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Modernità Liquida

Zygmunt Bauman

Riassunto – Roberta Giardino

Il libro di Bauman mi ha consentito di entrare con l’aiuto della sua enorme lente d’ingrandimento della lucidità, nel
nostro mondo, quello in cui quotidianamente ci affanniamo. Dall’alto, dalla sua visione globale, fino a dentro le pieghe
della nostra frustrazione. E’ una visione severa, su cui lo stesso autore nella prefazione ci introduce che quella che
stiamo vivendo un “interregno” uno di quei momenti in cui gli antichi modi di agire e gli stili di vita appresi non
funzionano più, ma non sono state ancora inventate nuove modalità per affrontare le sfide e non sappiamo neanche
chi potrà farlo.

Ormai quasi tutte le regioni del mondo, a parte poche eccezioni, partecipano a quel cambiamento ossessivo,
compulsivo e inarrestabile della modernizzazione con tutti i fenomeni che l’accompagnano di popolazione in esubero e
tensioni sociali che provoca. Le forme di vita moderne, per quanto diverse tra loro, hanno tutte in comune la fragilità,
la provvisorietà e la tendenza a cambiare continuamente. Quella che stiamo attraversando è una modernità “liquida”
in cui l’unica costante è il cambiamento e l’unica certezza è l’incertezza. Vivere in questa modernità significa pertanto
restare perennemente incompiuti e indefiniti.

Se nella fase solida il cuore della modernità risiedeva nella capacità di controllo del futuro, un percorso con una meta
predefinita, che si sarebbe arrestata quando tutti i bisogni umani fossero stati soddisfatti , oggi, nella fase liquida la
maggiore preoccupazione è quella di non ipotecare il futuro per non correre il rischio di non poter più sfruttare le
opportunità che il futuro potrebbe riservarci.

La nostra è una modernità individualizzata, privatizzata, in cui la responsabilità del fallimento ricadono principalmente
sulle spalle dell’individuo. Il modello panottico e tutte le strutture sociali ad esso collegate è definitivamente entrato in
crisi e, liquefacendosi, ha aperto una nuova fase della storia umana. Questa fase di liquidità attraversa aspetti
importanti della nostra vita sociale come ad esempio il lavoro, la comunità, l’individuo, il rapporto tra lo spazio ed il
tempo, ed infine, ma non ultimo in ordine di importanza, l’idea di libertà e quella ad essa collegata di emancipazione.

Nel primo capitolo si affronta il tema dell’EMANCIPAZIONE: la modernità ha affrancato gli uomini da molte
dipendenze, ma tale liberazione è un bene o un male? Ma come già anticipava Emile Durkheim, la sottomissione
dell'individuo alla monotonia e alla regolarità imposta e raccomandata dalla società era la paradossale condizione della
sua liberazione. Oggi, l'individuo, senza le regole chiare dettate dalla comunità in cui vive, si sente perso, proprio
perché slegato da ogni vincolo. Il potere pubblico ha perso il suo potere oppressivo ma con esso anche buona parte
della forza capacitante.

Ci si sente liberi nella misura in cui l’immaginazione non supera i desideri reali e nessuno dei due oltrepassa la
capacità di agire. La contraddizione tutta fluido moderna è quella dell’abisso che si è spalancato tra la realtà
dell’individuo de iure e le prospettive l’individuo de facto.

Oggi abbiamo forse una maggiore capacità critica, siamo più audaci e intransigenti rispetto alla nostra vita
quotidiana, ma la nostra critica è per così dire,” spuntata”, incapace di agire sulle nostre scelte inerenti alla “politica
della vita”. La libertà senza precedenti che la nostra società offre ai propri membri è corredata, come Leo Strauss ha
ammonito molto tempo fa, da una impotenza senza precedenti.

Gli uomini hanno sempre cercato di superare i propri limiti, ma nella condizione attuale due sono i tratti nuovi:
1. Il fatto che sia crollata la convinzione che la strada lungo cui procediamo per superare i limiti abbia un fine
raggiungibile, uno stato di perfezione da raggiungere, nessun appagamento e sensazione di essere arrivati,
nessun luogo dove poter deporre le armi, rilassarsi e abbandonare ogni preoccupazione
2. La privatizzazione dei compiti ha lasciato all’individuo il diritto e il dovere di scegliere cosa essere e adottare i
propri modelli di felicità: la società non esiste (come affermò Margaret Thatcher), la società non offre più
alcuna salvezza e ognuno deve trovare, in piena solitudine solo dentro di se, la capacità di andare avanti.

Oggi secondo Bauman , per compiere ulteriori e non illusori progressi verso l’emancipazione è la sfera pubblica a dover
essere rafforzata e difesa dall’invasione del privato, e ciò paradossalmente, al fine di accrescere, non di ridurre, la
libertà individuale”

Correlato ai problemi della libertà e dell’emancipazione è lo stato dell'INDIVIDUALITA’.

Gli uomini hanno sempre cercato di superare i propri limiti, ma nella condizione attuale due sono i tratti nuovi:

1. Il fatto che sia crollata la convinzione che la strada lungo cui procediamo per superare i limiti abbia un fine
raggiungibile, uno stato di perfezione da raggiungere, nessun appagamento e sensazione di essere arrivati,
nessun luogo dove poter deporre le armi, rilassarsi e abbandonare ogni preoccupazione. Restare in corsa, fare
shopping, analizzare le possibilità, maneggiare le merci in offerta ha invaso la politica della nostra vita,
estendendosi anche ai modi in cui gestiamo e concepiamo i nostri affetti, la cura del nostro corpo. La scelta del
consumatore è oggi un valore di per sé e l’attività di scegliere conta più di ciò che viene scelto.
2. La privatizzazione dei compiti ha lasciato all’individuo il diritto e il dovere di scegliere cosa essere e adottare
i propri modelli di felicità: l’affermazione “la società non esiste” di Margaret Thatcher era al contempo
un’acuta riflessione sulla mutevole natura del capitalismo e una profezia che si è autoavverata. La società non
offre più alcuna salvezza e ognuno deve trovare, in piena solitudine solo dentro di se, la capacità di andare
avanti. In questa penuria di guide pubbliche taluni prendo allora spunto dai talk show e dalla condivisione che
della loro vita e dei loro errori fanno chi vi partecipa. Quella di oggi sembra la colonizzazione della sfera
pubblica da parte di questioni private. Il potere pubblico ha perso il suo potere oppressivo ma con esso anche
buona parte della forza capacitante. Oggi tocca all’individuo scoprire cosa è capace di fare, portare tale
capacità al limite e scegliere i fini dove applicarla per avere la maggiore soddisfazione possibile. Oggi alcuni
abitanti del mondo sono in perpetuo movimento, per tutti gli altri è il mondo che si rifiuta di stare fermo.

Oggi, l'individuo, senza le regole chiare dettate dalla comunità in cui vive, si sente perso, proprio perché slegato da
ogni vincolo. C’è ben poco di predeterminato e ancor meno di irrevocabile, ma non esiste neanche una vittoria
definitiva e a nessuno è concesso di pietrificarsi in una realtà perenne. Giudicato padrone del proprio destino e quindi
colpevole in caso di insuccesso.

Oggi il mondo pieno di possibilità è un buffet ricolmo di prelibatezze che fanno venire l’acquolina in bocca, troppe
per sperare di assaggiarle tutte. I commensali sono i consumatori che hanno il compito gravoso di stabilire le
priorità, lasciandone inesplorate alcune. La loro infelicità nasce da un eccesso non da una penuria di scelte. Se non è
possibile non sbagliare mai, non si può neanche essere certi di essere nel giusto e non c’è nulla che distingua una
scelta migliore di un’altra, così il prezzo da pagare è una perenne incertezza. Il capitalismo pesante di stampo
fordista era anche il mondo delle autorità, dei leader che ne sanno più di te e che ti sanno dire come procedere. Il
tipo di vita da shopping continuo, l’eccesso di opportunità fa aumentare i pericoli di destrutturazione dell’individuo
e fomenta una competizione senza esclusione di colpi anziché produrre una condizione umana omogenea e incline a
generare cooperazione e solidarietà.
TEMPO SPAZIO: Hazeldon un architetto britannico che in Sudafrica coltiva un sogno, costruire una città diversa da
tutte: Heritage Park, la città autonoma e inaccessibile agli estranei, al cui interno gli abitanti potranno trovare tutto ciò
di cui hanno bisogno, negozi, chiese, ristoranti, teatri, in cui il problema dello spettro delle strade insicure sarà risolto
per sempre. Una casa a Heritage park costerà il biglietto di ingresso in una comunità. Una comunità però è un
insediamento umano in cui è probabile che individui estranei si incontrino, che significato avrebbe quella comunità
chiusa al mondo esterno?

Un ambiente urbano deve essere dotato di spazi che la gente possa condividere, e purtroppo nelle moderne città gli
spazi pubblici, gli spazi di incontro stimolano l’azione, il consumo, e non l’inter-azione. Per quanto possano essere
affollati non c’è alcunché di collettivo nei luoghi di consumo. Claude Levi Strauss in “Tristi tropici” ha affermato che in
tutta la storia umana, solo due sono state le strategie impiegate per risolvere il problema della diversità e dell’alterità
la strategia antropoemica, che respinge la socialità (sputando fuori gli estranei attraverso l’esclusione,
l’incarcerazione, la deportazione,) e quella antropofagica che la fagocita e punta all’annullamento o alla distruzione
della diversità. Una terza risposta, sempre più comune, è rappresentata da quella che Marc Augé definisce i non-
luoghi. Essi scoraggiano l’idea di insediarvisi, chiunque si trovi lì deve sentirsi a casa propria senza tuttavia doversi
comportare come a casa propria. I non luoghi sono gli aeroporti, le autostrade, le stanze d’albergo, i mezzi pubblici di
trasporto.

La modernità è, più di ogni altra cosa, la storia del tempo. Benjamin Franklin coniò il famosissimo detto che il tempo è
denaro. Il tempo, più tardi divenne denaro allorchè si trasformò in un utensile per accorciare le distanze e abbattere
ogni forma di irraggiungibilità dell’ambizione umana. Uno delle principali caratteristiche della seconda modernità, la
modernità liquida, è quella di aver subordinato il tempo e lo spazio all’ingegno e alle capacità tecniche dell’uomo e
aver decretato così il passaggio dalla modernità pesante (quella in cui la dimensione è segno di potere e il volume di
successo, quella legata alla terra, quella fordista dell’incontro diretto tra capitale e lavoro) alla modernità leggera, del
software, dell’istantaneità. La modernità fluida, liquida, è l’epoca del disimpegno in cui il breve periodo ha sostituito
il lungo, in cui la durabilità perde la propria attrattiva e si trasforma in handicap. Già Milan Kundera vide ne
“l’insostenibile leggerezza dell’essere” l’essenza stessa della tragedia della vita moderna.

Nel quarto capitolo, l'attenzione s'indirizza sul momento del LAVORO. Nell’epoca fordista il futuro era la creazione
del lavoro e il lavoro era fonte di qualsiasi creazione. Il lavoro così inteso era l’attività in cui si supponeva che
l’umanità intera fosse impegnata per suo destino e natura. Il lavoro però ha perso oggi la centralità attribuitagli
dall’epoca della modernità solida e del capitalismo pesante ed ha acquisito un significato principalmente estetico: ci si
attende che sia gratificante di per sé anche se solo poche persone hanno il privilegio di svolgere un lavoro importante
che nobiliti chi lo esercita e che sia a vantaggioso per l’intera comunità. Ancora una volta però la contraddizione tutta
fluido moderna è quella dell’abisso che si è spalancato tra la realtà dell’individuo de iure e le prospettive l’individuo de
facto.

Nell’epoca della modernità liquida inoltre si è permesso al lavoro di uscire dal Panopticon, il capitale si è scrollato di
dosso il pesante fardello che lo vincolava alla forza lavoro, il lavoro incorporeo dell’era del sw ha cessato di
ingabbiare il capitale e gli consente di essere extraterritoriale, volatile, volubile. Se il capitalismo pesante cercava di
allettare la forza lavoro (Ford) costringendola a restare immobile e lavorare secondo i piani, capitale, forza lavoro e
management erano nel bene e nel male condannati a restare legati per molto tempo l’uno all’altro, il capitalismo
leggero consiste nel disfarsi della forza umana, a snellire, ridimensionare e chiudere e unità produttive non più
efficienti. Oggi nessun individuo razionale conterebbe, a differenza del passato, sul fatto di trascorrere l’intera vita
lavorativa in un’unica azienda. Flessibilità è la nuova parola d’ordine, con i contratti a termine la vita lavorativa è
satura di incertezza. Per evitare frustrazioni molti individui tendono a diminuire come forma di difesa il sentimento di
fedeltà al proprio impiego.
Nel mondo della disoccupazione strutturale nessuno può sentirsi completamente garantito o sentirsi al riparo dalla
prossima razionalizzazione. L’esperienza di insicurezza e vulnerabilità si riversano su tutte le altre sfere della vita
privata. In assenza di una sicurezza di lungo periodo, la gratificazione immediata dei propri desideri appare una
strategia quanto mai ragionevole. Questa precarietà si trascina e si sostiene nella politica della vita in cui anche unioni
e legami tendono ad essere considerati e trattati come delle cose da essere consumate e non prodotte, portando al
disfacimento dei legami umani quando essi non soddisfino immediatamente i bisogni. Anche un piccolo inciampo può
causare la frantumazione dei rapporti

La liberalizzazione del lavoro ha favorito nuove forme di sfruttamento per cui le tradizionali forme di azione sindacale
sono percepite come inadeguate, poiché la loro forza contrattuale è minima se non inesistente. Se il legame
indissolubile tra capitale e lavoro era una questione di mutua dipendenza il disimpegno del capitale è unilaterale. In
questa situazione l’unico fattore di “disturbo” è il potere dei governi locali che possono ancora imporre fastidiose
restrizioni alla libertà di movimento del capitale. Un governo attento all’interesse del proprio elettorato non può che
sedurre – anziché costringere – il capitale ad entrare e, una volta entrato, a trattarlo con tutti i riguardi con la
promessa di un mercato del lavoro più flessibile. Paradossalmente i governi possono sperare di trattenere il capitale
solo convincendolo che esso è libero di andare via anche senza preavviso.

Nel capitolo conclusivo, sulla COMUNITA’, l’autore si sofferma sull'attenzione, posta da alcuni teorici, sulla dimensione
della comunità come possibile rifugio per gli individui moderni, che tante incertezze e difficoltà esistenziali affrontano.

L’affermazione “la società non esiste” di Margaret Thatcher era al contempo un’acuta riflessione sulla mutevole natura
del capitalismo e una profezia che si è autoavverata. La società non offre più alcuna salvezza e ognuno deve trovare,
in piena solitudine solo dentro di se, la capacità di andare avanti.

L’esperienza di insicurezza e vulnerabilità si riversano su tutte le altre sfere della vita privata. Questa precarietà si
trascina e si sostiene nella politica della vita in cui anche unioni e legami tendono ad essere considerati e trattati come
delle cose da essere consumate e non prodotte, portando al disfacimento dei legami umani quando essi non
soddisfino immediatamente i bisogni. Anche un piccolo inciampo può causare la frantumazione dei rapporti.

L’insicurezza dilagante che deriva principalmente dalle prospettive di disoccupazione, dalle prospettive incerte per gli
anziani e dai pericoli della vita urbana, fa guardare con fascinazione al paradiso sicuro promesso dal neo-
comunitarismo. Uomini e donne cercano gruppi di cui poter far parte, cercano un ripario comunitario che le difenda, o
da cui credono di essere difesi, rispetto alla giungla che c’è al di fuori del cancello.

La comunità oggi è l'ultimo residuo delle utopie della buona società, il sogno di una vita migliore, condivisa con
persone pronte a rispettare regole di coabitazione che possano ripristinare un senso di armonia. Un rifugio contro le
ansie che oggi vengono proiettate sui malintenzionati ed extracomunitari o delinquenti.

In netta opposizione con la fede sia patriottica che nazionalistica il genere più promettente di unità è quello che viene
conquistato ripartendo ogni giorno da 0, partendo dal confronto, dal dibattito, dal negoziato attraverso il
compromesso tra valori e modi di vita dei diversi membri della polis. Nel combattere chi vuole distruggere l’alterità
bisogna esorcizzare i nostri demoni interiori che ci istigano a ghettizzare gli stranieri indesiderati, ad applaudire ogni
giro di vite alle leggi sull’asilo politico, a chiedere che le nostre strade siano messe al sicuro da guardie armate.

Il testo si chiude con un contributo sull'attività dello scrivere di sociologia. L'A. crede che il ruolo del sociologo di fronte
all'insieme dei problemi sopra descritti possa avere un valore non trascurabile: deve porre al centro della sua
attenzione l'autocoscienza, la comprensione e la responsabilità individuale. Non si tratta tanto di scegliere tra una
sociologia impegnata e una neutrale, perché "il solo compito della sociologia è far sì che le scelte siano realmente
libere". E questo finale sembra schiudere uno spiraglio di speranza al termine di una ricostruzione dai toni piuttosto
gravi, che tuttavia sembra essere applicabile più alle dimensioni urbane delle società occidentali avanzate che all'intera
società contemporanea.

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