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Zygmunt Bauman

PAURA LIQUIDA

Obiettivi del libro:

 Non è un inventario delle paure;


 Vuole individuare le radici comuni della varie paure e gli ostacoli ad esse collegate;
 Individua alcuni modi per rimuovere gli ostacoli ed impedire loro di fare del male;
 Invita a pensare di agire e agire consapevolmente.

Introduzione:

PAURA è il nome che diamo alla nostra incertezza: alla nostra ignoranza della minaccia, o di ciò che c’è da fare.
L. Febvre collegava tale sensazione di onnipresenza della paura al buio. Il buio non è la causa della minaccia, ma
l’habitat naturale dell’incertezza, e con essa della paura.
H. Largange parla di un tipo di paura così detta “derivata”, è una paura secondaria vista come sedimento di
un’esperienza passata. È definita come uno preciso stato d’animo di sensibilità al pericolo.
i pericoli che si temono sono di 3 tipi: 1) quelli che minacciano il corpo e gli averi; 2)quelli che minacciano la
stabilità e l’affidabilità dell’ordine sociale da cui dipendono; 3) quelli che minacciano la posizione nella gerarchia
sociale, l’identità ed espongono alla possibilità di essere umiliati ed esclusi a livello sociale.
Ogni giorno siamo esposti a nuovi rischi e la nostra società liquido – moderna riproduce un congegno che cerca di
rendere possibile vivere con la paura. Il terrore viene represso attraverso una tacita tacitazione (T. Mathiesen): è
strutturale, impressa in noi, inevitabile in quanto quotidiana, dinamica e silenziosa.

I colpi continuamente annunciati sono molto più numerosi di quelli che arrivano davvero, inoltre tante paure
arrivano nella nostra vita già con i loro rimedi  società dei consumi.

Spostare l’attenzione dai pericoli ai rischi si rileva un tentativo di eludere il problema. Concentrandoci sui casi in
cui possiamo fare qualcosa, non ci resta tempo per metterci a riflettere sui i casi in cui ci è impossibile fare
alcunché.

Attali: Titanic siamo noi, la nostra società trionfalista, autocelebrativa, cieca, ipocrita, spietata verso i poveri: una
società in cui tutto viene previsto tranne i mezzi per prevedere [...] . Tutti [...] intuiamo che c’è un iceberg ad
attenderci, nascosto da qualche parte tra le brume del futuro nebuloso, e che ci andremo a sbattere contro per poi
sprofondare al suono della musica [...].  sindrome del Titanic: paura della possibilità si verifichi una catastrofe
che ci colpisca tutti.
Paura della morte:

Come paura dell’esclusione sociale ( morte del ruolo, come venire eliminati da un reality show)

La morte è la personificazione dell’ignoto, è la paura originaria ed è innata.


Tutte le culture umane possono essere decodificate come ingegnosi congegni che rendono la vita vivibile,
nonostante la consapevolezza della morte.

Strategie culturali:

1. Costruzione di ponti tra vita mortale ed eternità,ridefinendo la morte come nuovo inizio, anziché come
fine definitiva.  immortalità: individuale (fama), spersonalizzata (compensa l’impotenza personale) o
compensatoria ( in nome della nazione, il valore della morte aveva il potere di ridefinire il significato della
vita, per quanto priva di valore essa fosse stata);
2. Spostare l’attenzione dalla morte in sé alle cause specifiche di morte  decostruzione.
Secondo R. Barthes il mito della accidentalità della morte è costruito e sostenuto rappresentando un atto
naturale come il prodotto di tanti fallimenti umani che potevano essere evitati;
3. Quotidiano svolgimento di una “prova generale metaforica” della morte nella sua terribile verità di fine
assoluta in modo tale che possa essere vista come nulla più che un evento normale tra tanti altri.
Secondo J. Derrida la morte è la fine di un mondo unico che non potrà più risorgere. Quando un mondo
vicino al nostro finisce, noi vivi viviamo un’esperienza di morte di secondo grado.
Anche la rottura di una relazione ha un’impronta di definitività (anche se quell’impronta può essere
cancellata)e può essere quindi definita come morte di terzo grado. Quest’esperienza diventa un fatto
ripetuto più volte e ripetibile all’infinito causando una banalizzazione della morte.

Satura com’è di morti metaforiche, la vita liquido – moderna è perennemente intessuta di sospetto ed è vissuta
come una battaglia per non essere esclusi.

La paura e il male:

Il male indica ciò che si vede e ode la paura è ciò che di conseguenza si avverte.
è impossibile definire il male e ricorriamo a questo concetto quando non riusciamo ad indicare quale regola sia
stata violata. È relegato nello spazio oscuro dei noumeni Kantiani, di ciò che è inconoscibile.

Per gli antenati il male nasceva nell’atto di peccare e ricadeva sui peccatori sotto forma di castigo.
Tutto il male presente nell’universo poteva essere ricondotto agli esseri umani: la presenza del male era un
problema morale. (libro di Giobbe)

Il terremoto, l’incendio e il maremoto che in rapida successione distrussero Lisbona nel 1775 hanno segnato
l’inizio della moderna filosofia del male, la quale, in teoria, separa i disastri naturali (casuali) da quelli morali
(intenzionali). Tuttavia, Rousseau sottolineava nella sua lettera aperta a Voltaire che almeno le conseguenze delle
catastrofi erano il risultato di colpe dell’uomo.
La filosofia moderna ha seguito il modello di Pombal (I ministro portoghese all’epoca) la cui “missione” era di
sradicare i mali a portata di mano dell’uomo. I filosofi credevano che la mano dell’uomo sarebbe potuta arrivare
più lontano se dotata della scienza. Ampliando in tal modo il raggio d’azione umano, sarebbe diminuito il numero
dei mali che restavano fuori dalla sua portata.  tali ambizioni moderne sono crollate con Auschwitz.

Processo Eichmann: sostiene che il suo comportamento non era dato dal male, ma dall’ubbidienza militare a
regole superiori.
Primo Levi: non c’è dubbio che ciascuno di noi sia potenzialmente in grado di diventare un mostro.
La fiducia si trova in difficoltà nel momento in cui ci rendiamo conto che il male si può nascondere ovunque; che
esso non è distinguibile in mezzo alla folla, non ha segni distintivi. Chiunque può essere reclutato, in servizio
effettivo o in congedo temporaneo.  crisi dei rapporti sociali

Male burocratico caratterizzato dalla razionalità.

Orrore dell’ingestibile:

i tentativi di rendere il pianeta più ospitale e confortevole per la vita degli uomini hanno creato una situazione di
disuguaglianza in quanto i privilegi si distribuiscono in modo locale e sembrano inadatti ad essere estesi
all’universale perché le risorse sono limitate.

Dupuy riconduce la tendenza allo spreco e all’auto distruzione alla strategia delle lunghe deviazioni: si sostituisce
a flussi operativi molto brevi, gestiti in autonomia dagli uomini, una lunga catena di eventi eteronomi, affidati
perlopiù a congegni artificiali.
Illich ha scoperto che una crescente proporzione di prassi mediche era causata dalla necessità di riparare gli effetti
negativi, imprevisti o sottovalutati, di deviazioni precedentemente applicate.
La modernità è concepibile soltanto come continua e compulsiva modernizzazione: termine in cui è condensata la
costruzione di deviazioni, sempre nuove e più ampie, di solito presentate come scorciatoie.

La prospettiva di una catastrofe è difficile da evitare poiché il potenziale patologico della civiltà moderna è dovuto
alle stesse qualità da cui essa trae prestigio, ossia alla sua congenita incapacità di porsi dei limiti. Gran parte del
progresso quotidiano consiste nel riparare i danni prodotti dagli sforzi passati e attuali di accelerare il progresso
stesso.

M. Espada: “tendiamo a pensare ai disastri naturali come a qualcosa di imparziale casuale. Eppure non è stato
sempre così: i poveri sono a rischio”  ES: uragano Katrina a New Orleans
le vittime colpite più duramente dalla catastrofe naturale sono stati coloro che, molto prima che Katrina colpisse,
erano già gli scarti della modernizzazione.

Neiman: “l’illuminismo è il coraggio di pensare per proprio conto ed è anche il coraggio di assumersi una
responsabilità per il mondo in cui siamo stati gettati”
“Quanto più la responsabilità del male è ricaduta sull’uomo, tanto meno la specie umana è sembrata degna di
assumersela”

Il male causato dalle azioni immorali degli uomini appare sempre più ingestibile.
Burocrazia esigeva conformità alla regola, non il giudizio morale.

H. Jonas constatava come con le nostre azioni siamo in grado di influenzare spazi e tempi talmente remoti da
esserci ignoti e incomprensibili, mentre la nostra sensibilità morale non ha compiuto grandi progressi. Abbiamo
carpito il segreto per liberare e scatenare le forze represse della natura e abbiamo deciso di utilizzarle prima di
aver avuto modo di imparare come fermarle. Il paradosso di tutto ciò è che, alla fine di questa deviazione, ci
troviamo in una condizione simile a quella in cui eravamo al suo inizio: confusi, come lo erano i nostri progenitori.

La comprensione nasce dalla capacità di gestire. Ciò che non siamo in grado di gestire ci è ignoto; e l’ignoto fa
paura. La paura è un altro nome che diamo al nostro essere senza difese.
La globalizzazione ha reso visibile la forza spaventosa di quella che possiamo definire come la sfera dell’ignoto.
Terrore del globale:

globalizzazione negativa: se in origine l’idea di società aperta esprimeva l’autodeterminazione di una società
libera e orgogliosa del suo essere aperta, essa ormai è associata all’esperienza di popolazioni eteronome,
vulnerabili, atterrite dall’impossibilità di difendersi davvero e ossessionate dalla sicurezza dei confini.
la malintesa apertura delle società imposta dalla globalizzazione negativa è essa stessa la causa di ingiustizia e,
indirettamente, di conflitto e violenza.

Il concetto di rischio coglie ed esprime la vera novità che una globalizzazione negativa ha introdotto? NO.
Il concetto di rischio ha senso solo in mondo monotono e ripetitivo in cui sequenza casuali si ripetono abbastanza
spesso affinché i costi e i benefici delle azioni future possano essere descritti statisticamente .
Il nostro mondo è vulnerabile soprattutto ai pericoli la cui probabilità non è calcolabile.

Responsabilità e paradossi liquidi:


 La nostra immaginazione morale prende in considerazione gli altri solo quando sono a portata di vista;
 La responsabilità classica è legata al concetto di intenzionalità e motivazione (non volevo fare del male):
concetto inadeguato in un contesto di interdipendenza planetaria;
 Effetti delle nostre azioni influenzano le condizioni di vita delle generazioni future: è richiesta prudenza e
lungimiranza anche se questa pare impossibile visto che il futuro è imprevedibile.

R. Castel: “viviamo senza dubbio - perlomeno nei paesi sviluppati – nelle società più sicure finora mai esistite”
eppure noi ci sentiamo più esposti alle minacce.
l’insicurezza è stata evidenziata dall’ascesa del terrorismo globale.
M.Danner: “l’inconcepibile è divenuto brutalmente possibile”
prima di inviare i soldati in Iraq, D. Rumsfeld, dichiarò che “la guerra sarà vinta quando gli americani si sentiranno
di nuovo sicuri”

Il problema è che i terroristi danno prova di un’inventiva apparentemente illimitata, e che ciò costringe chi li
affronta sul piano militare a innalzare quasi quotidianamente la soglia di ciò che è accettabile.
i gruppi terroristici non sono omogenei, ma vengono formati ad hoc, reclutati ogni volta in ambienti diversi, a
volte in direzioni che si ritengono incompatibili tra loro.

Le risposte agli atti terroristici appaiono inadeguate in quanto si riversano su un’area molto più ampia di quella
colpita dall’attacco terroristico e provocano vittime collaterali con la conseguenza di aumentare l’odio e la rabbia
repressa, accrescendo le schiere di potenziali adepti alla causa terroristica.

La vera guerra al terrorismo si conduce cancellando i debiti dei paesi poveri, aprendo i nostri ricchi mercati ai
prodotti di base di questi paesi, finanziando l’istruzione …

Chi è insicuro tende a cercare un bersaglio su cui scaricare l’ansia accumulata.  minoranze, neri …

Far affiorare le paure:

Il paradosso cui si giunge è che proprio le società più sicure, quali dovrebbero essere, oggettivamente, quelle
moderne, specie nella parte di mondo cosiddetta “evoluta”, sono attraversate da paure ed ossessioni talvolta
giustificate, ma spesso generate ad arte da chi ha interesse commerciale, politico, militare, a conservare uno stato
d’ansia collettivo, che aumenta quando, nelle maglie della sicurezza promessa, si intravede anche la minima
smagliatura. Bauman, attraverso esempi puntuali e citazioni da giornali e tv, dimostra come i pubblicitari, le
aziende e soprattutto i politici in campagna elettorale cavalchino l’onda della paura, paventando paure anche non
dimostrabili in concreto, ma che fanno presa sullo “stomaco” dei cittadini.
Conclusioni:

L’ultimo capitolo Bauman lo dedica a cercare un senso alla parola. Cosa può fare un intellettuale, un pensatore, di
fronte alle paure e più in generale per contribuire a rendere più vivibile e intellegibile questo mondo così caotico,
frammentario, precario? L’antica concezione per cui dovrebbe affiancarsi a un Principe illuminato si è dimostrata
fallimentare, così come il sogno dell’intellettuale organico al partito e guida della futura rivoluzione. Bauman,
riprendendo un esempio di Adorno, auspica che si possa, almeno, lanciare un messaggio nella bottiglia,
nell’auspicio che qualcuno, possibilmente non troppo in là nei decenni, possa coglierlo. Oltre ad augurarsi un
difficile bilanciamento tra sicurezza e libertà, Bauman chiude sostenendo che  solo annunciando l’inevitabilità
della catastrofe si potrà evitare che la stessa accada. Stare sempre in guardia, insomma, cattivi profeti che si
augurano di fallire nella loro previsione. Può essere una chiusura che incute paura, ma forse fanno più paura
coloro che ritengo che vada sempre e comunque tutto bene.

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