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Isolamento sociale nell’infanzia e le conseguenze

comportamentali, psicologiche e sociali al tempo del COVID-19

Indice:

Introduzione

Capitolo 1: TUTELA DELLA SALUTE PUBBLICA E CONTROLLO SOCIALE:


EMERGENZA SANITARIA

1.1 Una nuova realtà per il mondo: COVID-19


1.2 Distanziamento sociale e deprivazione sociale
1.3 I bisogni educativi e la piramide di Maslow

Capitolo 2: GLI EFFETTI DELLA PANDEMIA SULLO SVILUPPO INFANTILE

2.1 Gli effetti psico-sociali di COVID-19 sugli atteggiamenti e sui comportamenti degli
adolescenti
2.2 Analisi e interventi sociali per gli adolescenti nel periodo successivo alla pandemia

Capitolo 3: ANALISI DEI SERVIZI SOCIO EDUCATIVI PER L’INFANZIA

3.1 Esperienza di isolamento sociale vissuta da educatori e ragazzi all’interno di una comunità
educativa
3.2 Interventi di gruppo nel settore

Conclusioni
Bibliografia
Metti annata vicino all’autore che nomino
Associazioni, istituzioni solo la prima lettera va maiuscola e data

Bibliografia:
Mettere cognome maiuscolo poi virgola e iniziale nome autore poi punto, (1999). Titolo maiuscolo

Libri: Adriano, G. (anno pubblicazione). Titolo . Informazioni sulla pubblicazione


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Othering metterlo in corsivo

Numeri da zero a nove in lettere, 10 in numero


Introduzione

Capitolo 1: TUTELA DELLA SALUTE PUBBLICA E CONTROLLO SOCIALE:


EMERGENZA SANITARIA

1.1 Una nuova realtà per il mondo: COVID-19

Sono passati due anni dal momento in cui il Direttore generale


dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha enunciato che il Covid-19
rappresenta una pandemia globale. È la prima volta che una malattia infettiva
colpisce anche i Paesi Occidentali. La Covid-19 è conosciuta come malattia
infettiva respiratoria causata dal virus chiamato Sars-Cov-2 concernente la
famiglia dei coronavirus. Il virus si trasmette per via aerea, spesso tramite le
goccioline respiratorie. Il periodo di incubazione varia da 2 a 14 giorni. Si ritiene
che sia di origine zoonotica, ma resta predominante la modalità di trasmissione fra
uomo e uomo, a stretto contatto, specialmente starnutendo e tossendo vicino a
qualcuno che si trova ad una distanza di uno o due metri. È possibile contrarre il
coronavirus anche dopo aver toccato superfici e oggetti dove sia presente il virus,
se di conseguenza ci si tocca i propri occhi, naso e bocca. Il virus può resistere
sulle superfici per un massimo di tre ore o giorni. È quindi importante disinfettare
e detergere per evitare il rischio di contrarre il virus.
Esso colpisce l’apparato respiratorio superiore e inferiore ma può provocare
sintomi che riguardano tutti gli organi e apparati. I polmoni sono gli organi più
colpiti poiché il virus subentra tramite l’enzima 2. Il virus si connette al recettore
ACE2 tramite una glicoproteina chiamata peplomero. Col procedere della
malattia, può insorgere una insufficienza respiratoria e di conseguenza può seguire
la morte. Vengono inoltre danneggiati gli organi gastrointestinali e il sistema
cardiovascolare. Quest’ultimo se viene colpito può far insorgere miocarditi,
aritmie e insufficienza cardiaca.
Questa malattia infettiva può svilupparsi in forma asintomatica oppure con
sintomi simil influenzali ovvero: febbre, tosse, cefalea, dispnea, astenia, la perdita
dell’olfatto e del gusto. Possiamo quindi incontrare tre tipologie di casi ovvero:
asintomatici, cioè soggetti che non presentano sintomi evidenti e la misura di
trattamento per questi è la quarantena centralizzata; casi sospetti ovvero persone al
di sotto dei 65 anni che non hanno gravi patologie e che riescono a prendersi cura
di se autonomamente; casi lievi rappresentano pazienti che possono essere
accuditi dai familiari se gli ospedali sono colmi e infine i casi gravi ovvero coloro
che devono essere ricoverati in terapia intensiva per il trattamento. Tramite la
convivenza col virus si è potuto affermare che è necessario controllare la malattia
nella sua fase iniziale e che conviene controllare il sistema immunitario nella fase
avanzata della stessa. L’origine però ancora oggi è incerta. Si pensa che provenga
da una fonte animale. Ulteriori studi hanno indicato che il Covid si sia originato a
seguito della combinazione di virus da pipistrelli e serpenti. La comunità
scientifica però critica questo studio, finché nei primi mesi del 2020 si evince che
il coronavirus riesce ad entrare nella cellula umana attraverso il recettore ACE 2,
come il virus SARS. Per quanto riguarda le cure invece, si procede con
fluidoterapia, ossigenoterapia con cannula nasale, il monitoraggio dei segni vitali
e della saturazione dell’ossigeno, l'intubazione tracheale, la ventilazione
meccanica invasiva, la purificazione del sangue, l’immunoterapia. Oltre al
conseguente uso obbligatorio della mascherina per evitare il contagio, si può
utilizzare l’ossigenazione extracorporea della membrana per intervenire a
beneficio dell’insufficienza respiratoria. L’igiene personale, una dieta e uno stile
di vita sano sono raccomandati per migliorare l’immunità. Si è scoperto inoltre
che il desometasone riduce la mortalità nei pazienti che hanno difficoltà
respiratorie e insieme al remdesivir, sono gli unici farmaci che offrono beneficio
clinico. Il rilevamento di anticorpi naturalizzanti è utile per rilevare i soggetti che
attivano una risposta immunitaria contro il virus e il cui plasma viene utilizzato
per combattere 2il Covid. Per poter far fronte a questa sfida ed evitare la
diffusione del virus diventa necessario l’uso della mascherina, lavaggi frequenti
delle mani con acqua e sapone, non toccarsi gli occhi, il naso e la bocca ed evitare
contatti ravvicinati. Non c'è una fine chiara che può essere vista per questa
malattia contagiosa. L'unica cura possibile per questa pandemia è la prevenzione.
Dobbiamo affrontarlo come una comunità globale e sostenerci a vicenda.
La sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2 (SARS-CoV-2) è la prima
pandemia in cui la diffusione di un patogeno virale è stata monitorata a livello
globale quasi in tempo reale utilizzando l'analisi filogenetica delle sequenze del
genoma virale.

https://it.wikipedia.org/wiki/COVID-19
https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/10408363.2020.1783198 (The
COVID-19 pandemic)

Secondo Favretto A., Maturo A., Tomelleri S. (2021) il Covid è un evento sociale
senza dei confini temporali definiti, ed essendo un virus dunque è anche un
fenomeno biologico. Si crea così un bias epistemologico, ovvero noi siamo
soggetti e oggetti di studio contemporaneamente. Oltre al termine pandemia che
caratterizza ormai il nostro secolo si introduce anche quello di sindemia ovvero
l’incontro di due condizioni patologiche che si potenziano a vicenda con esiti
dannosi, come ad esempio possono essere i fattori di rischio legati alle condizioni
sociali. L’ipotesi che si viene a creare è che le caratteristiche fisiche
(obesità e malattie polmonari rendono i soggetti molto più fragili di fronte al
virus) vengano plasmate dallo stile di vita e che di conseguenza nascano le
diseguaglianze sociali. Queste criticità si verificano in modo più diretto con
persone di basso status socioeconomico, con soggetti più esposti al rischio del
virus e con persone/ vulnerabili a causa di patologie pregresse. Oltre a questa
tipologia di frattura la sociologia si occupa di porre ulteriormente lo sguardo sugli
effetti sociali e sanitari, sul mantenimento della stabilità sociale, sulla
distribuzione delle cure e la ripartizione delle risorse. È possibile ricostruire un
quadro generale della società in questa epoca se si prendono come riferimento le
esperienze individuali, gli elementi di sistema e le dimensioni istituzionali.
Lusardi e Bova illustrano come gli operatori abbiano affrontato gli effetti della
pandemia grazie alla riorganizzazione dei servizi stessi, più collaborazione tra i
professionisti e l’utenza e più responsabilità e sostegno da parte di quest’ultima.
L’aumento della forza e della densità dei legami intra professionali fa sciogliere il
peso della burocratizzazione e l’isolamento rispetto alle altre istituzioni sanitarie.
Oltre a questi fenomeni però una considerevole attenzione si deve porre anche alle
strutture generazionali. Tra le forme di pregiudizio più diffuse nell’epoca del
COVID possiamo trovare l’ageismo, ovvero la discriminazione nei confronti di
persone di veneranda età. Essi in breve tempo sono diventati il bersaglio più
semplice del virus ed emarginati di fronte alle forme di smartworking, l’accesso a
Internet, smartphone, computer e social che però in questi anni di emergenza
sanitaria hanno preso il sopravvento più che mai. Il punto focale su cui si
dovrebbe lavorare è tra il virus e la capacità delle politiche sociali di proteggere
tutti i più fragili con interventi adeguati senza vincoli di età. Gli autori prendono
in considerazione anche l’età adulta, focalizzandosi soprattutto sul lavoro e la sua
riorganizzazione. Per alcune fasce di lavoratori la salute e l’interruzione della vita
relazionale è causa di turbamento, mentre per i lavoratori più fragili il primo
pensiero va verso il reddito, la sicurezza e l’identità sociale. Libertà e
coscienziosità sono caratteristiche proprie dell’essere adulti che però durante il
periodo pandemico sono state represse da una costante richiesta di maggiore
controllo sociale per contenere il contagio, un orientamento normativo e una
notevole responsabilità individuale. Tutto ciò però forse in modo inconsapevole ci
sta inducendo ad accettare misure di sorveglianza formali, informali e di
autocontrollo sempre più evidenti. Il punto di arrivo dell’asse generazionale
riguarda la gioventù e la modalità di relazioni che vengono ad instaurarsi a seguito
dello sconvolgimento della vita quotidiana. Cardano ci presenta una ricerca
relativa all’influenza della vita di relazione per la salute mentale su un campione
di seimila studenti torinesi, la quale mostra attraverso i dati che un’importante
fonte d’ansia dichiarata dai giovani intervistati riguarda non soltanto aspetti di
natura relazionale, quanto l’aver sperimentato una battuta di arresto nelle proprie
performance individuali.
Tutto ciò causa effetti negativi sia dal punto di vista cognitivo, sia da quello
psicologico, sia da quello relazionale.
Anche la comunicazione assume un ruolo cruciale specialmente tra mass media e
social media poiché rappresenta la dimensione reale e la vita quotidiana. La
pandemia sta rivoluzionando l’assetto della realtà sociale stessa. La
comunicazione normalizza le scelte compiute e quelle che si presentano come
inevitabili nel futuro. A seguito di un’analisi dei messaggi di Twitter durante la
pandemia si è notato come nella prima fase lo scambio di informazioni si sia
diffuso in modo ordinato, mentre nella seconda fase quest’ultime sono state intinte
di rabbia e di paura. Da questo quadro emergono chiaramente fragilità strutturali,
tecnologiche, culturali ed economiche. Anche l’impatto della DAD mette gli
insegnamenti di fronte a un duplice incarico: offrire un seguito all’apprendimento
e continuare a stimolare la comunità di classe. Gli adolescenti infatti non trovano
appagamento nei loro bisogni di crescita e formazione, gli adulti sono costretti ad
adattarsi a una nuova tipologia di vita e gli anziani ad affidarsi alla società che
offre loro protezione e riguardo.
La crisi sanitaria reclama un ripensamento della società italiana proprio perché è
avvenuta una profonda rottura dell’equilibrio in ogni settore della sfera di vita. In
questo volume la sociologia indaga sulle possibilità di interazione a livello
personale, gruppale, organizzativo e ambientale; ricercare delle strategie di
risoluzione dei problemi sociali; riorganizzare lo spazio sociale per rispettare il
protocollo sanitario; riformulare il proprio tempo. La resilienza di fronte a questi
periodi non può che essere fondamentale perché rappresenta un processo sociale
di azione e reazione delle persone, dei gruppi, delle organizzazioni e delle
istituzioni di fronte ad eventi sfavorevoli, ma se invece aumenta l’incertezza delle
risorse, delle istituzioni allora la vulnerabilità sociale inizia a dilagare.
Quest’ultima può avere una natura sistemica e complessa. La risposta sociale che
ha generato il Covid è differente in base alle caratteristiche dei gruppi sociali,
dell’ambiente, delle istituzioni e delle politiche sociali ed economiche, ma non
esclude nessuno, anzi sono tutti travolti in una fenomenologia del rischio. Per
affrontare nel miglior modo una crisi sanitaria di questo tipo occorre capire come i
problemi si intersechino tra loro e quali interventi mettere in atto per gestire al
meglio l’impatto sociale che la pandemia ha provocato. Si cerca specialmente di
ricostruire gli assetti socio economico del pre-pandemia riconoscendo che le
società neoliberiste fossero già fragili.

Mauro Favretto e Tomelleri , Franco Angeli L’impatto sociale del Covid-19,

Quando la pandemia diventa la realtà sociale prende una definizione sociale e la


realtà che per molto tempo è stata data per scontata, viene stravolta. Nella fase
iniziale si pone l’attenzione sui sintomi, sul monitoraggio di casi non casuali e
sulle decisioni dei malati e dei professionisti sanitari. Il rilevamento dei contagi si
manifesta tramite il controllo delle mappe epidemiologiche. Strong sostiene che a
un’epidemia microbica si susseguano tre epidemie psicosociali ovvero: una prima
manifestazione collettiva di paura e sospetto poiché la nostra routine non è più
prevedibile ne sicura e i bambini diventano fonte di preoccupazione per la
trasmissione del virus. Ci troviamo così di fronte all’impossibilità di mantenere
relazioni, le stesse che ci caratterizzano come una comunità. In secondo luogo
proviamo disorientamento collettivo misto ad azione di fronte alla minaccia di
morte.
L’ultima manifestazione è un’epidemia di azione. Stallings considera
l’interruzione della routine come uno stabilizzatore delle routine interrotte, ma in
realtà la sospensione dell’ordine è considerata il mezzo per salvarlo.

Theorising – The Social Definition of the Corona Pandemic.


https://www.europeansociologist.org/issue-45-pandemic-impossibilities-vol-1/theorising-
social-definition-corona-pandemic
Strong(1990) fornisce una dichiarazione sociologica su ciò che le pandemie
implicano all’ordine sociale. “Psicologia epidemica” è il saggio di Strong nel quale si
mostra come le persone reagiscono di fronte ad una malattia e ci offre tre tipi di epidemia
psicosociale ovvero: paura, spiegazione e moralizzazione e azione proposta. L’origine
della patologia sociale dimora nella minaccia di malattie epidemiche che intaccano la
quotidianità. Molte di esse però esistevano già ancora prima del covid. Strong offre
alcune indicazioni sulle psicologie collettive infettive, ma un’altra lettura sociologica
prende come punto di riferimento le strutture macro sociali con rimando alle nuove
frontiere di disuguaglianze e le condizioni di lavoro precarie. I problemi globali
richiedono uno studio approfondito da parte della sociologia e di altre scienze sociali in
contesti economici, sociali,culturali e politici.
Coronavirus (COVID-19), pandemic psychology and the fractured society: a sociological
case for critique, foresight and action

L’epidemia di Covid-19 si candida a essere l’emergenza sanitaria più importante


della nostra epoca. Indubbiamente questo periodo di pandemia ci ha trasformati in
un organismo unico, una comunità che comprende l’interezza degli esseri umani.
Ogni parte del mondo venne distinta tra zona rossa, arancione gialla e bianca in
base al numero dei contagi presenti. Ogni individuo si è ritrovato dentro uno
spazio vuoto inatteso e a vivere un presente condiviso da molti. Non esisteva più
la quotidianità. In questo quadro prendono origine tre tipologie di persone: i
suscettibili, cioè quelli che potrebbero ancora contagiare; gli infetti cioè quelli che
ha già contagiato e i rimossi cioè quelli che sono già stati contagiati e che non
sono sopravvissuti. Il contagio inizia come una reazione a catena e cresce in modo
esponenziale. Esso ci ha fatto rendere conto che l’impalcatura della nostra società
è come un castello di carta e che tutto ciò a cui siamo sempre stati abituati fino ad
ora potrebbe non ritornare come prima. Ha portato molta solitudine: la solitudine
di chi è ricoverato in terapia intensiva, ma anche delle bocche nascoste dietro alle
mascherine, nonostante l’epidemia ci faccia sentire tutti accomunati dalla stessa
circostanza. Ognuno di noi infatti dovrebbe sentirsi parte attiva di questo processo
di prevenzione assumendosi la responsabilità su se stesso e sugli altri. L’epidemia
inoltre ha portato alla luce molta diffidenza e incertezza che nemmeno la scienza
riesce a colmare nella nostra quotidianità.
“D’un tratto la normalità è la cosa più sacra che abbiamo, non le avevamo mai
dato questa importanza e se ci riflettiamo attentamente non sappiamo neanche
bene che cos’è: è ciò che rivogliamo indietro. Però la normalità è sospesa e
nessuno può prevedere per quanto. Ora è il tempo dell’anomalia, dobbiamo
imparare a viverci dentro, trovare delle ragioni per accoglierla che non siano
soltanto la paura di morire. Forse è vero che i virus non hanno una intelligenza,
ma in questo sono più abili di noi: sanno mutare in fretta, adattarsi. Ci conviene
imparare da loro ” Giordano,P. 2020 (pagina citazione). Resta a noi la scelta se
considerare il Covid come una disgrazia, un evento inaccettabile oppure se
riusciamo a dare un senso a tutto ciò che ha scosso fuori e dentro di noi, facendo
un uso migliore di questo tempo, per sfruttarlo al massimo e per non darlo per
scontato, come succede spesso nella fretta della quotidianità.
Giordano,P. “Nel contagio” Einaudi editore,2020

1.2 Percezione del rischio nelle dinamiche sociali


Un’epidemia rappresenta un danno di cui è indispensabile conoscere i fattori, la
natura del fenomeno. L’uomo è spesso vittima e artefice di questi danni che
possono compromettere la sua esistenza. Bisogna distinguere tre tipi differenti di
fenomeno:
a) I pericoli, calamitá naturali involontari ( ad es. epidemia)
b) I rischi, eventi umani di intenzionalità positiva o negativa
c) Le minacce sono danni umani con intenzionalità negativa (ad es. la guerra)
L’epidemia possiede in comune con gli altri eventi il fatto di essere naturale, mentre la
differenza risiede nel fatto che c’è una responsabilità relativa alla abilità di contenimento
del fenomeno e nel vincolare la sua riproduzione.
In questo caso il COVID rappresenta una realtà unica per via della sua rapida diffusione
ma ancora di più per le misure di contegno che sono state messe in atto. Fonte di studio
per la sociologia sono anche i rischi sociali e politici, la riflessività delle nostre società e
l’agentività umana nella produzione dei beni e dei mali. Secondo Beck i rischi sono
costruzioni sociali e la loro realtà può essere trasformata, inoltre ci dice che quando questi
ultimi sono sconosciuti, i pericoli insiti in essi acquisiscono connotati più severi: come
minacce e urgenze. Alcuni processi sociali come quello di othering conferiscono la genesi
della malattia all’esterno del mondo sociale e della propria quotidianità per limitare il
senso di impotenza che questa provoca nell’uomo. Ciò però ha portato ad una
stigmatizzazione della comunità cinese, dalla “quale si è pensato fosse nato il virus, un
agente distruttivo che danneggia chiunque gli si trovi davanti. I dati relativi alla mortalità
di covid sono considerati eccezionali e prettamente rivolti ad alcuni gruppi sociali più
fragili e di età avanzata.
Il covid viene inserito all’interno di un contesto sociale globale dove gli episodi che
possono causare un danno, assumono significati nuovi per le persone. Esso prende le
sembianze di una guerra poiché stravolge il nostro modo di sentirci protetti e al sicuro.
Secondo Frank M. Snowden (mettere pie pagina indivcazioni citazione) “Le malattie
epidemiche non sono eventi fortuiti che affliggono le società in modo capriccioso e senza
preavviso. Al contrario, ogni società produce le proprie specifiche vulnerabilità. Studiarle
significa comprendere la struttura della società, il suo modello di vita e le sue priorità
politiche”. L’infezione stessa tende ad essere un moltiplicatore dell’azione sociale. Il
coronavirus infatti ha colpito il fulcro centrale della società , ovvero i cittadini, senza i
quali non esisterebbe la costruzione sociale della realtà. In essa si trovano bisogni e
interessi materiali, condizioni culturali, retaggi psicologici e affettivi. Nelle società
occidentali la pandemia ha generato molte disuguaglianze nonostante le azioni di
prevenzione e di contrasto messe in atto. Secondo R. Merton(1968) infatti vige l’idea che
i ricchi saranno sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri. Spesso il principio di
equità non viene appagato da tutti, bensì grava sulle spalle dei ceti meno privilegiati. Un
riferimento a ciò rivolge lo sguardo sulla prima fase dell’emergenza nella quale la
diminuzione delle relazioni interpersonali e la quarantena sembrano essere utili per tutti
nel contrastare la diffusione del virus, ma non ha lo stesso effetto sulla ripartizione dei
costi che questo determina. Ciò comporta inevitabilmente delle differenze di fronte ai
benefici che la società offre. In seguito per poter trovare un’organizzazione idonea
all’emergenza sanitaria si è pensato di frazionare la popolazione in base a variabili
territoriali e individuali. Nella seconda fase invece sono sorte polemiche riguardo le
divergenze tra i livelli di contagio tra regioni e la mobilità fuori da queste e sulla
differente gestione dei contatti nelle rispettive sedi lavorative. Una differenza sostanziale
possiamo riscontrarla anche tra uomini e donne poiché queste ultime durante il periodo di
isolamento si sono incaricate maggiormente al sostentamento famigliare e domestico.
Anche l’età all’interno di questo quadro assume una certa rilevanza poiché molti anziani
sono stati vittime delle carenze del settore sanitario.. In Italia il Covid ci ha posto davanti
due tipologie di bisogni ovvero: sicurezza e tutela economica e salvaguardia della salute e
dell’ incolumità fisica. La salute in questo periodo diventa la prima preoccupazione delle
persone, che di conseguenza per difendere quest’ultima sono disposte ad accettare una
libertà limitata e una ridotta socialità, ma il rischio prende una connotazione interna se ci
riferiamo al comportamento individuale, esterna invece se entriamo a contatto con un
agente esterno. L’OMS considera le nuove epidemie delle calamità prettamente umane
che col tempo diventano sempre più il prodotto della modernità e delle relazioni. Nel
Medioevo le guerre erano le maggiori dispensatrici di malattie finché nel XVI secolo ci
fu la sifilide; nel XVIII il colera e nel XIX la tubercolosi.

Fabrizio Battistelli, Maria Grazia Galantino “Sociologia e politica del coronavirus” Tra
opinioni e paure (mettere bene bibliografia del libro)

Brown nel suo editoriale “ Studying COVID-19 in light of critical approaches to risk and
uncertainty: research pathways, conceptual tools, and some magic from Mary Douglas”
ci mostra come il rischio venga studiato dalle scienze sociali per essere attenuato. Esso
implica particolari configurazioni di probabilità, categorie, tempi e valori.
I media costruiscono una spaccatura tra la percezione del rischio personale e l’aumentata
percezione del rischio in se. L’umanità viene ignorata dal rischio tramite la
considerazione sui “fattori”. L’età è uno dei fattori principali per classificare il rischio.
“La percezione del rischio è un costrutto psicologico soggettivo influenzato da variazioni
cognitive, emotive, sociali, culturali e individuali sia tra individui che tra paesi diversi.”
Esso è inoltre correlato con fattori socioculturali di ogni paese e dipende se si è avuto
esperienza diretta col virus.
https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13698575.2020.1745508

La precauzione è il miglior principio per la gestione del rischio. I rischi subiscono delle pressioni
che sono amplificate dalla libertà e dalla disponibilità dell’informazione pubblica. Esso può
tollerare un danno derivante da circostanze abbastanza prevedibili, mentre l’emergenza si
manifesta come situazione imprevista. Se ci si trova di fronte ad una pandemia come nel nostro
caso, si interviene nella prima fase dell’evento. Come si è visto però i sistemi sanitari non erano
pronti a intervenire efficacemente in questa situazione e la percezione di un ipotetico rischio è
stata sottovalutata. Le misure regionali effettuate per la salvaguardia dei cittadini di fronte al
virus hanno previsto molte limitazioni alle libertà individuali senza offrire una proporzione tra i
sacrifici e i benefici. Nel caso dell’emergenza Covid il principio di precauzione non è riuscito a
prevenire restrizioni illegittime dei diritti e libertà fondamentali.

https://journals.uniurb.it/index.php/pea/article/view/2322/2167

1.3 Il divario intergenerazionale durante la crisi


Il Covid non rappresenta solo un’emergenza sanitaria entro la quale bisogna saper
fronteggiare il rischio, bensì sta diventando anche una perdita economica globale che a
sua volta causa molte differenze di genere. Le donne ancora una volta sono coloro che
rischiano di perdere il proprio posto di lavoro con più facilità rispetto agli uomini. Con la
chiusura degli asili inoltre anche l’assistenza all’infanzia si è intensificata e le donne
hanno dovuto prendersi ulteriori responsabilità nella gestione della famiglia e dei lavori
di casa, dall’altra si instaura in questo modo un maggiore attaccamento ai bambini. È
bene però non generalizzare poiché in molti casi possiamo trovare anche famiglie in cui i
modelli di ruolo si invertono. I settori come l’industria manifatturiera,l’edilizia
residenziale, il turismo sono stati molto più danneggiati a differenza dei servizi sanitari,
software e media, assicurazioni. Alcuni studi rilevano che sarà più l’uomo ad adeguarsi
alla nuova modalità lavorativa a distanza rispetto all donna. Secondo alcune stime il 17%
delle donne svolge occupazioni critiche a differenza del 24% degli uomini occupati. A
fronte delle diverse occupazioni tra uomo e donna, se poniamo lo sguardo all’interno di
una famiglia invece possiamo notare come la suddivisione della presa in carico dei figli
dipende dall’elasticità lavorativa di ogni genitore. Negli Stati Uniti il 70% delle famiglie
è biparentale, mentre il 21% è monoparentale ( in particolare è in presenza solo della
madre), poi vi è una piccola percentuale in cui è presente solo il padre. Questi dati
mettono in evidenza ancor di più la precarietà della figura femminile. Di fronte a coppie
sposate e all’impossibilità di accesso agli asili, la responsabilità nei confronti dei bambini
dipende da molteplici fattori:
se entrambi i genitori lavorano oppure no, da quante ore ci si occupa dell’assistenza
all’infanzia, dalla capacità di condurre un lavoro in smartworking. Grazie ad alcune stime
la percentuale di famiglie in cui entrambi i coniugi lavorano a tempo pieno sono il 44%,
solo il 25% è rappresentato da un nucleo familiare nel quale solo l’uomo svolge una
professione full time. Questa situazione ulteriormente reca danno principalmente alle
donne. La chiusura delle scuole a seguito dell’emergenza sanitaria crea maggiori ostacoli
per i genitori single, la maggior parte donne che nel mentre devono anche sorreggere il
peso del lavoro da casa. Ciò significa che le donne saranno costrette a modularsi in base
alle necessità del momento, rivoluzionando il proprio tempo a favore della cura e meno
invece in relazione al proprio impiego. Nel caso in cui i luoghi di lavoro riprendono
mentre le scuole no, la possibilità di telelavoro prende il sopravvento e in questo caso è
l’uomo che diventa la figura di riferimento dei bambini. Goldin afferma che evidente è
anche la disparità retribuitiva di genere dovuta ad una carenza di flessibilità nell’assetto
lavorativo. Questo può essere invece un fattore importante per la ripresa della crisi e per
la disparità di genere, come di conseguenza introdurre cambiamenti nelle norme sociali.
https://www.nber.org/system/files/working_papers/w26947/w26947.pdf

A livello globale notiamo quanto tra gli operatori sanitari la maggior parte di questi siano
donne, quindi esse sono maggiormente esposte al rischio di essere infettate e di essere
sottoposte al disturbo da stress post traumatico. Gli uomini invece secondo il Global
Heart sono i soggetti più predisposti al virus. La ricerca sociologica ha inoltre mostrato
interesse verso i giovani e sul loro patrimonio di valori che trasmettono di generazione in
generazione, mostrando quanto essi siano diventati i protagonisti di questa era Covid. Le
generazioni tra di loro si tramandano il patrimonio etico e morale. Ciò che viene appreso
dalle generazioni successive viene racchiuso nella dimensione valoriale o normativa, ma
a loro volta queste forniscono continuità e rilancio. La generazione z ad esempio è quella
che si riferisce a coloro che sono nati tra il 1995 e il 2010 e le cui caratteristiche sono:
autonomia, determinazione, motivazione. Il loro scopo è quello di sviluppare un processo
di crescita sia come individuo sia come gruppo e il raggiungimento del proprio potenziale
umano in ogni ambito della vita quotidiana. Attraverso l’analisi condotta sui dati Evs
dello studio di caso sugli studenti dell’Università cattolica di Milano, si cerca di
riconoscere quali sono i valori più rilevanti per i giovani della generazione z. Ciò che
nasce dalla ricerca è che la dimensione relazionale e quella individuale sono le più
significative. L’ultima parte dell’indagine cerca di studiare il cambiamento dei valori
successivi al Covid, tramite due quesiti. Nel primo si chiede ai partecipanti se avessero
contratto il virus e si nota come solo il 13% affermi di si. La religione, la società e
l’impegno sociale diventano fattori influenti per coloro che hanno vissuto in prima
persona l’emergenza. Nella seconda domanda si cerca di comprendere se i ragazzi
avvertano un cambiamento di valori durante l’emergenza e circa l’89% risponde
positivamente. Ciò che si evince è che l’amicizia, l’indipendenza, la libertà, il tempo
libero, lo studio, il rispetto per gli altri e l’attenzione per l’ambiente siano i componenti
principali di questo millennio. Nel primo gruppo i giovani hanno messo al primo posto
valori principali del benessere universalmente accettati, nel secondo gruppo l’importanza
viene posta sulla religione, politica e meno per l’impegno sociale. Si può notare infatti
quanto sia presente una trasmissione culturale di generazione in generazione.

MOSCATELLI, M., FERRARI, C. & NANETTI, S. (2021). I valori dei giovani e la


trasmissione interge- nerazionale: una ricerca esplorativa durante l’emergenza Covid-19.
Culture e Studi del Sociale,335-353

“Why Older People Managed to Stay Happier Through the Pandemic” è un articolo
contenente degli studi sul modo in cui gli anziani hanno vissuto il periodo di emergenza
sanitaria. Da questo traspare che nonostante gli anziani siano i soggetti più fragili di
fronte al Covid, essi sono riusciti a trascorrere questa crisi senza troppe ansie e paure, a
differenza degli adolescenti. Gli anziani durante la pandemia hanno manifestato di avere
una notevole stabilità emotiva, privilegiando le emozioni positive a discapito di quelle
negative che anch’essi sono stati costretti ad affrontare. Questo non significa che non
abbiano sofferto per la situazione, ma che la loro età gli ha lasciato un bagaglio di
esperienze che ha permesso loro di saper reagire positivamente ad ogni evento stressante
della vita. Le persone di una certa età, più di chiunque altro, hanno dovuto resistere al
distanziamento anche con i propri cari pur di tutelare la propria salute, nonostante li
sentano comunque vicini a loro emotivamente. Inoltre molti di questi anziani si sono
ritrovati a dover fare i conti con la tecnologia, unica fonte accessibile per restare in
contatto. Essi quindi cercano di gestire in modo diverso la quotidianità, cambiando le
priorità e accettando il futuro. L’invecchiamento è una risorsa essenziale per la società.
https://ilbolive.unipd.it/it/news/resilienza-anziani-fronte-pandemia

1.4 distanziamento sociale e deprivazione


L’Italia, avendo preso conoscenza di ciò che stava accadendo nel mondo ha deciso di
adoperarsi tra i primi stati al fine di impedire la diffusione del virus, imponendo severi
limiti agli spostamenti e alla mobilità individuale con sanzioni penali in caso di
infrangimento delle regole. Si è passati così da raccomandazioni morbide per invitare i
cittadini a restare a casa per poi passare a ordini vincolanti e limitazioni di blocco. Di
conseguenza vennero sospese quasi tutte le attività economiche. La percezione del rischio
e la volontà di rispettare le restrizioni sono tutti fattori in grado di influenzare la comparsa
o l’andamento di una malattia. In Italia ad esempio i valori civici della popolazione hanno
fatto si che si rispettasse il distanziamento sociale. Si può notare infatti quanto sia
diminuita la mobilità tra le province specialmente nelle aree più ricche di abitanti. Un
indebolimento delle restrizioni può interagire con le economie locali e i mercati del
lavoro constatando che la revoca delle misure restrittive andrebbe adattata alle esigenze
locali.

https://deliverypdf.ssrn.com/delivery.php?

ID=6871010670081020220240260030790930900960550580470230430310910051090861050290880271210610530000000330970521170731270240200

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0127124&EXT=pdf&INDEX=TRUE

Ciò consente di disciplinare gli individui in una logica del vincolo esterno. Da un lato la
popolazione acquisisce il ruolo di infante da “educare” sotto la rigida gestione dello stato.
Dall’altra invece si trasferisce l’attenzione dalla dimensione macro della pandemia a
quella micro dell’individuo. Non è certo che il distanziamento porti ad una netta
diminuzione del contagio ma indubbiamente le sue ripercussioni sono notevoli
specialmente per le relazioni e i beni relazionali. In secondo luogo esso non permette che
si creino aggregazioni di qualsiasi genere.
Distanziamento sociale: il mezzo o il fine? 4 giugno 2020 Brian Cepparulo

Il blocco delle attività economiche ha portato alla chiusura delle imprese, aumentato
notevolmente la disoccupazione e accentuato le disuguaglianze di genere e di classe.
Negli Stati Uniti la possibilità di fare smartworking varia tra i vari strati socioeconomici,
mentre in Cina e in Italia dipende dal greenpass.. Ciò che sembra ormai far parte delle
nostre giornate è il termine distanziamento poiché secondo la logica attuale esso ci pone
al riparo da eventuali contaminazioni del virus. La mascherina è diventata infatti il
simbolo di questa lontananza fisica e di difesa del singolo. Simmel introduce tra i primi il
concetto di “Soziale Distanz” e pensa allo spazio come ad un contenuto psichico col
quale l’anima fa esperienza. Il distanziamento sociale può essere di vari tipi: affettivo,
normativo, interattivo, culturale.
Nel primo caso Emory Bogardus condusse uno studio attraverso il quale valutó la
distanza sociale su scala, analizzando le reazioni di persone ad altre persone. Del secondo
caso si sono dedicati Simmel e Durkheim giungendo alla conclusione che non si tratta di
una distanza affettiva, bensì strutturale. Nel caso della distanza interattiva l’attenzione
viene posta sulla frequenza e intensità delle relazioni tra gruppi. La quarta tipologia di
distanziamento è quello culturale proposto da Bourdieu che racchiude anche il tema delle
disuguaglianze.
Per molte culture la vicinanza fisica, il contatto con l’altro rappresenta benevolenza nei
confronti di un’altra persona, ma in altre culture come quella giapponese non è così, anzi
la distanza è richiesta come manifestazione dei propri spazi vitali conferendo a ciò un
valore salvifico.

https://sociologiaclinica.it/wp-content/uploads/2020/07/MdP20-Cleto-Corposanto-
DISTANZA-SOCIALE-O-DISTANZA-FISICA.pdf

La ricerca sulla distanza sociale in Italia coinvolge sette aree urbane nelle quali sono stati
esaminati due gruppi sociali: upper e lower per scoprire la tattica di distanziazione
sociale. Quest’ultima rappresenta lo spazio che sussiste tra soggetti che appartengono a
gruppi sociali diversi, spazio che i loro membri concorrono attivamente.
Secondo Simmel la costruzione dei gruppi sociali e delle loro relazioni rappresenta il
prodotto dei processi di distanziamento. Il termine distanza sociale evidenzia
l’indisponibilità e la chiusura relazionale di una persona nei confronti di altri che non
sono riconosciuti simili alla propria categoria sociale. Essa risulta l’esito dell’intreccio tra
la dimensione fisica, simbolica e geometrica. In Europa il tema della distanza sociale si
associa principalmente alla diversa distribuzione del potere economico, politico e
culturale fra i ceti e alla stratificazione sociale. Bottero e Prandy realizzano un’analisi
sulla distanza sociale esaminando il sistema di interazioni e le distanze tra gli individui
nello spazio sociale. Questo modello cerca di comporre le strutture concepite
dall’interazione degli individui che generano differenze gerarchiche. Stewart (1973) ad
esempio applica una misurazione della distanza sociale in relazione alle occupazioni
svolte dal gruppo di amici di un individuo. In altri studi invece viene esaminata la
distanza geografica come generatrice di distanza sociale poiché la lontananza tra la
popolazione delle aree rurali e urbane è differente. In altri ancora viene posta l’attenzione
sulla performance scolastica per distinguere ciò che causa distanziamento.
Non sempre però la distanza sociale individuale rappresenta una distanza del gruppo di
appartenenza. Allo stesso modo la distanza fra gruppi non procura inevitabilmente una
distanza fra individui che fanno parte di gruppi distanti. Rummel ci mostra quali sono gli
ambiti in cui la distanza sociale può espandersi:
Personal distance: la distanza a partire dalla quale si invade il territorio altrui;
psicological distance: la distanza tra due persone in termini di motivazione, abilità,
manifestazioni stati umorali; interests distance: la distanza tra le persone riguardo i
desideri, negli obiettivi; affine distance: la distanza nel grado di simpatia, di affetto;
social attribute distance: la distanza tra due persone in relazione al reddito ; status
distance: riguarda la differenza tra le ricchezze e il potere; class distance: riguarda il
grado rispetto al quale una persona può essere superiore di un’altra; cultural distance:
comprende le differenze nei valori, nelle norme.
Questo processo rievoca allo stesso tempo la mobilità sociale presente nelle società
moderne e una riflessione sulla stratificazione sociale poiché all’interno si creano forme
di distanziamento sociale. Sorokin (1981) riteneva che i soggetti occupano una posizione
sociale generata dalla distanza sociale. Quest’ultima ha un carattere processuale e
multidimensionale e può essere influenzata anche dalla dimensione culturale,
dall’istruzione e da altri fattori. La percezione di distanziamento varia in base ad una
differenziazione simbolica che le interazioni e gli scambi impiegano dentro ogni singolo
gruppo sociale o struttura relazionale. Coloro che autorizzano la distanza sociale sono
quelli che hanno vissuto forme di esclusione e disuguaglianza oggettiva, mentre coloro
che sono meno inclini a ciò non si identificano all’interno di una società urbana che
discrimina.
https://www.academia.edu/280510/
Le_espressioni_della_distanza_sociale_Un_approccio_analitico_testuale_tramite_luso_di
_T_LAB

La scala di Bogardus sulla distanza sociale rimanda ai differenti livelli di comprensione


simpatetica che esistono tra le persone. Secondo Bogardus sono le variabili etniche a
ricoprire il ruolo della distanza sociale, mentre altri autori svolgono una attenta
valutazione anche alla stratificazione sociale e alla cultura. Il termine distanza sociale può
avere una connotazione geografica con spazi fisici diversi; oppure sociale con stili di vita,
lavoro, gusti differenti; linguistici; estetici ecc. Secondo Gurnee e Baker sono undici i
fattori da considerare per la distanza sociale ovvero: le amicizie, l’etnia, gli hobby, la
professione, la politica, la cittadinanza, il matrimonio, la religione, la nazionalità, il
reddito.

https://www.romolocapuano.com/la-distanza-sociale-in-sociologia/

Grazie agli studi di Simmel e di Bogardus la distanza sociale rappresenta il prodotto


dell’interazione in una società nella quale vi è una struttura oggettivizzata di distanze
sociali dentro la quale i soggetti si spostano. Essa inoltre può nascere anche grazie a
processi intenzionali o involontari. Spesso questo concetto viene annesso alla sicurezza
personale e alla sicurezza degli altri. Questo contesto ci porta ad immaginare che gli
anziani siano costretti a dover restare a casa il più a lungo possibile per tutelare la loro
salute e che ciò possa provocare sensazioni di isolamento sociale ovvero la percezione di
non appartenenza alla società e infine di solitudine cioè una condizione di distanza dalle
relazioni sociali volontario o involontario. Questi due fattori sono strettamente collegati
tra loro nonostante differiscano nei loro predittori. Ogni tipo di rapporto intraindividuale
e interindividuale può ridurre i sentimenti di isolamento sociale.
https://www.karger.com/Article/FullText/512793

Mentre il termine solitudine rimanda a sentimenti soggettivi, l’isolamento sociale si


contraddistingue come uno stato oggettivo relativo alla frequenza delle proprie
interazioni sociali. Nel periodo precedente al coronavirus questi due fattori erano molto
diffusi in Europa, Cina e Stati Uniti a tale punto da essere presentati come una “epidemia
comportamentale”. Entrambi possono essere fattori di rischio per la mortalità, la
riduzione del sonno, l’aumento del tempo di veglia, deficit della vista, una bassa qualità
di vita e un peggioramento della cognizione. Anche l’ansia e la depressione possono
determinare ritiro sociale che a sua volta sfocerà in solitudine e isolamento sociale.

https://www.cambridge.org/core/journals/international-psychogeriatrics/article/
loneliness-and-social-isolation-during-the-covid19-pandemic/
47ED3121405BEF3CC628A2E73E176594
Per misurare il distanziamento sociale si possono applicare vari tipi di interventi:
incentivare l’igiene delle mani o l’utilizzo delle mascherine, la sorveglianza dei contatti,
la quarantena, la chiusura totale delle attività e la didattica a distanza per le scuole.
L’aggettivo sociale si riferisce a ciò che è adatto a vivere in società o che riguarda la
società stessa, mentre il termine distanziamento sociale viene associato ad una
separazione di classi sociali. Con il termine distanziamento sociale non si intende
necessariamente una riduzione del contatto sociale ma prevalentemente di quello fisico.
Legato all’isolamento sociale riscontriamo nella solitudine un fattore fondamentale
perché rappresenta uno stato adattivo che ci segnala una minaccia o alle volte incentiva
forme di comportamento che contrastano l’isolamento. L’UCLA loneliness scale
(Russell,1996) è un questionario composto da dieci item che provano a misurare la
percezione dei partecipanti di essere socialmente isolanti. Nel 2018 è diventata la scala di
solitudine unidimensionale più usata in tutto il mondo. Comprende un insieme di venti
elementi differenti che richiedono alla persona in questione come si sente in ogni
situazione. Si è verificato che le condizioni di depressione e solitudine trovano conferma
nelle stesse persone. Per quanto riguarda le forme di isolamento e solitudine esiste un
fenomeno di ritiro sociale noto in Giappone che prende il nome di Hikikimori, termine
che significa “stare in disparte” ed é stato inventato da Saito. Negli anni settanta
hikikimori si diffuse notevolmente. Questo fenomeno comprende: uno stile di vita
racchiuso in casa, scarsa motivazione nel frequentare le attività scolastiche o lavorative,
durata dei sintomi superiore a sei mesi, nessuna relazione esterna. Colpisce
principalmente la fascia tra i quattordici e i trent’anni e riguarda principalmente i ragazzi.
Inizialmente veniva considerata come una corrente culturale, ma in seguito viene
associata ad un forte disagio. In Italia ad esempio il fenomeno del ritiro sociale è
riconciliabile alla dipendenza di internet. Solitamente gli hikikomori sono giovani maschi
primogeniti di ceto sociale medio-alto, di età compresa tra 19 e 30 anni(con un forte
incremento tra gli under 19 negli anni duemila) con la prima manifestazione del disagio
nel 23% dei casi già al primo anno delle scuole medie inferiori. Solo il 10% dei soggetti
interessati è di sesso femminile e di solito il periodo di reclusione è limitato; è possibile
comunque che molti casi di hikikomori tra ragazze non siano riconosciuti come tali, in
quanto i giapponesi percepiscono il ritiro in casa delle donne una consuetudine all'interno
della propria società. Uno studio condotto dal Ministero della salute, del lavoro e delle
politiche sociali del Giappone nel 2003 in tutti i centri di salute mentale del Paese ha
dimostrato che vi sono state oltre 14 000 consultazioni per hikikomori in un anno, non
includendo il numero di consultazioni dei genitori. In Italia si stima che un individuo ogni
250 sia soggetto a comportamenti a rischio di reclusione sociale; altre stime parlano
invece di un individuo su 200. Nel 2013, secondo la Società Italiana di Psichiatria, circa 3
milioni di italiani tra i 15 e i 40 anni soffrivano di questa patologia.
Molte ricerche hanno inoltre posto l’attenzione sulla solitudine definita come ritiro
sociale e isolamento sottolineando il rischio di sentimenti di solitudine di tipo negativo.
La solitudine durante l’adolescenza può essere imposta, subita oppure può suscitare
timore ed è soprattutto in questa fascia d’età che viene data molta più importanza alle
relazioni con i pari e alla visione di sé nel mondo. È molto probabile che il giovane per
crescere abbia bisogno di fare esperienza con la solitudine per poter affrontare il normale
processo di crescita e nell’adattamento psicologico. Nelle relazioni con i pari infatti i
ragazzi strutturano un fattore protettivo contro la depressione, l’alienazione e i
comportamenti devianti. Lo stesso vale per quanto riguarda il rapporto con la famiglia
che è di primaria importanza nel generare fiducia e abilità con la quale essi si troveranno
a fronteggiare la vita adulta. Per l’adolescente i momenti di solitudine possono essere un
modo per riflettere su se stessi, diventare autonomi, crearsi un proprio pensiero, facendosi
carico delle proprie azioni e responsabilità. Da uno studio di Corsano et al. nel quale si
studia la relazione tra autodeterminazione al comportamento solitario, sentimento di
solitudine e attitudine nei confronti dell’esperienza di solitudine, emerge che più il
giovane si autogestisce nel comportamento solitario, tanto meno si percepisce solo e di
conseguenza riesce a considerare positivamente l’esperienza. Se invece questo
comportamento lo subisce, può essere esposto più facilmente ad un maggior disagio nelle
relazioni con i pari. In sostanza, la solitudine può assumere connotati positivi se risponde
ad un bisogno di sviluppo e riesce a promuovere il benessere psicologico. Al contrario,
può essere un fattore di rischio se la condizione di isolamento è stata imposta, come nel
caso in questione della pandemia da coronavirus. È emerso che la timidezza è un dato che
spesso si associa alla solitudine. La studiosa Ester Buchholoz sostiene che la solitudine
permette di crescere in tutte le fasi dello sviluppo.

La solitudine e l’isolamento in adolescenti di Silvia Boni In Focus Minori,N.4 dicembre


2017, Anno 8

Capitolo 2: GLI EFFETTI DELLA PANDEMIA SULLO SVILUPPO INFANTILE

2.1 Gli effetti psico-sociali di COVID-19 sugli atteggiamenti e sui comportamenti degli
adolescenti

“Dalla sofferenza sono emerse le anime più forti, i personaggi più massicci sono segnati
da cicatrici”( Kahlil Gibran). Tra queste anime emergono inaspettatamente i bambini, i
quali sono considerati una risorsa essenziale di qualsiasi nazione sin dai tempi antichi.
L’infanzia è celebrata come il momento di maggior fioritura della mente umana. Questa
fase della vita è apprezzata per l’apprendimento del decoro sociale, dei valori,della
morale, dei principi e della visione di vita positiva.
I bambini sono degli esseri fragili che spesso tendono a non condividere le loro emozioni
con i loro cari e questi ultimi molte volte tendono a non ascoltarli e a sottovalutare ciò
che sentono. Spesso l’adulto tende addirittura a scaricare sul bambino le proprie tensioni,
non rendendosi conto del male che può procurare loro, poiché essi le assorbono
completamente senza remore. Ciò non fa altro che sovraccaricare i bambini di una
notevole tensione emotiva. I bambini molte volte hanno la necessità di esternare ciò che
sentono pur di sentirsi liberi dal punto di vista emotivo, ma conseguentemente desiderano
qualcuno che gli insegni come affrontare la vita. In questi casi è necessario il sostegno di
un operatore che avendo vissuto la stessa esperienza traumatica è disposto ad ascoltare e
confortare il giovane. Pur essendo ancora piccoli, essi dimostrano di possedere un
linguaggio semplice e diretto che il più delle volte però non possono adoperare con chi si
prende cura di loro per paura di ferire. Questo meccanismo fa sí che si tengano tutto
dentro, finché con l’arrivo di un aiuto esterno essi possono finalmente sfogarsi. I bambini
però sono anche proiettati verso il futuro con nuove speranze e aspettative, come se fosse
un trampolino di lancio verso nuove esperienze. Spesso dovremmo guardare il mondo
con i loro occhi per riacquisire più tenerezza, fiducia e speranza, quasi come se fossero
loro le nostre guide.
https://www.francoangeli.it/Area_PDFDemo/239.340_demo.pdf

Anche loro però mostrano segni di debolezza di fronte ad un evento traumatico. Rabbia e
irritabilità sono le prime reazioni dei bambini di fronte ad un evento stressante. Una volta
percepite, essi tendono ad esprimerle urlando, buttandosi a terra, scappando e
rinchiudendosi dietro al silenzio. Noia e insicurezza sono ulteriori sentimenti che i
fanciulli provano una volta che sono costretti a dover stare rinchiusi in casa, ma è bene
che essi imparino a conviverci poiché l’imprevedibilità del contesto crea disagio e
confusione. Molti per vincere la noia tentano di ripercorrere la loro vecchia routine nel
precedente lockdown creando così una mappa delle vecchie abitudini. Succede in questo
periodo che i ragazzi perdono facilmente la pazienza, siano più suscettibili e nervosi,
facciano fatica a concentrarsi. Possono anche avvenire regressioni sia nel comportamento
che nell’utilizzo di determinati giochi. Anche la stanchezza e l’affaticamento, difficoltà
nelle interazioni sociali e l’isolamento sono normali conseguenze del vissuto durante il
Covid e si verificano con una incessante voglia di sdraiarsi spesso sul letto. Tutte queste
emozioni possono celare anche la difficoltà a prendere sonno, probabile conseguenza di
un animo agitato. Bambini e ragazzi possono far fatica ad addormentarsi, oppure si
svegliano frequentemente durante la notte a causa di incubi. Allo stesso modo anche
l’ipersonnia non è un buon segnale per i bambini. Nelle bambine possiamo riscontrare
maggiori problemi col cibo attraverso una perdita dell’ appetito o un modo di mangiare
inconsapevole. In questa nuova situazione c’è il rischio che il bambino abbandoni il senso
di efficacia del suo processo di risoluzione dei problemi e del suo agire. I bambini hanno
un bisogno evolutivo di rispecchiamento e riconoscimento con chi li circonda, in modo
tale che essi possano sentirsi più sicuri e più forti. È fondamentale che il bambino,
specialmente in momenti come questi, sviluppi autoconsapevolezza, empatia, auto
motivazione e controllo degli impulsi, purtroppo però il distanziamento sociale impedisce
lo svolgimento di giochi fisici, generando maggiore irrequietezza e sintomi
psicosomatici. Anche la separazione da chi si prende cura di loro può generare uno stato
di crisi che potrebbe aumentare i rischi di disturbi psichiatrici, disturbi da adattamento e
sofferenza. Il 30% infatti assolve criteri clinici per il disturbo da stress post traumatico.
Sapere che i propri cari possono stare male o essere affetti da coronavirus procura nei
bambini ansia e attacchi di panico. Non possiamo trascurare che ad aggravare l’ansia nei
bambini vi è anche la mancanza di organizzazione dovuta all’assenza della routine
scolastica. Quest’ultima priva a ciascuno di loro di un punto di riferimento importante
nelle loro vite unito per la strutturazione del loro senso di identità. I bambini tra i tre e i
sei anni se vengono esposti troppo spesso a fonti di stress tendono ad essere più a rischio
di uno sviluppo atipico permanente dato che il loro cervello non si è ancora sviluppato
pienamente. In relazione a ciò i sintomi che possono insorgere sono diversi ovvero: un
eccessivo attaccamento; il timore che i propri cari possano contrarre l’infezione;
disattezione; irritabilità; domande frequenti. Possono ulteriormente comparire
comportamenti esternalizzanti di tipo aggressivo e litigioso al posto del pianto, della
tristezza o della preoccupazione. In quest’ottica è stata avviata una indagine con lo scopo
di monitorare l’impatto della pandemia sullo stato psicologico e sociale dei bambini, con
attenzione su famiglie con figli portatori di malattia cronica a circa tre settimane dal
lockdown. Ciò che è emerso è che nel 65% e nel 71% dei bambini con un’età inferiore ai
sei anni, i disturbi più diffusi sono stati quelli relativi al sonno, all’ansia, all’irritabilità,
difficoltà di addormentarsi, risvegli notturni. Nei bambini con una fascia d’età compresa
tra i sei e i diciott’anni i disturbi più marcati hanno colpito la componente somatica ( ad
esempio la mancanza d’aria) e i disturbi del sonno ( difficoltà di risveglio per iniziare le
lezioni per via telematica a casa) dovuti ad una sorta di “jet lag” domestico. Sopra i sei
anni invece i comportamenti disfunzionali dei bambini coincidevano con lo stato d’animo
dei genitori, indipendentemente dalla presenza di disturbi psichici di questi ultimi.

https://www.gaslini.org/wp-content/uploads/2020/06/Indagine-Irccs-Gaslini.pdf

Anche lo status socioeconomico può incrinare ulteriormente l’impatto della pandemia


perché i bambini più poveri sono coloro che si ammalano di più e che presentano malattie
croniche e disturbi dello sviluppo comportamentale che possono prolungarsi fino all’età
adulta. Questa classe sociale oltre a subire di una povertà economica, soffre di una
povertà educativa. I bambini di famiglie con basso reddito inoltre non avendo le stesse
possibilità degli altri di seguire le lezioni scolastiche da casa, perdono la motivazione allo
studio e devono impegnarsi sin da subito in attività che procurino il reddito a causa delle
difficoltà economiche. Ciò ha sottolineato ancora una volta le disuguaglianze sociali, già
presenti ancora prima dell’arrivo della pandemia. Questo fattore ha fatto si che questi
fanciulli potessero sentirsi esclusi da un sistema che prima li inglobava.

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/pediatria/il-covid-19-ha-ampliato-
le-disuguaglianze-anche-nei-bambini

Il Progetto Itinerante Notturno è un servizio che si concentra principalmente sulla


popolazione giovanile per conoscere quali sono i loro bisogni, qual è la loro nuova realtà
e tenta di scoprire la complessa situazione vissuta dai giovani durante la pandemia. Una
indagine condotta in Italia durante il primo lockdown manifesta che la fascia più a rischio
nello sviluppare sofferenza psicologica è proprio quella relativa agli adolescenti. Essi si
trovano a dover affrontare stati emotivi di maggiore stress e preoccupazione, sia per
quanto riguarda la capacità di organizzare il proprio tempo libero sia per quanto riguarda
il raggiungere i propri obiettivi. L’incertezza e il disagio sociale possono portare ad una
notevole difficoltà nel gestire una nuova forma di quotidianità con una prospettiva di
futuro altrettanto incerta.
Tra gli impatti più importanti che la pandemia scatena sui bambini non si può che far
riferimento alla didattica a distanza, poiché ha sottratto in loro un’esperienza formativa
fondamentale per il percorso di vita, sottraendo loro momenti di quotidianità tra i
compagni, lo sviluppo sociale ed emotivo, la routine delle lezioni e l’impossibilità di
muoversi dall’ambiente circostante poiché obbligato a convivere nel proprio contesto
domestico-familiare, in contrasto con il naturale processo di emancipazione del giovane
che invece fa si che si allontani da quest’ultimo.
La scuola rappresenta uno dei punti di riferimento per gli adolescenti durante il periodo di
crescita e senza di essa possono venirsi a creare problematiche di organizzazione del
proprio tempo e della propria identità, difficoltà a far fronte alla solitudine e alla
progettualità della propria vita e alla noia. Per gli adolescenti sentirsi parte di un gruppo
ed essere accettati è uno dei bisogni primari per questa età. A fronte di ciò, la chiusura
forzata di luoghi di socializzazione e di crescita personale tendono ad influenzare
negativamente lo sviluppo dei ragazzi, aumentando la mancanza di contatti fisici con i
pari e più conflitti in famiglia. Ciò che sembra prevalere tra gli effetti principali che la
pandemia ha creato sui giovani vi è un aumento dei disturbi d’ansia, disturbi del sonno e
irritabilità che in certi casi può diventare aggressività.
Tre studi valutano l’influenza della chiusura delle scuole sulla presenza di segnalazioni di
abusi, maltrattamenti, abbandono dei minori e noncuranza. Uno tra questi studi metteva a
confronto i livelli d’ansia esaminati con la Generalized Anxiety Disorder-7 e di
depressione su 2850 ragazzi di Wuhan, con giovani di altre città cinesi meno segnate
dalle restrizioni. Maggiori livelli d’ansia si possono ritrovare tra i giovani della città di
Wuhan (p= 0,004), ma non di depressione (p= 0,286). Un’altra indagine svolta nel Regno
Unito su 1001 ragazzi esaminava la frequenza di ansia e depressione con la Hospital
Anxiety and Depression Scale e assegna valori anormali di depressione o di ansia del
34% e del 64%.
Ulteriori due indagini compiute in Cina studiano la prevalenza di ansia e depressione nei
bambini tra i 5 e i 12 anni notando che su 1620 studenti della scuola primaria, 17,2%
riportavano livelli di ansia, ma principalmente le femmine. Infine un’indagine gestita in
Italia su un campione di 82 bambini considerava sempre la presenza di ansia con una
versione adattata della scala Trauma and Symptom Chechlist for Children suddividendo i
partecipanti in base ai livelli d’ansia. Dai risultati si evince che il 22% dei bambini
mostrava un livello normale delle stessa, il 65,8% si rifà ad un livello moderato e il
12,2% invece severo. Alcuni studi invece condotti in Irlanda che prendono in esame
genitori di bambini tra i 4 e gli 11 anni non riferiscono gravi cambiamenti nelle difficoltà
emotive e comportamentali mentre in quelli trattati nel Regno Unito portano alla luce
riduzioni di iperattività e disattenzione. Possiamo notare da questi dati di studi che si
basano sugli effetti a breve termine della chiusura delle scuole e del lockdown, che a
seguito della pandemia di Covid, vi è un aumento degli effetti negativi sul benessere
psicologico specialmente nei bambini di età scolare e degli adolescenti. Si tratta però di
indagini che non riescono a ipotizzare l’impatto a lungo termine del fenomeno. In una
revisione della letteratura internazionale si evince che fino ai 9 anni la solitudine è legata
a problemi di salute mentale.
Secondo il report dell’Organization for Economic Cooperation and Development
incentrato su sondaggi condotti da novanta associazioni, la pandemia procurerà
ripercussioni sull’educazione, sulla salute mentale, sulla ricerca del lavoro e molto altro.
Anche in questo caso possiamo notare come la fascia dei giovani sia quella
maggiormente coinvolta poiché partono da una situazione già svantaggiata a causa di
redditi più bassi. Tutto ciò provoca in loro una visione di instabilità sia del proprio
presente sia del proprio futuro con la quale essi sono costretti a convivere. Un ulteriore
cambiamento significativo scaturito dall’ingresso della pandemia rappresenta quello delle
tecnologie che mano a mano sono diventati dei mezzi di comunicazione potentissimi in
un’epoca di distanziamento sociale, al punto da creare un consistente intreccio con la vita
reale dato che sono l’unica fonte in grado di mantenerci in contatto con la realtà. L’uso
intensivo di Internet e dei social può far nascere purtroppo anche le cosiddette “sfide
online” che possono però degenerare in forme di autolesionismo e intenzioni suicide. Tra
i giovani lavoratori che invece trascorrono il loro tempo in smartworking si può notare
come prevalga la sensazione di sentirsi sopraffatti dal lavoro, in un costante stato d’ansia
e di privazione dei propri interessi aldilà dell’ambito lavorativo. Questo ci dimostra come
i ragazzi fatichino a usufruire nel migliore dei modi del tempo libero oltre quello
lavorativo, procurandosi ricadute sul benessere psicofisico.

https://www.aslcittaditorino.it/wp-content/uploads/2018/07/Report-Giovani-e-
Pamdemia-1.pdf
https://www.recentiprogressi.it/r.php?v=3608&a=35873&l=344702&f=allegati/
03608_2021_05/fulltext/RPM_0521.09_Rassegna%20-%20Minozzi.pdf
La minaccia del lockdown e la presenza saltuaria della scuola provoca nei ragazzi una
maggiore difficoltà nell’acquisizione di competenze educative e scolastiche, specialmente
per gli studenti del Sud d’Italia. La scuola infatti offre una finestra di libertà, possibilità di
interazione con compagni e anziani, conforto psicologico oltre a fornire pedagogia e
scolastica. Promuovono l’importanza dell’igiene personale, dell’attività fisica, del cibo
sano e delle abitudini corporee. Gli effetti negativi di questo fenomeno si riscontrano
nell’aumento della dispersione scolastica (34.000 studenti sono a rischio dispersione) e
nella dispersione implicita ovvero coloro che terminano gli studi ma senza aver acquisito
le competenze necessarie che il percorso di studi dovrebbe fornire. Inoltre viene colpito il
diritto all’istruzione da cui derivano anche le disuguaglianze educative. A causa
dell’assenza dell’istituzione scolastica, sono aumentati gli abusi sui minori, l’abbandono
dell’istruzione formale, l’indulgenza verso l’alto. Anche la frustrazione che aleggia
nell’ambiente domestico è un fattore importante se ci riferiamo alla violenza domestica
sui bambini in concomitanza con aggressioni psicologiche e punizioni fisiche da parte
delle figure genitoriali provocando in essi disturbi psicosomatici e neuropsichiatrici.
Perdite di affetto, l’interruzione della scuola, i problemi relazionali, costituiranno il
rischio di sfruttamento sessuale e gravidanze adolescenziali. La pedopornografia ha preso
il sopravvento in questo periodo perché l’utilizzo informatico è aumentato tra i bambini e
quindi molti adulti si approfittano di questa condizione per importunarli. Oltre a ciò, ci
troviamo di fronte a diversi milioni di bambini richiedenti asilo e sfollati che sono stati
costretti a convivere segregati in luoghi sovraffollati o centri abusivi senza beni primari e
servizi medici. Le misure di prevenzione difficilmente potevano essere realizzabili in
queste condizioni e le autorità assistenziali per l’infanzia spesso non acconsentono di
offrire riparo a bambini migranti non accompagnati. Ci sono purtroppo anche molti
bambini che a causa di questa infezione hanno perso i genitori, diventando presto vittime
di abbandono, traffico di minori, accattonaggio forzato e lavoro minorile. Un altro fattore
negativo riguarda gli alti livelli di inattività fisica con conseguenze deleterie sull’obesità
infantile, sulla qualità e quantità del sonno, sull’utilizzo esasperato delle tecnologie ed
episodi di autolesionismo. L’impatto che più preoccupa sulla salute mentale dei ragazzi
riguarda l’incremento di casi di depressione e ansia oltre a disturbi dell’alimentazione.
Tra i bambini più piccoli si riscontrano invece: irrequietezza, ansia da separazione,
sintomi di stress, irritabilità e disturbi del sonno oltre ad un disorientamento di fronte al
fenomeno pandemico. I disturbi del sonno possono avere un impatto sulla salute emotiva
e sulla funzione immunitaria. Il sonno insufficiente può provocare il rischio di malattie
cardiometaboliche sia nei bambini che negli adolescenti, provocando oltretutto ansia e
sbalzi d’umore. https://welforum.it/wp-content/uploads/2021/10/SET2_EPIDEMIA.pdf
https://www.minervamedica.it/it/freedownload.php?cod=R15Y2020N03A0226

Sprang e colleghi sostengono che i bambini che sono stati isolati durante la pandemia
avranno più probabilità di sviluppare disturbi dell’adattamento e del dolore e disturbi acuti
da stress. Di fronte a questo quadro sociale, in questo periodo si sviluppa il sentimento del
“languishing”, termine coniato da Corey Keyes che corrisponde ad uno stato di assenza di
benessere, o meglio, uno stato mentale nel quale ci si sente demotivati, apatici, vuoti e senza una
meta definita. Si colloca a metà tra benessere e patologia; non indica un disturbo psicologico, ma
è tipico di chi mostra bassi livelli di benessere (Keyes,2002). Aleggia una mancanza obiettivi e
di scopi. Questo succede perché da troppo tempo si è dovuto fare a meno di molti aspetti
positivi: la socializzazione, la programmazione di obiettivi, l’interesse per la vita, difficoltà di
concentrazione e influenza negativamente le relazioni. Secondo Grant il rimedio più efficace al
languishing è il flow, ovvero lo stato di abbandono che proviamo quando siamo immersi in una
attività che ci fa star bene. Questo meccanismo ostacola l’assenza di benessere e ci mostra una
nuova prospettiva.

https://www.psyeventi.it/articoli/languishing-l-emozione-di-chi-non-prova-emozioni
c9638.html
https://www.recentiprogressi.it/r.php?v=3608&a=35873&l=344702&f=allegati/
03608_2021_05/fulltext/RPM_0521.09_Rassegna%20-%20Minozzi.pdf

Ulteriori fattori scatenanti dell’isolamento sociale nell’infanzia riguardano le competenze


motorie, le attività fisiche e la salute. L’attività fisica offre un importante beneficio per la
salute e lo sviluppo cognitivo del bambino, riducendo il rischio di obesità, diabete,
inattività, sedentarietà. Essa permette ai fanciulli di esplorare le proprie funzioni
esecutive. Purtroppo però come ben sappiamo, durante le restrizioni e i vari confinamenti
la sedentarietà ha preso il sopravvento poiché gli spazi per spostarsi in casa sono limitati
e condivisi anche da altre persone. Grazie all’utilizzo di un questionario online dove
vengono fatte delle domande a famiglie con almeno un figlio si può notare dall’immagine
che per lo più esse sono costituite da 3-4 componenti familiari e con figli minori di 12
anni. Nel 58,6% dei casi le famiglie vivono in un appartamento , quindi con minori
possibilità di muoversi liberamente anche all’esterno, mentre il restante abita in una casa
singola o a schiera. In sostanza più del 70% delle famiglie rende nota una mancanza di
mobilità dei bambini. Dai risultati dei questionari fuoriesce che il periodo di isolamento
ha impedito il regolare svolgimento di attività fisiche nei bambini, età nella quale essi
sentono maggiormente la necessità di esplorare il mondo e di sentirsi liberi. In
conclusione, la presenza di adolescenti inattivi è passata dal 21,3% al 65,6%. Lo
svantaggio che provoca questa condizione, oltre ad una perdita della forma fisica,
muscolare e cardiorespiratoria è da evitare poiché l’attività, ad esempio in bambini dai 3
ai 5 anni è fondamentale per la maturazione del sistema nervoso, per il consolidamento
della struttura ponderale e l’acquisizione della spinta staturale. Inoltre, i bambini obesi
sono soggetti più vulnerabili di fronte all’infezione da Sars Covid-19. Vi è una differenza
notevole anche tra coloro che vivono in paesi ad alto reddito e quelli a basso reddito
poiché nei primi l’assunzione di cibi scorretti ha portato ad un aumento del rischio di
obesità, mentre nei secondi predomina la denutrizione, la morbilità e la mortalità. Sono
state segnalate inoltre prevalenze di allergie nei bambini e adolescenti con carenze di
ferro e un forte rischio di sviluppare malattie atopiche. Lo zinco a sua volta riesce a
modulare il sistema immunitario svolgendo la funzione di barriera. In uno studio condotto
in Thailandia su bambini tra i 2 e i 60 mesi si è notato che le infezioni alle basse vie
respiratorie si sono attenuate grazie all’utilizzo dello zinco.

https://doi.org/10.7346/-fei-XVIII-03-20_08

Anche l’alimentazione diventa un fattore che subisce variazioni poiché durante il


confinamento i bambini si sono lasciati coinvolgere di più dal cibo, assumendo più
frequentemente cibi fritti, bevande gassate, cibi zuccherati rispetto al periodo antecedente
il lockdown. Il cibo alle volte può svolgere una funzione speciale, ovvero quella di
confortare e di soddisfare determinate condizioni di stress, infatti alcuni alimenti pieni di
zuccheri possiedono un effetto positivo sull’umore riducendo le fonti di stress, ma
aumentando l’apporto calorico. Uno studio longitudinale su bambini e adolescenti con
obesità ha constatato che i comportamenti di alimentazione, attività e sonno sono
peggiorati appena dopo tre settimane dal confinamento e specialmente durante i mesi
estivi in assenza della scuola. L’aumento di peso malsano è un fattore preoccupante
perché molti studi dimostrano che l’obesità vissuta nell’infanzia può protrarsi anche
nell’età adulta. Le provviste di cibo messe in pratica dalle famiglie per soddisfare le
esigenze alimentari durante l’isolamento hanno provocato un maggior consumo di cibi
calorici durante la pandemia. L’aumento del peso si verifica principalmente in bambini
delle città che non hanno accesso a spazi esterni e accessibili dove possono mantenere la
distanza sociale. Oltretutto i bambini obesi tendono ad essere più contagiosi per tre
ragioni: rilasciano il virus per un periodo di tempo più lungo rispetto a quelli più magri; il
microambiente obeso favorisce l’emergere di nuovi ceppi virali più virulenti; l’indice di
massa corporea è correlato positivamente con il virus infettivo nel respiro esalato. Negli
Stati Uniti l’aumento del sovrappeso e della sindrome metabolica tra gli adolescenti
costituisce un problema rilevante poiché circa il 34% degli americani è obeso secondo i
criteri dell’OMS. . Nei paesi industriazzati invece circa il 50% dei bambini è obeso con
una prevalenza che aumenta di anno in anno.

https://link.springer.com/article/10.1007/s00592-020-01522-8

Oltre agli aspetti negativi della pandemia si può osservare come la difficoltà nel gestire
questa crisi abbia a sua volta offerto l’opportunità di rafforzare il senso di comunità e
coesione tra i bambini e le loro famiglie, stimolando resilienza e supporto sociale.
Anche l’istruzione domiciliare può avere agevolato bambini che hanno subito atti di
bullismo o altre situazioni di stress. Il superamento del trauma associato alla pandemia
può inoltre agevolare la crescita personale e lo sviluppo psicologico che di conseguenza
sfociano in fiducia in se stessi e resilienza di fronte ad ulteriori minacce del genere.
Sottovalutare l’impatto del covid tra i più giovani fa si che nasca non solo una crisi
economica dovuta alla pandemia ma anche una crisi dei diritti dei bambini e dei ragazzi.
Si intravedono diversi rischi: cadere in sentimenti di impotenza e solitudine
(helplessness); porre sull’altro uno sguardo invidioso; essere assorbiti dalla sindrome
della capanna ovvero di diffidenza, insicurezza e isolamento. Alcuni oscillano tra
claustrofilia e claustrofobia, altri invece obbligati a passare molte ore davanti allo
schermo, si sono accorti che la vita da remoto non basta e che vorrebbero riavere la vita
estroversa che avevamo prima. Alcuni racconti narrati dai genitori riguardo le esperienze
dei propri figli, hanno riportato sentimenti di disorientamento dato dalla discontinuità
dello svolgimento delle giornate e incertezza per la situazione sanitaria presente. “
Vedendomi a casa e non andando più a scuola mia figlia non capiva cosa stava
succedendo”. Nelle parole dei genitori i bambini tendono a parlare molto e velocemente
per colmare i vuoti e controllare il cielo affacciandosi dalla finestra o chiedendo
costantemente di verificare le previsioni sull’app del cellulare. Molti bambini riescono ad
affrontare la solitudine accedendo a vissuti immaginari. L’ascolto della voce di alcuni
insegnanti, grazie al progetto condotto in relazione alla didattica a distanza ha consentito
di conoscere ancora di più i vissuti dei bambini durante il periodo di isolamento in
relazione alla didattica a distanza. Gli insegnanti hanno evidenziati punti di forza e di
debolezza nelle loro esperienze ovvero tra gli aspetti positivi troviamo la possibilità
seppur diversa, di mantenere contatti con gli insegnanti e con gli altri studenti. Anche
l’uso della didattica a distanza viene considerata all’interno di questi aspetti poiché
rappresenta un nuovo modo di imparare. È necessario essere creativi però per stimolare
gli studenti a far utilizzo di nuovi mezzi didattici. In relazione agli aspetti negativi invece
sono stati nominate le troppe ore concesse all’utilizzo delle tecnologie e la mancanza di
contatti fisici, della comunicazione corporea, il contatto diretto, elementi fondamentali
per lo sviluppo delle abilità socio emotive nei bambini. Gli insegnanti della scuola
dell’infanzia della Norvegia e della California hanno ribadito che per i bambini è
necessario il contatto in presenza nelle scuole dal momento che le relazioni sono il fulcro
vitale dell’insegnamento specialmente nelle prime fasi di vita( Pramling Samuelsson,
Wagne e Eriksen Odegaard,2020).
L’Unicef, nel documento Protezione dei bambini durante la pandemia di coronavirus ha
affrontato l’impatto della pandemia sui bambini da un punto di vista socio ecologico:
a livello di singolo bambino bisogna considerare una maggiore disattenzione e negligenza
da parte degli adulti e conseguenze negative sullo sviluppo; a livello familiare vengono
prese in considerazione le separazioni del bambino dalla famiglia, episodi di violenza
domestica, l’aumento del disagio psicologico dei genitori; a livello di comunità è presenta
una perdita di fiducia generale; a livello di società può avvenire una lotta di
approvvigionamenti di risorse limitate; a livello di norme socio culturali possono
insorgere episodi di stigmatizzazione. In questo documento sono elencati i rischi rivolti ai
bambini e tra questi ritroviamo: maltrattamenti fisici ed emotivi; violenza di genere;
aumento del disagio psico sociale dovuto ad una sensazione di angoscia per quello che
sta accadendo; aumento del lavoro minorile; aumento delle separazioni dei minori dalle
proprie famiglie ed esclusione sociale e stigmatizzazione. Questo contesto ha consentito ai
bambini di conoscere molte emozioni negative che a quell’età non dovrebbero nemmeno
riguardare loro. Precedenti studi hanno rilevato che i che bambini soffrivano di stress post
traumatico avevano sintomi più forti tra che aveva vissuto il lockdown rispetto a chi
invece non ne ha fatto esperienza. In concomitanza con la quarantena si osservano
maggiori incubi, irritabilità,abbassamento del tono dell’umore e ansia generale. Uno
studio
svolto in Cina ha evidenziato la presenza di difficoltà psicologiche con sentimenti di
paura,
maggiore attaccamento alle figure familiari, difficoltà di attenzione nella maggior parte
dei
compiti. Un ulteriore studio(Spinelli et al.,2020) mette in risalto i risultati di un
questionario
online compilato da 854 genitori di bambini dai due ai quattordici anni riguardo alla
situazione a casa e a come stavano vivendo questo periodo, sulle conseguenze
dell’isolamento e sulle problematiche emotive e comportamentali che ritrovavano nei loro
figli. Dai dati si nota che vivere in un luogo dove è elevata la presenza del virus determina
forte stress per genitori e bambini e quindi diventano maggiori le conseguenze emotive
e comportamentali che ricadono su questi ultimi. Ciò avviene perché i genitori a causa delle
preoccupazioni incessanti non riescono a comprendere i bisogni dei propri figli e a
prendersene cura. I figli possiedono infatti meno risorse personali per affrontare qualsiasi
situazione gli si presenti davanti. Come gli adulti però anche i bambini provano diverse
emozioni a partire dall’angoscia determinata dall’ansia e dalla paura della propria salute
fisica, quella dei propri cari. L’ansia infatti funge da segnale d’allarme in caso di pericolo. Tra
le altre emozioni c’è l’ansia da separazione, reazione fisiologica poiché di fronte allo spavento
si ricerca assiduamente la figura di attaccamento. Questo però non è stato sempre possibile o
per lavoro o per malattia, molti bambini si sono soluti staccare dal proprio caregiver di
riferimento. L’irritabilità insieme alla rabbia invece rappresentano emozioni scatenate per via
delle continue limitazioni. I problemi di concentrazione e di attenzioni sorti durante la
pandemia dipendono da pensieri intrusivi e al rimuginamento. I problemi legati al sonno invece
sono correlati all’ansia e all’irritabilità per questo è necessario scandire una routine. Un fattore
positivo riguarda invece lo sviluppo cognitivo, poiché molti ritengono che i bambini di oggi
siano più intelligenti, che sviluppino rapidamente un linguaggio verbale e che impara a
manipolare presto molti oggetti. Il modo di in cui i bambini apprendono avviene sempre su base
osservativa dell’ambiente e delle azioni e sulla capacità di riprodurre sequenze. Usano quindi
predisposizioni innate per apprendere ma le applicano nel contesto in cui vivono. Per questo è
importante aggiornare il nostro sistema educativo e preoccuparci della sicurezza dei bambini. Il
passaggio da bambini ad adolescenti viene influenzato anche dal contesto scolastico. Le ricerche
dimostrano infatti che la didattica a distanza ha provocato una perdita dell’apprendimento del
35%. A differenza di molti alunni, gli studenti DSA che faticano ad andare a scuola, si sono
ambientati facilmente alla nuova tipologia di didattica, poiché con gli strumenti tecnologici essi
possono fermare le lezioni, riascoltarle e memorizzare meglio. Ciò che manca invece alla
maggior parte dei bambini è il contatto, la socializzazione , i lavori di gruppo. Per quanto
riguarda appunto i bambini con disturbi dell’apprendimento ciò che è emerso sono
problematiche relative alla comprensione della pandemia, ai motivi che hanno generato un
cambiamento nelle loro abitudini, barriere nell’accesso alle misure di protezione sociale,
notevole stress arrecato dalle restrizioni e dispersione scolastica. Una rete globale di
organizzazioni che lavorano per offrire un’istruzione qualitativa in situazioni di emergenza,
aveva affermato che fosse alto il rischio che le persone con disabilità venissero trascurate ed
emarginate durante questo periodo di crisi. Questi dati, se vengono considerati a lungo termine
possono ridurre le opportunità di accesso al mondo del lavoro per questi soggetti. Per bambini e
adolescenti aventi un certo tipo di funzionamento, si possono riscontrare alcuni ostacoli
nell’interazione delle loro caratteristiche e i sistemi di e-learning. Calvani(2020) afferma che
l’autonomia nello studio, buone competenze tecnologiche, l’organizzazione del lavoro scolastico
sono pilastri che stentano ad coesistere tra i bambini con difficoltà cognitive. Secondo l’indagine
di Besic e Holzinger(2020) svolta in Austria, la motivazione ad apprendere online di studenti con
difficoltà cognitive era migliore se venivano incentivati percorsi di condivisione. Al contrario, la
mancanza di contatto aveva provocato una riduzione della capacità di apprendimento, maggiore
isolamento e solitudine. Si stima che circa il 44% degli alunni con disabilità è stata inclusa nelle
modalità didattiche attivate nonostante il 60% ha riportato una regressione nell’apprendimento,
nelle autonomie e nella comunicazione. Ciò che si può appurare è che lo sviluppo è un processo
che si interfaccia a diversi vincoli, a livello di attività genetica, funzioni psicologiche, attività
neurale, esperienze ambientali e molto altro. A causa del lockdown si è sviluppata invece una
forma di sviluppo atipico per l’intero arco della vita dei bambini, con un impatto notevole e di
conseguenza é caratterizzato da periodi sensibili per lo sviluppo sensoriale, motorio, psicologico,
cognitivo, affettivo e sociale(Thomoson e Nelson,2001).

Vicari,S., Di Vara,S. “Bambini e adolescenti e Covid-19. L’impatto della pandemia dal punto di
vista emotivo, psicologico e scolastico” 2021 Edizioni centro studi Erickson.

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