Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Alessandria
Alessandria giudaica
Fin dalla fondazione della città, la minoranza ebraica era cospicua e influente:
numericamente c’erano più giudei a Alessandria, che a Gerusalemme; minoranza
distribuita in tutti gli strati sociali, ma con un’incidenza notevole sull’amministrazione
della cosa pubblica. Agli alti livelli, l’influenza fu molto alta, ma quasi sempre
unidirezionale, con l’influenza greca sui giudei.
1
*?
2
*?
Il giudeo ellenismo: fenomeno generalizzato e fenomeno letterario
Nasce qui. Spesso non c’è chiarezza su questo fenomeno. La diaspora, infatti, non
ebbe un’unica direzione. Giudeo ellenismo non è quindi un fenomeno limitato ad
Alessandria; è piuttosto il caso generalizzato di giudei che, vivendo a stretto contatto
con il mondo ellenistico, ne vengono influenzati nel pensiero e nella vita.
Il contesto in cui si parla di questo fenomeno è quello letterario. In questo caso,
l’unico che conosciamo è ad Alessandria e ha il nome principe di Filone e altri nomi
minori, spesso sconosciuti (3Mac, Sap, Aristobulo...). Non conosciamo un solo giudeo
che scriva in greco, che non sia di Alessandria (con l’eccezione particolare di Flavio
Giuseppe).
Possiamo affermare con sicurezza questa unicità alessandrina? No, ma possiamo dire
che se fenomeni analoghi sono avvenuti altrove, debbono essere stati molto minori, dato
che nessuno si è preso la briga di darne testimonianza fin nei secoli antichi.
Da segnalare, comunque che proprio questo marcato giudeo ellenismo (= giudei che
si esprimono in greco), ha permesso ad Alessandria che gli scontri fra cristiani
(giudaizzanti vs. gentili), siano stati molto meno conflittuali che altrove.
3
M. Hengel, *?
4
104-103 a.C.: riguarda la formazione leggendaria della LXX: è la prima interpretazione allegorica
(di cui sappiamo), dei precetti alimentari giudaici! E’ il primo tentativo di vanificare tabù e liberare
l’ebreo che può rimanere ebreo senza l’osservanza letterale della scrittura.
Filone: il tentativo di una conciliazione fra due mondi
La figura di Filone
Il Dio di Filone
Il logos è un intermediario fra il mondo e un Dio assolutamente e completamente
trascendente. Si tratta dsi una concezione conosciuta da secoli dai platonici e a cui la
riflessione testamentaria stava giungendo (Sapienza e letteratura parabiblica).
Filone lo ripete ovunque nelle proprie opere: Dio è al di sopra di ogni conoscibilità
umana. .
Interessante è l’utilizzo che fa del passo di ell’Esodo 33,18-23, in cui a Mosè è
negata la vista di Dio: il passo serve per spiegare una concezione di Dio; in Filone il
punto di partenza scritturistico sarà sempre reinterpretato filosoficamente (soprattutto
platonicamente), sfruttando lo strumento dell’allegoria. Filone peraltro nega
recisamente che i passi in cui si parla di una visione di Dio vadano intesi letteralmente,
e ne propone una interpretazione spiritualizzante, nel senso di "percezione intelletuale":
ÓOtan ou'n ajkouvsh/" ojfqevnta qeo;n ajnqrwvpw/, tou'to givnesqai novei
cwri;" fwto;" aijsqhtou': nohvsei ga;r to; nohto;n eijko;" movnon
katalambavnesqai. Phgh; de; th'" kaqarwtavth" aujgh'" qeov" ejstin: w{sq Æ
o{tan ejpifaivnhtai yuch/', ta;" ajskivou" kai; perifanestavta" ajktivna"
ajnivscei.
De mutatione nominum, 6:
In De mutatione nominum 7ss, Filone usa espressioni quali “natura incorporea”,
“Dio sommo bene”, “dopo l’Essere”, “Dio Essere Assoluto”, assumendo le categorie
proprie della speculazione ellenistica.
Mh; mevntoi nomivsh/" to; o[n, o{ ejsti pro;" ajlhvqeian o[n, uJpÆ
ajnqrwvpou tino;" katalambavnesqai. o[rganon ga;r oujde;n ejn eJautoi'"
e[comen, w/| dunhsovmeqa ejkei'no fantasiwqh'nai, ou[tÆ ai[sqhsin -
aijsqhto;n ga;r oujk e[stin - ou[te nou'n. Moush'" ou\n oJ th'" ajeidou'" fuvsew"
qeath;" kai; qeovpth" - eij" ga;r to;n gnovfon fasi;n aujto;n oiJ qei'oi crhsmoi;
eijselqei'n, th;n ajovraton kai; ajswvmaton oujsivan aijnittovmenoi - pavnta
dia; pavntwn ejreunhvsa" ejzhvtei to;n tripovqhton kai; movnon ajgaqo;n
thlaugw'" ijdei'n.
De mutatione nominum, 7
E’ da ricordare che la tradizione platonica era bipartita: da una parte l’identificazione
di Dio con l’essere, dall’altra il Dio così trascendente da andare oltre l’essere (Plotino),
tanto che di Lui possiamo dire solo ciò che non è. E’ la stessa concezione che traspare
dall’Io-sono dell’Esodo: il rapporto Dio-mondo non può essere immediato. Anche nel
mondo ebraico era un problema che stava sorgendo 5. Cfr. M. Pesce e il suo libro sul
ruolo degli angeli nell’AT.
L’idea di “mediazione”
Le potenze
Dio è inconoscibile, ma non è inerte. Le sue opere possono essere conosciute, e
addirittura attraverso di esse, si può arrivare ad una certa conoscenza dell’operatore. Nel
De Abraham 121, Filone precisa come le due potenze più antiche dell’Essere siano
quella creatrice, chiamata “Dio”, e quella regale, chiamata “Signore”. Per mezzo di
esse, Dio governa e amministra il mondo.
Siamo ancora al margine di un’idea di mediazione; le potenze infatti sono ancora “di
Dio”, non sono distinte “da Dio”.
ÆAllÆ e[stin, wJ" a[n ti" ejgguvtata th'" ajlhqeiva" iJstavmeno" ei[poi,
path;r me;n tw'n o{lwn oJ mevso", o}" ejn tai'" iJerai'" grafai'" kurivw/
ojnovmati kalei'tai oJ w[n, aiJ de; parÆ eJkatevra aiJ presbuvtatai kai;
ejggutavtw tou' o[nto" dunavmei", hJ me;n poihtikhv, hJ dÆ au\ basilikhv.
Prosagoreuvetai de; hJ me;n poihtikh; qeov", tauvth/ ga;r e[qhkev te kai;
diekovsmhse to; pa'n, hJ de; basilikh; kuvrio", qevmi" ga;r a[rcein kai; kratei'n
to; pepoihko;" tou' genomevnou.
De Abrahamo, 121
Il logos
Nel De migratione Abraham 6, commentando Gen 28,17, Filone afferma che
l’abitazione di Dio è il Logos, “il più antico degli esseri che hanno ricevuto la
6“.
Dio si è servito del Logos per creare e amministrare il mondo. Siamo di fronte ad
una serie di mediazioni svelate: Dio vuole creare il mondo (potenze di Dio) e si serve
del Logos “come di uno strumento per dare coesione/coerenza/consistenza alle cose da
lui portate a compimento”.
Si tratta di un concetto di origine chiaramente stoica: l’universo come un tutto
organizzato in virtù del Logos.
Mh; qaumavsh/" dev, eij nou' to;n lovgon ejn ajnqrwvpw/ kevklhken oi\kon:
kai; ga;r to;n tw'n o{lwn nou'n, to;;n qeovn, oi\kon e[cein fhsi; to;n eJautou'
lovgon. Ou| th;n fantasivan oJ ajskhth;" labw;n a[ntikru" oJmologei' o{ti Oujk
e[sti tou'to allÆ h] oi\ko" qeou', i[son tw'/ oJ tou' qeou' oi\ko" oujk e[sti tou'to
tw'n eij" dei'xin ejrcomevnwn h] sunovlw" piptovntwn uJpÆ ai[sqhsin, oujk
e[stin ajllÆ ajovrato", ajeidhv", yuch/' movno" wJ" yuch/'
katalambanovmeno". Tiv" a]n ou\n ei[h plh;n oJ lovgo" oJ presbuvtero" tw'n
gevnesin eijlhfovtwn, ou| kaqavper oi[ako" ejneilhmmevno" oJ tw'n o{lwn
kubernevth" phdalioucei' ta; suvmpanta, kai; o{te ejkosmoplavstei
crhsavmeno" ojrgavnw/ touvtw/ pro;" th;n ajnupaivtion tw'n ajpoteloumevnwn
suvstasinÉ
De migratione 4b-6
5
*?
6
Il Logos
Il termine e le sue matrici
“Il più antico degli esseri che hanno ricevuto la genesi”. ma cosa significa? Il verbo
greco ha più di un significato. Nascere? Divenire? Essere? Chi è il Logos? Filone pensa
ad un Logos personale?
Letteralmente il vocabolo è traducibile con “parola”, discorso interno ed esterno;
Tertulliano ne capisce la densità e propone due parole affiancate: ratio et sermo. Per
comodità, è stato sempre assunto nel senso di parola creatrice (di Dio), sulla scia della
Genesi.
Il termine è però prettamente filosofico, anzi stoico. A differenza dell’universo a due
livelli dei platonici, gli stoici concepivano una specie di Deus sive natura: Dio è la
realtà. E’ estranea allo stoicismo l’idea di un demiurgo o mediatore che plasma o ordina
(solo nell’ordine ebraico cristiano si parla di creazione!) il mondo o la materia
facendone un cosmo; eppure, per lo stoicismo la realtà è pervasa da un’intelligenza che
è Dio stesso e in cui convergono due idee che il platonismo teneva separate: Dio e
l’anima del mondo. Lo stoicismo le identifica nell’idea di , per cui il mondo ha
coesione, vitalità e, al livello più alto, razionalità. Il è proprio il
Logos, lo spirito divino che permea tutto l’universo dando razionalità al cosmo (nella
grecità, razionalità e divinità saranno sempre sinonimi).
Tornando a Filone, egli recupera molto da questa concezione del Logos (anche nella
terminologia), ma essendo il più alto degli esseri che hanno ricevuto la genesi, è distinto
da Dio, e la rilevanza di questo dato non è poca.
Il richiamo al logos giovanneo è evidente.
[Ne ho perso un pezzo].
Cosa dire, però? Forse che esisteva un patrimonio comune di origine stoica
rielaborato platonicamente? Il problema è che la sola attestazione di ciò è in Filone.
Filone forse è stato il primo a tentare questa conciliazione dei fondamenti stoici in
chiave platonica (e giudaizzante).
Generazione e creazione; il logos né generato, né ingenerato
Leggendo Quis rerum divinarum haeres sit, 205-206, si può notare l’imprecisione
terminologica su alcuni vocaboli determinanti per la successiva tradizione cristiana.
Filone non distingueva, ad esempio, fra creazione e generazione, dando adito così a
molti equivoci.
Tw/' de; ajarcanggevlw/ kai; presbutavtw/ lovgw/ dwrea;n e[dwken
ejxaivreton oJ ta; o{la gennevsa" pathvr, i{na meqovrio" sta;" to; genovmenon
diakrivnh/ tou' pepoihkovto". oJ dÆ aujto;" iJkevth" mevn ejsti tou' qnhtou'
khraivnonto" aijeiv pro;" to; a[fqaron, presbeuth;" de; tou' hJgemovno" pro;"
to; uJphvkoon. ÆAgavlletai de; ejpi; th/' dwrea/' kai; semnunovmeno" aujth;n
ejkdiegei'tai favskwn: Kagw; eiJsthvkein ajna; mevson kurivou kai; uJmw'n,
ou[te ajgevneto" wJ" oJ qeo;" w]n ou[te genhto;" wJ" uJmei'", ajlla; mevso"
tw'n a[krwn, ajmfotevroi" oJmhreuvwn, para; me;n tw/' futeuvsanti pro;"
pivstin tou' mh; suvmpan ajfhniavsai pote; kai; ajposth'nai to; gegono;"
ajkosmivan ajnti; kovsmou eJlovmenon, para; de; tw'/ fuvnti pro;"
eujelpistivan tou' mhvpote to;n i{lew qeo;n periidei'n to; i[dion e[rgon. ÆEgw;
ga;r ejpikhrukeuvomai ta; eijrhnai'a genevsei para; tou' kaqairei'n polevmou"
ejgnwkovto" eijrhnofuvlako" aijei; qeou'.
Quis rerum divinarum haeres sit, 205-206
Interessante è che, ad un certo punto, egli afferma che la natura dell’intermediario è
così mediana, da essere né generato, né ingenerato. Il suo stesso costitutivo proprio è di
dare collegamento tra le due dimensioni. E’ ovviamente ambiguo il modo di esprimersi
di Filone: quale tertium può mai essere dato? Qual è la natura del Logos? come rendere
questa sua “intermediarietà assoluta”? Eppure, cfr. al proposito la riflessione successiva
o i passi collegati di Eb.
Alcuni testi significativi
∑ Quod deus sit immutabilis, 176: il Logos sostituisce la pagana
Coreuvei ga;r ejn kuvklw/ lovgo" oJ qei'o", o}n oiJ polloi; tw'n ajnqrwvpwn
ojnomavzousin tuvchn: ei[ta ajei; rJevwn kata; povlei" kai; e[qnh kai; cwvra"
ta; a[llwn a[lloi" kai; pa'si ta; pavntwn ejpimevnei, crovnoi" aujto; movnon
ajllavttwn ta; parÆ eJkavstoi", i{na wJ" miva povli" hJ oikoumevnh pa'sa th;n
ajrivsthn politeiw'n a[gh/ dhmokrativan.
Quod Deus sit immutabilis, 176
“Il logos divino danza in un cerchio che la maggior parte degli uomini chiama
fortuna”. Si arriva ad una identificazione del logos con lLa .era un Si trattava
diun personaggio assolutamente preminente nella cultura pagana greca, superiore
persino a Zeus. Per gli stoici, essa diveniva (provvidenza). Filone completa
quindi il pensiero: il Logos è il governo stesso di Dio, indecifrabile per l’uomo, ma
che non è ugualmente una cieca casualità. Tutto il rapporto Dio-uomo viene così a
assommarsi nel Logos.
∑ De Plantatione, 8-9: il Logos come forza che rende stabile e unito l’universo
“Nessun elemento della materia solida è così forte da portarsi il carico del mondo.
Ma è il Logos eterno di Dio che sostiene nel modo più potente e più stabile il mondo
(>E’ lui che stando teso al centro tra le estremitˆ assicura il corso della natura,
tenendo insieme tutte le parti e tenendole strettamente unite, perchŽ o gennhsa pathr
ha fatto di lui il legame che non pu˜ essere spezzato di tutto l’universo....”)
Notare ancora il concetto di “generazione” e del logos (ma Filone non fa gran
distinzione tra genesi e gennesi). Interessante qui il concetto generale ben chiaro: Il
logos la forza che rende stabile l’universo, impedendo la disgregazione dei suoi
componenti. Concetto di origine stoica: il logos ekthikos, la forza elementare
dell’universo.
∑ De somnis I, 229: a proposito della lotta notturna di Giacobbe (> 7). La distinzione
Si tratta di una distinzione anche in Gv. Il primo è il Dio sommo, il secondo è il
Logos, (detto) il più antico (perchŽ la prima fra tutti gli esseri creati), che partecipa
in modo speciale alla divinità, ma che è ad un livello subordinato rispetto al primo.
7
Si fa notare che non dice “nel mio luogo”, ma “nel luogo di Dio”: questo fa sorgere il problema: si
tratta di due dei? Il problema risolto attraverso la distizione tra “Dio” con e senza articolo. Come al
solito la forte affermazione di carattere teologico scaturisce dalla citazione e interpretazione filologica
del dato scritturistico, secondo le regole dell’antichitˆ (particolarmente in ambito alessandrino, anche se
hanno la tendenza poi ad spingersi molto oltre).
∑ De opificio mundi, 24-25: il mondo intelligibile è il Logos stesso
La distinzione fondamentale è di stampo platonico, dove il Logos è lo stesso
mondo delle idee (Platone non aveva mai chiarito il rapporto fra dio, il demiurgo e il
mondo delle idee >8). In secondo luogo, l’uomo è immagine di Dio, ma se l’uomo è
un parte del mondo, tutto il mondo è a immagine di Dio (il Logos).
∑ L’allegoria delle leggi III, 95-99: il Logos come ombra di Dio (Bezalele >9)
Il concetto di ombra un concetto molto forte e molto importante: ombra e
immagine vanno sempre insieme (cfr. Origene). L’uomo creato a immagine di Dio
in realtˆ creato ad immagine del Logos. Abbiamo una doppia rispecchiatura: l’uomo
immagine del logos, il logos immagine di Dio. Dio è paradigma della sua immagine
e l’immagine è paradigma per tutto il mondo.
∑ De somnis II, 244 ss: il rapporto Logos - Sapienza
A proposito dell’Eden e dei fiumi che lo bagnano. (>L’Eden viene identificato
con la Sapienza, irrigata dalla Parola (logos) di Dio. La Parola deriva dalla
Sapienza). Si tratta di un rapporto spinoso nella riflessione di Filone (e anche per
molto tempo in quella cristiana): cfr. Pro 8, questo personaggio quasi distinto da
Dio, suo attributo che partecipa della creazione delle cose e assiste JHWH nella
direzione del mondo. Il Logos greco da una parte e la sapienza veterotestamentaria
dall’altro, ambedue con funzione cosmologica: confusione? Ripetizione? Cfr. pure
gli studi di Dodd: la Sapienza è l’Eden e qui scaturisce il fiume che è il Logos; il
Logos è il , ma la Sapienza sta a monte. Filone non armonizza molto
bene questi concetti: altre volte, infatti, la Sapienza appare come una ,
mentre è il Logos ad avere maggiore autonomia. In genere, Filone “risolve”
preponendo la Sapienza al Logos.
Nota sull’origine della parola
“Logos” è in genere considerata parola di stampo puramente ellenistico; ma “logos”
è pure concetto tipicamente giovanneo, quindi veterotestamentario, ovviamente
influenzato dai concetti giudaici di “dabar” e “sapienza”. “Parola” quindi, è anche
concetto veterotestamentario, anche se non può essere tradotto in “logos” senza tener
conto del contesto stoico e platonico. Nasce qui l’aggancio al problema del IV vangelo
e della comunità in cui è nato e a cui era destinato...
8
Questo problema viene invece risolto da Filone con questa identificazione: il logos realizza il
mondo che crea sulla base delle idee che ha dentro di sŽ; esso quindi il luogo delle idee, in definitiva
identificato con esse. Il concetto sarˆ poi ripreso da Origene: il logos come systema theorematon; questi
autori cercano di dare del logos un’immagine il meno antropomorfa possibile.
9
Ancora una volta si parte dal procedimento filologico per arrivare al senso nascosto. Bezaleel il
costruttore del santuario, e il suo nome significa “ombra di Dio”; questo sufficiente a Filone per
dedurre il resto. Chi dice che l’interpretazione arbitraria, non ha capito nulla da un punto di vista
storico. In questo caso ci si basa sull’interpretazione etimologica del nome. Per un antico si tratta di un
procedimento perfettamente legittimo; il nome esprime qualcosa della realtˆ significata; nomina sunt
significantia rerum (anche se alcune filosofie lo ritenevano assolutamente arbitrario: epicurei, e in parte
aristotelici; e tra i Padri: Agostino e Gregorio di Nissa).
I primordi dell’Alessandria cristiana: lo pseudo Barnaba
Non sappiamo assolutamente nulla dell’origine dell’Alessandria cristiana, di questo
unicum della nostra storia.
Il primo nome di cui sappiamo storicamente qualcosa (oltre al misterioso Apollo), è
Basilide, 140 d.C.! Sappiamo dell’esistenza di un “vangelo degli egiziani” e che era
conosciuto il “vangelo degli Ebrei”, ma considerazioni a partire da questi dati scadono
in inevitabili (e inutili) generalizzazioni. Spicq ipotizza la nascita di Eb in Egitto, ma
con scarsa solidità argomentativa.
Introduzione all’opera
Testo non scritto dall’apostolo Barnaba, risalente agli inizi del II secolo, sicuramente
dopo il 70. (>Sembra conoscere i Vangeli. Stile epistolare: caratteristica delle prime
generazioni; ma si tratta di un trattato).
Il significato fondamentale di quest’opera è il paolinismo portato quasi
all’esasperazione (con l’eccezione del piccolo catechismo sulle due vie): Paolo aveva
sostenuto l’importanza dell’interpretazione spirituale della lettera giudaica; l’autore di
quest’opera arriva a negare il valore letterale della legge mosaica, fin dall’inizio.
Tradizionalmente, questo testo è considerato alessandrino proprio per la ricchezza
dell’esegesi allegorica. Ma non bisogna cadere in facili semplificazioni: Alessandria ha
fatto grande uso dell’allegoria, ma non l’ha certamente inventata; cfr. già Paolo o
Giovanni; in più, dal punto di vista strettamente tecnico, l’allegoria dello pseudo
Barnaba è diversa dall’allegoria alessandrina. Barnaba fa grande uso
dell’interpretazione che i moderni definiscono “tipologica” (e che Simonetti considera
un tipo di esegesi allegorica e non un’ulteriore distinzione). Gli alessandrini “classici”,
sulla scia di Filone, preferiranno altri allegorismi (cosmologici, psicologici...), di cui
non c’è traccia in Barnaba.
Anche l’origine alessandrina di questo testo è stata recentemente messa in dubbio da
Brigent (>Prigent?) che la collocherebbe più ad est, forse in Siria. Ma la discussione è
molto aperta (e basata su argomentazioni comunque molto fragili). L’ipotesi
alessandrina ha ripreso oggi corpo, alla luce di due fattori: il luogo dove più è
conosciuta e stimata nell’antichità questa lettera è Alessandria (con Origene ha rischiato
di entrare nel canone); le parole iniziali, poi, contengono una distinzione fra e
tipica in Alessandria, come gradini successivi dell’itinerario spirituale (cfr.
gnosticismo).
L’interesse dell’opera
Il motivo per cui ci interessiamo a quest’opera così controversa è precisamente
questo: se è una lettera di matrice alessandrina, siamo di fronte ad una concezione
cristologica con caratteristiche diverse dalle linee fondamentali della cristologia
alessandrina. Il filo rosso che congiunge Filone fino a Cirillo (V secolo) è evidente (il
Logos!), ma se Barnaba è alessandrino, allora noi abbiamo un parallelo a questa
corrente; che sia stata sconfitta o se ne siano perse le tracce, poco importa.
Il pericolo forte per lo studioso di oggi, infatti, è quello di ricostruire la storia di un
ambiente fondandosi su una serie di dati solo scritti; nell’antichità, però, scriveva solo
una minoranza molto stretta di persone. L’interazione con le classi più basse della
società era solo per via orale. Il rischio è quello di non riconoscere più quali erano i veri
rapporti di forza. Trovare un’alternativa alla corrente Filone-Valentino-Clemente-
Origene, può aiutarci a eludere questo rischio.
Conclusione
Questo testo è molto importante per quello che non dice: non c’è alcun riferimento al
Logos! Brigent deduce da questo la sua non alessandrinità. Simonetti opera il
ragionamento esattamente inverso: è cristologia alta e manca il Logos. E se fosse
davvero alessandrino?
Potrebbe significare una presa di posizione negativa nei confronti della teologia del
Logos. Se l’opera fosse alessandrina, c’erano ambienti di cristologia alta, che non si
rionoscevano nella linea poi divenuta dominante. L’assenza del termine logos potrebbe
essere d’altra parte una chiara presa di posizione antignostica, cos“ come il Pastore in
ambiente romano.
10
Tutti i commentatori mettono in evidenza il presunto carattere giudeocristiano dello
pseudoBarnaba (secondo la definizione di Danielou: perchŽ presenta elementi giudaizzanti, nello stile
di pensiero). Ma nei confronti del giudaismo, la posizione di totale rottura. Non si pu˜ definirlo
giudeocristiano.
11
Di origine stoica: il soffio divino che pervade l’universo. Lo spirito visto come una potenza, una
facoltˆ operativa di Dio. Lo Spirito come sostanza di Dio: Tertulliano lo assume addirittura con la
sfumatura materialistica propria degli stoici (lo spirito, a modo suo, corpo).
Gnosi e cristianesimo
Il
In Clemente alessandrino non abbiamo la minima allusione ad alcunché di
strutturato; l’unico rapporto conosciuto è quello fra il maestro e il discepolo, sulla scia
delle scuole filosofiche (rapporto quindi molto stretto, con una comunanza di vita
prolungata. Cfr. il ruolo dei nelle lettere paoline).
E’ ipotizzabile che ad un certo punto, la figura del vescovo abbia assorbito quella del
maestro. (Cfr. la condanna di Origene e l’allontanamento di Clemente)
E’ interessante notare come nel periodo che ci interessa, queste piccole comunità
“autonome” (non strutturate) all’interno di Alessandria, contemplassero una simbiosi
praticamente perfetta fra “gnostici” e “cattolici” (secondo un vocabolario evidentemente
anacronistico). Cfr. l’aiuto che, secondo Eusebio, Origene riceveva da una matrona
romana che ospitava presso di sé anche un intellettuale gnostico (“Paolo”?) Interessante
è poi vedere il potere che avevano le donne (ricche) negli ambienti cristiani, tanto che
sarà questa una delle accuse mosse dallo stesso Porfirio ai cristiani. Il motivo di questo
fatto è da cercare nel fatto che nel ceto dominante (e ricco), furono molto più numerose
le donne che gli uomini ad aderire al cristianesimo.
Il contesto
Ambiente ecclesiale gerarchicamente debolissimo, forti tendenze centrifughe,
ambienti dominati dagli gnostici. Ma com’era possibile la convivenza così stretta? Uno
dei motivi sta nel fatto che, mentre il marcionismo ha un giorno esatto di nascita (e di
condanna da parte della chiesa), con gli gnostici le cose erano molto diverse: essi non
tendevano ad allontanarsi dalla chiesa, ma a riflettere nella chiesa un livello superiore di
dottrina e di insegnamento; cfr. la stessa apertura dello pseudo Barnaba (I,2-6). Ireneo
lo dice chiaramente nelle sue opere quanto fosse difficile mettere con le spalle al muro
gli gnostici. La dottrina gnostica era sfuggente, esoterica; godeva di molto peso
l’argomentazione personale e le possibilità economiche. Cfr. Plotino che, pur di manica
larghissima con la provenienza dei suoi discepoli, scrive contro gli gnostici (e gnostici
cristiani) anche nelle sue Enneadi. Tertulliano sconsiglia ai cristiani di dialogare con gli
gnostici, perché la loro cultura era troppo superiore.
Non si possono quindi studiare i primi secoli della chiesa distinguendo nettamente
fra ortodossia e eresia, poiché si cadrebbe in rappresentazioni delle comunità troppo
caricaturali. E lo gnosticismo non fu nemmeno un’eresia cristologica, ma stava ad un
livello ancora più fondamentale: era l’atteggiamento del cristiano verso l’AT che viene
rifiutato con l’infinita serie di conseguenze sulla dottrina e sulla vita cristiana. Senza
contare la concezione cosmologica...
Simonetti è comunque fra la corrente (oggi minoritaria) che considera lo gnosticismo
un fenomeno nato nel cristianesimo (e non fuori), pur con forti tendenze sincretiste,
agonizzante fino alla riscoperta dei documenti di Nag-Hammadi.
La cristologia gnostica
La visione gnostica era marcata da un forte dualismo con decisa avversione per la
materia. Rifiutavano il Dio creatore dell’AT, secondario rispetto al Dio giusto del NT,
ignoto, buono, che solo Cristo ha rivelato quando è disceso sulla terra.
Troviamo la stessa distinzione presente fuori dallo gnosticismo, fra una cristologia
alta e una bassa; l’impostazione preferita è la prima, anche se non mancano esempi
della seconda (cfr. Carpocrate di Alessandria). Il rappresentante più valido per
comprendere la cristologia gnostica è, insieme a Basilide, Valentino, la tendenza più
vicina al cristianesimo cattolico.
Valentino
Se fosse veramente gnostico o no, la discussione è tuttora aperta. Come per Basilide,
possediamo pochissimi frammenti, quasi sempre per tradizione indiretta, attraverso gli
scritti polemici degli antignostici. Al di là di ogni supposizione, il fatto che fosse
considerato gnostico da Ireneo, da Clemente, dallo pseudo Ippolito e da quasi la totalità
degli autori antichi, Origene compreso, da Roma ad Alessandria ed Antiochia, dovrebbe
quanto meno insospettirci prima di avanzare ardite supposizioni.
Noi possediamo nove frammenti di Valentino, di lunghezza diversa e di argomento
vario. Interessante è comunque che, al di là delle ovvie difficoltà di recezione e
tradizione dell’antichità riguardo ai testi polemici, Nag Hammadi ha mostrato la
sostanziale fedeltà di Ireneo nelle sue accuse alla scuola di Valentino. Basarsi sulla sua
testimonianza per ricostruire il pensiero di Valentino non è poi così infondato 12. D’altra
parte anche Tertulliano e Origene, diversissimi per pensiero ed aree geografiche,
concordano nei giudizi con Ireneo13.
Valentino faceva parte della comunità cristiana di Roma, godendo di un notevole
prestigio, al punto che per poco non ne diventa vescovo.
Alcuni testi per capire i tratti fondamentali
∑ frammento 1: concetto gnostico la creazione di Adamo ad immagine degli Arconti,
che non sono spirituali, ma di sostanza inferiore. Nascostamente Sophia inserisce
un seme spirituale in Adamo. Gli arconti si spaventano di fronte alla inattesa
superioritˆ di Adamo, e lo nascondono (per Simonetti: lo coprono con un corpo
materiale).
∑ Dallo Pseudo-Ippolito, Refutatio VI, 42: una cristologia alta, basata sul Logos.
Non si parla però di una dottrina che attribuisce a Gesù il carattere di “Logos”,
quanto piuttosto del Logos come entità divina personale sussistente distinta dal Dio
solo, storicamente definita in Gesù. (Valentino certamente cristiano. Ma non
sufficiente che Cristo venga definito “logos” per avere una dottrina del logos:
occorre che questo logos venga definito come entitˆ sussistente, distinta dal Dio
uno.)
∑ Dagli Stromata di Clemente, IV, 89-90: la concezione platonizzante della creazione
I due livelli della realtà, l’immagine inferiore al modello... Il demiurgo gnostico
classico, inferiore al Dio Padre Creatore. Il mondo materiale molto inferiore all’eone
vivente, il pleroma gnostico, il mondo divino da cui è precipitato il creato dopo il
peccato di Sofia che ha provocato la rottura e la creazione del mondo espulso dal
pleroma, a imitazione del quale il Logos plasma il demiurgo stesso 14. In più, tutto il
discorso sincretico sul nome e sul rapporto tra fede e gnosi.
12
Sono soprattutto gli studiosi tedeschi a dubitare sistematicamente delle fonti antiche, tentando di
rimettere in discussione tutte le categorie giˆ acquisite (bisogna pur vendere nuovi libri). Cf.
Markschiess [?] su Valentino, e Lšhr [?] su Basilide. La tendenza fondamentale di questi studiosi nega
il carattere gnostico di questi due. Alcuni loro discepoli sarebbero stati certamente gnostici, e per questo
combattuti dai polemisti, che avrebbero proiettato sui maestri le tendenze estreme dei discepoli. NB:
Basilide 140; Valentino pi tardi (nel 160 ancora a Roma). In particolare Markschiess esamina i
frammenti che con sicurezza si possono attribuire a Valentino: sette su nove, abbastanza ridotti di
dimensioni. Essi sarebbero spiegabili in termini non gnostici. Poi passa ad esaminare la notitia di
Ireneo: essa non riguarda per˜ Valentino, ma la sua scuola. La notizia propria di Valentino presentata a
parte in termini pi ridotti. Markschiess la svaluta completamente. Per cui pu˜ concludere che Valentino
era un pensatore cristiano, con due discepoli gnostici: Tolomeo ed Eracleone. Prima di questi studi, giˆ
su Eracleone erano stati avanzati dubbi sul suo reale gnosticismo, da parte di studiosi americani e
tedeschi; gli americani influenzati da Hans Jonas. Lo gnosticismo di Eracleone sarebbe stato un
travisamento di Origene. Simonetti invece non eccessivamente pessimista sulla validitˆ della
documentazione antica (e decisamente pi pessimista sull’attendibilitˆ della pretesa critica tedesca).
13
La sua Notitia stata dimostrata attendibile prima della seconda guerra mondiale e poi dal
rinvenimento dei testi di Nag-Hammadi. La nuova tendenza forse una conseguenza dello sviluppo della
ricerca su Nag-Hammadi. I testi si sono rivelati tardivi: dalla terza generazione gnostica in poi.
Certamente non si tratta di testi autentici: sono traduzioni in copto, peraltro abbastanza maldestre. Un
solo testo gnostico completo è autentico: l’Epistola di Tolomeo a Flora. Questo pu˜ aver influenzato a
retrodatare l’origine dello gnosticismo vero e proprio.
La mediazione, il mito cosmologico e escatologico
Filone si basava sul concetto della mediazione del Logos. Qui, quella logica si trova
alla massima generalizzazione in ambito ormai cristiano. Alla creazione e provvidenza,
gli gnostici aggiungono il tema del riscatto e della frattura sanata. Cfr. l’interessante
lavoro di B. Aland sulla nascita dei sistemi gnostici a partire dal paradosso del peccato
presente nel mondo divino, che lo espelle da sé facendolo divenire spirituale e creatore.;
le sue radici già nel concetto paolino di “chenosi”. (Cos“ il sistema gnostico si
configura come una trasposizione paradossale dell’Incarnazione. Ges incarnato offre il
punto di partenza per una riflessione sul mondo divino che si abbassa fino all’uomo).
La scuola di Alessandria
La struttura
17
Gregorio di Nazianzo: aproslepton aterapton [?]; l’assioma generalizzato e indiscusso
nell’antichitˆ. Cristo ha assunto ci˜ che ha redento e viceversa. L’origine l’assioma filosofico “simile a
simile”: ci pu˜ essere rapporto solo tra entitˆ analoghe.
18
Nella notizia di Ireneo sui basilidiani leggiamo “non ha patito lui, ma un certo Simone di Cirene;
questo stato crocifisso per ignoranza”, che ha ricevuto conferma da due testi di Nag Hammadi. E’ stato
Orbe a far notare la particolaritˆ della concezione valentiniana; bisognerebbe per˜ intendersi sul termine
“docetismo”: un corpo reale la sostanza pneumatica di Valentino? Estratto 58 da Teodoto, 280-81.
Descrive l’incarnazione. Scende come Salvatore dal Pleroma; assume prima gli elementi spirituali, che
gli vengono da Sofia; poi l’elemento eletto (gnostici), e l’elemento chiamato (psichici); l’elemento
psichico viene dal Demiurgo; la componente psichica era invisibile, ma era necessario anche un corpo
“di sostanza psichica invisibile, giungo nel mondo sensibile per potenza di divina preparazione”. Per
questo Orbe afferma che non si tratta di vero docetismo; Simonetti preferisce un’accezione pi larga del
termine, in cui rientra anche la dottrina di Valentino.
19
Per quel che ne sappiamo, la diffusione dello gnosticismo fu favorita dalla struttura sociale debole
della Chiesa di Alessandria, frammentata in circoli e gruppuscoli. A un certo punto si comincia a
rendersi conto dell’incompatibilitˆ del sistema gnostico con il cristianesimo, e si organizza pertanto la
controffensiva. Il grave limite delle nostre conoscenze che possediamo soltanto le poche fonti scritte;
quasi nulla della discussione orale. Evento tragico, sapendo di una discussione pubblica tra Origene e
un Valentiniano.
L’opinione che trova ancora sostenitori 20, è stata recentemente impugnata da Bardy 21,
per il quale, basandosi sulle stesse testimonianze di Eusebio, Origene era stato fin da
giovanissimo (a causa di una persecuzione che aveva disperso i presbiteri), maestro dei
catecumeni; a causa della forma del suo insegnamento e dell’accorrere di molti pagani,
egli avrebbe in un secondo tempo diviso la scuola in una parte puramente catechetica e
un’altra aperta anche ai non cristiani22. Se così fu, non fu la prima scuola di “filosofia
cristiana” (cfr. Giustino a Roma). Simonetti concorda con questa ipotesi, intendendo
per scuola di Alessandria una vera scuola pubblica d’impostazione cristiana, in stretto
rapporto con il vescovo della città23.
20
Mehat, Rizerio e altri.
21
BARDY G., “?” Recherches de Sciences RŽligieuses
22
Affidando ad Eracla la scuola catechetica vera e propria, e tenendosi il livello superiore, in cui
c’erano probabilmente pochi allievi, e non si faceva distinzione tra cristiani e pagani. Sul metodo di
insegnamento di Origene, cf. l’orazione di Gregorio il Taumaturgo, come ringraziamento al termine del
curriculum.
23
Bardy sostiene che la scuola controllata dal vescovo comincia solo quando Origene sdoppia la
scuola catechetica. In questo modo anche la scuola superiore era sotto il controllo del vescovo. La
successione dei vescovi dopo Origene (tutti ex maestri della scuola) mostra che a partire da Origene c’
veramente una scuola con rapporti molto stretti con l’episcopato (Atanasio mette Didimo a capo della
scuola).
24
Secondo Bardy gli insegnamenti di Panteno e Clemente erano semplici insegnamenti privati; non
c’ nessuna prova che Origene abbia frequentato Clemente; Eusebio riferisce di una citazione di Panteno
da parte di Origene, ma nessuna di Clemente; se non ne cita mai gli scritti forse perchŽ ritiene
Clemente eccessivamente aperto allo gnosticismo?
Clemente
Alcune spigolature. Indicativo l’obiettivo posto sin dall’inizio degli Stromata:
camminare “verso la perfezione del vero gnostico”. “Gnostico” inizialmente indicava
una setta precisa identificata da Ireneo; poi si generalizzò e divenne indicativo di
un’intera corrente di pensiero. Clemente si propone una speculazione parallela a quella
dello gnosticismo, in quanto è il cristiano il vero gnostico. (Per alcuni sta qui il
probabile dissenso di Origene, che forse non gradiva che fossero portati contenuti
antignostici in linguaggio gnostico).
Cfr. gli estratti da Teodoto: Clemente parla (e pensa?) come uno gnostico,
riprendendo le distinzioni fondamentali fra e , con una forte distinzione:
per gli gnostici, gli uomini spirituali lo sono per natura; per Clemente, invece, la
distinzione dipende esclusivamente dall’impegno personale. Origene, per contro,
eliminerà il vocabolo , sostituendolo con (“perfetto”).
Possiamo vedere come un forte elemento di continuità nei pensatori alessandrini fin
da Filone sia proprio l’elitarietà 25.
Opere
Già i nomi delle due opere principali di Clemente sono indicativi:
(“tappezzerie”) e (“schizzi”, di cui non abbiamo
praticamente nulla): opere slegate, programmaticamente di argomento vario; oggi le
chiameremmo miscellanee. Lo sforzo da parte nostra di ritrovare l’unitarietà è
ovviamente enorme. Sono comunque opere che nascono in margine all’insegnamento
della scuola e che, forse ci rivelano anche qualcosa del metodo di lavoro di Clemente.
Per di più, gli Stromata riguardano la formazione del vero gnostico; la cristologia
c’entra solo tangenzialmente.
La cristologia
I testi sono dagli Stromata, quando non diversamente indicato; la numerazione è
quella di Steiling: libro, paragrafo ed eventuale sottoparagrafo.
∑ IV, 155, specie 2 ss: “Il Dio indimostrabile non può essere oggetto di scienza...”
Notiamo la fittissima trama di citazioni sempre su due versanti misti: da un lato la
letteratura greca classica (Clemente è l’autore antico che più cita da essa), dall’altro
la scrittura. Cfr. ancora una volta quanto detto sull’ambiente alessandrino.
“... il figlio, invece, è sapienza, scienza e verità e offre la possibilità di
descrizione...”
Il concetto fondamentale è la distinzione fra Dio e il Logos, impostata sulla base
della distinzione platonica unità-molteplicità, (che corrisponde a perfezione-
imperfezione); il Padre unitˆ (non numerica, ma assoluta); il Figlio numericitˆ e
molteplicitˆ. Ma si opera una radicale revisione del pensiero platonico: il logos in
posizione intermedia tra l’assolutezza del Padre e la molteplicitˆ del mondo. Il logos
non unitˆ come unitˆ Dio, nŽ molteplicitˆ alla stessa maniera del mondo. Si
riecheggia Filone in perfetta unitˆ di pensiero 26. (Si noti l’espressione “l’intelletto il
25
Ecco perchŽ tra l’altro il vescovo deve liberarsi di questi maestri, che vengono a costituire
un’alternativa in seno alla comunitˆ al vescovo e al suo potere.
26
Al tempo di Clemente Filone giˆ stato ripudiato dai giudei (fallimento dell’esperimento giudeo-
ellenistico) ed conosciutissimo da Clemente e praticamente assimilato dai cristiani (Girolamo lo
inserisce nel De Viris Illustribus).
luogo delle idee”, che riprende una idea filoniana: l’identificazione del nous
platonico col logos stoico, e quindi il suo legame col mondo delle idee.) Anche in
Clemente, platonico e Logos Stoico coincidono.
∑ IV, 156: i nomi di Cristo
Ancora una contrapposizione fra la trascendenza assoluta di Dio e il Figlio
preesistente (altrove definito come Logos), che è sapienza, scienza e verità; sono
quelli che Origene definirà : per articolare un discorso su Cristo si scelgono
i tanti appellativi di Cristo stesso nell’AT e soprattutto nel NT.
Questi nomi diversi davano l’idea del diverso modo dell’operato di Cristo nel
mondo: creazione, governo, redenzione, giudizio... Essi rivelano la molteplicità nel
Figlio, e quindi la sua possibilità di essere oggetto di scienza. Questa molteplicità,
però, si unifica nel Figlio che è insieme uno e molteplice. Cfr. gli gnostici e il
sistema di Valentino in cui l’unità del personaggio è presupposta ma non è mai
chiarita: tutti questi modi di essere di cui parla anche Clemente, sono uno nel Figlio,
irriducibile ad un limite definito come le singole parti; nessuno di questi appellativi,
cioè, circoscrive il Figlio che è ognuno di questi, ma non si identifica con nessuno di
essi.
Il Figlio, quindi, non è uno in quanto uno (come ), ma non è nemmeno
molteplice delle singole parti; è uno come unione di tutte le singole parti. E’ ancora
una volta il Logos come intermediario per eccellenza, ontologicamente mediatore. E
Cristo è mediatore già prima dell’incarnazione.
Il tema della mediazione resta filo rosso della cristologia alessandrina, almeno fino
alla crisi ariana e al rapporto di subordinazione che l’idea della mediazione lascia
trasparire.
Potremmo immaginare che se Clemente dovesse rappresentare Dio, il Padre sarebbe
un punto, mentre il Figlio sarebbe un circolo intorno al punto: l’assoluta misteriosità
non rappresentabile e l’assoluta perfezione rappresentabile, in cui principio e fine (alfa
e omega) coincidono.
Introduzione
Secondo Balthasar, non sarà mai possibile sopravvalutare l’opera di Origene e la sua
influenza sulla storia della teologia cristiana. La grande riscoperta degli ultimi 50 anni è
stata proprio l’opera del grande alessandrino; oggi è quasi “di moda”. Il volume che ha
dato la svolta agli studi origeniani risale agli anni ‘30, opera di Volker. Prima di questo,
Origene era semplicemente l’autore del De Principiis, padre di tutte le eresie possibili e
immaginabili. Si tratta di una visione completamente errata anche a partire da ciò che
sappiamo dell’intenzione di Origene stesso: esegeta della sacra scrittura e
, come amava definirsi.
Volker è stato il primo a parlare di lui come di un “maestro di spiritualità”, a portare
l’attenzione sul valore delle sue omelie e i suoi commentari. Intuizione ripresa in
seguito dai giovani De Lubac e Daniélou, nel movimento di riscoperta dell’importanza
dello studio dell’esegesi patristica, fino a 50 anni fa completamente trascurata.
Testi
Il concetto di “natura”
∑ De Principiis I,1,5
“Fra le realtà spirituali, cioè incorporee (!), cosa è superiore se non Dio?”
∑ De Principiis I,1,9
Sia Padre che Figlio sono (nella traduzione di Rufino) “naturae intellectuales”.
∑ De Principiis II,3,1
Le creature create da Dio, spirituali, sono naturae intellectuales. Lo stesso
termine è utilizzato per indicare Dio stesso.
∑ De Principiis III,6,7
“Dio ha creato due nature generales: la natura corporea e quella incorporea.
Ambedue possono subire mutazione. La seconda, invisibile, muta per disposizione
d’animo, in quanto dotata di libero arbitrio. La natura corporea riceve invece
mutamento nella sostanza per cui qualsiasi cosa Dio voglia modificare, usa questa
natura pronta a tutto... secondo quanto richiedono meriti e demeriti...”.
Si tratta di un passo che sembra oscuro. Una specie di presentazione filosofica della
cosmologia origeniana: Dio ha creato gli esseri razionali, intelligenti e liberi;
nell’interpretazione vulgata di questo passo di Origene, si afferma che questi esseri si
sarebbero allontanati e avrebbero peccato (sia gli angeli, come gli uomini e i demoni,
anche se in diverso grado e modo). Per il recupero di questi esseri (la cui pena è sempre
pedagogica), Dio avrebbe creato la materia corporea dalla infinita capacità di
trasformazione, secondo la disposizione spirituale di queste creature. Il corpo sarebbe
quindi direttamente in relazione alla condizione spirituale e caratterizzato da un’estrema
mutabilità.
Alla base sta un preciso concetto filosofico di “materia” di origine stoica:
(assoluto privo di qualità), l’assolutamente indeterminato, il
sostrato comune e unico per tutti gli esseri. La caratterizzazione dei singoli avviene
mediante le qualità le (da ricordare che per gli stoici la materia assoluta è
un’astrazione, non esiste).
Origene reinterpreta platonicamente questo concetto di materia, immaginando due
materie generali differenziate per il libero arbitrio (quello che i medievali diranno
principium individuationis), l’una al servizio dell’altra.
L’unità in Dio
La conclusione provvisoria a cui si giunge è che non si distingue un essere dall’altro
se non per le qualità. Il salto decisivo lo si fa ritornando a Dio che è natura
intellectualis: il sostrato allora è sempre lo stesso anche fra creatura e Dio: tra Dio e la
sua creatura c’è cioè una certa parentela ().
∑ De Principiis III,1,13
“Ha creato incorruttibile la natura intellettuale e a Lui affine”. Si tratta di
un’affermazione che fece scandalo al tempo della controversia origeniana. In cosa si
differenzia Dio dalle creature? Per il fatto che solo Dio (Padre Figlio Spirito)
ha(nno) il possesso sostanziale del bene.
∑ De Principiis I,5,3
“Il bene è sostanziale nel Figlio, nello Spirito, oltre che nel Padre”
∑ De Principiis I,5,5
“Eccetto Padre Figlio Spirito, nulla è immacolato per natura”. La coincidenza fra
bene ed essere è totale e solo Dio ha l’essere di per sé...
∑ Commento a Gv II, 94ss
Gv 1: Senza di lui è stato fatto (il nulla, il male, il peccato, il non-essere).
Altrove arriva a dire che il peccatore in quanto tale è il non-esistente.
∑ Commento a Gv II,17
Il Padre è , il Figlio è . Dio è : all’infuori di Lui tutti coloro
che sono partecipi, sono : di questi, il più grande è il Figlio.
∑ Commento a Gv II,73
“Tutto è stato fatto per mezzo di lui”. Anche lo Spirito? Siamo persuasi che
esistono 3 , di cui solo il Padre è ingenerato; ne consegue che è più
consono pensare che lo Spirito Santo abbia una posizione preminente su tutto ciò che
è stato fatto in base alla mediazione del Logos. Il Figlio, allora, è Dio per
partecipazione, solo che la ’ del Figlio è privilegiata, perché deriva dal
Padre direttamente (per questo si dice che è generato); tutto quello che segue è
tramite il Figlio. (Da ricordare sempre che Origene è un propositivo, non un
assertivo! La problematicità è un suo tratto caratteristico).
L’incarnazione
Tutte le storture sulla ricezione di Origene nascono dal De Principiis, o perché
sopravvalutato, o perché considerato un manuale. In realtà, Origene dedica al tema
dell’incarnazione “solo” il VI libro, in cui tratta un solo problema: l’unione delle due
dimensioni in Cristo. Accenni marginali sono per il fine dell’incarnazione (ma non per
questo ne svaluta il valore!)
∑ De Principiis II,6 // I,2
“Due in Cristo”.
Cfr. quanto appena detto sulla cosmologia origeniana e sulle nature create. Le nature
intellettuali sono di pari dignità in quanto tutte libere. Una ha aderito in modo
particolare e indissolubile al Logos. Quando cioè il Logos si è incarnato, questa natura
razionale è divenuta la sua anima. (ovviamente è presupposta la preesistenza delle
anime ai corpi).
L’incarnazione avviene allora in due momenti: atemporalmente, questa creatura
intellettuale aderisce al Logos; temporalmente, diventa la sua anima.
(Il problema dell’origine dell’anima è ancora aperto ai tempi di Origene. Fino al IV
secolo, non si sceglierà ancora fra preesistenza, creazione insieme al corpo o
trasmissione per generazione. Origene fra i primi, Clemente fra i secondi, Agostino fra i
terzi. La scelta di Origene è soprattutto antignostica per salvaguardare la giustizia
divina).
Si tratta di una dottrina contestata da subito anche in Alessandria. Forse poggia qui la
dottrina che seguirà, dello schema cosiddetto Logos-Sarx, per reazione. In Origene,
invece, è l’anima che media: in quanto creatura è rivolta alla materia, in quanto
intellettuale è in grado di unirsi al Logos.
Origene concepisce quest’unione in un modo così stretto, da arrivare ad alcune
conclusioni sorprendenti (e avveniristiche).
∑ De Principiis II,6,3
Si tratta della formulazione quasi tecnica della communicatio idiomatum che
Antiochia rifiuterà ancora per molto tempo.
Questo modo di concepire l’incarnazione, però, poneva anche il grosso problema
della libertà dell’anima: come è libera l’anima unita a Cristo? Origene risponde che
potrebbe anche staccarsi dal Logos, ma:
∑ De Principiis II,6,5-6
Il ferro è capace di accogliere il caldo e il freddo; ma se il ferro sta in mezzo al
fuoco come può accogliere il freddo? Così l’anima unita al Logos.
Per quanto riguarda la finalità dell’incarnazione, come dicevamo, Origene non
l’affronta sistematicamente, ma molti spunti posso rivelarsi interessanti. Il punto di
partenza è assolutamente antignostico: Cristo non ha redento una parte, ma tutto
l’uomo.
∑ Foglio 6-7 della discussione con Eraclide
Discorso in chiave platonica, a partire da un’antropologia tripartita. Strano. Per
paolo, lo spirito è dono battesimale, quasi sempre tipico solo del cristiano; non
appartiene a tutti gli uomini. E’ una forza, un carisma, un dono. Per Origene, invece,
si tratta di una parte costitutiva di ogni uomo (più o meno il ), egemone
sull’anima. In Origene sono allora possibili due concezioni di spirito. A partire da
questa universalità, si aggancia la prospettiva cosmica della redenzione.
∑ Commento a Gv I
“Non solo per gli uomini, ma per ogni creatura dotata di Logos... è morto per tutti
all’infuori che per Dio... neppure gli astri sono impuri agli occhi di Dio”.
Il punto nodale sarà: anche per il diavolo? Da qui la dottrina dell’apocatastasi, nel
tentativo di superare la dialettica fra giusto e buono.
∑ De Principiis III,6,5
“Anche l’ultimo nemico, la morte, sarà distrutto, ma la distruzione sarà non in
relazione alla sostanza, ma all’inclinazione (di inimicizia). Sarà distrutto non per non
essere più, ma per non essere più nemico”.
Si tratta del punto che sappiamo essere stato più fortemente contestato fin dall’inizio.
Per questo fu accusato anche presso Fabiano, vescovo di Roma. Secondo testimonianze
indirette, forse avrebbe ritrattato queste affermazioni, ma sembra molto difficile. Per
Origene, il bene è infinitamente più forte del male; da qui non si può non arrivare
all’apocatastasi.
L’unica ipotesi plausibile di difesa è la successione infinita di , che sfuma
l’ambivalenza del giudizio e della fine.
Sul modo dell’incarnazione, è esemplare per lo stesso uomo; alcuni testi sulla morte.
∑ Commento a Gv VI,284-285; 273
La morte è espiazione (soprattutto), e vittoria sui demoni e riscatto. Con una
precisazione fondamentale: Cristo è il sacrificio (Eb): in quanto Dio è sacerdote, in
quanto uomo è vittima.
∑ Commento a Mt XVI,8
Gesù ha dato la sua anima come prezzo del riscatto, al diavolo. (Tralasciamo il
problema esegetico di 1PT che parla non di anima, ma di sangue come prezzo del
riscatto). Diavolo, che però viene così ingannato. Si tratta di una tradizione
antichissima, forse risalente addirittura al NT.