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Qyodlibet

Daniele Giglioli
Senza trauma
Scrittura dell'estremo
e narrativa del nuovo millennio
Daniele Giglioli

Senza trauma
Scrittura dell'estremo
e narrativa del nuovo millennio

Q!iodlibet
Indice

7 I. La ferita e la carne

27 II. Del genere

53 III. Dell'autofinzione

101 1v. Postilla: sintomi e feticci

113 Indice dei nomi

© 2011 Quodlibct Sri


Vi• Santa Maria della Porta, 43 - 62100 Mac,,rar,
www.quodlibet.it
I.
La ferita e la carne: situazione

Che il tempo in cui stiamo vivendo possa essere defi-


nito come l'epoca del trauma senza trauma; meglio anco-
ra, del trauma dell'assenza di trauma. E che la sua lettera-
tura rechi testimonianza di ciò attraverso il ricorso a una
po..s.U!!a condivisa che chiameremo scrittura d~/l'.~stremo.
Le pagine eh~seguono sono il tentati~o di verificare que-
sta ipotesi.
L'idea di trauma gode oggi di una fortuna senza pre-
cedenti. Risuona ovunque: nella comunicazione corren-
te, nel linguaggio giornalistico, negli studi umanistici e
nelle scienze sociali. Del trauma si occupano letterati,
psicologi, sociologi, politologi e filosofi. Al trauma si
intitolano riviste e convegni, monografie e dipartimen-
ti universitari, e perfino una neonata disciplina come i
Trauma
., ,. ...... ..Studies. Ma più ancora, al trauma ricorre con
frequ·enza ossessiva il linguaggio quotidiano quando
vuole sottolineare l'intensità emotiva di una notizia, di
un evento, di uno stato d'animo.
È un'inversione diametrale del valore del termine,
un'eversione della sua stessa etimologia: in greco anti-
co, trauma significa ferita, buco, strappo, scucitura. Ma
anche dell'uso tecnico che ne ha fatto la clinica, là dove
8 · SENZA TRAUMA LA FERITA E LA CARNE: SITUAZIONE 9
il concetto è sempre servito a· designare la reazione disagio della civiltà. Mai il trauma come possibilità
affettiva generata da un evento troppo scioccante e effettiva è stato tenuto a bada, controllato, guardato a
catastrofico per poter essere accolto nel flusso di vista come nella società in cui viviamo.
coscienza, ricordato, nominato, comunicato, e dunque Eppure è sulla bocca di tutti. Non vivendo traumi, li
accettato e dominato. Trauma era ciò di cui non si può immaginiamo ovunque. È come se fossimo così trauma-
parlare. Trauma è oggi tutto ciò di cui si parla. Da tizzati dall'assenza di traumi reali da doverci costringe-
eccesso che non poteva giungere al linguaggio ad re a inseguirli ansiosamente in ogni situazione immagi-
accesso privilegiato alla nominazione del mondo. Da naria possibile. Immaginaria o perché fittizia, o perché
luogo di sprofondamento a istanza di emersione, di comunque accessibile soltanto in absentia, da lontano,
certificazione, di autenticazione del senso. Trauma, non qui. Guerre ed epidemie, calamità e disastri vanno
ovvero esperienza veramente vissuta, significativa, bene anche nella realtà, sempre che, beninteso, capitino
degna di essere trasmessa, commentata, condivisa. f:_a ad altri, e a patto che tra quegli altri e noi ci sia il filtro
ferita è diventata la carne. rassicurante dello schermo, cinematografico, televisivo
Paradossale°è'èhe a~cada nella nostra epoca. Un'epo- o del persona! computer.
ca in cui le occasioni di trauma sono state respinte ai Sarebbe sbagliato liquidare il fenomeno come mero
margini dell'esperienza quotidiana come mai prima nel- voyeurismo di fronte a ciò che Susan Sontag ha chia-
la storia della specie umana, almeno per quanto riguar- mato appunto «il dolore degli altri», o come un'inap-
da le nostre opulente società dei consumi. Niente più petenza alla normalità di palati resi blasé dall'eccesso di
guerre qui da noi, carestie, epidemie, conflitti religiosi. sicurezza alimentare. C'è ben altro in gioco. Il punto è
Ingentilimento dei costumi, diritti dell'uomo, stato che dal trauma immaginario (ovvero dall'immaginario
sociale, compassione diffusa. Mai la vita umana è stata traumatico) attingiamo incessantemente le categorie
così protetta, tutelata, santificata a valore assoluto. Mai con cui dar forma a un'esperienza, la nostra, che in
alla felicità e all'infelicità del singolo è stata data tanta generale di traumatico ha ben poco. Rappresentiamo il
importanza. Il trauma è a rigore la traccia di un evento non traumatico sotto le spoglie del trauma. L'eccezio-
depositatosi nel corpo in quanto non ha potuto essere ne è la regola. Senza il linguaggio del trauma - che a
accolto nel linguaggio. Ma i nostri corpi sono ben cura- rigore dovrebbe essere un buco, un difetto, un falli-
ti. Nessuna delle generazioni che ci hanno preceduto ha mento del linguaggio - non abbiamo più niente da dire
conosciuto una situazione di maggiore agio. Tutto è su ciò che ci circonda.
cura, tutela, comprensione, diritto alla felicità. La feli- 11a è proprio quest9 ad essere traumatico. Come
cità è anzi un dovere. Che si sia infelici fa notizia e scan- definire altrimenti un immaginario che senza il ricorso
dalo. Non è più ammesso, non è più decente chinare il alle sue zone estreme non ha più alcuna presa sul mon-
capo alla Moira greca, alla colpa di Adamo, al freudiano do? Come pensare un'esperienza quotidiana che senza
· IO SENZA TRAUMA LA FERITA E LA CARNE: SITUAZIONE ·1 I
il travestimento dell'estremo, dell'osceno, dell'incom- sembra offrirsi la possibilità di conferire senso e forma
mensurabile, non ritiene di avere più alcuna dignità di alla nostra esperienza impoverita. È q~ell'assenza che va
rappresentazione? Da motivo di destrutturazione il assolutamente detta, non benché ma proprio perché
trauma è diventato un elemento fondante, strutturante, impossibile da dire. A questo fine poco vale la selva di
identitario. Prova ne è che l'identità contemporanea rie- cliché, la coltre di luoghi comuni associati che corrode
sce a pensarsi solo tramite il disposi?vo deH'identifica- come ruggine la nostra comunicazione quotidiana. Lo
zione vittÌmaria. Io sono ciò che ho subito. E se non ho sentiamo appena ci escono di bocca: suonano falsi quan-
subito nulla sono nulla. Al vissuto, al centro esatto del to più pretendono di essere veri. Ma scarso aiuto può
vissuto, manca qualcosa di decisivo. Qualcosa di intra~- venirci anche da sociologia, psicologia e altre scienze
tabile, irriducibile, impossibile: per questo devo conti- umane, troppo tolemaicamente impegnate sulla questio-
nuamente mendicare immagini e parole da esperienze ne dello smaltimento del trauma effettivo. A loro il com-
che non solo non ho vissuto, ma che non potrei mai in pito di indagare come un'esperienza quotidiana possa
coscienza auspicare di vivere davvero. essere resa inservibile da uno choc reale, e se possibile di
L'inauspicabile si fa desiderabile. L'indicibile gram- trovare dei rimedi. A noi interessa interrogarci sulla
matica. Per questo la Shoah, il genocidio nazista degli situazione opposta, e cioè una quotidianità divenuta essa
ebrei, è divenuta una sorta di metafora radicale, un para- stessa, in quanto non dicibile, una continua causa di choc.
digma attraverso cui l'ideologia contemporanea pensa È qui che entra in gioco la letteratura. Mallarmé
la storia umana, e spesso anche il destino, la natura stes- diceva che suo compito è offrire un senso più puro alle
sa della nostra specie. Per questo assistiamo a quel per- parole della tribù. Proust e Kafka la pensavano come il
verso e vergognoso fenomeno che Jean-Michel Chau- solo antidoto alla menzogna insita nel fatto stesso di
mont ha chiamato «la concorrenza delle vittime». Il mio parlare. Convochiamola ancora una volta a questa sfi-
genocidio è stato peggio del tuo. Il' mio però è comin- da. Si tratta di vedere in che misura essa possa aiutarci
ciato prima. Sì, ma il mio è durato di più. Chi ha avuto a dare forma e materia a qualcosa che è insieme neces-
la fortuna di non essere internato ad Auschwitz ci va in sario e impossibile da esprimere. Far luce sopra questo
gita, e intanto interroga ansiosamente l'album di fami- arcano è il punto d'onore su cui si misura la letteratura
glia nella speranza di trovarvi traccia di qualche antica e del presente.
preziosa ingiustizia, sopraffazione, discriminazione.
Dove nulla e nessuno può più farci grande torto, guai a
non avere torti da recriminare, e identità di vittime da La scrittura...
rivendicare.
, . Solo attraverso lo splendore straniato di un'assenza - Eraldo Affinati, Niccolò Ammaniti, Silvia Ballestra,
· '. il trauma che non subiamo, le vittime che non siamo - Alessandro Bertante, Gianni Biondillo, Massimo Car-
I2 SENZA TRAUMA LA FERITA E LA CARNE: SIT UAZIONE I3
lotto, Mauro Cov·~cich, Giancarlo De Cataldo, Diego Roland Barthes alla fine degli anni quaranta ma tuttora
De Silva, Valerio Evangelisti, Giorgio Fontana, Anto- perfettamente funzionante (e a torto dimenticata). La
nio Franchini, Giuseppe Genna, Helena Janeczek, Raul scrittura non va confusa con la lingua né con lo stile. La
Montanari, Antonio Moresco, Gianluca Morozzi, Aldo lingua è l'orizzonte comune e intrascendibile di ogni
Nove, Tommaso Ottonieri, Tommaso Pincio, Gilda singola collettività umana. Parliamo italiano, o france-
Policastro, Laura Pugno, Isabella Santacroce, Roberto se, o hindi: il lessico e la sintassi sono dati, li riceviamo,
Saviano, Tiziano Scarpa, Antonio Scurati, Walter Siti, ci nasciamo in mezzo. Lo stile è invece l'espressione per
Emanuele Trevi, Vitaliano Trevisan, Simona Vinci, Wu così dire biologica di un'individualità irrelata. È prodot-
Ming ... Cosa li accomuna, loro e tanti altri che avrem- to di un impulso e non di un'intenzione, è qualcosa di
mo potuto nominare? irriducibile, di fisico, di fisiognomico, è un'impronta
Quasi nulla. Sono contemporanei. Operano negli anni digitale, una grana della voce. Anche in esso si nasce, per
zero. Si sono formati per lo più tra gli anni ottanta e quanto si possa lavorarlo. Tutt'altra cosa la scrittura.
novanta del secolo seorso. A parte qu~sto sono diversis- Essa è piuttosto il risultato di una presa di posizione, è
simi tra loro per formazione culturale, orizzonti ideolo- il luogo - scrive Barthes - di un «impegno» e di una
gici, universi stilistici. Non sono nemmeno necessaria- «libertà», è «la scelta di un comportamento umano, l'af-
mente oggetto di predilezione personale da parte di chi fermazione di un Bene determinato». Lingua e stile
scrive, e meno che mai la meditata risultante di una serie sono «due forze cieche; la scrittura è un atto di solida-
di giudizi di valore. Sgombriamo il campo da ogni equi- rietà storica» che lega la parola dello scrittore «alla vasta
voco: chi è alla ricerca di un canone, di una classifica o di Storia degli altri».
una tabellina, è pregato di lasciare immediatamente que- Quanto dire che una scrittura è il risultato della com-
ste pagine. Per giocare al chi c'è e chi non c'è ci sono sedi binazione di una lingua e di uno stile messi in situazio-
più titolate. Qui si fa tutto un altro gioco. ne, una combinazione che può essere definita solo dal-
Eppure esiste tra le opere di questi autori una somi- !'esterno di se stessa, sulla base del rapporto con ciò che
glianza di famiglia, una rete di affinità, una postura con- ne sta fuori, la circoscrive, la eccede: un mondo comu-
divisa, un repertorio di atteggiamenti - più che di idee o ne degli uomini rispetto al quale prendere posizione,
di soluzioni espressive - che chiameremo in mancanza assumere un contegno, disciplinare una mimica. Chiun-
di meglio la scrittura dell'estremo. que può entrarci e nessuno la esaurisce. Una lingua si
Definire di c!Ìe si tratta non è facile, come sempre parla, uno stile si manifesta, una scrittura si adotta o si
accade quando una cosa inizia a esistere soltanto nel abbandona: ma finché ci si è dentro la si scrive almeno
momento in cui la nominiamo come tale. Vediamo quanto se ne è scritti, identificati come da un patto che
intanto perché scrittura e non stile, forma o genere. Ci si è scelto di sottoscrivere. Per definirsi ha bisogno di
soccorre una distinzione tra scrittura e stile fatta da un aggettivo. Lo stile è sempre "di" qualcuno. La scrit-
14 SENZA TRAUM#- LA FERITA E LA CARNE: SITUAZIONE I5

tura è invece quella classica (il grand siècle francese), ideologia. È un performativo, un enunciato che produ-
queUa naturalistica (Zola, Maupassant .. . ), quella di ce ciò che dice. È il nome di un'operazione, la traccia
«grado zero» (contemporanei di Barthes come Albert scritta di un gesto, il diagramma del rapporto tra una
Camus, Maurice Blanchot, Jean Cayrol). Oppure la tensione e l'azione in cui si scarica.
nostra, appunto, estrema, dell'estremo. Da cosa nasce questa tensione? Da un disagio, da
una sofferenza, da una crisi - non cominciata oggi,
d'altra parte - dei rapporti tra letteratura e .mondo.
. . . e l'estremo Molti ostacoli si frappongono a questo matrimonio.
Intanto il lutto mai definitivamente elaborato dell'au-
L'estremo non è un repertorio tematico - per esem- toreferenzialità modernista e avanguardistica, secondo
pio la violenza, il sangue, l'abiezione, attraverso cui può cui l'opera è un messaggio che indica in primo luogo
manifestarsi ma in cui non si risolve. Né un'opzione se stesso. Poi l'indebolimento delle barriere tra realtà
preferenziale per soluzioni stilistiche di oltranza espres- e finzione che sta dietro a molte delle poetiche
siva - anche se non tutte le forme e i generi ne sono sta- postmoderne, con il suo corredo di pastiches, citazioni,
ti ugualmente investiti, come vedremo. E non è nemme- ibridazioni, intertestualità forsennate, dissoluzione del
no un archivio di enunciati ideologici, che lo nominano soggetto, perdita di profondità. E più in generale quel-
ma non lo circoscrivono, e ne sono determinati più di la mescolanza di scetticismo nichilista e di realismo
quanto lo determinino. È piuttosto un movimento, una ingenuo che fa da liquido amniotico al senso comune
tensione verso qualcosa che eccede costitutivamenteÌ di una società in cui l'immagine del mondo è stata qua-
limiti aella: rllppres~iitazione. Non perché si incarni in si interamente requisita dai mass media. Non crediamo
un'alterità incommensurabile, come il selvaggio del rac- a nulla e ingoiamo di tutto. Ci è quasi impossibile sta-
conto d'avventura, il mostro della letteratura fantastica, bilire un ordine di preferenze motivate, una gerarchia
l'alieno della fantascienza; ma perché è sottoposto verificabile che non sia idiosincratica o al contrario -
all'ingiunzione contraddittoria di essere insieme presen- ma è lo stesso - acriticamente ricevuta. In quella che
te e inafferrabile. È il rappresentante, il porta parola, il Antonio Scurati ha chiamato l'età della compiuta «ine-
luogo-tenente (per parafrasare Heidegger) della vita nel- sperienza», la realtà si dissolve tra le dita di chiunque
!'epoca del trauma senza trauma. N<m,viene da fuori ma voglia raccontarla, stretta com'è tra la Scilla del relati-
da.d~p.tro, Non è altrove; è qui, onnipresente e inaffer- vismo (a ciascuno la sua realtà) e la Cariddi del cliché,
rabile. Non si presta a entrare nel gioco differenziale che del luogo comune e della ripetizione.
presiede all'ordinato scambio dei segni. Ma proprio per-
ché non ha segni che lo indichino direttamente, genera
senza sosta un supplemento di discorso, immaginario,
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Dalla realtà al Rèale possiamo conoscerla, finisce, viene meno, perde i suoi
poteri. Il Reale ha la ndtura dell'evento, non del senso, o
La crisi dell'esperienza non è una novità degli anni meglio dell'evento senza senso, traumatico, in quanto
zero. La paternità del sintagma si deve a Walter Benja- non può essere elaborato, simbolizzato, reso nomina-
min. Il Novecento l'ha chiamata in molti modi: disin- bile. Un trauma, però, lo abbiamo già detto, che non
canto, meccanizzazione, povertà di spirito, inautentici- necessariamente dev'essere accaduto davvero. Anzi.
tà, malafede, falsa coscienza, reificazione, alienazione, «Nella cultura popolare come nel mondo accadexnico»,
simulacro, spettacolo, irrealtà. Ma ciò che per le genera- ha scritto un critico d'arte come Hal Foster in un libro
zioni novecentesche era stato possibilità, rischio, timo- intitolato appunto Il ritorno del Reale,
re, è diventato per quelle operanti oggi norma, habitus,
altra natura, condizione trascendentale di ogni attività il concetto di "trauma• scorre liberamente come un signifi-
pratica e simbolica. È il nostro ambiente, è la lingua da cante generico nell'organizzazione della soggettività e della sto-
cui siamo parlati prima ancora di essere in grado di par- ria stessa. Oggi, alcuni tra gli scrittori e i registi più provocatori
concepiscono l'esperienza secondo questa modalità paradossa-
larne, così come è solo la pressione dell'acqua a determi-
le, ossia come esperienza non vissuta, almeno non puntualmen-
nare la forma della macchia d'inchiostro emessa dalla te, perché arriva troppo presto o troppo tardi per essere registra-
seppia per difendersi dai suoi predatori. Di qui l'esigen- ta consapevolmente, e dunque può essere solo ripetuta compul-
za di individuare un supplemento, una fessura che per- sivamente o rimessa insieme dopo che il fatto è accaduto.
metta di squarciare quel velo di Maia della rappresenta-
zione in cui modernismo e postmodernismo, sia pure Ora, è precisamente questo che distingue una simile
con modalità diverse, avevano accettato tragicamente o modalità di trauma dallo choc che presiedeva alle poeti-
euforicamente di rinchiudersi. Se la realtà coincide sem- che moderniste da Baudelaire a Beckett. La modernità
pre più con la sua rappresentazione, allora bisogna tro- letteraria e artistica si è nutrita di un trauma effettivo -
vare un punto di fuga che la trascenda pur restandole indust rializzazione, inurbamento, secolarizzazione,
perfettamente complanare. Quel punto di fuga, quel modernizzazione tecnologica, guerre mondiali, arxni di
centro di collimazione, facendo tesoro di un distinguo distruzione di massa. Il nostro è un trauma fantasmati-
di Jacques Lacan, potremmo chiamarlo il Reale. co, presenza-assenza infondata ed efficace di qualcosa
A differenza della realtà, il Reale è ciò che resiste che può arrivare all'essere (e a dire l'essere che lo cir-
testardamente a ogni tentativo di simbolizzazione. È un conda) solo attraverso la sua continua convocazione
buco nell'ordine simbolico, è la «cosa» inevitabilmente immaginaria, prima ancora che nei contenuti, nella sin-
perduta, muta, ottusa, liscia, impredicabile. È l'incon- tassi sussultoria, paratattica, non lineare, tutta cut up e
tro che non si può non mancare, è il luogo in cui il lin- povera di nessi logici evidenti, dei mezzi di comunica-
guaggio, quel linguaggio che struttura la realtà per come zione di massa. La televisione è stata il nostro Vietnam,
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un bombardament; di immagini che non generano to del brutto o del grottesco (come nella modernità dai
esperienza ma la requisiscono, rendendola impossibile romantici in poi) ma del disgusto, ovvero di quella tona-
da descrivere senza il ricorso a immagini che nulla han- lità affettiva che secondo Kant non può in alcun modo
no a che fare con l'esistenza quotidiana. Pullula ovun- diventare oggetto di contemplazione estetica disinteres-
que un'immaginazione del disastro spicciolo. Non sia- sata, in quanto non permette di essere percepita e
mo stanchi, siamo in coma. Ogni notizia è una bomba. apprezzata per le sue qualità formali.
La situazione è sempre allucinante. Per fortuna certe Aristotele diceva che è virtù propria della mimesis
persone sono mitiche. Immagini immotivate. Arbitra- artistica far percepire come belle anche cose che nella
rie, anche se non casuali, mezzi banali per far fronte a realtà ci procurerebbero paura o ripugnanza, come una
una minaccia tutt'altro che banale. A questo reagisce fiera o un cadavere. Come sarebbe possibile altrimenti
quella parte della letteratura odierna che invece di tor- la tragedia? Ma qui si aspira a provocare lo stesso effet-
cersi le mani e vomitare bile - come nella modernità to del cadavere, a far collassare la cosa e il suo ritratto. Il
avrebbero fatto, davanti a questo sciocchezzaio, impla- folle, il serial killer, il cannibale (che dà il titolo a una
cabili persecutori del banale quali Flaubert o Kraus - fortunata antologia di giovani narratori, Gioventù can-
sceglie piuttosto di rincarare la dose. La scrittura del- nibale, uscita nel 1996), il disgustoso, l'abbietto si sfor-
!'estremo è il tentativo di i:imotivare a posteriori i segni zano di non essere più soltanto oggetti di rappresenta-
vuoti in cui ci rispecchiamo - con il rischio costante di zione, tentando di generare la stessa reazione che scatu-
rimanere imprigionati nello specchio. rirebbe dalla cosa rappresentata. Se la generazione di
Qui si giustifica la sua predilezione per la violenza, scrittori italiani che è fiorita negli anni ottanta deve mol-
per il sangue, per la morte (predilezione eventuale, lo to al nuovo cinema tedesco (Wim Wenders, Edgar
vedremo: non di tutti). Per il complotto, per il tradi- Reisz), al minimalismo americano dei Carter e dei Lea-
mento, per il segreto, per la paranoia. Ovvero per quel- vitt, al recupero di certi scrittori "laterali" come Gio-
la modalità di indistinzione tra soggetto e oggetto che vanni Comisso, Silvio D' Arzo, Antonio Delfini, gli
Julia Kristeva ha chiamato «abiezione», e Gayatri Spi- ispiratori di tanta letteratura italiana a cavallo degli anni
vak ha acutamente identificato come lo «stupido» che zero sono stati autori border-line come il James Ellroy
si nasconde sotto il «sublime», come sempre accade di American Tabloid e il Bret Easton Ellis di American
quando «la linea tra agente e oggetto vacilla,[...) quan- Psycho. Censendo fenomeni analoghi nel campo dell'ar-
do si vede se stessi come un oggetto, capace di distru- te contemporanea (body art, posthuman, sperimenta-
zione, in un mondo di oggetti, cosicché la distruzione f zioni cyborg), Mario Perniola ha parlato di un «realismo
degli altri è indistinguibile dalla distruzione di sé». Ma psicotico». Il segno aspira allo stesso statuto della cosa,
qui si comprende anche la ricerca, di cui la letteratura e
l'arte contemporanea danno così spesso prova, non tan-
. la rappresentazione è combattuta con le sue stesse armi,
il "dentro" delle cose viene estratto come si eviscera un
\1
LA FERITA E LA CARNE: SITUAZIONE 2.I
20 SENZA TRAUMA
cadavere da espo;;e alla luce autoptica del "fuori". La
r smo della parola letteraria condotta da Michail Bachtin
crudeltà è garanzia di autenticità, l'eccesso include la in quegli stessi anni arrivava a conclusioni analoghe.
norma, la verità non è sotto la pelle ma è la pelle nel Non si è mai fuori dalla lingua (dall'immaginazione,
momento in cui viene strappata. dall'ideologia, dal desiderio) degli altri. E tanto meno lo
si può essere in un'epoca che ha messo tutta la sua ani-
ma al servizio di una sistematica socializzazione dell'im-
( maginario: dalla merce feticizzata attraverso la sua
Il quotidiano inservibile I
I immagine all'immagine come regina delle merci.
Ma non è così facile sottrarsi alla presa degli stereo- Ciò è tanto più vero per l'Italia, alla cui letteratura
tipi. Intanto per una elementare ragione di medium. non soccorre più con l'efficacia di un tempo la nostra
Artisti come gli ilzionisti viennesi, Vito Acconci, Gina lingua nazionale. Quella presente è forse la prima gene-
Pane, Orlano Franko B possono davvero mettere in razione di scrittori che si affaccia sulla scena della lin-
scena il proprio corpo ferito, tagliuzzato, coperto di gua in un contesto definitivamente italofono. Le fati-
lividi, invaso da innesti tecnologici e chirurgici. Gli cose quanto creative negoziazioni col dialetto che gli
scrittori hanno solo le parole e la parola cane notoria- autori italiani da Manzoni a Fenoglio hanno sempre
mente non morde. In secondo luogo perché anche la più dovuto intrattenere non sono più necessarie. Col para-
outrée delle performance resta pur sempre all'interno di r dosso, però, che l'italiano è divenuto finalmente una
una cornice istituzionale prefissata (mostra, museo, tea- I lingua standard, parlata e scritta dalla maggioranza dei
tro). Per quanto tenti di dilatare all'infinito i propri con- cittadini, nel momento in cui l'immaginario nazionale
fini, inevitabilmente circondata da confini (estetici) ( si è fatto sempre più globalizzato e sempre meno speci-
I
rimane. Per andare a vederli tagliuzzarsi si paga il ficamente italiano, tributario com'è della pop culture
biglietto. Figurarsi gli scrittori. Infine, ed è l'argomento americana, per di più a dominante non verbale ma visi-
decisivo: perché mai come in questo passaggio di mil- va. A rigore, un immaginario italiano non esiste più. Le
lennio l'ecumene umana è stata ricoperta per intero da differenze permangono ma non rilevano. Le psicologie
una semiosfera di segni, di messaggi, di immagini e di si adeguano. Non è più un'opzione redditizia per lo
narrazioni che la unificano in un mediascape (come lo scrittore il perseguimento di quella psicologia indivi-
chiama Arjun Appadurai) globale e omnipervasivo. La duale raffinata e idiosincratica - rivelata e insieme pro-
pretesa romantica e avanguardistica di istituire una sor- dotta, diceva Proust, dalla «grande architettura incon-
ta di parola zero, insocievole, innocente e idiosincratica scia dello stile» - che era stata la via regia della grande
si è rivelata per quello che era: un'ideologia. Già nel narrativa del Novecento. Il profondo e la superficie
1936 Jean Paulhan l'aveva chiamata «terrorismo», o coincidono asintoticamente, i moti passionali sono
«terrore nelle lettere». E tutta la riflessione sul dialogi- sempre più standardizzati, l'identità è un intreccio tipi-
22 SENZA TRAUMA
.
LA FERITA E LA. CARNE:
. .. SITUAZIONE 23
co, la finzione so.ciale attraversa il costituirsi di qualun- comunemente denominata autofin:Ìiòne (e le forme
que singolarità. . ., . miste, ibride, a ·essa affini come il memoir, il reportage
Qui si comprende dunque come mai c10 che a ngo- d'autore, il saggio a dominante narrativa).
re dovrebbe essere temuto come il fuoco (il Reale, e il Perché queste fQrme ~-non altre? Intanto perché la
trauma che inevitabilmente ne deriva) diventi invece grande fortuna editoriale di cui godono indica che
oggetto di ·supremo desiderio. Al Reale ind icibile fa rispondono a un bisogno diffuso, profondo e condiviso.
appello chi si sa prigioniero senza scampo della lingua E poi perché nell'immagine dell'una si possono coglie-
(anche perché, come sapeva Humboldt, non si esce da l
re con esattezza speculare i tratti fisiognomici dell'altra.
una lingua che per entrare in una lingua differente). Ciò Nascono gemelle. L'assunto da cui muovono è il mede-
che attraverso di esso si ricerca è l'interstizio, il luogo simo: la ~l~es~tabilità_dell'esperienza. Il
senza luogo attraverso cui prendere la parola quando ci "genere" risponde accetian~ttlm~ida di
si sia resi conto di non avere altro materiale da costru- calarsi nella finzionalità più scoperta: ne espone i con-
zione fuori dalla sterminata distesa di immagini e cliché trassegni, ne rivendica la natura formulaica, ne espone
che fungono da ossatura morfologica al modo in cui si orgogliosamente la struttura e la tematica stereotipa.
forma la rappresentazione dell'esperienza. A questo L'autofinzione incunea invece una pretesa di autentici-
fine, neanche la malafede del trauma senza trauma è un tà (il nome proprio dell'autore come protagonista e
prezzo troppo alto. responsabile delle vicende e dei pensieri narratQ all'in-
terno di una compagine testuale che rivendica però il
diritto all'invenzione. La realtà è autenticata dal nome
L'osceno proprio; il nome proprio è travisato dalla fiction; la fic-
tion destituisce la realtà.
Le strategie possono essere molteplici, a volte impli- La stessa frontiera è attraversata in senso inverso. I
cite, non sempre necessariamente consapevoli. Ne romanzi di genere che prenderemo in esame ambisco-
seguiremo due, in apparenza opposte, in realtà comple- no a proporsi, sotto il velo della finzione, come una vera
mentari. Partono entrambe dallo stesso presupposto: né e propria controstoria dell'Italia contemporanea, rac-
la realtà inservibile né il Reale indicibile possono essere contata attraverso il ricorso sistematico a quella temati-
guardati in faccia, come il sole e la morte di La Roche- ca del segreto, del mistero, del tradimento e del retro-
foucauld. È necessaria ~4i,-aggira~~!1!Q! una scena che è il primo articolo in carta costituzionale del-
sorta di manovra a tenaglìa. Da una parté il-i"ecupèro la narrativa di genere. La fiction pretende di svelare una
della letteratura cosiddetta "di genere": giallo, noir, fan- verità che i metodi di conoscenza ad essa ordinariamen-
tascienza, romanzo stor.ico, e le loro mescolanze. Dal- te applicati (storia, sociologia, filosofia, riflessione poli-
l'altra la nebulosa dai contorni incerti che viene ormai tica) non riescono ad afferrare. L'autofinzione segue la
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via opposta. All'interno della vita vera del suo autore, mio di seduzione. Chiedersi se piace o non piace è una
introduce quell'instabilità categoriale che si determina domanda lecita ma frivola. Non è questione di gusto o
quando il nesso tra realtà e finzione si fa evanescente, di sapore. La interroghiamo qui alla luce della sua por-
nella convinzione che quel nesso è già a tal punto intac- tata di verità storica. «Il frutto nutriente di ciò che vie-
cato nella vita reale da poter essere colto solo attraverso ne compreso storicamente - ha scritto Walter Benjamin
una sorta di magia Oq].,eopai1éa. ·: •.. - ha al suo interno come seme prezioso ma privo di
Fulcro archimedico comune è quella che potremmo sapore il tempo».
denominare una strategia dell'oscenità. Osceno, alla let-
tera, è ciò che non dovrebbe essere detto, ciò che
dovrebbe sempre e comunque restare fuori scena. Nota
L'oscenità del genere consiste nella pretesa, anch'essa Sull'idea di trauma la bibliografia è già imponente. Mi limito a
omeopatica, di contrapporre la menzogna alla menzo- segnalare, per una prima informazione sulle uscite più recenti, con l'ov-
gna, la finzione alla finzione: scoperchiando i complot- via esclusione dei classici della psicoanalisi e della psicologia: Cahty
ti coi complotti, tradendo i traditori, raccontando le f: Caruth, Unclaimed Experience: Trauma, Narrative and History, The
Johns Hopkins University Press, Baltimore 1006; Dominick La Capra,
favole ai bugiardi. Quella dell'autofinzione punta inve- Writing Hi.story, Writing Trauma, The Johns Hopkins Unversity Press,
ce sull'impudicizia di porre l'Io reale dell'autore là Baltimore 2001; Aleida Assmann, Ricordare. Forme e mutamenti della
dove non dovrebbe stare, nella zona di tutti e di nessu- memoria culturale, il Mulino, Bologna 1001; Judith Butler, Violenza, lut-
to, politica, in Daniela Daniele (a cura di), Undici settembre. Contro-
no in cui si mescolano realtà e invenzione. Per entram- narrazioni americane, Einaudi, Torino 2003; Jeffrey C. Alexander (a
be, r-![>_presentare è sempre un processo di effrazione, cura di), Cultura/ Trauma and Colletcive ldentity, University of Cali-
a
chiamato produrre intertsità affettive disturbanti, e fornia Press, Berkeley 2004; Jill Be.nnett, Empathic Vision: Affect, Trau-
ma and Contemporary Art, Stanford University Press, Stanford 2005;
insieme il rimedio che le cura. Da una parte l'angoscia
Lisa Saltzmann, Making Memory Matter: Strategies of Remembrance in
paranoica del genere (sospettate di tutto! niente è come Contemporary Art, University of Chicago Press, Chicago 1006; Vita
sembra!), cui si applica il farmaco della promessa di Fortunati, Daniela Fonezza, Maurizio Ascari (a cura di), Conflitti. Stra-
sapere. Dall'altra la vergogna per l'eccesso di prossimi-
tà schizofrenica dell'autofinzione-se è vero come dice
Baudrillard che schizofrenico è colui che è troppo
esposto al mondo, senza filtri e barriere che lo scher-
mino - , lenita dalla dolcezza di veder soddisfatto l'im-
I tegie di rappresentazione della guerra nella cultura contemporanea, Mel-
temi, Roma 1008; Centro Psicoanalitico di Roma, L'impronta del trau-
ma. Sui limiti della simbolizzazione, Franco Angeli, Milano 2009.
Del dolore degli altri discute Susan Sontag in Davanti al dowre degli
altri, Mondadori, Milano 2003, cui è necessario aggiungere almeno Luc
Boltanski, Lo spettacolo del dolore, Cortina, Milano 2000. La concor•
renza delle vittime è una formula bruciante,_di Jean-Michel Chaumont,
pulso a confessare: si confessa la menzogna anche La concurrence des victimcs. Génocides, identités, reconnai.ssance, La
quando si dice la verità. Al netto della riuscita artistica Decouverte, Paris 1997. Una bibliografia sulla Shoah come paradigma
delle singole opere, quella della letteratura dell'estremo biopolitico non può qui nemmeno essere abbozzata: ma il fenomeno sal-
ta all'occhio. Chi scrive ha tentato di decostruire la mitologia vittimaria
è un'aspra musica che mette a rischio qualunque pre- nelle ultime pagine di Daniele Giglioli, All'ordine del giorno è il terrore,
2.6 SENZA TRA1JMA
Bompiani, Milano 1007, e si propone di ritornare prima o poi sull'argo- Il,
mento con una più ampia e articolata Critica della vittima.
La distinzione tra lingua, stile e scrittura si legge in Roland Barthes, Del genere
li grado zero della scrittura, Einaud~ Torino 1006 (ma la prima ed. fran-
cese è del 1953). La proposta di considerare l'estremo come un perfor-
mativo, ovvero come un'operazione più che come un tema o uno stile,
è esplicitamente ricalcata da un'idea di Georges Bataille, attraverso cui
due storici dell'arte come Yves-Alain Bois e Rosalind Krauss (l'informe.
Istruzioni per l'uso, Bruno Mondadori, Milano 1004) hanno tentato di
(de)classificare una serie di fenomeni dell'arte contemporanea, da
Cézanne ai giorni nostri.
Il concetto di inesperienza lo ricavo da Antonio $curati, la leuera-
iura dell'inesperienza. Scrivere romanzi al tempo della televisione, Bom-
piani, Milano 2006. La distinzione tra realtà e Reale è una delle idee car- La fortuna attuale della lettèratura di genere non si
dine del pensiero di Jacques Lacan (la si veda soprattutto in Il seminario. deve solo al fatto che da sempre, come insegnavano i
libro VII. l'etica della'psicoanalisi, Einaudi, Torino 1008), ed è ripresa
da uno storico dell'arte come Hai Poster in Il ritorno del reale. L'avan-
formalisti russi, quando le vie principali sono chiuse le
guardia alla fine del navecento, Postmedia, Milano 2007, e in Design & poetiche vanno alla ricerca di un terreno di minor resi-
crime, Postmedia, Milano 1003, da cui è tratto il brano citato. stenza. Né è sufficiente dire che il genere, con la sua sin-
Su abiezione, stupidità e disgusto rimando a Julia Kristeva, Poteri tassi narrativa fortemente normata e prevedibile, rap-
de/l'orrore. Saggio sull'abiezione, Spirali, Milano 1982; Carole Talon-
Hugon, Gout et dégout. l'art peut-il tout montrer?, Jacqueline Cham- presenta agli occhi degli editori e del pubblico una
bon, Nimes 1003; Gayatri Chakravorcy Spivak, Terrore. Un discorso garanzia di maggiore leggibilità, e dunque vendibilità.
dopo l'JJ settembre, «Aut Aut», 359, 2006. Di «realismo psicotico• si
parla in Mario Perniola, l'arte e la sua ombra, Einaudi, Torino 2000.
Decisivo è il fatto che in quasi tutti i~cos.iqdetti .generi
La nozione di mediascape si deve a Arjun Appadurai, Moderniti: in (giallo, noir, thriller, ho\-ror, fantascienza, fantapolitica,
polvere, Meltemi, Roma 1004. Per il nesso Paulhan-Bachtin si fa riferi- romanzo storico ... ).l'estremo~ un _ingr.ediente obbliga-
mento a Jean Paulhan, / fiori di Tarbes, Marietti, Genova 1.989 (ma la
prima ed. francese è del 1936) e a Michail Bachtin, Estetica e Romanzo,
to, l'eccezionalità è di casa;"mentre il quotidiano è desti-
Einaudi, Torino 1979, e l'autore e l'eroe, Einaudi, Torino 2000. mito di interesse. Alimento primo della narrazione di
La citazione di Walter Benjamin è tratta da Sul concetto di storia, genere è ciò che tanto l'autore quanto il lettore non han-
Einaudi, Torino 1997.
no né visto né vissuto. I giallisti non sono detective, gli
autori di fantascienza non hanno visitato altri pianeti,
nel medioevo o nel risorgimento gli scrittori di roman-
zi storici non c'erano, e nemmeno i loro lettori. Che poi
molti sottopongano i loro testi a un sovrainvestimento
allegorico (alla Dick, alla Gibson, alla Ballard), con l'in-
tento di trasmettere un "messaggio" latamente politico
attraverso loro finzioni, è un fatto che non va ignorato
SENZA TRAUMA DEL GENERE
ma nemmeno so"pravvalutato. Non è mai l'allegoria novecenteschi come Gadda, Di.irrenmatt, Sciascia e
l'esca principale della fabulazione narrativa. Non è que- Robbe-Grillet. Le norme sono rispettate, il lettore ha
sto che i lettori le chiedono. ciò che si aspetta, le sue capacità mnemoniche e previ-
Provengono dal giallo o dal noir (una distinzione più sionali non vengono sollecitate all'eccesso. Ma l'appro-
tonale che tematica) autori come Andrea Camilleri, Car- do non è né il trionfo della ratio del giallo classico, né il
lo Lucarelli, Giancarlo De Cataldo, Girolamo De Miche- disorientamento labirintico promosso dal suo riuso
le, Giuseppe Genna. Grondano sangue di chiara prove- modernista (intrecci che non si chiudono, detective più
nienza hard boiled i romanzi di Niccolò Ammaniti (che vi filosofi che sbirri, voyeurs accecati dalla loro stessa
ha sacrificato un genuino e rarissimo talento comico, stra- capacità di visione). La partita si gioca su un altro piano.
bordante in un libro d'esordio come Branchie, 1997). Dal-
la fantascienza classica, di cui è un maestro riconosciuto,
prendono avvio I cicli narrativi di Valerio Evangelisti. I1 Saperla lunga
romanzo storico ha conosciuto negli ultimi anni esiti
significativi grazie al lavoro di autori come il collettivo Scrittori come Genna, Lucarelli, De Cataldo, De
Wu Ming (ex Luther Blisset) o Antonio Scurati. Ma Michele aspirano, attraverso i loro noir, a redigere una
romanzi storici hanno scritto anche Camilleri, Evangelisti, controstoria dell'Italia contemporanea. Una storia cri-
Lucarelli e Genna, mentre Scurati ha ottenuto finora il suo minale, va da sé, ma ciò che più conta segreta, occulta-
maggior successo con un libro come Il sopravvissuto ta, depistata: le cose non sono come sembrano, da qual-
(2005), dove un fatto di cronaca nera diventa lo spunto che parte c'è qualcuno che tira le fila, un grande vecchio,
per una sofferta interrogazione autobiografica. Gli stessi una centrale nascosta. Più che ai romanzi di Pynchon e
autori attraversano più generi, e così i loro testi. DeLillo, dove la facoltà di iniziativa del singolo viene
Non si tratta della fin troppo menzionata ibridazio- resa imponderabile dal suo dissolversi nell'entropia di
ne o mescolanza dei generi. C'è piuttosto un tentativo, una complessità sociale che non permette alcuna sinte-
consapevole e spesso esplicitamente teorizzato, di for- si, è alle affabulazioni paranoiche di Philip Dick che
zare il genere ad essere qualcosa di diverso da se stesso, un'opzione narrativa come questa si rifà. La centrale
costringendolo a testimoniare, più che a rappresentare, occulta esiste sul serio. Esiste da qualche parte qualcu-
uno spettro di possibilità più ampie di quelle che pre- no che sa, può, agisce e decide: solo, non siamo noi.
siedono alla sua genesi. Nei suoi esiti più felici, la scrit- Ecco perché non contiamo nulla, non sappiamo nulla,
tura di questi autori mette capo a una vera e propria per- non possiamo nulla. L'onniscienza del narratore è il
versione del genere, che non passa più attraverso il sov- pendant dell'impotenza del lettore.
vertimento delle sue regole formali e del suo statuto epi- Al lettore, d'altra parte, non viene offerta più, come
stemologico, come avevano fatto con il giallo autori accadeva nel romanzo popolare classico, alla Sue o alla
DEL GENERE 3I
30 SENZA TRAUMA
.. ~

ni, som~ari _e passaggi di ra~cordo. Che si esprima in


Dumas, la possibilità di consolarsi identificandosi in
terza o m prima persona, chi parla è uno che la sa lun-
qualche superomistico vendicatore più o meno
ga. La focalizzazione ristretta, dove c'è, non costitui-
mascherato. Gli eroi della nuova narrativa di genere
sce mai una contrainte vincolante, ma piuttosto un sur-
sono raramente tali, almeno nell'azione. Il loro vero
plus di autorevolezza, una garanzia di presenza sul luo-
trionfo, quando c'è, avviene sul piano cognitivo, e a
caro prezzo. Perché la realtà con cui si confrontano è ~? della se~~~- E anche il discorso dei personaggi
1mportant1 e spesso portatore di un sapere esibito
conoscibile solo nella misura in cui si rivela inoperabi-
che si comunica al lettore attraverso la rivelazione, 1~
le, inagibile, estraniata. Al posto della realtà, campeg-
svelamento di un segreto.
gia davanti allo sguardo del soggetto un Reale intangi-
Ma al segreto si ha accesso più per condivisione ini-
bile, irrappresentabile, alla lettera impossibile, al cui
ziatica che per intraprendenza investigativa, che è buo-
fantasma si può·dare forma solo facendo ricorso al regi-
stro dell'immaginario più sfrenato e irresponsabile, alla na tutt'al più, di solito, per dimostrarsi degni di essere
ammessi a partecipare al mistero. Così parla il Grande
finzionalità più inverificabile, fino a postulare un uni-
Vecchio all'investigatore che vorrebbe incastrarlo, in De
verso altro esente da ogni controllo intersoggettivo e
governato solo dalle regole della sua coerenza interna: Cataldo, Romanzo criminale (2002):
il complotto universale in cui tutto torna, la stanza dei
Presto ci saranno cambiamenti. Li sfrutti. Lei sarà la varian-
bottoni dove tutto si sa e tutto si decide, e dove il nar- te impaz_zita. _No~ dia giustificazioni a nessuno, se ne freghi di
ratore onnisciente, già proscritto da quasi tutte le poe- rutto e d1 tum. C1 saranno cambiamenti, poi rutto tornerà come
tiche novecentesche e ora reintegrato nella pienezza prima. Peggio di prima. La porca umanità non cambia mai.
delle sue prerogative, penetra come e quando vuole. Da
questo centro, insieme troppo vuoto e troppo pieno, si Una rivelazione cui spesso si aggiunge il corollario
diparte un fascio di soluzioni linguistiche, stilistiche e della generalizzazione, della massima, della sentenza
narrative che ci permettono, al di là delle differenze tra condensata in una formula icastica: Genna, Nel nome di
gli autori, di delineare una sorta di grammatica comu- Ishmael (2001):
ne che presiede a questo versante della scrittura del-
l'estremo. Lei ritiene che tutto sia bianco o nero. Non è così. In ogni
In primo luogo, appunto, la narrazione onniscien- momento l'orizzonte con cui abbiamo a che fare muta. È come
te, i cui privilegi si estendono spesso anche ai testi in vivere sul nostro pianeta: a lei sembra che la terra sia stabile i
cui domina invece il regime della prima persona: anche sismologi si accorgono invece che i continenti si allontanano e 'si
avvicinano. Noi siamo sismologi.
al protagonista/narratore viene data ampia facoltà di
commento, interpolazione, manipolazione della durata
temporale attraverso il ricorso a flashback, anticipazio-
32 SENZA TRAUMA DEL GENERE 33
Luther Blissett (ora Wu Ming), Q (1998): Analoga motivazione ha il frequente impiego del-
1'anafora (Carlo Lucarelli, Almost blue, 1997: «Quel-
Aveva qualcosa di terrificante nello sguardo: l'innocenza.[... ) l'istinto cocciuto e un po' animalesco, aveva detto Vitto-
Quella che ti può portare a essere e fare qualsiasi cosa, a com-
rio. I I Quell'istinto»), dell'epanortosi (Giuseppe Genna,
mettere il crimine più efferato come se fosse l'azione più insulsa
del mondo.
Nel nome di Ishmael, 2.oqr: «Era pazzesco. Assoluta-
mente pazzesco»), dell'epanalessi (Matteo Galiazzo, Cose
Ma l'aspirazione della frase alla perentorietà della che io non so, 1996: «Anche noi due ci sposeremo, José,
formula non si limita ai momenti in cui è in ballo una tu e io, ci sposeremo appena sarai qua»), dell'enumera-
rivelazione, e si trasmette per contagio all'intera sostan- zione (Nicoletta Vallorani, Snuff Movie, 1996: «Un cata-
za linguistica del testo, che si tratti di una battuta di dia- logo di orrori assortiti, predicatori di menzogne, politici
logo, della constatazione di un evento o della messa in stupratori, signore rifatte, omologhi erotici e synthafreak
scena di una reazione affettiva. Di qui il prevalere di un a quintali»). Mentre rarissime sono le figure di discorso o
periodare breve, 'sincopato, a dominante paratattica, di pensiero come la correctio, la litote, il paradosso e l'iro-
intervallato da frequenti a capo che ne isolano la dizio- nia, che tendono di per se stesse a generare una detume-
ne, e in cui la giustapposizione prevale sul coordina- scenza della frase, sottraendole assolutezza e indicando-
mento dei membri. De Michele, la visione del cieco ne il necessario compimento sullo sfondo di un altro pia-
(.2008): no semantico, presente o alluso che sia. A realtà irrelata,
periodo irrelato. A Reale assoluto, frase assoluta.
Poi decide che ha altro da fare, invece di star dietro ai solilo-
qui d'un vecchio prete. Saluta. Scavalca il ramo fradicio d'acqua.
(- Attenzione a non inciampare, - dice il parroco guardando Flatlandia, et pour cause
:, il ramo).
,,
Tempo da funghi. Quella della scrittura dell'estremo, nella sua variante
E dire che qualcuno ci va in giro in moto, con questo fango.
di genere, è necessariamente una geometria piana, bidi-
mensionale. L'ambiguità è bandita, la nuance proscritta,
Ammaniti, Io non ho paura (2003):
nella sintassi così come nel lessico, che se compie ampie
Mi sono svegliato perché mi scappava la pipì. Mio padre era escursioni nei linguaggi settoriali (legale, politico, anato-
tornato. Ho sentito la sua voce in cucina. mopatologico ), è di solito ristretto e ripetitivo per quan-
C'era gente. Discutevano, si interrompevano, si insultavano. to riguarda la copertura della zona per così dire centrale
Papà era molto arrabbiato. del!' esperienza quotidiana: dati sensoriali, indicazioni
Quella sera eravamo andati a dormire subito dopo cena. topografiche, eventi atmosferici, caratteristiche fisiche dei
personaggi. A questo rimedia sul piano quantitativo un
34 SENZA TltAUMA DEL GENERE 35
uso abbastanza sbrigliato della comparazione analogica Così... Non lo so, tipo che le cose mi arrivano da tutte le par-
- più la similitudine che la metafora, troppo attinente al ti, bai presente quando te le tirano fuori e tu fai da bersag~o: che
regime del non immediatamente predicabile - che non dovresti uscire di casa con quelle magliette col cerchio e il pallino
e su scritto "target", che tanto .. . cioè, non puoi controllarle tutte,
mette però mai capo a una ramificazione estesa e coeren-
una sì, forse due, ma quando ti piovono addosso non ce la fai.
te. Ammaniti, Come Dw comanda (2006): «Girò la testa
verso la televisione con la velocità di una scimmia da
Una soluzione, quest'ultima, che difficilmente può
laboratorio sotto oppio». Le immagini emergono e si
reggere un lungo segmento di discorso, e resta per lo
risommergono secondo necessità. Si succedono ma non
più una macchia di colore locale, una curiosità etnogra-
si sommano, non scavalcano quasi mai la misura della fra-
fica, una menzione, in fondo analoga al prelievo spesso
se, non riaffiorano se non in casi di esibito investimento
letterale e non rielaborato che narratore e personaggi
allegorico (l'agnello come vittima che ossessiona uno dei
operano dal lessico dei linguaggi settoriali (vedi ad
protagonisti di Romanzo criminale di De Cataldo), non
esempio i lunghi inserti del discorso degli "esperti", il
si agglutinano in campi semantici privilegiati, ricorrenti,
medico, lo psichiatra, il poliziotto, il giudice, l'ispetto-
riconoscibili, riconducibili a una tematica personale.
Sono strumenti, attrezzi, espedienti funzionali. Li si ado- re scolastico, che intercalano il racconto del Sopravvis-
pera e poi li si mette via, senza effetti di eco, senza sim-
suto (2005) di Antonio Scurati).
metrie, senza rispondenze paradigmatiche esplicite o A meno che, questa è un'altra opzione possibile, non
coperte. Ogni frase deve cavarsela da sola. Alle altre si si decida di impostare l'intera tessitura testuale sulla sti-
provvederà. Importante è che il lettore non si perda, non lizzazione dell'oralità degradata, come accade però, più
si distragga dalla storia, non distolga il suo sguardo dal che negli scrittori di genere, in autori quali Silvia Balle-
Reale per concentrarsi sulla forma del messaggio. stra in La guerra degli Antò (1992), o Aldo Nove in
Anche l'idioletto dei personaggi è fortemente tipiz- Woobinda (1996), .con il suo riuscito tentativo di trarre
zato. Perché le alternative non sono molte. O si ricorre effetti di comicità demenziale dalla parlata (e dalla vita)
a un italiano standard, decisamente monologico, incre- degli abitanti della "città infinita" del Nordest, costel-
mentato dai segni distintivi del discorso di genere - lata di villette e capannoni e ingentilita soltanto dal pro-
come le esclamazioni, il turpiloquio, le interrogative filo sgargiante degli ipermercati.
retoriche (del tipo: sai qual è il tuo problema?), O si
procede a una stilizzazione che tende più al grottesco -
in regime, direbbe Auerbach, di separazione degli stili Ciò che è in basso
- che al realistico: inserti dialettali, gergo, slang, soleci-
smi, anacoluti. Di Michele, La visione del cieco (2008): Nessuna mescolanza degli stili, nessuna «rappresen-
tazione seria della vita quotidiana» (ancora Auerbach);
36 SENZA TRAUMA DEL GENERE 37 ·
il basso è basso idev'essere trattato come tale. Al basso vita, non è mai il vivo che prevale sul morto, ma piutto-
appartiene la maggior parte dell'esperienza quotidiana: sto il morto che afferra il vivo, lo sovrasta, lo soggioga
scenari, odori, atmosfere, e soprattutto quell'enciclope- per il fatto di aver avuto accesso allo statuto di cosa, al
dia del macrocosmo che è il corpo umano. Proliferano carisma dell'insensibile, al sex appeal dell'inorganico.
qui il particolare sordido, la deformità, il grigiore, la Un sex appeal di cui i personaggi possono avere un'an-
sporcizia: difetti, tic, pelli sebose, ventri prominenti, ticipazione attraverso il godimento di un altro oggetto
denti gialli, dita macchiate di nicotina, traspirazioni, privilegiato, in apparenza distante, in realtà segretamente
miasmi, occhi cisposi, aliti pesanti (soprattutto per apparentato al cadavere: la merce, la merce dotata di un
quanto riguarda il corpo maschile). È come se senza un nome, di un marchio, di un'icona. Come Bret Easton
rincaro di squallore la realtà quotidiana non fosse credi- Ellis, molti autori italiani si compiacciono di menzionare
bile, con un sorprendente effetto di richiamo ai procedi- gli oggetti di consumo. Non descrivendoli, però, ma piut-
menti descrittivi del naturalismo di Zola. La fisiologia tosto evocandoli tramite il ricorso alla potenza magica del
è una maledizione adamica, la creaturalità una segreta nome. In Isabella Santacroce, per esempio, l' enumerazio-
tensione al teriomorfo e all'informe. ne caotica dei prodotti di fashion produce spesso un effet-
Che trionfa, ovviàmente, nella rappresentazione della to ipnotico, quasi fosse un mantra o uno scongiuro che
morte, del cadavere, del corpo offeso, aperto, martoriato, mette direttamente il lettore in presenza della cosa, pro-
oscenamente esposto allo sguardo. Non la sofferenza è ducendo un cortocircuito tra significante e referente che
in scena ma l'immobilità, l'orizzontalità, la decomposi- fa a meno della mediazione del significato. I marchi, d'al-
zione. A questo, più che al pathos, tende l'estremo. Allo- tronde, sono nomi propri e non descrizioni definite. Non
ra si sente che lo scrittore si rimbocca le maniche: la tem- si possono espandere, parafrasare, sostituire: si citano e
peratura emotiva si alza, lo stile si impenna, la descrizio- basta, si possiedono o meno, ci sono e nulla di più. Gli
ne si trasforma in performance. È quella la cosa reale, il oggetti decadono, i marchi restano, e alludono con la loro
punto di non ritorno, la fine della menzogna organizza- fascinazione al paradiso sbarrato - almeno finché l'uma-
ta, il grado zero della possibilità, l'entropia ultima, il raf- no resta tale - della serialità.
freddamento della necessità di connettere, collegare, Alla stessa serialità aspirano anche i personaggi,
interpretare. La morte, diceva Benjamin, è la sanzione quella serialità che gli viene tanto spesso - e vanamen-
ultima di tutto ciò che un narratore può narrare. È l'irre- te - rimproverata. Perché mai? È il loro punto di forza,
parabile che non ha più futuro né passato, è il sen1.a fina- la loro ragione di fascino, il principale richiamo affetti-
lità, è ciò che non può essere in alcun modo riscattato vo che esercitano sui lettori. Non a caso è tornata in
dall'esposizione delle sue cause. Caduta del velo, sma- voga la pratica di concepire i propri romanzi come par-
scheramento dell'inganno, soluzione dell'indovinello: ti di un ciclo, autonome ma fortemente interrelate (così
sempre la stessa, da ripetere all'infinito. Anche se resta in tra gli altri in Camilleri, Lucarelli, Evangelisti). Si trat-
SENZA TRAUMA
DEL GENERll 39 .
-·· Monadi e finestre
ta per lo più, per rifarsi alla nou distinzione di Edward
Morgan Forster, di personaggi piatti, non a tutto ton-
do, destinati a non cambiare nel tempo, da riconoscere
t A_ questo punto siamo forse in grado di capire
ma in cui non identificarsi. A questo contribuisce anche meglio perché il ricorso sistematico all'universo stereo-
la scelta di non prestare loro un'eccessiva complessità: tipo dei cliché, dei luoghi comuni, delle immagini e dei
il labirinto (la verità) non è dentro, è fuori, è "là fuori", saperi condivisi, sia per questa letteratura non una
come dicevano Jacques Lacan e il promo di X-Files. debolezza o un vezzo ma una necessità. Se la fiducia
Non c'è tempo da perdere. A caratterizzare il perso- n~lla, rap~r~sentabilità del mon~o sensibile e intellegi-
naggio bastano i tic, le ossessioni, le idiosincrasie, che· bile e cosi ndotta da dover continuamente chiamare in
,I'.
hanno per il lettore la funzione svolta dal libretto per causa lo sguardo meduseo di ciò che ne sta fuori il suo
l'ascoltatore dell'opera lirica: un promemoria, un limite, la sua negazione, non ci si stupirà che gli s~ritto-
appunto, un abstract, un ragguaglio scorciato che per- ri ev?chi1:'? di continuo in loro soccorso una fuga pro-
mette di capire subi'to in quale programma narrativo ci spett~ca d1 1mprestiti intertestuali di ogni sorta. A perso-
troviamo. naggi piatti e intrecci chiusi corrisponde una testualità
Ma un discorso analogo, a ben vedere, potrebbe aperta verso un infinito potenziale che è tutt'altra cosa
essere fatto anche per gli intrecci. Che in apparenza dall'ironico citazionismo postmodernista. Dire il già
sono spesso quanto mai complessi, stratificati, gremiti de:to, ~iscrivere il già scritto (e visto, e ascoltato), costi-
di subplots, condotti su piani temporali sfalsati fino al tmsce 1n questo contesto una sorta di rito sacrificale
limite delle due o più storie parallele. Ma che a guardar- attraverso cui si chiede ai propri simili di condividere la
li bene sono in realtà quasi sempre conclusi, finiti, ari- responsabilità di un omicidio collettivo, totemico, fon-
stotelici, dotati cioè di un inizio, di un mezzo e di una dativo. La realtà giace inerte, il Reale, che noi abbiamo
fine. Si capisce ciò che c'era da capire. Raramente un filo evocato, ci denuncia come complici. Si sappia almeno
resta sospeso, irrelato, senza nodo. Non ci sono zone di che eravamo in tanti, che non siamo stati solo noi.
buio, scotomi cognitivi, interrogativi senza risposta. Di fronte al .laconismo e alla ripetitività descrittiva,
Enigmatica è semmai la visione d'assieme, che si genera espressiva e cognitiva di certe scene, sequenze, a volte
dall'attrito tra un intreccio compiuto e la sensazione di interi romanzi, si ha come la sensazione che il testo che
abbandono e di insensatezza in cui viene lasciata la real- stiamo leggendo sia una sorta di manichino da rivesti-
tà quotidiana. Il Reale pietrifica chi lo guarda. Non con- re, u~a serie di punti da.congiungere, uno spazio da
cede recuperi a buon mercato, sensi provvisori, morali annenre perché emerga finalmente una figura visibile.
del come se. L'estremo è un Virgilio infido che ti porta Ma non è un difetto, ancora una volta (come già la piat-
all'inferno e ti pianta in asso sul più brutto. tezz~ e l~ _c~iusura di intrecci e personaggi che spiace a
molti cnt1c1): contro chi volesse censurarli per questo,
40 SENZA TRAUMA DEL GENERE 41

gli scrittori di generé potrebbero legittimamente invoca- l'oggetto, qui la scrittura si apre perché l'oggetto è chiu-
re la ragion di stato. so. L'aura ritorna nella lontananza. La claritas è appalta-
Per quanto attiene alla rappresentazione del mondo ta, il potenziale splendore delegato. Il mondo riluce
sensibile, la letteratura di genere è ovviamente tributaria altrove. Tributaria inevitabile dell'universo della pop
del cinema e più in generale della vasta galassia dell'au- culture, la scrittura di genere le è anche subalterna. Non
diovisivo. Non importa che una scena sia "scritta bene". potrà mai raggiungere quella capacità di illuminazione
Importa che evochi una serie di scene analoghe già viste gloriosa, quell'assenso giubilatorio all'universo metro-
in molti film (o documentari, o videoclip ... ), o in uno politano, assolutamente mo derno e assolutamente
solo ma di culto, proverbiale, "mitico", dove vengono popolare, con tutto il suo bene e il suo male, cui accedo-
allestite con ben altra larghezza di mezzi, a cominciare no invece di continuo i film dei fratelli Cohen o le can-
dal privilegio di poter mobilitare direttamente le imma- zoni di Tom Waits.
gini e i suoni. Nulla di più lontano, in questo senso, dal- Analogo indebitamento, sul versante conoscitivo,
1'aspirazione moder-nista all'autonomia e alla chiusura questa scrittura deve inevitabilmente contrarre con una
testuale, con la sua ambizione di competere, attraverso rete di saperi esterni ad essa. Sembra finita l'ambizione
i propri mezzi specifici, con gli effetti prodotti da altre della letteratura a essere lei stessa pensiero, il proprio
arti e altri media. Ogni pagina è spalancata su un corri- pensiero. È necessaria invece la continua convocazione
doio di episodi analoghi, e vale nella misura in cui sa dell'esperto, vuoi in prima persona, vuoi attraverso
spingere il lettore a percorrerlo. La scrittura di genere è quella couche di sapere socio-psicologico diffuso, gene-
costitutivamente eteronoma, collaborativa, intermedia- ralizzato e generalizzante, che informa il senso comune
le. Basti pensare, per esempio, all'uso invalso di men- medio-colto. Dietro alle riflessioni di personaggi e nar-
zionare brani musicali, che svolgono in molti casi la ratori si intravede spesso una rete di universali sociolo-
funzione di vera e propria colonna sonora, indicatore di gici, un "si sa" da cui il discorso non sembra avere gran-
atmosfera, generatore di mood. de ambizione di scartare. Altrimenti sarebbe difficile da
Un'opzione, questa, che insieme ai profitti menzio- leggere: la tensione verso l'estremo deve per forza tro-
nati comporta molte perdite, prima fra tutte la fede nel vare un suo contrappeso, una sua garanzia di effabilità.
potere della scrittura di conferire per sua virtù stessa al A un universo narrativo tematicamente esasperato con-
mondo, alla natura e agli uomini quella claritas, quella vengono così, per contrappasso, riflessioni medie, ter-
radianza, quel valore di epifania che stava alla base del- reno d'incontro con un pubblico che non è fatto né di
la migliore arte novecentesca, da Joyce a Proust, da analfabeti né di esteti, ma dì quello strato di piccola bor-
Musi! a Virginia Woolf. La mossa è diametralmente ghesia (ormai planetaria) che alla lettura chiede il più
opposta: se lì la scrittura si chiudeva su se stessa (fino classico dei connubi tra conferma e sorpresa, istruzio-
all'asintoto impossibile dell'intransitività) per aprire ne e intrattenimento. Il divario con le sue possibilità di
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sapere non deve essere troppo alto, e va comunque col- Quante famiglie, per esempio nei romanzi offertici
mato con l'ausilio di una continua attività di ragguaglio, dagli scrittori della generazione dei baby boomers.
informazione, documentazione. Famiglie cannibali, tentacolari, incestuose, ma per le
quali sembra vano rispolverare i vecchi costumi della
rivolta edipica: conflitto, ripudio, senso di colpa. Piutto-
L'inappropriabile sto un muto enigma adialettico, un nocciolo di dolori e
di gioie da ripetere indefinitamente come unica garanzia
Qualcuno scriverà un giorno la storia di come il di autenticità, come sola opportunità di emettere una
Novecento letterario e artistico sia per così dire spacca- voce "naturale" che non sia un falsetto pur ben impo-
to a metà. La prima parte è stata dominata da un oltran- stato. Famiglie come un inventario di proprietà sancito
zismo determinato a portare a tutti i costi il trauma (rea- ab aeterno. Famiglie come ampolle sigillate in cui il sog-
le) all'interno dei propri procedimenti di scrittura. Epi- getto sussulta come un feto in formalina.
fanie, intermittenze, rotture, «momenti di essere» (così E poi il realismo, la pretesa di realismo, la rinnovata
Virginia Woolf), sgretolamento del tempo, ascesa alla fiducia nel valore conoscitivo della letteratura, che lam-
ribalta di un moi de profondeur che scredita spietata- bisce in più punti le rive della scrittura di genere di cui
mente ogni pretesa di veridicità dell'Io di superficie: il stiamo parlando. Anche a voler lasciare da parte la
mondo di Proust, di Kafka, di Svevo, di Joyce, di Broch, nostra ipotesi centrale (non la realtà, purtroppo, ma il
di Beckett... Poi, più che il superamento di una lettera- Reale), non si può non vedere quanto spesso gli scritto-
tura che sembra danzare a ogni momento sul ritmo del- ri che si cimentano col genere intendano fornire al letto-
la sfida all'impossibile, è intervenuto una sorta di accan- re un incremento di conoscenza. Sia pure sotto il velo
tonamento, di rimozione. Trame che tornano a essere della paranoia, ecco come stanno le cose (per esempio
"ben fatte", personaggi non più abissali ma consueti, la storia del nostro paese), anche perché tutti ti mento-
una lingua più accomodante, il romanzo restaurato nei no e tutto quello che sai è falso.
suoi privilegi - rumorosamente ma inefficacemente Però distinguiamo. C'è dell'Ottocento anche in que-
contestati dalla stagione dell'antiromanzo degli anni sto versante della scrittura dell'estremo? La risposta è
sessanta e settanta-, di nuovo egemone e aproblemati- no. Pretesa realistica, intrecci ben fatti, narrazione onni-
co fino alla stucchevolezza. Parlare di postmoderno non sciente e altri fatti di stile che abbiamo analizzato non
è qui sufficiente: dà nome a una situazione, non la spie- hanno la stessa funzione in questa letteratura e in quel-
ga. E poi, almeno in questo, è ormai anch'esso alle la che con grande approssimazione possiamo etichetta-
nostre spalle. Il trauma (reale) dell'alta modernità è sta- re come "realismo Ottocentesco". Quest'ultimo, ha
to riassorbito. In giro c'è tantissimo Ottocento: nelle sostenuto brillantemenxe Carlo Ginzburg, svolse per il
psicologie, negli intrecci, nei temi. pubblico del tempo l'equivalente della funzione assolta
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dai rituali iniziatiéi nelle società arcaiche: iniziazione ra angoscia. El' angoscia dev'essere imbrigliata, esorciz-
ali' esperienza, trasformazione della terra in mondo zata attraverso il ricorso a quel predominio dell'azione
umano. Sua stella polare non era solo la mimesis, l'imi- cospirativa (tu non puoi niente perché "loro" possono
tazione, la rappresentazione verosimile; ma anche, e for- tutto) che costituisce il macrotema e l'archifavola di ogni
se più ancora, diceva Roland Barthes, la mathesis, l'inse- testo di genere che si rispetti: il Grande Vecchio e le sue
gnamento, l'apprendimento da una voce autorevole di reincarnazioni. Non è vero, non esiste, lo sappiamo, ma
cosa era o poteva essere il mondo in cui ci si accingeva a non importa: piuttosto credere al nulla che non credere
vivere. Col realismo ottocentesco il borghese, ha scrit- nulla, sempre meglio la paranoia che l'astenia. Quelli che
to Giacomo Debenedetti, faceva «l'inventario del mon- vedono complotti ovunque, un po' di ragione ce l'hanno
do», compiva «le tour du proprietaire» di una società alla fin fine. Se non nella risposta, quanto meno nella
che aveva conquis.t ato sul campo, riuscendo vittorioso domanda che pongono: chi? Chi fa cosa, di chi è la
contro gli aristocratici prima, contro il proletariato poi. responsabilità, chi deve rendere conto di ciò che accade
Si trattava di conoscerla per amministrarla. In molti a tutti noi? È una domanda in cui non opera tanto un
hanno appreso cosa fossero il giornalismo letterario o tracollo della razionalità, ma piuttosto una sua esaspera-
la vita di provincia in Balzac, le cinture operaie o gli zione, figlia dègenere ma non illegittima della pretesa
scioperi dei minatori in Zola: e in tanti altri autori i moderna che la storia non la facciano la provvidenza o
recessi della vita privata, le monotonie omicide e suici- gli astri o i decreti perenni e imperscrutabili del mercato,
de degli ambienti di provincia, gli splendori e le miserie ma l'agire responsabile delle donne e degli uomini. La
del matrimonio. Funzione di problem solving prima paranoia è l'ultimo rifugio della credenza nell'azione
ancora che di mappa cognitiva: nell'uso che ne facevano responsabile, nell'iniziativa individuale, nella natura
i lettori, se non nelle intenzioni degli artisti. umana pensata come prassi e non come materiale di
Di tutt'altra natura è il sapere trasmesso dalla lettera- risulta, quantità trascurabile, scoria inessenziale. Se la
tura di genere contemporanea. La realtà cui allude è una realtà è divenuta inappropriabile, ci si lasci almeno la
realtà sfuggente, ingovernabile, non più egemonizzata, libertà di fantasticare che qualcu no, da qualche parte,
come nella modernità, dagli individui o dalle loro asso- benevolo o malevolo che sia, riscatti con la sua mano che
ciazioni, ma da una imperscrutabile razionalità sistemi- stringe tutti i fili il nostro pugno vuoto.
ca. Ben poco spazio è rimasto per l'agency, per l'inizia-
tiva responsabile, e quel poco è tutto confinato nel recin-
to della vita privata (quando va bene: perché basta un Realtà come romanzo storico
minimo di pressione sulla crosta del vivere per accorger-
si di quanto anche il cosiddetto privato sia acefalo, socia- I diversi affluenti della letteratura di genere tendono
lizzato, innervato da flussi impersonali). Tutto ciò gene- a confluire tutti nell'alveo nel romanzo storico. Vanno
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cercati qui i suoi risùltati più maturi e ambiziosi. A far romanzo di ambientazione risorgimentale intitolato
data da Q (1998), del collettivo Luther Blissett poi significativamente I traditori (2.010).
ribattezzatosi Wu Ming, ambientato al tempo dei con- Cosa fa sì che tutti questi romanzi, al netto delle dif-
flitti ereticali del' 500, da Thomas Miinzer agli anabatti- ferenze di stile, ambientazione e ideologia, si configuri-
sti di Miinster. Cui hanno fatto seguito 54 (2.002.) e no appena messi a minima distanza come tessere di un
Manituana (2.007), nonché i romanzi scritti dai solisti, mosaico comune? Un forte impulso risarcitorio. Non
come per esempio Stella del mattino (2.008) di Wu Ming perché correggano la storia facendola finir bene laddo-
4, incentrato sulla fascinazione siderale che la figura di ve nella realtà aveva avuto un esito funesto (semmai è
Lawrence d'Arabia, tornato a Oxford dopo i suoi vero il contrario: se i personaggi non sono quasi tutti
exploit di leader della rivolta araba, ha esercitato su altri corrotti o corruttibili, o falliti, o impotenti, o superuo-
giovani e appassionati intellettuali oxoniani quali Gra- mini cui però non ne va bene una, poco ci manca). Ma
ves, Tolkien e Lewis. Nel romanzo storico hanno trova- perché rimettere le mani nella pasta della storia offre la
to un'occasione d'esordio Antonio Scurati (Il rumore possibilità di giustificare i fallimenti e l'impotenza del
sordo della battaglia 2.003; Una storia romantica 2.007), presente. Se siamo così c'è una ragione. Lo schema del-
Eliana Bouchard (Lou'ise. Canzone senza pausa 2.007), la mimesis aristotelica funziona a meraviglia: i romanzi
Alessandro Bertante (Al Diavul 2.008). Per altri è stato storici raccontano una storia più universale - perché
un punto d'arrivo dopo una lunga frequentazione di appresa, come insegnava appunto Aristotele, nella
altri generi: Giuseppe Genna, (Hitler, 2.007); Massimo modalità del mythos, della narrazione coerente, del caso
Carlotto (Cristiani di Allah, 2.008); Carlo Lucarelli paradigmatico - e dunque più vera di quanto la storio-
(L'ottava vibrazione, 2.008); Luigi Guarnieri (I sentieri grafia, con la sua dedizione alla singolarità del fenome-
del cielo, 2.008); Alan D. Altieri (La trilogia di Magde- no, sia in grado di narrare. Una storia che attraverso le
burgo, 2.005, 2.006 e 2.007). Ma gravitano attorno a que- procedure di verosimiglianza rese possibili dal ritorno
sto centro anche le fortunate saghe di Valerio Evangeli- alle strutture tradizionali della forma romanzo - razio-
sti, che dispone i suoi vasti cicli fantascientifici e fanta- nalità degli intrecci, connessione delle parti, concordan-
politici sul fondale di una ricostruzione storiografica za degli episodi - sottopone il possibile al montaggio
estremamente accurata (l'inquisizione medioevale, la del necessario. Necessario, ovvero: doveva andare così.
guerra civile americana, la rivoluzione me.ssicana). O di Se è di quella storia che noi oggi siamo l'esito, allora
Giancarlo De Cataldo, che con Romanzo criminale, manifestamente non è colpa nostra.
Nelle mani giuste, La forma della paura (rispettivamen- Quando il possibile diventa necessario, il presente
te 2.002., 2.007 e 2.009) ha l'ambizione di fornire un affre- viene esonerato da ogni responsabilità. Prendiamo per
sco sub specie spionistico/criminale dell'ultimo quaran- esempio De Cataldo. A cosa si deve il successo dei suoi
tennio della storia italiana, cui ha di recente aggiunto un romanzi? Cosa rende le sue trame uno specchio in cui
SENZA TRAUMA DEL GENERE 49
•'

tanti amano riconoscersi? Lasciamo da parte p regi e Nessuna idea, nessun pensiero, nessun interesse collet-
difetti letterari. Il fatto è che, di qualunque argomento tivo vi fa breccia. È il gioco grosso, il mondo degli adul-
parli - dal Risorgimen to alla banda della Magliana, o al ti, la cosa reale.
tormentato biennio 1992/93, quello delle stragi di mafia, All'uscita di Romanzo criminale De Cataldo fu salu-
dei tentativi di destabilizzazione, dell'esplosione della tato da critici e romanzieri come una salutare iniezione
Lega e di tangentopoli, dall'agonia della prima repub- di realismo nell'esangue vena intimista della narrativa
blica alla discesa in campo di Berlusconi -, De Catald o italiana. Ma la realtà umana non esiste al di là della rap-
prospetta al lettore una visione della storia italiana che al presentazione che ne diamo. La società non è un dato
di là di ogni apparenza è un'ininterrotta guerra tra ban- ma un'interpretazione. Il realismo è sempre un'ideolo-
de. Niente conquiste sociali, niente fermenti culturali, gia, una profezia che si autoavvera, un enunciato che
niente vittorie o scònfitte politiche. Soltanto questo esi- produce ciò che descrive. I romanzi di De Cataldo sono
ste, conta, interessa e va n-arrato: bande non necessaria- realisti perché convogliano la corrente profonda del-
mente criminali e non necessariamente clandestine che l'ideologia italiana, quella delle sue élites e quella dei
lottano senza quartiere per stabilire chi comanda. C hi suoi bassifondi, due piani sempre più difficile da distin-
vince prende tutto. Chi perde esce di scena. Non c'è e guere. Un'ideologia, bisogna pur dirlo, intrinsecamente
non ci può essere nient'altro. reazionaria. L'idea che la storia umana sia una lotta tra
Si dirà che queste sono le convenzioni del noir, bande nasce dalla reazione alla rivoluzione francese,
applicate retrospettivamente al racconto della storia. vista come un complotto di intellettuali ambiziosi che
No, queste sono le convinzioni profonde che governa- per prendere il potere hanno bisogno di far fuori trono
no l'immaginario collettivo, l'anno zero del nostro spi- e altare. La vicenda umana è un verminaio da cui solo
rito pubblico, il suo cinismo nemmeno eiù disperato, la un Dio ci può salvare, una dietrologia insieme sordida e
sua acquiescenza a qualunque sopruso. E un gigantesco sublime che soltanto un'autorità trascendente può tene-
"si sa", un imperterrito "così fan tutti" che informa le re a freno.
conversazioni e orienta i comportamenti individuali e Non è mero qualunquismo; è una vera e propria
collettivi. È una visione del mondo, l'ultima filosofia metafisica, una scommessa su ciò che esiste e può esi-
della storia sopravvissuta al crollo delle ideologie. Le stere. La sua forza si basa sulla semplicità, sulla ristret-
cronache ne rigurgitano. Le leggiamo con più compiaci- tezza di orizzonti, sulla mancanza di generosità nei con-
mento che angoscia. Non c'è settore d ella vita pubblica, fronti del possibile, sulla riduzione a nulla dei concetti
dalla politica alla finanza, dallo sport alla cultura, che su cui si fonda la nostra modernità: l'individuo autono-
non si presti a essere interpretato in chiave di bande - mo e responsabile, l'uomo come animale politico che si
cordate, scalate, filiere, gruppi di pressione, patti di sin- realizza nella dimensione pubblica, e cioè nella società.
dacato, lobby, cricche, conventicole, famiglie, mafie. Al suo posto, un proliferare di bande, ognuna con la sua
5I
DEL GENERE
SENZA TRAUMA, .
tavola di valori (cioè di interessi) non negoziabile. Cer- vero. Eppure, per altri versi, deve essere andata così.
to, lo aveva fatto anche il padre del romanzo storico ita- Altrimenti non saremmo ciò che siamo. Uno scrittore
liano, Manzoni, con il suo Seicento di sopraffazioni e di lucido come Antonio $curati lo ha teorizz ato aperta-
violenze, famiglie e signorotti, consorterie e potentati mente per bocca del protagonista de Il rumore sordo
grandi e piccoli. Ma lì si poteva almeno sperare nella della battaglia (2003), un professore di liceo frustrato
provvidenza, e cioè nella peste, se non nella rivoluzione alle prese con la scrittura di un romanzo storico:
e nella democrazia. Qui no.
Oppure si prenda il protagonista di Q, il primo La verità della storia è nelle enciclopedie per l'infanzia, nelle
dispense a fascicoli della Fabbri Editori per i lettori della dome-
romanzo dei Luther Blisset/Wu Ming. È un eroe dai mil-
nica, per i semianalfabeti che collezionano i soldatini di piombo
le volti e dai mille nomi che attraversa quasi quarant'anni con le uniformi e le insegne dei reggimenti dipinte a mano.
di lotte religiose, insùrrezioni, rivolte contadine. Le batta-
glie le perde tutte. Le speranze cadono a una a una. Ma
Qui si tocca con mano la sostanza ultima del commer-
non è mai colpa sua. Lòi resta un dritto. C'è sempre qual-
cio perverso che la scrittura dell'estremo intrattiene col
cun altro che ha tradito, che non ha capito, che ha lottato
Reale. Il possibile si infeuda all'impossibile; la storia fal-
in modo ottuso, che non ha colto l' occasione. Dipendes-
lita (grandiosa o abbietta poco importa) spiega l'impo-
se da lui le cose sarebbero diverse. Così non è. Ma lui può
tenza del soggetto attuale. La volontà umana è reintro-
allontanarsi con la coscienza a posto da un'Europa torna-
dotta nel processo storico grazie al farmaco della finzio-
ta ancor;i e sempre sotto il tallone dei principi e dei preti.
ne. "Allora", però, a spiegazione e scusa del perché "non
Tanto peggio per il mondo. Alla livida immanenza di De
ora". E già allora destinata allo scacco. Là dove noi non
Cataldo, dove nessuno si salva, si contrappone e in realtà
eravamo è custodita in effigie, mistificata come un'ostia,
si apparenta un'impermeabilità dell'eroe che è troppo for-
infida come un farmaco psicotropo, la possibilità manca-
te (o forse, come il suo lettore, troppo fragile) per chia-
ta di essere diversi da quello che siamo.
marsi responsabile delle sconfitte.
Conta davvero chiedersi- e chiedere a questi scritto-
ri - se le cose di cui parlano sono andate veramente Nota
così? Ovvio che no. Sono andate diversamente, lo san-
no anche loro. Tutto è stato più complesso, meno linea- La "terza via" tra adesione e straniamento degli archetipi del gene-
re, meno causale e perciò meno romanzabile. Dietro re seguita da molti romanzieri contemporanei è stata messa in luce da
Clotilde Benoni, Ritorno all'intreccio, «In chiesta•, 119, gennaio-ma.rzo
l'orgogliosa sicurezza di chi scrive un romanzo storico
1998. L'alternativa tra separazione e mescolanza degli stili è ovviamente
si profila il sorriso incerto di uno scetticismo storiogra- in Eric Auerbacb, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale,
fico che è una delle componenti fondamentali dell'ideo- Einaudi, Torino 1964. Chi scrive ha provato a verificare la pregnanza
logia del nostro tempo. Vai a capire come è andata dav- attuale delle categorie di Auerbach in Daniele Giglioli, Come farebbe
52 SENZA TRAUMA
Auerbach? Realismo posimodemo e separazione degli stili, «Moderna•, III.
XI, 1-1, 1009. La distinzjone tsa personaggi piatti e personaggi a rutto
tondo è quella classica (1917} di Edward Morgan Fomer, Aspetti del Dell'autofinzione
romanzo, Garz.inti, Milano 1000.
Sulla disposizione intcrmediale è di grande interesse Pietro Mon-
tani, L'immaginazione inte-rmediale, Laterza, Roma-Bari 20 1 0; ma
osservazioni acute in proposito si potevano leggere in Alessandro
Baricco, / barbari. Saggio sul/,, mutazione, Feltrinelli, Milano 1008,
uscito originariamente a puntate nel 1006 sul quotidiano «La Repub-
blica• (in particolare la felice formula che identifica la richiesta, da par-
te dei nuovi lettori, di trovare nella pagina letteraria un •sistema pas-
sante• aperto orizzontalmente verso infiniti altri punti della nebulosa I romanzi storici, diceva Manzoni, sono «componi-
testuale}. Il testo di Baricco è ben commentato in quello che è a mia menti misti di storia e d'invenzione». Ma sarebbe diffici-
conoscenza il bilancio più lucido della narrativa italiana recente, Gian-
luigi Simonetti, I nuovi assetti della narrativa italiana (1996-2006),
le trovare una formula più efficace per definire l'altra
«Allegoria•, 57, gennaio-g\ugno 1008. Spunti interessanti sì trovano in branca della letteratura dell'estremo: l' autofinzione, stel-
panorami d'assieme come Marino Sinibaldì, Pulp. La letteratura italia- la polare della vasta galassia della non fiction, nebulosa
na nell'epoca della simultaneità, Donzelli, Roma 1997; Filippo La Por• dai confini incerti, cangianti e scontornati, com'è inevi-
ta, L,, nuova narrativa italiana. Travestimenti e stili di fine secolo, Bol-
lati Borìngbieri, Torino 1999, e Meno letteratura, per favore!, Bollati tabile per un concetto che si definisce attraverso ciò che
Borioghieri, Torino 1010; Raffaele Doonarumma, Postmoderno italia- nega, la letteratura d'invenzione, la finzionalità esibita e
no: qualche ipotesi, «Allegoria•, XV. 43, 1003; Alberto Casadei, Stile e socialmente sanzionata del romanzo nelle sue varie incar-
tradizione nel romanzo italiano contemporaneo, il Mulino, Bologna
1007; Elisabetta Mondello, In principio fu Tondelli. Letteratura, merci,
nazioni. Più difficile ancora, rispetto alla produzione di
televisione nella narrativa degli anni novanta, Il Saggiatore, Milano genere, è individuare un repertorio di fatti stilistici comu-
1007; Maurizio Dardano, Leggere i romanzi. Lingue e strutture testua- ni che la identifichino. Intanto per la gran varietà delle
li dà Verga a Veronesi, Carocci, Roma 1008, e Stili prOV'llisori. La lingua
nella narrativa italiana d'oggi, Carocci, Roma 1010; Giulio Ferroni,
scritture con cui confina: autobiografia, reportage, viag-
Scritture a perdere, Laterza, Roma-Bari 1010. gio "d'autore", saggistica a dominante narrativa. E poi
La battuta di Barthes sulla letteratura come mathesis è in Lezione, per il maggior tasso di autorialità che comporta. L'auto-
Einaudi, Torino 1978; l'accostamento tra romanzo realista e procedura finzione è un testo in cui per contratto non si può mai
iniziatica sì legge in Carlo Ginzburg, li filo e le tracce. Vero, falso, finto,
Feluinelli, Milano 2oo6. L'idea che con il romanzo il borghese faccia prescindere dall'imago, se non dalla figura reale, di chi
«l'inventario del mondo• è derivata da Giacomo Debcnedctti, Verga e il scrive. Il lettore stipula con lo scrittore un patto che lo
naturalismo, Garzanti, Milano 1979. impegna a considerare ciò che legge come emesso da una
voce reale, da una persona concreta che risponde con
nome e cognome; non, come nel romanzo, da un narra-
tore che, anche nel caso in cui sia invisibile e onnisciente,
è comunque parte del mondo d'invenzione.
54 SENZA TRAUMA
OELL'AUTO FINZIONE 55
Lo stesso patto 'i~giunge all'autore di fornire ampie me per accorgersi di come nella maggior parte di queste
garanzie di referenzialità: non solo e non tanto della opere venga inscenato un rapporto con la realtà in cui il
materia di cui parla, ma più ancora della sua relazione soggetto più parla di sé e più sembra farsi da parte asti-
con essa. Dica o meno la verità non ha importanza: l'im- lare il verbale della sua marginalità, della sua impotenza,
portante è che dica Io, che ci metta la faccia. La regola della sua inesistenza. Più che una narrazione di azioni, si
aurea dell' autofinzione recita: io so, io ho visto, io ricor- tratta di un catalogo di atti mancati, non compiuti o
do, io penso, io c'ero e ne rispondo. Le percezioni sono impossibili da compiere. Il mondo esiste, «grande e ter-
mie, mie sono le idee e le illusioni, le ragioni e i torti, le ribile» come scriveva Gramsci e come lo pensavano le
vittorie, le sconfitte, e perfino le invenzioni, le menzo- generazioni novecentesche; solo che io non so che far-
gne e le falsificazioni. Fosse anche tutto falso, è il mio mene, e così lui di me. Sotto ogni "io c'ero" dello scrit-
falso che vi sto ·sottoponendo, e in quanto mio è tore si nasconde in realtà un "però potevo anche essere
comunque autentico. altrove, o non esserci del tutto"; cui corrisponde, da
parte del lettore, un "io invece non c'ero, e temo di non
esserci neanche nella mia vita fuori da questo testo, il
Io c'ero? che comunque non importa granché". È intorno a que-
sto centro traumatico, a questo nodo borromeo tra
Detta così, potrebbe s~mbrare una faccenda ormai autentico e inautentico, tra esserci e non essere, che ruo-
pacifica. E infatti lo scandalo dell'autofinzione (ultimo tano la maggior parte delle opere di autofinzione, e buo-
nato tra i generi, se è vero che la sua genesi si data al 1977, na parte di quelle che classifichiamo come non fiction.
con Fils di Serge Doubrovsky, autore e critico che lo ha Ed è qui che la cosa si fa interessante. Perché conse-
battezzato e ne è stato il primo teorico) è stato pronta- guenza naturale di ciò dovrebbe a rigore essere l'oppo-
mente riassorbito. Nemmeno il più cauto degli editori e il sta: visto che non sai non solo chi sei, ma neanche se ci
più conservatore dei lettori storcono ormai il naso, anzi. sei; e visto che comunque tu stesso sostieni che non fa
Senza dire poi che è almeno da Rousseau che gli scrittori poi gran differenza, allora tirati da parte, parla d'altro,
ricattano i lettori con enunciati del genere: d'accordo, non annega, come molta letteratura sperimentale degli anni
è tutto vero ciò che ho raccontato nelle Confessioni; però sessanta, in quello che Calvino chiamava «il mare del-
rispondeva perfettamente allo stato d'animo di quando 1'oggettività». Parla di tutto, ma non parlare di te.
l'ho scritto; tanto più sono stato dunque perfettamente Accade il contrario. Si parla, ci si espone, ci si rap-
autentico e sincero. Perché allora scomodare anche qui il presenta e ci si esibisce proprio a partire dal timore di
trauma, l'estremo, la testa di Medusa del Reale? non essere. E bisogna respingere la tentazione di con-
Il fatto è che a guardarle da vicino le cose si fanno cedersi alla prima spiegazione che affiora spontanea nel-
subito più complicate. Basta un primo sguardo d'assie- la mente: narcisismo. Narcisismo -specie tra gli intellet-
56 SENZA TRAUMA DELL'AUTOFINZIONE 57
tuali, gruppo socialé sospettoso e risentito se mai ve ne ne. E comune è soprattutto il senso di contingenza, di
furono - è un mot valise, un grimaldello buono a tutti non necessità, di mancata presa su se stessi e sul mon-
gli usi. Dare di narcisista agli altri fa star bene. Ed è vero do che gli scrittori dell'autofinzione condividono con
che la diagnosi di Christopher Lasch - la nostra è La i loro lettori (e con gli autori, lo si è visto, della lette-
società del narcisismo e dell'Io minimo - non ha perso ratura di genere).
nulla della sua validità. Ma in questo contesto non c'en- A chi ravvisasse qui il tessuto connettivo, la condi-
tra. Perché non è di narcisismo ma di esibizionismo che zione di possibilità, il sostrato ultimo della narrativa ita-
bisogna parlare. liana contemporanea, sarebbe difficile dar torto. Dietro
Lo ha mostrato con chiarezza uno scrittore come ogni forma letteraria c'è una forma di vita, e che sia que-
Tiziano Scarpa (che con Kamikaze d'occidente, 2004, ha sta la forma di vita in cui si trova ad operare, se non tut-
praticato anche lui l'autofinzione). Proprio perché si ta, almeno quella fetta di popolazione che si interessa
dubita e si dispera di possedere un "dentro" prezioso e alla letteratura, è di un'evidenza da cavare gli occhi.
irripetibile, ci si estroflette verso il "fuori" con un gesto Non il possesso o la protesta, come nell'Ottocento.
che ricorda l'atteggiamento per metà libero e per metà Non !'apocalissi, la redenzione o l'estinzione, come nel
coatto di chi non mette in scena solo la sua espressione Novecento. Ma una perplessa navigazione intorno a
(ciò che ha da dire, il suo messaggio, la sua moneta una realtà che preme ed esiste ed è dappertutto, ma non
barattabile nello scambio sociale) ma la sua condizione. per noi. Non si tratta più di saltare al di là dello spec-
Non la sua identità ma la sua differenza, il suo resto non chio, ma di dar conto del fatto che, sia o no un velo di
spendibile, e in quanto tale destinato perciò a cadere Maya (o di Matrix) il mondo in cui viviamo immersi,
sempre fuori dal linguaggio della polis: non per questo esso ha cessato di procurarci emozioni,
desideri, paure, intensità affettive. Che non sono solo
Che cosa fa, l'esibizionista? Esprime una condizione, la sua. nostre; che fluttuano allo stato gassoso intorno a noi; e
Rivendica la necessità di non essere pura espressione, puro volto, che costituiscono il comune, il medio, l'ambiente elasti-
ma di essere anche condizione, parzialità insuperabile, corpo di co in cui possiamo incontrarci e comunicare.
parte, corpo fazioso, corpo sessuato. Esprimere la propria con-
dizione. Attestare l'indisponibilità a dissolversi in puro messag- Il problema è come. Non c'è medio senza estremo,
gio. Esibirsi, senza riuscire mai a traslocare completamente, per- da sempre, in letteratura. Gli scrittori di genere ci pro-
fettamente, in un personaggio. L'ambasciatore porta pena, sì, ed vano forzando i toni e offrendo sacrifici alle divinità
è la propria pena, e anche la propria gioia. della violenza, dell'abiezione, del disgusto, della para-
noia e del terrore. Chi imbocca la via dell'autofinzione
Purché, sia chiaro, con condizione non si intenda sceglie invece di esporsi direttamente, di offrirsi come
un attributo privato, un dono segreto custodito nei vittima di quella che Hegel, criticando Rousseau e i gia-
forzieri del singolo. Condizione è condizione comu- cobini, chiamava in un passo celebre della Fenomeno/o-
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gia «la furia del dileguare», la maledizione della sogget- te paragonabile a quello del torero. Non a caso uno
tività irrelata, irresponsabile, senza riscontro e senza degli alter ego di Franchini si chiama Francesco Esente.
mediazione. Ciò che ricercano è lo stesso. Un supple- Ed ecco perché centrale nella sua produzione è un libro
mento di estremo che permetta obliquamente di rap- come L'abusivo (2001), metà memoria di famiglia, metà
presentare la norma. Un impossibile che sopperisca al indagine sulla figura di Giancarlo Siani, un giornalista
difetto di possibile, e dunque di potenza (poter essere, ucciso dalla camorra che Franchini aveva conosciuto da
poter fare altrimenti). Un Reale che prima di toglierti giovane, al tempo in cui tentava anche lui un timido
la vista ti permetta di far apparire, sul suo sfondo buio approccio alla professione. Ma le analogie si fermano
accecante, qualcosa come una figura, un'ombra, una qui. Perché Siani, a differenza dell'autore, è uno che ha
parvenza di realtà. pagato per ciò che ha scritto. Ha portato il peso delle
proprie parole. Ha guardato in faccia il Reale, e infatti
non è tornato indietro a raccontarlo. Per raccontare
Il corno del toro ' bisogna restare vivi, e questo, per chi vive non l' osses-
sione (faccenda personale che non ci interessa) ma,
È attorno a questo fuoco che ruotano i racconti di come diceva appunto Scarpa, la condizione della verità
Antonio Franchini (Quando vi ucciderete maestro?, come estremo, è inevitabilmente una colpa, un impegno
1996, Acqua sudore ghiaccio, 1998, Gladiatori, 2005), mancato, un destino minore.
tutti incentrati sul parallelo tra letteratura e arti marzia- Meno lecito può sembrare leggere con questa stessa
li o altre discipline del coraggio. A scapito evidente del- lente Gomorra (2006) di Roberto Saviano a tutt'oggi
la prima. Perché, per quanto anche le arti marziali non sotto scorta per minacce ricevute dalla Camorra. E poi
siano «nuda vita» ma stilizzazione, forma, cerimonia, la non è lui il realista per eccellenza, colui che, come si
letteratura è condannata per statuto a non poter intro- dice, ci ha offerto al netto di tutte le sofisticherie lette-
durre sulla pagina, per citare le parole di un Miche! Lei- rarie la più plastica ed evidente raffigurazione della real-
ris caro a Franchini, nemmeno «l'ombra del corno di un tà degli ultimi anni? Cosa c'entra con la fascinazione del
toro». Quel corno che costituisce il centro di interesse, Reale? Saviano è stato capace di restituire con grande
il rischio essenziale e la ragione di pathos della più ele- icasticità il "Sistema" economico, sociale e militare del-
gante e raffinata delle tauromachie. Chi guarderebbe la camorra napoletana, grande holding a cavallo tra ter-
una corrida se il torero, e non solo il toro, non rischias- ritorio ed economia globale - dal gigantesco volume di
se di morire? In letteratura non accade. La sua condan- merci che transitano per il porto di Napoli al grande
na è quella di essere un esercizio senza conseguenze, business dei rifiuti - che produce inestricabilmente PIL
senza sanzioni ultime, senza pericoli che non siano il e degrado, ricchezza e sopruso, plusvalore e disperazio-
fiasco, l'insuccesso, un insuccesso neanche lontanamen- ne, e si colloca nel cuore stesso del modo di produzio-
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ne da cui provengoiio il cibo che mangiamo e gli abiti cato una corda profonda del nostro vivere associato. Ciò
che indossiamo. Mimesi della realtà esterna e autentici- di cui il suo libro parla non è solo e forse non è nemme-
tà di sentire, percezione esatta e giudizio corretto, com- no in primo luogo la realtà terribile della camorra, quan-
petenza di storico e calore di testimone. Perché arruo- to piuttosto il nostro bisogno di esserci e la nostra pau-
larlo tra i ranghi dell'autofinzione? ra di non esserci. E non solo là dove le cose accadono
Ma guardiamo meglio (lasciando da parte le polemi- davvero (lì dove si sceglie, si decide, si rischia e si soffre,
che su mistificazioni, plagi e falsi eroismi, che qui non nel mondo della prassi sequestrato e restituitoci come
interessano e che comunque mordono pochino). A che spettacolo dall'industria culturale): ma nella nostra vita
si deve l'impatto di Gomorra? Non tanto alla perspica- di ogni giorno, tanto più astratta, informe e inafferrabi-
cia delle analisi sulla Camorra: i dati erano noti, la rea- le quanto più ci si spaccia per concreta. Se ci appassio-
zione affettiva ed etica che suscitano già ampiamente niamo al suo "Io c'ero", è perché fa da contraltare al
codificata. Né significa molto il fatto che anche Saviano nostro "Io non c'ero". Se il suo libro ci tocca, è perché
abbia "mescolato i generi" e i t0ni - la lucidità dell'in- dà voce al nostro desiderio di essere sempre frustrato.
chiesta sociologica, la partecipazione della testimonian- Per farlo, Saviano ha dovuto insediarsi nell'unica
za personale, lo stile tough di un certo noir. Anche sen- macchina mitologica ancora in grado di ottemperare a
za citare la tradizione già gloriosa del New ]oumalism questo compito, e cioè quell'immaginario della vittima
alla Tom Wolfe o alla Truman Capote, la mescolanza dei che è allo stato attuale dei fatti il più potente generato-
generi è ormai un genere a sua volta, e le librerie sono re di identità della coscienza contemporanea. Da quan-
piene di reportage in cui domina quello che Pascal chia- do i grandi racconti dell'emancipazione individuale e
mava «le moi ha1ssable», e Gadda il più impennacchiato collettiva sono entrati in crisi, singoli e gruppi, ceti e
tra i pronomi. Ma Saviano non si limita a questo: il suo nazioni, pretendiamo tutti non di avere ma di essere
"Io" ci disturba, ci ricatta, si commuove al posto nostro. qualcosa in quanto vittime di qualcuno. Pur conceden-
Ma più ancora ci fa preoccupare per lui. Dopotutto non do molto a un vitalismo di grana non sempre nobilissi-
è andato a vedere una mostra, una fiera, una crociera, ma (Malaparte più che il sempre invocato Pasolini),
un'acciaieria dismessa, una fiera, uno qualunque dei luo- Saviano non si propone come eroe, non addita a esem-
ghi in cui si consuma la nostra inesperienza quotidiana. pio la sua esistenza inimitabile, non dice, come il repli-
E andato là dove noi non avremmo avuto il coraggio di cante di Biade Runner, «io ho visto cose che voi uma-
andare. Ha messo a rischio la sua vita. La storia che nar- ni non potete neanche immaginarvi». Se chiede di esse-
ra è stata autenticata da ciò che ne costituisce insieme il re ascoltato è perché, come Don Abbondio, le ha viste
limite e la sanzione, e cioè la morte. lui quelle facce, le ha sentite lui quelle parole.
Sta qui, più che nell'accuratezza del suo realismo, la Attraverso la sua paura, e la sua ragione di aver pau-
ragione prima del successo di Gomorra. Saviano ha toc- ra, Saviano ci dice chi siamo, portandoci più vicino del
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più nero dei noir a q~~l groviglio di fragilità e impoten- zo. Morti. Congelati, tutti raccolti, l'uno sull'altro. In fila, stipa-
ti come aringhe in scatola. Erano i cinesi che non muoiono mai.
za con cui non sono solo gli abitanti di Casa! di Princi-
Gli eterni che si passano i documenti l'uno con l'altro. Ecco dove
pe a dover fare i conti, Al punto che non è un parados- erano finiti. I corpi che le fantasie più spinte immaginavano cuci-
so cinico ma un rilievo scrupolosamente testuale soste- nati nei ristoranti, sotterrati negli orti d'intorno alle fabbriche,
nere che le minacce cui si trova sottoposto sono una gettati nella bocca del Vesuvio, Erano lì. Ne cadevano a decine
prosecuzione - non voluta, subìta, infame, beninteso - dal container, con il nome appuntato su un cartellino annodato a
di quella che è stata la scelta strategica più profonda e un laccetto intorno al collo. Avevano messo tutti da parte i sol-
di per farsi seppellire nelle loro città in Cina. Si facevano tratte-
felice del suo libro, il punto d'incontro più intimo tra la
nere una percentuale del salario, in cambio avevano garantito un
sua esperienza e quella del lettore. Per questo ci colpi- viaggio di ritorno, una volta morti. Uno spazio in un container
scono tanto: non perché desideriamo essere colpiti, o e un buco in qualche pezzo di terra cinese. Quando il gruista del
che Saviano sia colpito al nostro posto, ma perché solo porto mi raccontò la cosa, si mise le mani in faccia e continuava
nella forma cava della condizione di vittima troviamo a guardarmi attraverso lo spazio tra le dita. Come se quella
oggi un'immagine verosimile, pur se rovesciata, della maschera di mao.i gli concedesse più coraggio per raccontare.
pienezza di essere cui aspiriamo. Aveva visto cadere corpi e non aveva avuto bisogno neanche di
lanciare l'allarme, di avvertire qualcuno. Aveva soltanto fatto
toccare terra al container, e decine di persone comparse dal nul-
la avevano rimesso dentro tutti e con una pompa ripulito i resti.
L'Io abnorme e il mondo senza voce Era così che andavano le cose. Non riusciva ancora a crederci,
sperava fosse un'allucinazione dovuta agli eccessivi straordina-
A un troppo vuoto supplisce un troppo pieno, a un ri. Chiuse le dita coprendosi completamente il volto e continuò
ammanco di soggetto un eccesso di Io. Non c'entra nul- a parlare piagnucolando, ma non riuscivo più a capirlo.
la, di nuovo, il narcisismo. Basta scorrere alla moviola
una qualunque sequenza di Gomorra per accorgersi di Il brano inizia con la relazione di quella che in appa-
come Saviano abbia dovuto fare continuo ricorso a renza parrebbe essere stata una visione offertasi diretta-
un'implementazione dei poteri dell'Io-narrante che lo mente agli occhi del narratore: lo provano l'uso degli
rendono del tutto abnorme. Sia per esempio l'incipit: articoli determinativi ( «il container», «la gru», « la
nave»), la messa a fuoco progressiva della percezione
li container dondolava mentre la gru lo spostava sulla nave. («sembravano manichini», «come se fossero crani veri»,
Come se stesse galleggiando nell'aria, lo sprider, il meccanismo «Ed erano crani»), la risposta a interrogativi già presen-
che aggancia il container alla gru, non riusciva a domare il movi- ti nella coscienza di chi guarda ( «Ecco dove erano fini-
mento. I portelloni mal chiusi si aprirono di scatto e iniziarono ti»), la deissi che colloca il soggetto all'interno della sce-
a piovere decine di corpi. Sembravano manichini. Ma a terra le
teste si spaccavano come se fossero crani veri. Ed erano crani. na («Erano lì»). Solo dopo molte righe, quando già il tea-
Uscivano dal container uomini e donne. Anche qualche ragaz- tro del dramma si è nitidamente disegnato nella mente
64 SENZA TRAUMA DELL'AUTOPINZIONE 65
del lettore, si apprende che il racconto trasmessoci dalla mormorio inarticolato, i Cinesi sono manichini. Sono i
voce narrante passa in realtà attraverso il filtro di un nar- rappr esentanti reificati di un'umanità che solo a fatica
ratore intermediario. Chi parla non ha visto, la vicenda si fa riconoscere per tale, destinata com'è a finire in «un
gli è stata raccontata, ivi comprese le formule di pathos buco in qualche pezzo di terra cinese». Sono l'epitome
che le fanno da commento. Il lettore "vede" come se il di un homo oeconomicus al quale anche la morte si cal-
narratore suo delegato avesse visto ciò che invece è sta- cola come una percentuale di salario. Non a caso entra-
to un altro a vedere. Percezione, giudizio e intensità no in scena già morti, congelati, confusi con la stermina-
affettive, passati attraverso una lunga catena di media- ta distesa di merci che transita ogni giorno per il porto
zioni, vengono schiacciati su una superficie in cui non è di Napoli ( «Tutto quello che esiste passa da qui», scrive
possibile, se non a posteriori, distinguere figura e sfondo, Saviano qualche riga dopo).
primo piano e ordinamento prospettico dei piani secon- La morte, in quanto definitiva riduzione a "cosa", è
dari. Soluzione che conferisce al narratore una strabor- la verità di ciò che è stata la loro vita, il loro ruolo di
dante autorevolezza di pronuncia, in cui si sommano la quantité négligeable che secondo Marx è il destino
competenza di chi ha visto e quella di chi sa, depositata, implicito nella progressiva degradazione del lavoro
quest'ultima, in una serie di commenti e annotazioni che vivo. Non hanno nome. Non hanno storia. Non hanno
certo non erano presenti nel racconto del narratore volto. Escono di scena in un istante, eliminati come sco-
intermediario, l'anonimo lavoratore del porto di Napo- rie, letteralmente spazzati via da decine di persone sbu-
li: le informazioni sui cinesi che si trasmettono i passa- cate dal nulla, e altrettanto anonime. La commozione
porti, che vengono sepolti dio sa dove, che si fanno trat- che suscitano è in realtà un'identificazione con lo scon-
tenere una percentuale di salario per assicurarsi le ese- volgimento di chi è stato costretto dalle necessità della
quie in patria, ecc. Autorevolezza cui si aggiunge quella vita ad assistere a uno spettacolo così inumano. Con
derivata dalla facoltà di scegliere il secondo termine del- loro non è possibile identificarsi. Non sono attori, né
la comparazione (manichini e sardine), e di mescolare le protagonisti né comparse. Il solo atto che compiono
proprie competenze sociologiche alle leggende metro- (sempre lo stesso, come un nastro continuo) è lavorare,
politane sui «cinesi che non muoiono mai». cadere e morire. Perché l'unico vero attore, l'unico sog-
Conseguenza di questo abnorme incremento del- getto che sia realmente in campo, dotato, se non di un
l'autorità del narratore è la riduzione, la retrocessione progetto e di una volontà, di un'intenzionalità cieca e
allo stato di cosa inanimata di coloro che a rigore implacabile, è piuttosto quel gigantesco sommovimen-
dovrebbero essere i protagonisti dell'aneddoto, i Cine- to planetario che ha nome "globalizzazione". Ciò che
si che cadono dal container. Se il narratore intermedia- spetta ai C inesi, come ai Coolies in Tifone di Conrad, è
rio è espropriato della sua facoltà di giudizio e può solo una rapida menzione affidata a un periodare paratattico
piangere, coprirsi gli occhi e finire il suo discorso in un (niente subordinate, niente incisi, nessuna relazione
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causale, concessiva, 'finale), ripetìtivo, anaforico, fatto corpo, peraltro, cui non spetta nemmeno la dignità del-
per lo più di frasi nominali, parchissimo di verbi che 1'estinzione definitiva, poiché viene richiamato in vita
non siano quello della mera notificazione di presenza, con il più sordido dei riti battesimali:
il verbo essere della nuda vita, della singolarità qualun-
que, di cui si può dire soltanto «era lì, erano lì». Non riuscii a capire perché la ragazza lo fece, ma si calò il pan-
Chi si confronta, dunque, in questo brano? Non lo talone della tuta e accovacciandosi proprio sul viso gli pisciò in
faccia. Il fazzolettino gli si attaccò sulle labbra e sul naso. Dopo
scrittore e la realtà, purtroppo. Piuttosto un Io impossibi- un po' il ragazzo sembrò riprendere i sensi, si passò una mano sul
le che si specchia, più che fare da specchio, sopra la super- naso e la bocca, come quando ci si toglie l'acqua dal viso dopo
ficie liscia e muta di un mondo altrettanto impossibile, essere usciti dal mare. Questo Lazzaro di Miano resuscitato da
informe, senza sguardo e senza voce. Si dirà che non tut- chissà quali sostanze contenute nell'urina, lentamente si alzò.
to Gomorra è così, e che all'umanità dolente e degradata
viene data spesso voce. Ma è proprio questo il punto: Tutto vero? Veduto veramente? Poco importa.
quell'umanità può parlare proprio e solo in quanto degra- Importa invece che sia questo il registro dominante in
data. Ecco ad esempio come viene rappresentata la morte tutto il libro. Una materialità irredenta che dalla gestio-
apparente di un tossico usato dagli spacciatori come cavia: ne delle cose (soldi, droga, merci, case, ville, territorio,
paesaggio) si propaga orizzontalmente a quella degli
Il tizio rientrò in auto dove l'autista non aveva neanche per uomini via la mediazione di un corpo quasi sempre
un secondo smesso di zompettare sul sedile ballando una musi- aperto, disarticolato, informe:
ca di cui non riuscivo a sentire neanche un rumore, nonostante si
muovesse come se fosse stata al massimo volume. In pochi minu- C'è un corpo o qualcosa che gli somiglia. I pompieri aprono
ti tutti si allontanarono dal corpo, passeggiando per questo fram- le portiere prendendo il cadavere, hanno una smorfia di disgu-
mento di polvere. Rimase il ragazzo steso a terra. E la fidanzata, sto. Un carabiniere si sente male, appoggiandosi al muro vomi-
piagnucolante. Anche il suo lamento rimaneva attaccato alle lab- ta la pasta e patate mangiata poche ore prima. Il corpo era solo
bra, come se l'eroina permettesse una cantilena rauca come uni- un tronco irrigidito, tutto nero, il volto solo un teschio annerito,
ca forma di espressione vocale. le gambe scuoiate dalle fiamme.

Siamo di fronte anche qui a un dramma senza attori, Una materialità che si trasmette per contagio anche
a un'afonia condivisa da vittime e carnefici, e designata al soggetto che osserva, e che stenta a convincersi di ave-
in modo grottesco col ricorso a scelte lessicali di grado re almeno per ora mantenuto il privilegio della vertica-
inequivocabilmente peggiorativo: zompettare, piagnu- lità, la certezza di non essere lui il soccombente:
colare. Movimenti insensati, mugolii inarticolati, assen-
za di espressione e di comunicazione, attorniano in una Sangue ovunque. Sembra quasi che l'anima gli sia scolata via
danza senza senso il corpo del ragazzo morente. Un da quei fori di proiettile che lo hanno marchiato in tutto il corpo.
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Quando vedi tanto san'giie per terra inizi a tastarti, controlli che esperienza in una guerra non sua, il grande mattatoio del-
non sia ferito tu, che in quel sangue non ci sia anche il tuo, inizi a la ex Jugoslavia. Dalla parte sbagliata, per giunta, male-
entrare in un'ansia psicotica, cerchi di assicurarti che non ci siano detta, indifendibile: i massacri subiti (e non perpetrati) a
ferite sul tuo corpo [ ...). Quando ti accerti che quel sangue non Mitrovica da quei serbi che nell'immaginario collettivo
l'hai perso tu, non basta: ti senti svuotato anche se l'emorragia
degli anni novanta avevano recitato senza concorrenti la
non è tua. Tu stesso diventi emorragia, senti le gambe che ti man-
cano, la lingua impastata, senti le mani sciolte in quel lago denso, parte del lupo. La loro parte è la sua parte. E infatti, alla
e vorresti che qualcuno ti guardasse l'interno degli occhi per con- domanda: «ma che guerra combatti, tu», l'autrice non
trollare il livello di anemia. Vorresti fermare un infermiere e chie- può che rispondere: «la mia».
dere una trasfusione, vorresti avere lo stomaco meno chiuso e
mangiare una bistecca, se riesci a non vomitare. Che cosa scrivo, finzione o realtà, fiction o fact? Io non lo
so. Io non so i nomi dei responsabili, e non li so perché non sono
«Tu stesso diventi emorragia». Il che equivale a dire: un intellettuale. Che cosa scrivo? Lettera interminabile da un
tu sei questo, non alti:o, questo è l'unico specchio in cui luogo sganciato da paralleli e meridiani, malore intimo, intimo e
prolisso, logorrea tossicologica? Oppure: immaginario, sciocco
ti è dato rifletterti, l'unica ideologia che si degna di
esercizio di una storica di se stessa che cerca guai senza sapere e
interpellarti per istituirti, avrebbe detto Althusser, come cercandoli li trova, ricomponendo eventi risaputi, testimoniati
soggetto. La sola possibile modalità di comunicazione da mille e una agenzia di stampa? Io scrivo fatti, dunque?
tra l'Io e l'Altro, tra l'interno e l'esterno, è l'effrazione
violenta, il consumo, l'abuso, l'ingestione. Non si spie- Decisivo, qui, ultimo anello di una catena comincia-
gherebbe altrimenti, in un contesto del genere, l'incon- ta col Pasolini del "processo al Palazzo" (io so ma non
grua apparizione della bistecca: carne morta che nutre ho le prove), rilanciata da Saviano (io so e ho le prove;
carne viva, anello minimo di una catena alimentare in ancora l'Io abnorme), è il sintagma «Io non lo so».
cui la sopraffazione è divenuta norma, habitus, secon- Ammissione sintomatica, e strategica, non contraria ma
da natura. Siamo palesemente al di là di ogni realismo. Il speculare a quella dei suoi predecessori. Io non lo so,
Reale trionfa e l'estremo è il suo profeta. ma parlo lo stesso. E questo mi colloca immediatamen-
te (cioè: senza mediazione) al di là del dilemma tra real-
tà e finzione, in un limbo in cui le parole brancolano
Sangue altrui senza speranza alcuna di poter accedere a una qualche
forma di pienezza. È di questo e solo di questo che pos-
Saviano racconta della terra in cui è nato. Babsi Jones, so scrivere, tagliando via spietatamente la spensierata
invece, autrice di un altrettanto radicale esperimento di malafede ontologica con cui tanti odierni scrittori di
autofinzione, il «quasiromanzo» Sappiano le mie parole autofinzione credono di fondere realtà e finzione senza
di sangue (2007), è andata a cercarsi il suo supplemento di pagar dazio. Non si fondono. Così come si sommano
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ma non si mescolano, si richiamano ma non si signifi- per procura, pagate con il sangue altrui? Una domanda
cano a vicenda il sangue mestruale dell'autrice e il san- che non ha senso porre agli autori di noir, ma in cui
gue di una vittima dell'eccidio di Mitrovica: consiste, lo si è visto già con Franchini e Saviano, il pun-
to d'onore irrinunciabile per chi scrive autofinzione.
Sono distesa su questo pavimento freddo, avverto la massa Di questo, e delle complesse e tortuose strategie di
di un corpo morto fuori dai muri, in strada. Hanno ucciso qual- mediazione che comporta, sembra perfettamente consa-
cuno anche stanotte. Ho udito i colpi.
pevole Helena Janeczek quando scrive le sue autofinzio-
Non fa rumore, il sangue che cola e scola tra le mie gambe.
Non ho uno straccio per tamponare il mio né il suo. ni: Lezioni di tenebra (1997) e Le rondini di Montecassi-
no (2010), dove storia familiare e memoria di quel secolo
straordinario e terribile che è stato il Novecento si intrec-
Tra il corpo vi~o e il corpo morto si erge un muro
ciano in un fitto contrappunto di voci e controvoci.
impossibile da attraversare. Il fatto, il t:auma, la c~sa
reale è avvenuta altrove: fuori, non qui. Una perdita
Lezioni di Tenebra è incentrato sul rapporto tra la scrit-
' trice e sua madre, ebrea polacca sopravvissuta allo ster-
mestruale in situazioni scomode non è nemmeno un
. minio nazista. È lei l'anello di congiunzione visibile tra
simbolo. Se lo pretend~sse, sarebbe quanto di peggio:
l'estremo del male radicale e i tanti manques-à-étre che
un feticcio, un surrogato. L'autrice lo sa. Anche per
affliggono la vita quotidiana della figlia: insicurezza, allar-
questo, forse, dopo la pubblicazione del libro ha fatto
me, ansia, instabilità, incapacità di radicarsi, bulimia, e
perdere le sue tracce, cancellandosi dalla scena pu_bblica
soprattutto un senso costante di minaccia quando nessu-
con una radicalità di cui è difficile trovare esemp1.
na vera minaccia è all'orizzonte. Ogni errore è morte, è
Che le parole sappiano di sangue è un'immagine pre-
l'insegnamento che Helena ha succhiato col latte della
sa a prestito da Amleto, santo patrono di tutte le
madre: era così al tempo dei campi e delle deportazioni.
coscienze smarritesi in un mondo fuori sesto. Ed è a
L'autrice invece sbaglia di continuo: sul lavoro, infami-
rigore quello che la retorica antica chiamava un aduna: glia, nei rapporti sociali e in quelli con se stessa. Eppure
ton, un enunciato impossibile, una di quelle formule cui a lei (e al suo lettore) non succede mai nulla di irreparabi-
si rifanno, apparentandosi, tanto il regime carnevalesco le. Se la madre è perfetta, la figlia è un ricettacolo di atti
del mondo alla rovescia (il bue che guida l'aratro, la mancati, sbadataggini, dimenticanze, d1,1bbi e irresolutez-
scimmia che insegna la grammatica ...) quanto la tre- ze. Entrambe sopravvivono alle prove, ma quelle della
menda serietà dei giuramenti: il mare si seccherà, i fiumi madre hanno avuto una portata ben diversa. La realtà
risaliranno la corrente, prima che io manchi alla pro- senza sconci cui si è trovata contrapposta la generazione
messa. Ma che giuramento è un giuramento che può dei padri e delle madri si è trasformata nel Reale fanta-
essere mantenuto solo per interposto sacrificio, attra- smatico che aduggia come un'ombra sinistra la vita dei
verso l'identificazione impossibile con tragedie vissute più giovani. Sono anche loro dei sopravvissuti; ma a una
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minaccia che non' si palesa mai di fronte, e campeggia co, in quanto accoglie e anzi rivendica per sé, sopra di sé,
invece imponente nell'Immaginario. l'ambiguità cui deve la sua stessa vita. Mentire voleva dire
Punto cruciale, però, che distingue questa opzione vivere. Continuare a mentire aiuta a sopravvivere. Ma il
dalle precedenti {Franchini, Saviano, Babsi Jones), è la dolore era vero, vera era la vergogna ingiusta e inevitabi-
presenza di una mediazione visibile, di una filiazione le dei sopravvissuti, vero è lo spaesamento radicale dei
manifesta. Che ricompare puntualmente in Le rondini di figli che da questo intrico di gloria e di pena, di valore e di
Montecassino, dove alla figura della madre dà il cambio umiliazione devono trarre la grammatica del loro vivere
quella del padre. Tra le molte vicende narrate nel roman- a venire. Dunque vivrò la stessa angoscia di mia madre.
zo (che ha come Nord magnetico la sanguinosa battaglia Dirò le stesse menzogne di mio padre. Le userò per
di Montecassino nella seconda guerra mondiale) corre il scampare un pericolo diverso, il mio: non l'annullamen-
filo di una doppia menzogna. Si apprende nelle ultime to ma la riduzione a silenzio della vita.
pagine che il padre dell'autrice, per ragioni più che com-
prensibili, ha raccontato di sé cose non vere quando par-
lava della sua esperienza durante la guerra e la persecu- L'errore necessario
zione: di aver combatt1:1to, quando si era semplicemente
nascosto. La figlia viene a saperlo solo dopo la sua mor- L'inevitabilità dell'errore, lo scandalo delle sue (man-
te, e lo comunica al lettore· con la stessa tempistica trau- cate) conseguenze, sono alla base anche di due tra i più
matica: la verità arriva sempre troppo tardi, in presenza maturi e consapevoli esperimenti di autofinzione degli
della fine. Ma la rivelazione assume ben altro rilievo se ultimi anni, i cui autori sono tra l'altro, e forse non è un
solo ci si ricorda che il romanzo si era aperto con la stes- caso, critici di vaglia. Da una parte, i romanzi di Ema-
sa identica menzogna, raccontata a un tassista polacco da nuele Trevi (/ cani del nulla, 2003, Senza verso, 2004,
una figlia che a quel punto non poteva non sapere: mio L'onda del porto, 2005,Il libro della gioia perpetua,
padre ha combattuto a Montecassino nell'armata di 2010). Dall'altra la trilogia di Walter Siti (Scuola di
Anders. Quel padre che in realtà non si chiamava nem- nudo, 1994, Un dolore normale, 1999, Troppi paradisi,
meno Janeczek, e che però anche grazie al fatto di aver 2006, cui si sono aggiunti, insieme ad altre prove mino-
cambiato nome era riuscito a sopravvivere, a sposarsi, a ri, Il contagio, 2008, e Autopsia dell'ossessione, 2010).
dare vita a Helena. L'intreccio tra menzogna e verità è Anche qui il lettore si trova di fronte a un Io che parla
assai meno pacifico di quello presupposto dal nostro lati- senza sosta, occupa per intero la scena, fa debordare le
tudinario orizzonte postmoderno (il quale non a caso ha sue intensità affettive sopra tutti gli eventi pubblici e
accettato pacificamente uno scandalo logico e ontologico, privati in cui si imbatte. Nello stesso tempo, però, quel-
prima che letterario, come l'autofinzione). Non però l'Io subisce con il succedersi delle pagine un singolare
scettico o ironico e meno che mai cinico. Piuttosto tragi- processo di evacuazione, di svuotamento, di de-identi-
74 SENZA TRAUMA
ficazione. Più par[; di sé, più ci chiediamo dove sia, e
forse perfino se ci sia. Più esibisce spudoratamente il suo
I DELL'AUTO FINZIONE 75
le del divano cedono, gli aspirapolvere non aspirano più nulla, i
tavoli traballano, le tazze si scheggiano, i dischi si incantano.

corpo, più lo nasconde e quasi lo cancella dietro una


L'autore prende le mosse dalle macerie di una quoti-
coltre di parole. Più convoca intorno a sé il mondo del-
dianità caricaturale e antitragica (c'è anzi una sorta di
1'esperienza condivisa (soprattutto Siti, i cui romanzi
impassibilità rassegnata da slapstik alla Buster Keaton o
sono quanto di più accurato e mimetico il "realismo"
alla Harold Lloyd) dove tutto è guasto, infranto e inser-
abbia prodotto in questi anni) e più assomiglia a una
I vibile, per dislocarsi in un altrove in cui è accaduta una
voce che sfuma in lontananza, al mormorio di chi si
catastrofe vera, una vera Espiazione, la "cosa reale" che
affabula da sé per paura del buio. Chi più si cerca meno

'
la nostra esperienza quotidiana sembra aver perso la
s1 ntrova.
capacità di produrre. Ma quando Trevi arriva sul posto
Da dove nasca·questo paradosso lo si coglie bene, in
Trevi, leggendo L'onda del porto. È il resoconto, inter-
il pericolo è già passato, e la vita si è riassesta~ s~ 4:1~1-
le temperature intermedie che rendono cosi d1ff1c1le
calato da riflessioni e digressioni saggistiche, di un viag-
offrirle una forma, o rompere tragicamente quella che
gio compiuto dall'autore in quell'estremo Sud dell'In~
ha. Era venuto via per sfuggire al suo dolore privato,
dia su cui si era appena abbattuto il devastante Tsunami
cercando scampo nel dolore del mondo. Ma questo è
del Natale 2004. Prima della partenza, anche nella vita 'I
quanto si ritrova in mano:
di Trevi si era prodotto un piccolo Tsunami: si intuisco-
no una separazione, scontento professionale, depressio- La prospettiva di "ritrovare se stesso" in un posto come l'Io:
ne, il tutto incarnato in una vita quotidiana dominata dia non era nemmeno da prendere in considerazione. Semmai
dal demone del guasto, dell'inceppo, della sciatteria, del era interessante l'idea, altrettanto chimerica, di smarrirsi com-
danno domestico vissuto come se fosse un'espiazione: pletamente, una volta per tutte. Ma tra ~uesti du_e poli, tr~ q~~-
ste due bandierine che sventolavano a distanza siderale (l ong1-
Quanto a me, è ormai molto tempo che ho smesso di chie- oario "se stesso" e il definitivo "non essere più") si stendeva la
dermi come mai ogni tipo di oggetto inanimato, dal più sempli- vita intera, la quale, come la maggior parte delle vite, si teneva
ce al più complesso, che mi appartenga o che semplicemente sia prudentemente lontano dagli estremi - né carne né pesce, per
sottoposto alla mia temporanea giurisdizione, si rompa, si incep- così dire.
pi, si deteriori irreparabilmente, insomma smetta di funzionare
come se fosse preda di un raptus suicida [ ...]. Le chiavi si spez- Nemmeno la più plausibile approssimazione alla furia
zano girando nella serratura, le marmitte corrose dalla ruggine cieca dell'Informe (l'onda che tutto travolge e divora) è
si staccano dai veicoli, i carburatori si ingolfano, le penne span- servita a ridare senso ali' esistenza. Non si salva né diven-
dono emorragie di inchiostro, i frigoriferi perdono acqua, gli
sportelli degli armadi si staccano dai cardini, le chiusure lampo si
ta matto chi vuole. Non c'è guadagno né perdita. In India
inceppano, le lampadine si fulminano, i cessi si intasano, le mo!- si ritrova solo ciò che si è portato via con sé - e cioè il
76 SENZA TRAUMA DELL'AUTOFINZIONE 77
piccolo informe, la (eoria dei guasti, la propria dissestata cedo in mezzo ad un mondo anonimo, mortale e letale, ma che
catapecchia interiore. Nonché le consuete abitudini non ha nemmeno cominciato a paventare la totalità felicemente
morali, per esempio quella compassione per la sofferen- immonda del proprio corpo. È una strana sensazione, in cui pre-
domina una sorta di sbalordita, sgarbata felicità: anche se io so
za altrui (nel libro: lunga frequentazione con due bambi- che non sono degno di questo mondo così superbamente invaso
ni senza famiglia; incontro con una sorta di missionaria dalla propria terrestrità.
laica; episodio finale con liberazione di una tartaruga ... )
che è sempre, lo sappiamo almeno da Rousseau, com- Ma non è una gara a chi è più prode, determinato e
passione di sé, movimento riflesso, espansione benigna e radicale. È un problema, per riprendere la formula di
non distruttiva dell'amour de soi. Più Io e meno sogget- Scarpa, di condizione, ovvero di qualità dei tempi. Per gli
to, ancora una volta. Perché il soggetto è ciò che pur scrittori, non da oggi ma tanto più oggi, è la contingenza
rimanendo se stesso sempre muta, mentre l'Io è la bar- di ciò che è "fuori" i loro testi a conferire (o togliere)
riera difensiva che si oppone - è suo dovere farlo - a ogni necessità a ciò che sta dentro. La dismissione di radicali-
cambiamento. Basta infatti confrontare queste pagine di tà è l'unico Jolly Roger che può inalberare una genera-
Trevi con quelle che un viaggiatore tardivo, terrorizzato zione cresciuta all'insegna del disincanto preventivo.
e deliziato come Giorgio Manganelli ha dedicato all'In- E non solo quella generazione, del resto. Si consi-
dia (poco sforzo: lo ha fatto Trevi stesso in un bellissi- deri la parabola di Sit i (che è del'47 e ha fatto come si
mo saggio dedicato proprio al Manganelli dell' Esperi- dice il '68, mentre Trevi è del '64), dall'inferno di Scuo-
mento con l'India) per vedere come la fascinazione ete- la di Nudo al paradiso di Troppi paradisi (Un dolore
rologica per l'informe, la decomposizione, l'alterità asso- normale essendo ovviamente il Purgatorio). A un pri-
I mo sguardo, i due testi sembrerebbero basarsi su una
luta e in definitiva la morte potesse assumere in uno ,,'
scrittore nato e morto in pieno Novecento connotati batt eria di opzioni analoghe. Intanto, va da sé, un'au-
infinitamente più radicali: tofinzione tutta giocata su di un esibizionismo ricatta-
torio che funge nel testo da dispositivo di intimazione
Entrare a Bombay provenendo dall'aeroporto dà la sensazio- di realtà. Come potrebbe essere menzognero un testo
ne di conoscere un qualche grande corpo penetrandolo dallo in cui l'autore rivela, tramite il personaggio che si chia-
sfintere: giacché non c'è dubbio che il lungo itinerario che mi ma col suo stesso nome, cose così imbarazzanti di sé?
porterà al centro di Bombay, che si trova in periferia, ha attinen- Confusione di piste, avvelenamento di pozzi. Poi l'am-
za con l'ano e le pudenda della città [ .. .). Questo mondo - lo piezza dell'arcata di anni raccontati, con un t rattamen-
scopro ora una volta per sempre - non è accidentalmente spor-
to della temporalità narrativa in cui la relazione tra il
co: lo è in modo essenziale, costante, pacato[. ..), lo sporco ori-
ginario, aurorale, quello sporco che abbiamo tradito, come tempo che passa e la du rata psicologica non è solo
abbiamo tradito tutt'intero il nostro corpo, i nostri peli, il sudo- oggetto ma sostanza stessa della rappresentazione. Poi,
re, le unghie, i genitali, lo sfintere. Sia gloria allo sfintere: io pro- ancora, la scelta di mettere a contatto una grande varie-
DELL'AUTOFINZIONE 79
78 SENZA TRAUMA
tà di universi sociaf( e linguistici assai diversi tra loro, nunciava come mostro, anomalia, pietra scartata, tanto
dall'università ai marchettari, dal demi-monde dei pro- più si lagnava della sua esclusione e affettava di rifiuta-
duttori RAI alle borgate romane, trattati tutti però con re come indegna una normalità sessuale e politica che
una soluzione di amalgama stilistica che esclude tanto la nevrastenia sembrava precludergli, quanto più sco-
la stilizzazione parodica quanto la tranche de vie natu- priva di essere la testata d'angolo di un ordine malato
ralista. Infine la sussunzione di eventi e dialoghi in un che per riprodursi non ha più bisogno del consenso ma
flusso narrativo esplicitamente scritto, di registro alto, dell'accettazione del disprezzo di sé e degli altri come
a forte tenore figurale, con cursus, cadenze e incisi for- unica moneta corrente nei rapporti sociali. Questo dava
temente marcati: con maggiore autoriflessività in Scuo- all'autore un'ampia facoltà di manovra, insieme assio-
la di nudo, dove il narratore introduce direttamente logica e narrativa, nell'istituire nessi tra le idiosincrasie
nella storia il fatto ·di stare scrivendo quel romanzo; in di un malato di nervi e un intero decennio di storia del-
misura più episodica ma tuttavia sempre avvertibile in la società italiana, dall'imputridimento della generazio-
Troppi paradisi. ne sessantottina alla prima guerra del Golfo, con le sue
Dove invece i due romanzi divergono radicalmente paure, invidie, ossessioni, frustrazioni: di quell'Italia
è nel rapporto che istituiscono tra soggetto e mondo. che proprio nell'anno di uscita del romanzo avrebbe
Scuola di nudo era la descrizione di una battaglia: le offerto la gola a Berlusconi con la rassegnazione che si
ossessioni sessuali del pròtagonista - un professore deve all'inevitabile.
universitario che adora i nudi maschili, i culturisti dai Troppi paradisi è invece la storia di un'integrazione.
pettorali gonfi come seni giganteschi, per la loro perfe- Il protagonista non si chiama più Walter Siti, ma «Wal-
zione antinaturale - si facevano emblema di una pro- ter Siti, come tutti», e non è una correzione di poco
fonda dissonanza tra il desiderio del soggetto e quello conto. Si ritiene un perfetto rappresentante della medio-
degli altri. Dissonanza ambigua, consapevolmente crità dell'Occidente, e ha smesso di considerare i deside-
mantenuta nel registro narcisistico dell'immaginario ri degli altri come qualcosa di diverso, censurabile, ripu-
nello sforzo di negare il proprio assenso all'ordine sim- gnante. Il disprezzo ha lasciato il posto alla fraternità.
bolico che presiede all'organizzazione della realtà, con Al dualismo gnostico tra l'antiphysis dei corpi gloriosi e
i suoi doveri, i suoi poteri e le sue gerarchie. Infamia il mondo abbandonato dagli dèi dell'esistenza quotidia-
contro infamia, degradazione contro degradazione, con na, si è sostituito un universo in cui il verbo si è fatto
in più la malafede di chi sa che sta disprezzando quel- carne attraverso la società dei consumi e dello spettaco-
lo che comunque non potrebbe ottenere, e proprio per- lo. Il mondo è uno, il desiderio è uno. Oggetto d'amo-
ciò segretamente desidera. Non un chiamarsi fuori, re è ciò che si può comprare, la sua caratteristica non è
dunque, ma la rappresentazione di un tentativo di far- più la fuga ma la reperibilità: non a caso Siti troverà il
lo, da parte di un protagonista che tanto più si autode- vero amore mantenendo una marchetta.
80 SENZA TRAUMA DELL'AUTOFINZIONE 8I
Auspice di questa ·riconciliazione tra realtà e coscien- volevo essere: adesso ci sono[...]. Ora che Dio mi ama, non ho
za è la televisione, soprattutto quella dei reality e dei for- più bisogno di esibirmi. Sto meglio man mano che il mondo peg-
mat, cui vengono dedicate pagine di grande acume sag- giora, pazienza. Le mie idiosincrasie si scontreranno con quelle
degli altri in campo aperto; se avrò qualcosa da raccontare, non
gistico. La televisione non è irrealtà ma «realtà impoveri-
sarà su di me.
ta», contingentata, ritoccata e riadattata secondo i tempi
e le esigenze della produzione e degli sponsor; resa frui-
Con queste ultime righe in cui, proustianamente,
bile, consumabile, imitabile, e proprio perciò capace di
generare per contagio una realtà extratelevisiva già pron- personaggio e autore si ricongiungono per poi subito
ta per essere ripresa e riformattata dalle telecamere. Non separarsi di nuovo - il protagonista a godere della visio-
prevede e non permette alcun altrove, come invece l'arte, ne beatifica del suo dio, lo scrittore a correggere le boz-
«realtà intensificata•~, conflittuale, antagonistica, in peren- ze del suo romanzo - , Troppi paradisi sembra chiudersi
ne tensione tra l'immagine e la cosa, che nella società del- nella certezza di una realtà riconquistata. Poiché non ha
lo spettacolo collidon_o fino a diventare un'unica sostan- temuto di perdere la propria vita, Siti (personaggio e
za: «se non si può rappresentare tutta la vita, allora la vita autore) l'ha finalmente trovata. Tanto più che, come si
rwn è altro che ciò che si 1:e.ppresenta». Rinunciando all'ar- legge nell'avvertenza introduttiva, la realtà è un proget-
te per dedicarsi alla scrittura di programmi televisivi con to e il realismo «una tecnica di potere». La letteratura
cui si guadagna il denaro necessario a comprarsi il paradi- non compete mai con la vita, scriveva già Stevenson in
so, il protagonista si fa modificare l'apparato genitale per polemica conJames; riproduce il discorso, non la realtà.
poter penetrare il suo oggetto d'amore: Se poi la realtà stessa, nella sua continua manipolazione
da parte dei media, non è altro che un'incessante fuga di
Mi pare giusto, entrare in un corpo ritoccato con un cazzo codici, una stratificazione infinita di discorsi, compito
ritoccato; ai problemi della post-realtà immaginaria si risponde della letteratura non potrà essere altro che quello di
con la tecnologia[ ...]: l'autenticità mi è impossibile, al culmine
prolungarne il gioco illusorio sapendo che non esiste da
delle mie ambizioni sta un atto artificiale.
nessuna parte un ancoraggio, un punto d'inizio o di
fine, o anche solo una minima fenditura attraverso cui
Inutile sfidare il mondo con la propria diversità.
L'autenticità è isolamento, solitudine, ossessione, reclu- metterla radicalmente in questione. Se Scuola di Nudo
sione. Meglio un'esperienza mediata da una protesi che era la ricerca di questa fenditura, Troppi paradisi si
la condanna perpetua a non poter mai toccare la realtà costruisce a partire dalla rinuncia a trovarla. Se la realtà
degli altri, col dubbio di non essere mai nati: è il discorso sulla realtà, Troppi paradisi è fatto esatta·
mente come la realtà.
Ora sono nato: da circa sette mesi sono nato. Se in più di mil- E poiché la tensione figurale tra realtà e discorso -
le pagine ho prodotto un sosia, era perché io non c'ero, non ci cooperazione, scontro, dialettica, negazione, al limite,
82 SENZA TRAUMA DELL'AUTOPINZIONE 83
ma pur sempre tra due istanze separate - è venuta meno, rivoluzione per Ottenere la più esatta e attendibile car-
sostituita dal loro collasso adialettico, anche la straor- tografia del nostro presente. Ma una realtà senza fessu-
dinaria felicità di invenzione metaforica che era il tratto re in cosa è diversa da quella traumatica parete senza
stilistico più evidente di Scuola di nudo è stata ampia- appigli che chiamiamo il Reale? Fine del desiderio, del-
mente ridimensionata. La metafora è non un raddop- la sua etica e delle sue battaglie. Trionfo del godimen-
piamento della realtà, vive della divaricazione tra l'"è" e to, del consumo a somma zero, della bulimia dei cor-
il "non è" della sua predicazione, non dice come è il pi e dell'anoressia dei progetti, coi sentimenti intorno
mondo ma lo disfa e lo ricompone secondo una logica a fare da décor immaginario. Baudelaire parlò una vol-
altra. Considerato da questo punto di vista, Troppi para- • ta di un «eroismo della vita moderna». Per Siti si
disi è un unico ininterrotto enunciato referenziale. potrebbe dire lo stesso. Col dubbio se fosse più eroica
Andamento dell'intreccio, introduzione dei motivi,
ruolo dei personaggi e soluzione dei nodi narrativi
obbediscono a un a priori sociologico, non verificano
un'ipotesi ma dimostrano una tesi. Come già Scuola di
l
I
la rappresentazione del suo rifiuto in Scuola di nudo, o
la testimonianza, in Troppi paradisi, della sua e della
nostra resa.

nudo, Troppi paradisi si basa sulla rielaborazione di un


forte nucleo autobiografico. Ma è un'autobiografia che Nessuna resa, nessun perdono
si trasforma automaticamerite in sociologia - Walter Siti
come tutti, appunto. Certo, a differenza di Trevi e di Siti, c'è anche chi
E più ancora, forse, si trasforma in quella «rappre- professa una manifesta poetica del non arrendersi. Ma
sentazione stupita della fatticità» rimproverata nel se i percorsi si divaricano, gli esiti non divergono di
1938 da Adorno - atterrito e insieme tentato dalla pro- molto: là dove l'Io si accampa, il mondo si dilegua, e
spettiva - al metodo dell'amico Walter Benjamin, che viceversa. Antonio Moresco, per esempio, in Lettere a
proprio in quegli anni andava scoprendo il sex appeal nessuno ( 1997, ma ripubblicato in edizione molto accre-
dell'inorganico, oggi così di moda ma allora spavento- sciuta nel 2008) mette in scena una drammaturgia del
so ed enigmatico. Fatticità, ovvero puro essere senza rifiuto che travalica di gran lunga, e per scelta consape-
mediazione. Senza crepe. Senza pieghe. Senza fessure, vole, la lotta tra scrittura e mondo, per esorbitare nella
in sé, che non fossero, per Benjamin, la prospettiva ·, sfera della relazione tra la persona dell'autore e le perso-
escatologica della rivoluzione. In Siti però non c'è né ne reali che lo hanno ferito. lo rifiuto i critici e i funzio-
ci potrebbe essere rivoluzione. Il mondo in cui vive la nari editoriali che mi hanno rifiutato. Li metto alla ber-
nega in radice. Mai la storia umana ha visto un tempo lina con nomi e cognomi, rendo loro pan per focaccia,
così compiutamente, ontologicamente controrivolu- cerco di restituire dolore reale al dolore reale che mi
zionario, al punto che basterebbe rovesciare l'idea di hanno inflitto. Includendo il tutto (ché altrimenti il mio

84 SENZA TRAUMA DELL'AUTOFINZIONE 85
sarebbe solo un caso di interesse privato in atti d'uffi- ' Eppure: "al di là di ogni contingenza biografica":
cio letterario) all'interno appunto di una poetica, di una dicendo così non lo abbiamo già tradito? Che resta del
visione di ciò che la letteratura può e deve essere. Senza dolore reale? E che resta di una letteratura che voglia
barriere, perché quelle barriere che hanno causato la mia essere voce non depurata, non neoclassicamente tesa a
pena (mi hanno rifiutato come autore perché non ero trascendere in superiore controllo ogni tempesta, una
ancora abbastanza "autore", avevo pubblicato troppo volta che per il fatto stesso di scriverlo abbia transustan-
poco, non ero sufficientemente noto per attrarre la loro ziato quel dolore al punto da poterne prescindere?
attenzione) sono le stesse che rendono impotente, arre- Pascal scrive troppo bene per essere davvero angoscia-
sa, asfittica e suicidiaria la vostra letteratura. to, diceva Paul Valéry. Sono i paradossi dell'autofinzio-
È ciò che in psichiatria si chiama double bind, dop- ne, e l'ombra lunga della maledizione della vittima. La
pio vincolo, ingiunzione contraddittoria emessa dalla vittima è colui che tutti tradiscono, nel crucifige come
stessa fonte che pone il destinatario in una situazione nell'osanna. Ecco perché nella seconda parte di Lettere
impossibile. Esempio classico: sii spontaneo! Come a nessuno, aggiunta quando Moresco era già uno scrit-
potete non accogliermi nel recinto della letteratura se è tore famoso, tutt'altro che rifiutato e anzi idolatrato da
proprio a partire dall'abbattimento del recint0 che io molti, il dispositivo è lo stesso: sospetti, attacchi, delu-
desidero entrarvi? Come potete respingermi nella "vita" sioni, tradimenti, critici impietosi, scrittori che sembra-
se è proprio la vita stessa (la.nuda vita, l'animale moren- vano amici e invece.. . A un trauma reale: il rifiuto subi-
te, il dolore come fraternità leopardiana) che attraverso to al tempo degli esordi, si è sostituito un trauma fan-
me vi parla in spregio della vostra idea di letteratura? tasmatico: la normale esperienza che non si può piacere
Come potete non far cessare la mia condizione di vitti- a tutti. Non a caso in un romanzo pubblicato dopo la
ma se è proprio in qualità di vittima che vi chiedo di prima versione delle Lettere un editore si chiede se
essere accettato? dovere, appunto, di un editore non sarebbe proprio
Con capacità e coerenza, anche Moresco si cala al quello di non pubblicare un libro del genere .. .
centro della macchina mitologica vittimaria, con i suoi Se a distanza di anni, forte del suo successo, Moresco
corollari inevitabili, il rancore, l'accusa, la sentenza rin- avesse perdonato i suoi persecutori, ci troveremmo in
facciata e ritorta contro i propri giudici. Allora la sua una mera vicenda privata. Invece si è mantenuto fedel-
persona singola scompare, il suo grido si fa unanime. mente in quella che Melanie Klein chiamava la posizio-
I
Cesare Garboli ha distinto una volta tra scrittori medi- ne schizoparanoide: l'infante che al tempo stesso ama e
ci e scrittori cavie: Moresco appartiene senza dubbio ai odia il seno materno, l'oggetto ora buono ora cattivo,
secondi. Al di là di ogni contingenza biografica, si è ino- che si desidera e insieme si teme di distruggere, il che
culato il veleno per trovare un vaccino nella speranza comporterebbe annientare insieme ad esso anche il pro-
che non sia utile soltanto a lui. prio Sé, visto che al bambino non è dato ancora di pen-
(I

86 SENZA TRAUMA DELL'AUTOFINZIONE 87

sarsi come altro dall~ madre. Di qui l'insorgere delle Pecoraro sembra prendere le mosse da una condizio-
prime fantasie di persecuzione, traccia e modello sem- ne di perenne vulnerabilità preventiva (sconfitta storica?
pre riattivabile in età più adulta. Rievocandole per noi, personale? culturale?), cui reagire attraverso una spa-
Moresco si è elevato dalla miseria del caso letterario alla smodica messa a distanza, e messa a fuoco, in tutti i sen-
dignità del sintomo comune. si, del mondo. Averlo di fronte significa non starci in
Anche quella di Francesco Pecoraro è una scrittura mezzo. Guardare e non mescolarsi. Che l'animale uma-
senza perdono: nei racconti di Dove credi di andare no sia qualcuno che per natura nasce sempre "nel mez-
(2007) e soprattutto in Questa e altre preistorie (2008), zo" (del linguaggio e del mondo); che il suo vedere sia
antologia e riscrittura di brani narrativi, descrittivi e per ciò stesso sempre anche un toccare, come diceva
saggistici già pubblicati in rete sotto lo pseudonimo di Merleau-Ponty, e con lui buona parte della filosofia del
Tashtego. È la scrittura di un miope, di qualcuno che Novecento, è qualcosa di intollerabile per Pecoraro. Lui
guarda il mondo da vicino. Da troppo vicino: alla non vuole toccare nulla, odora e ascolta con palese fasti-
materia, alle sue rughe, alle sue imperfezioni. Lo dio, l'unico gesto che lo placa è il vedere. Solo guardan-
sguardo si concentra sempre su particolari, oggetti, dolo bene in faccia il inondo può essere rimpianto come
paesaggi e personaggi die di solito non attraggono la un caos cui sarebbe stato possibile e anzi doveroso dare
nostra attenzione, e anzi: che rifuggiamo, che schifia- ordine: assegnando confini, stabilendo ritmi, imponendo
mo. Detriti, rifiuti, mendicanti, barboni, viadotti, svin- meridiani e paralleli laddove si palesa solo un coacervo di
coli autostradali, cacche di cane, cose rovinate o mal prospettive curve, linee torte, intrichi senza centro. L' er-
progettate, disturbanti, inservibili, informi. Su ciò da rore è ciò che più lo angustia: la svista, la sciatteria, la
cui abitualmente rifuggiamo, lui si sofferma e insiste. dimenticanza, il terrain vague, le zone incolte dentro e
I microtraumi della vita quotidiana vengono costante- fuori di noi. Siamo agli antipodi dalla rassegnazione di
mente convocati alla presenza dell'Io - che nel suo Trevi. C'è in Pecoraro un architetto rinascimentale, un
caso è più che mai un meccanismo di difesa, una mem- cartesiano deluso. Poiché le cose non sono come
brana incaricata di proteggere il soggetto dagli choc dovrebbero, allora vada pure tutto al diavolo. Che l'er-
del mondo esterno - per essere sottoposti a un com- rore possa anche essere vita, la differenza che ci identifi-
plicato rituale di esorcismo. La realtà ostile viene inter- ca, la maglia rotta che ci fa insostituibili; che la storia di
cettata, bloccata, congelata da uno sguardo che non un uomo sia anche e soprattutto la storia dei suoi erro-
svicola e che al contrario la fronteggia: uno sguardo ri, a Pecoraro non sta bene. Nostro compito sarebbe fare
sempre frontale. Non fugge il trauma, lo ricerca ansio- ordine, e se non ci riusciamo la colpa ricada su di noi.
samente. Meglio farglisi sotto che rischiare di esserne Su di noi e sul mondo. Non a caso il titolo del libro
sorpreso. Chi colpisce per primo colpisce due volte, evoca la preistoria, che è poi anche, nel contesto metro-
chi ferisce non viene ferito. politano in cui l'autore vive, la stessa cosa della post-
.,
88 SENZA TRAUMA DELL'AUTOFINZIONE 89
storia. Il mondo se lo ·merita. Il mondo è senza perdono. sarà sottratto alla vita o.r rida vera. E se una parte dell'umanità si
ribellerà e rifiuterà di leggere le elucubrazioni dell'altra, tanto
Pecoraro dice di essere cresciuto con un'etica western:
meglio. Ognuno leggerà se stesso. E la propria vita risulterà più
aut aut, bianco e nero, scelte assolute, decisiorù ultime, chiara o più oscura ma si ripeterà si correggerà si cristallizzerà.
nessun possibile accomodamento tra due sguardi che si Almeno non resterà quale è priva di rilievo, sepolta non appena
incrociano prima del duello finale. Se lo attira la storia nata, con quei giorni che vanno via e s'accumulano uno eguale
degli ammutinati del Bounty è perché non approva che all'altro a formare gli anni, i decenni, la vita tanto vuota, capace
abbiano lasciato vivere, sia pure abbandonandolo su una soltanto di figurare come un numero di una tabella statistica del
barca alla deriva, il capitano crudele: dovevano ammaz- movimento demografico. Io voglio scrivere ancora.
zarlo. Il suo universo morale è puritano, marùcheo,
comunque non cattolico. Non per nulla ha eletto a nick- Difficile trovare una migliore profezia del contesto
name Tashtego, il·.fiociniere infallibile del Capitano in cui ha potuto nascere il genere dell'autofinzione. C'è
Achab di Melville. Una retorica veterotestamentaria proprio tutto, perfino la sua sociologia (tutti scrivono e
innerva fino ai più minimi recessi il ritmo della sua pro- nessuno legge). E sopra ogrù altra cosa c'è la «vita orri-
sa: un andamento a versetti, scolpiti, assoluti nella loro da vera», il Reale cui il vegliardo di Svevo sa opporre
indisporùbilità a ogni transazione. solo il suo indomabile: «Io voglio scrivere ancora».
Ma il Tashtego di Melville dà la caccia alla balena Nessuna vita al di qua del linguaggio, nessuna salvezza
bianca. Pecoraro si diletta invece di pesca subacquea, e al di là.
in città le sue prede sono i viadotti, gli svincoli, i marcia-
piedi ingombri e le cacche dei cani. Di ciò che il linguag-
gio ha infilzato è impossibile far trofeo. Quanto dire che Sul fondo
il linguaggio è la sola cosa che resta, che resiste, che
merita di resistere alla fine del mondo. Come in Svevo, Extra linguam nulla salus: era stato questo il credo
che dopo l'esplosione universale con cui chiude la della grande letteratura novecentesca. Non la lingua di
Coscienza di Zeno riconvoca nel 1928 il suo personag- tutti, certo, bensì una lingua straniata, sforzata, condot-
gio per farlo di nuovo parlare, testardo, incorreggibile ta sistematicamente al di là dei propri limiti. Verso l'al-
vecchio brontolone, al di là della morte e della vita: to, o verso il basso, dall'idiozia Dada alla mimesi del
bavardage quotidiano riprodotto e irorùcamente incor-
Ed ora che cosa sono io? Non colui che visse ma colui che niciato dalle varie avanguardie: comune scaturigine
descrissi. Oh! L'unica parte importante della vita è il raccogli- Flaubert, ovvero il problema di conferire stile a un fond
mento. Quando tutti lo comprenderanno con la chiarezza ch'io tanto banale come la storia di una adultera in provincia.
ho tutti scriveranno. La vita sarà letteraturizzata. Metà dell'uma-
Ma pur sempre nella lingua, con un atteggiamento di
nità sarà dedicata a leggere e studiare quello che l'altra metà avrà
annotato. E il raccoglimento occuperà il massimo tempo che così venerazione che perfino nelle pratiche di degradazione
\
90 SENZA TRAUMA DELL'AUTOFINZIONE 9I
più radicali restava sempre tributario del tipico ricatto fanati. Non funziona più così. Valga per tutti l'esempio
romantico: faccio il buffone ma in realtà sono sublime, di Aldo Nove, con l'incipit ormai proverbiale del suo
o comunque dell'impossibile sublime porto il lutto. libro d'esordio, Woobinda (1996):
Altrettanto necessitata, ma di segno rovesciato, è la
situazione da cui muove la scrittura dell'estremo: a un Ho ammazzato i miei genitori perché usavano un bagno-
trauma che è tale in quanto non può essere afferrato dal schiuma assurdo, Pure & Vegetai.
linguaggio, si contrappone un trauma immaginario che Mia madre diceva che quel bagnoschiuma idrata la pelle ma
io uso Vidal e voglio che in casa tutti usino Vidal.
necessita di una continua generazione di linguaggio con
Perché ricordo che fin da piccolo la pubblicità del bagno•
cui supplire a quell'assenza. Un linguaggio, alla lettera, schiuma Vìdal mi piaceva molto.
qualunque, tramontata come sembra, ha scritto Alfon- Stavo a letto e guardavo correre quel cavallo.
so Berardinelli, l'idea tipicamente moderna che la situa- Quel cavallo era la libertà.
zione presente del mondo imponga di scrivere solo in Volevo che tutti fossero liberi.
un dato modo. Qualunque, al di là e anzi al di qua del- Volevo che tutti comprassero Vidal.
lo scriver bene o scriver male, in quanto trae la sua legit-
timazione non dalla tale o talaltra qualità, ma dal fatto di Non è certo, quello di Nove, un basso convocato in
campirsi sullo sfondo di un troppo pieno o troppo vuo- scena come protesta contro l'ipocrita seriosità, l'ingiusti-
to, comunque indistinto, che rende sempre più difficile ficata altezza della lingua del potere: nulla a che vedere
ogni verifica. Ci sarà sempre chi scrive meglio e chi peg- con l'elogio della merda in Rabelais e nei suoi succedanei
gio, ma la distinzione tende a perdere pregnanza. Lo sti- fin dentro il Novecento, o con l'isteria interiettiva della
le cede il passo alla scrittura. Qualunque, ha mostrato petite musique di Céline. Ma nemmeno lo si può ridurre
Giorgio Agamben, è il solo attributo della nuda vita. a un mero irridere la lingua e l'immaginazione degradata
Ecco perché, in alcune delle sperimentazioni con- del consumatore compulsivo sperduto nella triste
temporanee più radicali, l'opzione dell'abbassamento postmodernità italiana. Che cos'è, allora? Ambizione di
sistematico - dove scrivere bene significa mimare icasti- letterato a rinnovare il parco macchine appropriandosi
camente il parlar male - sembra aver perso quel valore del!' ennesimo gergo? Solidarietà creaturale dello scritto-
di posizionamento assiologico che aveva nella moder- re col destino della maggioranza dei suoi simili?
nità. Vuoi ostentazione di superiorità: la stilizzazione Per trovare la risposta, facciamo scorrere il calenda-
parodica del tamarro, del coatto, del Trimalcione di tur- rio e arriviamo al recentissimo la vita oscena (2010),
no. Vuoi rivendicazione sovversiva che alluda a un altro approdo di Nove alle rive dell'autofinzione. Di cosa
possibile uso della lingua, carnevalesco, irridente, capa- parla questo libro? In apparenza, dell'infanzia e giovi-
ce di instaurare un mondo alla rovescia in cui le gerar- nezza infelice dell'autore. Morte dei genitori, solitudine,
chie risultino invertite, i poteri abbattuti, gli altari pro- I disagio, tentativi di suicidio, una casa che esplode per
I'
92 SENZA TRAUMA DELL'AUTO FINZIONE 93
errore, e poi ospedaÌi, psicofarmaci, il tentativo di spro- sta di La vita oscena non è un individuo ma la vita
fondare in un gorgo di abiezione fatto di cocaina e com- impersonale, il dolore senza nome, ciò che a rigore non
pulsive visite a ogni sorta di prostitute e prostituti. Tut- potrebbe essere detto non perché di per sé vergognoso
to vero? Può darsi, non possiamo e non ha senso con- (figurarsi: oggi che, come si dice, non si vergogna più
trollare, anche perché le vie dell'autofinzione, come nessuno) ma perché in quanto sopra o forse meglio
ormai tutti sanno, sono infinite. Ma non è questo che infraindividuale non può mai essere narrato senza la
importa. Importa invece la tentazione, in cui viene mediazione di un io, di un carattere, di un centro aggre-
indotto il lettore, di ritenersi finalmente in possesso di gatore di personalità, idiosincrasia, fierezza, non foss'al-
una chiave certa con cui leggere l'opera precedente del- tro della propria degradazione.
l'autore. Ecco che c'era dietro. Ecco perché quel mon- È questo che Nove riesce a evitare. Ciò che parla nel-
do esilarante e desolato, quelle gag tragicomiche, quel la sua lingua è invece la vita stessa, la vita fisica, il corpo
linguaggio che nelle sue espressioni più riuscite è la per- comune che rimane dopo che la mente ha smesso di
fetta mimesi del balbettare di un idiota. Non era solo un esercitare il suo orgoglioso compito di rappresentante
artificio letterario. C'era una storia dietro, un grumo di del principio di individuazione. A una tragedia indivi-
realtà incistato, dolorante e inesauribile che comandava duale, il protagonista reagisce scegliendo di diventare
con mano ferrea la lingua e i personaggi di Aldo Nove. pura carne, sofferenza senza volto, godimento senza
C'era un trauma. La letteratura era vita, sentimenti desiderio, evento senza significato. Questo è l'abisso,
"autentici", esperienza "provata sulla propria pelle". altro che la droga o le puttane: ti aspetteresti una psie:o-
t. la risposta sbagliata. Perché mai come in questo logia e ti si mostra una tumefazione. Sei abituato per
libro in cui ha raccontato senza travestimenti comici e antica convenzione letteraria a veder trasfigurato il dolo-
generalizzazioni sociologiche la propria tragica, dolo- re in maturità, saggezza, riflessione, e Nove te lo espone
rosissima esperienza personale, Nove ha puntato tutte invece in tutta la sua tetragona, indecomponibile, eroica
le sue carte sulla letteratura. Sulla letteratura, ovvero su idiozia. La lingua, letteraria e no, non è solita a questo
quella possibilità di mettere da un canto, fino a ridurlo trattamento. Per leggere La vita oscena, il lettore deve
a una funzione del linguaggio tra le altre, il proprio Io dimenticare molte sue abitudini. Per questo d'altronde
biografico. A parlare di sé son buoni tutti. Parlarne fino quella vita è appunto oscena, ovvero, alla lettera, fuori
a cancellarsi, a scomparire dal quadro, a farsi frase, scena, non adatta e anzi refrattaria ad essere rappresenta-
periodo, dettato, questo invece è letteratura. ta. Ma è la nostra vita, la vita che condividiamo, al netto
E infatti. Quello che emerge dalle pagine di questo dell'orgoglio individuale, con i nostri congeneri in una
libro non è il ritratto di un personaggio, una psicologia, società che ha fatto della merce il suo sovrano, il suo far-
un destino individuale e irripetibile che rende chi rac- maco, il suo paradiso. Oscena perché non può parlare di
conta diverso da tutti gli altri. Al contrario. Protagoni- sé se non per bocca dell'impersonale che la nutre e la
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pervade per intero: · Dolorosa perché senza pensiero, Guarire sarebbe il trionfo del silenzio, o del frastuono
alternative, finzioni riparatrici o identitarie. senza stile della comunicazione. Chi ha un trauma vero se
Ecco allora il perché, stavolta sì, di quella lingua. lo tiene caro, gli altri raccolti intorno a lui, angosciati e
Una lingua che non si colloca più sopra o sotto la lin- deliziati, ad ascoltare le sue st0rie.
gua della tribù con cui la specie umana tratta i suoi com-
merci e sbriga le sue incombenze sentimentali. Una lin-
gua che per riuscire ad articolare ancora qualcosa deve Dal vuoto all'evento
porsi per così dire al di sotto di se stessa: «Con mio papà
e mia mamma siamo andati a prendere il gelato, era Ci avviamo a concludere. Per ultimo abbiamo lascia-
buono». O ancora: to uno scrittore, Giuseppe Genna, che ha praticato
entrambi i versanti della scrittura dell'estremo. Il genere,
Accendendo la luce per entrare feci esplodere la casa. che lo ha visto autore fortunato di noir, storie spionisti-
Un istante. che, allegorie politiche con il debito quoziente di para-
Era esplosa. noia metafisica in funzione di regolatore d'angoscia. E
La casa.
l'autofinzione, che attraversa come un rivolo carsico il
suo libro più importante, Assalto a un tempo devastato e
Non per rappresentare meglio, non per esprimere di vile, pubblicato in prima versione nel 2001, in seconda
più, non per compensare ma per rincarare il suo inaggira- nel 2002, e ora approdato a una fase 3.0 nel 2010 (ma l'au-
bile difetto nel dar conto dell'esperienza vissuta. Per evi- tore non esclude ulteriori riscritture). Lo collochiamo qui
tare che la vita vissuta si trasformi completamente in vita perché, pur parlandone da dentro, sembra indicare una
scritta (come voleva Svevo; e avrebbero assentito Proust traccia che ci permetta quanto meno di pensare a una via
e Joyce). Perché se così fosse vorrebbe dire che il trauma di fuga dal labirinto di specchi del trauma senza trauma.
è stato riassorbito, che se ne può parlare, pur se tortuosa- Nello zibaldone di visioni, meditazioni e allucinazioni
mente, dolorosamente, per interposta metafora o finzio- che compongono la parte per il momento ultima di
ne; vorrebbe dire che è possibile liberarsene. Non è que- Assalto a un tempo devastato e vile, Genna dichiara fini-
sto ciò che Nove vuole, come autore se non come perso- to il tempo della fiction di genere:
na. Perché è proprio la sua scelta di giocare la carta del-
!'assenza - il corpo marchiato invece dell'Io riconquista- I generi, macrostrutture retoriche, si sono consolidati, hanno
to - a rendere spendibile, collettivo, paradigmatico il suo perduto energia, si sono metallizzati e, essendo metallici, sono
trauma reale nell'epoca d el trauma immaginario. Non ha diventati gabbie: non sono stati più utili a partecipa.r e alla gran-
de festa del divenire, che è la vita vivente in cui Ci Si Incontra E
di fronte a sé, lo scrittore, un pubblico che vuole guarire.
Si Ama. Quando si assiste all'irrigidimento degli stilemi, accade
Da cosa, poi? Dalla ferita di ciò che non è mai accaduto? che gli stilemi dettino dittatorialmente agli autori, senza che gli
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autori ne siano consap~~oli e venendone usati come strumenti di se ne può fare anche un altro uso. Chi riuscisse a risa-
un monologo infinito. li monologo infinito è la decadente dife- lire di trauma in trauma fino alla mancanza di essere
sa dalla lingua del trauma. che li genera, chi cessasse di prestare all'indicibile il ser-
vizievole soccorso dell'immaginario, potrebbe con ciò
Per quanto le si possa fare a pezzi, le storie «comun- accedere alla possibilità, squisitamente, radicalmente
que si richiamano magneticamente, particola per parti- politica, di denunciare il Reale come qualcosa che non
cola», espungendo da sé ogni potenziale soggettività ci appartiene, non ci serve, non ha nulla a che vedere
umana che non coincida con un Io avaro, spaventato e con la nostra facoltà di dare forma e destino a esisten-
risentito. Qualcuno che, assediato dai cliché, produce za e società- «la vita vivente», scrive Genna, «in cui Ci
cliché nella speranza di rendere benevolente la potenza Si Incontra e Si Ama».
malefica che lo aceerchia e lo sovrasta, la vita intera tut- È lo stesso problema, insieme filosofico e politico,
ta quanta organizzata, appunto, sulla base dei cliché su cui si è arrovellato per una vita Furio Jesi. Se sia pos-
necessari alla sua attuale forma di riproduzione mercan- sibile togliere sostanza al mito (una parola che non usa-
tile. Per rompere la crosta, sembrerebbe, non resta va volentieri) senza con questo abbandonarlo alla sua
ancora una volta che scommettere sul trauma. «tecnicizzazione», all'uso strumentale che di volta in
Genna però non dice esattamente questo. Quasi, ma volta ne propongono i detentori del potere. Se rifiutan-
non del tutto. Scrive infatti: «la mira politica della scrit- dosi di vedere nel mito un archetipo - inizio genotipo,
tura è il trauma, e il trauma dietro il trauma, e finalmen- ur-fenomeno -, identificato da Jesi con il non umano e
te il vuoto che sostanzia ogni mito, ogni storia». Esa- dunque con la morte, sia possibile comprendere come
miniamolo al rallentatore. Fondamentale è qui il richia- l'umanità si serva della mitologia per tracciare un cer-
mo al vuoto, ovvero alla funzione vicaria - e non origi- chio contro la morte, e meglio ancora per vedere se stes-
naria, come in clinica classica - del trauma, vero o pre- sa come quel cerchio attorno al quale preme sempre la
sunto, reale o immaginario; fondamentale è anche la morte. Non il morto che afferra il vivo, non una poten-
convocazione, inaspettata, della politica; e soprattutto za sovraumana che aduggia il mondo umano; ma nem-
il nesso tra i due membri. Perché quel vuoto senza meno una mera riduzione della mitologia a ideologia.
nome può essere inteso in due maniere. Lo si può leg- Piuttosto la risposta di chi, sempre a rischio di essere
gere come limite oscuro, inestirpabile retaggio di spe- afferrato, afferra a sua volta, si fonda attraverso la figu-
cie, maledizione post-edenica dell'animale incapace di razione, e dunque la delimitazione, di ciò che gli impe-
accettare il suo destino di nascere e morire interf aeces disce di fondarsi stabilmente. Risposta, non reazione.
et urinam, come dicevano i padri della chiesa: in senso Azione, non lamento di vittima.
metafisico, dunque, come rivelazione raggelante di un Apparirebbe allora come non abbiamo alcun bisogno
vero che al suo apparire fa cadere tutte le illusioni. Ma di un ulteriore "mondo dietro il mondo", o "mondo
DELL'AUTO FINZIONE 99
98 SENZA TRAUM4.
Nota
vero" - se non la teologia o la metafisica, quanto meno il
buco, il vuoto, la mancanza originaria: bel guadagno -, Per un orientamento suU'autofinzione si possono vedere Phìlippe
per orientarci in quello presente e vivo. Perché se il mon- Gasparin.i, Autofictùm. Une aventure du Ltngage, Seuil, Paris 2008, e
Chloé Delaume, La Règle du fe. Autofiction: un essai, Puf, Paris 1010.
do vero è diventato favola (come recita un detto di Nietz- La distinzione tra narcisismo ed esibizionismo è in Tiziano Scarpa,
sche sempre frainteso, in chiave euforica o luttuosa, rea- Batticuore fuorilegge, Fanucci, Roma 2006. I saggi classici di Christo-
zionaria o libertaria: fa lo stesso), insieme al mondo vero, pher Lasch cui si allude sono La società del narcisismo, Bompiani, Mila•
continua Nietzsche, «abbiamo liquidato anche il mondo no 1001, e L'io minimo, Feltrinelli, Milano 1004. L'idea della "furia del
dileguare• la riprendo (temo un po' metaforicamente) da Georg Wil-
apparente». Il che significa che il mondo, "questo mon- helm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito, Einaudi, Torino
do", il mondo immanente, il mondo nostro, il mondo 1008.
accessibile soltanto per la feritoia ogni volta diversa del La citazione da Michel Leiris proviene dal formidabile De Li littéra-
ture considerée comme une tauromachie che fa da introibo alla sua Age
qui e ora, non è più .un mondo apparente sempre biso- d'homme, Gallimard, Paris 1976. U riferimento all'ideologia come inter-
gnoso dei buoni uffici di una verità situata altrove, nel- pellazione rimanda a Louis Althusser, Per Marx, Mimesis, Milano 1008,
l'essere o nel nulla, nel numinoso divino o nel tetragono e Ideologia e apparati ideologici di stato, in Freud e Lacan, Editori Riu-
Reale, per poter essere compreso, agito, trasformato. niti, Roma 1980. La critica di Adòrno a Benjaroin si legge in una lettera
del 10 novembre 1938, raccolta in Walter Benjarn.in, Lettere 1913-1940,
Proprio perché è tutto qui, non è tutto qui. Nell'essere è Einaudi, Torino 1978: una questione di metodo capitale che ha influen-
sempre possibile - anche se mai necessaria, come ha spie- zato più di quanto non traspaia direttamente la stesura di queste pagine,
gato Alain Badiou - l'irruzione dell'evento, la trasforma- e sulla quale vale la pena leggere Giorgio Agamben, Infanzia e storia,
Einaudi, Torino 1978, e Barbara Chìtussi, Immagine e mito. Un carteg•
zione dell'Io che si difende in soggetto che si apre, e si
gio tra Benjamin e Adorno, Mimesis, Milano 1011. Ho cercato di trac-
prolunga in un percorso di fedeltà. Chi sapesse guardare ciare una fisiognomica dell'attuale ontologia controrivoluzionaria in
il Reale come nulla e sconfessare la pretesa risentita e Daniele Giglioli, Frammento sulla rivoluzione, «Alfabeta2•, I, 1, settem•
codarda che il nulla sia la verità del tutto, avrebbe in cam- bre 1010. Crisi del desiderio e trionfo del godimento sono categorie laca-
niane su cui si fonda la diagnosi del nostro presente stilata da Massimo
bio una mano da giocare nell'infinita partita della realtà. Recalcati, L'uomo senza inconscio, Cortina, Milano 1010.
Non è un processo che può essere compiuto da uno La battuta di Cesare Garboli su scrittori medici e scrittori cavie si
solo, o tutto in una volta. E un'alternanza di appressa- legge in un'intervista raccolta da Grazia Cherchi nel suo Scompartimen-
menti e ritirate. Se la letteratura dell'estremo merita la to per lettori e taciturni, Feltrinelli, Milano 1997.
La distinzione tra posizione depressiva e posizione schìzoparanoide
nostra gratitudine non è perché ci ammaestra su come nell'infante è uno dei contributi cruciali di Melanie Klein alla psicoana-
va il mondo, ma perché ci permette di addestrarci a un lisi. La si può leggere in Melanie Klein, Scritti 1921- 1918, Bollati Borin-
compito che non ha avuto inizio e non avrà una fine. ghìeri, Torino 1oo6. L'idea che il vedere sia anche un toccare in quanto
accade radicalmente "nel" mondo è in Marce! Merleau-Ponty, Fenome-
nologia de/Li percezione, Bompiani, Milano 196s.
li brano di Svevo è citato da Italo Svevo, Romanzi e "continuazioni",

I Mondadori, Milano 1004. La crisi del rapporto (creduto) necessario tra


forma e storia è illustrata brillantemente da Alfonso Bcrardinelli, La fine

\
100 SENZA TRAUMA
del pos1modemo, in Casi érìcici. Dal postmoderno alla mutazione, Quo• IV.
dlibet, Mace.rata 1008. La prosopopea del "qualunque• si trova in Gior•
gio Agamben, La comunità che viene, Bollati Boringhieri, Torino 1001. Postilla: sintomi e feticci
Pur godendo in tempi recenti di una meritoria renaissance, l'opera di
Furio Jesi rappresenta ancora un masso erratico del quale siamo lontani
dal comprendere la portata, la traccia di una possibile ontologia del pre-
sente non inferiore per complessità e ricchezza a quella che in tanti van-
no ricercando in autori come Benjam.in o Foucault. Mi limito a riman-
dare a qualche titolo: Materiali micologici, Torino, Einaud.i 1979; Mito,
Mondadori, Milano 1980; Demone e mi10. Carteggio 1964-1968 (con
Karoly Kerényi), Quodlibet, Macerata 1999, con una postfazione del
suo maggiore interprete, Andrea Cavalletti.
li passo più frainteso di Nietzsche proviene dal Crepuscolo degli ido-
li, Adelplù, Milano 1983.J.'er la distinzione tra l'essere e l'evento bisogna Che cosa abbiamo fatto
riferirsi al grande dittico di Alain Badiou, L'essere e l'evento, li Melan•
golo, Genova 1995, e Logiques des mondes. L'Etre et l'évé11emenc, 2, Alcune osservazioni per chiudere e riaprire, da qual-
Seui!, Paris 1006.
che altra parte, in un possibile futuro. È critica letteraria
ciò che abbiamo fatto? In senso stretto e letterale sì: il
discorso è stato condotto attraverso l'analisi dei testi let-
terari. Ma non secondo ciò che il senso comune (spesso
anche quello dei critici) intende per critica. Dove sono i
giudizi di valore? Dove sono i sommersi e i salvati, lodi
e condanne, bocciature e promozioni? E l'apprezza-
mento estetico? Non abbiamo piuttosto fatto della
sociologia, della filosofia, della psicoanalisi d'accatto?
Non abbiamo usato i testi come pretesti per parlare
d'altro? Non li abbiamo trattati, loro e i loro autori,
come sintomi piuttosto che come individui?
A quest'ultima domanda conviene rispondere di sì,
senza perciò cedere terreno sulle altre. Sì, critica lettera-
ria e sintomatica, insieme, e senza che tra i due membri
vi sia contraddizione. Tensione piuttosto, da volgere in
favore piuttosto che in paralisi. Chi ha qualche pratica
della critica letteraria ispirata alla psicoanalisi sa che da
quelle parti vige ormai da tempo una sorta di giuramen-
102 SENZA TRAUMA POSTILLA: SINTOMI E FETICCI 103

to di Ippocrate: gli strumenti analitici possono aiutare a feticci, e i feticci svolgono un lavoro esattamente oppo-
leggere le opere, ma non si deve mai considerare l'opera sto. Feticcio è ciò che ti permette di non sapere ciò che
come un sintomo della psiche e delle eventuali nevrosi sai benissimo; di fare come se non sapessi; di scindere il
dell'autore. Né, peggio che mai, bisogna indursi a psicoa- tuo Io in due parti non comunicanti. Non a caso Octa-
nalizzare i personaggi di finzione, perché questi, a rigore, ve Mannoni vedeva nel feticismo una chiave potente per
non sono altro che, diceva Forster, dei «gruppi di parole». spiegare il fenomeno della finzione. Io so bene - è
Amleto, recita un aforisma memorabile di Lacan, non ha l'esempio classico - che mia madre non ha il pene e che
una nevrosi, Amleto mostra una nevrosi. Questo però, dunque anch'io potrei essere castrato: e tuttavia, guar-
come ha spiegato Mario Lavagetto, non comporta affat- date come è bella la treccia o la scarpina della mia fidan-
to concludere che i testi letterari sono una mera manipo- zata. Io so bene che questa storia non è vera; e tutta-
lazione di forme che-si serve dei contenuti, delle passio- via ... Ma è impossibile non vedere quanto questo
ni, delle tensioni psichiche e sociali come di un pretesto modello scissionale oggi pervada e renda falsa - e non
per allestire uno spettacolo. semplicemente, onestamente, contrattualmente finta -
Perché non è così. Le opere sono nel mondo, vengo- l'intera organizzazione sociale. So bene che questa mer-
no dal mondo, e producono effetti nel mondo. Quan- ce, so bene che questo spot, so bene che questa icona,
do Tiziano Scarpa ha parlato, in Che cos'è questo fra- so bene che questo simulacro, so bene che questo slo-
casso (2004), di una critica come «collaudo», ha trovato gan, so bene che questo contratto, so bene che questo
una formula felice: si tratta, le opere, di farle entrare - leader, so bene che queste elezioni, che queste parole,
meglio ancora: rientrare - nel mondo, scorniciandole queste immagini, questa famiglia, questo matrimonio,
dal contesto sterilizzante in cui la letterarietà le pone. questo amore, questa vita ... E tuttavia ...
Non per farne degli enunciati pseudo-referenziali (que- Il sintomo è il contrario. È l'emersione dolorosa di
sta sì che sarebbe sociologia o filosofia o psicologia spic- un contenuto inconscio, rimosso, imbarazzante, vergo-
ciola), ma per pensarci e sentirci attraverso. Qui la gnoso, inaccettabile, di una verità che rischia di sfigu-
distinzione tra interpretazione e uso non morde più. rarci, di un'immagine di noi che non possiamo tollera-
Ogni interpretazione è sempre un uso. Tutti gli usi sono re: il nostro vero desiderio, e il conflitto con le esigenze
legittimi. Ma non tutti sono uguali. Alcuni sono miglio- dell'adattamento che ne costituisce l'etica. Per questo
ri di altri, e lo dimostrano sul campo. viene respinto. Ma non domato: da lì continua a insiste-
Dunque riabilitiamo il sintomo, che nulla ci obbliga re, tenta caparbiamente di parlare, e il suo linguaggio è
a intendere nell'accezione necessariamente ristretta del- il sintomo. Come scrive Slavoj Zizek,
la clinica. Un sintomo è un'istanza di verità, e non c'è
proprio niente di mortificante per le opere nell'essere la menzogna ideologica che struttura la nostra percezione
definite tali. Tanto più che viviamo in un mondo di della realtà è minacciata da sintomi che sono "il ritorno del
104 SENZA TRAUMA POSTILLA: SINTOMI E FETICCI 105
rimosso", crepe nel tessuto della menzogna ideologica, mentre eccome. Che anche il nostro, di mondo, non ne è affat-
il feticcio è in effetti una sorta di inverso del sintomo. In altre to esente, se non nella specie della violenza e della mor-
parole, un sintomo è l'eccezione che turba la superficie della fal- te, in quella dell'insicurezza strutturale, della mancan-
sa apparenza, il punto in cui irrompe l'Altra Scena rimossa, men- za di futuro, della svalutazione preventiva di ogni pos-
tre il feticcio è l'incarnazione della Menzogna che ci permette di
tollerate l'insostenibile verità. sibilità di progetto. Chi parlasse di trauma fittizio a un
migrante, a uno che ha perso il lavoro, o a un precario
Dove il feticcio nasconde, il sintomo rivela. Il sinto- che non lo troverà mai, potrebbe benissimo sentirsi
mo è la voce repressa ma insopprimibile di una verità rispondere che ha sbagliato indirizzo: non è lui il consu-
che vuole a tutti i costi - perfino quello della morte di matore ben pasciuto che si diletta con le storie di fanta-
colui che lo patisce - essere detta, approdare sulla scena smi, non è certo lui ad aver bisogno, per riprendere una
pubblica. Per questo non bisogna accontentarsi di gua- detto memorabile di Giaime Pintor, di fabbricarsi un
rirlo: l'alternativa tra morte e guarigione è la più infau- dramma interiore, in quanto ha trovato un dramma
sta che ci sia. Medicalizzare la vita significa sottomet- esteriore perfettamente costruito.
terla alla disciplina della morte, non fosse che per allon- C'è del vero, ma distinguiamo e rilanciamo. Distin-
tanarla nel tempo. Si può e si deve usare il sintomo guiamo intanto dall'obiezione molto più triviale che
come una richiesta di vita, di una vita diversa. E così ricorre spesso e che suona: come, con tutti i drammi che
l'opera letteraria. ci sono in giro, guerre, terrorismo, catastrofi finanzia-
È quanto abbiamo cercato di fare. Togliendo alle rie, energetiche ed ecologiche in agguato, state lì a
opere il loro carattere di feticcio (so bene che non mi baloccarvi con la crisi dell'esperienza? A questa voce da
sta, che non ci sta capitando alcun trauma; e tuttavia ... ). sergente istruttore delle reclute (la pacchia è finita, vi
E sforzandoci di farle attingere alla dignità, alla verità raddrizzo io, branco di lavativi!) bisogna dare il peso
del sintomo, in modo da poter porre, a esse e ai loro che merita. Chi parla così è di solito comodamente assi-
autori, la questione radicale del perché, senza il linguag- so alla sua scrivania, intento al tipico vezzo accademico
gio e l'immaginario del trauma, la vita si rappresenti di implementare bibliografie già ridondanti mentre fin-
come priva di valore, abbandonata all'insignificanza, ge di trovarsi in mezzo alla battaglia. Le tragedie di cui
condannata al silenzio o alla ripetizione. parla le vede in televisione, e lo lasceremo li senza rim-
pianti. Ma non ha purtroppo miglior sorte l'argomen-
to, più serio, che con l' 11 settembre si è definitivamen-
Che cosa resta da fare te chiusa, se mai era esistita, l'epoca del trauma senza
trauma, quell'umiliante «sciopero degli eventi» di cui ha
C'è un'altra possibile obiezione, non di metodo ma· scritto una volta Jean Baudrillard. Generosa illusione:
di merito stavolta. Che al mondo i traumi esistono quale evento è stato più mediatico, in quanto progetta-
106 SENZA TRAUMA Ì'OSl'lLLA: SINTOMI E FETICCI 107
to prima ancora che vissuto come tàle, dell'attentato alle dia della vita. «Allevare un animale cui si.a consentito far
Torri gemelle? E in che cosa quel trauma ha incremen- delle promesse», si legge in Genealogi.a della morale, «non
tato la nostra capacità di iniziativa? L'impotenza ne è è forse questo il compito paradossale impostosi dalla
risultata se possibile accresciuta. natura per quanto riguarda l'uomo? Non è questo il vero
È di quell'impotenza che si fa figura la scrittura del- e proprio problema dell'uomo?»
!'estremo. Di qui discende la sua esasperata enfasi sull'Io, Per il soggetto corrono però tempi difficili, nella teo-
luogo delle finzioni riparatrici e protettive. La scrittura ria e nella pratica. Nella teoria: perché nulla ha più acco-
dell'estremo è la poesia di un tempo di paralisi, una para- munato un cinquantennio di teoria postmoderna della
lisi indotta da un'alternativa secca tra realtà e Reale cui sì svalutazione del soggetto, screditato come «fallacia
può reagire solo introducendo come terzo termine la intenzionale» dalla critica letteraria, degradato a mero
verità. La verità non è affare dell'Io, ma del soggetto. L'Io esecutore di matrici nella semiotica e nello strutturali-
è una struttura di difesa, e la verità non gioca mai in dife- smo, decostruito dal post-strutturalismo, indebolito o
sa. La verità è eccentrica, centrifuga, proiettata verso il sociologizzato dalla neoermeneutica, barattato con
fuor~ estrema dunque, alla lettera, per diritto e per defi- dubbio profitto con la sua reificazione in "identità" nei
nizione, e non per la malafede con cui l'Io invoca a sua Cultura! Studies. Dove il soggetto viene ridotto a una
tutela il dispositivo del trauma senza trauma. Termine sintesi passiva di funzioni, la sola "cosa reale" che rima-
terzo non è termine medio. Dire terzo equivale a dire ne è il discorso del potere, che ha per sua natura quella
Altro. Non perché la verità risieda necessariamente - di proporsi come l'unica articolazione possibile tra il
come recita l'etica di Lévinas, divenuta un melenso main- conoscere e l'agire. E conseguentemente nella pratica:
stream a fine Novecento - nello sguardo dell'Altro. Ma perché è sotto gli occhi di tutti quanto sia difficile in una
perché il soggetto è per sua costituzione la geometria società post-democratica insediarsi, per il singolo, nella
sempre variabile dei rapporti tra interno ed esterno, con- posizione di un agente responsabile non rinchiuso nel-
scio e inconscio, azione e mondo. Il soggetto non è un la mera dimensione del Sé. Tutto coopera a che questo
signore degli inganni come l'Io, ma neanche un flusso non accada. La privatizzazione dell'esistenza. La requi-
innocente, una deriva, un _processo primario di pulsioni e sizione delle prerogative dell'agire da parte di agenzie
associazioni come l'Es. E piuttosto un'insistenza, una sempre più impersonali, acefale, sistemiche (mercato,
promessa, un'accettazione della necessità di essere chia- finanza, globalizzazione, ecc.). Il declino, per riprende-
mati a rispondere, dunque una responsabilità. Non è solo re un formula famosa di Richard Sennet, dell'uomo
un sentimento ma un ri-sentimento (cosa tutta diversa pubblico. La fuoriuscita della dimensione politica dal
dal rancore), una memoria proiettata nel domani, un recinto delle possibilità umane.
futuro anteriore, uno snaturamento radicale della men- Non si può farne colpa all'Io: fa il suo mestiere,
zogna necessaria, come sapeva Nietzsche, alla salvaguar- difende e si difende, il privato è la sua dimensione natu-
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raie, l'immaginario 1a·;ua arma più'forte. Il terrore fitti- fine solamente in se stesso: l'attività politica o - per i
zio per il Reale in ag·g uato dietro l'angolo è il farmaco greci era lo stesso - la filosofia. Tempi felici quelli in cui
omeopatico con cui salvaguarda la sua funzione prima- non si disgiungono teoria e pratica. Perché solo ciò che
ria: quel «nulla ti può accadere», quel «trasparente non ha altro fine cui tendere oltre se stesso può essere
carattere dell'invulnerabilità» in cui Freud riconosceva definito come uno stato di felicità. A differenza dei
appunto la firma inconfondibile di «Sua Maestà l'Io». moderni, tuttavia, gli antichi credevano che solo pochi,
Tanto più che la realtà esterna sembra dargli apertamen- i liberi e gli uguali, resi tali dalle leggi della polis, avesse-
te torto, ma segretamente ragione. Non è da tutti farsi ro diritto all'agire; tutti gli altri, artigiani e mercanti,
succedere qualcosa. poeti e schiavi, dovevano accontentarsi del fare, della
Ma un soggetto privato non esiste per definizione. poiesis, della produzione. La modernità ha ribaltato il
Questo è il senso non triviale della definizione aristote- banco: la praxis è una prerogativa, un diritto (e un dove-
lica dell'uomo come animale che ha il linguaggio e che re, perfino) di chiunque, non solo di pochi predestina-
proprio vive in società.• Il punto sta nell'interazione tra ti. Ma resta vero che soltanto grazie ad essa, in virrù del
i due termini. Anche gli animali vivono associati, anche suo rendere ipso facto libero e uguale chi la pratica, si
loro sono dotati di una voce. Con essa, però, diceva può aspirare a qualcosa come una felicità terrena, e non
Aristotele, sono in grado soltanto di esprimere piacere o alla sua parodia, quale è quella oggi proposta come solo
sofferenza: non di discutere e di deliberare in comune, oggetto di desiderio.
come l'uomo, sul giusto e sull'ingiusto. Questo è il vuo- Salvo barlumi, frammenti, occasioni momentanee,
to, la mancanza, non metafisica ma politica, attraverso della felicità la scrittura dell'estremo non può parlare.
cui circola e si diffonde l'energia traumatica della scrit- Se lo facesse sarebbe infedele al suo progetto. Interpre-
tura dell'estremo: autofinzione e genere, lo abnorme e tata come un sintomo - e non come un mero oggetto di
complotto universale sono il parto gemellare di un apprezzamento estetico; come un fatto culinario, avreb-
difetto di politica che non sarà l'invenzione di qualche be detto Brecht -, essa ci mostra quale sia il terreno su
nuova forma artistica a sanare. cui poggiamo il piede. Il piede sinistro, quello debole.
Nessuna lo potrebbe. La creazione artistica è parte Ora si tratta·di decidere dove mettere l'altro.
della sfera della poiesis: può alludere al soggetto, desi-
derarlo, evocarlo, ma non assegnargli uno spazio che
non sia in effigie, di finzione. Gli antichi distinguevano Nota
scrupolosamente il fare (poiein) dall'agire (prattein). Il
I personaggi come •gruppi di parole» di Forster, la battuta di Lacan
primo ha il suo fine fuori di sé: lavoro, tecnica, arte
su Amleto, e soprattutto il loro nesso funzionale, si trovano in Mario
capace di metter capo ad un oggetto, un prodotto, un Lavagetto, Freud la letteratura e altro, Einaudi, Torino ioo1.
manufatto, un artificio. Il secondo invece trova il suo !:idea di Tiziano Scarpa di una critica come •collaudo• si legge in
IIO SENZA TRAUMA POSTILLA: SINTOMI E FETICCI III

Che cos'è questo fracasso, E·~audi, Torino 1004. La prospettiva estetica rio, Palermo 1010). Il sogno di una realtà in cui si riconcilino teoria è
come qualcosa di sempre necessariamente "auraverso• è un insegna- prassi è alla radice del pensiero del giovane Lukacs, da Teoria del roman-
mento di Emilio Garroni, Estetica. Uno sguardo attraverso, Garzanti, zo (SE, Milano 1004) a Storia e coscienza di classe (SugarCo, Milano
Milano 1991. 1991).
Il rapporto originario tra feticcio e finzione lo ricavo da Octave Il concetto di opera - e, per estensione mia, di critica - culinaria è
Mannoni,Je sais bien, mais quand meme, in Clefs pour l'imaginaire, ou una sm~gliante metafora che ricorre di continuo negli scritti critici, negli
L'autre scène, Seui!, Paris 1969. La distinzione tra la funzione del sinto- appunu e nelle note teatrali di Bertolt Brecht. Alla riflessione brechtia-
mo e quella del feticcio ricorre con frequenza nella produzione di Slavoj na sulla dialettica tra identificazione e distanziamento le pagine che pre-
cedono si sono largamente ispirate.
Zizek; se ne può vedere il risultato più maturo in Difesa delle cause per-
se. Materiali per la rivoluzione globale, Ponte alle Grazie, Milano 1009.
La svalutazione del dramma interiore da parte di chi ne vive uno
esteriore porta la firma stoica di Giaime Pintor, che l'ha fissata in un arti-
colo del 1941, raccolto in Il sangue d'Europa, Einaudi, Torino 1975. Alla
stentorea rampogna contrò postmodernisti e disfattisti vari si può dare
la voce di Carla Benedetti, Il tradimento dei critici, Bollati Boringhieri,
Torino 1001, e Disumane lettere. Indagini sulla cultura della nortra epo-
ca, Laterza, Roma-Bari 1011. Di diversa grana è la speranza di una Fine
del postmoderno (Gwda, Napoli 1005) avanzata da Romano Luperini,
ammirevole negli intenti anche per chi non ne condivida la diagnosi e ha
sostenuto, come chi scrive, il persistere della pregnanza descrittiva del-
la categoria di postmoderno nella Postfazione a Fredric Jameson,
Postmodernismo. Ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, Fazi,
Roma 1007. In Lo spirito del terrorismo, Cortina, Milano 1001, Jean
Baudrillard ha proclamato la fine di quello sciopero degli eventi che
peraltro lw stesso aveva indetto in L'illusione della fine o Lo sciopero
degli eventi, Anabasi, Milano 1993; troppa grazia, verrebbe da dire, nel-
l'uno e nell'altro caso.
La necessaria malafede dell'Io la derivo da Jean-Paul Sartre, L'esse-
re e il nulla, Il Saggiatore, Milano 1008. La critica più radicale (e più vita•
le) dell'etica di Lévinas si legge in Alain Badiou, Etica. Saggio sulla
coscienza del male, Cronopio, Napoli 1006. La citazione di Nietzsche è
tratta da Genealogia della morale, Adelphi, Milano 1990; i corsivi sono
suoi. Il «.nulla ti può accadere• promesso al lettore di romanzi è ogget-
to della riflessione di Sigmund Freud in li poeta e la fantasia, in Saggi
sull'arte, la letteratura e il linguaggio, Bollaci Boringhieri, Torino 1996.
Di Richard Sennett si menziona l'opera capitale// declino dell'uomo
pubblico, Bruno Mondadori, Milano 1006. La divaricazione tra poiesis
e praxis è ottenuta incrociando motivi di Hannah Arendt (in particola-
re Vita activa, Bompiani, Milano 2005, e Sulla rivoluzione, Einaudi,
Torino 1006) e dijacques Rancière (// disaccordo, Meltemi, Roma 1007,
li disagio dell'estetica, ETS, Pisa 1009, e Politica della Letteratura, Selle-

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