Sei sulla pagina 1di 146

Lezioni

1) 02-10-19 Fatto
2) 04-10-19 Fatto
3) 07-10-19 NON COMPRESA NEGLI APPUNTI
4) 09-10-19 Fatto
5) 11-10-19 Fatto
6) 14-10-19 Fatto
7) 16-10-19 Fatto
8) 18-10-19 Fatto
9) 21-10-19 Fatto
10) 23-10-19 Fatto
11) 25-10-19 Fatto
12) 28-10-19 Fatto
13) 30-10-19 NON COMPRESA NEGLI APPUNTI
14) 04-11-19 Fatto
15) 06-11-19 Fatto
16) 08-11-19 Fatto
17) 11-11-19 Fatto
18) 13-11-19 Fatto
19) 15-11-19 Fatto
20) 18-11-19 Fatto
21) 20-11-19 Fatto
22) 22-11-19 Fatto
23) 25-11-19 Fatto
24) 27-11-19 NON COMPRESA NEGLI APPUNTI
25) 29-11-19 NON COMPRESA NEGLI APPUNTI
26) 02-12-19 NON COMPRESA NEGLI APPUNTI
27) 04-12-19 Fatto
28) 06-12-19 NON COMPRESA NEGLI APPUNTI
29) 09-12-19 Fatto
30) 11-12-19 Fatto
31) 16-12-19 Fatto
32) 18-12-19 Fatto
33) 20-12-19 NON COMPRESA NEGLI APPUNTI

02/10/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco d’Intino 12 CFU lez. 1


Il corso intende introdurre allo studio dello Zibaldone del conte Giacomo Leopardi (al battesimo
Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro Leopardi [Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli,
14 giugno 1837]. Bisogna procurarsi immediatamente il testo dello Zibaldone in edizione storica.
Edizioni di riferimento:
• Garzanti, Pacella 1991 – Giacomo Leopardi Zibaldone di pensieri.
• Ed. Meridiano di Mondadori cura di Damiani.
• Ed. Oscar Mondadori in antologia assolutamente da evitare.
• Ed. Donzelli in 6 volumi anche da evitare;
• Ed. Feltrinelli riedizione di Donzelli da evitare;

1
• L’unica edizione in commercio è quella di Newton Compton presa dall’ed. Pacella, ma
sprovvista di indice;
• Ed. Americana e inglese curata da D’Intino.
Progetto Lessico Leopardiano che si propone di studiare alcune famiglie di lemmi nella produzione
leopardiana.
Edizione Zanichelli in CD ROM Ceragioli, Ballerini da cercare.
1. Prima parte filologica: che cos’è e come si usa lo Zibaldone.
2. Seconda parte: seminariale sullo studio delle fonti e ricerca personale.
Lo Zibaldone è un manoscritto accorpato da Leopardi e rilegato in 6 volumi e composto come un
libro. La denominazione ‘pagine’ per indicare le pagine dello Zibaldone è l’unica corretta in quanto
‘carte’ è imprecisa.
❖ Tempi:
Leopardi incomincia a scrivere nel 1817 e termina circa nel 1832, ma la produzione dell’opera rimane
incognita a moltissimi dei suoi familiari e amici. Probabilmente ne ha parlato con alcuni intellettuali
quali Sinner [Gabriel Rudolf Ludwig von Sinner - Filologo e bibliografo svizzero (1801 - Firenze
1860), bibliotecario della Sorbona a Parigi (1842-50) e autore della Bibliographie der
Schweizergeschichte 1786-1851 (1851). Nel 1858 cedette alla Palatina di Firenze, entrata poi a far
parte della Nazionale, la propria libreria, composta di 39 filze manoscritte di studi filologici suoi e di
scritti giovanili di G. Leopardi, che aveva conosciuto a Firenze nel 1830, tramite G. P. Vieusseux, e
di alcune migliaia di volumi a stampa. È un libro segreto che ha accompagnato Leopardi per tutta la
vita e ha sempre portato con sé. Malgrado i tempi dilatati, la grandissima produzione dello Zibaldone
si attesta in circa 4 anni. L’8 gennaio 1820 è la prima datazione che appare nello Zibaldone e allo
stesso anno è databile l’indicizzazione e il titolo al quale si riferirà indicandolo come il ‘mio Zibaldone
di Pensieri’. I vari pensieri sono separati attraverso un rientro al margine sinistro che indica il termine
di un pensiero e l’inizio di un altro. Alla fine di ogni pensiero inserisce la data, ma a volte appare la
data anche dopo una serie di pensieri miscellanei. A volte non siamo in grado di indicare se alcuni
blocchi di pensieri erano pensati come trattati (come nel caso della teoria del piacere) o frammentati.
Ci sono due modi di indicare i vari pensieri:
• Indicare la pagina;
• Al modo leopardiano si indica la pagina e il capoverso (es: p. 267, 3);
Nei suoi indici, Leopardi indica i suoi pensieri proprio attraverso il secondo metodo. Lo svantaggio
consiste nel fatto che si presta ad ambiguità.
Gennaio 1820: tutto ciò che viene prima sono le prime 100 pag. non datate e la scrittura è molto più
compatta e densa.
2
❖ Datazione
1817: p. 1 a 15
1818: p. 15-29
1819: p. 29-43 dal dicembre 1818 al gennaio 19
1819: p. 43 a 99.
1820 (363 pp/anno)
1821 (1853 pp/anno)
1822 (346 pp/anno)
1823 (1343 pp/anno) → scritti pre-Operette
1824 (116 pp/anno)
1825 (39 pp/anno)
1826 (78 pp/anno)
1827 (60 pp/anno)
1828 (126 pp/anno)
1829 (97 pp/anno)
1830-32 (2 pp/in due anni).
Nell’ottobre del 1827 scrive un indice, ma non all’interno dello Zibaldone e che non comprende le
ultime 300 pagine. Il tardo Zibaldone (dopo il ‘27, quindi nel 1828) con la pubblicazione delle
Operette [Le Operette morali sono una raccolta di ventiquattro componimenti in prosa, divise tra
dialoghi e novelle dallo stile medio e ironico, scritte tra il 1824 ed il 1832. Sono l'approdo letterario
di quasi tutto lo Zibaldone] e i pessimi risultati, è l’anno di cambiamento e di ‘risorgimento’. I suoi
rapporti con lo Zibaldone cambiano e cambia il suo pensiero. Dal 1828 in poi lo Zibaldone diventa
l’incubo di ogni editore. Riassumendo lo Zibaldone viene scritto per l’86,2% in 4 anni dal 1817 al
1820. Lo Zibaldone è un’opera pre-operette morali in quanto la sua funzione viene ritenuta assolta
con le Operette.
❖ I luoghi e il numero di pagine fuori da Recanati
- Roma (41)
- Milano (1)
- Bologna (84)
- Firenze (109 nel 1828)
- Pisa (13)
Il 5,8% del totale dello Zibaldone viene scritto fuori da Recanati e, data l’esigua percentuale, lo
definiamo un’opera recanatese.

3
Come si arriva all’idea dello Zibaldone? Sul fondo c’è l’idea della memoria, infatti lo Zibaldone è
un luogo cartaceo, un deposito dove Leopardi fissa le idee. Questo topos letterario ha una lunghissima
storia e la decisione di creare questo deposito avviene in Leopardi in un momento di svolta. In
principio c’è l’Ars Memoriae. Si parte da un aneddoto: quello del pugile Scopa a cui viene chiesto da
Simonide [Sulla figura di Simonide, caratterizzata da elementi di forte novità, fiorì già in età antica
una ricca aneddotica: al lirico fu attribuita l'invenzione di una tecnica mnemonica che permettesse di
imprimere i dati nella memoria tramite la fissazione di alcuni punti di riferimento visivi. Tale notizia
deriva da un aneddoto ambientato al tempo della permanenza di Simonide presso il re tessalo Skopas:
questi avrebbe rimproverato il lirico di aver dedicato troppo spazio all'esaltazione di Castore e
Polluce in un suo componimento, e lo avrebbe di conseguenza invitato a esigere dalle due divinità la
metà del compenso che egli stesso avrebbe dovuto dargli. Nello stesso momento, a Simonide sarebbe
stato comunicato che due giovani lo attendevano fuori dal palazzo: mentre egli andava ad accoglierli,
il palazzo sarebbe crollato, seppellendo tra le macerie lo stesso Skopas con i suoi commensali. Mentre
sembrava impossibile riconoscere i morti, i cui volti erano rimasti sfigurati, Simonide sarebbe stato
l'unico a identificarli, avendo perfettamente memorizzato il posto che essi occupavano attorno alla
tavola] di comporre un componimento in suo onore, ma gli ultimi versi vengono dedicati a Castore e
Polluce e ad una celebrazione il tetto crolla, ma il poeta viene chiamato dagli dèi e quindi salvato.
La memoria di Simonide era legata ad un luogo come nel caso del palazzo della memoria di Cicerone.
L’Ars memoriae resta celebre in tutta l’età classica. Nella biblioteca di Leopardi erano presenti questo
testo e quello di Lodovico Dolce Tecniche di memoria [Lodovico Dolce (Venezia, 1508 o 1510 –
Venezia, 1568) è stato uno scrittore e grammatico italiano]. La storia delle tecniche di
memorizzazione è legata ad una cultura prevalentemente orale. L’elemento della memoria è
fondamentale nelle culture legate all’oralità.
Gian Rinaldo Carli [Gian Rinaldo Carli (Capodistria, 11 aprile 1720 – Milano, 22 febbraio 1795) è
stato uno scrittore, economista, storico e numismatico italiano, di origine istriana, fra i più celebri del
suo tempo] nel 1793 in una Dissertazione Sulla Memoria, attesta di una giovane con straordinarie
doti di memoria. Questa è una data discrimine nell’ambito degli studi sulla memoria e, non a caso, è
vicina alla data di nascita di Leopardi. Questo fenomeno si va esaurendo nel giro di due/tre decenni
a cavallo tra fine ‘700 e inizio ‘800. Uno dei fattori che porta alla disgregazione della tradizione orale
è la Rivoluzione Francese che stravolge i canoni classici della memoria, si passa a un’era di
rivoluzioni proiettata verso il futuro. Si apre quindi il problema della memoria. Era stato già affrontato
a fine ‘700 e si comincia a riflettere sulla dimenticanza perché il filo della storia si sfilaccia. Non c’è
più fiducia nella capacità conservativa della storia, ma ci si accorge della sua fragilità. Tutto questo
sistema, vivo fino all’Ancient Regime, si disgrega. La tradizione filosofica inglese di Locke, Hume e

4
tanti altri e, in generale, la filosofia sensista, va già ricostituendo l’idea di continuità negandola. La
filosofia francese dell’ideologie ragiona sui meccanismi della memoria in modo critico e non dando
per scontato il fatto che essa è in grado di tramandare alcunché.
Memorie di Casanova (metà ‘700) Giacomo Girolamo Casanova (Venezia, 2 aprile 1725 – Duchov,
4 giugno 1798). Nei suoi tardi anni Casanova scrive le sue rimembranze e racconta che durante
un’orazione perde il filo del discorso e si smarrisce siccome non ricorda più ciò che ha memorizzato
e questo produce delle reazioni in lui devastanti. Casanova testimonia, con questo episodio, una
defaiance molto grave.
Lete. Arte e critica dell'oblio – Harald Weinrich (Wismar, 24 settembre 1927) è un linguista e
insegnante tedesco. Racconta di come Casanova fosse adito alla dimenticanza continua nella vita, ma
atto alla ricordanza scritta. Dopo il ‘700 si passa a una cultura più dedita alla dimenticanza e si avvia
un processo di scritturalizzazione della memoria.
Francesco Cancellieri [Francesco Girolamo Cancellieri (Roma, 10 ottobre 1751 – Roma, 29
dicembre 1826) è stato uno storico, bibliotecario, bibliografo, e un erudito italiano, autore prolifico
di numerose opere di storia, archeologia, liturgia e agiografia, alcune delle quali sono ancora inedite]:
Dissertazione intorno agli uomini dotati di gran memoria, Roma 1815. Libricino nostalgico e
malinconico che celebra gli uomini dotati di memoria in un tempo in cui questi uomini stanno
scomparendo. Cita Giacomo Leopardi. Al tempo egli aveva 17 anni ed evidentemente Cancellieri ne
aveva sentito parlare.
Tutto Leopardi nasce dall’angoscia dell’oblio. Il francese Raymond Aron [Raymond Claude
Ferdinand Aron (Parigi, 14 marzo 1905 – Parigi, 17 ottobre 1983) è stato un filosofo, sociologo,
storico e politologo francese. Compagno di scuola di Jean-Paul Sartre e Paul Nizan all'École normale
supérieure, divenne, al tempo dei totalitarismi dominanti nel mondo, un ardente promotore del
liberalismo moderno, controcorrente rispetto al prevalente milieu intellettuale di sinistra e pacifista.
Egli denunciò nel suo libro, L'oppio degli intellettuali, la fascinazione che l'ideologia marxista
riscosse in Francia nel XX secolo: una moda che riposava su miti politici, idolatria della storia e
alienazione dell’élite], storico della Rivoluzione francese che attesta la trasformazione e l’inizio della
modernità. Alexis De Tocqueville [Il visconte Alexis Henri Charles de Clérel de Tocqueville (Parigi,
29 luglio 1805 – Cannes, 16 aprile 1859) è stato un filosofo, politico, storico, precursore della
sociologia, giurista e magistrato francese]. Nel 1830 viaggia in America e scrive “De la democratie
in Amerique” scrive “la trama dei tempi si rompe in America” ogni individuo sta come una monade.
Il problema dell’oblio percorre tutto Leopardi e lo affligge sotto moltissimi punti di vista: individuale,
politico, sociale. Per far fronte all’oblio si avvia un processo atto a creare una memoria scritta che

5
possa perdurare nel tempo, nasce quindi l’esigenza della creazione di sistemi di organizzazione di
dati diversissimi dall’Ars Memoriae.
1. Cicerone;
rappresentano i tre canoni della memorizzazione classica che
2. Quintiliano;
invitano alla ruminazione di quanto si è ascoltato o imparato
3. Seneca;
durante il giorno.
Attesta Cancellieri che il miglior modo per conservare la memoria è “prendere appunti di quanto
ascoltato durante il giorno, scrivere memorie o Zibaldoni”. Citazione di Leopardi.
Cancellieri suggerisce lo scrivere Zibaldoni come metodo succedaneo alla memorizzazione orale.
Ars excerpendii: arte dall’estrazione rappresentata dal prendere nota. Excerpta, annotazione, estratti
sono tutti termini utilizzati da Leopardi per descrivere questo nuovo metodo di memoria
scritturalizzata.
Joseph Anton Vogel [Joseph Anton Vogel (Altkirch, 23 marzo 1756 – Loreto, 26 agosto 1817) è
stato uno storico e letterato francese]. Fu esemplare figura di erudito settecentesco, fondamentale per
la formazione culturale e per la storiografia di molti comuni delle Marche. Dal 1802 al 1814 il Vogel
risiedé a Recanati per riordinare l'archivio comunale. Per la sua perizia come archivista fu introdotto
nel 1809 alla famiglia Leopardi, anche qui per ordinarne la biblioteca, ma successivamente nacque
una profonda amicizia con il conte Monaldo, che ne richiese l'opera quale precettore per il figlio. La
presenza in casa del Vogel, che portava testimonianza dei fermenti culturali europei fu molto
importante nella primissima educazione del giovane Giacomo; molto probabilmente anche il fascino
che emanava dalle notevoli conoscenze linguistiche del Vogel (inglese, francese, tedesco e russo)
giocò un ruolo importante per la formazione del poeta recanatese. Il Vogel fu fra i primi che parlarono
entusiasticamente del talento del poeta, commentando il suo Porphyrii de vita Plotini.
In un carteggio con il marchese Filippo Solari il Vogel usa tra l'altro il termine "zibaldonico",
suggerendo la necessità di tenere uno "sgrigno" letterario dove registrare i propri pensieri e idee,
insieme a spunti di studio. Tale termine il Leopardi riutilizzerà per denominare la sua più importante
opera in prosa, cui sembra non indifferente lo stile del Vogel. L'uso di raccogliere materiale letterario
diversissimo e spesso senza continuità per unirlo insieme come fonte per ulteriori elaborazioni era
una caratteristica dell'arte del letterato alsaziano e di altri preromantici come lo Winckelmann e tale
stile, secondo alcuni sull'influsso del Vogel, Leopardi trasporterà nello Zibaldone.
“Il sistema di Locke consisteva nello scrivere senza ordine né sistema…con l’avvertenza di mettere
alla testa del tomo un indice”
Joseph Anton Vogel definisce lo Zibaldone “caos scritto”. Ci sono tre indici dello Zibaldone, quelli
che precedono l’indice del 1827 vengono detti proto-indici. Joseph Anton Vogel usa una parola
interessante “magazzei” per definire i testi scritti in maniera disordinata da cui poi sortiscono le opere.

6
Theodor Elwert [Wilhelm Theodor Elwert (Stoccarda, 20 dicembre 1906 – Magonza, 12 febbraio
1997) è stato un filologo, metricista e accademico tedesco. Docente di filologia romanza all'università
di Magonza dal 1953, fu autore di varie opere filologiche, tra cui Studi di letteratura veneziana
(1958), Trattato di versificazione francese (1965), La poesia lirica italiana del Seicento (1967) e
Versificazione italiana dalle origini ai giorni nostri (1973), nonché di saggi sulla cultura provenzale]
sostiene che “cibaldone” fosse un medico veneziano che tradusse dall’arabo e il termine sarebbe un
sinonimo di confusione e zabaione.

04/10/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco d’Intino 12 CFU lez. 2


La parola ‘cancellare’ è molto indicativa per Leopardi, in quanto l’oblio è un concetto fondamentale
nello Zibaldone atto a preservare la memoria. Il nesso semantico tra scrittura e memoria è il nucleo
fondativo dell’opera.
❖ Cronologia:
Storia dell’astronomia (1813), Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815), Prime traduzioni
poetiche dal greco (1814-15), Principio di rifacimento del Saggio sopra gli errori. (1817), Primissime
carte dello Zibaldone (1817), Memorie del primo amore (dicembre 1817), Canzoni patriottiche
(1818), Vita abbozzata di Silvio Sarno (1819), l’Infinito (1819), prime cento pagine dello Zibaldone
(1819).
La scrittura conserva quella forza vitale della voce che va perdendosi nella storia. Le sue traduzioni
dal greco attestano il suo intento di preservare la memoria degli antichi di cui ammira il canone.
Proprio approntando le traduzioni delle poesie greche avviene quella che è comunamente nota come
la svolta: Leopardi viene rapito dallo spirito greco che è ammansito nelle traduzioni settecentesche
così razionalizzanti.
Nel 1817 Leopardi sta ancora lavorando al Saggio sopra gli errori degli antichi. Questo attesta il fatto
che egli ancora non aveva idea di ciò che sarebbe divenuto lo Zibaldone e l’impegno che gli sarebbe
costato. Sempre nel 1817 comincia a vergare le primissime pagine dello Zibaldone. Nel dicembre del
1817, scrivendo le Memorie, incontra Gertrude Cassi [Geltrude Cassi (1791-1853), e suo fratello
Francesco (1768-1846), erano cugini di Monaldo. Geltrude sposò nel 1808 il conte Giovanni
Giuseppe Lazzari. Tra l’11 e il 14 dicembre 1817, una visita della famiglia Lazzari a palazzo Leopardi
fu occasione del primo innamoramento di Giacomo. Ecco come egli descrive il proprio stato d’animo
e l’incontro con Geltrude nel Diario del primo amore, composto tra il 14 e il 23 dicembre:

“[…] Io cominciando a sentire l’impero della bellezza, da più d’un anno desiderava di parlare e
conversare, come tutti fanno, con donne avvenenti, delle quali un sorriso solo, per rarissimo caso

7
gittato sopra di me, mi pareva cosa stranissima e maravigliosamente dolce e lusinghiera: e questo
desiderio nella mia forzata solitudine era stato vanissimo fin qui. Ma la sera dell’ultimo giovedì,
arrivò in casa nostra ... Una Signora Pesarese ... Di ventisei anni ... Alta e membruta quanto nessuna
donna ch’io m’abbia veduta mai, di volto però tutt’altro che grossolano, lineamenti tra il forte e il
delicato, bel colore, occhi nerissimi, capelli castagni, maniere benigne, e, secondo me, graziose,
lontanissime dalle affettate […]”

Nessuna confidenza naturalmente ci fu tra i due, e l’amore di Leopardi fu passeggero (rivedendola


nel ’18, non provò alcuna passione; e scrisse di lei a Carlo quasi dieci anni dopo, il 30 aprile ’27:
“Geltrude si mantiene perfettamente, anzi è meno grassa e più florida di quando la vedemmo l’ultima
volta”). Ciò che è importante per noi lettori è il risultato creativo di quell’esperienza: il Diario del
primo amore, il canto Il primo amore, e l’Elegia II, parzialmente ripresa nel Frammento XXXVIII. E
forse, la figura di Geltrude si riverbera ancora nell’immagine della Natura, nell’operetta Natura e
Islandese: “[…] una forma smisurata di donna ... Di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di
capelli nerissimi” […].
L’eros che spinge Leopardi verso Gertrude è lo stesso che lo fa tendere allo spirito della Grecia antica.
Ad attrarlo è la mancanza di ordine e l’irrazionalità di cui è permeato. Cerca di trattenere le proprie
emozioni per Gertrude nella scrittura, per conservarle e non farla perire sotto il giogo del tempo. Nel
1818 scrive le Canzoni Patriottiche con l’intento di conservare la gloria dell’antico. Questa riflessione
nasce attraverso l’osservazione delle rovine che una volta erano vive e si ergevano gloriose, mentre
ora giacciono spoglie e senza vita. Malgrado tutto la scrittura non potrà mai restituire alla vita ciò che
è passato oltre siccome la scrittura è uno stadio altro, successivo alla vita, che dandosi, uccide ciò che
canta.
Il 1819 è l’anno nel quale Leopardi tenta di scrivere un romanzo con lo stesso intento di cui sopra:
raccogliere e conservare la sua infanzia e prima giovinezza condensata nelle pagine. Questo romanzo
sarà un fallimento, nel senso che non riesce a restituire la vitalità della vita, ma non potrebbe essere
altrimenti. Nessuna scrittura può contenere un essere vitale e questo fallimento permea la cultura
romantica. (Hölderlin, Novalis, Sthendal).
All’interno della Vita abbozzata di Silvio Sarno si trovano molti frammenti di grande interesse che
esprimono la frammentazione della vita, il timore dell’oblio e il tentativo di trattenere la vita nella
scrittura. Nel 1819 la stesura dello Zibaldone accelera e prelude lo scatto finale del 1820 e la partenza
definitiva e canonica dello Zibaldone attraverso la datazione dell’8 gennaio 1820.
▪ Cancellare
Storia dell’astronomia 1813, cap. 1

8
“[…] la sublime idea della divinità altamente impressa nell’intelletto dell’uomo non può cancellarsi
completamente […]”.
- Saggio errori popolari 1815, cap. 8, Del Meriggio
“Un pregiudizio […] totalmente cancellato dalla mente dei popoli.”
- Vita abbozzata di Silvio Sarno 1819
Leopardi racconta dell’episodio della lucciola:
“[…] comparisce *(si mostra nel suo stato primigenio generando meraviglia che è principio
generativo) la prima lucciola ch’io vedessi in quell’anno ec. […] sparisce il lume dalla finestra * (è
il contrario dell’apparire e suo opposto dialettico, dramma della vita) […] intanto la lucciola era
risorta *(il risorgimento è una parola chiave della poetica leopardiana), ma quegli se n’accorse,
un’altra botta la fa cadere già debole ed egli col piede ne fa una striscia lucida fra la polvere ec. E
poi ec. Finché la cancella.
▪ Spegnere
- Memorie del primo amore 1817
Spegnersi e favillare ritornano ad opporsi.
- Vita abbozzata di Silvio Sarno racconta della morte di un suo giovane cugino di nome
Benedetto:
“bastonare una vite carica d’uve […] calpestare […] cominciava il gioco *(è sempre presente l’idea
del cominciamento in opposizione al tema della morte. Mito di Core e Ade) […] così che la nostra
esistenza mi parve un nulla a veder la facilità infinita di morire e i tanti pericoli ec. […] come una
facella messa all’aria che ondeggia ec. E sul cui lume nessuno farebbe un minimo fondamento ed è
un miracolo se non si spegne e ad ogni modo gli è destinato e certo di spegnersi al suo finire”. *(alla
fine vince il destino dello spegnimento contro cui lo Zibaldone si erge per combattere contro il fato
che ci destina all’oblio).
Nel frammento a pag. 4450 Leopardi ritorna sul tema dell’inevitabile spegnimento e, nella metafora,
il sorriso è l’arte poetica:
“Dir di un sorriso ciò che diceva lo Sterne; che esso aggiunge un filo alla tela brevissima della vita”.
Dove il sorriso è la poesia e la vita, mentre la prosa rappresenta la morte.
L’attesa è la prima età, l’età della speranza, che soccombe per lasciar posto all’età della malinconia
ormai consapevole del morire.
▪ Ruminare/raccogliere
Zibaldone p. 303
“non procura di pascersi e ruminare seco stesso i piccoli accidenti piacevoli “
P. 644 Tema dell’addio:

9
“non c’è forse persona tanto indifferente per te, la quale salutandoti nel partire […] non ci rivedremo
mai più […] e così la morte di qualcuno ch’io conoscessi mi dava una certa pena per questa
considerazione: è partito per sempre, tutto è finito rispetto a lui e nulla della sua vita avrà più niente
in comune con la mia.” *(la scrittura è la cura a questa pena: il termine di qualcosa, l’abbandono
definitivo, la cesura).
▪ Magazzino/deposito
P. 4302
“[…] Uno dei maggiori frutti *(parola legata all’immaginario antico e mitologico della morte e della
rinascita) ch’io mi propongo e spero per i miei versi […] è di assaporarli *(nel senso di rivolgersi in
sé stesso, come un ruminare in maniera intensa e quasi materiale) in quell’età e provare qualche
reliquia *( frammento morto di qualcosa che riprende vita nella dimensione del sacro, è legato al
tema del miracolo che riproduce la vita) dei miei sentimenti passati *(il tema fondamentale
leopardiano è quello della rigenerazione, come il tema di Core) quivi entro, per conservarla e darle
durata, *(ogni parola ha un significato profondissimo) quasi in deposito; *(un seme che viene messo
nella terra in deposito per dare nuova vita in futuro) oltre a rimembranza, il riflettere sopra quello
ch’io fui e paragonarmi meco medesimo *(in questa frase è conservato l’intento programmatico
dello Zibaldone, quello del confronto, della rilettura. Lo Zibaldone è infatti un diario scritto, ma
soprattutto letto e riletto) […] le bellezze e pregi di un figliolo proprio *(lo Zibaldone viene
paragonato a un figlio nella gloria della creazione) […].

Biblioteca Leopardi: più grande biblioteca privata italiana, messa insieme da Monaldo. È
prevalentemente composta da libri antichi e pochissimi libri moderni e contemporanei. Lo Zibaldone
nasce anche così: grazie alla presenza materiale dei libri nella biblioteca di famiglia, ma soprattutto
grazie alla vocazione bibliofila del padre Monaldo.
Carte Leopardi, XV, 31: è il modo leopardiano di classificare le Carte Leopardiane che si trovano
prevalentemente a Napoli. Le carte leopardiane sono state catalogate a inizio Novecento da Fava e
una copia, la sola esistente, si trova nella Biblioteca Nazionale di Napoli. La dicitura per citare le
carte leopardiane è: anteporre la C che indica le “carte”, seguite da un numero romano e uno arabo.
Ed. Zibaldone Pacella: sono presenti dei manoscritti noti come gli Elenchi di Letture ove Leopardi
annota le sue letture, sebbene si sia incerti riguardo al fatto che siano stati letti integralmente dallo
stesso. Sono nove elenchi scritti in maniera composita e alquanto disordinata; stesi in tempi diversi.
Il primo elenco è datato al febbraio 1819, il secondo del 1821, il terzo maggio 1823, il quarto è il più
sostanzioso ed è databile al 1° giugno 1823, steso a ridosso del ritorno di Leopardi da Roma. Il quarto
elenco ha una datazione divisa per mesi e termina nel marzo del 1830. Il quarto elenco termina in

10
coincidenza con il termine della stesura dello Zibaldone, nel 1830 appunto. Gli altri cinque elenchi
restanti sono molto più scarni e non sono precisamente databili. Gli Elenchi sono stati spesso
interpretati come elenchi di letture anche a causa di una certa critica che ha sempre voluto vedere in
Leopardi un lettore affamatissimo, cosa della quale non abbiamo certezza. Talvolta in questi Elenchi
si trovano voci per le quali lo studio filologico ha ricostruito la storia: molte volte, specie nelle
produzioni giovani, Leopardi esaspera l’uso delle note e delle citazioni, ripetendo più volte la stessa
citazione. Bisogna distinguere, in Leopardi, tra letture di prima, seconda e terza mano. Le produzioni
giovanili sono ricche di citazioni, ma si è dimostrato che molte di quelle sono presenti per
spacconeria.
Disegni letterari: sono progetti di opere da farsi che si intrecciano con il cantiere dello Zibaldone.
Sono difficili da datare, probabilmente risalgono all’1819 e uno, probabilmente il primo disegno, si
chiama Storia di una povera monaca del monastero di Santo Stefano. Il secondo disegno è un trattato
della condizione presente delle lettere italiane. Il più famoso disegno è l’ottavo in quanto elenca alcuni
dei progetti che si concretizzeranno nelle Operette morali.
Pier Giorgio Conti – l’autore intenzionale. Lo scrittore svizzero che ha studiato i Disegni
leopardiani. Nei Disegni vi sono spesso dei rimandi allo Zibaldone.
 Lo Zibaldone è il frutto di una prima, una seconda stesura o di un progetto fatto di appunti?
Sono presenti parecchi trattati, nel 1818 sono presenti degli abbozzi di tipo saggistico, ma sono anche
presenti semplici indicazioni bibliografiche, frammenti di pensieri e fonti.
▪ Carta Leopardi X, 12, 20r (dove r sta per retto)
Si tratta di carta molto caotica e disordinata ed era un foglietto inizialmente utilizzato da Monaldo.
Questo ci dice che Leopardi usava riciclare parecchie carte per prendere appunti e questo attesta una
certa scarsità di risorse economiche.
“Ragione, invida, oste del genio pigro” Zibaldone 1820, pp. 194 - 207 oppure giugno 1821. È
composta da nomi e parole che si riferiscono allo Zibaldone. Molto interessante in questa carta è la
lista di autori: Parini, Lope, Camoens, Dante, Tasso. Tutti questi autori ritornano nel Dialogo
galantuomo e mondo
Nella stessa carta nel verso:
“Benfatto, fama, giovane, grazia, cinesi, tutti stili, Gravina, Varrone, Quintiliano, Bacone, Colombo”
*(non è il Colombo dell’operetta, ma di un libro commissionatoli da un suo amico Bologna nel 1821).
Leopardi concepisce molti di questi appunti come versi e qui appare chiaro come vi sia il riferimento
all’Ars Memoriae. Tutti i nomi sono fonti da consultare per elaborare un trattato linguistico per un
concorso bandito dall’Accademia della Crusca.

11
“Peso, studio, discorso, negozio, […]” *(parole molte comuni che non possono essere associate ad
appunti per progetti di libri, ad oggi non sappiamo cosa siano. Forse servivano a scopo dimostrativo
per qualche teoria linguistica.)
“Tradurre, universal, libera e ricca 1054” *(dove 1054 indica la pag. dello Zibaldone ed è interessante
la struttura a endecasillabo).
“Sulzer p. 360. Fine.” “Epitaffio, scrittor greci e francese 1034”.

07/10/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 3


Johann Georg Sulzer (16/10/1720 Winterthur – 27/02/1779 Berlino) è stato un teorico molto
importante di cui Leopardi aveva letto un saggio dal titolo Osservazioni intorno all’influenza
reciproca della ragione sul linguaggio e del linguaggio sulla ragione 1775.

09/10/19 – Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 4


Polizzine non richiamate: raggruppano una serie di opere non scritte di argomento morale.
Altro strumento fondamentale per procedere all’analisi dello Zibaldone. I due progetti memorialistici
che abbiamo analizzato vanno di pari passo con lo Zibaldone:
 Memorie di un primo amore;
 Vita abbozzata di Silvio Sarno.
Vi sono opere che fanno parte della preistoria dello Zibaldone: 1811 – 12 Dissertazioni filosofiche,
Storia dell’astronomia e Saggio sugli errori.
Abbiamo la certezza che Leopardi abbia letto queste opere sebbene non possiamo avere la certezza
che le abbia lette integralmente.
Sulla sinistra della mappa (v. mappa alla fine degli appunti o nelle slides) abbiamo una zona
incompleta al cui centro stanno i Disegni letterali (1819 – 1834). Assieme a quest’opera spiccano il
Discorso sulla poesia romantica (1818), Dialogo della natura con un islandese, Dire stato e
letteratura ecc.
Tutte queste opere sono contigue e citate nello Zibaldone. Il Discorso sopra la poesia romantica del
1818 resta inedito, ma nello Zibaldone alle pag. 15 – 21 si trova un abbozzo dell’opera che resterà
incompiuta.
“[…] finisco di leggere le osservazioni di Lodovico di Breme *(Ludovico di Breme, nome completo
Ludovico Arborio Gattinara dei Marchesi di Breme (Torino, giugno 1780 – Torino, 15 agosto 1820),
è stato uno scrittore e saggista italiano, ideatore del primo giornale romantico, Il Conciliatore) sopra
la poesia romantica e perché ci ho veduto una serie […]”

12
Si trovano nello Zibaldone delle osservazioni molto chiare e dirette cui segue una reazione immediata
che poi confluiscono in un’altra opera che aveva un’altra destinazione. È un caso abbastanza unico
in Leopardi. Vi sono dei luoghi in cui lo Zibaldone cita un’opera esterna, ma parallela inglobandola
all’interno della riflessione.
“[…] non si può meglio spiegare l’orribile mistero delle cose e dell’esistenza universale (v. Il mio
dialogo della natura e di un islandese) […]”
Nel tardo Zibaldone la faces del testo cambia e Leopardi è più corsivo e il diario va perdendo ritmo,
aumentando però la progettualità.
In Zibaldone p. 4469
[…] and so on […] per un discorso sopra lo stato attuale della letteratura ec. – Togliere dagli studi,
togliere dal mondo civile la letteratura amena, è come toglier dall’anno la primavera, dalla vita la
gioventù […]”
p. 4479 febbraio 1829 ancora sulla scia della rinascita
“[…] scherzava sul poetar suo in questa forma *(chi scherzava? Chiabrera) […] tutta la novità e
l’ardire che è nel Fausto o nel Manfredo *(qui troviamo sia un discorso storico che estetico e
stilistico. Leopardi critica a Chiabrera [Gabriello Chiabrera (Savona, 18 giugno 1552 – Savona, 14
ottobre 1638) è stato un poeta e drammaturgo italiano del Seicento] il fatto di voler fare novità
ignorando che ci sono maggiori risultati già raggiunti e non da lui. Inoltre, attesta il fatto di aver
approntato la lettura di Byron e Goethe).
Cosa potrebbe aver letto Leopardi del Faust? Sicuramente ha letto un atto tradotto da Madame de
Staël di cui attesta di aver fatto conoscenza.
❖ I rapporti di Leopardi con il romanticismo
Probabilmente nel 1829 ritorna sul problema del romanticismo a distanza di 10 anni da Discorso
sopra la poesia romantica, quindi riscrive un discorso giovanile, pratica non estranea a Leopardi.
Leopardi conserva le sue riflessioni e le medita continuamente con il proposito di aggiungere,
rinnovare e togliere.
Terzo indizio p. 4491 dello Zibaldone
“[…] altra circostanza che muta alternatamente *(alternam. Leopardi scrive di fretta e per questo usa
delle abbreviazioni) il carattere *(caratt.) È il passare da città grande a piccola […] esperienza mia
propria *(la natura autobiografia in accordo con la vocazione scientizzante si manifesta sempre nello
Zibaldone) […] (v. Il mio discorso sui costumi degli italiani) […] pensiero da molto stendersi e
spiegarsi *(lo Zibaldone fa da mediatore tra un’opera scritta e una ancora da scriversi) […]”
P.4286 dello Zibaldone

13
“[…] Vino. Il piacere del vino […] Memorie della mia vita *(era uno dei disegni letterari). Cangiando
spesse volte il luogo della mia dimora […] ma la ricordanza me la rendeva importante e dolce […]”
*(qui si ritrova la poetica della ricordanza che è una cosa molto diversa dalla memoria. La prima è un
tipo di memoria basata sull’esercizio e la ripetizione. La ricordanza è basata sulla meraviglia, sulla
prima impressione che rimane indelebile e tornando costituisce il radicamento e la rimembranza
appunto. Il fatto che nel tardo Zibaldone sia presente spesso il richiamo alle Memorie della mia vita
ci informa riguardo al fatto che Leopardi sta pensando all’indice e alle Polizzine non richiamate:
indicizza all’interno stesso del manoscritto che continua anche dopo la stesura dell’indice che non
aggiorna).
P. 4518
“[…] *(fenomeno della doppia indicizzazione) Manuale di filosofia pratica. Memorie della mia vita
[…]”.
Fa un indice delle proprie opere, non quella da farsi come nei disegni, ma di quelle già completate: le
divide in pubblicate, sotto il torchio, pubblicarsi a momenti, da pubblicarsi fra poco, pronte per la
stampa, ma riprovate dall’autore, riprovate assolutamente dall’autore, da bruciare senz’altro.

❖ Dissertazioni filosofiche
Le Dissertazioni risalgono al 1811-12 e sono derivate tutte dai libri che leggeva. Leopardi all’epoca
aveva tra i 13 e 14 anni e le Dissertazioni ci documentano le letture che ha approntato in quella fase
così cruciale della sua vita.
Nelle Dissertazioni è presente un indice:
Dissertazioni sopra la logica, Sopra l’ente, sopra l’anima delle bestie, sopra l’esistenza di un ente
supremo, sul moto, sull’estensione, sull’elettricismo, sulla felicità, sopra le virtù morali, sopra le virtù
intellettuali, sopra le doti dell’anima umana ecc.
Si è parlato di un Leopardi illuminista in termini generici mentre la sua erudizione filosofica e
scientifica è vastissima e queste dissertazioni lo documentano. Tra le fonti troviamo alcuni libri
fondamentali: Jacques (?), Saverio Poli, Vincenzo Gandolo, Jean Soriè, Antonino Valsecchi: Dei
fondamenti della religione ecc., Zanotti della forza di corpi che chiamano viva.
Dissertazioni filosofiche – sopra l’anima delle bestie
Qual è la differenza tra gli animali e l’uomo? Cos’è che ci rende uomini?
“[…] la tanto decantata questione […] *(probabilmente l’argomento era già stato affrontato da
Cartesio e Lucrezio (?) Vi è la concezione della dialogicità, della discussione intellettuale, come
scontro) si sforza di provare che l’anima dei bruti possegga ragione […] un sistema di mezzo circa
l’anima dei bruti è quello che senza ridurre a niente quei cartesiani […] gli attribuisce qualche

14
raziocinio […] ciò viene approvato da Jean Jacques Rousseau *(lunga citazione in francese che
attesta il fatto che gli animali hanno ragione e l’uomo non differisce dall’animale quanto il più
differisce dal meno).”
Questa lunghissima citazione in francese da Rousseau cosa significa?
❖ Rousseau e Leopardi
I temi leopardiani e quelli rousseauiani si intrecciano nel tema Natura – Cultura e Ragione –
Natura. Per prima cosa controlliamo nel Catalogo della Biblioteca Leopardi cercando “Rousseau”.
Troviamo Rousseau con la sua La Nouvelle Héloïse, le Confessioni, Il buon governo degli affari
domestici, Discorso sulla disuguaglianza, il Contratto sociale ecc. Tutti antecedenti al 1812 – 13.
Da questo ricco elenco non possiamo avere la certezza che abbia letto queste opere sebbene siano
tutti antecedenti al 1813, bisogna anche considerare che prediligeva romanzi brevi e di più scorrevole
lettura. Possiamo ipotizzare che abbia letto I Pensieri siccome si accorda con le predilezioni del
giovane Leopardi.
Un’antologia che ebbe un’enorme diffusione in Francia ed Europa è Leçon de literature dove sono
raccolti brani brevi. Leopardi è il tipo di autore che adora i dizionari, le antologie e in generale tutte
le opere che raccolgono informazioni sotto forma di schedario, per quella tradizione dell’Ars
Memoriae.
All’interno della Leçon de literature troviamo una tavola di categorie con nomi di diversi autori,
generi letterari, filosofia morale e pratica, orazioni, esordi, perorazioni, discorsi tradotti dai tragici
greci, dialoghi, caratteri.
Questo è il suo libro dell’infanzia che ha letto e riletto e ruminato. In quest’antologia è presente anche
Rousseau e i suoi Pensieri (Penseès).
Possiamo anche controllare negli Elenchi di letture sebbene siano posteriori, ma ci informano sulle
letture di Leopardi. Nell’elenco di lettura nono è annotato Penseès di Rousseau 1824, Emilio 1825,
Nuova Eloisa, Contratto sociale, Pezzi diversi viene annotato come catalogo dei libri da acquistare
nel 1825 sebbene questi testi siano presenti nella biblioteca.
Nell’elenco IV del 1829 abbiamo l’annotazione della lettura dei Penseès e di nuovo nel 1829
nell’elenco VII. Le Penseès sono sicuramente il testo più interessante per Leopardi. A questi libri
bisogna aggiungere libri altrui che citano molti passi da Rousseau e alcuni sono: Gian Rinaldo Carli
– Ragionamento sopra l’opera di Rousseau, Nicolas Bergier – Deismo confutato da sé medesimo,
Antonino Valsecchi – Dei fondamenti della religione ecc.
Le Penseès vengono citati nel tardo Zibaldone esattamente l’8 marzo 1829. In questa fase siamo in
una fase anti-rousseauiana dove si scaglia contro la concezione della natura benigna.
1822-23  Leopardi cerca e legge una biografia di Rousseau mentre si trova a Roma.

15
La citazione che abbiamo letto nelle Dissertazioni sta nell’antologia de le Penseès, ma è originaria
del Discorso sulla disuguaglianza. Rousseau è citato anche nel Dialogo filosofico sopra un libro
moderno inedito del 1812. Poi ci sono due citazioni dall’Emilio che sono presenti nei Penseès.
Quali altri tracce di Rousseau nell’opera leopardiana?
In una lettera al padre scrive Leopardi “Io so che la suprema felicità dell’uomo è l’esser contento”
questa citazione è una citazione essa stessa dai Penseès di Rousseau.
In Zibaldone p. 3846
“[…] la somma è la forza di questo pensiero è che la compassionevolezza *(tipico termine
rousseauiano. La citazione prosegue prendendo posizione contro l’idea rousseauiana che la
compassione derivi dalla gioventù, dall’innocenza ecc.) […]”
I Penseès sono certamente attestati nel periodo romano e al suo ritorno a Recanati riprende le Penseès.
Tout home qui pense est un etre corrompu: altra citazione di Rousseau dal Discorso, ma imprecisa
perché la citazione recita: l’uomo che pensa è un animale depravato.
Probabilmente il termine corrotto lo prende dalla traduzione del Rota siccome non occorre in
Rousseau

11/10/19 Letteratura contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 5


Cerchiamo il termine ‘Rousseau’ all’interno del testo. Scrive Leopardi nel testo dello Zibaldone il
‘Roussa’ e vicino a lui cita l’Alfieri. All’interno dello stesso estratto troviamo citati Diogene,
Democrito ecc. [pag. 38 e pag. 56]
“[…] tout homme qui pense est un etre corrompu […]”. Torniamo all’enigma circa il termine
‘corromptu’. A pag. 318 dello Zibaldone troviamo il tema delle illusioni “[…] così si vede che ci
conosce e sente la vanità delle illusioni […] come Rousseau, la Staël […]”.
Questo è il tema di Teofrasto, ovvero, quello per cui chi ha esperito più da vicino le illusioni le
desidera e le predica. Che conoscenza poteva avere Leopardi dell’opera di Rousseau per arrivare a
professare il desiderio delle illusioni? Potrebbe aver sintetizzato il pensiero di Rousseau, ma non
abbiamo indizi precisi circa delle precise letture. Alla pag. 356 troviamo un’indicazione di rimando
alla pag. 343 “[…] alla pag. 343. Vedilo ancora sulla fine del Capo. 5 da quel passo abbastanza lungo
[…]”
Pag. 343 dello Zibaldone
Leopardi sta commentando Félicité de Lamennais Essai sur l'indifférence en matière de
religion (1817-1823) è una cosa comune dello Zibaldone quella del ruminare ossessivamente su
alcune opere di cui sta approntando la lettura. Alcuni testi sono riportati nella Bussola di Carocci.

16
Sempre a pag. 356 Leopardi esemplifica il pensiero di Rousseau attraverso la lettura di Félicité de
Lamennais in particolare riguardo la religione (4 - 6 aprile 1821). Probabilmente data la vicinanza
cronologica di questo passo con quello precedente possiamo ipotizzare che anche il passo precedente
fosse frutto delle letture di Félicité de Lamennais.
4 - 6 aprile 1821: la libertà di un popolo non può sussistere senza la schiavitù interna, così dice
Leopardi che afferma il Simon-Nicholas Henri Linguet [(14 luglio 1736 – 27 giugno 1794) è stato
un giornalista francese e avvocato ricordato per le sue posizioni conservative. Fu condannato a morte
durante la Rivoluzione Francese] e probabilmente Roussa, sbaglia di nuovo a scrivere il nome
dell’autore. Probabilmente afferma nel
“[…] Contrat social 1.3 ch. 15. Ed altri. Puoi vedere anche l’Essai sur l’indifference en matiere de
Religion ch. 10 nel passo dove cita in nota il detto luogo di Rousseau […]”.
A quale lettore sta pensando Leopardi quando fa sfoggio di erudizione? Probabilmente, essendo lo
Zibaldone un diario, sta esercitandosi (?).
P. 946 dello Zibaldone
Qui parla di un'altra questione che ricorre spesso nello Zibaldone: se il pensare filosoficamente
orientato costituisca un sistema di per sé. La forma della filosofia leopardiana è frammentata,
dinamica e in movimento, ma nello Zibaldone il suo pensare implica il sistematizzare e spesso dice
proprio ‘il mio sistema’.
Quindi fa degli esempi di come i più grandi filosofi abbiano sempre filosofato in sistemi. Cita:
“Cartesio, Neuton, Leibinizio, Loche, Rousseau, Cabains, Tracy, De Vico, Kant”. I nomi in questione
sono riportati così come vengono scritti da Leopardi. Che ragione ha Leopardi di affermare
l’andamento sistematico della filosofia rousseauiana? In realtà è molto probabile che Leopardi qui
pecchi di imprecisione avendo fatto letture di seconda mano e cade in errore ascrivendo Rousseau
alla categoria dei filosofi sistemici.
Ora Leopardi comincia a trattare l’esame che fa Madame de Staël del tedesco. Quando Leopardi si
fida dell’autorità di un filosofo, autore ecc. tende a fare proprio quel pensiero e, nel caso del tedesco,
si trovano molte occorrenze del tema dello spirito delle lingue. La conoscenza leopardiana del tedesco
gli viene dal pensiero di Madame de Staël, della quale si fida ciecamente.
“[…] Jean Jacques Rousseau a dit que les langues du midi etoient filles de la joie, et les langues
du nord, du bisogn […]” p. 2086 dello Zibaldone.
Continua a pag. 2616 parlando di Rousseau in riferimento alle lingue. A pag. 2958 dice che Rousseau
investigava l’invenzione della lingua, in effetti quest’informazione si presta ad un grado di maggiore
precisione perché troviamo la problematica del linguaggio proprio nel secondo Discorso. Non è

17
corretto sintetizzare il pensiero di Leopardi attraverso analisi riduzioniste, poiché appunto il pensiero
leopardiano non si riduce mai, ma è in continua evoluzione.
Tipizzazione psicologica nello Zibaldone: l’exemplum sono i Caratteri di Teofrasto. Tipica dello
Zibaldone e di cui si possono fare numerosi esempi.
A p. 3245 intende dimostrare che i più mirabili filosofi si sono distinti per ‘colpo d’occhio’, una
visione d’insieme e sono anche quelli che hanno facoltà d’immaginazione oltre che spirito poetico e
del ‘cuore’. Se volessimo ricavare una teoria dell’immaginazione in Leopardi non riusciremmo,
infatti non è stata formalizzata alcuna teoria dell’immaginazione, ma se ne ritrovano frammenti
contradditori. Non esiste una sintesi del rapporto tra ragione e immaginazione, ma vi sono molteplici
professioni del pensiero di Leopardi in merito, sebbene talvolta contrastino.
Leopardi sostiene che il vero filosofo è quello che in vita ha sofferto, una parola chiave è infatti
‘sensibilità’. La mancanza di sensibilità è l’accusa che Leopardi fa, per altro senza averli letti, ai
filosofi tedeschi.
D’Intino sostiene che da Leopardi si possa dedurre una quasi totale complementarità con il
romanticismo. Leopardi coincide, nel suo immaginario, con i romantici, ovviamente non italiani.
Quali sono i filosofi che uniscono la ragione e il cuore? Platone, Cartesio, Pascal, Rousseau,
Madame de Staël. *(compare di nuovo Rousseau in coppia con Madame de Staël, ma questa menzione
non deriva da una lettura puntuale delle opere).
Il pensiero di Rousseau in riferimento alla compassione (vedi Bianca Muniz).
1827 – Recanati: sicuramente Leopardi ha ripreso a leggere le Penseès.
A pag. 4474 abbiamo finalmente una svolta.
▪ 8 marzo 1829 Leopardi cita le Penseès di Rousseau con riferimento bibliografico. Nello
studio di un autore che interessa particolarmente Leopardi l’analisi filosofico-contenutistica e
quella linguistica si intrecciano sempre.
A pag. 4500 si attesta ancora il riferimento bibliografico ai Penseès di Rousseau. Leopardi è
particolarmente affascinato dalla massima in forma classica, ovvero breve e coincisa, ed è per questa
ragione che alcuni dei suoi autori prediletti sono Pascal e Rousseau. A pag. 4511 troviamo l’ultima
citazione diretta di Rousseau:
“[…] homme, ne cherche plus l’auteur du mal; cet auteur c’est toi-meme […]”. Continua la
lunghissima citazione in cui si attestano termini come ‘progresso’, ‘perfettibilità’ ecc.
Dice la citazione di Rousseau che togliendo ogni opera umana dal mondo non vi sarebbe più ragion
d’essere per il male e segue il commento di Leopardi che afferma che il male è nell’ordine. Si scaglia
contro la concezione della natura benigna rousseauiana e propone l’alternativa della natura
maligna. Leopardi riflette sull’odio dei simili per i simili e ora né da un esempio affermando l’ordine

18
del male nella Natura. Sostiene che la natura, nel suo ordinare i mali, non è imperfetta, essa include
il male nell’ordine ed è per questa ragione che la natura è maligna. Il male per Leopardi è essenziale
in natura, nel senso che è l’essenza della natura in quanto è connaturato allo stesso essere del mondo,
perché la natura è conformata in maniera tale da contrastare il bisogno primario dell’uomo che è la
felicità.
P. 4511
“[…] Ma che epiteto dare a quella ragione e potenza che include il male nell'ordine, che fonda
l'ordine nel male? Il disordine varrebbe assai meglio: esso è vario, mutabile; se oggi v'è del male,
domani vi potrà esser del bene, esser tutto bene. Ma che sperare quando il male è ordinario? Dico,
in un ordine ove il male è essenziale? (17. Mag.). […]”
❖ Prime cento pagine dello Zibaldone
▪ Misero
P. 28 – p. 58
“è tanto misero l’uomo quant’ei si reputa disse il Sannazzaro […]” *(è l’uomo che è artefice dei
propri mali divenendo consapevole della sua condizione).
Qui lo sviluppo linguistico della consapevolezza con la conseguente infelicità vanno di pari passo.
Origine dell’infelicità = consapevolezza.
▪ Accorgersi
Pag. 66 “[…] l’uomo non doveva accorgersi della sua assoluta e necessaria infelicità in questa vita,
ma solamente delle accidentali: e l’esserne accorto è contro natura, ripugna i principi costituenti
comuni anche a tutti gli esseri […] e turba l’ordine delle cose”
Leopardi si accorge che l’uomo è l’unico animale ad essersi accorto di questa necessità collegando i
nessi causali, mentre gli altri animali appartengono a sé stessi solo nel presente per cui per loro non
si dà la possibilità di cogliere questi nessi di cui l’impossibilità di rendersi consapevoli di un’infelicità
necessaria e assoluta.
Come si può produrre un annullamento della consapevolezza?
Il sonno, il vino, le illusioni, l’amore, la speranza, il movimento, la distrazione che si oppone
all’attenzione ecc. Sono tutte strategie che Leopardi suggerisce per sfuggire all’accorgersi nefasto.
Approfondisci impulso di morte Freud – Spielrein.
▪ Beato
P. 69
“Beati voi se le miserie vostre / Non sapete. Detto p.e. a qualche animale, alle api ec.”
Nel Canto notturno si svilupperà questa tematica della maggiore felicità delle bestie in quanto
inconsapevoli che troviamo qui solo in nuce.

19
Accade nello Zibaldone di trovare frammenti di versi non commentati. Come, ad esempio, nella
primissima pagina dello Zibaldone che si apre con dei versi o frammenti di versi.
▪ Lupo
Pag. 1 dello Zibaldone
“[…] Palazzo bello. *(palazzo esistente dove Leopardi passava i mesi estivi dai parenti) Cane di notte
dal casolare, al passar del viandante. *(passo molto suggestivo considerato l’immaginario mitologico
leopardiano. È emblematico che lo Zibaldone si apra con l’immagine del cane. Altra immagine è
quella dell’errante, di colui che è spaesato nel buio) Era la luna *(il buio è contrastato dalla fioca
luce della luna) nel cortile […] e discendea sopra il contiguo lato obliquo un raggio… […] il tintinnio
*( è forte la presenza di immagini che evocano suoni) […] *( a questo punto c’è uno stacco netto,
come si capisce anche dal manoscritto, il passo che segue è datato) Onde Aviano raccontando una
favoletta dice che una donna di contado piangendo un suo bambino, minacciandogli se non taceva
[…] *( qui Leopardi sta meditando un rifacimento del Saggio sopra gli errori popolari) una dama
vecchia avendo chiesto a un giovane […] *( all’inizio questo foglio raccoglie materiale molto
eterogeno di registro molto diverso) tutta la notte piove e ritornano le feste […].

14/10/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco d’Intino 12 CFU lez. 6


Parleremo soprattutto di estetica rousseauiana. Che cos’è il sublime? Opera molto misteriosa di cui
non si conosce l’autore, probabilmente composta intorno alla metà del primo secolo dopo Cristo
probabilmente composto dallo Pseudo Longino. Un terzo dell’opera non è mai stato rinvenuto e non
ha un impianto sistematico. È sostanzialmente una lettera in cui l’autore si rivolge a un amico
spiegandogli che il retore Cecilio aveva detto solo sciocchezze.
Cap I a VII: parla soprattutto dei rischi della falsa grandezza stilistica e del rapporto tra etica ed
estetica. Uno dei forti insegnamenti che viene a Leopardi da questo trattatello è proprio questo
rapporto tra etica ed estetica. L’estetica si fonda sull’etica = kalokagathia1.
Cap. VIII: 5 fonti del sublime. Innanzitutto, il sublime si deve basare su una notevole capacità
oratoria e poi su:
1. Slancio esuberante dei pensieri: sia questa che la seconda categoria non sono acquisibili, ma
ingenite;
2. Passione possente, forte ed entusiasmante: correlata alla prima, anche questa non acquisibile;
3. Qualità di elaborazione delle figure: si può imparare;
4. Nobiltà dell’impianto frastico: si riferisce al linguaggio;

1
Nel suo Tractatus logico-philosophicus Wittgenstein afferma audacemente che «etica ed estetica sono tutt’uno».

20
5. Composizione dotata di dignità ed altezza: queste ultime tre categorie sono tecniche.
Dal cap. IX al XXIII: vengono trattare queste cinque categorie con il proposito di risvegliare
l’eloquenza dalla decadenza, tema massimamente importante nel ‘700.
Recupero dell’oralità nel ‘900 specie nelle avanguardie: paroliberismo, contatto diretto con lo
spettatore, componente fisica ed energia vivente.
Questo trattato si colloca in questo problema di oralità e scrittura che investe tutta la storia
occidentale. Longino parla anche agli uomini che fanno politica perché anche questi ultimi devono
imparare a toccare le corde dell’animo degli ascoltatori. Il forte legame con la passione non è
compatibile con la tecnica, la regola pura e semplice. Prima ci vuole la grandezza e poi si danno le
regole che sono ad essa subordinata.
Chi parla deve produrre un urto, dice Longino, che le avanguardie prenderanno alla lettera. Devono
trasformare la vita di chi partecipa alla performance di chi legge, questo è l’unico presupposto per
fare poesia. Il talento naturale e la tecnica, sia chiaro, il Longino non incoraggia gli amatoriali vuole
solo scoraggiare una poesia estremamente tecnica e priva di passione, non c’è tecnica senza
megalopsichia, ma non si dà grande poesia senza tecnica. Quindi, patos e arditezza di pensieri vanno
di pari passo con la grandezza. Questa impostazione produce un indebolimento delle distinzioni di
genere: problema che caratterizza il passaggio dall’antichità alla modernità. Le poesie di Leopardi
non hanno un genere, ma oltrepassano le caratteristiche di genere.
Non esiste nemmeno più la differenza tra prosa e poesia a causa della potenza del sublime. Anche la
modernità letteraria produce gli stessi effetti: la prosa poetica ecc. Già in Leopardi abbiamo questo in
una forma ibrida attraverso le Operette morali che lo stesso Leopardi chiama ‘poesia’.
Leopardi dice “[…] il danno dell’età nostra è che la poesia è già ridotta ad arte […] per essere originali
bisogna violare i costumi, le abitudini e i generi […]”.
Leopardi sente che il poetico ha bisogno di un rivolgimento, ma non ha il coraggio di tentare (?).
Le classificazioni degli stili perdono il loro rigore e vanno sfumando. Il trattatelo sul Sublime dello
Pseudo Longino porta tantissimi esempi di questo indebolimento dei generi e delle classificazioni.
Tra i vari esempi troviamo Saffo, Platone, Omero, Demostene e un passo biblico nel cap. IX. Da
questo impianto derivano delle conseguenze:
▪ Imperfezione e contravvenzione alle regole ed elogio del difetto (“bellissima negligenza”
nello Zibaldone);
▪ Imitazione originale e rielaborazione, acquisizione dei classici in senso interno, organico;
▪ Gli scrittori sublimi non canonizzano le autorità del passato ma delle ‘radiose presenze’;
▪ Anti-formalismo e anti-manierismo;
▪ Estetica dell’emozione.

21
Questa opposizione natura-ragione implica una decadenza dell’estetica verso la tecnica con la
conseguente perdita dell’ingenuo, che è una categoria importantissima.

16/10/2019 Letteratura italiana contemporanea – Franco d’Intino 12 CFU lez. 7


Zibaldone p. 1
Primo capoverso: versi non riutilizzati in nessuna opera successiva, c’è un paesaggio notturno, c’è
il viandante: figura topica della modernità, si trova nel Canto Notturno Di Un Pastore Errante; c’è
la luna, motivo topico leopardiano, poi c’è il personaggio del passeggero simile all’errante/viandante
che passa per il villaggio addormentato, tutti temi leopardiani non rielaborati in nessuna poesia.
Poi c’è il rifacimento di un frammento nel 1817 del Saggio Sopra Gli Errori Popolari. Questo Saggio
risale al 1815, ma Leopardi voleva riprenderlo. Non aveva più senso quel progetto come semplice
raccolta di testimonianze antiche sugli errori, ma esigeva qualcosa di più ambizioso.
Egli non vuole solo raccogliere testimonianze antiche, ma anche diventare più autonomo come
pensatore, vuole creare un deposito più ambizioso, ma non organizzato in libro.
Terzo paragrafo: specie di motto/barzelletta, poi ancora dei versi, e poi si comincia con le riflessioni
di tipo estetico: filone fondamentale delle prime 100 pag. dello Zibaldone.

“[…] Dal niente *(primo termine della triade che indica assenza di letteratura) in letteratura si passa
al mezzo e al vero (secondo termine della triade che indica un equilibrio tra il primo e il secondo
termine = accezione positiva), quindi al raffinamento *(al troppo, all’eccesso in senso negativo): da
questo non c'è esempio che si sia tornato al vero. Greci e latini italiani. Lo squisito gusto del volgo
de' letterati non può essere se non quando ei non è ancora corrotto. P.E. i cinquecentisti volgari non
peccavano d'altro che di poco, non di troppo, e però erano attissimi a giudicar bene del molto, o sia
del vero bello, come faceano […]”

Questo è un tipo di ragionamento triadico (che ci fa venire in mente Hegel), che Leopardi fa molto
spesso. Egli schematizza molto nello Zibaldone. Fa spesso schematizzazioni, anche temporali di
impronta vichiana.
Descrive il passaggio dal niente, quindi assenza di letteratura (assenza di civiltà), si passa al mezzo
e al vero (che sono accoppiati, il senso, il mediano, valore positivo del vero: qui parola positiva, la
letteratura esprime ciò che è, e in questo senso è opposta si ragiona per opposizioni).
Il vero ha un’accezione positiva rispetto al niente, allo spazio primordiale. In questa prima
tripartizione il niente indica appunto questa completa assenza di civilizzazione. Il termine

22
raffinamento è molto importante, è in antitesi rispetto al niente e in questa triade il vero è il termine
medio.
❖ Che cos’è il niente per Leopardi?
La letteratura trecentesca e la sua eccessiva semplicità che esperisce approntando lo studio
di Senofonte e Cavalca. Siamo alle origini della lingua italiana cui corrisponde l’eccessiva
semplicità.
❖ Cos’è invece il mezzo e il vero?
La letteratura cinquecentesca. Oltre il ‘500 si va verso il raffinamento di cui il francese
rappresenta l’esempio più lampante: infatti questa lingua ha perso i legami con l’ingenuità
antica e si è data completamente al moderno. Siamo in un’età di pienezza della lingua cui
corrisponde il mezzo e il vero.
❖ Che cos’è il raffinamento?
Il male assoluto per Leopardi che corrisponde a tutto quello che viene dopo il ‘500 e tutte
quelle lingue e letterature, come quella francese, che hanno perso il legame con le origini.
Il mezzo per Leopardi è una misura positiva in quanto non gli piacciono gli eccessi a posteriori, in
questo senso è molto vichiano perché secondo Vico la civilizzazione eccessiva è al pari della barbarie.
Che cos’è il barbaro?
Ciò che viene prima della civilizzazione, sebbene non vi sia nell’autore una teoria esplicita della
barbarie.
Il mezzo per Leopardi è una cosa essenzialmente positiva di cui si possono dare due esempi:
1. Elogio degli uccelli nelle Operette Morali:
Sono l’incarnazione della felicità, unica possibilità di essere felice per l’essere vivente sono gli
uccelli. Essi amano le civiltà di mezzo, mediane, non estreme, luoghi di mezzo.
2. Concetto di mezza filosofia:
Concetto che in Leopardi compare 3 volte (4 se associamo la mezza filosofia all’ultra filosofia –
concetto misterioso forse proveniente dalle lettere pseudo ippocratee)
La mezza filosofia cos’è? È una riflessione giunta all’estremo, all’eccesso del raffinamento, a una
razionalizzazione estrema, ma appunto per questo torna indietro; quindi, si colloca a metà tra le origini
del pensare e un eccesso di pensiero che è dannoso. La mezza filosofia è amata perché è nel mezzo,
come gli uccelli.
Ipotesi di D’Intino: la mezza filosofia corrisponde a quella dell’ottimismo socratico scevro di ogni
forma di platonismo. Quindi filosofia sì concreta e civile, ma non all’eccesso, non eccessivamente
astratta. Il pensiero deve essere situazionale, stare in una concretezza. Di qui predilezione leopardiana
per i moralisti antichi greci, pensatori che non vogliono creare un sistema troppo astratto, ma danno

23
indicazioni per vivere bene, ideale di vita buona raggiunto attraverso una riflessione legata alla
situazione, al contesto, a massime morali che però non sono assolute.
Chi sono i rappresentanti della filosofia pratica per Leopardi? Isocrate, citato alla fine del Fedro di
Platone, Cicerone, Seneca, Epitteto.
Il medio (mezzo/vero) incarna, quindi, un pensiero per la vita, per raggiungere quella felicità terrena
cui Leopardi aspira.
Torniamo sulla frase dello Zibaldone: “[…] Dal niente in letteratura si passa al mezzo e al vero, quindi
al raffinamento: da questo non c'è esempio che si sia tornato al vero […]” *(dove ‘tornare’
rappresenta una parola chiave di tutto il pensiero leopardiano. Dal momento che abbiamo individuato
quel processo di civilizzazione e raffinamento di cui sopra come assolutamente negativo, l’autore si
domanda se si possa tornare indietro. Non è possibile tornare indietro. Quindi dà per scontato un
peggioramento siccome esclude la possibilità di un recupero del primitivismo. Non si illude, perché
il pensiero non arretra, quando l’umano impara a pensare, ad astrarre, non torna indietro.
Allora decide di lottare su tanti piani e lo fa praticando quel tornare indietro mentre sta andando
avanti. Questo movimento non intende annullare il cammino percorso fin ora, ma intende integrarlo
in una regressione positiva. Nella dimensione della civilizzazione il processo di raffinamento non può
essere negato, l’unica cosa che si può fare è tornare indietro per mezzo di una decrescita felice.

“[…] Greci e latini italiani. Lo squisito gusto *(il buon gusto è indentificato con il mezzo e non con
l’eccesso) del volgo de' letterati non può essere se non quando ei non è ancora corrotto […] *(greci,
latini e italiano sono i tre ambiti che Leopardi conosce. Ritorna la parola corrotto dove corruzione =
raffinamento. Abbiamo già trovato il termine nei versi in cui Leopardi riecheggia Rousseau.
Questo schema ricorda Francesco De Sanctis che si scaglia contro l’artificiosità del barocco
seicentesco.

“[…] P.E. i cinquecentisti volgari non peccavano d'altro che di poco, non di troppo, e però erano
attissimi a giudicar bene del molto, o sia del vero bello, come faceano […] *(il ‘500 per Leopardi è
un’epoca aurea che conserva ancora quella giusta ingenuità che permette di non cadere nell’eccesso).

“[…] Il Trecento fu il principio *(per Leopardi questo termine ha sempre una connotazione positiva
poiché si lega all’ingenuo e alla forza vitale) della nostra letteratura, non già il colmo*(dove colmo
significa pienezza e qui l’autore sta pensando al ‘500 che è il frutto del seminato del ‘300. Si torna
sempre all’immaginario agricolo che per Leopardi è il modello di ogni trattazione. La pienezza del
‘500 si salva poiché non va oltre raggiungendo il marciume), imperocchè non ebbe se non tre scrittori

24
grandi: il Quattrocento *(anche nello schema di De Sanctis il ‘400 è il secolo senza poesia, poi
rivalutato) non fu corruzione né raffinamento del Trecento, ma un sonno della letteratura (che avea
dato luogo all'erudizione *che rappresenta la morte della poesia) la quale restava ancora incorrotta e
peccava ancora più tosto di poco. Poliziano, Pulci. Il Cinquecento fu vera continuazione *(nel
termine continuazione scorgiamo quell’immaginario di organicità per cui il Trecento è il seminato e
il ‘500 il suo frutto) del Trecento e il colmo della nostra letteratura. Di poi venne il raffinamento
del Seicento *(da questa frase De Sanctis ha derivato tutto il suo schema circa la letteratura), che nel
Settecento s'è solamente mutato in corruzione d'altra specie *(qui De Sanctis non si trova d’accordo
con Leopardi perché per lui il ‘700 rappresenta un piccolo miglioramento), ma il buon gusto nel volgo
dei letterati non è tornato *(ecco di nuovo il termine ‘tornare’. La poesia è il luogo del ritorno che
invera quel miracolo per cui è possibile tornare indietro, ma solo agli uomini eccezionali) più, ne
tornerà secondo me, perché dal niente si può passare al buono, ma dal troppo buono ossia dal
corrotto stimo che non si possa […]” *(qui appare chiara quella gerarchizzazione di cui sopra in
merito al nulla, al mezzo e al raffinamento. La corruzione è infruttifera, ha esaurito e degenerato il
suo potenziale, mentre il niente lo possiede ancora tutto. Il niente è tutto in potenza).
Le prime 100 p. dello Zibaldone sono caratterizzate da una scrittura fittissima che dal 1820 in poi si
va distendendo.

“[…] Non il Bello ma il Vero o sia l'imitazione della Natura qualunque, si è l'oggetto delle Belle arti.
Se fosse il Bello *(qui comincia la sua trattazione sull’estetica), piacerebbe più quello che fosse più
bello *(il bello rimanda al concetto di astratto e assoluto che sono il male) e così si andrebbe alla
perfezion *(perfezione per Leopardi ha quasi sempre un’accezione negativa, qualcosa di assoluto,
totalizzante, che ha esaurito le sue possibilità di trasformazione) metafisica *(Leopardi sta attaccando
l’estetica classicista che presuppone un bello ideale che l’artista deve imitare che è una conferma
dell’appartenenza di Leopardi al romanticismo che è uguale per Timpanaro alla religiosità, al
misticismo e reazionarità, ma è riduttivo farlo esaurire in queste tendenze), la quale invece di piacere
fa stomaco nelle arti *(esplicita il suo disgusto per una perfezione che è morta che si oppone alla
vitalità del vero). Non vale il dire che è il solo bello dentro i limiti della natura, perché questo stesso
mostra che è l'imitazione della natura, dunque, che fa il diletto delle belle arti, imperocchè se fosse il
bello per sé, vedesi che dovrebbe come ho detto più piacere il maggior bello, e così più piacere la
descrizione di un bel mondo ideale che del nostro *(siamo ancora entro la polemica anticlassicista.
Questo periodo può essere interpretato come un monologo che materializza anche la voce di un
interlocutore critico e fittizio. Leopardi prefigura le possibili obiezioni al suo discorso, in particolare
questa è una possibile obiezione di un classicista). E che non sia il solo bello naturale lo scopo delle

25
Belle Arti vedesi in tutti i poeti specialmente in Omero *(per Leopardi il modello ideale e l’amore
eterno con la sua Iliade che è il vertice della poesia), perché se questo fosse, avrebbe dovuto ogni
gran poeta cercare il più gran bello naturale che si potesse, dove Omero ha fatto Achille infinitamente
men bello di quello che potea farlo *(Achille è il personaggio più amato di Leopardi proprio perché
imperfetto e incompiuto), e così gli Dei ec. *(sottile polemica nei confronti del cristianesimo vs. il
paganesimo i cui dei sono imperfetti v. Il rifugio dell’apparenza) e sarebbe maggior poeta Anacreonte
che Omero ec. e noi proviamo che ci piace più Achille che Enea ec. onde è falso anche che quello di
Virgilio sia maggior poema ec. *(abbiamo un’enorme riflessione sull’estetica che ci dice che siccome
ciò che interessa nell’estetica non è il bello, ma il vero si dà il primato di Omero e Achille su Virgilio
ed Enea. Virgilio è una presenza fortissima nella produzione leopardiana, ma nel suo complesso
appartiene ad un’epoca di eccessivo raffinamento rispetto ad Omero. È tipico delle prime 100 pag.
fare confronti tra poeti che esplichino e corroborino le sue teorie). Passioni morti tempeste ec.
piacciono egregiamente benchè sian brutte per questo solo che son bene imitate, e se è vero quel che
dice il Parini *(questa menzione attesta il fatto che Leopardi abbia letto Giuseppe Parini) nella Oraz.
della poesia, perché l'uomo niente tanto odia quanto la noia *(primo insorgere di un tema trattatissimo
nello Zibaldone che si oppone alla meraviglia), e però gli piace di veder qualche novità *(ecco la
meraviglia che annulla la noia in cui si costituisce l’estetica leopardiana della vita) ancorché brutta.
Tragedia. Commedia. Satira *(fa un ragionamento sui generi) han per oggetto il brutto ed è una mera
questione di nome il contrastar se questa sia poesia. Basta che tutti l’intendano per poesia Aristotele
e Orazio *(cosa conosceva di questi autori a questa altezza dello Zibaldone? Per Orazio è semplice
in quanto ha tradotto l’Ars Poetica. Per Aristotele è più complicato) singolarmente e che io dicendo
poesia intendo anche questi generi. *(primo es. di accezione larga di poesia che rimanda a
quell’indistinzione tra generi del sublime) V. Dati *(è un autore) Pittori ed. Siena 1795. p.57.66
*(aggiunta successiva) […]”.

Il brutto *(come categoria generale. Prima ha parlato della categoria del bello e delle sue pertinenze
e ora passa al suo contrario) come tutto il resto deve star nel suo luogo: e nell'Epica e lirica avrà luogo
più di raro ma spessissimo nella Commedia Tragedia Satira ed è quistion di parole ec. come sopra. Il
vile di raro si deve descrivere perché di raro può star nel suo luogo nella poesia (eccetto nelle Satire
Commedie e poesia bernesca) non perché non possa essere oggetto della poesia *(anche il vile può e
deve essere oggetto della poesia). Ancora potendo esser molti generi di una cosa e questi qual più
qual meno degno, niente vieta che dei diversi generi di poesia altro abbia per oggetto più
particolarmente il bello altro il doloroso altro anche il brutto e il vile, e però qual sia più nobile e
degno qual meno e non per tanto tutti sieno generi di poesia, né ci sia oggetto di veruno di essi che

26
non possa essere oggetto della poesia e delle arti imitative ec. *(estrema varietà di oggetti, non solo
il bello, ma il vero come ciò che esiste ovvero ciò che è).

Qual è il primo trattato sul brutto dal punto di vista estetico? L’estetica del brutto (1853) di Johann
Karl Friedrich Rosenkranz (Magdeburgo, 23 aprile 1805 – Königsberg, 14 giugno 1879) è stato un
filosofo tedesco, allievo diretto e biografo di Hegel. Siamo trent’anni dopo le riflessioni dello
Zibaldone.

“[…] L'utile non è il fine della poesia benché questa possa giovare. *(utile si rifà all’estetica antica e
decreta che non può essere il fine della poesia che risulta essere il diletto legato comunque ad un
qualche fine morale o educativo) E può anche il poeta mirare espressamente all'utile o ottenerlo (come
forse avrà fatto Omero) *(teorizza l’intento didascalico delle opere di Omero la cui formalizzazione
è di molto successiva a Leopardi in particolare di Eric Alfred Havelock nel suo Preface to Plato del
1963 in cui si esemplifica il concetto di epos quale opera enciclopedica) senza che però l'utile sia il
fine della poesia, come può l'agricoltore *(torna nuovamente l’immaginario agricolo) servirsi della
scure a segar biade o altro senza che il segare sia il fine della scure. La poesia può esser utile
indirettamente, come la scure può segare, ma l'utile non è il suo fine naturale, senza il quale essa
non possa stare, come non può senza il dilettevole *(ecco il fine ultimo della poesia, malgrado presti
attenzione all’aspetto morale della poesia), imperocchè il dilettare è l'ufficio naturale della poesia
[…]”.

“Sentìa del canto risuonar le valli


D'agricoltori ec.”

Questi che seguono la trattazione sull’utile sono abbozzi di versi che rimandano alla sensazione
acustica, tipica dell’immaginario leopardiano.

“[…] Il Quattrocento restò dal fare, ma conservava l'idea del bello incorrotta; però benché non
facesse, pure apprezzava il fatto anzi lo cercava: quindi l'infinito studio de' Classici e l'erudizione
dominante nel secolo. Il Cinquecento col capitale acquistato *(terminologia quasi bourdieuiana da
Pierre Bourdieu parla di capitale culturale) nel 400 e coll'istradamento del 300 tornò a fare. Ma il
Seicento perché era non debole ma corrotto, non solamente non sapea far bene, ma disprezzava il ben
fatto anzi gli dispiacea. *(Leopardi odia il ‘600) Quindi la dimenticanza di Dante del Petrarca ec. che
non si stampavano più. Nel principio del settecento ripigliammo non le forze, ma solo il buon gusto

27
e l'amore degli studi classici, *(pensiero in seguito ripreso da De Sanctis che sostiene anch’egli che
il ‘700 fu un piccolo miglioramento ma solo in termini di buon gusto) e la prima metà di questo secolo
somiglia però al quattrocento *(dunque la prima metà del ‘700 fu un secolo senza poesia come il
‘400), né si fa molto conto di quest'epoca di risorgimento perché non produsse (come il 400) nessun
lavoro d'arte fuorché la Merope, e durò tanto poco che un uomo stesso poté aver veduto il tempo di
corruzione il risorgimento e il ricadimento. Ricadute le nostre lettere (nella imitazione e studio degli
stranieri) *(polemica contro il gusto per l’orientalismo e le letterature straniere e implicita polemica
all’articolo di Madame de Staël sulla necessità delle traduzioni) son comparsi nella seconda metà del
700 e principio dell'800 i nostri ultimi lavori d'arte. Questi sono di quegli scrittori che nella corruzione
si conservano illesi, non possono essere stimati da molti ec. Ma adesso l'arte è venuta in un
incredibile accrescimento, *(tipica accelerazione di matrice leopardiana in cui l’autore anticipa i
tempi con analisi profondissime e acutissime) tutto è arte e poi arte *(nel senso che tutto è artificio),
non c'è più quasi niente di spontaneo *(termine chiave dell’estetica leopardiana in cui confluiscono
le riflessioni sul brutto come categoria non riflessa, non eccessivamente pensata. Ad un certo punto
nello Zibaldone, Leopardi elabora la soluzione della riflessione non riflettuta che si lega ad altri
romantici quali Heinrich von Kleist. Ne Sul teatro di marionette, Kleist postula il ritorno alla
spontaneità tramite l’artificio Über das Marionettentheater 1810), la stessa spontaneità si cerca a
tutto potere ma con uno studio infinito *(ancora sull’estrema artificiosità e raffinamento) senza il
quale non si può avere, e senza il quale a gran pezza l'aveano (spezialmente nella lingua) Dante il
Petrarca l'Ariosto ec. e tutti i bravi trecentisti e cinquecentisti. *(qui mette insieme ‘300 e ‘500 e si
nota quell’oscillamento del pensiero che in questa sede, i due poli prima opposti, ora si uniscono.
Leopardi è infastidito dal fatto che tutto sia arte. Il termine ‘spontaneo’ è cardine della sua estetica
che presuppone la negazione dell’artificio e dell’iper-letterarietà. In questo senso la riflessione
leopardiana è ancora estremamente attuale)
Questo avviene perché ora si viene da un tempo corrotto (oltreché si sta pure tra' corrotti) e bisogna
porre il più grande studio per evitare la corruzione *(bisogna studiare il modo per non essere
corrotti intellettualmente), principalmente quella del tempo la quale prima che abbiamo pensato a
guardarcene s'è impadronita di noi, e poi quella dei tempi passati, perché adesso conosciamo tutti i
vizi delle arti e ce ne vogliamo guardare, e non siamo più semplici come erano i greci e i latini e i
trecentisti e i cinquecentisti perché siamo passati pel tempo di corruzione e siamo divenuti astuti
nell'arte, e schiviamo i vizi con questa astuzia e coll'arte non colla natura come faceano gli antichi
*(schivare i vizi è divenuto un fatto intellettuale e non naturale come era per gli antichi) i quali senza
saperne più che tanto *(inconsapevolezza degli antichi) pure perché l'arte era in sul principio
*(valore positivo del principio) e non ancora corrotta non gli schivavano ma non ci cadevano.

28
Erano come fanciulli *(elemento dell’età, compare per la prima volta la convergenza tra filogenesi e
autogenesi cioè tra la storia del genere umano e quella dell’individuo) che non conoscono i vizi, noi
siamo come vecchi che li conosciamo ma pel senno e l'esperienza gli schiviamo. *(i fanciulli
schiavano i vizi naturalmente, mentre noi, i vecchi, lo facciamo per esperienza, per tecnica. Qui si
esplicita ancora l’ideale estetico leopardiano della rigenerazione, ovvero del ritorno alla fanciullezza
possibile solo intellettualmente. I miti che incarnano il ritorno alla fanciullezza dalla vecchiaia sono
quelli della fenice, del Faust, del vampirismo e soprattutto del mito di Core e del rituale eleusino
ecc.)
E però abbiamo moltissimo più senno e arte che gli antichi, i quali per questo cadevano in infiniti
difetti (non conoscendoli) in cui adesso non cadrebbe uno scolaro *(rivalutazione dell’errore che
funge da ancoraggio per il Saggio sopra gli errori popolari). Vizi d'Omero concetti del Petrarca,
grossezze di Dante, seicentisterie dell'Ariosto del Tasso del Caro traduzione dell'Eneide ec. E però
adesso le nostre opere grandi (pochissime perché ancora siamo nella corruzione onde pochissimi
emergono) saranno tutte senza difetti, perfettissime *(es. del termine ‘perfetto’ usato in senso
negativo), ma in somma *(es. di stile dialogico) non più originali *(altra categoria estetica del
principio), non avremo più Omero Dante l'Ariosto. Esempio manifesto del Parini Alfieri Monti ec
*(in questo ecc. c’è in mai citato Foscolo. Distrugge la letteratura italiana del ‘700 poiché non
originale. Leopardi istituisce un atteggiamento agonistico contro i suoi predecessori in quanto vuole
proclamarsi l’erede di Omero).
Onde apparisce quel che io disopra ho detto che dopo che le arti di fanciulle e incorrotte si son fatte
mature *(ancora immaginario agricolo) e corrotte, (come gli uomini di mezza età viziosi)
invecchiando e ravvedendosi, non potranno più ripigliare il vigore della fanciullezza e giovinezza. Le
arti presso i Greci e i latini corrotte una volta non risorsero più *(come la lucciola delle lezioni
precedenti) presso noi van risorgendo: primo esempio finora al mondo, dal quale solo si possono
cavare le prove pratiche della mia sentenza. Se non che i poeti e altri scrittori grandi d'oggi stanno in
certo modo agli antichi del 300 e 500 come i greci dei secoli d'Augusto e degli imperatori, p.e. Dionigi
Alicarnasseo, Dione, Arriano ad Erodoto Tucidide Senofonte: ma questi eran passati per un'età e si
trovavano ancora in un'età più tosto di debolezza che di corruzione *(gusto di Leopardi per i paragoni
in cui il primo blocco di autori costituisce il polo positivo).
❖ Sulla riflessione non riflettuta nel tardo Zibaldone
“[…] Alla p. 3906. marg. L'ebbro ancorché vivente, operante e pensante e parlante, non riflette sopra
sé stesso, né sulla sua vita, azioni, pensieri e parole, o men del suo solito e più rapidamente e correndo
via. - Infatti, il timido suol divenir franco, sciolto ec. in quel punto. Segno ch'egli acquista allora una
facoltà d'irriflessione, necessaria e madre della franchezza (anche de' migliori spiriti, e in chicchessia),

29
e la cui mancanza e il cui contrario, è talor la sola talora la principal cagione della timidità. Nondimeno
egli è nel tempo stesso più spiritoso, pronto, ingegnoso, ed anche profondo ec. dell'ordinario suo: il
che sembra mostrare per lo contrario una maggior facoltà ed atto di riflessione. Ma questa è una
riflessione non riflettuta e quasi organica, e un'azione quasi meccanica del suo cervello e della sua
lingua, leggermente influita e guidata appena appena dall'animo e dalla ragione, e un effetto quasi
materiale e spontaneo ed  delle abitudini contratte ed esercitate e possedute fuori di quello
stato, le quali agiscono allora con pochissimo intervento della volontà e dello stesso intelletto, a cui
pure, gran parte di loro, totalmente appartengono, e da cui vengono o in cui si operano quelle tali
azioni, pensieri, parole ec. (27. Nov. 1823.) […]”

18/10/2019 Letteratura italiana contemporanea – Franco d’Intino lez. 8


Chi fa 12 CFU dovrebbe elaborare una tesina scritta su un argomento da concordare con il docente.
Leggere L’immagine della voce – D’Intino sulle Operette morali.
La categoria di antico varia in Leopardi (non si tratta solo dei greci e dei latini, ma anche degli italiani
antichi e moderni) il suo uso è circostanziale e dinamico. Quando si parla si antico in Leopardi non
ci si sta necessariamente riferendo all’antichità classica.
P. 3 dello Zibaldone
“[…] Come i fanciulli e i giovinetti benchè di buona indole pure per la malizia naturale, di quando in
quando scappano in qualche difetto *(tema analizzato dal punto di vista estetico ed è il tema del
giovane pestifero = giovanastro. Tema dell’errore e della trasgressione) e non per tanto sono
differentissimi dagli uomini grandi e cattivi, *(ormai stabilizzati nella loro malizia) così gli antichi
*(qui Leopardi prima scrive: trecentisti e cinquecentisti e poi cancella scrivendo ‘antichi’. Qui si nota
anche come la nozione di antico cambi tantissimo nel corso dello Zibaldone. L’uso della categoria
‘antico’ è molto circostanziale e relazionato al contesto) senza conoscere né amare i vizi delle arti,
per la naturale tendenza dell'ingegno alla ricercatezza *(naturale processo del progresso del genere
umano che è un tarlo di tutto il pensiero leopardiano correlato alla nascita dello squilibrio tra pensiero
e natura) e cose tali di quando in quando vi cadeano non riflettendo che fossero vizi, *(è una
riflessione non riflettuta, quindi ancora genuina. Si tratta ancora di una trasgressione naturale) *(sta
distinguendo tra un’età matura della letteratura e gli errori naturali degli antichi che non sono
sistematicamente malvagi) e non per tanto infinitamente differivano dagli adulti artefici *(chiama
gli adulti artefici da artificio) del 600 e 700 radicati nella corruzione *(torniamo alla corruzione,
termine chiave rousseauiano. La corruzione si incarna nel mito della caduta). E adesso chiunque,
per pochissimo che abbia studiato a prima giunta vede che quelli sono errori e che gli antichi hanno
errato. P.E. chi non vede adesso che è cosa ridicola e affettatissima il lamento d'Olimpia ec.

30
nell'Ariosto, quello d'Erminia ec. nel Tasso? E pure questi grandissimi poeti perché l'arte era giovane
e senza esperienza in buona fede cascavano in questi errori, e noi perché siamo vecchi nell'arte col
nostro senno e coll'esperienza de' tempi corrotti, ce ne ridiamo e li fuggiamo. Ma questo senno e
questa esperienza sono la morte della poesia ec. Come però si dovrà dire che l'Ariosto per esempio
avesse somma arte se cadeva spessissimo in difetti che il più meschino artefice d'oggidì conosce a
prima vista? Non avea somma arte ma sommo ingegno, pulitissimo, ma non corrotto, e meno poi
ripulito. Per guardarci dai vizi e dalla corruzione dello scrivere adesso è necessario un infinito studio
e una grandissima imitazione dei Classici, molto molto maggiore di quella che agli antichi non
bisognava, senza le quali cose non si può essere insigne scrittore, e colle quali non si può diventar
grande come i grandi imitati. Come il cocchiere fa guidando i cavalli per la china, che poco concede
loro perché troppo non gli rapiscano […]”.

“[…] Il mio sistema intorno alle cose ed agli uomini, e l'attribuir ch'io fo tutto o quasi *(termine
centrale nella poetica leopardiana) tutto alla natura, e pochissimo o nulla alla ragione, ossia all'opera
dell'uomo o della creatura, non si oppone al Cristianesimo *(Leopardi tenta di conciliare il suo
sistema con quello cristiano) *(segue una sorta di breve trattatello suddiviso per punti piuttosto
corposi).

21/10/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 9


Platone e Leopardi. Negli ultimi anni la presenza di Platone nella critica leopardiana e stata molto
riconsiderata. Timpanaro ha restituito un’immagine di Leopardi molto antiplatonica. Con questo
svincolamento di Leopardi da Platone si è restituita un’immagine completamente deformata in quanto
da allora in poi viene interpretato come antiplatonico. Oggi si sta guardando alla presenza di Platone
in Leopardi tentando di non applicare delle categorie precostituite. In tentativo è quello di capire come
la lettura dei dialoghi platonici funzioni come un motore nell’opera Leopardiana che in parte stanno
già nel cantiere dello Zibaldone e in secondo luogo traggono nuovo vigore da queste letture. Nel
1823, mentre Leopardi è a Roma, gli viene proposto dall’editore De Romanis una traduzione
dell’opera omnia di Platone. In Europa si sta assistendo all’avvio di un nuovo canone
nell’interpretazione di Platone. Tra il 25 e il 25 Hegel stava tenendo dei corsi universitari sul Sofista
e sul Parmenide di Platone. Sono anni di risveglio dell’attenzione verso Platone questo perché la
nuova corrente spiritualista individua in Platone una nuova e originale interpretazione della religione
cristiana. Questa coincidenza tra platonismo e cristianesimo troverà il suo massimo esponente in
Marsilio Ficino. L’autorità di Ficino è ancora vincolante in tutto il ‘700.nei primi dell’800 Platone
divien la figura con cui la nuova corrente spiritualistica cristiana tenta di opporsi all’illuminismo.

31
Questa cosa Carlo Antici l’aveva capita bene e quindi incita il nipote Leopardi ad approntare la
traduzione dell’opera omnia. L’ultima trad. È del 1601. Leopardi aveva in casa varie trad di Platone
e nel 1823 riceve da De Romanis l’edz del Last tedesca. È un edz non eccelsa dal punto di vista
filologico. In vista di questa traduzione che deve approntare Leopardi legge direttamente dal greco
buona parte dei dialoghi platonici. Nel 1823 infatti si riscontrano molte occorrenze linguistiche di
Platone nello Zibaldone. Siccome Leopardi è maniacale nel citare sappiamo esattamente da quali
dialoghi sta prelevando il passo.
Partiamo da prima del 1823
Paradossalmente le grandi riflessioni filosofiche sui temi platonici vengono svolti prima della lettura
diretta di Platone. 1823: cesura fondamentale siccome corrisponde alla lettura diretta dei dialoghi
platonici. aretinabellizzi@gmail.com. Mail della dottoranda di D’Intino.
Franco Trabattoni, Statale di Milano, uno dei maggiori platonisti e si è occupato del rapporto tra
Platone e Leopardi. Vincenzo di Benedetto anche lui Leopardista e platonista. 1818 prima citazione
di Platone nello Zibaldone ma poco importante perché inca solo la cronologia, mentre la seconda del
1820 riguarda un luogo platonico che Leopardi aggiusta nel 23.
6 luglio 1820: Leopardi legge il saggio sul gusto di Montesquieu
La parola chiave all’interno dell’primissimo passo è la parola convenienza che a che fare con il
relativo che si oppone all’assoluto. Si definisce quello di Platone come un ‘sogno’ e viene utilizzato
per definire il sistema platonico, questa occorrenza si trova anche in altri autori del ‘700. Leopardi si
riferisce spesso a Platone affiancando il lemma sogno: questo sogno è quello delle idee, ovvero che
le idee esistano prima delle cose. Leopardi riflette sull’ipotesi che le idee preesistano alle cose e
questo implicano il fatto che esitano degli assoluti. Le cose per Leopardi non obbedisco all’assoluto,
ma alla convenienza che ha un’accezione etica e morale. Nel 1821 Leopardi opererà la distruzione
del sistema platonico sul piano metafisico e qui ne troviamo già un accenno. 11 agosto 1820 altra
citazione di Platone si tratta di un’aggiunta posteriore. Nel primo passo che abbiamo letto Platone è
legato ai temi della convenienza, sogno ecc. Solo a partire dal 1821 Leopardi associa il sistema delle
idee innate a Platone. L’assenza di questa associazione non dipende dal fatto che egli ignori il sistema
delle idee assolute platoniche.
Leopardi cita Diogene Laerzio, la fonte più consultata in questa fase dello Zibaldone. Leopardi si
trova ancora nella biblioteca di casa e consultare Laerzio gli permette di informarsi anche sulla
filosofia antica cui egli non aveva accesso. Anche nel caso di Platone Diogene Laerzio è stata una
fonte negli anni che vanno dal 1819 a 1821. Tutto il sistema platonico torna nel trattatello all’interno
dello Zibaldone dopo la lettura di Félicité de Lamennais alle pag 420 a pag 451 ecc. La perorazione
sulla causa dei filosofi le idee innate diventano il bersaglio contro cui Leopardi si scaglia sulla scorta

32
di quanto fanno i moderni ideologisti in particolare Locke ecc. Il termine sistema viene associato a
Platone molto presto
6 ottobre 1820: Leopardi ha sicuramente letto le vite dei filosofi di Diogene Laerzio. Qui il lemma
fondamentale è sistema.
Leopardi non è un autore che può avere a che fare con un sistema in quanto è un autore che predilige
il genere del frammento. Nella lettera allo zio Carlo Antici, infatti, che lo invoglia alla traduzione di
Platone, Leopardi dice che vuole tradurre solo il Gorgia e una raccolta di pensieri scevri da quella
spinosità dialettica che non considera più adatte ad un lettore moderno. La prima parte è quella del
Platone legata all’assoluto, mentre dopo il23 Platone è legato all’idea di costruzione del poetico.
25/11/1820: bisogna notare che Platone viene messo in contrasto con altri autori del calibro di
Aristotele e Teofrasto (allievo di Aristotele). Teofrasto è la figura del filosofo che sostiene la necessità
delle illusioni per la vita pur riconoscendone l’illusorietà. Stratone da Lanzago, figura centrale nel
pensiero Leopardiano dopo il 1825 tanto che il pensiero di Leopardi dopo il 25 viene definito
stratonismo. Questa nuova tendenza si deve alle letture approntate durante il soggiorno bolognese e
al proposito di scrivere un’opera su Stratone (allievo di Teofrasto).
Questi ultimi vengono inserti nella linea dei materialisti opposti a Platone che è appunto un idealista.
Platone è stato capace di costruire un sistema fondato sul ‘brillante e sul fantastico’. Che genere di
accezione possono avere questi due termini? Positiva o negativa? La questione è ancora discussa ad
ogni modo va precisato che quello che dobbiamo ricercare è il Platone di Leopardi e non quello
storico, che possono divergere. La costante individuabile all’interni di tutto lo Zibaldone è data da
duplicità: da una parte il fascino per un sistema fondato sul fantastico e dall’altro il dubbio per l’aver
dato come presupposto l’esistenza dell’assoluto.
17 luglio 1821: si consuma lo scontro sul piano della metafisica tra Platone e Leopardi. Origine delle
scoperte dei moderni (?) Dutens. L’unica cosa assoluta è la convenienza. Leopardi ribalta il
platonismo. Leopardi instaura un nesso tra dio e l’assoluto e facendo coincidere l’uno e l’altro
disgrega entrambi.

23/10/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 10


Analisi delle fonti delle prime 100 pag. Dello Zibaldone.
Lo Zibaldone inizia a essere vergato nell’estate del 1817 e le prime 100 pp grosso modo appartengono
al periodo 1817 – 1819.
Alcuni elementi come l’unitarietà e la compattezza della forma ci permettono di identificare queste
prime cento pagine come una sezione a sé stante. Leopardi in questo periodo è impegnato nella

33
pubblicazione di due canzoni e contemporaneamente nella stesura del Discorso Di Un Italiano
Intorno Alla Poesia Romantica.
Nelle prime cento pagine troviamo proprio l’incubazione di questo testo cardine della parabola
intellettuale di Leopardi. Il 1819 è un anno fondamentale e di profonda crisi umana e intellettuale
per Leopardi, l’anno della scrittura degli idilli e della tentata fuga. Nello stesso periodo abbozza la
vita di Silvio Sarno. È quindi un triennio molto denso e fecondo. Lo stesso Leopardi ha indicato il
1819 come un anno di ‘mutazione totale’ nella pag. 144 dello Zibaldone. Il cambiamento di Leopardi
riguarda il cambiamento della storia dell’uomo da una condizione antica e immaginativa a una della
ragione, una fase moderna. Nonostante la giovane età lo scrittore delle prime 100 pp dello Zibaldone
è già un lettore smaliziato ed espertissimo, si muove dentro una biblioteca fisica e mentale amplissima
che utilizza con grande padronanza. Due lavori della sua adolescenza: la Storia Dell’astronomia 1813
e il Saggio Sopra Gli Errori Popolari Degli Antichi 1815, testimoniano l’eruzione del giovanissimo
Leopardi.
Parlare delle fonti dello Zibaldone richiede una certa cautela. In linea teorica disponiamo di un
catalogo di una biblioteca, quella Leopardi, ma questo catalogo non è completamente attendibile e
non possiamo risalire alle letture effettive di Leopardi. Abbiamo anche altri strumenti quali gli
Elenchi di letture che vanno dal 1819 al 1830-31. Di sicuro ci sono solo le citazioni che Leopardi
stesso redige in maniera precisissima all’interno dello Zibaldone, tutti gli altri strumenti vanno
considerati con cautela.
• Come si rapporta Leopardi con le fonti?
È sempre mobile e mai unico e difficile da costruire nei suoi movimenti. A volte si può parlare di un
vero e proprio agonismo nei confronti della fonte cui Leopardi si sta rapportando. Harold Bloom
(New York, 11 luglio 1930 – New Haven, 14 ottobre 2019) è stato un critico letterario statunitense e
definisce come “l’angoscia dell’influenza” il rapporto di lotta con i maestri della tradizione che si
traduce nell’occultamento del debito contratto. Nel caso di Leopardi talvolta accade. Anche nel caso
di Foscolo, autore vicino dal punto di vista cronologico e contenutistico, che non viene mai neppure
nominato o solo pochissime volte. Sappiamo che Leopardi lo conosceva e questa mancata citazione
è indice di quell’antagonismo di cui sopra.
Fonti dello Zibaldone: non bisogna cadere nell’errore del fontaniere (dalla definizione che ne dà
Carducci) che finisce col ridurre lo studio dei testi letterari ad una campionatura di varie fonti.
Le prime cento pag. Dello Zibaldone (1817 -18) hanno un carattere estetico e letterario e
successivamente si aprono ad altri temi. “in questi pensieri ho scritto in un anno il doppio o quasi di
quello che ho scritto in un anno e mezzo e sopra questioni filosofiche […]”

34
Le prime 100 pag. Mettono in campo Orazio, Aristotele, Metastasio, Pseudo Longino, autori
antichi e moderni (Omero, Virgilio, Ovidio, Cicerone, tutta la tradizione italiana dalle origini fino al
‘700: da Petrarca fino a Parini). L’insistenza su questi autori del ‘600-‘700 testimonia che sono stati
importanti per gli esordi di Leopardi.
Leopardi consulta molti periodici durante la stesura dello Zibaldone (es: Emulo impotente di Pindaro,
il Guidi […] nella p. 27 dello Zibaldone). Alessandro Guidi (Pavia, 14 giugno 1650 – Frascati, 12
giugno 1712 poeta e drammaturgo italiano) viene annoverato spesso tra gli autori che hanno legami
con Leopardi, ma sempre in polemica in quanto nelle righe sopra si narra del suo fallito tentativo di
emulazione di Pindaro.
Altro pilastro delle fonti leopardiane sono i repertori, dizionari o lessici es: Il lessico di Forcellini,
il dizionario della Crusca ecc. Non bisogna però rubricare queste fonti solo come curiosità
linguistiche. La scelta di un certo vocabolo ha sempre un significato nella galassia dell’autore.
Altrettanto fascino hanno le antologie che leopardi consulta frequentemente. Ci sono diversi rapporti
con la fonte a volte immediati e a volte dilazionati nel tempo.
• Fonte non esplicita o di seconda mano o rielaborata
Zibaldone 31.
Leopardi sta facendo un discorso sul rapporto prosa-poesia per dimostrare come una certa poesia
possa perdere l’effetto poetico e cita Voltaire come esempio negativo. Leopardi non aveva La
Henriade (L'Enriade è un poema epico di Voltaire, stampato nel 1723 con il titolo La Ligue e
ristampato numerose volte durante la vita dell'autore. Secondo lo stesso Voltaire, l'opera è scritta in
onore di Enrico IV di Francia ed è una celebrazione della sua vita) di Voltaire, ma si è servito di
Andrés (Juan Andrés y Morell (Planes, 15 febbraio 1740 – Roma, 12 gennaio 1817) è stato
un umanista e critico letterario spagnolo. Andrés, che scrisse le sue opere fondamentali originalmente
in italiano, è considerato il padre della letteratura universale e comparata.) Come fonte di seconda
mano per accedere alla lettura in francese dell’incipit de La Henriade.
Zibaldone 56.
Qui si torna sul problema Rousseau: l’idea dell’incivilimento come corruzione:
“tout homme qui pense est un etre corrompu […]”.
Ovviamente, come abbiamo già detto, Leopardi non aveva l’opera in francese, ma solo una traduzione
settecentesca, quindi, probabilmente ha ritradotto dall’italiano in francese. Quindi è una falsa
citazione!
In queste prime 100 p troviamo anche degli scontri con diversi autori quali Lodovico di Breme che
aveva recensito una traduzione di Byron che viene dibattuta da Leopardi (Pag. 15 dello Zibaldone).
Un incontro fruttifero invece dello Zibaldone è quello con il Werther di Goethe. Per incontrare il

35
Werther dobbiamo tornare sul passo di Rousseau dove Leopardi prosegue con un confronto Rousseau
- Goethe e Rousseau -Werther. Leopardi dice che a causa del progresso non è più possibile la felicità
naturale e torna sul tema delle illusioni funzionali alla vita come dice Werther. Con Rousseau e
Werther siamo innanzi a due autori con i quali nasce il soggetto modernamente inteso. Leopardi
nello stesso periodo sta maturando l’idea del suo romanzo auto biografico. Sappiamo che Leopardi
lesse il Werther in traduzione di Salom *(Verter, opera originale tedesca del celebre signor Goethe,
trasportata in italiano dal D.M.S., traduzione di M. Salom, Venezia: 1796). Il romanzo ha impianto
epistolare e qui in una lettera del Werther si legge “i fanciulli e coloro che vivono alla giornata […]”.
Lo stesso tema ritorna alla pag. 57 dello Zibaldone “circa l’immaginazione dei fanciulli […] vedi
l’osservazione di Werther nella lettera 50”.
Lontananza invisibile: stiamo entrando nella zona dell’infinito come esperienza di piacere da parte
di un soggetto chiaramente moderno. Il retroterra dell’infinito è stato alimentato da queste letture.
Andando avanti ci sono altri rinvii al Werther e ce n’è uno che troviamo a pag. 54 sul tema del suicidio
“molti sono che dalla lettura dei romanzi. Acquisiscono una falsa sensibilità… per esempio
nell’amore la disperazione mi portava più volte a desiderar vivamente di uccidermi […]”.
La lettura del w è quindi una lettura importantissima.
Altro incontro fruttifero è quello con Madame de Staël che compare dalle pag 73 e 100. Questa
autrice è ampiamente citata fino alle ultimissime pag dello Zibaldone.
Romanzo della Staël del 1807 Corinne ou L’Italie che viene citato nello Zibaldone 21-22 “non
credetti di esser filosofo se non dopo aver lette certe opere di Madame de Staël”.
• Sulla poesia ingenua e sentimentale (Über naive und sentimentalische Dichtung) trattato
di estetica, 1800
Confronto Schiller Leopardi sul problema del sentimentale: è possibile fare poesia in epoca
moderna? Poesia naif per indicare la poesia ingenua. Non c’è lettura diretta della poesia ingenua e
sentimentale di Schiller. Nello Zibaldone Schiller viene additato come ‘amici nemico di Goethe’.
Scritto tra 1795 – 96 e pubblicato sulla rivista ‘Die houren’.
Schiller intende scrivere un trattato sul naif che però è solo un punto di partenza che poi arriva alla
definizione di poeta sentimentale. Questo trattato ospita un numero ingente di contraddizioni dal
punto di vista terminologico e contenutistico. Schiller si riferisce a Goethe quando parla di naif.
Quali sono i caratteri fondamentali del naif?
1. Contrasto naturale artificiale;
2. Opposizione alle strutture che contrastano la fusione uomo natura;
3. Peculiarità del genio;
4. Componente essenziale della grazia-

36
Brano da Su la poesia ingenua e sentimentale di Schiller:
“[…] sorta di amore commosso per la natura […] non perché essa ristora i nostri sensi, e neppure
perché appaga il nostro intelletto o il nostro gusto, ma unicamente perché essa è natura […]”
L’unico in grado di accorgersi del legame di questi fenomeni naturali con la sensibilità è l’uomo
raffinato. Si oppongono ai fenomeni naturali quelli artificiali.
In cosa consiste quel sentimento di sensibilità?
“Questo interesse […] sta al fondo della nostra passione per i fiori per gli animali […] non entrino in
gioco affettazione o altri casuali interessi.”
“Un simile interesse per la natura si manifesta solo i due condizioni, in primo luogo è assolutamente
necessario che l’oggetto che ce lo infonde sia natura o che noi lo riteniamo tal. In secondo luogo, che
esso sia naif (nel senso più ampio della parola) cioè che la natura si trovi in contrasto con l’arte e la
umili […]”
Ma cos’è la natura? La vita spontanea, l’esistenza secondo le leggi immutabili. In Leopardi
vedremo che la perfetta l’imitazione della natura che è ciò che desta meraviglia.
“Un simile compiacimento verso la natura non è estetico ma morale che dipende dall’idea”.
Immagine di natura immutabile che risponde a leggi eterne non sottoposte al caso.
“Essi sono ciò che noi eravamo, sono ciò che noi dovremo tornare ad essere. Come loro noi eravamo
natura e ad essa la nostra cultura deve ricondurci attraverso la via della ragione e della libertà.”
Gli antichi non possedevano questo genere di sentimento rispetto alla natura, ma è una costruzione
moderna. “Loro sentivano in maniera naturale, noi sentiamo la naturalezza”. “Il nostro sentimento è
identico alla percezione che il malato ha della salute”.
L’elemento costitutivo della poesia è l’imitazione più perfetta possibile del reale. Già si delinea
la biforcazione tra il poeta antico e quello moderno quindi tra quello naif e quello sentimentale. I
poeti antichi non sono separati dalla natura e quindi questo processo imitativo non ammette perdita.
Mentre l’uomo moderno e il suo poeta intendono elevare la realtà all’ideale perché si è persa la
comunione tra uomo e natura. L’uomo moderno sublima qualcosa che ha perduto, quindi idealizza
e lo fa per mezzo di rappresentazioni.
• Rappresentazione assoluta: poeta naif
• Rappresentazione dell’assoluto: poeta sentimentale
Quando la rappresentazione perfetta non è più possibile il poeta sceglie che angolo di mondo
rappresentare e trovare l’infinito in quell’angolo e riuscire a svincolarlo dalla sua materialità dandogli
la dignità di ideale.
“Il poeta sentimentale riflette sull’impressione che gli oggetti suscitano in lui, e solo quella riflessione
è fondata la commozione da cui viene egli stesso vinto e che riesce a comunicarci”
37
Pagine da 15 a 23 che contengono la riflessione leopardiana sul sentimentale.
In questo senso leopardi si avvicina in polemica alla poesia romantica, ma la polemica è nei confronti
dei romantici italiani, mentre si sente vicino a quelli europei. Leopardi legge la recensione di Byron
di Lodovico di Breme sullo “Spettatore”.
La poesia antica viene identifica con quella naif, mentre quella sentimentale con quella moderna. Non
solo bisogna provare quella sensibilità, ma bisogna suscitarla negli altri, ma solo la natura e le
circostanze naturali riescono a produrre certi sentimenti. Gli antichi, quindi, riproducevano
semplicemente la natura, ma in maniera perfetta. La poesia antica pecca perché non aggiunge niente
del suo all’arte, ma hanno solo descritto la natura. Ma anche la poesia moderna pecca del peccato
opposto ovvero iper-descrizione degli stati d’animo, ch impediscono l’immaginazione e finiscono per
raffreddare i sentimenti.
“non si avvedono che si è perduto il linguaggio della natura e che questo sentimentale non è altro che
l’invecchiamento dell’animo nostro, e non ci permette […]”.
La principale confutazione di leopardi del discorso di Breme sta nel fatto che a di Breme non appare
il fatto che la poesia debba dilettare per mezzo della meraviglia prodotta dall’imitazione. Per leopardo
la poesia non deve far tornare in comunione con la natura, ma è un godimento diversamente da
Schiller.
L’immaginazione deve essere sedotta dalla poesia? Si può ancora fare poesia?
Tutto ciò verrà rielaborato nel discorso intorno alla poesia romantica che non riuscirà a pubblicare.

25/10/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 11


Lettera a Pietro Giordani, discorso linguistico*. Tra le varie opere che Leopardi sogna di scrivere c’è
Della condizione presente delle lettere italiane libri sette. Anche all’interno dello Zibaldone troviamo
tutto un filone riguardante la lingua italiana. Di queste lingue vediamo subito una ripartizione: da un
lato la greco-latina, dall’altro italiana-francese-spagnola. A questa iniziale polarizzazione se ne
aggiungono altre (es. lingua universale-non universale ecc).
*stante che la lingua e l’uomo e le nazioni per poco non sono la stessa cosa. Elemento umano,
linguistico, sociologico e antropologico sono interconnesse. Lingua non è un elemento a sé stante.
Questo elemento di interdisciplinarità ha in realtà inficiato il suo discorso: quando la linguistica
comincia a determinarsi come disciplina scientifica ha giudicato negativamente la linguistica
leopardiana per la sua interdisc. Altro motivo: lo Z viene pubblicato molto tardi e solo tardi avrà
l’attenzione che merita. Altro: a sistematicità del suo pensiero. Connesso a questo c’è tutta l’idea
crociana della pura intuizione della poesia: i grandi poeti non possono essere anche grandi pensatori.
Timpanaro mette a fuoco la questione della filologia. Il primo grande studio di linguistica leopardiana

38
è di Gensini: Linguistica leopardiana. Bisogna pensare a Leopardi in questo orizzonte linguistico
come a un pensatore in un più ampio orizzonte, di natura europea.
Bibbia poliglotta di Walton: importanza storica, Bibbia messa all’indice, quindi elemento molto
prezioso della biblioteca Leopardi. Ha cominciato a studiare la lingua ebraica nel 13, inizio 14 da
autodidatta: in quel periodo aveva anche cominciato a studiare il greco. Termine post quem deriva da
alcune testimonianze Monaldo che chiede delle grammatiche ebraiche ecc. per far studiare il figlio.
Dal catalogo di casa L abbiamo notizia di almeno dieci grammatiche di lingua ebraica, lessici ecc.
Proviene da un’impostazione cattolica di stampo gesuita, ma prende tutto questo e va oltre,
approfondimento filologico grammaticale sintattico e sue considerazioni personali sul carattere della
lingua ebraica: il genio della lingua, ovvero la lingua mai considerata come un monolite ma sempre
messa in rapporto a tutto ciò che le sta intorno. Quindi ci sono molte osservazioni sulla lingua ebraica
sia tecniche che poetiche, ma anche relative al popolo ebraico. L’imposta quasi sempre le sue
osservazioni sul confronto.
Zib. 13
Siamo nel ’17, L ha già concluso il suo studio dell’ebraico e nel 16 ha cominciato a tradurre.
Il sublime biblico è da apprezzarsi di meno rispetto al sublime omerico. Fa esempi che riprende da
Borgno, dissertazione su Sepolcri omerici (che B a sua volta riprende da Martignoni). È secondario
secondo le caratterizzazioni della poesia umana, perché quest’ultima vuole il mezzo dappertutto,
mentre il sublime biblico non può che oltrepassare. Quindi: sublime naturale e sublime
sovrannaturale. Quest’ultimo è invece nell’eccesso, oltrepassamento della capacità umana gli è
proprio. Il vero sublime nasce dalla caratteristica orientale, elemento dell’antichità.
Zib 2543
Ebraico, lingua antica, quasi primitiva: la fanciullezza dell’umanità, per eccellenza l’unico tempo
felice.
Zib 2005-2007 (28/10/21)
Qui L comincia a intersecare osservazioni sulla questione delle radici: mette a fuoco una caratteristica
fondamentale dell’ebraico, ovvero che è stata sostanzialmente composta da tre consonanti. Ebraico è
lingua vaga, dunque per eccellenza poetica. C’è una polisemia intrinseca straordinaria nell’ebraico,
che permette anche nella prosa di essere poetica: ha poche parole ma ciascuna di loro ha in potenza
tantissimo; quindi, è per eccellenza indefinita e quindi poetica.
Zib 2615-2616
Lo stile francese si rassomiglia allo stile orientale
soprabbondanza di sentimento vitale
Zib 3564-45

39
La lingua ebraica è poetica ancor nella prosa, per quella sua estrema povertà
Tutti questi elementi vengono messi a fuoco in maniera più teorica all’interno del Parere sopra il
Salterio Ebraico (1816). Si arrabbia contro Gazola: aveva preso la traduzione di Venturi (già
scorretta) e ricreare gli stessi ritmi metrici di versificazione dell’ebraico. Ma se ebraico è
assolutamente vaga, poetica, non si possono imporre leggi severissime nel tradurla.
Rapporti semantici del lemma ‘imitazione’
Imitazione: il termine imitazione in L è usato in maniera copiosissima, 700 occorrenze distribuite sin
dalle prime opere fino all’ultimissimo L (111 pensieri).
Principali rapporti semantici:
Sinonimia e contiguità semantica: arte, poesia, rappresentazione, studio
Antonimia e contrapposizione: originalità, creazione, invenzione, copia, uguaglianza, contraffazione
(che già ci fanno capire che per L l’imitazione non è una mera riproposizione, copia della realtà, bensì
un atto poliedrico: poeta che imita al tempo stesso aggiunge qualcosa di suo, fa un atto che non è
semplicemente una passiva riproduzione. Matrice prima la troviamo in Aristotele).
Il giovane L delle prime pagine è già un letterato più che rodato, in particolare in questo caso sulla
scia dell’imitazione lui si è incamminato nei panni del traduttore. Queste traduzioni sono
accompagnate da riflessioni che si sono soffermate sul problema dell’imitazione. Per esempio, è utile
ricordare due lettere indirizzate alla biblioteca italiana con le quali L intendeva prendere parte al
dibattito che era stato suscitato da un articolo di MDST, senza riuscirci (lettere mai pubblicate). In
queste due lettere vediamo venire alla luce due nodi problematici che si intrecciano con quello
dell’imitazione. Intanto c’è un contrasto molto forte tra urgenza dell’originalità, dall’altra l’idea che
la tradizione letteraria non possa essere semplicemente ignorata e trascurata. Domanda fondamentale:
come si può essere originali in una condizione come quella di chi intende essere poeta della modernità
che non può fingere di avere alle spalle il peso opprimente della tradizione? Si è costretti ad essere
imitativi. Problemi che lui già ha presente nelle prime pagine dello Z.
Zib 2
Non il Bello ma il Vero o sia l’imitazione della Natura qualunque, si è l’oggetto delle Belle arti.
Natura qualunque, non selezionata: sta prendendo una posizione scientifica nel dibattito del suo
tempo.
Zib 3
La perfezione di un’opera di Belle arti non si misura dal più Bello ma dalla più perfetta imitazione
della natura.
L’imitazione deve puntare non all’utile, ma al diletto. Rapporto reciproco strettissimo: poesia consiste
nell’imitazione e senza di essa non può raggiungere il suo scopo; è proprio attraverso l’imitazione

40
che la poesia può dilettare. C’è bisogno di questo filtro tra l’uomo e la natura affinché le belle arti
possano suscitare il diletto. Questi concetti portano L poco dopo a pensare di delineare un sistema di
belle arti:
Zib 6
Sistema di Belle Arti. Qui si aggiunge il tassello della maraviglia. L’imitazione della natura è il mezzo
privilegiato che il poeta deve utilizzare per il suo obiettivo primario grazie alla meraviglia. Qual è
l’origine del diletto cagionato dall’imitazione? La meraviglia che si trova davanti all’imitazione. La
causa primaria del diletto prodotto dall’imitazione è la meraviglia. Alla base della sua riflessione
estetica c’è sempre una base di antropologia filosofica: qui troviamo l’istintiva repulsione dell’uomo
alla noia.
Imitazione-diletto-meraviglia: ha una storia antichissima. Bisogna ritornare per forza ad Aristotele:
sostiene che la genesi dell’arte consista nel piacere che viene generato nell’uomo dinnanzi
all’imitazione.
Tutte le arti instaurano con la natura un rapporto imitativo.
In che modo l’imitazione può suscitare diletto e quindi muovere l’immaginazione? Quali sono le
caratteristiche di un’imitazione efficace?
1. La difficoltà
Zib 8
La meraviglia deve nascere dal fatto che chi si trova davanti all’atto imitativo deve prendere coscienza
del fatto che si tratta di un atto difficile. Ritiene che quella dei romantici sia un’imitazione troppo
passivamente tesa alla riproduzione, imitazione che quasi vuole abdicare a sé stessa e rendere
trasparente il filtro che c’è invece tra l’arte e la realtà, filtro che non può essere eliminato, pena la fine
del diletto (vedi Zib 976.77).
Questo nodo dell’imitazione viene espresso bene nella sua polemica verso di Breme (Zib 15-23).
2. La “verisimiglianza” e la “credibilità”
L’imitazione deve risultare credibile agli occhi del lettore o spettatore. La poesia deve persuadere,
non dobbiamo accorgerci che siamo di fronte alla finzione.
IMITARE LE COSE IMPERFETTE PER DARE IDEA DI CREDIBILITA’
In filigrana emerge l’idea del mediano di Aristotele.
3. Il familiare e insieme lo straordinario
L’oggetto imitato deve essere preferibilmente già noto al lettore perché l’oggetto comune, già noto,
consente di apprezzare maggiormente la difficoltà dell’imitazione. Imputa ai romantici (in particolare
Di Breme) la colpa di cercare elementi esotici, laddove invece l’oggetto familiare, oltre a consentire
la misurazione della somiglianza, offre un altro piacere al fruitore: osservare in una prospettiva nuova

41
e inedita oggetti già nuovi. imitazione potenzia ciò che nella vita quotidiana passa inosservato.
Imitazione è come mettere a fuoco l’oggetto comune. Zib. 16
Non deve essere straordinario l’oggetto ma il modo in cui noi lo vediamo.
Qual è il soggetto più familiare? Quindi l’oggetto di imitazione più efficace? L’uomo.
4. La naturalezza
Imitare la natura come lo facevano gli antichi: la si recupera utilizzando l’artificio, mediante il suo
opposto, ecco perché è imprescindibile lo studio non finalizzato a sé stesso ma a un recupero di una
condizione il più possibile naturale.
Zib. 21
Non imita la natura chi non la imita con naturalezza. Bisogna dunque utilizzare l’artificio ma
nasconderlo. Non bisogna far manifesta la diligenza perché essa è contrario di naturalezza. Bella
negligenza. Quindi qui si appella a un altro precetto: dissimulatio artis. Il poeta deve nascondersi, non
deve uscire fuori la sua persona e il suo lavoro. Deve sì usare il filtro dell’imitazione, ma deve celare
questa mediazione, senza dare rilievo alla propria soggettività.
Tutto questo solido impianto, tra 7-800 comincia ad essere scosso e anzi si sgretola. Nel caso di L
rimane in piedi fino al 28, ma troviamo già dei segnali che ci fanno capire che lo schema diventa
stretto per L.
segnali:
come p.e. nella lirica che non è propriamente imitazione
Caso isolato.
Zib. 3942
Il buono imitatore deve aver come raccolto e immedesimato in sé stesso quello che imita, sicché la
vera imitazione non sia propriamente imitazione, facendosi d’appresso sé medesimo, ma espressione.

(LO SPECCHIO E LA LAMPADA)

Estate 28: ragionando su Omero, demolizione senza nessun dubbio della poesia come imitazione.
Poesia diventa a questo punto espressione libera, produzione del genio. Il poeta non imita, il poeta
immagina. Zib. 4357-58.
Il poeta non imita la natura: ben è vero che la natura parla dentro di lui.

28/10/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 12


Saggio di Martina Piperno (?).

42
Pag. 8 dello Zibaldone sulla relatività del bello che è appunto storicizzato dal contesto culturale e
sociale in cui s’inserisce. Vi sono anche riferimenti al fenomeno della moda che poi si condenseranno
nel Dialogo della moda e della morte. Oltre a Leopardi un altro autore che intuì la profondità della
moda fu Honoré de Balzac.
Pag. 9 dello Zibaldone. Vi è uno spazio prima del paragrafo e si può ipotizzare servisse per aggiunte
future. L’argomento della nona pagina, che prosegue in tutta l’opera, sono i francesi. Leopardi è stato
uno dei massimi esperti di linguistica comparativa, oltre che studioso dello spirito dei popoli. Un
punto di riferimento fondamentale in quest’analisi è Montesquieu. In questo estratto si parla della
lingua francese come obiettivo polemico costante. Si nota una certa invidia per l’universalità della
lingua, ma Leopardi non può mancare di criticarne la modernità in quanto il francese è la lingua che
più si è distaccata dall’antico. Il francese risulta, quindi, l’emblema della modernità.

“[…] I francesi hanno certe esagerazioni familiari così usitate che sono vere frasi proprie della lingua
e non […] danno un’idea della sempiterna affettazione *(il francese esagera siccome è affettato, c’è
qualcosa di non naturale nel francese) e dal tono esaltato […]”.

Il passo successivo tratta di qualcosa di completamente diverso, ma lo Zibaldone è caratterizzato da


queste interruzioni e ritorni. Un’area inesplorata riguarda i passi contigui che non trattano dello stesso
argomento. Perché Leopardi passa da un argomento all’ altro all’interno della stessa pagina? D’Intino
ne ha parlato nella Bussola di Carocci.
Il problema che pone il francese è quello della mancanza di naturalità, classico problema vichiano.
La lingua francese si inserisce in uno stadio degenerato della cultura e della società che Leopardi non
approva. Henry Adams The Education: un testo quasi sconosciuto che parla di questo tema vichiano,
l’ultimo capitolo del libro s’intitola Hello Acceleration. In Leopardi occorre spessissimo il termine
accelerazione in riferimento ad un progresso involutivo, degenerativo. Dal punto di vista filosofico
Leopardi è stato spesso accumunato a Schopenhauer soprattutto sulla base di quel gusto per
l’Oriente. Questo scontro/incontro tra occidente e oriente non è ancora moda corrente ai tempi di
Leopardi; quindi, bisogna sottolineare che questa critica della modernità s’inserisce nel paradigma
occidentale.
Lo schema generale oppone la naturalezza all’artificiosità. Il passo successivo comincia così:
“[…] in molte opere di mano […] non pensare al pericolo e portarsi con franchezza […] così i poeti
antichi non solo non pensavano al pericolo di errare, ma appena sapevano che ci fosse *(ancora sulla
mancanza di consapevolezza degli antichi) indigenza *(l’ordine di idee è lo stesso, l’opposizione tra
consapevolezza dei moderni e inconsapevolezza e genuina insipienza degli antichi). […]”

43
“[…] insomma il Parini, il Monti […] sono bellissimi, ma non hanno nessun difetto […]” *(questa
frase rimanda alla pag. 461 in cui prosegue questo stesso pensiero.

“[…] in Plauto, il sommo pregio è quello della forza comica […] ottenuta col mezzo del ridicolo
*(Ciò che fa ridere. Leopardi sta parlando del comico, argomento centrale nella produzione
leopardiana. Egli stesso probabilmente si concepiva come scrittore comico. Nelle sue lettere
dell’infanzia, in particolare quella alla befana, si nota benissimo questo atteggiamento comico) che
nel mentre che vivifica l’azione […] ottiene il fine della commedia che è di distoglier dal vizio […]
operato dal ridicolo […] ma i costumi presso Plauto sono poco insigni […] ma tutte le figure si
rassomigliano […] *(il primo difetto di Plauto è questa rassomiglianza: tutti i personaggi sono
appiattiti dalle stesse caratteristiche psicologiche. Questi caratteri sono troppo netti e finiscono per
non ammettere sfumature) ma qui le persone dicono quello che ogni uomo in quella situazione direbbe
[…] le parlate cavate dal vero, non sono modificate […] dal costume della persona […] *(in questo
estratto appare il ritratto di un Leopardi romanziere che disquisisce su come rendere meglio i
personaggi e caratterizzarli psicologicamente. Nelle Operette questi caratteri romanzeschi sono solo
abbozzati e lo sono attraverso un modulo antico e non del moderno romanzo. A questa altezza dello
Zibaldone (1817 – 18) siamo sicuri che a Leopardi interessi una teoria del comico e una teoria del
personaggio. È un fatto di non poco conto perché nel 1819 Leopardi penserà di scrivere un romanzo
partorito da queste medesime riflessioni.”
Questo è un esempio di un Leopardi che sta cercando sé stesso anche all’interno dei generi. Una
ricerca sul comico implica una ricerca tra le varie opere che Leopardi probabilmente conosceva
(Moliere, Teofrasto? Non sappiamo se egli li conoscesse effettivamente).

Pag. 12 dello Zibaldone


“[…] l’arte di Ovidio di metter le cose sotto gli occhi non si chiama efficacia, ma pertinacia *(questa
brevissima frase apre una lunghissima riflessione estetica. Da qui in poi Ovidio diviene il vessillo di
una certa idea poetica. Per Leopardi Ovidio non è un modello, bensì un anti-modello. Quindi cosa lo
allontana da Ovidio? Proprio questa pertinacia. Dove il significato è quello di una sorta di insistenza.
Ovvero Leopardi sostiene che Ovidio non ritraeva in maniera efficace i personaggi con poche
pennellate, ma la loro caratterizzazione deriva da questa insistenza sul personaggio. Un altro elemento
di questa insistenza è quello di “metter sotto gli occhi”. Laddove troviamo una simile dicitura
immediatamente capiamo che si tratta si qualcosa inerente al senso della vista e, in maniera più ampia,
alla razionalizzazione. Il senso della vista inserisce alla conoscenza razionalizzante della natura in

44
cui si ipertrofizza la funzione della ragione, per estensione s’intende conoscenza analitica. Il modo in
cui Ovidio mette le cose sotto gli occhi è insistente, descrive troppo e conseguentemente non lascia
spazio al lettore per l’immaginazione. Da qui emerge la famosissima poetica dell’indefinito. Questa
che sta abbozzando Leopardi è un’idea di arte romanzesca che non metterà mai in pratica se non nella
Vita abbozzata di Silvio Sarno.
Arte del romanzo, ma anche romanzo in versi: Leopardi scriverà nella raccolta dei Canti le
Ricordanze, un piccolo romanzo in versi in cui l’autore descrive (in maniera non descrittiva, ma per
pennellate, per lampi) la sua vita emotiva.
Perché Leopardi non ha mai scritto un romanzo? Perché temeva che una narrazione prosastica
perdesse il poetico, quella natura indefinita ed efficace che vivifica come sopra. Nonostante la
passione di Leopardi per il Corinne di Madame de Staël, già avvertiva questo pericolo della prosa.
Questo pericolo è incarnato dalla narrazione di Plauto

30/10/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 13

04/11/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 14


P. 15 “è da notare che la religione si mette dalla parte della natura” CONSIDERAZIONE REL
CRISTIANA diff tra primo secolo e altri secoli. La natura è quella che spinge i grandi alle azioni ->
c’è qualcosa (megalopsodia) qualcosa di naturale che modella alle azioni grandi, non c’è tecnica
educativa (tema nel sublime) ma la ragione li ritira LI RITIRA, indietro, li rende cauti. E perciò la
ragione è nemica della natura e ragione è piccola: quando ripete le cose in questo modo sta tentando
di convincersi, c’è una riserva interiore, dubbio, tentativo di rimuginare su qualcosa, poi rovescia
qualcosa dicendo natura e grande e ragione piccola. Argomenta per esempi e prove, che gli viene da
apprendistato scientifico, trattati scientifici, non solo scientifica ma anche teologica.
“…condannate dalla ragione” qui nota senza specificare quali sono alcuni ambiti in cui la ragione
ispira alcuni comportamenti che sono contrari alla ragione e viceversa. Ripugnare è un termine
interessante che usa anche alla fine dello zibaldone per notare le contraddizioni interne alla natura, ci
sono cose che ripugnano ad altre nell’ambito dello stesso ambito naturale, una cosa che fa bene per
una parte e male all’altra sarà all’interno stesso della natura. Farà esempi: tali uccelli vivono in tale
posto ma in quel posto la natura non permette che esista ecc… -> TEMA: natura che RIPUGNA sé
stessa, ripugnare, contraddizione, qualcosa che ripugna a qualcos’altro, contraddizione,
contraddizione che sta vedendo è quella tra il piacere (moltissime altre, condannate dalla ragione)
ambito del piacere, della soddisfazione dei sensi, che è condannata dalla ragione “e la natura che
tende con questi appetiti a distruggere e danneggiare sé stessa”: AGGIUNTA. Difficile dire se è stato

45
aggiunto subito o in un secondo momento. Interessante perché il concetto qual è? È che prima parla
della ripugnanza di cose che sono inclinazioni di natura alla ragione, nei confronti della ragione ->
eccesso di appetito e desiderio distrugge sé stesso CONTRADDIZIONE INTERNA ALLA
NATURA, tornerà su questa idea quando dice che i piaceri LOGORANO. Il piacere come elemento
autodistruttivo ricorre altrove nello zibaldone: inclinazione interna che viene dalla natura che logora
lo stesso meccanismo interno.
Quindi abbiamo un grosso blocco di pensieri decisivo, primo impatto con questo grande tema che è
antropologico, una natura che evolve e si sviluppa grazie a uno scarto che è la facoltà razionale di un
uomo e che porta l’uomo a distruggere (?)
Grande pensiero di natura vs ragione, poi comincia una serie di pagine sostanziose abbozzo del
discorso di un italiano attorno alla poesia romantica. Discorso che è stato scritto e che poi non è mai
stato pubblicato dallo Spettatore, solo postumo, qui c’è l’abbozzo, il rapporto tra i due testi è evidente,
stessi esempi, stesse frasi talvolta, questo è il caso più evidente del diario usato come spazio per
abbozzare un qualcosa che poi ha trovato uno sviluppo ed elaborazione esterna. Ci sono tante
sovrapposizioni o convergenze per passi più piccoli, temi circoscritti ecc… questo è l’unico o il più
ingente esempio di abbozzo di un’altra opera, anche se è incompiuta, inedita, non pubblicata.
“finisco in questo punto… chiamare” leopardi definisce la modernità come romanticismo, identifica,
e viceversa. Qui si apre un capitolo molto controverso della storia della critica leopardiana in quanto
sia l’abbozzo sia il discorso di un italiano sono critici nei confronti di questo articolo di Di Breme che
si autodefiniva romantico: interpretato come discorso critico della poetica romantica ma le cose sono
più complesse, bisognerebbe identificare la posizione di Di Breme, vedere che cosa ha detto, chi era,
contestualizzarlo in Europa, (romanticismo tratti comuni ma diversificazione enorme) – impossibile
definire in modo semplice e lineare il romanticismo perché ci sono tanti profili, tante diramazioni di
autori che confliggono, questioni cronologiche, ideologiche, romanticismo idealista, dx, sx,
conservatore, rivoluzionario… difficile stringere la questione in poche linee. Metodologia induttiva:
si parte da alcune questioni e poi si va verso la totalità. Fatto certo: la posizione di leopardi non
coincide con quella classicista tout court, l’equivoco di fondo è che suggerisce nella crisi poetica del
moderno: BISOGNA RIFARSI AGLI ANTICHI, critica al romanticismo sarebbe questa e nell’epoca
della modernità o razionalità dispiegata: il poetico è nell’antico, questa sembrava classicistica:
imitazione dell’antico. Leopardi suggerisce di cercare negli antichi quella energia poetica che la
modernità in qualche modo soffoca con una razionalità eccessiva. Questa posizione è alla radice
quella dei primi romantici, è la stessa, laddove i romantici hanno meno rapporto con uno sfondo
antico, con i classici, perché vengono da un’altra formazione.

46
Questo è il cuore della questione ma è necessario vedere cosa dice leopardi. “ho letto… chiamare”
notiamo questa IDENTITA’ ROMANTICISMO MODERNITA’ interessante vedere come usa il
termine romantico: poche volte ma lo usa in quasi tutte le occorrenze in modo positivo riferito alla
PROPRIA POETICA, i luoghi romantici sono i suoi, del poetico, dell’indefinito, “indubitabili…”
AUTORITRATTO SEMPRE DUBITA SEMPRE INQUIETO SEMPRE ALLA RICERCA in lui c’è
il germe della contraddizione di una cosa che può avere aspetti opposti. “per mia quiete le scrivo”
non ha ancora deciso su tante cose, questo saggio lo ha reso inquieto, ha stimolato delle questioni su
cui ancora non ha elaborato una risposta chiara, quindi scrive per quietarsi la mente, riposare queste
questioni, riposare idee. Zib: TENTATIVO DI PORTARE A CHIAREZZA, FARE CHIAREZZA
SULLE COSE, che non vuol dire il nominarle bruciandole bensì attraversare strati d’ombra con
l’esigenza di arrivare a chiarezza senza uccidere, senza bruciare. Bisogna conservare la piega,
l’ombra.
Ecco i torni e ritorni giravolta, non si definisce mai qualcosa troppo nettamente, non ha fiducia nella
capacità della ragione di definire e illuminare la cosa, è vero che anche molti illuministi lo stesso non
l’avevano.
“vuole lo scrittore come tutti i romantici” lui non conosceva nessun romantico, ambizione giovanile
di dedurre categorie generali anche partendo da un singolo dato, ha grande fiducia nella propria
capacità di generalizzare anche se si basa su dati molto esili, questo è uno di questi casi. Non ha libri
di Coleridge, nelle riviste non lo conosce, anche se per movimenti psichici è molto vicino a lui.
“poesia moderna ideale patetico sentimentale” NODO IMPORTANTE LESSICALE E STORICO
ANCHE, sentimentale è parola chiave dei romanticismi europei ed è stata quella al centro del sistema
schilleriano (saggio sulla poesia ingenua e sentimentale) saggio fondamentale dei romanticismi anche
se fatica. Il saggio sulla poesia romantica (preceduto da quella classica) è quanto di più vicino esista
a leopardi – sintesi: la modernità, il romanticismo si può definire sentimentale in che senso? Perché
c’è la perdita di INGENUITA’ ovvero non c’è più la capacità di agire (leop) e di fare poesia (parlare
del mondo) in modo IRRIFLESSO. Si agisce o si scrive o si percepisce il mondo in modo RIFLESSO,
RIFLETTENDOCI, METTENDOCI IN GIOCO LA FACOLTA’ RAZIONALE. Sentimentale
razionale autoanalitica.
Sentimentale: mettiamo un significato diverso, qualcosa che ha a che fare con i sentimenti, qui senso
schilleriano è capacità di RIFLESSIONE SULLE COSE SU SÉ STESSI SUI PROPRI PROCESSI,
perdita di spontaneità che non passa tramite una riflessione, non c’è qualcosa che agisce ma qualcosa
che agisce riflettendo su sé stesso. Accezione di sentimentale: riflessione su ciò che si fa, ciò che si
pensa, ciò che si dice, ciò che si scrive. Per fissare questo significato di sentimentale metodo: quello
di KLEIST, il teatro delle marionette, saggio molto breve racconto in cui si descrive la perdita di

47
ingenuità, sguardo ingenuo, di un ragazzo che aveva una posa che chi lo guarda riconduce una posa
antica, lo spinario, e siccome non sa di incarnare questa posa che è INTELLETTUALIZZATA,
FORMALIZZATA, è ingenuo, lo fa SPONTANEAMENTE. Si mette in quella posizione togliendosi
la spina non sapendo che questa posizione si può definire GRAZIOSA, non può etichettare questa
posizione come GRAZIA perché non conosce il modello a cui assomiglia, chi lo vede annette questo
gesto individuale spontaneo a un universo culturale, categoria, modello, opera d’arte, astratto,
categoria del grazioso. Il ragazzo a cui viene, detto ciò, non riesce più ad essere spontaneo, a compiere
questo gesto in maniera spontanea, riflette su sé stesso mentre toglie la spina, perde la capacità di
agire spontaneamente. RIFLESSIONE descrive meglio la condizione SENTIMENTALE.
“… profondità di sentimento che si prova dai cuori sensitivi col mezzo dell’impressione che fa sui
sensi qualche cosa della natura…” qui pala di una profondità del sentimento, in cosa consiste? Non
parla ancora di sentimentale come Schiller, Kleist, ma la distingue dalla MALINCONIA. Questa
profondità del sentimento è un’altra.
GLI ANTICHI NON PROVAVANO QUESTI SENTIMENTI o molto meno di noi, non avevano la
dimensione del sentimento profondo, patetico, noi siamo superiori, qualcosa in più rispetto agli
antichi e siccome in questo consiste la poesia noi siamo più poeti infinitamente più che gli antichi.
Leopardi che nutriva amore per poesia antica: c’era per di Breme qualcosa che i moderni avevano e
romantici no. Difficoltà terminologica, intreccio di lemmi e parole che non hanno una definizione
specifica, circolano tra 7 800 e non riescono a circoscrivere autori opere elementi di poetica, si parla
di una sensibilità più profonda ma in cosa consista non viene detto. (premessa su Schiller: dove va a
parare)
“romantici… scappano di strada. Cosa eccita i sentimenti negli uomini? La natura, purissima tal qual
è e tal quale la vedevano gli antichi, venute spontaneamente” spontaneamente, naif, ingenuità,
spontaneità. “tutto senza artifizio e senza che questo monte sappia in nessunissimo modo di dover
eccitare questi sentimenti” “questi oggetti… la natura sveglia questi sentimenti” “ed ecco… mare di
dolcezza e tutte le età secoli testimoni. Ma che quando questi imitavano così la natura… o non
dicevano di provarla IL PUNTO e niente di loro sarcasmo ECCO IL PECCATO” il punto è proprio
la consapevolezza da parte del poeta moderno di qualcosa che il poeta antico faceva ma senza esserne
consapevole: posta in gioco è la consapevolezza, non c’è artificio, il poeta antico imitava la natura e
produceva questa condizione emotiva profonda e sentimentale nell’autore senza essere consapevole
di ciò che prova nei confronti della natura e dell’effetto che produrrà sull’autore. Non riflette su sé
stesso come ente recipiente la natura e sé stesso creatore di opera d’arte, è operatore ingenuo quasi
meccanico che percepisce scenario naturale la riproduce così com’è in modo che lo spettatore
passando da lui è come se la percepisse da sé stesso, ma il poeta antico non è consapevole, è un

48
medium inconsapevole di ciò che fa. “ma romantici… oggetti INCONSAPEVOLI producono sul
nostro animo effetti… e nella imitazione si notano” poeta antico fa qualcosa, seleziona DELLE COSE
che facciano effetto sul lettore ma lo fa inconsapevolmente, è l’arte di chi gli fa cogliere elementi che
il lettore percepisce nella poesia ancora meglio nella imitazione che nella realtà -> questa è l’arte
dell’antico e il poeta “aggiunge di suo” tanto meno imita e che il sentimentale non è prodotto dal
sentimentale ma dalla natura quale ella è e tale è da imitare -> teoria “onde una similitudine di omero
(ESPERIENZA PERSONALE) senza spasimi svenimenti e qui VERA RAGIONE DI GUSTO CHE
ORIENTA LEOPARDI VERSO QUESTA TEORIA, PARTE DA UN GUSTO DUPLICE, DA UN
LATO LA SEMPLICITA’ DI OMERO (che lui tenterà di produrre, artificio che non sembra tale,
ecco il romantico, dolce chiara notte, omero rinato - f) da un lato semplicità omerica che con pochi
tratti di tratteggiare la natura, da un lato c’è questo gusto della semplicità IRRIFLESSA dall’altro gli
dà fastidio il sentimentale ESTREMA CONSAPEVOLEZZA SENTIMENTALE DELL’AUTORE
CHE CI DICE NON SOLO COSA STA PERCEPENDO MA ANCHE I PROPRI SENTIMENTI
CHE METTONO IN RISALTO LA POETICITA’ DELL’OGGETTO RAPPRESENTATO questo
dà fastidio “e un’ode anacreonte (CAPISALDI DI LEOPARDI, OMERO, ILIADE, ANACREONTE,
POETICA PIU’ IMPORTANTE IN TRE ANNOTAZIONI FONDAMENTALI PER LA SUA
POETICA)
[“le circostanze naturali non riflettute a bella posta” di cui non siamo consapevoli
“semplicissimamente pastorelli”] > gli antichi come pastorelli, il poeta diventa un pastore (canto
notturno poeta e sguardo ingenuo che però non è ingenuo che riflette filosoficamente su questioni
importanti) qui c’è un dramma, il dramma del poeta moderno che sa che la natura dell’uomo è
cambiata ma ripugna a questo cambiamento, vorrebbe non avere questo punto di vista moderno e
vorrebbe quello antico, quello moderno ha una percezione che poi si ripercuote su un tempo che
sprofonda in se stesso, tempo che ha una memoria, ecco il dramma, EPOCA, CONDIZIONE DI
PASSAGGIO DI POESIA CHE STA CAMBIANDO STATUTO, SPESSORE PERCHE’
ROMANTICA, PERDE INGENUITA’ E DIVENTA INTRISA DI RIFLESSIONE PENSIERO E
POESIA DI CUI LEOPARDI SOTTOLINEA IL DOLORE E LA TRAGICITA’ LA RIFLESSIONE
E’ DOLOROSA IL PENSIERO porta condizione temporale del finito, essere consapevole di se stesso
è essere consapevole della propria posizione che continua, diventa elemento negativo la
consapevolezza di sé e la poesia non può che esprimere dolore CHE E’ PROFONDO, non è una
malinconia di Ulisse che ha nostalgia, è una malinconia più profonda, riguarda la radice dell’essere
nel mondo, è una considerazione di se stessi nel mondo. Si intrecciano vari piani: gusto, 1, spasimo
sentimentalismo, l’altro CONSAPEVOLEZZA DI SÉ COME DOLORE, filosofico.

49
“ode d’Anacreonte… (poesie diverse tra di loro) e RIEMPIONO LA MENTE riempire senso di
pienezza MENTE E CUORE… centomila (pertinacia di Ovidio ma anche Byron unico grande poeta
romantico europeo diffuso letto diffuso profluvio di versi in cui si inseguono pertinacemente
immagini sensazioni STUCCAVANO, eccesso, non sinteticità dritta al punto, e personaggi che si
auto analizzano, parlano di sé, sentimenti e stati d’animo, nauseabondo) – versione gusto; filosofico:
essere vivente animale che riflette su sé e propria condizione del mondo FINITO CHE NON HA
PROSPETTIVE TRASCENDENTI, se il mondo è finito e si riflette su se stessi in prospettiva
trascendente è un conto, questo Chateaubriand, ma se viene meno la prospettiva trascendentale, la
condizione di chi sta al mondo diventa tragica, qui c’è la PROFONDITA’. Leopardi: è profondo, la
profondità è nel nostro tempo è nella modernità e la poesia è profonda, ma è dannazione, però nella
modernità è imprescindibile, ma c’è nostalgia del non fondo, del leggero, Nietzsche: profondità
nietzschiana che tenta di ritornare alla superficie, stesso ordine di idee. – versante filosofico
(romantico e ultra-romantico)
“qui parla la natura… CONOSCERE COSI’ INTIMAMENTE IL CUOR NOSTRO ecco punto vero,
schilleriano, il CONOSCERE INTIMAMENTE IL CUOR NOSTRO, QUESTO ANALIZZARNE,
QUESTA ANALISI È IMPRESCINDIBILE AL PENSIERO MODERNO, MA È ANCHE
DANNAZIONE, pericolo e scoglio principale per la felicità. Ecco poi serie di sinonimi, luce rossa –
raggiunge il cuore della questione non sa come definire esattamente e accumula “questo analizzarne
prevederne distinguerne ad uno ad uno tutti i più minuti effetti” qui c’è la pertinacia, ecco
l’intensificazione “in somma (serie sinonimica e poi liberazione) quest’arte PSICOLOGICA”,
psicologia, sintesi dei punti, conoscenza della psiche, dei processi mentali, qui c’è eccesso di mente
della facoltà riflessiva che è cuore del problema moderno e che rompe l’equilibrio tra corpo e mente
“riflette su se stessa e fa inceppare la macchina” “quest'arte insomma psicologica, distrugge l'illusione
senza cui non ci sarà poesia” p. 17 Zib. distrugge l’illusione, qui c’è in germe l’idea che conoscere
troppo analizzare se stessi rompe il velo dell’illusione e quindi porta infelicità, sentimento profondo
che è più della malinconia, dolore del sapere che è nel mondo e del sapere come si è nel mondo fragile
effimero senza prospettive trascendenti in cui non c’è niente da sperare (penultimo passo dello Zib)
proiezione drammatica dell’animale uomo che p gettato nel mondo in cui non è padrone, non ha
benefici, c’è aspirazione all’infinito che non corrisponde a finitudine e tutto questo riflessione su di
sé per cui il pastore invidia la greggia e gli antichi erano ancora in questa condizione, qui c’è
un’aporia, IL ROMANTICO E’ COSI’ IL POETA E’ COSI’ MA NON VUOLE ESSERE COSI’ IL
MODERNO E’ COSI’. Quindi un’arte psicologica distrugge l’illusione senza cui non c’è poesia in
sempiterno.

50
Poesia: INTIMAMENTE CONNESSA AL NON SAPERE, AL NON CONOSCERE
INTIMAMENTE PROFONDAMENTE ANALITICAMENTE, non inconsapevolezza totale, è anche
poesia saggezza e sapienza ma ripugna da conoscenza analitica totalizzante e minuta delle cose,
poetico si contrappone a tipo di conoscenza moderna, che distingue però dalla saggezza antica più
vicina alla natura, idea di medietà conoscenza non totalizzante che non conosce nei minimi dettagli
il tutto. POETICO: LEGATO A GRANDEZZA DELL’ANIMO E DELLE AZIONI, sublime è
poetico e questo distrutto viene dalla riflessione.
Il combattente che va in battaglia non percepisce il pericolo, tema STOICO, non calcola il guerriero
i pericoli e quindi può fare un’azione grande. Qual è il modello di questo eroe sventato? ACHILLE.
CHE È EFFIMERO, NON ODISSEO. “.. Distrugge la grandezza dell’animo e delle azioni” (p 17) “e
che mentre si allontana dalla puerizia” sguardo che vede il genere umano da lontano “in cui tutto è
SINGOLARE E MARAVIGLIOSO” DUE CARDINI il singolare vs generale, elemento astratto
prodotto dal paragone, il singolare che non è correlato a niente non c’è bisogno della ragione, e il
MARAVIGLIOSO, la sorpresa dell’emergente, dell’emergere, il primo, la prima volta, l’emergere.
È come se estetica l andasse contro i canoni linguistici, il singolare (de Saussure > parole, qualcosa
che non ha confronto, la langue: si costituisce quando ho tante parole che l’intelletto porta a
sclerotizzare) la poetica leopardiana deve rappresentare IL NON SCLEROTIZZATO, IL NON
LINGUISTICO, qualcosa che non approda a una lingua de saussuriano, idea di poetico che corre in
avanti per tutta la modernità, sottrarsi alla norma, regola, tutta la corrente romantica va in questa
direzione, Zanzotto: parla del poetico, secondo lui è questo, è il sottrarsi alla langue, parole sottrarsi
da parole insignificanti, non si è costituita, è riflessa, stridore continuo.
“si allontana da quella puerizia in cui…” IDEA DI CONFINI, L’INTELLETTO PONE CONFINI
(infinito) il poetico equivale ALLA PUERIZIA, ALL’INSORGERE, propria a ciascun uomo in
qualunque tempo “perde la capacità di ESSERE SEDOTTO” seduzione: meraviglia, singolare,
prezanzottiano, attrazione. “diventa artificioso (pascoli balbettamento) e MALIZIOSO” artificiale e
malizioso -> ha a che fare con la sfera etica, qui tutte le sfere si intrecciano “e non sa più
PALPITARE” UNA COSA CHE CONOSCE VANA, l’intelletto ha chiarificato troppo le cause
vanificato l’effetto di una sensazione vana che quando ne conosciamo le cause cade tra le branchie
della RAGIONE, ragione che SPOLPA, animale che spolpa la carne (legame tra poetico e carnalità)
la riduce all’osso, le dà significati e il cuore non palpita più -> la ragione ha spolpato definito
delimitato ingabbiato la freschezza la singolarità e l’ha ridotta a qualcosa di non attraente e quindi
non si palpita più IL PALPITO E’ IL RITMO DELLA VITA.
“e se anche palpita perché in cuor nostro non è cangiato… sola” -> il cuore è sempre pronto a
palpitare, la mente glielo impedisce, lo blocca come una bara, e qui c’è in nuce tutta la costellazione

51
di risorgimento dei canti leopardiani, nichilismo e poi RISORGIMENTI (risorgimento e poi a sé
stesso)
“questa benedetta mente…” il segreto, la natura ama nascondersi, le cause, qui c’è la ricerca antica
filosofica delle cause, dal fenomeno alla causa, movimento della filosofia occidentale è questo, e cosa
succede con questa ricerca? La caccia è questo: il cane della ragione che va a cogliere la preda che
sfugge e smembra la preda quando la raggiunge – svanisce ogni ispirazione ogni poesia e non si
avvedono (i romantici) che s’è perduto il linguaggio della natura, si perde con questa azione
dell’intelletto “invecchiamento dell’animo nostro” il freddo il secco il vecchio tutto ciò è l’esperienza,
esperire le cose vuol dire mettere insieme le cause “e non ci permette di parlare se non con arte” con
artificio “e quella santa SEMPLICITA’… diventa sacra… tristissimo secolo di ragione e di lume che
fuggiamo da noi stessi” fuggiamo da noi stessi moderni, romantici, che siamo mani e piedi in questa
condizione ECCO IL “CLASSICISMO” dobbiamo imitare il modo in cui gli antichi vedevano la
natura.
“curiosi…” curiositas modernità dal 600 in poi (da bacone alla scienza nuova) “in generi purissimi”
vocabolario che è quello dell’antico -> immaginario dell’asceta, del monaco, del solitario, colui che
non ha conosciuto la corruzione, l’esperienza “vedevano la natura e la dipingevano… e noi amici
dell’arte che ci rifacciamo cioè ai classici... Natura” paradosso, siamo noi che passiamo tramite la
cultura classica pensiamo che siamo i veri amanti e produttori del naturale. “rischio affettazione”
AFFETTAZIONE COME CATEGORIA “e sentimentale sia affettazione” la riflessività comporta un
artificio visibile che stona rispetto alla ingenuità e spontaneità “li spenga” perché fa appello alla
razionalità e quindi no a quella parte dell’uomo che aiuta a percepire il poetico “quando…
verecondia” il semplice il naturale ingenuo antico è VERECONDO perché SI PROTEGGE RIMANE
SEGRETO NON ESPLICITA I MECCANISMI DELLA PERCEZIONE.
Tutto ciò è molto attuale l’arte contemporanea è andata molto in questa direzione e poi sotto c’è
controcorrente surrealismo è reazione a questo processo di AFFETTAZIONE sempre maggiore e
altre che puntano su AUTOMATISMO PSICHICO, BALBETTAMENTO, RITORNO A
NATURALE, PERCEZIONE INFANTILE, lotta tra questi due poli.

06/11/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 15


Poesia? – Zanzotto
Poesia: stato di allarme, qualcosa che sfugge, anche minaccia / speranza, ambivalenza. Poesia come
contagio, faglia, qualcosa di nascosto. Denuncia qualcosa che si sottrae in continuazione
perpetuamente alle predeterminazioni, alle determinazioni storiche pur nascendo nel golfo profondo.
Vecchia tentazione della felicità. Zanzotto: post ermetico, tardo ermetico, non è chiaro. Se il discorso

52
non appare chiaro alla prima lettura > storiografia e trip: temi connessi in stessa radice, aspetto nitido,
storiografia, e l’altro aspetto è quello vago, nascosto, sotterraneo, magnetismo diverso.
Chi scrive: si pone in polemica, emarginazione, quando tocca la realtà nel suo costituirsi.
Emarginazione non è solo sociale, è formale anche, testo emarginato rispetto a sé stesso. Si tocca il
farsi di una realtà che non viene mai fissata. Leopardi: non tutto detto, sfonda sempre in realtà non
sondabili.
Ciò che leopardi dice nell’abbozzo dei romantici (in cui cita anacreonte e omero) lo esplicita a p 30
in riflessione su anacreonte, prima di 3 > stesso pensiero che viene sviluppato ancora, ritorna su
anacreonte che esprime il poetico. “io per esprimere… INDEFINIBILE: CUORE DELLA SUA
POETICA. … alito di venticello fresco passeggero odorante” > RICREANTE. Vento: lo associamo
all’infinito, vento che lo riconduce ai sensi. “tutto in un momento” ALL’ISTANTE, RICREANTE,
RISTORA, RICOSTRUZIONE, RIVITALIZZAZIONE, sempre in modo indefinito (in un certo
modo).
RESPIRO E CUORE: la respirazione – accento all’inizio CON UNA CERTA ALLEGRIA.
“appagarvi pienamente” = possedere completamente questa sensazione vitale che si tende a voler
possedere, in che modo? Analizzandone la qualità e DISTINGUERE. Analizzare e distinguere:
ambito della ragione, che analizza, che distingue, che vuole comprendere. Vogliamo analizzare
questo respiro. (aneddoto di leopardi che non riesce a pensare al respiro perché si blocca il respiro
pensare alla funzione vitale blocca la funzione vitale stessa)
“perché le cause” (ricerca di cause che fanno i romantici) -> spiega il procedimento di quelli che
prima aveva analizzato come romantici, che usano l’intelletto all’interno del proprio processo
creativo. “già quello spiro è passato” prima ancora che cominci il processo della intellettualizzazione,
della civilizzazione, quello spiro passa, è talmente rapido e istantaneo che impedisce di analizzarlo,
fissarlo. L’equivalente di questo vento: è un animale, la lepre che fugge e non può essere catturata.
Animale mitico divino. Veloce, istantanea.
“… in anacreonte, indefinibile ISTANTANEA” non dà alla ragione cioè la possibilità di analizzarla
e SFUGGE -> denuncia qualcosa che si sottrae in continuazione perpetuamente all’analisi, alle
predeterminazioni. “non la sentite più (passata) tornate a leggere (la poesia) restano in mano le parole
sole e secche” ripetete la lettura alla caccia del poetico: restano parole secche, spolpate.
Fuggita, fuggire: “sensazione che v’hanno prodotto un momento fa” tornare a leggere quelle parole
che danno forma al poetico: in realtà no, il poetico non sta nelle parole, sono reliquia svuotata, la
sensazione del poetico sta nel confuso della memoria, il poetico è qualcosa che NON SI PUO’
FISSARE MATERIALIZZARE CATTURARE, aria che passa e non possiamo fermarla, definirla.
Che ci permette di viverla ma non può essere fissata né tantomeno descritta.

53
Definizione strana del poetico. Biografia letteraria di Coleridge: sostanza è la stessa. (altri termini,
più teologici ecc) da chi prendono tali idee? Un po’ da sé stessi, il filone è LONGINO, IL SUBLIME,
qualcosa che non si può fissare, impossibilità di definire e analizzare la sensazione sublime. “tale
sensazione mi è parso di sentirla… zappi” prime cento pagine piene di nomi di poeti che adesso non
ci sono più, sfondo sul quale egli si esercitava con la poesia.
Altri due pensieri su anacreonte: dal 19 al 23, p. 3441 a distanza di 5 anni
Siamo ai canti scritti a buon punto, è stato a Roma, ritorna su sé stesso, esperienza forte dello
zibaldone, il tornare su sé stessi. “altrove ho rassomigliato… [teoria del piacere] il piacere che reca
la lettura di anacreonte a un’aura odorifera” > campo metaforico AURA VENTO ODORE (canti)
torna su sé stesso: AGGIUNGO, crescere vegetale, “scontentezza e si vorrebbe richiamarla e non si
può” ELEMENTO DI FRUSTRAZIONE approfondisce il pensiero precedente che era soprattutto
sull’analisi, si vorrebbe RICHIAMARLA e non si può, cosa si vuole richiamare e non si può? La
sensazione di prima lettura, elemento Orfeo, poetico morto, perduto, non lo si può fissare, non lo si
può richiamare, voce. “così la lettura di anacreonte lascia desiderosissimi…” Ci lascia in questa
condizione di desiderio, quella di chi è stato abbandonato e di chi desidera qualcosa che non può
ottenere (su questo desiderio immanente e mai soddisfare – Proust) poetica del desiderio
perennemente frustrato e quindi perennemente attivo “ma rinnovando la lettura come per
PERFEZIONARE il piacere (parola ambivalente) – piacere che ha bisogno di essere perfezionato,
continuato, NIUN PIACERE SI RITROVA… consistito” frustrazione totale da tutti i punti di vista,
il piacere c’è stato in qualche modo ma quasi impercepibile, è un piacere che sta a un livello
subconscio, e quando torniamo sulla stessa sensazione non la troviamo più, non ne capiamo le cause
che l’hanno prodotto, né in cosa sia consistito, non sappiamo in cosa abbia funzionato.
“e più si cerca men si scopre” c’è una proporzione inversa più si mette in gioco l’intelletto e meno si
trova l’origine la causa e la struttura. Zanzotto: funziona esattamente così, poeta incomprensibile che
dà piacere effimero e istantaneo ma non si capisce perché si prova questo piacere, spesso rileggendolo
si rimane con le parole sole e secche. L’intelletto non funziona.
“più s’approfonda (dimensione del SENTIMENTALE, non quello malinconico leggero ma legato
all’intelletto) la memoria si confonde… stoppa (IMMAGINARIO VEGETALE NON È PIU’ IL
CHICCO DI GRANO MA QUALCOSA DI SECCO CHE NON PORTA FRUTTO) secco, arido,
due elementi fondamentali ultimo paesaggio leopardiano dove nasce la ginestra contenta dei deserti,
immagine che incarna quella poetica, si riesce a fare di questo nulla razionale intelletto frustrato che
cerca senza trovare un terreno.

54
“e si instecchiscono fra le mani che le palpano per ispecularle” immagine terribile che ricorda la
metaforica dell’anatomia, tipica della SCIENZA NUOVA e che va avanti per tutta la modernità. Ma
anche il DEMOCRITO.
Poetico come carne, corpo, mani che palpano questo corpo ma questo corpo diventa stoppa, secco,
arido.
Questa dinamica del cercare trovare le cause ricordare fissare qualcosa che più cerchi più sfugge è la
stessa che leopardi descrive nel primo diario dicembre 1817 MEMORIE DEL PRIMO AMORE dove
al posto del poetico c’è l’immagine della donna GELTRUDE primo amore insorgere, il desiderio, il
desiderio frustrato che non può agire, distanza infinita ma rimane l’immagine di questa donna che
vede leopardi che insegue e cerca di richiamare quella immagine, forzatamente, è l’intelletto che tenta
di richiamare e trascinare verso la memoria questa immagine, ma più lo fa e più sbiadisce.
Svanisce, scompare, si dissolve e diventa nulla questa immagine, dinamica già presente e descritta
ma qui immagine metaforica più nuova, qui l’immagine era la donna qui è la poetica (poesia – eros).
Concetto di imitazione: non si può imitare dall’esterno ma riprodurlo dall’interno “né per natura...
Ch’egli avesse a produrre con la sua produzione” anche al traduttore succede la stessa cosa quindi
impossibilitato a rendere il poetico di quel testo, non può imitarla. “di qui si raccolga quanto sia
possibile… Anacreonte”.
“nella detta proprietà si può… indefinibile” concetto di indefinito, “ed esprimendo quel modo…”
concetto che è esprimibile solo attraverso un corpo linguistico che è quello della similitudine,
dell’immagine. Insistenza di varie similitudini, varie immagini e aggettivi che rimandano a mondi
metaforici.
Ultima riflessione su anacreonte: 1826, p 4177, ha scritto operette, ha volgarizzato opere in prosa, è
nel deserto poetico, non ha scritto più poesia dal 23 ad adesso; ritorna 4 anni dopo di nuovo su
anacreonte: lavora questa idea del poetico all’interno della sua mente, qui ne parla quando la poesia
l’aveva abbandonata.
“il piacere delle odi di anacreonte… tanto fuggitivo” a silvia “e così ribelle ad ogni analisi, stesso
concetto ma potenziato” non c’è poesia che non abbia a che fare con l’emarginazione, RIBELLIONE
ALL’INTELLETTO “che bisogna gustare con rapidità” offre soluzione a questo problema “e con
poca ATTENZIONE” legata all’intelletto che si ferma, che analizza, il contrario del poetico, e a un
certo tipo di memoria che è quella VOLONTARIA, reagisce attraverso l’attenzione, verbi lemmi:
intelletto funziona basandosi su una memoria che va esercitata attraverso il fermarsi e attraverso
l’approfondimento, ma questa è la memoria volontaria, legata all’intelletto; altro è quello che leopardi
chiama RICORDANZA, immagine antica che ritorna inconsciamente. “chi le legge posatamente”
idea di analisi, fermarsi sulle parti, chi esamina, chi attende non vede nessuna bellezza. LA

55
BELLEZZA NON ISTA CHE NEL TUTTO: nella percezione dell’insieme che bisogna percorrere
rapidamente perché se mi fermo, mi indugio, attendo, le parti mi inghiottono mi catturano. Baudelaire
in uno dei fleurs du mal > diavolo che lo cerca nella chambré en aut – bellezza.
Bellezza: usa questa parola ed è un problema: l’universo del fuggevole è legato alla grazia. In altre
riflessioni ciò che leggiamo del piacere che provoca l’estetica anacreonteo egli lo lega alla
ARMONIA E CONVENIENZA (bellezza solo attraverso il paragone, simmetria, calcolo, frutto
dell’intelletto) -> anacreonte legato solitamente alla GRAZIA, in questo passo forse voleva
semplicemente dire qualcosa di bello. Frammento di un diario. No sistematico, non sta riflettendo la
riflessione distintiva tra bellezza e grazia.
“il piacere non risulta che dall’insieme, dall’impressione indefinibile dell’intero” qui stiamo parlando
di una rivelazione mistica, improvvisa, sorpresa, meraviglia, miracolo, che non mi posso spiegare, è
un insieme che non posso comprendere, analizzare, tornarci se non confusamente e mi appare e mi
abbaglia. Ecco il piacere che poi è fuggitivo che appare e scompare.
Su questa estetica dell’apparizione LUMINOSA (metaforica della luminosità intermittente) >
montale costruisce intero sistema dell’apparizione. 3 grandi pilastri della POETICA DELLA
GRAZIA, DEL GRAZIOSO in senso quasi teologico più che 700esco estetico.
[settembre del 23 -> alla sua donna, conclude la prima fase della poesia e scrive contemporaneamente
di anacreonte] immagine di donna che sfugge e alla sua donna inno alla sua donna sfuggente forte
convergenza. C’è una lunga pausa dal poetico, la terza emergenza di anacreonte compare nel 26
proprio quando c’è l’emergenza di nuovo del poetico: inno ad anacreonte; ultima ispirazione poetica
23 emerge anacreonte; pausa poesia 26 emerge Anacreonte; quindi, è come se anacreonte fosse
connesso alle radici del suo fare poesia, e sia alla sua donna sia a Carlo Pepoli sono
ESTREMAMENTE INTELLETTUALIZZATE. Carlo Pepoli epistola alla Pindemonte. È come se
mentre scrive poesia di quel tipo riflettesse su ciò che lo attira segretamente o sotterraneamente in un
tipo di esperienza poetica di altro genere; quindi, interessante vedere come se la poetica di anacreonte
emerga nell’ideale poetico – che non corrisponde alla sua poetica però. Dopo il 26 però riemerge con
un metro una poesia che è molto rapido, 700esco, risorgimento che ha un’aria molto 700esca,
canzonetta che richiama la poesia alla zappi, cantabile, corre come un ruscello, molto mosso, nulla a
che fare con l’epistola al Pepoli né con alla sua donna né con la sua produzione poetica precedente
(canzoni e idilli) se c’è una svolta poetica in senso anacreonteo e quindi fluidità e poesia che è passata
attraverso intelletto ma che tenta di sfuggirgli impalpabile e indefinito più che negli idilli del 25 26
gruppo di 6 si troverebbe nei pisano recanatesi a partire dal risorgimento poi a Silvia, canto notturno,
prende corpo tutta questa poetica, sembra che tali brani rendano conto di ciò. Come se fosse poetica
che trova come antidoto sotto la cenere a un eccesso di razionalismo e poesia che lui sentiva come

56
rigidità poetica che lavora e riemerge quando leopardi sta facendo sforzi di composizione poetica in
momenti in cui la poesia latita.
Indebolirsi della ispirazione poetica, anacreonte gli dice qual è la poesia dell’ineffabile impalpabile
del ricreante, piacere effimero che c’è, e poi operette morali prosa, quando fa poesia è discorsiva
intellettuale no anacreonteo e la poesia emerge come una arietta e il filo anacreonteo emerge nella
leggerezza del risorgimento che permea tutti i grandi testi pisano recanatesi.
Non ci riesce forse negli idilli (infinito?).
Se il poetico è legato a una incomprensione intellettuale mancanza e venir meno di un quadro
intellettuale è difficile venir meno di tutta la poesia. È poetica fortemente intellettuale, e la poesia
moderna deve essere passata tramite il deserto e l’astrazione. Ma nella sua mente il poetico è contro
intellettualizzazione moderna.
Lui mantiene la qualità ragionativa nei canti nella modernità la qualità intellettuale razionale viene
mantenuta ma cantabilità. Natura aerea e fluida acqua e vento -> qualità aerea di poesia che scorre
trascina e non viene meno in maniera indefinibile, a lampi negli idilli (agisce questa poetica anche
lì). Fluidità omogenea.
Il poeta moderno non può abbandonare una sua dimensione intellettuale. Si può perdere nella
dismissione della ragione: surrealismo (andando avanti) ma la poesia moderna è iper-intellettuale.
Poeta moderno che non può non essere intellettuale e cioè SENTIMENTALE: genie du christianisme
che ha citato nei pensieri sul romanticismo. Lettura importante > all’interno del libro c’erano due
romanzi che sono René e Atala (?) Che descrivono il giovane romantico per eccellenza,
Chateaubriand, capitolo 9 libro 3 “du vage des passions” descrive l’animo moderno che non può fare
a meno della riflessione. Leopardi lo ha letto.
Dice Chateaubriand: Più i popoli avanzano in civilizzazione più stato di vaghezza aumenta. Restano
desideri e non si è più illusi: frustrazione del desiderio e disillusione dell’intelletto, situazione analoga
a quella vista. Si abita con un cuore pieno (desiderio intatto, immaginazione che sempre aspira a
qualcosa) ma in un mondo vuoto e senza aver usato nulla si è DISILLUSI DI TUTTO. In questa
condizione il cuore ritorna e si ripiega su sé stesso in cento maniere e poi inquietudine segreta,
passioni ACRI ACIDE non realizzate e soffocate che fermentano tutte insieme. Comprimere delle
passioni che non riescono a realizzarsi. La condizione di questo cuore: la rêverie, la fantasticheria.
Andando avanti: parla di Ovidio (andiamo avanti) e poi p. 20
Scrive versi, spunti non compiuti, ispirazione sorgiva che non troviamo altrove “sì come dopo la
procella TEMPESTA oscura (termini chiari e profondi della psiche leopardiana – appressamento
della morte) più immaginario astronomico dei disastri astronomici ecc…

57
“canticchiando gli augelli escon del loco” quiete dopo la tempesta, sintesi della poetica leopardiana
(canticchiando – passo in cui leopardi parla della paura p. 43) -> “il cantare che facciamo quando
abbiamo paura … non temere” ATTO DI AUTOPERSUASIONE.
“… incatenacciarsi, poltronescamente…” motivo del canterellare legato alla funzione consolatoria
del canto, radice nella paura di percepire chiaramente il male e lo oppone all’atteggiamento eroico
che lo stesso Leopardi rivendica per sé.
Leopardi ha preso una posizione di fronte al male del mondo, o si guarda in faccia il male con coraggio
o ce lo si nasconde e uno dei modi per farlo è auto persuadersi che questo male non c’è e di questo
orizzonte fa parte il cantare. Ma leopardi non è ideologo e che prende posizione per tutto, lui sta
prendendo sé stesso.
Rispetto a una opzione: valuta due comportamenti entrambi suoi, contraddittorio, descrive nella
scrittura una parte di Sé che sta tentando di censurare. Struttura della quiete dopo la tempesta:
rappresenta una enorme rimozione, chi canta dopo la tempesta è la necessità di CONSOLARSI
cantando per escludere l’eventualità di una nuova tempesta ed evitare che il pensiero si fissi su cosa
può succedere con la tempesta, oscurità, ma il cantare sta nella radice stessa del libro leopardiano, c’è
il titolo, cuore. Può esistere poesia della auto persuasione e auto svelamento e confronto con il vero,
atteggiamento tipico del poeta moderno qualcosa inscindibile dalla condizione moderna e che lui
apprezza, il poeta deve averlo, allo stesso tempo radice profonda di tutti gli enti -> tendenzialmente
va verso il canto e auto persuasione che il male non esiste, che si può vivere nonostante tutto.
Oscuramento della dimensione intellettuale. Polarizzazione che c’era riguardante la poetica di
anacreonte. “e il villanello che presso al patrio foco si riconforta (ri- risorgimento ricreante riconforta)
famiglia di parole che sono il riprendere vitalità e speranza dopo l’annichilimento dovuto alla
percezione del vero e percezione intellettuale.
Primo oggetto poetico. Qui cita LONGINO. Aggancio di tipo storico politico (p 21) “cercava
Longino… estrema civiltà… pazzie” ritorna il tema: quello che fa il conto cos’è? Una illusione, l’auto
persuasione è illusione, dopo poche pagine la condannerà rispetto all’esaltazione del guardare in
faccia il vero, qui dice che solo azioni eroiche si possono fare se si è illusi e si guarda in faccia la
verità. “non c‘è impeto e ardore… barbaro al qual siamo arrivati” la nemica della barbarie non è la
ragione ma la natura, qui c’è concetto di barbaro che significa eccesso di civilizzazione, questo tipo
di barbarie di cui parla adesso è dovuta a eccesso di ragione perché porta con sé egoismo lussuria
ignavia ecc…
Poi inserisce una riflessione su cicerone per fare un discorso sull’antico: in leopardi non c’è risposta
univoca ma sicuramente epoca romana è razionalizzata più di quella greca e il punto di frattura è
cicerone sicuramente, memore ancora di un’epoca più antica in cui a dominare sono le illusioni >

58
sempre sta in persuadere i romani a operare illusamene, lo stesso concetto di persuasione e illusione
cioè mancanza di percezione del vero che abbiamo trovato prima, ciò che aveva censurato nel nome
del riconoscimento della verità delle cose: illusione come mancanza di coraggio ma qui è l’opposto
“sempre sta in persuadere illusamene… Antonio ancora vive (è entrato nella parte, è frammento di
dialogo, specie di incarnazione)… entra nei dettagli della storia di quei tempi.
“Cicerone predicava indarno… pesavano il proprio utile… consideravano quello che in un caso
poteva succedere, non più ardore, non impeto, non farsi illudere dalle cose, atteggiamento coraggioso
contro chi canta e chi si illude. (bipartizione che non ha soluzione nell’universo leopardiano, ci sono
due vie che permangono attive si intrecciano e cambiano continuamente, orgoglio del guardare in
faccia la verità le cose come sono > coraggio, a questo vedere il mondo “machiavello” il vedere in
faccia la verità, il Tristano, la Ginestra via neoilluministica; dall’altra parte elogio dell’illusione, il
non vedere come vanno le cose che porta a una diminuzione della grandezza d’animo, l’individuo
diventa calcolo; eccedere, permette di eccedere esondare la realtà per raggiungere una sfera superiore
che è fondata su cosa? Perché la patria la gloria e il vantaggio dei posteri dovrebbe essere un bene
superiore al calcolo di dove stanno le cose? Problema di un’epoca, distruzione di un sistema teologico
etico che ha un ancoramento a un dio valori teologici a sistema che cerca di mantenere coraggio e
valori sovraumani ma che si devono negoziare umanamente. Non c’è nulla che ci possa dire che gloria
e patria siano superiori.
Callicle: la vera legge naturale, la natura le cose il mondo funzionano così. Galantuomo e mondo
sono opposti (operetta abbozzo) mondo come il diavolo, che sa come va il mondo, e galantuomo
uomo sublime che si auto illude che le cose siano diverse, ci siano valori che non sono come nella
natura sono. -> contrario di ciò che dice prima: il fare per gli altri è una illusione. La razionalità gli
dice: devi godere a danno degli altri. Fino a cicerone c’è stata una forza che attraverso la persuasione
e auto persuasione ha spinto gli uomini a crearsi dei fantasmi che sono la virtù, la patria, l’onore, la
gloria che si contrappongono alla legge naturale come spiegata da Platone.
Fin dall’inizio l’universo dei valori morali fondati sul Sublime che non è però fondato su NULLA DI
REALE è auto persuasione che si fonda su sé stessa è legata alla dimensione del canto.
(passo procella canticchiando) > da un lato sappiamo che ammira promuove aspira al sublime e quindi
condizione estetica ed etica di superiorità morale che sopravanza la natura delle cose; quindi, ideali
reali che lui sa essere infondati e dall’altro ammira altrettanto ma per motivi opposti coloro che non
si lasciano incantare (senso proprio dal canto) e riescono a sopportare la vista bruciante con coraggio,
due posizioni che mantiene nel suo percorso e non sa decidersi. Da un lato abbiamo la linea
machiavelliana che finirà fino alla ginestra, guardare in faccia il vero, dall’altro contemporaneamente
la linea del sublime legata alla poesia. E cosa succede quando questo vero è guardato in poesia,

59
poeticamente? Succede la contraddizione, la tensione tra questi due aspetti: non si potrebbe guardare
in faccia il vero se questo vero non fosse guardato auto persuadendosi che si può scavalcare, superare,
guardato negli occhi senza mediazione del canto non si può osservare o ne saremmo distrutti -> qui
andiamo alla radice della natura e struttura di cui son fatte le operette morali, frutto di questa tensione
di questi due aspetti, opera nichilista che si esprime per FAVOLE MITI IMMAGINI. Falsità illusioni,
per racconti poetici – nichilista e poetica. Prosa e poesia. Compresenza degli opposti. L’origine sta
qua.

08/11/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 16


Sapere non sapere, illudersi non illudersi, polarizzazione costante.
Nel ritratto di pauroso era evidente ci fosse lui dietro.
Cicerone: ultimo alfiere delle illusioni, l’area è quella del sublime fondata sulla natura. Passo da
Callicle: LA VERA LEGGE NATURALE: qui essa è dalla parte del calcolo meschino, dell’avarizia,
c’è un ribaltamento. La vera legge naturale; la linea del sublime: prima è fondata sulla natura, bello,
grande, eroico, e su certi valori che sono considerati sublimi: su cosa si fondano tali valori? Prima sul
concetto di assoluto (e da lì si arriva a Platone, iperuranio valori umano) > distrutto questo mantiene
il sistema di valori fondati sul grande, sul sublime, ma distrugge il SISTEMA DELL’ASSOLUTO,
riconducendo ogni discussione dei valori a un livello umano. Riducendo al piano del relativo e del
conveniente. (p. 270 – ragione debolissima)
Se si distrugge l’assoluto e si riduce la morale al conveniente al relativo alle circostanze ecc cosa
succede? Che tutto si riduce alla natura, legge naturale, di nuovo, e la legge naturale è in questo caso
“che ciascun uomo faccia tutto per sé” p. 2672 egoismo assoluto, prevaricazione sugli altri, ricerca
dei piaceri sensuali.
APORIA CHE NON SI RISOLVE. Altra cosa che discende da questa: leopardi rimane fedele ad
alcuni valori che radica nell’antico, nel tempo più vicino alla natura, tempo naturale, anche se la sua
idea di natura parallelamente a ciò cambia. Questi valori li concepisce NON RADICATI in un
ASSOLUTO ma continua a ritenerli VALIDI in quanto ANTICHI anche se frutto di una
ILLUSIONE.
Questa illusorietà di alcuni valori e alcune virtù la vede necessariamente legata all’antico, è come se
l’antico radicasse questi costumi questi valori. Discorso sopra i costumi presenti degli italiani: non
pubblicato, non si capisce la genesi e non facile datazione, forse contemporaneo alle operette, 24. In
questo discorso divide la società italiana da quella europea nordica (Germania Inghilterra e Francia)
perché vede in quei paesi nordici una compiuta modernità, una accettazione di compiuta modernità,
abbandono totale della natura e accettazione della razionalità, l’uomo si è razionalizzato e non è più

60
capace di illusioni naturali, quindi non c’è eroismo, virtù di alcun tipo e cose del passo, interesse per
gli altri messi davanti a sé stessi, egoismo moderno che analizza in moltissimi brani. Ci sono analisi
dettagliate puntuali e costanti legate all’eccesso di razionalità, per esempio, dove descrive la società
moderna egoista come fatte da colonne d’aria che si schiacciano tra di loro.
Passo colonne: p. 930 -> “oggi l’uomo è nella società quello che è una colonna per le altre…”
MODERNITA’ EGOISMO SONO SINONIMI e società egoista è una contraddizione in termini.
“CALPESTATO” verbo sinonimo di SOVRASTARE di Callicle, il concetto è esattamente lo stesso.
“STRITOLATO” macchina pneumatica immagine tremenda di stritolamento di tutti contro tutti. Se
uno si illude (virtuoso generoso) viene schiacciato, la sua virtù non viene valorizzata dagli antichi.
Calpestare è una parola importante.
Cosa succede in queste società moderne che hanno dimenticato virtù e valori antichi e nei quali è
impedita la società? Hanno ricostituito dei valori di convivenza pur sapendoli falsi. E questi sono i
costumi. Discorso sopra i costumi che in Italia non esistono, perché c’è una vitalità innaturale che fa
sì che ciascuno persegua il proprio piacere non curandosi degli altri, visione sadiana che non accetta
convivenza e ricostituzione di alcuni valori di convivenza sociale che nelle società nordiche sono
contrattati nonostante tutti non credano profondamente in quei valori. Per fare un esempio (questa è
un’analisi molto corretta), in questi paesi nordici ci sono delle norme sociali rispettate da tutti però
cosa dice il mediterraneo? “freddo” sono freddi, sono civili e socializzanti ma sono finti. Obbligo
sociale per non scannarsi. Manca l’elemento di virtù naturale che deriva dalla ragione di gentilezza
compassione naturale per il prossimo per mettere sé dopo gli altri e che quel pensiero da cui siamo
partiti: natura vs ragione.
Discorso che rovescia molti paradigmi che lui usa nello zibaldone: dovendo perdere le illusioni
ANTICHE (Spengler discorso molto occidentale razionalizzazione radicale perdendo radici naturali
anche se il naturale è l’origine di quelle pulsioni egoistiche) allora ricostruiscono valori per la
convivenza RAZIONALMENTE ILLUSO, si sa che sono falsi ma noi l’adottiamo. Costruzione di
un mondo artificiale basando sulla razionalizzazione che ricostruisce questi valori sapendo che sono
falsi.
La cosa interessante è che TUTTE le illusioni anche le antiche sono false, per Leopardi (Teofrasto:
promuoveva le illusioni nonostante sapesse che son false, già Teofrasto). Teofrasto è lo scienziato
dell’antichità, è nel filone aristotelico della conoscenza della natura per com’è, ha sviluppato una
razionalità antica e si è reso conto di questi valori sono false ma le promuove per questo, perché si
rende conto che senza illusioni non si riesce a vivere (considerazioni sopra a Teofrasto del 22). Se
questa consapevolezza della falsità delle illusioni che però è la molla la spinta a valorizzare le illusioni
che parte da Teofrasto e arriva alle società moderne, dall’altra parte cosa c’è? Platone che colloca

61
illusioni ASSOLUTE A PRIORI IPERURANIO. Leopardi non crede all’assoluto, per Platone
l’opposto di queste larve (valori assoluti) c’è la natura, le leggi naturali.
In Platone: VALORI ASSOLUTI VS NATURA BRUTA e se si rifiuta assoluta si cade nella natura
islandese.
Se si abbraccia la scienza e no Platone e quindi razionalizzazione civiltà: LA RAZIONALITA’ A UN
CERTO PUNTO PROMUOVE EGOISMO SIMILE A QUELLO NATURALE. Si ritorna con
eccesso di civilizzazione alla natura egoista, polo opposto. In un sistema razionalizzato che promuove
anch’esso l’egoismo cos’è che trattiene e impedisce lo sviluppo dell’egoismo? Qualcosa di naturale
che sostanzialmente è la COMPASSIONE, generosità, elementi che sfuggono al calcolo, natura
vistano come meccanismo ma come sottrazione a razionalizzazione.
C’è un eccesso di calcolo a beneficio proprio, per questo eccesso civilizzazione: egoismo, il pensiero
astratto diventa pensiero dell’io, tutto viene (monade) riferito all’io; cosa impedisce il pieno egoismo
razionale post civilizzazione? LA NATURA. Ma un’altra natura, come MODALITA’
DELL’ANDARE ALLA BUONA, natura come eccezione al calcolo come meraviglia debolezza
imprevisto. Nel pensiero sulle colonne d’aria dice che questo calpestare le colonne avviene se un io
viene meno, se un ente viene meno, se un io è più debole degli altri. Solo così in un sistema iper-
razionalizzato si può tornare a dei valori antichi però non fondati su un assoluto ma su UNA
SOTTRAZIONE DI RAZIONALITA’. Cosa deriva da contrapposizione di questi due sistemi
aporetici? Deriva forse un’idea di mediazione, c’è un luogo in cui la natura è domata, regolamentata
nei suoi aspetti più selvaggi, educata, coltivata, ma non a tal punto da diventare razionalità moderna
perché altrimenti si torna alla barbarie. Quindi è come lo schema vichiano: barbarie, poi istituzioni,
poi se istituzioni eccesso: barbarie razionale, barbarie moderna. E quindi c’è l’idea di medietà e
concetto di MEZZA FILOSOFIA. Una filosofia che in parte INGLOBA uno sviluppo razionale ma
ingloba anche la resistenza naturale a una chiusura eccessiva del circolo razionale, ingloba la
possibilità di tornare indietro e indebolire la ragione che se potenziata è barbara altrettanto quanto la
natura.
Elogio degli uccelli: unica felicità è quella di una società MEDIA.
Non c’è conoscere senza sentire, la conoscenza pura non c’è. Dato conoscitivo. ELEMENTO
DELL’EMOZIONE COME STRUMENTO CONOSCITIVO permea studi scientifici sulla felicità.
Non si può conoscere senza il cuore.
C’è una idea di natura dal doppio volto che cambia secondo il paradigma del sistema in cui lo
collochiamo. Da lettori e critici un po’ perplessi l’ideale leopardiano è la CIVILTA’ MEDIA CHE
CORRISPONDE ALLA MEZZA FILOSOFIA, una civilizzazione un po’ sviluppata (lotta contro
tutti, la natura Sadiana) e per eccesso di ragione ricadiamo nella stessa cosa. Violenza sadiana è

62
naturale perché basata sul DESIDERIO -> Sade dice (philosophie du B.) Encore un effort français
pour etre republicaines -> la rivoluzione non ha liberato tutte le energie per essere integralmente
repubblicani e poi delinea la legge fondamentale del DESIDERIO, ciascuno che voglia realizzare il
proprio desiderio è che non c’è la legge del desiderio -> uno deve poter realizzare i propri desideri.
Da un lato c’è la legge del desiderio e poi dall’altro il mondo è iper-razionale, la violenza desiderante
è ragionata. Sovrapposizione tra forza naturale desiderante ASSOLUTA senza limiti desiderio ma
tale desiderio si organizza sempre in maniera RAZIONALE (film Pasolini) -> è tutto razionalizzato,
codici, ruoli, giornate scandite, c’è un’unione di desiderio naturale selvaggio non ingabbiabile e
dall’altro iper razionalità, tra questi scilla e Cariddi bisogna cercare di negoziare una forma di mente
e sviluppo intellettuale e poi di convivenza sociale tale da essere abbastanza civilizzata da impedire
la distruzione di tutti contro tutti e non abbastanza da impedire razionalità selvaggia spietata. Già per
Rousseau -> COMPASSIONE, grande sottrarsi alla razionalità e che ha radice e fondamento nella
natura.
Conclusione a cui è arrivato il professore attraverso i Volgarizzamenti in prosa (I MORALISTI
GRECI) questo progetto nasce dopo le operette morali, ci lavora dall’ottobre novembre 24 appena
finisce le operette inizia la traduzione di Socrate e questo ha fatto scattare qualcosa, dice il prof: lui
scrive le operette morali, 20 operette nel 24 e finisce, OPERETTE MORALI. Finisce l’ultima operetta
e appena dopo comincia a tradurre ISOCRATE e come le intitola queste orazioni? OPERETTE
MORALI DI ISOCRATE, operette morali sono espressione di nichilismo, ragione che vede le cose
come stanno, la distruzione delle illusioni psicologiche etiche cosmologiche e appena finite queste
nichiliste traduce ISOCRATE scelta bizzarra, autore greco che si contrappone a Platone (lo fa lo
stesso Platone alla fine del Fedro) quando rifiuta di dare fondamento filosofico alla morale fondando
la morale non sulle idee assolute verità assolute (alla Platone, lui scuola opposta, filo sofista, che si
fonda sulla parola e sulla persuasione) quindi su cosa si fondano i valori morali? Sulla capacità di
persuadere, un discorso può essere a tal punto eloquente emozionante da persuadere i lettori (oratore
fioco) ad agire bene a comportarsi bene. Platone: cos’è il bene? Questa domanda Isocrate non se la
pone e presuppone alcuni COMPORTAMENTI VIRTUOSI, l’agire bene (non ambire bene, non
essere ambiziosi) che sono il frutto di una sorta di medietà, di uno stare in mezzo, né questo né quello,
né troppo ambizioso né rinunciatario, non ricco ma no povero, una morale del buon senso, della
circostanza e della mediazione attraverso la persuasione fondata sulla PAROLA, parola elemento non
assoluto, parola varia. Per Platone inconcepibile valore morale fondato sulla parola. Cita Isocrate in
modo particolare e ambiguo dicendo che è un mezzo filosofo. (c’è una qualche filosofia) >
interessante caratterizzazione e leopardi ha preso da lì probabilmente la contrapposizione tra due tipi
di filosofia morale fondata sugli assoluti idee innate iperuranio sistema scalfibile ed eterno da cui

63
discende un comportamento morale e poi una basata sulla PERSUASIONE > CONVENIENZA ciò
che conviene a qualcosa, non fondata su qualcosa, è una parola che rientra in questo ordine di idee, il
conveniente. È una morale delle CIRCOSTANZE.
Da qui ha preso spunto il progetto che ha realizzato in parte come scrittura ma no pubblicazione nel
quale voleva dare testimonianza traducendo gli scrittori antichi che PERSUADONO IL BENE senza
definirlo e di tale rosa di scrittori antichi fanno parte autori molto diversi, lo stesso Platone fa parte
di questo progetto, voleva tradurre il gorgia, e Callicle gli interessava di gorgia, e poi antologia
platonica escludendo i passi dialettici, quelli che fondano l’assolutezza, quindi il Platone mitologo e
di questo progetto rimangono testi sparsi che sono molto interessanti in quanto incarano questa morale
media di civiltà media fondato sulla mezza filosofia.
P. 22 “e la ragione facendo naturalmente amici dell’utile proprio” RAGIONE CHE
NATURALMENTE porta all’egoismo, fa diventare naturali le fiere, inferocisce.
“anche l’amore della maraviglia” MARAVIGLIA valore fondamentale dell’universo leopardiano che
si oppone all’uniformità (PRODOTTA DALLA RAGIONE) la natura non è uniforme, è sempre varia,
e in questa varietà c’è la possibilità dell’eccezione che è uno dei massimi valori leopardiani, il fare
eccezione, via di salvezza, il poter tornare indietro rispetto all’irreversibile, essere colpiti da qualcosa
di impossibile che riconfigura il mondo. Si pensi al sistema carcerario iperrazionale: campo di
concentramento, norme, numeri, l’evasione è la via di fuga rispetto al non scampo, c’è il problema
della salvezza che deriva dallo sfuggire dalla totalità razionale. (film: un condannato a morte è fuggito
> opera di scavo del condannato nella sua cella senza scampo senza via di uscita che si crea un varco,
evasione meticolosa e ossessiva con la speranza che i muri siano scalfiti, montale il sogno di un
prigioniero, storia di moresco, Bloch principio speranza, frammenti di una filosofia dell’eccezione).
In tale costellazione può esserci il miracolo non visto religiosamente ma laicamente (leopardi).
UNIFORMITA’ bestia nera principale per leopardi, non ha connotazioni positive mai. (forse no nel
problema della lingua, campo in cui uniformità può essere in parte recuperata come polo positivo) >
feroce nemico della lingua francese perché è uniforme ma in un passo > grazie all’uniformità diventa
capace di diffusione.
Lingua fatta di sole eccezioni nel sistema leopardiano: italiano 300esco, piena di EMERGENZE
ERRORI ECCEZIONI STRANEZZE, il cavalca la usa, e il greco, lingua di eccezioni > lingua ideale
dell’anima. Sono lingue che PULLULANO DI ERRORI, DI ECCEZIONI, SONO NATURALI.
Naturalezza che è meraviglia, sorpresa, nascita, eccezione, individualità e bellezza. La usa nel
MARTIRIO DEI SANTI PADRI, traduce questa operetta in cui padri massacrati dai barbari e la
traduce in lingua 300esca e talmente bene che gli esperti non si accorgono che la traduce ma che
l’avesse cavata dal monastero di Farfa come lui narra.

64
La lingua 300esca è così, il POLO OPPOSTO: la lingua moderna francese, francese e moderno
coincidono perché è il contrario, uniforme, modificata pesantemente (vedi discorso sulla nausea) in
modo da rendere tutto GEOMETRICO E UNIFORME. Per lui simbolicamente il francese è basato
su UNIFORMITA’, lingua razionalizzante. Se è vero, dunque, il discorso precedente della civiltà
media, dov’è il punto medio tra 300 pieno di eccezioni che rischia di essere poco comunicabile/poco
comprensibile? (a leopardi interessa il potere della lingua, persuadere interessa leopardi, il dare al
mondo distrazioni vive è opera solo dei potenti p 194 potenti potenza possibilità di fare cose e di
illudere, potenza quella della parola ma non solo, 300 non ha questa potenza, ha poca circolazione, è
piena di blocchi impedimenti troppo irregolare non c’è una norma). Lingua francese: uniforme e
proprio per questo POTENTE, corrente attuale del potere della letteratura, anche contrattuale, delle
letterature e delle lingue, è dentro tale mentalità. Razionale e senza varietà, ma è potente, circola, può
annettere territori, può essere compreso, ma è troppo. Il mezzo: 500. Lingua italiana 500 potente
perché un po’ razionalizzata rispetto al 300, stampa, più autori, più commercio, più lettura, ma non
abbastanza da diventare lingua moderna arida secca geometrica uniforme, lingua non matura, secca
esangue e senza CORPO francese. IDEA DEL GIUSTO MEZZO.
Uniformità: produce NOIA, termine chiave. Frutto dell’eccesso di razionalità ma non c’è sorpresa
concetto fondamentale in tante poesie e poetiche (Baudelaire).
“vedendo meco viaggiar la luna” > non è astro oggetto di studio, è un viaggiare con gli astri, esser lui
stesso con gli astri.
“non è favoloso ma ragionevole e vero porre tempi eroici” EROISMO CAPACITA’ DI SACRIFICIO
DEI TEMPI ANTICHI. “quell’affetto nella lirica… (Petrarca: Italia mia imitata nelle canzoni) ….
Maggior sublimità che nell’ordinario, si piega nelle immagini delle quali le canzoni abbondano,
metafora del corpo per la poesia continua” ELOQUENZA valore positivo fiume morbido che trascina
che è poetico, valore alto per leopardi l’eloquenza. “abbagliando meno PERSUADE E MUOVE
PIU’” abbaglio a che poetica / secolo? Al 600, l’eloquenza troppo abbagliante, sfolgorante troppo
arguta artifizio affettazione – cerchiamo la parola abbagliare per capire se siamo in questo ordine di
idee (p235 ma qui siamo nell’opposto, accecare, l’opposto; non ci sono elementi che ci possano
illuminare ma è chiaro che significhi ARTIFICIOSO ABBAGLIATO PIENO DI INTELLETTO).
Quindi VALORE POSITIVO DEL PERSUADERE LEGATO A ELOQUENZA COME ISOCRATE
e contro eccesso di arguzia, di intelletto e di artificio, ci deve essere una naturalezza, una fluidità:
Petrarca: olio soavissimo, gesto del piegare piegarsi.
Candidezza idea di purezza purità aggettivo segnale della lingua 300esca. Non come per i puristi, ma
anche per lui ha del puro “che però si piega s’accomoda (pieghevolezza no linea dritta, filosofo della
piega) NOBILTA’ E PIENEZZA DEL DIRE cosa si accomoda alla magnificenza e nobiltà? LA

65
SEMPLICITA’ E CANDIDEZZA che in teoria sono su piani opposti, la cosa semplice e candida no
cosa MAGNIFICA, “sofficità e candidezza s’accomodano alla magnificenza del dire” nel fare
concreto di poesia: leopardi fin dalle prime canzoni cerca un dire alto sublime elevato ma anche
semplice candido morbido e pieghevole, questo è il problema. Problema della semplificazione,
naturalizzazione, ammorbidimento del genere canzone, problema a cui egli ha lavorato per molti anni,
all’inizio prende Petrarca (registro alto però della canzone) ma c’è molto abbaglio complesse
articolate quelle canzoni poco semplice il dettato. A SAFFO, più olio, più morbidezza, qui vediamo
che il genere canzone certa magnificenza che si deve appoggiare su morbidezza (modello Petrarca) e
arriva fino a canzoni sciolte ammorbidite oliate canti pisano recanatesi. Questo problema è molto
importante per la pratica leopardiana. Di Petrarca dirà “l’olio soavissimo” fino a quando poi si
stancherà.
Poi altri discorsi di poetica che saltiamo (notazioni di critica e storia letteraria, dove usa immagini
metaforiche > es p 24 FEBBRICITANTE 600 questo corrisponde all’abbaglio – mappa: abbaglio di
prima è il febbricitante che però è mal limato nel 600, c’è un eccesso di abbaglio e febbricitante che
scoppietta troppo artificioso, e lui non va nel semplice artificiale ma semplice che lavora con la lima,
lima elemento importante della sua poetica, ne dedica un’appendice alla fine dei canti. Passo sulla
lima: riporta alla naturalezza riacquisita, ritrovata.) Vera e calda e animata eloquenza. Usa una serie
di parole. Il moto e il caldo sono per i valori sempre positivi vs immobilità e il freddo e la secchezza.
Fredda secca ragione.
“vienela mollezza che è come la pieghevolezza e il quasi untuosità come d’olio soavissimo delle sue
canzoni (p.24) [Petrarca] e che le odi sue ASCIUTTE ARIDE DURE però aride quando andiamo nel
36 (no 18) arida schiena monte: aver presente il sistema di pensiero – ginestra: PIEGHEVOLE, è
dolce, soave, odorata ginestra. Lì c’è una fusione, in questo mondo di secchezza la ginestra riesce a
piegarsi a adattarsi per esprimere la sua pieghevolezza. Poesia dura che però torna alla sua calda e
vera animata eloquenza, ma non è dolce, è arida e scabrosa, fusione di questi opposti.
Ogni parola è importante. Genesi dell’uso delle parole è da ricostruire sempre.
“morbidezza e pastosità cagionata dal cuore” va insieme a olio, corpo oliato, la ginestra è spigolosa
come poesia ma è animata calda eloquente trascinante a dispetto della scabrosità, del fondo razionale
di quella poesia di ragione e di pensiero, petrosa linguisticamente, anche se trascinata, eloquenza post
distruzione, è ciò che rimane del movimento anima cuore dopo che il mondo è coperto dalla lava
della razionalità (eruzione vulcanica fenomeno naturale primitivo ma simbolo della razionalità).

11/11/19 Letteratura italiana contemporanea. Testi e metodi – Franco D’Intino 12 CFU lez. 17
Pag. 25 il primo capoverso dello Zibaldone

66
“[…] Una collocazion fina […] produca nei lettori un’altra idea […] ecco un esempio. Chiabrera,
Canone lugubre 15 In morte di Orazio Zanchini […] ora il bel crin si frange E sul tuo sasso piange
[…] *(queste accortezze stilistiche dell’inserire una maiuscola a metà verso per rendere l’idea
dell’interruzione di un verso e l’inizio di un altro, ci informano su quanto bisogna essere scrupolosi
nell’indagine di un’opera del genere) che percuota la testa e si franga il crine sul sasso di Zanchini
*(la donne piange sopra la tomba di Zanchini, Leopardi sta studiando quel movimento impercettibile
tra la prima impressione del lettore che legge il testo e il passaggio razionale che permette la giusta
interpretazione) immagine […] certo non è voluta dal poeta […] immagine illusoria non nocia alla
vera […] perché ella non fa danno, ed è bene che il lettore stia sempre tra le immagini […] procurando
quel vago e quell’incerto ch’è tanto propriamente e sommamente poetico *(Leopardi sta
anticipando secoli e secoli di poesia) […] ma quasi nascosta *(la ragione di questi versi è quasi
nascosta per mezzo di una forma di mediazione) […] ma quasi ispirati da cosa invisibile e
incomprensibile da quel ineffabile ondeggiamento del poeta […] non sa veramente come esprimere
quello che sente se non in modo vago e incerto […] le sue parole appariscano accidentali. *(qual è la
ragiona nascosta e necessitante? L’inconscio che sia l’autore e il lettore non riescono a decriptare, ma
che è pregnante. Il poetico, dunque, tocca quelle zone nascoste che oggi chiamiamo inconscio).

Vi sono dei critici che tentano di dimostrare la non unità della Sera del dì di festa: vi sono
innumerevoli motivi nascosti che formano l’uniformità della poetica leopardiana, sebbene nascosti e
non esplicitati, sono necessitanti. La frase successiva, non di semplice interpretazione, recita che le
più belle canzoni del Chiabrera non sono altro che bellissimi abbozzi. Leopardi riflette qui sulla
razionalità del comporre e decreta che le cose troppo lavorate e ripulite non sono belle e qui si
riscontra nella poetica dell’errore. L’inconscio fa errori, ma sono proprio questi che rendono la
poesia significante.
Pag. 29 dello Zibaldone

“[…] tutto è o può esser contento di sé stesso eccetto l’uomo, il che mostra che la sua esistenza
non si limita a questo mondo come quella delle altre cose *(qui si riscontra un tema pascaliano
sebben solo abbozzato e non c’è una ricca letteratura in merito. Questo pensiero verrà ripreso a pag.
40) […] Canzonette popolari che si cantavano al mio tempo a Recanati. *(a questo punto c’è una
spaziatura che delinea la fine di un argomento e l’inizio di un altro. Qui è documentata l’importanza
che ha per Leopardi la canzone popolare che attesta quella semplicità che è lo scopo e la ricerca di

67
una vita. All’inizio non può esserci in un poeta così dotto questo genere di semplicità, ma va acquisita)
[…] io benedico chi t’h fatto l’occhi che te l’ha fatti tanto ‘nnamorati […]”

Pag. 2529
“[…] considerare la propria vita […] come già condannata […] senza mai lasciarsi cogliere
dall’irresoluzione (giugno 1822, poco prima della nuova fuga) […]”

Di nuovo su pag. 29
“[…] un villano del territorio di Recanati […] veduto stramazzare il bue si mise a piangere
dirottamente […] *(dal romanzo di Thomas Hardy estremamente leopardiano) […] *(notiamo il
classico stile da exemplum).

Pag. 31
“[…] la duttilità della lingua francese […] il francese può dir quello che vuole, mentre l’italiano può
metterlo sotto gli occhi […] esprimono la cosa, ma freddissimamente e slavatissimamente […] nulla
per l’immaginazione la quale è la vera provincia della lingua italiana […] *(la lingua francese si
adatta maggiormente alle scienze, mentre l’italiano mette “sotto i sensi quello che i francesi mettono
sotto l’intelletto” > torniamo alla radicale distinzione tra razionale e ideale, tra la scolpitezza del
francese e il poetico dell’italiano). […] ond’ella non è men buona per le scienze che per l’eloquenza
e la poesia come si vede nella precisa efficacia e scolpitezza evidente del Redi e del Galilei *(qui
leopardi si concentra sull’efficacia dell’italiano che si presta sia alla scienza che all’eloquenza).

Pag. 31
“il gusto presente per la filosofia non si deve stimare passeggero né causale, come fu varie volte […]
in questi tali tempi era effetto di moda, non avendo il suo principio radicale nello stato dei popoli
*(l’antichità non è un’epoca filosofica, lo è accidentalmente, in modo passeggero) ma presentemente
il commercio scambievole dei popoli, la stampa ec. E tutto quello che ha tanto avanzato
l’incivilimento […] nella condizione presente dei popoli si deve stimare durevole e non casuale
*(Leopardi sostiene che attraverso la stampa e il commercio la cultura filosofica è entrata a far parte
intrinsecamente della cultura moderna, mentre era un fatto accidentale nell’antichità).
Secondo D’Intino la filosofia moderna, in quanto radicale, arriva alla rendicontazione: il riflettere
su quello che si fa, l’ossessiva documentazione della vita che si vive.

Sempre a pag. 31

68
“[…] la prosa, per essere veramente bella e conservare quella morbidezza e pastosità, […] bisogna
che abbia sempre qualcosa del poetico e sempre una mezza tinta generale […]”
Freschezza, carnosità, vermiglia, florida: la descrizione somiglia a quella di una giovane fanciulla,
probabilmente Silvia che qui personifica la poesia antica, mentre la poesia moderna è ossuta, magra,
dura, asciutta ecc.

Pag. 36 dello Zibaldone


Qui si trovano delle rimembrane poetiche in particolare dalle Ricordanze […] sento dal mio letto
battere l’orologio della torre. Rimembranze di quelle notti […] *(questa serie di versi saranno riprese
nelle Vita abbozzata di Silvio Sarno del 1819) […] egli è un poeta veramente dell’orecchio e
dell’immaginazione *(parlando del Monti).

Pag. 29
“La natura come ho detto è grande, la ragione è piccola […] questa inimicizia […] non è stata
accordata se non dalla Religione la qual sola, proponendo l’amore delle cose invisibili di Dio, […]
follia […] sono illusioni quelle grandezze […] molto più fecondi quei secoli ignoranti che il nostro
illuminato *(siamo nel pieno Chateaubriand: tolto il sentimento religioso va perdendosi anche la
natura del sacrificio. Questo tema è stato affrontato anche da Novalis: dove ancorare le illusioni e la
fede? Dunque, dove ancorare le grandi azioni, la speranza ecc.? Come si può credere in un mondo
che ha perduto la trascendenza? Nella condizione attuale l’uomo è in balia di sé stesso e non sa dove
ancorare la morale: “Dopo la virtù” del filosofo aristotelico Alasdair MacIntyre dice proprio
questo).
Per Leopardi l’illuminazione ha una funzione negativa: “dolcezza e amabilità della fede cristiana”
che ci mette in contatto con le illusioni e ci permette di vivere dolcemente: pieno Chateaubriand.
“[…] la ragione nemica della vera bellezza […] tutto è piccolo e arido in questo mondo […]”
L’appunto successivo è un altro esempio di come seguire la ragione sia una cosa barbara, mentre
seguire la natura sia una cosa irragionevole. Continuano gli appunti con il dolore di questo figlio
(autobiografico) che probabilmente malato, desidera la morte che però la natura gli nega.
Pag. 38 dello Zibaldone: passo sugli uomini singolari, l’essere diverso dagli altri cosa significa
nell’antico e cosa nel moderno? Nell’antico era più semplice essere diversi, mentre la modernità è il
tempo dell’uniformità. Dà alcuni esempi di uomini singolari, tra cui Alfieri e Rousseau.

Pag. 39

69
“Dice Bacone da Verulamio che tutte le facoltà ridotte ad arte steriliscono *(anche Bacone è spesso
citato nello Zibaldone sebbene sia probabile che fosse una lettura di seconda o terza mano, ovvero
non è certo se Leopardi abbia mai approntato una lettura diretta dei testi di Bacone. Quando le arti
prendono forma insteriliscono, Leopardi scrive “non ho mai fatto opere, ma solo preludi”. Qui
siamo in piena poetica coleridgiana, infatti vengono contrapposte le categorie dell’essere in potenza
e dell’essere in atto: il primo conserva la forza vitale e ha possibilità di crescita, mentre il secondo
stadio ha esaurito questa capacità/possibilità. Leopardi prefigura un tipo di poetica dell’incompiuto,
delle azioni mancate, dell’indefinito contrapposta al neoclassicismo che intende scolpire, pietrificare
e conservare in forma. La poetica leopardiana è quella dell’informe, di tutte quelle opere che
brulicano di errori
“[…] e senza nome e senza leggi proprie e di ciò mi sovvengono […] 4 ragioni. La 1. Che quasi
nessuno pensa più ad accrescere una facoltà già ordinata […] La 2. […] non ardiscono di violare
nessuna delle regole stabilite di mettere piede un dito fuori dalla traccia […] insomma la seconda
ragione è la pedanteria. La 3. è […] il costume e l’abitudine […] *(qui si parla della paura dell’ardire,
della novità) stravaganti *(sta parlando del suo tentativo di uscire fuori dai binari) […] se la facessero
di capriccio […] se componessero un poema epico di forma differente da quello che si costuma in
tutto il mondo […] se ne ride *(tema autobiografico “che ride ha in mano il mondo”) […] il danno
dell’età nostra è che la poesia sia già ridotta ad arte […] bisogna violare, disprezzare *(questo è
assolutamente Rimbaud) e dare una nuova poesia senza nome affatto e che non possa averne dai
generi conosciuti […] da un ardire difficile a trovarsi […] ostacoli reali *( c’è l’ostilità delle
istituzioni che remano contro a questo rompere e distruggere leopardiano) […] Eschilo per esempio
[…] seguendo la sua natura […] Omero scrivendo i suoi poemi vagava liberamente per i campi
immaginabili e sceglieva quello che gli pareva […] ora con tante letture […] mentre a ogni poco ci
ritorna […] le idea acquistate […] scemano la facoltà inventiva *(qui c’è il dramma del poeta che
vuole esprimere la propria originalità).

Giovedì ci sarà il convegno del laboratorio leopardi sulle traduzioni dell’Infinito si tiene all’Odeion
dalle 10 alle 18.

13/11/19 Letteratura italiana contemporanea. Testi e metodi – Franco D’Intino 12 CFU lez. 18
Pensiero successivo a pag. 40 dello Zibaldone
Contraddizione
“[…] una delle grandi prove […] bruti […] una sostanziale infelicità […] *(problema della centralità
dell’uomo dell’universo = posizione antropocentrica e di matrice cristiana. Leopardi la abbraccia solo

70
per poi negarla. Dice che se si accetta la posizione antropomorfista si giunge al dilemma circa il fatto
che la perfezione dell’uomo gli procura male e infelicità. L’ingegno umano e in realtà una dannazione.
La parola contraddizione può essere trovata molto tempo dopo nello Zibaldone nel 1824 dove
Leopardi cita (intersecando lo Zibaldone con il Dialogo della natura con un islandese) a pag. 4099.

“[…] si considerino le contraddizioni palpabile ch sono in natura […] l’essere e il non poter essere
felice son due verità tanto ben dimostrate e certe intorno all’uomo e a qualunque altro vivente […] il
fine proprio che è la sola felicità *(l’essere e il so non essere felice porta a contraddizione in quanto
la massima aspirazione dell’essere è la felicità che però è irraggiungibile) l’essere dei viventi è in
contraddizione necessaria con sé stesso … cioè nell’essere … chi può comprendere queste
mostruosità? È meglio ai viventi il non essere che essere *(filosofia nullista di cui bisogna sottolineare
la negazione del principio di non contraddizione aristotelico + problema del suicidio. Questo pensiero
germina a pag. 40 nel 1819 e ritorna dopo oltre 4000 pagine e molti anni dopo.

Pag. 40 dello Zibaldone:


“[…] un uomo disperato della vita futura …s’uccide come vediamo che fa…l’uccidersi dell’uomo è
una grande prova della sua immortalità … *(ancora sul suicidio).

Pensiero successivo che istituisce la polarizzazione tra il comico antico e quello moderno
…c’è una differenza … Luciano *(leopardi nel 1819 ha la prima idea in una lettera al Giordani di
comporre dialoghi satirici che poi confluiranno nel galantuomo e mondo ecc. e poi nelle operette
morali. Questa preparazione delle operette morali è segnata da questa impronta lucianea) … la
differenza … quello degli antichi consisteva nelle cose quello moderno nelle parole … quello degli
antichi mettea sotto gli occhi *(il comico antico corrisponde alla lingua italiana nel confronto che
abbiamo fatto con il francese) un fumo *(c’è un problema, un pensiero in movimento che rimanda ad
Anacreonte. Leopardi vagheggia l’antico e lo desidera ma essenzialmente è moderno. La poesia
moderna e il moderno in generale è legato all’incorporeo, mentre la poesia antica è tutta in forma,
carnosa, sostanziale ecc.) quello empieva di riso questo appena lo fa gustare ... quello era solido
questo fugace … cose ridicole *(bisogna notare la metaforica, quel motteggiare era più corputo dice)
… il ridicolo assottigliato … un etere e un vapore *(ancora immagini molto evocative e
metaforiche) … *(quali sono le fonti sulla cui base leopardi trae queste conclusioni? Conosceva
Moliere? Cosa pensa quando parla del comico francese moderno? Sembra pensare all’epigramma (?).
sulla base di cosa formula questa distinzione? Compare la parola ‘spiritualizzazione’ come sinonimo
di romantico e le pagine più importanti sulla spiritualizzazione sono quelle in cui parla dei vestiti.

71
Cerchiamo il lemma ‘vestimenti’
Secondo leopardi la spiritualizzazione nasce dal fatto che siccome i vestiti coprono il corpo l’uomo
comincia a riflettere su ciò che i vestiti nascondono
“… il genere umano naturalmente è nudo…un impeto a soddisfare tal desiderio *(il corpo nudo
provoca questo impeto che muove all’azione) … come un color rosso vivo *(sta legando la storia
antropologica a quella dei colori ad es. ‘800 epoca del nero) …ma introdotto l’uso dei vestimenti …
le loro forme hanno lasciato luogo all’immaginazione *(qui si ha anche la poetica della porch view,
cerca Hume) … tutto aperto e palese *(usa lo stesso concetto per descrivere Omero, c’è una
corrispondenza diretta tra ciò che si vede e ciò che si può raggiungere. Un orizzonte che i vestimenti
rendono misterioso e quasi chiudono completamente) … il pensiero … l’immerge in una quantità di
d’illusioni, sentimenti profondissimi *(profondo significa piombare nel non tangibile, allontanarsi
dalle origini) … falsissimi *( perché frutto dell’immaginazione) … sublimi … vasti *(lessico del
sublime) … *(amplificazione de pensiero dell’infinito) questa gagliardamente mossa *(un
movimento interno della sua poetica) …materialissimi … trovando il mistero *(l’impedimento
intellettuale e sensuale) … con un’idea oscura e confusa *(dove ricorre questa terminologia? Nella
caduta e il ritorno D’Intino l’ha studiato) … cento volte meno sensuali e carnali di prima …
finalmente quasi mistici … sommo desiderio e tendenza naturale … l’idea oscura dell’oggetto di tal
desiderio e tendenza *(l’oscuro rimanda all’incompiuto e alla spiritualità moderna che Leopardi
condanna. In questo senso Leopardi si muove dentro una contraddizione, quindi la poesia moderna
non può che essere spiritualizzata come quella dello Zibaldone che aspira alla carnalità dell’antico
pur essendo moderno).
Cerchiamo il lemma ‘mistic*’
Pag. 4221
…filosofo mistico Isidoro … che altro sono se non le misticherie di quei moderni … ricorrono alla
gran prova del sentimento *(sta parlando del misticismo religioso che è tutta invenzione interiore. Il
poetico non può mancare di avere quell’elemento mistico che leopardi rifugge sebbene risulti
ineludibile nella prospettiva moderna)
Di nuovo a pag. 40
…ora a forza di motti … assottigliato … un etere, un vapore
… quello era un ridicolo che avea corpo …una punta sottilissima…
Pag. 42 osservazione linguistica lucidissima
…un’altra prova dell’esser la nostra lingua italiana derivata da volgare di Roma de buon tempo si
trae dalle parole antichissime latine …successione … Lucilio, Ennio, Nevio… tra questi antichi e
noi non bisogna lasciare nessun intervallo vuoto … *(sta dicendo che vi sono delle parole italiane che

72
si riscontrano solo nel latino arcaico, quindi deduce che queste parole devono essere sopravvissute
nella lingua parlata e non per una trasmissione colta. A leopardi interessa la forma viva dell’oralità,
in questo senso pensa anche alla poesia, deve riandare ad una radice vivente non formalizzata. Questa
storia non documentata lo affascina moltissimo e in questo senso questo fascinamento rimanda al
Belli e a Foscolo. Non bisogna lasciare nessun intervallo vuoto, in questo senso siamo ancora nella
prospettiva dell’organicità della lingua)
Perché la lingua greca è superiore alle altre? Perché non ha avuto nessuna cesura tra l’antico e il
moderno, ha una forza radicale, non si è mai interrotta. Quintessenza del suo ideale
linguistico/stilistico: morbidezza, eleganza, soavità e mollezza, efficacia, proprietà, ricchezza,
varietà.
…dialetto popolare… che i greci traevano dall’attico… il latino dal volgare nativo…*(pensiero sulla
persistenza della parlata viva. Compara i greci, i latini e gli italiani la cui lingua attuale deriva dal
toscano del ‘300. Qui c’è la polemica contro i puristi che non vogliono accettare l’evolversi della
lingua).
Pag. 42
…non si trova in verum dizionario italiano … la parola blitri …parola greca *(che trova in Diogene
Laertio. Probabilmente leopardi sostiene la derivazione dell’italiano direttamente dal greco,
Timpanaro ha studiato questo tema).
…la costanza dei 300 alle Termopili … *(pensiero che esplicita la somiglianza tra l’eroismo greco
antico e quello cristiano) …similissima a quella dei martiri *(da qui nasce il suo interesse per il
martirio dei santi padri) …Bartoli, Missione al gran Mogol …*(caso indicativo di un’ambivalenza.
Qui sta valutando positivamente i martiri sia le madri e i padri che preferiscono i figli morti piuttosto
che macchiati di qualche viltà. Qui torna il tema della madre. Nella morte c’è un elemento positivo e
generativo.
… soleva considerar come una pazzia quello che dicono i Cappuccini … questo è un sentimento
naturale … verissima invidia … che tale è la natura umana … *(analisi psicologica acutissima
sull’invidia) …quindi applico ai cappuccini adesso *(sintassi molto più involuta e proustiana, questo
pensiero afferisce alla sfera dei rapporti tra fratelli).
Pag. 46 > problema dell’abitudine e dell’assuefazione
… quando colla lettura col tratto col discorso. ci siamo formati un abito cattivo…ma non è natura è
abito…volete vederlo *(caso di dialogicità interna) …i greci… quella è natura … *(c’è un evidente
naturalezza dello stile greco, mentre il nostro non lo è. Idea del contrabito) … erigerlo sbarbando
prima l’altro. Pensiero successivo è quello della grazia che non può giungere da altri che dalla Natura.

73
15/11/19 Letteratura contemporanea. Testi e metodi – Franco D’Intino 12 CFU lez. 19
Pag. 50 cap. 1 dello Zibaldone:
“[…] a quello che ho detto nel 3 par. … radici *(tema della lingua come radice che fruttifica sempre)
…dalla quale Dante *(il nuovo polemica contro il francese che attinge da altre lingue) …infatti il
francese passa per essere una lingua ricchissima… poverissima…fondo *(indica il deposito di energia
viva che riesce a produrre. La ricchezza non sta nella quantità di vocaboli, ma nella capacità creativa
di ognuno).
Pag. 50 cap. 2
[…] anche la stessa negligenza e noncuranza e sprezzatura […] *(tipico pensiero leopardiano in cui
anche la naturalezza può essere artificiale) …dolor mio nel sentir a tarda notte …festa il canto
notturno dei villani passeggeri *(tutto un immaginario che rimanda ai Canti) … ai romani così caduti
dopo tanto romore…quiete, silenzio, notte …canto villanesco *(contrasto tra una voce e un canto).
Il più solido piacere di questa vita …illusioni *(le illusioni sono un modo di percepire il mondo
tipicamente umano. Non sono pura razionalità, ma sono un modo di percezione valido per cui sono
solida realtà > Ernesto Grassi) … entrano nel composto e ordine delle cose…
[…] la varietà è tanto nemica della noia che anche la stessa varietà della noia...*(teoria della noia e
della vita mondana: gli uomini di mondo si annoiano, ma variano spessissimo questa noia per
mitigarla) … la continuità è amica della noia … come nei viaggiatori *(per uscire dalla ripetizione si
cerca l’opposto radicale cioè una vita uniforme > mito della vita monacale e ascetica. Leopardi
rimanda a Montesquieu, ma solo successivamente).
[…] Intendo per innocente non uno incapace di peccare, ma di peccare senza rimorso […] *(pensiero
densissimo e ambiguo che può essere interpretato come l’impossibilità dell’innocente di peccare
senza rimorso > si veda Delitto e castigo di Dostoevskij)
Pag. 51 cap. 4
[…] nello stesso modo io non chiamo malvagio propriamente colui che pecca, ma colui che pecca o
peccherebbe senza rimorso *(ancora sul rimorso e sull’impossibilità di peccare).
…la negligenza e l’irriflessione … ha l’apparenza e produce gli effetti della malvagità e
brutalità…menò un colpo ha un cane … a me parve un segno di brutale irriflessione *(a volte il non
pensare a quello che si fa è simile alla malvagità, ma nello stesso tempo non lo è. In sostanza chi
compie un’azione malvagia non si pente poiché non sa di aver sbagliato, è l’esatto opposto del
rimorso). Leopardi sta abbozzando una teoria della malvagità molto moderna (La banalità del male
Arendt).
Pag. 51 dello Zibaldone:

74
[…] può mai stare che il non esistere sia assolutamente meglio dell’esistere? …così accadrebbe
all’uomo senza una vita futura.
Pag. 59
[…] quando l’uomo concepisce amore tutto il mondo si dilegua dagli occhi suoi … l’amore è la vita
e il principio vivificante della natura …
Pag. 55
[…] vita tranquilla delle bestie nelle foreste …quello che noi crediamo del mondo è solo degli uomini
[…] *(tentativo di visione di un mondo senza uomini. Torniamo sul tema dell’animalità contrapposta
a quella dell’umanità. Anche la morte fa parte della tranquillità delle bestie.
Pag. 19
Appunti di leopardi sul pensiero di Senofane contro l’antropocentrismo (vedi cavalli ecc).
Pag. 56
Passo sul problema della contentezza: … non sia l’esserne contento e l’odiarla o il non soddisfarsene
… il somma grado di quest’ordine … ora vediamo che in questo è tanta la scontentezza dell’esistenza
…cosa diametralmente contraria al costume su tati esseri *(ritorna il pensiero rousseauiano) ma pur
vediamo …sia di qualche ingegno …debba cader preda di questa scontentezza *(sembra un appunto
più psicologico che altro) … io credo che nell’ordine naturale l’uomo possa essere felice vivendo
naturalmente *(la soluzione leopardiana al problema dell’infelicità) … senza grandi né singolari né
vivi piaceri… gli aborti *(siamo nel 1819quando leopardi scrive la canzone sulla donna che abortisce)
… il voto delle cose e le illusioni e il niente di questi stessi piaceri naturali del che non dovevamo
neppure sospettare *(è nella natura l’innaturalezza umana rispetto al resto delle bestie?) … questi
piccoli diletti … ci appagano meglio che qualunque altro…*(si può trovare senso e piacere nella vita
eludendo da un orizzonte di eternità? Si può vivere felici escludendo la prospettiva romantica
dell’assoluto?) …ignoranti… non prova che l’uomo sia fatto per l’arte…sì che si potrebbe pensare
che la differenza di vita fra le bestie e l’uomo … più atta alla società *(sta anticipando i due secoli di
evoluzionismo successivi e si sofferma sulla mutazione dell’organo della laringe). Accezione di
poetico come dialogico. È possibile che abbia già letto il Fedro a quest’altezza?

“[…] È pure una bella illusione quella degli anniversari *(teoria generale dell’anniversario) per cui
quantunque quel giorno non abbia niente più che fare col passato che qualunque altro, noi diciamo,
come oggi accadde il tal fatto, come oggi ebbi la tal contentezza, fui tanto sconsolato ec. e ci par
veramente che quelle tali cose che son morte per sempre né possono più tornare, tuttavia rivivano e
sieno presenti come in ombra, cosa che ci consola infinitamente allontanandoci l'idea della distruzione
e annullamento che tanto ci ripugna e illudendoci sulla presenza di quelle cose che vorremmo presenti

75
effettivamente o di cui pur ci piace di ricordarci con qualche speciale circostanza, come [chi] va sul
luogo ove sia accaduto qualche fatto memorabile, e dice qui è successo, gli pare in certo modo di
vederne qualche cosa di più che altrove non ostante che il luogo sia p.e. mutato affatto da quel ch'era
allora ec. Così negli anniversari. Ed io mi ricordo di aver con indicibile affetto aspettato e notato e
scorso come sacro il giorno della settimana e poi del mese e poi dell'anno rispondente a quello dov'io
provai per la prima volta un tocco di una carissima passione. Ragionevolezza benché illusoria ma
dolce delle istituzioni feste ec. civili ed ecclesiastiche in questo riguardo *(la festa costituisce uno
spazio sacro del ritorno) […]”

18/11/2019 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 20


p. 62,5/63: paragone, similitudine, ci rivela la radice del suo immaginario, è una similitudine che può
essere quella dell’agricoltore che vede oscurarsi il tempo IRREPARABILMENTE miete il grano
sotto la falce, lo raccoglie “senza poter contrastare (la tempesta)” -> forte condensazione metaforica
da cui si possono ramificare tanti campi semantici. Anzitutto quello agricolo, il ciclo vegetale, il
grano, l’idea di RACCOGLIERE: è ciò che contrasta la morte, la dispersione e l’effimero. Si trova in
punti cruciali sia dello zibaldone che di altre opere. Ma il gesto del raccogliere, del raccogliersi, se
stessi anche, vs sperdersi, sperdere. Dinamica molto centrale; “se lo vede come strappar di mano” ->
la violenza della grandine, della tempesta, ma anche più in generale del destino; tempesta: immagine
molto centrale. CONTRASTARE: idea dello sforzo della lotta dell’individuo contro la potenza
esterna della natura. Dramma del singolo del soggetto contro forze naturali o anche umane, qui
naturali, che sono vincenti e non contrastabili, irreparabili. Idea di IRREPARABILITA’ non c’è varco
via d’uscita, presuppone idea che non ci sia medicina, medicamento, qualcosa che possa aggiustare.
Idea di varco, eccezione, miracolo, sanare: sono le soluzioni al dramma del vivere che è per leopardi
uno stato violento. L’uomo che lotta contro una violenza insita nella natura delle cose che si lega alla
mitologia agricola. Persefone: la fanciulla che viene strappata al gioco al sole alle compagne per
essere portata sottoterra. Strappare: verbo violento, leopardi dava importanza ai valori fonici. Altro
verbo: STRIDERE. Stridere, strappare, hanno una radice onomatopeica molto forte e violenta.
85,4: “uomo colto in piena campagna da una grandine micidiale e da esso ucciso malmenato
difendendosi il capo con le mani soggetto di una similitudine” stessa situazione di grandine micidiale,
malmenato, calpestato, tagliato; idea poi del RIFUGIO che fa serie con quella del raccogliere ma
anche con la DIFESA. Non a caso: “il rifugio dell’apparenza” (saggio d’intino). Raccoglie
similitudini radicali, la grandine, la tempesta che coglie il soggetto è la prima scena della prima poesia
impegnativa di leopardi: APPRESSAMENTO, fanciulla che cammina, la tempesta. Un pezzo
dell’appressamento è stato pubblicato in appendice ai canti molti anni dopo.

76
Appena sotto: SITUAZIONE FELICE. La felicità qui è antica, è il tempo in cui si credeva nel mito;
“che bel tempo quello in cui… umanamente” -> umanamente: secondo cioè ciò che l’uomo può
immaginare “cioè abitata… ed entrandoci e vedendoci solitudine pur credevi tutto abitato” anche se
i boschi erano solitari l’immaginazione umana ci vedeva esseri, ninfee, silvani ecc. che erano vicini
e simili a sé: immaginazione creatrice che crea esseri simili all’uomo. Ciò con cosa contrasta? Questa
è l’immaginazione antica che popola gli spazi deserti di esseri FAMILIARI, ciò che abbiamo
conosciuto, vicino a noi, caro a noi: familiare. Con cosa contrasta? Immaginazione moderna: quella
dell’infinito. Familiarità dell’ermo colle: sempre caro, ma l’immaginazione: SI FINGE
INTERMINATI SPAZI, cose astratte, non un paesaggio popolato di esseri simili a noi. La felicità sta
nel credere il mondo popolato da forze vive, viventi, simili a noi.
Familiarità: si costruisce col tempo continuità, consuetudine, somiglianza. Leopardi: mondo moderno
come rottura dei legami familiari, essere soli nel mondo, anche la natura non è più ricondotta
all’umano, non ci guarda più con occhio familiare, si finge in temi astratti. La natura che non ci
riconosce. E questa benché solitaria era familiare. Essa creava esseri simili a sé, l’immaginazione.
Qui c’è un tessuto di letture: Porfirio ecc. “… stringevi al seno, sentivi QUASI (parola importante in
leopardi, come se non osasse, si avvicina ad un palpito sacro) PALPITARE FRA LE MANI
CREDENDOLO UOMO O DONNA…. Fanciulli” similitudine tra antichi e fanciulli i quali ancora
anche in età moderna riescono a immaginare il tutto nel nulla, è un tutto che ricreano, che riportano
a sé.
Questo appunto del 19 è la matrice di quale poesia? -> di qui a poco scriverà LA CANZONE ALLA
PRIMAVERA O DELLE FAVOLE ANTICHE. È l’idea centrale poi sviluppata nella canzone.
64,2:
“Molti sono che dalla lettura dei romanzi… che avevano” libri sentimentali che corrompono,
inducono una sensibilità corrotta “io… AFFETTAZIONE, mi sono ben guardato dal contrarre questa
infermità, la natura: SPONTANEA OPERATRICE. La lettura dei libri non ha prodotto in me… da
sé” la lettura non ha prodotto nulla che lui già non avesse in sé stesso. “ma pure li ha accelerati e fatti
sviluppare più presto… speditamente” CORRERE elemento interessante. “per esempio nell’amore…
uccidermi, mi ci avrebbe portato da sé e sentivo che quel desiderio veniva dal cuore ed era natio e
mio… Werther sapevo che quel genere di amore finiva così, la disperazione mi portava là… già
inventato” in questo caso il Werther ha accelerato il proprio sentimento, gli ha aperto la strada ma il
germe già c’era.
Non solo espone una teoria della complessità del rapporto tra fonte e imitazione della fonte, ma anche
perché è la prima volta che cita un’opera fondamentale per il suo sviluppo che è il Werther. Lo cita
VERTER perché la traduzione di cui si serve, Salomon, è scritta così. Blasucci ha insistito molto

77
sull’importanza del Werther per l’io sentimentale degli Idilli leopardiani che corre parallelo a quello
delle canzoni, più sentimentale, più decisivo questo io, per il quale sarebbe fondamentale il Werther.
Ma leopardi ci dice che i semi erano già in lui precedentemente alla lettura del Werther.
[Appunto poco dopo: Pensiero all’Algarotti -> Algarotti tipico autore fonte/miscellaneo: opere che
trattano diverse opere e a leopardi piacevano tali opere in cui poteva trovare diverse cose; è sempre
utile andare a vedere se c’è qualche scritto sull’argomento. Saggio su Montaigne del prof: parla di M.
in tre luoghi Leopardi nello zibaldone: esprime idee che vengono dall’Algarotti.]
65
Cosa si può notare: dal punto di vista filologico? dobbiamo vedere se questo evento di cui parla
(personale) sia o meno indicizzato nelle memorie della mia vita. Inoltre: da evento particolare deduce
elemento generale. Giusto, ma la cosa più importante: vediamo il manoscritto. -> l’ultima riga: vedi
a questo proposito il manuale di Epitteto -> è UN’AGGIUNTA SUCCESSIVA. Studioso incauto:
presuppone che a tale altezza stava leggendo Epitteto. Vero? No. Ha semplicemente osservato a
questa altezza un episodio sul fratello e dopo, ad un certo stadio del suo percorso ha letto Epitteto, ha
trovato la stessa idea, è tornato indietro e come ha potuto trovare questo appunto? Con
l’indicizzazione, poi: aggiunge.
Contenuto: manuale di Epitteto a quale corrente del pensiero antico appartiene? Lo STOICISMO,
grande tema nel percorso intellettuale di leopardi; incontro scontro, è una ripulsa nei confronti
alternata in avvicinamento. Qual è il fulcro di questo rapporto? “diceva una volta a mia madre a
pietrino che piangeva per cannuccia gettata dalla finestra…” EVENTO TRAUMATICO qualcosa che
ci ferisce che arreca dolore, come la tempesta, ma qui il dolore non è naturale ma viene da un
comportamento umano, il fratello che provoca questo trauma dolore urto tramite il gettare la
cannuccia. VIENE MEDICATO DA UNA CONSOLAZIONE, universo della consolazione: “non
piangere che l’avrei gettata io” la madre, Adelaide. E quegli si consolava: era INEVITABILE che
l’avrebbe perduta.
L’avverbio di prima: IRREPARABILMENTE. Questo è un caso di IRREPARABILITA’. Cosa si
aggiunge a questa osservazione? “Noi ci consoliamo e ci diamo pace” PACE, CONSOLAZIONE
“quando ci persuadiamo” termine cruciale PERSUADERSI “che quel bene” c’è una attività che
contrasta ai traumi, il persuadersi fa parte dell’ambito del MEDICAMENTO, MEDICINA, ci
persuadiamo che quel bene “non era in nostra balia d’ottenerlo” impotenza umana “né quel male di
SCHIVARLO” schivare il male, l’agricoltore che si mette sotto l’albero per ripararsi, ci abituiamo
all’idea che il male è irreparabile, accettare il male per quello che è SENZA CONTRASTARLO. I
due atteggiamenti nei confronti del male della rottura della ferita sono il contrastare e il persuaderci
che è irreparabile. Due polarità.

78
“disperarci” DISPERAZIONE: tra antica e moderna differenza. “in tutti i modi si rimanga lo stesso”
COME REAGIRE AL MALE? C’è sempre, non possiamo eliminarlo, o lo contrastiamo,
atteggiamento EROICO potremmo dire, (dipende anche in che modo, se con atteggiamento
combattivo, Bruto) oppure persuadendoci che non dobbiamo contrastarlo, FORMA DI
MEDICAMENTO.
Primo capitolo di EPITTETO: se non possiamo agire sulle cose del mondo, se una cosa non dipende
da noi, non possiamo combatterla. “le cose si dividono in due: quelle sulle quali possiamo agire e
quelle sulle quali NON possiamo agire” -> BISOGNA ACCETTARLE, principio dello stoicismo.
Accettazione del mondo con i suoi mali irreparabili che cerca una partecipazione a una armonia
universale, essere delle cose su cui non possiamo agire come soggetti con la nostra volontà. Leopardi
ha avuto fasi di simpatia per lo stoicismo (es nel 25 quando lo traduce a Bologna) e fasi di ribellione,
di atteggiamento combattivo, si rimane in questa polarizzazione SEMPRE.
Il verbo persuadere fa capo a un’area della sua ricerca che considera la parola interiore come medicina
capace di lenire quel male che non si può combattere. Universo di cui fa parte sia la parola del filosofo
saggio che versa il balsamo delle parole per persuaderci a non agire contro il mondo, sia anche il
canto, la poesia, che potrebbe essere vista come accettazione dei mali del mondo e consolazione
rispetto a questi non potendo eliminarli. Moralismo greco antico, Isocrate anche sofista, non solo
stoicismo, e poi poesia come CONSOLAZIONE, filone che andrà avanti fino alla Ginestra che
consola i deserti.
La radice: è sempre il confronto tra il soggetto, l’io, e un male irreparabile, che sia questo naturale o
che sia la violenza sociale umana, e l’atteggiamento che bisogna avere. Appunto molto centrale.
p. 188 -> rimando: “nessun dolore cagionato da nessuna sventura è paragonabile a quello di una
disgrazia irrimediabile la quale sentiamo che è venuta da noi e che potevamo schivarla, pentimento
vivo e vero” > richiama quel passo su Epitteto e lo incrocia, ma appunto precedente: “notate che nei
pazzi malinconici e disperati riso vuoto e stupido che viene solo sulle labbra, non dentro, vi
prenderanno per la mano… PROFONDISSIMA e vi diranno addio con sorriso che parrà disperato e
pazzo più della stessa disperazione e pazzia, cosa notabile nei savi ridotti alla INTIERA disperazione
della vita (totalità, assoluto)” che non ha scampo, non ha via di uscita, idea dell’eccezione “estremità
d’orrore come già sicuri della vendetta sopra la fortuna e se stessi” è una tale estremità d’orrore che
egli placa. Un estremo così radicale e forte e profondo che egli placa perché sono già sicuri della
vendetta sopra la fortuna e se stessi (per paradosso) > come si vendicano per la fortuna e se stessi?
Con la stessa pazzia portata allo stremo, con lo stesso uscire dalla vita. Pensiero che descrive gli stati
estremi della psiche. Ira totale e disperazione assoluta. Vendetta, fortuna, temi legati. E soprattutto

79
l’orrore. “nessuna sventura…. Grave” sembra dire che la situazione precedente è venuta da sé?
Elemento suggestivo.
“io mi trovava… uccidermi… timore” episodio, autoanalisi molto profonda in cui voleva morire ma
è venuto un sintomo di qualcosa e mi posi in apprensione: come mai se volevo morire mi preoccupo
del malore che mi porterà alla morte? “non ho mai con più forza sentita (qualità narrativa, micro-
scene efficaci) la discordanza assoluta degli elementi” LA CONTRADDIZIONE, la discordanza, la
tensione assoluta degli elementi. “forzata a… desiderare (lapsus che rovescia la frase) TEMERE PER
LA SUA VITA (ipocondriaco che sente un dolore) e tentare di conservarla proprio allora che vuole
privarsene… opera” sta ipotizzando che la natura stessa sia pazza e contraddittoria “l’uomo non
doveva accorgersi infelicità nella vita ma soltanto incidentali come fanciulli e bestie e l’essersene
accorto” la percezione intellettuale di sé nel mondo, essersi accorto, è la caduta “ripugna… l’amor
della vita, e turba l’ordine delle cose” il desiderio di uccidersi non è naturale ed è stato indotto e cozza
contraddittoriamente contro l’impulso naturale degli esseri viventi che è il voler vivere “contronatura”
> sta indagando una questione fondamentale che sarà ripresa dal punto di vista teorico, il cozzare
degli impulsi contraddittori, Freud: al di là del principio di piacere. Egli ipotizza un impulso che non
è quello di sopravvivenza ma quello opposto verso la morte. Ipotizza un percorso per cui ogni essere
vivente viene strappato alla morte dalla vita; quindi, la condizione naturale dell’essere è la morte e
non la vita. Intuizione freudiana di leopardi, indaga questo: come mai in un essere che normalmente
ha come legge primaria la sopravvivenza ha questo impulso di morte. Impulso di morte: imputabile
alla caduta, alla caduta, alla consapevolezza del sé, però è interessante la duplicità ambivalenza e
contraddittorietà di due impulsi qui presente negli uomini.
“se tu hai un nemico in una città… temporale… ne possa restare ucciso? Come ti spaventi che quel
temporale… speranza? Lo stesso intendo dir di pericoli… timore” pensiero dalla precisione pazzesca
“tant’è… speranza” sono due forze molto potenti nell’immaginario leopardiano, timore e speranza.
L’immagine dell’ipocondriaco.
[Poi cose che leggiamo en passant: “o infinita vanità del vero” e abbozzo di dialogo “beati voi se le
miserie vostre non sapete detto alle api” è elemento che troviamo nel canto, i semi fruttificano a
distanza di anni. Leopardi: in poche poesie grande forza e grande lavoro di concentrazione; poi ad un
certo punto tanti versi e piena di scorie; a fine secolo pascoli e d’annunzio, fluvialità negativa]
“esser cosa già notata” -> polarizzazione tra: “allegrezza (legata al poetico) ci porta a comunicarci,
comunicazione, poesia / tristezza” -> entrambe polarità leopardiane; il suo aspetto più comunicativo
(voleva pubblicare entrare in contatto con la nazione coi lettori ecc) e tendenza a RANNICCHIARSI
malinconia regressione in noi stessi coi nostri pensieri “ma io osservo…. Dilatamento
dell’allegrezza…” Polarizzazione fisica “… affetti, e come nell’allegrezza… largo” interessante

80
descrizione fisica precisa di stati d’animo che fa venire in mente delle forme archetipiche, lo stare
rannicchiato è quello della malinconia, nelle arti anche figurative, posizioni fisiche e anche di
movimento. Il sedere: fondamentale. Posizione seduta o in moto: rimanda anche a una condizione
fisica. “ed io mi ricordo…” si ricorda di aver osservato una sua posizione, si vede mentre è in una
certa posa “… petto… “interessante che lui avendo questa mutazione emotiva si è OSSERVATO
FISICAMENTE, ACUTEZZA DELL’AUTOSSERVAZIONE, e poi corrispondenza tra stato
d’animo e fisicità. Intreccio di posizioni psicofisiche, attenzione a una posizione del corpo, e il ricordo
di essersi osservato il fisico durante una tempesta emotiva, scrutarsi, osservarsi troppo non va bene.
“anche il delitto bene o spesso è un EROISMO” – legame con i pensieri sull’innocenza. Stendhal:
eroismo del delitto. “cioè quando il farlo torna… passione… SUPERARE TUTTA LA FORZA
DELLA NATURA” SFORZO, REAGIRE, “e dell’abitudine… innocente…” > eroismo che si
esercita contro se stessi, contro la natura, “e però è un eroismo… commetterlo” anche se non c’è
pericolo per questa azione eroica il solo fatto che uno lo compia anche segretamente il delitto senza
che ci sia pericolo alcuno allora combatte contro se stesso, ergo è eroismo lo stesso, “costando sempre
lo sforzo (pensiero sullo sforzo) e una vittoria di se stesso (sopra se stesso) nel che consiste l’eroismo.
Da un delitto di questa forza… straordinariamente di una persona. Insomma, ogni sacrificio di cosa
cara, difficile, è un EROISMO, anche quello della virtù” > giustificazione del delitto “e degli… più
sacri quando il sacrifizio costa” RIPUDIO DELLA VIRTU’ sta parlando di sé, lo concretizza in tanti
luoghi e personaggi: quello reale -> Bruto; finzionale: il galantuomo che a fine del dialoghetto
abbozzato che non entra nelle operette morali (21?) rinnega la virtù e aderisce completamente al
mondo, al diavolo, quindi il sacrificio della virtù. Più è forte questo salto, più è virtuosa la persona, e
più sarà implacabile nel male; lo sforzo va oltre ciò che deve ottenere, c’è l’energia che va contro sé
stessa, contro la base naturale e salta talmente tanto che il virtuoso cambia partito e diventa ancora
più malvagio dei malvagi naturali.
Pensiero sul sentimento della vendetta:
“che spesso… per potersi vendicare, in massimi momenti di umor nero da un amico” squarcio
psicologico interessante. Analisi psicologica di grande portata.
p. 73,3
appunto importante, è il primo dove cita la Corinne di Staël: in questo anno cruciale ha già citato
Werther, cruciali in quest’anno. La Corinne: gli ha insegnato a pensare, debito molto forte nei
confronti della Staël che gli ha insegnato a riflettere su sé stesso e sul mondo attraverso i suoi romanzi,
in particolare la Corinne. Leopardi si poteva identificare in questo personaggio femminile che vive in
un ambiente freddo del nord Europa, ambiente freddo, in Italia invece trova il paese dei limoni, della
solarità, del calore. NORD SUD – POPOLI MERIDIONALI VS NORDICI in tutto lo zibaldone

81
(anche nel discorso sopra i costumi) citerà spesso dalla Corinne che cita in francese. (Di quale
edizione si tratta? Non si capisce ancora).
Il ragionare geograficamente non era cosa ignota: Montesquieu, filosofo storico che ragiona molto
rispetto ai climi, alla geografia ecc… Leopardi fa grande uso di queste distinzioni e la storia che
incarna questa opposizione è anche la Corinne importante per questo.
p. 75
“il sentimento che si prova campagna… idee e pensieri vaghi… diletto che non si può afferrare e
paragonarsi a quello di chi (cancella fanciullo) corra dietro una farfalla senza poterla cogliere, lascia
sempre nell’anima un gran desiderio; per questo il sommo dei nostri difetti e tutto quello che è certo
è lungi dall’appagarci” a quali appunti agganciamo questo pensiero? Teoria del piacere sì ma qui
rovesciata in positivo, nulla è più appagante di ciò che non si può appagare -> PENSIERI SU
ANACREONTE: la poesia il poetico che si insegue ma non si può mai raggiungere, ci spinge a tornare
e scatenare l’energia poetica. Anche qui: paragone col paesaggio dell’infinito, c’è la vista di una
campagna reale che non sta dietro una siepe e che ispira elementi vaghi e indefiniti; elementi concreti
indefiniti che non si lasciano afferrare, nell’infinito: la finzione e immaginazione astratta scavalca la
siepe e vede una situazione per niente reale totalmente ASTRATTA. C’è qui un paesaggio reale (che
poi torna nell’infinito, ma qui TOGLIERE LA VISTA DEL PAESAGGIO CHE PORTA ALLO
SPAURAMENTO) mentre quando entrano in gioco elementi del paesaggio naturale c’è il naufragio
e quindi una sensazione dolce. Pagine concentratissime.
Descrizione di FELICITA’. Una: riferita all’antico, alla natura vivente e familiare. Questa non è
antica ma moderna, diciamo. “la somma felicità possibile per l’uomo in questo mondo” esclude l’eden
ultraterreno “è quando egli vive quietamente nel suo stato con una speranza certa di un avvenire
migliore… non lo inquieti del futuro” se si sta abbastanza bene e si sta in questa situazione
QUIETAMENTE in modo non intensivo, non si tende verso, STREBEN. “quando ei vive
quietamente nel suo stato con la sua speranza RIPOSATA E CERTA” una speranza che va verso il
futuro ma che non si muove è statica, non corre, c’è la tendenza ad andare verso il futuro ma è una
tensione riposata. “non lo inquieti” rovescio di quietamente “e non lo turbi” turbine = tempesta che
irrompe la situazione “con l’impazienza” quiete sta con pazienza, compare nella sua traduzione di
pretone (greco) > concetto di pazienza in relazione allo stoicismo. La speranza non deve turbare
attraverso l’impazienza di godere, il futuro può essere speranza lontana che non si vuole raggiungere,
perché se vogliamo davvero afferrarla: ciò ci provoca agitazione inquietudine. “questo divino stato...”
riferimento dal particolare alla teoria generale; questo stato di cose egli lo chiama DIVINO: la sola
cosa più felice di questo mondo la chiama divina. È uno stato terreno però; divino ma mondano. “l’ho
provato tra 14 e 15 anni (tra 18 e inizio del 19) per alcuni mesi ad intervalli “trovandomi quietamente

82
(3 volta questo termine) nei miei studi, privo di disturbi e con speranza del lietissimo avvenire”
speranza tranquilla certa e statica “non la proverò più questa speranza… esperienza” -> non ha ancora
fatto esperienza della vita, non ha ancora preso quindi coscienza di sé stesso. qui sta descrivendo un
sé stesso Silvia; occupato negli studi così come lei nelle sue opere di canto e di tela ma ancora non si
è sviluppato il germe di tensione verso il futuro che avrebbe turbato; la proiezione verso il godimento:
provoca anche godimento, la consapevolezza di sé e del vero. La proiezione accelerata verso il futuro:
è ciò che impedisce disturba e turba la possibile felicità in questo mondo. Si apre un continente: se è
vero che questa pulsione e tensione verso, questa inquietudine è inquietudine faustiana, lo streben,
l’aspirare ad altro rispetto a quello che c’è, è la pulsione moderna per eccellenza, a modificare il
proprio stato, inseguire il benessere, il piacere, altri luoghi, la colonizzazione, la produzione, sfondo
socio economico 800esco capitalistico in espansione di inquietudine anche da questo punto di vista;
Faust: lega la condizione psichica esistenziale e anche socio economico produttiva, Faust vuole
strappare al mare le terre e costruire un impero, una città con attività produttive, ampliare le risorse
dell’umano e trovare felicità costruendola, non si limita agli studi statici. Inquietudine Faust: da un
lato erotica, dall’altro conoscitiva esperienza, dall’altro produttiva, costruire un impero, colonizzare
la natura. Dietro questa struttura primaria psichica, essere contento quieto del proprio stato contro il
proiettarsi in modo violento intensivo verso il futuro: questo produce turbamento e inquietudine,
violenza. Base del sogno americano. Tutti possono farcela a cambiare stato. Valore di un movimento
psichico ma anche socioculturale in cui si rompe lo stato di classe. Siamo appena dopo la Rivoluzione
francese, era successo questo; questo turbamento e impazienza, questa energia che va oltre.

20/11/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 21


La tesina non sostituisce l’esame e per i 12 CFU devi leggere 300 pp. La mia tesina sulla dittologia
‘furore e smania’.
Pag. 73 dello Zibaldone:
“[…] La cagione per cui il bene inaspettato e casuale, c'è più grato dello sperato, *(tema della
speranza) è che questo patisce un confronto cioè quello del bene immaginato prima, e perché il bene
immaginato è maggiore a cento doppi del reale; perciò, è necessario che sfiguri e paia quasi un nulla.
Al contrario dell'inaspettato che non perde nulla del suo qualunque valore reale per la forza del
confronto troppo disuguale. […]”

Pag. 74.2
“[…] Una delle cagioni del gran contrasto delle qualità degli abitanti del mezzogiorno notata dalla
Staël *(sta analizzando la Corinne di Madame de Staël), Corinne liv.6. ch.2. *(Madame de Staël)

83
p.246. troisieme édition 1812., (oltre quella, qu'ils ne perdent aucune force de l'ame dans la société,
com'ella dice ivi, onde la natura anche per questo capo resta più varia, e non così obbligata e avvezzata
alla continua uniformità, come succede per lo spirito di società e d'eccessivo incivilimento in Francia)
è che il clima meridionale essendo il più temperato, e la natura quivi (come dice la stessa più volte)
in grande armonia, essa si trova più spedita, più dégagée,*(notare l’uso che Leopardi fa delle parole
straniere) più sviluppata *(ambito metaforico della libertà e della produzione), onde siccome le
circostanze della vita son diversissime, così trovandosi i caratteri meridionali per la detta cagione
pieghevolissimi, e suscettibili d'ogni impressione, *(sono tutti valori positivi per leopardi) ne segue
il contrasto delle qualità che si dimostrano nelle contrarie circostanze, e il rapido passaggio ec.
Laddove negli altri climi la natura trovandosi meno mobile più inceppata e dura, *(ancora
sull’immaginario agricolo) il violento difficilmente mostra pacatezza, e l'indolente non divien quasi
mai attivo, insomma la qualità dominante, domina più assolutamente e tirannicamente di quello che
faccia nel mezzogiorno, dove non perciò si dee credere che manchino le qualità dominanti nel tale e
tale individuo, ma che in proporzione lascino più luogo alle altre qualità, alla varietà loro ec.
*(anche questo pensiero è tutto fatto di proporzioni e rapporti. I caratteri del Mezzogiorno hanno
maggiore fluidità e quindi possono passare da un estremo all’altro. Questo ragionamento Nord/Sud
fluisce dal ragionamento del la Corinne di Madame de Staël e su pensiero di Montesquieu. La
questione Nord/Sud è molto più importante di quello Est/Ovest. Rispetto a queste questioni ci sono
molte contraddizioni ma la questione principale è quella dell’attività esteriore e interiore. Leopardi
aveva compreso la frattura della modernità che è anche geografica. Ragiona meno sul parallelismo
tra ragione geografica e fattori religiosi. Leopardi non istituisce questo nesso e ragiona poco sul
protestantesimo prediligendo lo studio del cristianesimo). […]”

Pag. 79
“[…] Le altre arti imitano ed esprimono la natura da cui si trae il sentimento, ma la musica non imita
e non esprime che lo stesso sentimento in persona, ch'ella trae da sé stessa e non dalla natura, e così
l'uditore. Ecco perché la Staël (Corinne liv.9. ch.2.) *(sta nuovamente commentando la Corinne della
Staël) dice: De tous les beaux-arts c'est (la musique) celui qui agit le plus immédiatement sur l'ame.
Les autres la dirigent vers telle ou telle idée, celui-là seul s'adresse à la source intime de l'existence,
et change en entier la disposition intérieure. La parola nella poesia ec. non ha tanta forza d'esprimere
il vago e l'infinito del sentimento se non applicandosi a degli oggetti, e perciò producendo
un'impressione sempre secondaria e meno immediata, perché la parola come i segni e le immagini
della pittura e scultura hanno una significazione determinata e finita. L'architettura per questo lato
si accosta un poco più alla musica, ma non può aver tanta subitaneità, ed immediatezza. […]”

84
*(Leopardi non si interessa troppo di scultura e architettura. La cosa interessante è che la musica
sembra avere uno statuto unico in qualche modo essenziale che esprime lo stesso sentimento in
persona, è un’espressione immediata del sentimento. L’uditore attraverso la musica entra in contatto
diretto con le passioni. Altra specificità della musica è il fatto che quando Leopardi ne parla pone
sempre un riferimento alla felicità, all’allegrezza. È una forma espressiva legata alla gioia. I moderni,
a differenza degli antichi, ci compiacciono delle passioni tristi spinoziane trovando un piacere della
tristezza. Chateaubriand fa di questo una poetica. Leopardi partecipa di questo compiacimento però
resiste una sorta di nostalgia, una capacità di entusiasmo gioioso. La musica fa parte delle altre
modalità di ricezione in cui la ragione viene soppressa come con l’ebrezza ecc. digressione su Toni
Negri, all'anagrafe Antonio Negri (Padova, 1º agosto 1933), è un filosofo, politologo, attivista,
saggista, accademico e politico italiano, tra i più noti intellettuali italiani tra la seconda metà degli
anni Sessanta e l'inizio degli anni Novanta. Co-fondatore e ideologo militante delle organizzazioni
della sinistra extraparlamentare Potere Operaio e Autonomia Operaia, tra i maggiori teorici del
marxismo operaista, fu incarcerato e processato con l'accusa di aver partecipato ad atti terroristici e
d'insurrezione armata. Assolto da queste imputazioni, venne poi condannato a 12 anni di carcere per
associazione sovversiva e concorso morale nella rapina di Argelato.)
❖ Punti di contatto tra Leopardi e Spinoza:
Anti-antropocentrismo, relativismo etico, l’uomo come animale passionale, materiale di Remo Bodei.

Pag. 81
“[…] Si può osservare che il Cristianesimo, senza perciò fargli nessun torto ha per un verso
effettivamente peggiorato gli uomini. Basta considerare l'effetto che produce sopra i lettori della storia
il carattere dei principi cristiani scellerati in comparazione degli scellerati pagani, *(metodo
comparativo leopardiano) e così dei privati, dei Patriarchi, Vescovi, e monaci greci (v. Montesquieu
Grandeur ec. Amsterdam. 1781. ch.22.) o latini. Le scelleratezze dei secondi non erano per nessun
modo in tanta opposizione coi loro principii *(di nuovo sul metodo comparativo. Leopardi nota che
i loro atteggiamenti non erano in contraddizione con i loro principi e valori morali). Morto il
fanatismo*(sembra contraddirsi siccome pietà e fanatismo di oppongono) della pietà, e il primo
fervore *(l’entusiasmo che produce una virtù autentica) di una religione che si considera come
un'opinione propria, e una setta e cosa propria *(epoca cristiana vista positivamente da Leopardi a
causa di questo fervore di virtù), e di cui perciò si è più gelosi (anche per li sacrifizi che costava il
professarla) l'uomo in società ritorna naturalmente malvagio, *(come nel paganesimo) colla
differenza che quando gli antichi scellerati operavano o secondo i loro principii, o in opposizione di
massime confuse poco note e controverse, i cristiani operavano contro massime certe stabilite

85
definite, e di cui erano intimamente persuasi *(erano persuasi dalla virtù e dal fervore religioso), o
come per contrario accade per la pietà esserlo, massimamente contro se stesso, come per contrario
accade della pietà. E infatti da quando il cristianesimo fu corrotto nei cuori, cioè presso a poco da
quando divenne religione imperiale e riconosciuta per nazionale, e passò in uomini posti in
circostanze da esser malvagi, è incontrastabile che le scelleratezze mutarono faccia e il carattere di
Costantino e degli altri scellerati imperatori cristiani, vescovi ec. è evidentemente più odioso di quello
dei Tiberi dei Caligola ec. e dei Marii e dei Cinna ec. e di una tempra di scelleraggine tutta nuova e
più terribile. E secondo me a questo cioè al cristianesimo si deve in gran parte attribuire (giacché il
guasto cristianesimo era una parte di guasto incivilimento) la nuova idea della scelleratezza dell'età
media molto differente e più orribile di quella dell'età antiche anche più barbare*(la scelleratezza
moderna è peggiore di quella barbara) : e questa nuova idea si è mantenuta più o meno sino a questi
ultimi tempi nei quali l'incredulità avendo fatti tanti progressi, il carattere delle malvagità si è un
poco ravvicinato all'antico *(con l’ateismo dei lumi. I lumi della morale universale sostituiscono i
valori religiosi), se non quanto i gran progressi e il gran divulgamento dei lumi chiari e determinati
della morale universale molto più tenebrosa presso gli antichi anche più civili, non lascia tanto campo
alla scelleraggine di seguire più placidamente il suo corso. V. p.710. capoverso 1. […]”
*(Fanny e Alexander e il carattere del padre scellerato perché fanatico religioso. Leopardi sta parlando
di un’epoca moderna che ha razionalizzato certi valori e ha teorizzato la malvagità, mentre quella
degli antichi, non essendo razionalizzata era meno terribile. Si intravede un cristianesimo che sembra
un protestantesimo).

Pag. 82
Io era oltremodo annoiato della vita, sull'orlo della vasca del mio giardino, e guardando l'acqua e
curvandomici sopra con un certo fremito, pensava: s'io mi gittassi qui dentro, immediatamente venuto
a galla, mi arrampicherei sopra quest'orlo, e sforzandomi di uscir fuori dopo aver temuto assai di
perdere questa vita, ritornato illeso, proverei qualche istante di contento per essermi salvato, e di
affetto a questa vita che ora tanto disprezzo, e che allora mi parrebbe più pregevole. La tradizione
intorno al salto di Leucade *(mito del salto di Leucade secondo il quale si guarivano i malati
d’amore) poteva avere per fondamento un'osservazione simile a questa. […]”

“[…] La cagione per cui trovo nelle osservazioni di Mad. Di Staël del libro 14. della Corinna anche
più intima e singolare e tutta nuova naturalezza e verità, è (oltre al trovarmi io presentemente nello
stessissimo stato ch'ella descrive) il rappresentare ella quivi il genio considerante se stesso *(a
leopardi interessa la riflessione psicologica della Corinna della de Staël) e non le cose estrinseche né

86
sublimi, ma le piccolezze stesse e le qualità che il genio poche volte ravvisa in se, e forse anche se
ne vergogna e non se le confessa (o le crede aliene da se e provenienti da altre qualità più basse, e
perciò se n'affligge) onde con minore sublime ed astratto, ha maggior verità e profondità familiare in
tutto quello che dice Corinna di se giovanetta. Quantunque io mi trovi appunto nella condizione
che ho detta qui sopra pur leggendo il detto libro, ogni volta che Madame parla dell'invidia di quegli
uomini volgari, e del desiderio di abbassar gli uomini superiori, e presso loro e presso gli altri e presso
sé stessi, non ci trovava la solita certissima e precisa applicabilità alle mie circostanze. E rifletto che
infatti questa invidia, e questo desiderio non può trovarsi in quei tali piccoli spiriti ch'ella descrive,
perché non hanno mai considerato il genio e l'entusiasmo come una superiorità, anzi come una pazzia,
come fuoco giovanile, difetto di prudenza, di esperienza di senno, ec. e si stimano molto più essi,
onde non possono provare invidia, perché nessuno invidia la follia degli altri, bensì compassione, o
disprezzo, e anche malvolenza, come a persone che non vogliono pensare come voi, e come credete
che si debba pensare. Del resto, credono che ancor esse fatte più mature si ravvedranno, tanto sono
lontane dall'invidiarle. E così precisamente porta l'esperienza che ho fatta e fo. Ben è vero che se mai
si affacciasse loro il dubbio che questi uomini di genio fossero spiriti superiori, ovvero se sapranno
che son tenuti per tali, come anime basse che sono e amanti della loro quiete ec. faranno ogni sforzo
per deprimerli, e potranno concepirne invidia, ma come di persone di un merito falso e considerate
contro al giusto, e invidia non del loro genio, ma della stima che ne ottengono, giacché non solamente
non li credono superiori a sé, ma molto al di sotto. […]”

Pag. 84 dello Zibaldone


“[…] Una prova in mille di quanto influiscano i sistemi puramente fisici sugl'intellettuali e metafisici,
è quello di Copernico (teoria eliocentrica) che al pensatore rinnuova interamente l'idea della natura
e dell'uomo concepita e naturale per l'antico sistema detto tolemaico, rivela una pluralità di mondi
mostra l'uomo un essere non unico, come non è unica la collocazione il moto e il destino della terra,
ed apre un immenso campo di riflessioni, sopra l'infinità delle creature che secondo tutte le leggi
d'analogia debbono abitare gli altri globi in tutto analoghi al nostro, e quelli anche che saranno benché
non ci appariscano intorno agli altri soli cioè le stelle, abbassa l'idea dell'uomo *(sempre Copernico
e il suo conseguente anti antropocentrismo), e la sublima, scuopre nuovi misteri della creazione, del
destino della natura, della essenza delle cose, dell'esser nostro, dell'onnipotenza del creatore, dei fini
del creato ec. […]”
*(qui ci sono due elementi interessanti. Uno è quello tematico dell’anti antropocentrismo che, grazie
a Copernico, rivoluziona il sistema tolemaico. Fontaneille sulla pluralità dei mondi, quindi, non è un
tema nuovo. In tutto l’800 ci sono testimonianze di scrittori che sono scioccati dall’ipotesi

87
eliocentrica. Siamo nel pieno 1819 quindi siamo in contemporaneo all’Infinito e tutte queste
riflessioni condensano nello spauramento. Leopardi sostiene che la scienza trasforma la concezione
filosofica e metafisica del mondo.

Pag. 85
Nella mia somma noia e scoraggimento intiero della vita talvolta riconfortato alquanto e alleggerito
io mi metteva a piangere la sorte umana e la miseria del mondo. Io rifletteva allora: io piango perché
sono più lieto, e così è che allora il nulla delle cose pure mi lasciava forza d'addolorarmi, e quando io
lo sentiva maggiormente e ne era pieno, non mi lasciava il vigore di dolermene.
*(il piangere è considerato un’attività che presuppone vitalità siccome è un’espressione
dell’organismo e quindi indica che il dolore non p puro, assoluto, se fosse così non ci sarebbe neanche
la forza di piangere. Il piangere è un conforto è come il barlume, l’ombra, il canto. Tutte attività con
quel residuo di forza che si oppongono al nulla. La ginestra è l’ultima incarnazione di questo campo
semantico del miracolo, medicina, conforto, alleggerimento, salvezza, eccezione, energia residua,
barlume, bagliore ecc. Non si può parlare di nichilismo leopardiano in questo senso perché come
vediamo l’attività poetica è energia).

Pag. 85.2
“[…] Io era spaventato nel trovarmi in mezzo al nulla, un nulla io medesimo. Io mi sentiva come
soffocare considerando e sentendo che tutto è nulla, solido nulla. […]”
*(questo appunto è legato al precedente in senso negativo. Solido significa senza possibilità di moto,
senza nessuna via di uscita o possibilità di sfuggirgli. L’assenza di movimento è ciò che rende questo
nulla così implacabile).

Pag. 85.3
Prima di provare la felicità, o vogliamo dire un'apparenza *(la felicità che ci sembra vera è
un’apparenza, mentre quella vera è ciò che la precede ovvero la speranza) di felicità viva e presente
*(è una zona dell’infinito), noi possiamo alimentarci delle speranze, e se queste son forti e costanti,
il tempo loro è veramente il tempo felice dell'uomo, come nella età fra la fanciullezza e la giovanezza
*(siamo ancora nel campo dell’Infinito). Ma provata quella felicità che ho detto, e perduta, le speranze
non bastano più a contentarci, e la infelicità dell'uomo è stabilita. Oltre che le speranze dopo la trista
esperienza fatta sono assai più difficili, ma in ogni modo la vivezza della felicità provata *(si è fatta
esperienza di questa felicità che però ha distrutto tutto), non può esser compensata dalle lusinghe e
dai diletti limitati della speranza, *(poetica dell’origine) e l'uomo in comparazione di questa piange

88
sempre quello che ha perduto *(il pianto coincide con il canto del poeta come nel passo di Anacreonte)
e che ben difficilmente può tornare, perché il tempo delle grandi illusioni è finito.

[…] Quando le sensazioni d'entusiasmo ec. che noi proviamo non sono molto profonde, allora
cerchiamo di avere un compagno con cui comunicarle, e ci piace il poterne discorrere in quel
momento, (secondo quella osservazione di Marmontel che vedendo una bella campagna non siamo
contenti se non abbiamo con chi dire: la belle campagne!) perché in certo modo speriamo di
accrescere il diletto di quel sentimento e il sentimento medesimo con quello degli altri. Ma quando
l'impressione è profonda accade tutto l'opposto perché temiamo, e così è, di scemarla e svaporarla
partecipandola, e cavandola dal chiuso delle nostre anime *(c’è la poetica del deposito, del
conservare, del reliquiario), per esporla all'aria della conversazione *(c’è l’idea antica che la vita
sia nell’umido, nel concentrato, della sostanza liquida e vitale. Lettera a Brighenti “divertirsi a far
volere la mia cenere in aria”. Altro passo dalle Memorie della mia vita “necessità di convivere con
gli uomini, di versarmi al di fuori, di vivere esternamente…mi rese stupido, inetto, morto…”). Oltre
ch'ella ci riempie in modo, che occupando tutta la nostra attenzione, non ci lascia campo di pensare
ad altri, né modo di esprimerla, volendosi a ciò una certa attenzione che ci distrarrebbe, quando la
distrazione ci è non solamente importuna, ma impossibile. […] *(Lettera a Carlo del 15/02/1823,
vista al sepolcro di Tasso: “questo è il primo e unico piacere ho provato in Roma…gustare il piacere
delle lacrime…gettate all’aria…

22/11/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 22


Proposte di D’Intino per possibili tesine di ambiti non linguistico – lessicali:
1) Ricerca all’interno dello Zibaldone delle cancellature e sostituzioni e possibile indagine
delle ragioni che si celano dietro questa scelta. In questo caso bisogna analizzare buona
parte dello Zibaldone, non bastano le prime 150/300 pag;
2) Censimento prima e studio delle allocuzioni in cui emerge la voce dell’autore sulla falsa
riga del saggio di D’Intino Oralità e dialogicità;
3) Ricerca dei luoghi dove si trova un’idea abbozzata di ‘giusto mezzo’ tentando un confronto
tra i vari luoghi testuali.
Pag. 76 dello Zibaldone sta ancora parlando di Madame de Staël:
“[…] Dice la Staël, (Corinne liv.18. ch.4.) parlando della statue de Niobé: sans doute dans une
semblable situation la figure d'une véritable mère serait entièrement bouleversée; mais l'idéal des arts

89
conserve la beauté dans le désespoir; et ce qui touche profondément dans les ouvrages du génie, ce
n'est pas le malheur même, c'est la puissance que l'ame conserve sur ce malheur2.
Bellissima condanna del sistema romantico che per conservare la semplicità e la naturalezza e
fuggire l'affettazione che dai moderni è stata pur troppo sostituita alla dignità, (facile agli antichi ad
unire colla semplicità che ad essi era sì presente e nota e propria e viva) rinunzia ad ogni nobiltà, così
che le loro opere di genio non hanno punto questa gran nota della loro origine, ed essendo una pura
imitazione del vero, come una statua di cenci con parrucca e viso di cera *(è una metafora che
Leopardi usa spesso all’interno dello Zibaldone per trasmettere l’idea della meccanicità plastica della
cera che si adatta a ciò per cui viene modellata e in questo senso intende indicare l’assenza
dell’originalità del soggetto all’interno del processo creativo) ec. colpisce molto meno di quella che
insieme colla semplicità e naturalezza conserva l'ideale del bello, e rende straordinario quello ch'è
comune, cioè mostra ne' suoi eroi un'anima grande e un'attitudine dignitosa, il che muove la
maraviglia e il sentimento profondo colla forza del contrasto, mentre nel romantico non potete esser
commosso se non come dagli avvenimenti ordinari della vita, che i romantici esprimono fedelmente,
ma senza dargli nulla di quello straordinario e sublime, che innalza l'immaginazione, e ispira la
meditazione profonda e la intimità e durevolezza del sentimento. E così ancora si verifica che gli
antichi lasciavano a pensare più di quello ch'esprimessero, e l'impressione delle loro opere era più
durevole […]” *(a questa altezza dello Zibaldone il termine romantico significa ancora piatto, non
originale e quindi ha un’accezione estremamente negativa. Leopardi parlando del romantico trova
come sua componente l’imitazione del vero, noi tuttavia sappiamo che l’aspirazione della corrente
romantica è appunto il contrario, cioè aspirare all’assoluto e quindi benché mai l’aderenza al reale. Il
realismo fa parte dell’immaginario romantico, ma non in una dimensione di imitazione fedele del
reale).

Cerchiamo il termine ‘cera’ all’interno dello Zibaldone e siamo a pag. 552 del pdf e 2442 del testo
(tardo Zibaldone):
“[…] Questo è imitare, come chi ritrae dal naturale nel marmo, non mutando la natura del marmo in
quella dell'oggetto imitato *(sta parlando del fenomeno della traduzione e della sua componente
creativa, infatti prosegue precisando che non si tratta di una copia); non è copiare né rifare, come chi
da una figura di cera ne ritrae un'altra tutta compagna, pur di cera. Quella è operazione
pregevole, *(imitare modificando la materia) anche per la difficoltà d'assimulare un oggetto in una

2
Senza dubbio in una situazione del genere il volto di una vera madre sarebbe completamente sconvolto; ma l'ideale delle
arti conserva la bellezza nella disperazione; e ciò che tocca profondamente nelle opere del genio non è la sventura in sé,
è il potere che l'anima conserva su questa sventura.
90
materia di tutt'altra natura; questa è bassa e triviale *(stesso tipo di aggettivi utilizzati prima) per la
molta facilità, che toglie la maraviglia; *(siamo in due campi diversi: quello dell’artista e quello del
traduttore che sono accumunati dalla capacità di trasformare e non scadere nella semplice imitazione.
Meraviglia implica la componente creativa del soggetto e non cambia mai idea circa la sua accezione
positiva) […]”

Pag. 76 dello Zibaldone:


“[…] Quando l'uomo veramente sventurato si accorge e sente profondamente *(importanza del
termine profondo e dei suoi correlati nella poetica leopardiana) l'impossibilità d'esser felice, e la
somma e certa infelicità dell'uomo, comincia dal divenire indifferente intorno a sé stesso, come
persona che non può sperar nulla, né perdere e soffrire più di quello ch'ella già preveda e sappia
*(siamo nello stesso ambito del pensiero in parla dell’uomo che ride ma solo con le labbra). Ma se la
sventura arriva al colmo l'indifferenza non basta, egli perde quasi affatto l'amor di se, (ch'era già da
questa indifferenza così violato) *(amor di sé violato dall’indifferenza) o piuttosto lo rivolge in un
modo tutto contrario al consueto degli uomini, egli passa ad odiare la vita l'esistenza e se stesso, egli
si abborre come un nemico, e allora è quando l'aspetto di nuove sventure, o l'idea e l'atto del suicidio
gli danno una terribile e quasi barbara allegrezza *(interessante la cancellazione di terribile e la
sostituzione con ‘barbara allegrezza’. Siamo ancora sul tema del suicidio. Anche sul termine
allegrezza bisogna ricordare che ha a che fare con il poetico), massimamente se egli pervenga ad
uccidersi essendone impedito da altrui; *(all’ostacolo si unisce lo sforzo nella lotta contro sé stesso.
Dapprima dallo stadio vitale attraverso la conoscenza di sé si passa allo stadio d’indifferenza, che
infine si sposta a quello di attività contro sé stesso) allora *(questo stadio del doppio passaggio) è il
tempo di quel maligno amaro e ironico sorriso simile a quello della vendetta eseguita da un uomo
crudele dopo forte lungo e irritato *(qui si capisce l’importanza del lessico, siccome il termine
‘irritato’ si trova anche nell’imaginario del poetico. Qui troviamo il desiderio ad uno stadio talmente
avanzato che irrita per l’impossibilità del suo raggiungimento) desiderio, il qual sorriso è l'ultima
*(parola poetica ed estremamente importante) espressione della estrema disperazione e della somma
*(altro termine poetico) infelicità. *(è proprio questo ultimo passo che ricorda le strofe della Canzone
di Bruto composta nel dicembre 1821 e pubblicata per la prima volta nelle Canzoni del 1824,
specialmente quando parla del sorriso «l’amaro ferro intride, e maligno alle nere ombre sorride») V.
Staël Corinne l.17. c.4. 5me édition Paris, 1812. p.184.185. t.3. […]”

Ancora sul termine ‘irritare’:


“[…] Si potrebbe conchiudere che la grazia consiste in un certo irritamento nelle cose che

91
appartengono al bello e al piacere. Così si verrebbe ad escludere un viso mostruoso ec. e dall'altra
parte, il piacere troppo spiccato e sfacciato, come quello della bellezza, dei godimenti corporali, del
desiderio soddisfatto; potendo la grazia chiamarsi piuttosto uno stuzzica-appetito, che una
soddisfazione di esso […]”

Torniamo alla pag. 77 dello Zibaldone e alla differenza tra la disperazione antica e quella moderna:
“[…] Je vous l'ai dit souvent, la douleur me tuerait; il y a trop de lutte en moi contre elle; il faut lui
céder pour n'en pas mourir3, dice Corinna presso la Staël liv.14. ch.3. t.2. p.361. dell'edizione citata
qui dietro. *(citazione dalla Corinna)
E da questo venia che gli antichi al carattere dei quali l'autrice ha voluto ravvicinare quello di Corinna
quanto era compatibile coi costumi e la filosofia moderna di cui l'arricchisce a piena mano, erano
vinti dall'infelicità in modo che esprimevano la loro disperazione cogli atti e le azioni più terribili
*(nell’antico c’è una forma di disperazione attiva contrapposta al moderno che si riposa sul dolore),
e la sventura li mandava fuori di sé stessi, e gli uccideva. Quel se réposer sur sa douleur *(quel
compiacersi), quel piacere perfino provato dai moderni per la stessa sventura e per la considerazione
di essere sventurato, era cosa ignota a quelli che secondo l'istinto della natura non ancora del tutto
alterata, correvano sempre dritto alla felicità, non come a un fantasma, ma cosa reale, e trovavano il
loro diletto dove la natura primitivamente l'ha posto, cioè nella buona e non nella cattiva fortuna, la
quale quando loro sopravveniva, la riguardavano come propria, non come universale e inevitabile
*(credevano nella possibilità della felicità e ritenevano a sventura cosa occasionale). Né il desiderio
della felicità era in essi temperato e rintuzzato e illanguidito da nessuna considerazione e da nessuna
filosofia. Perciò tanto più formidabile era l'effetto di quanto impediva loro l'adempimento di questo
desiderio *(questo passo è in connessione con il precedente, bisogna capire se il passo precedente si
riferisce a una disperazione antica oppure a una moderna. Come interpretare il passo di Bruto alla
luce di questa riflessione? Bruto che si suicida rivolgendo un sorriso alle ombre è antico o moderno?
A D’Intino la disperazione di Bruto sembra una dimensione alternativa tra la disperazione antica e
quella moderna; infatti, la vendetta che troviamo nel passo di Bruto è incompatibile con la spontaneità
antica in quanto pianificata. Il maligno, amaro, ironico sorriso sotto tutti in riferimento al moderno,
ma con un’intensità diversa data dalla dimensione della malignità. Gli antichi percepiscono la
sventura e la malignità come un fenomeno occasionale e quindi risulta naturale ribellarsi, mentre per
i moderni è accettata come uno status quo ed è inutile opporre resistenza. In conclusione, il sorriso
maligno non è antico, infatti Bruto è il primo dei moderni, il primo nichilista dell’opera leopardiana)
[…]”.

3
Te l'ho detto spesso, il dolore mi avrebbe ucciso; c'è troppa lotta in me contro di esso; devi arrenderti per non morirne.
92
Pag. 77, sta ancora riflettendo sulla Corinna:
“[…] La società francese la quale fa che l'esprit naturel se tourne en épigrammes plutôt qu'en poésie,4
dice la Staël, (vedila, Corinne, liv.15. chap.9. p.80. t.3. edizione citata da me alla p.87.) rende ancora
epigrammatica tutta la loro scrittura, ed abituati come sono a dare a tutti i loro detti nella
conversazione, une tournure *(notare come Leopardi prende in prestito dal lessico francese che
considera sua) che li renda gradevoli, un'aria di novità, una grazia ascitizia, un garbo proccurato ec.
ponendosi a scrivere, e stimando naturalmente che la scrittura non li disobblighi da quello a cui gli
obbliga la raffinatezza della conversazione, (naturale nel paese dove lo spirito di società è così grande,
anzi è l'anima e lo scopo e il tutto della vita) e per lo contrario credendo che quest'obbligo sia maggiore
nello scrivere che nel parlare (e con ragione avuto riguardo al gusto de' lettori nazionali che altrimenti
li disprezzerebbero) si abbandonano a quello stesso studio che adoprano nella conversazione per
renderla aggradevole e piccante ec. e però il loro stile è così diverso da quello de' greci e de' latini e
degl'italiani, non essendo possibile ch'essi accettino quella prima frase che si presenta naturalmente e
da sé a chi vuole esprimere un sentimento *(perdono l’impulso primario alla naturalezza e riflettono
eccessivamente). E però le grazie naturali sono affatto sbandite dal loro stile, anzi è curioso il vedere
quello ch'essi chiamino naturalezza e semplicità, come p.e. in La Fontaine *(che sembra solo
naturale, ma in realtà è estremamente artificioso) tanto decantato per queste doti. In luogo delle grazie
naturali il loro stile è tutto composto delle grazie di società e di conversazione, e quando queste sono
conseguite essi chiamano il loro stile, semplice, come fanno sempre anche astratto quando
paragonano lo stil francese all'italiano p.e. o al latino ec. parte avuto riguardo alla collocazione
materiale delle parole e alla costruzione del periodo, e divisione del discorso ec. paragonata con quella
delle altre lingue, parte alla mancanza delle ampollosità delle gonfiezze, delle figure troppo evidenti,
dei giri e rigiri per dire una stessa cosa ec. ec. che si trovano nei cattivi stili delle altre lingue, e che
nel francese sono affatto straordinari e sarebbero fischiati. E questa chiamano purezza di gusto, ed
hanno ragione da un lato, ma dall'altro non conoscono quella semplicità così intrinseca come
estrinseca dello stile che non ha niente di comune coll'eleganza la politezza la tournure5 la raffinatezza
il limato il ricercato della conversazione, ma sta tutta nella natura, nella pura espressione de'
sentimenti che è presentata dalla cosa stessa *(ricordare l’altra passo che parla della musica che
esprime direttamente il sentimento, immediatezza impossibile per il linguaggio) , e che riceve novità
e grazia piuttosto dalla cosa, se ne ha, che da se medesima e dal lavoro dello scrittore, quella
schiettezza di frase le cui grazie sono ingenite e non ascitizie, quel modo di parlare che non viene

4
La mente naturale si rivolge agli epigrammi piuttosto che alla poesia.
5
Costruzione.
93
dall'abitudine della conversazione e che par naturale solamente a chi vi è accostumato (cioè ai francesi
e agli altri nutriti sempre di cose francesi) ma dalla natura universale, e dalla stessa materia, quello
insomma ch'era proprio dei greci, e con una certa proporzione, de' latini, e degl'italiani, *(qui
avviene la congiunzione tra Senofonte, Erodoto ecc modello di quella naturalezza che Leopardi
ritiene intraducibile in francese) di Senofonte di Erodoto de' trecentisti ec. i quali sono intraducibili
nella lingua francese […] E basta anche notare come le traduzioni e lo stile d'Amyot *(Leopardi era
dottissimo in fatto di traduzioni francese, specie dei classici greci e qui polemizza contro d'Amyot e
la sua incapacità di tradurre efficacemente) veramente semplicissimo (e non però suo proprio ma
similissimo a quello de' suoi originali, e tra le lingue moderne, all'italiano) si allontanino dall'indole
della presente lingua francese, non solo quanto alle parole e ai modi antiquati, ma principalmente
nelle forme sostanziali, e nell'insieme dello stile, che ora di francese non può avere altro che il nome,
e che sarebbe chiamato barbaro in un moderno, levato anche ogni vestigio d'arcaismo. E scommetto
ch'egli riesce più facile a intendere agl'italiani, che ai francesi non dotti, massime nelle lingue
classiche. *(assieme a d'Amyot citerà successivamente Montaigne che ritiene ancora pre-accademia
e quindi ancora modelli positivi che mostrano una certa regolarità naturale).

Il passo successivo è una riflessione sulla poliglossia, ossia sulla conoscenza di più lingue:
“[…] Il posseder più lingue dona una certa maggior facilità e chiarezza di pensare seco stesso *(dona
una maggiore chiarezza. Questo è connesso con la poetica dell’indefinito per contrapposizione, ma
può essere anche interpretato nell’ambito di quelle contraddizioni da cii è attraversata tutta la poetica
leopardiana. Un modello di questa chiarezza confusa può essere The Rime of the Ancient Mariner di
Coleridge), perché noi pensiamo parlando *(siamo già ad uno stadio superiore del pensiero che si
dà attraverso la parola, siccome, per Leopardi, non c’è pensiero senza parola). Ora nessuna lingua ha
forse tante parole e modi da corrispondere ed esprimere tutti gl'infiniti particolari del pensiero
*(nessuna lingua comprende totalmente ciò che si può esprimere). Il posseder più lingue e il potere,
perciò, esprimere in una quello che non si può in un'altra, o almeno così acconciamente, o brevemente,
o che non ci viene così tosto trovato da esprimere in un'altra lingua, ci dà una maggior facilità
*(accezione sempre positiva) di spiegarci seco noi e d'intenderci noi medesimi, applicando la parola
all'idea che senza questa applicazione rimarrebbe molto confusa *(qui confusa ha un’accezione
negativa, ma non è sempre così) nella nostra mente. Trovata la parola in qualunque lingua, siccome
ne sappiamo il significato chiaro e già noto per l'uso altrui, così la nostra idea ne prende chiarezza e
stabilità e consistenza *(la nostra mente va alla ricerca del lemma perfetto che esprima
immediatamente il pensiero) e ci rimane ben definita e fissa nella mente, e ben determinata e
circoscritta *(spesso nella sua poetica hanno n significato negativo, ma qui intende esattamente il

94
contrario). Cosa ch'io ho provato molte volte, e si vede in questi stessi pensieri scritti a penna
corrente, *(importantissima e prima definizione del suo Zibaldone come ‘pensieri’. L’unica
definizione di stile che abbiamo dello Zibaldone. Quanto spontanea e immediata è la scrittura dello
Zibaldone? Cosa significa a penna corrente? E come si interpreta in riferimento alle numerose
stesure? Luigi Blasucci sostiene che si riferisca al fatto che lo Zibaldone viene scritto velocemente,
ma D’Intino ha trovato indicazioni del contrario, quindi si potrebbe concludere che ‘a penna corrente’
significhi con un lessico familiare) dove ho fissato le mie idee con parole greche francesi latine,
secondo che mi rispondevano più precisamente alla cosa, e mi venivano più presto *(indica il fatto
che per necessità di non farsi sfuggire le parole e i pensieri va di fretta e non si preoccupa dello stile)
trovate. Perché un'idea senza parola o modo di esprimerla, ci sfugge, *(sta passando alla teoria
generale) o ci erra nel pensiero come indefinita e mal nota a noi medesimi che l'abbiamo concepita
*(un’idea che non ha trovato corpo è qualcosa che noi stessi non concepiamo e qui abbiamo il punto
d’intersezione tra la teoria della chiarezza argomentativa e la teoria dell’indefinito poetico, in questo
senso ci si riallaccia a quel discorso sull’inconscio e il legame con il poetico. Tutta la terminologia
che applica ci informa che l’indefinito è il nutrimento del poetico. Quindi cos’è il poetico? È
qualcosa che è giunto a chiarezza, ma che non dimentica il precedente stadio di confusione e
ondeggiamento). Colla parola prende corpo, e quasi forma visibile, e sensibile, e circoscritta.
*(quest’idea indefinita. Ciò che nel discorso argomentativo deve essere circoscritto, nel poetico non
va bene. Leopardi non lo sta dicendo direttamente, ma si avverte il significato positivo di
quell’indefinito) […]”.

Pensiero successivo sempre nella stessa pagina sul tema del vigore:
“[…] In proposito di quello che ho detto p.76. e segg. In questi pensieri si può osservare che quando
noi per qualche circostanza ci troviamo in istato di straordinario e passeggero vigore, come avendo
fatto uso di liquori che esaltino le forze del corpo senza però turbar la ragione, *(questa
precisazione fa somigliare il pensiero a quello sul caso) ci sentiamo proclivissimi all'entusiasmo, né
però questo entusiasmo ha nulla di malinconico, ma è tutto sublime nel lieto, *(parola molto
importante) anzi le idee dolorose, ed una soave mestizia e la pietà non trova luogo allora nel cuor
nostro o almeno non son questi i sentimenti ch'ei preferisce, ma il vigore che proviamo dà un risalto
straordinario alle nostre idee, ed abbellisce e sublima ogni oggetto agli occhi nostri, e quello è il
tempo di sentir gli stimoli della gloria, dell'amor patrio, dei sacrifizi generosi (ma considerati come
bene non come sventura) e delle altre passioni antiche. Quindi possiamo congetturare quale dovesse
essere ordinariamente l'entusiasmo degli antichi *(il vino, l’ebbrezza ecc.) che si trovavano
incontrastabilmente in uno stato di vigor fisico abituale *(attraverso gli stessi espedienti degli antichi

95
anche i moderni possono accedere a quello stato di entusiasmo che però viene prodotto
artificialmente) , superiore al nostro ordinario; il quale *(si riferisce all’entusiasmo degli antichi)
quanto noceva e nuoce alla ragione, tanto favorisce l'immaginazione, e i sentimenti focosi gagliardi
ed alti. Colla differenza che noi avvezzi nel corso della nostra vita a compiacerci, al contrario degli
antichi, nelle idee dolorose,*(stessa idea del pensiero precedente su Madame de Staël) anche in quel
vigore, sentendoci delle spinte al sentimento, ci potremo compiacere molto più facilmente che non
faceano gli antichi di qualcuna di queste tali idee, quantunque non cercata allora di preferenza
*(anche se noi torciamo l’entusiasmo verso idee vigorose e ce ne compiacciamo, la spinta
dell’ebrezza elettrizza le idee dolorose e malinconiche). Ma osservo che in quei momenti anche le
idee malinconiche *(dei moderni) ci si presentano come un aria di festa che la felicità non ci pare
un'illusione, *(quando le idee malinconiche dei moderni sono concepite attraverso l’entusiasmo
dell’ebrezza hanno un che di festa) anzi ancora le dette idee ci si offrono come conducenti alla felicità,
e la sventura come un bene sublime che ci fa palpitar e d'entusiasmo e di speranza, e sentiamo una
gran confidenza in noi stessi e nella fortuna e nella natura, quando anche ella non sia nel nostro
carattere, o nell'abitudine contratta colla sperienza *(fatto sempre negativo che ostacola la speranza)
della vita. […]” *(i moderni non riescono mai ad abbandonare le idee malinconiche, ma eccitati
dall’atmosfera di festa riescono a infonderle di entusiasmo. I moderni hanno imparato a far convivere
questi due sentimenti, mentre per gli antichi sussisteva solo entusiasmo e naturalezza).

Passo immediatamente successivo:


“[…] Una delle cose più dispiacevoli, è il sentir parlare di un soggetto che ci interessi, senza
potervi interloquire *(questa frase ricorda un episodio delle Confessioni di Rousseau in cui egli,
domestico presso una famiglia aristocratica, ascolta i padroni parlare a tavola di un argomento di cui
non sanno nulla per giunta dicendo sciocchezze. Vorrebbe intervenire per correggerli, ma non può a
causa della sua condizione servile. D’Intino ha messo in relazione questa frase zibaldoniana con
l’episodio rousseauiano in un saggio dal titolo La monofagia del moderno egoista che si può trovare
su Academia.edu. riguarda il concetto di schiavitù in contrapposizione alla vita attiva).
E molto più se ne parlano a sproposito, o ignorando una circostanza un fatto ec. che noi potremmo
narrar loro, o in contraddizione coi nostri sentimenti, in maniera che vengano a concludere il contrario
di quello che noi stimiamo o sappiamo. Il che è penoso anche quando la cosa non ci riguardi in nessun
modo personalmente, né anche ci interessi. Ma soprattutto s'ella ci riguarda o interessa, è veramente
opera da uomo riflessivo lo schivare questi tali discorsi in presenza p.e. di domestici *(qui leopardi
si mette dal punto di vista del padrone) che non vi potrebbero metter bocca, o di altri inferiori, i quali
sentendo toccare il tasto che è loro a cuore, senza potervi avere nessuna parte attiva, ne proverebbero

96
molta pena, attaccandosi come farebbero interamente e con grande studio alla passiva di ascoltare,
non ostante l'inquietudine che sfuggirebbero rinunziando anche a questa parte, il che però non ci è
possibile. *(è un filo che scopre tutti i rapporti tra padrone e servo che attraversano tutto lo Zibaldone.
Da un lato, Leopardi, assume la prospettiva del padrone, in quanto questo è il suo ruolo nella realtà,
dall’altro indaga i sentimenti del servo, e proprio questa indagine lo collega a Rousseau di cui
bisognerebbe capire cosa a letto nei Penseès e se ci sono delle occorrenze in merito al tema servo-
padrone. Probabilmente vi sono alcuni luoghi testuali della Nouvelle Heloise che parlano di questo
argomento. Ad ogni modo è un importantissimo tema rousseauiano, ma sarebbe troppo complicato
analizzarlo in questa sede) […]”

Zona dello Zibaldone che ha molte intersezioni con la psicologia:


“[…] Si suol dire che per ottenere qualche grazia è opportuno il tempo dell'allegrezza di colui che si
prega. E quando questa grazia si possa far sul momento, o non costi impegno ed opera al supplicato,
convengo anch'io in questa opinione. Ma per interessar chicchessia in vostro favore, ed impegnarlo a
prendersi qualche benchè piccola premura di un vostro affare, non c'è tempo più assolutamente
inopportuno di quello della gioia viva. Ogni volta che l'uomo è occupato da qualche passion forte, è
incapace di pensare ad altro, ogni volta che o la sua propria infelicità o la sua propria fortuna
l'interessano vivamente, e lo riempiono, è incapace di pigliar premura de' negozi delle infelicità dei
desideri altrui. Nei momenti di gioia viva o di dolor vivo l'uomo non è suscettibile né di compassione,
né d'interesse per gli altri, nel dolore perché il suo male l'occupa più dell'altrui, nella gioia perché il
suo bene l'inebbria, e gli leva il gusto e la forza di occuparsi in verun altro pensiero. E massimamente
la compassione è incompatibile col suo stato quando egli o è tutto pieno della pietà di sé stesso, o
prova un'esaltazione di contento che gli dipinge a festa tutti gli oggetti e gli fa considerar la sventura
come un'illusione, per lo meno odiarla come cosa alienissima da quello che lo anima e lo riempie
tutto in quel punto. Solamente gli stati di mezzo *(torniamo a quella teoria dello stato mediano che
attraversa tutto lo Zibaldone e che ora sappiamo essere un cardine fondamentale di tutta la poetica
leopardiana), sono opportuni all'interesse per le cose altrui, o anche un certo stato di entusiasmo senza
origine e senza scopo reale, che gli faccia abbracciar con piacere l'occasione di operare dirittamente,
di beneficare, di sostituir l'azione all'inazione, *(si tratta di uno stato d’esaltazione generico che non
oscura completamente la ragione, ancora uno stato mediano) di dare un corpo ai suoi sentimenti, e di
rivolgere alla realtà quell'impeto di entusiasmo virtuoso, magnanimo generoso ec. che si aggirava
intorno all'astratto e all'indefinito. Ma quando il nostro animo è già occupato dalla realtà, ossia da
quell'apparenza che noi riguardiamo come realtà, il rivolgerlo ad un altro scopo, è impresa
difficilissima e quello è il tempo più inopportuno di sollecitar l'interesse altrui per la vostra causa,

97
quand'esso è già tutto per la propria, e lo staccarnelo riuscirebbe penosissimo al supplicato *(c’è la
definizione di uno stato indefinito di pre energia, uno stato potenziale, in cui il soggetto viene spinto
a far qualcosa, ma ancora non sa cosa. Non sa come indirizzare quell’energia. In questo senso sembra
essre un pensiero parallelo a quanto abbiamo detto circa il poetico e l’indefinito. Da questo punto di
vista il virtuoso, il sacrificarsi, l’uscire da sé in maniera benefica verso l’altro, coinciderebbe con uno
stato poetico, con un’esaltazione delle forze che ancora non si è indirizzata verso uno scopo
circoscritto. Torniamo sempre sul contrasto tra l’essere in potenza e l’essere in atto, di cui il primo
stadio sappiamo essere quello positivo per Leopardi poiché appunto non ha esaurito le proprie
potenzialità, può ancora tutto). Molto più se la gioia sia di quelle rare che occorrono nella vita
pochissime volte, e che ci pongono quasi in uno stato di pazzia, sarebbe da stolto il farsi allora avanti
a quel tale, ed esponendogli con qualsivoglia eloquenza i propri bisogni e le proprie miserie, sperare
di distorlo dal pensiero ch'è padrone dell'animo suo, e che gli è sì caro, e quel ch'è più, condurlo ad
operare o a risolvere efficacemente d'operare per un fine alieno da quel pensiero, al quale egli è così
intento anche in udirvi, che appena vi ascolta, e se vi ascolta, cerca di abbreviare il discorso, di ridur
tutto in compendio, (per poi dimenticarlo affatto) ed ogni suo desiderio è rivolto al momento in cui
avrete finito, e lo lascerete pascere di quel pensiero che lo signoreggia, ed anche parlarvene, e
rivolgere immediatamente la conversazione sopra quel soggetto. *(qui occorre osservare l’acuta
analisi psicologica di Leopardi nel rapport con gli altri) […]”

Pensiero che riguarda la compassione e gemello rispetto a quello che abbiamo appena analizzato:
“[…] Ma non c'è uomo da cui tu possa sperar meno che da chi si ritrova presentemente nella stessa
calamità o nelle stesse circostanze tue. L'interesse ch'egli prova per sé, soffoca tutto quello che
potrebbe ispirargli il caso tuo *(la compassione è un’energia, una spinta, che potrebbe essere
paragonata a un seme sempre rispetto quell’immaginario agricolo frequentissimo nello Zibaldone. Se
questo seme viene seminato nel terreno altrui, non ha spazio per fruttificare nel nostro, mentre se il
terreno altrui è arido, la pianta della compassione attecchisce meglio nel nostro. Dunque, siamo
ancora sulla questione di dove indirizzare quell’energia. Viene assorbita dall’io o si sparge verso altre
direzioni? Siamo sempre nello stesso ordine del pensiero precedente. L’io prevale).
Ad ogni circostanza, ad ogni minuzia del tuo racconto, egli si rivolge sopra di sé, e le considera
applicandole alla sua persona *(quest’energia viene sempre ricondotta su di sé). Lo vedrai
commosso, crederai che senta pietà di te, ma la sente di sé stesso unicamente. T'interromperà
*(ecco qui siamo in quell’ambito della dialogicità in cui l’autore irrompe con la sua voce) ad ogni
tratto con dirti: appunto ancor io: oh per l'appunto se sapessi quello ch'io provo: questo è propriamente
il caso mio. *(l’altro prende il materiale che tu gli offri per auto compatirsi siccome ha lo stesso

98
problema) Fa al proposito l'esempio d'Achille piangente i suoi mali mentre ha Priamo a' suoi
ginocchi *(questa è una delle zone dell’Iliade più amate e più lette da Leoperdi ovvero il dialogo tra
Priamo e Achille). Si proverà anche d'estenuare la tua miseria, il tuo bisogno, la ragionevolezza de'
tuoi desideri, per ingrandire quello che lo riguarda*(qui segue un vero e proprio dialogo): Va bene,
ma abbi pazienza, tu hai pure questo tal conforto: io all'opposto, e così discorrendo. In somma *(è
un segno di fastidio) sarà sempre impossibile di rivolger l'interesse vivo e presente *(termini
dall’Infinito: e la presente, E viva, e il suon di lei) che uno ha per sé, sopra i negozi altrui, (parlo
anche, serbata una certa proporzione, degli uomini di cuore e d'entusiasmo) e quando l'uomo è
occupato interamente del suo dolore, (o anche della sua gioia e di qualunque passion viva) indurlo ad
interessarsi per quello d'un altro, massimamente se sia della stessa specie *(c’è qualcosa di zoologico
in questo appunto che fa pensare alla convivenza di due specie sullo stesso terreno. Ricordate che lui
ha assordito completamente Georges-Louis Leclerc de Buffon e questa influenza si noterà soprattutto
nel tardo Zibaldone).
Sarà sempre impossibile attaccar l'egoismo così di fronte, quando anche da lato è così difficile a
spetrare. E soprattutto trattandosi di azione non isperar mai nulla da un giovane che come te si trovi
disgustato della vita domestica, e come te senta il bisogno di proccurarsi i mezzi di troncarla, da un
militare disgraziato come te, o che corra collo stesso impegno e colla stessa vivezza di desiderio agli
onori, *(i casi che pone ad es. soni molto specifici e rimandano all’idea di competizione) da un
malato che sia tutto occupato ed afflitto da una malattia simile alla tua *(c’è una competizione sullo
stesso terreno e quando questi due esseri hanno bisogno dello stesso nutrimento non si darà mai il
caso che si mettano l’uno nei panni dell’altro, non ci sarà spazio per la compassione. Leopardi sta
approntando un’analisi psicologica acutissima in merito alla competizione) ec. ec. Pare un assurdo,
e pure è esattamente vero che tutto il reale essendo un nulla, non v'è altro di reale né altro di
sostanza al mondo che le illusioni. *(quest’ultima è una frase dal taglio aforistico e riassume quanto
detto in precedenza con una forza epigrammatica spaventosa) […]”

Pag. 100. Ci stiamo avvicinando alla data fatidica della prima datazione dello Zibaldone. Questo
pensiero riguarda il lasciar pensare lo spettatore che è una caratteristica tipica del poetico. Ritorniamo
su quella poetica dell’indefinito che in quanto tale lascia spazio allo spettatore per pensare:
“[…] È cosa osservata degli antichi poeti ed artefici, massimamente greci, che solevano lasciar da
pensare allo spettatore o uditore più di quello ch'esprimessero. (V. p.86-87. di questi pensieri) E
quanto alla cagione di ciò, non è altra che la loro semplicità e naturalezza *(quella mancanza di
artificiosità che compie, che finisce), per cui non andavano come i moderni *(qui possiamo leggere
anche ‘romantici’) dietro alle minuzie della cosa *(questo lo abbiamo chiamato come il ‘complesso

99
di Ovidio’), dimostrando evidentemente lo studio dello scrittore, che non parla o descrive la cosa
come la natura stessa la presenta, ma va sottilizzando, notando le circostanze, sminuzzando e
allungando la descrizione per desiderio di fare effetto *(queste sono appunto le minuzie di Ovidio) ,
cosa che scuopre il proposito *(cioè ci fa vedere lo scopo dello scrittore), distrugge la naturale
disinvoltura e negligenza, manifesta l'arte e l'affettazione, ed introduce nella poesia a parlare più il
poeta che la cosa *(questo è uno degli elementi tipici del ‘900 che Leopardi non avrebbe approvato).
Del che v. il mio discorso sopra i romantici *(abbiamo la conferma che quando parla dei ‘moderni’
sta parlando dei ‘romantici’), e vari di questi pensieri. Ma tra gli effetti di questo costume, dico effetti
e non cagioni, giacché gli antichi non pensavano certamente a questo effetto, e non erano portati se
non dalla causa che ho detto, è notabilissimo quello del rendere l'impressione della poesia o dell'arte
bella, infinita, laddove quella de' moderni è finita. Perché descrivendo con pochi colpi, e mostrando
poche parti dell'oggetto, lasciavano l'immaginazione errare nel vago e indeterminato di quelle
idee fanciullesche *(ecco il poetico), che nascono dall'ignoranza dell'intiero *(il pensiero non
ancora incorporato in una parola è come un pensiero ‘fanciullo’ e dunque un pensiero poetico, quando
si incorpora in maniera definita diviene un pensiero adulto. Dunque, la poesia può essere definita un
pensiero fanciullo incorporato il cui linguaggio mantiene l’informe e l’indefinito della dimensione
fanciullesca. Questo, ad esempio, è quello che ritiene Andrea Zanzotto6: che laddove, nella lingua,
non c’è una dimensione preformata, preordinata e quindi fanciullesca, non c’è poesia). Ed una scena
campestre p.e. dipinta dal poeta antico in pochi tratti, e senza dirò così, il suo orizzonte, *(attenzione
a questi termini perché siamo dentro l’Infinito: dell’ultimo orizzonte che il guardo esclude) destava
nella fantasia quel divino ondeggiamento *(di nuovo termini dall’Infinto, in particolare dal finale:
s'annega il pensier mio, E il naufragar m'è dolce in questo mare) d'idee confuse, e brillanti di un
indefinibile romanzesco, e di quella eccessivamente cara e soave stravaganza *(Leopardi la
riferisce alle propri Canzoni) e maraviglia, che ci solea rendere estatici nella nostra fanciullezza
(elementi dell’antico). Dove che i moderni, determinando ogni oggetto, e mostrandone tutti i confini,
son privi quasi affatto di questa emozione infinita, e invece non destano se non quella finita e
circoscritta, che nasce dalla cognizione dell'oggetto intiero, e non ha nulla di stravagante, ma è
propria dell'età matura, che è priva di quegl'inesprimibili diletti della vaga immaginazione provati
nella fanciullezza. *(se noi teniamo presente l’Infinito, che qui è richiamato con alcuni termini
domandiamoci: qual è la posizione del soggetto nell’Infinito? Non è né quella del romantico moderno
che osserva e descrive gli oggetti nella limitatezza del suo orizzonte, ma non è nemmeno quella
dell’antico che non ha un orizzonte. L’immaginazione si scatena non nelle cose che vengono viste,
ma al di là di quel limite. L’Infinito descrive una situazione intermedia: dapprima il soggetto si

6
Andrea Zanzotto (Pieve di Soligo, 10 ottobre 1921 – Conegliano, 18 ottobre 2011).
100
spinge oltre attraverso quell’ondeggiamento, perdendo però il riferimento alle cose. L’allontanamento
dalla realtà è tale che sopraggiunge lo sgomento, la paura e quindi l’incapacità di afferrare. Quando
la realtà si reintroduce attraverso il suono del vento ecc. e si danno tutti quegli elementi percepiti al
di là della siepe, viene riprodotto quest’atteggiamento antico che vede l’infinito nel finito. Questo è
Omero secondo cui negli oggetti finiti si riesce a scorgere una dimensione potenziale, fanciullesca,
ma non nell’astrazione, ma appunto nel finito, nelle cose sensibili. Non possono essere cose che sono
al di là della siepe, ma devono essere al di qua) […]”

25/11/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 23


Siamo a pag. 101 dello Zibaldone e alla prima datazione:
“[…] La cagione per cui gli uomini di gusto e di sentimento provano una sensazione dolorosa nelle
leggere p.e. le continuazioni o le imitazioni dove si contraffanno le bellezze gli stili ec. delle opere
classiche, (v. quello che dice il Foscolo *(prima citazione di Foscolo all’interno dell’opera) della
continuazione del Viaggio di Sterne) è che queste in certo modo avviliscono presso noi stessi l'idea
di quelle opere, per cui ci eravamo sentiti così affettuosi, e verso cui proviamo una specie di tenerezza.
Il vederle così imitate e spesso con poca diversità, e tuttavia in modo ridicolo, ci fa quasi dubitare
della ragionevolezza della nostra ammirazione per quei grandi originali, ce la fa quasi parere
un'illusione, ci dipinge come facili triviali e comuni quelle doti che ci aveano destato tanto
entusiasmo, cosa acerbissima di vedersi quasi in procinto di dover rinunziare all'idolo della nostra
fantasia, e rapire in certo modo, e denudare, e avvilire agli occhi nostri l'oggetto del nostro amore e
della nostra venerazione ed ammirazione. Perché in ogni sentimento dolce e sublime entra sempre
l'illusione, ch'è il più acerbo dolore il vedersi togliere e svelare. Perciò quelle tali imitazioni ci
sarebbero gravi quando anche gareggiassero cogli originali, togliendoci l'inganno di quell'unico e
impareggiabile che forma il caro prestigio dell'amore e della maraviglia. Nella stessa guisa che ci
riesce dolorosissimo il vedere o porre in ridicolo, o travisare, o imitare gli oggetti de' nostri sentimenti
del cuore; (v. Staël Corinne liv. Penult. ch. [6.] p. [328.] ediz. quinta di Parigi) cosa che ci fa o dubitare
o certificare della loro vanità reale, e della nostra illusione, e ci strappa a quei soavi inganni che
costituiscono la nostra vita: ne c'è cosa che abbia questa forza più della precisa imitazione o
somiglianza di un altro oggetto che non possiamo pregiare né amare (sia per qualche grado di
inferiorità reale, di ridicolo, di travisamento ec. sia anche quando la somiglianza non abbia niente o
poco d'inferiore) con quello che pregiamo ed amiamo, e che occupa il cuore e l'immaginazione nostra
in modo che ne siamo gelosissimi e paurosi, e cerchiamo in tutti i modi di custodirlo. (8. Gen. 1820.)
[…]”

101
Altro esempio a pag. 102 di penetrazione psicologia, in particolare riguardo alla psicologia dell’età:
“[…] È pure un tristo frutto della società e dell'incivilimento umano anche quell'essere precisamente
informato dell'età propria e de' nostri cari, e quel sapere con precisione che di qui a tanti anni finirà
necessariamente la mia o la loro giovinezza ec. ec. invecchierò necessariamente o invecchieranno,
morrò senza fallo o morranno, perché la vita umana non potendosi estendere più di tanto, e sapendo
formalmente la loro età o la mia io veggo chiaro che dentro un definito tempo essi o io non potremo
più viver goder della giovinezza ec. ec. *(qui abbiamo la geometrizzazione del mondo che ci dà una
maggiore facilità psicologica di percepire il limite. Calcolando il limite sopraggiunge l’angoscia,
mentre non conoscendo la propria età causa gioia e fa vivere nel presente. Qui cerca di rientrare nei
panno di uno stato umano arcaico che non ragionava in termini moderni: la modernità è il centro delle
sue riflessioni) Facciamoci un'idea dell'ignoranza della propria età precisa ch'è naturale, e si trova
ancora comunemente nelle genti di campagna,*(lui capisce bene che l’antica esiste ancora:
contemporaneità del non contemporaneo concetto ipotizzato da Block (?) a seconda delle zone del
mondo ci sono persone che non vivono nella stessa era storica) e vedremo quanto ella tolga a tutti i
mali ordinari e certi *(che accadono certamente) che il tempo reca alla nostra vita, mancando la
previdenza sicura che determina *(siamo nel cuore delle poetica dell’indefinito, infatti l’ignoranza
della propria età corrisponde al poetico) il male *(la caduta, la conoscenza) e lo anticipa
smisuratamente, rendendoci avvisati del quando dovranno finire indubitatamente questi e quei
vantaggi della tale e tale età di cui godo ec. Tolta la quale l'idea confusa *(qui in accezione positiva)
del nostro inevitabile decadimento e fine, non ha tanta forza di attristarci, né di dileguare le illusioni
che d'età in età ci consolano *(qui è l’apparir del vero). Ed osserviamo quanto sia terribile in un
vecchio p.e. d'80. anni, *(fa un esempio molto preciso) quel sapere determinatamente che dentro 10.
anni al più *(arrivando a 90 anni) egli sarà sicuramente *(significa senza eccezione) estinto, cosa
che ravvicina la sua condizione a quella di un condannato, *(la documentalità uccide la possibilità
di fugare la morte, mentre l’ignoranza, l’antico permette l’illusione. Ora a livello filosofico si pone il
problema del fatto che siamo sempre rintracciabili e ci si pone il problema dell’oblio cui abbiamo
diritto, ma che nella nostra era non è possibile. La questione del tracciare ogni singolo aspetto della
nostra vita è una questione che si pone ora, ma non prima. Leopardi ha intuito il pericolo di questa
documentalità e avverte che ci renderà impossibile la vita siccome ne conosceremo la fine) e toglie
infinitamente a quel gran benefizio della natura d'averci nascosto l'ora precisa della nostra morte
*(che veduta con precisione basterebbe per istupidire di spavento, *(è un concentrato di orrore per
Leopardi. Può essere anche rigenerante, ma essendoci ‘spavento’ ha una connotazione negativa) e
scoraggiare tutta la nostra vita *(pensiero estremamente profondo applicabile anche all’ambito
percettivo del tema dell’anticipazione. Leggere il saggio di Leopardi e Montaigne Il funambolo sul

102
precipizio: il problema riguardo il fatto che conoscendo l’abisso che il funambolo ha sotto i piedi non
riesce a vincerlo, mentre ignorandolo può superarlo. Il paragone è istituito tra animali e umani: i primi
non percepiscono la morte, mentre i secondi non possono mancare di percepirla. Il confronto è tra chi
sa tutto della propria età e un condannato a morte (Blade Runner) […]”

Pensiero immediatamente successivo:


Ci sono tre maniere di vedere le cose. L'una e la più beata, *(per Leopardi corrisponde al massimo
della felicità) di quelli per li quali esse hanno anche più spirito che corpo, e voglio dire degli uomini
di genio e sensibili, *(cioè se steso nei momenti di felicità) ai quali non c'è cosa che non parli
all'immaginazione o al cuore, e che trovano da per tutto materia di sublimarsi e di sentire e di vivere,
e un rapporto continuo delle cose coll'infinito e coll'uomo, e una vita indefinibile e vaga, in somma
di quelli che considerano il tutto sotto un aspetto infinito e in relazione cogli slanci dell'animo loro.
*(qui sta parlando dell’uomo interamente poetico che vive d’immaginazione mettendo in relazione le
cose con sé stesso. Le cose non sono percepite intellettualmente, ma attraverso l’immaginazione)
L'altra e la più comune di quelli per cui le cose hanno corpo senza aver molto spirito, e voglio dire
degli uomini volgari *(che guardano tutto materialmente) (volgari sotto il rapporto
dell'immaginazione e del sentimento, e non riguardo a tutto il resto, p.e. alla scienza, alla politica ec.
ec.) che senza essere sublimati *(senza innalzarsi sopra la materia) da nessuna cosa, trovano però in
tutte una realtà, e le considerano quali elle appariscono, e sono stimate comunemente e in natura, e
secondo questo si regolano. Questa è la maniera naturale, e la più durevolmente felice, che senza
condurre a nessuna grandezza, e senza dar gran risalto al sentimento dell'esistenza, riempie *(verbo
sensibile) però la vita, di una pienezza non sentita, ma sempre uguale e uniforme, e conduce per una
strada piana e in relazione colle circostanze dalla nascita al sepolcro. La terza e la sola funesta e
miserabile, e tuttavia la sola vera, di quelli per cui le cose non hanno né spirito né corpo, ma son tutte
vane e senza sostanza, e voglio dire dei filosofi e degli uomini per lo più di sentimento che dopo
l'esperienza e la lugubre cognizione delle cose, dalla prima maniera passano di salto a quest'ultima
senza toccare la seconda, e trovano e sentono da per tutto il nulla e il vuoto, e la vanità delle cure
umane e dei desideri e delle speranze e di tutte le illusioni inerenti alla vita per modo che senza esse
non è vita. E qui voglio notare come la ragione umana di cui facciamo tanta pompa sopra gli altri
animali, e nel di cui perfezionamento facciamo consistere quello dell'uomo, sia miserabile e incapace
di farci non dico felici ma meno infelici, anzi di condurci alla stessa saviezza, che par tutta consistere
nell'uso intero della ragione. Perché chi si fissasse nella considerazione e nel sentimento continuo del
nulla verissimo e certissimo delle cose, in maniera che la successione e varietà degli oggetti e dei casi
non avesse forza di distorlo da questo pensiero, sarebbe pazzo assolutamente e per ciò solo, giacché

103
volendosi governare secondo questo incontrastabile principio ognuno vede quali sarebbero le sue
operazioni *(chi si affida alla pura cognizione delle ose sarebbe un pazzo). E pure è certissimo che
tutto quello che noi facciamo lo facciamo in forza di una distrazione e di una dimenticanza, la quale
è contraria direttamente alla ragione. E tuttavia quella sarebbe una verissima pazzia, ma la pazzia la
più ragionevole della terra, anzi la sola cosa ragionevole, e la sola intera e continua saviezza, dove
le altre non sono se non per intervalli. Da ciò si vede come la saviezza comunemente intesa *(sta
rovesciando il significato dei termini), e che possa giovare in questa vita, sia più vicina alla natura
che alla ragione, stando fra ambedue e non mai come si dice volgarmente con questa sola, e come
essa ragione pura e senza mescolanza, sia fonte immediata e per sua natura di assoluta e necessaria
pazzia […]” *(a questa altezza dello Zibaldone ha già letto il Werther. Lo stadio della felicità è quasi
sdoppiato, e il secondo modo di percepire sembra quello animale. Leopardi non ha mai distinto
nettamente tra ragione e immaginazione, ma qui gli uomini di sentimento e di genio, coloro che hanno
sviluppato capacità di astrazione in modo sublime e dunque mantengono un legame con l’infinito:
riescono a infinitizzare il mondo. Questa è la distinzione tra la prima e la seconda maniera di
percepire. I primi trasfigurano le cose, mentre i secondi vedono le cose per quel che sono, ma ad
anche i terzi. La differenza tra i secondi e i terzi è che i secondi vedono le cose a seconda della propria
utilità, senza farsi domande metafisiche. I terzi sono affini ai primi perché hanno sviluppato le
capacità metafisiche, trascendendo non sono più in rapporto con l’infinto e dunque sprofondano nella
conoscenza delle cose da un punto di vista metafisico. Leopardi recupera la possibilità di essere beati
per coloro che hanno passato lo stadio animale, che porta alla felicità, ma senza rendersene conto, è
una felicità inconsapevole. La felicità vera è di coloro che trascendono le cose, ma senza giungere al
nichilismo, ma giungendo ad un aspetto infinito e poetico: vedere il mondo poeticamente. Il gesto e
la parola e il trascendere (?))

Pag. 104
“[…] Dopo che l'eroismo è sparito dal mondo, e invece v'è entrato l'universale egoismo, amicizia vera
e capace di far sacrificare l'uno amico all'altro, in persone che ancora abbiano interessi e desideri, è
ben difficilissimo. E perciò quantunque si sia sempre detto che l'uguaglianza è l'una delle più certe
fautrici dell'amicizia, io trovo oggidì meno verisimile l'amicizia fra due giovani che fra un giovane, e
un uomo di sentimento già disingannato del mondo, e disperato della sua propria felicità. Questo non
avendo più desideri forti è capace assai più di un giovane d'unirsi ad uno che ancora ne abbia, e
concepire vivo ed efficace interesse per lui, formando così un'amicizia reale e solida quando l'altro
abbia anima da corrispondergli. E questa circostanza mi pare anche più favorevole all'amicizia, che
quella di due persone egualmente disingannate, perché non restando desideri né interessi in veruno,

104
non resterebbe materia all'amicizia e questa rimarrebbe limitata alle parole e ai sentimenti, ed esclusa
dall'azione. Applicate questa osservazione al caso mio col mio degno e singolare amico, e al non
averne trovato altro tale, quantunque conoscessi ed amassi e fossi amato da uomini d'ingegno e di
ottimo cuore. (20. Gen. 1820). *(il tema dell’amicizia è un tema cardine della classicità contrapposto
al moderno egoismo. Si intravede quella struttura vampiresca: il vecchio che infonde vita al giovane.
È una rivisitazione moderna della paideia socratica) […]”

“[…] E una delle gran cagioni del cangiamento nella natura del dolore antico messo col moderno, è
il Cristianesimo, che ha solennemente dichiarata e stabilita e per così dire attivata la massima della
certa infelicità e nullità della vita umana, laddove gli antichi come non dovevano considerarla come
cosa degna delle loro cure, se gli stessi Dei secondo la loro mitologia s'interessavano sì grandemente
alle cose umane per se stesse (e non in relazione a un avvenire), erano animati dalle stesse passioni
nostre, esercitavano particolarmente le nostre stesse arti (la musica, la poesia ec.), e in somma si
occupavano interamente delle stesse cose di cui noi ci occupiamo? *(il cristianesimo ha prodotto il
nichilismo siccome gli dèi sono in mondo separato e io nostro viene svalutato dalla loro assenza.
Quella del cristianesimo può essere considerata una trascendenza esterna al mondo e può essere
riscontrato come il terzo stadio di quella tripartizione di cui sopra) Non è però ch'io consideri
interamente il cristianesimo come cagion prima di questo cangiamento, potendo anzi esserne stato in
parte prodotto esso stesso (come opina Beniamino Constant in un articolo sui PP. della Chiesa riferito
nello Spettatore) ma solamente come propagatore principale di tale rivoluzione del cuore. […]”

Pag. 112 dello Zibaldone


Gesù Cristo fu il primo che personificasse e col nome di mondo circoscrivesse e definisse e stabilisse
l'idea del perpetuo nemico della virtù dell'innocenza dell'eroismo della sensibilità vera, d'ogni
singolarità dell'animo della vita e delle azioni, della natura in somma, che è quanto dire la società, e
così mettesse la moltitudine degli uomini fra i principali nemici dell'uomo, essendo pur troppo vero
che come l'individuo per natura è buono e felice, così la moltitudine (e l'individuo in essa) è malvagia
e infelice. (V. p.611. capoverso 1.) *(con Cristo nasce l’idea che il mondo è nemico. Le cose del
mondo non possono essere sublimate, ma la trascendenza è rimandata ad uno stadio altro e ad un altro
mondo. Questa è una teoria leopardiana quella della secolarizzazione e razionalizzazione alla Max
Weber).

Pag. 106

105
“[…] Per le grandi azioni che la maggior parte non possono provenire se non da illusione, non basta
ordinariamente l'inganno della fantasia come sarebbe quello di un filosofo, e come sono le illusioni
de' nostri giorni tanto scarsi di grandi fatti, ma si richiede l'inganno della ragione, come presso gli
antichi. E un grande esempio di questo è ciò che accade ora in Germania dove se qualcuno si sacrifica
per la libertà (come quel Sand uccisore di Cotzebue) non accade come potrebbe parere, per effetto
della semplice antica illusione di libertà, e d'amor patrio e grandezza di azioni, ma per le fanfaluche
mistiche di cui quegli studenti tedeschi hanno piena la testa, e ingombra la ragione come apparisce
dalle gazzette di questi giorni dove anche si recano le loro lettere piene di opinioni stravaganti e
ridicole, che fanno dell'amor della libertà una nuova religione, tutta nuovi misteri. (26. Marzo 1820.
e v. le Gaz. di Mil. del principio di questo mese.) […]”

Pag. 108
“[…] Vedi come la debolezza sia cosa amabilissima a questo mondo. Se tu vedi un fanciullo che ti
viene incontro con un passo traballante e con una cert'aria d'impotenza, tu ti senti intenerire da questa
vista, e innamorare di quel fanciullo. Se tu vedi una bella donna inferma e fievole, o se ti abbatti ad
esser testimonio a qualche sforzo inutile di qualunque donna, per la debolezza fisica del suo sesso, tu
ti sentirai commuovere, e sarai capace di prostrarti innanzi a quella debolezza e riconoscerla per
signora di te e della tua forza, e sottomettere e sacrificare tutto te stesso all'amore e alla difesa sua.
Cagione di questo effetto è la compassione, la quale io dico che è l'unica qualità e passione umana
che non abbia nessunissima mescolanza di amor proprio. L'unica, perché lo stesso sacrifizio di sé
all'eroismo alla patria alla virtù alla persona amata, e così qualunque altra azione la più eroica e più
disinteressata (e qualunque altro affetto il più puro) si fa sempre perché la mente nostra trova più
soddisfacente quel sacrifizio che qualunque guadagno in quella occasione. Ed ogni qualunque
operazione dell'animo nostro ha sempre la sua certa e inevitabile origine nell'egoismo, per quanto
questo sia purificato, e quella ne sembri lontana. Ma la compassione che nasce nell'animo nostro
alla vista di uno che soffre è un miracolo della natura *(c’è un solo scampo all’egoismo che è la
compassione) che in quel punto ci fa provare un sentimento affatto indipendente dal nostro vantaggio
o piacere, e tutto relativo agli altri, *(l’idea della debolezza altrui è l’unica condizione che scatena un
interesse per l’altro che è superiore all’interesse verso noi stessi) senza nessuna mescolanza di noi
medesimi. E perciò appunto gli uomini compassionevoli sono sì rari, e la pietà è posta, massimamente
in questi tempi, fra le qualità le più riguardevoli e distintive dell'uomo sensibile e virtuoso. Se già la
compassione non avesse qualche fondamento nel timore di provar noi medesimi un male simile a
quello che vediamo. (Perché l'amor proprio è sottilissimo, e s'insinua da per tutto, e si trova nascosto
ne' luoghi i più reconditi del nostro cuore, e che paiono più impenetrabili a questa passione). Ma tu

106
vedrai, considerando bene, che c'è una compassione spontanea, del tutto indipendente da questo
timore, e interamente rivolta al misero.

27/11/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 24


29/11/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 25
02/12/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 26

04/12/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 27


Pag. 147 – 149 dello Zibaldone appunto sui moderni viaggiatori da rivedere.
Pag. 149 appunto 1 e seguenti:
“[…] Ed ecco un'altra bella curiosità della filosofia moderna. Questa signora ha trattato l'amor patrio
d'illusione. Ha voluto che il mondo fosse tutta una patria, e l'amore fosse universale di tutti gli uomini:
(contro natura, e non ne può derivare nessun buono effetto, nessuna grandezza ec. L'amor di corpo, e
non l'amor degli uomini ha sempre cagionato le grandi azioni, anzi spessissimo a molti spiriti ristretti,
la patria come corpo troppo grande non ha fatto effetto, e perciò si sono scelti altri corpi, come sette,
ordini, città, provincie ec.) *(sta pensando all’epoca comunale italiana. Anche in questo caso la
patria è una via di mezzo fra corpo troppo piccole e corpo troppo grande. Questo pensiero spiega
alcuni fenomeni che i giornalisti si affannano a capire: è evidente che se promuovi concetti troppo
astratti allora ti trovi con Salvini. L’uomo ha bisogno di sentirsi parte di qualcosa, ma se gli obiettivi
sono difficili da raggiungere la soluzione è aderire a qualcosa di locale. Il ritorno al provincialismo
risponde al bisogno umano di aderire ad un organismo. È una critica della globalizzazione). L'effetto
è stato che in fatti l'amor di patria non c'è più, ma invece che tutti gl'individui del mondo
riconoscessero una patria, tutte le patrie si son divise in tante patrie quanti sono gl'individui, e la
riunione universale promossa dalla egregia filosofia *(probabilmente sarcastico) s'è convertita in una
separazione individuale. […]”
*(solito modo di procedere paradossale: più si allarga l’organismo cui l’uomo appartiene (questa
tendenza dell’uomo è fondamentale) meno efficace è l’effetto nel senso che porta all’effetto opposto
dal momento che l’organismo è talmente grande da divenire impercettibile per i sensi siccome troppo
generico. Qui, sebbene non lo chiami così, è sotteso il concetto di astratto. Quando si abolisce l’amor
di patria, tutto diviene un’astrazione. L’effetto paradossale di questo amore universale produce l’amor
proprio siccome la patria è un corpo troppo astratto).
(3. Luglio 1820.)

107
Quello che ho detto qui sopra dell'amore o spirito di corpo, deriva da questo. Tutti gli affetti umani
derivano dall'amor proprio conformato in diversissime guise. L'efficacia loro è tanto maggiore,
quanto derivano da un amor proprio più sensibile, e gli recano maggiore soddisfazione. Ora nello
spirito di corpo la soddisfazione dell'amor proprio è in ragione inversa della grandezza del circolo.
*(linguaggio scientifico e geometrizzante) Gli spiriti elevati *( a seconda del tipo di spirito i allarga
il circolo dell’amor proprio) sono suscettibili di un circolo più grande, ma se questo è smisurato, la
detta soddisfazione svanisce prima di arrivare alla periferia *(sta facendo un discorso davvero
geometrico, come se avesse una mappa sotto mano, qui il problema è l’uomo come animale
sensoriale) ch'è in tanta distanza dal centro, cioè l'individuo, come il suono, gli odori, i raggi
luminosi si estinguono a una certa distanza dal centro della sfera. *(l’organismo che contiene
l’umanità è talmente grande che il singolo individuo non riesce a identificarsi in questa sfera così
ampia)
(3. Luglio 1820.)

Quel che ho detto qui sopra non è l'ultima delle cagioni per cui il fervore del Cristianesimo *(quello
più efficace è il meno razionale ovvero il primo. Il fatto che il cristianesimo si sia razionalizzato
implica che non tocchi più la sfera delle illusioni e quindi è inefficace) s'indebolì colla dilatazione di
essa religione, di quella religione istessa, che (senza però condannare l'amor della patria, dimostrato
dallo stesso Cristo piangente sopra Gerusalemme) tuttavia ha per uno de' fondamenti l'amore
universale verso tutti gli uomini *(questo è l’elemento di astrazione del cristianesimo). E
contuttociò fintanto ch'ella fu come una setta *(aveva una circonferenza stretta), lo zelo e l'ardore per
sostenerla fu infinito ne' suoi seguaci. Quando divenne cosa comune, non fu più riguardato come
proprio quello ch'era di tutti, *(si è allontanato dall’amor proprio allargandosi) e lo spirito di corpo
essendosi dileguato per la sua grandezza, l'individuo non ci trovò più la soddisfazione sua particolare,
e il Cristianesimo illanguidì. *(il martirio è una forma di amor proprio)
Aggiungete che lo spirito di corpo ci porta a proccurare i vantaggi di esso corpo, e a compiacerci di
quelli che ha, perché l'individuo che gli appartiene resta con ciò distinto e superiore agli altri che
non gli appartengono *(tema della distinzione > filosofico e contemporaneo). L'amor di patria,
l'amor di setta, di fazione ec. vedete che è tutto fondato sopra l'ambizione, più o meno nascosta. Per
gli spiriti piccoli non è fatto l'amore della nazione, perché non arrivano a desiderare né a compiacersi
di sovrastare a persone così lontane e fuori della loro portata come sono i forestieri. L'amor poi
universale, manca affatto di questo fondamento dell'ambizione, che è la gran molla *(di nuovo un
paragone fisico) che renda operoso l'amor di corpo, e perciò resta naturalmente inefficace in quasi
tutti, non essendoci speranza di distinguersi dagli altri col mezzo dei vantaggi del suo corpo *(qui sta

108
parlando del tema delle tasse, dei vantaggi puramente materiali). E così spento quell'amore ch'è
utile per le ragioni sopraddette, quest'altro non gli subentra, *(l’amore per qualcosa di astratto non
sostituisce quello per le cose materiali) e se anche gli subentra resta inutile, non movendo *(quello
del muovere è un concetto fondamentale. Infatti, questo amore così astratto non muove all’azione e
questo spiega l’indifferenza verso ciò che non è il nostro amor proprio, l’unico che porta a muoverci)
efficacemente l'uomo a nessuna intrapresa. *(Leopardi sta parlando di meccanismi psichici e non di
politica)
(4. Luglio 1820.)

Anche nell'interiore quasi tutti gli uomini oggidì sono uguali nei principii nei costumi nel vizio
nell'egoismo ec. Sono tutti uguali e tutti separati, laddove anticamente erano tutti diversi e tutti
uniti, e perciò atti alle grandi cose, alle quali noi siamo inettissimi trovandoci tutti soli. E la stessa
nostra uguaglianza è (cosa curiosa) il motivo della nostra disunione, che nasce dall'universale
egoismo. (4. Luglio 1820.)
*(l’amor di corpo appartiene al mondo antico, l’uomo moderno l’ha dimenticato al prezzo di un
meccanismo che restringe in un circolo così piccolo (quello dell’io) che questo amor proprio, che non
si esercita al di fuori di noi, ci rende separati. Ciascuno ha una sua patria individuale. La nostra
uguaglianza, invece di unirci, ci divide perché si basa su un’astrazione e non su interessi corporei. Di
qui l’equivalenza tra capacità di astrazione e circolo piccolo della nostra testa e del nostro io. Non
facciamo corpo con niente se non con questa idea astratta all’interno della nostra mente. A questo
riguardo è bene ricordare due cineastici francesi degli anni della contestazione del ’68. Sono cresciuti
insieme ed entrambi di sinistra. Litigano e la rivista DoppioZero ha pubblicato una lettera in cui
Truffaut rompe con Godard (Link alla pagina web con le lettere
https://www.doppiozero.com/materiali/speciali/tu-sei-supercompetitivo-io-quasi-nulla) : il secondo è
un moralista che attacca tutti dall’alto della sua ideologia e della sua astrazione quando lui si fa
pesantemente gli affari suoi, mentre il primo denuncia questo individualismo e rimprovera il piano
dei rapporti umani di Godard che non dialoga con nessuno. Il suo corpo si è ristretto alla sua mente.
L’altro fatto riguarda la deriva razionalista nel protestantesimo. Questa deriva razionalizzante e
isolante è causa della lettura individuale della Bibbia e il fatto che il protestantesimo sia nato
nell’ambito del capitalismo. Il risultato è la creazione di testi letterari che rappresentano personaggi
religiosi e iper-razionali crudeli e chiusi all’interno della propria mente, che non sono più in contatto
con l’altro. Il protestantesimo abolisce la confessione che intende uscire fuori di sé, questa abolizione
è emblematica. Altro esempio. è il film Fanny e Alexander (Fanny och Alexander) del 1982 diretto
dal regista svedese Ingmar Bergman. Ne Il nastro bianco (Das weiße Band - Eine deutsche

109
Kindergeschichte) un film del 2009, diretto da Michael Haneke, c’è tutta questa atmosfera di
solitudine interiore che si trasforma in aggressività.)

L'amore universale toglie l'emulazione e la gara del suo corpo coll'altrui, la qual gara è la cagione
dell'accrescimento e dei vantaggi e pregi che gl'individui cercano di proccurare alla patria, al partito
ec. *(la competizione fra corpi, non fra spiriti) Gli uomini grandi sono suscettibili di una emulazione
grande, come con quelli delle altre nazioni. Gli uomini piccoli al contrario non sentono emulazione
se non coi cittadini de' paesi d'intorno, con quelli delle altre famiglie, coi suoi propri cittadini ec. ec.
ec. *(più si è piccoli di mente più si ha bisogno di una corporeità ristretta)
(4. Luglio 1820.)

Al levarsi da letto, parte pel vigore riacquistato col riposo, parte per la dimenticanza dei mali avuta
nel sonno, parte per una certa rinnuovazione *(termine centrale che corrisponde al risorgimento)
della vita, cagionata da quella specie d'interrompimento datole, tu ti senti ordinariamente *(questa
frase è stata interpolata successivamente. Questa aggiunta è importante e valuta positivamente
l’interruzione come forma di rinascita, di nuovo inizio. Sappiamo che per Leopardi l’inizio è qualcosa
che ancora non è corrotto. L’interruzione diventa un fatto positivo sebbene frustante. C’è dietro un
immaginario mitologico) o più lieto o meno tristo, di quando ti coricasti. Nella mia vita infelicissima
l'ora meno trista è quella del levarmi. *(quindi il momento del risveglio, dell’inizio) Le speranze e
le illusioni ripigliano per pochi momenti *(l’inizio dura poco e subito si arriva alla caduta. Questo
immaginario rimanda al ciclo stagionale dove l’inverno corrisponde all’interruzione. Secondo
D’Intino tutto Leopardi può essere interpretato attraverso il mito di Core) un certo corpo, ed io
chiamo quell'ora la gioventù della giornata *(è la poetica di A Silvia) per questa similitudine che ha
colla gioventù della vita. E anche riguardo alla stessa giornata, si suol sempre sperare di passarla
meglio della precedente. *(qui c’è in nuce il Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passegere
1832) E la sera che ti trovi fallito di questa speranza e disingannato, si può chiamare la vecchiezza
della giornata. (4. Luglio 1820.). V. p.193. capoverso 1.

L'ubbriachezza mette in fervore tutte le passioni, e rende l'uomo facile *(importantissima la nozione
di facilità) a tutte, all'ira, alla sensualità ec. massime alle dominanti in ciascheduno *(come nel passo
sugli antichi che assecondano le proprie passioni). Così proporzionatamente il vigore del corpo. È
famoso quello di S. Paolo, castigo corpus meum et in servitutem redigo. Infatti, in un corpo debole
non ha forza nessuna passione.

110
Altro è la forza altro la fecondità dell'immaginazione e l'una può stare senza l'altra. Forte era
l'immaginazione di Omero e di Dante *(può darsi vi siano delle sfasature e delle differenze rispetto
ai pensieri riguardo Omero e Dante), feconda quella di Ovidio e dell'Ariosto. Cosa che bisogna ben
distinguere quando si sente lodare un poeta o chicchessia per l'immaginazione. Quella *(ciò quella
forte) facilmente rende l'uomo infelice per la profondità delle sensazioni, questa *(quella fievole) al
contrario lo rallegra colla varietà e colla facilità di fermarsi sopra tutti gli oggetti e di abbandonarli,
e conseguentemente colla copia delle distrazioni.
*(La forza e la profondità vanno bene assieme, non è problematica la coppia, ma il fatto che Omero
renda infelice. Assieme a Omero e Dante viene in mente anche Tasso. Il fatto che Dante e Tasso
rendano infelici ci può stare, ma il fatto che lo faccia Omero è strano. C’è un elemento in Omero,
quello della sensibilità, che avvicina Omero alla sfera del pre-sentimentale. Anche se non riflette in
modo esplicito (quando parla delle generazioni di uomini e delle foglie) riflette in maniera
prefilosofica, senza esplicitazione. Dunque, Omero può rendere infelice per la malinconia che emana.
Nel penultimo canto dell’Iliade (il passo che segue la morte di Ettore e la supplica di Priamo. Quando
Leopardi pensa a Omero pensa solo all’Iliade siccome c’è meno pathos nell’Odissea. I luoghi del
pathos omerico fondamentali sono dell’Iliade sebbene ci siano dei passi anche dall’Odissea. C’è
moltissima riflessione sentimentale e filosofica.)
E ne seguono diversissimi caratteri. Il primo grave, passionato, ordinariamente (ai nostri tempi)
malinconico, *(in Omero il pathos è più immediato e antico) profondo nel sentimento e nelle
passioni, e tutto proprio a soffrir grandemente della vita. *(il primo carattere corrisponde a quello
omerico) L’altro scherzevole, leggiero, vagabondo, incostante nell'amore, bello spirito, incapace di
forti e durevoli passioni e dolori d'animo, facile a consolarsi anche nelle più grandi sventure
*(non c’è consolazione per Achille) ec. Riconoscete in questi due caratteri i verissimi ritratti di Dante
e di Ovidio, e vedete come la differenza della loro poesia corrisponda appuntino alla differenza
della vita. *(Leopardi parte sempre dalla vita, ci insegna ad essere banali. Bisogna partire dalle cose
vere e dopo c’è la letteratura).

Osservate ancora in che diverso modo Dante ed Ovidio sentissero e portassero il loro esilio. Così una
stessa facoltà dell'animo umano è madre di effetti contrari, secondo le sue qualità che quasi la
distinguono in due facoltà diverse *(Leopardi non ha una teoria dell’immaginazione).
L'immaginazione profonda *(quella dell’antico) non credo che sia molto adattata al coraggio,
*(uccide l’agire) rappresentando al vivo il pericolo, il dolore, ec. E tanto più al vivo della riflessione,
quanto questa racconta *(per cui è ancora adatta all’azione) e quella dipinge. *(quindi è più efficace)
E io credo che l'immaginazione degli uomini valorosi (che non debbono esserne privi, perché

111
l'entusiasmo è sempre compagno dell'immaginazione e deriva da lei) appartenga più all'altro genere.
(5. Luglio 1820.) *(produce un blocco dell’azione e va di pari passo con la paura che contrasta con il
coraggio che ha bisogno di incoscienza).

Tutti più o meno parlano e gestiscono da sé soli, ma principalmente gli uomini di grande
immaginazione, sempre facili a considerar l'immaginato come presente *(capacità di immaginare un
interlocutore: di presentificare le cose. In questo senso si parla di una “gestualità” dello Zibaldone.
Di questa categoria fanno parte gli antichi e i bambini)). Così l'Alfieri *(qui sta parlando della
capacità di parlare presentificando le cose. Nelle tragedie in particolare) nei pareri sulle sue tragedie,
racconta di questo suo costume, massime nei punti di passione o di calore. Il qual costume è proprio
più che mai de' fanciulli, dove l'immaginazione può molto più che negli uomini. (5. Luglio 1820.)

*(Qui sta teorizzando un’ipotesi linguistica dove l’errore diviene significativo) Io stimo che molte
parole antiche che si credono di diversissima origine, non sieno derivate da altro che da antichissimo
errore di scrittura, che le ha diversificate, mentre erano una sola. Mi porta a crederlo la somiglianza
materiale delle lettere o sia dei caratteri, e l'uniformità del significato. Per esempio, dasà vuol dire lo
stesso che lãsion, e il lambda L e il delta D sono due caratteri somigliantissimi, e facilissimi a esser
confusi nelle scritture. Io non posso pensare che queste due parole di uno stessissimo significato, e
uguali eccetto nella terminazione che non fa caso, e nella prima lettera di cui si disputa, non abbiano
che far niente fra loro. *(qui non ci si può esprime sulla validità di questa teoria, ma è interessante
l’importanza dell’errore. Questo esempio serve a capire alcune osservazioni di Leopardi di natura
psichica. Il tema dell’errore è fondamentale (Saggio di D’Intino su Leopardi e Stendhal su
Academia.edu) E credo che si potrebbero addurre molti altri esempi simili sì greci come latini, dove
la mutazione di una lettera o due, con altre compagne nella figura, ha tolto ai grammatici il sospetto
della loro unicità nell'origine. (5. Luglio 1820.)

*(Pensiero sulla diversificazione) Da quello che dice Montesquieu *(pensiero che riprende
Montesquieu) Essai sur le Goût. Des plaisirs de l'ame. p.369-370. deducete che le regole della
letteratura e belle arti non possono affatto essere universali, e adattate a ciascheduno. Bensì è vero
che la maniera di essere di un uomo nelle cose principali e sostanziali è comune a tutti, e perciò le
regole capitali delle lettere e arti belle, sono universali. Ma alcune piccole o mediocri differenze
sussistono tra popolo e popolo tra individuo e individuo, e massimamente fra secolo e secolo. Se tutti
gli uomini fossero di vista corta, come sono molti l'architettura in molte sue parti sarebbe difettosa, e
converrebbe riformarla. Così al contrario. Intanto ella è difettosa veramente rispetto a quei tali. Gli

112
orientali *(mette in gioco la categoria di Oriente) aveano ed hanno più rapidità, vivacità, fecondia
ec. di spirito che gli europei. Perciò quella soprabbondanza *(quali sono le poesie degli orientali
che ha letto Leopardi e soprattutto cosa intende per Oriente? Probabilmente sta parlando della Bibbia
e dei Salmi siccome sono gli unici testi orientali di cii disponeva. Orientale per Leopardi significa
ebraico siccome, sebbene avesse una buona conoscenza del cinese, non conosce molto della loro
letteratura. Libro di Lonardi – Il mappamondo di Giacomo) che notiamo nelle loro poesie ec. se
sarebbe difetto tra noi, poteva non esserlo, o esser minore appresso un popolo più capace per sua
natura di seguire e di comprendere coll'animo suo quella maniera del poeta. Lo stesso dite
dell'oscurità, del metaforico eccessivo per noi, delle sottigliezze, delle troppe minuzie,
dell'ampolloso *(questa poetica fa pensare a quella del Barocco: d’ora innanzi queste categorie
saranno associate alla sovrabbondanza dell’oriente) ec. ec. E questa distinzione fatela anche tra i
popoli europei, e non condannate una letteratura perché è diversa da un'altra stimata classica.
*(c’è un’apertura a vari tipi di letteratura) Il tipo o la forma del bello non esiste, e non è altro che
l'idea della convenienza. *(questa è la prima volta che troviamo questa parola, di cui abbiamo già
parlato, all’interno del testo. La questione della convenienza sta nel filone aristotelico assorbito da
Leopardi attraverso Zanotti ai tempi delle Dissertazioni che usa per confutare la teoria platonica. Il
fatto che la convenienza sia opposta al bello ideale indica l‘opposizione tra Aristotele e Platone. È
quasi certo che a questa altezza non abbia letto niente di Platone, ma le sue osservazioni sono frutto
della lettura di seconda mano che fa attraverso Montesquieu) Era un sogno di Platone che le idee
delle cose esistessero innanzi a queste, in maniera che queste non potessero esistere altrimenti (v.
Montesq. ivi. capo 1. p.366.) quando la loro maniera di esistere è affatto arbitraria e dipendente dal
creatore, come dice Montesquieu e non ha nessuna ragione per esser piuttosto così che in un altro
modo, se non la volontà di chi le ha fatte. E chi sa che non esista un altro, o più, o infiniti altri
sistemi di cose così diversi dal nostro che noi non li possiamo neppur concepire? *(che
accelerazione: da questa contestazione del classicismo arriva alla teoria generale rispetto al fatto che
la nostra concezione del mondo possa essere una tra molte. Fa pensare alla rivoluzione epistemologica
e fisica che mette in gioco le particelle ecc. un modo di concepire diverso dal nostro ma parallelo)
Ma noi che abbiamo rigettato il sogno di Platone conserviamo quello di un tipo immaginario del
bello. *(polemico nei confronti dei classicisti) (V. il discorso di G. Bossi nella B. Italiana). Ora l'idea
della convenienza essendo universale, ma dipendendo dalle opinioni caratteri costumi ec. Il giudizio
e il discernimento di quali cose convengano insieme, ne deriva che la letteratura e le arti,
quantunque pel motivo sopraddetto siano soggette a regole universali nella sostanza principale;
tuttavia, in molti particolari debbano cangiare infinitamente secondo non solamente le diverse
nature, ma anche le diverse qualità mutabili, vale a dire opinioni, gusti, costumi ec. degli uomini, che

113
danno loro diverse idee della convenienza relativa. *(qui c’è un principio di storicismo. Nello stesso
periodo queste cose vengono teorizzate da herner) E similmente osservate quanto sia vano il pensare
così assolutamente che la musica perché diletta sommamente l'uomo debba fare effetto sulle bestie.
(es. di come bestie e uomini percepiscono il mondo in modo diverso. È interessane che parli degli
animali siccome si trova sempre al centro di quella critica dell’antropocentrismo) Distinguete
suono*(qui sta abbozzando una teoria del suono) (sotto questo nome intendo ora anche il canto) e
armonia. Il suono è la materia della musica, *(argomento centrale della poetica leopardiana) come
i colori della pittura, i marmi della scultura ec. L’effetto naturale e generico della musica in noi non
deriva dall'armonia ma dal suono *(l’armonia rimanda all’elaborazione intellettuale, mentre il suono
è naturale e spontaneo > differenza importantissima), il quale ci elettrizza *(è la vita che si mette in
moto) e scuote al primo tocco *(rimanda all’inizio, all’origine) quando anche sia monotono. Questo
è quello che la musica ha di speciale sopra le altre arti, sebbene anche un color bello e vivo *(filone
delle neuro scienze e delle arti che studia le interazioni tra arte e psiche. Ci sono studi molto precisi
su come si reagisce a percezioni uditive e visive e su quanto questi producano differenze rispetto
all’apprezzamento estetico) ci fa effetto, ma molto minore. Questi sono effetti e influssi naturali,
*(qualcosa che precede l’intellettuale) e non bellezza. L'armonia *(entra in gioco l’elemento
intellettuale e calcolante) modifica l'effetto del suono, e in questo (che solo appartiene all'arte) la
musica non si distingue dalle altre arti, *(allora diviene oggetto di convenienza) giacché i pregi
dell'armonia consistono nella imitazione della natura quando esprimono qualche cosa, e in seguire
quell'idea della convenienza dei suoni ch'è arbitraria e diversa in diverse nazioni. Ora il suono non è
difficile che faccia effetto anche nelle bestie, *(il suono ovvero il naturale. Siamo partiti dal quesito
circa il fatto se la musica piaccia indifferentemente agli uomini e agli animali) ma non è necessario,
*(qui sta parlando di una categoria precedente all’armonia e al fatto che gli elementi primari della
sensibilità non sono necessariamente come li percepiamo noi) e massimamente quegli stessi suoni
che fanno effetto nell'uomo (quando vediamo anche tra gli uomini che certe nazioni si dilettano di
suoni tutti diversi dà nostri, e per noi insopportabili *(c’è un discorso sulla differenza tra suono e
armonia cui segue un discorso circa una sorta di relativismo rispetto alla percezione dei suoni: per
noi è insopportabile un suono che in alte culture è ritenuto gradevole). *(gli animali percepiscono il
suono, ma non allo stesso modo. La realtà non è uguale per tutti, ma viene percepita in maniera diversa
da specie diverse.) I loro *(sta parlando degli animali) organi, e indipendentemente da questi, la loro
maniera d'essere è differente dalla nostra, e non possiamo sapere qual sia l'effetto di questa differenza
*(c’è un’acuta consapevolezza della differenza biologica tra uomini e animali. All’epoca non c’erano
strumenti per capire come percepisce il suono un animale). Tuttavia, se questa non sarà molto grande,
o almeno avrà qualche rapporto con noi in questo punto, il suono farà colpo in quei tali animali, come

114
leggiamo dei delfini e dei serpenti (V. Chateaubriand) *(il ragionamento leopardiano si basa su una
citazione di Chateaubriand circa i delfini). Ma l'armonia è bellezza. *(passiamo al piano
dell’intellettuale) La bellezza non è assoluta, dipendendo dalle idee che ciascuno si forma della
convenienza di una cosa con un'altra, laonde se *(è un’ipotesi: se le bestie percepiscano il suono come
noi e soprattutto se percepiscano l’armonia) l'astratto dell'armonia può esser concepito dalle bestie,
non perciò per loro sarà armonia e bellezza quello ch'è per noi *(ammesso che percepiscano
l’armonia può darsi che sia percepita con una diversa scala di valori). E così non è la musica come
arte *(esclude che l’effetto produca effetto un quanto arte) ma la sua materia cioè il suono che farà
effetto in certe bestie. *(qui sembra rispondere alla domanda) E infatti come vogliamo pretendere che
le bestie gustino la nostra armonia, se tanti uomini si trovano che non la gustano? Parlo di molti
individui che sono tra noi, e parlo di nazioni, come dei turchi *(ecco di nuovo l’Oriente) che hanno
una musica che a noi par dissonantissima e disarmonica. *(dove ha letto notizia di questa musica
turca? Forse qualche recensione in qualche rivista dell’epoca) Eccetto il caso che qualche animale si
trovasse in disposizione così somigliante alla nostra, che nella musica potesse sentire se non tutta
almeno in parte l'armonia che noi ci sentiamo, vale a dire giudicare armonico quello che noi
giudichiamo. Il quale effetto è più difficile assai dell'altro sopraddetto del suono, tuttavia non è affatto
inverisimile. (6. Luglio 1820.) *(il pensiero è fondato sull’impossibile di sapere cosa percepiscano
gli animali. Leopardi sa per certo che la musica ha lo stesso effetto sugli uomini, ma in alcuni popoli
certi suoni sono ritenuti piacevoli mentre altri ancora insopportabili. Questo tipo di certezza ci è data
dalla possibilità di comunicare con altri uomini. Sottostante c’è il rapporto uomo-animale dove c’è
l’impossibilità di sapere con certezza come venga percepito. Ipotizza che gli animali percepiscano i
suoni, ma non l’armonia. Dietro c’è l’idea del preumano)

Pag. 55 dello Zibaldone:


*(questo frammento rimanda all’analisi che abbiamo appena fatto) Vita tranquilla delle bestie nelle
foreste, paesi deserti e sconosciuti ec. dove il corso della loro vita non si compie meno interamente
colle sue vicende, operazioni, morte, successione di generazioni ec. perché nessun uomo ne sia
spettatore o disturbatore *(togliere l’uomo dal mondo, non pone fine ad esso. Il mondo continua
senza di noi) né sanno nulla de' casi del mondo perché quello che noi crediamo del mondo è
solamente degli uomini. *(questa è la radice di questi pensieri sulla musica: ciò che noi crediamo
del mondo è solo nostro, ma si danno anche sguardi non umani (folletto, gnomo, terra, luna, entità
inanimate secondo io pensiero umano ma potrebbero essere animati. Secondo alcune teorie ciò che
non è biologico è animato allo stesso modi, nel senso che subisce trasformazione).

115
06/12/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 28

09/12/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 29


Metà 169
“del resto…”
Vuole distinguere la teoria dell’infinito dalle teorie religiose che dimostrano con la tendenza
all’infinito la esistenza di un trascendente – insiste leopardi su materialismo sul fatto che la tendenza
al piacere deriva da un fatto materiale, da com’è la struttura del pensiero dell’uomo – LA MATERIA
PENSA, tutto ciò che pensiamo è materiale e deriva da strutture corporee. Vuole allontanare da uno
sfondo religioso la sua teoria, nulla di spirituale nella tendenza all’infinito ma è come è costituito
l’organismo vivente. Struttura organica corporea che produce questa tendenza.
…natura: finalismo della natura che ha voluto tutto ciò per il bene dell’uomo e solo la tendenza umana
ad andare oltre i limiti della natura ha portato a uno squilibrio di questo sistema e a un incremento
della infelicità umana.
2…. Idee infinite: IL BELLO AEREO: VUOL DIRE IL BELLO CHE DERIVA DALLA
IMMAGINAZIONE NON PRECISATA NON CONFINI, È IL VAGO, IDEE INFINITE.
“…. Abbracciare” definire comprendere pienamente.
“di questo bello aereo… omero” dopo omero la poesia non può che peggiorare “abbondano i fanciulli
omerici in questo” i fanciulli sono in uno stadio omerico; “gli ignoranti idem natura” la natura ha
fatto in modo che noi sperimentassimo PIACERE relativo se non assoluto attraverso una
immaginazione AEREA non definibile e non circoscritta. Cosa distrugge questo bello aereo? LA
COGNIZIONE. “difficilissimo…. Trovarne” STESSO MECCANISMO NEL MODERNO QUI
PROBLEMA “la malinconia…. Indeterminati dei quali non sa vedere il fondo” -> sembra annettere
il malinconico il sentimentale moderno quel vague des passions di Chateaubriand sembra annetterlo
al mondo antico e naturale; quindi, grazie al fatto che questo sentimentale o malinconico moderno
non stabilisce dei confini, FORMA DI UN ABISSO senza fondo che non si può circoscrivere
passionalità vaga, no struttura concettuale. Questo aspetto della psiche moderna è ricondotto agli
stessi effetti della mentalità omerica antica e fanciullesca. Alla fine, se la prenderà con i romantici
perché secondo lui teorizzano, hanno introducono nella psiche moderna l’intelletto che teorizza e
quindi astrae, questo produce al fine della possibilità del piacere.
Anche modernità può tornare a immaginazione aerea o antica e quindi capace di ingannare e produrre
parvenza di piacere che non vero piacere ma INGANNO, ma a patto che NON sia sviluppato la facoltà
in eccesso cognitiva e intellettuale e che questo sentimento moderno che non è aereo, “abisso”
indefinito sempre l’aereo antico è questo, a patto che non perda la sua vaghezza. “un abisso di pensieri

116
INDETERMINATI” io non posso capire bene i limiti confini della natura, a questo patto posso
sperimentare qualcosa di piacevole.
“e questa cagione per cui amore… p142 perché in quel tempo l’anima si spazia VAGO E
INDEFINITO” CONCETTO -> limite, si spazia senza trovare confine e limite.
“il bello… non reale…. Ragione a verun potere di farlo… ma la natura nostra…” FINALISMO
DELLA NATURA che ci rende capaci di illusioni immaginazioni che non riguardano il reale.
“3 perché l’anima nostra…. Piacere in tutto dove non lo trova già non può essere soddisfatta…
possibile” saltiamo [discute il concetto di curiosità con mont. Che dice che non è causa primaria ma
secondaria]
Quindi primo concetto: SPAZIARE NON AVERE LIMITI, OMERO: PROCEDE PER I CAMPI
IMMAGINABILE SENZA TROVARE UN LIMITE.
ESTETICA MODERNA LEOPARDIANA: “del rimanente… ristretta e confinata come nelle
situazioni romantiche” ci sono due modi per raggiungere la pienezza non circoscritta della pienezza
e immaginazione: 1. Andare avanti di questa illusione senza andare verso qualcosa che l’arresti
circoscriva e definisca; l’altra è la situazione romantica della veduta ristretta e confinata che chiama
situazione romantica, la CAGIONE è la stessa cioè il luogo infinito “l’anima si immagina quello che
non vede…. Nasconde e va ERRANDO IN UNO SPAZIO IMMAGINARIO e si figura cose che….
Immaginario” qui c’è modo non kantiano del procedere – antichi riuscivano a vedere il reale come
immaginario quindi pur trovandosi di fronte una realtà concreta la percepivano come se fosse una
illusione e quindi potevano spaziare in modo immaginario relativamente a cose reali; i moderni hanno
di fronte a determinazione della realtà veduta ristretta, hanno la possibilità di slanciarsi da questo
confine del reale in un mondo immaginario che SCAVALCA LO STESSO CONFINE e quindi
lanciare una immaginazione che va al di là del reale; sono 2 modalità diverse. ANTICHI: VEDONO
IL REALE IN QUANTO ILLUSORIO; CONVERGENZA. REALTA’ VEDONO LIMITANTE I
MODERNI MA CON L’IMMAGINAZIONE LA SCAVALCANO E PROCEDONO IN UNA
DIMENSIONE TOTALMENTE IMMAGINARIA E ILLUSORIA SENZA LIMITI E SENZA
CONFINI.
Possibilità antica a immaginazione senza limiti e una moderna, ma l’occhio moderno vede la realtà e
per questo considera il limite reale come possibilità di scatenare ulteriormente immaginazione su un
altro piano che è quello immaginario. Modo in cui tenta di mettere insieme una psiche antica e una
moderna.
“piacere che io… fanciullo…. Passatoia” quindi piacere immaginario e concepire qualcosa al di là di
essa.

117
Sono due modalità che raggiungono lo stesso obiettivo; la vastità varietà non comporta confine ma
modalità di immaginazione (p.171)
“la molteplicità delle sensazioni confonde l’anima… nessuno” modalità diversa ma speculare
all’altra: la molteplicità non comporta un limite confine dietro il quale mi slancio ma qualcosa che io
vado di sensazione in sensazione che non si arrestano da nessuna parte perché sono molteplici; modi
diversi per aggirare l’ostacolo principale, il confine, definizione intellettuale che la precisi e l’arresti
definitivamente. O ho una serie molteplice di sensazioni che mi rilancia oppure ho un confine, un
limite fisico che mi permetta di fare la stessa cosa con l’immaginazione e moltiplicare le sensazioni
indefinitamente.
Alessandra loisi: sostiene in un articolo che questo tipo paesaggistico deriva dalla percezione fisica
di un paesaggio marchigiano fatto di colline che si confondono tra loro. Continuità e diversificazione
di curve che è difficile stringere in un confine ben definito.
“senza nessuno” una linea ci rimanda a un’altra linea. Non possiamo approfondirla. È un paesaggio
ed è un fatto poetico. Nella poesia non facile definire cosa leopardi sta dicendo ma noi lettori di poesia
sentiamo che è una verità profonda. Poesie definite e poesie che vibrano di qualcosa non definibile
completamente intellettualmente e questo per leopardi es. Carducci lineare e perfettamente definito.
Immagini nette e definite. Coleridge e Wadsworth biografia letteraria -> polemica soprattutto sulla
POETICA, una poetica sbagliata li accalorava. W: precisava troppo i dettagli, ritratti troppo precisi,
operare dell’intelletto definibile come fantasia secondo lui ma non immaginazione, era fantasia e
meccanica. Non ha risonanze definibili precisamente da parte dell’intelletto. Si gioca la natura del
poetico per romantici che hanno perduto fiducia nella necessità che la poesia sia connaturata a un
elemento intellettuale o razionale; c’è un elemento che deve scardinare questa coppia. Poetico:
scardina la piena comprensibilità. Dimensione di mistero e inafferrabilità che deve essere connaturata
al poetico. Sta facendo i conti con l’illuminismo e ciò che ha portato nella vita umana. Discorso
antropologico e poetico. Definizione del poetico si intreccia con una visione antropologica generale
anche società – matematizzata circoscritta porta infelicità – il poetico deve riportare umanità a uno
stadio precedente in cui intelletto non ha assunto stato devastante. I due aspetti sono connaturati.
“ma proviene… parimenti la vastità quando anche no molteplice è più difficilmente esauribile” anche
il VASTO FA PARTE DELLA STRATEGIA DELLA ILLUSIONE ANCHE SE NON È
MOLTEPLICE, perché difficile da circoscrivere. “la meraviglia… ATTONITA” parente di stupita,
parole che hanno radice antica nella estetica che hanno a che fare con un colpo molto netto fulgore
stupore meraviglia origine filosofia.
“la maraviglia… desiderare” quindi disinnesca la ricerca del piacere che comporta in sé
l’immaginazione; quindi, sorta di sollievo ma diverso dal molteplice e vasto perché lì il sollievo è

118
dato dal fatto che non ci si ferma mai, cavalcata. Lì: il desiderio si sostiene continuamente con
l’andare; qui: anima annichilita dalla maraviglia e quindi sospende il desiderio di piacere. ALLA
RADICE SEMPRE STESSA NECESSITA’ cioè il desiderio del piacere o lo si nutre sempre o annulla
continuamente. O la si neutralizza o la si deve nutrire dandole foraggio, nutrirla e farla andare. O
energia che si mantiene attiva o qualcosa che neutralizza questo desiderio di andare.
Anche fisicamente: noi abbiamo bisogno di qualcosa, di muoverci, di qualcosa che non sappiamo
cos’è, quindi o si NEUTRALIZZA (anche erotico, o sogni ecc…) o si neutralizza con la maraviglia
neutralizza pulsione a muoversi, o se ci muoviamo nutrire il desiderio con oggetti che non lo limitino
ma che provochino un ulteriore movimento, movimento continuo, che non ce ne prefiguri i confini i
limiti i termini, dobbiamo pensare di avanzare sempre in questo desiderio. Energia o continuamente
nutrita o altro senso.
“… grandezza” tradizione del sublime; l’importante è che ci sia grandezza anche se di cose non
piacevoli. Cosa sublime idea anche del naufragio come quello di Wadsworth, abissi senza fini
paesaggi non piacevoli all’uomo ma tanto grandi da neutralizzare il nostro desiderio del piacere e
immaginazione.
“posta… pena e una specie di travaglio abituale dell’anima” è una pena, è un travaglio, o lo si
trasforma in qualche modo e gli si dà campo e possibilità di sostenersi e quindi pena -> diventa
parvenza di piacere; o lo si deve neutralizzare. Quindi: modi per sopizzarlo
“1. ASSOPIMENTO” piacevole perché TOGLIE IL DESIDERIO DEL MOVIMENTO “oppio… no
affannata” dal desiderio, il desiderio è affanno, “RIPOSO DAL DESIDERIO TORMENTOSO E
IMPOSSIBILE A SODDISFAR…” Desiderio che equivale al PENSIERO, il pensare ci porta a
desiderare, due attività connaturate. Il desiderio DEL PIACERE in quanto tale è astrazione del
pensiero “tuttavia non se ne avvede” formula – riflessione non riflettuta. Il riflettere e il pensare senza
accorgersi di pensare.
PIACEVOLE perché il pensiero e il desiderio è doloroso. Assopimento col sonno o oppio. Coleridge:
poetica basata sull’oppio, incarna questa idea. Anche Foscolo ma la sua poesia non risente di ciò.
“2. Altra strategia” -> [teoria della disperazione come evitare il dolore del desiderio continuo di
qualcosa che non sa che rilancia sempre avanti l’immaginazione cavallo imbizzarrito Montaigne che
può essere piacevole ma anche pericolosa precipitare nella disperazione e dolore, strumento potente
di pari passo col pensiero ma pericoloso] morale e costume: leopardi ne fa qualcosa di diverso,
proietta essere vivente al di là di se stesso, qualcosa di non posseduto, allo stesso tempo piacevole,
movimento di ricerca continua del piacere può simulare in qualche modo quello stesso non fermabile
“la vita….varie” FARE COSE, OCCUPAZIONE DELLA VITA 2 STRATEGIA, essere attivi,
sempre questo “anche quando… distratto da quel desiderio innato che non lo lascerebbe in pace…

119
PICCOLI FINI DELLA GIORNATA…. Piaceri…. Essendo piacere quel che l’anima desidera…
VANITA’ E VUOTO delle cose…. Piacere per sé” seconda categoria degli uomini, piccoli, piccoli
scopi quotidiani, in cui il desiderio del piacere non si slancia in grandi voli ma si limita in piccole
proiezioni soddisfatte facilmente dalle attività quotidiane anche se non varie “questa…. PRIMITIVI
SELVAGGI AGRICOLTORI ECC E ANIMALI… felici” attribuisce questa soluzione ai selvaggi
primitivi e uomini semplici (agricoltori ecc) che non hanno grandi proiezioni ma si CONTENTANO
di raggiungere singoli scopi obiettivi nella giornata che riescono a raggiungere (sviluppo serotonina
in chi compie qualcosa raggiunge qualche obiettivo ricerche attuali ormoni – lui insiste materiale,
questo, funzioni materiali corporee che rende piacevole o dolorose qualcosa; Blasucci) vita laboriosa
domestica metodica piccoli fini continui giornata cose da fare
Qui ora dominio storia sociale economica – come un certo tipo di organizzazione storica sociale
(modernità) ha introdotto come centro e fulcro della vita LA VITA INTELLETTUALE che è più
difficile ricondurre a piccole attività quotidiane e domestiche. Il pensiero più si sviluppa e più è
pericoloso secondo leopardi; il pensiero astraendosi dalle cose impedisce che si creano piccole attività
nelle quali si scarica il desiderio del piacere e ciò avviene insieme a struttura sociale economica della
società. Come piccoli fini VITA ARTIGIANI CONTADINI COSE PROGRAMMATE DONNE
DELLA CASA che fermano la cavalcata del pensiero e del pensiero che si autoriproduce e no
pubblicità che è forte innesco del piacere. Non si innesca il desiderio del piacere.
Piccoli fini del paese non riuscivano a soddisfare, c’è più pensiero, andare in città -> squilibrio però
in città tra pensiero e azione (malavoglia: interpretabile in questo modo; Alessi fa parte dei piccoli
fini della giornata piccoli scopi; ntoni donne balli piaceri si perde il pensiero va per una strada obliqua
trascendente la realtà quotidiana e diventa inquietudine nevrosi e desiderio di qualcos’altro) CUORE
DI TRASFORMAZIONE SOCIO ECONOMICA MODERNA OTTOCENTESCA.
Poesia: FIGURE DI ARTIGIANI CONTADINI alter ego antico perduto e riposante. L’aria riposante
di alcune delle poesie vita del borgo contadina io leopardiano è qualcosa di perduto, guarda con
nostalgia a ciò perché ha un io non così, intelletto che viene scatenato e perde la sua strada. Madame
Bovary. Immaginazione fantastica che non si soddisfa mai di nulla. Tentazione di sant’Antonio:
oggetti. Delacroix. Flaubert: Madame Bovary non si accontenta di quello che ha vita del piccolo
borgo. Così finisce nel suicidio.
PICCOLI SCOPI 2 STRATEGIA QUINDI VITA PICCOLA. Piccolo: gretchen: Faust, rappresenta
questo il piccolo mondo, si contenta della sua vita, chiesa, mettere in ordine le sue cose, lucia e Renzo,
stesso borgo, obiettivo di coltivare l’orto e cucire la tela. Arriva Faust che mette qualcos’altro in
gretchen che deve cedere ai desideri di Faust malato di gigantismo immaginativo->gioielli. LUSSO
FORTE VALORE SIMBOLICO E CULTURALE NELLA MODERNITA’. Percepito come

120
qualcosa di scardinante, comincia ad essere appetito da tutti il lusso, prima si dà per scontato classe
aristocratica e gli altri, ma MOBILITARSI DELLA SOCIETA’ E POSSIBILE ASPIRAZIONE A
QUALCOS’ALTRO FONTE DI INSODDISFAZIONE INQUIETUDINE E DESIDERIO DEL
PIACERE. Faust mette questo oggetto “esplosivo” e gretchen immagina per sé una vita diversa. “se
fossero miei” scatto del pensiero che immagina qualcos’altro oggetto diverso qualcosa in più che
scatena rincorsa immaginativa.
3 strategia “non il piccolo ma il MARAVIGLIOSO, LO STRAORDINARIO” è piacevole. Non c’è
moralismo in leopardi, cerca soluzioni alla infelicità e va bene tutto, l’oppio, la vita dei piccoli confini,
monasteri: segregazione micidiale per immaginario scatenato e forma di contenimento della
malinconia.
“il meraviglioso, lo straordinario è piacevole…. Cose piacevoli” l’oggetto di questa maraviglia non
importa, importa il MECCANISMO, che qualcuno sia meravigliato “l’anima…. DISTRAZIONE
VIVA ED INTERA piacere…. Assolutamente…. Riposo dal desiderio” strade opposte
complementari, o ci si riposa dal desiderio o lo si annichila distrugge con una meraviglia che lo eccede
continuamente
“maraviglia novità singolarità” prevede sia quella del monastero che l’opposto vita di qualcuno che
si permette qualcosa di nuovo inedito ogni giorno. Neutralizzare la malinconia.
“quando anche la maraviglia non sia tanta…. Lo occupa sempre fortemente ed è piacevole per questa
parte” FINALISMO DELLA NATURA, PENSA A QUESTA ALTEZZA CHE LA NATURA
AVEVA COSTRUITO LE COSE IN MODO DA FORNIRE ANTIDOTI NATURALI ALL’UOMO
CHE L’UOMO HA DISTRUTTO INTENSIFICANDO IL RUOLO DELL’INTELLETTO DELLA
RAGIONE che distrugge tutte queste cose. Piccoli fini: CI FA RAGIONARE TROPPO la ragione,
io posso organizzare le cose in modo diverso es. quindi modello capitalistico, vado a produrre in
modo pianificato, distruggo il sonno, la dimenticanza, riporto alla mente le cose, ragiono, ragionando
uso la ragione e distruggo l’effetto della maraviglia che viene riportata alla realtà vera. Film:
maraviglia, ma la ragione corrode le strategie che la natura aveva dato (a questa altezza) agli esseri
per distrarre il desiderio del piacere.
“fosse…. Anima…. Fanciulli…. Ignoranti ma non può accadere SENZA IGNORANZA e quella di
oggi MAI QUELLA DELL’UOMO CHE NON VIVE IN SOCIETA’” la vita in società – modernità
intensifica la socializzazione si vive più insieme società più stretta e questo distrugge la meraviglia e
la capacità di meravigliarsi.
Es. almanacchi, circo ecc… (tema romanzo 700esco) attori che si travestivano e l’uomo semplice
ignorante che ci crede, ma chiaro che, come Pirandello, vedrà dopo la ragione indica cosa c’è sotto,
la struttura del fenomeno mentre il bambino ci casca sempre e l’animale. Capacità razionale

121
calcolante distrugge la meraviglia della meraviglia, struttura per cui ragione prevale alla
immaginazione.
Fanciulli TUTTO NEL NULLA adulti NULLA NEL TUTTO. “…. Rara” ruolo del mettere a frutto
l’esperienza paragonandola alle cose che succedono. Mettere a frutto l’esperienza. Gatto: come se
cancellasse l’esperienza ogni volta; l’uomo razionalmente collega PARAGONA (paragonare: attività
razionale più sviluppata e socializzazione, paragonare me con medesimo -> intelletto, macchina
infernale).
“novità diventa rara” novità per questo è così importante. NOVITA’ parola chiave del Faust – qui
teoria di una società moderna che va in direzioni sorprendenti. Siccome lo scopo è uccidere la
malinconia, sta prefigurando una società continuamente illusa, Las Vegas, Hollywood, qualunque
cosa pur di illudere la macchina del pensiero che infelicità, la moda. La moda uccide ma anche fa
rinascere le cose – dialogo sulla moda e altri testi operette. Cinema, tv – DISTRAZIONE
CONTINUA, DI MASSA.
4 strategia: “anche l’immagine…” vecchie illusioni sostituite da nuove illusioni, che ci sia o no
sostanza in queste illusioni moderne conta poco, essere illusi continuamente. Ci distrae dalla società.
Perdita conseguente dei valori antichi a cui rimane attaccato. Qui siamo nel campo del SUBLIME ->
IL TRAGICO cose dolorose violente “purché l’uomo non tema… piacevole” teoria del sublime pura
NAUFRAGIO PIACEVOLE SE NON SIAMO COINVOLTI, spettatore “…. Straordinarie ma la
immagine del dolore riempie l’animo e lo distrae”
5 strategia “la grandezza…. Ordinaria” esempio di ragionare relativo: importante è la GRANDEZZA
MA SE LA PICCOLEZZA È STRAORDINARIA VALE PIU’ della grandezza.
“questo che io dico… non grandezza” -> IMPORTANTE: CAPISCE CHE IL LETTORE
POTREBBE FRAINTENDERE IL PENSIERO E RIPORTARE IL GUSTO PER LA GRANDEZZA
ALLA GRANDEZZA D’ANIMO. Non c’è inclinazione alla grandezza ma conformazione fisica
materiale che porta in quella direzione. Si potrebbe dire lo stesso del sublime. È consapevole che
cinque categorie ha a che fare col sublime. “insomma la noia… non è altro che mancanza del piacere
che è elemento della nostra esistenza e cosa che ci distragga dal desiderarlo” noia è in negativo SIA
MANCANZA DEL PIACERE CHE DI TUTTE QUELLE DISTRAZIONI CHE CI DISTOLGONO
DAL DESIDERARE IL PIACERE. Quando non lo abbiamo e nessuna delle cose che ci distolgono,
allora c’è noia. “se non fosse tendenza imperiosa…. La noia… non esisterebbe” se non avessimo la
pulsione a desiderare altro non avremmo la noia. “per quale motivo male quando non ha male
nessuno?” mi sento male solo quando desidero qualcosa d’altro. “poniamo…. Dolor positivo… non
penosa né dispiacevole… soffrire” se uno è in condizione normale, perché dovrebbe soffrire? Piacere
del non avere dolore di nessun tipo. “quando no dolori positivi” fatica positiva, qui condizioni in cui

122
non c’è dolore o condizione di fatica positiva ma non si sta bene comunque perché ci si ANNOIA.
“soffre…. A quello stato” noia.
“non per altro… desiderio INGENITO COMPAGNO” torna sempre “inseparabile dell’esistenza” fa
parte ed è connaturato all’esistenza umana, in maggiore o minor grado. Su una considerazione di tipo
quasi biologico abbiamo considerazione antropologica, cambia questo desiderio del piacere perché
viene incrementato come? Col pensiero.
“non mitigato…” Sempre crescente
“la natura…” Qui ancora finalismo della natura “vuoto che i fisici natura effetti naturali” consueto
paragone con esperienze scientifiche: orrore della noia paragonabile all’orrore del vuoto per ricordi e
si deve riempire l’orrore del vuoto coi ricordi. “ha provveduto…. Molti bisogni e nella soddisfazione
del bisogno…. Porre il piacere occupato” PRIMO RIMEDIO DELLA NATURA: quello di avere
BISOGNO, di mangiare, dormire, e questo riporta alla strategia dell’essere PERENNEMENTE
OCCUPATI. Se non avessimo bisogno di procacciarci cibo ecc saremmo annoiati. Funziona.
Modernità: uomini sempre più disoccupati, sia in senso proprio che secondario, non dobbiamo più
procacciarci nulla, tutto ci viene offerto, prodotto.
Malattie gravi epidemie ecc… nuovi obiettivi dell’umanità – tempo libero. Ma per fare cosa? Per
riempirlo di desideri e produrre di nuovo insoddisfazione.
Come riempito? Con bisogni che tenessero l’uomo occupato. 2. “immaginazione” che lo occupano
anche col nulla, come nei bambini “…. Armonia diversi effetti pericoli sciolgono la noia turbazione
elementi…. Senza mali e disastri…. Universale” sta andando oltre dicendo che la natura ha
provveduto con i bisogni naturali da soddisfare con immaginazione ma anche con timori disastri a
cui fare fronte, e questo ci distrae dalla noia, male più terribile. Qualche dolore: attività che ci porta
a risolvere quel problema. Meglio affrontare cose anche dolorose per essere occupati e godere dalla
risoluzione di quel problema che non avere nulla da fare.
Società contemporanea: divinità assoluta il comfort. Occidentali ricche: idolo il comfort, eliminare
qualunque problema e attività materiale. Tutto deve essere liscio e funzionale. Ma ciò produce noia -
> tasso più alto dei suicidi. 900 ricerche sociologiche in tal senso: Durkheim (?)

11/12/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 30


Pag. 175-176 dello Zibaldone e il concetto di noia.
“[…] il vero tormento della noia, perché ogni minima bagattella basta ad occuparli tutti interi, e la
forza della loro immaginazione dà corpo e vita e azione ad ogni fantasia che si affacci loro alla mente
ec. e trovano in somma in sé stessi una sorgente inesauribile di occupazioni e sempre varie. Questo
senza cognizioni, senza esperienze, senza viaggi, senz'aver veduto udito ec. in un mondo

123
ristrettissimo e uniforme. E laddove parrebbe che quanto più questo mondo e questo campo si
accresce *(termine che rimanda direttamente ad Angelo Mai) e diversifica, tanto più ampio e vario
per l'uomo dovesse essere il fondo delle occupazioni interne come son quelle dei fanciulli, e la noia
tanto più rara, nondimeno vediamo accadere tutto il contrario. Gran lezione per chi non vuol
riconoscere la natura come sorgente quasi unica di felicità, e l'alterazione di lei, come certa cagione
d'infelicità. *(Leopardi riporta questo alla natura nel senso che la natura non dà il desiderio di
conoscere e di accumulare esperienze siccome all’uomo naturale basta ciò che possiede) *(la varietà
è una figura che riesce a sconfiggere la noia, ma l’eccesso di varietà produce la noia. La continua
ricerca della varietà mondana è la cosa più noiosa del mondo secondo Proust) Del resto che la forza
e fecondità dell'immaginazione 1. come rende facilissima l'azione, così spessissimo renda facile
l'inazione, *(per giustificare il fatto che anche stando fermi i bambini fanno moltissimo) 2. sia cosa
ben diversa dalla profondità della mente, la quale per il contrario conduce all'infelicità, è manifesto
per l'esempio de' popoli meridionali, segnatamente degl'italiani, rispetto ai settentrionali. *(la
fecondità dell’immaginazione può essere accoppiata con l’inazione, ma la fecondità è diversa dalla
profondità. Quella feconda è di Ovidio (accusato di prolissità), mentre quella profonda è quella del
moderno e del romantico. Leopardi riflette sul rapporto sud e nord che è centrale in molti filosofi
successivi specie in merito al rapporto con il protestantesimo > Max Weber. Questa diversità tra nord
e sud è dovuta alla maggiore astrazione degli uni sopra gli altri) Giacché gl'italiani 1. come una volta
per il loro entusiasmo figlio di un'immaginazione viva e più ricca che profonda, erano attivissimi,
*(quindi immaginazione più feconda) così ora una delle cagioni per cui non si accorgono o almeno
non si disperano affatto di una vita sempre uniforme, e di una perfetta inazione, *(il sud come terra
dell’inazione e della non produttività) è la stessa immaginazione ugualmente ricca e varia, e la
soprabbondanza delle sensazioni che ne deriva, la quale gl'immerge senza che se n'avvedano in una
specie di rêve, *(usa una parola straniera perché più appropriata. Equivale all’italiano sogno) come i
fanciulli quando son soli ec. cosa continuamente inculcata dalla Staël, *(sulla quale la Staël torna
continuamente. La Staël è il modello di leopardi e in particolare la Corinna. Gli italiani esplicano la
loro attività nell’immaginazione interna, nell’inattività) laddove i settentrionali non avendo tal
sorgente di occupazione interna atta a consolarli, per necessità ricorrono all'esterna, e divengono
attivissimi. *(i settentrionali non avendo una ricca immaginazione ricorrono all’esterno e divengono
attivissimi) 2. la profondità della mente, *(qui siamo nell’ambito del profondo) e la facoltà di
penetrare nei più intimi recessi del vero dell'astratto ec. quantunque non sia loro ignota *(agli italiani
meridionali) a cagione della loro sottigliezza, prontezza e penetrazione, (che rende loro più facile
il concepimento e la scoperta del vero, laddove agli altri bisogna più fatica, e perciò spesso sbagliano
con tutta la profondità) contuttociò non è il loro forte, e per lo contrario forma tutta l'occupazione e

124
quindi l'infelicità dei settentrionali colti *(altro paramento importante: più si è colti più si ci avvicino
all’astrazione. I nordici vedono meno il vero, ma essendo più analitici non si distraggono dal vero è
questo è la causa della loro infelicità. Qui c’è una tipologia psichica diversa: il settentrionale segue la
verità e i meccanismi analitici, mentre il meridionale arriva al vero per intuizione e lo vede per lampi
e ciò dà scapo dalla morte e dà spazio e aria rendendo più felici) (osservate perciò la frequenza de'
suicidi in Inghilterra) *(considerazione attualissima) i quali non hanno cosa che li distragga dalla
considerazione del vero.
*(sta cercando di mettere insieme due cose: il generale e il particolare. Il sud ha l’immaginazione
ovidiana, mentre il nord quella profonda e moderna che porta al suicidio per eccesso di intelletto, ma
salva comunque il meridione che manca di profondità, ma si salva dalla disfatta. Se la prende con i
tedeschi che sono profondi, ma analitici, non riescono ad afferrare il tutto con colpo d’occhio. Cerca
“colpo d’occhio dei tedeschi” nello Zibaldone. Leopardi dice che il loro colpo d’occhio non scopre
mai un punto nella natura, il centro di un sistema, il complesso di una gran macchina. I tedeschi,
quindi, mancano di comprensione del tutto. Vuole salvare l’intuizione meridionale che significa
anche profondità, ma la sua immaginazione non è profonda bensì ricca e varia perciò si suicida meno)
È quantunque paia che l'immaginazione anche appresso loro sia caldissima originalissima ec. tuttavia,
quella è piuttosto filosofia e profondità, che immaginazione, e la loro poesia piuttosto metafisica
che poesia, venendo più dal pensiero che dalle illusioni.
*(sta tornando al discorso dell’inizio dello zibaldone dei romantici come filosofi astratti e metafisica
quindi incapaci di fare poesia. La poesia viene associata alla capacità immaginativa vs pensiero
astratto che non è immagine. Questa è una corrente della filosofia vichiana e in particolate di Ernesto
Grassi. Ci sono molti filoni del pensiero contemporaneo che riprendono la critica del pensiero nordico
e protestante come pensiero astratto e infelice che non pensa più per immagini. Di qui la critica
leopardiana della poesia romantica di questa natura, mente non sa che i romantici dibattevano le stesse
questioni, non era affatto come la pensava lui)
E il loro sentimentale *(ambiguità della parola sentimentale. Il sentimentale è qualcosa che sta anche
nell’antico come un atteggiamento malinconico morbido vicino alla consolazione, alla tenerezza e
non deriva dalla riflessione metafisico-filosofica sulle cose) è piuttosto disperazione che
consolazione. E la poesia antica, perciò, appunto non è stata mai fatta per loro; perciò, appunto hanno
gusti tutti differenti, e si compiacciono degli enti allegorici, delle astrazioni *(qui sta il punto. Da qui
capiamo cosa significa per Leopardi romanticismo > astrazioni) ec. (v. p.154.) perciò appunto sarà
sempre vero che la nostra è propriamente la patria della poesia, e la loro quella del pensiero.
*(cerca di salvare l’immaginazione poetica meridionale più profonda e antica che non porta
all’infelicità) (V. p.143-144.) […]”

125
Dopo che la natura ha posto nell'uomo una inclinazione illimitata al piacere, è rimasta libera di fare
che questa o quella cosa fosse considerata come piacere *(distingue un’inclinazione al piacere e il
fatto che emergano come oggetti di piacere cose diverse e questo deriva dall’assuefazione) Perciò le
cagioni per cui una cosa è piacevole, sono indipendenti dalla sovresposta teoria, dipendendo
dall'arbitrio della natura il determinare in qual cosa dovessero consistere i piaceri, e
conseguentemente quali particolari dovessero esser l'oggetto della sopraddetta inclinazione
dell'uomo *(l’oggetto del piacere cambia ma il desiderio perdura). Esclusi quei piaceri che ho
annoverati poco sopra (p.172. segg.), i quali sono piaceri, non perch'è piaciuto alla natura di volerli
tali indipendentemente dalla inclinazione dell'uomo al piacere, ma solamente o principalmente per
questo, che l'uomo desidera illimitatamente il piacere.
Del resto, la virtù, i piaceri corporali, quelli della curiosità (v. se vuoi Montesquieu nel luogo citato
p.170. qui sopra) (giacché, come ho detto, per piacere intendo e vanno intese tutte le cose che l'uomo
desidera) ec. ec. sono piaceri perché la natura ha voluto, e potevano non essere con tutta la
inclinazione dell'uomo al piacere, come l'idea assoluta che l'uomo ha della convenienza non è ragione
perché queste o quelle cose gli paiano convenienti, e belle. *(sta facendo un paragone. La convenienza
non è relativa, ma assoluta, cambia solo l’oggetto della convenienza, ma non il fatto che il desiderio
perdura) E dei piaceri altri sono comuni, altri particolari di questa o quella nazione, altri di questa o
quella classe d'uomini, come i piaceri appartenenti all'avarizia all'ambizione ec., altri anche
individuali, secondo le assuefazioni, le opinioni, le costituzioni corporali, i climi ec. come l'idea
rispettiva della bellezza dipende dalle assuefazioni costumi opinioni *(l’oggetto del piacere cambia
a seconda del contesto) ec. (V. Montesquieu l.c. De la sensibilité. p.392.) E la natura ha posto
nell'uomo diverse qualità delle quali altre si sviluppano necessariamente, altre o si sviluppano o
restano chiuse e inattive secondo le circostanze. *(questo è un discorso delicato, punto centrale della
riflessione leopardiana. Ammesso che vi sia un finalismo in natura, essendo tutte le sue considerazioni
contro l‘idea che l’uomo debba iper civilizzarsi; dunque, lo sviluppo è voluto o non voluto dalla
natura? Fa parte o no della natura? Sì, lo è. Remo Bodei ha riflettuto moltissimo su questo problema
quello della generazione cyborg).
Oggi abbiamo lo stesso problema con i cyborg: sono o non sono natura?)
E di queste seconde altre la natura voleva, o non proibiva che si sviluppassero, altre non voleva,
e sviluppandosi, rendono l'uomo infelice *(se si sviluppano rendono l’uomo infelice). E la cagione
per cui le ha poste nell'uomo non volendo che sviluppassero, starà nel sistema profondo della natura,
e probabilmente si potrebbe scoprire, se non ci fermassimo adesso sul generale. Secondo queste
diverse qualità, l'uomo trova piacevoli diverse cose, e l'uomo incivilito prova diversi piaceri dal

126
primitivo, e sentirà dei piaceri che il primitivo non provava, e non proverà molti di quelli che il
primitivo provava. E perciò dall'esserci ora piacevole una cosa il cui piacere dipenda dal nostro
eccessivo incivilimento, non deduciamo che questo era voluto dalla natura. *(sta ragionando
come il desiderio dipenda dallo sviluppo antropologico. L’impulso al piacere rimane invariato, la
pulsione rimane la stessa) E se ora p.e. l’eccessiva curiosità del vero ci proccura molti piaceri *(sta
arrivando a dire che se ora ci pace la curiosità dei viaggi questa è naturale per noi quindi il suo
sviluppo è voluto dalla natura, ma non è così in realtà) quando arriviamo a conoscerlo, non perciò
dobbiamo stimare che la natura ci volesse così curiosi, né che questi piaceri sieno naturali, né che
l'uomo naturale ne avesse gran vaghezza, o non sapesse benissimo contenersi *(qui c’è sempre
Silvia) in questo desiderio, né per conseguenza che l'infelicità dell'uomo fosse necessaria, e provenga
dalla natura assoluta dell'uomo, quando proviene dalla nostra rispettiva e corrotta. *(la natura assoluta
dell’uomo è quella del desiderare, ma il desiderio di qualcosa può assumere varie forme e allora fa
l’esempio della curiosità che produce nuovi oggetti di piacere è un meta piacere che amplia il campo
dei desideri e del piacere. La modernità ha esaltato il desiderio del piacere) Perché molte circostanze
che hanno sviluppato in noi questa o quella qualità non erano volute dalla natura, e provengono
dall'uomo e non da lei. Del resto, atteso la detta teoria de' piaceri particolari, potrebbe anche essere
che l'idea dell'infinito, la maraviglia *(differenza antico e moderno. È più saggio svincolare
l’immaginario antico dall’idea del piacere come meccanismo infernale.) e qualcuna delle cose
piacevoli che ho annoverate come tali a cagione solamente dell'inclinazione nostra al piacere, fossero
piacevoli anche indipendentemente da questa; e la ragione fosse l'arbitrio della natura, come negli
altri piaceri.*(Leopardi sta ipotizzando che l’inclinazione al piacere degli antichi fosse indipendente
dal meccanismo del desiderio che si reitera all’infinito, ma risulta naturale. Il desiderio degli antichi
era di natura diversa da quello dei moderni) Mi sembra però che la ragione della loro piacevolezza
sia bastantemente spiegata nel modo che ho fatto, e che tutti i loro accidenti possano cadere sotto
quelle considerazioni.

L'infinità della inclinazione dell'uomo al piacere è un'infinità materiale, *(materialismo


leopardiano) e non se ne può dedur nulla di grande o d'infinito in favore dell'anima umana, più di
quello che si possa in favore dei bruti nei quali è naturale ch'esista lo stesso amore e nello stesso
grado, essendo conseguenza immediata e necessaria dell'amor proprio, come spiegherò poco sotto.
*(ritorna sull’idea del materiale rimarcando che non c’è un’anima) Quindi nulla si può dedurre in
questo particolare dalla inclinazione dell'uomo all'infinito *(l’infinto dell’antico è diverso da
quello del moderno. Il primo è pienezza, è galoppare, mentre quello del moderno è un infinito
negativo che porta al nichilismo), e dal sentimento della nullità delle cose (sentimento non naturale

127
nell'uomo, e che perciò non si trova nelle bestie, come neanche nell'uomo primitivo, ed è nato da
circostanze accidentali che la natura non voleva). E il desiderio del piacere essendo una conseguenza
della nostra esistenza per sé, e per ciò solo infinito, *(nel suo stadio iniziale ha un’infinità non cattiva
che diviene cattiva nella modernità) e compagno inseparabile dell'esistenza come il pensiero, tanto
può servire a dimostrare la spiritualità dell'anima umana, quanto la facoltà di pensare. *(non dimostra
la spiritualità dell’anima umana). L’appunto sulla materia pensa sarà molto successivo Anzi è notabile
come quel sentimento che pare a prima giunta la cosa più spirituale dell'animo nostro (v. p.106-107.),
sia una conseguenza immediata e necessaria (nella nostra condizione presente) della cosa più
materiale che sia negli esseri viventi cioè dell’amor proprio e della propria conservazione, di quella
cosa che abbiamo affatto comune coi bruti, e che per quanto possiamo comprendere può parer propria
in certo modo di tutte le cose esistenti. *(l’amor proprio come condizione di tutte le cose esistenti e
non viventi) Certamente non c'è vita senza amor di sé stesso, e amor della vita. Quanto poi alla facoltà
che ha l'immaginazione nostra di concepire un certo infinito, un piacere che l'anima non possa
abbracciare, cagione vera per cui l'infinito le piace, quanto dico a questa facoltà, la quale è
indipendente dalla inclinazione al piacere, e stava in arbitrio della natura di darcela o non darcela,
giudichi ciascuno quanto possa provare in favore della nostra grandezza. Io per me credo 1. che la
natura l'abbia posta in noi solamente per la nostra felicità temporale, che non poteva stare senza queste
illusioni. 2. osservo che questa facoltà è grandissima nei fanciulli, primitivi, ignoranti, barbari ec.
*(l’inclinazione all’infinito è naturale, originaria, messa lì in noi allo scopo di renderci più felici)
Quindi congetturo e mi par ben verisimile che esista anche nelle bestie in un certo grado, e
relativamente a certe idee, come son quelle dei fanciulli ec. 3. considero che la ragione, la quale si
vuole avere per fonte della nostra grandezza, e cagione della nostra superiorità sopra gli altri animali,
qui non ha che far niente, se non per distruggere; per distruggere quello che v'ha di più spirituale
nell'uomo, *(nozione di spirituale è problematica, ha appena detto che è materiale, vuole svincolarlo
dalla religiosità spirituale dalla moderna spiritualità, materiale in un altro senso. Il desiderio di infinito
non è connotato a livello religioso, ma si insinua la ragione moderna che distrugge e lo fa costruendo
un altro senso di infinito che è materiale in un altro senso di prosaico che non ha nulla di poetico)
perché non c'è cosa più spirituale del sentimento né più materiale della ragione, giacché il raziocinio
è un'operazione matematica dell'intelletto, e materializza e geometrizza *(che rende impoetico,
meccanico, mentre prima materiale significava non religioso. Sta costruendo una teologia del poetico
la cui espressione massima è l’antico) anche le nozioni più astratte. 4. che le illusioni sono anzi
affatto naturali, animali, atti dell'uomo e non umani secondo il linguaggio scolastico, ed
appartenenti all'istinto, il quale abbiamo comune con gli altri animali, se non fosse affogato dalla
ragione. Applicate queste considerazioni a quello che soglion dire gli scrittori religiosi, che il non

128
poter noi trovarci mai soddisfatti in questo mondo, i nostri slanci verso un infinito che non
comprendiamo, i sentimenti del nostro cuore, e cose tali che appartengono veramente alle illusioni,
formino una delle principali prove di una vita futura. *(quando chiama materiale il desiderio di
infinito lo vuole svincolare dall’idea religiosa, mente quando chiama materiale il raziocinio lo vuole
svincolare dalla nozione di moderno. Non giungiamo mai ad una soluzione unica.)

Tutto il sopraddetto intorno alla teoria del piacere è un nuovo argomento del quanto si potrebbe
semplificare la teoria dell'uomo e delle cose, (v. p.53.) e del come il sistema intero della natura si
aggiri sopra pochissimi principii, i quali producono gl'infiniti e variatissimi effetti che vediamo, e
stabiliti i quali, si direbbe che la natura abbia avuto poco da faticare, perché le conseguenze ne son
derivate necessariamente e come spontaneamente. I fenomeni dell'animo umano notati dai moderni
psicologi perderebbero tutta la maraviglia, la quale deriva ordinariamente dall'ignoranza della
relazione e dipendenza che hanno gli effetti particolari colle cause generali. *(qui c’è l’idea del
filosofo che vede la connessione tra le cose) P.e. quei fenomeni che ho analizzati e spiegati di sopra,
derivano immediatamente da un principio notissimo, che è l'amor del piacere. E questo amor del
piacere è una conseguenza spontanea dell'amor di sé e della propria conservazione. Questo è un
principio anche più noto e universale, e quasi finale. Tuttavia quantunque la natura potesse separar
queste due cose, esistenza e amor di lei, e perciò l'amor proprio sia una qualità posta da lei
arbitrariamente nell'essere vivente, a ogni modo la nostra maniera di concepir le cose appena ci
permette d'intendere come una cosa che è, non ami di essere, parendo che il contrario di questo amore,
sarebbe come una contraddizione coll'esistenza *(l’idea della contraddizione dell’esistenza la
svilupperà in seguito) - Perciò l'amor proprio si può considerare ancor esso (nella natura quale la
vediamo) *(quindi non come quella è. Avrebbe potuto essere altrimenti) come una conseguenza
dell'esistere, e questo in certo modo anche negli esseri inanimati. *(il fatto che prima non abbia
detto viventi non è casuale) Ora discendiamo. Esistenza. Amore dell'esistenza (quindi della
conservazione di lei, e di se stesso) - amor del piacere (è una conseguenza immediata dell'amor
proprio, perché chi si ama, naturalmente è determinato a desiderarsi il bene che è tutt'uno col piacere,
a volersi piuttosto in uno stato di godimento che in uno stato indifferente o penoso, a volere il meglio
dell'esistenza ch'è l'esistenza piacevole, invece del peggio, o del mediocre ec.) - amore dell'infinito
*(sono 4 elementi: esistenza, amore dell’esistenza, amor proprio e amore dell’infinito) ec. colle altre
qualità considerate di sopra. Così queste qualità che paiono disparatissime e particolarissime vengono
dirittamente dal principio generale dell'amor proprio, e tanto necessariamente e materialmente, che si
può dire che la natura, dato che ebbe all'uomo l'amor proprio, e secondo la nostra maniera di

129
concepire, data che gli ebbe l'esistenza, non ebbe da far altro, e le dette qualità (delle quali ci facciamo
tanta maraviglia), senza opera sua, vennero da loro.

Conseguito un piacere, l'anima non cessa di desiderare il piacere, come non cessa mai di pensare,
perché il pensiero e il desiderio del piacere sono due operazioni egualmente continue e inseparabili
dalla sua esistenza *(anche il pensiero è nelle cose non animate. C’è un pensiero della materia). (12-
23. Luglio 1820.) *(la data è cumulativa come spesso accade peri trattatelli di Leopardi. A quel tempo
ha 22 anni).

Se nella giornata tu hai veduto o fatto qualche cosa non ordinaria per te *(altra anticipazione), la sera
nell'addormentarti o per qualunque altra cagione, e in qualunque stato, chiudendo gli occhi, ti vedi
subito innanzi, non dico al pensiero, ma alla vista, le immagini sensibili di quello che hai veduto. E
ciò quando anche tu pensi a tutt'altro, e neanche ti ricordi più di quello che avevi veduto forse molte
ore addietro, nel quale intervallo ti sarai dato a tutte altre occupazioni *(siamo nella poetica
dell’Infinito). In maniera che questa vista, quantunque appartenga interamente alle facoltà
dell'anima, e in nessun modo ai sensi, tuttavia non dipende affatto dalla volontà, e se pure
appartiene alla memoria, le appartiene, possiamo dire esternamente, perché tu in quel punto neanche
ti ricordavi delle cose vedute, ed è piuttosto quella vista che te le richiama alla memoria, di quello
che la stessa memoria te le richiami al pensiero. *(sono delle immagini che riemergono
involontariamente quando ciò che abbiamo vito ci ha colpiti. Nel mentre abbiamo fatto altre cose e
quando riemerge l’immagine ci riporta alla memoria) Effettivamente molte volte neanche pensandoci
apposta, ci ricorderemmo di alcune cose, che all'improvviso ci vengono in immagine viva e vera
dinanzi agli occhi. *(siamo nella poetica dell’Infinito: presente e viva) E notate che ciò accade senza
nessun motivo *(insiste sulla non volontarietà) e nessuna occasione presente, che tocchi nella
memoria quel tasto, *(non dipende dalla memoria) perché del rimanente molte volte accade che una
leggerissima circostanza, quasi movendo una molla della nostra memoria, ci richiami idee e
ricordanze anche lontanissime *(non è a memoria stessa, ma qualcosa di ancora più sfuggente. Vuole
svincolare il pensiero dall’immagine. Si percepisce il dramma di un pensiero che viene alla luce senza
la terminologia. Sta parlando dell’inconscio di Freud), senza nessuno intervento della volontà, e senza
che i nostri pensieri d'allora ci abbiano alcuna parte.

Più volte m'è accaduto di addormentarmi con alcuni versi o parole in bocca, ch'io avrò ripetute spesso
dentro la giornata, o dentro qualche ora prima del sonno, o vero coll'aria di qualche cantilena in mente;
dormire pensando o sognando tutt'altro, e risvegliarmi ripetendo fra me gli stessi versi o parole, o

130
colla stess'aria nella fantasia. Pare che l'anima nell'addormentarsi deponga i suoi pensieri e
immagini d'allora, come deponiamo i vestimenti, in un luogo alla mano e vicinissimo, affine di
ripigliarli, subito svegliata. E questo pure senza operazione della volontà. *(altro meccanismo
involontario) Parimente s'io dentro la giornata aveva letto per un certo tempo del greco o latino o
francese o italiano elegante ec. quando la mia memoria era più pronta, (perché ora che nello
svegliarmi la trovo ottusissima, non mi accade così facilmente) mi risvegliava con varie frasi di quelle
lingue in mente, e quasi parlando quelle lingue fra me, non ostante che nel sonno, nessuna idea me le
avesse richiamate. Questo pure involontariamente. *(sembrano fenomeni mistici) E così si può dire
di cento altre idee d'ogni sorta, che al risvegliarti si presentano spontaneamente *(sta ragionando su
ciò che sfugge al pensiero. È interrante il legame con la teoria del piacere che ha appena analizzato.
Il meccanismo del desiderio comprende anche quello del pensiero e ora sta indagando un livello che
sfugge alle leggi del pensiero. Il fatto che stia pensando al trattatello sul piacere lo dimostra il fatto
che il giorno dopo continua a ragionare sull’idea dell’infinito) affatto. (24. Luglio 1820.)

Qualunque cosa ci richiama l'idea dell'infinito è piacevole per questo, quando anche non per altro.
Così un filareo un viale d'alberi di cui non arriviamo a scoprire il fine. Questo effetto è come quello
della grandezza, ma tanto maggiore quanto questa è determinata, e quella si può considerare come
una grandezza incircoscritta. Ci piacerà anche più quel viale quanto sarà più spazioso, più se sarà
scoperto, arieggiato e illuminato, che se sarà chiuso al di sopra, o poco arieggiato, ed oscuro, almeno
quando l'idea di una grandezza infinita che ci deve presentare deriva da quella grandezza che cade
sotto i sensi, e non è opera totalmente dell'immaginazione, la quale come ho detto, si compiace alcune
volte del circoscritto, e di non vedere più che tanto per potere immaginare ec. *(sta distinguendo un
infinito visibile e uno immaginario che deriva dalla chiusura. Sta cercando di applicare alcune
categorie del trattato al concreto) (25. Luglio 1820.)

In ordine alle donne, diceva taluno, ho già perdute due virtù teologali, la fede e la speranza. Resta
l'amore, cioè la terza virtù, della quale per anche non mi posso spogliare, con tutto che non creda né
speri più niente. Ma presto mi verrà fatto, e allora finalmente mi appiglierò alla contrizione. *(il
pensiero cristiano rimane incardinato come categoria di pensiero)
(25. Luglio 1820.)

16/12/19 Letteratura italiana contemporanea – Franco D’intino 12 CFU lez. 31


“[…] in luogo della simmetria. La ragion vera è questa. I detti piaceri, e gran parte di quelli che
derivano dalla vista, e tutti quelli che derivano dalla simmetria, appartengono al bello. Il bello dipende

131
dalla convenienza. La simmetria non è tutt'uno colla convenienza ma solamente una parte o specie di
essa, dipendente essa pure dalle opinioni gusti ec. che determinano l'idea delle proporzioni,
corrispondenze, ec. La convenienza relativa dipende dalle stesse opinioni gusti, ec. Così che dove il
nostro gusto indipendentemente da nessuna cagione innata e generale, giudica conveniente la
simmetria, quivi la richiede, dove no non la richiede, e se giudica conveniente la varietà, richiede la
varietà. E questo è tanto vero, che quantunque si dica comunemente che la varietà è il primo pregio
di una prospettiva campestre, contuttociò essendo relativo anche questo gusto, si troveranno di quelli
che anche nella prospettiva campestre amino una certa simmetria, come i toscani *(elementi di
osservazione che gli derivano da qualche saggio che deve aver letto sul paesaggio sull’architettura da
giardino e sul gusto toscano per la simmetria) che sono avvezzi a veder nella campagna tanti giardini.
E così noi per l'assuefazione *(concetto fondamentale. Siamo assuefatti a vedere filoni di alberi
regolari, dunque, ci piace la regolarità) amiamo la regolarità dei vigneti, filari d'alberi, piantagioni
solchi ec. ec. e ci dorremmo della regolarità di una catena di montagne ec. Che ha che far qui l'utile
o l'inutile? perché quando sì, quando no negli oggetti della stessa natura? perché in queste persone sì,
in quelle no? Di più quegli stessi alberi che ci piacciono collocati regolarmente in una piantagione, ci
piaceranno ancora collocati senz'ordine in una selva, boschetto ec. La simmetria e la varietà, gli
effetti dell'arte e quelli della natura, sono due generi di bellezze. Tutti due ci piacciono, ma purché
non sieno fuor di luogo. *(la convenienza si esercita in modi diversi)Perciò l'irregolarità in un'opera
dell'arte ci choque *(usi di lingua straniera più adatto secondo leopardi) ordinariamente (eccetto
quando sia pura imitazione della natura, come ne' giardini inglesi) perché quivi si aspetta il contrario;
e la regolarità ci dispiace in quelle cose che si vorrebbero naturali, non parendo ch'ella convenga alla
natura, quando però non ci siamo assuefatti come i toscani.*(un choc che deriva dal trovare
l’irregolarità dove ci si aspetta la regolarità. Che discorso complesso! Ci sorprendiamo se troviamo
qualcosa di diverso rispetto ciò cui siamo assuefatti. La regolarità può scioccare che siamo assuefatti
alla irregolarità. È un rapporto di valori non assoluti) […]”

“[…] L'affettazione ordinariamente è madre dell'uniformità *(lontani dall’ambito della natura, ma


siamo nell’artificiale). Da ciò viene che sazia ben presto *(quindi la noia). In tutti gli scritti di un
gusto falso e affettato, come in tante poesie straniere *(quelle romantiche pervase di intelletto e quindi
di artificio), come nelle poesie orientali, osservate che voi sentirete sempre un senso di monotonia,
come guardando quelle figure gotiche che dice Montesquieu, l.c. des Contrastes p.383. E questo
quando anche il poeta o lo scrittore abbia cercato la varietà a più potere *(anche la varietà sazia >
vedi teoria del piacere ed es. dei viaggiatori compulsivi). Ragioni. 1. L'arte non può mai uguagliare
la ricchezza della natura, anzi vediamo quante varietà svaniscano quando l'arte se ne impaccia, come

132
nei caratteri e costumi e opinioni dell'uomo e in tutto il gran sistema della natura umana già pieno di
varietà, sia nelle idee e nell'immaginazione sia nel materiale, ed ora dall'arte reso tanto uniforme. Così
dunque l'affettazione. 2. L'affettazione continua è una uniformità da sé sola, cioè in quanto è una
qualità continua dell'opera d'arte. *(questo è paradossale sembra suggerire che il comporre
artisticamente sia un artificio e quindi un’affettazione e dunque leopardi cerca in ‘are che non sia arte)
Non dite che in questo caso anche la naturalezza continua dovrebbe riuscire uniforme. (non
diventa mai uniforme) 1. la naturalezza non risalta né stanca né dà negli occhi come l'affettazione
(ch'è una qualità estranea alla cosa), *(c’è un lavoro artistico che rischia sempre l’affettazione) eccetto
s'ella pure fosse ricercata e affettata, nel qual caso non è più naturalezza ma affettazione,
*(Rappresentarsi da sé = Verga narratore che scompare dietro ai personaggi che si auto rappresentano.
La minima traccia di riflessività rende la naturalezza artificiosa e quindi noiosa) come spessissimo
nelle dette poesie. 2. la naturalezza appena si può chiamar qualità o maniera, non essendo qualità o
maniera estranea alle cose, ma la maniera di trattar le cose naturalmente, e com'elle sono, vale a dire
in mille diversissime maniere, laonde le cose sono varie nella poesia, nello scrivere, in qualunque
imitazione vera, come nella realtà *(dovrebbe esserci una duplicazione invisibile nell’arte di ciò che
è nella realtà). Applicate queste osservazioni anche alle arti *(rari luoghi in cui leopardi ragiona sulle
arti – libro di Francesca Fedi Mausolei di sabbia), p.e. ai paesaggi fiamminghi paragonati a quelli del
Canaletto veneziano (v. la Dionigi Pittura de' paesi) *(sta facendo osservazioni sul paesaggio
siccome esta leggendo il saggio di Dionigi), alle stampe di Alberto Duro, *(Durer) dove lo stento e
l'accuratezza manifesta del taglio dà un colore uguale e monotono alla più gran varietà di oggetti
imitati nel resto eccellentemente e variatissimamente *(il confronto tra pittura meridionale e nordica
è importante nella storia della critica estetica. La critica del 900 ritiene che la pittura nordica sia stata
neutralizzata da Vasari in Europa. Il nord rappresenta l’ambito ovidiano). Così accade che la
negligenza *(i nordici rientrano in questo ambito) apparente, e l'abbandono, lasciando cader tutte le
cose nella scrittura come cadono naturalmente (o in pittura ec.) *(accenno a quell’indebolire la forza
di volontà o di intelligenza costruttiva e far emergere qualcosa di casuale) sia certa origine di varietà,
e quindi non istanchi come le altre qualità della scrittura ec. p.e. anche l'eleganza: giacché nessuna
stancherà meno della disinvoltura. *(quindi è sottesa una critica della volontà e dell’intelletto.
L’intervento consapevole dell’artista che distrugge la naturalezza e quindi la disinvoltura. Siamo
nell’ordine dell’apologo di Kleist) […]”

“[…] Dalle due sopraddette ragioni intendete perché la massima parte delle scritture e specialmente
poesie francesi stanchino sopra modo. Il loro eterno stile di conversazione 1. dev'essere infinitamente
meno vario del naturale, come l'arte della natura. 2. dà un colore uniforme alle cose più varie, ed un

133
colore ch'essendo estraneo alla cosa, risalta, e stanca a brevissimo andare. Infatti, osservate che le
poesie francesi paiono tutte d'un pezzo, per la grande monotonia, e il senso che producono è questo,
d'una cosa dura *(usa lo stesso aggettivo, quindi, c’è un cortocircuito tra Durer e la poesia francese)
e non pieghevole, né adattabile a niente. *(da dove prende l’idea della conversazione francese? È
abbastanza universale la percezione di monotonia dell’alessandrino francese. Si percepisce un senso
di monotonia e asfissia) […]”

“[…] Il primo autore delle città vale a dire della società, secondo la Scrittura, fu il primo riprovato,
cioè Caino, e questo dopo la colpa la disperazione e la riprovazione *(instaura un nesso (riemerge il
sostrato biblico della sua cultura) tra la colpa e la società, l’aver fondato la società). Ed è bello il
credere che la corruttrice della natura umana e la sorgente della massima parte de' nostri vizi e
scelleraggini *(pensiero che ha in comune con Rousseau) sia stata in certo modo effetto e figlia e
consolazione della colpa *(quindi la colpa produce la città e a sua volta produce corruzione). E come
il primo riprovato fu il primo fondatore della società, così il primo che definitamente la combatté e
maledisse, fu il redentore della colpa, cioè Gesù Cristo, secondo quello che ho detto p.112. *(la
società è nemica. Crea un sistema simbolico – biblico per cui la colpa originaria su cui scriverà molto,
produce un qualcosa che è la città, la società. Chi maledice la società è colui che vuole redimere la
colpa originaria) […]”

“[…] Con quello che dice Montesquieu *(sta leggendo e studiando Montesquieu), Essai sur le Goût.
Des diverses causes qui peuvent produire un sentiment. De la sensibilité. De la délicatesse p.389-393.
spiegate la cagione per cui c'interessino tanto le Storie romana e greca, i fatti cantati da Omero e
da Virgilio ec. le tragedie ec. composte sopra quegli argomenti ec. ec
*(è un tema che aveva trattato nel discorso sopra la poesia romantica: uno dei peccati dei romantici
è stato quello di comporre su temi che non sono nostri, gusto per l’esotismo ecc. la tradizione classica
non ha un valore oggettivo, ma si costruisce storicamente sulla base dell’abitudine. La nostra
tradizione ci interessa in quanto nostra. Leopardi è molto attento al concetto di interesse a che gli
uomini sono concepiti come organismo basati sull’amor proprio agiscono in funzione del proprio
interesse, questa è una cosa fondamentale anche dal punto di vista estetico. Dunque, ci tocca ciò che
ci ha toccato in precedenza. Importando nel sistema qualcosa che non mi ha toccato si importa
qualcosa di meno valido, in questo senso sbagliano i romantici. Allora come si può paragonare una
regola importata da un alto sistema? È una questione di astrazione. Ricordate la critica della
Rivoluzione francese: quella ud avere regole astratte che non vengono dalla loro storia personale.

134
Leopardi ha un sistema di tipo organicistico che ha in sé degli elementi che attraggono il simile o il
diverso, ma in funzione di ciò che c’è già).
E come quell'interesse *(parola importantissima. Categoria importante anche per machiavelli. Non
si può fare una politica che sia astratta rispetto gli interessi) non ci possa esser suscitato da nessun'altra
storia, o poema sopra altri fatti ancorché benissimo cantati, *(non è una questione di pura estetica: se
i fatti sono cantati bene comunque non ci interessano se ci sono estranei. Il giudizio estetico è fondato
sulla familiarità) come dall'Ossian, *(es. di mitologia nordica) o tragedia d'altri argomenti, quando
anche appartengano alla nostra storia patria più immediata, come agli avvenimenti de' bassi tempi ec.
e molto meno dalle poesie orientali, e da cento altre belle cose volute e messe in voga dai nostri
romantici, *(qui la polemica è esplicita) che di vera psicologia non s'intendono un fico. Tutto proviene
dalla molteplicità delle cause che producono in noi un sentimento, e sono, rispetto alle dette cose,
ricordanze della fanciullezza, *(c’è un tessuto di elementi che rende alcune opere più familiari e
sono esattamente queste categorie che elenca) abitudine presa, fama universale di quelle nazioni
e di quei poeti, affezionamento ancorché involontario, *(vedete come insiste sulla non
volontarietà. Siamo di fronte ad un tentativo di dire delle cose con un linguaggio non adeguato: un
essere plasmati dalla storia. I valori estetici dipendono da tutta questa stratificazione. Elementi che
creano familiarità e quindi interesse. Già Agostino nelle Confessioni aveva ragionato sulle categorie
del linguaggio) continuo uso di sentirne parlare, *(la fama si costruisce per accumulazione di voci.
L’aver sentito palare bene di qualcosa porta irrazionalmente a considerarlo come tale) rispetto
venerazione ammirazione amore per quelli che ne hanno parlato, *(un’ulteriore declinazione
della stessa cosa. Così si costruisce realmente la fama. Qui c’è però il problema del canone. Se la
critica parla bene di certi autori certi autori vengono ritenuti tali) tutte ragioni la mancanza delle quali
rende difficilissimo, e forse impossibile il fare ugualmente interessante un soggetto nuovo, massime
in poesia, dove tutto il diletto proviene dall'interesse, e non può stare colla sola curiosità, o desiderio
d'istruirsi ec. come nelle storie e simili. E v. il mio discorso sui romantici. Souvent notre ame se
compose elle-même des raisons de plaisir, et elle y réussit surtout par les liaisons qu'elle met aux
choses. Questo e tutto l'altro che dice Montesquieu è notabilissimo, e applicabile a diversissimi casi
e condizioni nelle quali ci riesce piacevole quello che ad altri non riesce, e a noi stessi non riusciva
in altre circostanze. P.e. fu un tempo non breve in cui la poesia classica non mi dava nessun piacere,
e io non ci trovava nessuna bellezza. Fu un tempo in cui io non trovava altro studio piacevole che la
pura e secca filologia, che ad altri par noiosissima. Fu un tempo in cui le scienze mi parevano studi
intollerabili. E quanti nelle loro professioni trovano piaceri, che agli altri parranno meravigliosi, non
potendo comprendere che diletto si trovi in quelle occupazioni! E nominatamente in quello che
appartiene alle lettere e belle arti, chi non sa e non vede tutto giorno che il letterato e l'artista trova

135
piaceri incredibili e sempre nuovi nella lettura o nella contemplazione di questa o di quell'opera, che
letta o contemplata dai volgari, non sanno comprendere che diascolo di gusto ci si trovi? *(c’è un
elemento esplicito che smonta ogni assoluto e attribuisce tutto alla complessità della storia, mentre
dall’altro resiste un certo platonismo che decreta come oggettiva la natura orrida di certe operacce. È
il caso di Parini. Altro pensiero che produrrà un’operetta morale) E piuttosto lo troveranno in cento
altre operacce di pessima lega. Con questo spiegate ancora la diversità de' gusti ne' diversi tempi,
classi, nazioni, climi ec. (29. Luglio 1820.) […]”

“[…] Gran magistero della natura *(investita di un finalismo) fu quello d'interrompere, per modo di
dire, la vita col sonno. Questa interruzione è quasi una rinnovazione, e il risvegliarsi come un
rinascimento. *(parole iper-leopardiane) Infatti anche la giornata ha la sua gioventù ec. v. p.151.
Oltre alla gran varietà che nasce da questi continui interrompimenti, che fanno di una vita sola come
tante vite. E lo staccare una giornata dall'altra è un sommo rimedio contro la monotonia dell'esistenza.
Né questa si poteva diversificare e variare maggiormente, che componendola in gran parte quasi del
suo contrario, cioè di una specie di morte. *(il sonno come una specie di morte. La felicità della vita
non può fare a meno di una specie di morte) […]”

“[…] Il ritrovare e procacciare la felicità destinata dalla natura all'uomo, non è più *(non è possibile
trovare la felicità destinata (ancora elemento saldo di finalismo) all’uomo da soli) opera del privato
neanche per sé solo. Non in società, perché ognuno vede come ci si vive, e il privato non può
migliorare le nostre istituzioni. *(parla del fatto che avendo abbandonato lo stato di natura l’individuo
non può raggiungere la felicità per impotenza. Si sente la frustrazione di un individuo che non ha
potere. Se nella natura si riesce a vivere ci può riuscire a trovare felicità, mentre nella società non è
possibile perché il meccanismo è troppo complicato) Non nella vita domestica solitaria e primitiva,
perché i piaceri suoi non possono più cadere in persone disingannate ed esaurite nella immaginazione
*(in un individuo che ha sperimentato la vita sociale e si sia disincantato non è possibile recuperare
un piacere privato perché il veleno della società agisce come una paralisi mentale che ha disilluso
completamente sulla capacità di essere felici) . Il dare al mondo distrazioni vive, occupazioni
grandi, movimento, vita; il rinnuovare le illusioni perdute ec. ec. e opera solo de' potenti. *(che
ci possano distrare dal nichilismo. Sono tutti sinonimi che rimandano al Faust. Mefistofele dà
movimento alla noia di Faust. Qui c’è molta visionarietà: il privato da quando vive in società e quindi
in un mondo gerarchizzato non è in grado di avere una felicità decisa da sé stesso, ma deve aspettarsi
questa opportunità da u potente che metta in atto un meccanismo di illusione e distrazione. Hollywood
come fabbrica dei sogni. Qui c’è tutta la storia del 900: il processo di rinascita di grandi illusioni

136
collettive che non può essere promosso dai singoli, ma deve essere innescato dai potenti. Il Tristano
è un’operetta che nasce da questa riflessione) […]”

“[…] La politica non deve considerar solamente la ragione, ma la natura, dico la natura vera e non
artefatta né alterata. *(il nesso tra questo pensiero e quello precedente è il fatto che gli uomini vivono
di illusioni e il rinnovare le illusioni perdute è un gesto politico) Il codice de' Cristiani *(riferimento
al potere della chiesa che ha la capacità di ricostruire le coscienze) in quante cose si scosta dalla
fredda ragione per accostarsi alla natura! Esempio poco o nulla imitato dai legislatori moderni […]”

“[…] Oltre che il virtuoso è per l'ordinario sconosciuto e non voluto conoscere e confessare dalla
moltitudine che è formata dai tristi, tale è la misera condizione dell'uomo in società, e dell'intrigo
delle circostanze, ch'egli è sovente sconosciuto e pigliato per tutt'altro, anche dagli altri pochissimi
virtuosi *(qui sta parlando del virtuoso che non è riconosciuto dai molti: di nuovo il confronto tra
l’individuo e le masse). Io mi sono abbattuto a dovere stimare ed amare due persone di rettissimo
cuore, che per alcuni incontri datisi tra loro, si stimavano scambievolmente con intima persuasione,
pessimi di carattere e di cuore. Tant'è, noi giudichiamo del carattere degli uomini dal modo nel quale
si sono portati verso noi o perché credessero di dovere, e anche dovessero portarsi così, o
arbitrariamente, o per forza di congiunture, o anche per colpa. E il più scellerato del mondo, se non
ci avrà nociuto, e per qualunque motivo, avrà avuto occasione di beneficarci, anche semplicemente
di trattarci bene, di mostrarcisi affabile manieroso rispettoso ec. basterà questo perch'egli nell'animo
nostro abbia un posto non cattivo, ed anche di uomo onesto. E quando anche l'intelletto ripugni, il
cuore e la fantasia ne terranno sempre questo concetto. Questa dovrebb'essere regola generale per
qualunque senta dir bene o male di chicchessia. Se quegli che parla, parla per altrui relazione,
o se parla di mala fede può avere altri motivi. Ma tolti questi due casi, ordinariamente nella vita
privata, tu devi supporre che quegli che ti parla ha ricevuto bene o male da quella tal persona,
e da tutto il suo discorso non credere di restare informato se non di questo. (31. Luglio 1820.) […]”

*(collegamento con gli appunti estetici sulla fama precedenti. Più avanza un sistema complesso più
è complesso l’intrigo delle circostanze e la natura di una persona ci è celata. Siamo di nuovo al tema
dell’interesse. In una società complessa possiamo solo giudicare il frammento che viene dall’avere
incontrato quella persona ma non possiamo giudicare la sua totalità. Questo pensiero riguarda il come
funziona la psicologia umana. È anche affine al pensiero sulla complicazione della società che cela i
veri rapporti. Le civiltà antiche vengono percepite come più trasparenti: essendo meno complessa la
polis antica era più difficile ingannarsi sulla natura di una persona. C’è un’idea di maggiore

137
complessità delle società moderne in cui oi veniamo in contatto solo con un piccolo aspetto della
persona (esempio della folla: Poe, Baudelaire). Quante conseguenze Leopardi ricava
dall’osservazione di una società che diviene sempre più complicata e dove l’individuo si immerge in
un anonimato. Nello stesso tempo pone le basi per una teoria politica fondata sul concetto di interesse.

18/12/19 letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 32


Gli uomini sono come i cavalli. Per tenergli in dovere e farsi stimare bisogna sparlare bravare
minacciare e far chiasso. Bisogna adoperar l'espediente di quelle monache del Tristram Shandy > da
cercare. *(non sappiamo molto delle letture effettuate da Leopardi circa questo romanzo)
(1° agosto 1820.)
Sebbene è spento nel mondo il grande e il bello e il vivo, *(combina i lemmi, il bello, il vivo = centrale
nella poetica leopardiana) non ne è spenta in noi l'inclinazione. Se è tolto l'ottenere, non è tolto né
possibile a togliere il desiderare. Non è spento nei giovani l'ardore che li porta a procacciarsi una
vita, e a sdegnare la nullità e la monotonia. Ma tolti gli oggetti *(le grandi opere, l’amor di patria ecc.
tutto ciò che spinge alle grandi azioni) ai quali anticamente si era rivolto questo ardore, vedete a che
cosa li debba portare e li porti effettivamente. *(il contrasto passato presente si capisce se si sa quando
leopardi scriveva. Era a Recanati e la Rivoluzione francese era ormai finita quindi c’era una
stagnazione dell’azione) L’ardor giovanile,
*(concetto al centro della costituzione del romanzo europeo e in particolare del romanzo di
formazione. L’ardor giovanile è il motore di tutte le storie narrate nei romanzi di formazione. Questo
si scontra con la realtà, il vero che uccide l’ardore che può corrispondere alle illusioni. In questo senso
ci viene in mente le illusioni perdute di Honoré Balzac > da cercare. Il romanzo narra di un giovane
poeta che perde le proprie illusioni. Ancora c’è l’eroe giovane illuso che vuole realizzare il sublime,
l’eroe stendhaliano. Anche nei romanzi della Austen è presente questa forma di ardore giovanile che
deve trovare uno sbocco. Esempio emblematico è il Willelm Meister > da cercare. Tutto il romanzo
di questo periodo è esattamente quello che dice leopardi. Sebben possa apparire estremamente
autobiografico l’appunto delucida qualcosa di fondamentale nell’epoca. Romanzo di formazione di
Franco Moretti spiega come il romanzo ottocentesco sia un romanzo in cui una gioventù simbolica si
prende la storia divenendone protagonista. Fino all’Ancient regime la saggezza veniva identificata
con la vecchiaia, ora è esattamente il contrario (ora si intende nell’800 > epoca della gioventù))
cosa naturalissima, universale, importantissima, una volta entrava grandemente nella
considerazione degli uomini di stato *(sta dicendo che nell’antichità l’ardore era considerato sebben
il governo fosse nelle mani dei vecchi. Si era consapevoli che se mal diretto l’ardore può essere
nefasto). Questa materia vivissima e di sommo peso, ora non entra più nella bilancia dei politici e dei

138
reggitori, ma è considerata appunto come non esistente *pensiero opposto a quello napoleonico).
Frattanto ella esiste ed opera senza direzione nessuna, senza provvidenza, *(sembra descrivere a
rovescio il Willelm Meister. Il termine provvidenza ci fa pensare anche a Manzoni (quello di Renzo
è u ardore) che deve essere messo a frutto dalla provvidenza. Infatti viene incanalato dalla peste che
poi uccide Don Rodrigo e così si realizza) senza esser posta a frutto *(tipica espressione leopardiana)
(opera perché quantunque tutte le istituzioni tendano a distruggerla, la natura non si distrugge, e la
natura in un vigor primo freschissimo e sommo com'è in quell'età) *(di nuova poetica dell’origine e
del cominciamento) e laddove anticamente era una materia impiegata e ordinata alle grandi utilità
pubbliche *(era un’energia che poteva essere usata bene) , ora questa materia così naturale, e
inestinguibile, divenuta estranea alla macchina *(metafora scientifica) e nociva, circola e serpeggia
e divora sordamente come un fuoco elettrico, che non si può sopire né impiegare in bene né impedire
che non iscoppi in temporali in tremuoti ec.
*(questa appunto ricorda la nostra situazione contemporanea che sacrifica l’ardore giovanile che
serpeggia senza essere indirizzato a nessuno scopo. I temporali e i terremoti sono le ribellioni che
scoppiano quando un’energia naturale non è impiegata a dovere. De Martino – la terra del rimorso >
analizza i fenomeni di isteria che colpiscono la gioventù in certe zone del sud Italia e che si manifesta
come predita della presenza. Spiega anche come sono curati questi casi e lo fa dicendo che bisogna
dare una direzione a questa energia che si è incanalata nel modo sbagliato. La cura è rappresentata da
partiche millenarie che danno direzione alla follia dei giovani. L’energia giovanile vien posta a frutto
attraverso il ritmo e i colori. Tipicamente si tratta di giovani donne che vengono aiutate a muoversi
sempre più armonicamente. Un alto metodo è quello dei colori cu gli individui rispondono
differentemente. Appunto breve ma densissimo di contenuto > antropologico, sociale, storico ecc…)
(1. Agosto 1820.)

Alla p.164. pensiero primo, aggiungi. Se tu vedi un fanciullo, una donna, un vecchio affaticarsi
impotentemente per qualche operazione in cui la loro debolezza impedisca loro di riuscire, è
impossibile *(questa impossibilità fa parte di un mondo arcaico, che non esiste più) che tu non ti
muova a compassione, e non proccuri, potendo, d'aiutarli. E se tu vedi che tu dai incomodo o
dispiacere ec. ad uno il quale soffre senza poterlo impedire, sei di marmo, o di una irriflessione
bestiale, se ti dà il cuore di continuare. *(c’è l’idea che un uomo sia diventato di pietra. Sulla
irriflessione c’è il passo sui giovinastri).

Anche gli uomini già sazi della lode, e persuasi della loro fama che non guadagna per le espressioni
particolari di questo o di quello, sono sensibili alla lode che riguarda qualche pregio diverso da quelli

139
per cui sono famosi. *(acuta osservazione psicologica che sottende la vanità umana. Quello della lode
è un tema si cui Leopardi insiste spesso) E però, eccetto le persone avvezze a essere adulate in ogni
cosa, nessuno diviene indifferente alla lode in genere, ma alla lode di quelle tali sue qualità *(il
desiderio di lode funzione come quello del piacere, è incolmabile, ma ciò che differisce da uomo a
uomo è la natura della lode). Di più la lode più cara è spesso quella che cade sopra una cosa nella
quale tu desideri, ma dubiti o stimi di non esser lodevole, o che altri non ti abbia per tale.
*(proporzione inversa = più si è fragili in un determinato campo e si viene lodati e più si accetta di
buon grado lode. La dolce lode or delle chiome ecc… quale destino andava in contro silvia se non
fosse morta? Forse l’invidia. La morte salva silvia dall’invidia).

Dice Diogene Laerzio di Chilone che (scritte in greco vedi il testo). E questo precetto si deve
estendere, massimamente oggidì in tanta propagazione dell'egoismo, a tutti i vantaggi particolari di
cui l'individuo può godere. Perché se tu sei bello non ti resta altro mezzo per non essere odiosissimo
agli uomini che un'affabilità particolare, e come una certa noncuranza di te stesso, che plachi l'amor
proprio altrui offeso dall'avvantaggio che tu hai sopra di loro, o anche dall'uguaglianza. Così se tu sei
ricco, dotto, potente ec. Quanto maggiore è l'avvantaggio che tu hai sopra gli altri, tanto più per fuggir
l'odio, t'è necessaria una maggiore amabilità, e quasi dimenticanza e disprezzo di te stesso in faccia
agli altri, perché tu devi medicare una cagione d'odio che tu hai in te stesso e che gli altri non hanno:
una cagione assoluta, che ti fa odioso per sé sola, senza che tu sia né ingiusto né superbo né ec. Ed
era questa una cosa notissima agli antichi, tanto persuasi della odiosità dei vantaggi individuali, che
ne credevano invidiosi gli stessi dei, e nella prosperità avevano cura dell'invidiam deprecari tanto
divina che umana, e quindi un seguito non interrotto di felicità li rendeva paurosi di gravi sciagure.
V. Frontone de Bello Parthico. *(sta parlando del meccanismo del malocchio. Bisogna evitare la
superbia per non ispirare l’odio degli dèi)
(4. Agosto 1820.). V. p.453. capoverso ult.

Montesquieu (Essai sur le Goût. Du je ne sais quoi) fa consistere la grazia e il non so che
*(espressione caratteristica dell’estetica francese = je ne sais quae), principalmente nella sorpresa, nel
dar più di quello che si prometta ec. In questa materia della grazia così astrusa nella teoria delle arti,
come quella della grazia divina nella teologia, *(paragone tra la grazia estetica e quella teologica)
noterò 1. L'effetto della grazia non è di sublimar l'anima, o di riempierla, o di renderla attonita come
fa la bellezza, ma di scuoterla, come il solletico scuote il corpo, e non già fortemente come la scintilla
elettrica. *(sono tutti paragoni che cercano di avvicinarsi all’effetto della grazia difficile da
descrivere. La grazia non colpisce appieno come fa la bellezza, ma è piuttosto un solletico) Bensì

140
appoco appoco può produrre nell'anima una commozione e un incendio vastissimo, ma non tutto a un
colpo. Questo è piuttosto effetto della bellezza che si mostra tutta a un tratto, *(la grazia è legata
all’idea di uno svelamento non immediato, mentre la bellezza tutto il contrario) e non ha successione
di parti. E forse anche per questo motivo accade quello che dice Montesquieu, che le grandi passioni
di rado sono destate dalle grandi bellezze, ma ordinariamente dalla grazia, perché l'effetto della
bellezza si compie tutto in un attimo, e all'anima dopo che s'è appagata di quella vista non rimane
altro da desiderare né da sperare, se però la bellezza non è accompagnata da spirito, virtù *(la grazia
ha un valore maggiore della bellezza siccome è legata alla temporalità, mentre la bellezza esaurisce
in un attimo. La grazia stuzzica, ma non si concede interamente dunque c’è una continua proiezione
e tensione verso qualora che deve avvenire. La grazia realizza l’effetto dell’infinito siccome non si
realizza mai. La bellezza non produce lo stesso effetto) ec. Al contrario la grazia ha successione di
parti, anzi non si dà grazia senza successione. *(legata alla temporalità) Quindi veduta una parte,
resta desiderio e speranza delle altre. 2. Perciò la grazia ordinariamente consiste nel movimento:
*(siccome è legata al tempo) e diremo così, la bellezza è nell'istante, e la grazia nel tempo. Per
movimento intendo anche tutto quello che spetta alla parola *(sta parlando della bellezza e grazia
umane. Qui vuole dire che la bellezza può essere fissata in un’immagine, mentre la grazia è legata
alla sperimentazione, deve darsi, deve parlare perché si possa cogliere la grazia. La grazia comprende
degli elementi morali. Qui sta parlando si un’estetica dell’immagine, ma si può applicare anche a
un’estetica poetica di un bello in immagini fisso che però non ha grazia. La grazia implica mistero e
desiderio quindi grazioso è Anacreonte e lo spirito del vento legato al movimento e dunque
all’indecifrabilità e alla non compiutezza del senso). 3. Veramente non è grazia tutto quello ch'è
sorpresa. Già si sa quante sorprese non abbiano che far colla grazia, ma anche in punto di donne, e
di bello, la sorpresa non è sempre grazia. Ponete una bellissima donna mascherata, o col viso coperto,
e supponete di non conoscerla, e ch'ella improvvisamente vi scopra il viso, e che quella bellezza vi
giunga affatto inaspettata. Quest'è una bella e piacevole sorpresa, ma non è grazia. *(poiché statica)
E per tener dietro precisamente a quello che dice Montesquieu, che la grazia deriva principalmente
da questo che nous sommes touchés de ce qu'une personne nous plaît plus qu'elle ne nous a paru
d'abord devoir nous plaire; et nous sommes agréablement surpris de ce qu'elle a su vaincre des défauts,
que nos yeux nous montrent et que le coeur ne croit plus, supponete di vedere una donna o un giovane
di persona disavvenente, e all'improvviso mirandolo in volto, trovarlo bellissimo; questa pure è
sorpresa, ma non grazia *(altro tipo di sorpresa, ma una sorta di pregiudizio che si corregge) 4. Pare
che la grazia consista in certo modo nella naturalezza, e non possa star senza questa. Tuttavia,
primieramente, siccome la natura, secondo che osserva anche Montesquieu, è ora più difficile a
seguire, e più rara assai che l'arte, così notate che quelle grazie che consistono in pura naturalezza,

141
non si danno ordinariamente senza sorpresa. *(ciò che è naturale diviene una sorpresa) Se tu senti o
vedi un fanciullo che parla o vera opera, le sue parole e le sue azioni e movimenti, ti riescono sempre
come straordinari, hanno un non so che di nuovo e d'inaspettato che ti punge, e fa una certa maraviglia,
e tocca la curiosità. Così in qualunque altro soggetto di naïveté. In secondo luogo, ci sono anche delle
cose non naturali, che pur sono graziose; o vero naturali, ma graziose non per questo che sono
naturali. *(i sono delle cose naturali e in più graziose) P.e. alcuni difettuzzi in un viso *(il viso
irregolare e grazioso), piacciono assai, e paiono grazie a molti. Chi s'innamora di un naso rincagnato
(come quel Sultano di Marmontel), chi di un occhio un po' falso ec. Un parlar bleso ec. a molti par
grazia. *(il balbettare può essere ritenuto grazioso) E si vedono tutto giorno, amori nati appunto da
stranezze o difetti della persona amata. Così nello spirito e nel morale. Il primo amore dell'Alfieri fu
per una giovane di una certa protervia che mi faceva, dic'egli, moltissima forza. E di questo genere si
potrebbero annoverare infinite cose che paiono graziosissime e destano fiamma in questo o in quello,
e ad altri parranno tutto il contrario. Così un viso di quel genere che chiamano piccante, vale a dire
imperfetto, e irregolare, fa ordinariamente più fortuna di un viso regolare e perfetto. Par cosa
riconosciuta che la grazia appartenga piuttosto al piccolo che al grande, e che se al grande
conviene la maestà, la bellezza, la forza ec. la grazia e la vivacità non gli possa convenire. Questo
in qualsivoglia cosa, e astrattamente parlando, uomini, statue, manifatture, poesie *(la grazia è legata
alle poesie brevi e questo potrebbe gettar luce sul periodo giovanile di Leopardi e quello successivo
delle canzoni > differenza idillio e canzone) ec. ec. ec. Un piccolin si mette Di buona grazia in tutto
dice il Frugoni. Ed è cosa ordinaria di chiamar graziosa una persona piccola, e spesso in maniera
come se piccolezza fosse sinonimo di grazia. 5. Da queste cose deducete che in somma la definizione
della grazia non si può dare, e Montesquieu non l'ha data, benchè paia crederlo, e bisogna sempre
ricorrere al non so che. Perché 1. se la sorpresa è spesso compagna della grazia, *(non si può definire
la grazia come sorpresa) è certo che questa è ben diversa dalla sorpresa, cioè perché una cosa sia
graziosa, non basta che sorprenda, bisogna che sia di quel tal genere, e questo genere che cos'è? 2.
non la sola naturalezza, come abbiamo veduto; non il perfetto, anzi spesso il difettoso, l'irregolare, e
lo straordinario; non tutto l'imperfetto, l'irregolare, e lo straordinario, com'è manifesto: che cosa
dunque? 3. Concedo che spesso il sentimento della grazia contenga sorpresa, ma non è grazioso per
questo che sorprende, altrimenti tutto il sorprendente sarebbe grazioso, ma perch'è un certo non so
che. 4. Quel modo in cui Montesquieu spiega questo non so che nelle parole riportate di sopra, non
sussiste se non in alcuni casi. Un viso piccante ed irregolare nous plaît veramente d'abord e senz'altro,
e qui non c'entra l'aver saputo vincere il difetto ec. Si vede ch'esso stesso contiene propriamente in sé
una qualità piacevole distinta da tutto il resto. È vero che un viso irregolare piace con una certa
sorpresa, ma quel che piace non è solamente né principalmente la sorpresa, altrimenti un viso

142
mostruoso piacerebbe di più. Applicate queste considerazioni agli altri esempi riportati di sopra, in
tutti i quali non ha che far niente il dare più di quello che si prometta, o non è la cagion principale ed
intima di quel tal piacere, ma piuttosto estrinseca e accidentale. 5. Il grazioso è relativo come il bello,
cioè ad uno sì, a un altro no ec. L'esperienza lo mostra, che come non c'è tipo della bellezza, così
neanche della grazia. E quantunque paia che l'idea della naturalezza debba essere universale, tuttavia
non è, e presso noi passano per naturali infinite cose che sono tutt'altro, e ai villani parranno naturali
e graziose cento maniere che a noi parranno grossolane ec. Così secondo le diverse nazioni costumi
abitudini opinioni ec. Non che la natura non abbia le sue maniere proprie, certe e determinate, ma
succede qui come nel bello. Un cavallo scodato, un cane colle orecchie tagliate, è contro natura, una
donna coi pendenti infilzati nelle orecchie, un uomo colla barba tagliata ec. eppur piacciono. Molto
più discordano i gusti intorno alla grazia indipendente dalla naturalezza. 6. Quantunque questo non
so che, non si possa definire, se ne possono notare alcune qualità 1mo. Spessissimo la semplicità
*(altra categoria importantissima e chiava dell’estetica leopardiana) è fonte, o proprietà della grazia.
2do. Quantunque la grazia ordinarissimamente consista nell'azione, tuttavia può stare qualche volta
anche senza questa, come appunto molte grazie derivanti dalla semplicità, p.e. nelle opere di belle
arti, nell'abito di una pastorella, citato anche da Montesquieu come grazioso, insieme colle pitture di
Raffaello e Correggio. *(la grazia è legata al tempo e allo spazio, ma può stare anche nelle arti che
sono fisse) Anche un viso piccante ma non bello, si può dire che contenga questo non so che, e punga,
senza bisogno di azione, come p.e. veduto in un ritratto, quantunque d'ordinario prenda risalto dal
movimento. *(sulla grazia e il movimento c’è uno studioso che ha indagato quest’aspetto Fabio
Camiletti) 3zo. La naturalezza non è la sola fonte della grazia, e pure non c’è grazia, dove c'è
affettazione. Il fatto è che quantunque una cosa non sia graziosa per questo ch'è naturale; tuttavia,
non può esser graziosa se non è, o non par naturale, *(la grazia non coincide con il naturale, ma non
può esserci grazia se no co sia almeno l’apparenza della naturalezza > apologo di Kleist) e il minimo
segno di stento, o di volontà, ec. ec. basta per ispegnere ogni grazia. Dico, se non pare, perché le
grazie della poesia, del discorso, delle arti ec. per lo più paiono naturali e non sono *(tutto ciò
che ha a che fare con il linguaggio è sempre artefatto, ma deve esserci una parvenza di naturale). 4to
La piccolezza abbiamo veduto come abbia che far colla grazia. 5to Lo svelto, il leggero, parimente
ha che far colla grazia. *(siccome ha a che fare con il movimento) E notate che i movimenti molli e
leggeri di una persona di taglio svelto, sono graziosi senza sorpresa, giacché non è strano che i moti
di una tal persona sieno facili e leggeri *(la teoria si biforca: il personaggio di Mignon nel Willelm
Meister che è l’adolescente che cammina bendata sulle uova senza romperle. La grazia è
l’adolescenza. L’altro riferimento è Degas, pittore del movimento e della grazia). Bensì muovono una
certa maraviglia o ammirazione diversa dalla sorpresa, la quale nasce dall'inaspettato, o

143
dall'aspettazione del contrario. Così la maraviglia prodotta dalle belle arti, con tutto che appartenga
al bello, non ha che far colla grazia. 6to L'effetto della grazia ordinariamente è quello che ho detto,
di scuotere e solleticare e pungere, puntura che spesso arriva dirittamente al cuore *(sulla puntura
c’è qualcosa nella Caduta e il ritorno) *(tendenza ossessiva alla ripetizione che si incarna in un
linguaggio sempre diverso ed esplica uno sforzo di comprensione), come se tu vedi due occhi furbi
di una donna rivolti sopra di te, nel qual caso la scossa si può paragonare anche all'elettrica. *(il
paragone elettrico prima si riferiva alla bellezza, ora alla puntura della grazia. Il riferimento letterario
è Proust. Si va in molte direzioni con questa teoria della grazia che è fuggitiva e sfuggente). Ma in
quella grazia che spetta p.e. alla semplicità pare che se l'effetto è di solleticare, non sia di pungere, e
forse si può fare su questa considerazione una distinzione di due grazie, l'una piccante, l'altra molle,
insinuante, glissante dolcemente nell'anima. *(vocazione scientista di Leopardi) E forse la prima si
chiama più propriamente il non so che. 7mo La vivacità ha che far colla prima specie di grazia.
*(quella piccante, ma non è grazia) Ma con tutto ciò la vivacità non è grazia *(non si identifica con
nulla. Solo il semplice sembra essere la categoria più vicina a quella della grazia). 8vo Nei cibi
parimente si dà una certa grazia, ora della prima, *(cioè il piccante) ora anche della seconda specie
*(cioè il molle). Quelli che chiamano ragoûts appartengono alla prima. E qui pure discordano i gusti
infinitamente. In somma non saprei che dire. Si potrebbe conchiudere che la grazia consiste in un
certo irritamento nelle cose che appartengono al bello e al piacere. *(dopo tutta una serie di
metafore si giunge a quella conclusiva) Così si verrebbe ad escludere un viso mostruoso ec. e dall'altra
parte, il piacere troppo spiccato e sfacciato, come quello della bellezza, dei godimenti corporali, del
desiderio soddisfatto; potendo la grazia chiamarsi piuttosto uno stuzzica-appetito, che una
soddisfazione di esso. *(dunque, la grazia diviene quel qualcosa che permane se non è soddisfatto,
ma se si esaurisce, se si soddisfa non è più grazia)
(4-9. Agosto 1820.)

Tutti i caratteri principali dello spirito antico, che si trovano in Omero, e negli altri greci e latini, si
trovano anche in Ossian, e nella sua nazione. *(due autori fondamentali per leopardi: Ossian come
omero moderno) Lo stesso pregio del vigor del corpo, della giovanezza, del coraggio, di tutte le doti
corporali. La stessa divinizzazione della bellezza. Lo stesso entusiasmo per la gloria e per la patria.
In somma tutti i beati distintivi di una civilizzazione che sta nel suo vero punto fra la natura e la
ragione. Del resto, pietà filiale, e paterna, e tutti gli altri sentimenti doverosi e naturali, hanno fra i
caledoni tutta la loro forza. Il divario tra i greci ed Ossian consiste principalmente in una
malinconia generata dalle disgrazie particolari, e non dalla disperante filosofia, ma più
propriamente e generalmente dal clima. *(la malinconia generata dalle disgrazie è quella di Omero,

144
ma più in generale di tutti gli antichi, mentre i moderni si disperano per la disperante filosofia) Questa
cagione non solo si conosce ma si sente nell'Ossian, e perciò rende la sua malinconia molto inferiore
a quella dei meridionali, Petrarca, Virgilio, ec. nei quali si conosce e sente anche una potenza di
allegria, come pure in Omero ec. cosa necessaria alla varietà, all'ampiezza della poesia composta di
diversissimi generi, e quasi anche al sentimento.

Ossian prevedeva il deterioramento degli uomini e della sua nazione. V. Cesarotti osservazione ultima
al poemetto della guerra di Caroso. Ma certo quando egli diceva ec. (v. gli ultimi versi d'esso
poemetto) non prevedeva che la generazione degl'imbelli si dovesse chiamar civile, e barbara la sua,
e le altre che la somigliarono *(prevedeva il deterioramento verso la modernità, ma non prevedeva
che i moderni sarebbero stati i civili e barbaro lui perché tutto ciò che viene meno con la modernità
per Leopardi sono cose civili e non barbare).

Oggidì è cosa molto ordinaria che un uomo veramente singolare e grande si distingua al di fuori per
un volto o un occhio assai vivo, ma del resto per un corpo esilissimo e sparutissimo e anche difettoso.
Pope, Canova, Voltaire, Descartes, Pascal. *(la singolarità e anche la grandezza appartengono ad un
corpo esile e sparuto (riferimento autobiografico) ma con un occhio assai vivo) Tant'è: la grandezza
appartenente all'ingegno non si può ottenere oggidì senza una continua azione logoratrice
dell'anima sopra il corpo, della lama sopra il fodero.*(l’anima è come la lama che logora il fodero)
Non così anticamente, dove il genio e la grandezza era più naturale e spontanea, e con meno ostacoli
a svilupparsi, oltre la minor forza della distruttrice cognizione del vero inseparabile oggidì dai grandi
talenti, e il maggior esercizio del corpo riputato cosa nobile e necessaria *(nell’antico) , e come tale
usato anche dalle persone di gran genio, come Socrate *(gli viene in mente Socrate a causa
dell’aneddotica che al tempo c’era in merito alla sua persona) ec. E Chilone uno de' sette savi non
credeva alieno dalla sapienza il consigliare come faceva, (verbo che significa esercitarsi parole
greche) (Laerz.), e questo consiglio si trova registrato fra i documenti della sua sapienza. In
particolare, poi quanto alla politica, oggidì l'uomo di stato si può dir che sia come l'uomo di lettere,
sempre
occupato alle insaluberrime fatiche del gabinetto. Ma nelle antiche repubbliche chi aspirava agli
affari civili, e nella sua giovanezza fortificava necessariamente il corpo cogli esercizi la milizia ec.
senza i quali sarebbe stato quasi infame; e lo stesso esercizio della politica era pieno di azione
corporale, trattandosi di agire col popolo, clienti, impegni ec. ec. Così anche la vita di qualunque altro
uomo di genio era sempre piena di azione nell'esercizio stesso delle sue facoltà. *(serie di
considerazioni sull’unione tra corpo e spirito nell’antico e divisone nel moderno. Queste riflessioni

145
riguardano anche le guerre e come sono cambiate le tattiche militari. Leopardi riflette sul fatto che le
guerre si fanno sempre più a distanza. Il mestiere delle armi diviene sempre più statico e meno legato
alla forza e al coraggio. Viene meno la corporeità in tutte le attività. Sintomi della modernità è la
perdita del corpo > GIACOMETTI, KAFKA) Esempio ne può essere Omero, secondo quello che si
racconta della sua vita, viaggi ec. Di Cicerone che tanto incredibilmente affaticò la mente e la penna,
e che nacque di quell'ingegno e natura unica che ognun sa, niun dice che fosse di corpo, non che
infermiccio, ma gracile, le quali qualità oggi s'hanno per segni caratteristici, e condizioni
indispensabili de' talenti non pur sommi ma notabili, e massime di chi avesse coltivato e occupato
tanto la mente negli studi letterari e nello scrivere, come Cicerone anzi per una metà. Quel che dico
di Cicerone può dirsi di Platone, e di quasi tutti i grandissimi ingegni e laboriosissimi letterati e
scrittori antichi. V. però Plutarco Vita di Cic.
(11. Agosto 1820.). V. p.233. capoverso 3.

20/12/19 letteratura italiana contemporanea – Franco D’Intino 12 CFU lez. 33

146

Potrebbero piacerti anche