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I Miracoli
Di Val Morel
Prefazione di Indro Montanelli
(1971)
EmmeBooks 378
*
Un'opera singolare, espressione dell'infinita fantasia dell'autore, corredata
da bellissime immagini a colori e con prefazione di Intro Montanelli e
postfazione di Lorenzo Viganò. Ultimo libro pubblicato da Buzzati in vita, "I
miracoli di Val Morel" coniuga le due passioni di Buzzati, la scrittura e la
pittura, ed è una sorta di repertorio immaginario di ex-voto dedicati a santa
Rita da Cascia nella località di Val Morel, in provincia di Belluno, tutti
dipinti dall'autore stesso e raccolti nel volume insieme al racconto delle
peripezie dell'autore per trovare il fantomatico santuario di santa Rita che si
rivelerà infine essere un semplice masso, sul quale i devoti affiggono gli ex-
voto.
I miracoli di Val Morel
di Dino Buzzati
Prefazione
C'è da prenderlo a schiaffi, e un giorno forse lo farò. Sono ormai molti anni,
forse qualche decennio, che Buzzati Dino ha messo alla porta Dino Buzzati
con l'ingiunzione di mai più presentarsi. Gli disse che non aveva più testa
per i trastulli e gingillamenti, era tempo ormai di cose serie. E di cose serie
ne ha fatte, e ne fa. Cosa valgano le sue pitture non lo so perché di pittura
non capisco nulla, ma capisco benissimo che di serietà ce n'è da far
concorrenza al sesso, e Dio sa se ce ne vuole.
Ma ecco che ogni tanto, quatto quatto e in punta di piedi, Dino Buzzati gli
torna in casa e, senza che lui se ne accorga, gli prende la mano. È di certo
in uno di questi momenti che sono nati questi Miracoli di Val Morel, ma lui
non lo sa, e speriamo che nessuno glielo dica perché, come tutti gli scemi
del villaggio, Buzzati è pericoloso solo quando pensa o crede di pensare. Si
proponeva di comporre un album di scherzi, e invece ha scritto col pennello
la sua poesia più bella. Vi ha preposto una spiegazione che vorrebb'essere
una burla, e che invece è uno dei suoi più magici racconti. Ma lui, ripeto, lo
ignora; e chi glielo dicesse commetterebbe lo stesso criminale errore di chi
risveglia con un urlo un sonnambulo.
Cosciente, Buzzati è un tale cretino che non si accorge nemmeno di essere,
da incosciente, un genio. E che fra tanti miracoli Santa Rita compia anche
quello di lasciarlo com'è.
Indro Montanelli
Spiegazione
Questi miei quadri, non sono che immaginari ex-voto per miracoli
attribuiti a Santa Rita da Cascia e finora inediti. Ecco come ne sono venuto a
conoscenza.
Tra i fascicoli della biblioteca paterna dedicata in gran parte alla storia
bellunese e gravemente falcidiata durante la prima guerra mondiale — essa
venne, come preda bellica, trasportata dagli austriaci da Belluno a Vienna,
ma già aveva subìto una serie di inconsulti quanto bestiali saccheggi per il
solo gusto di distruggere e bruciare — trovai, molti anni or sono, un curioso
quadernetto di circa quaranta pagine, un terzo delle quali ricoperto da fitte
annotazioni in una scrittura evidentemente incolta, tremula, quasi infantile,
nello stesso tempo assai meticolosa.
Sul frontespizio stava scritto esattamente:
Prodigiosi miracoli di Santa Rita
onorati nel Santuario di Val Morel
in quel di Belluno
Dopodiché, nell'interno, era registrata, in un linguaggio candido,
sgrammaticato e intensamente dialettale, una lunga serie di favolosi
interventi di Santa Rita che andavano dal secolo sedicesimo al principio del
novecento.
Si trattava per lo più di formulazioni laconiche, alcune delle quali ho
riportato pari pari nelle mie immagini. In altri casi il fatto era narrato in
termini strani e vaghi, talora difficilmente comprensibili.
E c'erano le tradizionali cadute da cavallo, le ferite in guerra, gli incendi,
le inondazioni, il classico repertorio insomma dei miracoli nostrani. Ma
c'erano anche degli episodi del tutto insoliti e sorprendenti, come ad esempio
il processo intentato dai trofei di rinoceronti contro il marchese Ermanno
Seborga Sònego, datato 1901; che l'anonimo relatore narrava con le seguenti
parole:
«Stato qui l'intendente del sior marchese Seborga Sonego Ermano
per offerta di dodese marenghi al santuario stesso e presentazione di ex-
voto in argento per le bestie ricoceronte che il signor marchese l'a copà
in Africa e l'ha portate le teste qui al suo palazzo e una sera i selvatici i
ga fatto il processo e par che saria stato condannato a morta amenoché
la Santissima Rita non fosse apparsa e il giorno dopo le teste dei bisonti
(sic) le sono state brusae».
Si usciva qui, era evidente, dall'ambito della tradizionale fantasia
popolare. C'era, con l'estrema inverosimiglianza della vicenda, una spiccata
carica di ironia e di grottesco che, lo confesso, mi incuriosì grandemente.
Mi rivolsi all'architetto Alberto Alpago-Novello, che era stato grande
amico di mio padre, e come lui aveva coltivato, e continua tuttora a
coltivare, la storia della propria terra bellunese.
Di santuari di Santa Rita in Val Morel, che, percorsa dal torrente Limana,
si diparte dalle pendici del Col Visentin, Alpago-Novello non aveva mai
sentito parlare. Non escludeva che vi potesse essere qualche chiesetta, o
cappella, in cui la Santa di Cascia godesse una particolare venerazione.
Come me, egli rimase sorpreso dal contenuto del quaderno, a lui fino allora
del tutto ignoto, e si mostrò assai dubbioso circa la sua attendibilità, tanto da
prospettare l'ipotesi di uno scherzo letterario.
Anche altri studiosi delle antichità locali non seppero darmi alcuna
spiegazione. Cosicché mi risolsi — era l'estate 1938 — a fare una piccola
inchiesta sul posto.
Confesso che il responso del parroco di Limana, il primo sacerdote
interpellato, fu una delusione.
Guardò e sfogliò il quaderno, fece una simpatica risata e mi spiegò: sì, in
Val Morel (qualcuno scrive Valmorel) esisteva non un santuario, per carità, e
neppure una chiesa, e neppure una cappella vera e propria, bensì — così
aveva sentito dire; di persona tuttavia, da poco trasferito a Limana, non c'era
mai stato — una edicola, uno di quei rustici tabernacoli che la devozione dei
montanari costruisce agli incroci delle strade, o nelle contrade deserte adatte
al raccoglimento e alla preghiera, dove almeno un lumino arde giorno e notte
dinanzi a un crocefisso, a una Madonna, a un'immagine di Santo (in Toscana
le chiamano «marginelle».
Ebbene, gli avevano detto che la fede, se non la superstizione, di quei
valligiani, attribuiva poteri straordinari, appunto a una immagine di Santa
Rita, da immemorabile tempo collocata in una di quelle minuscole
cappellette, aperte ai venti e alla pioggia, poco sopra il paese di Valmorel,
che sorge quasi alla sommità della valle. E il buon parroco pensava che
l'elenco di tutti quei miracoli fosse stato fatto al principio del secolo da
qualche appassionato del folclore, attingendo alle leggende e alle dicerie
della gente.
Ora non mi restava che andare a cercare il microsantuario. Che, una volta
chieste informazioni agli abitanti di Valmorel, non fu difficile trovare.
Un sentiero, che suppongo fosse una scorciatoia per raggiungere qualche
alta malga sui dossi del Col Visentin, dopo una ripida salita si addentrava,
formando un ampio cerchio, in un romito valloncello estremamente
romantico come succede molto spesso in Val Belluna. E proprio là dove gli
opposti declivi si congiungevano, a pochi metri dal letto di un precipitoso
ruscello, allora secco, sorgeva uno di quei rozzi tabernacoli, con una
immagine ormai quasi irriconoscibile, tanto maltrattata dalle intemperie e
dagli anni. Sul bordo, tutta una fila di lumini, di cui soltanto due accesi, e
tanti piccoli vasi e bicchieri con fiori di campo.
E i miracoli? E gli ex-voto? E le testimonianze di tante speranze, di tante
gioie sovrumane?
Quand'ecco, ebbi l'impressione che qualcuno mi stesse osservando. Mi
volsi. Da una siepe di noccioli sbucava infatti in quel mentre un simpatico
vecchietto — almeno tale mi parve — con un'aria curiosamente sicura di sé.
«Buonasera, se permette», mi disse in dialetto, togliendosi il cappello, «lei
per caso si interessa, signore, del nostro vene-rato santuario?»
«Be'», feci io un po' crudelmente, «di santuari, a dire la verità, qui non ne
vedo. Comunque...»
«Santuario è, signore», disse il vecchio assumendo un'espressione quasi
corrucciata, «anche se piccolo».
«Allora lei mi saprà dire chi ha scritto questo libretto». E, tratto di tasca il
famoso quaderno, glielo misi tra le mani. Divenne rosso, si agitava, non
sapeva come comportarsi.
«Oh, signore, allora lei forse ha conosciuto il povero professore Buzzati, il
grande professore, che era tutto sulle carte. A lui glielo ho dato io questo
lavoretto... memorie sa?... fatti magnifici... fatti documentati...»
Era dunque opera sua il curioso fascicolo. Solo che non capivo come
quell'omino, dall'aspetto rustico (poteva essere un artigiano, un contadino,
un custode di stalla, un sagrestano), avesse potuto mettere insieme un simile
campionario di stramberie.
«Sono uno dei figli», gli dissi, «e non ho la scienza di mio padre. Ma quel
libretto mi è sembrato interessante. E per questo sono venuto...»
«Oh, per me è un grande onore. Ma si accomodi, si accomodi... Sono due
passi...»
Detto fatto rientrò nella siepe di noccioli, in cui si apriva un breve varco e,
dietro, io vidi una casetta, meno che una casetta, una di quelle primordiali
costruzioni con muri a secco e tetto di legno che i contadini si fanno nelle
campagne per depositarvi attrezzi, o legno, o fieno.
Ma l'interno! Le pareti, se potevano dirsi pareti, erano tutte ricoperte di
tanti ex-voto, che definire «naïfs» era eufemismo, tanto erano di fattura
primordiale. Tutti della stessa ma-no, lo si capiva al primo sguardo. La mano
sua.
Per farla breve, il vecchietto, che in realtà non aveva che cinquantasette
anni, mi raccontò a spizzichi una storia la quale, anche se non era vera,
anche se era soltanto frutto di una solitaria esaltazione, mi parve, e mi
sembra ancora, adorabile.
Disse di chiamarsi Toni Della Santa. Che suo padre, suo nonno, suo
bisnonno, e su, su, chissà per quante generazioni, erano stati i custodi di quel
«santuario», veneratissimo, mi garantì, per largo raggio. Che lassù
arrivavano poveri e signori a chiedere le più incredibili grazie, a onorare la
grande Santa Rita per grazie ricevute. Anche dall'estero, diceva, anche da
lontani continenti. E portavano cuori, gambe, teste, braccia, ritratti d'argento
(ne aveva una cassettina quasi colma) e a lui spiegavano il fatto,
incaricandolo di dipingere un adeguato ex-voto, modesta arte trasmessagli
appunto dal nonno e dal padre. Il quaderno l'aveva scritto di sua iniziativa,
essendo venuto a sapere che mio padre si interessava di cose «importanti»
della Val Belluna. E, se io volevo, lui mi avrebbe riferito altri miracoli,
avvenuti dopo il 1909, data a cui si fermava il resoconto scritto.
Era un uomo bizzarro, che evidentemente aveva perso qual-che venerdì,
ma che esprimeva una schiettezza, una umiltà, una bontà straordinarie; anche
una fantasia, quale è rara nella gente di nulla o minima cultura.
Gli chiesi se mi avesse potuto vendere qualcuno di quegli ex-voto.
Inorridito, rispose di no, sarebbe stato un sacrilegio. E io fui tanto stupido da
non tornare a fotografarli. Ne sarebbe valsa la pena.
Mi stupiva la luce che veniva da quegli occhi. Era un santo lui stesso? Era
— come in seguito me lo chiesi ripetutamente — una sorta di ispirato
folletto, di gentile mago delle nostre montagne?
La sola cosa buona che feci in quell'occasione fu di prendere vari appunti:
sui miracoli più singolari attribuiti, dopo il 1909, a quella sperduta piccola
Santa Rita, che le autorità e gli specialisti non conoscevano, ma che
irraggiava misteriosamente nel mondo i suoi luminosi benefizi.
Come succede, non mi resi conto dell'eccezionalità dell'uomo e del
fenomeno. Quell'estate non tornai più sul posto. Il lavoro poi mi tenne
lontano. Arrivò la seconda grande guerra. Soltanto nel 1946 tornai alla
nostra vecchia casa di Belluno. E un pomeriggio di settembre, con le mie
due nipoti, già grandi, tornai in Val Morel, sperando di ritrovare il Della
Santa.
Il paese di Valmorel esisteva ancora, tale e quale. Esistevano i colli, le ripe
scoscese, le vecchie casere, le modeste rupi affioranti, il Col Visentin,
esisteva ancora intatto l'incanto del tempo dei tempi.
Ma il sentiero che conduceva al «santuario» non esisteva più. Lo cercai
lungamente. Chiesi informazioni. Nessuno ne sapeva niente. Nessuno aveva
mai sentito nominare un tabernacolo di Santa Rita. Nessuno aveva mai
conosciuto Toni Della Santa. Mi parve di trovarmi nei panni di Rip Van
Winkle.
Tanti secoli erano dunque passati da allora? Ero in preda a una droga? A
un incantesimo? Eppure portavo con me il quaderno, ormai ingiallito, e le
note prese otto anni prima.
Ecco. Il sentiero propriamente non esisteva più. Ma ne riconobbi le tracce
dalla minore espansione delle erbe. Salii la dura erta. Arrivai al romito
valloncello, c'era ancora il letto del precipitoso ruscello. Ma là dove gli
opposti pendii si congiungevano, del tabernacolo, della cappelletta, della
«marginella», non trovai più traccia. O era un rudere quel confuso mucchio
di vecchi calcinati sassi che sembravano rammemorare antichissime illusioni
perdute? Né, dietro la siepe, esisteva più la casupola, già gremita di ex-voto.
Niente. L'erba. Qualche pietra qua e là. Il ronzio degli insetti. Una poiana
roteante lassù. Il senso della vita che passa, che è passata per sempre.
Scendeva la sera. «Toni! Toni!» chiamai stupidamente. Rispose il silenzio.
Le mie nipoti erano un poco spaventate.
Ecco. Su quelle sbilenche pagine, su quei cari ricordi, ho fatto questi
quadri. Mettendoci anche del mio, naturalmente.
Dove sei, vecchio Toni Della Santa? Sei mai esistito? La mia pittura è
quello che è. Però sta un fatto. Nessun altro al mondo avrebbe potuto
raccontarvi queste cose.
Dino Buzzati
Tavole ex-voto
1 Il Colombre 14
2 La Balena Volante 16
3 I dischi volanti 18
4 Il Gatto Mammone 20
5 Il Diavolo Porcospino 22
6 Una ragazza rapita 24
7 Fattacci al Collegio 26
8 Il labirinto 28
9 Uomo in fuga 30
10 I rinoceronti 32
11 Attacco al Vescovo 34
12 Il Serpenton dei Mari 36
13 Il Vecchio della Montagna 38
14 La Torre dei Dottori 40
15 Serata asolana 42
16 Il sorriso fatale 44
17 I gatti vulcanici 46
18 I ronfioni 48
19 Le formiche mentali 50
20 Il pettirosso gigante 52
21 Caduta dalla Casa Usher 54
22 Il formicone 56
23 Schiavo d'amore 58
24 La casellante 60
25 L'Uomo Nero 62
26 Il robot 64
27 Cappuccetto Rosso 66
28 I diavoli incarnati 68
29 Il caprone satanico 70
30 Il tentatore 72
31 I vespilloni 74
32 L'orso inseguitore 76
33 I lupi 78
34 Il Pio Riposarlo 80
35 Schiava dei Mori 82
36 Il vampiro 84
37 La nube di bisce 86
38 La bottiglia 88
39 I marziani 90
1
Il Colombre
So bene che in certe ristrette cerchie di studiosi regna
la convinzione che il Colombre non sia altro che una
arbitraria contraffazione della grande Balena Bianca,
immortalata da Melville. Ma so altrettanto bene che
costoro si sbagliano. Troppe volte, e da testimoni
troppo seri, è stato avvistato il Colombre perché si
possa dubitare della sua esistenza autonoma. Ogni
volta il mostro, che dobbiamo chiamare così perché
meraviglioso non già perché apportatore di sventure,
fu visto di colore verdastro, o verde, o azzurro
verdastro. Mai bianco, come Moby Dick. Inoltre si è
sempre distinto da questa orribile incarnazione
dell'inferno in quanto non ha mai fatto male ad
alcuno. Lo spavento dei marinai alla sua vista,
grandissimo, non autorizza ad attribuirgli azioni
disonorevoli.
2
La Balena Volante
Della rovinosa Balena Volante che imperversò per alcuni anni in Europa nel
diciassettesimo secolo, penso non sia il caso di dare spiegazioni. Si tratta di
avvenimenti storici narrati in tutti i testi scolastici di storia e di scienze
naturali. Oggi gli studiosi più autorevoli mettono in dubbio, si sa, la sua reale
esistenza, che attribuiscono esclusivamente all'autosuggestione e alla
superstizione. Nei diari e nelle cronache del tempo le testimonianze tuttavia
sono di una precisione impressionante. Nel «De naturalibus excursis»
dell'abate Francesco Maria Cremerius (Ginevra, 1678) si danno, del
leggendario mostro, le esatte misure; corrispondenti a una buona cinquantina
dei nostri metri. Aveva veramente il calamitoso volatile la facilità di far
rovesciare spaventose cateratte d'acque e di grandine sulle coltivazioni? Si
possono attribuire ad esso le tragiche alluvioni del 1613 e del 1637 che
devastarono rispettivamente il basso Rodano e l'Alsazia meridionale, con
migliaia di morti? Sono probabilmente degli enigmi di cui nessuno verrà mai
a capo.
3
I dischi volanti
Il fatto che l'aggressione è avvenuta in sogno rende problematico il miracolo
stesso. L'interesse dell'ex-voto consiste piuttosto nella data: 1903. Epoca in
cui la parola dischi volanti non era ancora stata coniata. Si tratterebbe
insomma di un sogno singolarmente premonitore.
4
Il Gatto Mammone
Ancora nel 1968 venne comunicata ai giornali la fuggevole comparsa, in
quel di Cesio Maggiore (Belluno) del Gatto Mammone, che si limitò a
spaventare un gruppo di mucche al pascolo. Ma la più parte dei naturalisti è
incline a ritenerlo una pura fantasia. Dobbiamo dunque pensare che la
signora Serafina Dal Pont sia rimasta vittima di una allucinazione? Già
molto avanti in età, diciamo pure oltre i novanta, siamo riusciti a
rintracciarla, nella fattoria di Faverga che da secoli appartiene alla famiglia.
La sordità ha reso piuttosto precario il colloquio; tuttavia mi è parso di
capire che la Dal Pont ribadisce con fermezza, quasi con rabbia, la verità
dell'incidente, che avrebbe potuto avere tragiche conseguenze. A sentir lei,
Santa Rita sarebbe comparsa sotto forma di un grossissimo topo il quale
distrasse l'attenzione del mostro che si mise a inseguirlo attraverso la
campagna, sottraendosi ben presto alla vista.
5
Il Diavolo Porcospino
Il fatto appare singolare perché in nessun trattato di demonologia il
porcospino risulta essere stato incarnazione del Diavolo. Anzi, il simpatico
animale gode dovunque ottima fama ed è considerato discreto e utile tutore
della quiete domestica. Ma tant'è. I dati fornitimi dal Della Santa mi
sembrano realmente inoppugnabili; se sono veri, si intende. Perché sono
ormai passati quattro secoli. E l'avvenimento è giunto a noi attraverso una
tradizione orale la quale sappiamo bene quanto sia soggetta a deformazioni,
errori, fantastiche varianti.
6
Una ragazza rapita
Mancano i dati necessari. Né il cognome Canal è abbastanza raro da
permettere di intraprendere ricerche con un minimo di costrutto. Si direbbe
trattarsi di un rapimento soltanto tentato, e andato in fumo appunto per
qualche provvidenziale intralcio che non sappiamo. Se le cose sono andate
veramente così, non ci fu l'arresto dei due manigoldi, né il processo relativo.
Tutto svanì nel nulla. E ne serbarono memoria soltanto le due giovanette,
che per ovvi motivi mantennero, col prossimo, un cauto riserbo.
7
Fattacci al Collegio
Non era a Primolano, questione di angosce notturne, bensì di un fenomeno di
isteria collettiva, così facile a insorgere nelle comunità femminili, non priva
di un sottofondo erotico. La direttrice dell'istituto lasciò, andando in
pensione, un memoriale molto utile. Se alcune collegiali restavano
spaventate dalle orribili apparizioni, tanto da ammalarsi, altre ne traevano un
godimento morboso, tanto che venne il dubbio fossero loro stesse a
suscitarle, se non addirittura a inscenarle con abili mistificazioni. L'arrivo
della Santa fu risolutivo.
8
Il labirinto
Il labirinto della villa di Socchieva (Belluno) è un rifacimento in piccolo di
quello più famoso di Stra (vedi Il fuoco di D'Annunzio). I particolari
dell'immagine sono veri. Il conte Gualtiero Santi era pallido e portava capelli
lunghi, dato che suonava il pianoforte. In quanto alle ossa delle vittime
sparse qua e là nei viali, forse ho un poco esagerato. Ma se ne trovano
ancora parecchie, ai piedi delle siepi, sebbene i giardinieri siano caldamente
raccomandati di sgombrare con la massima cura i macabri resti.
9
Uomo in fuga
È tutto spiegato nel dipinto. Non c'è proprio altro da dire.
10
I rinoceronti
Ermanno Seborga Sònego, di famiglia patrizia di Serravalle (oggi Vittorio
Veneto) visse dal 1865 al 1927. Molto ricco, era appassionato di caccia
grossa. I suoi nipoti raccontano fosse un uomo strano, affetto da manie
religiose o, meglio, rituali. Essi suppongono che il processo da parte dei
rinoceronti fosse un parto della sua fantasia fuori squadra.
11
Attacco al Vescovo
Nel 1511 era vescovo di Castion don Marco Filotera, veneratissimo pastore
d'anime, in odore di santità. La più parte della notte egli la trascorreva nel
tempio, in assoluta solitudine, immerso nella preghiera. Non c'è da stupirsi
se una banda di demoni manigoldi abbia tentato di espugnarlo, tentandolo, è
verosimile, con le più invereconde lusinghe. E se il virtuoso presule, non
fidando nelle sole proprie forze, abbia invocato l'intervento della Santa.
12
Il Serpenton dei Mari
Non si trattava di un incrociatore, bensì di una più modesta cannoniera (il
bravo Toni Della Santa era piuttosto libero e fantasioso nelle registrazioni)
che batteva bandiera francese. L'episodio sembra credibile, e non dovuto a
un fenomeno di autosuggestione, in quanto durante il primo conflitto
mondiale il serpente dei mari, incarnazione forse del demonio della guerra,
venne ripetutamente avvistato, perfino nel Mediterraneo.
13
Il Vecchio della Montagna
L'immagine che, nelle sue caratteristiche principali, io ho riportato
fedelmente dall'ex voto conservato da Toni Della Santa, presenta un curioso
enigma. Perché l'edificio rappresentato non c'è dubbio sia la terza cantoniera
dello Stelvio, mentre la montagna in fondo presenta gli inconfondibili
connotati del Monte Agnèr, Dolomiti agordine dalla Valle di San Lucano.
Non c'è dubbio che tanto il Vecchio della Montagna quanto Santa Rita
posseggono sufficiente mobilità per trasferirsi con la rapidità del pensiero da
questo a quello gruppo alpino. Ma è curiosa comunque la coincidenza. Va
aggiunto che la Val di San Lucano, sopra Agordo, è, per diffusa credenza
popolare, una delle sedi preferite dal funesto Vecchio per il letargo invernale.
14
La Torre dei Dottori
È uno dei miracoli registrati nel quaderno da me trovato nella biblioteca di
Belluno. Ma per quante ricerche io abbia fatte, non sono riuscito a trovar
traccia di una Torre dei Dottori nelle cronache di Valdobbiadene. È probabile
un errore di nome. Il sacello di Santa Rita in Val Morel ritengo che a metà
del Cinquecento non esistesse ancora. E che quindi l'antenato di Toni Della
Santa, che iniziò il regesto, si riferisce a una leggenda. Sta di fatto che nel
1543 si scatenò nella zona una bufera eccezionale che provocò vittime e
danni e di cui si favoleggiò per molti decenni.
15
Serata asolana
La vita in villa, che nel Veneto, come si sa, conta antiche e illustri tradizioni,
è un costume tuttora vivo, pur con fasto di gran lunga minore. Soprattutto di
settembre compagnie di amici si riuniscono volentieri in questa o quella casa
di campagna, trascorrendo il pomeriggio e la sera in giochi e conversazioni.
Ma l'incanto della natura, di solito rasserenante, talora induce i villeggianti a
tetre considerazioni sul comune destino. Si può trovare esagerato, in tali
circostanze, ricorrere addirittura all'opera di una Santa? Certamente. Il
sollievo di cui beneficiò quella già lieta compagnia è probabile debba essere
attribuito a ben diverso motivo; quale potrebbe essere un repentino
cambiamento di pressione atmosferica o l'effetto dell'alcool, o di musiche
esilaranti.
16
Il sorriso fatale
Nicolino Silvestri era un reputato tappezziere di Belluno. Perse la testa per
una pensionante della casa di piacere che esisteva a Mezzaterra. E con lei
fuggì in Svizzera abbandonando la moglie e due figlioletti. Fece ritorno
meno di un anno dopo, profondamente pentito. In quanto alla sua compagna
di libertinaggio, aveva trovato da accasarsi convenientemente con un
albergatore del Canton Ticino.
17
I gatti vulcanici
È molto tempo che non vengono segnalate, dai Colli Euganei, eruzioni di
alcuna specie. L'ultima fu appunto quella dei gatti rabbiosi, documentata
dall'ex voto, che spaventò moltissimo quelle popolazioni, benché di
brevissima durata (non più di cinque minuti, complessivamente 973 felini
che vennero distrutti dai terrazzani). Quella volta fu Santa Rita a far cessare
il noioso fenomeno. Ora invece c'è motivo di pensare, o addirittura sperare,
che possa essere Santa Rita a rinnovare l'eruzione, usando non già gatti ma
pantere infuriate, le quali sbranino quanti stanno rovinando quegli
incantevoli colli con bestiali sbancamenti, immense cave di pietre e di sassi.
18
I ronfioni
La breve storia riportata dal Della Santa nel suo libercolo si direbbe la
traduzione, appunto in termini di ex-voto, di una vecchia canzone popolare
che in certi angoli del Cadore talora si canta ancora e che dice: