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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

La riflessione trinitaria (360-370)


Manlio Simonetti

8. 10. 2001

Sto portando avanti da anni la controversia cristologica. Quest’anno mi limito a soli 10 anni.
Tratteremo quindi dei concili di: Parigi 361
Alessandria 362
Antiochia 363
e in più gli omeousiani negli anni 364-367.
Un testo di base per questo periodo è il Tomus ad Antiochenos di Atanasio (PG 26). Questa
lettera ampia e importante del 362 tocca tutti i punti fondamentali dell’ultima fase della
controversia.

I corsi sono di formazione e non di informazione. Per informarsi si può prendere il manuale.
Invece qui affrontiamo i testi e così vedrete come si affronta un argomento sui testi.

Introduzione

Ci troviamo in quell’intervallo di tempo tra 359-360, anno dei concili di Rimini-Costantinopoli e


la morte dell’imperatore. I concili di Rimini del luglio-dicembre del 359 e quello di
Costantinopoli di gennaio del 360 segnarono il trionfo della minoranza contro la maggioranza
appoggiata dall’imperatore, di quella formula che gli studiosi moderni definiscono omea
(homein, homean) il termine è moderno. E’ l’unico termine moderno in uso nella controversia
ariana. Le altre caratterizzazioni dei vari partiti in lotta (omousiani, omeousiani, anomei) sono
tutte terminologie antiche. Il termine omeo è termine coniato dai moderni. Non si sa bene da chi.
Presente già in Fliche-Martin (1930). Questo ha una sua portata di carattere ideologico.
Ci troviamo a questi due concili con una situazione semplificata in occidente e più complessa in
oriente. Al concilio di Rimini si affrontano due tendenze: una grossa maggioranza che tendeva
per l’homoousios tou patrì = consustanziale col Padre, che era la formulazione antiariana.
Termine ambiguo, passibile di interpretazioni diverse. Termine che in oriente non aveva grande
seguito. Favorì infatti la reazione antinicena che seguì immediatamente e che si prolunga nei
concili che vedremo. Il Concilio di Nicea (=CN) aveva una formula ambigua. Forse aveva un

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significato politico ma non ideologico ben preciso, e così non aveva affatto messo fine alla
controversia ariana ma l’aveva riaccesa e divampata. La situazione successiva era ulteriormente
frammentata.
L’occidente è arretrato dottrinalmente e solo ora grazie a Ilario, figura eccezionale, riesce a
colmare il divario e andare oltre l’oriente, si divide su due fronti: i sostenitori del concilio di
Nicea (maggioranza, infatti a partire dalla metà del II secolo aveva sempre portato avanti una
teologia trinitaria di impostazione unitiva, mettendo l’accento più sull’unità e non sulla
distinzione). In occidente l’homoousios infatti è ben accetto e lo conserva anche quando l’oriente
lo abbandona.
L’oriente era molto più sensibile alla problematica della distinzione. Ci fu un tentativo di
compromesso tra occidente e oriente nell’homoiousios (il F non è della stessa sostanza del P che
poteva essere interpretato come un'identificazione, ma è simile al P, giocando sull’ambivalenza
del termine ousia). Con il simile-secondo-la-sostanza si pensava di combattere Ario da una parte
(il F era pienamente divino) e anche il pericolo monarchiano (se è simile non è identico). Questa
formula non trovò una unanimità di consensi. Elementi filoariani consideravano questa formula
ancora troppo forte e impegnativo.
Alla vigilia del concilio di Rimini fu escogitata la formula di homoios = simile. L’imperatore
Costanzo ritenne questa formula, più generica di tutte le altre, più comoda. L’occidente ha solo
seguaci dell’homoousios o contrari. L’Oriente ha varietà e ventaglio maggiore di posizioni
sfumate:

 Homousiani = consustanziale (in oriente pochissimi; gli egiziani legati ad Atanasio)


 Homeousiani = homoiousios kata panta
 Omei da Homoios = genericamente simile al P (formula molto larga che poteva essere
interpretata in tanti sensi; formula prediletta dall’imperatore proprio in forza della sua
genericità per compattare le varietà).
 Anomei=dissimile (ariani della nuova generazione. Eunomio. Restringevano la somiglianza
solo all’azione, alla volontà)

Si discuteva ormai da 40 anni e si esigeva ormai non più qualcosa di vago ma di preciso e forte.
L’imperatore riuscì con mezzi coercitivi a far prevalere la sua posizione a Rimini (non a
Seleucia). A Rimini erano in 400 vescovi (mai visti così tanti!). L’imperatore costrinse i vescovi
a firmare.
A Rimini si vede per la prima volta questo partito omeo oppure detto anche omeano. A quel
tempo vengono chiamati “quelli attorno ad Acacio di Cesarea” o anche acaciani (Acacio era il
leader). Gli antichi però li considerano ariani e non li caratterizzano. Erano considerato ariani
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moderati. Gli antichi non li hanno distinti dagli ariani radicali di Eunomio (che infatti a Seleucia
fecero blocco assieme). Perché i moderni li caratterizzano con un nome specifico? Brennecke,
professore tedesco, è il massimo assertore di questa posizione, che chiama posizione della chiesa
di stato, posizione considerata quella valida, anche se solo per alcuni anni, ma che in quegli anni
esprime la posizione della chiesa ufficiale.
Il concilio ecumenico a quel tempo ha valore solo se approvato dall’imperatore. Col concilio di
Rimini e poi di Costantinopoli la chiesa ufficiale si caratterizza con questa formula.
Gli storici antichi per faziosità non li hanno voluto riconoscere (Girolamo dirà: “la terra pianse
accorgendosi di essere diventata ariana”). Quindi la formula riflette una posizione che si attiene
ai fatti, al di là di quello che dissero gli antichi. La chiesa omea è la chiesa imperiale (per pochi
anni). Ecco l’importanza del termine. Si è pensato ad un termine nuovo perché di fatto si è data
una interpretazione dei fatti diversa da quella che ne hanno dato gli storici antichi che hanno
minimizzato questa formula perché estorta con la violenza.
Una cosa è dire che il Figlio (F) è creatura, un’altra è dire che il F è genericamente simile al
Padre (P). Secondo questi studiosi moderni quindi Acacio, Eudossio di Antiochia non possono
essere considerati ariani, ma rappresentanti della chiesa di stato. A Simonetti questa idea non
convince affatto!! Anche Y. M. Duval dice che questi invece sono ariani. Questa ipotesi infatti
non convince per il suo formalismo. Brennecke non comprende che la formula è stata estorta con
la violenza. Brennecke stesso dichiara che la formula di Rimini è dottrinalmente debole. Quindi
riconosce che la posizione degli omei è più politica che teorica.
Costanzo continuava la politica del padre Costantino: Costantino al concilio di Nicea nel 325
aveva imposto l’homousios e riesce a mettere fuori Ario. Ma subito dopo c’è la reazione
antinicena. I maggiori avversari di Ario come Eustazio di Antiochia e Marcello di Ancira sono
esiliati. L’autorità di Costantino era talmente forte che nessuno alza una obiezione ma Costanzo
non ha l’autorità di Costantino. Ha bisogno di fare una politica che deve svolgere con l’appoggio
di un certo gruppo di vescovi che riesce sempre a trovare (quelli che avevano interessi politici).
Costanzo quindi mira ad un concentramento di centro che eliminasse a destra gli homousiani e
homeousiani e a sinistra gli anomei. Costantinopoli infatti prese misure sia contro Eunomio che
contro gli omeousiani.

C’è una coerenza nella politica che resterà in tutta la controversia: l’imperatore cercherà sempre
una soluzione più politica che dottrinale, gli interessa infatti la pace della chiesa che è diventata
una struttura importante dell’impero del 4° secolo. Questa formula fu mandata in giro: ogni
vescovo la doveva sottoscrivere, anche chi non era andato al concilio. Essa fu largamente
sottoscritta. Questo concilio fu preparato come nessun altro, fu anche sentito come concilio

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decisivo e tutte le parti ci si prepararono al meglio. Il concilio si concluse con l’imposizione di


Costanzo.

Siamo nel 360. La formula aveva bisogno di tempi lunghi, doveva entrare nella mentalità della
gente. Quando Costanzo morì già la situazione stava cambiando, infatti in occidente Giuliano,
cugino di Costanzo, fu eletto imperatore dai suoi militari e Giuliano essendo pagano si
disinteressò completamente del concilio. Ilario riprese le fila della lotta contro l’arianesimo e la
situazione si capovolse in occidente. Questo fu il punto, il motivo del fallimento. In fondo mancò
solo il tempo di realizzare la grande conquista del concilio di Rimini. A breve distanza gli
sconfitti di Rimini rialzano la testa e riprendono le fila così comincia la terza parte della
controversia ariana.

Tutti i momenti di svolta della controversia ariana sono legati ad avvenimenti politici: morte di
Costantino; poi Costanzo-Costante (fase di stallo); Costanzo unico imperatore; Giuliano. Il
potere politico ha un valore decisivo. Ma non solo: vi erano anche contrasti e rivalità forti tra i
vari vescovi e le loro fazioni. Quando il contrasto diventa globale coinvolge anche l’occidente,
ma fu di fatto quasi un conflitto sempre orientale. Anche Valente ad un certo punto prende una
posizione, quella di Costanzo, e cerca di mantenerla fino ad Adrianopoli.

C’è chi divide nettamente tra prima e dopo la Reichskirche (chiesa imperiale). Simonetti dice
invece che c’è continuità nella dottrina. La problematica nasce alla fine del II secolo. Non si
riesce ad arrivare ad una sintesi perché la chiesa è ancora libera. Lo stato la perseguita ogni tanto
ma per il resto se ne disinteressa. Ogni vescovo va per i fatti suoi tranne il far capo al
metropolitano. Nessuno però ha la forza di imporre una soluzione unica. L’occidente è in
posizione diversa (cfr. Serdica). Roma non ha la forza di imporre le sue soluzioni ad Alessandria
e viceversa (vedi polemica dei due Dionigi: Dionigi di Roma mette sotto accusa Dionigi di
Alessandria e quello gli risponde che ciascuno ha le sue posizioni).

Il fatto nuovo è la svolta costantiniana che significa l’inserzione della struttura ecclesiastica
nell’organizzazione statale. La componente religiosa nel mondo antico è assolutamente
importante. I cristiani venivano martirizzati per il delitto di lesa maestà (delitto di natura
politica). Il delitto di natura religiosa aveva peso in quanto di valore politico. Nel mondo antico il
capo religioso è anche capo politico (cfr. Faraone in Egitto). Quando Costantino congloba tuta la
struttura ecclesiastica nell’impero diventa capo della chiesa. Così abbiamo l’autorità che è in
grado di imporre la sua…

La novità quindi non è di carattere ideologico ma politico e siccome politica e religione sono
indissolubilmente unite una soluzione di carattere politico ha automaticamente un
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carattere/valore religioso. Ora quindi si arriva a delle conclusioni. Prima no, si discuteva con idee
diverse, ciascuno restava nelle sue posizioni e tutto era vago e aleatorio per una soluzione
politica. La controversia religiosa non aveva una posizione unica – invece nel IV secolo deve
arrivare ad una soluzione perché l’impero non può permettersi che una struttura come la chiesa
sia sconvolta.

Nel IV sec. ancora ci riesce, in seguito no. Il potere politico comincia a perdere peso. Nel V sec.
– quando Teodosio II non è più così forte – il potere politico non sarà più in grado di imporsi e
infatti la crisi monofisita non avrà uno sbocco, finisce quando gli arabi conquistano Siria e
Palestina. Automaticamente la controversia si risolve da sé. I cristiani d’Egitto sono ancora
monofisiti. L’imperatore non ha la forza di imporre una soluzione. Appena il potere imperiale
perde vigore la controversia religiosa diventa ingestibile.

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Vi dicevo che Costanzo attraverso i concili di Rimini e Costantinopoli riuscì a piegare una
tendenza ostile di tendenza – in occidente omousiana e in oriente di tendenza prevalentemente
omeousiana – in sottoscrizione ad una formula generica: homoios kata tas graphas. Tutti però
ormai esigevano un chiarimento e non bastavano più le formule ambigue politiche. Gli unici che
sostenevano questa formula erano i cosiddetti omei, legati all’imperatore. Cfr. Diction. d’histoire
ecclesiastiqe: Brennecke, voce “Homeisme”.

L’efficacia della formula non si avvertì perché mancò il tempo. Nel 361 Giuliano, cugino
dell’imperatore, fu eletto imperatore dai suoi soldati e si apprestava a combattere vs. Costanzo
che morì nel 362. Giuliano fu una meteora ma bastò perché la controversia ricominciasse ex
novo. Giuliano non nascose più il suo essere pagano. Giuliano non ha mai apostatato perché non
è mai stato battezzato. Era stato educato nella religione cristiana ma mai battezzato. Definirlo
apostata quindi non è giusto. Giuliano nel suo tentativo di far rivivere il paganesimo si servì
dello stato di disordine e conflitto che c’era nel mondo cristiano. Il disinteresse di Giuliano
permise il riprendere effettivo della lotta senza interferenze del potere politico e quindi
prevalsero i concentramenti più forti.

Ricomincia la 3° fase della controversia ariana che continua fino al 381.

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L’attività di Ilario in occidente

Ilario approfitta del fatto che già nel 361 comanda Giuliano in occidente. Ilario aveva già
cominciato ad operare anni prima in senso antiariano cercando di contrastare l’attività di
Costanzo. Fu condannato a Bezier 356 e mandato in esilio in Frigia, che fu il momento di svolta
per Ilario perché venne a contatto con gli ambienti omeousiani e si rese conto che in occidente si
aveva una concezione semplificata e fuorviante delle varie posizioni. Ilario capisce che gli
omeousiani erano perfettamente recuperabili al fronte dell’homoousios. In esilio scrive il de trin.
– che Simonetti ritiene che man mano che egli lo componeva era mandato in Gallia – infatti
alcuni autori ne conoscono alcuni pezzi. Per il concilio di Rimini, Ilario scrive il De synodis -
opera più intelligente del IV secolo. Ilario fu l’unico occidentale a capire bene come stavano le
cose, nemmeno Ambrogio lo capirà, Girolamo figuriamoci…

Ilario capì già prima del 360 che il termine ipostasi che corrispondeva semanticamente a
substantia concettualmente corrispondeva piuttosto a persona. I contrasti tra gli antiariani di
oriente e occidente erano più di parole che di concetti. Ilario arrivò ai concetti senza fermarsi alle
parole. Homoousios era termine ambiguo. Nemmeno homoiousios era gradito ad Ilario perché
l’ambiguità di ousia non permetteva chiarimenti. Ousia ha 2 significati: aristotelico (individuale)
o platonico (generica). Già Dionigi di Alessandria aveva giocato sulla sfasatura tra questi due
termini. Bisogna quindi superare le difficoltà terminologiche per arrivare al nocciolo concettuale.
Non è che – come dicono alcuni studiosi – sottovaluta le differenze ma in una situazione politica
di quel genere mette l’accento su ciò che unisce più che ciò che divide.

Ilario partecipa a Seleucia nel 359, si spostò a Costantinopoli dove chiese un contraddittorio con
Saturnino di Arles, fautore del partito imperiale. Non gli fu concesso. Nel 361 Ilario torna in
occidente e trova Giuliano - così incomincia una nuova campagna contro l’arianesimo. Ilario in
esilio fa come gli pare: sconcertante. Solo la condanna a morte era più grave dell’esilio, che
implicava anche la confisca dei beni. Lucifero di Cagliari e Eusebio di Vercelli furono esiliati
anche loro in oriente e stavano in “domicilio coatto”. Invece Ilario si muove liberamente.
Sulpicio Severo dice che Costanzo avrebbe detto che faceva meno danni così, cosa che non può
essere vera perché l’imperatore poteva ridurre chiunque al silenzio. Simonetti pensa a qualche
forte protezione presso la corte di Costanzo, non tale da poterlo salvare dall’esilio ma tale da
potergli assicurare un modo di vita diverso dai veri esiliati. In occidente Ilario ha mano libera
contro gli ariani (Saturnino di Arles). Febadio di Agen era stato l’ultimo a firmare a Rimini-
Seleucia. Molti lo seguivano così Ilario ristabilì in pochissimo tempo la fede nicena.

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Il concilio di Parigi (361)

Ilario fu l’anima del concilio di Parigi del 361. Possediamo il testo di Parigi, compreso
nell’opera di Ilario stesso - Fragmenta historica - o l’edizione di Feder - Collectanea antiariana
parisina. Alcuni documenti sono chiosati da Ilario. E’ fondamentale per capire la controversia.
Sul carattere originario di questa raccolta no si è d’accordo. Si pensa che l’opera sia stata scritta:
Opus historicum contra Valentem et Ursacium. Questi due erano in occidente alla testa del
partito di Costanzo e dell’arianesimo moderato. Grandi nemici di Ilario. Da qui qualcuno ha
estratto dei documenti.

Lettera ufficiale che il concilio ha indirizzato ad alcuni vescovi orientali omeousiani. Lettera
scritta certamente da Ilario. All’inizio c’è una sorta di ringraziamento per non essere pagani
(imperitia saeculari è il paganesimo). Strano perché non è che una controversia tra cristiani.

Ma il concilio si è tenuto a Parigi che è strano: Parigi diventa importante solo molto dopo. In
questo momento è più importante Arles che è più a sud. In cristianesimo in Gallia è minoritaria
rispetto al paganesimo ma ben insediato al sud. Al nord è molto meno forte. Perché il concilio è
tenuto a Parigi? In zona dove il cristianesimo è minoritario? Ad Arles però il vescovo era
Saturnino, capo della fazione ariana. Saturnino è scomunicato ma non ha valore giuridico perché
Giuliano non si interessa delle questioni religiose. Quindi Saturnino resta ad Arles perché non
viene esiliato. Il cenno ai pagani si spiega in un ambiente in cui il cristianesimo è ancora
nettamente minoritario.

Riga 15

Litterae = lettera = epistula; littera (sing.) è la lettera alfabetica. Quindi si tratta di una lettera
sola. In questa lettera era stata espressa la fede antiariana. In oriente si poteva essere antiniceni
senza essere filoariani. Il senso della lettera era di spiegare che non sono filoariani pur non
accettando l’homoousios niceno - non volevano essere omousiani perché era troppo
monarchiano, voleva dire distruggere la personalità del F.

“Tramite ilario abbiamo capito la situazione… Noi antiariani divisi in oriente e in occidente
siamo stati tratti in inganno da opinioni diverse”

Ci siamo fatti ingannare delle differenze tra noi così da fare il gioco degli ariani, avversari
comuni. Il risultato è che la maggioranza a Rimini cede dopo i fatti di Nicheae = NIKE (non è
Nicea!!!). Dopo Rimini una commissione di 10 membri va a Costantinopoli per riferire a
Costanzo, allertato da Valente e Ursacio. Questa commissione non fu ammessa a Costantinopoli,

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ma furono dirottati a Nike, una piccola stazione di posta della Tracia. Qui Valente e Ursacio gli
fanno fare una formula diversa a furia di insistenze che viene portata a Rimini e i vescovi che
prima avevano condannato Valente e Ursacio si piegano a questa formula. Rimini si divide in
due momenti distinti: prima fase di antiariani; intermezzo di Nike, la commissione cede, tornano
a Rimini – seconda fase: il prefetto impone la formula di Nike. L’ultimo a firmarla è Febadio di
Agen.

Usiae silentium: nella formula riminese è detto che è proibito la formula usia e così si
contrastavano sia gli omeousiani che gli omousiani Questo è il punto caratterizzante nella
formula di Rimini, non tanto il concetto del simile. Ousia specificava il concetto di simile ma
proibendone l’uso il simile diventa un concetto vago e onnicomprensivo.

Arriomanitarum: per la prima volta in Eustazio di Antiochia, poi Atanasio. “Presi dalla pazzia di
Ario”, perché? Ario si ricollega al personaggio di Ares che era il Dio omicida della guerra, della
furia della guerra; c’è un aggettivo “areomanes” e così anche gli antichi modificano di poco.

Capitolo 2: presa di posizione di carattere dottrinale

Sentono l’esigenza di caratterizzare l’homoousios. Gli occidentali non si schiodano


dall’homoousios da quando Liberio nel 353 lo ha ripreso. Ma Ilario lo specifica in due direzioni:
contro Sabellio (= monarchiani radicali). Sabellio critica l’unione spiegato alla riga 16 = non
unio divinitatis sed unitas intellegatur. Di Dio si predica l’unità non l’unione, questione su cui
Ilario batte molto nel De trin.; uniti ma non identificati; scarta unio che vuol dire unione
indifferenziata. Tipico linguaggio ilariano. Se ousia era interpretata come prima ousia, cioè
aristotelica e individuale, coincideva a ipostasi.

Poi esclude che il F sia una parte del padre, che richiama la lettera di Ario (che condannava la
concezione che il F è una parte, sostrato materiale che si divide in due) ma che prima era stata
dottrina di Tertulliano nell’Adversus Praxean. Il F era portio e summa. Origene l’aveva scartata.
Ilario sta attento perché Tertulliano e Novaziano li conosceva.

Spiritus inteso come substantia Dei, di origine stoica ma che Origene aveva combattuto. Però
ormai nel IV sec. Si parla di spiritus non come spirito santo ma come generica sostanza divina.

Riga 21

sed eam solam similitudinem dignam…è il punto fondamentale del testo. Dopo aver parlato di
homoousios adesso si accetta anche il concetto di somiglianza (similitudinem) sulla base di Col 1
(immagine). Ma simile è generico - invece qui si intende che quella somiglianza è “di Dio vero
con Dio vero in maniera che si intenda non l’unione indifferenziata ma l’unitas, perché l’unione

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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

è di uno solo (cioè dall’unione risulta una sola realtà) invece l’unità secondo la realtà della
nascita significa la pienezza divina”. La somiglianza è intesa come identità del P e del F che però
sono uniti dalla unitas non dall’unio, uniti ma distinti. Unità con distinzione e non unità
indifferenziata.

Ilario qui supera l’opposizione dei due termini. La somiglianza è accettata contro la formula di
Rimini. La somiglianza è tale da implicare la plenitudo nascentis, la pienezza divina di colui che
nasce. Seguono i soliti passi giovannei.

Capitolo 3

contro coloro che dicevano che non esisteva prima di essere nato - sintetizzazione
dell’arianesimo radicale. Due erano le formule: il F deriva dal nulla; c’è stato un tempo in cui
non esisteva. La prima lettera di Ario indirizzata ad Eusebio di Nicomedia è l’unico testo in cui
si trova la formula ex ouk on, già nella seconda lettera di Ario il termine scompare (forse per
evitare le polemiche)

“Non perché pensiamo il F come non nato ma perché è empio pensare un tempo anteriore a
Dio”. Ario aveva detto che il F non esisteva prima di essere stato generato. Alessandro di
Alessandria invece dice che il F esiste ab aeterno. Questo però è interpretato dagli ariani come
sinonimo del fatto che anche il F è ingenerato.

La posizione ortodossa si richiama a Origene che aveva affermato con chiarezza (De Princ. 2 e
4) che il F è generato ab aeterno. Il F è continuamente generato dal P. Un passare dall’uno
all’altro, circolarità. Questo concetto è stato duro da comprendere. Anche Eusebio di Cesarea che
è origeniano non segue Origene.

Origene distingue il P come archè del F, ma distingue l’archè in due aspetti (aspetto ontologico e
cronologico). Ontologicamente il P è archè del F perché il F è nato dal P e il P lo ha generato. Il
P rappresenta l’archè ontologica del F. ma questa archè ontologica non implica un’archè
cronologica. In Dio non possiamo ammettere un prima e un dopo che implicano relazione di
carattere temporale. Si può parlare del tempo solo con la creazione del mondo. Solo gli
alessandrini capiscono questa distinzione. Alessandro distingueva ma Ario no e gli recrimina di
fare del F un ingenerato. Se il F è eterno come il P allora si affermano due ingenerati.

Conseguenza di questa concezione è lo sganciamento completo della generazione del F dalla


creazione (oikonomia). La tradizione prima di Origene collegava la generazione del F con la
creazione del mondo. Dio crea il logos col quale crea il mondo. Origene invece svincola la
generazione del F dalla creazione del mondo.

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Al capitolo 3 nella seconda parte, c’è la ripresa della kenosi del F, infirmitate. Noi pur
affermando l’eternità del F non infirmiamo la concezione dell’incarnazione. Per gli ariani invece
solo un’entità divina di secondo ordine poteva incarnarsi e discendere nel mondo. Per gli gnostici
c’era una incarnazione fittizia, apparente. Ma siccome l’incarnazione è reale il contatto del
divino con la natura umana implica uno scadimento per cui Ario dice che non possiamo
considerare il logos allo stesso livello del P – è un Dio di secondo ordine. Ilario invece dice che
il F ha la pienezza della divinità senza negare l’incarnazione (punta antiariana).

29. 10. 2001

Ilario insiste sull’accettabilità di homoousios sia di homoiousios, uguaglianza e identità di


sostanza. In questo 4° paragrafo ci sono provvedimenti pratici dei vescovi della Gallia. Insistono
su quelli che sono stati ingannati dalla perfidia degli ariani. Vengono condannati i vescovi che
avevano sostituito quelli che erano andati in esilio. Queste condanne hanno valore
esclusivamente ecclesiastico. Non hanno più una ricaduta politica. Se con Costantino una
condanna di carattere ecclesiastico aveva una ricaduta civile-amministrativa (esilio) ora non più.
Giuliano e poi (dopo la parentesi di Gioviano) Valentiniano I (occidente) e Valente (oriente)
mantengono un atteggiamento di disinteresse.

Arles è sede principale di Gallia in questo momento: Saturnino quando viene scomunicato resta
lì. La condanna ha solo carattere religioso. Aussenzio vescovo di Milano che Ilario e Eusebio
tenteranno di scalzare fa espellere Ilario dalla città e Aussenzio resta lì.

C’è una tendenza a minimizzare la caduta dei vescovi di Rimini, per esempio nel Chronicon di
Sulpicio Severo (autore famoso per la sua biografia di Martino di Tous che era un “bestseller” a
quel tempo, uno dei pochissimi scritti cristiani che passavano per il commercio librario. – Infatti
a quel tempo i libri cristiani ad eccezione della Bibbia erano diffusi per trascrizioni private, non
passavano per gli uffici librari e il commercio. – Aveva una rinomanza enorme, alla pari della
Vita Antonii di Atansio, e ha influenzato tutta la letteratura agiografica posteriore.) Il Chronicon
è un’opera cronachistica che ha importanza per i tempi dell’autore, sono notizie di prima mano.
E’ molto dettagliato su Rimini e le vicende successive. Sulpicio era un gran signore della Gallia,
siamo alla fine del IV inizio V secolo, subito dopo questi fatti. Deve aver avuto contatti diretti
con qualche vescovo che ha partecipato a Rimini perché è ben informato. Sulpicio dice che Ilario
fa trionfare una politica molto moderata. Venivano scomunicati e ridotti a stato laicale solo i
capiparte. Quelli che hanno ceduto a Rimini, purché facessero penitenza (dicevano che si erano

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sbagliati) e approvavano il credo niceno, restavano. Insomma bastava dire che la firma era stata
estorta e rinnegavano l’adesione. Non si potevano prendere misure troppo drastiche. La Gallia è
il primo paese che reagisce a Rimini. Così le misure di Ilario furono accettate da tutti sia in
oriente che in occidente. Ovvero le conseguenze di Rimini-Seleucia e Costantinopoli vennero
vanificate da questa linea di buon senso. Ci furono però reazioni sfavorevoli da parte di vescovi
molto rigidi contro questa eccessiva liberalità. Per cui si arriverà allo scisma luciferiano di una
minoranza tuttavia esigua.

In occidente da questo punto in poi non avremo più fenomeni importanti perché in occidente la
situazione era molto semplice: maggioranza nicena e minoranza filoariana. I vescovi ariani
restano tutti nelle loro sedi: Ursacio a Singidunum, Germiniano a sirmio, Valente a Mursa, altri
in Pannonia, Aussenzio a Milano. Nell’Illirico la presenza ariana era consistente. Pian piano che
i vescovi morivano la cattedra non era trasmessa ad un altro ariano. Infatti, dopo Aussenzio sale
Ambrogio e quando Germinio muore Ambrogio mette un vescovo antiariano, Anemio, a Sirmio.
In occidente insomma gradualmente gli ariani si spengono quasi naturalmente. Ci sarà un ripresa
con le invasioni barbariche che sono quasi tutti convertiti alla fede ariana.

In Oriente, invece, la situazione è molto complessa. Gli antiariani sono divisi tra loro. La
polemica è di lunga data, i dissapori personali pure… La morte di Costanzo e la presa di potere
di Giuliano – Costanzo morendo designa il suo successore (Giuliano) – implica anche qui il
disinteresse religioso: abolizione di tutte le condanne di Costanzo, ritorno dei vescovi esiliati.
Ciò suscitò una serie di disordini: più vescovi sulle cattedre locali. Ad Alessandria non succede
perché Atanasio, nascosto tra i monaci in Egitto, può prendere possesso per la 4 o 5 volta della
sede alessandrina.

Atanasio

Atanasio è uno dei protagonisti. E’ stato assente dai momenti decisivi degli anni 357-359 perché
in quegli anni l’episcopato orientale si era diviso. Nel 356 era espulso e si era nascosto tra
monaci. I concili di Sirmio-Rimini-Seleucia ecc. non lo vedono presente. Atanasio è assente in
anni decisivi per la chiarificazione ideologica dei termini della controversia.

Costanzo aveva introdotto ad Alessandria un certo Giorgio, cappadoce, ariano. Il vescovo di


Alessandria era molto potente. Giorgio non piacque e fu costretto ad andarsene. Con la morte di
Costanzo la folla insorge e Giorgio è messo in prigione. Una folla tumultuante poi lo tirò fuori
dalla prigione e lo linciò, forse furono pagani ma forse anche cristiani. Ammiano Marcellino,

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grande storico pagano, dà la responsabilità ai pagani. Quando Atanasio rientra a Alessandra non
ci sono altri vescovi.

Atanasio decide di riprendere le redini dell’operazione contro gli ariani e indice un concilio ad
Alessandria. Fu un concilio piccolo, di un ventina di vescovi egiziani con alcuni occidentali
esiliati in Egitto. Gli argomenti discussi furono ripresi nel Tomus ad Antiochenos. Questo è un
documento fondamentale per intendere tutto lo svolgimento della controversia. Tutti gli
argomenti della controversia vi sono anticipati. L’imperatore Giuliano lo rimanda in esilio con
un provvedimento ad personam perché era considerato perturbatore della pace pubblica, essendo
molto violento, inviso a tutto l’episcopato orientale e considerato elemento indesiderabile. (breve
esilio perché Giuliano muore nel 363).

Il concilio di Alessandria
Partecipano pochi vescovi, indetto di fretta e volutamente Atanasio lo voleva ristretto a coloro
che condividevano le sue idee. Sapeva che le sue idee in oriente erano minoritarie. Atanasio è un
niceno ed è lui che nel 355 aveva rilanciato l’homoousios in occidente. L’homoousios era stato
accantonato a causa della ambiguità. Atanasio lo aveva rilanciato ma senza grande successo. Il
partito più forte in oriente era quello degli omeousiani dominanti in Asia minore e in Siria.
Atanasio nei mesi successivi ai concili di Rimini-Seleucia-Costantinopoli (359/360) aveva scritto
il de synodis. Stesso tipo dell’opera che Ilario aveva scritto alcuni mesi prima. Gli argomenti
sono largamente comuni perché prendono in esame i sinodi tenuti dal 340 in poi in oriente e
occidente. Ilario ha scritto in preparazione del concilio di Rimini con politica di conciliazione.
Tende a minimizzare le differenze tra orientali e occidentali. Ilario è l’unico che supera gli
schematismi e sa andare al di là delle forme.

La posizione di Atanasio che scrive dopo il concilio è una posizione molto diversa. Atanasio
invece batte sull’homoousios e considera l’homoiousios inaccettabile. Resta attaccato alle
formule con una visione molto più ristretta. Comunque distingue tra ariani e omeousiani. Con gli
ariani è in contrasto mentre con gli omeousiani anche se non in posizione esatta si può discutere
perché sono antiariani. Una sorta di apertura, non larga e completa, ma è uno spiraglio. Atanasio
capisce di essere completamente isolato, sa che la sua posizione fuori dell’Egitto è condivisa da
pochi. Non si sente di abbandonarla ma vuole cercare di allargarsi verso gli omeousiani. Uno dei
punti fondamentali del Tomus ad Antiochenos è il rapporto ousia-hypostasis. Del resto questo
concilio fu molto ristretto. Fu scelta voluta da Atanasio per controllare lo svolgimento o una
scelta imposta dalle circostanze? Del resto dopo pochi mesi Atanasio viene costretto ad
andarsene perché contravvenendo alla politica di neutralità, Giuliano fa un decreto contro di lui.
12
LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

Atanasio ha tenuto presente la sua situazione precaria capendo che il tempo non lavorava a suo
beneficio. Chiamato concilio dei confessori: avevano tutti un po’ sofferto da parte degli ariani.
Le decisioni sono scritti un testo che certamente si deve a Atanasio. Parteciparono pochi vescovi
esterni: Eusebio di Vercelli (unico occidentale), Asterio di Petra e pochi altri. Ma in questo
periodo c’è anche Lucifero di Cagliari in oriente. Erano stati mandati nella Tebaide perché
diffondevano troppo l’homoousios, ma così stanno vicini ad Atanasio. Pare che avessero fatto un
piccolo conciliabolo e avevano deciso la strategia dopo la morte di Giuliano. Eusebio partecipa
al concilio di Alessandria mentre Lucifero va verso Antiochia. Le conseguenze disastrose di
questa separazione le vedremo.

Tomus ad Antiochenos: perché questo nome? Si tratta di una lettera, non un resoconto del
concilio, ma una lettera ufficiale che il concilio invia alla comunità cristiana di Antiochia. Tomos
significa originariamente (dal verbo “tagliare”) una divisione di un libro. In quel periodo indica
un documento ufficiale di norma di forma epistolare. Una lettera ufficiale. (Al tempo di
Calcedonia si ha il Tomus ad Flavianum che è la posizione ufficiale della chiesa di Roma di
Leone Magno indirizzata a Flaviano, vescovo di Costantinopoli. Questo testo, in forma
epistolare, ha valore ufficiale). Questo tomo viene invece indirizzato ai cristiani di Antiochia:
Perché ad Antiochia c’era una situazione molto disastrata dal punto di vista della comunità
cristiana. Antiochia è stata la prima grande città dell’impero in cui i cristiani sono stati sempre di
maggioranza cristiana. Questo era particolarmente inviso a Giuliano. Antiochia è la città
amministrativamente più importante dell’impero, certo Alessandria era più grande e più influente
culturalmente ma dal punto di vista amministrativo è più importante Antiochia.

Antiochia:

La storia di Antiochia è stata sempre conflittuale: divisa prima tra giudaizzanti e etnocristiani,
poi la controversia ariana ad Antiochia si diffonde subito e trova contrasti fortissimi. Quale è la
situazione di Antiochia quando arriva il Tomus portato da Eusebio di Vercelli? La comunità è
divisa in tre parti. Nel 325 al CN tra i principali avversari di Ario c’era stato Eustazio, nominato
pochi mesi prima del CN vescovo di Antiochia. Questo era avversario di tutta la posizione
alessandrina, origeniana. Confessava una tendenza moderatamente monarchiana. Eustazio viene
deposto per motivi di carattere disciplinare come prima vittima della reazione antinicena. Fu
mandato in Tracia. Una parte della comunità di Antiochia non digerì questa decisione. La
comunità si scinde. Una parte resta fedele a Eustazio e si riconosce nel simbolo di Nicea e questi

13
LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

li chiamiamo vetero-niceni. Il Simbolo niceno era sgradito a causa della sua possibile accezione
monarchiana. Una sola sostanza = una sola ipostasi.

Dopo Eustazio c’erano stati una serie di vescovi: Massimo di Tiro, Eulalio, Stefano, Leonzio,
Eudossio, tutti rigidamente antiniceni e tutti vescovi legittimi. Antiochia è una sede che dal
326/7 è sempre stata amministrata da vescovi antiniceno più o meno filoariani. A seguito del
359-60 Eudossio, vescovo filoariano di Antiochia, si fece trasferire a Costantinopoli. La sede
antiochena resta scoperta. Viene eletto Melezio che era già vescovo di Sebaste in Asia minore.
(In questo periodo ci sono canoni che proibiscono rigidamente lo spostamento da una sede
all’altra, ma sembra che questo canone sia stato fatto proprio per essere prevaricato…) Questo
Melezio era uno di quelli che si erano saputi adattare e destreggiare tanto che Acacio di Cesarea
(capo della fazione filoariana, omea) lo ritiene una persona di provata fede omea. Qui le notizie
non sono chiare ma sembra che in una tornata oratoria i tre vescovi Giorgio di Alessandria ,
Melezio e Acacio hanno fatto delle omelie sull’interpretazione di Prv 8,22 e Melezio si esprime
in termini nettamente antiariani così è immediatamente deposto e mandato in esilio verso
l’Armenia.

Melezio è mandato in esilio e pochi mesi dopo viene nominato vescovo di Antiochia Euzoio, un
vecchio prete alessandrino che era stato amico di Ario. Ma il grosso della comunità antiochena
continua a riconoscersi in Melezio – questa comunità viene diretta da due laici: Diodoro (futuro
vescovo di Tarso) e Flaviano (futuro vescovo di Antiochia). Ai tempi del concilio di Alessandria
Melezio non è ancora rientrato dall’esilio. Quando il concilio di Alessandria dirige la lettera ad
Antiochia la comunità di Antiochia era divisa in tre:

1. una piccola comunità veteronicena legata all’omoousios e guidata dal presbitero Paolino.
Paolino si fece rappresentare da due diaconi al concilio di Alessandria.
2. una piccola comunità che potremmo definire ariano moderata (omea) guidata da Euzoio che
è vescovo e minoritaria ma ha il possesso di tutte le chiese
3. il grosso della comunità è rimasto fedele a Melezio e si riuniva in una chiesa dei sobborghi,
detta palaià, la vecchia.

Piccolo inciso: noi le vicende di questi anni le conosciamo attraverso la Historia acephala. Il
titolo è stato dato da noi moderni, acefala perché mancano i primi capitoli. E’ una sorta di
cronaca ufficiale della sede di Alessandria di Egitto. L’importanza di questo testo è enorme. E’
informatissimo. Di alcune cose abbiamo il giorno, i movimenti di Atanasio seguiti dei dettagli.

14
LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

Lo possediamo anche in traduzione latina. Sappiamo esattamente il giorno in cui Atanasio è


rientrato ad Alessandria. (Melezio invece se l’è presa con comodo).

Il primo argomento trattato nel Tomus è la presa di posizione del concilio di Alessandria
riguardo a questo scisma di Antiochia e che è l’avvenimento che è cominciato con inizi tutt’altro
che eclatanti ma che sarà destinato a diventare sempre più importante e dividerà sia gli orientali e
sia gli occidentali dagli orientali. Infine si trascinerà fino ai primi decenni del V secolo con
Crisostomo. Gli ultimi residui di questo gruppo eustazionao paoliniano restano fino attorno al
520 circa. Poi abbiamo la questione dello Spirito Santo. Segue la questione del rapporto tra ousia
e ipostasi e poi del problema cristologico. Inizia adesso con Apollinare la questione cristologica.
Tutti gli argomenti saranno motivi di contrasto enorme.

Il Tomus ad Antiochenos (I)


Cap. 1: un preambolo contro gli ariani.

Cap. 2: si presentano i due latori del tomo, Eusebio di Vercelli e Asterio. Non si parla
esplicitamente delle misure riguardo ai vescovi – abbandono dell’arianesimo, riconferma del
fede nicena. (C’è una lettera di Atanasio a Rufiano in cui Atanasio si rifà ai concili della Gallia e
di occidente. Se un vescovo che aveva sottoscritto la formula riminese affermava la fede
nell’homousios integrato … e condannava la fede ariana continuava a stare nella sua sede.)

Cap. 3: si entra in argomento: palaià = i partigiani di Melezio, la massima parte della comunità di
Antiochia che si riunisce nella vecchia chiesa. Qui viene detto che in riferimento di quelli
“amati” attorno a Paolino… “se quelli della chiesa vecchia vogliono venire con voi dovete
accoglierli.” Questo è il senso. Essi debbono confermare la fede di Nicea, devono condannare
quelli che dicono che lo Spirito Santo è creatura ed è diviso e separato dalla ousia di Cristo.
Quelli che accettano Nicea e aggiungono il codicillo sullo Spirito Santo e ammettono di
abbandonare l’eresia ariana e di non dividere la trinità, questi vanno accettati… Poi ci sono le
condanne delle eresie del passato… Il cap. 4 conferma questa cosa

Alcune considerazioni:

Anzitutto si prescrive non solo l’accettazione del simbolo di Nicea ma un codicillo sullo Spirito
Santo. Si deve professare che lo Spirito Santo non è creatura e non è separato. Perché? Se
prendiamo il credo niceno del 325 (che non è quello della messa domenicale), la formula
originaria sullo Spirito Santo tace o almeno è essenziale. Lo Spirito Santo è il grande assente di
tutta la prima parte della controversia ariana. Attorno al 359 incomincia ad agitarsi qualcosa:
15
LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

Atanasio scrive le 3 lettere a Serapione contro alcuni che negavano la divinità dello Spirito
Santo. E’ l’argomento cruciale dell’ultima parte della controversia. L’interesso teologico si
sposata dal F allo Spirito Santo. Diventa motivo grosso di divisione anche negli antiariani perché
molti antiariani di fede omeousiana pur essendo antiariani non si sentiranno di sottoscrivere tali
cose sullo Spirito Santo o addirittura lo considerano una creatura. Non sono convinti della
divinità dello Spirito Santo. Da questa controversia si danno le opere fondamentali sullo Spirito
Santo.

La prima presa di posizione che Atanasio prende è: chi vuole essere accettato dalla comunità di
Paolino deve sottoscrivere il simbolo di Nicea e in più aggiungere il codicillo sullo Spirito Santo.
Il senso di questa disposizione. E’ un senso quanto mai politicamente scorretto. Il referente del
concilio di Alessandria è Paolino, questo presbitero a capo di una piccola parte della comunità di
Antiochia. Il grosso della comunità e il vescovo ufficiale è Melezio. uno che legge questo testo
senza sapere nulla di Antiochia crede che la comunità di Antiochia era quella di Paolino e gli
altri erano dei pochi ribelli. Ma la situazione era diversa. Questi sono la maggioranza e
riconoscono come vescovo l’unico che è legittimo, Melezio. Ma Melezio è nemico
personalissimo di Atanasio. Questa presa di posizione si capisce: Atanasio è veteroniceno e
anche i vescovi di Alessandria e così si allargano verso la comunità paolina e i veteroniceni. Ma
la posizione ideologica per loro è preminente. Melezio viene dall’ambiente di Acacio di Cesarea,
fortemente nemico di Atanasio. Una presa di posizione tale era destinata a cadere. Questi fanno
una concessione alla comunità ufficiale di quella chiesa. Ma la comunità di Melezio non aveva
nessuna intenzione di avere questa “concessione”. Melezio quando torna prenderà parecchie
chiese. Del resto Euzoio è amico di Ario e quindi è assolutamente escluso.

5. 11. 2001

Abbiamo visto che l’interlocutore diretto del Tomus ad Antiochenos è Paolino anche se forma la
parte della comunità antiochena minoritaria e non legittima. Abbiamo visto che come condizione
dell’ammissione alla comunità viene richiesta la professione del simbolo di Nicea che gli
omeousiani avevano sempre rifiutato di accettare. Poi che bisogna condannare chi dice che lo
Spirito Santo è una creatura o è diviso dall’ousia del P.

Non basta più il simbolo di Nicea ma si aggiunge qualcosa sullo Spirito Santo. Questo
argomento in breve tempo diventerà l’argomento principale negli altri 360-80. Il problema

16
LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

teologico si sposta dal P - F allo Spirito Santo: se, come e perché lo Spirito Santo debba essere
compreso nella stessa adorazione che si presta al P e al F.

Era un tema molto recente. Solo nel 359 in contemporanea con Rimini-Seleucia, Atanasio su
richiesta di Serapione prende posizione nei confronti di quelli che lui chiama i tropikoi che
negavano la divinità dello Spirito Santo.

Ilario proprio negli ultimi 2 capitoli del de trinitate che sono quasi un’appendice staccata dal
resto dell’opera si rifà alla questione dello Spirito Santo. Secondo gli storici eccelsiastici il
problema fu sollevato da Macedonio. Di Macedonio sappiamo poco, in seguito questi furono
chiamati macedoniani.

Excursus sulla teologia dello Spirito Santo


E’ un argomento spinoso perché il concetto di pneuma è il concetto teologico più complicato: vi
interferiscono la componente giudaica e filosofica che sono ben caratterizzate l’una rispetto
all’altra.

Secondo la concezione ebraica lo spirito nell’AT è una potenza, una capacità operativa di Dio.
Cfr. Gen 1: lo spirito di Dio vagava sopra le acque… Si parla continuamente dello spirito di Dio
ma come una attività di Dio, una capacità di operare rispetto al mondo: creazione, santificazione,
ispirazione. In ebraico spirito si dice ruah, ma è di genere femminile. La dimensione femminile
dello spirito ha avuto una importanza forte. Poi venne meno gradualmente perché in greco
pneuma è neutro e in latino spiritus è maschile. Ma ancora nel II-III sec. i relitti della concezione
femminile sono evidenti. La presenza dello spirito nella comunità primitiva (cfr. At) è forte. Cfr.
episodio di pentecoste: aveva la convinzione di essere sotto l’azione di questo spirito di Dio,
questa forza divina che secondo la profezia di Gioele (At 2) si sarebbe effusa nei tempi
messianici. La comunità era convinta di vivere i tempi messianici e così aveva la percezione di
essere sotto questa azione. La presenza forte di questo spirito si ricava oltre che dai passi della
professione battesimale (Mt 20,18??) anche da Gv laddove Gesù dice di inviare un altro
consolatore, paracleto, inteso come la presenza di Cristo nella comunità dopo la risurrezione e il
suo allontanamento dal mondo. Già in quella espressione c’è una tendenza ad personalizzare.
Costatiamo che lo Spirito Santo entra subito nella lex orandi, nella pietà , nella preghiera della
chiesa. Di qui fa sentire il suo peso sulla lex credendi e cioè l’elaborazione dottrinale del dato
biblico.

Una cosa è la fede della chiesa, l’invocazione e il battesimo, la convinzione che lo Spirito Santo
sia il santificatore (il battesimo era una effusione di Spirito Santo sul battezzato; l’unzione era

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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

l’investitura di spirito). Lo spirito è presente come santificatore nella chiesa, nella convinzione
del vissuto. Si perde rapidamente la dimensione di creatore e viene valorizzata la santificazione.
Ben presto gli viene affidata anche l’ispirazione. Dunque la lex orandi valorizza subito la
presenza dello Spirito Santo e comincia subito la sfasatura con la lex credendi. Come lo Spirito
Santo si inserisce in quello che è il problema fondamentale cioè: quale è il rapporto tra Cristo e il
P? e’ un tema di cui Simonetti si occupa da anni. E’ un rapporto difficile da chiarire. Come la
divinità di Cristo può coesistere con l’unicità di Dio? Vi furono vari tentativi di spiegazione:
monarchiani e dottrina del logos che nel IV sec. prevale.

Pneuma è concetto di filosofia stoica: è forza divina che permea; ma è anche una sostanza, un
fuoco sottile che dà razionalità e divinità a tutto il mondo e a tutto l’universo. Da un punto di
vista della elaborazione dottrinale non era facile. Il concetto era ambiguo.

Che cosa è lo Spirito Santo? Il P è Dio: c’è una tradizione veterotestamentaria e platonica.
Cristo: è un uomo che ha vissuto, una entità concreta. Vi erano contrasti sulla dimensione divina
(distinta o solo un modo di manifestarsi del padre?); comunque il Cristo storico fa da supporto
all’elaborazione dottrinale. Ma lo Spirito Santo? E’ evanescente. Cosa significa? A mano a mano
che il centro di gravità si sposta dalla componente giudaica a quella greca della comunità il
concetto di spirito subisce l’influsso della teoria stoica. Per gli stoici il pneuma è Dio. Dio
immanente nel mondo, una forza divina immanente. Interferenza di concetti che porta a
confusioni forti. (Cfr. Simonetti, Studi sulla cristologia; c’è un articolo sulla cristologia
pneumatica).

Al tempo di Tertulliano e Origene, spirito (riferito a Dio, perché poi c’è il problema dello spirito
dell’uomo che è tutt’altra cosa, pure questa complicata) può avere 3 significati:

1. spirito in quanto sostanza divina. Dio è spirito (Gv 4,24) viene interpretato staccato dal
contesto: la sostanza di Dio è spirito. Tertulliano che è stoico intende questo spirito come
un corpo, corpo sui generis, intesa materialmente, sostanza divina. Così questo concetto
sarà rifiutato da Origene. Dio è dunque corpo per Tertulliano.
2. diventa nome personale di Cristo. Poco usato ma attestato (Taziano, Tertulliano, Ireneo).
Spirito è uno dei tanti nomi come logos, sapienza ecc..
3. Spirito Santo.
Non era facile districarsi su questa varietà di significati. Tertulliano adopera in tutti e tre i sensi
senza fare confusione, ma altri confondono. Per es. Il pastore di Erma: lo Spirito Santo diventa la
sostanza divina del F. La confusione per cui lo spirito diventa la sostanza divina di Cristo si
ritrova in occidente addirittura nel concilio di Serdica nel 343!! Lo spirito è Cristo qua Deus.

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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

Anche Ilario prima dell’esilio nel commento a Matteo confonde lo Spirito Santo con la divinità
di Cristo.

Questo concetto nel IV secolo lo sganciano dalla filosofia stoica, lo reinterpretano in senso
platonico e così Atanasio e Apollinare parlano di Dio come spirito in senso spirituale.

[domanda: 1 Cor: lo spirito è signore Paolo lo pensa come forza di Dio.]

Dio è di tutto, il logos è delle creature razionali anche non cristiane ma dotate di ragione; lo
Spirito Santo è ristretto alla chiesa. Solo la chiesa gode della presenza dello Spirito Santo che è
la presenza di Dio dopo che Cristo è asceso al cielo.

Bisognava inserire lo Spirito Santo nel rapporto divino. Il teologo deve profilare questo rapporto.
La preghiera lo nomina. Ma chi è? Come si inserisce nel rapporto divino? Non abbiamo molta
documentazione soprattutto per i monarchiani, sembra che il tardo sabellianismo si sia allargato
trinitariamente e abbia esteso allo Spirito Santo la concezione del F. Una monade divina si rivela
nella creazione come P, nella redenzione come F e nella santificazione come Spirito Santo. Una
estensione della manifestazione di Dio. Ci interessa soprattutto la riflessione sullo Spirito Santo
nell’ambito della dottrina del logos.

La dottrina del logos presenta una struttura binaria e non ternaria fondamentalmente. Ammette
due entità remote: Dio e il mondo in mezzo c’è il logos che è il mediatore per eccellenza. La
mediazione del logos è totalizzante e abbraccia tutto il rapporto Dio - mondo. La presenza di Dio
nel mondo si compendia nel logos. Questa è la concezione che domina a partire dal II sec. Ci
sono varietà: Ireneo è più unitivo rispetto a Tertulliano e Novaziano che sono più divisivi.

Uno solo è il mediatore tra Dio e il mondo (1Tm) l’uomo Gesù è l’unico mediatore: ma Origene
dice che anche il logos da solo è mediatore. La mediazione è totalizzante ma allora quale è il
posto dello Spirito Santo in questo schema?. Se tutto il rapporto tra Dio e l’uomo si risolve nella
mediazione di Cristo, lo Spirito Santo che ci sta a fare?. La lex orandi impone la presenza dello
Spirito Santo ma la lex credendi ne farebbe a meno perché non è comodo. Così la presenza dello
Spirito Santo è molto sporadica. I teologi del logos tendono ad essere binitari non trinitari. In
Giustino lo Spirito Santo non è mai inserito nel rapporto che è sempre a due non a tre.

Certo ci sono anche tentativi di soluzione. In Ireneo c’è lo schema triangolare. Lo Spirito Santo e
il F sono le due mani di Dio anche se poi una mano si capisce ma la funzione dell’altra no.
Anche in quelle che sono le sue funzioni peculiari lo Spirito Santo agisce in subordine a Cristo,
perché è lo spirito di Cristo. Ovviamente la teologia del logos tende a risolvere lo Spirito Santo
come emanazione dell’attività di Dio. Quelli che più hanno trattato dello Spirito Santo sono stati:

19
LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

Antenagora (2 o 3 passi), Tertulliano, Ippolito (Contra Noetum), Origene. Sono tentativi di


allargare lo schema da binario a ternario. Anche in quello ternario lo schema resta subordinario.
Prescindiamo dallo schema triangolare che dopo Teofilo e Ireneo è scomparso completamente.

Lo schema verticale.

Origene chiarifica bene il punto che provoca uno scompenso: l’azione dello Spirito Santo è più
ristretta rispetto all’azione del logos ed è in subordine. Origine tende a considerare lo Spirito
Santo come il complesso dei carismi e dono che Dio ha elargito alla chiesa. Così farà anche
Ilario: lo Spirito Santo è sentito come qualcosa che non come qualcuno. Lo Spirito Santo è la
presenza di Cristo nella chiesa. Ma viene anche inteso come persona divina da affiancare al P e
F; in omaggio alla formula ternario

Tertulliano parla di persona del P e F e Spirito Santo. Ma lo schema è verticale. Differiscono per
gradus, cioè sono disposti in maniera scalare. Nel II sec. c’è un episodio importante che
complica la situazione perché getta un sospetto sullo Spirito Santo. E’ una polemica non
dottrinale ma disciplinare che però ha ripercussioni in ambito teologico - il montanismo. I
montanisti erano i nuovi profeti, si ritenevano oggetto di una particolare ispirazione dello Spirito
Santo, il paracleto. Così valorizzavano di fronte all gerarchia il loro carisma come derivato
direttamente dallo Spirito Santo. Tertulliano lo confessa chiaramente nell’Adversus Praxean.
Tertulliano lo dice: l’aver aderito al montanismo ha richiamato la sua attenzione sullo Spirito
Santo. Tertulliano che inserisce lo Spirito Santo come terza persona attribuisce questa riflessione
al suo essere montanista. Così la reazione antimontanista tra i tanti aspetti che ha (contro l’estasi;
infatti Origene ne parla in senso negativo) ha portato ad un arretramento della teologia dello
Spirito Santo. Infatti Novaziano compone il suo De Trinitate 30 anni dopo Tertulliano e non
chiama più lo Spirito Santo persona. Il termine è dato al P e al F ma non allo Spirito Santo.

Origene parla di Spirito Santo (De princ. 1 e 2), lo inserisce nella formula trinitaria, per cui il
termine ipostasi è allargato allo Spirito Santo. Dichiara di essere incerto sulle origini dello
Spirito Santo (In Io 2). Tende a considerarlo come prima delle creature create dal logos ma
comunque lo tiene stretto all’ambito della divinità ma così è contraddittorio perché in effetti ha
avuto difficoltà. Restano le 3 ipostasi ma per ciò che vediamo (in occidente la riflessione è
inesistente; Ilario nel 350 ancora confonde lo spirito con cristo) in Oriente lo spirito viene
accantonato, continua la visione binitaria (per esempio Eusebio di Cesarea e suo nemico
Eustazio – ambedue sono binitari; si parla di diade. Eusebio discute del rapporto P e F
(demostrantio e theologia) ma lo Spirito Santo è sempre assente.)

20
LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

Quindi c’è un motivo di carattere strutturale. La figura dello Spirito Santo stenta ad inserirsi
nello schema della dottrina del logos che è schema intrinsecamente binario perché tutto ciò che
può fare lo Spirito Santo rientra nella sfera del logos. L’altro motivo è contingente: la reazione
contro i montanisti. Così la riflessione che è appena incipiente retrocede. La riflessione scompare
in occidente dopo Tertulliano, Novaziano e in oriente dopo Origene.

[Domanda: Lo Spirito Santo e l’incarnazione

Lc 1,35: “lo Spirito Santo scenderà su di te…” – che rapportoc’è tra Spirito Santo e
incarnazione? Nella cristologia adozionista questa concezione non fa difficoltà. Ma nella dottrina
del logos? L’incarnazione è concepita come una persona divina, il logos che scende in Maria, si
annienta e nasce come uomo… ma lo Spirito Santo che ci sta a fare? Tanto che nel II secolo è
attestata una variante importante a Lc 1,37: lo spirito di Dio scenderà su di te. Giustino le attesta
entrambe, Ireneo attesta solo la seconda. Ma lo Spirito di Dio è il logos: il nome personale del
logos. E’ il logos che scende in Maria, logos personale. Poi si dice in generale che lo Spirito
Santo ha contribuito ma non si spiega come.]

Quindi all’inizio della controversia ariana lo Spirito Santo è del tutto assente. Il risultato è che il
simbolo niceno si chiude dicendo “crediamo nello Spirito Santo” perché lo schema del simbolo
di Nicea è battesimale. Quindi si nomina lo Spirito Santo ma mentre la parte cristologica è
diffusissima quella sullo Spirito Santo è stringatissima. Nel concilio di Serdica si dice: Il F di
Dio, cioè lo Spirito Santo (cfr. sopra: lo spirito come Cristo qua Deus). Se si percorrono tutti i
testi conciliari lo Spirito Santo non entra mai nel vivo della questione.

Ci troviamo quindi di fronte ad un vuoto. Perché però attorno al 359 si comincia a discutere dello
Spirito Santo? Ci sono dei segni: le 3 lettere di Atanasio (una è stata divisa in due ora risultano 4)
a Serapione che risponde ai tropici. Ilario nel de trin. aggiunge due capitoli sullo Spirito Santo:
del resto solo in oriente Ilario poteva sentir parlare dello Spirito Santo, quindi i 12 libri del de
trin. sono stati tutti fatti in esilio. Atanasio non si è mai mosso dall’Egitto mentre Ilario stava in
Asia Minore (Frigia, Seleucia, Costantinopoli). Si tratta di due questioni distinte o di un solo
problema? Cioè: gli avversari a cui si riferisce Atanasio sono gli stessi di Ilario? Ilario conosce
Macedonio. I macedoniani sono i tropici? I tropici sono un fenomeno egiziano? O sono notizie di
ciò che avveniva a Costantinopoli?

Teniamo presente che ci sono opere di carattere polemico-storico e opere di carattere polemico-
dottrinale. Nel primo danno nomi e cognomi, nel secondo è tutto generico. Il genere letterario
dottrinale non prevedeva una dimensione di carattere storico, si voleva la massima genericità.
Perciò noi non riusciamo a capire. Sappiamo che alcuni pur non essendo ariani negavano la
21
LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

divinità dello Spirito Santo. L’origine di questa controversia per noi è oscura. Questo è uno dei
problemi che restano senza risposta: perché ad un certo punto si è sentita la necessità di parlare
dello Spirito Santo? La risposta è generica: dato che lo Spirito Santo era strettamente connesso
col P e il F nella lex orandi, e dato che la stessa dottrina del logos parlava dello Spirito Santo
come ipostasi, ineluttabilmente la discussione doveva allargarsi allo Spirito Santo. Ma vorremmo
sapere qualcosa di concreto…

Perché Macedonio comincia a parlare dello Spirito Santo? Un tentativo di compromesso con
elementi filoariani? La polemica antica è sempre ancorata a contingenze precise. Qui chi riflette
su problemi concreti, su affermazioni che uno non condivide ecc… se si parla dello Spirito Santo
ci deve essere arrivato in modo contingente, concreto, storico… Macedonio è omeousiano e gli
omeousiani sullo Spirito Santo si frammentano.

Atanasio risolve il problema immediatamente nelle lettere a Serapione, punto di riferimento di


tutta la ricca letteratura sullo Spirito Santo che segue e di cui abbiamo abbastanza; Didimo,
Basilio, il De Trinitate dello Pseudo-Didimo; Contra Eunomio dello Pseudo-Basilio; In queste
lettere a Serapione Atanasio estende allo Spirito Santo tutto quanto detto per il F: autenticamente
Dio, la omousia (lo Spirito Santo omoousios al P). Se non è lui è certamente un rapida conquista.
Questa è la posizione di Atanasio, degli omousiani.

Gli omeousiani su questo punto si dividono. Alcuni accettano Atanasio, altri si staccano, altri
rifluiscono nel partito ariano moderato. Il movimento è chiamato degli pneumatomachoi
(combattono lo Spirito Santo) poi macedoniani. Il concilio di Costantinopoli li condanna come
macedoniani; non sono ariani perché su Cristo sono cattolici, ma sullo Spirito Santo sono
eterodossi. E’ una posizione fortemente scritturistica: gli eterodossi non trovano nella sacra
scrittura affermazioni precise sulla divinità dello Spirito Santo. Mentre lo troviamo su Cristo (Gv
1) non la troviamo sullo Spirito Santo : niente sappiamo sull’origine e la natura. La Bibbia
informa solo sulla attività. Questi quindi sospendevano il giudizio.

Atanasio per affermare la divinità dello Spirito Santo aveva fatto una di quelle operazioni sue:
tutte le volte che la scrittura dice spirito di Dio bisogna intendere Spirito Santo. Qui c’è una
posizione cattolica. Così lo Spirito Santo è anche creatore.

Il Tomus ad Antiochenos (II): Il rapporto tra ousia e ipostasi


Atanasio qui aveva le mani legate, non tanto dalle sue affermazioni ma dalla formula occidentale
del concilio di Serdica. del 343: gli occidentali cercarono di riproporre e far assolvere Atanasio e

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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

Marcello, gli orientali non vogliono e si dividono (prima scissione tra oriente e occidente).
Fecero due formule, quella occidentale è interpretazione del simbolo niceno del 325. A Serdica
nel 343 si identificano ousia e ipostasi e si parla di una sola ousia ovvero ipostasi del P e del F
con una chiarezza che il simbolo niceno non aveva. Ma questa formula per gli orientali era
inaccettabile. Per gli orientali c’erano 3 ipostasi. Atanasio è presente a Serdica. Ma Serdica ora
lo mette in difficoltà.

Così Atanasio si sbarazza del concilio di Serdica: cfr. paragrafo 5: “il concilio non aveva deciso
nulla…” che non è proprio vero. Atanasio elimina il concilio di Serdica e poi propone il suo
tentativo di conciliazione. Il risultato sarà importante: unione tra omeousiani con gli omousiani.

12. 11. 2001

capitolo 5:

Tratta l’argomento principale del tomus. L’atteggiamento da prendere di fronte a coloro che
affermano 1 sola ipostasi della trinità e davanti a quelli che affermano 3 ipostasi della trinità.
Atanasio aveva il vincolo del concilio di Serdica Affermare 3 ipostasi era la posizione
alessandrina: Origene era stato il primo ad usare la parola ipostasi (prima mai adoperato nel
linguaggio trinitario). I monarchiani affermavano 1 sola ipostasi (posizione opposta). Il termine è
stata introdotta da Origene e gli avversari la interpretano in modo opposto: una sola ipostasi che
si dà a conoscere a volte come padre, a volte come figlio e a volte come Spirito Santo. I
monarchiani erano stati condannati (Sabellio) sia la posizione adozionista che modalista. La
posizione antialessandrina però era condivisa anche da chi non era nettamente monarchiano. Già
Dionigi di Roma aveva obiettato a Dionigi di Alessandria che l’affermazione di tre ipostasi
divise (memerismenas) significa affermare 3 dei. Dionigi di Alessandria aveva risposto che se
noi affermiamo le ipostasi affermiamo la trinità. A Roma l’affermazione di 3 ipostasi è triteista e
ad Alessandria l’affermazione di chi nega le 3 ipostasi significa togliere la trinità. In effetti
l’affermazione di 3 ipostasi sembrava troppo divisiva e non solo ai monarchiani. Dobbiamo
tenere presente un quadro complesso: ai due estremi i monarchiani e la dottrina delle 3 ipostasi
ma in mezzo c’è una massa indistinta che non si identifica con le due posizioni estreme e cercava
soluzioni alternative.

La controversia ariana era nata ad Alessandria dove la dottrina del logos ha avuto il sito
privilegiato. Si rifà a Filone. Ario rappresentava una tesi estremista, un origenismo radicale che
interpretava le 3 ipostasi (Origene le metteva in ordinamento verticale) e faceva di Cristo una
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creatura. Gli origeniani moderati (Alessandro) mantenevano le tre ipostasi ma non così
radicalmente.

A Nicea c’erano anche dei monarchiani, Eustazio di Antiochia (una ipostasi e 2 prosopa) e
Marcello di Ancira. (1 sola ipostasi e 1 solo prosopon).

A Nicea abbiamo l’accordo tra gli origeniani moderati e questa frangia monarchiana contro gli
origeniani radicali. Ario viene isolato e condannato. I risultati di questa unione strana tra
Alessandro e Marcello di Ancira fu il pagamento di un notevole scotto. Nel formulare il simbolo
del 325 i monarchiani furono ben presenti. Non sappiamo chi ha scritto la formula ma qualcuno
convinse Costantino il quale costrinse a sottoscrivere. La formula non soddisfaceva gli orientali.

Quali erano le formule strane del simbolo niceno: una era l’affermazione “homoousios col P”.
Eusebio dice che si discusse a lungo ma poi Costantino lo impose. Nessuno fu entusiasta di
questa formula perché se noi prendiamo l’ousia nel senso aristotelico cioè nel senso di prima
ousia, individuale è chiaro che l’espressione corrisponde a una sola ipostasi trinitaria. Qui col
termine ousia si poteva giocare: non era chiarito se era in senso generico o individuale. Già
Dionigi di Alessandria diceva che nel senso di homophyes e homogenes accetta homoousios. C’è
la possibilità di giocare sui due sensi di ousia così il termine a seconda di come era interpretato
poteva essere accettato da tutti e due le parti.

C’è un punto che è ancora più pericoloso – voi siete abituati quando leggete la forma del 325 a
considerarla in senso positivo – ma la formula di Nicea era corredata da una parte negativa ossia
una parte in cui alcune espressioni di condanna - dopo aver affermato positivamente una
dottrina- poi si condanna la dottrina avversa, le proposizioni più radicali in quel caso di Ario. Si
condannano quelli che ritengono che il F non sia ab aeterno. Poi è condannato colui che ritiene
che il F “estì ex eteras hypostaseos kai ousias” rispetto a quella del P. Insomma, è condannato
chi afferma che il F deriva da una ipostasi o una ousia diversa da quella del padre.
L’affermazione ancora una volta è ambigua. E’ la perfetta equivalenza di ousia e ipostasi. Basilio
stenterà a trovare la formula di compromesso decisiva perché solo nella lettera 125 supera con un
sofisma ridicolo ma comodo questa uguaglianza: dato che hanno nominato ipostasi e ousia vuol
dire che sono diversi.

Uno che interpretasse l’homousios in parte positiva del credo sulla base del exeteras
hypostaseos… della formula di condanna poteva interpretare l’homousios nel senso che il F è
della stessa ipostasi del P. Per questo i sostenitori delle tre ipostasi riluttavano a accettare il credo
niceno perché secondo loro era monarchiano. Nonostante la voluta ambiguità delle formule
questo credo si interpretava più facilmente in chiave monarchiana.
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Che cosa succede tra il 325 e il 362? Le posizioni si vanno diversificando. C’è un gruppo di
quelli che chiamiamo i veteroniceni, niceni di antica osservanza che si attengono alla lettera del
testo del 325 e quindi parlano di 1 sola ipostasi e ousia del P e del F e ora aggiungono anche lo
Spirito Santo. In oriente sono il gruppo che fa capo a Paolino dello scisma di Antiochia e che si
rifaranno alla posizione di Eustazio; in Egitto sulla scia di Atanasio. Ma nel concilio di Seleucia
del 359 parallelo a Rimini, la gran massa degli antiariani si era riconosciuta nella formula
omeousiana e non omousiana. Nonostante la somiglianza (“litigavano per uno iota”) la
differenza era molto forte. Gli omeousiani ammettevano che ousia corrisponde a hypostasia, cioè
la 1 ousia aristotelica. Così come ci sono 3 ipostasi ci debbono essere 3 ousie. E’ la posizione
omeousiana oltre che ariana. Quale è la posizione di Atanasio? E’ evidente che Atanasio su
questo punto si è trovato in difficoltà. Certo lui è alessandrino e quindi è abituato a ragionare
secondo lo schema delle 3 ipostasi. Atanasio è partigiano del simbolo niceno. E’ lui che lo ha
rilanciato perché sapeva che il simbolo niceno che era impopolare in oriente era però accettato in
occidente. Atanasio è vissuto lunghi anni in occidente a Roma e altrove. Ha influenzato gli
occidentali e si è reso conto che gli occidentali si riconoscevano nel simbolo niceno. Atanasio ha
così eliminato hypostasis dal suo lessico trinitario. Nei discorsi Contra Arianos il termine è
scomparso. L’opera è la più importante a livello di teologia. E’ adoperato ma non con significato
trinitario. Ma anche questa non è una vera soluzione. Adopera ousia sempre ma tende ad
identificare l’ousia del P con l’ousia del F e non spiega in che senso la intende, se generico o
specifico. Atanasio ora nel De Synodis, pur rifiutando la forma degli homeousiani, dice che con
loro si discute perché sono antiariani – così cerca di fare una mossa politica: mettere insieme tutti
gli avversari degli ariani, cioè omeousiani e omousiani. Ma si trova di fronte al divario
fondamentale: gli omeousiani affermano 3 ipostasi e i veteroniceni 1 ipostasi trinitaria, lui né
l’uno né l’altro ma afferma una ousia del P e del F. Così ora un chiarimento è indispensabile per
favorire il collegamento di tutti gli antiariani.

Atanasio si trova in difficoltà perché sopprime ipostasi ma nel concilio di Serdica del 343 (uno
dei tanti concili che cercano di risolvere e che si risolve con la separazione tra orientali e
occidentali) gli occidentali avevano pubblicato una dichiarazione di fede. Qui si dice che ousia
equivale a ipostasi ed è una sola. Cioè il residuo di ambiguità che c’era nel concilio di Nicea il
chiarimento di Serdica lo aveva chiarito. Era una formula in cui gli occidentali non hanno nulla
da ridire. 1. Per la quasi completa ignoranza dell’occidente (un sonno di mezzo secolo) 2. Perché
Roma – che ora condiziona l’occidente – era monarchiana, non radicale ma moderata (cfr
controversia dei 2 Dionigi). Non afferma una sola ipostasi (sabellianismo) ma nega le 3 ipostasi.

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Monarchianismo moderato. Bilbao (?) rimprovera a Simonetti questo termine proponendone uno
stranissimo…

Posta questa posizione è logico che il concilio di Nicea andava bene agli occidentali. I pochi
romani che potevano seguire la controversia si attenevano al simbolo di Nicea, riaffermato da
papa Liberio contro Costanzo nel 350. Atanasio sapeva che la posizione occidentale era
filonicena. Fino al simbolo di Nicea il problema non c’era. Ma ciò che complica le cose è il
chiarimento di Serdica che taglia le gambe ad Atanasio: qui si dice che ousia equivale ad ipostasi
e che il P e il F partecipano di 1 sola ipostasi. Questo elimina ogni possibilità di accordo con gli
omeousiani che sono la maggioranza degli antiariani.

Atanasio si deve liberare della formula di Serdica e nel capitolo 5 Atanasio dice che Serdica non
dice nulla di nuovo rispetto al concilio di Nicea. Ma questa affermazione intriga perché sembra
che il concilio di Serdica non è esistito. Si è pensato che il concilio l’avesse accantonata su
pressione di Atanasio. La formula infatti Ilario non la conosce ma viene dagli storici greci
(Socrate, Sozomeno…). Ma questa è fantascienza. Invece Atanasio vuole dire che il concilio di
Serdica è un chiarimento sul simbolo di Nicea e niente di più. Il chiarimento però implica una
svolta ma Atanasio dice che non c’è nulla di nuovo e così mette da parte la formula. Ma non è
corretto da parte di Atanasio! Atanasio è fondamentalmente un monarchiano, intende una ousia
del P e del F in senso forte. Quindi fondamentalmente è legato all’interpretazione rigida
monarchiana del simbolo di Nicea. E’ l’interpretazione che dava Paolino ad Antiochia, che
alcuni monarchiani ancora davano e che dava l’occidente. Ilario invece aveva chiarito bene che
quello che gli occidentali indicavano con persona gli orientali dicevano ipostasi e quindi non si
poteva pensare a un triteismo. Questo si poteva capire in Gallia ma non a Roma.

Dunque c’è un fronte di tendenza genericamente monarchiana che afferma una ipostasi trinitaria,
veteroniceno con aperture in occidente. Poi il gruppo omeousiano che afferma 3 ipostasi e 3
ousie. Atanasio deve ricuperare gli omeousiani. Deve trovare una scappatoia: eliminare
l’affermazione del concilio di Serdica perché preclude ogni apertura verso gli omeousiani. La
formula del 325 è ambigua, il chiarimento di Serdica invece è vincolante.

Il chiarimento è esposto nella colonna 801 del testo: “alcuni dicono che … non sono scritturistici
e sono sospetti, noi li abbiamo interrogati in modo da restare aderenti al concilio di Nicea..”
Apellotriumenas = estranei; straniere, di ousia diversa… essendo di ipostasi ben distinte come
sono tutte le creature

La prima posizione che Atanasio esclude è l’affermazione di 3 ipostasi completamente diverse


l’una all’altra come se dicessimo oro, argento e bronzo (in comune hanno il metallo ma sono
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diversi). Ma loro dicevano di non pensarla così…assicuravano di non dire né pensarla così (chi
sono questi che affermano 3 ipostasi? Non sappiamo minimamente). Non sembra che abbiano
partecipato niceni che si rifacevano a Melezio e non a Paolino che invece era rappresentato da 2
diaconi. E’ tutto fittizio forse?

Allora arriva il chiarimento: io ho continuato ad interrogarli: in che senso affermate 3 ipostasi?


Quelli hanno risposto: noi crediamo nella trinità che è tale non soltanto per nome - il P che
veramente è e sussiste, il F che veramente è e sussiste, e lo Spirito Santo che veramente è e
sussiste. Riprendono la affermazione di Dionigi: se togliamo le ipostasi togliamo la trinità.
Atanasio distingue due interpretazioni diverse della dottrina delle 3 ipostasi – una la rifiuta (3
ipostasi alla maniera di Ario, eterogenee) e l’altra l’accetta (3 ipostasi che affermano che P e F e
Spirito Santo non si differenziano solo per nome ma non sono diversi e partecipano di una
medesima ousia).

Poi passa ad esaminare l’affermazione contraria. Non è una vera e propria posizione omeousiana
perché in ultimo parla di una sola ousia mentre gli omeousiani affermavano 3 ousie, ma scivola
comunque sul termine ousia. Siamo passati ad esaminare il termine ipostasi, se quelli che lo
affermavano, lo affermassero alla maniera di Sabellio in maniera tale da eliminare il F e lo
Spirito Santo perché il F sarebbe privo di consistenza, privo di ipostasi lo Spirito Santo. Quelli
dicevano di non averlo mai pensato così ma di affermare l’ipostasi ritenendo che sia la stessa
cosa dire ipostasi e ousia. Ne pensiamo una perché il F deriva dalla ousia del P ed è della
identica natura del P. Infatti professiamo 1 sola divinità e 1 sola è la natura di questa divinità,
non altra quella del P e straniera quella del P e del F e dello Spirito Santo. Allora quelli che
erano stati accusati di affermare 3 ipostasi erano d’accordo con questi.

Vengono condannati gli ariani, i sabelliani, Valentino, Basilide, Paolo di Samosata ecc. Questo è
il chiarimento opposto: questi altri potevano essere quelli che affermavano 3 ipostasi ad
Alessandria ma forse non ce n’era nemmeno uno ad Alessandria. Tutti affermavano 1 sola
ipostasi ma chiariscono che non intendono in modo di Sabellio, in modo da fare sì che il F fosse
privo di una ousia e ipostasi, ma l’affermavano perché volevano eliminare ogni pericolo di
affermare 3 divinità in quanto dicevano che il F deriva dalla ousia del P quindi è di una sola
ipostasi…

Questo chiarimento dal punto di vista dottrinale e teorico non entra nei termini perché vuole
salvare capra e cavoli… Atanasio accetta sia chi afferma 3 ipostasi che 1. Ma le tre ipostasi non
sono intese alla maniera di Ario e 1 ipostasi non alla maniera di Sabellio. Fatto questo
chiarimento possiamo tenere per buona l’affermazione sia di 3 che di 1 ipostasi. E’ una soluzione

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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

non dottrinale ma politica. Basta mettersi d’accordo contro Ario. Così si poteva fare fronte
comune contro tutti gli altri: filoariani, omei, i vincitori di Rimini e Costantinopoli. Atanasio
escogita questa formula che dal punto di vista politico è intelligente: mettiamoci d’accordo su
quello che ci unisce e non su quello che ci divide. Non è ovviamente una soluzione teologica che
invece dovrà essere affrontato. Bisognerà spiegare cosa significava ousia. Si ammettono 3
ipostasi ma non 3 ousie. La mossa con cui Melezio spiazza nel 363 Atanasio con la sua
interpretazione di questo testo nel concilio di Antiochia. Ciò che Atanasio vuole e che diventa
una acquisizione definitiva, è prendere il concilio del 325 come formula fondamentale. Questa è
ormai la condizione preliminare. Questa è una buona posizione politica perché apre verso gli
occidentali che tenevano alla formula nicena. Nel 362 nel concilio di Parigi Ilario l’aveva di
nuovo imposta e forse Atanasio lo aveva saputo. Il simbolo di Nicea aveva bisogno di
chiarimenti da tutte le parti ma bisognava accettarla. Atanasio ha la difficoltà con gli omeousiani
mentre per Ilario era più facile.

D’ora in poi tutti gli antiariani si riconosceranno nel concilio del 325 anche se poi si finirà per
dare del simbolo di Nicea una interpretazione completamente diversa della lettera del simbolo di
Nicea. Questa sarà l’assurdità. Infatti la formula di Nicea eliminava la dottrina del 3 ipostasi
mentre la formula del 381 accetta la dottrina delle 3 ipostasi come dottrina comune di tutta
l’ortodossia greca. Basilio troverà il compromesso ma già adesso si lavora per una formula di
compromesso. Atanasio è convinto che si può accettare Nicea solo attraverso una serie di
chiarimenti che egli ha fatto. Sono chiarimenti che dal punto di vista dottrinale non sono
sufficienti. Era troppo forte la distinzione tra 1 e 3 ipostasi. Non si può dire di accettare 3 ipostasi
in senso negativo: 3 ipostasi non alla maniera di Ario; 1 ipostasi non alla maniera di Sabellio. La
posizione in positivo è molto nebulosa. Non è una affermazione che a livello di teoria potesse
sussistere però permetteva agli omeousiani di aprirsi al simbolo di Nicea che avevano sempre
rifiutato.

Il termine physis non è stato ancora mai adoperato – soprattutto in oriente Nelle formule non c’è
ancora mai stato. La differenza tra physis e ousia è sottilissima. Il termine physis dovrebbe essere
un termine più generico e ousia più specifico. Atanasio dice che i termini ai fini della
controversia trinitaria, essentia, substantia, natura e genus hanno lo stesso significato. In effetti,
nella controversia trinitaria substantia e natura coincidono. Ilario preferisce parlare di 1 natura di
tuta la trinità articolata in persone (ma non adopera mai persona per lo Spirito Santo). Chiarifica
che tra natura e sostanza non fa differenza. Atanasio non chiarisce nulla perché questa è proprio
la sua abilità. Il chiarimento contenta uno e scontenta un altro ma lui invece deve accontentare
tutti e non chiarisce nulla.
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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

Una ousia sola non è bene rilevarla troppo perché gli omeousiani si sarebbero risentiti. Physis
invece è termine vergine nella polemica. Parlare genericamente di una natura non guastava.
Dionigi aveva detto che poteva dire che P e F sono homousios perché sono homophyes. Mentre
per ousia gli omeousiani avevano chiarito che corrispondeva a ipostasi, invece physis non era
stato adoperato e per lui corrisponde a ousia. Atanasio dice che P e F sono della stessa ousia.
Atanasio è rimasto sempre della stessa idea. Lui anzi è convinto che sono anche si 1 ipostasi ma
è troppo pericoloso e non lo dice. Atanasio è tra coloro che ammettono 1 ipostasi ma non lo dice.
Per Atanasio: 1 sostanza, 1 natura e 1 ipostasi.

Troverete forse affermazioni (che Simonetti non accetta) sul quando sia stata accettata la dottrina
delle 3 ipostasi ad Alessandria. La dottrina delle 3 ipostasi nasce ad Alessandria. Ma con
Atanasio scompare e ricompare con Cirillo che accetta la formula basiliana. Si legge che sarebbe
stato Didimo il cieco a portare la dottrina delle 3 ipostasi ad Alessandria, ma con la
pubblicazione dei papiri di Tura non è possibile, Didimo mantiene la posizione di Atanasio.
Didimo è esegeticamente un origeniano e dottrinalmente un atanasiano. Simonetti ritiene che
solo con Cirillo si arriva all’accettazione ad Alessandria della formula 1 ousia e 3 ipostasi. Il
concilio del 381, al di là di sanzionare la vittoria contro gli ariani, è stata una grande vittoria
dell’ambiente antiocheno contro quello alessandrino e degli occidentali. Fu sentito come un
colpo dato all’onnipotenza di Alessandria e infatti Alessandria non accetta la formula ma solo
col tempo Cirillo l’accetta. La formula 1 ousia e 3 ipostasi veniva dall’ambiente cappadoce
legato a quello antiocheno data l’amicizia di Basilio con Melezio.

Capitolo 7:

Con questo capitolo resta l’ultimo punto che è nuovo – una grande novità, la più importante, cioè
il problema cristologico. E’ il primo segno che in ambiente antiocheno si cominciava a discutere
sulla persona di Cristo, Cristo incarnato. Apollinare di Laodicea aveva cominciato nel 360
almeno oralmente nell’ambiente antiocheno a diffondere la sua dottrina e Atanasio prende
posizione. Apollinare era un amico suo (del resto non ce ne aveva tanti), ma Atanasio capiva che
le affermazioni di Apollinare erano pericolose. Abbiamo qui il capolavoro dell’ambiguità di
Atanasio che escogita una tale formula che Paolino e Apollinare furono contenti entrambi pur
affermando cose diverse in materia cristologica.

19. 11. 2001

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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

Il capitolo 7 tratta la polemica intorno al salvatore. E’ il primo accenno, cronologicamente, della


controversia apollinarista. che segna un momento decisivo della controversia cristologica per più
di 300 anni: controversia nestoriana – monofisita – monotelita.

Apollinare era attivo in Antiochia; in questo periodo non aveva ancora formulato per iscritto il
suo pensiero cristologico, ma solo trinitario. Le sue dottrine erano conosciute, Apollinare
insegnava. A suo tempo anche Girolamo seguirà per qualche tempo le lezioni di Apollinare. La
dottrina di Apollinare aveva provocato contrasti nello stesso ambiente veteroniceno di Antiochia,
della comunità di Paolino. Atanasio si deve occupare quindi anche di questa questione. Di qui
discendono secoli di discussioni. Dobbiamo rifarci indietro e riprendere la questione dalle origini

La questione cristologica
La figura di Gesù Cristo aveva cominciato subito dall’inizio a fare difficoltà nell’interpretazione.
Se ci limitiamo agli esiti delle opere più antiche che confluiranno nel NT, ricaviamo ipotesi
diverse su Gesù: un Gesù meramente uomo investito di carismi divini; un angelo; oppure una
entità che toccava la divinità anche se partecipando della umanità (Paolo; Gv; Eb). In Gv si parla
di logos o theos. Dal concetto di Cristo come parola preesistente di Dio si arriva alla definizione
di Cristo come Dio.

Laddove abbiamo una cristologia bassa (Cristo è un uomo divinamente ispirato) problemi di
natura cristologica non ci sono. La difficoltà nasce laddove abbiamo a che fare con la cristologia
alta. Cristologia alta è la cristologia del logos. Il Cristo preesistente è una entità di natura divina,
personalmente distinta dal P. Questa definizione provoca due problemi:

 come la divinità di Cristo è compatibile con l’unicità di Dio


 come stanno insieme in Cristo la dimensione divina e umana (già Melitone di Sardi e
poi Origene le chiamano nature- umana e divina)
Il primo è trinitario il secondo è specificamente cristologico.

La prima traccia di questa difficoltà che il concetto presentava l’abbiamo nella 1Gv: la comunità
giovannea (misteriosissima comunità di cui non sappiamo nulla) si era spaccata per questo
perché alcuni (forse la maggioranza) negava che Cristo avesse patito nella carne. La cristologia
alta professata da questa comunità mette in dubbio la realtà dell’incarnazione. Concetto
combattuto anni dopo da Ignazio e che confluisce nei grandi eretici del II secolo, cioè marcioniti
e gnostici.

Nel II e III secolo il problema si pone in questo modo: viene messa in discussione la realtà
dell’umanità assunta da Cristo – da qui il docetismo. La cristologia alta poteva dare questo esito,
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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

perché? Sugli inizi remoti (1Gv e Ignazio) non abbiamo elementi tali per capire perché questi
negavano la realtà dell’incarnazione. Quali sono i motivi? Possiamo ipotizzare che l’idea alta
della divinità di Cristo facesse sembrare disdicevole che questa divinità si fosse abbassata tanto
da assumere un reale corpo umano e quindi ha assunto solo un corpo apparente. Ma questa è solo
una possibile spiegazione, nei testi non c’è nulla che autorizzi una tale cosa. Quando invece ci
spostiamo nel II secolo ai marcioniti e gnostici capiamo meglio e abbiamo più materiale.

Queste discussioni non sono solo teoriche ma avevano un forte aggancio di natura soteriologica.
Sia gnostici che marcioniti sono fortemente dualisti. Concezione negativa del mondo materiale
in cui è compresa anche la corporeità dell’uomo. Questo significa che il mondo materiale per
loro non è suscettibile di salvezza, ma è destinato alla distruzione e annientamento. Questo
concetto si ripercuoteva in modo decisivo a livello soteriologico: sulla base di un concetto che
sta alla abse di tutta la concezione cristologica del mondo antico e che Gregorio Nazianzeno
enuncia così: “to aproslhpton aqerapeuton ” (ep. 101,32): ciò che non è assunto non è redento.
Cristo ha redento ciò che ha assunto, ha assunto ciò che ha redento. Per il concetto fondamentale
nella filosofia greca per cui il simile al simile, cioè possono entrare in contatto tra loro solo cose
tra loro affini, il redentore celeste scende dal cielo (cristologia alta) per redimere e per entrare in
contatto ciò che redime, assume ciò che redime. Per gli gnostici il mondo materiale – il corpo
dell’uomo – non è passibile di redenzione – quindi il salvatore celeste ha assunto un’anima
umana, uno spirito umano (antropologia paolina: distinzione spirito - anima) ma non ha assunto
un corpo umano perché ha assunto solo ciò che ha redento. Siccome il corpo umano non è
passibile di redenzione il redentore celeste non ha assunto un corpo umano. Il docetismo ha
assunto forme diverse: alcuni ritenevano che il corpo umano era un mero phasma, un fantasma,
un’apparenza priva di consistenza. Una parvenza, una forma esterna di umanità doveva
assumerla ma era mera apparenza.

Altri – valentiniani – erano più complessi: il corpo umano assunto da Cristo era reale, capace di
patire e morire ma non era fatto di sostanza materiale ma un corpo specialissimo, fatto di
sostanza psichica che chiamavano il Cristo dell’economia.

Qualcuno dice che i valentiniani non sono doceti perché ammettono la realtà del corpo di Cristo,
ma Simonetti preferisce considerarli tutti doceti dando del docetismo una definizione ampia: è
docetismo tutto ciò che nega che il corpo di Cristo sia stato un corpo materiale come quello degli
altri uomini (e qui rientrano anche i valentiniani). Altri intendono per docetismo un concetto più
ristretto. Sono doceti solo quelli che sostengono che il corpo di Cristo è mera apparenza. Gli
gnostici insomma in modo diverso sostenevano che il corpo di Cristo non fosse come quello

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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

degli altri uomini perché questo non era passibile di salvezza. Gli avversari ragionano secondo lo
stesso metro ma in modo diverso: il ragionamento di Ireneo, Tertulliano, Clemente Origene, è il
seguente: Adamo ha peccato integralmente con l’anima, col corpo e con lo spirito. Cristo è
venuto a salvare tutto Adamo, anche il corpo. La loro concezione non è dualista come quella
degli gnostici ma in quanto creato da Dio, con tutti i suoi limiti è buono perché creato da Dio e
quindi suscettibile di salvezza. Siccome Cristo è venuto a redimere tutto l’uomo, ha assunto un
uomo completo: corpo e anima. Tertulliano ha scritto il de carne christi contro il docetismo degli
gnostici.

Ci interessa qui ora lo sfondo soteriologico di questa questione: si parte dalla questione della
redenzione dell’uomo. Chi ammette che l’uomo è salvato solo in parte ammette che Cristo si sia
incarnato solo in parte, chi ammette invece che (cattolici) il Cristo è venuto a salvare tutto
l’uomo allora sostiene che Cristo ha assunto tutto l’uomo. [Quanto all’espressione chiesa
cattolica: oggi si dice la grande chiesa. Hanno cominciato i francesi e gli italiani li hanno
seguiti. La prima dizione della megale ekklesia è in Celso nei frammenti nella sua opera
anticristiana. L’espressione in lui è ironica. Celso conosce bene le questioni interne della chiesa e
assimila i cristiani a rane gracidanti che litigano tra loro nel fango, poi parla di questi che
credono di essere partecipi della grande chiesa. Per questo il termine fa un po’ di difficoltà.]

Fino alla metà del II secolo questa è la problematica che impegna ancora Origene e tutti i
polemisti da Ireneo in poi su questa che è una linea coerente e partecipata da tutti. Cristo
incarnandosi ha assunto un uomo integro e completo, di anima e di corpo. Dell’uomo c’erano
due definizioni: quella platonica (anima e corpo) o quella paolina (spirito, anima e corpo).
L’umanità di Cristo è integrale. Cristi è venuto a redimere l’uomo intero.

Il problema viene riproposto su base diversa: per noi la prima notizia di questa nuova
impostazione del problema cristologico sono due passi dei frammenti della discussione tra
Malchione e Paolo di Samosata dove non discutendo espressamente di questo argomento ma di
passaggio si parla del logos divino come l’elemento egemone del corpo umano. Si tace
completamente dell’anima di Cristo. Questa è per noi la prima attestazione di una cristologia del
tipo logos - sarx: logos – carne cioè che elimina l’anima umana di Cristo.

Il logos incarnandosi in Maria assume solo un corpo da Maria ma non un’anima perché la
funzione egemone che l’anima esercita in ogni uomo nel composto anima - carne, nel Cristo
incarnato la funzione direttiva la esercita il logos. Questa dottrina è sicuramente di origine
alessandrina. Si discute del perché sia emersa una dottrina di questo tipo. La chiesa cattolica alla
metà del III secolo non aveva difficoltà a pensare che Cristo si era incarnato integralmente e

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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

aveva assunto un uomo completo. Ma perché ad un certo punto quest’uomo viene privato
dell’anima? Partiamo da una situazione che sembra tranquilla: Cristo ha assunto un corpo intero
ma perché in ambiente alessandrino l’anima scompare? La soluzione non c’è.

L’ipotesi plausibile è che in questa riduzione dell’umanità di Cristo sia una reazione alla
particolare cristologia origeniana. Ma è solo una ipotesi perché non abbiamo dati certi.

La cristologia origeniana

Origene ammetteva la preesistenza delle anime rispetto ai corpi. Concezione antichissima di


origine prima che platonica, già orfica, poi generalizzata da Platone, molto attestata nel mondo
antico, che non ha avuto grande fortuna nel mondo cristiano finché Origene l’ha ripresa in
funziona antignostica. Origene nel De Princ. è chiaro su questo punto: Dio ha creato delle
creature razionali, queste creature razionali dotate di assoluta libertà hanno reagito diversamente
a quest’atto di bontà che Dio ha fatto creandole tutte uguali. Alcune si sono allontanate da Dio
altre poco altre di più. Gli uomini sono creature razionali che si sono allontanate un po’ da Dio e
che per punizione e come mezzo di redenzione sono state incorporate nei corpi carnali, materiali
che caratterizzano gli uomini. L’uomo per Origene consta di due entità ben distinte: un corpo che
viene tramandato attraverso i genitori e un'anima che è preesistente e che viene immessa in quel
corpo quando il corpo viene concepito. Questa particolare antropologia di tipo platonico che
distingue l’anima dal corpo Origene l’ha applicata anche a Cristo. L’incarnazione di Cristo
avviene in 2 momenti: un momento metastorico, prima della creazione del mondo (l’anima di
Cristo è la creatura razionale che più fortemente e compiutamente ha aderito al logos); quando il
logos ha preso corpo da Maria è disceso il logos con la sua anima e ha preso corpo da Maria.
Così in Origene l’incarnazione si svolge in due momenti: creazione dell’anima e creazione del
corpo con unione dell’anima preesistente insieme col logos al corpo di Maria.

L’anima e il logos sono distinte: Origene è quello che più valorizza l’anima umana di Cristo.
Solo attraverso la mediazione dell’anima il logos divino ha potuto assumere un corpo umano.
L’anima partecipa in quanto spirituale del mondo divino, ma in quanto creata del corpo umano e
quindi può fare da mediazione. Questa dottrina è stata la prima dottrina che in ambiente
alessandrino è stata respinta. Dionigi rifiuta la dottrina della preesistenza delle anime rispetto ai
corpi. L’ambiente alessandrino che ha recepito tantissimo di Origene ha subito sentito come
inaccettabile la dottrina della preesistenza. Si pensa quindi che lo schema logos-sarx sia stato un
esito radicale di questa reazione: siccome si è rifiutata la preesistenza e quindi l’incarnazione in
due momenti nel caso di Cristo (prima anima poi corpo) per reazione l’anima di Cristo è stata
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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

eliminata. Ci si chiede a che cosa serve l’anima se l’elemento egemone è il logos. Ci troviamo di
fronte ad uno schema logos-sarx, certamente di ambiente alessandrino, (secondo Grillmeier ha
influenzato Novaziano ma Simonetti non ci crede) che è attestato in Paolo di Samosata per la
prima volta e che poi ad Alessandria si impone. Ad Alessandria chi ragiona su Cristo ragione
sullo schema logos-sarx. L’ambiente alessandrino ragiona su questa base ma l’ambiente
antiocheno no.

Gli ariani ragionano secondo lo schema logos-sarx. Anzi, uno dei motivi che avrebbe spinto
Ario a proporre la dottrina così subordinante che fa di Cristo una creatura, potrebbe essere stata
sollecitata proprio dalla cristologia logos-sarx perché Origene aveva detto che l’anima umana fa
da mediazione tra logos e carne e permette al logos di entrare in contatto con la carne. Certo
ormai sull’influsso di Origene gli alessandrini ragionano tutti platonicamente e così un rapporto
diretto del logos col corpo umano è squalificante, ma quando si elimina l’anima umana il logos
entra in contatto con la sarx e questo per Ario significa una natura divina assolutamente bassa, di
basso livello. Il logos diventa partecipe di tutte le imperfezioni della carne. Lo schema logos-sarx
potrebbe quindi aver spinto ad accentuare l’imperfezione del logos.

Questo argomento nella prima fase della controversia ariana non viene toccato da nessuno tranne
da Eustazio nei frammenti, ma è un personaggio scomodo che è stato messo fuori gioco subito
dopo Nicea e probabilmente è morto in esilio prima della morte di Costantino. Perché la
polemica non tocca questo punto? Perché gli avversari di Ario condividevano la stessa
impostazione logos-sarx. In ambiente alessandrino lo schema è condiviso, anche in Atanasio
stesso. In Atanasio non c’è mai una menzione dell’anima di Cristo. Non viene né negata né
affermata.

Per gli ariani il logos è entità divina inferiore, mentre per gli avversari è entità divina perfetta.
Nella polemica, anche il modesto subordinazionismo preniceno tende a scomparire perché nella
polemica le posizioni si esasperano, si radicalizzano. La teologia del logos prenicena è tutta
moderatamente subordinazionista. Gli ariani accentuano la subordinazione e per reazione i loro
avversari arrivano ad eliminarla completamente e Cristo viene innalzato allo stesso livello del P.

Gli ariani si servivano come argomento per deprimere la divinità del logos dell’incarnazione. Si
facevano forti delle limitazioni psicologiche del Cristo incarnato: paura, angoscia, timore. Ciò
voleva dire per loro che era il logos – l’elemento egemone – che provava angoscia ecc… quindi
un elemento tale può essere divino ma molto basso.

Gli avversari si trovano di fronte ad un argomento forte e reagiscono con una divisione netta in
Cristo tra i fatti che sono stati definiti (da Atanasio, ...) ta endoxa e ta tapeina: i fatti gloriosi e i
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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

fatti umili di Cristo. Quindi abbiamo due serie parallele: da una parte un Cristo che opera come
personaggio divino e opera miracoli (ta endoxa); dall’altra Cristo ha fame, sete, prova le passioni
e questi sono ta tapeina. La distinzione è netta: in quanto Dio, il soggetto del ta endoxa è la
divinità di Cristo (Cristo in quanto Dio opera i miracoli) in quanto uomo subisce le limitazioni
che sono caratteristiche di ogni uomo. Leggendo i discorsi Contra Arianos di Atanasio, si vede
che il soggetto delle limitazioni di Cristo non è mai l’anima di Cristo ma sempre la sarx. Perfino
le limitazioni psicologiche, Atanasio le attribuisce alla sarx di Cristo, non all’anima di Cristo.

In questa concezione - alla quale non si potevano sottrarre i polemisti antiariani perché
affermavano la perfezione della natura divina di Cristo e quindi non potevano attribuire le
limitazioni umane – si opera una vera dicotomia. Si stacca Cristo qua deus da Cristo qua homo:
quello che è grande appartiene a deus e quello che è umile appartiene all’uomo. Apollinare
invece capisce il pericolo insito in questa distinzione. In ambiente antiocheno (che segue lo
schema logos – anthropos) questa distinzione era ancora meglio rilevata. L’ambiente antiocheno
non aveva mai sacrificato l’anima di Cristo e da una parte metteva solo il Dio e dall’altro l’uomo
completo di anima e carne. Mettendo l’anima di Cristo nei fatti ta tapeina accentuava ancora di
più la divisione tra Dio e uomo.

Cristo si è incarnato per redimere l’uomo, ma perché si è incarnato Cristo, figlio reale di Dio,
entità divina completa e perfetta? Atanasio dice: solo Dio poteva redimere l’uomo. L’uomo non
aveva in sé la forza di potersi redimere da solo. Il peccato lo aveva consegnato mani e piedi in
mano al diavolo che lo teneva prigioniero. Solo Cristo con la sua divinità era in grado di liberare
l’uomo. La divinità del logos in Atanasio è basata sul concetto della redenzione. Solo un essere
pienamente divino aveva la capacità di redimere l’uomo. Non ebbe coscienza del pericolo che
correva nella sua dottrina assimilata poi in ambiente antiariano della sua distinzione netta tra ta
endoxa e ta tapeina.

Se ne accorse però Apollinare. Quale è il fatto fondamentale della redenzione? La passione,


morte e risurrezione di Cristo. Qui Cristo realizza la vittoria sul diavolo e libera l’uomo. Ma chi
ha patito sulla croce? L’umanità di Cristo. La divinità di Cristo non può essere stata toccata dalla
passione e così la divinità è rimasta intatta, estranea. Conseguenza catastrofica: l’uomo è stato
redento da Cristo qua homo, ma il qua deus dove sta? Apollinare capisce la contraddizione
involontaria in cui cadeva Atanasio che da una parte diceva che solo Dio può redimere l’uomo e
dall’altra distinguendo nettamente la divinità dall’umanità di Cristo e facendo partecipare alla
passione solo l’umanità di Cristo, allora l’uomo è stato redento dalla passione dell’uomo Gesù
senza la partecipazione della divinità. Apollinare intuisce che la distinzione troppo netta tra le

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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

due componenti di Cristo metteva a rischio il dogma della redenzione. Alla fine la redenzione la
spiegavano meglio gli ariani perché ammettendo una divinità anche se minore però poteva
ancora redimere, l’unione era così stretta che il logos partecipava anche se indirettamente alla
morte di Cristo e quindi alla redenzione e la rendeva possibile. Giustino aveva già enunciato
questo concetto: la perfezione di Dio non poteva scendere fino al contatto con l’uomo, Ario
accentua questa concezione.

Apollinare ha questa intuizione: mettiamo a rischio la redenzione se separiamo troppo. E anzi gli
ariani ci riescono meglio. Apollinare parte da una posizione atanasiana di base. (Apollinare era
amico di Atanasio, ma molto più giovane di questo, e uno dei protagonisti in ambiente
antiocheno della lotta contro gli ariani. Ordinato vescovo di Laodicea (limitatamente alla
comunità nicena), insegna spesso ad Antiochia). L’uomo può essere redento solo da Dio – per
poterlo redimere si deve unire con l’uomo (posizione atanasiana). Apollinare sente l’esigenza di
unificare quelli due componenti che la polemica antiariana aveva nettamente distinto. Bisogna
unificare o non spieghiamo più la redenzione. Apollinare è di ambiente antiocheno ma forse il
padre di Apollinare veniva da Alessandria. Certamente Apollinare pensa che la cristologia logos-
sarx può permettere di unificare.

Ad Antiochia i paoliniani ragionano secondo lo schema logos-antropos che è ancora più divisivo
dello schema di Atanasio. Apollinare non arriva mai a dire che sulla croce ha patito la
componente divina del logos. Ma non essendoci l’anima il logos in qualche modo ha partecipato
alla passione dell’umanità di Cristo, non è stato nettamente distinto e così ha permesso la
redenzione. Apollinare è stato un teologo geniale: comprende il pericolo della cristologia logos-
antropos. In Cristo sussistono 2 soggetti, Dio e l’uomo, ma per Apollinare il soggetto deve essere
uno solo e così pone tutto il problema cristologico successivo.

Nell’uomo –secondo il modo platonico di pensare – il soggetto è l’anima. L’elemento egemone è


il centro di attività di pensiero e il corpo è il suo strumento. Se ammettiamo una cristologia del
tipo logos-antropos ammettiamo 2 centri di attività: logos e l’anima (propriamente il nous).
Apollinare negava non tutta l’anima umana ma il nous, cioè l’elemento razionale dell’anima,
quello che fa dell’uomo l’uomo, la razionalità.

Fino ad allora sull’anima di Cristo non si era discusso molto. Eustazio ne aveva parlato ma in
ambiente alessandrino soprattutto l’argomento era intoccabile. Atanasio non aveva mai negato
l’anima umana di Cristo: una cosa infatti è non tenerne conto e l’altra è negarla apertamente. Ciò
che sconcerta i paoliniani è la negazione del nous da parte di Apollinare. Il logos incarnandosi ha
assunto una carne umana, un’anima animale ma non il nous. Quindi Cristo non è stato un uomo

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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

come gli altri. Ecco il dilemma di Apollinare: deve unificare umanità e divinità di Cristo in modo
da far partecipare la divinità di Cristo alla passione dell’uomo ed è giusto perché così riesce a far
partecipare il logos in modo più stretto di prima. Ma così incorre in un forte difetto: il concetto
base dell’incarnazione è Cristo ha redento ciò che ha assunto ma allora se no ha assunto il nous
non ha redento l’uomo completo. Il problema è difficile e tre secoli di controversia risolveranno
solo formalmente.

Atanasio parla di questo nel Tomus ad Antiochenos come ultimo argomento perché erano venuti
da lui quelli della comunità paoliniana e anche alcuni partigiani di Apollinare. Atanasio è
costretto a risolvere questo dissidio ad Antiochia, ma chiaramente era l’ultima delle cose che
voleva fare. L’interesse primario di Atanasio infatti è contro gli ariani. Questa invece è una lite
interna ai veteroniceni e cioè che sono a lui più vicini (paoliniani). La comunità di Melezio non è
ancora toccata. Atanasio ragiona secondo lo schema logos-sarx: capisce che negare l’anima
umana è pericoloso ma non si sa fare una idea di questa anima umana. La questione forse gli
riesce confusa. Apollinare era un suo amico e era stato in rapporto diretto con lui in esilio.
Sapeva che Apollinare era un antiariano deciso. Non ha intenzione di rompere con Apollinare.
La questione per Atanasio è imprevista e si trova di fronte ad una questione che avrebbe evitato
volentieri. La formula che trova è complessa.

26. 11. 2001

L’anima umana di Cristo: questa parte dottrinale si estende sulla colonna 804 (cap.7). Ci
interessano in tutto 3 righe. Proprio il logos è diventato carne (Gv 1,14) va sottolineato perché
Cirillo di Alessandria che eredita questo concetto da Atanasio insiste che il logos è diventato
carne e non ha assunto un uomo completo (homo assumptus) che si presta all’idea di due
soggetti. Il logos invece è diventato carne cioè lo stesso soggetto è diventato carne. Su questo
erano d’accordo sia gli uni che gli altri (Paolino e Apollinare).

Erano d’accordo anche che il salvatore non ha avuto un corpo privo di anima, privo di
sensibilità, privo di razionalità. Questa formula tradotta così letteralmente dà ragione a Paolino
contro Apollinare. Cristo non ha assunto un corpo privo di anima ecc. Ma Atanasio ha usato una
doppia negazione. Qui c’è la trovata geniale di Atanasio: l’aggettivo letteralmente significa
“privo di anima” ma potrebbe anche significare “privo di vita”. Anche anoeton sarebbe privo di
nous, ma anoetos potrebbe significare sciocco, irrazionale. Allora Atanasio ha usato una
terminologia che dà ragione a Paolino ma era talmente generica che poteva anche accontentare
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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

Apollinare che non negava che il corpo di Cristo fosse animato, vitale, che il corpo di Cristo
fosse irrazionale. Atanasio gioca sull’ambiguità. [C’è anche la tripartizione platonico-aristotelica
dell’anima].

L’ambiguità faceva comodo a tutti perché volevano mettere a tacere la controversia. Anche dopo
c’è la stessa ambiguità: e non solo del corpo ma anche dell’anima nel logos è avvenuta la
salvezza. La salvezza di chi? Dell’anima di chi? Dell’uomo assunto dal logos (Paolino) o di ogni
uomo (Apollinare)? en auto to logo potrebbe avere senso sia locale che strumentale.

Il resto del testo non ha un interesse particolare. Quello che era F di Dio è diventato F dell’uomo
ecc. Passando dall’espressione positiva a negativa Atanasio è riuscito a trovare una formula
ambigua. Infine ci sono esortazioni alla concordia ecc…

L’ultima parte (colonna 808), quella delle sottoscrizioni, è interessante. Vi sono anche alcuni
monaci (monazontes…) I vescovi occidentali sono Eusebio e Lucifero, poi vescovi orientali non
egiziani, poi gli egiziani. Eusebio sottoscrisse con una sua aggiunta. Si dice in accordo sia sulle
ipostasi sia sulla salvezza “avendo assunto tutto tranne il peccato”. Accetta e sottoscrive ma fa 2
precisazioni. E’ d’accordo riguardo alle ipostasi ma è interessante la formula cristologica: il
signore diventato uomo avendo assunto tutto tranne il peccato – formula paolina che qui assume
significato fortissimo. Cristo ha assunto un uomo completo. C’è la terminologia dell’homo
assumptus. Eusebio – lo conosciamo poco – ha una bella testa e capisce l’ambiguità della
formula atanasiana. Prende una formula scritturistica sulla quale nessuno poteva obiettare nulla
(astuto!). Prende le distante da Atanasio sulla formula cristologica ma senza suscitare problemi.
Atanasio ha capito, ma gli sta bene. Eusebio così ha la coscienza a posto. Al concilio di Milano
Eusebio aveva difeso il simbolo niceno e viene condannato nel 355. Forse è stato il fondatore del
primo monastero in Italia. Era stato anche nella Tebaide ed è entrato in contatto con i monaci di
lì. Assieme ad Ilario è il leader della reazione antiariana in occidente. Paolino sente anche lui
l’esigenza di aggiungere una sottoscrizione. Perché? Il tomus era stato portato ad Antiochia da
Eusebio e Asterio. Perché nel frattempo è diventato vescovo e ha voluto sottoscrivere nella sua
nuova dignità.

Cosa era successo ad Antiochia? Quando Atanasio, rientrato dal nascondiglio tra i monaci, in
Alessandria alla morte di Costanzo indice questo concilio di Alessandria, sia Eusebio che
Lucifero erano stati mandati come terzo luogo di esilio nella Tebaidae. I due si dividono – non
sappiamo con quale accordo. Eusebio è presente al concilio di Alessandria, Lucifero va ad
Antiochia facendosi rappresentare ad Alessandria da 2 diaconi. Ad Antiochia – prima città in cui
i cristiani sono in maggioranza sui pagani (è anche la terza città dell’Impero dopo Roma e

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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

Alessandria) – la comunità cristiana è divisa in 3: quella ariana; i veteroniceni (paoliniana) e


quella che faceva capo a Melezio, legittimo vescovo e ora in esilio. Paolino era un semplice
presbitero. Considerare la comunità meleziana come una alla quale si faceva il favore di potersi
aggregare alla comunità paolina è una grande mancanza politica perché quella meleziana era la
maggioranza della comunità cristiana. Paolino aveva solo un gruppetto. Da tutto ciò che succede
dopo sappiamo che la comunità paoliniana era una minoranza. Del resto Atanasio sapeva che i
suoi partigiani erano i paolinianai, Melezio era esponente di un gruppo (quello di Acacio di
Cesarea) di cui tutti erano dei nemici personali di Atanasio.

Lucifero era un personaggio al quale si poteva richiedere qualsiasi sacrificio ma non un


comportamento intelligente. Lucifero aveva scritto libelli pieni di improperi sull’imperatore
Costanzo. Sappiamo anche di un biglietto di Costanzo in cui l’imperatore gli chiede
delucidazioni – lui conferma. Non sappiamo se Lucifero tenta una mediazione tra le comunità
ma comunque entra in contatto con i paoliniani e assieme ad un altro elegge Paolino. Lo scisma
viene ulteriormente aggravato. Eusebio si precipita ad Alessandria per evitare l’irreparabile ma
arriva quando ormai Lucifero ha fatto l’ordinazione. Eusebio non entra in comunione né con una
né con l’altra parte, senza disapprovare l’operato di Lucifero. Quindi fa capire che non lo
condivide se ne tornò via. Pure Lucifero se ne torna in Sardegna.

Excursus sullo scisma luciferiano


Attorno al 383/384 a Roma e in varie città è in atto uno scisma passato alla storia come scisma
luciferiano. Il contenuto di questo scisma: le norme per la riammissione dei vescovi firmatari di
Rimini e Costantinopoli erano state molto liberali. Bastava condannare le proposizioni estreme
ariane e il vescovo restava alla sua sede. Una misura di buon senso. Incontrava l’ostilità dei
niceni radicali che si aspettavano che questi vescovi fossero condannati e buttati fuori. Il
malanimo prese concretezza nello scisma: i niceni radicali non accettando le misure bonarie con
cui si erano lasciati al loro posto tutti i vescovi firmatari di Costantinopoli fecero uno scisma.
Girolamo ha scritto proprio contro i luciferiani. Lo scisma lo conosciamo dalla piccola operetta,
il libellus precum, una petizione che due presbiteri romani, Marcellino e Faustino, indirizzarono
all’imperatore Teodosio chiedendo che si mettesse fine alle persecuzioni di cui erano fatti
oggetto perché essendo scismatici venivano maltrattati. Teodosio in un rescritto afferma che gli
scismatici potevano continuare con la loro fede. Questi a Roma erano chiamati luciferiani. Il
leader nel 380 in occidente era Gregorio di Elvira e in oriente era Eraclito vescovo di Ossirinco.

Perché erano chiamati luciferiani? Possiamo considerare Lucifero l’iniziatore dello scisma o no?
In genere quando un partito viene qualificato con un patronimico normalmente il nome
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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

corrisponde all’iniziatore del movimento. Del resto Lucifero aveva accettato di malavoglia le
decisioni di Alessandria e solo per non sconfessare i suoi due diaconi. Essendo Lucifero molto
rigido – ebbe anche una polemica con Ilario – aveva tutto per essere l’iniziatore del movimento
scismatico. Era un radicale. La cosa non è impossibile ma c’è un grande iato temporale. Dopo il
362 non abbiamo più notizie di Lucifero. Nel periodo intermedio non abbiamo nessuna notizia di
uno scisma. Il libellus precum presenta un incontro tra Lucifero e Gregorio di Elvira, ma cosa ci
dice questo incontro? Questi luciferiani sono dei falsificatori. C’è tutta una attività di falsi fatti
da questi luciferiani. L’incontro tra Gregorio e Lucifero è inventato per Simonetti che accetta la
teoria di quel francese… (?) Forse questi sono stati chiamati così perché Lucifero era
intransigente e questi si rifacevano a lui ma senza un collegamento diretto.

Melezio e il concilio di Antiochia del 363


Il concilio di Alessandria era stato fatto nel 362 a primavera. In autunno arriva un rescritto di
Giuliano che impone ad Atanasio di allontanarsi. Non ci sono motivi di carattere dottrinale, ma
alcuni pagani avevano protestato contro Atanasio e Giuliano coglie l’occasione. Giuliano muore
il 26 giugno 363 e fu una meteora. Fu eletto Gioviano che scese a patti coi persiani e poi si
spostò ad Antiochia dove assunse il potere. Gioviano era cristiano. Atanasio si ripresenta ad
Alessandria e scrive un lungo testo all’imperatore, proclamando la sua piena ortodossia e i suoi
meriti. Sappiamo di tentativi degli ariani di mettere in cattiva luce Atanasio presso Gioviano.
Atanasio si sposta ad Antiochia nel 363. Nel frattempo era avvenuto un fatto di importanza
decisiva per tutto il seguito della controversia ariana.

Melezio anche lui era tornato ad Antiochia. Melezio era stato esiliato in Armenia che era la sua
patria. Nei primi mesi del 363 aveva riunito ad Antiochia un ennesimo concilio. Abbiamo notizia
che erano presenti vescovi di aria siropalestinese.

Il punto dottrinalmente qualificante dell’invito di Atanasio era l’accettazione del simbolo niceno.
In oriente il simbolo di Nicea era accettato da una minoranza; i veteroniceni erano forti in Egitto
ma altrove erano davvero sparuti. Il simbolo niceno invece è accettato da tutti in occidente.
Queste minoranze orientali hanno la forza indirettamente di tutto l’occidente. Gli orientali si
sentono in difficoltà perché sono divisissimi mentre gli occidentali sono monolitici. Anche se gli
omousiani in oriente erano minoranza avevano però alle spalle tutto l’occidente e gli orientali
antiariani capiscono che debbono andare d’accordo con gli occidentali per cercare di concludere

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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

qualcosa e quindi devono inghiottire il rospo dell’homousios. Questo ha capito Melezio. E’ la


grande intuizione di Melezio che spiazza completamente Atanasio.

Il testo si presenta come una lettera all’imperatore Gioviano. All’inizio c’è una ripresa di un
invito alla pace e alla concordia.

“Non ignoriamo il sigillo di questa unità che è quello della fede vera e ortodossa. Essi hanno
accettato” Anche noi abbiamo accettato la fede del concilio che tanto tempo fa si è riunito a
Nicea e la manteniamo. Poi il chiarimento fondamentale: quello nome che sembra ad alcuni in
essa essere strano dell’homoousios, con sicurezza è stato interpretato da parte dei padri
indicando che il F è stato generato dalla ousia del padre e perciò è simile al padre secondo la
sostanza.

Questi vescovi che erano tutti di estrazione omeousiana o omea, accettano il credo niceno ma lo
fanno dando una loro interpretazione: il termine homoousios significa che il F è stato generato
dall’ousia del P e poi che in quanto generato dall’ousia del P è simile al P quanto all’ousia.
Interpretano homoousios nel significato di homoiousios. Mettono insieme la posizione
omeousiana e omousiana.

Gli omeousiani nel 358 respingono esplicitamente l’homoousios, prima era stato accantonato
silenziosamente. Nel 358 gli omeousiani di Basilio di Ancira nella formula di Ancira respingono
l’homousios dandogli una interpretazione sabelliana (punto debole dell’homoousios). Perché essi
propongono l’homoios kata panta? Gli omeousiani sono sempre stati antiariani. Con l’homoios
credono di escludere l’arianesimo e il sabellianesimo. Invece l’homoousios esclude l’arianesimo
ma è esposto all’interpretazione sabelliana. Atanasio precedentemente aveva rilanciato
l’homoousios con il De decretis Nicaeni Synodi. Perché? Non si sa perché Atanasio non lo
spiega. Forse perché Atanasio ha capito che le sue speranze di successo erano nell’appoggio
dell’occidente. In oriente aveva solo nemici. Rilancia l’homoousios per riagganciaresi agli
occidentali e ci riesce. Atanasio respinge nel De synodis (di larghezza di vedute minore di Ilario)
la posizione omeousiana Atanasio però è disposto a discutere con gli omeousiani: accettate
l’homoousios e ci mettiamo d’accordo. Gli orientali si trovano in difficoltà perché sanno che
l’homoousis è appoggiato da tutti gli occidentali. Melezio capisce tutto questo. Dice di accettare
l’homoousios ma interpretandolo come se fosse l’homoiousios. Rispetto ad Atanasio è una
prevaricazione, ma Atanasio si trova incartato perché questi hanno accettato l’appello non può
più respingerli. Per lui è pericoloso. Atanasio è spiazzato da Melezio, da questa riga di
precisazione.

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LA RIFLESSIONE TRINITARIA (360-370)

Colpiscono i nomi dei firmatari: Acacio di Cesarea che cambia idea a seconda dell’imperatore.

Qui ci sono omei e omeousiani. Ma ci sono anche nomi nuovi che finora non sono ancora
comparsi e sono personaggi che avranno un loro peso: come Tito di Bostra. Pelagio di Laodicea,
Atanasio di Ancira – sono giovani e sono antiariani, non filoatanasiani. Fulcro attorno al quale
Basilio di Cesarea costruirà il fronte orientale che trionferà nel concilio di Costantinopoli. Il più
importante è Eusebio di Samosata il quale aiuterà a Basilio a diventare vescovo – amicizia
personale, è di ortodossia sicura, non atanasiano.

In oriente insomma si crea una corrente sostanzialmente ortodossa, antiariana ma non atanasiana.
Non hanno interesse a mettersi d’accordo con Atanasio. La polemica si svolgerà su piani diversi.
I problemi dottrinali cominciano ad essere accantonati. Risorge solo la questione sullo Spirito
Santo. Ormai sono tutti antiariani, antialessandrini, contrari ai veteroniceni, sostenitori delle 3
ipostasi trinitarie. Anche il grande Basilio verrà dall’ambiente omeousiano. Uno dei motivi per
cui la controversia ariana è stata compresa male è l’identificazione dell’ortodossia con Atanasio.
Anzi ora se ne stacca nettamente. Melezio era creatura di Acacio di Cesarea, un nemico di
Atanasio, e ora si pone come leader degli omousiani. Gli orientali si riconoscono più facilmente
in Melezio che in Atanasio che era sempre stato segno di divisione.

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