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Jula De Palma
Letteratura contemporanea B
Prof.ssa Antonella Anedda
Semestre primaverile 2021
Sommario
1. Introduzione................................................................................................................3

2. Camillo Sbarbaro: una breve biografia........................................................................3

3. Pianissimo: un’introduzione........................................................................................4

4. La città nella poesia di Camillo Sbarbaro: un’analisi..................................................6

4.1. Città e poeta: un unico paesaggio.....................................................................................6

4.2. Il poeta in città: la condanna d’esistere............................................................................8

4.3. La campagna nei ricordi del poeta cittadino: un’illusione..............................................11

5. Conclusioni...............................................................................................................12

6. Bibliografia...............................................................................................................14
1. Introduzione
Qualche caratteristica su Zanzotto e domanda di ricerca?
Il testo in questione fornirà prima di tutto qualche informazione di carattere generale
riguardante la biografia dell’autore, sostanziale per comprendere la sua poesia. Seguirà poi
l’analisi di alcune poesie sulla base di una categorizzazione, del tutto personale, del tipo di
guerra che viene tematizzato nei componimenti: la guerra interiore, quella con il proprio io,
psicologica; la guerra collettiva, storica, quella che così da vicino ha toccato la vita di Amelia
Rosselli e di tutta la società contemporanea; infine, la guerra passionale, amorosa, quella
combattuta con quel “tu” che così spesso ricorre nei suoi testi.
Per la stesura di questo lavoro si sono rivelate fondamentali le approfondite considerazioni dei
testi di

Camillo Sbarbaro è uno dei poeti che porta alla crisi del linguaggio poetico tradizionale dei
primi del ‘900 → 229 La nuova poesia o 234 = controtendenza rispetto alla tradizione per
“i miti e le figure di Pianissimo con cui Sbarbaro recupera alla cultura italiana la grande
lezione di Baudelaire, innestandola su quella di Leopardi, mostrano che la forma con cui
interpreta al crisi storica di quel primo scorcio di secolo affonda le radici in un altro processo,
quello del disagio o della possibilità della poesia nell’epoca moderna. È per questo che
Pianissimo testimonia fedelmente di quella stagione, ma anche le sopravvive e non ha bisogno
della risciacquatura del 1954.”
Testo mostra lo stato di semi morte dell’anima, lo svuotamento dei sentimenti e
dell’interiorità quindi il grande disincanto dovuto all’interruzione di comunicazione tra l’io e
il mondo p.18
“Pianissimo ci parla di una forte espropriazione che quasi rende a se stesso inconoscibile il
soggetto, il quale non comunica né fuori né dentro e per il quale coincidono essere e non
essere, esterno ed interno”p.19

2. Camillo Sbarbaro: una breve biografia


Camillo Sbarbaro nacque a Santa Margherita Ligure nel 1888 e morì a Savona nel 1967. 1
Nonostante oggi sia ricordato principalmente come uno degli scrittori più apprezzabili del
primo Novecento italiano, durante il corso della vita Sbarbaro si occupò anche di altro: fu un
impiegato in alcune industrie siderurgiche della Liguria; lavorò come insegnante e traduttore

1
GIULIO FERRONI, Il mondo deserto e frantumato di Camillo Sbarbaro in Storia della letteratura italiana. Il
Novecento e il nuovo millennio, Mondadori, Milano, 2013, p. 234.
di greco, latino e francese; collaborò con varie riviste tra cui “La Riviera Ligure” e “Circoli”;
e coltivò anche la passione per i licheni diventando un vero e proprio esperto in questo
campo.2 Inoltre con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale si arruolò con la Croce Rossa e
venne mandato al fronte come soldato di fanteria; quest’esperienza lasciò poi traccia anche
nella raccolta poetica Pianissimo dove viene anche annunciata la crisi dei valori causata dal
conflitto bellico.3
Centrali nella parabola esistenziale di Sbarbaro sono inoltre alcuni avvenimenti riguardanti i
parenti più prossimi. Inizialmente composta da lui, la sua sorellina e i suoi genitori presto la
sua famiglia si dimezzò: la madre morì infatti quando i figli erano ancora molto piccoli, nel
1883; ed il padre invece nel 1912; ed anche questi avvenimenti trovarono un riflesso nella sua
poesia.4
Per quanto riguarda invece l’opera letteraria, Sbarbaro agli albori della sua scrittura pubblicò
principalmente opere poetiche e solo in seguito prosastiche, dilettandosi poi in maniera
alternata fra i due generi.5 Egli esordì infatti nel 1911 con la sua prima raccolta poetica,
Resine, un libretto diffuso grazie al sostegno dei compagni liceali. 6 È invece nel 1914 che
pubblicò la sua seconda raccolta, Pianissimo, dedicata al padre, che morì solamente due anni
prima, e che ebbe molta più risonanza rispetto alla prima. 7 Seguono poi altre due volumi, nel
1955 Rimanenze, e nel 1956 Versi a Dina; mentre solo nel 1920 pubblicò la prima raccolta di
prose, Trucioli; nel 1928 la seconda, Liquidazione. Ne seguirono poi delle altre fra cui Fuochi
fatui del 1956; Scampoli del 1960; e Quisquilie del 1966.8

3. Pianissimo: un’introduzione
Considerato da molti critici una delle più importanti prove del primo Novecento, Pianissimo è
una raccolta poetica uscita per La Voce nel 1914. Essa unisce una serie di scritti redatti in un
breve arco di tempo, nello specifico tra il 1912 e il 1913, che sono stati pensati come un

2
GIULIO FERRONI, Il mondo deserto e frantumato di Camillo Sbarbaro in Storia della letteratura italiana. Il
Novecento e il nuovo millennio, Mondadori, Milano, 2013, pp. 234-235.
3
CARLO OSSOLA e GIACOMO JORI, Camillo Sbarbaro in La letteratura italiana. Canone dei Classici, Unione
Tipografico-Editrice Torinese (UTET), 2012, Vol. VIII, p. 325 e LORENZO POLATO, Introduzione in Camillo Sbarbaro,
Pianissimo, a cura di Lorenzo Polato, Marsilio Editori, Venezia, 2001, p.12.
4
LORENZO POLATO, Introduzione in Camillo Sbarbaro, Pianissimo, a cura di Lorenzo Polato, Marsilio Editori,
Venezia, 2001, p.14.
5
GIULIO FERRONI, Il mondo deserto e frantumato di Camillo Sbarbaro in Storia della letteratura italiana. Il
Novecento e il nuovo millennio, Mondadori, Milano, 2013, p. 235.
6
CARLO OSSOLA e GIACOMO JORI, Camillo Sbarbaro in La letteratura italiana. Canone dei Classici, Unione
Tipografico-Editrice Torinese (UTET), 2012, Vol. VIII, p. 325.
7
LORENZO POLATO, Introduzione in Camillo Sbarbaro, Pianissimo, a cura di Lorenzo Polato, Marsilio Editori,
Venezia, 2001, p.14.
8
GIULIO FERRONI, Il mondo deserto e frantumato di Camillo Sbarbaro in Storia della letteratura italiana. Il
Novecento e il nuovo millennio, Mondadori, Milano, 2013, p. 235 e Treccani: Sbàrbaro, Camillo nell'Enciclopedia
Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/camillo-sbarbaro/ultima consultazione il 30.08.2021.
progetto unitario.9 Tuttavia come spesso capita, la raccolta è successivamente stata ripresa da
Sbarbaro, che ha apportato delle varianti su più livelli (contenutistiche, grafiche, ortografiche
ecc.) ed è quindi stata ripubblicata più e più volte. 10 I testi presi in considerazione in questo
elaborato sono però fedeli a quelli della prima edizione, quella che ha un maggiore peso
storico, culturale e artistico.11
Questo diario in poesia è una raccolta composta da un totale di 29 poesie si articola in due
sezioni, la prima comprendente 19 testi e la seconda 10. Le due parti sono simmetriche fra
loro nel senso che prima di tutto le prime due poesie di entrambe le parti sono simili, come
anche le seconde e le ultime; e poi vi sono anche delle analogie fra gli attacchi di alcuni
componimenti; e di conseguenza l’intertestualità all’interno dell’opera è molto forte. 12
Per quanto riguarda invece i contenuti affrontati in Pianissimo va detto che i temi toccati dai
vari testi poetici sono molti: tra essi troviamo la questione della città, quella della natura,
quella famigliare; e tutte ci permettono di comprendere che per Sbarbaro il poetare funge da
mezzo che permette di dare attenzione e commentare l’esistenza. 13
L’opera presenta delle caratteristiche stilistiche e tematiche precise che rendono questa
raccolta qualcosa di dissonante rispetto alla tradizione. Infatti le 29 poesie che compongono
Pianissimo rimandano alle esperienze poetiche di Leopardi e Baudelaire; e per certi versi
hanno anche delle affinità con i vociani e D’Annunzio; ma nel contempo anticipano le
immagini di un mondo deserto e di uomini vuoti che si trovano invece ad esempio in Eliot. 14
Dominante nella metrica delle composizioni dell’opera è l’endecasillabo sciolto in alcuni casi
alternato a dei settenari o misure di verso anche più brevi; questo perché siamo negli anni
della crisi dell’apparato metrico tradizionale. 15 Mentre per quanto riguarda invece la lingua,
nonostante fosse allora d’uso adottare soluzioni stilistiche inedite quanto si sceglievano dei
contenuti inusuali, come i nuovi orizzonti della sensibilità o la problematica esistenziale e
filosofica che egli affronta in Pianissimo; Sbarbaro sceglie per i suoi testi l’uso di un italiano

9
CESARE SEGRE E CARLO OSSOLA (diretta da), Camillo Sbarbaro, in Antologia della poesia italiana, Einaudi, Torino,
2003, p. 228.
10
CARLO OSSOLA e GIACOMO JORI, Camillo Sbarbaro in La letteratura italiana. Canone dei Classici, Unione
Tipografico-Editrice Torinese (UTET), 2012, Vol. VIII, pp. 326-330.
11
LORENZO POLATO, Introduzione in Camillo Sbarbaro, Pianissimo, a cura di Lorenzo Polato, Marsilio Editori,
Venezia, 2001, p.17.
12
CESARE SEGRE E CARLO OSSOLA (diretta da), Camillo Sbarbaro, in Antologia della poesia italiana, Einaudi, Torino,
2003, p. 229.
13
CARLO OSSOLA e GIACOMO JORI, Camillo Sbarbaro in La letteratura italiana. Canone dei Classici, Unione
Tipografico-Editrice Torinese (UTET), 2012, Vol. VIII, p. 328.
14
CARLO OSSOLA e GIACOMO JORI, Camillo Sbarbaro in La letteratura italiana. Canone dei Classici, Unione
Tipografico-Editrice Torinese (UTET), 2012, Vol. VIII, p. 330.
15
LORENZO POLATO, Introduzione in Camillo Sbarbaro, Pianissimo, a cura di Lorenzo Polato, Marsilio Editori,
Venezia, 2001, pp. 24-25.
medio.16 Nella sua opera ci sono comunque movimenti sia verso l’alto sia verso il basso
dell’italiano ma non vengono scardinate la testualità e la lingua in quanto rimangono le
strutture espressive d’uso ordinario.17 Nello specifico dunque Pianissimo è caratterizzato
dall’impiego di un lessico semplice come anche da un uso limitato delle rime e delle figure
retoriche (ad eccezione dell’enjambement che permette all’autore di rendere più efficace la
fluidità del pensiero e a porre in una posizione di risalto certi elementi del discorso) e ne
consegue quindi uno stile simile al parlato, più vicino alla prosa che alla poesia. 18 Va però
notato che tutto ciò non deriva dalla volontà di rifiutare una dimensione letteraria del testo ma
dalla concezione di poesia che ha Sbarbaro: essa è un mezzo che l’autore usa per riflettere e
spiegare.19

4. La città nella poesia di Camillo Sbarbaro: un’analisi

In questo capitolo vengono riportate e commentate alcune poesie della raccolta Pianissimo
nelle quali affiora il tema della città. I testi analizzati sono pochi rispetto al numero totale di
poesie che compongono l’opera, tuttavia, ritengo che permettano di affrontare la tematica del
disagio con cui Sbarbaro deve convivere nella sua interiorità e nei confronti del mondo
esterno sotto più punti di vista, tutti interessanti e, probabilmente, da approfondire
ulteriormente.

4.1.Città e poeta: un unico paesaggio

Il primo testo che prenderò in considerazione in questa sede è Esco dalla lussuria. Composta
prevalentemente da endecasillabi, ma anche alcuni versi più brevi come trisillabi o bisillabi,
che spezzano il dettato poetico, questa poesia narra del vagabondaggio del poeta in un
paesaggio cittadino quasi onirico:
Esco dalla lussuria.
M’incammino
per lastrici sonori nella notte.
Non ho rimorso o turbamento. Sono
solo tranquillo immensamente.
Pure

16
CESARE SEGRE E CARLO OSSOLA (diretta da), Camillo Sbarbaro, in Antologia della poesia italiana, Einaudi, Torino,
2003, pp. 228-229.
17
CESARE SEGRE E CARLO OSSOLA (diretta da), Camillo Sbarbaro, in Antologia della poesia italiana, Einaudi, Torino,
2003, pp. 228-229.
18
CLAUDIA CROCCO, Il Modernismo. Dino Campana, Clemente Rebora, Camillo Sbarbaro in La poesia italiana
del Novecento: il canone e le interpretazioni, Carocci editore, Roma, 2015, p. 38.
19
CESARE SEGRE E CARLO OSSOLA (diretta da), Camillo Sbarbaro, in Antologia della poesia italiana, Einaudi, Torino,
2003, p. 229.
qualche cosa è cambiato in me, qualcosa
fuori di me.
Ché la città mi pare
sia fatta immensamente vasta e vuota,
una città di pietra che nessuno
abiti, dove la Necessità
sola conduca i carri e suoni l’ore.

A queste vie simmetriche e deserte


a queste case mute sono simile.
Partecipo alla loro indifferenza,
alla loro immobilità.
Mi pare
d’esser sordo ed opaco come loro,
d’esser fatto di pietra come loro.
Ché il mio padre e la mia sorella sono
lontani, come morti da tanti anni,
come sepolti già nella memoria.
Il nome dell’amico è un nome vano.
Tra me ed essi s’è interposto il mio
peccato come immobile macigno.
E se sapessi che il mio padre è morto,
al qual pensando mi piangeva il cuore
di essere lontano ora che i giorni
della vita comune son contati,
se mi dicesser che mio padre è morto,
sento bene che adesso non potrei piangere.

Son come posto fuori della vita,


una macchina io stesso che obbedisce,
come il carro e la strada necessario.

Ma non riesco a dolermene.

Cammino
per lastrici sonori nella notte.

In questa poesia Sbarbaro affronta come prima questione il tema della lussuria e del possibile
senso di colpa collegato all’atto sessuale che ha praticato poco prima in un postribolo.
Apparentemente tranquillo egli vaga per le vie della città, vasta e deserta, e trova in questo
contesto cittadino una rappresentazione concreta di quello che sente dentro di sé, definendosi
appunto simile alle strade ed alle case urbane (v.15). Emerge quindi fin da subito una seconda
tematica di questo scritto, il senso di apatia, di alienazione e di indifferenza, che egli prova.
L’immagine del paesaggio non è quindi da intendersi come una pura descrizione cittadina o
un apprezzamento per i progressi dell’urbanistica, e difatti non è possibile identificare un
capoluogo preciso dalla lettura di tali versi. Ritengo che l’immagine della città debba invece
costituire una sorta di mezzo tramite il quale il poeta riesce ad esternare delle sensazioni che
prova nel suo intimo. Come le vie di questa città egli partecipa a questa sensazione di
immobilità, alla sordità e all’insensibilità che traspare dal contesto urbano notturno; mentre in
seguito afferma di essere fatto di pietra, paragona quindi sé stesso, un essere vivente e
cosciente, ad una materia inerte, insensibile, dunque indifferente. C’è infatti una connessione
tra questa città notturna, ora pacifica e silenziosa, e la sensazione di assenza di turbamento che
prova il poeta stesso una volta incamminatosi per le vie lastricate fuori dal bordello. La calma
cittadina e la tranquillità interiore sono però unicamente qualcosa di momentaneo, difatti le
vie urbane ben presto torneranno a conoscere la frenesia tipica della città moderna e Sbarbaro
a provare la quasi costante condizione di dolore che anima la sua esistenza. Si comprende che
questa situazione di statica serenità è una sensazione nuova proprio grazie alla seconda strofa
del testo in cui il poeta afferma di percepire un cambiamento sia nel suo animo sia all’esterno.
Tuttavia non è in questo testo che egli rivive la sensazione del dolore, infatti come afferma sul
finale del componimento egli non riesce a dolersi per il senso di colpa dovuto all’atto sessuale
oppure alle disgrazie famigliari, in questo momento cammina “come posto fuori dalla vita”,
come una “macchina” (vv. 34-35), dunque come un essere freddo e razionale, privo di
emozioni. È invece solo tramite una lettura integrale dell’opera che si comprende come queste
sensazioni di pace siano qualcosa di eccezionale nella vita di Sbarbaro.
Ritengo infine che si possa estrapolare qualcosa di più da questo testo: oltre a rappresentare la
sua condizione personale attraverso l’allegoria del centro urbano notturno, viene anche presa
in analisi la città come luogo della morte dell’individuo in quanto questa città addormentata è
l’emblema della vita alienata vissuta dall’uomo moderno. Simmel → razionalità

4.2.Il poeta in città: la condanna d’esistere

Il secondo componimento che prenderò in considerazione è Talor, mentre cammino per la


strada, un testo che sicuramente accende nella memoria del lettore dei richiami a Leopardi e
Baudelaire.20 Anche questa poesia si presenta come una sorta di racconto ma in questo caso si
tratta di Sbarbaro che, in uno stato di profonda alienazione, prende coscienza della condizione
umana nella società moderna:21

Talor, mentre cammino per la strada


della città tumultuosa solo,
mi dimentico il mio destino d’essere
uomo tra gli altri, e, come smemorato,
anzi tratto fuor di me stesso, guardo
20
Lorenzo Polato, Commento e note ai testi in Camillo Sbarbaro, Pianissimo, a cura di Lorenzo Polato, Marsilio
Editori, Venezia, 2001, p. 110.
21
LORENZO POLATO, Commento e note ai testi in CAMILLO SBARBARO, Pianissimo, a cura di Lorenzo Polato, Marsilio
Editori, Venezia, 2001, p. 110.
la gente con aperti estranei occhi.

M’occupa allora un puerile, un vago


senso di sofferenza e d’ansietà
come per mano che mi opprima il cuore.
Fronti calve di vecchi, inconsapevoli
occhi di bimbi, facce consuete
di nati a faticare e a riprodurre,
facce volpine stupide e beate,
facce ambigue di preti, pitturate
facce di meretrici, entro il cervello
mi s’imprimono dolorosamente.
E conosco l’inganno pel qual vivono,
il dolore che mise quella piega
sul loro labbro, le speranze sempre
deluse,
e l’inutilità della lor vita
amara e il lor destino ultimo, il bujo.
Ché ciascuno di loro porta seco
la condanna d’esistere: ma vanno
dimentichi di ciò e di tutto, ognuno
occupato dall’attimo che passa,
distratto dal suo vizio prediletto.

Provo un disagio simile a chi veda


inseguire farfalle lungo l’orlo
d’un precipizio, od una compagnia
di strani condannati sorridenti.
E se poco ciò dura, io veramente
in quell’attimo dentro m’impauro
a vedere che gli uomini son tanti.

Anche in questo testo il poeta vaga per le vie della strada e di nuovo si trova a vivere in una
dimensione senza tempo che lo porta a fare delle osservazioni sul suo presente: scruta con
distacco e in uno stato di incoscienza o alienazione (“come smemorato, anzi tratto fuor di me
stesso”, vv.3-4) l’ambiente che lo circonda. Percepisce la gente, ne osserva le fisionomie e le
caratteristiche fisiche e da questa visione sale in lui “un vago senso di sofferenza e d’ansietà”
(vv.7-8) in quanto è come se all’improvviso percepisse una rivelazione: l’inganno in cui tutta
l’umanità vive ovvero l’inutilità dell’esistenza stessa dell’uomo (vv.17-21). La vita è quindi
per Sbarbaro una condanna, ma l’essere umano non per forza se ne rende conto nella frenesia
giornaliera in quanto è distratto. Unicamente il poeta, che in questo caso osserva la realtà
come dall’esterno, riesce ad accorgersi di questa amara condizione; difatti il resto degli
uomini procedono con le loro vite incoscienti del pericolo e sorridendo (vv.28-31). Tutto ciò
non è ovviamente piacevole e Sbarbaro infatti prova del disagio e si dispera nel vedere che
tanti uomini condividano questo triste destino.
Compare quindi nella poesia il topos della città moderna vista come un elemento negativo e
disumanizzante: tra i personaggi citati nel testo compaiono infatti alcune figure tipiche della
società (vecchi, bambini, preti, prostitute) tuttavia tutte rimangono come indefinite e
spersonalizzate. Inoltre dal testo emergono un senso di solitudine, angoscia e oppressione che
Sbarbaro riesce a provare unicamente in quanto spettatore del naufragio che sta travolgendo la
sua società. È come se il poeta riuscisse a distaccarsi dalla frenesia della vita cittadina, a
provare delle emozioni sincere e a rendersi conto che questo ambiente è qualcosa di nocivo
per l’uomo e per il suo fine ultimo, ricercare la verità, ed allontanarsi dalla finzione in cui vive
costantemente.

Se nel testo appena presentato vediamo Sbarbaro come in preda a una visione che prende atto
di quanto lo circonda, ma in maniera distaccata, in Taci, anima mia. Son questi i tristi,
vediamo invece Sbarbaro soffrire dei mali che provoca la città moderna in prima persona e in
modo più diretto:

Taci, anima mia. Son questi i tristi giorni


in cui senza volontà si vive,
i giorni dell’attesa disperata.
Come l’albero ignudo a mezzo inverno
che s’attriste nella deserta corte
io non credo di mettere più foglie
e dubito d’averle messe mai.

Andando per la strada così solo


tra la gente che m’urta e non mi vede
mi pare d’esser da me stesso assente.
E m’accalco ad udire dov’è ressa
sosto dalle vetrine abbarbagliato
e mi volto al frusciare d’ogni gonna.
Per la voce d’un cantastorie cieco
per l’improvviso lampo d’una nuca
mi sgocciolano dagli occhi sciocche lacrime
mi s’accendon negli occhi cupidigie.
Ché tutta la mia vita è nei miei occhi:
ogni cosa che passa la commuove
come debole vento un’acqua morta.

Io son come uno specchio rassegnato


che riflette ogni cosa per la via.
In me stesso non guardo perché nulla
vi troverei.

E, venuta la sera, nel mio letto


mi stendo lungo come in una bara.

Dopo essere stato solo evocato nella prima parte della raccolta, è infatti con questo testo, il
primo della seconda sezione, che si entra effettivamente nei meandri della perdizione nella
città.22 Centrale in questo caso è la seconda strofa: di nuovo viene presentata l’immagine del
poeta che si muove per le vie cittadine, solo, ma fra la gente, che gli viene addosso e che non
lo vede realmente. Proprio questi fatti lo portano a dubitare della sua stessa coscienza da
parergli di essere da sé stesso assente, lontano, sconnesso (v.9-10). Sbarbaro vive la città, si
trova ad osservarne le vetrine e gli abiti delle donne che passeggiano e ad ascoltare i
cantastorie della strada. Scombussolato da quanto lo circonda, presto questa visione provoca
in lui un pianto. È come se quanto fosse visibile ai suoi occhi, quindi la vita cittadina con tutti
i suoi lati negativi, fosse il massimo che la vita può offrirgli (“ché tutta la mia vita è nei miei
occhi”, v.18). È quindi come se Sbarbaro, come il resto dell’umanità, sia condannato a vivere
una esistenza passiva e che nulla possa più contro l’alienazione e la disumanizzazione che
provoca la città moderna.

4.3.La campagna nei ricordi del poeta cittadino: un’illusione


L’ultimo componimento analizzato in questa sede è Talora nell’arsura della via. Sebbene nel
resto dell’intera raccolta i riferimenti alla natura come un’entità positiva siano molti, è con
questo testo che capiamo che nemmeno quest’entità ha modo di evitare la sofferenza umana
dovute all’insalubrità della vita nella città moderna:
Talora nell’arsura della via
un canto di cicale mi sorprende.
E subito ecco m’empie la visione
di campagne prostrate nella luce…
E stupisco che ancora al mondo sian
gli alberi e l’acque
tutte le cose buone della terra
che bastavano un giorno a smemorarmi…

Con questo stupor sciocco l’ubbriaco


riceve in viso l’aria della notte.

Ma poi che sento l’anima aderire


ad ogni pietra della città sorda
com’albero con tutte le radici,
sorrido a me indicibilmente e come
per uno sforzo d’ali i gomiti alzo.
.
Anche in questo caso la scena descritta da questi versi riguarda il poeta in cammino per le
aride strade cittadine, questa volta però Sbarbaro viene piacevolmente sorpreso dall’udire il
canto delle cicale che presto provocano in lui la visione della campagna inondata di luce. E
può così visionare nella mente alcuni elementi naturali, come gli alberi e le acque, che, tempo
addietro, quindi probabilmente nell’infanzia, vista la sua giovane età al momento della

22
LORENZO POLATO, Commento e note ai testi in CAMILLO SBARBARO, Pianissimo, a cura di Lorenzo Polato, Marsilio
Editori, Venezia, 2001, p. 135.
scrittura di questo testo; erano in grado di sollevarlo dalla sofferenza della condizione di
sofferenza a cui è destinato l’essere umano. Emerge di conseguenza in questa poesia una
drammatica constatazione sull’inutilità della speranza, nulla, nessun tentativo, può allontanare
l’uomo da questa sofferenza.
La triste conclusione a cui giunge Sbarbaro nell’ultimo testo della sua raccolta è significativa
e preoccupante. Verrebbe ora da domandarsi se questa visione alquanto negativa
dell’esistenza possa essere collegata ai dolorosi eventi familiari con cui ha dovuto fare i conti
fin dalla tenera infanzia oppure se tale sofferenza derivi dal contesto storico in cui Sbarbaro si
è trovato a vivere. A mio parere non ritengo che un’opzione debba necessariamente escludere
l’altra e probabilmente sia la scomparsa dei suoi genitori, sia la frenesia della città moderna,
hanno provocato sofferenza e turbamento nell’animo dell’autore fino a portarlo ad avere una
visione tanto pessimistica e amara dell’esistenza.

5. Conclusioni
Dalla breve analisi proposta di alcuni testi della raccolta Pianissimo è emerso come la città sia
uno dei temi cardini dell’opera in quanto essa assume più funzioni all’interno del processo
creativo di Sbarbaro. In questa sede si è scelto di analizzare nello specifico come la città possa
fungere per il poeta da mezzo per esprimere all’esterno l’immagine della propria interiorità e
del proprio turbamento. Nello specifico ritengo che ciò sia favorito anche dal fatto che sia
l’animo di Sbarbaro sia l’ambiente cittadino sono accomunati da un elemento, un profondo
senso di disagio e dolore.
Ne consegue, come si è visto infatti nella seconda parte dell’analisi, lo sviluppo da parte di
Sbarbaro nei suoi testi poetici del topos della città moderna come qualcosa di negativo,
frenetico, alienante, disumanizzante. È infatti, tramite tali componimenti contenenti appunto
dei riferimenti vita urbana che è possibile scavare e comprendere la realtà del tempo nella sua
essenzialità; e viene così portata alla luce una condizione di indifferenza, aridità e vuoto che
domina il mondo e l’uomo degli inizi del XX secolo.23
Infine si è scelto in maniera del tutto naturale di indagare quella che è una delle opposizioni
che storicamente sono più note: città-campagna. È stato tramite il breve confronto con
l’ambiente naturale che Sbarbaro ha vissuto nella visione riportata nella sua ultima poesia di
Pianissimo, Talora nell’arsura della via, che è infine emerso quanto per il poeta non vi sia
rimedio alla dolorosa condizione umana a cui l’uomo è costretto dall’avvento della città
moderna. Difatti ritengo che in Pianissimo sia possibile indagare non unicamente la

23
GIULIO FERRONI, Il mondo deserto e frantumato di Camillo Sbarbaro in Storia della letteratura italiana. Il
Novecento e il nuovo millennio, Mondadori, Milano, 2013, p. 235.
sofferenza personale di un individuo che purtroppo di è trovato a confrontarsi con dolore e
con situazioni alquanto spiacevoli sin da una giovanissima età, ma anche conoscere con una
raffinata precisione le conseguenze anche drammatiche provocate dall’avvento della città
moderna. Di conseguenza credo di poter affermare che sebbene Pianissimo sia stato definito
come un diario poetico autobiografico di una sofferenza personale questo non basta per
rendere giustizia a questa opera in quanto il dolore di Sbarbaro è rappresentativo di una
condizione generale di disagio causata dalla frenesia della città. Difatti la descrizione della
città “diviene allegoria penetrante dell’essenza della metropoli, patria delle forme
dell’astrazione e del calcolo, che, nel garantire il funzionamento dell’economia di mercato,
prescindono del tutto dall’individuo, finendo anzi per dissolverlo”.24

24
ALESSANDRO ROMANELLO, Il poeta nella grande città: introduzione a “Pianissimo” in Lettere italiane,
Olschki s.r.l., aprile-giugno 1996, Vol. 48, No. 2 p. 246.
6. Bibliografia
→ ordine alfabetico + sistemare note con ivi e ibidem
Fonti
- CAMILLO SBARBARO, Pianissimo, a cura di Lorenzo Polato, Marsilio Editori, Venezia,
2001.
- CAMILLO SBARBARO, Pianissimo, a cura di Paolo Zoboli, Edizioni San Marco dei
Giustiniani, Genova, 2007.

Studi
- CLAUDIA CROCCO, Il Modernismo. Dino Campana, Clemente Rebora, Camillo
Sbarbaro in La poesia italiana del Novecento: il canone e le interpretazioni, Carocci
editore, Roma, 2015, pp. 32-38.
- GIULIO FERRONI, Il mondo deserto e frantumato di Camillo Sbarbaro in Storia della
letteratura italiana. Il Novecento e il nuovo millennio, Mondadori, Milano, 2013, pp.
234-235.
- CARLO OSSOLA E GIACOMO JORI, Camillo Sbarbaro in La letteratura italiana.
Canone dei Classici, Unione Tipografico-Editrice Torinese (UTET), 2012, Vol. VIII,
p. 321-345.
- LORENZO POLATO, Introduzione e Commento e note ai testi in CAMILLO SBARBARO,
Pianissimo, a cura di Lorenzo Polato, Marsilio Editori, Venezia, 2001, pp.11-29 e 83-
158.
- CESARE SEGRE E CARLO OSSOLA (diretta da), Camillo Sbarbaro in Antologia della
poesia italiana, Einaudi, Torino, 2003, pp. 228-231.
- PAOLO ZOBOLI (a cura di), Pianissimo dopo (quasi) un secolo, in CAMILLO
SBARBARO, Pianissimo, a cura di Paolo Zoboli, Edizioni San Marco dei Giustiniani,
Genova, 2007, pp. 7-12.

Articoli
- ALESSANDRO ROMANELLO, Il poeta nella grande città: introduzione a “Pianissimo”
in Lettere italiane, Olschki s.r.l., aprile-giugno 1996, Vol. 48, No. 2 p. 230-251; anche
consultabile online: https://www.jstor.org/stable/pdf/26265575.pdf?refreqid=excelsior
%3Adf5de01353c8506a8d50f918e41412a6
Sitografia
- Treccani: Sbàrbaro, Camillo nell'Enciclopedia Treccani,
https://www.treccani.it/enciclopedia/camillo-sbarbaro/ultima consultazione il
30.08.2021.

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