Sei sulla pagina 1di 86

EUGENIO MONTALE

ees
eo
Wig

LA POESIA NON-ESISTE
Digitized by the Internet Archive
in 2021 with funding from
Kahle/Austin Foundation

https ://archive.org/details/lapoesianonesist0000unse
SS

Narratori
Ni 35
LAUPOESIA- NOW ESISTE
EUGENIO MONTALE

PA PORSI A,NON ESTs


i

ALL?INSEGNA DEL PESCE D’?ORO

MILANO - MCMLXXI
© 1971 by Eugenio Montale, Milano.
PRINTED IN ITALY
LA POESIA NON ESISTE
LA POESIA NON ESISTE

L’ora del coprifuoco era scoccata e gia da qualche mi-


nuto avevano fatto ritorno i due uomini che venivano a
dormire in casa mia per ragioni precauzionali. Due ospiti
notturni, due flying guests di cui uno, l’amico Brunetto,
fisico e studioso degli ultrasuoni nonché cospiratore di
vecchia data, rappresentava l’elemento stabile, il titolare
fisso o semifisso di quell’alloggio clandestino, mentre
laltro era addirittura un flying ghost che mutava ad ogni
sera, una serie di fantasmi che si guardavano bene dal
far conoscere il loro nome.
Il cupo inverno del ’44 cominciava e la citta viveva nel-
lincubo di rastrellamenti e rappresaglie senza fine. Quella
volta lo spettro di turno era un certo Giovanni, uomo
dai capelli grigi e dall’apparenza mite, di cui si diceva
avesse impellenti ragioni per sottrarsi al suo domicilio
anagrafico. Faceva freddo e i due ospiti sedevano accanto
alla radio protendendo le dita verso una stufa elettrica quan-
do s’udi il suono del telefonino interno della portineria.
«C’é un tedesco che sale, fate attenzione» disse il por-
tiere a chi s’accostd al portavoce.
Non c’era tempo da perdere. A un mio cenno Brunetto
e Giovanni sparirono nella loro stanzetta che resto al
buio; ed io riportato l’ago della radio sulla stazione lo-
9
cale, mi mossi verso la porta in attesa della scampanellata.
Che avrebbero fatto gli amici, ed io stesso come me la
sarel cavata? Non esistevano uscite di sicurezza e forse il
tedesco non era solo... Il campanello suond piano, poi
risuond pili deciso. Lasciai passare qualche secondo, indi
fingendo di venire dal fondo del corridoio ritirai il cate-
naccio della porta. Nel vano si presentd il tedesco: un
giovane di poco pit di vent’anni, alto quasi due metri,
un naso adunco, da uccello da preda, e due occhi tra
timidi e spiritati sotto un ciuffo a spazzola, fuori ordi-
nanza. Si tolse il berretto e dopo avermi chiesto in un
italiano stentato se io ero proprio io alzd un rotolo di
carta, una specie di colubrina, e la punto verso di me.
«Io sono un ‘letterario’» disse (certo voleva dire un
letterato) «e le porto le poesie che lei m’ha chieste. Sono
di Stoccarda e mi chiamo Ulrich K.»
«Ulrich K., il suo nome non mi &é nuovo» risposi mo-
strandomi lusingatissimo e accompagnando I’uomo (un
sergente) nella saletta della radio. «EB un grande onore
per me. In che cosa posso servirla?»
Nuotavo nel buio, ma dopo pochi istanti riuscii a
orientarmi. Era uno sconosciuto che m’aveva scritto due
anni prima a proposito di certe sue traduzioni di poeti
italiani, e al quale avevo chiesto o fatto chiedere la rac-
colta delle liriche di Hélderlin, allora introvabili nelle
librerie italiane. Spiegd che il libro era esaurito anche in
IO
Germania e ch’egli ne aveva tratto per me una copia dat-
tiloscritta di circa trecento pagine. Gli doleva di aver
dovuto trascrivere il testo Zinkernagel, non quello Hel-
lingrath, ma avrei potuto riordinare io stesso la materia:
bastava lavorarci un paio di mesi, roba da nulla. Che cosa
cli dovevo? Nemmeno un pfennig, era lieto di aver ser-
vito sein gnddiger Kollege. Semmai gli avrei copiato
a mia volta alcuni dei nostri pit illustri moderni. (Sudai
freddo, e non solo in vista della fatica). Era in Italia da
poco, contabile in un reparto di sussistenza dislocato a
Terranova Bracciolini. I] reparto era piccolo, dapprima
temevano ostilita dalla popolazione, ma poi tutto s’era
messo per il meglio e in barba al coprifuoco erano riusciti
a organizzare qualche concerto sulla piazza del paese.
Fra loro c’erano, imboscati, tre o quattro musicanti di
professione e lui pure suonava non so se il flicorno o il
piffero. Il suo mestiere, la sua vita? Dapprima studente
di filosofia. Ma non ammetteva che la speculazione filo-
sofica fosse un serpente che si morde la coda, una piroetta
del pensiero su se stesso. Doveva, e non riusciva a farlo,
spiegare l’essenza della Vita. Era capitato tra le mani di
un maestro che smontava gli altrui sistemi svelandone
le aporie, le interne contraddizioni. Ultima certezza, non
restava che l’angoscia, il naufragio, lo scacco. Aveva chie-
sto se valesse la pena di liberarsi dalla vecchia metafisica
per giungere a tanto; e se non fosse per avventura il
1
Dasein, Vio esistenziale in carne ed ossa, un ipotesi altret-
tanto intellettualistica dell’io cogitante di Cartesio. I] mac-
stro, presolo in uggia, lo aveva accompagnato gentil-
mente alla porta. (Un bicchiere di vino? Perché no, an-
che pitt di uno, ma dopo di me, prego, grazie, bitte, bitte
schén). Subito dopo s’era rivolto alla poesia, non alla vol-
gare bellettristica, ma anche qui le cose si erano infru-
scate assai presto. La poesia antica é pressoché inaccessi-
bile. Omero non é un uomo e all’uomo riesce estraneo
tutto cid che esce dall’umano, i lirici greci non erano
frammentari cos] come sono giunti a noi e ci manca la
giusta prospettiva per giudicarli; e dove troveremo la
sacerta che ci renda comprensibili i grandi tragici? Non
parliamo di Pindaro, fuori del mondo mitico agonistico
e musicale che lo ha reso possibile ¢ saltiamo tutta l’ora-
toria e la didascalica dei latini, Dante? Grandissimo, ma
si legge come un pensum: l’uomo tolemaico viveva in
una scatola di fiammiferi (spenti) e per noi é tutt’altro
affare. Shakespeare? Enorme, ma senza limiti, da troppo
il senso della natura. E Goethe & il caso Opposto, naviga
gia in pieno neoclassicismo e la sua naturalita é una con-
quista polemica.
«E i moderni?» chiesi sgocciolandogli un ultimo fondo
di Chianti marca gallo.
«Oh i moderni, egregio collega» fece Ulrich con eli
occhi lustri «i moderni li facciamo noi con la nostra col-
I2
laborazione. Non offrono mai l’impressione della stabi-
lita; siamo troppo parte in causa per poterli valutare.
Creda a me, la poesia non esiste; quando é antica non
possiamo identificarci con lei, quando é nuova ripugna
come tutte le cose nuove: non ha storia, non ha volto,
non ha stile. Eppoi, eppoi . . . una poesia perfetta sarebbe
come un sistema filosofico che quadrasse, sarebbe la
fine della vita, un’esplosione, un crollo, e una poesia
imperfetta non ¢ una poesia. Meglio combattere . . . con
le ragazze. Ma sono diffidenti, sa?, a Terranova. Peccato! »
(Ripeté in francese: C’est dommage).
Si alzd, scosse il fiasco per vedere se era vuoto davvero
e inchinandosi mi augurd una buona digestione del suo
Hélderlin. Non ebbi il coraggio di dirgli che da due anni
avevo smesso di studiare il tedesco. Nel corridoio si mise
di traverso il berretto a busta dal quale spioveva un ciuffo
setoloso e s’'inchind ancora. Un attimo dopo lo inghiotti
l’ascensore.
Sostai accanto alla stanza del corridoio ed apersi piano.
Erano sempre al buio.
«Se n’é andato il tuo tedesco?» chiese Bruno. «E che
tha detto?»
«Dice che la poesia non esiste».
«Ah!»
Giovanni si volse su una spalla e comincid a russare.
Dormivano in due in un lettuccio strettissimo.
13
UN POETA «NAZIONALE»
UN POETA «NAZIONALE»

25 OTTOBRE 194...— Pare confermata la prossima na-


zionalizzazione dei poeti della nostra Livonia. E una
grande impresa sperimentale che sara effettuata secondo
un piano approvato dal generale Mirko e dal Presidio
che lo assiste. Naturalmente, i postulanti sono molti, ma
pochi saranno gli eletti. Non mi faccio troppe illusioni
sul mio conto. Frombolo entrera come capolista e sara
grassa se io potrd seguire a due o tre anni di distanza.
Dicono che Mirko sia molto sensibile alla piaggeria e il
recente epinicio di Fr. avia la sua ricompensa. E destino
che le pit grandi iniziative siano guastate dalle mene dei
piccoli arrivisti, dei profittatori. Staremo a vedere; la
situazione é ancora allo stato fluido.
5 NOVEMBRE. — L’agenzia Bulba ha diramato l’elenco dei
primi 115 che saranno autorizzati a portare all’occhiello
il distintivo di “poeta nazionale’: le lettere P. N. d’oro,
sostenute dagli artigli di un leoncello rampante. Siamo
in ordine alfabetico e per questo il mio nome é fra i primi.
Con mia soddisfazione Frombolo non figura affatto fra
i prescelti. L’ho sempre detto che Mirko é refrattario
ad ogni bassa adulazione! Debbo interrompere perché mi
chiamano al telefono. Fioccano congratulazioni da ogni
parte.
17
8 NOVEMBRE. — Centoquindici! Un po’ troppi, direi. In
ogni modo, la mia nomina é commentata favorevolmen-
te dalla stampa. Il capo della polizia mi ha portato a casa
il distintivo e m’ha dato chiarimenti sul mio nuovo status.
Avro uno stipendio di professore universitario, una casa
gratuita ¢ il rimborso di quelle spese che il Presidio giu-
dichera produttive: viaggi, trasferte, acquisto di libri ecc.
Il poeta nazionale ha un solo dovere: quello di difendere
gelosamente la sua liberta di artista. Gli eletti non forme-
ranno un’accademia, un COrpo costituito, e sara anzi bene
ch’essi non si vedano troppo e non abbiano contatti. Il
Presidio potra tuttavia valersi del loro consiglio, in ma-
teria di arte e di cultura; non & nemmeno da escludersi
che un P. N. sia chiamato a farne parte. (Non tocchera
a me questa pacchia...). A quattr’occhi, il capo della
polizia ha sottolineato simpaticamente la bocciatura di
Frombolo. Ha pienamente ragione: nella Livonia di Mir-
ko le camarille e gli intrighi non trovano un terreno
favorevole. I fatti parlano!
21 NOVEMBRE. — Da stamane ho preso possesso del mio
nuovo appartamento, al sesto piano di un grande fab-
bricato presso il Parco Centrale. Al pianterreno abitano
due altri P. N., semisconosciuti: non desidero incontrarli.
Avro giornate molto operose. Non debbo rubare nem-
meno un minuto alla mia libera professione. Stamane ho
pubblicato sulla Gazzetta Letteraria otto nuove poesie de-
18
Me.

dicate a Mirko; ho omesso la dedica e spero che il Gene-


rale non vi si riconosca.
14 DICEMBRE. — Brutta giornata. Radio-Livonia tra-
smette un elenco di 217 nuovi P. N., tra i quali From-
bolo.
(Pi tardi). La stampa della sera & particolarmente calo-
rosa a suo riguardo. Dovrd mandargli un telegramma di
felicitazioni. Bisogna evitare pugnalate alle spalle.
16 DICEMBRE. — Numerus clausus é il titolo di un artico-
lo pubblicato da Frombolo sull’Eco di Livonia. Propone
che non siano nominati altri P. N. e che si riveda la pri-
ma lista, troppo indulgente. Suppongo che alluda a me.
L’Eco pubblica una sua recente fotografia. Non ¢ mu-
tato: capelli di fil di ferro, labbruzze sottili con baffetti
da parrucchiere. E giunto buon ultimo ma sara presto
il primo.
2 GENNAIO 194... —Frombolo é stato nominato mem-
bro effettivo del Presidio, in rappresentanza dei P. N.
Grande banchetto all’‘Aquila Rossa’. Il capo della polizia
ha alzato il bicchiere in suo onore, parlando di una
«enorme ingiustizia» finalmente riparata. Gli é stato of-
ferto un distintivo fuori ordinanza, smaltato di brillanti
e di rubini: i colori di Livonia.
6 GENNAIO. — Mi sono pienamente riconciliato con
Frombolo. In fondo, ha ragione mia moglie Veronica:
é un uomo d’ingegno superiore, pienamente qualificato
19
a difendere gli interessi dei P. N. in seno al Presidio. E
fra noi non c’erano che malintesi.
I§ GENNAIO. — Una circolare riservata mi comunica le
norme emanate dal Presidio per difendere la libert’ degli
artisti e degli scrittori. E interdetta ogni forma di sog-
gettivismo borghese; i P. N. tengano presente che mani-
festazioni apologetiche del nuovo Piano di ricostruzione
saranno tollerate solo se assolutamente spontanee. (Me-
glio cosi). I problemi religiosi e filosofici devono consi-
derarsi inattuali e controproducenti. (Pienamente d’ac-
cordo). Ho telefonato a Frombolo che sono soddisfattis-
simo delle nuove norme. Mi dice che quarantatré P. N.
saranno presto eliminati per gravi insufficienze, ma che il
mio nome é «fuori discussione».
21 GENNAIO. ~ I radiati sono appena trentuno. In fondo,
non mi dispiace che un giusto criterio di severiti regoli
la nostra ‘categoria’.
18 FEBBRAIO. — Corre voce che Frombolo sari presto
silurato. Mirko non puo tollerare il suo smaccato servi-
lismo. Me ne ha fatto parola il capo della polizia, al quale
non ho nascosto che il provvedimento riuscird assai gra-
dito. Sara, anche a suo avviso, un atto di necessaria chi-
rurgia. Frombolo vive come nababbo, mentre le condi-
zioni economiche degli altri P. N. si vanno rivelando
meno rosee del previsto.
(Pit tardi). Tutte le mie spese produttive sono state
20

respinte dal collegio dei revisori del Presidio. (Due ore


fa Frombolo banchettava al grill-room dei ‘Due Cervi’).
9 MARZO. — L’araldo del progresso (edizione serale) pub-
blica un secondo elenco di P. N. epurati: diciannove, fra
i quali il mio nome. Il capo della polizia mi fa sapere che
devo raggiungere entro ventiquattr’ore la colonia agri-
cola di K. a due ore dalla citta. Dev’esserci un ridicolo
errore. Parto fra pochi minuti, ma Veronica resta solo
per i necessari accordi con Frombolo. Bisogna che Mirko
sia informato del colossale granchio preso a mio danno.
(E certo che anche Frombolo non ne sapeva nulla). Da
K. gli manderd un memoriale e le mie recenti pubblica-
zioni. In due mesi tutto si aggiustera.
25 MARZO. — Neve e freddo. Lavoro da contadino fra
villici e P. N. epurati. C’é molta disciplina, del resto ne-
cessaria. Pare che il Piano di ricostruzione dia buoni frut-
ti. Il capo sara presto visitato da Mirko e da Frombolo.
Veronica ha dovuto lasciare la nostra casa e si ¢ impiegata
negli uffici del Presidio. Scrive che Frombolo é molto
gentile con lei; forse l’assumera come sua segretaria par-
ticolare.
28 Marzo. — I] mio memoriale é stato respinto da Mirko
con un no senza motivazione. Veronica, che scrive sem-
pre meno, accenna a miei ‘gravi errori’. Dice che From-
bolo mi consiglia di insistere presso Mirko chiedendo
grazia.
21
12 APRILE. ~ Mirko verra a giorni. Stiamo preparando
uno spettacolo in suo onore: La Zingara e il Soldato,
scritto e recitato da contadini (esclusi i P. N.). La zingara
é la rivoluzione, il soldato & Lui. Avremo una grande
illuminazione alla veneziana e sara distribuito un rancio
speciale. Sono stanco ma pieno di fiducia.
21 APRILE. — Grande successo del dramma. Mirko, giun-
to senza Frombolo, mi ha subito riconosciuto. Non sa-
peva ch’ero qui, e si é mostrato assai sorpreso di trovar-
mici. Esaminera il mio secondo TiCOrso, posso stare tran-
quillo. E ordinerd un supplemento d’inchiesta sul mio
caso, che trova singolare. Ha anche accennato a From-
bolo, freddamente. Dice che ha deluso le speranze poste
in lui e che vive circondato da donne come un pascia
turco. Mentre la Livonia, dopo tutto, é un paese occi-
dentale! Ha battuto il pugno sul tavolo, esprimendosi
cosi. Mi si é allargato il cuore.
6 maccio. — Notizie fresche, trasmesse dalla radio. II
Presidio é sciolto e sara sostituito da un triumvirato del
quale Frombolo fa parte. Il direttore del campo mi an-
nuncia che il mio ricorso & stato accolto. Sard trasferito
in un silurificio a 280 miglia a est di qui, sottoterra o
quasi. Le condizioni di vita sono un po’ peggiori, ma
il
lavoro é di grande responsabiliti e sara forse retribuito.
Stasera arrivano al campo altri 17 P. N. Veronica non
da
piu sue notizie. Scriverd a Frombolo di occuparsi di
lei.
22
in,

Poteva avere una sorte migliore, ma il Piano va a mera-


viglia e mi resta l’orgoglio di vivere in tempi veramente
nuovi e interessanti. E poi, chiss’? Quando conoscerd i
miei errori fard di tutto per ripararli. Se non ho saputo
lisciare la fortuna per il verso del pelo, la colpa non é di
Frombolo, é tutta mia. Viva la nuova Livonia! Viva
Mirko!

23
ira 7 rae
a 7 Jae
Tere.
aE ae a5]
oar

t= |. | a
PitSc
ete+
.
0Eag
Re 1) ibid spi
: Cone
TP LS
Lb PAR TITO DEL PORT
iL PAR TITO DE POETI

uanti sono i poeti in Italia? Intendendosi per poeta


colui, o colei, che scrive e pubblica, quando pud, i suoi
versi, la somma totale dei poeti dovrebbe essere molto
alta. Ad ogni concorso si presentano centinaia di concor-
renti; ad ogni redazione di rivista affluiscono montagne
di manoscritti in versi. Ho sott’occhio un libro assai vo-
luminoso, ricco di circa millecinquecento liriche che
esauriscono le possibilita metriche del nostro linguaggio.
Nella prefazione I’autore si vanta di aver toccato toute
la lyre, senza che nessuno schema, tradizionale o barbaro,
sciolto o incatenato, sia rimasto da lui negletto. Nel libro
sono anche presenti tutti i possibili contenuti: l’erotico,
il patriottico, il didascalico, ecc., non escluse la satira e
la burchiellata. Ad abundantiam Vautore pubblica anche la
sua fotografia e i suoi titoli accademici. E un uomo sulla
sessantina, alto, severo, che circonda la sua firma di molti
svolazzi. Ha pubblicato il libro a sue spese e lo dice,
lagnandosi che i suoi mezzi economici siano rimasti al
di sotto della improba bisogna. Non dubita di sé ma
neppure intende che altri ne dubiti; né ritiene possibile
che tale sua spesa resti improduttiva. E pertanto, nella
lunga prefazione, egli non esita a rivolgersi al Capo dello
Stato, pregandolo di nominare al pit presto una com-
27
missione di docenti universitari di «chiara fama» col
compito di dar pubblico giudizio delle sue fatiche poe-
tiche. Il referto, anche se negativo, dovrebbe esser pub-
blicato sulla Gazzetta Ufficiale; se positivo dovra poi
portare a una lunga serie di riconoscimenti d’ordine pra-
tico che l’autore si riserva di far neti.
Leggendo questa prefazione si pensa, dapprima, di aver
a che fare con un pazzo; ma é un’impressione sbagliata.
Il professor F., autore del volume in parola, é semplice-
mente un autolatra, un uomo convinto che ogni possi-
bile progresso sociale sia necessariamente legato al rico-
noscimento delle sue fatiche poetiche. Se un nuovo Gu-
glielmo Giannini fondasse un partito dei poeti con un
punto unico nel suo programma: «Ogni cittadino ha
diritto di stampare i suoi versi a spese dello Stato», egli
manderebbe certo a Montecitorio un centinaio di depu-
tati. La formula dell’Uomo Qualunque era buona ma
aveva bisogno di esser completa; l’Uomo Qualunque,
si,
ma con un manoscritto di versi in tasca. Finora la Terza
Forza non ha potuto organizzarsi, in Italia, perché non
era fondata su basi reali, su precisi interessi da difender
e.
Difendere che cosa? Lo Stato? La Religione? Il ceto
medio (al quale nessuno crede di appartenere)? Sono
vuote generalita. Solo Ja difesa del Manoscritto indivi-
duale (di versi) pud legare insieme centinaia di migliaia
di elettori.
28
Il prof. F. ha proprio torto? L’idea che lo Stato debba
alimentare e foraggiare i suoi poeti attingendo i mezzi
dalle tasche dei poveri contribuenti é stata anche di re-
cente sostenuta da alcuni uomini di lettere. Disgraziata-
mente ognuno di essi parla pro domo sua, credendosi im-
portante, e non imposta il problema in modo logico.
Logicamente si dovrebbe dire: esistono migliaia di scrit-
tori in prosa o in verso che non giungono a pubblicare
e farsi conoscere. Perché non toccano ad essi quegli aiuti
e sussidi che sono invece distribuiti agli uomini del teatro
e del cinema? Essi sono probabilmente pit numerosi;
ma sfuggono all’attenzione e ai sussidi per il fatto che
non sono organizzati e non formano una categoria di
«lavoratori». Le riviste e i giornali considerano come un
servizio obbligatorio occuparsi del film di A. o della
commedia di B., il giorno che A. o B. siano giunti sul
palcoscenico o sullo schermo; ma non si credono affatto
tenuti a occuparsi delle 1500 liriche del prof. F. La poesia
sfugge tuttora all’organizzazione. E sfugge cosi anche
alla critica spicciola, alla cronaca, che é uno dei tanti
sottoprodotti di tale organizzazione.
Con cid intendo anticipare (in parte) la risposta a un
questionario trasmessomi dalla R.A.I.; nel quale mi si
chiede fra l’altro: «Che pensa Lei dell’attivita della cri-
tica italiana a riguardo dei contemporanei?». Rispondo
che i giornali e le riviste hanno poco spazio e si occupano
29
prevalentemente dei generi artistici organizzati come me-
stiere: pittura, teatro, cinema; molto pid raramente della
letteratura. Privi di spinte artificiali camminano cos} solo
i libri che possono contare su un successo di scandalo o
su meriti reali. La buona letteratura sfugge al bourrage des
cranes e sarebbe ignobile lamentarsene. II giorno che per
dovere d’ufficio le gazzette dovessero dir due paroline
dolci al prof. F. lavoratore evoluto e ‘protetto’, la critica
vera (quel tanto di critica vera che ancora sopravvive)
perderebbe la sua ultima dignita. Indirettamente, i grossi
fogli a rotocalco che trascurano la letteratura e la poesia
rendono ad essa un omaggio. Lo so: i poeti vorrebbero
sentirsi incompresi (a garanzia della loro nobilti spiri-
tuale) e insieme essere alimentati ¢ sussidiati. Ma a tale
effetto essi dovrebbero presentarsi come mestieranti, ac-
cettando tutti i vantaggi e gli svantaggi della qualifica. E
dovrebbero, prima o poi, rinunciare alla loro liberti. I
pianificatori delle arti sono molto duri verso gli artisti
indipendenti. E non esitano, in questi casi, a tagliare i
Viveri ai ‘pianificati’. . .

Nel 1894 un amico di Maurice Donnay disse al futuro


autore di Amanti: «Ho visto al Caffé americano uno spet-
tacolo curioso. Figurati, una specie di lanterna magica,
persone e€ paesi proiettati su uno schermo. Le figure si
muovono come si muoverebbero nella vita. E nei pae-
30
Ss.

saggi l’acqua scorre, gli alberi fremono al soffio del vento.


E molto curioso». Donnay ando a vedere e annotd nel
suo Diario: «Ho assistito al primo spettacolo cinemato-
grafico in Francia. Ecco veramente il principio di tempi
nuovi. La bicicletta é alla moda nella migliore societa e
appaiono le prime vetture automobili; ¢ vero che cam-
minano lentamente e che sono quasi sempre in panne».
In quel tempo Donney viaggiava con la sua giovane
moglie che portava un cappello di paglia senza fondo,
tipo 1830, chiamato cabriolet. Ne emergevano come
un’aureola i capelli della bionda sposa. «Il en résulte que
dans le village on croit que nous ne sommes pas mariés».
Per ovviare all’inconveniente la loro cameriera, la ‘Suis-
sesse Pauline’, porta sempre con sé ed esibisce ai dubitosi
il loro certificato matrimoniale.
Il Diario del Donnay (J'ai vécu 1900, ed. Fayard) é
tutto di questo tono. Comincia nel ’93, e va fino al ’14
cioe fino all’effettivo inizio del Novecento, un secolo che
il Donnay, morto nel 45, fece in tempo a conoscere. Il
Diario é non solo lo specchio di un periodo oggi quasi
iniramaginabile ma una delle tante prove che la crisi
contemporanea non é una invenzione di letterati in caccia
di motivi saugrenus. Il tempo scorreva veramente in mo-
do diverso allora; e il Donnay non scrive per farcene
persuasi. Si limita ad annotare giorno per giorno i fasti
della sua carriera teatrale e dei suoi successi (a meno di
31
cinquant’anni era accademico e dipendevano dal suo voto
le sorti di uomini come Boutroux e Bergson). Cammina
sull’orlo di un vulcano senza quasi accorgersene. Una
delle parti pit interessanti del suo libro & dedicata a un
viaggio in Italia, ch’egli compi nel ’94. L’Italia non gli
Place troppo, a Firenze eli promettono invano un cibo
non sofisticato, a Ventimiglia il treno é in ritardo, lui
protesta e tutti gli gridano: « Pazienzia! Pazienzia!». In
una nota, evidentemente recentissima, egli parla anche
del coup de pied dato dall’Italia alla sorella latina. Ha ra-
gione, ma non dovrebbe mettere questo fatto in rela-
zione con le spiacevoli impressioni da lui riportate molti
anni prima. In Italia il misogallismo era e fu sempre di
pochi; é un peccato che Donnay non se ne sia avveduto.
Una persona sola egli ha amato del nostro Paese: la
Duse, che perd ebbe il torto di rifiutare un suo dramma.
Tuttavia, in Italia, Donnay fu reso popolare da due nostri
attori: Tina di Lorenzo e Flavio Ando; e forse da altri.
In complesso un libro sedativo, calmante: utile a ricor-
dare che i nostri specialisti in ‘stampe dell’Ottocento’
obbedirono a un effettivo ricordo poetico e non a una
semplice maniera.

32
L’,INTELLETTUALE
lee Seorwm- oe, oll
- = S20 © cam Ge o-
an,

LANTELLETTUALE

L intellettuale condisce la insalata con olio ¢ limone.


L’intellettuale pensa che Verdi sia riuscito molto tardi
a imparare il suo mestiere e che da vecchio abbia dato
quel gran capolavoro che é il Falstaff.
L’intellettuale preferisce la musica pura, soprattutto
quella di Bach (di cui pronuncia il nome con forte fri-
zione palatale).
Vintellettuale abbandona il P. C. ma non ammette
che quelli che non ci sono mai entrati avessero ragione.
Lintellettuale pud anche scoprire Verdi, ma allora i
guai sono anche peggiori.
Vintellettuale pensa che la poesia moderna manchi di
umanita, ma ha un debole per la pittura astratta.
L’intellettuale decide da ultimo che la poesia moderna
é piena di umanita; ed ecco che il disastro é irreparabile.
L’intellettuale scambia il prologo dei Pagliacci con I’In-
no alla Gioia ma lamenta che la lingua italiana sia poco
musicale.
L’intellettuale decide di uscire dalla torre d’avorio. Per
fortuna nessuno se ne accorge.
L’intellettuale é convinto che l’arte sia fatta per essere
compresa da lui.
Peggio quando pensa che sia fatta per il popolo.
35
L’intellettuale sogna uno stipendio in dollari e dice che
«Europa deve unirsi o perire».
L’intellettuale non ottiene uno stipendio in dollari e
dice che «Il tramonto dell’Occidente @ prossimo ».
L’intellettuale ama i balletti, la musica dodecafonica e
gli aperitivi con vitamine del gruppo Bt.
«Ma il cocktail molto dry, mi raccomando».
L’intellettuale indossa un caftano bianco con bottoni in
forma di bastoncino e dice che Parigi ¢ in decadenza.
Puo darsi, ma la vera decadenza si avrebbe se Parigi
pensasse a lui.
Disgraziatamente questo talvolta accade.
«Perd St. Germain-des-Prés mantiene un certo carat-
Ele as
L’intellettuale dice che & ora di uscire dall intellettua-
lismo.
L’intellettuale dice che la Svizzera é un Paese noioso.
L’intellettuale dice che in Inghilterra, dopo tutto,
non
sl mangia tanto male.
Niente caffelatte: rompe il digiuno con un té cinese
e
un grape fruit (vulgo pompelmo).
L'intellettuale cerca il suo ‘secondo mestiere’. Ma il
primo?
Liintellettuale difende la libertd partendo per Praga e
per Varsavia; interrogato dice che «glie hanno fatto
fare»,
36
L’intellettuale non vince il premio letterario e dichiara
che tutti i premi sono una camorra.
L’intellettuale vince il premio letterario e ammette che
le camorre hanno del buono. (Anche i poeti del Dolce
Stil Nuovo facevano parte di una gang).
L’intellettuale scrive poesie che nessuno legge e con-
clude che il nostro tempo non é fatto per la poesia.
«E un peccato che il M.S.L. non abbia un Uomo».
Vintellettuale non vende i suoi libri e chiede l’inter-
vento dello Stato.
L’intellettuale vuole una poesia per il popolo, una mu-
sica ‘seriale’ (cioé a serie — o in serie?) e una pittura
astratta, cloé concreta.
Lintellettuale dice che i critici che non si occupano
di lui sono artisti falliti.
L’intellettuale si converte al neo-realismo perché la bor-
ghesia é esaurita. «Ma dopo bisognera rifare l’'uomo».
L’intellettuale é stato o sara tradotto in altre lingue.
Il suo editore é riuscito a “collocargli’ un libro.
L’intellettuale non ammette l’ingerenza dello Stato nel-
le arti ma lamenta che il teatro e il cinema abbiano pochi
sussidi.
L’intellettuale pensa che sarebbe bene rifare I’Acca-
demia, purché ci entrasse lui e soprattutto non vi entras-
SELO RAS i Geer
L’intellettuale é contrario alla pianificazione delle arti
OW
ma opina che ad A., a B. ea C. si dovrebbe impedire di
scrivere.
L’intellettuale detesta la terza forza perché il nostro
é un tempo di masse.
L’intellettuale detesta le masse e pensa che I’‘hortus
conclusus’ ha del buono.
L’intellettuale dice che se Shakespeare vivesse farebbe
P
del cinema.
Intanto vorrebbe farne lui.
L’intellettuale giung
giunge all’ap
p puntamento con un p pacco
dii g giornali] in mano; si scusa del ritard e si con geda
del ritardo eda d di-
cendo che «deve andare in un posto».
Dove andri? E aperto un ‘concorso pronostici’ per
saperlo.

38
IL POETA
Wi,

iL PORTA

if poeta ha provato, con pari insuccesso, a scrivere per le


Masse e per gli Iniziati. Nell’insuccesso vede il suo mag-
giore trionfo, ritenendosi in anticipo sui suoi tempi. Vive
nel futuro e attende la sua ora.
Due agenzie,- “La lince della citazione’ e ‘L’Argo del
ritaglio’, gli mandano le sforbiciature dei giornali che par-
lano di lui. Sono sempre gli stessi “pezzulli’, forse stam-
pati dalle agenzie per non perdere il cliente. Il poeta li
incolla in un grande album e li conta con soddisfazione.
Sono pit di mille, crescono tutti i giorni.
Pure, quand’egli presenta allo sportello dell’ufficio tele-
grafico un modulo col suo nome e cognome, l’impiegato
non esce dalla sua sonnolenza, non alza la testa e non
sembra chiedersi affatto: «¢ lui? non é lui?». Si direbbe
che all’impiegato il nome del poeta sia perfettamente
sconosciuto. Che sia uno scherzo di cattivo genere?
Il poeta non ama gli altri poeti, ma si fa talvolta anto-
logistica e raccoglitore di altrui versi per potervi unire
anche i suoi. Egli obbedisce a uno «scrupolo di obiettivi-
ta», a un dovere scientifico. A lui non importerebbe ma
la posterita deve essere informata.
Il poeta non scrive in prosa, anzi detesta la prosa, che
ritiene uno strumento utilitario, destinato alla comunica-
41
zione delle idee, non al soffio dell’arte. Le parole messe in
riga discorrono, quelle messe in fila cantano. E il poeta
canta!
Adempiuti i suoi doveri di cittadino (il poeta paga le tas-
se) egli pensa di esercitare i propri diritti e vorrebbe che
lo Stato si assumesse l’incarico di stampare, e acquistare,
1 suol versi. «Forse in Russia ...». Ma il poeta teme che
in Russia la sua libertad di creatore sarebbe vincolata.
Il poeta ha reso omaggio, in verso e in prosa, a qualche
furfantesco gerarca di ieri. Ma I’ha fatto spontaneamente
e non ha mai rinunciato alla sua liberti spirituale. E poi
ha fatto quasi sempre in prosa, e la prosa non conta,
é un altra cosa...
Il poeta é incerto tra la Forma e il Contenuto. Con la
prima maniera ¢ stato segnalato al premio«Terme di San
Burgonzo», con la seconda figura nell’« Antologia dei Pre-
sentisti», della quale ha dovuto prenotare cinquanta copie.
Il poeta ha passato i quarant’anni e non troverebbe
inopportuno che la Nazione gli manifestasse la sua rico-
noscenza concedendogli il Laticlavio (a vita). «Dopo tut-
to, chi era Trilussa, se non un semplice verseggiatore
dialettale? ».
Il poeta disprezza il giornalismo ma viaggia col settanta
per cento di ribasso. Assiste a tutti i congressi, firma tutti
i manifesti, risponde a tutti i referendum e protesta im-
mancabilmente contro «I’alienazione dell’uomo doggi».
42
Il poeta ¢ marxista, cristologo, urbanista, tecnico e pro-
gressivo.
L’organo del Partito gli ha stampato una poesia «in
corpo § 4/2», illeggibile. Ben diverso trattamento hanno
avuto Pintacuda, Malacrina e Raspanti, pit allenati nel-
l’arte di flettere la schiena. Il poeta medita di abbandonare
il Partito.
Il poeta vuol essere sussidiato ma chiede di esser libero
di insultare chi lo sussidia; vuole che la critica sia libera
ma sia anche obbligata a occuparsi spontaneamente di lui;
vuole che i giornali siano indipendenti, a patto che non
possano lodare il suo rivale Pintacuda. Tali contrasti for-
mano cid ch’egli chiama «la crisi della coscienza con-
temporanea».
Il poeta ignora che se i centomila poeti della sua risma
sl organizzassero, lo Stato si troverebbe davvero nei pa-
sticci e dovrebbe aprire le cannelle anche dalla loro parte .. .
Il poeta non lo sa, o forse é troppo orgoglioso per orga-
nizzarsi. Egli non ammette che altri poeti possano godere
dei suoi diritti. Questa vanita fa di lui il pit: negletto e il
meno pericoloso dei ‘contribuenti’ . . .
Il poeta nomina Dio in forma allusiva. ‘Egli’, ‘Lui’...
‘la Sua voce’... Concilia cosi il Progresso con la Tradi-
zione. E visitato da Lui ma pud protestare contro gli
abusi della Celere.
Il poeta si crede profondamente compreso se i critic
43
scoprono in lui una «denuncia della condizione umana».
Cid pud anche accadere, perché i critici hanno forse il
tempo per scriverne, non per leggerlo.
Il poeta ha sentito parlare di Platone e di Hegel, sa che
la Repubblica non avra bisogno di poeti e che un giorno
l’arte finira. Tuttavia il fatto non é imminente, e c’é
ancora posto per lui, che é ultimo dei poeti. (L’ulti
mo
ma il primo).
I] poeta pud essere anche diverso. Pud avere un passato
indiscusso, tanto che non se ne parla pid. In questi
casi
é ricco, ha la macchina, guadagna molto e non rifugge
dallo scrivere in prosa. E una specie di poeta che sta spa-
rendo e richiederebbe uno studio a parte.
Nello Zoo letterario ¢’é ancora qualche esemplare di
poeta che non parla dei suoi versi, non riceve ritagli
e fa
onestamente un altro mestiere. Non proporrei di met-
terlo in gabbia e farlo vedere al pubblico, perché in
que-
sto caso diventerebbe orgoglioso e passerebbe automa
ti-
camente nella classe dei poeti che ho gid descritto. Non
SO sé meriti Onore, ma merita certo di non essere di-
sturbato.

44
IL PITTORE
iL PLITORE

I pittore vorrebbe dipingere un bel prato verde smeral-


do, una vacca che bruca i papaveri, due covoni di paglia
sullo sfondo, e in alto un cielo azzurro offuscato da riccioli
di nubi. Vorrebbe ma non pud farlo. Ci si é spesso pro-
vato ma una voce interiore gli ha detto: alto la, férmati.
«Non possumus! ».
Il pittore é stato informato che scopo dell’arte sua non é
dipingere il vero ma le tempeste del suo cranio, la sua
visione del mondo, la sua Weltanschauung. Ora nel suo
cranio non c’era proprio nulla di simile. Nato per non
pensare eli hanno fatto credere che deve invece dar for-
ma e colore all’Idea.
Praticamente, l’Idea non é affatto un’idea, ma consiste
nel seguire una certa formula che si ritiene essere nuova,
o moderna 0 ‘progressiva’ rispetto alle altre. Chi ha detto
questo? Non il pittore. Il pittore non ha detto nulla. Egli
ha perd delegato il giudizio sull’arte sua a una congrega
di supposti competenti, dei quali deve accettare Vimbec-
cata ¢ il giudizio. Il pittore dipinge per delega, dipinge
il pensiero degli altri.
Il pittore ha mangiato la foglia e sa che cid che ieri era
progresso (manichini, uova di struzzo, ellissi e spirali) pud
essere oggi segno di rammollimento. Egli sa pure che po-
47
trebbe o dovrebbe reagire, volgersi a un nuovo realismo,
dipingendo contadini dai piedi sporchi, pidocchiosi peoni
che si contendono una fetta d’anguria, scioperanti a sin-
ghiozzo contro un pettine di fumaioli ecc.; ma sa anche
che questo potrebbe esser considerato un abietto pom-
pierismo quando la bussola della Storia girasse in altra
direzione. Obbligato, non a pensare o ad agire ma a
«fare sempre il contrario», il pittore si trova in paurose
difficolta.
Il pittore & cosi costretto a trovare una ricetta che gli
permetta di cucinare la sua personaliti in tutte le salse,
anche nell’imprevedibile salsa di domani. Una ricetta cos}
larga che tutto possa entrarci e tutto possa uscirne. Que-
sta incertezza potrebbe chiamarsi « disponibilita, attesa
della Grazia, crisi della pittura borghese, senso della quar-
ta dimensione» ecc.
II pittore parte per la montagna deciso a ritemprarsi al
contatto con la natura e torna dopo aver dipinto una se-
dia attaccata a un muro; parte per la Costa Azzurra e ne
riporta una donna con due nasi campeggiante su un
collage di giornali sportivi. Si chiude nel suo studio, guar-
da attentamente la modella e ne ricava una locomotiva
in corsa. Il pittore ha ‘superato’ le sue precedenti maniere
ma esse non esistono.
I] pittore non ha pit capelli lunghi né clienti. I pittore
ha abitato o abiterd a lungo a Parigi. Il pittore vive con
48
la seconda moglie, é sfruttato dal suo mercante ed é oc-
cupatissimo a fabbricare i suoi falsi. Che si direbbe di lui
se nessuno lo plagiasse e imitasse?
Il pittore é sempre ammirato per i suoi quadri di ieri,
non per quelli di oggi. Deve quindi produrre in serie i
suoi quadri di ieri. Quelli di oggi li fara fra una ventina
d’anni.
Il pittore é sensibile all’attuale «rinascita del sentimen-
to religioso». Ha affrescato a tubi di stufa una cappella in
Svizzera e un prete cubista gli ha dedicato una mono-
grafia rilegata in cellophane. Il pittore non dipinge piu:
scrive articoli, pamphlets, polemizza, attende che sorga
una nuova architettura, degna di suoi futuri affreschi
© musaici.
Il pittore pud dipingere in un modo o nell’altro, e
questo poco importa. Cid che importa é ch’egli abbia
‘imbroccato’ il suo critico, !uomo che presta un signi-
ficato all’opera sua e lo impone agli altri.
Quando un pittore imbrocca non uno ma due o tre
critici, e questi si azzuffano tra loro, egli deve mollarne
uno o due e restar fedele a quello che sa strillare pit
forte o che ha una migliore clientela.
Il pittore ha tre strade: moderata stilizzazione del vero,
realismo illustrativo o fotografico e astrattismo. Egli pen-
sa che sia opportuno batterle tutte e tre, dividendo in
tappe o in ‘periodi’ la sua attivita. Spera cosi che almeno
49
uno dei tre periodi gli concili il favore di chi fabbrica la
pubblica opinione.
I] pittore scopre con stupore che il suo barbiere, il suo
sarto, il suo portinaio dipingono meglio di lui. Sono i
«pittori della domenica», i soli che poOsseggano una tecni-
ca autentica, in un’eta che ha distrutto la tecnica accade-
mica, trasmissibile. Tenta di imitarli ma non riesce che a
un pompierismo della domenica. E come una cornac-
chia che si sforzi di imitare l’usignolo.
Il pittore non pud (come lo scultore) deporre le sue
uova, 1 suoi ferri da stiro, i suoi porta ombrelli nei giar-
dini, nei sottopassaggi, nelle nicchie delle case, sui tavo-
lini, sotto i tavolini. Egli ha bisogno di mura e i soli che
lo ammirano non hanno pareti disponibili e dividono
un appartamento in quattro. Solo un’umanit3 che dispo-
hesse ancora di palazzi o abitasse in grotte potrebbe ri-
cordarsi di lui. (Ma probabilmente coloro che dipinsero
le grotte di Lescaux non erano pittori di mestiere).
Il pittore é vittima di un equivoco: € nato troppo tardi,
0 troppo presto. Fortunati coloro che dipinsero «le croste
del Seicento»! Moriranno anch’essi ma per qualche secolo
sono riusciti a galleggiare.

Bie)
i MUSICISTA
i

IL MUSICISTA

if compositore di musica é prima di tutto un uomo che


ha studiato la tecnica della sua arte per molti anni. Esi-
stono poeti e pittori quasi digiuni di ‘mestiere’ eppur ca-
paci di dare opere pregevoli; ma un musicista che non co-
nosca il suo mestiere non esiste. Lo stesso Moussorgsky,
citato spesso come il prototipo dell’ignorante di genio,
era un discreto dilettante di pianoforte: aveva cioé stu-
diato musica per molti anni.
Il musicista, purtroppo, ha studiato il suo mestiere a
lungo; ha speso quattrini, ha preso un impegno verso sé e
verso il mondo che non pud essere facilmente tradito. Se
si accorge di avere sbagliato mestiere, quando ha in tasca
il diploma e si é lasciato crescere i capelli e ha assaggiato
il piacere dei primi applausetti di incoraggiamento, non
puo pit cambiare rotta e deve fare il musicista. La sua
vita é segnata. Egli comporra, a qualunque costo.
Era bambino, ha suonato con un dito « Mimosa mimo-
sa, quanta malinconia nel tuo sorriso», hanno detto « per-
bacco, questo ragazzino ha un vero bernoccolo per la
musica», lo hanno mandato per molti anni al Conser-
vatorio e ora chi potrebbe prendersi la responsabilita di
farlo smettere? D’altronde il genio é frutto di una lunga
pazienza e la musica a braccia, la musica orecchiabile, ha
me
fatto il suo tempo. Se il musicista non ha genio apparente,
questo pud essere l’indizio di un genio pil profondo, pit
segreto. Basta con le cabalette e con gli ‘zum-pepé’; la
Musica deve evolvere, deve adeguarsi ai tempi.
I tempi sono democratici e non comportano una musi-
ca in cui alcune note la facciano da padrone rispetto alle
altre. Non si parli pit di tonica e di dominante e non si
permettano inutili ripetizioni (esibizioni) di note. Le note
sono dodici, contando i bianchi e i neri del pianoforte.
Ebbene, si stabilisca che in ogni battuta tutti e dodici i
suoni debbano essere presenti e che nessuno di essi possa
far capolino due volte. Questo pulviscolo sonoro realizza
la vera democrazia musicale, la civilti di masse partoris
ce
legittimamente la musica di serie, e chi vi si oppone
di-
mostra un inguaribile spirito reazionario.
Il musicista ‘di serie’ ha cos} risolto il problema di fare
una musica che non sia né pucciniana né wagneriana.
Per esser tale, la musica avrebbe bisogno di svilupp
are
la frase, di distendersi, di abbandonarsi in qualche modo
al tema o al motivo. Ma la tecnica di serie non permette
simili sviluppi e il musicista cammina cos} al sicuro. Egli
ha la profonda soddisfazione di non essere un altro. Gli
manca, é vero, la soddisfazione di essere se stesso,
ma
questo é forse necessario? Non é& per caso il residuo di
un’eta borghese ormai superata?
Il musicista non ama il teatro perché ritiene che la mu-
54
Sn,

sica debba essere pura. Fa perd del teatro perché il teatro


éil genere pitt redditizio, il solo che pud dar fama e attrar-
re l’attenzione di un pubblico non troppo esiguo. Fa del
teatro, componendo da sé il suo libretto, in cattiva prosa
e procurando che i personaggi siano vestiti in borghese e
che il teatro non sembri teatro ma un episodio di vita vis-
suta. Personaggi in borghese non possono cantare; parla-
no. Il musicista sottolinea con un brusio di suoni un’azione
mugolata da alcuni infelici che per essere intonati devono
essere sempre un quarto di tono al di sopra o al di sotto
del giusto. II musicista esprime con cid l’Angoscia del no-
stro tempo. (Meglio servirsi della parola tedesca Angst.)
Il musicista non vuole il successo perché sa di non po-
terlo avere e perché tutti i geni, al loro tempo, sono stati
fischiati. Egli vuole il fiasco, un fiasco crescente, su scala
internazionale, diffuso, senza limiti, senza soste. Chi fi-
schia il musicista lo incoraggia e lo riempie di tripudio.
Applauditelo, invece, gridando: € un nuovo Tosti, ¢ un
nuovo Tirindelli! e lo ucciderete. Ma nessuno vuole
ucciderlo.
I] musicista odia gli strani tempi in cui studiavano musi-
ca coloro ch’erano nati per farlo; odia soprattutto l Otto-
cento. Il musicista vuol tornare alle origini, non perd al
canto degli uccelli ¢ allo scroscio dei fiumi. Questo ¢ stato
gid fatto, da Wagner fino a Debussy. E che improba fati-
ca sostiene Debussy per non fare del Wagner e magari del
55
Massenet! Il musicista non pud correre simili rischi. Egli
scarica le sue serie, orizzontali e verticali, sperando che
li dentro nessuno possa entrare. Guai se fosse riconosciuto
per quello che é@.
Il musicista (a serie) & incoraggiato dal fatto che i mu-
sici ligi alla tradizione sono persino peggiori di lui. Eeli
vive, modestamente, di sussidi perché é rappresentato
solo in festivals sussidiati; & un galantuomo che ha letto
Proust e sa che bisogna essere del proprio tempo. E colto
e€ intelligente ma ignora che, quando é nato, Tersico
re,
Euterpe e Polinnia non se ne sono neppure accorte. Te-
stimoni oculari affermano ch’esse si siano invece curvate
sulla culla del maestro Padilla, autore del Relicario, della
Violetera e di altre canzonette. Ma chissd se & vero. . .

56
IL CANTANTE
IL CANTANTE

Dal giorno lontano in cui gli spiegarono che bisogna


mettere la voce ‘in maschera’ il cantante lavora la sua
maschera, i suoi ‘seni frontali’ come il cuoco lavora la
maionese. Tien su continuamente la voce con impercet-
tibili sguittii di topo inseguito. Il suo mondo comincia
molto in alto. «E dal palato in su tutto il vedrai».
Il cantante sa che la sua arte ¢ in decadenza, ma crede
di essere una luminosa eccezione. Egli é del resto il solo
artista che non possa ascoltarsi né giudicarsi. La sua vita
é tutta un auto da fe, un atto di ‘fede’. Se fosse modesto
tutti lo crederebbero un cane.
Il cantante fallito non pud appellarsi alla posterita e
neppure pud godere del presente perché é troppo occu-
pato a tenere a posto la voce. Solo quando é molto vec-
chio pud (0 poteva) parlare dei successi ottenuti alla Corte
degli Zar. Ma ora?
Quando Ja voce é in maschera bisogna tenercela, ma
la voce tende a muoversi. Bisogna seguirla, dandole un
po’ di spago. Se resta indietro é ‘tubata’, se vien troppo
fuori perde il centro di gravita ¢ comincia presto a bal-
lare. Lanciato a grande velocita nel wagon-lit il cantante
viaggia assai pit velocemente nell’interno della sua ugola,
inseguendo la sua voce che fugge.
59
Il cantante ha «una certa idea» delle propr
ie possibilita,
come l’aveva Raffaello delle sue. Se @ intel
ligente tro-
va d’istinto le Parti scritte per lui.
Perd non riuscird
mai a interpretarle perché sara semp
re scritturato per al-
tre parti.
Il cantante ha un nemico, e questo
nemico non enctea=
no a dirsi, né impresario né il pubblico
pagante. B in-
vece il musicista, che utilizza i] suo
strumento senza co-
noscerlo e senza amarlo, l’inveterato
nemico di colui che
dovrebbe interpretare le sue musiche.
Gli hanno detto «chi non lega non
canta», poi hanno
preteso di trasformarlo in una batte
ria a percussione. Gli
hanno detto che stonava, poi si sono lagna
ti che non sa
stonare abbastanza. Ricoperto di
plume, immobilizzato
su un plateau di Cartapesta, atterrito
dal regista, accecato
dai riflettori, si & sentito dire che
«come strumento a tasto
non funziona...»,
Il cantante & naturalmente buono perc
hé naturalmente
estrovertito. Quando non &@ tale puo
rinunciare al suo
mestiere. Diventerebbe un Mallarmé
del canto, incom-
prensibile a sé e agli altri. I pit fini
cantanti sono cer-
tamente i cantanti falliti.
Il cantante non é meno vanitoso del
musicista e del di-
rettore d’orchestra, ma la sua vanitd & molt
o piu ingenua
€ scoperta. In fin dei conti & un mode
sto. Muore strin
-
gendo al seno un autografo del maes
tro Leoncavallo;
60
ay

nessun musicista morira stringendo al seno una sua fo-


tografia.
I] cantante si é specializzato in un’arte che tende a spa-
rire. Gli dicono: «L’opera che stai studiando si rappresen-
tera ora per l’ultima volta, é un vecchiume, un pezzo da
museo; quella che studierai domani si dara una volta sola
e mai pit. Il pubblico non vuol saperne delle novita».
Il cantante suppone che quelli che lo ascoltano si di-
vertano assai. Quando scopre la verita, a volte si suicida.
Pianisti, direttori d’orchestra, compositori si suicidano
pit raramente, ¢ per altre ragioni. Essi non scoprono mai
la verita.
Il cantante eredita il nome (non la voce) del padre e
persino del nonno. E spesso si sostiene col nome che ha
ereditato. Tanto é vero che si canta con tutto fuor che
con la voce.
Il vecchio cantante vive sconosciuto. Se si chiama Giu-
seppe Montanelli scopre con stupore che suo nipote Indro,
giornalista, é pit’ celebre di lui. Ma é troppo rispettoso
della ‘stampa’ per rammaricarsene.
Di lui nessuno si occupa; al massimo hanno detto «che
ha voce educata a ottima scuola». Solo pagando l’abbo-
namento sostenitore alla Gazzetta del melodramma ha po-
tuto avere il nome stampato in neretto nei falsi tele-
grammi.
«Manrico d’eccezione, grande sQUARCIAPINTI, pubblico
OI
Chioggia ovazionollo e bissollo stretta pira» ecc. Ma le
porte dei grandi teatri non si aprirono e il celebre ca-
strato venuto dall’America prese il suo posto. Un giorno
dovette smettere anche |’abbonamento sostenitore.
Il cantante controlla tutti i rumori con un fischietto (il
corista) che produce il Ja naturale. Ma il Ja naturale &
stato rialzato di un terzo di tono non so quanti anni fa.
Da quel giorno tutti strillarono come galletti. Quando
si avra la macchinetta che emette i si e i do del cantante
non si avra pil: bisogno.
Il cantante dovrebbe essere un plebeo per resistere al
mestiere e un grande signore per cantare sul serio. Non
essendo possibile la coincidenza di tale qualita, il cantante
é gia finito prima di cominciare.
Il cantante prende la vita sul serio e vive tra buffoni.
Egli crede perd di esser lui il buffone, tra persone serie;
e questo é il lato pit straordinario della sua carriera.

62
IL COMMENDATORE
IL COMMENDATORE

Tre lumache coi loro bravi numeri, I, 2, 3 scritti a in-


chiostro sui gusci, filano alla media di un palmo al mi-
nuto sul tavolo del ping-pong. Filano davvero perché si
lasciano addietro un fil di bava, e sono press’a poco sulla
stessa linea. Lo ‘starter, ch’é anche il giudice d’arrivo, ha
dato da poco il via col suo fischietto. Seguo il derby
sollevandomi un poco dalla sedia a sdraio. Il traguardo
é una pagliuzza posta orizzontalmente all’altro estremo
del tavolo e sollevata a mezzo centimetro d’altezza. I bam-
bini fanno scommesse; tre puntano sul numero 1, due
sul numero 2 e altri due sul numero 3, lumaca gialla che
sembra in difficolta ma pud riprendersi. Il giudice ¢ au-
torizzato a frapporre il bastione d’una cartolina illu-
strata accanto al binocolo della lumaca che tenti di de-
viare, ma per ora non ce n’é bisogno. Brontola un tuono.
Stormiscono in alto gli ippocastani.
I bambini strillano. La lumaca n. 2 é stata colpita da un
marron d’India caduto dall’alto. Ritira il cannocchiale,
sbava, perde terreno. Gridano i suoi scommettitori: « E
come se avesse bucato una gomma, bisogna ricomincia-
re». Dice il giudice: «Pud anche succedere, la corsa
continua». I bimbi sono eccitatissimi. La lumaca n. 3
ha perso mezza lunghezza, il numero 2 malgrado la di-
65
sgrazia produce il suo sprint, ma il numero 1 é in lieve
vantaggio e sembra prossimo a porre il suo lungo binoco-
lo sul filo del traguardo. Improvvisamente una mano
guizza in aria e un altro marrone cade sfiorando il
numero I che si ritira nella sua caverna. Cade anche la
paglia, tutti urlano, il numero 2 é giunto sul filo e lo
sormonta. I bimbi fanno una furiosa baruffa. «Sei stato
tu che hai tirato ultimo marrone!» urlano accusando un
bambino magro che mi par di conoscere, con una maglia
zebrata, a strisce. Il bambino magro nega e piange; ac-
corrono i suoi genitori e gli dicono: «Ti rimanderemo in
collegio e ti faremo bacchettare da padre Buganza». Stor-
misce pitt forte Palbero, cadono nuovi marroni. Colpe-
vole, innocente? Le opinioni sono divise, tutti urlano e
imprecano. Grossi goccioloni scendono dall’alto, biso-
gna rifugiarsi all’interno.
Ora tutti sono spariti, forse non c’era nessuno neppur
prima. Ho dinanzi a me lo spettro di padre Buganza,
nero con la bacchetta in mano. Con un salto sono sulla
porta di servizio della pensione. Mi porto la mano sugli
occhi, barcollo, m’appoggio allo stipite.
«Si sente male, commendatore? Ha bisogno di nulla?»
mi chiede il padrone della pensione. Non sono commen-
datore ma non oso confessarlo; e che avverrebbe se gli
dicessi che nel suo boschetto ho ritrovato padre Buganza?

66
NOTA DELL’EDITORE
NOTA DELL’EDITORE

I «caratteri» pubblicati sono ristampati integralmente


dal «‘Corriere della sera’’ [CS] e dal “‘Corriere d’infor-
mazione,, [CI], con due soli ritocchi dell’autore:
La poesia non esiste [CS 5 ottobre 1946]
Un poeta «nazionale» [CS 28 luglio 1948]
Il partito dei poeti [CS 24 giugno 1950]
Lintellettuale [CI 26 giugno 1951]
II cantante [CI 28 giugno 1951]
II poeta [CI 11 luglio 1951]
II pittore [CI 20 luglio 1951]
II musicista [CI 26 luglio 1951]
Il commendatore [CI 4 settembre 1951]

La poesia non esiste era stata aggiunta alla 4? edizione


(32 Mondadori) della Farfalla di Dinard (Mondadori,
Milano 1969). L’intellettuale era gia stato da me ristam-
pato nel volume di ANNatisA Cima: Eugenio Montale,
via Bigli, Milano (dodici fotografie di Sante Achilli),
serie fotografica ‘‘occhio magico”’ n. 7 (Scheiwiller, Mi-
lano 1969).

69
INDICE

. La poesia non esiste


. Un poeta «nazionale»
. Il partito dei poeti
. Vintellettuale
. Il poeta
. Il pittore
. I musicista
. Il cantante
. Il commendatore
SS
MA
GN
00S)
NOY
NARRATORI
a cura di Vanni Scheiwiller
Volumi in 16°

. ANTonrio Detrini. Misa Bovetti e altre cronache.


1960. «Premio Internazionale Libera Stampa
1959» OOO

. CesARE ANGELINI. Quattro lombardi (e la Brian-


za). 1961 Tar 800
. ALBERTO SAvINIO. Vita dei fantasmi. A cura di
VANNI SCHEIWILLER. 1962 L. 1.000

. (FRANCESCO) CANGIULLO. Nini Champagne. (I


romanzo della belle époque napoletana).
1962 L. 1.500

. Antonio Detrint. Modena 1831 citta della Char-


treuse. 1962 L. 1.500

. CESARE ANGELINI. L’osteria della luna piena. 1962 esaurito


. Luici BarTo.ini. Racconti scabrosi. 1963 L. 1.200
. Francesco Ortanpo. Ricordo di Lampedusa.
1963. Seconda edizione, 1963 in ristampa
. Prerro Janrer. Con Claudel. 1964 Ly f206
To. ViTTORIO SERENI. L’opzione. 1964 L. 1.000
73
Fuori serie: CESARE ANGELINI. De profundis per il
pittore (Ricordo di Romeo Borcocnont).
1964 Ie 600

Dr ALDO CAMERINO. Gazzetta Veneta. 1965 ie 1.200

15 G. A. Gavazzent. I nemici della Musica. Con


uno scritto di EUGENIO MONTALE. 1965 Te 2.000

13: Bracio Manin. I delfini di Scipio Slataper. 1965 L. 1.500


ee FELICE CHILANTI. Ponte Zarathustra. Racconto.
Prefazione di ALFONSO GATTO. 1965 L: 1.200
1; Futvio Tomizza. II bosco di acacie. Racconto.
1966 ie
16. GorrrEDO Parise. Gli Americani a Vicenza. 1966 L.
7s Grorcio Soavi. Il mio Giacometti. 1966 ie
18. ANTONIO PizzuTo. I] triciclo seguito da Cana-
dese, con un saggio di GIANFRANCO ConrINI.
Copertina di EucEntio MONTALE. 1966 i.
Fuori serie: ANTONIO Pizzuto. La bicicletta, con un
disegno di Grusepre VivIANI e un collage di
FABRIZIO CLERICI. 1966 Te
19. GIACOMO DEBENEDETTI. Amedeo. Prefazione di
Giacomo Novena, due disegni inediti di
FELICE CasoratI, lettere inedite di EucEnto
MONTALE. 1967 Wh. I.000

20. FELICE CuILantI. II colpevole. Copertina di Si-


RONI. 1967. «Premio Prato 1967» L: 2.000

74
PHS ANTONIO PizzutTo. Nuove paginette. (Facsimile
del manoscritto). 1967 L. 1.500
22. Bracio Marin. Strade e rive di Trieste. 1967 in ristampa

vee StetIo Crise. Epiphanies & Phadographs. Joyce


a Trieste. Con un album joyciano. 1967 L. 3,000
24. Ortavio Ceccui. L’aspro vino. Ricordo di
Umberto Saba a Firenze *43-'44. Con due
inediti di UMBerTo SaBA. Copertina di Vit-
TORIO BOLAFFIO. 1967 L200

24. GiorGIO VOGHERA. Quaderno d’Israele. Prefa-


zione di CLAUDIO Maceris. 1967 «Premio
Portico d’Ottavia 1968» L, 2,000
26. ITato Svevo. Due racconti. La Tribu. Lo spe-
cifico del Dottor Menghi. 1967 L. 1.000
. Prero Cnrara. I ladri, con laggiunta di Ti
sento, Giuditta! Racconti. Copertina di Uco
VALERI. 1967 L. 1.000
28. GiaNcarto Buzzi. Isabella della Grazia. Con
illustrazioni di VENTURINO VENTURI € testi-
monianze di GlorGIO CESARANO, RAFFAELE
Crovi, GIOVANNI GIUDICI, GIOVANNI Ra-
BONI. 1967 152000

29. IraLo Catvino. Vittorini: progettazione e let-


teratura. Foto di CARLA CEratTI. Copertina di
EuGEeNtIo MONTALE. 1968 L. 1.000
75
30 . AMERIGO Bartott NATINGUERRA. L’aragosta, 8
racconti e 6 disegni. 1969 ‘bs 1.000

31 . VirGILIO ScaPin. Supermarket provinciale. (Rac-


conto). Copertina di Mino Maccari. L. I.000

32 . Fetice Cumranti. Ex (Romanzo). Copertina di


Emit1o VEDOVA. 1969 «Premio Enrico Pea -
Alpi Apuane 1969» | 2.000

33 . Tutuio Kezicu. Svevo e Zeno: vite parallele.


1971 ibe 2.000

34 . AMEDEO GIACOMINI. L’arte dell’andar per uccelli


con vischio. Trattatello. Disegni di Luici
ZUCCHERI. 1969 IL 3.000

35 . Eucento Monta te. La poesia non esiste. 1971 L. I.000


NARRATORI
N-35
QUESTO VOLUMETTO A CURA DI VANNI SCHEIWILLER
E STATO IMPRESSO DALLA STAMPERIA VALDONEGA DI
VERONA IN DUEMILA COPIE NUMERATE DA I A 2000
PIU CINQUANTA COPIE NUMERATE DA IAL CON
UNA ACQUAFORTE ORIGINALE FIRMATA,
DI EUGENIO MONTALE
L’?8 FEBBRAIO I9Q7I

Potrebbero piacerti anche