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Madame Bovary ci insegna che ribellarsi agli stereotipi della società è necessario

per poter vivere la vita a pieno, ma ciò non comporta necessariamente un epilogo
positivo, anzi il suo suicidio ne è la prova.
Eppure liberarsi dai canoni quando sono stretti o ingiusti, avere il desiderio di
fuggire dalla grigia realtà monotona, riguarda chiunque, perché ognuno vuole vivere
la propria vita con il desiderio che sia così bella, colorata, piena, da essere
memorabile. Ecco allora che per vivere, non per sopravvivere, è necessario andare
oltre alle convenzioni dettate dalle leggi e dalle usanze che da secoli ci portiamo
dietro, legate indissolubilmente all’onore e alla dignità. Se andassimo avanti di
questo passo crederemmo che il modo di affrontare la vita sia univoco, saremmo
spinti ad accettare ogni legge, ogni costume, ogni condizione anche ingiusta nei
nostri confronti. Tuttavia, questo non è possibile perché ognuno nel momento in un
cui viene meno un suo diritto, viene maltrattato o giudicato in maniera errata se
ne rende conto e dunque si reagisce, come Madame Bovary.
Ci si ribella per dare un senso alla vita, perché è un’azione necessaria affinché
il mondo sia un quadro dai colori cangianti, come gli affreschi del Michelangelo, e
non un triste Guernica, il dramma di una cittadina vittima del mutismo del popolo,
che doveva accettare le leggi e il volere del regime respirando a stento, davanti
alla finta cecità del mondo intero. In questo caso era d’obbligo ribellarsi al
regime, alla paura che le conseguenze che avere una voce significava, non curandosi
di ogni sorta di giudizio opinione o arma. Anzi, quando riguarda il bene collettivo
i proiettili non sono a sufficienza, le bombe non possono colpire tutti, qualcuno
ne esce salvo e vittorioso, reagire può essere una soluzione definitiva alla
predominanza di uno ingiusto su tanti. La genesi del ogni cambiamento è nel
rispondere. Quindi se si vuole attuare una riforma un cambiamento sociale, serve
che si riconosca che quelle che un tempo erano delle vivide pennellate, ora sono
ricoperte di patina e sporcizia, solo così possiamo restaurare nel profondo la
società.

La nostra società di partenza è come “Una domenica pomeriggio sull’isola della


grande Jatte” con uomini e donne che si rilassano in una dimensione ideale e
atemporale, ma pian piano è come se il tempo quei puntini che compongono le donne
cadano si rovinino pian piano dissolvendosi, e in contemporanea il tempo
ingrigisce. Le donne devono attivarsi proprio come Madame Bovary per evitare che
quell’atmosfera cupa sia la normalità, per tutelare e quindi garantire alle
generazioni successive quell’arte di vivere e valere in quanto donne.
Le donne sono come gli uomini, con una differenza solo nel genere, non nei diritti,
nelle capacità o nelle possibilità, le loro ambizioni sono tanto possibili quanto
quelle maschili. Per questo devono ribellarsi: per attuare una rivoluzione che le
porti a essere ascoltate. Sofonisba Anguissola, Artemisia Gentileschi, Frida Kahlo
hanno rovesciato quel mondo dell’arte in cui l’oggetto rappresentato sono le donne,
diventando pittrici, ricolorando a poco a poco il mondo non solo con pennellate
rosa -colore che sta tanto a cuore alle femministe quanto alle menti bigotte del
“rosa se è una femmina e blu se maschio”- ma offrendo una realtà policromatica che
altrimenti resterebbe segreta a tutti. Degli studi del Brooklyn Collage of New York
dicono appunto che gli occhi delle donne colgono uno spettro più ampio di colori,
quindi perché privarci per secoli di un filtro ancora più colorato sulla realtà?
Servirebbe che tutte oggi prendessimo un pennello, una tavolozza mischiassimo
colori, provassimo, sbagliassimo, ma alla fine riuscissimo a ritrarci.
Infatti questa rivoluzione dovrebbe partire da noi donne e dalle nostre parole,
perché lametarsi dell’ingiustizia e subirla zitte non cambierà nulla. Dobbiamo
credere in noi stesse e con vigore e attitudine, cercando di dare un senso alla
nostra vita, dovremmo conservare quelle tele precedenti come sacre, educare le
persone a capirle e a leggerle, urlare e scalfirne altre, creando tele preparatorie
ai posteri.
Questa è la rivoluzione che bisognerebbe attuare il prima possibile e poi tutti
imparerebbero ad apprezzarla l’arte della parità, la conserverebbero al riparo
dagli attacchi di rozzi lanzichenecchi antidiritti; perché a combattere contro di
loro già si darebbe un senso alla vita, una ragione di essere state.
D’altronde le rivoluzioni nella storia parlano da sole: quella francese inventò una
società umana, uguale, “fraterna”, la rivoluzione industriale rese tutto il popolo
poco a poco parte della massa che richiede e che possiede, la rivoluzione americana
portò alla prima democrazia liberale costituzionale. Le rivoluzioni portano
inevitabilmente a dei miglioramenti per tutti.

Eppure ci sono i grandi moralisti che nella rivoluzione vedono la violenza, la


morte di tante persone innocenti per una causa sostenuta ipocritamente, perché
corrotte dai discorsi di qualche pazzo visionario. Basterebbe per loro che la vita
diventi sola sopportazione e al termine di essa sentirsi vincitori per la propria
temperanza, rispetto delle regole, diligenza; quindi si vive senza dare fastidio,
scivolando su ogni tipo di insulto, mancanza di rispetto, non riconoscimento delle
proprie capacità. La rivoluzione non serve dunque a vivere, ma solo a dare adito a
chi non sa gestire i problemi: alle donne, agli immigrati, agli operai, ai poveri,
ai malati di mente. Queste categorie si vittimizzerebbero infatti, accrescendo i
loro capricci a problemi universali e gridandolo per le strade perché tanto non
sono capaci di fare altro, perché tanto non hanno altro modo di spendere il proprio
tempo se non che cercando di attirare l’attenzione di politici, giornali, registi a
caccia del film strappalacrime con guadagno assicurato.

Peccato che però se un film commuove è perché ci si sente parte della vicenda, e
che se ha cospicuo botteghino è perché racconta la storia di tante persone e,
allora non rappresenta solo quelle solite categorie svantaggiate. La rivendicazione
dei propri diritti è qualcosa che riguarda tutti perché se tutte le persone
avessero gli stessi diritti i problemi della crisi umanitaria in Afghanistan, Iraq
e Siria, il problema della differenza salariale, di una donna non venga assunta
perché potrebbe rimanere incinta nemmeno esisterebbero.

Pertanto per sconvolgere la nostra società non servono falce e martello, nemmeno
delle armi vere. Ci basta il voto, prendere parte attiva alle decisioni che lo
Stato ci chiama a prendere, votare fieri e fiere per chi, come le suffraggette di
Emily Punkhurst, aveva lottato sulle propria pelle per permetterci di esprimere una
preferenza, per essere rappresentati nel parlamento, per essere sostenitori di
riforme più grandi.

Quindi non dimentichiamoci quel sacrosanto diritto di voto, informiamoci, leggiamo,


dialoghiamo, prendiamo scelte coscienti perché è questo il velato invito che lo
Stato ci offre per invertire il meccanismo.
La vera riforma sta nei piccoli cambiamenti attuati da ciascuno, perché ogni
tratto, ogni punto, sono essenziali per avere un quadro completo e migliore.

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