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La dura poesia delle regole che ci dà dignità

di Claudio Magris

in “Corriere della Sera” del 20 marzo 2020


Tramonto della deregulation? Non solo nella realtà economica ma pure nella vita affettiva, nella
creazione artistica o nella condotta di vita la lotta contro le regole è insieme necessaria e distruttiva,
una miscela di generosa passione, brutale o inconsapevole egoismo e confusione. Soprattutto
quando, come nella devastante tempesta che si è abbattuta su tutti noi con l’aggressione del
coronavirus, ci si trova avviluppati in una maglia di prescrizioni e di divieti come un pesce nella
rete. La regola viene facilmente vissuta come astratta, fredda, ostile alla passione e alla vita che essa
pure difende. Soprattutto in certe stagioni storiche, ad esempio in quella romantica, le regole sono
state deprezzate quali astrazioni generiche e contrapposte all’imprevedibile creatività poetica.
Benedetto Croce diceva che i grandissimi capolavori poetici — Omero, Dante o Shakespeare —
hanno felicemente peccato contro le regole.
Non è vero: le rime delle terzine dantesche e l’endecasillabo di ogni verso sono la poesia stessa, il
bacio di Paolo e Francesca, la musica del mare che si richiude come un sudario sul naufragio di
Ulisse e questo vale per tutte le arti. Pure i geni scomposti e turbolenti delle rivoluzioni artistiche
hanno proclamato e praticato la sovversione delle regole della forma e della vita ma per crearne e
praticarne altre. Un genio sregolato, ribelle e autodistruttivo come Poe, autore di capolavori che
sovvertono ogni attesa logica, ha rivelato nella Genesi d’un poema , la ferrea logica e le ferree leggi
del verso, dell’invenzione e dell’architettura espressiva che presiedono alla creazione del suo
sconvolgente poema Il corvo .
Respinta retoricamente in nome dell’anarchica libertà del mercato e del desiderio affrancato da
norme morali, la regola è tornata all’ordine del giorno quando, poche settimane fa, la pandemia ha
cominciato e continua, sempre più violentemente, a devastare le nostre vite e quelle del mondo
intero. La battaglia contro la pandemia e la morte si affida sempre di più a regole, ingiunzioni, veti e
interdizioni. Pure questo impero della legge e delle sue sanzioni è una strategia che difende la vita e
insieme accresce il disagio e la sofferenza, ostacola la soddisfazione di bisogni primari e crea
desolazione quotidiana. Persone amate soffrono e muoiono in una solitudine che stringe il cuore, sia
del malato privato della salute o della vita ed anche della mano che lo ha sempre accompagnato
nella vita e di cui avrebbe ancor più bisogno nella sofferenza o nell’agonia. Le regole ci
impediscono di toccare quella mano e di venir toccati da essa. Sapere che un genitore, un figlio, un
amante soffre solo e può morire solo, non sapere quali parole e pensieri gli vengono alla mente o
sapere che quei pensieri e quelle parole non possono giungere a chi l’ama, è un dolore che contiene
la morte, come un frutto contiene un seme.
Ma abbiamo il diritto di compromettere altre vite anche in nome del nostro amore e bisogno di loro
o del loro desiderio di noi? Pure l’amore, se dissolve limiti e doveri, può diventare un guazzabuglio
distruttivo. Pure nel cuore, scrive Stefano Jacomuzzi, nel suo straordinario romanzo Un vento sottile
, spesso tutto è pasticcio e gran confusione. È umano amare più quel confuso pasticcio che le
regole; la trasgressione ci appare trascurabile come una sosta vietata o attraversare la strada col
rosso quando su quella strada non c’è nessuno. È inevitabile, quasi naturale odiare le regole, i
divieti di sosta, i limiti di velocità. Le regole sono la democrazia e la democrazia è certo meno
affascinante dell’amore o del colore del mare; è un valore freddo, come la regola, che tuttavia ci
permette di coltivare i nostri valori caldi, l’amore o il colore del mare. La tentazione di trasgredire
le regole è umana, umanissima, è il colore della nostra vita. Ma c’è un’asciutta, dura poesia delle
regole che dobbiamo imparare a rispettare, come il poeta rispetta l’endecasillabo; attraverso questa
cocciuta e apparentemente arida fatica potremo anche amare le regole, commuoverci non solo per la
fotografia di una persona che soffre e che muore ma anche per i grafici che ci mostrano le curve
della pandemia, non solo sapere ma anche sentire che quelle curve sono destini umani, ognuno
unico e irripetibile. La poesia delle regole può dare sobria dignità al nostro destino. Me ne vado,
sembra abbia detto morendo Basilio Puoti, gran difensore del purismo della lingua italiana,
aggiungendo: «si può dire anche me ne vo».

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