ah Carlo tre
movi
la
menti, distribuiti tutti giustissimamente, tutti impiegati con misura, salvo che in questo reo
uomo,
il
quale visse, vive e sempre viver in una vita sceleste e diabolica. La lussuria ha in casa sua il regno; la gola vi ha la voragine la malignit vi tien la monizione;
;
il
veleno
vi
ha
la
mente parole crudeli; e la falsit vi sculpisce le lingue le quali poi l' adulazion sua ministra sparge per tutto. Egli non fu mai pi. Corona sacratissima,
,
,
natura infernale spende. Tutti si convertiscono in carne umana e sangue. La vilt del suo animo tutta pronta in sverginar meschine poverette tutto intento a empire il postribolo di fanciulle, che egl^ male fa capitare e lo studio suo non stato mai giorno e notte che parasitare e lussuriare in ogni vaso abominevole. Date, date, invittissimo Cesare,! dugento ducati a' poveri di Milano, impiegategli in
di
;
quello spedale
grande casa
di
Dio
e toglieteli di
mano
Non
-DEL DONI
217
tissimo
monarca
della milizia, s
rate da quante meschine braccia escano gli affaticati danari spesi in tanto infame mostro. La seguente opera mostrer esser la verit (per la sua vita) di quanto io dico. E questo ho scritto, acciocch, in virt di Dio, la Maest vostra ricerchi la verit; perch, facendo questo, son certo che darete ordine che sia distribuito il sudore de' vostri fdeli vassalli in gloriose imprese sante e giuste le quali accompagneranno il merito ne' cieli accanto la eternit. E
,
nuovo supplico a farne migliore elemosina; inchinandomi con quella umilt che son tenuto per
di
, ,
218
TERREMOTO
Al solenne poltrone, Pietro Aretino, gagliofferia di questa et, e vitu
Influite pazzie
ha
scritto la S. V.,
mastro
Piero, e
molte signora vostra pi ne dice a bocca. Delle scritte qui io non dir nulla, perch nel riprovare i libri vostri le far note. Di quelle che cicalate, in parte ne udirete dir adesso. Voi frappate che il duca Alessandro voleva donarvi il palazzo degli Strozzi;
non
lo crediate,
bestion gonfiato
di porco, che la sua Eccellenza dicesse daddovero perch era principe di giudizio, e vi tratteneva con alcuni scudi da buffon cianciatore. Che merito ha la vostra inguidalescata vita da far residenza in s fatto casamento? Se gi il Duca, per vituperar in parole qualche suo nemico non avesse detto ci
,
che voleva significare; ecco che io metter il pi vituperoso uomo nel pi onorato luogo di Fiorenza,
acciocch sia per sempre vituperato. Io giuro per che non solo la vostra cavezza, che se fosse stato
,
gliStrozzeschi,ma con s fatta reliquia dentro, a perpetuo fregio della faccia della tristizia. E perch sua Eccellenza vi sollev pi che voi non meritavate, il fine suo mostr che male aveva fatto. Non vi maravigliate che tutti hanno fatto per cagion vostra, o cattivo fine, o in vita sono stati travagliati per penitenza d s fatto eri
rore. Non dite voi di quel bell'intelletto acuto del generosissimo signor Pier Luigi cose grandi? Ch'egli voleva mandar per voi , e come gioia di anello
DEL D#NI
preziosa tenervi, quasi per
219
una ricchezza
di Pia-
cenza? Questo e non altro, questo solamente, vi dico, fu cagione del suo assassinamento. Il signor marchese del Vasto, che con tan^a sollecitudine vi
traeva
i danari sull'uffizio delle biade a Milano, e vi presentava da re non ebbe egli infinite disgrazie per farvi tanta cortesia? Certo si. Ed altra cosa con
,
verit
non
si
pu
dire che
macchi
,
la
fama sua
il
se
non r
che sete
,
pi
o sar mai.
Anton da Leva, dicon costoro che el diavolo lo port via; non lo credo, pure ha questa fama cattiva, e ne do la cagione io all' avervi fuor di misura mane con doni sopra la terra. Chi tenne nel letto storpiato dalle gotte il gran conte Stampa? La roba di gran valuta che egli a torto vi
d'imperadore.
lo
imperadore
guerra, perch egli persevera in lasciarvi godere il sudore ed il sangue di quei poveri gentiluomini
il
so d certo
che non
bella e conclusa.
Agosto
fatti
Marignano non
credo che
il
Duca
di
ai
suoi tra-
me-
220
rito vostro vi
TERREMOTO
paga quel ridotto disonesto. La bont di Guido Baldo di cuor sincero se ha lasciato i Viniziani, o licusato la Chiesa, ne stato cagione l'onor che vi fece a Verona, ed il bene che vi fece a Roma. Ma son certo poi che il lume di sopra lo tocca, ed il puzzo vostro l'ammorba, che le sue cose (lasciandovi) succederanno bene. Il catenone fatto
, ,
il
re
Francesco,
Ed
il
re Filippo
ha
avuto molti contrari accidenti per avervi con un'altra catena legato il collo. Una corda indorata farebbe la vendetta di tanti auguri pessimi e lasciarvi come un penzolo attaccato longamente.
,
DEL DONI
221
W bilingue furfante,
La
S. V., ser Piero,
non crede
dovero; cascar vi possi la lingua se io non dico dalla io abbi. Voi lo vedrete ben nel
Genesi, come io vi forbotto realmente con la scrittura in mano. Ma perch mi son avanzati alcuni ri-
masugli in pr vostro, ed in danno di chi vi ha fatto bene, ed onore ed utile di chi vi ha fatto male, ecco
che
io vi scrivo
il sig-.
Non
di-
Giovanni vi dava il pane? Non affermate voi ch'eravate il suo colombino, e che un d egli vi voleva impatronire della vostra terra? Messer s,
te voi
conto della maladizione che avete addosso, la qual nuoce a voi facendovi infame, e gli altri offende. Papa
Clemente non fu prigione in castello per altro, se non per isfamarvi un tempo; e Roma and a sacco perch la non vi tolse la vita, quando pasquinavi in vitupero del suo stato. Paolo fu felice sedici anni nel regno per non vi aver dato mai nulla. Vedete quanto discagiuto il sig. Balduino per lo sbardellato favore ch'egli vi fece con Giulio terzo? E sua Beatitudine, in fino che non messe su la vostra forma da sarti quella croce, fu tenuto un papa mirabile; ma egli cominci in quella benedetta ora che vi diede, ed and sempre allo in gi; e senza dir altro si pur ditto troppo. Onde deriva che il Duca di Ferrara vive con tanta quiete ? Perch non vi dona. 11 gentil duca Orazio, percli commesse
232
al
TERREMOTO
,
duca Ottavio che vi mandasse cento scudi fu morto; e se mi direte che fosse Ottavio,replico che quegli sono stati cagione della guerra ch'egli ebbe. Il Conte della Mirandola vinse solamente per non vi aver mai donato: e vi fu ammazzato il sig. Giovanni Battista Monte, perch gli fu dedicato il primo
libro delle lettere tutte scritte a voi, che
il
Marcolini
serb quando vi fuggiste da Vinegia per la bestemdi cose, che vi potevan nuocere (forse di stato, chi sa?) abbruci. E non si tosto ebbe il reverendo Beccatello la dedicazion del secondo, che gli fu levata la legazione; ed al Marcolino mai gli succederanno le sue cose bene insin che non getta sul fuoco il vostro ritratto, che tiene per cosa cara. Voi avete nociuto sempre a tutti, vi dico; insino all'Ariosto fu disprezzato da quel cardinale che gli trasse il libro sul letto con dirgli son forse io uomo da romanzi? che altro non vuol dire se non che in quello Orlando aveva messo voi e lui, quasi che sotto a un tetto avesse alloggiato Domeneddio e il diavolo che non istanno bene insieme? E cos foste, con il pessimo augurio vostro,, cagione che la sua opera fu poco accetta: la vi pare strana questa profezia, pure la verit sta di sopra. Quel poveretto de Trippa, famiglio nella corte d'Urbino, non fu egli ammazzato, poco di poi che gli intitolaste le stanze della viola? Le non sono favole queste: ed il Principe di Salerno, per avervi sempre pien la gola di scudi, ha perduto tutto lo stato; e la Reina di Francia, che mai vi dette n dar (fate pur de' capitolacci quanto volete), stata feconda, e di gentil donna fiorentina divenuta reinadi Francia; ed il Re, mentre che egli non vi dar, sempre
DEL DONI
sar felice e vittorioso.
affaticato
Il
223
si
con
lo scrivere le
Metamorfosi d'Ovidio,
opera eccellente, non ha avuto n ricompensa n risposta da sua Maest della dedicazione; per amore,
dico di quel sonettaccio goffo vostro, eh' egli vi ha stampato innanzi, e per quello anco il Ruscelli gli ha scritto contro. Facciasi questa prova, se non si crede ci; levisi il sonetto, e che s che ne trae un profitto mirabile! Piglisi l'esempio di Giovanni Andrea dall' Anguillara, che nel suo non ha nominatovi dentro, ed stato dal re Enrico conosciuto, onorato e premiato. Il Bernia si beccato su il
,
stil
ber-
perch vi fece quel bravo lavacapo. So che don Ferrante non istette troppo governator di Miniesco
,
poi che vi mand quei^cento scudi. Basta messer Pietro voi siate un terribil morbo. Chi avrebbe mai creduto che il cardinal Caraffa fosse stato Papa, ed il cardinal Bembo morto, essendo l'un vecchio e l'altro giovane? Nessuno, salvo che io, che conoscevo il vostro veleno. Fu gran cosa
lano
mancasse, come
quando
messer Tomaso Giunti ristamp le vostre leggende, bene dissi io, egli avverr qualche sinistro a questo buon gentiluomo, e cosi fu, perch non vi and molto che se gli lev un nome di fallimento. La invidia, che portata da certi pittori a messer Tiziano, non vien da altro se non che vi troppo amico ed al Sansovino, figliuol di messer Jacopo scultore, vanno
;
%%i
felici gli
TERREMOTO
anni suoi, perch vi scrisse contro; e perch il Sansovino suo padre imped che non si stampasse ci, gli venne quel sinistro della rovina della fabrica. Concludiamola pure, in Vinegia, citt unica,
sola, mirabile e divina,
si
adempiuto
chezza,
il
peccato, la morte,
danno, la vergogna,
del
mondo.
State insano.
DEL DONI
225
Alla boecalit e divinit del quondam inesser Pier d'Arezaso boccal divino.
La coda
con
il
Credo bene che abbiate, con sottil spirito di porco mastio, compreso il Boccaccio aver voluto dir di voi. Il vero dichiara il tutto. Ecco il testo. Venezia non ha ella un sito mirabile, un aere ottimo ed una sicurezza buona? S ha, direte. Non ci sono eglino dentro sangui nobili e regali? Messer s. Le miglior cose da vivere al mondo? Affermo. Pratiche di litterati, di sapienti e di ogni sorte virt? Cos sta. Le brigate dolcissime in superlativo grado? S, noi nome di Dio. Che vuoi tu inferire, mi risponderete. Oh! dove son le brutture? In me, vi odo dire, che son brutto di mostaccio, quasi un ceffo di mastinaccio, un bel paio di moncherini sporchi e puzzolenti e da capo ai piedi sete un gran boccalonaccio sucido, macchiato di pi sorte vinacci. Cio che di resipola, di il vino vi ha macchiato d' imbriaco
del profeta.
-,
mal caduco,
di
mal francese,
e di
di rotture, di
buchi
puzzolente tanfo
lasciate di
E per questo
non
iscri-
avendo da fare con un cervel balzano come il mio, subito vi sete pensato eh' io dica, Vinegia tutta pulita e illustrissima; altro che questo porco non ci che la possi sporcare. S che, ser Piero boccalonaccio, voi
Berni,
non
sete altrimenti
come
vi credete,
ma
?urie IL
15
TERREMOTO
siate
dice
d tal
nome. '
si
divino e
un boccal
io
pi
al
non
lo
credete? Ecco
il
eli'
parlo
manico sopra n si chi non d pripu mescere tutto adoperate; ma delle mani sul manico, ancora che ci son dei boccalonacci grandi come il vostro corpo, che bisocon
la logica sulle dita.
Del boccale
gna abbracciarlo
stretto, e dargli
suo sedere. Io entrerei qui nelle queste lettere voglio che le possi monache del vostro munistero. dire de' boccali da doi manichi
,
ma
si
pu pigliare per
pigli
il
manico,
con
l'altra
pun-
ne la passo, perch io so che favello con mercanti, che son usi a far grossi fondachi di s fatta mercanzia. Sempre s accompagna il boccale con la mezzetta con la metadella, e un fiasco tien due boccali; tutte masserizie buone per casa vostra. Credo che siate stato fiasco voi ancora, perch s dice fiasco divino, e che siate stato d misura, cio marchiato. Tutte queste novelle fanno per voi, che sete
poeta, a sottoscriver in verso,
come
dire:
Lo Aretino Piero
fiasco divino.
cli
bETj
diie
DONI
SS?
tender per conseguenza; e con licenza poetica potrete levare e porre verbigrazia flasconaccio ba,
:
non
faceste
mai
!
dica
pezzo
d' asino,
si, si,
arri
diavol vi porti
io
mento
per la gola;
scrivete pure
ricordo Io
mi
egli
vino
beon l'acqua,
e la
Vino e caricasi di vino. Ors, dinvi qualche prerogativa pi degli altri asini, poich sete
un
asino im*
briachevole
parte
e scingetevi
ferri novi.
S^
TERREMOTO
TAretin bestione.
non s fa cos a me .che vi sono schiavo in catena come una sboccata bertuccia. La sarebbe bella che voi mi volessi morto per non nulla. Siavi raccomandato la mia riverenza. Volete voi per crucifiggerm con una leggenda? Non gi costume degli elefanti temer le mosche. Guardate come voi fate, perch se io mi vi poso sul Viso, non lascer avere un ora d bene, e voi avete quei moncherini e non mi potrete acchiappare, talmente eh' io vi far
Comparacco,
e'
io far la
tua vita:
e io la
avremo
nete
fatto badalucco
alla
senza goder nulla e guadagnato le barile vote. Tele mani a cintola, ser Pecora, e non vi lasciate scappar della penna mai pi una s arrogante e furfante lettera sciocca, scrtta a uno che, s'egli la perde
con
Versale di tutti
perch
il
DEL DONI
229
Alla stluma di Inttl I furfanti del nostro secolo l'Aretin Fiero, porco poltrone, ecc.
M. Piero, che la S. V., mondo, e che vi siete fatto tributare dal nostro secolo, che Ella non avesse invidia che un mio pari avesse pane. Che vi lio fatto? Trovasi egli una parola in vostro disonore da me che vuol dire tanto sdegno con un scritta? No. servo suo? Mi direte, ho udito dirlo. Fate ch'io sappia da chi. Mostratemi, di grazia, queste male linIo avrei creduto, magnifico
la quale la lanterna del
gue, perch io far conoscere alla magnifica vostra persona come menton per la gola, che io abbia detto di voi male, anzi ho detto bene sempre, cio la verit. Perch non posso dir se non sempre bene, quando dico che il fuoco arde e che l'acqua bagna. Chi dicesse che voi foste luce del mondo mentirebbe. Adunque quel che ho detto di sopra di lanterna, male, per avervi attribuito quello che non avete. Potr dir poco ben di voi essendo un vaso pieno
,
di malignit
d' invidia, di
frappe , di vanti
tristizie:
di
ci'
calamenti e brevemente di
tanto che ho
detto sempre bene di vostra signoria, se gi non chiamaste ci che di bene ho scritto in vostro onore. Se io ho fatto questo male, me ne pento ma chi avr giudizio sano vedr se sempre ho detto ben
;
del bene, e
stia
mal
Domenedio
vi dia, be-
>
<r<e:c
330
TERREMOTO
Al colosso de* golii, l'Aretino mostro d' ignoranza.
Il
si
ta-
glia la strada
si
mal
fare,
vendica delle ingiurie. Egli pu mettere a campo cosa pi grata a' vostri pari ribaldi, la qual sia, secondo la vostra trista mente, pi a proposito, che tardare assai nel fare una onosi
il
savio, che
il
non
poter,
tosto sfregiare
gli offenditori; e
ancora appresso di ciascun plebeo avvilire la buona qualit, e abbassare ogni ottimo merito negli offesi
che non risentono. Onde, quando i perversi pari vostri conseguiscono questo fine desiderato, cio di
avere offeso e non essere stati offesi
,
moltiplicano
si
,
gonfiano.
La vendetta adunque giustamente fatta non solamente raffrener le ingiurie, che far mi potresti da ribaldo come siete, ma mi dar un poco da respirare per il tempo presente, e forza da difendermi per l'avvenire.
PEL DONI
231
Alla reliquia dello spedai de' diserti, il niagnix flco ser cavaliere Aretino, burla
de' perdi $;iornate.
ma
mi ha
Un
un
,
guerra.
Il sasso fla Cristo che riprovando io ci, che questo bestione ha detto scrivendo la sua uma-
nit, fa
risoluto tutto
Il
come
la statua di
io
Nabucco
a'
in polvere.
user nella
riprova di tutte
buoni
ramente dove
d'altro.
io sono, senza credersi di Puglia o Chi disse peggio del marchese del Guasto di questo Briareo? E pure il Marchese gli empi la
bocca cento volte con mille cortesie. Chi stiacci l'onor del duca di Fiorenza pi di questo furfante? Ah, ser Piero gigantaccio scommesso, fassi
mai
cos ? E'
s
non
ist
malamente. Se
mal
buoni , perch siccome fo io, ve ne incacano. E' par che voi abbiate fatto con i piedi il duca d'Urbino, alle cose che di esso dite e di tutta la corte. Non avete giammai del fango i papi ricolti, n della polvere i cardinali, da farne lo strazio che ne fate. Dubito certamente, poi che non
volete di tutti
,
232
sete stato
TERREMOTO
ammazzato cento volte per la trista e ribalda vostra lingua, che altra cagione non abbi tenuto il coltello de un de' lor servidori, se non l'aspettar le
esequie che io vi
fo.
Ma
molti ancora vi
e per buffone
e leccate e succiate e
mordete come
vi torna bene,
che
io
son contento.
PEL DONI
11
233
mi
ha
fatto scacazzare
una mezza
faccia di fo-
piena di parole da traditor cane. Ma le ciance vituperose, che vomita un animo maligno, non usci-
ti
stato risposto, o
il
uno
afi
ben temprato
coltello,
quale liberassi
buoni dalle storpiate tue mani. Taci, diavolo incarnato, che non nacque mai il pi vizioso pezzo di carne della tua. Taci, con il malanno che Dio dia a
tue vacche, poUastrier e ruffiani. Taci, ti dico, porco da stabbio che il perverso animo diavoloso, che tu possiedi oggi mai noto al nostro
te e alle
, ,
che fosse,
cristiana reli-
234
TERREMOTO
meno
ha la S. V.? Non vemeco a perdere? Perch se dite mal di me, io entro nel numero di tutti coloro che tratto avete falsamente. Ma di chi dicesti voi mai
giudizio di bestia che
O che
bene? E degli uomini da bene che ben dicesti? Io voglio alla coda cominciarmi e mondar questa nespola. Egli non fu mai uomo, che meglio vi facesse di messer Francesco Marcolini: dico per povero, poi andr scorrendo all' in su. La sua bont ha tenuto le vostre vacche a casa sua a spregnare, e atteso a' vostri figliuoli, i quali gli son morti in casa con suo dispiacere. Egli condannato nelle spese di
che realmente per debito di coscienza, mai doveva stamparle. Egli vi ha
molte operacele
delle vostre,
di presenti
di Vinegia, (io
egli,
quando fuggisti
tutte le vostre
tolse
che sapete
non
lo
vano di stati e d'altre tristizie da vostro pari, acci che voi non fossi impiccato. E perch si disse egli ha pubblicato tutte quelle che dicon bene, e cosi condannato nella spesa, perch non se ne vende una, merc che non lasci gastigarvi. Cos chi spicca lo
;
lui. Voi mi direte; o non da forche. Non accadeva torle, e con lo stampar le buone, oltre al danno, ha fatto dispiacere a molti, che scritto vi avevano per burlarvi. Ma per non fare una bibbia de' beneflcj, che egli vi ha fatti, prima dir, delle vostre cose non credo che
vi era nulla
PEL DONI
;
235
mai ne abbia fatto bene punto e poi vengo a dirvi il merto che renduto gli avete. Voi dite cbe gli mon- favi la bella vostra comare e sua moglie, e che l'era ubblica puttana, e cbe una volta a un fesso dell'u:
cbe questo e quello, mades; e che tutti gli stampatori erano cavallari; onde alla fine accortosi
scio, e
men andando
tossico e
cavalieri
,
in Cipro
e l gli
diede
il
ammazzolla
che se si sapesse da' signori che farebbono e direbbono. Questo il primo benefzio che voi fate all'amico gentiluomo. S che la genealogia (cosa che voglio tacere) di puttane, delle vacche, delle ruflBane,
sodome voi d tutta la casa ne sapete rendere un bravo conto, perch gnene
de' ruffianesmi
,
delle
Talmente
mirabil
uomo
dosi architetto
egli
rub
il
del ponte di Murano, sapete dire; modello a un tedesco, che s fid d quel
podest.
per non entrare nelle pazzie che dite del suo trovato in aere delle galee, dove tutto Vinegia
,
come
si
vede, ucceli
gli dite:
tornate a far
che vostra arte e non vi fate architetto n poeta, rubando l' invenzion delle Sorti da quel ridotto da Murano, e farvi fare i versi. Onde io, perch gli sou servitore dico che voi mentite per la gola tante volte, quanto direte cosa nessuna in suo pregiudizio. Ecco che belle canzonate che fate del buon uomo. Se di lui che tanto bene vi ha fatto, dite male, che farete di me, che giuro che voi siete un xran ribaldo e traditore?
pettini,
,
236
TERREMOTO
Aretino non
/l^ir
meno
puttanieri che'sodomlto*
Credo che la gratitudine vostra si sia cominciata a vedere: pure voi andate slogicando come dotto castrone, acci che stia in dietro. La vostra scrive ch'io dissi sempre mal di lei, e io dico di no, anzi dissi del bene bene, e del male male sempre mai. Che? volete quando si parla dell'Aretino per gentiluomo, ch'io dica egli vero? Io non sono uso a mentir per la gola come voi, che chi non ve la sfondola dite male, e bene di chi ve la colma. Avr caro d' intendere che male dico di voi. Perch se dico vile, sete vilissimo figliuolo d'un ciabattino; se ignorante, il mondo sa che sete ignorantissimo; se porco, i fatti vi mostrano porchissimo; se disutile, onde per chi vi pratica sa che sete disutilissimo un grado ordinario che io vi do quando udir la vostra ragione vi metter in superlativa cima di scala. Ma se voi cadete poi, io vi protesto che rom:
perete
il
collo. S
ste taccole.
DEL bONI
Al
sig.
237
carretta.
buona, che dite sia buona in tutti i modi universalmente e non particolarmente, Ella buona certo, poich la vi d da vivere, essendo voi il cerbero di questi tempi. D da vivere anco a dei pazzi, perch saviamente gli sono stati servi, d da Vivere a' dotti perch da lor pari la onorano, ai buoni perch perseverino. E se ne d ad alcun cattivo, lo fa acci che diventi buono. Chi tiene in sua grazia questi tiene anco me. Del qual numero io sar? L'Eccellenza sua ne sapr dar ragione, come quella che sa che cosa sien gli uomini, tanti ne ha trattenuti e onoratamente, con premj, con donar castelli, ville, terre, palazzi e casamenti, secondo i meriti loro, e con la cortesia sua sempre mantenuti. Io non volsi mai mezzi a venir seco, perch so con le opere mostrarmi; cercher ben d'averne per mantenermi, il primo sar di farvi mentir per la gola di quanto direte di me; il secondo di fargli conola Eccellenza
,
,
malignit
in fatti e
non
in parole;
com-
scritti diversi,
e con l'ufficio dell'uomo da bene. Quetestimoni sono assai a farmi grato a sua Eccellenza, onde ne spero maggior luce di quella, che ha imbiancato voi nelle tre giornate della Pippa e della
sti
con musiche
Nanna:
paragone
uno
238
TERRMOi^O
,
puro uomo
e
il
1'
altro
mzzo
diavolo,
sete"
un
diavolo
al mondo, che voi stesso tormentate del continuo con le tristizie, e i buoni travagliate con le mali-
gnit.
bEL DONI
Alla carogna del morbo universale. l'Aretin forche bene.
239
Se dir
direte voi
le
il
bugie, tosto
si
chiarir
il
mondo,
e se
vero, se ne far
onde
stro
si
il
quando vedranno che voi il e io quello che ho detto la verit perch la dissi sempre, e voi sempre mentiste per la gola, come mentite adesso di quanto mi avete scritto in quello stracciafoglio. E quando farete invettiva, mi rider della vostra prosonzione arrogante e sfacciata. So ben certo che non mi direte
chiariranno
popoli
,
,
sarete
:
bugiardo
corruttor di furfantelle vergini, sodomito, affrontatore, bilingue e boia de' buoni, conciossiach le
son
mondo.
SMO
TERREMOTO
Alla guida degli asini, rasinone AretlnOi
Da die
io
due ta:
sopra
e sotto scrizioni
la
qual dice
messer
Giomn
un
P.
ed un Ar. Al di-
sopra dimostrate d'esser non meno bufolo che ignorante. Bufolo, perch ho nome Anton Francesco e non Giovanni. Ora se gli vero, come mentite per la gola, eh' io tanto di voi ragioni o scriva, pos-
che non sappiate il nome mio? Ma quel compare guasta la festa. O questo bello quando battezzai voi me battezzaste ? Sognate voi o pur farneticate? Io non son barcaiolo vostro ruffiano, che mi abbiate, come chiamate tutti, a chiamar compare
sibile
;
se gi
non
foste
compar
pugliese. Ecco gi s
come
da perdonarvela, avendo
rifatto
il
quando si pungono o si bastonano gli asini. Che s'interpreta cosi: Io, o Doni, come poltrone e asino, a tante punzecchiate e tante bastonate di lingua e di penna, quanto pu portare un poltrone e asinaccio mio pari, che pur son grande
al ragghiare, a'
costumi, all'ignoranza,
al
mangiare,
il
che sia
vero
dove scrivete queste parole: Io, disse san Giordano, non so n ballare n cantare , ma chiaverei
DEL DONI
241
asinaccio. Le son parole isporche da dire, peggio da stamparle all'onor del vostro Marcoma lini, che tanto infamate, poich la stamp per il primo saggio di stamperia, della quale non far mai
come un
ribalde
cose ha
pubblicate. Rider
si
mi faceva
a leggere
il
cavalier Gandolfo,
quando
abbatteva
che dove trovava quel P. e quell'A. e' diceva, poltrone, asino, pezzo d' asino, pazzo asinaccio, porco asinone e alde' vostri libracci di lettere,
tri bei epiteti,
i
un
della vostra
bocca
non discordano. Ora, poi che vi chiamate asino, ecco che io vi pongo un bel basto nuovo sulla schena,
Messer
P. A. a Dio.
Bernt,
Parte II,
16
242
TERREMOTO
sci*
All'Inalberato
Cinque son le cose che mi bisogna dire, non gi ma cavate dal Piovano Arlotto materia di mio forma e privazione innanzi ci va agente e da poi fine: tanto che le fanno cinque. Io non intendo il Piovano mi direte. Lo credo perch non studio da buoi questo Piovano di ch'io favello. Agente ciascuno uomo che opera il fine che a qualche fine lo fa, e tutto cade in materia, forma e privazione. Io intendo manco, risponderete. Vi far bene
, ;
; ,
,
intendere,
non dubitate.
l'
materia
ariento, la
forma
il
un vaso
fatto a fine
cosa la privazione, la qual fa di nuovo la forma, poi la privazione che viene in materia. Voi sete una gran bestia. Ecco lo agente. La materia che avete
nel capo mille chimere, e
l'
le
disfate
con
rifare del-
chimere a fine di assassinare la borsa dei da saziar la gola e la coda di voi, P. A. Le ciance che mi avete scritte, voi sete stato lo agente, la forma la la materia stata carta ed inchiostro lettera ed io torr la materia medesima e ne far cento libri e con questa materia di carta e d' inche sar chiostro riprover i vostri Salmi traditi altro che la Nanna, il Genesi, le Vite de' santi, la Umanit di Cristo che tanto scomunicatamente avete scritto, danner le tragedie, le comedie ignorantissimamente fatte, e getter gli sporchi Dialoghi a terra, e tanto tosto che vi parr strano. Il mio line sar per onore di Dio , e per isganaltre
,
corrivi,
DEL DONI
nare
il
243
e cosi
mondo, che crede che siate qualche cosa; v'imbaster per uno bello asino poltrone ecc.,
come
vedrete.
-^^^^-
di dare una tiratella a quel tenermi in acciocch la stolta tua fantasia non ti giri in qualche fondo da non ne potere uscire cos tosto.
E'
mi pare
,
grazia
Ecco
ci
che
io scrivo al
li
Signore: guarda, tu
in grazia.
sa-:
perai chi
me
ha messo
La corte
del
Ducato d'Ubrino,
s de'
passati prin^
cipi illustrissimi,
come
il
mondo fama
d'
abbracciare
Dgni virtuoso che se gli inchina, e l'opera continua-, mente lo ha dimostrato. Io vengo adunque, come
^4A
TIRREMOTO
di tutti coloro
minimo
role
,
di
Vostra
e
s
molti pi
presento alcuni frutti del mio ingegno me ne sono riserbati per non mandar
,
le
e scritte di
ma
che
fine lo presenti a
maturi
frutti,
,
XL
anni
non ad n mai mi
cuna, ora la
Eccellenza,
Vostra Eccellenza questi miei mal altro se non che, ritrovandomi venuto voglia di servit aldesidero; ma solamente quella di Vostra
non per con altro util pensiero che vitto perch non sono nulla assetato di quella e vestito, sete cortigianesca. Se per quelle poche lettere musica, scrivere, che io ho, o fidatissimamente operare
,
io sia
buono per
,
il
mi
corte
favore
alcuno n altri mezzi che la purit dell' animo di V. Eccellenza, e la realit del mio procedere. So che questo fla assai e non potendo ottenere tal servit da me desiderata aver pazienza, e rester, come sono, schiavo alla illustrissima e eccellentissima vo;
stra persona
la feliciti e
DEL DONI
Al Doni carissimo, e nostro magnifico.
245
tera
e magnifico. Ebbi la vostra letche mi mandaste , insieme con la mirabil musica; e mi stata carissima la dimostrazione del buon animo che avete fatta verso di me. Della quale terr sempre grata memoria, e mi troverete sempre prontissimo ad ogni vostro benefizio ed onore; avendo cara ogni occasione che mi sar
,
Amatissimo mio
e' libri
al-
l'Agatone mio
vostro. Di Urbino,
sta di
Hai tu veduto, bestia, la proposta mia e la rispoSua Eccellenza? Ora tu puoi comprendere a che fine ei mi mandasse quegli scudi. Egli fu un darmi l'eletta dell' arme e del campo vieni se ti
;
piace, eccoti
il
modo;
la
godi questi, se
chi
ti
torna bene
me
gli
messe in
quartana mi tenne allora a Vinegia, e la peste mi spinse a Peser. Ma che rabbia menavi voi meco, quando vi feci dire al Zoppo, che voleva venir al Duca, e arrograntemente dicesti, io non voglio che tu vadi, e se tu vi vai, ti far e dir ? O che bestia a creder di tenermi! io dir mal del
Lo aver
246
TERREMOTO
Duca, direte. Tu hai anco detto mal di Cristo, avendo stampato che fu cagione che Lazzaro moche tu hai interpretato tutto il testo dello evangelio, dell'umanit di Cristo a rovescio, e pegrissi
;
oltre
della
Madre
de' santi,
come
io ti
mostrer; gran fatto non sar se di Sua Eccellenza, s come della Chiesa, straparlerai. Ma leggi ci che io scrivo al Duca di Fiorenza; poi del resto frappa
quanto pi puoi e ragghia forte, che io ti so dire che da qua innanzi tu udirai un maggio di dodici mesi.
DEL DONI
247
Duca Cosimo.
Principe illustrissimo
per esser
io
vostro vassallo
non
far noto al
lenza; n
conoscendomi, e quanto io vaglia. Egli ben bisogno farvi a sapere, che sempre ho tenuto memoria del vostro merito senza aspettar merito onde ho scritto cos nel mille cinquecento LI. un libro che tratta della fortuna di Cesare felice e infelice, al qual libro feci un discorso innanzi con
che
io sia,
:
piacevole
anime rientravano ne' corpi, o Dove caddi in proposito almanco il medesimo che l'anima di Cesare, primo imperadore, era nel corpo del duca Alessandro primo duca di Firenze; e
stile,
che
le
valore.
dicevo in questa forma. Alessandro si fece signor per forza. Cesare per forza: Alessandro fu amato da'popoli
e odiato da' cittadini. Cesare similmente. Tutti
due
si
da Bruto suo cugino fu morto questo, da Lorenzino suo cugino fu ammazzato. Bruto non credette che avessero ad esser pi imperadori spento quello quell' altro pi duchi, estinto il primo. Un greco, mezzo astrologo e tutto spiritato disse al Duca, presente Lorenzino e altri suoi camerieri Un molto famigliar vostro vi debbe tor la vita: delle quali parole si rise un pezzo. A Cesare da un buffone fu detto ancora (quando fu dimandato del monte di Capua aperto) che non passerebbono quindici giorni
; , ; ,
:
TERREMOTO
mese, dove
egli era,
con
la vita; e
uomo
fuggirono; quei, che finirono il Duca, anco scamparono. Quello fu tolto di questa vita in un senato secreto, e questo in una
camera
riposta.
La morte
di
Cesare fu da tutto
si
il
mondo
e
dolse di s acerbo
da padrini. E quelle prove che fece Cesare, innanzi che fosse imperadore, le faceva Alessandro, dopo che fu creato Duca, non accadendo la morte, perch era
destinato d'andar luogotenente di Sua Maest, alla
gran legnaggio Cesare, e Alessandro di sangue illustre, e fece parentado con rimperador s grande, come quello con cittadin romano s grande e oltre a questi particolari ce ne sono infinite da dire generalmente. Or vengo all'EcGoletta e a Tunisi.
di
;
Fu
cellenza vostra.
il
quale
ehbe gli inimici di Cesare nelle mani, che si messono a difesa, e voi quei d'Alessandro, che fecero esercito. Fu pace universale a tempo d'Ottaviano e premiati i virtuosi ai tempi nostri da voi sono
;
stato morto e Bruto fu ammazzato. Quanti virtuosi fece ricco Ottaviano, e quanti ne ha tratti di miseria Cosimo? Quando io queste con molte altre cose scrissi, la illustrissima persona vostra non tributava l'obbrobrio del mondo la Eccellenza vostra non pagava
stati
;
il
lupanario
la
vostri danari
la tavola
al postribulo.
spender
moneta, eh'
DEL DONI
249
La magnanimit illustrissima vostra non sa (so che non lo sapete, perch non gli dareste) dove si spendino gli scudi che imborsate all'Aretino infame ? In poltrone, vaccaccie, ruffiani, tabacchini, pollastriere;
un pozzo di vizj senza fondo cascono; in un porco impiegano, che sta del continuo nel fango delle braccia di meretrici puzzolenti e diserte. Con quei
in
s'
danari
e' fa
limosina per
di
soldo, e
con quegli
il
de' chiassolini,
non per
Dio,
ma
per
paga Vostra Eccellenza, pubblico mercato di ruffiane che contrattano pur furfantelle (sotto spezie di carit) e poverine vergini, poi che i maschi non fan pi per lui. Lascer mai l'Eccellenza vostra questa macchia sullo scettro ducale? Il gettar via in uno
avoltoio
s
fatto
vostri danari
fa
pianger cento
meschini.
Io
Teme
penna
perch un Carlo V imperatore ottimo non ha in conto alcuno da tenere si velenoso vigliaccone l'Eccellenza vostra manco. Perdir nulla di questo;
;
fiera bilingue, e morde con empie il ventre, e lecca con graffio ruvido melacchino chi gne ne sazia. Ma di questo non accade dir altro, avendo nella sua vita in
ch lingua doppia,
gli
detto tutto
ma
il
bestiai cervello
gli
serviva per
250
TERREMOTO
questo elefante, vitupero della cristianit. Poi die si comporta n battezzati il bestemmiatore, lo sceleste, lo infame e il vituperatore di ciascuno universalmente, e maravigliomi di chi lo visita
e di chi
ha seco pratica o alcuna intrinsichezza; perch il demonio infernale fa male, con la parola sempre offendendo il prossimo, con gli scritti nuoce alla suprema Maest; e con l'una e con l'altro universalmente, rovina quanto di buono fu edificato mai. E nel dar fine al mio discorso, prego Dio che pigliate informazione da ciascun buono che lo conosce, e
virtuoso, acci che la limosina vostra sia distribuita
in disonor del diavolo, e
non
in disgrazia di
Dome
nedio.
DEL DONI
All'
251
che egli fu quaranta quattro volte accusato si difese e fu assolto perch era uomo da bene Voi sete accusato da me con un sol libro,
rete in questo
, , ,
:
n sarete libero la causa non verr da altro se non che siate un gran tristo. Per innanzi che voi mi scriveste quella lettera, voi dovevi pensare, che il pigliarla con meco vi aveva a esser di danno conciossiach lo avere duello con uno uomo da bene, come in vostro dispregio son io, vi atterrava per sempre con molta vergogna e danno.
vi potrete difendere
,
:
252
Tr^RREMOTO
Al sorbitorc a giornata d'uova marcie, il disonesto Aretino, gallo delle furfantelle di Vinesia.
La discrezione madre degli asini per io l' ho per amor vostro sempre avuta per raccomandata.
;
Io
adunque mai
vi avrei cosi
tirato
gli orecclii, se
sta.
Ma
s'
egli avessero
veduto
la
giovent (cosa
Ma
di
quello avere
prudenza, fa
mo
della bilancia
da diventare o
,
si
capo
tutti
fece la tal
buoni costumi. Credete voi che il Petrarca il suo corso? S certo, e per disse: dove sia chi per prova intenda i giovenili errori, spero trovar perdono. Insino a san Paolo si scus con dire: quando era fanciullo parlava cose
anch' egli facesse
da fanciullo. Di
tutti
buoni
ci
DEL DONI
se egli avesse da far principio della giovanezza,
253
non
che alla puerizia. Voglio riferire in mio linguaggio, che io non dico de' vostri trenta, quaranta, cinquant' anni perch vi perdono le truffe, g' inganni, le imbriacherie, i debiti, le ladrere composte con;
ragio--
namenti sporchi,
sputar di parole
,
lo
i
sfondolato pappare,
trentuni
,
il
velenoso
pasqui-
le
il
sodomie,
le
paziente lussurioso
che tacca,
ma
chi pi chi
i
li-
briccino vi sono
nome
la
non
rovini:
ma
mano
mano
decrepito
siamo ? Come
mi presta
ci
vita) al
settimo suggello,
non so che
se
non che
male
e far peggio,
giovane che mai. Pure ora cominciate a morder con il dente d tossico, e pun^ ger con l'acuta lingua arrotata. In questi anni da
scender nella fossa dello emendarsi, salite sul campanil dei vizj, da rompere
sverginando meschinamente furfantelle, ingannando semplici donnicciuole, e brevemente far peggio che mai abbiate fatto. Tanto che lo aver discrezione con esso voi, e non lo avere, tutto una medesima mestura. Or fate a senno mio, emendatevi perch egli scrtto, meglio tardi che non mai e sarete cagione che vi
il
collo,
-,
254
TERREMOTO
si canceller l'assai trista vita passata, con questa poca che v'avanza, se sarete buono. Non dir altro
Il
Doge virtuoso
di
buono debbe
Vinegia
il
mento, e la patria gloriosa resterebbe sempre. Perch la sfrenata licenza e libert d'infamare vergognosa nella penna e nella lingua sua e dove si comporta macchia notabile, ed un fregio di biasimo alle repubbliche, ed a' principati universal danno. E con molta riverenza mi raccomando a Vo:
stra Serenit.
1>EL
DONI
^5
molto
Tenerahilissimo.
un
certo scimo-
quale aveva in fantasia, e se lo credeva, che membri, i quali si mangiavano delle bestie morte,
il
dessino nutrimento
al