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PHILIPPE POZZO DI BORGO

IL DIAVOLO CUSTODE
Traduzione di Donatella Brindisi, Tiziana Lo Porto,
Marcella Uberti Bona

Titolo originale:
Le second souffle

Ponte alle Grazie un marchio


di Adriano Salani Editore S.p.A.
Gruppo editoriale Mauri Spagnol
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del Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita:
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Le second souffl - Philippe Pozzo di Borgo Bayard ditions 2011
2012 Adriano Salani Editore S.p.A. Milano
ISBN 978-88-6220-580-1

Prefazione

Nel gennaio 2010 sono stato contattato da Olivier Nakache ed ric


Toledano, registi del film Quasi amici{i}. Qualche anno prima avevano visto A la
vie, la mort{ii}, il documentario realizzato da Jean-Pierre Devillers per Mireille
Dumas, che raccontava l'improbabile incontro tra il sottoscritto, tetraplegico
ricco e privilegiato, e Abdel, giovane magrebino della banlieue parigina, e
come, al di l di ogni aspettativa, abbiamo finito per sostenerci a vicenda.
Sembrava che i due cineasti fossero assai interessati a questa storia. Mia
moglie Khadija e io li invitammo cos nella nostra casa di Essaouira, insieme agli
attori che avrebbero interpretato il film, Omar Sy e Franois Cluzet. Di l in
poi ci siamo incontrati parecchie volte; ho seguito personalmente e con piacere
la stesura della sceneggiatura.
Il mio libro Le second souffle{iii} pubblicato nel 2001, aveva ottenuto un certo
successo di critica. In occasione dell'uscita del film, Frdric Boyer, direttore
delle ditions Bayard, mi ha proposto di ripubblicarlo, aggiornandolo con una
nuova prefazione e l'aggiunta di un testo inedito.
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Le diable gardien il proseguimento della storia narrata in Le second souffle (che


si fermava al 1998) e arriva fino al 2004, quando ho incontrato Khadija in
Marocco: questo il periodo descritto nel film, che in francese si intitola
Intouchables, intoccabili. Le esigenze cinematografiche e la fantasia dei due autori
li hanno portati a semplificare, modificare, sfrondare o creare numerose
situazioni.
Perch intoccabili? Perch Abdel e io lo siamo entrambi, per diversi
motivi. Abdel, di origine magrebina, in Francia era un emarginato, come lo in
India la classe dei cosiddetti intoccabili; inoltre non puoi toccarlo senza
rischiare di prendere qualche legnata, e poi corre talmente veloce che gli sbirri
- come li chiama lui - sono riusciti ad acciuffarlo una sola volta nella sua lunga
carriera di ragazzaccio.
Quanto a me, dietro le alte mura che delimitavano la mia dimora parigina - la
prigione dorata, come la chiamava Abdel -, al riparo da ogni necessit in virt
delle mie ricchezze, facevo parte degli extraterrestri: niente poteva toccarmi.
E poi la paralisi e la mancanza di sensibilit, che mi impediscono di toccare
qualunque cosa, e il fatto che le persone sono talmente spaventate dalla mia
condizione che esitano a sfiorarmi; infine, non possibile toccarmi la spalla
destra senza scatenare dolori terribili. Ecco perch intoccabili.
Dunque, eccomi ad affrontare una sfida folle: rivangare quel passato. Una
cosa certa: non me ne ricordo pi! Inizialmente credevo dipendesse
dall'assenza di Abdel, il mio badante, ma, a pensarci bene, c' una ragione pi
seria. Eccettuato per qualche episodio mal collocato nel tempo, la mia memoria
si rifiuta di fare il suo dovere. I ricordi sono un lusso destinato a chi sta bene di
salute. La memoria di un poveraccio o di un malato si ferma al presente, alla
difficolt di assicurarsi un tozzo di pane o di sopravvivere. La Madeleine di
Proust pu essere solo la fissazione di un damerino di buona famiglia.
Gi tra il 1998 e il 2001, mentre scrivevo Le second souffle, attanagliato dalla
sofferenza per la morte di Batrice e dal dolore fisico{iv}, faticavo a rimettere
insieme i frammenti del mio passato. La sofferenza la tomba della memoria.
Chi gode di buona salute invecchia accumulando fatti e rimorsi; su di me non
attecchisce pi alcun ricordo. Qualsiasi autobiografia gi di per s infarcita di
dimenticanze e bugie, dichiarate o ammesse: raccontare la storia di un'altra
persona - in questo caso di Abdel - non pu che offrire un'impressione
dell'altro, un'immagine fatta di tessere puntiformi, dove rimangono tantissimi
spazi bianchi.
Come pretendere che l'aristocratico beneducato (che si presume io sia),
rispettoso di determinati principi, possa dare voce ad Abdel, all'epoca ribelle e
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ostile a ogni regola? Posso limitarmi a riportare i fatti, a cercare di analizzarli.


Non potr mai afferrare tutte le sue verit; Omar Sy - che nel film interpreta il
suo personaggio - riesce a farlo con molta maggior disinvoltura.
Intendevo scrivere un libro che non fosse un semplice divertissement, ma
non volevo neppure tracciare un ritratto realistico della disgrazia, con la sua
dose di rancori e buoni sentimenti che rasentano la condiscendenza. Per non
dire della ridicola menzogna implicita nell'esibizione di un ottimismo di
circostanza.
Questi vent'anni di vicinanza con il mondo degli esclusi hanno affinato il mio
sguardo sulla societ e i suoi mali e mi spingono a condividere alcuni rimedi per
me ormai indispensabili. Grazie al diavolo custode - ovvero ad Abdel - ritrovo
quel senso dell'umorismo che mi apparteneva prima di incontrare tutte le mie
disgrazie. Il film Quasi amici scorre leggero tra scoppi di risa; io non posso
rinunciare a una certa seriet, percepibile nell'interpretazione che del mio
personaggio d Franois Cluzet.
I registi, il produttore Nicolas Duval Adassovsky e il mio editore hanno
destinato una cospicua parte dei diritti d'autore all'associazione Simon de
Cyrne{v}, che ho a lungo presieduto e il cui scopo creare spazi che i disabili
possano condividere con i propri cari. A loro va un sentito ringraziamento.
Grazie anche a meline Gabaut, Manel Halib e a mia figlia Sabah, che mi
hanno permesso di riprendere in mano la penna: senza di loro questo libro
non avrebbe visto la luce. Ringrazio infine Soune Wade, Michel Orcel, Michel
Henri Bocara, Yves e Chantal Ballu, Max e Marie-Odile Lechevalier, Thierry
Verley per la loro puntigliosa rilettura.

Libro I
Il secondo fiato

Memorie liberate

Devo partire dal presente, con la sua tristezza, tornare nostalgico al passato,
lamentarmi di un futuro senza speranza? Non posso n apprezzare ci che
stato, n proiettarmi verso ci che sar. Tutto qui e ora.
La linea di frattura delle mie ossa e del mio respiro potrebbe essere il giorno
dell'incidente. Il 23 giugno 1993 precipito nella paralisi. Il 3 maggio 1996,
giorno di san Filippo, muore Batrice.
Non ho pi passato, non ho futuro, sono un presente di dolore. Batrice
non ha pi n passato n futuro, dolore sempre presente. Per un futuro c':
quello dei nostri figli, Laetitia e Robert-Jean.
Prima dell'incidente ero un uomo immerso nel mondo, pieno di voglia di
fare e di lasciare la propria impronta. Dal giorno dell'incidente sono ostaggio
dei pensieri. Del pensiero della morte di Batrice, del pensiero del dolore.
Da queste macerie sono riaffiorati alla mia memoria ricordi bui e opachi.
Nelle mie notti di caff il bruciore dell'handicap e del lutto hanno reso ancora
pi torbide le loro immagini.
in fondo a me stesso che ho ritrovato il riflesso degli assenti. Dai miei
silenzi sono riaffiorati istanti di felicit dimenticati. La mia vita ora si dispiega da
sola in una successione di immagini.
Durante i primi mesi, la tracheotomia mi aveva reso muto. Un amico mi
aveva installato un dispositivo sulla testa, collegandolo allo schermo di un
computer. L'alfabeto sfilava sullo schermo; io fermavo il cursore, e veniva
visualizzata una lettera. A poco a poco queste lettere formavano parole, frasi,
mezze pagine. Il meglio erano la scelta dei vocaboli e quello sforzo estenuante:
sbagliare non mi era concesso. Il peso di ogni lettera ancorava la frase sempre
pi in profondit; io ne assaporavo la precisione.
Per un mio compagno di lotta, che purtroppo mancato, la penna erano i
battiti di una palpebra{vi}.
Le parole mi soffocano quando penso a quelli che sono morti senza parlare,
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testimoniare, sperare, in totale solitudine.


Disteso sul letto, la notte, dormo male. Sono un paralitico.
Qualche tempo dopo mi sistemano un registratore sulla pancia. Si ferma
quando non sente pi rumore - o quando vuole lui - e riparte solo dopo che ho
pronunciato la prima parola. Non sono mai sicuro che mi abbia registrato. E
spesso mi blocco.
dura esprimersi senza pagina bianca, senza matita da poter cancellare,
senza sedersi a un tavolo, davanti a un foglio, appoggiando la fronte sulla mano
sinistra; senza potersi lasciar andare su un foglio scribacchiato e gualcito. La
voce, nuda, flebile, si fissa su un nastro magnetico senza ripensamenti, senza
cancellature, istantanea di una memoria incerta.
Ho perso il filo, si sta facendo notte e non mi sento bene. La testa sprofonda
tra le spalle. Dalla spalla destra arrivano fitte come pugnalate. Sono costretto a
fermarmi. Il mio gatto, Fa diesis, si diverte a muoversi sul mio corpo che vibra;
si inarca come se stesse innalzando una preghiera al cielo.
Io tremo, attraversato dai crampi. Il gatto si prende gioco di questo corpo,
ci passa sopra tutta la notte: ha bisogno di sentirsi vivo grazie ai miei sussulti.
Dalla cima delle spalle fino alla punta dei miei arti arde un fuoco perenne che
troppo spesso manda alte fiamme. Sono in grado di dire se domani far bello o
se al contrario, come il bruciore fa presagire, piover. Avverto forti crampi alle
mani, alle natiche, lungo le cosce, attorno alle ginocchia, dietro i polpacci.
Mi rivoltano come un calzino sperando di arrecarmi sollievo, ma i dolori
persistono. Li chiamano dolori fantasma. Fantasma un cazzo! Piango, non di
tristezza: di dolore. Aspetto che le lacrime mi plachino. Aspetto di abbrutirmi.
La sera, a lume di candela, ci amavamo, bisbigliando. Poi lei si addormentava
appoggiando la testa nell'incavo del mio collo. Le parlo ancora, senza ottenere
risposta.
A volte, malato di solitudine, ricorro a Flavia, una studentessa di
cinematografia, col suo ampio sorriso, la bocca sontuosa, una domanda sospesa
nel sopracciglio sinistro.
Controluce, nel suo leggero abito azzurro, non sa di essere osservata n che
le curve dei suoi ventisette anni possono ancora turbare uno spettro come me.
Le detto tutto, senza pudori. Lei rimane imperturbabile.
Il gatto riprende posto sulla mia pancia. Quando si gira il mio corpo si
irrigidisce, come inorridito dalla presenza dell'animale, dall'assenza di Batrice e
da questa sofferenza che non smette mai.
E tuttavia devo parlare dei bei momenti, dimenticare la sofferenza presente.
Mi piacerebbe cominciare dagli ultimi istanti, dalla fine, prevedibile e a
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talvolta desiderata, quando raggiunger Batrice. Lascer coloro che amo per
ritrovare colei che ho tanto amato. Anche se il suo paradiso non esiste, so che
lei l, perch ci credeva e perch lo voglio io. Immagino noi due, alleggeriti
delle nostre sofferenze, stretti in un morbido abbraccio, gli occhi chiusi per
l'eternit, i biondi capelli di lei che fremono in mezzo a un fruscio di ali di seta.
Batrice, che sei nei cieli, salvami.

I miei sensi

Ero qualcuno. Adesso sono un paralitico; parte dei miei sensi sparita. E
tuttavia agli atroci crampi della paralisi si mescola la voluttuosa memoria dei
sensi scomparsi. Rammentare, centimetro per centimetro, ricordo dopo
ricordo, le percezioni di un corpo nebulizzato gi sopravvivere. Ricostruire
una cronologia nel caos delle sensazioni defunte, partendo dalla mia attuale
immobilit, riappropriarmi del passato, accordare due vite finora dissociate.
*
Il corpo s'infiamma di un confuso rossore. Il semplice ricordo mi
intorpidisce. La mente non c' pi. Sono invaso solo da sensazioni lontane.
Nello splendente sole di Casablanca, ho sette, forse otto anni. Io e i miei fratelli
frequentiamo la scuola cattolica Charles-de-Foucauld. Durante la ricreazione
alcuni bambini giocano a pallone in mezzo al cortile, sollevando polvere che gli
si appiccica a gambe e braccia e tinge dello stesso bianco lattiginoso i calzoncini
e le camicie blu scuro. Tutt'intorno, lungo i muri, altri bambini si distribuiscono
in gruppi di venditori o giocatori. Io sono venditore; Alain, mio fratello
gemello, che ha un'ottima mira, giocatore. Il giocatore dovrebbe toccare con
un nocciolo di albicocca un altro nocciolo posto tra le gambe del venditore.
Scelgo uno spazio sotto il muro di cinta, in faccia al sole del mattino. Mi piace
farmi arrostire dal sole. Aspetto il tiro, gli occhi semichiusi fissi sul mio
nocciolo. Conto fino a tre. Brivido di piacere. Intorpidito dalla tiepida polvere
del cortile, chiudo gli occhi. Quando torno in me, la mia classe rientrata, altri
alunni stanno giocando. Mi alzo, sconvolto, raccolgo la mia scorta di noccioli in
un fazzoletto. Corro sempre pi veloce, il corpo infuocato. Per la prima volta
avverto uno strano calore tra le gambe. lo sfregamento o la paura della
maestra cattiva? Fatto sta che laggi, in basso, sta succedendo qualcosa. Busso,
desolato, la maestra sbraita e io resto l impalato, nello spiraglio della porta
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aperta.
*
Arrossisco ancora, da solo nel mio letto, rievocando quei primi turbamenti.
*
Qualche tempo dopo siamo in Olanda. Mio padre lavora per un gruppo
petrolifero anglo-olandese. Io e i miei fratelli, insieme alla nostra sorellina
Valrie e a Christina, la governante, abitiamo al primo piano. Christina molto
bella, con i capelli rossi, gli occhi verdi e le lentiggini che scorgo sulle parti
nude del suo corpo. il periodo delle minigonne. Sta stirando la biancheria sul
pianerottolo. Resto a osservarla a lungo; avverto di nuovo questo imbarazzo
sotto la cintura, arrossisco e non oso abbassare lo sguardo sui miei orribili
calzoncini inglesi di flanella grigia. Ha forse ammiccato, Christina? Sono
spacciato. Lei, perfida, fa uno strano movimento: gira intorno all'asse da stiro
per venire dalla mia parte, mi volta le spalle, si china in avanti: lo fa davvero per
raccogliere qualcosa? Se avessi saputo, e se avessi potuto, l'avrei presa l su due
piedi. Ma sono rimasto con le braccia penzolanti, il respiro corto, e il resto...
meno corto! La vista di quel posteriore messo in bella mostra dura un'eternit.
Molto tempo dopo l'ho rivista in alcune fotografie. L'ho trovata meno bella,
denti distanziati, carne molliccia, ginocchia ossute. Tutta questione di punti di
vista!
*
Stanotte ho respirato profondamente per liberarmi dei dolori che mi
isolano. Mi sono tornate in mente alcune immagini, belle per la loro semplicit.
La sofferenza resta.
*
Ho quindici anni. Voglio impressionare i miei compagni. Entro in una
farmacia piena zeppa di gente. Quando arriva il mio turno faccio: Vorrei una
confezione... e, bisbigliando: di preservativi. La farmacista mi chiede di
ripetere. Incastrato, e gi paonazzo, obbedisco. Misura? chiede ancora quella,
ironica. Scappo via.
Naturalmente si riferiva alla grandezza della confezione.
*
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Una risata mi sale in gola; le fa eco una contrattura; il registratore mi scivola


dal torace. Regna un silenzio scoraggiato. Bisogna riprendersi, rimettersi al
lavoro.
Chiamo Abdel, il mio badante. Rimette a posto il registratore. La mia voce
sorda, nuova ed estranea, prosegue la registrazione. In questa voce diversa
anche la mia identit si sfalda. Non ho pi muscoli pettorali. Non c'
intonazione n punteggiatura. Solo le parole per cui riesco ad accumulare fiato
a sufficienza s'imprimono sul nastro magnetico.
*
Ho diciassette anni. Settimana bianca. Alain, il mio gemello, ha gi la sua
pollastrella. Ci sono altri ragazzi, e ci sono le ragazze: non sono mai arrossito
cos tanto davanti a loro. Dopo cena ci ammassiamo davanti al caminetto, con
vino, canzoni e chitarra. Una ragazza si siede al mio fianco. Si appoggia a me e
china la testa sulla mia spalla. un'amica della ragazza di Alain; pi grande di
me, nata in Vietnam da una famiglia di coloni francesi. Ha gli occhi a
mandorla e la pelle olivastra. Ride e si avvicina ancora un po'. Ora sento il suo
profumo speziato. Cerco di scomparire tra le fiamme del caminetto, ma non
c' niente da fare. Il calore del desiderio mi invade. Ho voglia di questa ragazza.
La seguo senza voltarmi quando, al momento di andare a dormire, mi attira
nell'unica stanza singola, dotata di un lettino addossato alla parete. Gi da
qualche anno sogno questo momento. Si spoglia senza grazia e si stende su di
me. Devo sembrare goffo, perch lei sorride. E poi mi prende in giro: Ma non
ti sei tolto i boxer! Mi aiuta. Restiamo insieme qualche mese.
Nonostante la paralisi, i miei sensi assenti mi fanno ancora qualche
scherzetto.
la prima volta che esco dal centro di riabilitazione di Kerpape, sulla costa
bretone. Batrice spinge la mia nuova sedia a rotelle fino a un piccolo caff
affacciato sulla spiaggia. seduta davanti a me. Alle sue spalle, i windsurf
saltano sulle onde. Il cielo grigio. Il sudore mi gela la nuca, ma non voglio
rinunciare al calore del volto di Batrice vicino al mio. Come pu conservare
ancora il suo fresco sguardo pieno d'amore per l'ombra di colui che l'ha amata?
Tossisco, poi sputo. Preoccupata, Batrice mi riaccompagna al centro di
riabilitazione. L'infermiera diagnostica un'infezione polmonare. Per la seconda
volta entro in rianimazione, all'ospedale di Lorient, con la gola aperta da una
tracheotomia. Una batteria di flebo distilla il suo veleno. Le vene del braccio
sinistro cedono sotto la pressione. Lo avvolgono fino al gomito con cotone
imbevuto d'alcol che mi d alla testa. Mi trovo in una stanza senza finestre.
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Dev'essere notte. Non ci sono infermiere. Le luci rosse, verdi e bianche dei
macchinari lampeggiano. Io svanisco. poi sopraggiunge una piacevole
sensazione. Era da quasi un anno che non avvertivo questo delizioso desiderio
di stringermi senza fine a Batrice. Sono travolto dalle immagini dei nostri
corpi che si fondono. All'improvviso il neon mi acceca: Batrice si chinata su
di me. Nel giro di pochi minuti ha compreso l'emozione che mi ha rapito e che
le indico ammiccando con gli occhi; le chiedo di informarne il dottore. Lei
ride, corre verso il corridoio. Rientra insieme al medico, che appare nervoso.
Ausculta l'oggetto di quella ridarella. Negativo. Emozioni fantasma. Dormi,
angelo mio.

Il culo dell'angelo

Al risveglio c' l'ERD{vii}. Poi, la doccia.


Tutto buio. Quasi non esisto pi. Non ci sono n corpo, n suono, n
sensi, tranne forse la sensazione di aria tiepida che mi scivola nelle narici.
All'improvviso, tutto precipita. Si riparte. La testa mi cade in avanti. Sento il
rumore dell'acqua della doccia, l'avverto sul viso. Apro gli occhi. A poco a
poco mi appare un'immagine: Marcelle, l'immensa martinicana dalla voce dolce,
tiene le mie gambe sulle sue spalle. Sorride: Rieccoci, signor Pozzo! Questa
volta non c' stato neanche bisogno di ceffoni! Il mio braccio destro ha perso
i suoi sostegni, sono accasciato a fianco del sedile per la doccia. bucato.
Sono quasi nudo. Resta questo sacchetto per l'urina che pende all'estremit
di un lungo tubo agganciato al mio pene tramite una specie di preservativo. Lo
chiamano penilex. penoso e per nulla sexy.
Non posso stare seduto. Per farmi restare in vita, bisogna stringere l'alta
fascia addominale e infilare le spesse calze contenitive che mi ricoprono dalle
dita dei piedi fino alle chiappe, affinch mi resti un po' di sangue nel cervello.
Quando sopraggiungono gli svenimenti, divento un angelo del buio, l'angelo
che non sente pi niente. E nel momento in cui torno alla luce, le gambe per
aria, con o senza ceffoni, la sofferenza m'inonda e lo scoppiare dell'inferno mi
fa piangere.
Marcelle, l'aiuto infermiera, chiama Abdel, il mio badante, per rimettermi a
letto. Abdel mi libera le gambe dai poggiapiedi, si china fino a toccarmi i
polmoni con la testa, blocca le mie ginocchia tra le sue, mi stringe il
fondoschiena tra le braccia robuste. E hop! Vira all'indietro e mi ritrovo in
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piedi, riflesso nelle persiane ancora chiuse. Ero un bell'uomo. Non resta molto.
Il sangue scende nelle dita dei piedi, ridivento angelo. Abdel mi adagia sul
materasso antidecubito. Marcelle inizia quella che, sorridendo, chiama la
piccola toilette. Toglie il penilex per prendersi cura della bestia. Batrice lo
chiamava affettuosamente Toto. Sento che Marcelle ride. Toto ha
un'erezione. Marcelle non riesce a rinfilare il penilex.
Al centro di riabilitazione di Kerpape i tetraplegici sono gli aristocratici;
occupiamo il primo posto, cos vicini a Dio. Guardiamo gli altri con sufficienza.
Siamo i tetra. Ma tra di noi siamo i girini{viii}, perch il girino, come il
tetraplegico, non ha n gambe, n braccia, solo una coda che scodinzola.

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Prima parte
Infanzia dorata

Sono nato

Sono discendente dei duchi Pozzo di Borgo e dei marchesi di Vog.


Durante il Terrore, Carlo Andrea Pozzo di Borgo prende le distanze
dall'amico Napoleone. Giovanissimo, e protetto dagli inglesi, diventa primo
ministro della Corsica indipendente, poi va in esilio in Russia dove, grazie alla
sua conoscenza dell'Orco, come Alexandre Dumas chiamava l'imperatore nel
Conte di Montecristo, contribuir alla vittoria finale delle monarchie.
Mercanteggiando a caro prezzo la considerevole influenza di cui gode presso lo
zar, accumula un'ingente fortuna; i duchi, i conti e gli altri aristocratici europei
cacciati dalla Francia rivoluzionaria lo ringraziano profumatamente per ogni suo
intervento volto a restituire loro beni e funzioni. Di lui Luigi XVIII arriver a
dire che quello che gli costato pi di tutti. Grazie a ben mirate alleanze, i
Pozzo si tramandano questo gruzzolo di generazione in generazione, fino ai
nostri giorni. Tra i monti della Corsica si dice ancora ricco come un Pozzo.
Mio nonno, Joseph Joe duca Pozzo di Borgo, ha sposato un'americana
piena di soldi. I nipoti la chiamano Granny. A nonno Joe piaceva raccontare
come si erano conosciuti, nel 1923. Granny aveva vent'anni. In compagnia
della madre aveva intrapreso un viaggio in Europa per conoscerne i migliori
partiti. Le due donne arrivano da un nobile crso che Granny sovrasta in
altezza di un paio di spanne almeno. Nella sala da pranzo del castello di Dangu,
in Normandia, dall'altro lato dell'immensa tavola, la madre si rivolge alla figlia in
inglese (ovviamente tutti i presenti comprendono): Cara, non trovi che il
castello del duca che abbiamo conosciuto ieri fosse ben pi grazioso?
Nonostante ci, Granny gli preferir il piccolo crso.
Quando la Sinistra sale al potere nel 1936, Joe Pozzo di Borgo viene
arrestato con l'accusa di partecipazione all'associazione dei cagoulards,
cospiratori di estrema destra pronti a tutto pur di rovesciare la Repubblica.
Non era vero. Mentre detenuto nel carcere della Sant riceve la visita della
moglie e di qualche raro amico. La cosa sconveniente, si diverte a raccontare,
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che quando ti cercano in prigione non puoi far dire che non sei in casa...
Il clan crso dei Perfettini, che dall'epoca dell'esilio in Russia difende gli
interessi dei Pozzo sull'isola, si mobilita in favore del nonno. una delegazione,
armata fino ai denti, sale a Parigi. Fa irruzione alla Sant. Il patriarca, Philippe,
chiede al duca la lista delle persone da far fuori. Il nonno consiglia loro di
lasciar perdere e tornarsene a casa. uscendo, sorpreso e deluso, il vecchio
Philippe si rivolge alla duchessa, preoccupato: Sar mica affaticato, il duca?
E cos il nonno abbandona ogni attivit politica per ritirarsi nelle sue
propriet: la dimora parigina, il castello in Normandia, la montagna in Corsica e
palazzo Dario a Venezia. Mantiene una brillante corte di oppositori di
qualunque regime. Muore quando io ho quindici anni. Non credo di aver mai
aderito a nessuno dei suoi brillantissimi slanci. Mi sembravano di un'altra epoca.
In compenso, mi ricordo di una serata a Parigi, nella sala da ballo tutta
scintillante di diamanti.
Sono un bambino. Con la testa arrivo all'altezza dei posteriori di questo bel
mondo. Perplesso, sorprendo la mano del caro nonno su un sedere notevole,
che non quello della sua signora.
La storia della dinastia Vog risale alla notte dei tempi. Come dice nonno
Pozzo a nonno Vog (i due patriarchi si detestano): Almeno il mio, di titolo,
cos recente che posso dimostrarne l'autenticit! Robert-Jean de Vog non
ribatte.
Nonno Vog, ufficiale di carriera, ha fatto entrambe le guerre mondiali: la
prima a diciassette anni, la seconda come prigioniero politico a Ziegenhain,
arrestato e condannato a morte in quanto membro della Resistenza. un
uomo coraggioso e dalle profonde convinzioni. Da buon discendente dei
cavalieri medioevali, concepisce i privilegi ereditari come contropartita dei
servizi resi alla societ: nel Medioevo era la difesa; nel XX secolo lo sviluppo
economico. Sposa la ragazza pi bella della sua generazione, un'erede degli
champagne Met et Chandon. Negli anni Venti abbandona la carriera militare
per assumere la guida di quell'azienda, che dirige e sviluppa considerevolmente
fino al 1973, anno in cui va in pensione dopo aver trasformato una piccola
impresa famigliare in impero.
Deve questo straordinario risultato solo alla forza del suo carattere e delle
sue idee. Alla fine della sua vita le raccoglie in un libricino intitolato Alerte aux
patrons{ix}, che ancora oggi il mio libro da comodino.
Naturalmente, Robert-Jean de Vog molto criticato nel suo ambiente. Lo
chiamano addirittura il marchese rosso, e lui replica: Non sono marchese,
ma conte. Non rinnega il colore politico. I finanzieri che gli succedono ne
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distruggeranno l'operato. Lui resta il mio punto di riferimento. Mio figlio si


chiama Robert-Jean.
Mio padre, Charles-Andr, il primogenito di Joe Pozzo di Borgo e decide
di cimentarsi con la vita operosa. Si pu dire che sia il primo Pozzo a lavorare;
era un modo per contrapporsi a suo padre. Inizia come operaio in un cantiere
petrolifero in Nordafrica e a partire da l si costruisce una carriera grazie alle
capacit, all'efficienza e al dinamismo che lo contraddistinguono. Il lavoro
porta in diversi Paesi lui e la sua famiglia, me compreso. Qualche anno dopo la
morte di suo padre, abbandona la carriera alla guida di una compagnia
petrolifera per mettere ordine tra gli affari di famiglia.
La mia cara mamma in un solo anno partorisce tre figli: Reyner e, undici
mesi dopo, il mio gemello Alain e me. Trasloca quindici volte per seguire mio
padre, ogni volta abbandonando i mobili ingombranti e le poche amicizie che
si era costruita. Con pap sempre in viaggio, una nanny si prendeva cura di noi
per proteggere mamma dalla nostra turbolenza. Dall'epoca del passeggino
condiviso con Alain, prendo l'abitudine di sedermi su di lui. Aspetter di avere
parecchi anni e qualche centimetro di vantaggio su di me per assestarmi una
bella scarica di cazzotti che allevier solo in parte le sue frustrazioni.
*
Oggi mi spinge, ingobbito nella mia sedia a rotelle.
Chiunque ha potere su di me. Mi rifiuto di sollevare la testa.
*
A Trinidad trascorriamo le giornate giocando in spiaggia, vestiti come gli
indigeni con cui nuotiamo tutto il tempo. Ancor prima di parlare francese
impariamo a esprimerci nell'inglese locale. La sera ci azzuffiamo nella nostra
stanza. Conservo il ricordo preciso di un gioco che consisteva nel saltare sul
proprio letto e allo stesso tempo far pip su quello del fratello.
Poi la volta del Nordafrica: Algeria e Marocco. Scopriamo la scuola,
studiamo francese con un'insegnante di et imprecisata, timida e zitella. un
giorno di vento fortissimo mi aggrappo a un pilone e vedo mio fratello, che era
molto mingherlino, prendere il volo. La signorina lo afferra nel tentativo di
trattenerlo, ma invano. Per fortuna una ringhiera li ferma. Per la prima volta
provo una sorta di gelosia nei confronti di questo gemello che attira
l'attenzione delle signore.
*
16

Ora sono un metro e ottanta abbondanti, cinquanta chili di materia inerte, e


il resto piombo. Fuori servizio!
*
Reynier prende le distanze da noi piccoli, ed subito i gemelli contro il
cattivo Big Fat. Consapevole delle sue responsabilit di primogenito, quando
ritiene che sia in ballo la nostra educazione, il fratello maggiore non esita ad
approfittare delle sue enormi dimensioni per picchiarci con quelle mani
smisurate.
*
Adesso grido di dolore, senza essere in grado di picchiare quelli che abusano
della mia paralisi.
*
Dopo il Marocco, Londra. La nanny si chiama Nancy. Noto le manovre di
Reynier intorno a questa bella brunetta. S'infila nel suo letto all'insaputa dei miei
genitori, e lo sento ridacchiare. Le provo tutte per riuscire a intrufolarmici
anch'io, senza sapere bene il perch. Un giorno cerco addirittura di prendere
una parvenza di febbre sedendomi su un termosifone bollente nella speranza di
poter essere curato da Nancy e magari finire nel suo letto... Il mio tentativo
non dura a lungo: il sedere mi tradisce e, chiappe e gote in fiamme, sono
costretto a togliere l'assedio.
*
Rimpiango le sensazioni che mi mostravano i miei limiti. Quel corpo dalle
frontiere incerte non mi appartiene pi.
La mano che mi accarezza, ormai, non mi tocca pi. Ma queste immagini
riescono ancora a darmi emozioni, mentre tutto bruciore.

con la camicia

Quando compio otto anni vengo ammesso, insieme ai miei fratelli, nel
salotto parigino di Granny. Bravissima violinista, dopo il matrimonio non ha
17

potuto permettersi di continuare a esercitare il proprio talento: il duca Joe non


apprezzava molto il rumore. Granny possiede un violino in miniatura e un
pianoforte Steinway, che troneggia nella sala da ballo. Io sono affascinato da
quell'immenso piano nero; lo reclamo. Alain cade in estasi davanti al violino in
miniatura e alla sua delicata fattura. Quanto a Reynier, poich non intravede pi
alcuno strumento disponibile, si disinteressa alla musica, fatto che gli fornisce
numerose occasioni per deriderci apertamente quando Alain e io cerchiamo di
suonare insieme. Mi rendo conto di quanto possano essere penosi quegli
ascolti. Conservo il ricordo della cocente umiliazione di un concerto tenuto
con Alain nel suo collegio. Lo accompagno in una sonatina di Beethoven. Alain
inizia il brano a un'estremit del palco per terminarlo all'estremit opposta, tra
gli schiamazzi dei collegiali. Da allora non ho pi suonato per un pubblico.
Adesso non suono pi per niente.
Granny organizza numerosi concerti nella sala da ballo; assisto in prima fila a
questi squisiti momenti musicali. Molti anni dopo organizzer un festival nel
nostro castello della Punta, che domina Ajaccio. Batrice si occupa della
pubblicit; io attacco locandine per tutta la Corsica.
Il castello di Ajaccio adibito a museo e ripercorre la vita di Carlo Andrea
Pozzo di Borgo. Ricordo il custode che mostra ai visitatori lo sfarzo dei saloni,
della biblioteca e delle camere. Nella biblioteca, due grandi quadri si
fronteggiano: uno, dipinto da Grard, ritrae Carlo Andrea Pozzo di Borgo in
trionfo; l'altro, dipinto da David, raffigura Napoleone poco prima della
partenza per l'isola d'Elba, il volto segnato dalla delusione e dall'amarezza. Nel
suo accento crso tagliato con l'accetta, la guida termina la visita dicendo
invariabilmente: E le toilette sono d'epoca. Non dimenticate di acquistare la
guida!
Nessun Pozzo ha mai vissuto in questo castello. L'ha costruito un antenato
per attrarre sull'isola sua moglie, acquistando e facendo arrivare da Parigi le
pietre del padiglione Marie de Mdicis, parte del complesso delle Tuileries,
andato distrutto durante l'incendio della Comune, nel 1871. Dopo un breve
soggiorno ad Ajaccio e una notte nel castello, la sposa si rifiut
categoricamente di tornare sull'isola.
Nonno Joe preferisce restaurare un'antica torre genovese che sorge nel
cuore dell'antico villaggio di Pozzo di Borgo, duecento metri a strapiombo sul
castello, e lui e Granny vi soggiornano volentieri, contemplando il trascorrere
del tempo. Dalla torre si vede la cappella che sorge sul fianco dell'altura e in cui
sono sepolti tutti i membri della famiglia: l sar sepolta Granny, duchessa
Pozzo di Borgo, fedele sposa di Joe. L sar sepolto io, insieme a Batrice.
18

Molto presto, mio padre si fa un'idea precisa su ognuno dei suoi figli, e la
esprime con una certa durezza, nonostante la sua profonda bont. I suoi giudizi
sono asciutti: Reynier non portato per gli studi. Entrer nel collegio
dell'cole des Roches, l'unico, in Francia, organizzato secondo il modello
anglosassone: i pi anziani insegnano ai compagni a badare a se stessi; in primo
piano ci sono lo sport e tutte le attivit diverse da quelle intellettuali. Reynier lo
frequenta senza grandi risultati, non ama lo sport, ma sviluppa la passione per il
disegno che ha ereditato da nostra madre. Alain segue Reynier alle Roches per
fare quello che riuscir. A lungo nostro padre ha esitato sulle capacit
intellettuali del mio gemello, che manifesta una sorta di mutismo. Quanto a me,
mi spedisce a seguire la trafila che era stata la sua e quella di suo padre, dal
momento che sono il meno coglione dei tre. Ho otto anni quando mi porta
con s a Parigi, dove passo l'esame di ammissione al liceo Montaigne. Il giorno
dei risultati, mio padre mi tiene per mano mentre cerca il nostro nome sul
tabellone. Ho diritto a un Bene: sono ammesso e quindi lascio la mia famiglia.
La rivedr solo durante le vacanze.
liane de Compigne, sorella di mio padre, suo marito Philippe e i loro tre
figli abitano nel palazzo di famiglia parigino. Mia zia mi ospita durante i week
end e ogni gioved pomeriggio. Per recarmi da loro prendo il bus ai Giardini
del Lussemburgo. Il mio posto preferito la piattaforma posteriore. Il
passatempo pi bello: le vie sfilano, rimandandomi il calore e l'odore delle
marmitte di scarico; il controllore si appoggia indolente al corrimano, il
berretto sollevato, la mano sul campanello della fermata. I Compigne
diventano la mia seconda famiglia. Mi trovano una sistemazione nel locale
guardaroba, nel sottotetto. Dormo in un letto che si apre cadendo gi da un
armadio a muro. Scopro un'altra Francia.
Philippe de Compigne avrebbe potuto appartenere alla cerchia del
condottiero trecentesco Bertrand Du Guesclin; la sua famiglia risale
quell'epoca. un tipo marziale, amante della caccia. Da quando si sposato
divide il suo tempo tra Parigi, dove dirige una piccola fabbrica di scatole di
lusso, e la sua povera signoria di La Chaise, quel che resta di un villaggio
aggrappato a un castello in rovina. Ha sistemato alcune stanze, che sembrano
pi che altro delle tane. Il castello sorge nel bel mezzo di duemila ettari di
foresta, dove Philippe trascorre la maggior parte della sua esistenza cacciando
in solitudine.
morto in mezzo ai suoi animali: si rifiutava di curare il proprio corpo.
M'insegna a sparare e il piacere delle lunghe attese in solitudine, tra gli alberi.
sempre lui a insegnarmi la pesca alla mosca, altro sport solitario, tutto
19

acutezza di sguardo ed eleganza del gesto. Zio Philippe un tipo di poche


parole. Gli capita anche di usare i pugni prima di spiegare il proprio punto di
vista. In Normandia manda a gambe all'aria un guardiacaccia con un montante
perch crede di cogliere nelle parole del brav'uomo una mancanza di rispetto
nei confronti di sua suocera, la duchessa, e anche un nobilastro arrogante non
manca di pagare lo scotto del suo carattere. L'aristocratica brutalit dello zio
mal sopporta la stupidit dei suoi pari.
A parte la caccia, zio Philippe frequenta sempre le stesse persone, una
quindicina di cari amici. Si riuniscono a palazzo Pozzo almeno una volta la
settimana per giocare a carte.
Fra loro vige la pi perfetta fratellanza. Se uno di loro si invaghisce di
qualcuno che non il coniuge, si affronta la situazione con la maggiore
sensibilit e gentilezza possibili. Le indiavolate partite di gin-rummy iniziano
verso le cinque del pomeriggio. Due gruppi composti da cinque-sei giocatori
tirano tardi, disposti lungo i lati lunghi di uno stretto tavolo. Alle otto la partita
s'interrompe. La cena ruota intorno a zia liane, capace di raccontare le storie
pi piccanti come se non le comprendesse. Non ho mai riso tanto come in
questa famiglia, con questa compagnia! Negli anni successivi prendo gusto a
queste feste continue. Zia liane m'inizia rapidamente al gin-rummy e mi
ammette tra i giocatori. Divento un buon socio al gioco. Questa gioia di giocare
a carte mi rimasta. Dai Compigne ho scoperto i piaceri della vita fatti di
spensieratezza, amicizia e finezza di spirito. Un'atmosfera allo stesso tempo
ruvida e delicata.
Il primogenito, Franois, di due anni pi piccolo di me, il mio compagno
di giochi. Grande e grosso come tutti i Compigne, straordinariamente
impacciato. Ha addosso almeno un centinaio di punti di sutura! Ricordo ancora
le corse in bicicletta nella foresta di Dangu. Io faccio da apripista sui sentieri,
scendo per i pendii tra gli alberi e spesso raccatto Franois, caduto e
ammaccato! Anche ora, da adulto, una fragile forza della natura.
*
Un giorno me ne sono andato per i fatti miei. Ho imparato la solitudine. Da
allora l'ho cercata. Volevo andare sempre pi veloce, sempre pi lontano,
sempre pi in alto. Mi sentivo immortale! Anche una valanga che mi trascina a
valle durante una discesa sugli sci non lascia alcuna traccia su di me; riparto
senza problemi dopo numerose uscite di pista. A un certo punto, per, sono
inciampato. Non riesco a ritrovare, nei miei ricordi, il momento in cui la
condizione terrestre mi ha riacciuffato.
20

*
Quando compie dodici anni Franois riceve da zio Philippe una Citroen
2CV delle Poste color giallo arancio, acquistata a un'asta del demanio pubblico.
Per parecchi anni la brava Titine la nostra compagna di giochi.
Quattordicenne, abbozzo grandi derapate nei viali fangosi del bosco. Pi tardi
ho ritrovato delle foto di quella macchina: accanto si vedono gli adolescenti
che eravamo, trionfanti, in posa con le mani in tasca, un mozzicone in bocca,
intorno alla nostra carrozza. Il mondo nostro. Siamo ragazzi viziati.
Dalla mia camera intravedo quella della signorina che si occupa dei figli di zio
Cecco, fratello minore di mio padre, e di sua moglie Tania (un'attrice, pi nota
come Odile Versois). Per tre anni quella governante per me la donna pi
bella del mondo. La immagino, spiandola attraverso il vetro opaco del suo
bagno. Mi accompagna nei sogni per tutto il resto della notte. Una sera, pazzo
di desiderio, in punta di piedi scendo i due piani che ci separano. Giunto in
fondo al corridoio, entro nella sua stanza. Sta andando a letto. Intuisco il suo
corpo nella trasparenza della camicia da notte. Resto confuso, sconvolto. Tutto
mortificato le dico: Ho mal di testa. Lei mi porge un'aspirina. Risalgo in
camera mia con la coda tra le gambe.
Durante la settimana risiedo al Bossuet, un collegio tenuto da religiosi
nerovestiti. celebriamo la messa ogni mattina, consumiamo i pasti nel refettorio
e la sera studiamo in sale di lettura sorvegliate. Seguiamo le lezioni al liceo
Montaigne, poi al Louis-le-Grand. ogni tanto servo messa, senza entusiasmo.
una mattina con alcuni compagni rubo tutte le ostie non ancora consacrate. Il
tempo di arrivare ai nostri banchi, e le abbiamo divorate tutte. Entusiasmo
generale quando l'anziano padre canonico si appresta a celebrare l'Eucarestia, e
punizione collettiva.
Il superiore del Bossuet, il canonico Garand, ha pi di ottant'anni. stato
professore di mio nonno ed era gi direttore ai tempi di mio padre.
Appostato a una finestra del settimo piano, munito di gavettone e
circondato dai compagni, prendo la mira sul superiore. Attraversa il cortile.
Forse torna da una meditazione sulle incertezze della vita. Sss... plaf! Traiettoria
perfetta: il proiettile esplode e inonda la sottana. Attentato riuscito!
Informato della prodezza, mio padre non si oppone alla mia espulsione. Ha
gi deciso di ritirarmi dal Bossuet: ha saputo che trascorro gran parte del mio
tempo in un bar dove mi chiamano il re del flipper.
Mi spediscono all'cole des Roches, dove raggiungo i miei fratelli. Sto
terminando la terza superiore. Sviluppo subito una coscienza politica contro i
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valori dominanti di questa scuola. Il costo delle tasse d'iscrizione limita il


reclutamento all'lite capitalista, e la crescita degli anni del Dopoguerra
permette l'ingresso di una nuova popolazione scolastica, molto danarosa e dalle
basi culturali talvolta rudimentali. Mi ricordo ragazzi schifosamente viziati,
accompagnati a scuola in auto con autista. Uno di loro, addirittura, fa il suo
ingresso nell'immenso parco a bordo di una vecchia Rolls-Royce, con tanto di
servitore in livrea in piedi sul predellino. Mi vergogno per lui e per me. Fino ad
allora non avevo mai preso coscienza della nozione di classe. In questa scuola
mi isolo, vedo poco i miei fratelli, trascorro molte ore al pianoforte e fumo una
sigaretta dopo l'altra nel piccolo spazio che mi riservato per studiare.
*
In seguito, per contrastare le ingiustizie sociali, ho fatto sempre di tutto
perch almeno coloro di cui ero responsabile potessero conquistare la loro
indipendenza.
Quando ci hanno chiesto di licenziare centinaia di persone mi venuta
voglia di imbracciare le armi. Tremante per l'indignazione, accerchiato dalle
gelide leggi dell'economia, probabilmente avrei potuto volgerle contro me
stesso, purch non mi prendessero vivo.
*
Scopro Marx, Engels, Althusser. Nella mia stanzetta studio questi autori
rossi, mentre ascolto Vingt regards sur l'Enfant Jsus, un pezzo per pianoforte di
Messiaen. Questa musica mi isola dal marciume circostante. La mia ribellione
tale che mi rifiuto di partecipare a qualunque riunione di gruppo. Quando ci
sono premi da ritirare, ricevo il mio in contumacia. una novit assoluta
negli annali della scuola!
Dopo l'incidente mi tornato in mente un episodio che, all'epoca, mi aveva
colpito di striscio: l'insegnante di matematica, il professor Mortas, perde la vita
in un incidente automobilistico. Si sparge la voce che sia pi alto di venti
centimetri, dopo essere passato sotto un trattore. oggi questo ricordo riaffiora
alla mia memoria dal basso della mia posizione sdraiata, in cui tutti mi trovano
pi alto.
Il maggio del '68 mi sorprende in questo anacronistico istituto. Decido di
scappare per recarmi a Parigi. Mi lascio trasportare dall'entusiasmo generale che
regna dall'Odon al Panthon. Mi persuado che da queste folli giornate nascer
una giustizia migliore: d'ora in avanti la decenza e il rispetto regoleranno i
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rapporti tra gli uomini.


E cos vivo qualche giorno fluttuando per la citt, inebriato dall'eccitazione
generale e dall'odore di polvere, senza idee precostituite se non quella
dell'avvento immediato di una romantica fratellanza. Trascorro le notti da
qualche vecchio compagno del Louis-le-Grand. Discutiamo dei nostri progetti
sociali fino a tarda ora.
*
Non accetto compromessi, povero scemo dei tempi moderni!

23

Il mare dai mille sorrisi

Mio padre acquista una barca di dodici metri. All'epoca delle nostre prime
traversate fino in Corsica ho dieci anni. Ci accompagna nostra madre,
terrorizzata dagli elementi. Ritrova la tranquillit nei porti del mare dai mille
sorrisi, come Socrate chiamava il Mediterraneo.
Un'estate effettuiamo la traversata sotto un forte mistral. Il mare,
spumeggiante, urta la poppa svasata della barca prima di frangersi sul ponte.
Mio padre mantiene la rotta grazie a un fiocco da tempesta. Quando siamo nei
paraggi di Calvi riesco ad alzarmi e a liberarmi dai miasmi della ciurma
ammucchiata nella stiva. Facciamo un ingresso trionfale nel porto. Manovriamo
orgogliosi intorno a nostro padre per attraccare al molo, dove alcune persone,
sbalordite, contemplano questo equipaggio uscito dalla tormenta, mentre mio
padre insiste perch l'ormeggio sia fatto a vela. Anno dopo anno le distanze si
allungano. Scopriamo tutta la Corsica, poi la Sardegna, l'isola d'Elba, la costa
italiana e infine il mare Ionio, con l'isola di Zante. Qui troviamo un cimitero
che raccoglie una cinquantina di tombe di nostri antenati, ingaggiati come
mercenari al servizio di Venezia. Quel ramo della nostra famiglia si estinse
all'epoca di un'invasione turca. Un incaricato del camposanto mantiene queste
tombe in buono stato, apparentemente senza ragione. Restiamo quasi un'ora in
questo cimitero, dove due secoli della nostra famiglia ci sfilano davanti. Tutte
queste vite si riassumono in un nome e alcune date su una pietra. Alcune sono
state lunghe - ci si immagina un patriarca che riposa orgoglioso - altre brevi bambini morti precocemente. Di quella visita conservo una sensazione di
vertigine, di un tempo che corre via, cadenzato dalle generazioni e stretto in un
cimitero comune.
Quattro anni dopo mio padre acquista una barca pi grande, un magnifico
sedici metri in fibra di vetro, con due alberi e due cabine, che lascia la sua scia
di schiuma sulle lunghe distanze. Ora partiamo da La Rochelle,
circumnavighiamo l'Europa passando da Gibilterra, ci immergiamo nel
Mediterraneo fino in Turchia per poi tornare in Portogallo.
Queste lunghe traversate esercitano sui ragazzi che eravamo un'influenza
destinata a durare negli anni. L'autorit di mio padre vi si afferma con una forza
terrificante. A volte, durante le manovre pi difficili, esplode in sfuriate
spaventose. Reagiamo ognuno a suo modo: Alain, livido, si chiude in un totale
mutismo; Reynier esplode, ci pianta l, in piena tempesta, il viso coperto da
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lacrime di umiliazione; e io stesso, dopo aver tremato ai suoi terribili latrati,


cerco di seguire la ragione e di analizzare le cause di quelle esplosioni. Il fragore
del mare e del vento tra gli strumenti di navigazione lo costringe a urlare, e
talvolta l'urgenza del pericolo lo spinge a saltare sul ponte imprecando.
Imparo la costanza nello sforzo, la modestia dinanzi agli elementi, ma anche
l'arte di prendersi gioco di loro.
Queste traversate mi inebriano. Nulla mi d pi piacere che stare al timone
della barca sotto le vele e le stelle. La massa bianca si infila nell'oscurit, tra fasci
di mare fosforescenti; il flutto sbatte pesante sullo scafo e svanisce in bollicine
di champagne.
Poi arriva quell'estate catastrofica. Partiamo da Lisbona intenzionati a
raggiungere Gibilterra il giorno dopo. Alle tre del mattino il mare si
increspato, ma non pericoloso. Proseguiamo a vele spiegate. Reynier di
guardia, la prua fende i flutti, la barca fila a gran velocit sui cavalloni, in tutta
sicurezza. Un urto terribile. Tutto d'un tratto, il naufragio! Evidentemente uno
dei fari della costa non funzionava. Reynier ha fatto i calcoli prendendo come
punto di riferimento un'altra luce, e siamo finiti dritti sul capo Saint-Vincent.
Per miracolo, si tratta di un punto arenato tra le rocce. L'urto cos violento
che dalla mia cuccetta balzo in mare. Nessuno rimane ferito; la barca si piega
senza rompersi. Nella foschia dell'alba compaiono subito alcuni contadini
venuti a soccorrerci con i loro asini. Assicurano l'imbarcazione, ci riscaldano
intorno a un bel fuoco mentre altri svuotano la barca e caricano gli asini.
Seguiamo il convoglio fino al villaggio, dove allertano le autorit. Dobbiamo
restare da loro per i due giorni necessari a rimorchiare la barca. Ci accolgono
con calorosa ospitalit, vestigio di umanit che solo la povert pare rendere
possibile.
*
Quando penso a questi primi anni dorati, riconosco di essere stato un
bambino viziato. Non posso impedirmi di cercare di identificare chi e cosa mi
ha segnato pi profondamente.
Alcuni segni sono genetici. Fisicamente, sono il ritratto del nonno Joe.
Dicono che in parte ne avrei ereditato anche il carattere e la passione per il
genere femminile. Del nonno Vog ho il senso estetico, se non la civetteria, e
l'amore per il comando. Quando, in seguito, ho lavorato per il gruppo lvmh,
Marie-Thrse, la sua vecchia e mia nuova segretaria, mi ricordava
continuamente queste somiglianze. Da Granny ho ricevuto l'eredit spirituale:
la morale puritana e la mentalit americana. Protestante fino al matrimonio,
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anche dopo ha conservato il rigore di quel culto e una totale indifferenza nei
confronti del proprio corpo.
L'eredit e lo stile di vita di queste due grandi famiglie -una grande in passato,
l'altra in anticipo sui tempi - si sono combinati. In me il senso del dovere si
mescola in modo peculiare a un certo distacco nei confronti del mio ambiente.
Una specie di laboriosa superbia. Anche dopo le tragedie, anche nella mia
immobilit, sono queste le forze che si muovono in me.

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Seconda parte
Batrice

Rinascita

Tutto comincia dal giorno del nostro incontro: abbiamo vent'anni. Un corso
universitario a Reims. Siamo entrambi l per caso: lei perch segue suo padre
prefetto, io perch non seguo i miei genitori all'estero.
Batrice e io abbiamo fatto quasi tutti gli studi universitari insieme. La facolt
di Diritto e Scienze economiche di Reims ha sede in un vecchio edificio che
accoglie anche un ospizio per anziani. A sinistra dell'ingresso ci sono loro. A
destra noi studenti. Tra i due pensionati c' la cappella. La coprono con un
baldacchino nero ogni volta che uno degli ospiti di sinistra lascia questo
mondo. Come passatempo, tutte le mattine ci osservano passare, rimpiangendo
il tempo che fu. La distanza tra noi immensa: loro non aspettano pi niente,
noi tutto.
Nel 1969 la nostra una facolt di estrema sinistra. Frequento poco i corsi.
Trascorro la maggior parte del tempo nel piccolo caff l vicino. gestito da
un alcolista pentito e da sua moglie, agghindata con una parrucca mora e un
completo rosa shocking. Si sincerano che le partite a flipper o a dadi siano
innaffiate pi da limonate che da birre. Qualche volta, in occasione delle
assemblee, vado in facolt (che in sciopero) a votare per alzata di mano la
continuazione del movimento. Il tempo passa senza che succeda niente
d'importante. Ripeto il primo anno. Mi sarei potuto trascinare cos per tutto il
resto degli studi.
Un giorno noto una ragazza alta e bionda. La sua andatura, insieme
all'uniforme costituita allora da jeans, dolcevita aderente e sigaretta, non la fa
passare inosservata. L'indomani i residenti dell'ospizio sono pi numerosi
all'ingresso: gli studenti stanno combinando qualcosa. La bella l, con dei
compagni muniti di rotoli di carta. Ferma gli studenti perch firmino una
petizione. Mi avvicino al suo splendore, lei m'invita a firmare per interrompere
lo sciopero: lo faccio subito, arrossendo. Divertita, mi porge un rotolo affinch
anch'io possa raccogliere le firme. Da quel giorno non ci siamo mai lasciati. Da
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quel giorno io esisto.


Discuto con Batrice. Priva di preconcetti politici, difende ci che le sembra
ragionevole e ride di tante cose che fino ad allora a me sembravano piuttosto
serie. Vede la vita come una commedia umana: io la percepisco piuttosto come
una tragedia. Ci accapigliamo per queste divergenze, ma la sera mi tiene
accanto a s. Presto mi presenta ai suoi genitori, nel sontuoso palazzo del
prefetto. Rischio di rovinare tutto. La signora moglie del prefetto si trova nel
suo giardino alla francese. Upsa, il mio cane, la prende di mira, la fa cadere in
mezzo al roseto e le lecca la faccia. La signora per mi propone di tenerla l,
perch si goda il giardino. In questo modo, penso, pu controllare sua figlia.
Acconsento: il mio alloggio di otto metri quadri non soddisfa Upsa, che vi resta
chiusa tutto il giorno; i miei impegni di portiere notturno in un albergo e di
piazzista - vendo enciclopedie e abiti da uomo nei quartieri operai di Reims,
Troyes e Chalons - mi lasciano poco tempo per gli studi e ancor meno per lei.
D'ora in avanti trascorreremo tutti i week end in prefettura.
Mi riservano la camera da letto del generale de Gaulle, con il suo immenso
letto costruito su misura. Batrice mi raggiunge a notte fonda. La mattina mi
porta la colazione a letto. buffa. Crede di prendere i genitori per i fondelli.
Fino al giorno in cui la mia incantevole futura suocera si presenta nella nostra
camera con un sorrisino e chiede alla figlia di raggiungerla, di grazia.
Pi della met della nostra giornata trascorre in quel letto, dove prepariamo
il nostro avvenire. Decidiamo di fare domanda per Scienze politiche, perfino
per l'NA, la prestigiosa cole Nationale d'Administration. Mi do un gran
daffare.
Durante le vacanze estive porto Batrice nella mia Corsica. Siamo i primi
della nostra generazione a vivere insieme senza essere sposati. I nostri fratelli
maggiori hanno qualche difficolt ad adattarsi alla cosa.
Spesso ci appartiamo nella macchia, e stentiamo a rispettare gli orari di mia
nonna. Trascorriamo la notte sulla spiaggia deserta di Capo di Feno, tra il
tepore della sabbia e il rumore della risacca, intorno a un piccolo fal. Ogni
tanto raggiungiamo la mia famiglia nella casa di Ajaccio, dove mal si adattano
alla nostra promiscuit noncurante. La mia cara mamma ci rimprovera di
educare un po' troppo precocemente le mie sorelline, Valrie e Alxandra,
ultimogenita di appena dodici anni.

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Kiss machine

alta. Si nota per il portamento e l'andatura elegante. Il volto perfetto


esprime gioia di vivere, intelligenza e irrefrenabile vitalit.
L'azzurro cielo degli occhi, sempre sorridenti, reso pi intenso dal
contrasto con il nero delle ciglia e delle sopracciglia. La guardo in
continuazione, emozionato da tanta grazia e dall'amore che nutro per lei.
sempre semplice e allo stesso tempo raffinata. Spesso sono io a scegliere l'abito
che indosser. Conosco ogni centimetro della sua morbida pelle, la peluria
sopra il labbro superiore, la dolcezza di quello inferiore, il lobo perfetto delle
orecchie, l'incavo del collo dove nasce la spalla, raramente nascosta, i piccoli
seni sodi che s'induriscono per il piacere delle carezze, soprattutto il destro; il
ventre morbido su cui spesso mi addormento, le anche generose che
m'incoraggiano quando l'abbraccio. Risalgo fino al suo collo, dove mi assopisco
dopo l'amore.
Per strada la tengo per il gomito. Ehi! Guardate, la mia compagna! ci
abbracciamo senza pudore.
Le nostre famiglie ci hanno soprannominato Kiss Machine.
A vent'anni ci preoccupiamo per i nostri abbracci futuri, di quando saremo
quarantenni. A quarant'anni, anche se le sue gambe sono meno agili, l'amore
resta dolce. Leggiamo insieme, suoniamo insieme. Siamo inseparabili. Dopo il
mio incidente, indebolita dal tumore, continua nei nostri giochi amorosi. Ci
amiamo attraverso le labbra.
Ho sempre avuto voglia di stare con lei; mi sentivo pi bello, pi grande.
*
La nostra vita una musica. Fin dai primi tempi, a Reims, noleggio un
pianoforte nel deposito di un falegname, stracolmo di roba. Lei mi raggiunge l.
il mio periodo Chopin-Schumann-Schubert. Si siede su una cassa e mi
ascolta, leggendo. Ai concerti ci teniamo per mano. In una serata di lieder di
Schubert mi tira una gomitata, trova indecente l'attenzione che sembro
prestare all'avvenente cantante. Quando ci stabiliamo nella Champagne prende
lezioni di canto. Non passa giorno senza che ci dilettiamo in uno dei nostri
duetti, che sia Mozart o qualsiasi altra cosa. Il suo mistero nel canto, nella
parte pi profonda di lei, come una vibrazione della natura. Avverto sintonia,
29

quando ci unisce l'ammirazione per il bello? Pi che un canto, scorgo in fondo


a me un'armonia quasi sensuale. Non respiro, se non al ritmo del suo inspirare.
*
Ovunque io mi trovi nel mondo, lei l'unico universo che conti per me: la
sera, l'uno accanto all'altra, nudi nel nostro letto, parlottando dei nostri figli, la
certezza di essere amati, la tenerezza dei corpi. Su questa terra percorsa senza
sosta, quel letto la mia unica scoperta.
*
Pozzo rinato grazie alla sua meravigliosa compagna. Saldo i miei debiti di
gioco vendendo il bel Maggiolino arancione, regalo dei miei diciotto anni.
Compro una vecchia ID19 dal proprietario del bar, che l'ha conservata
magnificamente. Porto Batrice ovunque, su questa carrozza. Sono il re dei
mascalzoni, e lei la mia regina.
Una sera, tornando a Reims da Parigi, una nebbia fitta ci fa rallentare. Ma che
importa: Batrice al mio fianco, il tempo non esiste pi. Intravedo il cartello
che segnala l'ingresso a Meaux. Non si vede nulla, eccetto il bagliore dei fari
riflessi dalla nebbia. Intuisco la stazione dei treni di cui sono alla ricerca,
ovunque c' un Hotel della Stazione. Batrice un po' confusa quando suono e
busso alla porta dell'albergo addormentato. Dopo un lungo istante, una donna
biliosa reclama il silenzio. Insisto. Finalmente la luce si accende. Uno scialle
nero in pantofole ci precede sulle scale. Il parquet scricchiola. Neanche una
parola fino a quando la porta si richiude alle nostre spalle. Batrice sempre
accanto a me. Senza smettere di abbracciarci, raggiungiamo il letto rischiarato
da una tremula abat-jour. Batrice ride dell'incredibile baccano che le vecchie
assi del letto fanno risuonare per tutto l'edificio. In quel frastuono sussurriamo
per tutto il resto di questa deliziosa notte. Nella sala della colazione, lo scialle
nero ci domanda se abbiamo trascorso una buona nottata; gli zigomi di
Batrice si imporporano. Addenta un croissant caldo. I nostri sguardi
s'incrociano.
Alla fine del secondo anno, gli studenti di Scienze politiche devono fare uno
stage. Siamo da poco ufficialmente fidanzati. Il mio futuro suocero ottiene dal
comune di Montpellier un'opportunit di stage nella citt gemellata di
Louisville, in Kentucky. Siamo entrambi assegnati alla piccola banca locale, la
Louisville Trust Co. Supponendo di fare un piacere al prefetto, l'universit ci
sistema presso un'anziana signora del posto in una lussuosa casa coloniale. Pi
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volte sposata e vedova, la signora eccitatissima dall'arrivo di questa giovane


coppia. Ben informata, ci accoglie con una riverenza degna di count and countess.
Ci coccola, ci accudisce: impossibile buttarla fuori dalla nostra stanza. La
immagino trascorrere diverse notti con un orecchio incollato alla porta, alla
ricerca dei sospiri che le mancavano.
In banca Batrice assegnata all'ufficio legale, io ficco il naso nella gestione
dei patrimoni. Ogni due ore abbiamo diritto a una pausa-caff di quindici
minuti. Ci scaraventiamo di corsa nell'ascensore, dove ci incontriamo per
baciarci tutto il tempo concesso. C' di che scandalizzare l'America puritana e
confortare l'immagine che gli indigeni hanno di noi francesi. Ormai ci
chiamano semplicemente the French lovers. Per strada i nostri giochi proseguono,
provocando stridori di freni, colpi ripetuti di clacson, ingorghi e scoppi di risa.
Ho persino conservato il ricordo di una famiglia di poveri contadini,
evidentemente tutti imparentati tra loro, rimasta pietrificata per cinque minuti,
il tempo che scomparissimo dal loro campo visivo.
La nostra ospite organizza un barbecue attorno alla piscina, riunendo tutta
Louisville per presentare i suoi aristocratici innamorati. Siamo due piccioncini
senza gabbia e senza complessi. Tutto va bene, finch siamo insieme.
Di notte, c' una posizione che abbiamo sempre amato molto. Ci
sistemiamo l'uno dietro l'altra, raggomitolati. Con una mano le scopro la nuca e
con l'altra le cingo l'anca. In perfetta sincronia, in un frammento di tempo
inafferrabile, invertiamo le posizioni. Prolunghiamo gli abbracci, i giochi e le
confidenze e, a un tratto, la notte ci riconduce a questo semplice balletto. Da
dopo l'incidente, resto disteso sulla schiena, Batrice poggia la testa nell'incavo
della mia spalla e mi dice dove mette le gambe e le braccia; e io cerco di
immaginare la posizione del suo corpo.
Ho sofferto cos a lungo di non poterla accarezzare, di non poterla amare.
Avvicina la testa al mio collo, e la notte si riduce alla mia donna rannicchiata
accanto a me. Non si mai lamentata. Lei, martirizzata dal tumore che la
indebolisce giorno dopo giorno, e io, paralizzato nel mio bruciore, abbiamo
ridotto o, piuttosto, allargato il nostro amore a queste due teste che la sera si
toccano teneramente. E cos scappiamo via.

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Batrice

Mentre siamo in attesa del nostro primo figlio, al quarto mese Batrice ha
delle perdite. Non ricordo pi in quale ospedale fossimo, ormai li confondo
tutti. Rivedo il giovane professore, si chiama Pariente. Di questo sono certo.
Con grande gentilezza ci dice che non c' da preoccuparsi per il prossimo
bimbo. Piango, al capezzale di Batrice. Ma davvero per la sua sofferenza?
lei che mi consola. Viviamo a Parigi, in una casa popolare, a Porte d'Orlans;
Batrice ha gi ripreso di buona lena la sua vita da studentessa.
Alla gravidanza successiva, le perdite cominciano il terzo mese. Mi
consegnano il feto in una boccetta di vetro, chiedendomi di portarlo a un
laboratorio. Come mai ricordo che si trovava in mezzo al Bois de Boulogne?
Mi vedo entrare in un reparto. Mi riceve una donna in bianco. Poso la boccetta
sul banco. La donna non ha l'aria d'esserne sorpresa. Me ne vado, turbato.
Iniziano a farci analisi i tutti i tipi. Mi spediscono in un laboratorio
specializzato per fare un esame dello sperma. Sposo novello, resto incerto
quando l'infermiera mi porge una provetta vuota e mi indica una porta. Entro,
pensando di trovarci un dottore. Dietro la porta invece c' una toilette piena di
riviste pornografiche.
Dopo un'eternit di vergogna, compiuto il mio dovere, restituisco la
provetta.
L'esito delle analisi soddisfacente. Terminiamo Scienze Politiche con
successo e decidiamo di prepararci per l'NA.
Batrice ha venticinque anni. A marzo di nuovo incinta. Questa volta la
gravidanza progredisce bene.
Il bimbo deve vivere, ma Batrice ha un'embolia. Resiste. Sembra che il feto
non abbia riportato conseguenze. Lei vuole questo figlio, a costo della sua
stessa salute. Il primario la difende duramente dal collega che vorrebbe
somministrarle un anticoagulante, rischiando di provocare malformazioni. La
discussione avviene nel corridoio, si sente tutto quello che dicono. Ba
demoralizzata. Ma com' possibile che due dottori si dimentichino che nel
letto 21 c' una donna bella, intelligente, che ama e che, fuori da questa
prigione, perfettamente in grado di tener loro testa? Quando finalmente pu
rimettersi in piedi, si accorge di essere persino pi alta di loro.
Io sono l. La stanza sempre piena di fiori. Ci sono libri, frutta, musica, e un
frigorifero pieno.
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Ho lasciato perdere il mio esame di ammissione all'NA, dimenticato tutte


le esigenze dell'economia politica, le ultime statistiche, la quotidianit del
mondo esterno. La nostra vita, quella vera, fatta di carne e ossa, qui.
Dobbiamo affrontarla insieme. Grazie alle equivalenze tra i piani di studio,
posso iscrivermi all'esame per il diploma in Storia. Condivido con Batrice la
vita dei primi navigatori arabi e le racconto la storia dell'oceano Indiano tra
XIII e XIV secolo.
Convengono, le equivalenze: conosciamo Ibn Battuta ma ignoriamo la
cronologia dei re di Francia. Prendo il diploma, ma perdiamo il bambino.
Dopo sette mesi di gestazione, l'ipertensione ha ragione dei movimenti del
feto, che da un po' ha cominciato a farsi sentire: doveva essere un maschietto.
A un certo punto ha smesso di muoversi.
Il mese successivo un inferno. Il feto deve ridursi abbastanza affinch
Batrice possa partorirlo naturalmente. I dottori le prescrivono lunghe
passeggiate. La accompagno sempre. Lei stanca, inebetita. Non parla pi, si
nasconde dietro gli occhiali da sole, evita gli incontri. La sera le accarezzo a
lungo le tempie, lei piange fino all'abbrutimento. A volte si abbandona a urla di
odio e ribellione.
Una sera, dopo cena, cominciano le doglie; ci ritroviamo al pronto soccorso
della maternit. Batrice dice che il bambino morto. Niente da fare: stesso
trattamento delle pazienti che, dopo qualche ora di dolore, proveranno gioia.
il momento, angoscioso, del ventre che si squarcia. Mi guarda. Io la guardo e la
incoraggio. Lei non vuole che io veda. Chiede un lenzuolo. Le nostre teste
sono vicine, lontane da tutto il resto. Dopo interminabili ululati, il corpo di
Batrice si distende. I dolori sordi del cuore e del corpo si riuniscono. I suoi
occhi sprofondano, annegati tra le lacrime.
Non abbiamo il tempo di riprenderci; un tizio grigiastro entra senza
presentarsi. In modo sbrigativo, chiede: Come si chiama il defunto? Ba
sembra soffocare. Mi precipito sull'intruso, lo trascino a forza in corridoio. Mi
spiega che un bambino nato dopo sette mesi deve essere registrato all'anagrafe,
anche se non sopravvive al parto. Rispondo docilmente a tutte le sue assurde
domande, firmo tutti i documenti: soddisfatto. Scoppio a piangere, l in
corridoio, da solo. Mi do un contegno e ritorno da Ba. Le parlo tranquillo per
diluire la sua sofferenza e nascondere la mia. Alla fine si addormenta. Resto al
suo fianco, su una poltrona senza et. Quando singhiozza le accarezzo la fronte
e le sussurro tenerezze.
La notte successiva, nuova embolia, nuova rianimazione. Resto accanto a lei.
Le gira la testa. Rumori, luce, conversazioni vagamente udibili. Una notte in
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bianco, sfiancante, senza mattino. Non le lascio mai la mano.


Partiamo per gli Stati Uniti. Per iniziare una nuova vita.
Ci indicano un buon medico ostetrico, che ci prepari al quarto tentativo.
un uomo dolce. La sua clinica lussuosa. Abbiamo l'impressione di trovarci in
un luogo protetto, al riparo da ogni infelicit. Con suo grande stupore, la
gravidanza non dura che quattro mesi.
Il nostro primo bimbo americano sta per svignarsela. Parlo dolcemente a
Batrice. Poi, pi niente. Quando riprendo conoscenza, le infermiere mi
punzecchiano. Persino Ba ha ritrovato un bagliore di sorriso negli occhi
stanchi.
Batrice subisce due embolie polmonari. Dopo parecchi mesi, finalmente la
lasciano andare. l'ombra di se stessa. Solo gli occhi sono ancora vivi.
Andiamo in Martinica. Appena scesi dall'aereo ci fiondiamo a noleggiare una
barca, facciamo il pieno di viveri e partiamo.
Batrice distesa sul sedile. Scoppia a ridere quando una calda pioggia
comincia a cadere. Ci fermiamo in mezzo al mare, Ba sta in acqua per ore.
L'unica volta in cui incrociamo un'altra barca si mette a ballare nuda. Nel giro
di qualche giorno riprende forma e colore, i suoi occhi sono sempre cos
sorridenti. Di Batrice non trattengo che questi momenti di intimit.
L'erudito luminare americano ci convince di aver capito tutto: l'unica
soluzione ricominciare daccapo.
Un anno dopo. Un altro bimbo muore a sette mesi. In caso di sconfitta, ci
eravamo gi decisi per l'adozione. Avviamo le procedure per l'accordo
preliminare che potrebbe aprirci le porte per un'adozione... tra pi o meno
cinque anni. Probabilmente redigiamo il pi bel dossier d'adozione che
l'Istituto religioso di Bogot abbia mai ricevuto.
Un medico prosegue con il nostro check-up. Scopre che l'esame del sangue
di Batrice anomalo. La spedisce in ambulanza all'ospedale di Cook-County
per approfondire le analisi. La diagnosi confermata. Ha un nome barbaro che
ancora oggi non riesco a memorizzare. comunemente conosciuto come
morbo di Vaquez; un tumore del midollo osseo. Si riscontra di solito in
pazienti anziani, pi spesso uomini. Per quel che ne sa il primario della clinica,
in tutti gli Stati Uniti questa malattia conta meno di un centinaio di casi presenti
in giovani donne come Batrice. Hanno le loro cavie. I medici di diversi
ospedali l'accoglieranno sempre con il medesimo interesse. I vecchi ne
muoiono. E tuttavia si pu riuscire a prolungar loro l'esistenza di una decina
d'anni. Be', gi tanto, allora.
un tumore dei globuli rossi. L'emoglobina si sviluppa a una velocit e a
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un'intensit tali che il sangue si coagula. Il pi delle volte si muore per


un'embolia polmonare o cerebrale. per annientare i globuli rossi bisogna
seguire una chemioterapia.
Sono frastornato. Mi hanno parlato di tumore.
Batrice sfinita dall'ultimo aborto spontaneo.
Quando vengo a sapere del suo tumore, mi perdo. Tutto diventa buio, come
in quelle notti in cui fuggo con una donna, qualunque donna... una vale l'altra.

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Cherubino!

Fra tanto dolore e follia, una telefonata ci annuncia che una bimba ci aspetta
a Bogot. Stiamo pranzando in un ristorante francese stracolmo, a Chicago, e
Batrice sprofonda tra i singhiozzi. Deve andare alla toilette per rendersi di
nuovo presentabile.
Non mi resta nulla di quelle settimane, se non la vergogna per la mia fuga.
Poi arriva il giorno in cui Batrice, a Bogot, depone Laetitia tra le mie braccia.
una magnifica bimba di tre mesi che mi guarda con gli occhioni stupiti, forse
preoccupati. Ritrovo, ritroviamo il nostro respiro comune. Batrice si china
sulla mia spalla, sopra la bimba, e tutto riprende. Bisogna tirarsi su. Laetitia
una meraviglia. Batrice ha riscoperto il piacere di amarci. Ritrovo il calore del
suo corpo straziato.
Sono nominato direttore finanziario della filiale francese di un grande
gruppo farmaceutico americano. il nostro ritorno a casa, dapprima timido,
poi trionfale, con la figlia promessa. Abbiamo lasciato la Francia cinque anni
prima. Sistemo le mie donne nel palazzo di famiglia: Batrice torna alla vita,
Laetitia diventa ogni giorno pi bella. Lavoro senza sosta con Andr, il mio
giovane capo che presto diventa nostro amico. Il mio stipendio di due volte
inferiore a quello americano, ma che avventura! Quando lavoriamo a casa, nel
week end, Andr porta sempre regali per Laetitia.
*
Batrice ha trentatr anni. uno splendore.

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Operazione cuore

Torniamo da Saint-Gervais in macchina. Batrice stanca. Si allunga sul


sedile. Ha gli occhi scavati. Ansima, poi finisce per addormentarsi. La strada
tutta curve, la testa le penzola di qua e di l.
Guido fino a Parigi senza fermarmi. Arriviamo a casa, la sveglio. Ha ancora
gli occhi scavati, lo sguardo vuoto. Fatica a salire le scale, poi va subito a letto.
Scende la notte. La osservo mentre dorme irrequieta. La mattina dopo
decidiamo di consultare il suo cardiologo. Le diagnostica un'embolia
polmonare e la ricovera d'urgenza.
In rianimazione cardiaca le hanno riservato un posto. Il primario della clinica
nipote del cardiologo, una fortuna per noi.
Non abbiamo il tempo di passare da casa per salutare Laetitia. L'ospedale
Saint-Antoine non lo conosciamo.
Come sempre, cerchiamo di buttarla sul ridere. Ognuno fa la sua parte.
Vietato piangere, non subito. Prima di tutto la buona educazione: ringraziamo
l'infermiera, che molto gentile. Per noi sono tutte cose gi vissute.
presente anche il nipote del cardiologo, che assegna il letto a Batrice.
doppiamente prigioniera: del suo corpo e delle regole ospedaliere. Le infilano
un'uniforme: una specie di camiciola bianca a diretto contatto con la pelle.
Tutto pronto: diramazioni di tubi, lucchetti alle finestre - per evitare i suicidi , niente telefoni, niente tv, niente colori, niente visite.
Io non rispetto niente. Il personale dell'ospedale impara a scendere a patti
con la mia cocciutaggine: nessuno contesta pi la mia presenza. La prima sera,
all'ora in cui dovrei lasciarla, porto con me la lista degli oggetti autorizzati.
Tranquillizzo Batrice: s, informer i suoi genitori e anche i miei; s,
abbraccer la nostra piccola di due anni e mezzo.
Le analisi confermano l'embolia polmonare. Sistemano Batrice in una stanza
a vetri illuminata giorno e notte e la collegano a un apparecchio per il
monitoraggio cardiaco che lampeggia di una luce rossa e su cui sfila il tracciato
dei battiti del suo cuore. Le montano una flebo che la nutre e le inietta i
farmaci necessari. Sotto i neon la carne livida, il corpo immobile; le lacrime le
scivolano gi dal viso.
Batrice ha sei emboli polmonari e in questo ospedale trascorre un anno. La
vedo ogni giorno, ma senza alcuna gioia. Non comprendo la sua solitudine.
Non so che dire. L'angoscia soffoca il mio sguardo. La mattina arrivo verso le
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undici. Lei contenta di vedermi, nonostante il mio silenzio. A mezzogiorno


devo uscire, scappare via. Sono gi in rue Saint-Antoine.
Ho individuato un bistrot di epoca indefinibile. L'enorme proprietaria sta ai
fornelli. Suo marito, smagrito dall'alcol, si esprime solo scuotendo gomiti e
spalle, come un pollo. Mi siedo sempre allo stesso tavolo. La proprietaria mi
prepara un antipasto speciale e il suo famoso piatto del giorno. Il calore l
dentro m'intorpidisce.
Il pomeriggio ritrovo Batrice sotto il suo neon. Le descrivo la strada, il
bistrot, i suoi odori, il menu. Sar questo il nostro rituale per un anno. Lei
piange quando le scoppiano le vene e bisogna fasciarle le braccia con
medicazioni a base di alcol. Si accontenta della mia presenza annichilita e mi
guarda, sempre. La notte, a volte, resto per alleviare la sua paura. L'unica volta
in cui, dopo mesi, pu scendere dal letto si fa bella, ma resta livida. Con
difficolt arriva fino al mio bistrot. Fa la bambina, si diverte per ogni cosa.
Quando usciamo, vomita sul marciapiede.
In ufficio lavoro senza sosta. Faccio le mie dieci ore al giorno, week end
compresi.
Batrice si aspetta qualcosa di pi da me, in particolar modo che le sia a
fianco nella fede, ma io resto ostinatamente muto. Solo stare accanto a lei mi
protegge dall'angoscia. Il professor Slama ritiene necessario applicarle un filtro
sulla vena cava inferiore per evitare la risalita di coaguli di sangue. Dopo aver
soppesato il rischio di un'embolia fatale e considerata bassa la probabilit che gli
esiti dell'operazione siano nefasti, optiamo per l'intervento chirurgico.
Promettono a Ba che l'operazione al cuore lascer solo un piccolo segno.
Non far mai pi il bagno in bikini: la cicatrice parte dal centro dello sterno e
scende fin sotto la natica destra, tracciando un'ampia circonferenza. Fino alla
fine terr nascosta quella lunga scia viola. Sar l'unico a conoscere il suo
segreto.
Quando finalmente esce dalla sala operatoria, ha gli occhi chiusi. Le prendo
la mano. Abbiamo vinto.
Anni di sofferenze.
*
Laetitia ha quattro anni. Trascorriamo le vacanze in Corsica, su un'immensa
barca a vela.
Solo le sei dosi quotidiane di chemioterapico ci rammentano la malattia di
Batrice.
Quel giorno sta nuotando a rana con sua figlia. Ridono, lanciandosi schizzi
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d'acqua. Batrice uno splendore.


Quando si graffia la caviglia su una roccia, emette appena un gridolino e
risale sulla barca per disinfettare il graffio. Questa ferita non si cicatrizzer mai.
un effetto secondario che ci hanno nascosto.
Il tumore le addensa il sangue, la chemio lo fluidifica. Un'ulcera si necrotizza
sopra la caviglia destra, poi anche sulla sinistra. Il cancro dovrebbe
preoccuparci di pi. E tuttavia, nel decorso della malattia, sono queste orribili
ulcere che traumatizzano Ba. ricoverata a Parigi una media di sei mesi
l'anno. I suoi genitori assicurano una presenza alla quale cerco di affiancarmi
con tutte le mie forze. Per me ha sempre un sorriso. Le porto delle cassette
registrate da Laetitia, tutta la posta a cui ci costringiamo a rispondere, notizie
dal mondo esterno.
Sua madre, medico, indignata dai tentativi di curare le ulcere sperimentati
dai diversi professori. una vera macelleria.
Ba piange per il dolore.
*
Queste immagini invadono la mia memoria ingiallita dalla nicotina. Il fumo
della sigaretta sale ai miei occhi arrossati. Ora il pensiero torna alla desolazione
e all'impotenza di quei momenti. Dinanzi all'assenza di Batrice e al mio corpo
sfasciato, dimentico la collera.
*
Finalmente il professor Fiessinger pone termine al martirio di Ba. La fa
ospedalizzare a domicilio e prescrive terapie tradizionali. Consistono nel
grattare le piaghe quotidianamente con uno scalpellino fino a quando le ulcere
sanguinano, tappa indispensabile per la ricostruzione delle cellule.
Io sono presente sia alle sedute mattutine che a quelle serali, ma non posso
guardare quegli scalpelli. Avvicino il mio volto al suo. Asciugo le sue lacrime.
Quante volte mi ha morso a sangue mentre la massacravano? Qualche minuto
dopo tutto dimenticato. a casa sua, tra i suoi cari. Questo professore l'ha
restituita alla vita.
D'ora in avanti dovr proteggerla.

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La Pitance

Il gruppo Met et Chandon mi propone un posto importante in


Champagne.
Partiamo per la Pitance. Addossata all'abbazia benedettina seicentesca di
Hautvillers, circondata da un parco dalla natura generosa. S'immerge fino alla
Marne, attraverso i fumi delle vigne lavorate senza posa. La luce gioca con i
paletti delle vigne come una meridiana moltiplicata all'infinito.
Rappresento l'undicesima generazione della famiglia fondatrice. La
dodicesima, un bimbo che chiamiamo Robert-Jean, raggiunge la famiglia al
nostro arrivo in Champagne. Questa volta, Laetitia partecipa al viaggio a
Bogot. Resta colpita dalla miseria di bambini della sua et che, ricoperti di
stracci, mendicano per le vie.
*
Alla Pitance trascorriamo undici anni. Batrice ne la regina, Laetitia la
principessa e ben presto Robert-Jean l'erede.
Nonostante la malattia di Batrice e il lavoro massacrante, tutti e quattro
viviamo anni di felicit. Le stagioni si susseguono intorno al caminetto, al
pianoforte, alle piante in giardino, alle ciliegie da cogliere, alle centinaia di rose
da potare, alle confetture di prugne, albicocche e pere di diverse variet che
Laetitia ama addentare appena colte, direttamente dall'albero.
Vengo nominato direttore delegato di Pommery a Reims. La mattina
accompagno Laetitia in auto lungo una piccola strada tortuosa e sdrucciolevole
attraverso il bosco. Pi vado veloce, pi il suo sorriso si allarga. Il nostro gioco
consiste nel frenare alle curve solo all'ultimo momento, nel superare i 160
chilometri all'ora lungo il brevissimo rettilineo e nel sorpassare tutti i
perditempo. Non ho il diritto di accompagnarla con la mia bella auto davanti
all'ingresso della scuola. La lascio all'angolo della via, affinch possa arrivare dai
suoi compagni come una fra tante. La sera, a volte, mi raggiunge in ufficio.
La presento ai miei colleghi. Si siede davanti a me e lavora. Siamo
inseparabili. Batrice ne soffre.
L'ultima festa in occasione dei tredici anni di nostra figlia. Organizzo dei
fuochi d'artificio che lasciano di stucco Laetitia e i suoi amici. Alcuni
adolescenti quella notte non dormono. Le loro grida risuonano per il vigneto.
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All'epoca, Laetitia gi una vera pianista. Deve sostenere un concorso. Mi


sarebbe piaciuto, avrei dovuto assistervi. Ma non ho potuto. Il giorno X,
trattenuto da impegni professionali, mi rompo la nuca.

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Terza parte
Il salto dell'angelo

Le ali spezzate

Beatrice viene seguita dai medici a domicilio, tranquilla nella sua bella
Pitance. Io mi sveglio tutti i giorni alle sei e mezzo per andare a correre. Esco
di casa, trotterellando costeggio il muro dell'abbazia e imbocco la prima
stradina che s'inerpica, incorniciata dai mostri scolpiti nei doccioni. Li guardo
con la coda dell'occhio. Durante la salita Radowski, il nostro bassotto, guaisce.
A destra c' una grande distesa pianeggiante, costeggiamo la chiesa e risaliamo
ancora per arrivare al bosco. Ho gi le gambe a pezzi.
Il sentiero ridiscende sulla sinistra, riprendo un po' fiato. Radowski ha
duecento metri di vantaggio su di me. Mi aspetta in fondo al viale.
Imbocchiamo il sentiero di terra argillosa che s'inerpica all'interno della
Champagne separando le collinette dai boschi. Da qui siamo a strapiombo sulla
Marne che serpeggia in mezzo alla vallata, spesso avvolta nella nebbia. Siamo
sul tetto del mondo. All'inizio corro cento metri e mi fermo. Ogni giorno la
distanza di allunga; passato un mese, riesco a compiere un anello di tre
chilometri senza fermarmi, attraversando boschi e vigneti. Dopo un po' fare
due volte quello stesso giro non mi basta pi. Cos, un giorno, in fondo alla
vigna, invece di tornare indietro, mi addentro nel bosco, sulla destra, lungo un
sentiero impervio e scivoloso. In pochi mesi lo percorro senza fermarmi. Dieci
chilometri ogni mattina. Adesso Radowski a seguire me.
Poco tempo dopo un amico inizia a venire con me. Chiacchiera e non si
stanca; io risparmio le forze. Nel weekend percorriamo venti chilometri, poi
trenta. Una rinascita. Alto quanto un soldo di cacio, mio figlio di sette anni mi
trotterella accanto senza fatica.
Oggi lo vedo partire con leggerezza e resistenza. Gli ho regalato il piacere
dello sforzo sulle lunghe distanze.
Ho corso in tutti i continenti.
Faccio cinquanta chilometri ogni weekend. Batrice a letto, le gambe
insanguinate. Le porto la colazione col pane fresco preso sulla via del ritorno.
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Si solleva appoggiandosi ai guanciali; l'abbraccio, grondante sudore. Molti anni


fa mi correva davanti nel parco sul lago Michigan, a Chicago. Ci tenevo a
restarle dietro, per vederla ancheggiare. Di tanto in tanto allungavo la mano per
pizzicarle il sedere; lei mandava un gridolino e prendeva quella scusa per
fermarsi.
Passiamo un febbraio a casa di amici, a Chamonix, in un'antica fattoria. Nella
penombra si scoprono una moltitudine di oggetti, foto e mazzi di fiori secchi.
Il mio amico Titi ci presenta suo cognato, ingessato dalle dita di un piede
fino alla spalla. Si diverte a raccontare il suo incidente di parapendio: un amico
che era partito con un nodo nelle funi di sospensione s' ripiegato contro la
parete; il cognato di Titi andato a soccorrerlo, ma s' schiantato contro la
montagna; il suo amico se l' cavata con qualche graffio. Ride di questa
stronzata come ride di un incidente che gli successo due mesi prima ai
comandi del suo aeroplanino, mentre era insieme alla figlia del suo datore di
lavoro. Il motore scomparso nel vuoto per colpa di un bullone stretto male.
riuscito a raggiungere il lago di Annecy, e a nuoto sono arrivati a riva. Sono
sopravvissuti solo grazie al suo sangue freddo. Un pazzo gentile. M'inizia al
parapendio spingendomi gi da una scogliera.
Corro e volo. Impiego qualche anno e diversi stadi di sopravvivenza per
riuscire a padroneggiare completamente quello sport. Adesso, a mille metri
d'altitudine, sono capace di tenere chiuso il paracadute, di aprirlo lentamente e
riprendere il controllo della situazione a pochi metri dal pelo dell'acqua (ho
imparato a mie spese che sull'acqua pi pericoloso!). La durata dei miei voli
s'allunga. Mi fermo dopo cinque ore, stremato. Com' bello riuscire a
individuare la bolla d'aria calda da un fruscio di foglie, avvolgersi l dentro fino a
quando non ti lascia andare, lo stomaco nei talloni, tre o quattromila metri al di
sopra del punto di partenza! Amo le poiane che indicano anche loro, con la
loro presenza, le colonne d'aria calda. Capita che, se volo sopra il loro nido,
m'attacchino, in picchiata. Una volta sorvolo il Monte Bianco. Splende ai miei
piedi. Un'aquila enorme mi piomba addosso. Sono pazzo per il parapendio.
Parto per la montagna con uno zaino in spalla. Mi fermo l dove la bellezza mi
chiama. All'inizio ho anche un berretto e una cravatta; troppi ne ho persi, di
cappelli, e troppe ne ho rovinate, di cravatte. Al momento mi ritrovo con
centinaia di voli alle spalle. Volo intrepido mentre gli altri si agitano. Osservo
l'erba; misuro gli intervalli tra le bolle d'aria calda che mi rallentano. Anticipo la
prossima, con un semplice movimento di reni, cos che la vela le passi sopra.
Perfetto! Mentre gli altri amatori si lanciano ondeggianti nel buco, io freno
appena e mi innalzo come un elicottero nella bolla calda.
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Avanzo, lanciando la parte superiore del corpo in avanti. Urlo; sono


un'aquila. L'estremit dritta dell'ala si solleva vibrando, faccio oscillare il corpo,
la gamba sinistra incrociata sulla destra, la mano sinistra leggermente in avanti,
la destra appena infossata all'indietro. Mi avvolgo a spirale, mi avvolgo ancora,
mi avvolgo sempre, fino a che la colonna d'aria calda non mi spinge fuori
dall'alto, appena sotto una nuvola... quasi sempre. Non si potrebbe fare, ma
amo andarmi a perdere al limite estremo della portanza, la forza che mi
permette di stare sospeso. Nessuno mi segue tanto in alto. Esco dalla mia
nuvola, scelgo una direzione per risalire, appoggiandomi a un'altra colonna.
M'allungo all'indietro, tendo le gambe in avanti per ottenere il miglior
coefficiente di scivolamento e accendo una sigaretta. Mi capita anche di
rollarmela. Aggiusto le cuffie del walkman alle orecchie. Quanti voli ho fatto,
cantando la Norma a squarciagola!
Volo all'infinito, migliaia di metri al di sopra delle altre vele, al di sopra delle
montagne. Due Mirage mi passano sotto i piedi. Un aliante m'incrocia con un
fischio vertiginoso. Ho paura. Sto sorvolando la Svizzera, senza passaporto.
Sgranocchio una barretta di cioccolato e mi disseto dalla pipetta che ho su un
lato del casco. Non voglio pi scendere. La radio mi chiama; pensavo di averli
seminati tutti. Etienne. Ha solo quindici anni; a terra, qualche migliaio di
metri di sotto; ha localizzato la mia vela. Mi arrotolo tre volte la striscia del
freno intorno alla mano destra, oscillo il corpo bloccando quella mano l sotto
il sedile e la vela affonda sempre pi veloce; adesso in verticale, giro intorno
al mio asse. La vela e io precipitiamo a tutta velocit in una danza infernale.
Mille metri, duemila metri, tremila metri di caduta vertiginosa e controllata.
Alzo la mano alcune centinaia di metri sopra la verticale dell'atterraggio.
A quel punto mi alzo dal sedile e afferro con le mani tutte le funi della vela
tranne le due al centro; mi risiedo, ripiego la vela che ondeggia ai lati e lascio
che a gonfiarsi sia solo il cassone centrale.
Poi mi fiondo verso il punto d'atterraggio. A venti metri dal suolo, libero la
vela agitando i freni; lei si rigonfia a qualche centimetro dal suolo e mi deposita
come una farfalla su un fiore.
Vivo a tre dimensioni, come un angelo. Un giorno, mi schianto, tra l'erba
verde e l'inferno.

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Voli conturbanti

Sono sdraiato contro la montagna, un po' stordito. Devo aver perso


conoscenza. Max e Yves, i miei compagni di parapendio, hanno posato le loro
vele accanto alla mia. Max medico e prende in mano la situazione: mi scava
un buco davanti alla faccia per farmi respirare e avvisa per radio la stazione di
soccorso. Non capisco perch non mi tocchino. Gli parlo, respiro
tranquillamente, perch allora continuano a chiedermi se riesco a respirare? Un
filo d'erba mi solletica la narice, starnutisco, rido. Max s'infuria con la radio.
Esige un elicottero da Grenoble, non da Chambry; Chambry per pi
vicina. Yves mi parla come se parlasse a un bambino; sembra stia tremando.
Non riesco pi a muovermi!
Perdo di nuovo conoscenza. Mi risveglia il frastuono. l'elicottero che cerca
di stabilizzarsi, tenendo testa alla forza dei venti. Un medico e un pompiere
saltano gi dal mezzo, che riprende quota e resta in volo sopra di noi. Non
sento niente. Con gesti abili riescono a spostarmi su una tavola, di schiena;
vedo il cielo e l'elicottero. Mi porteranno via con quello, i miei compagni e gli
altri resteranno l. Chiamo Yves, ho capito che c' un problema. Gli chiedo di
chiamare subito Batrice, di dirle che non niente di grave, che l'amo, che
l'unica della mia vita, che la mia luce. Chiama i miei, di' loro di essere gentili
con lei, di non lasciare che si metta in macchina da sola. Per dieci anni hanno
rifiutato il parapendio; un giorno hanno detto anche che in caso di incidente
non si sarebbero occupati dei bambini. Batrice al telefono piange, dovrei
reagire, ma sono io il colpevole. Piango insieme a Yves, voglio che ripeta ai
miei il messaggio: Prendetevi cura della mia famiglia. Yves mi calma, gli do il
numero di telefono della mia segretaria perch annulli tutti gli appuntamenti
previsti in Italia quella stessa sera, in Svizzera l'indomani, e in Germania il
giorno successivo.
L'elicottero lancia una corda. Prima d'essere sollevato, chiedo scusa a Yves
per aver rovinato la giornata. Ondeggio nell'aria, il copilota si sporge per
afferrarmi e mi solleva a bordo. Dentro la carlinga non si sente pi niente. Mi
mettono una maschera a ossigeno. Arrivati a Grenoble atterriamo sul tetto
dell'ospedale. Mi portano di corsa nella sala preoperatoria, i visi chini su di me,
chiacchieriamo. Un uomo, dev'essere il chirurgo, interrompe le nostre
mondanit con un non abbiamo finito, facciamo presto. Sono le ultime
parole che sento per un bel po'.
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In seguito verr a sapere quanto sarebbe stata difficile l'operazione. Dopo


qualche ora Batrice e i miei riescono ad arrivare in ospedale; li accoglie il
chirurgo. C' una probabilit su cinque di farcela. Dopo l'operazione, il mio
corpo si rifiuta di respirare. Mi inducono un coma artificiale che dura un mese,
affinch il respiratore abbia la meglio e non venga rigettato dall'organismo.
Durante l'intero mese Batrice resta al mio capezzale e mi racconta delle
storie, tollerata dei chirurghi che lo ritengono inutile. Batrice insiste,
instancabile. Organizza la sua offensiva per farmi uscire di l. Contatta Fred
Chandon, il mio grande capo, e Andr Garcia, l'ex capo diventato amico. Mi
fanno trasferire all'ospedale La Piti-Salpetrire a Parigi. L resto pi di due
mesi.
Ancora qualche giorno di coma e il professor Viars opta per una parentesi
medica. Ovvero, sopprimere dall'oggi al domani tutte le medicine gentilmente
concesse, comprese le ottanta capsule di Imovane che mi tengono in coma.
Il trauma violento. Per una settimana oscillo tra quaranta e quarantuno di
febbre. Si manifesta un'epatite ma, poco a poco, riprendo conoscenza.
Ritorno sulla terra sotto gli occhi di Batrice, china sul mio giaciglio di vetro; le
sue parole non me le ricordo, mi ricordo solo lo sguardo. Per diverse settimane
fluttuo dentro un mondo immaginario.
Batrice gestisce la sfilata continua dei parenti. Si andranno a incastrare negli
incubi che mi abitano.
*
La realt delle mie visioni talmente forte che tutto si integra in un mondo
virtuale.
Sono a bordo di una piccola imbarcazione a motore. Il viaggio termina a remi. Accosto fino
all'altro lato della mia camera d'ospedale. Poi un rumore assordante mi sposta nella carlinga
di un Mirage 40 pilotato da uno spagnolo. Dopo capisco che il sistema sanitario pubblico ha
assunto uno spagnolo per ridurre le spese. Il pilota mi fa infrangere il muro del suono
lanciandosi come un missile fuori dal territorio francese. Tutti i giorni salgo su quest'aggeggio.
Ritorno a pezzi, ma riposato. Infine, la barca mi lascia in Egitto, a est di Alessandria.
L'infermiera dell'ospedale che spinge il carrello mi fa visitare la periferia della citt. Mi
sistema in un caff che somiglia in tutto e per tutto a una taverna medievale. una grande
sala rivestita di legno e organizzata come un centro commerciale a pi piani. La gente viene ad
ammassarsi per mangiucchiare cibi cinesi e fare bagni turchi. Altri, come me, se ne stanno
sdraiati in uno spazio pi intimo. Ci passano il narghil.
L'infermiera mi porta nella sala da bagno, tutta di ceramica bianca. I getti di vapore mi
passano sopra la testa. Provo a sollevarmi sui gomiti, ma scivolo verso lo scarico al centro della
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stanza. L'infermiera mi ha mollato. Urlo per non essere risucchiato, ma inutile.


*
Miraggi, deliri. Apro gli occhi e non ho pi un corpo!
*
Mia sorella pi piccola, Alexandra, qui; qualcosa la terrorizza. Parla a
singhiozzo. Sparir, livida. In quel momento preciso, il suo amico Lo e una
banda di drogati irrompono in sala. Armati di armi bianche uccidono
l'infermiere, si precipitano sull'armadietto dei medicinali e s'impossessano di
siringhe e altri prodotti. Con uno stridore di unghie spariscono tutti. Devo aver
sognato. L'indomani per sento alla radio che la polizia sta accerchiando un
gruppo di pericolosi teppisti che danzano urlando intorno a una ragazza; la
ragazza ha un coltello piantato nella schiena. Non sono ancora riusciti ad
avvicinarsi alla vittima. Alexandra. Urlo.
*
venuto il cugino Nouns; verr ogni giorno della mia prigionia. Com' sua
abitudine, mi racconta storie esilaranti. Rido cos tanto che rischio di far
esplodere le flebo. Gli d il cambio il mio gemello Alain; sbattere di tacchi,
busto inclinato verso il letto di vetro, saluto militare: Eccoti qua, fraaatello
mio! Leggero raddrizzamento, il suo mutismo mi contagia, rimaniamo
sull'attenti. C' Batrice. Rompete le righe! Al calore del suo sguardo, so di
essere vivo. Mi tocca. l'unica a chinarsi per abbracciarmi come pu.
*
Siamo nel nostro parco in Champagne. Ci sono Emmanuel, allievo dell'cole
Polytechnique di Parigi e padrino di mio figlio, e la sua adorabile moglie cinese, Marie. Arriva
la notte, rabbrividendo. Ed ecco che di colpo dalle orecchie di Marie esce una moltitudine di
cinesini. Marie li raduna. Emmanuel ha un sorrisetto imbarazzato. Spiega che ha fatto
qualcosa di sbagliato col computer. Mi fa capire che s' scatenata una guerra mondiale via
computer. Pulci fameliche scappano fuori dagli schermi e attaccano i computer nemici.
Emmanuel d le ultime notizie dal fronte. Di fatto, sono i tibetani che, dall'alto delle loro
montagne e dal basso dei loro salari, hanno aperto le ostilit. Emmanuel, Marie, il suo
esercito e io decidiamo di andare in Tibet. Tutto cominciato quando un giovane uomo
qualunque, aiutato da sua moglie e da sua madre, ha messo in piedi una microsociet di pulci
rivoluzionarie. I militari cinesi li hanno fatti prigionieri e i poveretti lavorano notte e giorno
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per mantenere i loro carcerieri. Dopo inaudite avventure, scappiamo dal Tibet per stabilirci
tutti a New York. La guerra sembra cessare. Di colpo, A.B., presidente e direttore generale
del movimento, invade i nostri uffici con una caterva di gorilla. gentilissimo. S'interessa ai
lavori di Emmanuel e del nostro amico. Alle sue spalle, una donna rinsecchita dal forte
accento spagnolo gli urla delle atrocit. A.B. esige di avere la maggioranza della nostra societ.
Educato rifiuto. Tagliano la gola alla vecchia madre. Il nostro amico tibetano - di cui mi sfugge
il nome - se ne va con un sorriso di compassione dopo aver fatto harakiri in versione tibetana.
I sopravvissuti vengono fatti prigionieri. La guerra ricomincia.
Sono sospeso dentro una gabbia, appesa al soffitto della camera da letto di Isabelle Diange,
l'amante di A.B. circondata di giovani drogati; si tengono festini a luci rosse sulle note della
musica ammaliante di un protetto di A.B. Di tanto in tanto, azionata da un sistema di
carrucole, la mia gabbia scende fino a sopra il letto di Diange che mi aspetta, generosamente a
gambe aperte. La penetro senza uscire dalla gabbia. Mio Dio, come riesco a farlo? Ogni tanto
mi lanciano delle noccioline. Lei fa sesso con un altro, un bravissimo cantante. A.B. furioso
e soprattutto rovinato. Di colpo, una gigantesca esplosione. Segue un pesante silenzio. La
rovina di A.B. deve aver sprigionato un certo particolare atomo. Il suolo disseminato di
cadaveri. Sono blu, senza ferite visibili, se non una smorfia mostruosa sul viso. Sono morti di
freddo, e questo freddo adesso travolge i sopravvissuti. Ritrovo Batrice e i bambini; scappiamo
via in treno, in cerca di calore. Davanti a noi c' seduto A.B., meno blu, che indossa una
pesante pelliccia. I paesaggi sono tutti spogli e gelati.
I morti vengono gettati dalle finestre. Di l a poco Batrice non riscalda pi i suoi; ha
occhiaie e labbra viola. Faccio suonare l'allarme, la porta si apre sulla neve ghiacciata; i
bambini seguono in fila indiana. Trovo un capanno d'argilla, circondato da una marea di legna
tagliata. Restiamo qualche annetto intorno al fuoco. Nonostante il freddo persistente, il tempo
va migliorando. Un giorno nostro figlio, che nel frattempo s' trasformato, scopre dalla finestra
un fiorellino bianco. Un bucaneve. Dovremo aspettare tre anni prima che la terra si ricopra di
giunchiglie gialle, il colore preferito di Batrice. Torniamo a Parigi.
*
Non cambiato niente, sono di nuovo nel mio letto d'ospedale. Un giorno
mi sembra di veder entrare nella sala Reynier in lacrime. Piange per me, per lui
o per questi fatti orrendi? Non lo so, non pi tornato.
Riprendo consapevolezza delle dinamiche dell'incidente.
Chi quest'uomo che mi sottrae Ba portandola in una baita?
Mia cugina Catherine mi presenta una coppia di ricercatori.
Sono entrambi magri, sembrano abitati da una profonda tristezza.
Hanno costruito un complesso sistema elettronico che permette di ricostituire le cellule
midollari. Hanno portato solo una parte di questa macchina incredibile che rigenera talloni e
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piedi.
Voglio provarla subito. Mi avvolgono il tallone sinistro in una guaina di plastica bianca; da
l partono diversi fili, collegati rapidamente dai due scienziati a una scatola che sembra un
caricabatterie. Quando tutto pronto, aspettano il mio segnale. Non ho pi niente da perdere.
Via. All'inizio non sento niente, poi arriva un leggero formicolio. S'intensifica, diventa
pizzicore, degenera in sfrigolio. Nell'attimo in cui sento puzza di carne bruciata, interrompono
il contatto. Rimettono la guaina nella custodia. La giovane donna mi massaggia il tallone con
un unguento verdastro. Non vola una mosca. La cugina Catherine ha l'aria inebetita. Sento
un fremito a un dito del piede; in un attimo riesco a piegare tutte e cinque le dita e ad attivare
il piede intorno al tallone.
Incredibile!
Com' possibile che nessuno conosca la vostra tecnica?
Siamo in fase sperimentale risponde la giovane ricercatrice. Non abbiamo messo a punto
il prototipo completo per tetraplegici, ma da qui a sette o otto settimane dovremmo presentarlo
alla Commissione ospedaliera di Parigi.
*
Il tempo scorre; faccio partecipe Batrice dell'inquietudine che mi procura il
silenzio dei due ricercatori. Armata di pazienza, Batrice capisce che tramite
Catherine ho incontrato due persone. Ritorna l'indomani e mi dice che
Catherine non sa di cosa io stia parlando.
Arrossisco come quando, da bambino, venivo sorpreso a mentire. Mi sento
soffocare. Batrice cerca di consolarmi dicendo che approfondir la questione
con Catherine.
*
La sera l'infermiere mi spiega che hanno modificato la terapia e aumentato il
Prozac.
L'indomani fatico a svegliarmi; mi sento stordito. Anche il piede sinistro non
reagisce pi.
*
Batrice cerca di risvegliare il mio interesse raccontandomi storie di famiglia,
leggendomi giornali, accendendo la tv sul canale dell'ospedale, ma inutile.
*
Una sera, mentre sono l che guardo i due ricercatori argomentare con
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veemenza in tv, mi sveglio dal letargo. All'inizio non capisco di cosa parlino; ho
l'impressione che non sia una diretta, che le immagini video vengano trasmesse
all'interno di un programma. Sono ancora pi magri. Ce l'hanno con la
Direzione ospedaliera di Parigi che impedisce loro di parlare. Cerco di ottenere
dalla capoinfermiera una copia della cassetta mandata in onda. Lei fa finta di
non capire. Per non ho sognato. L'infermiere che spinge il carrello me lo
conferma: l'ha appena visto anche lui sullo schermo.
La sera mi aumentano ulteriormente le dosi. I miei momenti di lucidit si
fanno sempre pi rari. Possono guarirci, tutti noi che gemiamo respirando
grazie alle nostre tracheotomie. Tutta questa gente che passa mesi e mesi
all'ospedale ritrover la libert.
Una sera fatico a respirare; l'aria della macchina non arriva pi nella trachea;
chiamo l'infermiere spingendo il pulsante con la testa. Non viene nessuno.
Insisto. Invano. Morir soffocato.
Devo aver perso conoscenza. Quando apro gli occhi si sta facendo giorno;
tra un'ora il personale si dar il cambio. Devo resistere fino all'arrivo
dell'infermiere con il carrello. Quando entra nella stanza, si precipita, capisce la
situazione e ristabilisce la circolazione dell'aria.
Dormo tutto il giorno. La notte, nel letto di vetro vicino, mettono una
ragazza dai lunghi capelli neri. Urla dal dolore. Da quel che riesco a vedere, non
ha pi le gambe. Le iniezioni la fanno zittire. In fondo alla sala comune si
spegne una luce, poi un'altra. Riaccendono la prima.
Le luci si accendono e si spengono intorno a me. Il gioco s'interrompe
quando si spegne la mia lampada.
Controllo con lo sguardo: il respiratore continua a funzionare; dev'essere
collegato a una presa indipendente. La ragazza dai capelli neri e altri due
pazienti muoiono.
Niente di tutto questo deve uscire da qui. L'impressione di essere vittima di
un complotto non mi abbandona pi. Ogni volta che lo staff medico mantiene
il silenzio pi assoluto in mia presenza, io mi sento in colpa. Ho la sensazione
di minacciarli senza volerlo. Hanno fatto fuori i ricercatori, resto l'unico
testimone delle loro prodezze.
*
Uso il computer per trasmettere un messaggio a Ba. Due ore dopo,
spossato, ho terminato il mio SOS. Mi addormento. Mi stupisco, svegliandomi
da una notte tanto tranquilla.
Ba arriva, le faccio segno di prendere il dischetto dal computer e di leggerlo
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fuori da queste mura: potrebbero beccarla. La giornata scivola via. Comincio a


dubitare della fondatezza delle mie inquietudini. Mi appisolo.
*
Dopo cena, a svegliarmi un baccano assordante. Sento diversi rumori di
passi. Urla, ordini, mobili strattonati, mi sembra perfino di riconoscere una
raffica di mitragliatrice. La porta si apre con violenza, entra nella stanza un
gruppetto di medici, si sistemano intorno al letto. Indossano divise da poliziotti
antisommossa. Hanno tutti superato i sessant'anni.
Per ultimo entra mio suocero. Da ex prefetto, riuscito a dare
immediatamente disposizioni per proteggermi e a ottenere l'aiuto dei camerati
della polizia politica.
*
C' Batrice. Mi parla dei bambini.
*
Mio suocero dispone le sue truppe in corridoio e sotto la mia stanza.
Comincia una battaglia, i suoi uomini resistono. Per misura di sicurezza, mi
trasportano sulla quercia in giardino. Sono sospeso su un'amaca. Dei cecchini
appostati sul tetto dell'ospedale abbattono una delle mie guardie prima di
essere fatti fuori da una granata. I media sono arrivati a grappoli. Accerchiano il
campo di manovra. Comunico attraverso un microfono e chiedo
l'intermediazione del Primo ministro; quest'ultimo arriva, ben scortato. Ordina
la fine degli scontri. Esigo che i ricercatori abbiano la possibilit di provare
un'operazione su di me. Viene lanciato un appello internazionale. Qualche
giorno dopo, appare la giovane ricercatrice, camuffata con un paio d'occhiali
neri e i capelli tinti. Viene fatta salire sulla quercia con la sua attrezzatura.
debole. Ricominciano le risse mentre la ricercatrice s'assicura che l'ospedale le
metta a disposizione una presa elettrica. Arriva la notte, tutta tremante, la
ricercatrice finisce di collegare i cavi. Razzi luminosi illuminano la scena. Prima
che spinga il comando, abbraccio mio suocero, lo ringrazio, gli chiedo di
proteggere Batrice e i bambini.
La ragazza spinge la leva, io chiudo gli occhi. Niente. Non succede niente.
Poi di colpo, una palla folgorante di scintille. Svengo.
*
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Sono nel mio letto d'ospedale, immobile. Batrice qui che mi parla dei
bambini. I singhiozzi mi soffocano. Batrice mi chiede se mi fa male.
Non posso rispondere al tuo messaggio, perch devo avere fatto qualcosa
di sbagliato e ho cancellato il contenuto del dischetto.
Tutto trema. Entro in un profondo mutismo. Alla fine, una notte, saturo di
sensi di colpa, incapace di accettare il mio stato, terrorizzato dalla follia che mi
travolge, decido di farla finita. Ma difficilmente un tetraplegico in grado di
suicidarsi.
Riesco a stringere il tubo d'ossigeno che ho intorno al collo. Spingo la testa
all'indietro. Perdo conoscenza. Mi sveglia un intenso bagliore. Gli infermieri,
allertati dall'allarme della macchina, mi ricollegano al tubo, come se non fosse
accaduto niente. Da quel momento comincia il silenzio.

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Kerpape

Sono inchiodato al letto gi da pi di un anno. Batrice mi sostiene con tutte


le forze che ha; non faccio pi niente senza di lei. Con i nostri corpi martoriati,
siamo i cocchi di Kerpape, il centro di riabilitazione, situato sulla costa bretone.
Lei cos bella. Cammino sull'acqua in questo mondo di relitti. Il mare ai nostri
piedi culla i nostri sogni. L'emocromo di Batrice attraversa una fase
stazionaria, una spiaggia che i medici non si spiegano. Mi accompagna in tutti
i miei spostamenti, m'incoraggia in tutti gli esercizi. Le nostre sono giornate
piene.
Mi c' voluto un mese per imparare a sedermi; ti sdraiano su una tavola di
verticalizzazione, in una sala costellata di vetrate che danno sull'Atlantico.
Giorno dopo giorno aumentano di un grado l'inclinazione fino a quando,
trionfante, ti ritrovi in piedi, attaccato alla tavola, e infine puoi guardare i
kinesiterapisti e le aiuto infermiere negli occhi e non pi nelle narici. Una volta
verticalizzato, puoi sederti su una sedia.
Sono quasi sdraiato sulla sedia, coi comandi sotto il mento. Divento in fretta
un asso del volante in competizione con i bambini del centro, che non hanno
paura di niente. Questa giovent ha il tempo di soffrire atrocemente, ride,
contenta. Il suo riso contagia gli adulti. Come non essere conquistati
dall'immensa speranza che regna in questo centro? Ogni paziente un caso a
s. Alla base della gerarchia, le ginocchia, quelli che un giorno ritorneranno a
camminare. Si mettono a disposizione dei tetraplegici, che sono
indiscutibilmente al vertice della classifica delle paralisi. Altri sono dentro torri
di gesso, sovrastati da strutture metalliche. Sono talmente fragili che hanno
dovuto metterli nella calce. Uno di loro, un africano, ha cominciato a ridere
talmente forte dai suoi grandi denti bianchi che, lentamente, caduto
all'indietro. Non c' stato modo di tenerlo. S' steso in tutta la sua lunghezza.
Abbiamo sentito il rumore del gesso e della ferraglia contro il suolo;
sopravvissuto.
Batrice ha una parola gentile per tutti; a volte dedica del tempo a quelli che
sono gi di morale. Si capisce quando sono depressi: non vengono a mensa e
preferiscono starsene soli a piangere nelle loro stanze; in quei casi lei cerca di
capire se pu andare a trovarli. Il personale della clinica d'una dolcezza, d'una
gentilezza inaudite nell'ambiente ospedaliero. I pazienti restano qui a lungo, in
media un anno; Christophe qui da cinque anni. Giovanissimo, s' beccato un
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virus; adesso tetra come me; di giorno ha sempre freddo e non si schioda dai
termosifoni. In estate, quando il sole batte sui vetri, lo trovi dietro una delle
finestre, madido di sudore ma gelato. I tetra hanno questo problema: lo
sfasamento termico. Nonostante le bruciature neurologiche che mi consumano
in superficie, spesso ho freddo alle ossa. Mi sembra di essere una bistecca
surgelata che ha appena fatto un rapido giro su una padella rovente e che si
mangia con tutte le croste di ghiaccio. Molti fumano per riscaldarsi; quelli che
hanno il sondino fumano dal buco aperto in gola.
Quante camicie, pantaloni, coperte, ho bruciato con la sigaretta, fino a
sentire, io insensibile, odore di carne alla griglia!
Abbiamo dato soprannomi a tutti gli inservienti e gli infermieri: i Jaja del mio
cuore, Dimmi un po' Madie, Cricri, Do, Marie-Laine, Jo e gli altri, Annick dai
baci focosi, Candida Brigitta, Yo-yo profumata, Beatitudine, Sophie la Rossa,
Sorella Franoise, Louis il Druido, Jojo il Pap, Jol il Quintale, Jean-Paul il
Medico, Busnel il Grande Capo.
Tutti degli angeli.
I tetra non hanno pi pettorali. Respirano a fatica dal diaframma. Mi ci sono
voluti mesi per controllare i riflessi necessari a questo tipo di respirazione;
alcuni non ci riescono. Restano per sempre collegati a una macchina.
L'acqua della piscina a 33 gradi, per non farci sentire freddo. Mi sembra di
essere un cosmonauta senza peso. Niente mi trattiene, potrei ritrovarmi a testa
in gi senza poter reagire. Due boe mi tengono le braccia, un'altra mi sostiene il
collo. Il dolore sembra attenuarsi; galleggio, l'acqua mi carezza il viso. Il rumore
dei bambini risuona; mi abbandono a un dolce torpore.
All'ora dei pasti, in mensa, vengono fuori le personalit forti; le storielle
divertenti viaggiano da un capo all'altro della sala. Ogni giorno c' un paziente
che sbaglia strada: si riempie i polmoni invece di riempirsi lo stomaco. Si
rischia di morire. Il personale medico si precipita. Gli altri aspettano in silenzio.
Quando la situazione torna alla normalit, le risate riprendono pi di prima.
Sono tutti consapevoli della loro fragilit. Ognuno rispetta la sofferenza
dell'altro. Tra noi c' una fratellanza sincera. A due riprese, la mia sedia partita
senza che riuscissi a controllarla. Ho spinto il tavolo contro il muro. Un grido
di paura ha rimbombato nella sala, ma nessuno s' fatto niente.
I nostri figli vanno a scuola a Larmor-Plage. Fanno parte della grande
famiglia di Kerpape.
Che tristezza tutti quei giovani solitamente innamorati, fidanzati, sposati da
poco, che si ritrovano soli. Sono soprattutto gli uomini ad abbandonare le
donne andate a male. Ma a volte sono le donne a crollare.
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Idilli si intrecciano tra le sedie a rotelle. C' una ragazza alta e curva che
stata abbandonata dal fidanzato. Sono certo che met della sala innamorata di
lei. triste.
Non sostiamo mai al piano dei traumi cranici. Ho visto passare in silenzio
una donna, i suoi quattro bambini piccoli e il marito. Di colpo l'uomo s' messo
a urlare, a fare dei gesti violenti; non era pi lui. La madre piangeva, i bambini
le si sono aggrappati addosso. Hanno dovuto portarlo via. I traumi cranici sono
l'inferno. Apparentemente non cambia nulla, il carattere a cambiare.
In ospedale ho scoperto la miseria del dolore, la solitudine degli storpi,
l'esclusione dei vecchi, degli improduttivi, la perdita d'innocenza di tanti
giovani. Fino a quando l'incidente mi far intravedere l'immensit di questa
sofferenza, ne sar protetto! Ci sono giovani che passano un anno al centro.
Non hanno n televisore, n radio, n visite. Si nascondono per piangere il
loro sgomento, la colpa, il senso estremo di ingiustizia.
Cyril soffre di una malattia involutiva che non si riesce a identificare. Muore
lentamente sulla sua povera sedia. Una sera d spettacolo. Siamo tra noi. Cyril
in scena. Ridiamo fino alle lacrime dei suoi sketch. Con gesti resi irregolari
dall'enorme sforzo che fa, si cimenta in uno spogliarello. Finisce nudo sulla
sedia a cui ha tolto tutti gli accessori, anche le ruote, perch il Servizio sociale
non pu pagarglieli.
Ridiamo, la sera tardi, con Cyril e gli altri. Batrice mi sta incollata, sul mio
lettino. Mi si addormenta sulla spalla. Non siamo mai stati cos sereni. Gli amici
si occupano dei bambini.
Avremmo sofferto meno se non ci avessero svegliato.
Batrice stremata. Non mi lascia da sedici mesi. La sua malattia sembra
essersi fermata. Ma una bugia; pi Batrice si prende cura di me, pi pesante
sar il conto che finir per pagare.
A Kerpape sto bene. Batrice amica di tutti, i nostri figli si dividono tra i
pazienti. Continuo a seguire gli affari. Prendo delle decisioni; mi sembra di
essere al comando. Batrice deve riposarsi. Deve cambiare ambiente, ritrovare
i suoi punti di riferimento. Ma lei non vuole lasciarmi. Insisto. Accetta di
passare tre settimane in Corsica. Per lei un disastro, come lo per me. Non
ho elaborato il lutto del mio corpo, resisto solo quando c' lei. Mi prende la
depressione. Mi barrico a letto. Perdo l'uso della parola.
Non ho ancora dato un senso all'incidente. Dalla partenza di Batrice, un
silenzio preoccupante s'impossessa di me. Gli psicologi cercano di tirarmi su.
Sono andato a sfracellarmi per risparmiarmi le ultime sofferenze di Batrice?
Ho offerto la mia testa su un piatto al gruppo che, per la prima volta in
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cinquant'anni, ci chiedeva che licenziassimo centinaia di persone? Per me che


ho sempre cercato l'eccesso, stata solo un'accelerazione di troppo? Ho voluto
avvicinarmi a Batrice, condividerne il dolore, viverne l'angoscia? Forse. In sua
assenza smetto di esistere.
Non ho pi volont n voglie. Solo l'abitudine mi tiene in levitazione sul
letto fluidizzato. Vorrei dormire, ma non riesco. I pensieri mi logorano. Cos
come l'ho sorretta per darle sollievo, adesso l'ho evitata, l'ho mandata via di
fretta e furia per l'angoscia. Come ho potuto essere cos vigliacco? Vorrei
sparire.
Le lettere che mi scrive ogni giorno infrangono lo sgomento. Si lamenta di
non farcela; i bambini sono irrequieti, si sente tremendamente sola in quella
montagna corsa che ha perso ogni dolcezza. Le carezze, la tenerezza di una
mano, la testa di un bambino sulla spalla: riusciremo a riviverle?
Ho paura per lei, sola nel suo spossamento. Riusciremo a ritrovare la fiducia?
Non abbiamo mai previsto il disastro.

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Arriva Abdel

Dopo un anno di riabilitazione in Bretagna, abbandoniamo la Pitance.


Batrice trova un bel pianterreno con giardino nel cuore di Parigi. Fa i lavori,
arreda tutto. Mio suocero s' rivolto ai servizi dell'Esercito perch JeanFranois, giovane legionario ferito nella guerra del Golfo, m'assista in tutti i
miei movimenti. taciturno. Vive con un cane lupo. Per tre mesi va tutto
bene, fino a quando Batrice non viene di nuovo ricoverata. Chiedo a JeanFranois di passarmi a prendere in ospedale alle otto della sera. Alle undici
ancora non s' visto. Alla fine si presenta, senza dire una parola, e mi sistema
alla bell'e meglio nel furgoncino attrezzato. Il viaggio viene fatto in stile Pozzo
dei tempi andati. Non si ferma ai semafori. La mia sedia scivola da un lato
all'altro del furgoncino. Di colpo, a un semaforo verde, tira il freno a mano, si
mette di traverso sulla carreggiata, scende di gran corsa, sempre senza dire una
parola. S'azzuffa coi due occupanti dell'auto che ha cercato di superarlo
durante i suoi zigzag. Risale, definitivamente muto, per riportarmi a casa. Io,
inchiodato al suolo, m'infurio, impotente; aspetto che mi abbia rimesso a letto
per annunciargli che i suoi servizi terminano qua.
Lui mi spiega con dignit che ha ripreso a bere. Ci lasciamo in amicizia.
Abdel il primo che si presenta in risposta a un annuncio fatto circolare
dall'ufficio di collocamento. Sono ottanta, uno solo dei quali francese;
procedo per eliminazione e non restano che Abdel e il francese, entrambi in
prova per una settimana. Avverto in Abdel personalit, intelligenza nel gestire
le situazioni e qualcosa di quasi materno. In pi, sa cucinare bene, anche se
lascia tutto in disordine.
Il francese ha la malaugurata idea di dirmi che far entrare un musulmano in
casa come far entrare il demonio. Non avrebbe dovuto: il giorno stesso
assumo Abdel. Gli arrediamo un appartamento di venti metri quadri all'ultimo
piano. ben pagato, vitto, alloggio e bucato inclusi. Un giorno mi confessa che
la prima volta che viene trattato con rispetto. Ha fatto solo lavoretti
occasionali.
Dal momento che molto orgoglioso - cosa che scoprir in seguito - gli
capita di andarsene dall'ufficio dei suoi datori di lavoro il primo giorno di
impiego, sbattendo la porta, e se serve malmenandoli per insegnare loro le
buone maniere.
Solo una volta m'ha raccontato il trauma che ha avuto da bambino. Quella
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volta gli ho visto sul viso lacrime di frustrazione. I suoi genitori avevano pi di
dieci figli. A tre anni l'hanno regalato a uno zio paterno che non ne aveva. In
Algeria era, a quanto pare, una tradizione. Lui non l'ha mai accettato. Scontroso
e solitario, dentro la nostra famiglia si sente accolto.
Ce l'ha col mondo intero. alto un metro e settanta e, per compensare, ha
sviluppato una forza straordinaria. Colpisce tutti quelli che gli mancano di
rispetto, uomini o donne: Le donne non si picchiano dice. Ma quella l non
doveva darmi dello sporco arabo.
Certo, omette il fatto che ha accelerato mentre la donna di cui parla
attraversava sulle strisce pedonali, che poi ha inchiodato, n che la donna non
ha risposto alle sue avances.
Alcune donne lo rifiutano, ma sono stupito dalla quantit di donne facili. Ne
ho viste anche che gli scrivevano il numero di telefono sulla mano in presenza
dei mariti, cosa che sembra non turbarlo affatto. Una ha accettato le sue
avances mentre era in compagnia di madre e figlia. Va detto che Abdel uno
spasso e possiede un'innocente sfrontatezza che probabilmente fa scattare in
loro l'istinto materno, anche se ha l'aria di un diavoletto.
Un pomeriggio, al telefono, una donna urla e singhiozza. La calmo e le
chiedo di dirmi qual il suo problema. Non credo alle mie orecchie. Ha
conosciuto Abdel quel pomeriggio. Gli ha chiesto di invitarla al ristorante.
Non c' problema ha risposto lui. Sorprendente, dal momento che Abdel si
rifiuta di intrattenere le sue conquiste.
S' fermato per caso accanto al cimitero Pre-Lachaise e le ha chiesto un
aperitivo. La ragazza, che non doveva essere alla prima esperienza, mi
descrive accuratamente l'esercizio a cui s' dovuta prestare per soddisfare il
bisogno impellente del nostro demonietto. una volta accontentato, lui le ha
chiesto di prendere qualcosa dal portabagagli... e quando lei scesa ripartito a
razzo, piantandola per strada. Le prometto che gli far un discorsetto.
Abdel rincasa. Gli racconto con tono di biasimo ci che ho appena sentito.
Gli ci vogliono dieci minuti per riaversi dalle risate e chiude il discorso dicendo
che ha risparmiato un pranzo e un aperitivo. Mi racconta altre storie come
questa, fin quando, scoraggiato, non lo interrompo.
Solo una lo terrorizza, ed la mia cara Laetitia. Quando in camera sua
devo chiamarla per telefono, per non costringere Abdel a bussarle alla porta.
Mai, mi dice, una ragazza l'ha trattato come ha fatto lei una volta; e questo non
pu che fargli bene.
Quanto ai suoi rapporti con gli uomini, li riduce alla legge del pi forte.
convinto che in questo mondo marcio, bisogna essere pi marci degli altri.
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Un pomeriggio mi carica sull'auto, fa sedere Laetitia al posto del passeggero,


la parcheggia provvisoriamente davanti al posto auto di un vicino, e scende per
tornare a casa e chiudere la porta a chiave. Arriva un'auto con targa del corpo
diplomatico: il vicino, che attacca a suonare il clacson con veemenza. La cosa
ad Abdel non mette certo fretta, anzi: viene anche a controllare che io sia ben
legato al sedile. L'altro, diventato color porpora, s'incolla al clacson. Abdel si
avvia lentamente verso la portiera del veicolo. Esasperato, il vicino si fionda
fuori dalla sua bella Volvo e lo insulta. un americano che supera il nostro
bandito di una testa buona e di una trentina di chili. Abdel lo prende per il
collo e lo apostrofa: Che vuoi? L'altro, in un francese approssimativo, se la
prende con la sua maleducazione. Prima testata. L'americano sanguina dalle
gengive. furioso. Esige di vedere il padrone dell'aggressore. Abdel, un po' pi
bianco del solito, indica che sono nel retro della macchina e rilancia con due
grossi schiaffoni. Mi raggomitolo sul mio sedile. Laetitia si sdraia sul suo per la
vergogna. L'americano, confuso, arretra fino alla sua auto e si scusa; si fa da
parte per lasciarci passare. Abdel ride per cinque minuti; l'alterco gli ha fatto
bene. probabilmente si sente sollevato solo dopo aver dispensato la sua dose
quotidiana di botte. La mia ramanzina lo spiazza. Ogni volta che tengo le mie
conferenze nelle scuole professionali, si addormenta nel giro di cinque minuti;
ogni volta che parlo di speranza nei licei o nelle chiese, russa in piedi.
Ha frequentato le scuole lo stretto indispensabile, giusto il tempo di
malmenare una discreta quantit di professori e di assistere allo stupro
collettivo di uno di loro, stupro a cui, dice lui, non ha partecipato.
Ha trascorso tutta la giovinezza in una citt della regione di Parigi dove si
cresce imparando a rubare e a spacciare. Ride ricordando le prigioni francesi,
veri e propri alberghi. Stando a quello che dice, sono moltissimi gli abitanti di
quei quartieri che passano l'inverno in galera per starsene al calduccio e in
estate escono per svaligiare case.
Credo mi stimi perch lo considero intelligente e penso che meriti un
avvenire che non sia di miseria. Vede il nostro ambiente privilegiato come un
mondo extraterrestre, l'unica realt che conosce la violenza della strada. E
tuttavia cresce mio figlio con grande gentilezza, e Robert-Jean lo tratta come
un fratello maggiore.
Abdel non dorme mai se non per pochi minuti, in qualunque posizione. Il
modo in cui guida stravagante come la sua vita. S'addormenta al volante. La
cosa m'angoscia; sono costretto a tenerlo sveglio. Malgrado i miei sforzi, fa un
sacco di incidenti, come un giorno in cui sono sdraiato sul materasso
antidecubito sul retro del furgone. Viaggiamo in autostrada da pi di tre ore,
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quando si sente un gran fracasso. Vengo catapultato tra la portiera anteriore e il


sedile del passeggero. Ho il viso coperto di sangue, non riesco a parlare.
Arrivano i pompieri, vanno a soccorrere i passeggeri dell'altra auto. Un
pompiere apre lo sportello posteriore, lo richiude e dice: C' un morto!
Abdel mi sposta, raddrizza il parafango anteriore aiutandosi con una sbarra di
metallo e riparte come se niente fosse, imprecando contro la donna che gli
avrebbe inchiodato davanti. Di fatto, s'era addormentato.
talmente orgoglioso che non lo ammetterebbe mai. Sono il migliore
ripete sempre, ridendo. Ne convinto, non ascolta alcun rimprovero.
insopportabile, vanitoso, orgoglioso, brutale, superficiale, umano. Senza di
lui sarei morto di decomposizione. Abdel m'ha curato senza sosta come se
fossi un neonato.
Attento al minimo segnale, presente durante tutte le mie assenze, m'ha
liberato quando ero prigioniero, protetto quando ero debole. M'ha fatto ridere
quando ero a pezzi. il mio diavolo custode.

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Testimoni

Dopo tre mesi in rianimazione, quando Batrice porta i bambini nella mia
stanza, Laetitia fa di tutto per accertarsi del fatto che io l'abbia riconosciuta,
dato che la tracheotomia mi costringe al silenzio. Si impegna in un gioco
surrealista. Si intrufola dietro i membri della famiglia chini sul mio letto di vetro
e gli fa le orecchie da asino o le smorfie. Stupito, seguo quel suo darsi da fare
finch non trova nei miei occhi la scintilla del riso che la mia bocca affollata di
tubicini non pu offrirle.
I rimorsi esistono. Sono inutili e logorano per sempre. Se avessi potuto
evitare quella giornata del 23 giugno, non avrei stancato cos tanto Batrice,
turbato i bambini, lacerato Laetitia e reso fragile Robert-Jean. Quanto si sono
dati da fare, perch io non gettassi la spugna! Era qualcosa al di l delle forze di
mia moglie e dell'et dei miei figli. Da quel giorno partito il mio presente.
*
Sono su un letto fluidizzato che mi d l'impressione di galleggiare; un getto
d'aria calda muove delle biglie microscopiche che mi mantengono in
levitazione. Il calore, il ronzio del respiratore, l'assenza di punti di riferimento
temporali mi sottraggono alla realt. Sono assente da sei settimane, sei
settimane in cui il mio cervello andato in pappa. E tutto per cicatrizzarmi il
culo!
Le piaghe da decubito sono il flagello della nostra condizione. Basta che un
oggetto, un mobile, entri in contatto con il nostro corpo per quindici minuti noi non lo sentiamo - e la carne si apre. Ci vogliono mesi di cure meticolose
perch si richiuda. Pi volte ho avuto il piacere di trovarmi delle piaghe ai
talloni, ai gomiti, alle ginocchia, all'osso sacro. Erano cos profonde, le ossa
erano cos scoperte, che hanno dovuto operare per evitare infezioni croniche.
Le piaghe ti vengono anche negli ospedali. Per quanto mi abbiano accudito,
massaggiato, rigirato pi volte al giorno per tre mesi al centro di rianimazione,
sono bastati quindici giorni di terapia intensiva perch le piaghe si
manifestassero. Ci sono voluti nove mesi a Kerpape per bloccare questo primo
attacco.
*
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Le ore, le notti, i mesi sdraiato con lo sguardo inchiodato al soffitto mi


svelano una ricchezza di cui, brillante protagonista di una societ di paillettes,
non m'ero accorto: il silenzio.
Nel silenzio risiede la consapevolezza. Mette a fuoco ci che ti circonda. Nel
silenzio emerge la persona. All'inizio sei invaso da un certo timore. Non c'
rumore a guidarti n sensazione che ti delimiti. un immenso terreno incolto
deserto e inerte. Bisogna farsi minuscoli per ritrovare dentro tale amorfa
desolazione elementi di vita. A quel punto osservi l'infinitamente piccolo; il
dito di un'infermiera si raddrizza, ti fanno un'iniezione indolore da qualche
parte in un corpo che non senti pi; una goccia sfugge lungo la tempia da un
impacco fresco; si riversa dentro l'orecchio, ti solletica fino a quando arriva il
sonno; la pressione del cerotto su una narice che forza la curvatura del tubicino
dell'ossigeno; una palpebra pulsa frenetica per la stanchezza. un viso si avvicina:
percepisci il rumore ma le parole restano incomprensibili. Il color malva delle
palpebre che si chiudono sotto il neon. Gli occhi si rovesciano al
sopraggiungere dell'oscurit. Pi niente. Il risveglio incerto: un rumore o una
pressione sul viso. Il cervello si mette all'erta. In queste ore in cui gli occhi
restano chiusi, godi di una debole ripresa di attivit.
Un giorno, una voce. Non la mia, viene dall'interno. Si direbbe una voce
femminile, forse quella di Batrice. M'interroga come se non dipendesse da me
e, davanti alla mia iniziale passivit, spesso si risponde da sola.
Mi abituo a questa presenza, articolo delle risposte. Ma non riconosco
nemmeno la mia stessa voce; ho l'impressione di essere abitato da due
pettegole che senza essere state invitate fanno salotto dentro la mia testa. Sono
divertente; non sono per niente io. Poco alla volta, m'impongo. Rispondo
sempre di pi al posto della pi maschile delle due voci. All'inizio gli argomenti
sono stranamente rasserenanti.
Hai capito dove eri?
S, s, credo.
Che cosa dirai a Batrice quando verr?
Guardami, furbacchiona!
Questa voce interiore e la mia discutono ininterrottamente, al punto che
non distinguo pi chi dice cosa.
Per diversi mesi guardo il soffitto senza mai annoiarmi. In mezzo a questo
bianco abbagliante ho elaborato il lutto del mio corpo. Sono tornato tra i
viventi. Ho domato la voce che avrebbe potuto farmi passare per pazzo (ci
manca solo che mi rinchiudano!). Dimenticati i momenti terribili, mi impegno
a imparare a respirare senza macchina, combinando ci che mi resta e ci che
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mi hanno aggiunto. Rafforzato da questa ostinata attivit interiore, rassicurato


dall'amore di Batrice, mi ristabilisco. Controllo le rare sensazioni che mi
restano. Mi preparo alle visite di Batrice con discorsi infiniti. Quando c' lei,
scompaio. Registro tutti i suoi sguardi, le sue parole. allora, forse, che m'ha
iniettato il virus della speranza, che ho scoperto la mia coscienza e che, di l in
avanti, tutto riuscito a incatenarsi con rapidit.
La fiducia nel futuro si costruisce in silenzio. Le ore passano. L'unica cosa a
cui devo pensare la sopravvivenza fisica. Non devo strapazzare la speranza.
Orribili sofferenze trafiggono quel che mi resta di sensibile. Mi lasciano senza
fiato, lo sguardo vuoto. Al minimo istante di remissione, la speranza si far
avanti. E con lei, la rinascita.
Silenzio.
In questo sfacelo, ho ancora il coraggio di crederci. Lo scarto tra ci che
vivo al momento e la felicit che mi aspetto fa nascere in me la speranza.
L'handicap, la malattia sono fatti di fragilit e umiliazioni. In quegli istanti in
cui si percepisce la durata limitata della vita, la speranza si fa fiato vitale che si
amplifica; la sua giusta respirazione ne il secondo fiato.
I maratoneti sanno cos' il secondo fiato. una specie di stato di grazia. La
respirazione s'assottiglia, si fa pi profonda, il dolore sparisce. Per quarantadue
anni mi sono soffocato. Ci siamo soffocati lanciandoci a una velocit esagerata,
cercando di essere i migliori, i primi. Quelli che respirano meglio, superata
qualche dozzina di chilometri, sono coloro che immaginano l'arrivo. L'arrivo
la festa divina, l'amore ritrovato. La visione dell'arrivo essenziale.
Una maratona non si corre mai da soli.
Attraverso le urla, le confidenze, la rabbia anestetizzata per rendersi
disponibili verso chi ci segue, l'umanit popolata di ombre e gemiti.
Scopriamo che c' un prima e un dopo, che gli Antichi avevano gi pensato al
mondo, che l'Eternit abitata da chi ci ha preceduti. La speranza questo
ponte che ci conduce dagli archi scintillanti dei ricordi all'eternit, come ha
scritto Kahlil Gibran.
*
Il telefono squilla. Una voce celeste riempie la stanza: Sono Marie-Hlne
Mathieu, presidente dell'Och (l'organizzazione cattolica office chrtien des
handicaps; indubbiamente mi sto avvicinando al cielo!). L'ho sentita al
programma di Jean-Marie Cavada, La marche du sicle, a cui ho partecipato con la
mia testimonianza sul periodo immediatamente successivo all'incidente, e
vorrei che intervenisse alle conferenze che organizzo.
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Non ho molto tempo da offrirle, cara signora. Credo assai poco in Dio.
Quanto all'handicap, le mie riflessioni sull'argomento sono quelle di un
neonato.
Ma come rifiutare? Non ho voglia di discutere. La conferenza fra tre mesi;
con un po' di fortuna, le circostanze mi verranno in aiuto.
Mi piacerebbe partecipare con mia moglie, che da quindici anni soffre
anche lei di un male. Grazie alla sua fede, insieme raggiungiamo una media
discreta!
Che titolo vorreste dare al vostro intervento?
Mi assale la fatica, non ho pi riferimenti, solo un'ispirazione: Il secondo
fiato.
Benissimo, lo annunceremo come il secondo fiato di Philippe e Batrice
Pozzo di Borgo.
No, sar il secondo fiato di Batrice e Philippe.
sorpresa, ma io insisto. Ho la sensazione che dando voce a
quest'intuizione lei mi abbia permesso di rimettere il piede nella staffa.
Perch Batrice e Philippe? Nella mia infinita debolezza, sento che la
malattia di Batrice mi permette di adattarmi all'handicap con insolita facilit.
Mi assento ma non mi scoraggio. Non n senso di colpa verso una donna che
ha sofferto e resistito quindici anni, n orgoglio inopportuno che mi costringe
a uguagliarla. No, questa fiducia che ha nel profondo di s. Fintanto che c'
ancora energia, la nostra vita bella e sarebbe spiacevole non apprezzarla.
questo stesso sguardo che, dopo un mese di coma, mi accoglie al risveglio.
Come fare a esprimere il secondo fiato senza cominciare da Batrice? Poco a
poco, la vita, la sofferenza, le vere gioie, il piacere di parlare, la bellezza, mi
sono entrati dentro. Quante notti passate sdraiato accanto a lei, a pensare al
mondo, come se fosse lei la mia chiave di accesso alla verit.
Batrice uno splendore. Io la accompagno meglio che posso.
Non vedo segno della sua malattia. sempre cos bella, elegante, sorridente,
ottimista, attenta. Ma non riesce pi a salire le scale e, ogni tre mesi, resta
sdraiata per un'eternit. Fa in modo che tutto sembri normale. A volte, nei
momenti di grande fatica, urla la propria disperazione di non essere considerata
malata. Ce l'ha col mondo intero. Di fatto, ce l'ha con se stessa per la sua sete
di vita. Si lascerebbe andare del tutto. In quei momenti, le offro la mia spalla
perch posso abbandonarsi, e ricomincia.
La sera della conferenza, la sua calma e il suo sorriso esprimono tutta la sua
filosofia. Guardo questa sala di cinquecento persone sedotte dalla sua forza.
Nessuno tira su col naso o tossisce. Una folla attenta. Ecco la sua vita, nata dal
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primo fiato e illuminata dalla sua percezione dell'eternit, a prescindere da


quanto grandi possano essere le difficolt. Che dire dopo una tale prova, se
non che l'handicap lo si vive nel migliore dei modi quando non si soli,
quando c' quest'energia accanto a voi che vi elettrizza nella vostra immobilit?
Senza Batrice non avrei fatto questo sforzo. Durante l'anno di ricovero ho
scoperto un mondo che mi era sfuggito, un mondo che non avevo mai
guardato da vicino, il mondo della sofferenza. Non conoscevo che la
sofferenza di Ba. Era una questione privata, non un fenomeno sociale. Dopo
aver frequentato i servizi di rianimazione in cui la gente urla, dopo aver
conosciuto la solitudine delle camere d'ospedale, vedo le cose in modo diverso.
Al di l delle parole, al di l del silenzio, se ne scopre l'umanit.
Il corpo, fino ad allora portato alle stelle, lentamente si fa da parte a cospetto
di uno spirito rigenerato, di una spiritualit ritemprata; un rovesciamento del
cuore.
in fondo a noi stessi, nella nostra interiorit, nel nostro mistero, che
scopriamo l'Altro.
Il privilegiato e impomatato che ero, adesso crocifisso al letto, immagina la
coabitazione di un'umanit in marcia e di una sdraiata. La croce universale
come punto di partenza di un nuovo mondo.

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I cipressi di Batrice

Batrice viene ricoverata per l'ultima volta. Carmelitana dei tempi moderni,
abita in una sorta di bolla di plastica trasparente. Per accedervi devo
attraversare una prima stanza di decontaminazione, vestirmi dalla testa ai piedi
di biancheria sterilizzata. Lei in fondo al corridoio. Tre porte ancora. Una
sedia asettica m'attende. Restiamo due mesi senza poterci avvicinare, con solo
una reciproca visione sfocata e deformata dalla plastica.
Batrice contrae una setticemia generalizzata. Non pu pi n bere n
mangiare; nemmeno l'acqua varca pi le sue labbra. Dimagrisce riducendosi a
pelle e ossa, tenuta su dalle pillole, il muco che le riempie la bocca. Durante
questo periodo delicato, la raggiungo dall'altra parte della tenda che garantisce
l'asepsi.
l che dice a suo padre: Sai, pap, ho visto Cristo. M'ha detto: 'Asciugati la
bocca sul mio mantello, di un tessuto che cancella ogni sporcizia'. Paziente,
prende un'altra pillola. Ho cancellato ogni sporcizia.
Avvolgiti nel mio mantello di tenerezza.
Batrice vive le sue ultime esperienze terrene alla luce di questa salda
speranza, in questa attesa attiva.
Tre giorni prima della fine, la liberano dalla sua bolla di plastica. Troppo
tardi. Ha gli occhi gi chiusi. Quasi non vive pi. vengono i nostri figli, prima
l'una, poi l'altro, a turno sulle mie ginocchia. Singhiozzano mentre parlo loro di
lei; poi escono coi loro camici sterilizzati.
Sia fatta la Tua volont sono le sue ultime parole.
Le ha pronunciate ed sprofondata ancora di pi nel suo letto.
Mi hanno autorizzato a portarla a casa. Le infermiere la rivestono con il suo
tailleur color terra. La sistemiamo vicino al camino sul letto col baldacchino
dove amava riposare. Abdel piange. Per tre giorni, parenti e amici la
circondano. Gli occhi arrossati dal pianto, Cline, la ragazza alla pari, riempie di
cibo una tavola per sostenerci tutti. Mio padre organizza il funerale. Mi dice, in
lacrime, che lei gli ha insegnato a pregare. Abdel va a riprendere le sue cose in
ospedale: ci sono scritti e lettere.
Teneva un diario.
Da ogni evento raccontato trapela la dolcezza, l'amore per la sua famiglia, la
fede in Dio, la fiducia nella guarigione. Con ostinazione, s'impegnava a vivere
fino a quando il suo piccolo Robert-Jean non avesse compiuto diciotto anni.
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Quando ha capito che stava venendo meno, la stessa serenit le ha dato la


forza di perdonarmi, di trovare delle parole per guidare Laetitia e consolare
Robert-Jean.
Poi si girata verso Dio.
*
Ho scelto la pi bella delle bare. Ci ho fatto mettere una croce protestante.
Prepariamo la cerimonia al tempio e la messa a Dangu. I nostri figli sono
splendidi; leggono la preghiera di sant'Agostino che lei recitava loro senza
lasciare trasparire il proprio sentimentalismo, cullandoli con la dolcezza della
sua voce; non vedevano le sue lacrime. Addormentati, li riportavo su, nei loro
letti.
*
Durante la funzione nella chiesa di Dangu, i nostri amici Nicolas e Sophie
intonano il canto amato da Batrice. Sprofondo nella mia sedia. Robert-Jean mi
tiene la mano; piange. Laetitia gli ha messo un braccio attorno alle spalle. La
bara di Batrice coperta di viole del pensiero, rosa e tenere, mandate da un
amico. Il pavimento cosparso di migliaia di fiori bianchi. Asciuga le tue
lacrime e non piangere, se mi ami.
Batrice che nei cieli...
*
Saliamo a piedi la collina di Dangu, in cima c' la tomba di Batrice. Non
posso arrivarci senza l'aiuto di Abdel. Ho sempre la sensazione di essere sotto
la sua tomba, come se non potessi raggiungerla se non alzando le braccia.
Fatico a pensare che non c' pi, ed gi passato un anno. Di notte non
parlo con lei, ma tengo un monologo su di lei. Non mi stringe pi tra le braccia
durante le mie notti insonni.
La sento fluttuare sopra di me. Il suo paradiso dev'essere vicinissimo.
come il fumo di una sigaretta, si allontana da me per poi svanire tornandomi
vicino.
Non ha ancora parlato. Resta come nei suoi ultimi giorni, immobile e
silenziosa, se non fosse per il respiro roco che le sollevava appena il torace.
Quando parlo di lei, le parole mi stringono la gola. Non viene fuori alcun
suono, solo un bruciore agli occhi.
Forse troppo triste per parlarmi?
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A volte Abdel mi porta su, al cimitero. Mi spinge lungo i dislivelli del


terreno. I nomi sbucano poco a poco dalle tombe. Qualche marmo luccicante
intarsiato d'oro ospita gli ultimi arrivati. Batrice la prima della famiglia a
essere sepolta sul continente. Ho voluto tenerla vicino a noi fino alla mia
morte; ho previsto che poi la riporter con me in Corsica. Dentro la cappella
c' meno gente, rumori animano la notte, odori di macchia si muovono
nell'aria, il panorama cos bello.
Laetitia ha organizzato una riunione di famiglia dentro il cimitero. Sono
venuti tutti: i piccoli si sono accovacciati intorno alla tomba. Solo Valentine,
dieci anni, non piange; s'ostina a rialzare i vasi di fiori spazzati dal vento.
Quando arrivo, mi siedo davanti alla tomba; la presenza di Batrice
dappertutto intorno a me. La sento nel dolce sibilo dei cipressi. Sparisce
quando ridiscendo dalla collina. Non mi segue nel mio nuovo appartamento.
L'ho sentita ridere solo una volta; quando una ragazza mi ha abbracciato.
Quando siamo soli l'uno contro l'altra, ha un riso da bambina contenta.
Dimentica il suo corpo e scappa insieme a me come una bambina troppo
viziata. Negli spasmi degli ultimi mesi ho dimenticato quel riso.
Ha rivolto lo sguardo in cielo e io l'ho seguita.
Per ore, lei prega. Tento di fondermi nel suo sguardo. Sogno quegli istanti
d'una gaiezza inaudita. Prega come se si liberasse dalle sue sofferenze. La sua
gioia diventata la preghiera di tutti. M'ha portato in alto. Lui esiste perch lei
con Lui.
I miei sentimenti sono ombre cinesi; restano solo i suoi dolori che ho fatto
miei, e la sua assenza da qualche parte vicino a me.
Talvolta, nelle settimane trascorse nel mio letto, mi inabisso; abbandono gli
altri; fino a quando non sento Robert Jean agitarsi vicino a me; o Laetitia che
cerca di farmi bere; o la presenza di Abdel che aspetta, seduto sulla mia sedia.
Sono loro a riportarmi sulla terra.
La facilit con la quale torno in me mi sorprende. Mi sento ridere. Sono
fiero dei miei bambini. E tuttavia raggiunger Batrice senza ansia, anche con
sollievo. Ci sono dei momenti terribili: vorrei fluttuare, ma gli altri mi
trattengono. Oggi non so pi da che parte andare. Forse col tempo, i miei figli,
i figli dei miei figli, una donna. finir per restare immobile su questa sedia a
dondolo.
*
Ba se n' andata. Laetitia e Robert-Jean restano. Stiamo bene tutti e quattro.
Negli istanti delle ultime sofferenze, penso che le mie dighe cederanno, la mia
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testa esploder: gli occhi si sono gi ritorti, il corpo s' incurvato; da tempo ho
smesso di parlare. In una manovra disperata, taglio ogni cosa. Sparisco
nell'incoscienza con un'unica ossessione: resistere ancora una volta per i nostri
cari figli.
La prima volta che mi sono sentito solo nel mio letto stato il giorno in cui
la madre di Batrice mi ha annunciato che non c'era pi niente da fare,
checch ne dicessero i medici. Pi niente. Non resta niente dell'incredibile
presenza di Batrice, solo un dolore costante in fondo alla gola. Pi niente
dell'uomo d'azione, spezzato non dall'handicap ma dall'assenza. Sopravvive
soltanto l'angoscia per i nostri bambini. Resto a letto. La casa sfugge; Cline, la
ragazza alla pari, non fa pi niente, nemmeno io faccio pi niente. Solo poche
persone continuano a frequentare il nostro trio. I suoceri, certo, la cognata
Anne-Marie, qualche vecchia amica che la depressione lascia senza parole.
Il resto della famiglia alquanto discreto, anestetizzato dal nostro silenzio e
dal proprio pudore. I soli rumori quotidiani sono quelli dei bambini; alle nove e
dieci, la telefonata piena di entusiasmo e compassione di zia Eliane, il baccano
di Abdel, l'attivit mattutina delle aiuto infermiere - eppure, per alcune di loro,
non apro pi neanche gli occhi - e Sabrya, certo.
Amo Batrice. Col passare dei giorni, ritrovo i suoi scritti di dolore. Al di l
di qualche bozza di lettera che m'ha scritto al tempo dei miei lunghi soggiorni
all'estero, non resta che questo dolore. Quasi venticinque anni di vita comune,
una felicit inaudita, insolente, che ci siamo gustati innocenti e superbi. E ora
tutto ci che resta sono poche pagine disastrose, di solitudine, di dubbi.
Alla morte di sua madre, Laetitia ha letto i suoi scritti; ne rimasta sconvolta.
Ho trovato questi frammenti di orrore scarabocchiati con pena, sparsi su fogli
volanti e su due quadernetti, uno verde e l'altro rosso. Se almeno non li avessi
mai visti! Listano a lutto i nostri momenti di felicit.
*
Leggere una di quelle pagine mi fa restare a letto per giorni. Ero accecato
dall'orgoglio, non me ne rendevo conto. Occupano praticamente tutti i miei
pensieri. Di giorno me le faccio attaccare con lo scotch sul vassoio inclinato sul
mio letto; di notte, la loro presenza sul comodino accanto a me
insopportabile. Vorrei girarmi dall'altra parte, l dove Batrice dormiva, ma solo
la testa s'inclina a sinistra per lasciar scorrere le lacrime.
Non hanno mai date precise. Messe una dopo l'altra, riempiono a fatica una
ventina di pagine. Ogni parola un grido di disperazione. Ci sono passaggi che
rimandano a episodi che m'erano passati di mente. Riguardano la lacerazione di
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una bellezza che non riuscita a generare che aborti e nati morti, l'inquietudine
di una donna piena di un cancro invisibile, cos bella agli occhi di tutti ma che
sapeva di marcire dentro; lo spossamento di un essere che avrebbe tanto
voluto e che non ha potuto. Allo stremo delle forze, ha dovuto subire l'ultimo
affronto quando colui che ancora amava s' fracassato la nuca su una terra che
avrebbe voluto dolce per i suoi ultimi giorni. Da amante sofferente diventata
una Piet rinchiusa in un corpo sfasciato. Lei, la crocifissa, mi ha resuscitato.
Suprema ironia. sepolta sotto il suo sorriso. Io mi sono dato come un bel
diavolo per sottrarmi alle sue gambe sanguinanti, al suo sangue andato a male, al
suo sforzo di cui avevo vergogna. Surfavo sulle strade. Per poi tornare sempre
a riprenderla tra le mie braccia sul suo immenso letto. Sorrisi amari per una
grazia che riuscita a dissimularne le lacrime, lei che da anni meritava
compassione.
*
Ho deciso di ripartire per Crest-Voland, di ritrovare il luogo in cui mi sono
sfracellato e, come per esorcizzare l'incidente, di rivolare l da seduto. Che
ragazzata! I miei veri amici sono quei pazzi volanti che Ba non apprezzava
affatto. Sono pieni di sensi di colpa, vorrei rassicurarli. Muoio dalla voglia di
seguire una corrente ascendente che mi porti a cinque o seimila metri
d'altitudine. L parlerei a mia moglie a voce alta, come mi capita talvolta di
notte. Nel fulgore della montagna avrei l'impressione di esserle pi vicino. Mi
capita di avere la sensazione oscura di volerla raggiungere, cos come dopo
l'incidente ho avuto quella di lasciarla. Irragionevole e infantile.
Ciononostante mi rallegro all'idea di vedere Abdel su un volo a due, che urla
a chi vuole sentirlo che non ha mai voluto salire.
I miei amici hanno approntato un sedile speciale che si gonfia non appena il
volo prende velocit e che dovrebbe ammortizzare i miei atterraggi. Yves,
aggrappato dietro, tiene i comandi. Abbiamo deciso che seguir le istruzioni
che gli trasmetter con dei movimenti della testa. Testa a sinistra, giri secondo
l'angolo indicato; testa in basso, freni; testa in alto, molli il freno. Facciamo tre
voli. Al decollo, a spingerci tutta la squadra, che ci fa prendere velocit.
Reclinando leggermente la testa verso il basso faccio segno a Yves che per
decollare bisogna dare un colpo ai freni.
Ritrovo la sensazione del volo, concentrata dentro la testa; con il resto del
corpo non sento niente. Sorvoliamo i nostri soliti percorsi. A un certo punto
Yves mi urla che sto rischiando: siamo troppo vicini alla foresta. Ma io so che,
sfiorando quasi le cime degli alberi, avremo bollicine a sufficienza per
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mantenerci ad alta quota; potremo raggiungere la cresta della montagna a


poche centinaia di metri da l e vedere l'intera valle d'Albertville sprofondare e
ripiegarsi in cima. Yves esita, gli faccio segno che deve seguirmi. Di colpo
cominciamo a salire; in pochi secondi abbiamo fatto centinaia di metri. Siamo
sulla punta, ci avvolgiamo a spirale. Uno spettacolo grandioso! Cerchiamo di
riprendere quota, ma le condizioni ce lo impediscono. Ripiombiamo sulla
foresta. Seguiamo gli uccelli, andando dietro ai voli altrui. Potremmo restare
un'eternit, ma Yves fa segno che bisogna rientrare. poco pi di un'ora e
mezzo che voliamo. Non sono affatto stanco. Una resurrezione. Oltrepassiamo
l'ultima vetta rocciosa e corriamo verso la baita. Per mantenere la giusta
altitudine, oriento Yves verso la collina che sovrasta la baita e gli chiedo di fare
un volo radente. Siamo a meno di tre metri dal suolo, zigzaghiamo. Che
godimento! Yves si posiziona lungo l'asse di atterraggio, vento in faccia. Di
colpo, al momento di toccare il suolo, il vento cambia direzione. Veniamo
spinti a pi di quaranta chilometri all'ora. Non ho le gambe per aiutarlo;
precipitiamo. Il mio viso fa da freno. Poche dozzine di metri di fatica e ci
fermiamo; scoppiamo a ridere contagiando tutti gli amici venuti ad assistere allo
spettacolo.
Ho il viso ricoperto di sangue. La traccia di quest'atterraggio mi resta per
alcune settimane, ma che sollievo!
Tornato a Parigi, racconto di essere caduto dalla sedia. Fatta eccezione per
Laetitia, nessuno sospetta la mia condotta irresponsabile.

71

Anima crsa

Pochi mesi dopo la morte di Batrice, sono in Corsica, nella torre


incorniciata dalle montagne, un luogo che lei amava moltissimo.
Le tende della stanza sono chiuse; la penombra mi ha invaso il cervello.
Ieri ho cominciato a dettare qualche parola, ma il registratore non ha
registrato nulla. Dietro gli occhiali da sole ho pianto di fatica, di tristezza, di
rassegnazione. venuto il cugino Nouns. Ha cercato di farmi ridere, di farmi
parlare dei voli da seduto, malefatta che ho ripetuto il mese scorso. Sono
inchiodato alla mia tristezza, gli occhi che mi bruciano. Mi addormento. Una
brezza fredda scende dalla montagna e mi sveglia. Si ode una campana: la vacca
di un vicino. Chiamo. Franoise, la custode, arriva borbottando. Non ho
nemmeno la forza di parlarle di Batrice; lei aveva organizzato tutto per la sua
ultima messa qui, ad Alata, mentre noi la seppellivamo nel continente. Le
propongo di rivedere insieme le foto, mi parla delle testimonianze di affetto; lo
so, Franoise, che ti sei trasferita qui una ventina d'anni fa, dopo la morte della
tua unica figlia; sostieni che questa stata la tua ancora di salvezza, questa
solitudine nella montagna crsa. Trovo il tutto doloroso. Mi porti una bottiglia
di un liquore fatto da te a base di noccioli di pesca, di alcol e di vino artigianale.
Batrice e io lo bevevamo con gran piacere; stasera sento solo l'amaro dei
noccioli. Contempliamo insieme la vallata. Due poiane volteggiano
all'orizzonte, devono aver trovato una corrente ascensionale. Anche la vacca
smette di ruminare. la pace della sera. L'acqua della fontana gorgoglia. La luce
si fa tremolante. Alcune centinaia di metri pi gi c' la cappella di famiglia, di
cui andavo cos fiero. Dicevo che era bello sapere dove avremmo trascorso la
nostra eternit. Facile a dirsi.
I battiti del cuore mi affollano la testa. insopportabile. Ho la pressione
altissima, sono ricoperto di sudore, non so pi cos'ho, avrei voluto non
soffrire, parlare di Batrice, addormentarmi nella tranquillit di questa
montagna. Ho una crisi dopo l'altra. Cline si siede ai piedi della sedia sulla
quale mi agito. Propone di leggermi il romanzo che ho voluto cominciare: La
quarantaine di Jean-Marie G. Le Clzio. Scosso dalle convulsioni, riesco a sentire
passi in cui si parla di Rimbaud, Verlaine, Longfellow. Quanta responsabilit ha
il caso in tutto ci che ci capita!
Chiudo gli occhi, Cline mi resta vicino. Riprende a leggere il suo romanzo
da metropolitana. Mi calmo; la presenza di una ragazza, per quanto possa essere
72

lontana da Batrice, ha effetto su di me. Potrebbe prendermi la mano, non mi


arrabbierei. Abdel mi ha dato qualcosa per farmi addormentare; mi assento
senza accorgermene. Sprofondo. Mi sveglia il mio rantolo. A poco a poco
distinguo i rumori della casa, il trambusto dei bambini; l'avevo dimenticato. Di
colpo, il mondo mi riappare attraverso il mio rantolo roco e bruciante. Non ho
il coraggio di chiamare, per paura di creare una nota stonata in questo allegro
formicaio. A poco a poco riaffiorano le ultime immagini della notte. Abdel mi
sposta sul letto. Fa un movimento sbagliato, sento che cado all'indietro; ho
paura di andarmene per sempre. Non mi resta che la testa, e non ho niente per
proteggerla. Abdel si puntella per attutire la caduta, ma io sento la testa sbattere
contro il pavimento. Dal rumore dell'impatto capisco che non l'ultima volta.
Mio cugino Nouns arriva a dare man forte col suo solito buonumore; mi
guarda, sdraiato di schiena, le gambe ancora aggrappate alla sedia: Non il
momento di andarsene a gambe all'aria! Sono talmente lontano da tutto che
non capisco cosa voglia dire. Rido piangendo. Mi raddrizza, mi sdraia sul letto e
io sprofondo nel materasso antidecubito. Vorrei annegare. Abdel prova una
nuova manovra per tirarmi su a sedere. Sarebbe stato meglio non farlo. Le
braccia, prese da sotto le spalle, volano per aria; due dita mi esplodono come
frutti maturi, il sangue cola, macchiando l'intonaco ruvido della parete. Piango,
non sento niente, non ho male, piango, non mi appartengo pi, questo corpo
si disintegra. Non posso farci niente.
Vorrei cominciare a parlarti, Batrice, ma l'angoscia mi travolge. Ho
l'impressione di essere indesiderato quaggi, di dovermi ritirare. Morir, solo,
su questo letto. Sento di nuovo scoppiare la testa; non mi va di andarmene
subito. Controllo il mio respiro strozzato. Mi sforzo di espirare quest'aria che
mi si accumula nei polmoni. Gli spasmi si fanno costanti, sono rigido,
intirizzito, come se fossi gi morto.
Abdel mi veste. Gli chiedo di sistemarmi sotto il tiglio vicino alla fontana.
Incorniciando il paesaggio, due acacie rifioriscono dopo l'incendio di tre anni
fa. Di tanto in tanto si sente il rumore di un martello: gli operai lavorano al
restauro del castello.
In un secolo, l'aria di mare ne ha sgretolato i muri; il fuoco l'ha lambito
diverse volte fino a quando, nel 1978, l'ennesimo incendio ne ha fatto crollare
il tetto. Sono intervenuti i Canadair, inutilmente. Centinaia di pompieri hanno
cercato di salvare il resto del monumento. Tre di loro sono stati accerchiati
dalle fiamme. Il pi giovane ha provato a scappare, i due pi esperti si sono
addentrati nell'edificio. Di l a poco il giovane stato sopraffatto dalle fiamme.
morto a poche centinaia di metri dal punto in cui mi trovo ora. Sul ciglio
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della strada, pi gi, si intravede la targa in sua memoria. Da allora il 7 agosto di


ogni anno si tiene una cerimonia con la fanfara del paese, i pompieri, il sindaco,
le altre autorit e la famiglia. Povero vigile del fuoco, che giaci tristemente sul
ciglio della strada dei duchi Pozzo di Borgo; tu te ne infischi che uno di loro
stia pensando a te. Avresti preferito vivere. E invece sei rimasto incastrato tra i
Pozzo sopravvissuti della torre e i Pozzo morti della cappella.
Un campanaccio mi risuona nelle orecchie. Tra questo rumore e i miei deliri
non so cosa rester impresso nel registratore. Intuisco che la vacca si trova
proprio alle mie spalle, ma non posso girarmi. Immagino che se la rida,
vedendo questo invalido che parla da solo. Non preoccuparti, vecchia mia, un
giorno ti acciufferemo!
I morti della nostra montagna sono dappertutto. In lontananza passa un
elicottero militare. dello stesso tipo di quello che m' venuto a cercare
qualche anno fa, mentre ero in volo con il parapendio. La famiglia faceva un
picnic sulla spiaggia. Avevo deciso di raggiungerli in parapendio partendo dalla
Punta, appena sopra il castello. Non conoscevo la topografia dei luoghi; vedevo
una punta e immaginavo di poterla sorvolare per ridiscendere verso la spiaggia.
Mi sono lanciato alle sei di sera in calzoncini, canottiera e scarpe da tennis. Mi
sono schiantato dietro la Punta, in una macchia alta tre metri. Ho ripiegato la
vela e mi sono inerpicato su per la boscaglia seguendo delle tracce che
sembravano quelle di un cinghiale. Pensavo di lanciarmi di nuovo dalla cima
successiva ma, dopo aver girovagato per un'ora, mi sono ritrovato su una punta
che palesemente non si affacciava sulla spiaggia che stavo cercando. Era troppo
tardi per fare marcia indietro. Non mi restava che passare la notte nella
macchia, tra le rocce, avvolto nel parapendio.
Seppi poi che Batrice aveva chiamato la polizia. Quanti anni ha suo figlio?
mio marito!
E allora perch ci chiama? Non mai successo che suo marito rientrasse
all'alba?
Ha continuato a insistere e le hanno detto di richiamare verso le sei del
mattino. A quel punto hanno mandato un elicottero a soccorrermi.
All'ospedale hanno controllato che non avessi riportato fratture e che i tagli
che m'ero procurato fossero solo superficiali. Hanno avuto anche l'accortezza
di riportarmi a casa. Ho fatto di corsa una doccia, ho indossato giacca e
cravatta e sono andato a una riunione con il presidente della societ, a Parigi.
Ho avuto appena il tempo di vedere Batrice, spossata da una notte di veglia.
Ha rischiato di soffocare mentre l'abbracciavo dicendo: A domani, mia cara.

74

*
Stasera mi chiudo in me stesso. Cerco di percepire i confini del mio corpo
attraverso il dolore: la testa sta abbastanza bene, anche se un po' compressa, il
viso e il collo prudono per le allergie, le spalle sono cronicamente contratte.
Quella di destra soffre di una decalcificazione dovuta al trauma della caduta.
Per sei mesi hanno tentato di curarla con delle iniezioni di calcio che ogni sera
mi procuravano febbri e nausee, prima di rincretinirmi. Il medico ha detto:
Lei deve aver fatto proprio una brutta caduta. Era una battuta o la
considerazione distaccata di uno specialista che non vede al di l delle proprie
radiografie? Questa spalla a volte mi fa soffrire da morire. Quando capita,
nessuno pu toccarmi. Non respiro pi, chiudo gli occhi, so che passer, che
devo aspettare un minuto o due. Non importante, abbiamo passato di
peggio. S, s, passa, ve l'assicuro; no, non toccatemi, non toccatemi la spalla!
Tutti i nervi mi vanno in tilt a partire dalle spalle. Ci sono attimi in cui brucio al
punto che chiedo di essere lasciato al buio. Penso alla vergine folle di Rimbaud:
Soffro sul serio, Signore, un po' di frescura, per favore.
Ho letto nella Bibbia: Donami la forza di lottare contro le sofferenze che
posso sopportare; donami la pazienza di accettare quelle che non posso
cambiare, e non dimenticarti di donarmi la saggezza di sapere distinguere le
une dalle altre.
*
Sono sdraiato nella notte della mia stanza, attraversata dal rassicurante odore
dei preparativi in cucina. Domani riceviamo quaranta crsi della montagna; da
parecchio i Pozzo non ricevono come dei signori. Abdel s' fatto carico
dell'organizzazione; ha previsto un montone allo spiedo. Nel primo pomeriggio
sceso a scegliere un montone da un pastore qui vicino; sorpreso dalla
magrezza del gregge, ha ripiegato su una femmina di trentadue chili. Ritorna,
scarica la bestia. Ha tre zampe legate, la quarta libera. Va a cercare i coltelli.
Non sono sicuro di voler restare. Penso a Batrice; l'ho vista in quella pecora;
ho visto me stesso in quella pecora. Lei condannata, io paralizzato. La bestia
cerca di strisciare sul pavimento con la quarta zampa, ma non riesce che a
ribaltarsi. Quante volte ho sognato di sfuggire alla mia paralisi? Quante volte mi
sono sognato sano, che sollevavo Batrice dai suoi letti d'ospedale per
riportarla da me, nel nostro letto, e lei mi si spegneva tra le braccia! Il macellaio
l'ha tenuta fino alla fine. Le ha dato il colpo di grazia. Come ha potuto
sopportare tante torture senza lamentarsi mai?
75

Per tutta la vita ha lottato contro i medici, contro il loro potere.


Con un colpo netto, Abdel sgozza la pecora dopo averle palpato la carotide.
Il sangue sgorga, rosso chiaro, come succo di fragola. Ritrovo il respiro di
Batrice degli ultimi giorni; l'hanno ucciso prima che me ne rendessi conto. Di
lui non resta che questo respiro irregolare; gli occhi sono chiusi; le membra
non si muovono; non c' che questo petto oppresso che si solleva a scatti
brevi, brutali. Segue un lungo istante di immobilit.
Abdel annuncia che tra un minuto la bestia far i suoi ultimi scatti. La zampa
libera si agita in tutte le direzioni. Io e Abdel constatiamo che si tratta di
contrazioni: la parola che si usa per i movimenti ritmici e incontrollati delle
membra. Un'ultima contrazione, veemente, e Abdel, sicuro di s, slega le altre
tre zampe e con una corda appende l'animale sopra un telone. Va a cercare
Franoise per le foto di famiglia. Siamo riuniti sotto il tiglio, vicino alla fontana.
Franoise ci fa una foto, Abdel, la pecora e io. Infila uno stelo lungo una
zampa, tra la pelle e la carne. Soffia dentro il buco come fosse una cornamusa;
la bestia si gonfia, triplicando di volume. L'operazione finisce, Abdel chiede a
Franoise di passargli una cordicella per chiudere l'apertura della zampa, e
attacca a battere l'animale. Il rumore secco riecheggia sulle mura della torre:
quanto accanimento! Dopo avere stancato la bestia, Abdel prende il coltello e
la scuoia; in meno di dieci minuti l'ha denudata. Non resta che svuotarla e
recuperare le frattaglie da cuocere con le verdure; questo l'odore acre che si
diffonde nella mia stanza stasera.

76

Le Sanguinaires

Sdraiato sulla schiena, nella stessa posizione da quasi tre giorni, ho smesso di
soffrire. Tengo gli occhi chiusi. Sento martellare in lontananza. Non ci posso
credere: non ho pi male. Alle sette chiamo Abdel; si alza come un automa,
non dorme da tre giorni. Abdel, metta Schubert, per favore; fatico a
respirare; che importa, non ho pi male. Abdel mi serve la colazione.
Abdel, le dispiacerebbe leggermi un salmo, per favore? Dio buono, c'
un percorso di congedo per coloro che soffrono. Non lo so, sono spossato.
Fatico ad afferrare parole cos certe del proprio significato.
Gioved sera comincia la festa. Ceniamo, poi ci riuniamo nel gigantesco
salone per ascoltare i cantori di Alata. Nei loro canti c' una gran pena.
Sonorit arabe, note acute e voci bassissime rispondono alle vibrazioni della
montagna e alle urla delle poiane che la sorvolano vorticosamente. Sono
stanco, ma non riesco a decidermi a lasciare la sala. Cantano per me, per
Batrice. Gli ho chiesto di cantare il Salve Regina, i dolori della Vergine. Le voci
si levano e io mi chiudo in me stesso. Batrice adorava questo canto. Cantano
guardandomi, la mano sinistra contro l'orecchio. L'emozione mi spossa. Se ne
vanno, non ho assaggiato quasi nulla, non ho parlato, non ho ascoltato niente
tranne questa polifonia crsa. Un pastore mi stringe la mano, inchinandosi.
notte fonda, Abdel mi mette a letto, tremo di febbre. Dormo poco.
Per la prima volta dal mio arrivo in Corsica - sono gi passati dieci giorni decido di accompagnare i bambini in spiaggia. Mia cugina Barbara, suo marito
Philippe e i loro sei figli sono al solito posto dei Pozzo, una cala che occupano
da trent'anni. Barbara ricama all'ombra della tettoia, come Granny vent'anni fa.
Passa il pomeriggio sorvegliando le truppe. Mi metto accanto a lei. Rivedo le
spiagge della mia infanzia.
Il mio amico Franois rimasto paralizzato per colpa di un'onda piccola
proprio come queste. Faceva il bagno con i figli piccoli e la moglie; i bambini
giocavano in acqua. Un'onda un po' pi forte delle altre li ha spinti. Si sono
rialzati tutti con grandi risa; tutti tranne Franois, rimasto con la faccia
sott'acqua. Hanno pensato che scherzasse. Quando si sono accorti che non
respirava pi l'hanno portato a riva: aveva la prima e la seconda vertebra
cervicale fratturate. Grazie alla fede e all'amore dei suoi ha resistito sette anni
senza muoversi dal letto. I medici non ci credevano.
Poi morto.
77

Alzo lo sguardo verso l'orizzonte. Le isole Sanguinaires si stagliano contro il


cielo. La storia vuole che prendano nome dagli appestati, i sangue nero, che
venivano portati l durante i quattrocento anni di dominazione genovese, dal
quindicesimo al diciassettesimo secolo. Un'altra leggenda racconta che la luce
del sole al tramonto colora le isole di rosso sangue. Penso a te, Batrice. La
dama fredda ha trascinato gli appestati su quegli isolotti. Loro sono stati messi
al rogo e le loro ceneri disperse su quella terra riarsa e sterile.
Barbara alza la testa dal ricamo. Assicura la successione, la continuit. tutto
a posto. Non preoccuparti, cuginet-to, la ritroverai. Guardo Abdel che gioca
coi bambini sulla spiaggia; Laetitia si concede alla morsa del sole. I suoi capelli
sono neri e lucidi, la pelle bianca. Adesso una donna. Il branco di Barbara ha
un fremito.
Li ritroviamo stasera sulla grande spiaggia di Capo di Feno.
Abdel mi carica sulla macchinina elettrica. Robert-Jean si infila dietro di me
per sostenermi nelle curve. Raggiungiamo il capanno di Philippe su una spiaggia
immensa, bella e pericolosa. L'improbabile ciurma mi trasporta sulla sabbia e mi
mette a sedere a un capo del tavolo. I bambini fanno il bagno nudi in un mare
tutto per loro. Mi lascio andare al torpore della risacca. scesa la notte; mi
rannicchio nella sedia. Delle ragazze mi salutano sorridendo. Mi assopisco fino
a quando i bambini non vengono a sedersi intorno al lungo tavolo sotto le
palme da cocco. Il cugino Philippe prende in mano la situazione. Per noi,
spaghetti al polpo - il polpo stato pescato l, questo pomeriggio - e un vinello
dell'entroterra, senza etichetta. I bambini s'abbuffano allegramente. Il giovane
Franois stato esiliato in fondo al tavolo. Ha il broncio. Gli faccio segno di
venirsi a sedere tra suo padre e me; farfuglia qualcosa con la erre moscia e il suo
gran sorriso; il pi delicato dei figli di Barbara. C' Marie con il gergo dei suoi
sedici anni; Titou, il pi piccolo, dagli occhi rotondi; Josphine, di cui
innamorato Robert-Jean come tutti lo siamo stati di sua madre. I bambini si
alzano da tavola per prendere un cono gelato e sparire nella notte. Quante
volte siamo venuti qui con Batrice! Ci passavamo le notti, soli. Lei era felice.
Al calduccio, ci svegliavamo di tanto in tanto con la risacca.
Verso mezzanotte riprendo a tremare violentemente. Faccio segno ad Abdel
che ora di levare le tende. Mi richiudo in me stesso. Ho dolore. Ne ho avuto
uno cos l'anno prima, con Batrice. Adesso per sono solo. Un dolore
stupido, meccanico: un blocco vescicale. Il catetere si blocca, l'urina viene
respinta dentro le reni, nel sangue. Ti sale alla testa e tu esplodi. idiota. cos
che Batrice morta in tre giorni. Resisto cinque minuti, poi mi lascio andare,
urlando come un animale.
78

Il cervello mi scoppia. Non vedo pi niente, soffoco. Per tre ore, Abdel
litiga con le tubature. Di tanto in tanto il catetere si libera, la pressione
scende, il cervello respira. Comincia a farsi avanti l'idea che tutto finito, fino a
quando una nuova scossa mi annichilisce.
Abdel passa la notte a purgare con delle siringhe lo sporco dalla mia vescica.
La mattina sudo, il letto bagnato, i dolori ritornano. Voglio raggiungere
Batrice, non reagisco pi. Abdel chiama un'ambulanza. Non c' soluzione,
bisogna aspettare, subire, non ribellarsi, riprendersi quando c' una tregua,
lasciarsi andare quando torna la crisi.
In ospedale c' un solo medico per il fine settimana. il caos. Le infermiere
sono contente di avere un Pozzo. Negli anni sono state ricevute al castello, e
via dicendo. Il medico parla di operare, Abdel fa resistenza passiva. Mi
mettono in osservazione. Non smetto di sudare a grandi gocce. Alle otto,
nuovo allarme. Il medico mi rimanda in ambulanza sui monti. Abdel mi mette
a letto. La notte terribile. L'indomani mattina esitiamo pi volte prima di
tornare in ospedale. Infine Abdel chiama perch ci diano un catetere di
diametro maggiore. Sudo sempre, ma rimane una condizione sopportabile per
una buona mezza giornata.
Nel frattempo arriva mia sorella Alexandra con suo figlio. Resto a letto, non
sono in grado di accoglierla. Alle due del mattino ho un attacco improvviso.
Non ricordo di aver mai sofferto cos tanto, un dolore inutile, come quello di
una donna che partorisce un bambino morto.
Per il nostro primo figlio, Batrice serrava le mascelle dal dolore e dalla
rabbia. Io urlo. Alexandra si sistema in una stanza in cima alla torre. Laetitia
con lei e singhiozza. Abdel impedisce a chiunque di entrare nella mia stanza. Si
d da fare per sbloccare la situazione. Un'ora dopo sono libero. Tremo tutto,
non riesco nemmeno pi a chiudere la bocca. Abdel preoccupato, non riesco
a parlare, cerco di evitare di mordermi, con tutto questo tremare. Respiro a
scatti. Ci vogliono diverse ore prima che il mio corpo rinsavisca. L'indomani
mattina, Abdel mi lascia dormire. All'una, come previsto, arrivano i nostri
cugini di Bastia. Chiedo ad Abdel di mettermi seduto.
La Corsica alla deriva, dice Antoine. La cosa lo rende triste. Seguo la
conversazione in modo distaccato. Alexandra lo ascolta. La cosa mi permette
di riposarmi in questa maledetta sedia a rotelle, dietro il cappello e gli occhiali
da sole, avvolto in una djellaba. Mi gira la testa, grandi gocce scorrono sotto il
cappello. Hlne, la moglie di Antoine, lo fa notare. Ci tengo a restare
comunque sino alla fine, per rispetto dei miei amici del Nord. Hlne una
donna delicata, un viso grazioso poggiato su un collo magro e allungato;
79

qualche anno prima ha subito un intervento alla mammella che l'ha guarita dal
cancro. Ha seguito gli ultimi mesi di Batrice con coraggio e compassione.
Guarda il mondo coi suoi occhi profondi. bella e silenziosa. Suo marito
analizza la situazione gustando il cinghiale crso preparato da Franoise.
Aspetto lo scalpellino. Vorrei che la lastra provvisoria sulla tomba di Batrice
venisse sostituita con un marmo rosa della Corsica. Lo scalpellino arriva, con la
sua testolina rinsecchita, la sua grande barba rossa e il suo carattere eccentrico.
Sono ventott'anni che si occupa di pietre tombali. La sua serenit e il suo senso
dell'umorismo portano una ventata di freschezza. Gli parlo dei miei ricordi di
bambino, dei suoi colleghi di un tempo, fuori dal cimitero marino di Ajaccio.
All'epoca erano in una cinquantina, a farsi concorrenza. Oggi lui l'ultimo
rimasto in Corsica. Ne va fiero, ma non tramander il suo sapere al figlio:
Tagliare pietre un mestiere senza futuro.
*
Alla fine la lastra provvisoria verr rimpiazzata da una composizione a
mosaico realizzata su mia richiesta da mia sorella Alexandra. Raffigura dei
crisantemi gialli e degli iris viola, l'assortimento preferito di Batrice.

80

Sabrya

Batrice giace sul letto. Tra pochi istanti i becchini la porteranno via.
La depressione mi travolge. I mesi passano. Ho smesso di combattere.
venuto il momento di lasciar andare Batrice.
Quando ballava mi faceva girare la testa; pi in l, l'ho sorretta malgrado
avesse le gambe coperte di piaghe. I nostri ritmi sono mai stati in sincrono?
In questa corsa sfrenata, non ho saputo essere all'altezza della sua precaria
energia.
*
Stamattina, come ogni mattina, per due ore venuta a occuparsi di me
un'infermiera. Questa non la conosco. Dice di chiamarsi Sabrya, che in arabo
significa pazienza. Ha l'et di Batrice quando l'ho conosciuta. L'ho scambiata
per lei. Eppure bruna, ha gli occhi a mandorla, lo sguardo nero, vellutato e
tenero. Ha la pelle opaca, color albicocca, dal tocco di pesca.
Ogni mattina l'aspetto. Quando la sento arrivare chiudo le palpebre. Lascio
che sia lei ad aprire i miei occhi arrossati dal dolore e dall'insonnia. Lo fa da
mesi.
Mi rade; il suo viso si avvicina al mio. Chiudo gli occhi, mi concentro sulle
sue mani delicate che mi distendono le rughe della notte. M'inebrio del suo
profumo; vorrei che mi restasse accanto fino a quando non vado a dormire.
Un giorno mi dirai che un po' mi ammiri. Avvicinati, voglio dirti una cosa.
No, lo so cosa mi vuoi dire.
S, Sabrya, vieni qui. Un giorno mi dirai che un po' mi vuoi bene. Con il tuo
bel sorriso. Vuoi andartene? No, Sabrya, dammi ancora una sigaretta, ancora
tre minuti, per favore, Sabrya.
No, devo andare, ho altri pazienti.
Sabrya, un altro bacio, per favore. Voglio dartene un altro dietro
l'orecchio.
No, non dietro l'orecchio, mi fa troppo il solletico, solo sulla guancia.
Si china su di me. Una volutt deliziosa, profumata. Mi dice che ha venti
profumi. Non sento nessuna differenza, sempre lo stesso odore.
Un giorno me lo dirai, se mi ami un po'.
Promesso, ti faccio un segno.
81

Se ne va con un gran sorriso: Ti chiamo!


Ehi! Sabrya, per favore, spegni tutte le luci.
L'ho convinta. Spesso, quando ha del tempo libero, mi tiene compagnia.
Siede sul letto in tailleur, minuta e delicata. Le parlo di Batrice, della vita che
ha davanti a s. Nascondo il turbamento che scatena in me. Quando parla non
vedo che le sue labbra ricurve, i suoi denti abbaglianti e la sua lingua maliziosa.
La immagino mentre mi bacia; sogno.
Una sera l'ho invitata a cena in un ristorante elegante di Parigi. Viene con la
madre. Sono entrambe vestite in modo sontuoso; Sabrya porta un tailleur
giallo, ha raccolto i capelli di un nero luccicante. Vedo per la prima volta la
curva delle ginocchia. Saadia, sua madre, fasciata in ricche stoffe con paillettes
d'oro; rosso e arancio sono i colori predominanti. Con curiosit guardano
questo mondo mediatico a loro estraneo. Saadia tace. Scambio con Sabrya le
nostre solite tenerezze. Porta alle labbra il suo bicchiere di CocaCola.
Appoggiato all'indietro sulla sedia, le chiedo con tono indifferente: Sabrya, mi
vuole sposare? Si china sul suo piatto, le guance rosse. Intravedo le lacrime.
Saadia le fa una domanda; nessuna risposta. Non avr mai una risposta.
Saadia mi ha invitato a cena nel loro piccolo appartamento, nel cuore di un
quartiere del quindicesimo arrondissement. Abdel s' fatto aiutare da tutti gli
adolescenti che passano dal cortile per portarmi fino al piccolo ascensore; con
la forza delle sue braccia mi mantiene in piedi dentro la gabbia. Bisogna salire
ancora di mezzo pianerottolo, incollato a lui, come un fantoccio disarticolato.
Mi tira su fino all'ultimo piano, lasciandomi andare in una stanzetta affollata di
pouf in cui la tv rimane accesa. Sabrya prepara il tajine; Saadia si siede accanto a
me. Non smette di parlare di cose che mi sfuggono; cerco di raddrizzarmi,
quando mi ferma con un: Lo sa, signor Pozzo, mesi fa l'ho vista tornare a casa
tutta contenta. M'ha detto che era innamorata.
La guardo in silenzio. Un giorno. L'ha detto a sua madre. Era contenta. L'ha
sorpresa che qualcuno la possa amare. Che ne stato di questa piccola
confessione di un giorno? Saadia mi spiega la tradizione del suo paese: la madre
deve seguire la figlia nella sua nuova casa. Sabrya la interrompe coi suoi soliti
modi sfrontati: Mamma, adesso basta! Il suo collo dorato si china verso di
me. La serata allegra. Dopo la cena, propongo a Sabrya una passeggiata.
Nell'anonimato della notte parigina la porto a spasso a bordo della mia sedia a
rotelle elettrica lungo le strade quasi deserte. Si siede di traverso, sulle mie
ginocchia; la dolcezza del suo braccio sinistro contro il mio collo, la carezza dei
suoi capelli sul mio viso. Dal mento, guido il mio destriero a tutta velocit, tutte
le luci accese, nel bel mezzo della carreggiata. Ride e canta per me. Non una
82

parola sul mio sogno. Le mormoro tenerezze: Adoro i riccioli naturali che hai
dopo la piscina, quelli che tu detesti perch ti senti troppo etnica. Te ne
accorgi che passi un'ora al giorno a stirarti i capelli all'indietro? Certo, ti libera il
viso, ma adesso lascia che i riccioli vengano gi. S, lo so che hai un seno
minuscolo e ridicolo, e i cuscinetti di cellulite; ti donano. I pantaloni ti
modellano. Vedo il tondo delle tue ginocchia, il tuo braccio intorno alla mia
testa e sento la dolcezza. M'interrompe scoppiando a ridere mentre un'auto ci
sorpassa.

83

Giro del tavolo

Il calore dell'estate ha invaso Parigi. I bruciori diventano insopportabili. Ho


40 di febbre. Anche il viso, finora risparmiato, s'infiamma. Le bolle diventano
croste: persino il cuoio capelluto tutto una crosta, solo le caviglie sembrano
libere. Non ce la faccio pi. Laetitia viene a sedersi sul mio letto per discutere
come organizzare le vacanze. Mi accascio e le chiedo di occuparsi di suo
fratello minore. Devo essere ricoverato, non ne posso pi.
Reagisce come avrebbe fatto Batrice. Chiama i miei amici. Mi trasportano al
centro Saint-Jean-de-Malte. Ho seguito dall'inizio alla fine la realizzazione di
questo centro per disabili gravi nel cuore di Parigi. Sono stato il disabile
modello per i pezzi grossi della citt, del consiglio regionale e dei donatori.
Marie-Odile, la direttrice, ha dato l'ultimo tocco al completamento della
struttura. Ci sono tornato sei mesi fa per mostrarla a Sabrya. Abbiamo pranzato
con Marie-Odile, circondati da disabili di tutti i tipi. Sabrya rimasta in silenzio,
spaventata da tanta povera gente.
Marie-Odile mi ha sistemato in un appartamentino con cucinotto, soggiorno
e bagno. Al piano terra, si affaccia su un patio alberato. Tutti i residenti
dispongono di un appartamento, possono viverci anche con la famiglia.
Impiego tre giorni a capire dove sono.
Le mie infermiere, Emmanuella e Fabienne, sono piene di premure.
Apprezzo il loro sorriso. Fabienne viene dalle Antille e ha gli occhi verdi. Suo
nonno era bretone. La chiamo la Bretone. Vive sola con una figlia di sei anni.
Emmanuella carina e giovane e viene da Guadalupe. Il suo rossetto rosso
scarlatto mi ha riconnesso. C' anche Brigitte. I residenti si dividono in quelli
che trovano che Brigitte sia la pi bella e quelli che optano per Foul, una
magnifica senegalese. Io preferisco Foul anche se sono tutte deliziose; anche
la piccola Nicole, che invece di farmi una smorfia mi sorride, mi consola.
Il dolore non molla. Le ragazze sono riuscite a mettermi seduto. Assisto al
pasto nella sala comune. Non mangio, ma sto con i pensionanti. Jean-Paul,
tetraplegico, ha la mia stessa et e il viso gonfio di sfoghi quanto il mio.
Armand non so cosa faccia qui: in grado di camminare. Un giorno, in piscina,
l'ho visto nuotare come un campione. Sicuramente ha un problema; mangia
fino a cinque bistecche a pasto, con le mani tremanti. Ho stretto amicizia con
Jean-Marc, un giovane martinicano di ventotto anni, sposato e padre di due
figli. Ha appena avuto un incidente, ma il suo sguardo trasmette ottimismo. Ci
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fa ridere, ci conforta. l'unico a ricevere moglie e figli nel suo appartamento.


Una piccola signora senza et cammina aiutata da un bastone; credo non voglia
pi uscire dalla struttura. Corinne, una rossa di quarant'anni i cui soli occhi
esprimono ancora qualcosa, un'ex alcolizzata. Eva la polacca, il viso sempre
reclinato, soffre degli stessi dolori di cui soffro io. Ha smesso di crederci.
Il giovane Eric scrive il suo progetto di vita per la direttrice: vuole portare la
propria testimonianza nelle scuole. Mi parla a lungo della sua angoscia, con la
laboriosa elocuzione di chi soffre di un disturbo motorio cerebrale. Gli capita
spesso di voler smettere di vivere, ma non osa farlo perch suo padre e i suoi
tre fratelli gli dicono che non ne ha il diritto.
Michel un gigante rammollito, inclinato sempre dallo stesso lato, lo stesso
dell'occhio destro che cade e che piange. Parla con un soffio lento; le
infermiere lo scuotono perch potrebbe farcela ma non ne ha il coraggio. Eric
e lui si detestano. Credo siano innamorati della stessa donna. Malgrado le
braccia rattrappite, Eric minaccia di tirargli una sberla; l'altro, silenzioso, allunga
il suo immenso braccio con infinita lentezza.
Il signor Baillet aggrappato a una tavola sistemata sulla sua sedia a rotelle.
Con l'indice dritto, cambia inclinazione ogni cinque minuti. Passa di continuo
dalla posizione orizzontale a quella verticale. Spiega spiritosamente di essere in
via di fossilizzazione, invaso dal calcio; cos, per ritardare il momento in cui sar
del tutto immobile, si agita come una bottiglia di gassosa. Non si lamenta mai.
Le infermiere mi hanno detto che ha passato un martirio.
Un altro pensionante, una massa di oltre centocinquanta chili, d prova di
violenza inaudita. Colpisce il tavolo con le sue due braccia rigide, spingendo il
corpo avanti e indietro. Le ragazze hanno paura di lui. Non dice una parola, ma
la sua testa enorme e rossa e i suoi occhi sporgenti chiedono sempre pi cibo.
circondato da quelli che chiamo i fratelli, due moribondi la cui testa
tenuta dritta da un collarino di plastica; praticamente non hanno pi il corpo,
non gli restano che ossa atrofizzate. Hanno colli sottili come dita. Un tubicino
disegna loro sul collo una grottesca cravatta a farfalla. I loro sguardi sono dolci.
La settimana scorsa erano in tre.
Il signor Carron, tetraplegico come me, si lamenta dei dolori; ha paura e ha
chiesto di essere trasferito all'ospedale di Garches. C' andato, tornato.
morto di prima mattina. L'abbiamo visto passare su una barella, una coperta sul
viso. Il mangiatore di carne ha detto che era morto, altrimenti non avrebbero
messo la coperta in quel modo. Qualcuno ha risposto che era meglio per lui
perch cos non avrebbe pi sofferto.
E poi ci sono tutti i miei altri fratelli. Quando sono con loro mi sento
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meglio.
Vivono tutti insieme ormai da tempo. Cos li ha sorpresi vedermi turista di
passaggio, pronto a ripartire. Ho promesso di tornare.
*
Aspetto Sabrya nella hall. Mi sono riposato tutta la mattina. Nell'ingresso,
altre tre sedie a rotelle circondano la ragazza alla reception, una bionda
portoghese. Arriva Sabrya con un vestito a fiori colori pastello, trasparente fino
a sopra le ginocchia rotonde. Porta scarpe beige con il tacco. Una bretella del
reggiseno bianco le attraversa la spalla scura.
I capelli sono pettinati all'indietro. Mi vede subito, mantiene il suo sorriso
per gli altri, dice buongiorno a tutti con la sua voce infantile e allegra. Ci
avviamo in direzione del parco di Buttes-Chaumont. Guido la sedia a rotelle
aiutato da una palla da tennis sistemata sotto il mento e collegata direttamente
al motore e alle ruote posteriori. Sabrya cammina alla mia destra. Mi preoccupo
di regolare l'inclinazione della palla in modo che lei mi possa stare accanto.
D'una allegria contagiosa, i capelli che brillano al sole, ride di tutte le
sciocchezze che dico. Quando esagero mi fa l'occhiolino, come se desse un
buffetto amichevole a una mano che non pi morta. Entriamo nel parco.
Giro la testa all'indietro, la guardo negli occhi e le dico stupidaggini amorose.
Di tanto in tanto lei batte i piedi: Basta, basta, continuando a ridere, oppure:
Philippe, adesso basta!
Durante la sosta, non ho pi male. Le chiedo i baci del giorno prima. Me ne
d con parsimonia all'angolo degli occhi. Arriviamo infine in cima al parco, a
una terrazza di ristorante. Sistema la sedia vicino alla mia e mi siede accanto. I
nostri visi sono vicini. Non smettiamo di guardarci negli occhi. Un bambino
boccoloso si avvicina senza fare caso a noi.
Sabrya, devo dirti delle cose, tra un po' ce ne andiamo sotto un albero e tu
mi aiuti.
Il suo sguardo si fa cupo.
Dimmi, Philippe.
No, tra un attimo, sono troppo agitato.
Un ragazzo prende l'ordinazione; lascia dei tovaglioli sul tavolo dietro di noi,
non li tocchiamo. Continuiamo a scambiarci tenerezze, a ridere. Sabrya
appoggia un braccio sul mio. Poi vuole sapere.
Ci allontaniamo, spostandoci sotto un albero. Bambini giocano sull'erba,
cigni poltriscono sullo stagno a cui conduce un sentiero di fiori. Ho liberato la
palla da sotto il mento. Sabrya mi si siede sulle ginocchia, mettendomi le
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braccia intorno al collo. Mormora che vuole parlarmi di s. Ha capito cosa mi


turba.
Mi parla dell'infanzia in paese, di un padre che odia per quanto era cattivo,
per le violenze che infliggeva alla madre.
Spesso scappava di casa col fratellino, per proteggerlo, ma sapeva che al
ritorno avrebbe trovato la madre in lacrime e segnata dalle botte.
Ha cinque anni. Sua madre aspetta due gemelli; incinta di sette mesi. Una
sera, la crisi del padre pi violenta del solito. Saadia teme per i figli e li porta
via con s, nella notte; ha una valigia, vuole scappare, raggiungere la sorella in
Francia. Alle prime ore del mattino, sulla banchina della stazione, aspettano il
treno da Casablanca. Il padre li trova, si avventa sulla moglie, la butta a terra e
la riempie di botte. Sabrya si allontana col fratello, che grida. Saadia urla
chiedendo di risparmiare i bambini che aspetta. Li perder entrambi.
Ancora oggi, Sabrya piange a quel ricordo. Non rivedr mai pi suo padre;
ha paura degli uomini.
Mi dice che sono il primo a parlarle con gentilezza e rispetto; che non vuole
la mia piet e, soprattutto, che non vuole perdermi. Pi parla, e meno oso
affrontare l'argomento furtivamente evocato una sera, al ristorante. Lei cerca
un padre, io sogno una compagna.
Tento un timido: Sabrya, se restassimo insieme... Ritira il braccio dal mio
collo, si china in avanti, lo sguardo fisso, le mani posate sulle ginocchia.
Quando sono con lei, quando il cuore mi esplode, dimentico che ho il doppio
dei suoi anni e che non mi ha mai preso in considerazione come amante.
L penso che morir. Vivr fino a settantacinque anni, che ben poco per
una famiglia di novantenni come la nostra. Vedrai i nostri nipoti nascere
mentre sono vivo. Le dico che se dipendesse solo dal mio cuore l'aspetterei.
Ma non posso garantire per il mio corpo. I dolori mi avvolgono come una
cappa. Appoggio la testa contro lo schienale, sono stanco. Si alza per
asciugarmi gli occhi, mi appoggia le mani sulle tempie.
S' fatto tardi. I bambini che giocavano sono rientrati alle loro case, i cigni si
sono appartati e i fiori sono ingrigiti. Ridiscendiamo al centro Saint-Jean-deMalte. Sabrya mi tiene la mano fino alla mia stanza. Aiuta le altre a mettermi a
letto. Poi resta qualche minuto seduta sul bordo del letto, la mano sulla mia
guancia. La ringrazio per tutto ci che mi d. Mi chiamer, pranzeremo insieme
luned. Mi bacia in fronte, mi chiude gli occhi. La sento appena andar via. Tutta
notte resto a occhi chiusi senza riuscire a dormire. Una notte di calvario.
Nelle tenebre mantengo la speranza. Aspetto i raggi di sole e chiedo di
essere spostato vicino alla finestra perch riscaldino il mio corpo sfinito. Ho
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sognato. Sabrya distesa nuda accanto a me. I nostri due corpi sono orientati
nella stessa direzione. Si piega in posizione fetale. Immagino la dolcezza delle
sue gambe, immagino di posare la testa tra i capelli che le partono dalla nuca
delicata. Mi sono addormentato dentro i suoi profumi, dentro questo sogno.
Passer con me gli anni che ci restano, avremo un sacco di bambini. Durer
fino alla fine dei tempi. Parler coi miei figli, rider insieme a Laetitia. RobertJean sar un po' innamorato di lei.
L'ho sognata felice con questo curioso personaggio di un altro mondo.
Chiudo gli occhi al sole. Nell'arancione delle mie palpebre, la vedo che
m'accompagna. Non la mia compagna, ma la mia compagnia, che avr il
diritto di baciare dietro le orecchie mormorandole i miei dolci sogni.
Ovviamente, dovr amarmi. Ma su questo non possiamo farci niente; o
succede o non succede. Forse non succeder mai.

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Orizzonte

Sono a letto da tre giorni; brucio. Tre giorni di temporali a Parigi, e


nemmeno una goccia che riesca ad alleviare il mio bruciore. Abdel mi rinfresca
la fronte e gli occhi con un guanto di spugna; aspetto. Di tanto in tanto, lo
intride d'acqua fresca e lo appoggia, piegato, contro il mio collo, nel punto in
cui pulsa l'arteria. Paziento con questa cadenza.
La notte di sabato non ho dormito; i fari delle macchine sul soffitto
battevano il tempo.
Una grossa mosca venuta a distrarmi; c' stato come un cambio
d'atmosfera: prima e dopo la mosca. Avrei voluto altre mosche a distrarmi, ma
prima e dopo quella non ce ne sono state pi. Ai nostri giorni non ci sono pi
le mosche che sbattono contro i vetri, che si posano per pochi secondi da
qualche parte e ricominciano il loro ronzio. Quella l ha fatto un solo volo; ho
atteso disperatamente che tornasse.
L'oscurit prende piede; i contorni sfumano, il corpo fluttua dentro il suono
del letto che ondeggia. Il bruciore ha invaso questo letto all'infinito. Mi ricordo
la dolcezza del suo corpo e delle sue lenzuola. Ho chiuso i miei occhi rossi, la
gola serrata, le contrazioni disturbano il ritmo del letto e del gatto. Non ci sono
pi lacrime a stordirmi. Immagino la sbarra di metallo che ho nel collo e che
unisce questo corpo naufragato, insopportabile, a questa testa che non vuole
pi dormire. Non ripensare al passato; trovare un'immagine fresca che si fissi
dietro le mie palpebre. Sempre Batrice. Giro la testa dal lato dove sarebbe
dovuta essere. Le orecchie ronzano nel silenzio; si sente un battito del cuore.
Niente sonno, niente riposo. Sogno gli ultimi secondi della mia caduta, avrei
dovuto. Devo concentrarmi sui miei figli. Il resto una speranza dolorosa;
resistere. Non addormentarsi per sempre. Aspettare l'infermiera del mattino.
Domenica Abdel m'ha svegliato all'una. Pensava che non respirassi pi.
Un amico che non vedevo da vent'anni s' invitato a pranzo. Vent'anni, o
ieri, lo stesso.
Bisogna aspettare.
I vietcong hanno seppellito vivo mio zio Franois, missionario in Vietnam.
Hanno lasciato fuori solo il collo e l'hanno torturato finch non morto.
Come me, era paralizzato, ma lui era tenuto al fresco dal mucchio di terra. Era
solo la testa a bruciargli. S' isolato nella preghiera. Io aspetto che il cielo mi
cada addosso.
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L'amico arrivato, come quelli passati questi ultimi tre giorni, come le
telefonate a cui non ho risposto.
andato via, dopo avermi ricostruito i suoi ultimi vent'anni senza che io
dicessi una parola. Non sapeva che altro dire; c'erano giorni della sua vita che
prendevano minuti interminabili e poi liquidava un anno in pochi secondi.
Resto tutto serio in fondo al mio letto.
Oggi passato Marc, il kinesiterapeuta; non ho nemmeno seguito i
movimenti che faceva a questo corpo inerte. Ha cercato di farmi ridere.
Alain de Polignac, principe amico, mi ha raccontato la champagne. Non me
la ricordo pi.
Abdel mi ha acceso una sigaretta. Il bruciore nei polmoni una delizia.
La frescura dell'acqua del torrente di Vizzavona, sopra Ajaccio, m'invade
come quando ci bagnavamo, bambini, o pi tardi, nudi, con Batrice. Il
bruciore e la morsa del freddo si confondono.
Aspetto l'oscurit.
Col passare dei giorni e delle settimane, ho perso il filo della memoria, il
passato s' appiattito. inerte, come me.
Il brioso, l'irrequieto, l'ambizioso, il goloso, non ha pi voglia. Colpa mia.
L'ho ucciso. Il futuro non pu essere che peggiore. Nessun'altra donna mi
stringer tra le braccia. Io sono brutto, lei se n' andata. Staccate la spina! Non
chiedetemi niente, non ho pi la forza.
Il corpo non reagisce pi. 34 gradi di temperatura, sessanta di pressione.
Alzo la testa, giro lo sguardo. Di tanto in tanto le infermiere cercano di farmi
una doccia. L sprofondo nel buio. Non voglio pi uscire.
Sono a letto. L'allergia mi divora di nuovo il viso. Ascolto la mia stazione
radio preferita, le Variazioni Goldberg, meravigliose.
Se finisco di raccontare questa storia forse perch c' una donna al mio
fianco e ho ritrovato il mio secondo fiato. La sua presenza mi riporta nel
mondo degli umani.
Devo essere ricoverato. Al risveglio ho gi freddo.

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Canti dell'ora

Il gatto morto di Aids.


Da qualche giorno aveva smesso di mangiare, come me. Non aveva pi la
forza di salire sul mio letto. Lo guardavo dal vetro della porta della mia camera,
rannicchiato in corridoio. Miagolava in modo strano, senza nemmeno alzare la
testa. Solo una volta ha accettato del tonno. Laetitia mi ha detto di farlo vedere
al vet', io sono rimasto a guardarla inebetito. Abdel s' offerto di portarcelo.
Il veterinario mi ha chiamato: Probabilmente si tratta di un virus, ma
bisognerebbe fare degli esami. Abdel l'ha riportato a casa; ha trascorso la sua
ultima notte con me. L'indomani era morto.
Non una parola su Fa Diesis, il gatto che accompagnava la mia insonnia
cronica.
Solitudine, ti odio e ti amo. Me ne andr dolcemente nel buio, leggero.
Condivido la freschezza della tua tomba. Toccami la fronte, restami accanto
stanotte, voglio sentirti respirare. Ieri un neonato ha fatto il suo sonnellino
accanto a me. Gli ho parlato. Il corpo solo, la testa pure. Spegnetemi la
sigaretta. Ho sete. Poi sar peggio. Bisogna sedurre, sorridere; un muro di
lacrime. Silenzio bianco incandescente.
La solitudine mi offende. lei, soprattutto, a oscurare il mio avvenire.
Prigioniero della paralisi, delle sofferenze fisiche e morali, tenuto a distanza
dallo sguardo degli altri, come far a sopravvivere quando i miei figli saranno
andati via, anche se, nei miei sogni, faccio parte della loro vita famigliare? Gi
oggi mi capita spesso di pensare che vorrei starmene in un istituto
specializzato, a ricevere un trattamento contro i dolori, a scapito di quel che
resta della mia lucidit.
Che succeder tra qualche anno, quando una nuova solitudine si sar
aggiunta a quella di oggi, quando la mia condizione fisica non potr che
deteriorarsi? Mi dev'essere concesso un futuro. Sabrya non pu restare un
sogno.
*
Immaginate che sia cos. La sera della Grande Abbuffata, i morti risorgono.
Non una reincarnazione qualunque: una vera resurrezione del corpo; il Cristo
resuscita col suo corpo umano, con le sue piaghe, che fa toccare con mano a
91

Tommaso. Attenzione, niente scherzi! Tu non mi resusciti con il mio corpo da


paralitico. No, mi resusciti trasfigurato, come te. Anche Maria Maddalena ce ne
ha messo del tempo, per riconoscerlo.
Era bello e luminoso. Io sono bello come nella foto appesa nella stanza di
Laetitia, la camicia azzurro cielo aperta e, dietro, uno sfondo di mimose, sulla
riva del lago di Geneva nell'Indiana. L avevamo uno chalet.
Per tre giorni mi hanno lasciato sullo stesso letto dov'era stata composta
Batrice; ero vestito con il mio abito grigio antracite, una camicia bianca col
collo all'inglese, la cravatta a quadretti grigia e bianca da nonno, la pochette
nera con la firma in bianco Cristo Lacroix, i capelli corti come sempre. Essere
stato coperto con un plaid che non s'intonava col vestito m'ha innervosito;
anche perch faceva paralitico, e poi non avevo affatto freddo. Quando il
Cristo apparso agli apostoli, loro si sono sorpresi perch non passato n
dalla porta n dalla finestra. il vantaggio del nostro corpo umano trasfigurato.
Comodamente sdraiato, senza paralisi n sofferenza, posso muovermi, ma loro
non lo vedono. Mi ammazzo dal ridere senza che se ne accorgano quando il
bastone di Raymond s'impiglia nel tappeto del salotto e lui si aggrappa alla
chaise longue. Vedere il conte cadere dalla sua chaise longue ha creato
scompiglio, hanno urlato terrorizzati. Solo Batrice e i bambini mi hanno
sentito ridere.
A un certo punto, ma non so a che ora, Laetitia e Robert Jean sono voluti
restare soli con me; stato allora che mi hanno visto sorridere, ma la cosa
rimasta tra noi. Adesso sanno che sono con Batrice, e non soffro pi; che lei e
io vegliamo su di loro con amore infinito. Figli miei, vi abbiamo amato come
noi stessi, vi amiamo come noi stessi.
Li vedo camminare tutti, alcuni con una stretta al cuore. Sabrya, miraggio;
pap, fedelt; mamma, tenerezza; Granny, rispetto. Zia Eliane ha il suo bel
tailleur azzurro che le si intona con gli occhi, adesso arrossati dal dolore.
Durante la messa, Nicolas e Sophie cantano gli stessi brani che hanno
cantato per Batrice.
Ci sono anche i teneri pensieri azzurri dell'amico sulla mia bara, e un
pavimento coperto di fiori bianchi.
La mia delicata suocera si appoggia al braccio di Anne Marie e di JeanFranois per salire al cimitero di Dangu. Mi rallegro nel vedermi circondato da
tutti questi bambini. I becchini richiudono alle mie spalle la lastra col mosaico
di crisantemi gialli e iris viola. Si regge su quattro punti per impedire che io e
Batrice restiamo bloccati. Non necessario, ma un pensiero gentile.
Ciao, pazzerella! Ci sei, signora Pozzo? Pozzoletta, sono io! Ba, tesoro,
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Batrice, amore, sono io!


Nessuna risposta. I rumori dei vivi si interrompono.
Rispondimi, non ce la faccio a restare da solo in questo buio.
Le tenebre si illuminano, Batrice pi che mai uno splendore. Piango nel
ritrovarti. Mi sei mancata troppo; non avresti dovuto lasciarmi queste pagine
nere. Sabrya, dici? S, era bella, dolce e tenera; stato il mio amore-fenice per
questa parentesi terrena, chiusa per sempre. Adesso che sono cenere, dovrai
condividere i miei ardori di risorto. Vuoi cominciare subito? No, ho cos tante
cose da raccontarti. Le sai gi? Ah s, vero. Andiamo a passeggiare sotto le
stelle, cammineremo fusi l'uno nell'altra. Fermiamoci, vorrei riprendermi i baci
che mi mancano. Sai, i bambini stanno bene.
...Abbracciami... per sempre...

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Libro II
Il diavolo custode

Pater noster

Padre nostro che sei nei cieli


Restaci.
E noi resteremo in Terra
Qualche volta cos bella
Jacques Prvert, Pater Noster
Una brutta infezione polmonare impediva all'ossigeno di irrorare il cervello.
Ho perso i sensi. E come sempre al risveglio da un mancamento, la testa
ricomincia a funzionare delirando; ho fatto una deviazione in paradiso.
Mi sono ritrovato in un letto d'ospedale, credo a Garches. Ah, finalmente
tornato sulla Terra! esclama Abdel. Sono cinque giorni che delira; proprio un
bello scherzo! Era del tutto partito, e tra lei e le sue due vicine qui sembrava
una gabbia di matti!
Le due non tardano a manifestarsi con un vivace battibecco. Una
inchiodata al letto, ed la pi maligna, l'altra invece fa la povera bambina e
viene di continuo a sollecitare il mio aiuto. Le manca qualche rotella, non
capisce che non riesco a muovermi. Prese insieme arrivano quasi ai due secoli
d'et. Io brontolo: Quanto andr avanti questa solfa?
Dice che non riesce a camminare: Mi stanco!
Ognuno ha i suoi problemi.
Oggi posso sedermi sulla carrozzella e vedere l'altra donna. Non facile
distinguerla sul letto, circondata da sbarre che le impediscono di raggiungere la
vicina con la sua volont omicida. Non ha volto, solo un cranio con una zona
infossata, i capelli sono ancora folti. Distesa su un fianco, gli occhi puntati sulla
porta d'ingresso, si esprime in una lingua misteriosa. La mia vicina dice che la
lingua del diavolo. La voce, rauca e tesa, certamente non umana; nuda ed
emana follia per tutta la stanza.
Cerco di spiegare alla mia vicina che non bisogna criminalizzarla; dietro ogni
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aggressione, per quanto incomprensibile, c' un essere che soffre. Ma tempo


perso. Fa impazzire le infermiere. Svolge ogni sua attivit organica, comprese le
pi naturali, urlando con un tale furore che dopo ci vuole un'ora per riportare
la stanza alla normalit. S, pazza, e comunque molto sola. L'altra, novant'anni
almeno, continua a ripetere: Non ne posso pi, non riesco a camminare, mi
sento troppo stanca, che cosa posso fare ora, caro signore, vieni a vedere, vieni
due minuti, due minuti, vieni.
Non ha ancora capito che sono paralizzato; chiamo Abdel, che l'allontana. A
volte si passa una mano sul viso, sembra piangere, poi rientra in camera: Che
ne sar di me?
Allora torna a essere una bambina piccola, tutta sola e indifesa; come si pu
lasciare in questo stato un'anziana?
Abdel, mi faccia uscire da qui!
Non mi avranno, neppure questa volta! Sono quasi vent'anni che resisto.
Avrei diritto a un posto nel Pantheon dei tetraplegici. Eppure non merito
mio.
- Sono molto fortunato a non essere finito in un istituto specializzato. Come
si pu sopravvivere quando si circondati giorno e notte dalla disperazione di
altri disabili gravi, quando li si sente singhiozzare, gridare, passare senza alcuna
reazione davanti a una camera che qualcuno sta disinfettando?
- Il dolore nutre la mia collera, non riesco a placarmi con tutto questo
malessere.
- sempre presente una donna eccezionale. Batrice, abbandonata
sull'ultimo vascello che risale il fiume, le compagne, Clara, e Khadija per quanto
riguarda il vicino Oriente.
- I figli: i due pi grandi, Laetitia e Robert-Jean, poi Sabah, l'aurora, e
l'ultima, la nostra piccola Wijdane, anima profonda.
- Abdel, il traghettatore tra la riva del fiume e la costa oceanica.
Amo anche il sapore del caff la mattina, a colazione.
Per i miei sessant'anni Khadija ha organizzato una festa a sorpresa nella casa
di Essaouira. Ha predisposto tutto in modo che io arrivi da Marrakesh dopo gli
invitati, che saranno un centinaio. I miei figli, mia madre, zia liane, la suocera
Lalla Fatima con i suoi parenti, Anne-Marie, la famiglia crsa, gli amici francesi
e marocchini, Yves e Max, miei compagni di parapendio, Abdel, e infine ric e
Olivier, i registi del film.
Stanco per il viaggio e l'emozione, improvviso un discorsetto per ringraziare
i presenti e i nostri amici pianisti che ci regaleranno una magnifica serata
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musicale.
Dolce sposa,
prima di tutto un pensiero per chi ci ha lasciato: la mia cara suocera che
aveva saputo prendersi cura con tanto coraggio di sua figlia Batrice, Granny,
mio padre il duca, che se ne andato dopo aver conosciuto la sua nipotina
Wijdane.
Sessant'anni! Avevo dimenticato. Non si mescolano carne e 'vegetali' questo un gioco di parole di Abdel - quindi sono quarantadue anni da
normale e diciotto di invalidit, e questi ultimi valgono sette ciascuno, come
per i cani. Fate voi il conto!
Ringrazio Abdel che mi ha aiutato quando sono uscito dall'ospedale,
vent'anni fa. Molto presente nel periodo della morte di Batrice, mi ha
accompagnato in quegli anni difficili, insieme ai miei figli, salvandomi la vita
numerose volte, sino a portarmi in Marocco, dove ho avuto la rivelazione di
Khadija.
Ho ritrovato il gusto della felicit.
Abdel il diavolo custode trasformatosi, dopo tanto vagare, in un
improbabile sostegno alla mia vita. Questo desperado, ostile a tutti, ribelle a tutto,
oggi sposato e padre di tre figli. Ha fondato una ditta dove si toglie il gusto
malizioso di ingabbiare tutti quei polli che per troppo tempo l'hanno fatto
correre.

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Il ragazzaccio

Si dichiara alto un metro e settanta, ed una forza della natura; un Cassius


Clay... in piccolo. Mohamed Ali mi corregge lui. Ha mani che sembrano
magli, capaci di fracassare una testa. Per non parlare delle numerose fratture alla
mandibola e via discorrendo. L'avversario crolla senza aver neanche visto
partire il colpo. Abdel impallidisce appena. Ma non a lungo, presto ritrova il
sorriso.
Un volto molto squadrato, una mascella importante: lacera la carne con un
unico colpo di denti, pu ingurgitare tre chili di montone; un vero tritasassi.
Il mento volitivo, ha piccoli occhi vivaci e sorridenti, sempre in movimento.
Capelli tagliati a zero, quasi rasati, per il resto curato, sempre vestito con abiti
di marca.
Abdel parla poco del suo passato di ragazzaccio. Nel corso degli anni scopro
una parte della sua adolescenza turbolenta.
Avevo notato che riusciva a fare i cento metri in un lampo.
Avrebbe dovuto continuare a fare sport.
ora non ne ho pi bisogno!
E perch mai?
I cento metri servono solo quando hai gli sbirri attaccati al culo!
...
Eh s, nel raggio di cento metri c' sempre una fermata del metr, basta
raggiungerla e il gioco fatto!
Ah, certo. eppure questo non le ha impedito di farsi pizzicare!
Mi aveva confessato, qualche anno dopo che l'avevo assunto, di essere stato
in prigione.
Solo qualche mese aveva precisato.
E per quale cretinata?
Niente, stupidaggini! Ci siamo fatti beccare, tutta la banda.
Avrei avuto l'occasione di conoscere la banda pi avanti, quando Abdel la
reclut al completo per la nostra agenzia di noleggio di automobili. Se non
altro eravamo certi che conoscessero bene la polizia!
E siccome adora le provocazioni, non ha ritegno a raccontare questi dettagli
ai miei amici altolocati: Bisogna capire che le prigioni in inverno sono
riscaldate, ci si sta bene, c' la televisione! Il suo argomento preferito in
presenza dei miei amici lo stato assistenziale. Perch mai uno dovrebbe
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lavorare, scusi? Ho un reddito minimo garantito, facilitazioni per la casa, cure


mediche gratuite. No, no, la Francia bella. Non si deve cambiare niente.
Dalla faccia dei miei ospiti capisco che in questo modo sta conquistandone a
legioni per l'estrema destra del Front National. Sottolinea a bella posta i suoi
trascorsi da truffatore e la sua carriera da delinquente. Alcuni miei amici, di
nascosto, manifestano preoccupazione per la presenza di un individuo del
genere al mio fianco: La mia specialit lo smistamento dei camion insiste.
Si tratta di recuperare i camion rubati, spartire la merce tra i membri del
gruppo e filarsela. Non si accettano assegni!
Sospetto che non abbia mai rinunciato a questa attivit. Mi sono spesso visto
offrire profumi di marca, cellulari, computer portatili, sistemi hi-fi, televisori, e
rifiuto sempre.
Abdel, sa bene che non posso accettare questo genere di merce.
Ma no, si fidi, tutta roba di buona qualit!
Per il compleanno mi ha regalato, ben avvolto in una confezione regalo della
Fnac, uno splendido lettore mp3 che pu contenere duecento CD. Cos posso
ascoltare la mia musica classica per quattro giorni di fila. Mi porge la ricevuta,
malizioso: Questa le serve se dovessero esserci problemi con la garanzia; un
vero regalo!
Abdel, lei continua a mantenersi al margine della legalit; frequenta
magnaccia, ricettatori, trafficanti di droga...
Mi interrompe: Ah, no, io non ho niente a che fare con il giro delle donne,
e nemmeno con quello della droga. contro i miei principi religiosi.
Non beve e non fuma, e per tutto il resto si mostra abbastanza tollerante.
Confessa a Mathieu Vadepied, direttore artistico del film, che sta realizzando
un documentario sui protagonisti (sia gli attori, sia quelli veri), di aver trascorso
diciotto mesi in prigione per rapina; qualcosa di ben pi serio di una
stupidaggine.
Sono a letto da vari giorni; Laurence, la mia segretaria, scrive sotto dettatura.
Nella stanza si presentano due poliziotti: vorremmo farle alcune domande su
un individuo che stato fotografato stanotte dall'autovelox; nei nostri schedari
il veicolo che conduceva risulta intestato a lei.
Chieda pure, agente.
Mi mostra una fotografia di Abdel al volante di una delle mie belle
automobili.
S, s, la riconosco. Laurence, potrebbe dare un'occhiata in cortile per
vedere se c' la Jaguar blu?
Laurence, che ha capito il gioco, risponde: No. Quella non c'.
98

Ma... non possibile! L'avranno rubata?


Non saprei.
Lei conosce questo individuo?
No. Sapete come si chiama? E lei, Laurence?
Laurence si china sull'immagine e fa, con aria innocente: No. Proprio non
lo conosco.
I poliziotti non sono stupidi, ma di fronte a un tetraplegico sprofondato nel
dolore, alla sua impeccabile segretaria in minigonna, e in quella cornice,
cominciano a sentirsi meno sicuri: Senta, se dovesse avere notizie della sua
automobile, o di questo individuo, non esiti a contattarci.
Ma certo. E molte grazie per la visita.
Quando glielo racconto, Abdel piange dal ridere.
Mi hanno fotografato sul lungofiume a pi di centocinquanta all'ora!
E bravo Abdel. E l'automobile?
Ecco quel che rimasto, si scontrata con un muro dice, porgendomi le
chiavi.
Fa anche una smorfia di dolore: si fratturato il bacino e dovranno inserirgli
due protesi alle anche, ma si tiene in piedi.
In occasione del talk show di Mireille Dumas su France 2 Vie prive, vie
publique, Abdel racconta l'incidente con l'automobile. La conduttrice, sbalordita,
si rivolge a me: La prego, mi dica che non vero!, ma con grande vergogna
non posso che confermare l'accaduto e Abdel, tanto per rincarare la dose,
aggiunge: Ne sono capitate tante altre!
Affermazione certo un po' fuori luogo, visto che l'argomento della
trasmissione era la triste quotidianit dei disabili. Abdel non un virtuoso delle
sfumature!
Abdel e le automobili, invece, potrebbero dar vita a un romanzo: oltrepassa
regolarmente i limiti di velocit, entra nei sensi vietati, sta sempre incollato alla
vettura che lo precede, ignora i semafori, guida a occhi chiusi e sono sicuro che
sto dimenticando qualcosa. Si dato il soprannome Ayrton Abdel.
Un giorno partiamo per Dangu per seguire i lavori a un edificio del XVIII
secolo che sto ristrutturando. Abdel gestisce il cantiere. La Rolls-Royce fila
sull'autostrada a quasi duecento chilometri l'ora.
Pu far meglio, non sono ancora a tavoletta.
Abdel, per favore, non stia cos addosso alle auto che ha davanti, e cerchi di
guidare con attenzione!
Merda, ci sono gli sbirri al casello esclama lui. Che dice? Gli facciamo il
numero del pronto soccorso? e intanto reclina il sedile elettrico.
99

Il poliziotto gli chiede di accostare. Io, con gli occhi chiusi, faccio la mia
parte. Siamo a 205 spiega Abdel. un'emergenza, il signore nel pieno di
una crisi ipertensiva.
Dal mio angolo faccio partire qualche lamento. Abdel mi solleva una mano e
la fa ricadere, per mostrare che sono paralitico.
Se non lo intubiamo subito gli scoppier la testa dice, esibendo la mia
tessera da disabile. Esitazione e consulto tra colleghi. Tornano con le loro
motociclette, lampeggianti accesi, e ci fanno strada a tutta velocit verso
l'ospedale di Vernon. Che spasso si entusiasma Abdel.
All'ospedale uno degli agenti chiama i medici di guardia. Abdel sistema i
cuscini antidecubito sulla barella e mi estrae dalla vettura sotto gli occhi
sbalorditi dei poliziotti.
Non avete un guanciale per sostenergli la testa? chiede al barelliere. E al
medico: Bisogna inserire un catetere sottopubico, un blocco della vescica.
Mi schiaffeggia per riattivare la circolazione. I poliziotti salutano e se ne
vanno, ma Abdel non risponde, troppo indaffarato: Abdel, cerchi di non
esagerare gli sussurro, e pi forte: Abdel, cos' successo? Ho mal di testa.
Ah, finalmente si sta riprendendo, signor Pozzo! Allora non niente,
dev'essersi sbloccato con il trambusto del viaggio.
Poi, rivolto all'infermiere: Potrebbe aprirmi la portiera?
E mi risistema a bordo.
Per la cronaca, riuscimmo poi a raggiungere il cantiere allestito dalla
squadra di Abdel nella splendida scuderia del XVIII secolo di mia propriet.
Le antiche boiserie erano state divelte e servivano come combustibile per
cuocere l'agnello mechoui nel grande camino, anch'esso d'epoca. Per contro, gli
infissi nuovi non resistevano alle intemperie e gi si imbarcavano, e una
persona sana non avrebbe mai potuto salire al primo piano senza sbattere la
testa contro il soffitto della rampa successiva. Ma per lei non c' problema,
no? E per gli altri, troveremo qualche carrozzella extra!
Non si poteva accedere direttamente dalla sala da pranzo alla cucina,
bisognava passare da fuori, mentre nel mio bagno la porta era stata montata a
rovescio e la carrozzella non ci passava. E l'elenco potrebbe continuare! Chiusi
immediatamente il cantiere.
Al ritorno fu la solita storia. Abdel, ma cosa fa, dorme? Non vede che
quasi addosso alla macchina davanti?
Non si preoccupi!
E, per l'ennesima volta, Abdel riusc a tamponare un'automobile che aveva
rallentato davanti a lui.
100

Posso capire l'incredulit di Mireille Dumas.

101

Le cappuccine di Rivire-du-Loup

Va sempre peggio. L'inverno parigino si allunga dolorosamente. Ho il viso


gonfio per l'allergia e il morale sotto i piedi; non riesco ad alzarmi dal letto, le
tende nella stanza restano tirate. Solo la musica riesce a penetrare il mio spirito
inerte, senza pi orari, senza pi visite. Il testamento musicale di Richard
Strauss, i suoi ultimi quattro Lieder, ripetuti incessantemente, celestiale. Abdel
avverte il cugino Antoine, sempre presente nei momenti difficili. Sicuramente
piango; ma male. Me ne sono dimenticato. Abdel mi copre con un panno
bagnato, una borsa del ghiaccio sulla testa. Mi sento mancare.
Antoine consulta il gruppo degli amici e propone un ritiro alla foce del San
Lorenzo, in un piccolo monastero vicino a Rivire-du-Loup, in Quebec, tenuto
da monache cappuccine.
Con quindici giorni di agapeterapia, cio di 'terapia dell'amore', dal greco,
l'individuo si libera da ferite e macchie del passato, di qualsiasi natura siano, in
un clima di pace, discrezione e condivisione precisa Antoine (e Abdel si frega
gi le mani).
Abdel, stiamo parlando di un'esperienza spirituale, sia ben chiaro.
E vai con le cappuccine! esclama entusiasta.
Ho informato le cappuccine della presenza di un infedele, indispensabile
durante il mio soggiorno.
Un'emittente televisiva canadese di credo evangelico che festeggia i dieci
anni d'attivit mi ha invitato a intervenire in una trasmissione. Mi avevano gi
intervistato a Parigi. L'intervista, assai critica rispetto ad alcune posizioni dei
cattolici, era stata replicata pi volte in Canada: l'aristocratico tetraplegico
chiuso nel suo bel palazzo e dal parlare forbito aveva fatto colpo. Confermo la
mia presenza alla loro trasmissione, la cui data coincide con la fine del nostro
ritiro nel monastero.
Durante il volo Abdel si fa servire ben tre pasti.
Al nostro arrivo a Montreal lo incarico di noleggiare un'automobile; lui torna
con la cosa pi grossa che riuscito a trovare, una Lincoln Continental, cio
una limousine dai vetri fum. Nevica sulla citt e noi dobbiamo trascorrervi una
notte. Abdel propone di cenare sul viale pi frequentato; individua un
Kentucky Fried Chicken, si abbuffa di pollo e sbircia le pollastrelle che
passeggiano sul marciapiede. Gli proibisco di farsi riaccompagnare in albergo da
una di loro e mi risponde, offesissimo, di non aver mai dovuto pagare per certe
102

prestazioni.
Il giorno dopo, partenza all'alba per percorrere mille chilometri a passo di
lumaca. Abdel inserisce il regolatore di velocit e sonnecchia per tutta
quell'interminabile autostrada. Ci troviamo ora su una provinciale innevata che
costeggia il San Lorenzo; si fatta notte e Abdel si perso, perch non capisce
le indicazioni degli autoctoni. Alla fine, dal nulla, a strapiombo sul fiume, sbuca
un lungo edificio in legno. Parcheggiamo e una vecchia suora cappuccina, vede
Abdel?, il cui ordine impone voti di povert, e di castit Abdel!, ci accoglie in
saio e sandali in mezzo alla neve. vi sono altre vetture parcheggiate, pi
modeste; la monaca sembra sorpresa dalla nostra vettura e dagli occupanti.
Abdel apre la carrozzella e mi estrae dal sedile; momento di panico della santa
donna quando sono colto da una serie di spasmi muscolari. La madre superiora
non ha mai avuto a che fare con pellegrini della nostra confraternita; annuncia
le regole da osservare rigidamente: silenzio, ala riservata alle donne, e qui lancio
ad Abdel uno sguardo eloquente, e orari. La camera di Abdel sormontata da
un cartello: Qui abita Dio.
Normale commenta Abdel. La faccenda non inizia sotto i migliori auspici.
Il programma della giornata spartano: sveglia alle sette (per noi alle cinque
e mezzo), e luci spente alle dieci e mezzo di sera.
Abdel si annoia; non sa pi a che santo votarsi, o a che seno poppare, come
direbbe lui. Il luogo isolato, la neve alta, e la visibilit ridotta da una densa
nebbia che durer per tutto il nostro soggiorno. Non osa quindi allontanarsi
pi di tanto, anche per timore che io possa avere dei mancamenti, cosa che
succeder a pi riprese. Di giorno ammazza il tempo e di notte corre la
cavallina. Non sono certo i divieti e le porte chiuse a fermarlo.
Noi pazienti siamo circa una cinquantina. Sin dalla prima riunione mi
rendo conto che questi uomini e queste donne di tutte le et sono degli invalidi
della vita. Dietro un'apparenza normale si nascondono drammi che risalgono
spesso all'infanzia: incesti, pedofilia, a volte subita da parte del parroco, stupri e
altro ancora. Ho visto gente anziana sciogliersi in lacrime: ci erano voluti pi di
cinquant'anni per riconoscere la propria ferita. Resto colpito dallo spirito di
compassione che regna ovunque. Queste persone non soffrono fisicamente,
ma di dover convivere con i loro segreti. Ci troviamo tra perseguitati; basta che
uno solo inizi a confessarsi perch tutti gli altri lo seguano. Finalmente
comprendo la ragione delle decine di scatole di fazzoletti di carta sparse in ogni
punto del salone; per chi ha problemi psicologici, come pane benedetto.
Disteso sulla mia scomoda carrozzella, ricoperto da un lenzuolo bianco con
cui Abdel ha deciso di abbigliarmi (confessa di essere rimasto impressionato da
103

un'immagine trovata nella sua stanza che rappresenta la sepoltura di Cristo


avvolto nel sudario), sono l'unico a non piangere su se stesso. Soffrire di
mancamenti e di dolori non nulla rispetto a tutti questi orrori finalmente
espressi. Impressionati dalla paralisi, dal lenzuolo bianco, dal mio silenzio, gli
altri non osano avvicinarsi a me. A poco a poco per arriveranno, soprattutto
le donne, con le loro confidenze: sono disponibile, si sa dove trovarmi (!), ho
tutto il tempo del mondo, e ascolto. Di quando in quando lancio una parola nel
fiume in piena dello sfogo della mia interlocutrice. Io sono lo psicoanalista,
bench allungato sul lettino, e la paziente, sana, si china e si riversa su di me.
Durante i pasti, in un momento che dovrebbe essere dedicato al silenzio, la
nostra tavola la pi apprezzata ed divenuta il punto di raduno delle signore;
quelle che Abdel ha frequentato di notte e che io ascolto di giorno. La madre
superiora ci convoca e ci chiede di rispettare la regola della meditazione. Fatica
sprecata! Nelle ore di riposo nella mia stanza siamo in una decina e gli scoppi di
risa si sostituiscono alle preghiere. Le sorelle gettano la spugna e considerano
l'intera sessione con i pazienti un completo fallimento. Abdel sembra aver
restituito la vita alle belle depresse; ancora oggi sono in contatto con molte di
quelle donne. Mi sono commosso soprattutto per una giovane madre di
famiglia di Chibougamau, nelle grandi foreste del Nord. Era ormai alla sua
quinta sessione, e il suo strano accento eschimese la rendeva ancora pi
interessante.
Quei quindici giorni mi hanno rimesso in sesto.
Al ritorno raggiungiamo un immenso stadio di hokey su ghiaccio dove ci
attende l'intervista con l'emittente televisiva evangelista. Ci sono pi di
cinquemila fedeli. Manifestano rumorosamente la loro approvazione,
fischiando invece senza ritegno se qualcuno li delude. Avr cos modo di
ascoltare la testimonianza di un ex campione di hockey appena colpito dalla
rivelazione, poi quella di una cantante pop che sta morendo di cancro e ottiene
un successo strepitoso. Al centro dello stadio c' un ring da boxe. Spiego ad
Abdel che deve cambiarmi di posizione ogni cinque minuti: nonostante le
numerose telecamere e gli schermi giganti, voglio rivolgermi a ognuno di loro.
Il proprietario della pia emittente televisiva e il suo amichetto, che avevamo
ospitato a Parigi, ci annunciano con grandi paroloni. Abdel chiede all'efebo di
aiutarlo a trasportare la carrozzella sul ring. Mi prende tra le braccia e mi solleva
con fatica notevolmente minore di quella che il ragazzo mostra alle prese con
la carrozzella. L'entrata teatrale di Abdel impone il silenzio alle migliaia di
scalmanati. Io non ho preparato alcun discorso.
Mi rivolgo in particolare ai miei fratelli di branda, a tutti i disabili, e cio a
104

ognuno di voi, perch siamo tutti disabili davanti alla vita.


Grandi applausi, una parte della sala in piedi (esclusi i tipi in carrozzella,
naturalmente). Parlo del bambino privilegiato che sono stato, di Batrice, delle
lezioni della vita. Preferisco la ricchezza della mia paralisi a quella della mia
classe sociale: ho la sensazione di vivere pi intensamente, di essere diventato
finalmente umano.
Abdel ha ben calcolato i tempi della coreografia, e ci conquistiamo cos una
standing ovation che dura i cinque minuti necessari a farmi scendere dal ring;
numerose carrozzelle si sono spostate lungo il corridoio che porta all'uscita,
desiderose di salutarmi. Trascorro interminabili minuti a tentare di baciare una
graziosa tetraplegica; nei suoi occhi colmi di lacrime si legge tutto. Ringraziamo
gli organizzatori e ci eclissiamo, sfiniti, prima di prendere l'aereo del ritorno.

105

Una bambina di nome Speranza

Torno dal Canada privo di fede quanto lo ero all'andata, ma convinto che
noi tutti, credenti e non credenti, cerchiamo la Speranza.
Dio un interrogativo che non mi ossessiona per nulla. Non ne ho il
carattere, n la disposizione di cuore o d'anima. Forse la solidariet, la fraternit
della nostra condizione potrebbe condurmi a condividere i riti o
l'appartenenza a una comunit, quella dei disabili o quella dei credenti. E
perch no?
La Fede di Batrice ormai nell'eternit; io, il disabile, scopro la speranza
nelle nostre miserie, nei piccoli nulla di ogni istante che contengono la
possibilit del meglio.
Gioite, handicappati, perch la speranza in voi.
La Speranza dice Dio, ecco una cosa che mi lascia di stucco.
Persino me.
Davvero sorprendente.
Che quei poveri piccoli vedano come va il mondo, e continuino a credere
che domani andr meglio [...]
Ma il difficile sperare. (A voce bassa e con vergogna.)
Il facile invece, la discesa, disperare, questa la grande tentazione.{x}

Quanti amici in carrozzella ho perduto per la disperazione?


Un mondo senza speranza l'inferno.
Ah, mio Dio, anche lui era ora una tomba! E il suo epitaffio!
Vediamo! Chi il morto che dorme la sotto? Iscrizione infernale!
'Qui giace la Speranza'. Silenzio, silenzio!{xi}
Sta a noi serrare i ranghi tra le passioni inutili e la perseveranza,{xii} frutto
della Speranza.
Un gruppo di amici si era riunito attorno a Batrice per leggere le Scritture e
pregare. Abbiamo continuato dopo la sua morte.
La Bibbia non una passeggiata. Il dolore e la sofferenza pervadono ogni
pagina. Le malattie, la morte di un figlio, la sterilit, la persecuzione,
106

l'umiliazione sotto ogni forma, la solitudine, l'abbandono e l'ingratitudine degli


amici, l'infedelt della persona amata, lo scandalo e la prosperit dei malvagi, gli
assassini, le guerre, c' tutta la sostanza dell'esistenza. Il Libro della Rivelazione
pi vero del vero.{xiii}
Uno dei miei amici, che ha di recente ereditato una fortuna strabiliante, mi
chiede lumi sulla compatibilit della ricchezza con la morale cristiana. Abdel
interviene: Senta, se non sa cosa farsene, non si preoccupi che ci penso io!
E lei, Abdel, lei crede in Dio?
S, ma non ho pi il tempo di praticare. Pratico nella pratica. Conservo la
fede, le mie usanze, le mie tradizioni.
La religione la base dei nostri valori morali dice (quanta strada ha fatto!), e
prosegue: Non mi piacciono quelli che pensano a Dio solo quando ne hanno
bisogno. Insomma, la religione non mi impedisce nulla; la religione non ha mai
vietato di fare qualcosa, e spesso la gente ci si nasconde dietro per non fare
quello che dovrebbe fare.
Amen!

107

Le consolatrici

Io devo il mio sentirmi ancora integro alle donne e alla loro immensa
capacit di consolazione.
Abdel ama le donne bene in carne, e dopo l'uso me le propone con tanto di
note e commento.
Non il mio tipo, Abdel.
E so di cosa sto parlando perch, mio malgrado, ho goduto di un regalo di
Abdel.
La musica riempiva la stanza buia, i dolori neurologici il mio corpo. Abdel si
affaccia alla porta: Ho un'aspirina per lei, e scompare per lasciar entrare quelli
che chiamerebbe due airbag. Buona notte.
Si chiama Aicha e mi raggiunge senza troppe cerimonie, completamente
nuda. Si raggomitola contro la mia spalla. Non scambieremo una parola per
tutta la notte. piena di attenzioni e non sembra turbata dal mio stato. La sua
presenza mi tranquillizza. Infine mi addormento.
Una sontuosa cavallerizza mi monta e mi riporta in scuderia qualche mese
dopo, sfiancato. Una donna abbandonata mi dedica cure materne eccessive e
troppo a lungo.
Un vicino, dopo aver letto il mio libro, mi invia una cortigiana; Abdel muore
dal ridere dietro la porta mentre la massaggiatrice mi manipola le orecchie,
oltre al resto.
Gli incontri con una mulatta, figlia di una principessa del Mali e di un
marinaio svedese, hanno accompagnato le mie notti in bianco. Lei stessa si
stupiva delle mie esigenze.
Una grande valchiria agitata mi guida; mi propone della polverina. Si distende
e ondeggia interminabilmente, ebbra alla deriva. Si addormenta, rannicchiata.
E alla fine Clara. Ha conosciuto Batrice a Larmor-Plage quando ero in
ospedale in Bretagna. Mi chiama a Parigi in un giorno di disperazione. Rester
per la notte, poi per quindici giorni, poi per due anni a intermittenza. Nella sua
innocenza ho ritrovato tutte le verit della mia anima smarrita. Mi ha fatto
dimenticare la sgradevolezza dei miei appetiti. Le parlo tanto; concentrata sulle
parole che s'infiltrano tra noi, m'interrompe con un bacio. Le sue attenzioni mi
ubriacano.
Il mio abbandono seduce la sua solitudine. Ritrova i suoi sogni d'adolescente;
gli anni del tradimento si cancellano e lei di nuovo spera. S'insinua tra gli
108

annessi meccanici della mia condizione per soddisfarsi con frammenti della mia
apparenza. Il suo candore mi commuove e l'abbandono dei suoi sensi al mio
corpo disfatto instilla una riconoscenza dolcemente triste. Presto il respiro
della sua quiete segna il tempo delle mie notti riconfortate.
La guardo nel suo tailleur blu Savoia e sogni d'amore sfiorano il mio
sfinimento. Lei mi accompagna lungo i vialetti del parco. Non sa dove
collocarsi rispetto al mio corpo. Alzo la testa per vederla. Mi bacia, con gli
occhi chiusi.
Stanotte la pulsazione del cuore nel mio collo ha il ritmo delle immagini di
lei; sento che i nostri giochi si fanno pi languidi. Una nuova pigrizia rallenta i
corpi. Lei si spande come una nuvola. La sua mano accarezza lenta il seno
pesante. Ci ritroviamo nel suo slancio, reso estremo dalla mia attenzione
partecipe. Si trattiene sino a condividere la mia paralisi; l'onda impercettibile
sino al sospiro nel suo sguardo. Rannicchiata, finalmente appagata, le labbra
dischiuse, mi sorride affinch io non pianga, mormorando tenerezze. Accetta
gli spasmi muscolari come un pegno dei miei ardori. Da questo corpo
sradicato, ecco un nuovo codice amoroso.
Le sue assenze non provocano reazioni in me. Confesso la mia impotenza e
torno ad aspettare. Smetto di mangiare. Fatica dell'inutilit.
Le scriver.
*
Clara,
sdraiato. Temo il tuo silenzio definitivo. La tua bellezza acquisterebbe un
senso nuovo, non un desiderio, ma un dolce legame con i nostri giorni smarriti.
Aspiro a questa tranquilla continuit.
Inventiamoci un avvenire plausibile. Tu saresti distesa al mio fianco, i corpi
distanti, una compagna senza effusioni, presenza impalpabile. E se questa
distanza infima diventasse intollerabile, verresti a posare la testa sul mio collo;
forse il tuo corpo sul mio, insensibile. Chiuderesti gli occhi sul freddo
abbraccio e ti culleresti di nuovo nel rimpianto dei sensi.
Come pretendere questo viaggio esitante? Tristezza dell'immaginazione.
Riportami al centro. Obbedir.

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Scontro di civilt

Abdel non vuole dover niente a nessuno; io, per forza di cose, sono pi
conciliante, perch dipendo dagli altri. Non sia categorico; non tutto bianco
o tutto nero, Abdel, ci vogliono le sfumature per capire la realt.
Adora le provocazioni. A mio fratello, che un informatico, spiega che c'
un errore in un suo programma; Abdel non sa neppure come si accende un
computer! Prova la gioia del sobillatore.
Davanti a un gruppo di disabili dice a uno di loro, appeso a dei sostegni: Per
un handicappato pi facile trovare lavoro che per un arabo. Silenzio
sconcertato. Ma sto scherzando!
E tutta la sala scoppia a ridere.
Filosofia abdeliana: va tutto in merda. La morte una fatalit, e il resto
solo commedia. E soprattutto, niente impegno politico: Non serve a niente,
sono tutti marci!
E i giovani musulmani che si fanno ammazzare per la libert e la giustizia?
S, ma non sono la libert e la giustizia del vostro mondo, dove tutti
imbrogliano, le periferie bruciano, si lasciano morire i vecchi da soli, c' sesso
dappertutto e tutti pensano solo al loro interesse; allora io penso al mio, mi
arrangio meglio che posso, e se a qualcuno non va bene, peggio per lui.
C' del vero. Rilancio: Ma Abdel, lei un perfetto esempio di occidentale!
Pensare solo al proprio interesse un modo di servire gli interessi della
borghesia. Pi uno pensa solo a se stesso e non agli altri, pi diventa
vulnerabile.
Rimane perplesso.
Si incupisce di fronte ai quadri astratti che colleziono. Un lusso da 'piccoli
grandi borghesi'. Se ci vuole l'interprete per capirci qualcosa, vuol dire che c'
un problema.
Un giorno, a una mostra di Zao Wou-Ki, io rimango estasiato davanti a
queste tracce che sopravvivranno all'artista: Posso lasciare tracce diverse, io, se
vuole!
Ha ragione, Abdel, arte per l'arte, senza impegno, come praticamente
tutta l'arte contemporanea. Ma alcuni di questi artisti riescono a commuovere, a
diventare un punto di riferimento, a risultare accessibili; persino a lei, Abdel.
Accessibili a quel prezzo? Altroch se commuovono! E non abbiamo certo
gli stessi valori!
110

Un giorno in cui organizzo nei saloni del mio palazzo la mostra di un


giovane artista dell'cole Polytechnique che deve aver confuso arte e
algoritmo, lui dice: Posso fare le stesse cose, ma per uno zero di meno.
Ha ragione, Abdel, ma avr notato che la sua fidanzata davvero bella, e
bilancia la faccenda.
Un po' caro, come bilanciamento!
Abdel non ascolta musica; finir per apprezzare Mozart e Bach.
Organizzo un concerto a casa mia, La morte e la fanciulla di Schubert con il
quartetto Psophos, composto da quattro affascinanti musiciste: Niente male
questa roba, fa molto XVI secolo dice, svegliandosi alla fine del concerto.
Uno dei nostri temi di discussione ricorrenti il valore delle donne, che
Abdel ha disprezzato a lungo: Tentano sempre di metterti al guinzaglio, non
lo sopporto! La donna va tenuta sottomessa.
Abdel, le donne si rispettano.
Rispettare? Non siamo noi a doverle rispettare. Sono loro che devono farsi
rispettare. C' l'arte e c' la materia, io preferisco la materia. Lei per il
ROMANTICISMO, io sono tutto per la carrozzeria!
Ma Abdel, la donna crea i legami tra le persone.
Roba da criminali, soprattutto con i bambini dice dopo un istante.
Per poi aggiungere, categorico: Dio non pu essere femmina; ma lei se lo
immagina, tutti i mesi con le sue cose? No, non scherziamo! Deve per forza
essere un uomo!
Pi di ogni altra cosa, Abdel vuole evitare di impegnarsi: Mai due volte con
la stessa!
Abdel, dovr pur crearsi una famiglia, inserirsi in una storia.
riuscito a costruirsi una famiglia solo dopo aver conquistato un posto nella
societ, trovando cos pace e sicurezza.
*
Clara,
grazie per la tua bella lettera puntinista. Come sei fortunata, a poter sognare
la luce e i colori. Io non sogno pi, ho solo speranze. Spesso le parole si
contraggono sino a divenire solo un suono. Io resto con gli occhi aperti,
Batrice sopra di me.
Stridore.
Perch necessario che questi momenti estremi illustrino la nostra vita?
Il tempo si distende, il corpo svanisce, le frasi aleggiano nel pulviscolo
luminoso.
111

Il pianista sfiora i tasti. Sto con i miei assenti; bisogna tornare, rimanere a
testa alta anche se tutto mi vuole piegare. Infine il sollievo della posizione
orizzontale; scende il buio, abitato.
Sino a quando?
Rivedere qualcuno come te, cara Clara. Quei momenti fuggevoli
accompagnano le mie assenze.

112

Rien ne va plus!

Signor Pozzo, perch non mettiamo in piedi un'attivit?


In questo stato? Ormai non sono pi nel giro, e non so neppure se ne avrei
voglia.
Ho un amico meccanico che fa affari d'oro. E sono soldi.
No, Abdel, quello non business, puro intrallazzo. Per riuscire davvero ci
vuole qualcosa di nuovo, e visto che nessuno dei due ingegnere bisognerebbe
pensare al settore dei servizi.
Abdel sorride: Vede che le rimasto il fiuto?
In una notte d'insonnia ci rimugino sopra. Come proporre qualcosa di unico,
appropriato, durevole, ragionevole rispetto al mio stato e di un genere
congeniale ad Abdel?
Le sue conoscenze di meccanica si riassumono nei numerosi incidenti. Per
un anno ha fatto il fattorino consegnando pizze. Perch non portare
l'automobile a noleggio direttamente al domicilio del cliente?
Abdel si entusiasma: La consegna non un problema. Bisogna coprire tutta
l'area parigina, ventiquattr'ore su ventiquattro e sette giorni su sette. Ho la
gente giusta.
Ma Abdel, bisogner organizzare dei turni!
I tipi che conosco io non funzionano cos!
Chiedo di incontrare la squadra: Yacine, vent'anni, un gigante bonario;
Youssef, stessa et, nero filiforme del deserto algerino; il taciturno Djebar, il pi
anziano; e infine Alberto, un italo-marocchino di venticinque anni; e i loro tre
pitbull.
Quando se ne vanno m'informo: Dove ha trovato quegli energumeni?
Abbiamo fatto tutti un po' di gattabuia insieme.
La squadra distribuisce diecimila volantini. Abdel, promosso direttore delle
operazioni, abbaia le sue istruzioni. Di fronte alle mie riserve risponde che al
suo paese i dipendenti si trattano cos. E infatti i membri della squadra non
protestano: temono di certo la forza del loro padrone, e la sua propensione a
impiegarla prima ancora di cominciare a discutere.
Otteniamo una splendida mezza pagina su Le Parisien e veniamo sommersi
dalle telefonate. Il business parte alla grande; per non dura. I nostri quattro
sgherri sono sempre pi conciati; Abdel non lascia loro neppure il tempo di
riposare. E lui stesso ha smesso di radersi.
113

Laurence lancia un ultimatum ad Abdel: O lei convince i suoi scagnozzi a


sbaraccare il bazar prima che io arrivi in ufficio al mattino, e i loro tre pitbull a
fare i bisogni in strada e non sulla moquette, oppure dovrete trovarvi un'altra
segretaria!
Per la prima volta mi portano in ufficio. D'un tratto l'automobile bloccata
da un veicolo proveniente da destra. Abdel esce e copre d'ingiurie il
responsabile della situazione. Questi abbassa il finestrino e precisa che
proviene da destra. Primo errore e gigantesca baruffa. Il tizio fruga nel
cruscotto e ne estrae un coltello enorme. Errore fatale; Yacine prende il
malcapitato per il collo e Abdel gli assesta un pugno formidabile. Il poveretto
lasciato a sanguinare, ripiegato sul volante.
Era proprio necessario?
Con certa gente non c' altra soluzione.
Ha un brutto aspetto, signor Pozzo dice Laurence accogliendomi. Non
sono certa che resister alla vista dell'ufficio. Sin dall'ingresso l'odore
nauseante, e i molossi circolano liberi. Abdel abbaia un ordine e le tre belve si
accucciano. A destra uno sgabuzzino fa le veci della cucina; ci sono pile di piatti
sporchi e il t alla menta che gorgoglia. La centralinista risponde tenendo un
fazzoletto sul naso. Gli scatoloni del trasloco non sono ancora stati svuotati, i
faldoni ingombrano il pavimento. Domani arrivano i mobili spiega Abdel.
Sono quindici giorni che arrivano domani gli contesta Laurence.
Quello che doveva essere il mio ufficio il dormitorio dei dipendenti:
coperte sul pavimento, in mezzo all'immondizia. Riunione d'emergenza e bella
lavata di capo a questi signori.
Laurence presenta i risultati: il tasso di utilizzo e la quantit di reclami sono
molto alti. Ne approfitta per segnalare anche che alcuni veicoli sono in
demolizione.
Sono stanco, non ho pi niente da dire. Sul marciapiede di fronte noto una
Peugeot 605 con il cofano ammaccato. Non c' problema dice Abdel, il
carrozziere metter tutto a posto con un perito di fiducia.
Un'amica telefona per raccontare la sua esperienza. Un energumeno si
presentato alla sua porta in jeans e scarpe da tennis con circa un'ora di ritardo,
la vettura era conciata da schifo, il serbatoio era vuoto e il tizio ha avuto la
faccia tosta di chiederle un passaggio a Parigi!
Un altro giorno Laurence mi passa la chiamata del commissariato di polizia
di Lione. Abdel stato arrestato insieme a un complice: i poliziotti hanno
trovato nel bagagliaio un passeggero malmenato. Il cliente era in ritardo di tre
giorni precisa Abdel. I miei amici l'hanno visto a Lione e siamo andati a
114

riprenderci l'automobile.
Deve trattarsi sicuramente di un conoscente di Abdel che ha abusato della
sua fiducia. L'uomo tumefatto discolpa Abdel di fronte alla polizia, per evitare
ulteriori rappresaglie. La sera stessa ritrovo un Abdel trionfante. Abdel, cos'
questo macello? Non dovremmo offrire i nostri servizi a dei malviventi, e
dovremmo invece trattare con i guanti le ricche signore.
Non sa quanto ha ragione. L'altroieri ho dovuto darmi da fare per
soddisfare una cliente decisamente grassa!
Sono orripilato, e anche inquieto.
Dopo aver fatto il punto con Laurence, dopo aver verificato che il trenta
per cento del parco vetture in riparazione e dopo essermi sorbito la litania
dei reclami, annuncio la chiusura della societ. Questo scherzo durato sei
mesi e mi costato molto caro.
Con un pizzico d'incoscienza suggerisco ad Abdel di pensare a un progetto
pi adatto a lui. Non ci mette molto prima di ripresentarsi con una proposta:
Dobbiamo andare alle aste con metodo di estinzione di candela vergine,{xiv} e
comprare appartamenti occupati; si trovano delle buone occasioni.
Ci credo, con gli affitti bloccati!
Questo non un problema.
Abdel mi issa sino alla sala d'aste. Silenzio dei banditori e dei partecipanti alla
nostra comparsa. Al primo appartamento che ci interessa reclino la testa per
comunicare la mia offerta, come facevo da Drouot per l'acquisto di opere
d'arte. Vista la mancanza di reazioni del banditore, Abdel si alza di scatto
imprecando e alzandomi il braccio, cosa che provoca una serie di spasmi
generalizzati: Guardate, ha fatto un rialzo! Grande successo di pubblico.
Torneremo per vari giorni di seguito e acquisteremo cinque appartamenti in
quartieri di moda. Abdel gestisce: invia i suoi sgherri a far sloggiare gli
inquilini, s'incarica delle migliorie necessarie e riempie gli immobili.
La contabilit non esiste, non ci sono guadagni; rivendo.
*
Clara,
lascia perdere tutta questa confusione, dammi una forma semplice e frugale
tratta dal nocciolo dei nostri ricordi. Imponi i tuoi limiti alla mia dispersione,
inquadrami nei tuoi gesti, circondami con le tue intenzioni, ricostruiscimi dalle
mie rovine. Disintegrato, senza spessore, cosa posso proporti?
Come mi piacerebbe sentire la tua mano sulla fronte, la tua bocca capace di
resuscitare una parte di me, una parte ridotta, ma densa.
115

Ogni giorno le tue lettere mi rendono la libert, amo ritrovare, nelle tue
parole, le sensazioni. Questo corpo atono mi rifiuta i momenti trascorsi:
esploriamo allora quelli presenti.
Sommiamo i domani per comporci un passato e avremo una memoria
comune, un nuovo orizzonte.

116

Un mondo in gestazione

I valori del cristianesimo - altruismo, meditazione, frugalit - sono stati a


lungo anche quelli dell'Occidente. L'umanesimo ne l'erede. L'Occidente
mercantile e finanziario li ha invece dimenticati. Ed essi si sono rifugiati presso
i pi miserabili.
I sei comandamenti del tetraplegico:
- L'handicap non assenza del corpo, ma delle altre persone. Scoprilo.
- Il silenzio libera. Taci.
- Oltre il dolore resta solo il tempo per l'essenziale. Non perderti in futilit.
- Non sei solo. Esplora la consolazione.
- La paralisi stimola la pazienza. Aspetta!
- Quanto siamo fragili! Sii fraterno, solidale e semplice.
L'unico comandamento dell'Occidente mercenario:
- Polisensualismo esacerbato.{xv} Sempre pi Io.
Un eccesso di orge, di paradiso, di frenesia, di suoni e di oblio.
L'incidente mi ha fatto scoprire la felice barbarie: la miseria della solitudine, i
disoccupati storpi, l'assenza di prospettive per i giovani, l'accumulazione della
ricchezza. Ho percepito l'irrigidimento di un sistema divenuto solo finanza, il
tempo contratto che si globalizza, distruggendo sicurezze sociali e famigliari.
Nei corsi che tengo alle classi di preparazione alla scuola commerciale, dove
Abdel passa il tempo dormendo, i messaggi che trasmetto sono chiari:
- Potete creare una ricchezza migliore rispettando valori che per noi disabili
sono naturali. Cercate bene, quei valori sono anche i vostri.
- Non si pu accrescere indefinitamente la ricchezza (un profitto sempre
maggiore e non ripartito fa crollare la domanda: una forma di
autoaffondamento). Un accordo valido solo se entrambe le parti ne traggono
vantaggio e se i frutti dell'impresa sono condivisi e le ricchezze della nazione
redistribuite ai bisognosi.
- Di fronte al potere del denaro rifiutate l'individualismo, costituitevi in
partiti, sindacati, associazioni. Rispettate il rigore delle cifre.
- Ottenete giustizia contro l'opacit del potere, la sua mancanza di ideali e di
leggi, per reclamare la verit e ristabilire il diritto.
- Utilizzate le nuove tecnologie informatiche per esprimere le vostre istanze.
- La vera globalizzazione non quella del capitale, ma quella delle istanze
civili.
117

Invalidi, in piedi!
*
Clara,
non ho pi lasciato andare la mia anima alla bellezza del mondo. Le mie
carni vanno in rovina. Mi sono perso lungo la strada, dal primo fervore
all'abbandono in cui vivo adesso. Sono indifferente a tutto. Ritroviamo quella
risorsa che indovino, fresca, al tuo fianco.
Reclamo i tuoi sogni. Prestameli; ti offrir il mio io intermittente. Vorrei
ricominciare, abolire il tempo greve della sofferenza e della rinuncia.
Se mi darai forma potremo andare avanti, cos come siamo.

118

Giochi di ruolo

Immaginiamo un mondo rovesciato: la serenit sarebbe la norma, e


l'agitazione l'assurdo.
La domenica, al giardino zoologico circolano eserciti di carrozzelle; i sani,
cio gli agitati, stanno dietro le sbarre. I bambini in particolare apprezzano la
visita alla gabbia dell'uomo dalla barba mal fatta che gira frenetico su se stesso,
schiacciandosi un telefono rosa contro un orecchio paonazzo e urlando una
litania al suo piccolo vicino, che arranca su degli alti tacchi. Entrambi sfoggiano
diversi orologi su tutti e due i polsi, cravatta allentata su un completo da ufficio.
Pisciano, continuando a gesticolare; il momento preferito dai bambini, che
applaudono entusiasti.
Con la luna piena, quando finalmente gli sconvolti si placano in un sonno
farmaceutico, il popolo degli invalidi si alza e prende possesso della Terra
promessa. la notte degli abbracci. La donna ritrova la morbidezza delle
anche e l'uomo il proprio vigore. Il paradiso questo improbabile possibile;
non troppo frequente, per non perderne il gusto; non troppo raro, per evitare
la disperazione.
Immaginate di non parlare pi per qualche ora; la melodia diverrebbe
percettibile e ogni parola, in futuro, verrebbe soppesata. Assentatevi in un
coma; al risveglio apparir la Bellezza! Provate una morte provvisoria: quella
vera sembrer amabile, dopo un'esistenza piena di disgusto.
L'assurdo mi d sollievo. Domani il mio giorno di oblio. Forse Dio verr a
sussurrarmi la sua esistenza; Batrice, forse puoi intercedere affinch Lui mi
conceda una vita libera dalle condizioni di partenza? Quanto sciocco
trascorrere l'esistenza liberandosi dei pesi! Sarebbe meglio che Lui, alla nascita,
infondesse in noi ogni talento. Che stupide tracce! Storie, levatevi di torno!
*
Clara,
stanotte ho fatto un sogno grottesco.
Una donna gigantesca, con qualche ciocca nera a cavatappi, una bocca
oscena, stesa sul dorso nell'erba alta. Mette al mondo un diavoletto. Lo
gnomo gi corre. Un sorriso brutale fende il suo viso da neonato. Combatte.
La madre, dopo aver partorito, si alza e si rimette in moto. Il sole trema per la
119

pesantezza della sua corsa. La donna sbava vorace verso la sua progenie e con
le braccia in avanti grida il mio nome dietro a quel piccolo che insegue una
bambina, con l'uccello gi rigido.
La visione si allarga su creature agitate, alcune si fermano per partorire a
gambe larghe, altre lottano fra loro, altre ancora si abbracciano. La Terra, cinta
dalla luna frenetica, gira intorno al sole con occhi languidi; il bell'astro arrossisce
per un'altra stella. Ho infine scoperto la legge universale del desiderio. Il
membro dell'uomo alimenta il latte della madre.
Come sono contento di essere salace. Non offenderti; grazie a te ritrovo la
Commedia.

120

Il padrino generoso

Da settimane piove su Parigi; resto a letto, bruciato, abrasivo, scoraggiato dal


silenzio.
Dopodomani il compleanno del suo figlioccio, lo yankee. Compir 18
anni annuncia Abdel, bisogna fare qualcosa.
Se ne occupi lei, Abdel, per favore.
John figlio di cari amici che Batrice e io avevamo conosciuto a Chicago.
mio ospite per un anno sabbatico a Parigi.
Il giorno dopo Abdel mi assicura: tutto a posto, e ho organizzato uno
spettacolo di danza del ventre.
Un po' inquieto, cerco di precisare: Non troppo di cattivo gusto, Abdel,
spero.
Non si preoccupi.
La sera della festa mi veste con lo smoking, il cravattino a farfalla, il
fazzoletto bianco nel taschino. Sono disteso sulla carrozzella elettrica, per
evitare svenimenti. I ragazzi, radunati dai pi giovani della famiglia, sono tutti in
ghingheri. Quanta bella gente, le trib migliori di Francia e Navarra. Lo
champagne scorre a fiumi, girano i pasticcini, uno stereo strilla. Io sudo,
sull'orlo di un mancamento. Abdel mi alza le gambe in verticale. La giovent si
scosta, a disagio.
Recupero le forze e mi rivolgo al centinaio di invitati. Abdel porge il regalo,
una macchina fotografica digitale. Applausi. Ora vi chiedo di sedervi tutti
lungo le pareti; Abdel ha avuto la gentilezza di prepararci uno spettacolo.
Lui fa partire una musica orientale. Con arie da gran sacerdote apre i due
battenti della porta che d sul salone vicino. Non accade nulla; allora alza il
volume. E, come una raffica di vento, giunge a noi non una danzatrice del
ventre, ma una stupenda creatura, certo orientale, interamente nuda. Stupore e
grida d'orrore in sala; sono tutti ipnotizzati; la naiade fa il giro, ondeggia davanti
a visi paonazzi. John, seduto al mio fianco, mi guarda furibondo: Zio, stata
una tua idea?
La creatura sorge davanti a me; non mi fa n caldo n freddo; non ho
neppure voglia di ridere. Ha capito che sono il padrone di casa e si dimena a
pi non posso. Le spiego che il compleanno del mio vicino. Lei gli si siede
sulle ginocchia; lui resiste trenta secondi, poi balza su dalla sedia, respingendola
con una sfilza d'ingiurie americane. il segnale che attendevano gli altri, un po'
121

ipocriti, per mettersi a urlare. I maschi si dileguano nel freddo del giardino e le
femmine, meno eccitate, attaccano a spettegolare.
Zio, la festa stata davvero un pensiero gentile. Per fortuna non c'erano i
miei genitori. Meglio non inviargli fotografie della serata. Mi abbraccia
affettuoso e raggiunge gli amici. Abdel mi riporta nei miei appartamenti.
Incrocio la maliarda, avvolta nella pelliccia e scortata dal manager, un
autentico pappone.
Abdel li accompagna all'uscita.
Hanno una bella Mercedes, che gliene pare della carrozzeria?
Abdel, mi sembrava di averle chiesto qualcosa di buon gusto.
Ma guardi che non mica una puttana.
Bene, allora lo spiegher lei a John, e nel frattempo grazie per l'aiuto. Mi
metta a letto.
Esigo una suite per violoncello di Bach. Il giorno dopo un amico, un
principe, l'unico a farsi vivo: Un peccato non essere stati invitati!

122

Lo sballo chiacchierone

Quella notte va ancora peggio. Il regalo di Abdel ha sconvolto il pubblico


senza riuscire a darmi la carica. Mi lamento. Abdel risponde sull'interfono:
Qualcosa che non va?
Ruggisco per lo scoramento. Lui mi riveste, mi spinge sulla mia
ventiquattrore,{xvi} nel bel mezzo della notte, sino a Saint-Germain-des-Prs.
Si ferma davanti al Castel: Oh no, Abdel, non mi porti da questi cretini.
Non si preoccupi, faccio solo una commissione.
All'ingresso ci sono degli ubriaconi agghindati. Abdel si rivolge a loro,
indicandomi con il mento. Un tizio mal rasato estrae un pacchetto di sigarette,
ne accende una e gliela passa. Abdel torna da me con un grande sorriso: Ecco,
ne prenda una bella boccata!
Che porcheria, non riesce neppure a comprarsi delle sigarette normali
borbotto.
Mi porta ai Deux Magots; mi gira la testa.
Cos'era quella schifezza?
Un po' di fumo non pu far male.
Insomma, Abdel, non avevo mai toccato quella merda. Avresti almeno
potuto chiedermelo.
Ah, allora comincia a fare effetto.
Abdel, con John hai sbagliato. I giovani meritano rispetto, come le donne.
Ma era uno scherzo!
Diciott'anni non sono uno scherzo, a quell'et si fragili. A tuo figlio non
avresti giocato un tiro del genere.
Sono partito in tromba. Abdel mi lascia straparlare.
D'accordo, la nostra societ pensa solo al sesso, ma i giovani, non che
siano contro, per si innamorano. La donna una faccenda privata, non
mercanzia da esposizione. Bisogna apprezzarla, cos dura nel tempo...
Sulle cose dure sono d'accordo, e lei?
... quando avrai una famiglia lotterai per loro, farai per loro ci che pensi sia
bene, e soprattutto, soprattutto, la bellezza, Abdel, non la bellezza degli airbag,
la bellezza della famiglia, il legame, la sua grandezza...
Voleva dire la sua lunghezza?
... generosi con i pi deboli, amici su cui si pu contare, insomma, tutto ci
che non volgare, non quella battona. Vedrai che tra qualche anno sfiderai a
123

duello chi oser guardare la tua donna.


Scommettiamo? Qua la mano.
Che strano, Abdel. Ah, per, fa bene questa robetta. Bisogner trovarne
dell'altra.
Nessun problema.
Avr cos modo di assistere alla consegna di un panetto di pura resina:
Abdel fischia dalla macchina e dalla finestra del terzo piano viene lanciato un
pacchetto. Nei momenti pi burrascosi user questo rimedio, sino ai bei
giorni del Marocco, il paese di produzione.
*
Clara,
vorrei che rispondessi ai miei frammenti sparsi, vorrei confrontare le mie
assenze con la tua realt. Offrimi il tuo respiro, affinch la memoria inebriata
possa tracciare un cammino. Forse potrai aiutarmi a ritrovare il filo. Se almeno
potessi riprendere la mia odissea.
Donami uno scopo da raggiungere! Confrontati con me nelle tue risposte,
aiutami. Dalla sua morte, ho rinunciato. Vorrei poter provare, attraverso il
labirinto oscuro dei dolori e delle false leggerezze, la flebile scintilla di una vita
nuova.
Sapremo trovare sotto la spessa cenere di una lunga notte la stessa anima
inquieta? O la fiamma riprender forza, illuminando di calda luce i giorni che
restano?

124

Ospitalit marocchina

Laetitia mi raccomanda di passare i sei mesi brutti di Parigi sotto cieli pi


clementi. Abdel suggerisce Marrakesh, dove il clima d'inverno secco.
Ha organizzato tutto. All'arrivo ci attende una splendida Mitsubishi messa a
nostra disposizione da uno dei suoi amici, il re del pollo arrosto marocchino.
L'appartamento previsto, invece, si volatilizzato.
Non c' problema, ho un indirizzo.
Ci facciamo strada sulla piazza Jamaa el Fna. Mi spinge sull'acciottolato
scomodo e, quando ci blocchiamo, bussa alla porta di un edificio anonimo.
Una bionda ci accoglie nel suo riad, la casa di corte tradizionale; abbiamo
diritto a mille salamelecchi: la donna ci ha visto in televisione la sera prima in
una replica di A la vie, la mort, il documentario prodotto da Mireille Dumas.
Abdel fa il galletto; io chiedo di essere messo a letto, sfinito dal viaggio. Mi
sistemano nella grande stanza al piano terra; le moucharabieh, le finestre a grate
istoriate, lasciano entrare il freddo. Abdel reclama il riscaldamento.
andato a scaricare la macchina. Un'ora dopo non ancora rientrato.
Lo chiamo al cellulare. Abdel, dov' finito?
Nessun problema, solo una cosuccia da sistemare, arrivo.
Tipica risposta di Abdel quando nei guai. Mezz'ora dopo: Sono alla
polizia; ne ho ancora per un minuto.
La cosa non mi convince.
Devo intervenire?
No, no, non c' problema.
Intanto a me sono venuti i dolori. Dopo un'eternit il malandrino si presenta
tutto arzillo, la mano destra fasciata.
Abdel! Cos' successo stavolta?
Niente, al parcheggio mi capitato un rincoglionito che mi ha dato
dell'algerino. Non mi ha aiutato e non ha avuto la mancia!
Incoraggiato dagli amici, il parcheggiatore ha tentato di alzare le mani su
Abdel. In cambio si preso un violento uppercut. Il volto gli si riempito di
sangue e gli schizzato via qualche dente.
Uno mi si piantato nel pugno dice ridendo Abdel.
Ma perch ci ha messo cos tanto?
Perch quello stronzo mi ha fatto portare alla polizia. Ho mollato 500
dirham al commissario e cos nei guai ci andato lui! L'ho denunciato, passer
125

due settimane in galera.


Il giorno dopo tutta la trib del disgraziato viene a chiedere perdono al
giustiziere, il quale, nonostante i miei appelli alla clemenza, rifiuter.
Per darmi la buonanotte spegne la luce dicendo: Tra qualche ora la stanza si
riscalder; io vado a scaldarmi con la bionda.
Abdel, non faccia l'idiota, non sola.
Mi risveglio udendo un ansimare furioso, inframmezzato da grida. Poi pi
niente. Poi ancora.
Come ha passato la notte? chiede Abdel la mattina dopo.
Un disastro, o una merda, come preferisce!
Lui, invece, ha il sorriso dei giorni migliori.
La mia stata calda!
Ma andiamo, Abdel! Non era sola!
Be', quel coglione non avrebbe dovuto addormentarsi.
Ma si rende conto del baccano che avete fatto?
Guardo la colpevole; imbarazzatissima, ma cerca di mantenere una dignit.
Abdel, con un'espressione innocente stampata in faccia, mi informa: Signor
Pozzo, lo sa che la signora si sposa, la prossima settimana?
Fatico a mantenermi serio.
Mentre aspettiamo di trovare un appartamento ammobiliato, decidiamo di
visitare il paese. La traversata dell'Atlante innevato un'impresa epica. Abdel,
se la strada scivolosa deve rallentare prima delle curve e controsterzare
quando la macchina slitta. Lui fa esattamente il contrario e andiamo a sbattere
contro il muro di neve ghiacciata; il paraurti deformato blocca la ruota. Abdel
lo raddrizza con il cric e riparte senza dire parola, offeso.
Dopo Ouarzazate costeggiamo la bella oasi di Draa. Abdel si diverte con le
dune del deserto. E naturalmente riesce ad arenarsi. Ci vuole l'aiuto di tre
cammellieri e dei loro animali per tirarci fuori dalla sabbia. Forte, eh?
commenta Abdel.
Risaliamo verso Fes, splendida e appassita, e procediamo sino al
Mediterraneo seguendo la frontiera algerina, Sadia e la sua grande spiaggia.
Abdel prende una stanza nell'unico albergo riscaldato. Da l raggiungiamo un
locale che vende alcolici. Gazzarra assicurata per tutta la notte. Abdel non si fa
pregare.
Grande sorriso alla receptionist. Commento: Abdel, vedo che non perde
un'occasione.
Ma cosa dice? Questo un posto serio risponde offeso.
Pranziamo in una capanna sulla spiaggia. In estate duecentomila MRE, i
126

Marocchini Residenti all'Estero precisa, piombano qui gonfi di grana con le


loro belle BMW e Mercedes, e tutte queste bettole fanno il pieno!
Mi sembra di vederli, mentre contano le banconote.
Avremo in seguito l'occasione di tornare quattro volte a Sadia, di incontrare
il gran wali (il prefetto), i caid (governatori), i banchieri e, soprattutto, la bella
receptionist! Amal diventer la moglie di Abdel. Oggi hanno tre figli.
Ritorno a Marrakesh, dove ci stabiliamo nei nostri quartieri invernali.
*
Clara,
in questa bella citt i dolori sono scomparsi. Sopravvivo, drogato. Galleggio,
lo spirito prende il largo insieme al corpo. Le volute dell'hashish cancellano
ogni imperfezione.
Al parco le palme si piegano mollemente alla brezza del tiepido inverno.
L'aria cristallina; mi piace respirare questa freschezza con i polmoni sballati.
Nella memoria calcinata comparsa una luce. Ho fissato a lungo un deserto di
dune calde. Sono percorso da un palpito che come il fremere della sabbia. Mi
tuffo in questo nuovo torpore.
Sono accomodato a un tavolino di un caff. Tutto confuso. A volte sui
miei occhi cala il buio e per qualche istante scompaio. Rinvengo su un volto. Le
belle ragazze mi passano davanti, stupite e un po' turbate. Mi sforzo di
trattenerle con un sorriso. Ti vedo in mezzo a loro, sorrido anche a te. Vado
alla deriva. Sono rapito dalla mia realt, cos impermanente. In questi momenti
di ambiguit, l'istante scompare. Le distanze si accorciano, i presenti si
allungano; i ritmi si mescolano, giganteschi o effimeri. Confusione snervante.
Sembra di stare sulle nuvole. Mi addormento al sole. Non distinguo pi il
simultaneo dalla sequenza. Sono approssimativo. Non una forma di follia:
piuttosto, di abbandono. La tensione indebolita cancella le mie impronte; forse
alla fine questa, la libert. Sono libero, non sono pi. Il limbo dev'essere
questa carenza. La Perfezione.

127

La citt in rosa

Una marocchina accarezza, con aria distratta, la coscia di uno straniero, triste
creatura persa in un illusorio altrove. Questo bel popolo finir forse per
rovinarsi nella nostra societ senza punti di riferimento? Qui tutte le case sono
munite di antenne paraboliche e delle loro bugie.
Sapete che qui il tempo praticamente non esiste? Un incontro casuale decide
il da farsi. Una lunga fantasticheria accompagna l'ombra delle palme. Dio
decider per tutti quando sar il momento. Perch rincorrere gli istanti? Piccoli
niente scandiscono questo tempo discontinuo.
Una cicogna sale lentamente nell'aria pigra.
*
Baster soffrire tutti insieme nella riprovazione muta degli di per rimanere
innocenti? Esiste un'et indefinita che il male non potr raggiungere? Il regno
dell'indolore canceller i martiri.
Mi sono tenuto al fianco donne senza parole affinch il loro profumo mi
tenesse in vita.
Sento una debole speranza nello sguardo impietoso di un bambino. Il suo
interrogativo il pegno della mia esistenza. Accenniamo a un sorriso, vorrei
aiutarlo. Come osano proporgli il bisogno, il paradiso dei bisognosi, come
unico orizzonte? La frugalit il tuo vero tesoro.
*
Amare l'altro senza nome, senza che affiorino preoccupazioni, sopravvivere
nell'atonia del deserto sulla tomba del nomade? Qui nessuno ha vissuto, le ere
sono trascorse come l'azzurro slavato del suo sepolcro; le rughe nascoste dalla
maschera, sino alla caduta improvvisa dell'ultima sabbia. Rabbrividisco sotto il
sole bruciante; cicogne si sparpagliano qua e l in cielo; non troppo tardi.
*
I grappoli gonfi della buganvillea, la cascata scarlatta delle rose rampicanti, il
sussurro della fontana di mattonelle smaltate color ocra, l'ombra tremolante
degli ulivi saranno l'incanto dei miei giorni.
E smetter di ribellarmi.
128

Mi detesto gi, per questo compiacimento. Non pu esserci guarigione;


bisogna restare nella dissonanza, il grido a squarciagola del bambino che soffre,
il pianto rauco della madre straziata, l'urlo dell'uomo evirato. Ho bisogno di
medicare il mondo. Andr compassionevole nei bassifondi a confortare i
morenti, ad accogliere gli orfani, a placare i ribelli. Sogner tra suoni che
svaniscono. All'alba il brusio degli sconosciuti mi trover gi pronto. Sceglier
dalla tavolozza dell'ingiustizia il gesto gratuito che dar pace alla mia giornata.
*
Sento che amo, sempre. Lo slancio verso una sconosciuta mi colma di
tristezza. Ogni mattina una bella donna dai seni fermi passa davanti alla mia
palma senza guardarmi. Si raddrizzi, giovane signora. Un'altra volta lo sguardo
di giada di una berbera, che sostengo con intenzione fino a quando i lacci
dell'abitudine rompono il contatto. Ancora, rivolgo parole incoerenti a una
russa che si allontana sorridendo. La mala femminile mi dona serenit.
*
Stamattina ho il cuore leggero. Ho voglia di partire. Sono nuovo. La bella
moschea di Koutoubia mi sovrasta. Si alzano nuvole di polvere. La stretta dei
dispiaceri si allenta. Partecipo alla preghiera dell'imam. I fedeli, troppo
numerosi, s'inginocchiano sul marciapiede. I mendicanti accoccolati tendono la
mano, ognuno preso nel suo incantesimo. Seguo con gli occhi il lustrascarpe
annunciato dal suono della sua cassetta. Un cantastorie scalcinato dalla barba
bianca riesce a radunare gli astanti. Di quando in quando un ascoltatore alza la
mano con un grido e qualche moneta; il rituale sempre ripetuto della promessa
li unisce tutti. Una decina di vegliardi ciechi salmodia all'unisono la questua, gli
occhi rivolti al cielo. I neri Gnawa, discendenti di schiavi, cadono in trance e
rinnegano con forza l'antica servit, mentre il pompon dei loro taguia si agita al
ritmo della musica.{xvii} Gli incantatori di serpenti seguono la stessa cadenza.
I passeri volteggiano con i piccioni in mezzo alla polvere e al fumo delle
bancarelle di carne arrostita. I venditori d'acqua tirano il filo e i campanelli
disposti sui loro grandi cappelli rossi si agitano nell'aria vibrante. Mi sento bene,
in questa folla anonima. Mi aggiro senza rimorsi. M'incrosto nell'istante per
esistere in questo composito disordine, partecipo agli sguardi senza storia, mi
lascio trasportare dalla marea, privo di gravit; sono in sintonia con tutte le
indifferenze. Bisogna fare a pezzi il tempo privo di misura, abbandonare
l'istante presente per tuffarsi nel successivo senza rimpianti n aspettative,
129

meravigliarsi della ripetizione. Esisto finalmente senza movimento, ancorato a


un tempo straniero; ho cancellato tutti i ricordi, non sono mai stato, non sar
mai pi, sono e basta, concentrato, qui e ora.
Una Nefertiti fluttua sulla piazza, dea dell'impossibile; le donne si velano, gli
uomini piangono.
*
Dietro le palpebre, per la prima volta nella mia memoria ora vergine,
compare una luce. Ho fissato a lungo un deserto di dune calde. Mi sono tuffato
in questo nuovo torpore. E ho visto, l'ho vista. Voi no.
*
Clara,
arrivata una lettera con la tua bella grafia. Non essere pi arrabbiata con
me.

130

Lalla Khadija

L'ho vista mentre la folla si disperdeva sotto le cateratte del cielo. Scivola
sulla piazza tra i calessi abbandonati. I nitriti dei cavalli imbizzarriti a volte
coprono i tuoni. Il viale delle palme s'inchina al suo passaggio noncurante.
Sembra scivolare, minuta, indifferente alla tormenta. I gagliardetti del palazzo
reale schioccano nel vento. Un raggio di sole la inonda di luce. Una bambina le
tende la mano, e spariscono.
Alcune persone si arrischiano a tornare in piazza; un cieco riprende la sua
litania. Un mercante d'acqua maledice il temporale. Devo essermi sognato
quell'improbabile istante. Una grazia si mescolata al presente. Da allora,
attendo il suo ritorno.
*
Febbri e bruciori mi mettono fuori combattimento. Un amico preoccupato
per il mio silenzio da recluso m'invita a casa sua. Mi perdo, disteso presso la
fontana del cortile. Lunghe dita fresche mi accarezzano il viso; una melopea mi
incanta. La bella con la bambina risale il viale dei cavalli imbizzarriti. Il sorriso
finalmente svelato, si chiama Khadija, ha gli occhi neri. La manina di sua figlia
Sabah si posa sulle mie dita. Le sorrido. Buongiorno, sono il padrino.
Figlia d'Egitto e del Sudan, ha ereditato il profilo arcuato dagli antichi
bassorilievi. Ha raccolto Sabah sulle rive del fiume. Tesseva con le sue lunghe
mani le fibre del cactus sabra del deserto, quando fu rapita da un re almoravide
che mor sotto le mura di Marrakesh.
La bella del deserto e la bambina del fiume sono ogni giorno al mio
capezzale. Racconto storie ai neri occhi stupiti. Non capisce, ma sorride;
Khadija la aiuta con qualche parola. Chiedo a Sabah di cantarmi delle canzoni.
A volte riconosco una filastrocca francese e balbetto insieme a lei le parole che
riesco a ricordare. Sabah ride. Di ritorno da scuola mi mostra il quaderno,
scritto in khat{xviii} arabi o alfabeto latino. Le faccio i complimenti per quanto
diligente. Un giorno mi ha chiesto quando guarir. Ci vorr del tempo, e tu
potrai aiutarmi. Khadija la fa sedere al tavolo per disegnare. Mi prende la
mano, all'inizio non dice niente.
Khadija posa la testa delicata nell'incavo della mia spalla dolente. La sua
mano leggera mi sfiora la guancia. Le bacio la fronte e chiudo gli occhi sul suo
131

profumo di agrumi. Si addormentata. Veglio su di lei, commosso da tanto


abbandono. Un raggio di sole le apre gli occhi; mi sorride e si stringe al mio
fianco. Siamo rimasti cos, fragili nelle nostre speranze. Lei mi bacia
teneramente.
Ci siamo recati sulle rive del lago Lalla Takerkoust. Nevi eterne lo
circondano. Sabah fa il bagno; noi ci rilassiamo; alcuni pescherecci oziano
lontano. Qualche gabbiano vola ancora. Dio ristagna. Ho cancellato Clara;
Batrice uno splendore. Khadija mi trascina con mano ferma nell'acqua
fresca.
Ai piedi dell'Atlante trovo un'oasi di olivi centenari. In seguito vi far
costruire una dimora di terra battuta per accoglierle. Faremo lezione ai bambini
del vicino douar.{xix} Sono diventate le mie compagne.

132

L'Odissea

Wijdane appesa all'imbragatura del parapendio. La vela, la stessa di


vent'anni fa, color azzurro cielo e giallo sole, spiegata dietro di me nel cortile
del castello della Punta. Dal golfo di Ajaccio risale la brezza calda.
Andiamo, figlia mia?
Khadija accanto a me.
State attenti!
Non c' problema rispondo io, molto abdeliano.
Mi lancio, la vela si gonfia sopra le nostre teste, un leggero colpo di freno, ed
eccoci partiti.
Wijdane! Guarda quella poiana a sinistra, come sale! La rincorriamo?
Inclino la vela. Pi sotto, Batrice sulla gradinata nel suo abito bianco,
trasparente, con il cappello di paglia dal nastro fucsia. Mi ha accompagnato
cos, in tutti questi anni di assenza. Al braccio tiene un cesto pieno di rose del
giardino.
Laetitia spinge la carrozzina del suo ultimo nato, protetta da un ombrellino.
Sabah non alza la testa dal suo libro. Robert-Jean si china sulla fidanzata,
nascosto dai castagni in fiore. Pi sotto, la torre e la cappella mortuaria.
Facciamo giravolte nella corrente ascendente. Wijdane ride, ride, ride.
Figlia mia, com' pazza la vita!

E quanto bella!
Essaouira, agosto 2011

Per chi desidera contattare l'autore, il suo indirizzo di posta elettronica


pozzo51@hotmail.com

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{i }

Quasi amici (2011), lm di ric Toledano e Olivier Nakache, interpretato da Franois Cluzet e Omar Sy, si ispira
alla storia dellincontro tra me e Abdel.
{i i }

la vie, la mort (2002).

{i i i }

Le second souffle, Bayard ditions, 2001.

{i v}

Circa un terzo dei tetraplegici sore di disturbi neurologici che si manifestano so o forma dei cosidde bruciori
fantasma, pi o meno for a seconda dei sogge , delle loro condizioni e dei fa ori clima ci. In questo sono un
vero campione: da quasi vent'anni nella scala del dolore oscillo ininterro amente tra 6 e 9,5/10. A 10 non si pi di
questo mondo!
{v}

possibile inviare donazioni a: Simon de Cyrne, 12 rue de Mar gnac, 75007 Paris; tel: 0033 (0)1 82 83 52 33,
www.simondecyrene.org
{vi }

J.-D. Bauby, Lo scafandro e la farfalla, Ponte alle Grazie, 1997.

{vi i }

Esplorazione re ale digitale: al ma no, dopo aver svuotato il sacche o per l'urina, la prima tappa consiste nel
me ermi su un anco, inlare un guanto, cospargere l'indice di crema e inserirmelo l dove sapete. Sono nato con
un gran culo, ma quelle l, a dire il vero, ne abusano. Chiudo gli occhi mentre mi rovistano. Grazie a tu e le
Marcelle, Berthe, Pauline, Catherine, Isabelle, Sabrya, Sandrine... per il loro ta o e la loro gen lezza. Io sono quello
che mantengono in vita con la punta dell'indice.
{vi i i }

Gioco di parole intraducibile tra ttra e ttard, che in francese signica testardo, ma anche (come in
questo caso) girino.
{i x}
{x}

ditions Grasset, 1974.

Charles Pguy, Il portico del mistero della seconda virt, Mondadori, Milano, 1993.

{xi }

Jos Mariano de Larra, Figaro au cimetire (l'autore si suicid l'anno seguente, a 26 anni).

{xi i }

Jean-Paul Sartre.

{xi i i }

Il Libro della Rivelazione l'Apocalisse di Giovanni.

{xi v}

La vendita alla candela vergine una forma di aggiudicazione par colare che consiste nel fare rialzi d'oerta per
il tempo in cui due candele si consumano.
{xv}

Polisensualismo: culto del corpo, ricerca delle comodit, moltiplicazione delle sensazioni.

{xvi }

Chiamo in questo modo la carrozzella a mano, facilmente ripiegabile per riporla nel bagagliaio di un'automobile.

{xvi i }

Taguia: copricapo degli Gnawa membri di una confraternita religiosa del Sud magrebino; discenden degli
schiavi neri africani. Praticano un rito di possessione sincretico.
{xvi i i }
{xi x}

Khat arabi: calligrafia araba.

Douar: villaggio.

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