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Felice Accrocca
LA CRONICA DI SALIMBENE.
CRONACA, MATERIALI PER LA PREDICAZIONE
O ALTRO ANCORA?
estratto
Felice Accrocca
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Ormai ventisette anni fa Mariano D’Alatri raccolse 147 titoli specifici, computando
insieme edizioni, traduzioni, bibliografie, studi [cfr. Bibliografia salimbeniana 1930-
1991, in J. Paul - M. D’Alatri, Salimbene da Parma testimone e cronista (Bibliotheca
seraphico-capuccina 41), Roma 1992, 245-257], di cui 65 nel solo ventennio 1971-1991:
in generale, sul frate parmense, mi limito a rinviare a: M. D’Alatri, La Cronaca di
Salimbene. Personaggi e tematiche (Bibliotheca seraphico-capuccina 36), Roma 1988;
Salimbeniana. Atti del Convegno per il VII Centenario di fra Salimbene. Parma
1987-1989, Bologna 1991; Paul - D’Alatri, Salimbene da Parma testimone e cronista;
O. Guyotjeannin, Salimbene de Adam: un chroniqueur franciscain (Témoins de notre
histoire), Turnhout 1995; L. Gatto, Dalla parte di Salimbene: raccolta di ricerche sulla
Cronaca e i suoi personaggi, a cura di P. Messa (Medioevo 13), Roma 2006; Salimbene
de Adam e la «Cronica». Atti del LIV Convegno storico internazionale (Todi, 8-10
ottobre 2017), Spoleto 2018, con la bibliografia ivi citata.
2
Cfr. i riscontri testuali forniti da L. Lazzerini, Fra Salimbene predicatore, in
Salimbeniana, 133-135; per un quadro d’insieme, F. García Matarranz, El franciscanismo
en «El nombre de la Rosa», in Estudios Franciscanos 88 (1987) 243-276.
3
Ottime edizioni, come quella dell’Holder-Egger, all’inizio del secolo, e di Giuseppe
Scalia, nel 1966, hanno senz’altro favorito il fervore di studi sul frate parmense [nel
1987 Berardo Rossi ha pubblicato la prima traduzione integrale in lingua italiana;
Rossi ha curato poi un’edizione bilingue (Salimbene de Adam da Parma, Cronica, a cura
di B. Rossi, Parma 2007), riproducendo il testo curato nel 1966 da Scalia per gli Editori
Laterza e la traduzione integrale da lui stesso pubblicata nel 1987]. In anni più vicini
a noi Scalia ha curato una nuova edizione in due poderosi volumi [Salimbene de Adam,
Cronica I-II (Corpus Christianorum. Continuatio Mediaevalis 125-125A), Turnholti
1998-1999: faccio riferimento a quest’ultima edizione, d’ora in poi citata semplicemente:
Cronica. Per gli inizi dell’esperienza di Gerardo, cfr. Cronica I, 388-389, rr. 6-8.
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Cfr. J. Paul, Il viaggio in Francia (1247-1248), in Paul - D’Alatri, Salimbene da
Parma testimone e cronista, 147-159, e il capitolo VII (Le città francesi nella Cronaca
di Salimbene de Adam) in Gatto, Dalla parte di Salimbene, 191-233.
5
Sulla questione si veda, da ultimo, N. Giovè Marchioli, Il manoscritto della Cronica
di Salimbene de Adam, in Salimbene de Adam e la «Cronica», 43-68; la studiosa osserva
che il Vat. Lat. 7260 è «un codice autografo, o almeno tale è stato sempre ritenuto,
essendo l’attribuzione alla mano di Salimbene purtroppo quanto mai indimostrabile con
certezza, dal momento che non possediamo prove appunto certe della sua scrittura» (43).
6
Cfr. L. Gatto, Salimbene par soi même, in idem, Dalla parte di Salimbene, 19-56.
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Per quanto riguarda i discussi rapporti intercorsi tra Salimbene e Alberto
di Gerardo Milioli, notaio, calligrafo e copista, vissuto a Reggio nel XIII secolo, che
l’Holder-Egger voleva autore di due opere conservate in un codice estense, il Liber de
temporibus et aetatibus e la Cronica imperatorum, in stretto contatto con la Cronica
salimbeniana, risultano convincenti, a mio avviso, le pagine che vi dedica Scalia nella
sua ultima edizione. Secondo l’Holder-Egger, in un primo tempo il Milioli avrebbe
messo a disposizione di Salimbene il suo Liber de temporibus; poi, all’inizio del 1285,
sarebbe stato Salimbene a passare al Milioli i fascicoli della sua Cronica (per gli anni
1281-1284, dunque, il notaio dipenderebbe dal parmense); infine, il Milioli avrebbe
ancora utilizzato la Cronica salimbeniana (che nel Liber de temporibus era stata da
lui sfruttata solo in minima parte), unitamente alla Cronica di Sicardo di Cremona
(ampiamente utilizzata anche da Salimbene), per comporre la Cronica imperatorum,
con la quale veniva a integrare il Liber de temporibus, nel quale si era invece mostrato
attento principalmente ai pontefici. Tale rapporto, notevolmente ridimensionato dal
Cerlini, che con buoni argomenti negò che il codice estense fosse stato per intero vergato
dal Milioli, viene ricostruito con competenza da Scalia, il quale precisa anzitutto che il
Liber de temporibus fu vergato «quasi per intero» dal notaio; la Cronica imperatorum,
invece (scritta quando già il Milioli aveva esemplato – almeno parzialmente – il Liber
de temporibus), «e la maggior parte delle aggiunte marginali al Liber de temporibus
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sono dovute ad altra mano» (Cronica, XXIII-XXIV). In definitiva, solo una decina di
carte, delle 83 e mezza di cui si compone il codice estense, possono dirsi autografe
del Milioli, il quale fu essenzialmente copista, ingrossatore e rubricatore, e non certo
cronista nel senso pieno del termine. Inoltre, Scalia dimostra in modo convincente che
il codice estense non fu affatto scritto per uso privato, ma per assolvere a una funzione
pubblica. È possibile che il frate parmense – dimorando a Reggio – abbia avuto facile
accesso o alle fonti del Liber de temporibus oppure all’opera stessa, in quanto testo
ufficiale e pubblico; d’altra parte, il Comune di Reggio certamente trovò utile inserire
nel Liber de temporibus brani dell’opera di Salimbene, che in tal caso, ovviamente, non
avrà negato il proprio assenso, fortemente lusingato da tale decisione.
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Sulla presenza di frate Elia nella Cronica salimbeniana, cfr. C. S. Nobili, Elia
come antimodello nella Cronica di Salimbene de Adam, in Elia di Cortona tra realtà
e mito. Atti dell’Incontro di studio (Cortona, 12-13 luglio 2013), Spoleto 2014, 145-160;
L. Gatto, Salimbene, testimone di Elia da Assisi, in idem, Dalla parte di Salimbene, 321-
354 (inadeguato per quanto attiene alle fonti agiografiche di san Francesco e ai quadri
interpretativi della storia dell’Ordine). Quel che – a mio avviso – va sottolineato con più
forza rispetto a quanto non facciano i due studiosi è che, in definitiva, per il cronista
parmense il grande torto di Elia fu di aver assegnato ai frati laici un potere molto, ma
molto maggiore del dovuto, consentendo in tal modo la loro inopinata moltiplicazione.
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Cfr. M. D’Alatri, Ordini e movimenti religiosi, in idem, La Cronaca di Salimbene,
23-48: 32-36; M. P. Alberzoni, Un mendicante di fronte alla vita della Chiesa nella
seconda metà del Duecento. Motivi religiosi nella Cronica di Salimbene, in Salimbeniana,
7-34: 10-11, 22-24; G. G. Merlo, Salimbene e gli Apostolici, in Salimbeniana, 144-157.
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Nel 1258, discutendo a Modena con Gerardo da Borgo San Donnino, può dire
al suo contraddittore: «“Dicas ergo michi” dixi ego, “quia notitiam Biblie bene habeo”»
(Cronica II, 689, rr. 20-21); raccontando di una sua discussione con Guido di Bianello,
afferma: «Cui e contrario taliter respondebam, cum doctissimus essem in Biblia»
(Cronica II, 927, rr. 25-26). Cfr. M. D’Alatri, Clero e cultura, in Paul - D’Alatri,
Salimbene da Parma testimone e cronista, 209; G. Cremascoli, Le fonti bibliche, in
Salimbene de Adam e la «Cronica», 69-84.
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Cfr. M. Rainini, Giovanni da Vicenza, Bologna e l’Ordine dei Predicatori, in
L’origine dell’Ordine dei Predicatori e l’Università di Bologna. Atti del Convegno di
studio (Bologna, 18-20 febbraio 2005), a cura di G. Bertuzzi, Bologna 2006, 146-175
[= Divus Thomas 109 (2006) 146-175]; sulla presenza di frate Giovanni nella Cronica,
cfr. D’Alatri, Ordini e movimenti religiosi, 46-47.
12
Cronica I, 113, rr. 29-32: «Hic, cum quadam die venisset ad domum fratrum
Minorum, et barbitonsor ei barbam rasisset, valde habuit pro malo, eo quod fratres
pilos barbe sue non collegerant, ut pro reliquiis reservarent».
13
Cfr. ibidem 113-114, rr. 35-17.
14
Cfr. ibidem 114, rr. 17-24.
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dissimi burloni, presero a ridere; uno di loro chiese al frate che era caduto
se volesse avere qualcosa d’altro sotto di sé; al che il frate ripose di sì, che
avrebbe cioè voluto avere sotto di sé la moglie di colui che in quel momen-
to l’interrogava. Udendo ciò i fiorentini non ne trassero cattivo esempio,
ma piuttosto elogiarono il frate dicendo: “Sia egli benedetto, in quanto è
dei nostri”. Altri dissero che questa battuta la fece un altro fiorentino che
si chiamava fra Paolo Millemosche, dell’Ordine dei Minori15.
15
Ibidem, rr. 24-33: «Cum autem quadam die tempore yemali per civitatem Florentie
ambularet, contigit ut ex lapsu glatiei totaliter caderet. Videntes hoc Florentini, qui
trufatores maximi sunt, ridere ceperunt. Quorum unus quesivit a fratre qui ceciderat
utrum plus vellet habere sub se. Cui frater respondit quod sic, scilicet interrogantis uxorem.
Audientes hoc Florentini non habuerunt malum exemplum, sed commendaverunt fratrem
dicentes: “Benedicatur ipse, quia de nostris est”. Aliqui dixerunt quod alius Florentinus
fuit qui dixit hoc verbum, qui vocabatur frater Paulus Millemusce ex Ordine Minorum».
Anche questi passaggi vengono ripresi da Umberto Eco, come segnala già Lazzerini, Fra
Salimbene predicatore, 137, nota 9 (non però nell’epilogo, come indica la studiosa, ma nelle
battute finali della prima parte (Notte) del settimo giorno (cfr. U. Eco, Il nome della rosa,
Firenze-Milano 2019, 550-551).
16
Ibidem 114, r. 2: «Sed querendum nobis est utrum frater bene responderit necne».
17
Ibidem, r. 3: «Et dicimus quod male respondit, multiplici ratione».
18
Cfr. ibidem 114-118, rr. 3-7.
19
Ibidem 118, rr. 11-12: «Frater vero Deustesalvet, cuius occasione ista posuimus,
excusari potest multiplici ratione».
20
Cfr. ibidem 118-120, rr. 12-26.
21
Cfr. ibidem 120, rr. 28-29.
22
Cfr. ibidem 110-121, rr. 11-20.
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23
Ibidem 121, r. 21: «Benedictus Deus, qui nos de hac materia expedivit!».
24
Cfr. ibidem 121-126, rr. 24-15. A parere di A. Bisanti, La fortuna della Cronica di
Salimbene de Adam fra Trecento e Quattrocento, in Salimbene de Adam e la «Cronica»,
167-218, la caratterizzazione che Salimbene dà di Primate, «magnus trutannus et
magnus trufator et maximus versificator et velox» (121, rr. 24-25), viene letteralmente
ripresa da Boccaccio, «come attesta, con tutta evidenza, la perfetta sovrapponibilità
delle due espressioni “grande e presto versificatore” e maximus versificator et velox».
Bisanti ne deduce quindi, «con discreta determinazione», «che Boccaccio ebbe della
Cronica di Salimbene – o, almeno, di alcune sezioni di essa – una sicura contezza»
(186-187). Salimbene però dice che Primate fu «maximus versificator», non «magnus»,
mentre una tale qualifica la riserva invece per le sue capacità di imbrogliare e burlarsi;
inoltre, la valenza e la velocità compositiva di Primate goderono probabilmente di fama
pubblica, in tal senso recepita anche da Salimbene; mi sembra quindi azzardato poter
dedurre da ciò «che Boccaccio ebbe una sicura contezza» della Cronica. Anche in altri
raffronti testuali, ad esempio quelli volti a documentare i legami tra Dante e Salimbene
(cfr. 172-182), mi sembra che Bisanti mostri un’eccessiva generosità.
25
Sul Movimento dell’Alleluia la bibliografia si è ormai accumulata, anche se la
successiva non è riuscita ad andar troppo oltre il saggio, ormai datato, di A. Vauchez,
Une campagne de pacification en Lombardie autour de 1233. L’action politique des
Ordres Mendiants d’après la réforme des statuts communaux et les accords de paix, in
Mélanges d’archéologie et d’histoire 78 (1966) 503-549.
26
M. D’Alatri, Predicazione e predicatori francescani, in idem, La Cronaca di Salimbene,
186 (cfr., più ampiamente, 185-188): il saggio era stato originariamente pubblicato in
Collectanea Franciscana 46 (1976) 63-91. In tale direzione si era mosso già N. Scivoletto,
Fra Salimbene da Parma e la storia politica e religiosa del secolo decimoterzo, Bari 1950,
67-68. Per quanto attiene alla produzione salimbeniana di Mariano D’Alatri, si vedano
le riflessioni di P. Vian, «Debet historiarum scriptor communis esse persona». Gli studi
salimbeniani di Mariano D’Alatri, in Mariano D’Alatri. Il percorso di uno storico, a cura
di F. Accrocca, Roma 2009, 35-52.
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D’Alatri, Predicazione e predicatori francescani, 187.
28
Ibidem; per l’elenco completo, cfr. 186-187.
29
Bologna e la Romagna nella «Cronica sive Liber exemplorum ad usum praedicantium»
di Salimbene de Adam, in Salimbeniana, 174-197: 174-179.
30
Ibidem 178.
31
Così Lazzerini, Fra Salimbene predicatore, 135. Cfr. anche O. Guyotjeannin, Salimbene
de Adam, 73-114 (nel cap. 3 dell’introduzione, l’autore prende in esame “Forme et sens”
dell’opera).
32
Ibidem 138.
33
Ibidem. Anche S. Bordini, Una selva di citazioni. La «Cronica» di Salimbene
tra storia e autobiografia intellettuale, in Parole Rubate 3 (2011) 3-26, osserva che
l’alternarsi dei registri e dei linguaggi rientrava nel metodo di divulgazione adottato
dai predicatori (cfr. 13).
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Un contenitore multiforme
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Solo un esempio, il più evidente tra tutti, l’incontro di Gesù con i primi due
discepoli (1, 35-42), che cito nella lingua in cui Salimbene aveva imparato a conoscerlo:
«Altera die iterum stabat Ioannes et ex discipulis eius duo, et respiciens Iesum
ambulantem dicit: “Ecce agnus Dei”. Et audierunt eum duo discipuli loquentem et
secuti sunt Iesum. Conversus autem Iesus et videns eos sequentes se dicit eis: “Quid
quaeritis?”. Qui dixerunt ei: “Rabbi – quod dicitur interpretatum Magister – ubi
manes?”. Dicit eis: “Venite et videbitis”. Venerunt ergo et viderunt, ubi maneret, et apud
eum manserunt die illo; hora erat quasi decima. Erat Andreas, frater Simonis Petri,
unus ex duobus, qui audierant ab Ioanne et secuti fuerant eum. Invenit hic primum
fratrem suum Simonem et dicit ei: “Invenimus Messiam” – quod est interpretatum
Christus; adduxit eum ad Iesum. Intuitus eum Iesus dixit: “Tu es Simon filius Ioannis;
tu vocaberis Cephas” – quod interpretatur Petrus».
35
Alcuni esempi in proposito offrono Lazzerini, Fra Salimbene predicatore, 137;
C. Segre, Livelli stilistici e polifonia linguistica nella Cronica di Salimbene da Parma,
in Salimbeniana, 227-228; ma gli esempi si potrebbero moltiplicare.
36
Bordini, Una selva di citazioni, 5. Opportunamente, A. Bartola, Salimbene e i
suoi autori. Compresenze e intertestualità nella Cronica, in Salimbene de Adam e la
«Cronica», 85-105, ritiene che «qualsiasi tentativo di collocazione e classificazione in
uno dei generi letterari del medioevo latino non renderebbe giustizia alla complessità
di un’opera che ne racchiude in sé più di uno» (97). Anche M. Zabbia, La cronachistica
cittadina al tempo di Salimbene de Adam, in Salimbene de Adam e la «Cronica», 219-
233, parla di «carattere composito» della Cronica, «che ben difficilmente avrebbe se
fosse stata scritta nel Trecento o nella prima metà del Duecento» (223). Fu nell’ultimo
quarto del Duecento, infatti, che «gli autori più consapevoli provarono a sperimentare
nuove soluzioni» (ibidem).
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Cfr. Guyotjeannin, Salimbene de Adam, 112-114.
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Esemplare, in proposito, il giudizio che Salimbene proferisce su Ezzelino da
Romano, forse “il cattivo” per eccellenza nella galleria dei personaggi presentati nella
Cronica: Salimbene lo definisce infatti «membrum diaboli et filium iniquitatis» (Cronica
II, 559, r. 5); «peior homo de mundo» (ibidem, rr. 9-10); Ezzelino e suo fratello Alberico
«duo demones extiterunt» (ibidem, rr. 24-25); neppure Nerone, né Decio, né Diocleziano,
né Massimiano «in malicia fuerunt similes sibi» (ibidem, rr. 22-23). In definitiva, egli
afferma: «Non credo revera quod, ab initio mundi usque ad dies nostros, fuerit ita malus
homo» (ibidem, rr. 10-11). Salimbene non ha dubbi, persino Federico II non fu tanto
crudele quanto lo fu Ezzelino (cfr. Cronica II, 889, rr. 19-21). Sul modo in cui Salimbene
costruisce il personaggio di Ezzelino si concentra il saggio di S. Nobili, La Cronica e la
pluralità dei generi letterari, in Salimbene de Adam e la «Cronica», 233-250.
39
Si dirà poco più sotto (cfr. nota 41 e testo relativo) di frate Aldevrando; il cardinale
Latino Malabranca (su cui si veda nota 43 e testo relativo), «quantum ad similitudinem
corporis, Petro Capritio de Lambertinis de Bononia similis videbatur, secundum
meum iuditium» (Cronica I, 259, rr. 7-9); frate Elia, «quantum ad effigiem corporis
[...] totaliter assimilari potest fratri Ugoni de Regio, qui dictus est Hugo Paucapalea»
(ibidem 252, rr. 7-9); la figlia di Paolo Traversari di Ravenna «fuit pulcherrima domina
et bene morigerata, mediocris tamen stature, id est nec nimis longa nec nimis parva»
(ibidem 256, rr. 8-9). Gli esempi, ovviamente, si potrebbero moltiplicare. La menzione
di Pietro Caprizio e Ugo Pocapaglia rinvia pure a un pubblico ben determinato e, in
qualche modo, circoscritto.
40
Cfr. Bordini, Una selva di citazioni, 6.
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testa deforme con tanti peli sulla fronte, tutti i frati ridevano al punto
che egli ne restava turbato e arrossiva41.
Quanto agli artifizi per costruire il consenso, emblematico è quan-
to accadde al tempo dell’Alleluia, quando i frati Minori e Predicatori
spinsero molte fazioni cittadine a stipulare accordi di pace. «Questi
solenni predicatori – rivela Salimbene – si riunivano di tanto in tanto
in qualche luogo e programmavano le loro predicazioni, riguardo al
luogo, al giorno, all’ora, al tema». Tutto poi si svolgeva così come ave-
vano concordato. Gherardo da Modena, una volta smesso di predicare
sulla piazza del comune di Parma, si tirò il cappuccio sulla testa e
parve immergersi in una profonda meditazione; «poi, dopo una lunga
sosta, rimosso il cappuccio, diceva al popolo ammirato, quasi citas-
se l’Apocalisse, cap. 1: “Fui rapito in spirito nel giorno del Signore
e ascoltai il nostro diletto fratello Giovanni da Vicenza, che predica
presso Bologna, sulla ghiaia del fiume Reno, davanti a una gran folla,
e tale fu l’inizio della sua predicazione [...]”. Lo stesso diceva di frate
Giacomino; lo stesso dicevano gli altri di lui. Si meravigliavano gli
astanti e, mossi dalla curiosità, mandavano alcuni inviati per cono-
scere la verità di quello che dicevano gli uni degli altri. E constatando
che quanto detto era veramente accaduto, restavano indicibilmente
meravigliati [...]. E in diversi modi e in molte parti del mondo, come
io vidi con i miei occhi, al tempo di quella devozione furono fatte molte
cose buone»42. Trucchi del mestiere, posti a servizio di una campagna
di pacificazione: tante altre volte, prima e dopo di allora, si è fatto ri-
corso a tecniche simili – benché spesso assai più sofisticate –, ma non
sempre le si è poste a servizio del bene comune...
41
Cfr. Cronica I, 206-207, rr. 34-8. L’inno era stato composto da Gregorio IX: in merito
alla paternità gregoriana, rinvio a F. Accrocca, Escatologia e francescanesimo nel Duecento,
in idem, Un ribelle tranquillo. Angelo Clareno e gli Spirituali francescani fra Due e Trecento, S.
Maria degli Angeli-Assisi 2009, 254-255, nota 18; idem, «Sancta plantatio Fratrum Minorum
Ordinis». Gregorio IX e i Frati Minori dopo Francesco, in idem, L’identità complessa. Percorsi
francescani fra Due e Trecento, Padova 2014, 111, nota 77.
42
Salimbene de Adam, Cronica I, 111, rr. 12-14.20-30.32-33: «[...] isti sollemnes
predicatores congregabantur interdum in aliquo loco et ordinabant de predicationibus
suis, scilicet de loco, de die, de hora et de themate [...]. Deinde post longam moram
miranti populo, remoto caputio, loquebatur. Quasi diceret, Apoc. I: “Fui in spiritu
in Dominica die et ascultavi dilectum fratrem nostrum Iohannem de Vicentia, qui
predicat apud Bononiam in glarea fluminis Reni et habet magnum populum coram
se, et tale fuit predicationis eius initium: Beata gens cuius est Dominus Deus eius,
populus quem elegit in hereditatem sibi”. Item dicebat de fratre Iacobino, idem illi de
isto. Mirabantur astantes et curiositate ducti nuntios mittebant nonnulli, ut istorum
que dicebantur cognoscerent veritatem. Cumque veraciter hec omnia repperissent,
indicibiliter mirabantur [...]; et diversimode et in multis partibus mundi multa bona
facta sunt tempore devotionis illius, ut vidi oculis meis».
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La Cronica di Salimbene
Che dire poi delle reazioni delle nobili signore – dal cronista rife-
rite con malcelata ironia – nei riguardi di alcune ordinanze del cardi-
nale Latino Malabranca, legato di papa Niccolò III in Toscana, nella
Romagna e nel nord Italia, che miravano a imporre abiti più sobri,
vale a dire, vesti più corte, tali che, giunte fino a terra, non eccedesse-
ro oltre la lunghezza di un palmo? Il cardinale fece promulgare quella
sua prescrizione dal pulpito, ordinando ai sacerdoti di non assolvere
le inadempienti; la qual cosa, commenta il cronista, fu per quelle don-
ne «più amara di ogni morte». Non solo! Il cardinale ordinò pure che
portassero veli in testa, ciò che fu da esse ritenuta una cosa orribile.
A questo però, assicura Salimbene, trovarono rimedio facendosi con-
fezionare veli di seta e bisso intessuti d’oro43.
43
Cfr. ibidem 259, rr. 10-29; si veda, in proposito, L. Gatto, Bellezza, moda ed eleganza
nella Cronaca di Salimbene, in idem, Dalla parte di Salimbene, 463-491: 486, 489.
44
Cfr., sul genere cronachistico, le osservazioni, in verità piuttosto sommarie, di
L. Gatto, I precedenti della Cronaca, in idem, Dalla parte di Salimbene, 653-660; più in
specifico, Zabbia, La cronachistica cittadina al tempo di Salimbene de Adam.
45
Cfr. Salimbene de Adam, Cronica II, 744, rr. 27-7. Offre un quadro dell’attenzione
riservata da Salimbene ai fenomeni naturali A. Paravicini Bagliani, Salimbene e
la natura, in Salimbene de Adam e la «Cronica», 341-357. Lo studioso osserva che
Salimbene rivela, in proposito, un «rapporto antiretorico con la realtà», rapporto «che
la quasi totalità dei cinquanta capitoli in cui figura un concetto o un tema relativo
465
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alla natura mette in evidenza» e che «appare straordinariamente omogeneo nella sua
modernità» (357).
46
Accenno ai terremoti, poiché Paravicini Bagliani, Salimbene e la natura, non vi
si è soffermato.
47
Sulla parte autobiografica del racconto, cfr. G. Petti Balbi, Lignaggio, famiglia,
parentela in Salimbene, in Salimbeniana, 35-47.
48
Ibidem I, 50, rr. 2-4.7-9: «Et fuit iste terremotus per totam Lombardiam et
Tusciam. Et appellatus fuit terremotus Brixie specialiter [...]. Et ita erant Brixienses
assuefacti ex illo terremotu, quod, quando cadebat pynaculum alicuius turris vel domus,
aspiciebant et cum clamore ridebant».
49
Ibidem I, 51, rr. 24-28.29-32: «Solita erat mater mea michi referre quod tempore
istius magni terremotus iacebam in cunabulis, et ipsa accepit duas sorores meas, sub
qualibet ascella unam (erant enim parvule), et me in cuna dimisso cucurrit ad domum
patris et matris et fratrum suorum. [...] Et ex hoc non ita clare diligebam eam, quia
plus debebat curare de me masculo quam de filiabus. Sed ipsa dicebat quod aptiores
erant sibi ad portandum, cum essent grandiuscule». Cfr., in proposito, G. Petti Balbi,
Lignaggio, famiglia, parentela, 37; più in generale, A. Zaninoni, La donna e le donne
nella Cronica di Salimbene, in Salimbeniana, 266-271.
466
La Cronica di Salimbene
50
Ibidem II, 827-828, rr. 25-30: «Nota quod terremotus consuevit fieri in montibus
cavernosis, in quibus includitur ventus, et volens egredi, quia non habet spiraculum ad
egrediendum, concutitur terra et tremit, et inde terremotus sentitur. Patet exemplum
in castanea non castrata, que ex igne saltando violenter et fortiter prosilit, pavorem
circumsedentibus immittendo».
51
Sul vescovo di Cremona, si veda la messa a punto di R. Gamberini, Sicardo di
Cremona: un cronista universale tra le fonti di Salimbene, in Salimbene de Adam e la
«Cronica», 107-127.
52
Salimbene de Adam, Cronica I, 43, rr. 35-2: «Hic verba Sichardi episcopi defecerunt.
A[modo] incurrimus verba inculta et rudia et grossa et superflua, que etiam in multis
locis gramaticam non observant, sed ordinem ystorie habent congruum».
53
L’afferma con chiarezza anche Gamberini, Sicardo di Cremona, 123, che omette
però di citare e commentare le affermazioni che a noi più interessano, quelle appunto
nelle quali Salimbene dichiara di voler seguire «ordinem ystorie congruum».
54
Cfr. nota 7.
55
Anche Giuseppe Scalia ritiene che l’ipotesi di Antonio Ivan Pini, «pur suggestiva,
sembra forse non tenere nel dovuto conto la insistenza con cui il frate rivendica in primo
luogo, verso gli altri, la sua posizione di scrittore di cronache impegnate, e ottime a suo
giudizio, e la circostanza che almeno qualcuna di tali cronache, oltre la nostra, quella
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Felice Accrocca
per esempio sugli “scelera” di Federico II, fosse con tutta probabilità di natura da essa
non dissimile, e che, pertanto, la singolare struttura dell’unica cronaca conservatasi,
la maggiore, oggi per noi così difficile da interpretare e classificare, non sia il risultato
di un’operazione escogitata nell’età matura, frutto quasi d’un espediente, ma rifletta
piuttosto il suo modo di intendere e concepire opere del genere, e ne costituisca il
dictamen abituale» Introduzione, in Salimbene de Adam, Cronica I, XIX-XX.
56
Salimbene de Adam, Cronica I, 281, rr. 14-23: «Et quia aliquando videmur
digressionem facere alicubi a materia inchoata, parcendum est nobis propter tria.
Primo, quia preter intentionem nostram talia nobis occurrunt, que quandoque
convenienter vitare non possumus, conscientia instigante quia Spiritus ubi vult
spirat, nec est in hominis dictione prohibere Spiritum, ut habetur Io. III et Eccle. VIII.
Secundo, quia semper dicimus bona et utilia et digna relatu, et que possunt optime
in hystoria computari. Tertio, quia optime redimus postea ad materiam inchoatam et
nichil dimittimus propter hoc de veritate narrationis historie primitive».
57
Sulla predicazione nel XIII secolo, cfr. F. Morenzoni, Des écoles aux paroisses.
Thomas de Chobham et la promotion de la prédication au début du XIIIe siècle, Paris
1995; N. Bériou, L’avènement des maîtres de la Parole. La prédication à Paris au
XIIIe siècle I-II, Paris 1998. Sulla predicazione francescana rinvio a F. Accrocca, La
predicazione francescana. Intorno a «Reg. bull.» IX, in «Negotium fidei». Miscellanea
di studi offerta a Mariano D’Alatri in occasione del suo 80° compleanno, a cura di
P. Maranesi, Roma 2002, 107-125; B. Roest, Franciscan learning, preaching and
mission c. 1220-1650. Cum scientia sit donum Dei, armatura ad defendendam sanctam
Fidem catholicam, Leiden 2014; A. Horowski, Bonaventura predicatore e i sermoni su
Francesco d’Assisi, in Bonaventura da Bagnoregio ministro generale. Atti dell’Incontro
di studio (Foligno, 20-21 luglio 2018), c.d.s.: ringrazio Aleksander Horowski per avermi
consentito di leggere il suo testo ancora inedito.
468
La Cronica di Salimbene
58
Anche C. Segre, Livelli stilistici e polifonia linguistica, 224, osserva: «Non
penseremo che Salimbene abbia scritto quel monumento che è la Cronica solo per la
nipote». Contini, citato da Lazzerini, Fra Salimbene predicatore, 142 e nota 20, osserva
che nei ritratti la Cronica si mostra aperta «al realismo più illimitato e magari plebeo»
(G. Contini, Letteratura italiana delle origini, Firenze 1970, 22).
59
Si vedano in proposito le considerazioni formulate da N. D’Acunto, Introduzione
a Pier Damiani, Lettere [1-21] (Opere di Pier Damiani, edizione latino-italiana 1/1),
Roma 2000, 84-87.
60
Cfr. i riferimenti indicati sopra, nota 39.
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61
Su Ubertino, rinvio a F. Accrocca, Il punto su Ubertino da Casale, in Il Santo 55
(2015) 317-334.
62
Cfr. M. Vagnoni, Imperator Romanorum. L’iconografia di Federico II di Svevia,
in «Quei maledetti Normanni». Studi offerti a Errico Cuozzo per i suoi settant’anni da
Colleghi, Allievi, Amici, II, ed. J.-M. Martin, R. Alaggio, Ariano Irpino-Napoli 2016,
1225-1234.
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63
Cronica I, 308, rr. 6-7.9-16.23-27.1-6: «Item Parmenses abstulerunt imperatori
totum thesaurum suum [...] et coronam imperii, que erat magni ponderis et valoris, et
tota erat ex auro et lapidibus pretiosis intexta, multas habens ymagines fabrefactas
et elevatas, ut celaturas putares. Grandis erat sicut una olla; nam magis erat pro
dignitate et thesauro quam pro capitis ornamento. Totum enim caput cum facie
occultasset, nisi remedio alicuius pecie sublevata stetisset. Hanc habui in manibus
meis, quia in sacristia maioris ecclesie Beate Virginis servabatur in civitate Parmensi.
[...] Hanc coronam invenit quidam homo parvus medie stature, qui dicebatur yronice
Curtuspassus, eo quod parvus esset; et portabat eam publice in manibus, sicut
portatur nisus, demonstrando omnibus qui videre volebant, ad laudem victorie
habite et sempiterni opprobrii Friderici. [...] Coronam igitur supradictam emerunt
Parmenses ab illo concive suo et dederunt ei pro ea ducentas libras imperialium
et unum casamentum prope ecclesiam Sancte Christine, ubi lavatorium equorum
antiquitus fuerat. Et statuerunt ut quicumque de thesauris Victorie aliquid habuisset,
medietatem haberet et medietatem assignaret communi».
64
Rinvio, per comodità, a: Rodolfo il Glabro, Storie dell’anno Mille. I cinque libri
delle Storie. Vita dell’abate Guglielmo, a cura di G. Andenna, D. Tuniz (Le origini:
storie e cronache 1), Milano 1981; anche alcune pagine di questo cronista vengono
riprese da Uberto Eco, terzo giorno, ora di Sesta, quando Salvatore riferisce ad Adso
alcune confidenze sulla propria vita (cfr. Eco, Il nome della rosa, 220-221).
65
Cronica I, 144, rr. 24-27: «[...] processu vero temporis dederunt michi caules,
quibus oportuit me uti omnibus diebus vite mee; et nunquam in seculo comederam
caules, immo in tantum aborrebam eos, quod nec carnes comedissem, que in eis
decocte fuissent». Sull’argomento, rinvio all’ampio saggio di L. Gatto, Alimentazione
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Cronica I, 267-268, rr. 22-22: «Hic [frater Crescentius de Marchia Anchonitana]
precepit fratri Thome de Cellano, qui primam legendam beati Francisci fecerat, ut
iterum scriberet alium librum, eo quod multa inveniebantur de beato Francisco
que scripta non erant. Et scripsit pulcherrimum librum tam de miraculis quam de
vita, quem appellavit “Memoriale beati Francisci in desiderio anime”. Sed processu
temporis a fratre Bonaventura generali ministro, ex his omnibus, compilatus est unus
optime ordinatus. Et adhuc multa repperiuntur, que scripta non sunt»; su questa
testimonianza, rinvio a F. Accrocca, Due diverse redazioni del «Memoriale in desiderio
animae» di Tommaso da Celano? Una discussione da riprendere, in Collectanea
Franciscana 74 (2004) 5-22: 8, 15-16, 21.
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