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GIACOMO PUCCINI

TOSCA E TURANDOT
GIACOMO PUCCINI

• Giacomo Puccini, lucchese, proveniva da una famiglia molto attiva in campo musicale. Cominciati gli studi musicali nella città
natale, si trasferì a Milano per studiare al conservatorio. Qui partecipò alla vita bohémian della città frequentando Mascagni, con
il quale divise per alcuni mesi la stanza in affitto. L’opera d’esordio fu Le villi (1884), il cui successo attirò l’attenzione
dell’editore Giulio Ricordi che gli commissionò una seconda opera, Edgar (1889). Lo stile musicale di Puccini si distingue fin
d’ora per la contabilità delle melodie e s’inserisce nella tradizione melodrammatica italiana, pur mostrandosi aperto alla
valorizzazione dell’orchestra, all’impiego dei Leitmotive e di alcune arditezze armoniche. Puccini, a differenza degli operisti
contemporanei riscontrò un durevole successo protratto fino ai nostri giorni. Compositore dotato di un eccezionale senso del
teatro e di una propensione naturale per la melodia lirica, fu spesso recepito in maniera contrastante da pubblico e critica.
• Le opere di Puccini sono state molte volte accusate di eccesso di “sentimentalismo”. In seguito alle opere degli anni venti
Gianni Schicchie Turandot, la critica cominciò a mutare atteggiamento e a valutare l’opera del compositore sotto una nuova
luce, venne apprezzato soprattutto per il rinnovamento de linguaggio a finì drammatici ed espressivi e per l’ampio orizzonte
culturale.
TOSCA PERSONAGGI:

• Floria Tosca, celebre cantante - soprano


• Mario Cavaradossi, pittore - tenore
• Il Barone Scarpia, capo della polizia - baritono
• Cesare Angelotti, un prigioniero politico evaso - basso
• Il Sagrestano - basso
• Spoletta, agente di polizia - tenore
• Sciarrone, Gendarme - basso
• Un carceriere - basso
• Un pastore - ragazzo, voce bianca
TRAMA TOSCA:
L'azione si svolge a Roma, il 14 Giugno 1800, data della battaglia di Marengo. La Repubblica Romana è caduta e feroci rappresaglie sono in corso verso gli ex-
repubblicani simpatizzanti di Napoleone Bonaparte.

ATTO I:
Angelotti, prigioniero politico, riesce a evadere da Castel Sant'Angelo e trova rifugio nella Chiesa di Sant'Andrea Della Valle. Sua sorella, la Marchesa Attavanti,
gli ha lasciato la chiave della cappella di famiglia,dove si nasconde.

Arriva il sagrestano per ripulire i pennelli del pittore Mario Cavaradossi, impegnato nella realizzazione di un affresco raffigurante la Madonna. Il pittore entra
poco dopo per rimettersi al lavoro. Quando toglie il telo dal suo affresco, il sagrestano ha un sobbalzo: nella rappresentazione della Madonna riconosce un volto
già visto. Cavaradossi confessa di essersi ispirato ad una devota della chiesa, non sapendo che si tratta proprio della Marchesa Attavanti.
Continua a dipingere il quadro guardando, di tanto in tanto, una foto della sua amata Floria Tosca. 

il sagrestano fa per uscire, quando nota che il pranzo di Cavaradossi è ancora intatto; pensa ad un digiuno di penitenza, ma il pittore lo rassicura dicendo di non
aver appetito.
Angelotti, pensando di esser rimasto solo, esce dal nascondiglio. Incontra però Cavaradossi, suo vecchio amico e anch'egli simpatizzante per Napoleone
Bonaparte. I due vengono interotti bruscamente dall'arrivo di Tosca; Angelotti è costretto a nascondersi frettolosamente, non prima di aver preso il paniere di
Cavaradossi.

Floria Tosca, cantante e amante di Cavaradossi è per sua indole molto gelosa. Ha sentito il suo amato parlare con qualcuno e teme la presenza di un'altra donna.
Dopo essere stata rassicurata dal Cavaradossi di essere l'unica donna da lui amata, lo invita a passare la serata insieme nella villa del pittore. Prima di uscire però,
riconosce nello sguardo della Madonna gli occhi della Marchesa Attavanti; di nuovo viene presa da un'impeto di gelosia, e di nuovo Cavaradossi le proclama il
suo unico e incondizionato amore.
• Allontanatasi Tosca, Angelotti può uscire di nuovo dal suo nascondiglio. Racconta che la sorella ha nascosto nella
cappella per lui delle vesti femminili; aspetterà il tramonto per fuggire dalla caccia del barone Scarpia. Cavaradossi
consiglia all'amico di recarsi subito alla sua villa e - in caso di pericolo - nascondersi nel pozzo. Un colpo di cannone
sparato da Castel Sant'Angelo annuncia che la fuga di Angelotti è stata scoperta. Questi è dunque costretto alla fuga.

Entra il sagrestano circondato da una folla di chierici e confratelli, tutti festosi per la notizia dell'imminente (e
presunta) sconfitta di Napoleone da parte degli austriaci.
Li interrompe bruscamente Scarpia, accompagnato da Spoletta, giunto nella chiesa per ricercar il fuggitivo. Trova il
paniere vuoto e un ventaglio femminile con lo stemma Attavanti. Riconoscendo alfine il volto della Marchesa
nell'effige della madonna, capisce che il piano di fuga di Angelotti è stato ordito con la complicità di Cavaradossi.

Tosca torna in chiesa per annunciare al suo amato un cambio di programma: dovrà presenziare ad un concerto a
Palazzo Farnese quella sera stessa, quindi non potrà recarsi alla sua villa. Il barone Scarpia utilizza il ventaglio per
instillare il dubbio nella mente di Tosca. Ella riconosce lo stemma sul ventaglio e crede che Cavaradossi abbia una
relazione con la Marchesa; corre quindi alla villa del pittore per poter cogliere i due sul fatto.
Scarpia la fa seguire da Spoletta e da alcuni poliziotti. Il suo scopo è duplice: avere per sè Floria Tosca e catturare
Angelotti.
TOSCA ANALISI

• Puccini si avvicina al verismo. Luigi Illica e Giuseppe Giacosa furono i librettisti di Tosca, ma anche di
altre opere. In quest’opera Puccini si confrontava con un soggetto d’argomento storico-patriottico, un
dramma di Sardou, dove non mancano scene di violenza o di sangue. Il soggetto ispirò al compositore una
vocalità più aggressiva e una particolare attenzione per gli effetti orchestrali, come possiamo osservare nel
Finale del I atti in cui vediamo sfilare la processione per il Te Deum. Nell’opera non mancano momenti di
intensivo lirismo come l’addio alla vita di Cavaradossi con l’aria E lucevan le stelle.
• Puccini concepì quest’aria come un’improvvisazione: nella prima strofa Cavaradossi intona
realisticamente un declamato melodico, come se agisse sotto l’imputato del momento, mentre il clarinetto
canta sommessamente un tema malinconico e toccante. Nella seconda strofa il tenore riprende questa
melodia con la partecipazione dell’intera orchestra che raddoppia la linea del canto.
“E LUCEVAN LE STELLE”

Si trova nell'atto terzo, aspettando la sua esecuzione a Castel Sant’Angelo, il pittore Mario
Cavaradossi ripensa con nostalgia e amore ai tempi con la sua amata Floria Tosca,
disperandosi per la fine imminente.
E’ una romanza in si minore, è aperta da un assolo di clarinetto , la cui melodia è ripresa dal
tenore, in modo pressoché letterale, a partire dal verso «Oh! dolci baci, o languide
carezze».
La melodia, già ascoltata nell'ultima parte dell'introduzione al terzo atto, torna in forma di
breve discorso orchestrale anche nelle battute finali dell'opera, nel momento in cui Tosca si
getta dalle mura del castello.
La voce è forte e maschile. Ha una brillantezza metallica nelle note alte. Nel registro acuto
il tenore spinto può ispirare il pubblico con note alte.
In quest’aria, gli interpreti devono trasportare emozioni con rubati costanti. All’inizio dell’aria Cavaradossi
spiega come i ricordi di visioni, odori e sentimenti brillano come stelle lontane. 

Dopo l’aria, Puccini ordina al tenore di scoppiare in lacrime.


Quest’aria deve essere cantata con grande sentimento ma non deve mai essere troppo forte per ottenere
l’ultima possibilità di un grande applauso e per esagerare.
TURANDOT
• ATTO I: A Pekino al tempo delle fiabe. La principessa Turandot ha fatto voto di sposare soltanto colui che riuscirà a
risolvere tre enigmi. Chi sbaglierà invece verrà decapitato. Mentre l’ultimo pretendente viene condotto al patibolo, nella folla
compare il principe Calaf che ritrova suo padre Timur e la schiava Liù, segretamente innamorata di lui. Calaf vede Turandot,
se ne innamora e decide di sottoporsi alla sfida nonostante tutti, compresi i tre dignitari di corte Ping,Pong e Pang, cerchino
di dissuaderlo.
• ATTO II: Quadro primo. I tre dignitari sperano che Calaf vinca, per poter risollevare le sorti della Cina. Quadro secondo.
Turandot dà spiegazione del suo comportamento atto a vendicare un’antico ava, violentata e uccisa da un re barbaro. Il
principe ignoto scioglie i tee enigmi ma, vedendo Turandot profondamente afflitta dalla sua vittoria, con un gesto di
generosità, le propone un controenigma: se Turandot riuscirà a scoprire il suo nome, Calaf rinuncerà a sposarla e sarà pronto
a morire.
• ATTO III: Quadro primo. Ping, Pong e Pang cercano di carpire il segreto al forestiero, allettandolo con promesse. Timur e
Liù, che sono stati visti parlare con Calaf, vengono catturati e interrogati. Liù, per non svelare il nome del suo padrone, si
uccide. Il principe bacia Turandot e le svela il suo nome lasciandola libera di rilevarlo. Quadro secondo. Turandot, come
stregata dal bacio di Calaf, davanti alla corte riunita annuncia che il nome del principe è Amore.
TURANDOT ANALISI PERSONAGGI E CONTESTO

• La carriera operistica di Puccini si conclude con Turandot. La parte finale dell’opera fu portata a termine da Franco Alfano sulla base degli abbozzi
di Puccini. L’argomento è tratto dalla fiaba teatrale di Carlo Gozzi. Turandot è pervasa da un tono tragico e drammatico. Tra le modifiche apportate
all’originale spicca l’introduzione di un personaggio femminile, la schiava Liù innamorata di Calaf che, dopo aver affrontato Turandot con l’aria Tu
che di gel sei cinta, si uccide per non rivelare il nome del principe. Con questo espediente drammaturgico il musicista inseriva nel contesto fiabesco
un elemento patetico di grande impatto emotivo.
• L’ambientazione di Turandot stimolò l’autore verso un linguaggio musicale esotico e un’inedita fantasia timbrica: fece ricorso a melodie cinesi
autentiche e inventate e colorò la compagine orchestrale con svariati idiofoni come xilofoni, celesta, glockenspiel, campane tubolari, gong cinesi.
• Tra le melodie quella più adoperata nell’opera è Moo-Lee-Vha, impiegata per alludere alla Turandot ufficiale. Essa compare per la prima volta nel
coro dei fanciulli nell’atto I. Accanto all’esotismo, possiamo riscontrare in Turandot un linguaggio armonico ricco di dissonanze, con esempi di
bitonalità e armonie particolarmente aspre.
• Rispetto alle altre opere di Puccini in Turandot le masse corali assumono un ruolo di primo pino e ci ricordano i quadri di folla del Boris Godunov di
Musorgskij. Esse conferiscono ad alcune scende un tono grandioso. I tre dignitari invece alleggeriscono con le loro battute il senso di gravità che
incombe sull’opera, anche se hanno perduto la cordialità e la scherzosità delle maschere gozziane. Tra i personaggi campeggia Calaf, che mette in
gioco la sua vita per la donna amata. Al principe è affidata la celebre aria tenorile Nessun dorma nell’atto III
TU CHE DI GEL SEI CINTA DA TURANDOT
• A Liù , personaggio di secondo piano , Puccini riservò ben tre arie contro le due di Turandot e di Calaf. Liù è il personaggio
più sentimentale dell'opera , quello che maggiormente si avvicina a Befigure come Madama Butterfly o Mimi Bebeme . La
sua natura terrena trova rispondenza in una delle arie più felici Puccini . Tu che di gel sei cinta .
• Liù preannuncia con questi pochi versi il cedimento di Turandot e la propria morte , necessaria affinché Calaf possa sposare
la donna amata . L'aria era stata una delle prime idee musicali che Puccini aveva avuto . Il musicista mandò ai suoi librettisti
i versi guida , definiti da lui stesso " in stile maccheronico " , che alla fine decise di mantenere . Il suggestivo canto di Liù si
dipana su un andamento ritmico che alterna una battuta di 2/4 a una di 4/4 , conferendo così il senso di un ritmo asimmetrico
.
• La melodia dal colore esotico comincia in sordina per raggiungere il suo culmine espressivo sull'ultimo verso , " Per non
vederlo più ".Osserviamo che l'orchestra asseconda il crescendo emotivo : il canto inizialmente è raddoppiato da oboe e
fagotto e sostenuto dalle viole e da qualche legno , poi si aggiungono il corno inglese , gli archi e infine l'intera orchestra .
È a questo punto che Liù prende un pugnale da un soldato e si toglie la vita. Nella scena successiva Puccini mantiene la
musica dell'aria di Liù che diventa così la sua trenodia . Calaf, Timur e perfino le maschere compiangono Liù e la
processione porta via la salma della giovane . A loro si unisce il coro che nella parte finale , nel pianissimo , ci regala un
passo particolarmente suggestivo : il canto di Liù è esposto prima solo dai soprani raddoppiati da violini e flauto , poi si
aggiungono tenori e bassi che , sempre nel pianissimo , concludono la frase sostenuti dai pizzicati degli archi , dall'arpa ,
dalla celesta e dai suoni argentini dei legni tra i quali spicca il suono dell'ottavino . La penna di Puccini si fermò in questo
punto dell'opera . Tirandot fu rappresentata per la prima volta alla Scala nel 1926 sotto la direzione di Toscanini il quale
posò la bacchetta proprio dopo l'ultima pagina completata dall'autore , spiegando il suo gesto con queste parole : “Qui
termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto” .

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