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V anno Polo A-C 2022/2023

ORTOPEDIA

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V anno Polo A-C 2022/2023

INDICE

TRAUMATOLOGIA ...............................................................................................................................................3
FRATTURE ...........................................................................................................................................................12
DISTACCHI EPIFISARI .......................................................................................................................................20
OSTEOARTROSI ..................................................................................................................................................22
OSTEOCONDROSI ...............................................................................................................................................30
OSTEOPOROSI .....................................................................................................................................................40
CEMENTOPLASTICA NELLE FRATTURE VERTEBRALI DA OSTEOPOROSI ..........................................42
PARA – DISMORFISMO SCOLIOTICO IN ETÀ EVOLUTIVA .......................................................................45
RACHIALGIE LOMBARI E CERVICALI...........................................................................................................58
SPONDILOLISTESI/ SPONDILOLISI .................................................................................................................67
SPALLA .................................................................................................................................................................68
FRATTURE DELL’OMERO.................................................................................................................................88
FRATTURE DELL’ESTREMITÀ DISTALE DEL RADIO/FRATTURE DI POLSO ........................................94
FRATTURE DEL I METACARPO .......................................................................................................................98
SINDROME DEL TUNNEL CARPALE ..............................................................................................................99
DISPLASIA CONGENITA E/O EVOLUTIVA DELL’ANCA ..........................................................................100
COXA VARA E VALGA ....................................................................................................................................108
FRATTURE DEL COLLO DEL FEMORE ........................................................................................................111
EPIFISIOLISI .......................................................................................................................................................120
GINOCCHIO ........................................................................................................................................................123
FRATTURE PROSSIMALI DI TIBIA (O FRATTURE DEL PIATTO TIBIALE) ...........................................134
FRATTURE DIAFISARIE DELLA TIBIA.........................................................................................................135
FRATTURE DEL COMPLESSO TIBIO-FIBULO-TALARE ............................................................................139
PIEDE TORTO CONGENITO ............................................................................................................................146
PIEDE PIATTO....................................................................................................................................................156

Revisione basata sui seguenti files: Sbobinature Prof. Pavone 2020/2021 e slides del Prof. Testa 22/23.

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TRAUMATOLOGIA
Traumatologia: è la branca della medicina che interessa la diagnosi, il trattamento e la riabilitazione di tutte le
lesioni scaturite da traumi.
Trauma: evento violento in cui la forza vulnerante danneggia i tessuti perché ne supera il limite di resistenza.
Nei casi più gravi ai danni locali si associa il coinvolgimento delle condizioni generali, per cui si parla di
malattia traumatica.
I traumi possono causare diverse tipologie di danno.
Possiamo distinguere diversi tipi di traumatismi: i
traumi più frequenti sono i traumi da caduta che si
verificano principalmente nelle residenze per anziani,
questi sono legati alle alterazioni della deambulazione
e dell’acuità visiva ma anche a inciampi di varia natura
che si trovano sparsi negli spazi frequentati. Il secondo
luogo, per frequenza, è rappresentato dalle aree
pubbliche ( piazze e parchi) dove i traumi da caduta
sono legati alle attività ludiche dei bambini (altalene e
scivoli).
- Domestici: la zona della casa più pericolosa è la
cucina. Le lesioni da taglio o, specialmente nei
bambini piccoli, da presa elettrica sono 2 cause
molto comuni. Il secondo locale per frequenza è il
bagno con traumi principalmente legati alla caduta
in doccia.
- Stradali: oggi i traumi stradali sono in aumento,
non solo per i conducenti ma anche per i
passeggeri; sono spesso gravi e invalidanti.
- Sul lavoro: le nuove norme hanno ridotto questi
traumatismi ma ancora persistono soprattutto a
causa del lavoro nero.
- Sportivi: riguarda sempre più i bambini che fanno
sport in cui si ha traumatismo da sovraccarico per
l’eccessiva attività agonistica incitata dai genitori. Sono traumi che prima appartenevano a fasce d’età più
avanzate ma che oggi stanno comparendo sempre ad un’epoca più precoce. Dal lato opposto si può avere
anche danno da inattività perché i bambini oggi tendono a passare la giornata davanti al televisore, computer
ecc. Questo fa sì che questi bambini, spesso in sovrappeso, compiano un’attività fisica inadeguata e spesso
insufficiente che li porta a subire traumi anche per attività lievi.
- Da maltrattamento: anche in questo caso le principali vittime sono i bambini. Il problema non va
sottovalutato. Circa nel 50% dei traumi nei bambini sotto i 3 anni è sospettabile il maltrattamento. Un
bambino che subisce una frattura va analizzato non solo da punto di vista fisico ma anche psicologico. Un
bambino maltrattato in genere non ha una singola frattura. Di solito ha 2, 3 fratture spesso al braccio (perché
tende a proteggersi) o ai femori. Ha determinati ematomi che stonano con il resto della clinica e che indicano
percosse subite nel tempo.
- Ludici: la causa di frattura più frequente nei bambini con età inferiore ai 7 anni è la caduta dall’altalena che
porta alla frattura del gomito o del polso. Altra causa è la caduta dalla bicicletta.
Le zone più coinvolte sono ad es. quella del collo perché molto mobile e compresa tra due strutture stabili,
quindi, può essere soggetto anche a forze compressive.

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Quali sono le lesioni traumatiche che ci possiamo trovare di fronte?


- Contusione;
- Distorsione;
- Sublussazione;
- Lussazione;
- Frattura;
- Fratture accompagnate da lussazioni;
- Distacchi epifisari: sono fratture dell’età evolutiva.

CONTUSIONE
Lesione traumatica prodotta dall’azione violenta compressiva di un corpo esterno smusso (se appuntito causa
una ferita da taglio) o dall’urto del corpo stesso spinto ad una certa velocità contro un ostacolo solido. La lesione
presenta 4 caratteristiche:
1. La cute è integra
2. Soluzione di continuo dei tessuti sottocutanei
3. Rottura dei vasi
4. Stravaso di sangue
Quindi la cute resiste, non è lesa, ma il tessuto sottocutaneo fino all’osso subisce il trauma. Se si rompe l’osso si
parla di frattura. Se il trauma si accompagna a lesione cutanea si parla di ferita lacero-contusa.
A seconda dell’entità del trauma si avranno degli elementi che saranno espressione delle strutture sottocutanee
interessate. Per distinguere i vari gradi di interessamento utilizziamo la gradazione secondo Dupuytren:
LIVELLO STRUTTURE SEGNI
CUTE E SOTTOCUTE CAPILLARI ERITEMA, EDEMA ED
ECCHIMOSI
SOTTOCUTE PICCOLI VASI ECCHIMOSI ED EMATOMA
MUSCOLI VASI E NERVI EMATOMA E STUPORE
NEUROLOGICO
MUSCOLI E PERIOSTIO VASI E NERVI NECROSI TISSUTALE E
RIPARAZIONE CON TESSUTO
CICATRIZIALE

1. Nel primo grado è interessata solo la cute e il sottocute, con lesione dei vasi capillari che si presenta con
eritema, edema ed ecchimosi;
2. Nel secondo grado viene interessato il tessuto sottocutaneo profondo con rottura dei piccoli vasi che si
manifesta con ecchimosi ed ematoma;
3. Nel terzo grado vengono interessati i muscoli con ematoma e vengono interessati i nervi con stupore
neurologico;
4. Nel quarto grado viene interessato il periostio, con rottura dei vasi e coinvolgimento dei nervi. È possibile
riscontrare necrosi tissutale con successiva riparazione cicatriziale.

CLINICA
Il quadro clinico è abbastanza caratteristico. Abbiamo:
1. Sintomatologia dolorosa locale spontanea ed accentuata dalla digitopressione
2. Contrattura antalgica
3. Arrossamento ed iperemia
4. Tumefazione ed edema
5. Ecchimosi
La lesione di presenta come zona cutanea più calda (termotatto positivo), arrossata, iperemica, raramente
ischemica (solo se la lesione è particolarmente grave), tumefatta ed edematosa. Immediato è il dolore che può
aumentare alla digitopressione. L’entità del dolore è correlato alla gravità della contusione. Dopo 3-4 giorni
compare un’ecchimosi nella zona della lesione.
La lesione dei tessuti profondi può non essere accompagnata da una lesione esterna immediatamente rilevabile
all’ispezione, per cui in alcuni casi l’entità del danno può essere sottovalutato.
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DIAGNOSI
1. Quando ci troviamo di fronte ad una contusione, la prima cosa da fare è escludere che ci sia una frattura
perché varia radicalmente il trattamento. Faccio allora un Rx nelle proiezioni standard (una sola proiezione
non è sufficiente, ce ne vogliono 2 → ant-post e latero-laterale) che mi permette di vedere se c’è una frattura
soprattutto nelle zone in cui il tessuto sottocutaneo e muscolare antistante è sottile come ad es. la tibia.
2. La seconda metodica strumentale è l’ECO che risulta utile per verificare presenza dell’ematoma, l’entità,
l’estensione, il coinvolgimento, la profondità e l’organizzazione della lesione. La stessa Ecografia può essere
utile al fine di monitorare l’efficacia della terapia.
TERAPIA
1. Terapia farmacologica: si basa sull’utilizzo di antinfiammatori e analgesici, stando attenti all’utilizzo dei
FANS in pazienti che hanno un ematoma importante perché potrebbe aumentare il sanguinamento dato che
questi farmaci agiscono sulle COX, quindi sulla produzione di prostaglandine. Oggi si sta sempre più
rivalutando l’utilizzo del paracetamolo, e si sta utilizzando molto l'associazione tra antinfiammatori e
oppiacei (dexketoprofene e tramadolo, paracetamolo e codeina) per diminuire dosaggio antinfiammatorio e
ridurre gli effetti collaterali, e agire contemporaneamente su recettori dell'infiammazione e del dolore.
2. Altro punto della terapia è costituito dal riposo ed elevazione dell’arto al fine di garantire il drenaggio
dell’edema.
3. Abbiamo, ancora, la possibilità di ricorrere alla crioterapia tramite borsa del ghiaccio che deve essere messa
per 10’/h per evitare danni da freddo. Il ghiaccio è il miglior antiflogistico, analgesico e antiedemigeno.
4. Nei casi di ematoma importante che potrebbe non risolversi spontaneamente, posso aspirare l’ematoma
stesso con un piccolo accesso chirurgico per accelerare il processo di guarigione. Una volta aspirato faccio
un bendaggio compressivo mettendo l’arto in scarico; il bendaggio deve essere fatto bene altrimenti si
potrebbe peggiorare la situazione.
5. Risultano utili anche terapie fisiche come tecar, ultrasuoni e laser per cercare di accelerare il processo di
guarigione.

DISTORSIONE
Si tratta di lesioni articolari caratterizzate dalla perdita parziale e temporanea (se è totale e permanente di parla di
lussazione) del rapporto tra superfici articolari contigue con possibile stiramento e/o lacerazione dell’apparato
capsulo-legamentoso, causata da ipersollecitazioni meccaniche → solitamente torsioni. Per causare la
distorsione, la forza meccanica deve vincere le resistenze elastiche offerte dalla capsula e dei legamenti
dell’articolazione interessata; ci sono dei distretti anatomici che sono più resistenti di altri per la loro struttura, ad
es. l’anca piuttosto che la spalla e questo ci giustifica anche l’entità del danno. Spesso il trauma è indiretto cioè
non agisce direttamente sull’articolazione interessata. Il quadro clinico varia di intensità e specificità in relazione
alla gravità del trauma, alla sede e alle caratteristiche fisiche del soggetto stesso.
Bisogna ricordare che all’interno dell’articolazione abbiamo anche propriocettori e meccanocettori; strutture
fondamentali per il corretto movimento degli arti, per la deambulazione e per la stazione eretta; che potrebbero
essere danneggiati.
La sede più colpita in assoluto è l’articolazione tibio-tarsica a causa dei movimenti di inversione cioè varo-
supinazione della caviglia. Vengono lese in questo caso le strutture che permettono di stabilizzare la parte
laterale dell’articolazione tibio-tarsica, cioè il legamento collaterale laterale formato da 3 fasci: leg talo-fibulare
ant e post e leg fibulo-calcaneale.
La seconda sede più colpita è il ginocchio, molto frequente negli sport in cui è frequente la rotazione (calcio,
basket). Un’altra sede molto colpita è l’interfalangea per gli sport con la palla come pallavolo e basket. Via via
seguono l’articolazione radio-carpica, gomito, spalla (tennista, cestista), metacarpo- falengee, interfalangee.

CLASSIFICAZIONE
Le distorsioni possono essere classificate in base alla gravità in:
Semplici legamento elongato (o distratto) ma integro.
Nessuna variazione significativa di stabilità articolare
Gravi Legamento lesionato
Stabilità articolare compromessa

La classificazione in base al danno anatomico prevede la distinzione in “gradi di distorsione”:

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I grado- DISTENSIONE Elongazione dell’apparato capsulo-legamentoso che non supera il


coefficiente di resistenza. La stabilità articolare non è
compromessa.

II grado-DISTRAZIONE Distacco dell’apparato capsulo-legamentoso con lacerazioni


minime e parziali. La stabilità articolare è lievemente
compromessa.

III grado-ROTTURA Rottura franca dell’apparato capsulo-legamentoso. La stabilità


articolare è gravemente compromessa.

CLINICA
Nel caso di un soggetto che ha avuto ad es. una distorsione della caviglia, si ha tumefazione ed edema. Il
malleolo è poco riconoscibile. Si può avere ematoma in caso di rottura del legamento. Ad es. se si rompe il
legamento talo-fibulare anteriore si ha un ematoma che va dalla regione retrocalcaneare fino all’avampiede.
Quindi gli elementi clinici della distorsione sono:
▪ Edema e tumefazione che possono portare a lassità legamentosa se non trattati → arto declive per scaricare
l’edema: teniamo l’arto in scarico;
▪ Dolore spontaneo accentuato alla digitopressione su interlinea articolare e legamenti, presente anche alla
mobilitazione;
▪ Versamento articolare che può essere:
- Emartro: sangue dentro la cavità articolare;
- Idrartro: versamento di liquido sinoviale;
- Piartro: essudato purulento nella cavità articolare;
▪ Impotenza funzionale.
DIAGNOSI
Anche in questo caso dobbiamo escludere la presenza di fratture e lo facciamo con un esame radiografico in AP
e LL ma a volte anche in obliqua per avere un quadro più completo. Se ho dei dubbi posso fare una RM che oggi
è il gold standard per la diagnosi e stadiazione della distorsione perché mi permette di vedere i tessuti molli. Altri
esami che si possono fare ma meno frequenti sono l’ecografia e l’artroscopia.
Nel 90% dei casi, clinica ed Rx sono sufficienti, QUINDI VISITIAMO IL PAZIENTE!
Si può fare una TC ma è molto costosa quindi si cerca di evitare per non gravare troppo sulla spesa pubblica.
Una cosa che pesa molto sul bilancio è il trattamento per l’osteoporosi → sono farmaci costosi perché spesso
parliamo di ormoni.

TERAPIA
Il primo approccio (fase acuta) terapeutico è medico e consiste nell’uso di
analgesici e antinfiammatori e crioterapia. L’arto va tenuto in scarico ed
eventualmente l’articolazione va svuotata se c’è un versamento importante.
Importante è anche l’immobilizzazione con tutore o stecca gessata (fase di
mantenimento). Nei casi gravi bisogna ricostruire i legamenti rotti con
riabilitazione fisioterapica post-chirurgica per permettere il recupero della
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normale fisiologia dell’articolazione e rieducare il paziente per la prevenzione delle recidive.


Il trattamento nei 2 casi è completamente diverso. Nel primo caso lo scarico dell’articolazione, la terapia medica
e la crioterapia risolvono il quadro. Nel secondo caso bisogna ricostruire il legamento rotto, soprattutto nei
soggetti giovani e sportivi. Oggi la soglia di operabilità in termini di età è aumentata. Prima si operava prima dei
45 anni, oggi si ricostruisce anche fino ai 60 anni perché, ad esempio, anche il 50enne ha una sua attività
sportiva. La rottura va risolta anche per evitare i danni conseguenti all’errato movimento dell’articolazione,
come ad es. i danni meniscali, in seguito a distorsione grave del ginocchio.

DISTORSIONI
Caviglia
• Esame rx-grafico per escludere lesioni ossee
• Immobilizzazione con stecca gessata, tutore o bendaggio funzionale per 2 settimane
• Arto in scarico
• Crioterapia

Ginocchio
• Immobilizzazione con tutore a 30°
• Crioterapia
• Divieto di carico
• Eventuale approfondimento diagnostico RMN

Gomito
• Immobilizzazione con apparecchio gessato antibrachio-mano o tutore

Polso
• Esame rx-grafico per escludere lesioni ossee
• Immobilizzazione con stecca gessata, tutore o bendaggio funzionale per 10-21 giorni
• Crioterapia
• Eventuale approfondimento diagnostico RM
• Fisioterapia e tempi di recupero "cuciti sul paziente"

SUBLUSSAZIONE
È la perdita parziale e permanente dei rapporti fra
superfici articolari contigue con sicuro stiramento e/o
lacerazione dell’apparato capsulo-legamentoso
causato da sollecitazioni meccaniche che superano
l’elasticità dell’app capsulo-legamentoso. Una delle
più frequenti è la sublussazione acromion-claveare,
poi abbiamo la metacarpo-falangea e poi la scapolo-
omerale. Il trattamento può essere cruento o
conservativo a seconda della gravità della lesione.

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LUSSAZIONE
È la perdita completa e permanente dei rapporti fra superfici articolari contigue causata da sollecitazioni
meccaniche che superano l’elasticità dell’apparato capsulo-legamentoso. È una delle lesioni traumatiche più
frequenti con predilezione per il sesso maschile. È nella stragrande maggioranza dei casi legata a traumi indiretti
che interessano nell’80% dei casi l’arto superiore. La predisposizione del soggetto, cioè l’iperlassità dei tessuti
molli articolari, predispone all’evento lussativo. Le articolazioni più colpite in ordine di frequenza sono: scapolo-
omerale, metacarpo-falangee, interfalangee, gomito, ginocchio e anca. Se si accompagna a frattura del segmento
scheletrico coinvolto si parla di frattura-lussazione.

CLASSIFICAZIONE
• Congenite
• Acquisite: patologiche o traumatiche:
- Recenti (poche ore dal trauma)
- Inveterate (a distanza anche di giorni dal trauma)
- Recidivanti (ripetizione sempre più frequente della lussazione)
- Abituali
[Classificazione delle vecchie sbob
La classificazione delle lussazioni prevede la
suddivisione in:
- Lussazioni traumatiche: che a loro volta
possono essere dirette o indirette.
- Lussazioni patologiche: causate da processi
infiammatori o neoplastici.
- Lussazioni recidivanti: quando dopo il primo
episodio seguono altri episodi; questo avviene
spesso perché il pz al 4-5° giorno di
immobilizzazione dell’articolazione, non
sentendo più dolore, non tiene conto della
condizione in cui si trova, cioè che è in via di
guarigione → non tiene più a riposo
l’articolazione e non
- permette la cicatrizzazione della lesione nella
maniera corretta, predisponendo alle recidive.
- Lussazioni abituali: sono le lussazioni che
avvengono anche in seguito a movimenti
fisiologici; possono essere dovute ad un errato trattamento di una lussazione o delle sue recidive che porta ad
una sclerosi dei margini di lesioni che non guariscono più → la lesioni cronicizza e l’articolazione può
- lussarsi facilmente.]

CLINICA
Gli elementi clinici che suggeriscono la presenza di una lussazione sono:
- Variazione del profilo anatomico → nella scapolo-omerale abbiamo il segno della spalletta = perdita della
convessità deltoidea;
- Dolore articolare: spontaneo e acutissimo, talvolta irradiato per compressione dei tronchi nervosi [possibile
compressione delle strutture vascolari e nervose];
- Atteggiamento coatto dell’arto (posizione classica del pz con spalla lussata è: arto lussato addotto, gomito
flesso e l’altro arto che lo sostiene): spesso si accompagna ad una contrattura di difesa della muscolatura che
impedisce la riduzione della lussazione se non dopo sedazione/anestesia;
- Impotenza funzionale assoluta
- Possibile coinvolgimento lesivo vascolare o nervoso

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DIAGNOSI
La diagnosi è principalmente clinica dato il quadro eclatante. L’Rx nelle due proiezioni standard permette di
confermare la diagnosi e di escludere la presenza di fratture. Importante è l’esclusione della presenza di fratture
perché se eseguo manovre e c’è una frattura posso fare danno. La TC e RM sono indagini di secondo livello. La
RM è essenziale per la valutazione degli esiti.

COMPLICANZE
Possono essere immediate o tardive. Tra le complicanze immediate abbiamo la lesione delle strutture vicine
all’articolazione interessata, specialmente se c’è una frattura. Nel caso della frattura-lussazione dell’anca ci può
essere un interessamento del nervo sciatico mentre in caso di lussazione-frattura gleno-omerali può essere
interessato il nervo ascellare. Le complicanze tardive sono dovute soprattutto a fenomeni ischemici post-
traumatici con necrosi delle epifisi lussate come nel caso dell’anca. Altra complicanza tardiva è la recidiva di
lussazione conseguente ad instabilità articolare.
TERAPIA
La terapia di solito è incruenta e consiste nella riduzione della lussazione con riposizionamento dei capi
articolari (attraverso una manovra contraria a quella che ha determinato la lussazione), previa anestesia generale
o plessica per ridurre la contrazione di difesa e il dolore. Viene seguita dall’immobilizzazione con bendaggi
molli o gessati in maniera da sostenere la rigenerazione dei tessuti molli nella corretta posizione (in alcuni casi si
deve intervenire chirurgicamente per ricostruire i legamenti). Nel caso di lussazione recidivanti o irriducibili è
necessario l’approccio chirurgico con plastica ricostruttiva dell’apparato capsulo-legamentoso.
Dopo 4-5 settimane si inizia la riabilitazione → il lavoro in acqua è molto utile nei primi periodi data l’assenza
di gravità.

LUSSAZIONE GLENO OMERALE


• È il tipo di lussazione più frequente nell'adulto
• Trattamento con riduzione incruenta tramite trazione assiale ed immobilizzazione
• Viene classificata in:
- anteriore (95%)
- inferiore (luxactio erecta) (1%)
- superiore
- posteriore (3-4%)

TRATTAMENTO

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LUSSAZIONE ACROMION-CLAVEARE
• 12% delle lussazioni di spalla
• Slivellamento della clavicola rispetto all’acromion
• Classificazione di Rockwood (1998):

TRATTAMENTO
• Trattamento conservativo tramite immobilizzazione con tutore e pressore
• Trattamento chirurgico certo dal tipo IV in poi
• Tipo III controverso
Il trattamento chirurgico consiste nella tecnica con tightrope in artroscopia.

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LUSSAZIONE OMERO-ULNARE
• Più frequente da 5 a 15 anni
• Accorciamento dell'avambraccio
• Troclea omerale lussata apprezzabile avanti
• Trattamento tramite riduzione manuale ed immobilizzazione

LUSSAZIONE INTERFALANGEA
• Dolore localizzato
• Deformità articolare
• Impossibilità al movimento
• Riduzione o perdita della sensibilità
• Riduzione tramite trazione
• Immobilizzazione

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FRATTURE
La frattura è un’interruzione della continuità di un osso. Può essere causata da ipersollecitazioni meccaniche che
ne superano il limite di elasticità e resistenza, in questo caso si parla di frattura traumatica. Si parla invece di
frattura patologica quando la frattura si produce senza trauma (spontanea) o con minimo trauma che in
condizioni normali non provocherebbe la frattura, su un osso che ha già un’alterazione qualitativa e/o
quantitativa della componente organica e inorganica. Questo può avvenire in caso di osteoporosi o di neoplasie
dell’osso primitive e secondarie (o ripetitive perché riproducono il tumore primitivo). Un tumore o una metastasi
dell’osso, demolisce l’osso, lo erode e si sostituisce ad esso. Spesso è l’ortopedico a fare diagnosi (o meglio a
fare biopsie) di neoplasia quando opera per riparare una frattura patologica o quando guarda una Rx o una TC a
seguito di una frattura perché questa può essere il primo segno di neoplasia. Si parla infine di frattura
chirurgica se l’interruzione della continuità ossea viene provocata per correggere una deformità scheletrica.

TIPIZZAZIONE DELLE FRATTURE


Il trauma che può provocare una frattura traumatica può essere:
• Diretto: l’osso si frattura in corrispondenza del punto in cui viene applicata la forza; ad esempio, un
soggetto che viene investito;
• Indiretto: l’osso si frattura a distanza dal punto di applicazione della forza traumatizzante, nel punto in cui
scarica la forza; ad esempio, una caduta dall’alto → atterro sui piedi → frattura di bacino, vertebre ecc.
In base al meccanismo lesivo nelle fratture da trauma indiretto possiamo distinguere:
• Frattura per flessione
• Frattura per torsione: nei traumi distorsivi ad es. quando la forza non si scarica
• sull’articolazione ma sull’osso
• Frattura per trauma assiale: a loro volta possono essere da compressione o da trazione. Tipica lesione da
compressione è la frattura del corpo vertebrale, soprattutto in un soggetto con osteoporosi; i distretti più
colpiti nell’osteoporosi sono → vertebre, polso e collo del femore
• Mista: più meccanismi lesivo possono partecipare allo sviluppo della frattura.

La frattura può essere associata a un danno dei tessuti molli e in base al danno abbiamo la classificazione di
Oelstem e Tscherne:
• Grado 0: minimo danno tissutale, generalmente da forza torsionale indiretta, associato ad un tipo di frattura
non grave
• Grado 1: abrasioni o contusioni superficiali associate ad un tipo di frattura di gravità moderata
• Grado 2: abrasioni profonde, contusioni della cute o del muscolo, causate da un trauma diretto ed associate
ad una frattura grave
• Grado 3: contusioni cutanee estese o danno da urto violento, danno severo al muscolo sottostante, avulsione
sottocutanea o sindrome compartimentale

In base alla porzione di osso interessata abbiamo la classificazione topografica delle fratture:
• Epifisarie: coinvolgono la porzione articolare
• Diafisarie: interessa il terzo medio dell’osso e ha prognosi migliore di una frattura epifisaria che coinvolge
l’articolazione e può causare danni al movimento. La complicanza più frequente di una frattura articolare è
l’artrosi post-traumatica.
• Metafisarie zona di sostegno dell’epifisi
Nota: struttura osso lungo
Epifisi – cartilagine di accrescimento (nell’accrescimento)- metafisi – diafisi (terzo prossimale, medio e distale)
– metafisi – epifisi. Tutto ciò che avviene a livello epifisario coinvolge l’articolazione.

In rapporto all’estensione del danno, la frattura può essere:


• Incompleta: interruzione parziale della continuità di un osso, una sola corticale è interrotta. Può essere:
- Sottoperiostee
- A legno verde
- Infossamenti
- Infrazioni: che riguarda solo la corticale. In questo caso si cerca di evitare che diventi completa
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• Completa: interruzione totale della continuità ossea, con rottura di tutte e 2 le corticali. In base ai monconi
ossei formatisi queste possono essere:
- Fratture semplici: interruzione circonferenziale unica della diafisi o della metafisi. C’è 1 rima con 2
monconi ossei:
▪ Parcellari: avviene il distacco di un piccolo frammento osseo;
▪ Trasversali
▪ Oblique
▪ Longitudinali
▪ Spiroidi: quando ci si avvolge su sé stessi come quando resta il piede incarcerato mentre si
corre.
- Frattura pluriframmentaria: con uno o più frammenti intermedi completamente separati
- Fratture bifocali: ci sono 2 rime che non convergono, con 3 monconi ossei
- Fratture complesse: ci sono 2 o più rime confluenti, con 2 monconi e 1-3 frammenti
- Fratture comminute: plurime rime confluenti con formazione di più di 3 frammenti.

[La frattura più frequente in epoca perinatale è quella della clavicola e guarisce in media in una 1 settimana (35
nell'adulto)]
All’interno delle fratture complete dobbiamo distinguere tra:
• Fratture chiuse: i frammenti della frattura rimangono chiusi dai tessuti molli e all’esterno l’osso non si
vede;
• Fratture esposte: c’è una soluzione di continuo con la cute e l’osso esce fuori dai tessuti molli. Spesso è lo
stesso moncone osseo a causare lacerazione dei tessuti molli. L’osso che più frequentemente dà luogo a
fratture esposte è la tibia perché i tessuti molli antistanti sono scarsi e non riescono a contenere i monconi.
Questo porta anche ad una difficile richiusura della soluzione di continuo con un successivo rischio di
infezioni maggiore. I problemi più gravi sono quindi le infezioni. Una frattura esposta è una frattura
contaminata che se malcurata o in particolari situazioni può andare incontro ad infezioni. Dobbiamo
differenziare le fratture esposte in:
- Fratture esposte dall’interno verso l’esterno frammenti della frattura che perforano i comuni
tegumenti da dentro in fuori. Sono fratture a contaminazione limitata o di tipo ambientale;
- Fratture esposte dall’esterno all’interno Agente vulnerante che tagliando, contundendo o penetrando
nei tessuti molli raggiunge l’osso e lo frattura. Sono a più alto rischio di infezione. In questi casi è
necessaria terapia antibiotica più aggressiva e toilettatura chirurgica.
Le fratture esposte rappresentano un’urgenza per l’elevato rischio di infezione (soprattutto quelle per
meccanismo esterno-interno). Va trattata entro le 6h. Possono essere legate, più di quelle chiuse, a lesioni
vascolari e nervose, non solo dei tessuti molli.

CLASSIFICAZIONE DI GUSTILO-ANDERSON
1. Trauma bassa energia con minimo danno dei tessuti molli e ferita <1 cm, lieve comminuzione
2. Trauma a media energia con danno dei tessuti molli e ferita tra 1 e 10 cm, moderata comminuzione
3A. Trauma ad alta energia con ampia lacerazione dei tessuti molli o flaps, ma sufficiente copertura ossea
3B. Ampia perdita di sostanza
3C. Lesioni vascolari e nervose che necessitano la riparazione per la sopravvivenza dell'arto

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V anno Polo A-C 2022/2023

In base all’interessamento anatomico possiamo avere fratture:


- Bilaterali: entrambi i femori, omeri ecc;
- Unilaterali;
- Multiple: vengono coinvolte più strutture ossee.

In base all’interessamento articolare dobbiamo distinguere tra:


• Fratture articolari: coinvolge in genere le epifisi (ma anche metafisi) e ha come complicanza l’artrosi post-
traumatica se non guarisce perfettamente e se non viene ridotta bene possono determinare una
compromissione dell’articolazione con conseguente irrigidimento. Si dividono in:
- Parziali: e vediamo qua → l’affondamento quando ad es. una porzione del piatto tibiale si abbassa
- Totali: superficie articolare interrotta e completamente separata dalla diafisi.
• Fratture extra-articolari: la rima della frattura non interessa in alcun modo la superficie articolare, mentre
può essere intracapsulare. Comprendono fratture apofisarie e metafisarie, e sono quelle più facili da guarire.

In rapporto allo spostamento dei frammenti, le fratture complete vengono


distinte in:
• Composte: non si ha spostamento dei monconi ossei;
• Scomposte: si ha spostamento dei monconi ossei a causa dell’azione dei
muscoli. In base allo spostamento dovuto alla direzione del trauma, alle
trazioni muscolari, le fratture scomposte possono essere:
- Ad latus: l’asse longitudinale è più o meno conservato ma i due
monconi sono spostati l’uno rispetto all’altro;
- Ad longitudinem: i 2 monconi ossei sono sovrapposti lungo lo stesso
asse; a volte sono sovrapposti talmente bene che in una Rx antero-post
non si vede la frattura → bisogna fare una Rx in proiezione laterale;
- Ad axim: i frammenti vengono a formare delle angolature che di solito
sono angolature in varo o in valgo (il ginocchio spostato verso
l’esterno indica una frattura in valgo);
- Ad periferiam: l’asse può essere conservato ma c’è una rotazione di
uno dei 2 frammenti.

Conoscere questi possibili spostamenti è importante per sapere che movimenti


fare quando ripristiniamo la continuità dell’osso fratturato.

Questi sono i 4 spostamenti elementari. Difficilmente se ne trova uno solo ma


spesso possono essere associate anche 3 di queste situazioni
contemporaneamente. Nelle fratture ad alta energia (ad es. quelle da incidente
motociclistico) si possono trovare anche tutte e 4 le situazioni.

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QUADRO CLINICO
Dobbiamo distinguere tra quadro clinico generale e quadro clinico locale. Oltre ai sintomi locali la frattura porta
anche a sintomi generali. È una patologia che coinvolge tutto l’organismo. Tra i sintomi generali in primis
abbiamo lo shock traumatico. Quando un pz arriva al pronto soccorso con una frattura importante o con fratture
multiple, lo shock è il sintomo che per primo va attenzionato e curato. Abbiamo anche dolore, possiamo avere
rialzo termico, insonnia, alterazioni del tratto gastroenterico (per irritazione del nervo vago conseguente al forte
shock) o di valori ematochimici (in una frattura del 1/3 medio del femore si può perdere anche 1,5l di sangue).
Tra i sintomi locali abbiamo:
• Dolore intenso spontaneo ed accentuato alla digitopressione che può evocare sensazione di crepitio e/o di
rumori di scroscio (dovuti allo sfregamento dei frammenti)
• Movimento preternaturale dei monconi di frattura (mobilità innaturale)
• Deformità locale
• Accorciamento dell’arto
• Ecchimosi
• Tumefazione delle parti molli
• Contrattura antalgica immediata: il dolore fa sì che i pz contraendo i muscoli provi a mantenere fermi i
frammenti ossei e di evitare i piccoli movimenti che causano la sintomatologia dolorosa locale;
• Impotenza funzionale.

Tra questi sono definiti segni di certezza:


• Crepitio
• Mobilità innaturale.

DIAGNOSI
Nel sospetto di frattura dobbiamo fare immediatamente un esame radiografico che ci dà la diagnosi di certezza
nel 98% dei casi. Si fa nelle 3 proiezioni standard. In alcuni casi, infatti, non è facile distinguere tra frattura e
contusione.
Una TC o una RM vengono riservati nei casi in cui si voglia definire bene le situazioni anatomiche della
frattura. Le fratture più frequenti soggette a TC sono le fratture vertebrali per vedere se c’è coinvolgimento del
canale spinale, le fratture del bacino e le fratture articolari per vedere esattamente la situazione articolare, se c’è
un coinvolgimento vascolare o nervoso e per capire come trattare quella frattura [planning operatorio]. La RM
va utilizzata fondamentalmente nelle “fratture da impatto” che non si vedono alla Rx o alla TC; ci mostrano
l’edema che si verifica in corso di frattura o nel caso della frattura del collo del femore in cui si è perfettamente
compenetrato, ci fa vedere l’edema della frattura e ci fa capire che c’è.
La scintigrafia si riserva alle fratture patologiche per neoplasie ossee così come anche la biopsia.

EVOLUZIONE DELLE FRATTURE


Quando comincia a guarire una frattura? La guarigione inizia immediatamente. Nel tessuto osseo la perdita di
sostanza o di continuità dovuta ad una frattura viene riparata mediante formazione di tessuto osseo. La
guarigione consta di 3 fasi:
• 1° fase: infiammatoria. Subito dopo il trauma si ha la formazione di un versamento ematico (ematoma) e
immediatamente parte la guarigione dato che il coagulo di fibrina fornisce la matrice per l’angiogenesi e la
cicatrizzazione. Le piastrine rilasciano numerosi fattori di crescita e citochine. I macrofagi, quindi, lasciano
il circolo e si trasformano in monociti e iniziano a rimuovere il coagulo e il tessuto osseo necrotico. Si ha
proliferazione fibroblastica con conseguente sintesi di collagene che porta alla formazione del callo fibroso
o callo iniziale nell’arco di circa 3 settimane. La formazione del callo iniziale è influenzata da vari fattori di
natura meccanica, umorale e anatomica (ci sono sedi in cui la formazione è favorita e sedi in cui è sfavorita,
soprattutto se c’è una diastasi dei monconi cioè un allontanamento o se c’è interposizione di tessuti molli).
• 2° fase: riparativa. Le cellule mesenchimali si differenziano in osteoblasti che producono la matrice
extracellulare ossea, il callo si mineralizza e si forma il callo osseo; è la fase della consolidazione che ha
durata diversa a seconda dei distretti e del trattamento attuato. Consolidazione non vuol dire guarigione. Da
un punto di vista medico-legale una frattura è consolidata ma il pz non è guarito perché la guarigione
significa completa restitutio ad integrum con ripresa di tutte le abilità prima della frattura e per questo ci
vuole la riabilitazione.
• 3° fase: rimodellamento. Perché l’osso del callo osseo è immaturo, più fragile, con un’architettura diversa
dal normale; il tutto grazie all’attività complementare di osteoclasti e osteoblasti. Può durare mesi se non
addirittura 3- 4 anni dall’episodio di frattura. Alla fine di questo non rimangono segni della frattura.
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COMPLICANZE
Le complicanze di una frattura si distinguono in immediate, precoci e tardive, locali e generali. Le complicanze
immediate si presentano già con la frattura, le precoci subito dopo la frattura, le tardive a distanza dalla frattura.
Complicanze generali
Tra le complicanze generali abbiamo:
• Immediate: shock traumatico, shock emorragico ma anche lo shock ischemico e neurologico.
• Precoci: embolia adiposa, tromboembolia e embolia polmonare; per evitare che avvenga l’embolia adiposa,
l’unica cosa che possiamo fare è immobilizzare l’arto fratturato; per scongiurare il tromboembolismo invece
dobbiamo scoagulare il pz.
• Tardive: polmonite, ARDS, piaghe da decubito.

Shock ischemico e neurologico


Interruzione della vascolarizzazione e dell'innovazione di una regione, dovuto ad un meccanismo di pressione da
parte dei monconi di frattura.

Disordini tromboembolici
• Trombo che colpisce il circolo venoso profondo degli arti inferiori.
• Dolore, gonfiore, arrossamento, calore.

Sindrome da embolia adiposa


• Presenza nel microcircolo polmonare di globuli di grasso.
• Ipossiemia, manifestazioni neurologiche, petecchie.

Sindrome da immobilizzazione o ipocinetica


• Tipica degli anziani per allettamento prolungato successivo al trauma.
• Decondizionamento muscolare e con aggravamento della ipotrofia e perdita dello schema motorio del
cammino.
• Importanti conseguenze: trombosi, piaghe da decubito, turbe psicologiche (delirium), infezioni dell'apparato
respiratorio e urogenitale.
Complicanze locali
Tra le complicanze locali abbiamo:
• Immediate: esposizione, associazione con lussazione, lesioni vascolari, nervose o viscerali.
• Precoci: s. di Volkmann, s. compartimentale, infezione del focolaio di frattura (osteomielite).
• Tardive: disturbi e vizi di consolidazione → pseudoartrosi, necrosi asettica (nei distretti poco irrorati come
l’astragalo e lo scafoide), artrosi post-traumatica, rigidità articolare, complicanze nervose, osteodistrofia
post- traumatica di Sudek [osteoporosi locale tipica delle fratture del polso o del piede che si manifesta con
dolore, spesso molto forte (di solito un dolore che "brucia" o "rode"), limitazione dei movimenti e altri segni
e sintomi che sembrerebbero indicare una componente vasomotoria (gonfiore, rossore anche screziato o a
chiazze, oppure colore grigiastro della pelle, alterazioni della temperatura locale, atrofia dei tessuti)].

La sindrome di Volkmann è una sindrome mista nervosa-vascolare che si può instaurare in alcuni distretti in
cui non vi sono cavità in cui può riversarsi l’ematoma senza fare danno (come nel caso del gomito o del terzo
distale di gamba). Si ha paralisi nervosa e ischemia meccanica dovuta alla compressione da parte dell’ematoma.
Comunemente è causata da una lesione sovracondiloidea dell’omero e si manifesta con mano ad artiglio che
rende l’estensione passiva delle dita limitata e dolorosa.
• Sofferenza tissutale caratterizzata da uno scarso apporto di ossigeno determinata da una tumefazione del
muscolo leso all'interno di un involucro costrittivo (stecca, gesso, fasciatura) che determina un aumento della
pressione tissutale e una diminuzione della perfusione sanguigna (PIC>30 mg)
• Ischemizzazione e necrosi dell'arto
• Diagnosi precoce: dolore acuto, scomparsa dei polsi, scomparsa della sensibilità
• Trattamento in urgenza: fasciotomia

La sindrome compartimentale è una ischemia acuta delle fibre muscolari del gruppo flessore dei muscoli
dell'avambraccio, causata da una compressione dell'arteria brachiale, che determina una contrattura permanente
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della mano e del polso con conseguente deformità simile ad artigli della mano e delle dita. Fondamentale la
diagnosi precoce e per questo può aiutarci la presenza di dolore acuto, scomparsa dei polsi, scomparsa della
sensibilità. Trattamento in urgenza: fasciotomia. Si eseguono incisioni verticali per rilasciare la pelle e i
rivestimenti muscolari. Queste incisioni spesso sono lasciate aperte e poi cucite giorni o settimane più tardi,
appena i tessuti molli guariranno ed il gonfiore si sarà risolto.

Necrosi ossea asettica: si verifica quando l'apporto vascolare di uno dei due frammenti è insufficiente.

Infezioni: tipiche delle fratture esposte, possono manifestarsi anche in seguito all'intervento chirurgico. Talvolta
causano ritardo di guarigione della ferita chirurgica con formazione di fistole.

Pseudoartrosi: è un disturbo di consolidazione. È una falsa articolazione che si forma tra i 2 monconi ossei,
cioè un movimento tra i due monconi a causa della mancanza della consolidazione. Si verifica dopo 6 mesi
dalla frattura, altrimenti si parla di ritardo di consolidazione. È una complicanza tardiva locale delle fratture.
Può essere di 2 tipi:
• Ipertrofica;
• Atrofica.
La causa della mancata consolidazione può essere o di tipo meccanico, cioè la frattura non è stata ben
immobilizzata (i monconi si muovono), o di tipo biologico, cioè è mancato l’apporto biologico dell’ematoma di
frattura che normalmente da inizio alla guarigione o perché la frattura è esposta o perché è stato aspirato
chirurgicamente. Se il problema è meccanico sarà ipertrofica perché si produce tanto callo fibroso che non si
riesce a trasformare in callo osseo a causa dei movimenti. Se il problema è biologico si avrà un’artrosi atrofica.
In entrambi i casi bisogna intervenire (magnetoterapia, onde d’urto oppure nuovamente chirurgia) sia per
ristabilire la giusta meccanica sia per stimolare il processo biologico di guarigione. È una complicanza molto
frequente che spesso si trova associata ad un’altra complicanza che impedisce la consolidazione che è
l’infezione.

Ritardo di consolidazione: processi riparativi attivi, ma rallentati. Guarigione dopo il termine fisiologico di 4-6
mesi.
Fattori di rischio: fumo, età avanzata, anemia, diabete, l'assunzione di analgesici, infezione.
Trattamento:
- Conservativo magnetoterapia, onde d’urto, CMEP.
- Chirurgico: fissazione esterna, fissazione interna.

Pseudoartrosi ipertrofiche/ipervascolari (problema meccanico):


• a zampa d’elefante: ampiamente ipertrofiche e ricche di callo osseo. Di solito seguono ad una fissazione
instabile o ad un carico prematuro.
• a zoccolo di cavallo: moderatamente ipertrofiche e con scarsa presenza di callo osseo. Di solito seguono ad
un’immobilizzazione moderatamente instabile.
• oligotrofiche: non ipertrofiche e con assenza di callo osseo. Generalmente seguono ad uno spostamento della
frattura.

Pseudoartrosi atrofiche/avascolari (problema biologico):


• distrofica: caratterizzata dalla presenza di un frammento intermedio con diminuito apporto di sangue.
• necrotica: caratterizzata dalla presenza di uno o più frammenti intermedi necrotici.
• con perdita di sostanza: caratterizzata dalla perdita di frammenti ossei diafisari.
• atrofica: caratterizzata dall'assenza di frammenti intermedi; le estremità dei frammenti sono osteoporotici e
atrofici.

TRATTAMENTO
Obiettivi:
• Riduzione più anatomica possibile della frattura e sintesi.
• Mobilizzazione precoce per prevenire le complicanze dell'allentamento: trombosi venose profonde, infezioni
respiratorie urinarie, lesioni da decubito, decondizionamento muscolare e con aggravamento della ipotrofia e
perdita dello schema motorio del cammino.
• Contenimento della sintomatologia dolorosa.

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• Contenimento della disabilità cercando di ripristinare la precedente autonomia, vincendo la frequente paura
di cadere.
Si tende ad attuare una terapia che quanto più riduca il periodo di immobilità per scongiurare i rischi di trombosi
venosa, infezioni (respiratorie, negli anziani allettati), ipotrofia e perdita dello schema motorio. Per questo è stato
fatto un decreto legge secondo cui gli over 65 devono essere operati entro 48h.
Riduzione → immobilizzazione → consolidazione → guarigione.

Il trattamento mira, in primo luogo, a ridurre la frattura e cioè devo riportare i due frammenti a contatto e
ricostruire la normale anatomia scheletrica. La riduzione può essere:
• Incruenta:
- Rapida ed Estemporanea ottenuta con manovre manuali, viene effettuata in tutti i casi in cui sono
interessate delle ossa piccole (il polso ad es.) o nei bambini.
- Continua e Graduale ottenuta con trazione trans-scheletrica o trazione a pelle; nelle gambe, ad esempio,
a causa dell’importante componente muscolare che impedisce la riduzione manuale, immediata. Quindi
si usano questi fissatori esterni che fissiamo con delle viti e li mettiamo lontani dalla ferita in maniera da
permettere ad altri operatori di intervenire, penso ai medici che vogliono curare un eventuale infezione o
alle fratture esposte.
▪ Trans-scheletrica, nell’adulto: con una vite e una staffa trans-ossea si legano i fili e i pesi.
▪ Skin traction: si fa nei bambini con dei cerotti, fili e pesi.
• Cruenta: riduzione chirurgica.

Poi devo immobilizzare la frattura, o con un apparecchio gessato in maniera incruenta o più modernamente
con un intervento chirurgico che dall’interno stabilizza il focolaio di frattura, evitando l’applicazione di
apparecchi gessati che possono portare a diverse complicanze.

Le complicanze legate all’applicazione di apparecchio gessato sono:


• Disturbi correlati alla presenza dell’apparecchio gessato: stasi venosa, rigidità articolari, dermatiti da
gesso, ipotrofie muscolari, osteoporosi, turbe algo-distrofiche.
• Disturbi correlati alla imperfetta confezione dell’apparecchio gessato: piaghe da decubito, disturbi
circolatori e nervosi. Il vantaggio è il rispetto biologico del focolaio di frattura.
Nell’ingessatura devo inglobare anche le articolazioni contigue per annullare le forze muscolari che potrebbero
provocare spostamenti dei monconi ossei. Devo annullare le forze che agiscono sul focolaio di frattura.
L’immobilizzazione cruenta può essere interna (endomidollare → chiodo endomidollare, corticale → placca e
viti o di minima) oppure esterna, con fissatori e vari mezzi di sintesi che riducono e stabilizzano la frattura
tramite un apparato esterno. Può anche essere rigida, che non permette alcun movimento, o elastica, che permette
un certo movimento della frattura in quanto un minimo movimento può essere utile per accelerare il processo di
consolidazione. Lo svantaggio è che si perde la componente ematoma nella guarigione della frattura.
Quali sono le indicazioni al trattamento chirurgico?
- Fratture irriducibili
- Fratture sottoposte all’azione
- Diastasi dei muscoli
- Complicanze nervose- vascolari
- Polifratturato.

Una complicanza temibile dell’immobilizzazione cruenta è l’infezione dei fissatori, con formazione di biofilm da
parte di batteri che così risultano inattaccabili dalla terapia antibiotica. L’unico trattamento in questo caso è
rimuovere il mezzo utilizzato, sterilizzarlo e trattare la ferita con antibiotici.
È inutile immobilizzare una frattura che non è stata ridotta. La riduzione è il momento più importante del
trattamento.

Fissazione esterna
Stabilizzazione con fissatore esterno.
Indicazioni: fratture esposte, damage-control nei politraumi, perdita di tessuto osseo o annessi, infezioni
riduzione indiretta.

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Trattamento chirurgico a minima


• Sintesi con fili di Kirschner
• Immobilizzazione
Indicazioni: fissazione temporanea, fratture delle estremità distali, fratture pediatriche epi-metafisarie.

Trattamento chirurgico
• Stabilizzazione con cerchiaggio. Indicazioni: fratture di rotula, fratture di olecrano, alcune fratture del
malleolo tibiale mediale.
• Sintesi con placca e viti: mira alla riduzione anatomica. Indicazioni: fratture instabili (articolari,
pluriframmentarie, spiroidi).

Di minima

Esterno

Con chiodo
endomidollare Placca e viti

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DISTACCHI EPIFISARI
Sono lesioni traumatiche tipiche dell’infanzia e dell’adolescenza che interessano le cartilagini di
accrescimento presenti tra epifisi e diafisi; trattandosi di strutture in accrescimento, a tale tipo di lesione può
conseguire un’alterazione o una compromissione della crescita dell’arto interessato. Più spesso si verificano per
trauma indiretto soprattutto nei bambini di sesso maschile per la maggiore attitudine all’attività fisica (rapporto
2:1). Sono il 30% di tutte le fratture pediatriche. Si ha un picco di incidenza tra i 13 e 14 anni nel maschio e tra
11 e 12 nella femmina.
La sede più frequente dei distacchi epifisari sono le epifisi prossimali di radio e ulna (42%), seguiti dalle epifisi
delle ossa della mano (33%), dalle epifisi distali della tibia o del perone (15%) e dall’epifisi prossimale
dell’omero (5%).
Nota: La metafisi o cartilagine di accrescimento è il fronte di crescita dell'epifisi sul versante diafisario. La
parte ossificata della cartilagine è detta metafisi. È formata da 3 strati che sono: strato in proliferazione, strato di
cartilagine matura e strato calcificato. Nella zona della cartilagine matura i condrociti si dispongono a colonna e
si ipertrofizzano, producendo la fosfatasi alcalina che richiama dal sangue i cristalli di idrossiapatite che
precipita, calcificando la cartilagine con successiva neoangiogenesi che trasforma la cartilagine calcificata in
vero e proprio osso. Dalla parte epifisaria invece saranno i nuclei epifisari ad assicurare la formazione di osso a
partire dai nuclei cartilaginei.

La sintomatologia è identica alle fratture dell’adulto: edema, tumefazione, dolore, impotenza funzionale e
alterazione del normale profilo anatomico.

Anche in questo caso da confermare con la Rx e soprattutto utile risulta essere la TC. In alcuni casi bisogna fare
una RM perché l’Rx non ci permette di vedere le cartilagini. Alla RM vedo anche l’edema della zona
interessata.

CLASSIFICAZIONE
I distacchi epifisari vengono classificati in puri e misti a seconda che vi sia coinvolgimento anche della metafisi
o del nucleo epifisario. La classificazione più utilizzata nella pratica clinica quotidiana è quella di Salter-Harris
che suddivide i distacchi in 5 tipi:
• Tipo 1: puro completo. L’interruzione decorre esclusivamente nel disco cartilagineo. In genere la
consolidazione è rapida e non vi sono disturbi di accrescimento. La prognosi è buona.
• Tipo 2: più frequente in assoluto. Inizia nel disco cartilagineo e termina nella metafisi. In genere la prognosi
è buona.
• Tipo 3: l’interruzione interessa il disco cartilagineo e il nucleo epifisario.
• Tipo 4: l’interruzione interessa il disco cartilagineo, la metafisi e il nucleo epifisario.
• Tipo 5: schiacciamento dello strato basale della cartilagine di accrescimento con compromissione
metafisaria e/o epifisaria.

I II III IV V

In base a come avviene il distacco, ci possono essere conseguenze più o meno gravi, e da qui la classificazione. I
primi 2 tipi sono a prognosi buona se si interviene rapidamente.
Negli altri 3 tipi si possono avere conseguenze importanti in termini di deformità anche se si fa un trattamento
idoneo in quanto c’è una interruzione del disco cartilagineo. Bisogna quindi informare i genitori del bambino
della prognosi del distacco epifisario e informarli del fatto che al trattamento in acuto dovrà seguire, anche a
distanza di anni, un intervento correttivo al termine dell’accrescimento o anche prima se la situazione diventa
particolarmente grave. Parlare chiaramente con i genitori è molto importante!
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La prognosi dipende non solo dal tipo di distacco ma anche da altri fattori come l’età del pz: se il distacco
avviene quasi al termine dello sviluppo, il danno sarà limitato; se avviene in età precoce il danno sarà più grave
→ deformità oppure si può arrestare la crescita di quel segmento e determinare dismetria. Si può anche
determinare una necrosi ischemica.
COMPLICANZE
• Acute: lesioni nervose e vascolari.
• Croniche: epifisiodesi, necrosi ischemica dell'epifisi interessata, arresto della crescita, deviazioni assiali
(varo-valgo), accorciamento del segmento interessato, pseudoartrosi.

TRATTAMENTO
Intanto stabilizzare il paziente se è politraumatizzato. Valutare se vi sono danni vascolari o nervosi.
Per prima cosa proviamo il trattamento incruento:
• Riduzione incruenta
• Confezionamento apparecchio gessato
ma alle volte la chirurgia non si può evitare. Intervento di minima: si usano fili di kirschner che poi rimuoviamo
dopo 4 settimane, previa verifica guarigione con RX. Trattandosi di un soggetto in età di accrescimento
eseguiamo un follow-up a 1- 2-3-6-12 mesi. I fili di kirschner possono essere utilizzati tranquillamente in queste
parti delicate (zone di accrescimento) perchè hanno diametro < 2mm.

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OSTEOARTROSI
L’artrosi è un processo degenerativo cronico di un’articolazione nel suo complesso, caratterizzata da lesioni
progressive della cartilagine articolare e dell’osso sottostante, che provoca un grado variabile di dolore,
limitazione funzionale e un forte impatto negativo sulla qualità di vita.
Ricordatevi che fenomeni degenerativi e fenomeni infiammatori vanno di pari passo però in una patologia
degenerativa il fenomeno infiammatorio è meno eclatante.

EPIDEMIOLOGIA
È la malattia articolare più frequente al mondo: 72,6% delle patologie Reumatiche. Dopo i 75 anni colpisce circa
l’80% della popolazione con un’incidenza che inizia ad aumentare a partire dai 60 anni. In Italia colpisce circa il
16% della popolazione e rappresenta la seconda causa di invalidità dopo le malattie cardiovascolari. La patologia
è il risultato di un insieme di fattori meccanici e biologici che esitano nel deficit dell’equilibrio fra la produzione
e la degradazione della cartilagine articolare. Quando gli stimoli superano la resistenza del tessuto ha inizio il
processo artrosico.
Tra i fattori di rischio troviamo: età, razza, assetto genetico, fattori ormonali, obesità, overuse, pregresse malattie
infiammatorie e traumi articolari.
CLASSIFICAZIONE
• Primitiva forma idiopatica dovuta ad un’alterazione primitiva della cartilagine articolare in soggetti con
predisposizione genetica e carattere multigenico.
• Secondaria che si accompagna a patologie o fattori di rischio che predispongono al processo artrosico
(Alterazioni Strutturali e/o Sovraccarico meccanico)
Entrambe le forme possono poi essere classificate in base alla localizzazione in:
• Artrosi localizzate
• Artrosi Generalizzate
La forma più frequente è la forma secondaria. Una particolare forma secondaria è quella degli sportivi.

FATTORI DI RISCHIO
• Obesità: porta ad un sovraccarico dell’articolazione
• Overuse: uso improprio dell’articolazione e/o disposizione scorretta del carico
• Fratture pregresse: anche se ben ricostruite e guarite conservano un certo grado di irregolarità delle superfici
articolari
• Artriti: operano delle modificazioni dell’ambiente sinoviale con distruzione della cartilagine
• Difetti di postura
• Deviazioni assiali degli arti
• Alterazioni di distribuzione del carico
• Incongruenza articolare (displasia)
• Lesioni delle articolazioni controlaterali

CARTILAGINE ARTICOLARE

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La cartilagine è un tessuto che riveste le superfici articolari e garantisce il funzionamento della struttura
articolare. È un tessuto non vascolarizzato, che trae nutrimento dal liquido sinoviale intrarticolare. È organizzata
in più strati che si differenziano per l’organizzazione delle fibre che li compongono, che hanno organizzazione
parallela in superficie ed ortogonale negli strati profondi. La cartilagine è priva di innervazione, quindi posso
avere lesioni artrosiche in assenza di sensazione dolorifica. Il dolore insorge nel momento in cui il rivestimento
articolare è scomparso ed ha lasciato scoperto l’osso subcondrale, porzione ricca di fibre nocicettive.
Istologia della cartilagine articolare
La cartilagine articolare è formata dai condrociti immersi in una sostanza amorfa da essi sintetizzata formata da
fibre collagene (prevalentemente di tipo II, 70%) e da una matrice amorfa gelatinosa di proteoglicani (catena di
glicosamminoglicani → a. ialuronico e solfati vari, adesi ad un core proteico).
La componente cellulare è estremamente esigua (condrociti 1-2%) ma fondamentale per la sintesi della matrice
extracellulare.
Poi abbiamo proteine che non sono collagene e servono a trasmettere i segnali biochimici con l’ambiente
extracartilagineo e soprattutto acqua; l’acqua rappresenta 65-80% ed è fondamentale perché in essa sono disciolti
tutti i componenti, purtroppo diminuisce fisiologicamente con l’età dalla zona più superficiale a quella più
profonda.
Istologicamente distinguiamo 5 strati (il 6° è osso) a cui si aggiungono lo strato osseo subcondrale e la giunzione
osteo-cartilaginea. Questi 5 strati sono:
• Lamina splendens: le fibrille sono in senso orizzontale;
• Strato tangenziale: le fibrille non hanno un orientamento preciso;
• Strato radiale: i condrociti sono disposti parallelamente
• Strato colonnare: i condrociti sono disposti a palizzata
• Strato “tyde mark”: è lo strato che demarca la cartilagine vera e propria dall’osso subcondrale.
• Osso subcondrale.
La degenerazione inizia nel tyde mark e poi si estende all’osso subcondrale.
Le funzioni della cartilagine sono di garantire resistenza, elasticità e stabilità a tutta l’articolazione,
ammortizzando tutti i carichi che si vanno a riversare sull’articolazione; e infine garantisce una riduzione di
attrito tra i due capi articolari. Sono svolte in pratica dal collagene, soprattutto la resistenza alla trazione.
L’ultima funzione è invece svolta dal liquido sinoviale che, prodotto dai sinoviociti della membrana sinoviale
per filtraggio del plasma, garantisce il nutrimento dell’articolazione.

PATOGENESI
Dobbiamo distinguere la patogenesi dell’artrosi meccanica da quella strutturale.
Patogenesi artrosi meccanica
Nell’artrosi meccanica diversi fattori contribuiscono a creare una iperpressione sulla cartilagine sana. Tra questi:
• Displasia: cioè incongruenza tra le superfici articolari
• Turbe statiche: disassiamenti, squilibri, instabilità
• Sovraccarico: dovuto ad esempio ad obesità, o a causa della professione del soggetto o nel caso di uno
sportivo.
L’iperpressione sulla cartilagine sana causa una condrosi, cioè una
condizione preartrosica di sofferenza della cartilagine, che può
arrivare fino all’artrosi vera e propria perché il perpetuarsi di stress
gravanti su di essa determinano progressive modificazione della
cartilagine e dell’osso subcondrale fino al conclamarsi della patologia
artrosica.
Come fa l’iperpressione a causare il danno della cartilagine?
Esistono 2 teorie:
• Teoria meccanica: l’iperpressione causa rottura delle fibrille
di collagene e perdita dei proteoglicani con conseguente edema
della cartilagine e distruzione;
• Teoria cellulare: i condrociti reagiscono all’iperpressione ma
alla fase reattiva segue una fase degenerativa, con necrosi di
queste cellule e distruzione della cartilagine articolare a causa della presenza di citochine
proinfiammatorie come IL1, TNFα e MMP prodotti dai condrociti, sinoviociti e osteoblasti.
Nota: nell’artrite è il linfocita la cellula attiva, nell’artrosi è il condrocita.

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Patogenesi artrosi strutturale


Nell’artrosi strutturale varie patologie causano una alterazione della cartilagine altrimenti sana, causando una
condropatia. Tra queste condizioni abbiamo:
• Turbe nervose: artropatie neurologiche;
• Turbe metaboliche: gotta, condrocalcinosi;
• Patologie dell’osso: ischemia, necrosi, Paget;
• Traumatismi;
• Patologie della sinovia: infezioni, infiammazioni, emartri;
• Turbe endocrine: acromegalia;
• Patologie ereditarie.
Tutte queste condizioni causano una condrosi che anche in presenza di carichi normali, sfocia nella patologia
artrosica.

CONDROSI/CONDROPATIA
Abbiamo 3 stadi nell’evoluzione: un primo stadio in cui le lesioni della
cartilagine sono minime; un secondo stadio in cui le lesioni si fanno via via
più profonde fino al terzo stadio in cui si arriva all’osso subcondrale e quando
viene interessato si parlerà di artrosi. Il processo inizia con la sollecitazione del
tessuto a cui segue una risposta infiammatoria con produzione di un EDEMA.
Cominciano quindi a verificarsi fenomeni lesivi che portano alla
FISSURAZIONE che porterà ad una ULCERAZIONE e continuerà a
progredire fino alla EBURNEAZIONE, in cui manca ormai la cartilagine e
l’osso subcondrale è totalmente esposto.
Tutto il processo dipende dalle sollecitazioni che portano ad una attivazione dei
condrociti che risponderanno con produzione e rilascio nel liquido sinoviale di
citochine proinfiammatorie. L’aumento delle citochine proinfiammatoria
determina uno squilibrio e la modificazione dell’ambiente articolare con
conseguente interessamento di tutti gli elementi articolari. Nella patogenesi si
riconoscono dunque due fasi:
• Fase Reattiva in cui si verificano tutte le modificazioni in risposta allo
stimolo
• Fase Degenerativa in cui abbiamo perso il tessuto e non si può più ripristinare la situazione di partenza.
È essenziale sottolineare che la cartilagine, come il tessuto nervoso, una volta perduta non può più essere
recuperata.

LESIONI ELEMENTARI

Le lesioni elementari rappresentano l’insieme di fenomeni che si verificano nel processo patologico e si rendono
manifesti all’indagine strumentale. Si distinguono:
• Osteofiti piccole escrescenze di tessuto osseo di nuova formazione, generalmente a forma di becco o cresta
• Riduzione dell’interlinea articolare per scomparsa del tessuto cartilagineo
• Geodi cioè raccolte cistiche di liquido sinoviale che si era fatto strada nel tessuto osseo a partire dalle lesioni
fissurative, che rappresentano una risposta al sovraccarico
• Sclerosi segno di addensamento osseo dovuto all’azione di sintesi degli osteo blasti che cercano di rendere la
struttura ossea più resistente nei confronti delle sollecitazioni esterne.

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CLINICA
Sintomi
- Dolore articolare ( aumenta con l’attività, diminuisce con il riposo)
- Limitazione funzionale
Segni
- Dolorabilità alla palpazione dei capi articolari
- Limitazione alla mobilizzazione
- Rumore di scroscio (crepitio) alla mobilizzazione
- (Versamento articolare)
- Disallineamento e/o deformità articolare

Dolore artrosico
Il dolore articolare è il sintomo che induce il paziente a rivolgersi al medico. Spesso è presente da tempo
(mesi/anni), prima saltuario e poi con caratteristiche di lenta progressione (età > 40 anni). È descritto come un
dolore di tipo gravativo, acutizzato dal carico e dal movimento dell’articolazione. Trae beneficio dal riposo e di
solito è più intenso nei periodi freddi. Vi può essere interessamento mono o oligoarticolare. Il dolore notturno è
assente nelle fasi iniziali, mentre nelle fasi avanzate persiste a riposo e durante la notte.

ARTRITE OSTEOARTROSI
Coinvolge la sinovia Coinvolge la cartilagine
Sintomo principale: infiammazione articolare (sempre Sintomo principale: dolore e rigidità articolare
presente) (l’infiammazione non è comune)
Può esordire a qualsiasi età. Più frequentemente 20-40 Prevalenza aumenta con l’età. Più frequente dopo i 40
aa aa
Ci possono essere sintomi extrarticolari Non si associano sintomi extrarticolari
Rigidità importante Rigidità di scarsa durata
Il dolore peggiora con il riposo Il dolore peggiora con il movimento
Patologia autoimmune Patologia NON autoimmune
Rigidità precoce Rigidità nelle fasi avanzate

DIAGNOSI
Esame Obiettivo
La conduzione dell’esame obiettivo dipende principalmente dall’articolazione che dobbiamo esaminare.
All’Ispezione andremo a valutare la presenza di tumefazione, se l’articolazione presenta deformità e la
muscolatura è interessata da un processo di atrofia da disuso. Alla Palpazione andremo a verificare la presenza
di versamento, il calore dovuto all’infiammazione ed evocheremo la dolorabilità andando a palpare dei punti
specifici.
Nella valutazione del range of motion controlleremo se il soggetto presenta dei ROM ridotti, cioè una riduzione
dei movimenti dell’articolazione, e se presenta crepitii alla mobilizzazione, segno che le superfici ossee
subcondrali sono già in contatto tra loro.

Strumentale
La diagnosi può basarsi su Segni/Sintomi ed essere accompagnata da Markers Bio-Umorali specifici. Entrambi
aiutano a porre una diagnosi basata sull’esclusione di patologie con caratteristiche comuni o simili all’artrosi.
L’indagine strumentale che però conferma la diagnosi è RX Tradizionale che deve sempre essere eseguito in
una posizione che garantisca la presenza della forza che determina il sovraccarico bio-meccanico. Altre indagini
strumentali possono essere l’ECO, per valutare la presenza di un versamento oppure TC (per la valutazione pre-
operatoria in particolare), RMN (permette di vedere legamenti e menischi, ma dopo i 50-60 anni non è utile,
basta la radiografia) o Artroscopia per evidenziare eventuali lesioni associate (ad esempio per riscontrare artrosi
del ginocchio monocompartimentale da meniscosi).
Solo il 30% delle Artrosi diagnosticate Radiologicamente sono sintomatiche.
Esistono diverse classificazioni, una tra queste è la classificazione di Kellgren & Lawrence. in questa
classificazione il Grado 0 rappresenta una situazione quasi normale, il grado 1 una semplice alterazione della
interlinea articolare, il grado 4 una modificazione totale della conformazione articolare accompagnata da
alterazioni morfologiche degli elementi articolari.

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TERAPIA
Terapia di fondo
Volta a rallentare l’evoluzione del processo degenerativo. Attualmente non esiste una terapia farmacologica in
grado di arrestare la progressione del processo artrosico.
Condrotrofici:
• Glucosamina/condroitin solfato
• Collagene idrolizzato di tipo II
• Acido Ialuronico
• L-carnitina
Sono integratori alimentari idonei a trattamenti cronici, tuttavia l’efficacia rimane controversa in letteratura e
l’utilità è limitata nelle prime fasi della malattia.

Terapia di sintomatica
Volta a controllare il dolore e diminuire la limitazione funzionale
• Paracetamolo: max 4g/die, indicato nel dolore lieve e moderato, nessuna efficacia nell’artrosi in fase
avanzata.
• FANS (topici o per via sistemica): diclofenac, ibuprofene, naprossene, indometacina ecc. Tipici:
diclofenac epolamina (+E). COXIB: colecoxib, etoricoxib ecc.
• Oppiacei: tramadolo, ossicodone, codeina/tramadolo + paracetamolo. Possono dare alcuni effetti
collaterali: nell’anziano possono causare stipsi, mentre nella donna nausea.
Di solito, il primo farmaco che si utilizza è il FANS, ma non può essere assunto per più di 5 giorni perché
fortemente gastrolesivo, quindi, oggi si utilizzano in misura maggiore le combinazioni con oppioidi.

Terapia infiltrativa
• Acido ialuronico: lineare, cross-linked, coniugato a corticosteroidi. La terapia infiltrativa Acido
Ialuronico serve ad integrare in articolazione un lubrificante e grazie alle varie formulazioni possiamo
scegliere tra vari gradi di viscosità.
• Corticosteroidi: metilprednisolone acetato, triamcinolone acetonide. La terapia infiltrativa con cortisone
può dimostrarsi un valido aiuto per stroncare sul nascere la reazione infiammatoria, ma se usata in
maniera errata può peggiorare il quadro patologico, in quanto il cortisone può determinare necrosi. Le
indicazioni sono quelle di pratica in 12 mesi un massimo di 3 infiltrazioni a semestre, con una distanza
temporale di 10gg tra i trattamenti.
• PRP: le infiltrazioni di PRP sono una innovazione si basano sull’inoculo in articolazione di un
centrifugato che deriva dal sangue del paziente stesso. Il siero che viene utilizzato è ricco in piastrine e
citochine che favoriscono la proliferazione cellulare e la rigenerazione dei tessuti.

Trattamento chirurgico
- Osteotomie correttive, artrodesi, emilaminectomia, protesi,“pulizia artroscopica”.
Il trattamento chirurgico viene indicato per prevenire delle artrosi secondarie o trattare artrosi in fase avanzate.
Possiamo praticare:
• Osteotomie per agire sul sovraccarico, cambiando le angolazioni, modificando le superfici di contatto e
riallineando gli assi di carico;
• Se il paziente è in fase avanzata, possiamo pensare di effettuare una sostituzione con protesi.
Quindi, riassumendo, nel giovane con cartilagine sana preferisco praticare; nel soggetto con artrosi avanzata
pratico la sostituzione valvolare.
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(nella parte che segue le artrosi sono volutamente trattate in maniera “superficiale” perché le informazioni sulla clinica sono
uguali alla trattazione generale, mentre i trattamenti saranno presi in esame nella trattazione di altre patologie)

COXARTROSI
• Artrosi dell’articolazione coxo-femorale, fondamentale per la deambulazione e il mantenimento della
stazione eretta
• 25% dei casi di artrosi
• Elevato costo-socio economico.
Distinguiamo due forme:
• Primitiva
• Secondaria

CLINICA
Dolore
• Tipico dolore artrosico localizzato a livello inguinale o in regione glutea
• dolore irradiato alla faccia antero-mediale o laterale della coscia, in alcuni casi fino al ginocchio
• Artrosi iniziale: ortostatismo prolungato, stress meccanico, attività sportiva, si riduce con il riposo
• Artrosi avanzata: a riposo, interferisce con tutte le attività quotidiane, dolore notturno
Limitazione funzionale
• Causata dal dolore o dalle alterazioni anatomiche
• Limitazione precoce di rotazione interna ed esterna, adduzione/abduzione ed estensione
• Flessione conservata più a lungo
• Può evolvere in rigidità contribuendo insieme al dolore e allo sviluppo di atteggiamenti viziati

TERAPIA
La terapia infiltrativa a livello dell’anca deve sempre essere svolta ECO-guidata. In alternativa, si può ricorrere
alla protesi d’anca.

SPONDILOARTROSI
Comprende l’artrosi delle articolazioni interapofisarie, delle articolazioni uncovertebrali cervicali e la
degenerazione dei dischi intervertebrali (discartrosi).
La spondiloartrosi è complessivamente la localizzazione più frequente della malattia artrosica. I segmenti
cervicale e lombo-sacrale sono i più colpiti.
Il dolore è di tipo meccanico, accentuato della contratture della muscolatura paravertebrale. Può anche essere
irradiato a distanza (cervico-brachialgie, lombo-sciatalgie, cruralgie).

GONARTROSI
• Artrosi femoro-tibiale e femoro-rotulea.
• 27% dei casi di artrosi
• Localizzazione più frequente dopo l'artrosi della colonna lombare e cervicale
• Articolazione sottoposta a forti carichi
• Spesso legata a difetti assiali ed eventi traumatici
Problema meccanico favorito da:
– Deformazioni femoro-tibiali
– Alterazioni delle superfici articolari
– Sequele di traumi ossei
– Meniscectomie
– Rotture di legamenti (LCA)
– Sovraccarico ponderale

CLINICA
Dolore
• Dolore gravativo non ben localizzato in tutto il ginocchio
• Dolore anteriore nell'artrosi femoro-rotulea
• Senso di peso e di tensione (cisti di Baker)
• Artrosi iniziale → artrosi avanzata
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Limitazione funzionale
• Causata dal dolore o dalle alterazioni anatomiche
• Limitazione progressiva dell'estensione
• Precoce difficoltà nel salire le scale
• Zoppia condizionata dalla deformità in flessione/varo/valgo

QUADRO RADIOGRAFICO
RX nelle gonartrosi deve sempre avere due proiezioni che mostrino tibia, perone, femore e rotula, permettendo
di visualizzare i punti di contatto tra le varie ossa.

TERAPIA INFILTRATIVA
• Antero-laterale (AL): è la via più utilizzata. Il paziente è seduto con il ginocchio a 90°, si cerca con la
palpazione il punto più soffice e si inserisce l’ago a 45°. Al termine si mette un cerotto.
• Antero-mediale (AM)
• Medio rotuleo laterale
Ambiente asettico, aghi di 5,1 cm e 21 Gauge.

OMARTROSI
Processo degenerativo a carico della complesso articolare della spalla.
• 17% dei casi di artrosi
• gesti sportivi over head e lavori manuali

EPIDEMIOLOGIA
• 32-33% della popolazione >60 anni
• 17,4% della popolazione (dati ISTAT)
• 5° patologia in Italia
• colpisce tra il 2-7% dei soggetti tra i 40-70 anni
• uguale distribuzione nei due sessi

EZIOLOGIA
1. primaria: cause poco chiare, colpisce le donne > 60 anni.
2. secondaria: dovuta a pregressi traumi o interventi chirurgici.
Cause più comuni
• instabilità
• lussazioni pregresse
• fratture del collo o della testa dell’omero
• lesioni massive della cuffia (SLAP)
• necrosi avascolare della testa omerale

CLINICA
Dolore
- tipico dolore artrosico
- dolore gravativo e esacerbato dai movimenti overhead
- spesso irradiato posteriormente
- artrosi iniziale → artrosi avanzata
Limitazione funzionale
- causata dal dolore o dalle alterazioni anatomiche
- abduzione e rotazione esterna alterate precocemente
- valutare eventuali lesioni della cuffia

QUADRO RADIOGRAFICO
Artrosi concentrica: quando le strutture muscolo tendinee sono intatte.
Artrosi eccentrica: quando la lezione dipende dall’alterazione delle strutture muscolo tendinee.

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La eccentrica è la più comune, dovuta generalmente a una lesione della cuffia dei rotatori non adeguatamente
trattata.

TERAPIA INFILTRATIVA
- Via posteriore
- Via laterale

PROTESI DI SPALLA
- Protesi di rivestimento
- Protesi anatomica
- Protesi inversa

RIZOARTROSI
• Artrosi dell’articolazione trapezio-metacarpale
• Può essere secondaria a: frattura di Bennet, fratture del trapezio, lussazione trapezio-metacarpale
• 11% dei casi di artrosi
• Maggiore incidenza nel sesso femminile (5:1)
• Può causare una disabilità spesso sottovalutata

TERAPIA
Per la terapia infiltrativa serve l’amplificatore di brillanza, non l’ecografo.
La chirurgia si avvale di: artrodesi, artroplastica, protesi.

SPORT E ARTROSI
• Dolore di tipo meccanico
• Dolore durante il movimento con il carico
Alcuni esercizi, come quelli di rinforzo isometrico o allungamento muscolare, possono essere utili a diminuire la
sintomatologia. Il paziente stesso dovrà essere sempre attento a verificare l’eventuale comparsa di dolore e a
discuterne poi con il medico in modo da modificare l’ attività praticata (tipo, intensità, durata). Bisogna mostrare
al malato quali siano gli esercizi che potrà compiere quotidianamente, anche in casa, per mantenere le
articolazioni il più possibile attive. Tutti i pazienti, inoltre, devono ricevere indicazioni dettagliate sui tempi e
sulle modalità di esercizio, tenendo anche conto delle riacutizzazioni periodiche della malattia, durante le quali
bisogna porre cautele ulteriori.

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OSTEOCONDROSI
Sono un gruppo di malattie a carattere degenerativo-necrotico che si verificano a livello dei nuclei di
accrescimento epifisari, delle apofisi e delle ossa brevi dello scheletro in accrescimento. Non hanno carattere
infiammatorio (si tratta di necrosi asettica, a-vascolare) e possono comparire in maniera subdola in articolazioni
normali e in soggetti sani quasi sempre senza precedenti anamnestici. L’eziologia è incerta.
Colpisce con un’incidenza maggiore tra i soggetti di sesso maschile di 8-15 anni, soprattutto in quelli che
praticano una intensa attività sportiva.
L’incidenza nella popolazione generale è di 1,7% anche se si pensa ci sia una sottostima della reale diffusione
della malattia.

Le regioni più colpite sono: l’epifisi prossimale del femore; l’apofisi tibiale anteriore e l’epifisi vertebrale (arto
inferiore > arto superiore).

In base al distretto colpito distinguiamo varie patologie (le più importanti sono le prime 3):
• Nella testa del femore abbiamo la Malattia di Legg-Calvè-Perthes che colpisce maggiormente i soggetti
(M) tra 4-11 anni
• Nell’apofisi tibiale anteriore abbiamo la Sindrome di Osgood-Schlatter che colpisce maggiormente i
soggetti (M) tra 9-15 anni
• Nelle vertebre dorsali centrali abbiamo la Sindrome di Scheuermann che colpisce maggiormente i soggetti
(M) tra 8-14 anni
• Nell’apofisi posteriore del calcagno abbiamo la Sindrome di Sever-Blanke e la deformità di Hanglund che
colpisce maggiormente i soggetti (M) tra 8 e 15 anni
• Nella testa del II-III metatarso abbiamo la Sindrome di Kohler II-Frieberg che colpisce maggiormente i
soggetti di sesso (F) tra 10-18 anni
• Nello scafoide tarsale abbiamo la Sindrome di Kohler I che colpisce maggiormente i soggetti tra 3-10 anni
• Nell’osso semilunare abbiamo la Sindrome di Kienbock che colpisce maggiormente i soggetti tra 20-30 anni
• Nel polo inferiore della rotula abbiamo la Malattia di Sinding-Larsen-Johansson che colpisce
maggiormente i soggetti (M) tra 10-14 anni.

Possono essere distinte dal punto di vista anatomico in:


• Apofisarie: se interessano l’apofisi, regione dove si
inserisce il tendine.
• Epifisarie: se interessano l’estremità delle ossa lunghe.

EZIOLOGIA
L’eziopatogenesi è poco nota, ma sicuramente è multifattoriale
ed intervengono:
• Predisposizione genetica
• Disturbo della nutrizione del nucleo di ossificazione
• Diminuite resistenze meccaniche
• Micro-traumatismi ripetuti ad es. per intensa attività fisica.
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Si distinguono da un punto di vista meccanico:


• Osteocondrosi epifisarie da carico: in questo caso l’osteocondrosi è su base ischemico-compressiva, sono
fenomeni ischemici dovuti a elevate forze di carico. Di questo gruppo fanno parte:
- Legg-Calvè-Perthes → testa del femore;
- Morbo di Scheuermann → vertebre dorsali centrali.
• Osteocondrosi apofisarie da trazione: si ha la trazione da parte del tendine che causa una tendinopatia
inserzionale perché i nuclei di ossificazione non sono in grado di resistere alle sollecitazioni meccaniche
esercitate a livello delle giunzioni osteotendinee. Di questo gruppo fanno parte:
- Osgood-Schlatter → apofisi tibiale anteriore
- Sever-Blanke → apofisi posteriore del calcagno

Ci sono tre teorie che cercano di spiegare come si arriva alla patologia:
1. Teoria traumatica: secondo cui dei traumatismi a livello epifisario possono risultare il fattore scatenante di
una alterazione cartilaginea di natura forse congenita. Questi traumi hanno una azione diretta sulla
cartilagine oppure indiretta quando determinano disturbi circolatori, e mi ricollego alla teoria vascolare.
2. Teoria vascolare: l’ischemia può essere dovuta a diverse cause:
→ Può essere dovuta a patologie della coagulazione
→ Può essere dovuta ad una alterazione vasale primaria
→ Può essere dovuto ad una compressione di questi vasi terminali molto delicati
3. Teoria della displasia della cartilagine: Ponseti ha avanzato l’ipotesi che alla base ci sia un’alterazione
genetica nei riguardi di questa cartilagine che così diventa più sensibile a traumi e a fenomeni ischemici. In
effetti si è vista un’alterazione della quantità di peptidoglicani e una riduzione dello spessore delle fibre
collagene (una matrice extracellulare che porta nutrimento nell’area) che porterebbe a turbe
dell’ossificazione e ad un anormale accrescimento della cartilagine rendendola meno resistente e più
soggetta a fenomeni ischemici del nucleo di ossificazione e ad un’alterata guarigione che porta a deformità
della testa femorale.
In ogni caso alla fine si ha la necrosi ischemica dell’osso a causa della riduzione dell’apporto ematico nella sede
colpita. Le cellule muoiono e vanno incontro ad autolisi. Questa fase è seguita dalla riparazione o dalla
ricostruzione del focolaio osteonecrotico ad opera del tessuto di granulazione, ma la riparazione non avviene
omogeneamente in tutta l’area danneggiata. La sostituzione ossea avviene asimmetricamente e prevale lungo il
margine esterno della stessa zona reattiva (creeping sobstitution).

ITER EVOLUTIVO
Si distinguono due fasi comuni a tutte le patologie:
- La fase necrotico-regressiva: frammentazione e distruzione delle trabecole ossee
- La fase riparativa deformante: invasione di tessuto connettivo sostitutivo e di cartilagine con alterazione
della morfologia del nucleo di ossificazione.

PROGNOSI
La malattia evolve sempre verso la guarigione spontanea e la sua durata varia, a seconda della sede, da pochi
mesi a più anni, di solito non più di tre-quattro anni. La guarigione avverrà senza postumi nei distretti scheletrici
non sottoposti a sollecitazioni meccaniche. Il problema si viene a manifestare quando la malattia, durante il suo
decorso, ha determinato delle modifiche strutturali che possono essere anche invalidanti, come ad esempio quelle
delle epifisi femorali.
LOCALIZZAZIONE DECORSO MEDIO
Apofisi calcaneare posteriore 6-12 mesi
Apofisi tibiale anteriore 6-12 mesi
Testa del 2° metatarso 1-2 anni
Epifisi vertebrale 1-2 anni
Scafoide tarsale 1-2 anni
Epifisi femorale 2-3 anni

MALATTIA DI LEGG-CALVÈ-PERTHES
Questa è la più frequente tra le osteocondrosi. È una patologia idiopatica dell’età dell’infanzia, caratterizzata da
una necrosi ischemica (non settica) dell’epifisi prossimale del femore che se non trattata può evolvere in
deformità permanenti. La malattia prende il nome da tre studiosi che l’hanno descritta in maniera indipendente
l’uno dall’altro.
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EPIDEMIOLOGIA
Vengono interessati maggiormente i maschi (5:1) ed è bilaterale nel 10-15% dei casi. Età di insorgenza: tra i 4-8
anni, prima insorge e meglio è la protesi. Si sono individuate delle differenze nel mondo in base alla latitudine
→ maggiore in Giappone, minore in Australia.

EZIOLOGIA
Multifattoriale, entrano in gioco fattori:
- Traumatici
- Genetici: possibile familiarità; il gene COL2A1 è un possibile trigger per le collagenopatie; i geni
proapoptotici espressi dai condrociti; l’alterazione dei pathway infiammatori.
- C’è una correlazione con i deficit della coagulazione: il paramorfismo del fattore V di Leiden e della
Protrombina II, deficit di proteina C e S sono associati ad un aumento del rischio di insorgenza della
patologia.
- Malattie sistemiche (iperattività)
- Fumo passivo, radiazioni e chemioterapia
- Ritardo di accrescimento, bassa statura
- Sinoviti transitorie
- Condizioni sociali: maggiore incidenza nelle famiglie con più difficoltà socio-economiche
- C’è una correlazione con l’ADHD, probabilmente è dovuta alla maggiore incidenza di microtraumi in
questi soggetti
- C’è una correlazione con il peso corporeo, questa è spiegata dalla leptina, ormone prodotto dal tessuto
adiposo, che aumenta la densità ossea e induce la neovascolarizzazione e la neoangiogenesi

EZIOPATOGENESI

La necrosi rende l’epifisi più fragile e il processo di riparazione che ne consegue è squilibrato, afinalistico, per
cui si ha un cambiamento che coinvolge tutta l’articolazione, non solo la cartilagine articolare.
L'interruzione della vascolarizzazione è l'evento scatenante della patologia che determina la necrosi della testa
femorale che si traduce in una epifisi più fragile e meccanicamente meno resistente. Il processo di riparazione è
caratterizzato da un notevole squilibrio tra il processo di riassorbimento osseo e di neoformazione che
contribuisce allo sviluppo di deformità della testa femorale. si riscontrano cambiamenti a livello di: cartilagine
epifisi placca di accrescimento metafisi.

Teoria vascolare
• Embolo micotico (Axhausen)
• Obliterazione vasi capsulari per alterazione vasale primitiva (Konietzny)
• Alterazione circolatoria da cause traumatiche (Perthes)
• Ostruzione (Jackson Burrows)
• Stasi venosa (Roesner e Well)
• Iperviscosità del sangue (deficit proteina C, trombofilia ereditaria)
• Meccanismo allergico ad azione prevalente sui capillari
• Compressione dei vasi perforanti il guscio cartilagineo-epifisario per edema degenerativo della cartilagine
stessa (Bernbeck)
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Teoria traumatica
Il trauma potrebbe risultare il fattore scatenante che evidenzia uno stato morboso latente della cartilagine
epifisaria, forse di natura congenita.
Microtraumatismi ripetuti nel tempo → azione diretta sulla cartilagine e sul nucleo epifisario, indiretta per
disturbi circolatori determinati dal trauma.

Teoria della displasia della cartilagine (Ponseti)


La segnalazione di casi di eredo-familiarità, la concordanza in gemelli bi- e monocoriali, la non rara bilateralità
della lesione accreditano l'ipotesi di un’alterazione congenita o almeno di un substrato anatomo-patologico su
cui verrebbero ad agire momenti scatenanti di origine diversa (meccanici e circolatori).

ITER EVOLUTIVO
Come abbiamo visto prima:
1. Regressivo-necrotico: degenerazione della cartilagine epifisaria, sinovite linfo- plasmacellulare, necrosi e
frammentazione del nucleo di accrescimento.
2. Riparativo-deformante: presenza di processi riparativi con schiacciamento del nucleo di accrescimento e
deformazioni della testa del femore che portano a → coxa plana, coxa breva, coxa magna.

DIAGNOSI
Anamnesi: andiamo a chiedere se c’è ritardo di crescita ossea di
circa un anno e mezzo (in media di 21 mesi), la bassa statura è
frequente nella malattia, si chiede se il bambino ha presentato
sinovite transitoria. Tra i sintomi precoci figurano la zoppia che è
uno dei sintomi precoci, di solito è intermittente ed episodica;
dolore all’anca che si irradia fino al ginocchio; si deve vedere se
c’è contrattura muscolare antalgica e ipotrofia della coscia e della
natica. Nel tempo si instaurano i sintomi tardivi che sono la
riduzione dei ROM, il segno di Trendelenburg e la dismetria degli
arti perché si accorcia la testa del femore.
Imaging: sono tante le tecniche che si possono utilizzare ma quella che più utilizziamo è la Rx che ci può anche
aiutare a distinguere le 4 fasi che caratterizzano la malattia:

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Esistono dei segni radiografici molto importanti per riconoscere la patologia e che devono essere quindi sempre
ricercati:
• Protrusion sign: protrusione laterale della testa del femore con rimodellamento della cavità acetabolare
• Crescent sign: linea di trasparenza parallela alla superficie articolare tipica della frattura subcondrale
• Cage sign: radiotrasparenza a forma di V nella porzione laterale meta epifisaria della testa del femore.

Un’altra metodica che possiamo utilizzare, ma si tratta di un esame di secondo livello, è l’RM. Questa ci
permette di vedere i segni di vascolarizzazione iniziali. Se fatta senza contrasto consente di vedere lo
slargamento dell’epifisi, se fatta utilizzando il m.d.c. possiamo vedere una riduzione dell’enhancement (segno di
ischemia), il pattern di rivascolarizzazione e la sfericità femorale.
Altre metodiche di imaging sono:
• Ecografia: con cui possiamo vedere il versamento e l’ispessimento della membrana
• sinoviale. È utile nella diagnosi differenziale con le sinoviti transitorie;
• Artrografia: con cui, grazie all’iniezione di m.d.c. a livello dell’articolazione (nei bambini anche con ago-
cannula), possiamo vedere i movimenti che è in grado di fare l’articolazione, in particolare il range di
abduzione, l’indice di sublussazione e i segni di impingement;
• Scintigrafia: con cui possiamo vedere le alterazioni prima che compaiano all’Rx con un anticipo di 3 mesi,
ma viene poco utilizzata per l’elevata quantità di radiazioni a cui viene esposto il paziente.

CLASSIFICAZIONI
Ce ne sono svariate, si basano tutte sulla Rx.
La Catteral distingue 4 gruppi in base alla % di epifisi prossimale interessata e altri parametri ossei: il gruppo 1
ha un interessamento < 25%, il gruppo 2 tra il 50% e il 70%, il gruppo 3 ha interessamento massivo del nucleo
ad eccezione di una piccola porzione mediale, il gruppo 4 ha un interessamento del 100%.
La Salter e Thompson è molto semplice, si distinguono i pazienti in due gruppi in base all’entità del
coinvolgimento: gruppo A se la testa è interessata per <50%, gruppo B se la testa è interessata per >50%.
La Stulberg prende come punto di interesse l’esito della malattia e distingue 5 gruppi in base alla congruenza tra
acetabolo e testa del femore: tipo 1 e 2 la congruenza è sferica, tipo 3 e 4 la congruenza è non sferica e il tipo 5
presenta incongruenza totale.
La classificazione più utilizzata oggigiorno è la Herring, che distingue i pazienti in 4 gruppi (A, B, B/C e C).
Immaginando la testa come due pilastri, tanto più il pilastro laterale è consumato tanto più il grado è elevato fino
ad avere un collasso di >50% del pilastro laterale.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Soprattutto con la sinovite, ma abbiamo anche patologie metaboliche che portano ad un riassorbimento osseo o
necrosi vascolari e altre patologie di tipo coagulativo che possono essere scambiate per malattia di Legg-Calvè-
Perthes.
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PROGNOSI
Esistono le cosiddette “teste” a rischio che devono essere attenzionate. Sono quelle che si presentano in queste
condizioni:
• Età > 8 anni
• Sesso femminile
• Diagnosi e trattamento tardivo
• Herring tipo C (collasso pilastro laterale > 50%)
• Estrusione laterale della testa femorale
• Diffuse cisti metafisarie
• Allineamento orizzontale del piatto epifisario
• Obesità
• Persistente rigidità dell’anca

TRATTAMENTO
Cambia in base all’età del paziente all’esordio, ai fattori prognostici e alla stadiazione. L’approccio deve essere
tempestivo per prevenire la formazione di deformità. Esistono 3 possibilità terapeutiche: osservazione,
trattamento conservativo e trattamento chirurgico.
• Osservazione: < 6 anni, Catteral I e II, escursione articolare nella norma: osservazione → controlli clinici
periodici per la valutazione dell’escursione articolare e controlli radiografici ogni 3-6 mesi.
• Trattamento conservativo: < 6 anni, Catteral I e II, zoppia e limitazione
articolare. Questo trattamento ha l’obiettivo di posizionare l’epifisi femorale
all’interno dell’acetabolo mantenendone così la sfericità; per fare ciò si
mantiene il femore in abduzione e intra-rotazione per tutta la fase a rischio. Per
ottenere il risultato è necessario:
- Riposo a letto
- Deambulazione con stampelle
- FANS
- Fisioterapia
- Skin traction
- Apparecchi gessati (6-8 mesi) o ortesi in abduzione per circa un anno e
mezzo, oggigiorno si tende meno ad utilizzarli.
• Trattamento chirurgico nelle fasi precoci: non è riservata solo ai casi complicati
e più gravi, perché si basa sul concetto di “contenimento”, ovvero ha il fine di
mantenere in posizione la testa del femore all’interno dell’acetabolo. Il paziente
deve avere più di 8 anni ed avere un grado Herring B o B/C per essere sottoposto a
questo trattamento (il grado C non si opera perché troppo grave). Ci sono
differenti tipi di chirurgia:
- Release muscolare (Adduttori, psoas)
- Osteotomia varizzante di femore, la più comune, da eseguire entro 8
mesi dall’esordio dei sintomi, che ha l’obiettivo di riposizionare la testa del
femore dentro l’acetabolo (100-110° angolo cerico diafisario)
- Osteotomia di bacino (Salter, Triple innominate)
• Trattamento chirurgico nelle fasi tardive: quando si è già in presenza di deformità
dell’epifisi prossimale del femore. Si tenta di ridurre le conseguenze delle deformità già
presenti a livello dell’epifisi prossimale del femore. In questi casi si può arrivare alla
protesizzazione (in età davvero precoce). Le tecniche utilizzate sono:
- Osteotomia femorale valgizzante
- Artrodiastasi (vedi disegno a fianco)
- Perforazioni epifisarie

Ancor oggi non si sa qual è la scelta terapeutica migliore, infatti, anche quando il soggetto viene operato nel
futuro dovrà comunque fare una protesi di anca precoce, e dato che fare una protesi su un’anca che non è stata
sottoposta a precedenti interventi chirurgici è meglio, forse la scelta migliore sarebbe non operare questi
soggetti. Gli studiosi stanno discutendo al riguardo, oggigiorno comunque l’algoritmo terapeutico è il seguente:

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SEQUELE
Le sequele possono essere importanti: coxa magna, coxa irregularis, osteoartrite, coxartrosi precoce, coxa brevis,
osteocondrite dissecante. Devono essere trattate con procedure chirurgiche correttive o di salvataggio. In questi
casi bisogna intervenire chirurgicamente. Come sappiamo non esiste una protesi eterna, per cui spesso questi
soggetti vengono rioperati per scollamento asettico della protesi.

SINDROME DI OSGOOD-SCHLATTER
È la seconda tra le osteocondrosi, riguarda l’inserzione del tendine rotuleo (apofisi). Può anche essere definita
come una tendinopatia inserzionale dovuta alle sollecitazioni meccaniche provocate dalla trazione esercitata
dal tendine rotuleo sul nucleo apofisario tibiale, che risulta essere indebolito da un’ossificazione alterata per
cause costituzionali o acquisite.
EPIDEMIOLOGIA
Anche qui abbiamo un’insorgenza maggiore nei maschi (M:F = 3-10:1). L’età media è di 12-15 anni nel sesso
maschile e di 8-12 anni nel sesso femminile. L’incidenza è maggiore nei soggetti che hanno un’attività sportiva
intensa. È bilaterale nel 20-50% dei casi e il decorso clinico è di due anni.
EZIOLOGIA
Si comporta come le altre osteocondrosi e quindi è dovuta a:
- Micro-traumatismi ripetuti a livello dell’apofisi tibiale che si verificano prima dell’ossificazione → la
stessa trazione che deriva dalla corsa o dal salto (basket, pallavolo)
- Nel 50% dei casi il soggetto riferisce comunque un trauma importante
- Abbiamo anche l’intervento di fattori biomeccanici: un’alterazione dei rapporti tra la lunghezza del
tendine rotuleo e la rotula (una rotula alta riduce l’efficienza dell’apparato estensore, per cui si ha una
trazione eccessiva sulla tuberosità tibiale, inserzione del tendine rotuleo)
- Fattori intrinseci, qualitativi del nucleo di accrescimento.

CLINICA
Vi è una tumefazione importante a livello della tuberosità tibiale anteriore dolente alla digitopressione, è
intermittente nella fase iniziale (esacerbato dall’attività fisica) per poi diventare persistente in tutte le attività del
soggetto. Si può avere anche una limitazione funzionale o una ipotrofia del quadricipite

DIAGNOSI
La diagnosi è prettamente clinica, ma si ricerca una conferma con l’Rx e l’ecografia.
Radiograficamente quello che noi andiamo a vedere è una sorta di frammentazione a livello del nucleo di
accrescimento epifisario e il sollevamento dell’apice della tuberosità, l’irregolarità del nucleo può essere
confermata con una ecografia in cui il ginocchio sofferente non appare normale, non abbiamo una normale
suddivisione a strati dei tessuti sopra l’osso.
L’RM può evidenziare la presenza di un edema e delle alterazioni morfologiche, ma è usata molto raramente.

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TRATTAMENTO
Il trattamento incruento consiste in:
- Astensione dallo sport che ne ha favorito l’insorgenza e dall’attività fisica da salto, carico e contatto, fino
alla scomparsa della sintomatologia algica. Il bambino può comunque praticare attività fisica in acqua, non si
può sospendere del tutto l’attività fisica perché tenderebbe a mettere peso e questo è controproducente.
- Terapia antinfiammatoria con FANS almeno per il primo periodo.
- L’utilizzo di un tutore o ginocchiera gessata che hanno un elemento pressorio sottorotuleo, una sorta di
cinturino che si posiziona sotto la rotula e serve a dare stabilità e a non gravare sull’articolazione, in questo
modo si cerca di ridurre il dolore.
- Crioterapia per il dolore (ghiaccio 4 volte al giorno per 20’)
- Fisioterapia al fine di allungare gli ischio-crurali e il quadricipite.
Nei casi in cui la sintomatologia non riesce ad attenuarsi si può optare per un trattamento cruento, ovvero
chirurgico. Si procede operando perforazioni multiple del nucleo di ossificazione per favorirne la
vascolarizzazione e stimolarne l’ossificazione. Altre opzioni terapeutiche chirurgiche sono la tubercoloplastica e
la rimozione di frammenti chirurgici.
Nell’adulto, dopo l’ossificazione, non dà più fastidio solitamente a meno che il paziente non sia piastrellista
perché si deve inginocchiare, allo stesso modo gli uomini di chiesa. Questi pazienti possono avere degli esiti
dismorfici.

MORBO DI HAGLUND O MALATTIA DI SEVER-BLENKE


Disturbo congenito dell'ossificazione del calcagno con interessamento
di un centro secondario di ossificazione nella parte posteriore del
calcagno, in cui si inserisce il tendine d’Achille. Colpisce
principalmente il sesso maschile di età compresa tra gli 8 e i 13 anni.
Rappresenta la terza osteocondrosi per frequenza. È una patologia
importante perché può dare come esito la formazione di tuberosità di
Haglund, ecco perché è anche conosciuta come morbo di Haglund;
naturalmente la presenza di questa tuberosità è fastidiosa per il
paziente anche perché la calzatura non è progettata per questa
anomalia.

EZIOLOGIA
L’origine è da ricercare nel trauma da trazione ripetitivo a livello dell’inserzione del tendine di Achille
sull’apofisi calcaneare e sul nucleo di accrescimento presente in quella zona (corsa, salto), questo determina
microfratture che vanno incontro a processi di riparazione ipertrofica che portano alla formazione di uno sperone
calcaneare (squilibrio tra sollecitazioni meccaniche e resistenza ossea). Questo costituisce un insulto lesivo nei
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confronti del tendine achilleo, per cui nel corso del tempo si possono creare delle formazioni fibrotiche nodulari
e si può instaurare una tendinopatia cronica. Attività sportive correlate: football, volley, scherma.

CLINICA
- Dolore modesto al retropiede con irradiazione alla regione malleolare, ad insorgenza spontanea o dopo lieve
traumatismo, che scompare al riposo e si accentua dopo prolungata stazione eretta. È presente, inoltre, alla
pressione e quindi anche indossare le scarpe è doloroso.
- Tumefazione (pump-bump syndrome): alla regione posteriore calcaneare, dolore alla palpazione e pastosità
diffusa.
- Termotrattato positivo ed arrossamento cutaneo.
- Articolarità del piede libera, può esistere zoppia di fuga.
- Infiammazione che riguarda non solo il tendine ma anche le borse tendinee, che sono molto fastidiose.

DIAGNOSI
Prettamente clinica, alla Rx è possibile vedere un’alterazione morfologica → per ossificazione della cartilagine,
lo sperone calcaneare. Con l’ecografia si evidenzia la borsite peri-Achillea.
Imaging:
• Irregolarità del nucleo epifisario con margini frastagliati
• frammentazione del nucleo epifisario
• (A zolle) con struttura disomogenea

TRATTAMENTO
Incruento:
- Plantari a scarico calcaneare
- Esercizi di stretching del tendine di Achille
- FANS
- Apparecchio gessato 4-6 settimane se il dolore è intenso
Chirurgico: bursectomia ed escissione dello sperone calcaneare.

MORBO DI SCHEUERMANN O IPERCIFOSI DISMORFICA


Facendo riferimento alla cifosi dorsale parliamo di quella che è la terza patologia osteocondrosi per frequenza.
Solitamente riguarda i nuclei epifisari di almeno 3 vertebre e si caratterizza per ipercifosi dorsale associata a
iperlordosi lombare e un dorso che risulta rigido e dolente.

EPIDEMIOLOGIA
Interessa il 0,4-10% della popolazione. Si presenta tipicamente nella tarda infanzia = 8-12 anni e in una forma
più severa tra i 16 e i 18 anni. È maggiormente presente nei maschi.

EZIOLOGIA
Al solito è multifattoriale:
• Fattori genetici
• Fattori biomeccanici
• Fattori vascolari

PATOGENESI
I vari traumatismi ripetuti nel tempo che si sommano su una vertebra che è in necrosi per il ridotto apporto
vascolare possono portare a necrosi osteocartilaginea dei nuclei di accrescimento delle epifisi dei corpi vertebrali
e successiva alterata crescita della vertebra (soprattutto porzione anteriore).

CARATTERISTICHE ANATOMOPATOLOGICHE
• Irregolarità dei piatti epifisari vertebrali
• Ernie di Schmorl: si vedono alla Rx come degli spazi vuoti a livello del corpo vertebrale che normalmente
non sono presenti e sono dovuti a questa deformità del corpo vertebrale per cui si insinuano strutture (ad es.
il disco cartilagineo) che normalmente sono ben separate dal corpo vertebrale
• Assottigliamento dei dischi intervertebrali
• Osteoporosi giovanile
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• Cifosi > 40° Cobb


• Cuneizzazione > 5° di 3 o più vertebre adiacenti (la parete anteriore della vertebra si abbassa).

CLASSIFICAZIONE
Lieve <50° In base alla zona:
Media 50 -70° Ipercifosi media: D6-7
Severa >70° Ipercifosi bassa: D11-12

CLINICA
Difficile da distinguere da quello che è un atteggiamento cifotico:
• Deformità del dorso
• Lordosi lombare
• Capo anteposto
• Spalle anteriorizzate
• Retrazione dei muscoli ischio- crurali
• Dorsalgia
• Rigidità del dorso
• Esame neurologico negativo: i sintomi neurologici sono
rari (forme molto gravi), ci fanno pensare ad un’ernia
piuttosto
Una cosa che ci può aiutare è che mentre qui mobilizzando la colonna l’alterazione non scompare
nell’atteggiamento cifotico invece sì.
RX
Possiamo vedere la cuneizzazione per l’alterata forma e la riduzione degli spazi
intervertebrale, l’ipercifosi, le ernie di Schmorl e le irregolarità dei piatti vertebrali
→ avvallamenti a colpo di unghia.

TRATTAMENTO
Trattandosi di angoli importanti la cosa che si fa è il busto gessato. In casi molto
gravi >75° si va ad intervenire chirurgicamente, soprattutto se ci sono alterazioni
neurologiche (indicazione assoluta; indicazioni relative invece la sintomatologia
importante).
Sono vari gli interventi che si possono fare ma il concetto di base è quello di
andare a determinare una lordosi là dove c’è la cifosi, quindi, ad esempio si rimuove la parete posteriore di una
vertebra così da compensare il tutto.

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OSTEOPOROSI
Disordine scheletrico caratterizzato da una riduzione della densità minerale ossea (BMD ≤ -2.5 DS rispetto alla
media di adulti sani) e da un deterioramento della micro-architettura dell’osso in presenza di un normale
rapporto tra matrice organica e fase minerale.
È l’affezione scheletrica più frequente nei paesi industrializzati. Comporta un aumentato rischio di fratture per
traumi a bassa energia: fratture da fragilità. La cosa da tenere a mente è che non c’è una sproporzione tra
componente minerale e cellulare.
OSTEOPENIA: processo di involuzione fisiologica dell’osso che porta ad una lenta e graduale riduzione della
massa ossea senza implicazioni cliniche.
È in pratica un’alterazione del normale equilibrio tra i processi di osteogenesi (osteoblasti) e quelli di osteolisi
(osteoclasti), con predominanza dei processi distruttivi della matrice ossea. Si riconoscono delle alterazioni
macrostrutturali e microstrutturali.
Per quanto riguarda le alterazioni macrostrutturali abbiamo: un assottigliamento della corticale (l’osso diventa
più suscettibile alle forze di torsione e flessione) e la riduzione delle trabecole ossee (l’osso diventa più
suscettibile alle forze di compressione).
Per quanto riguarda le alterazioni microstrutturali abbiamo: una diminuzione della densità minerale e un
aumento della grandezza dei cristalli minerali.
A differenza dell’osso normale, l’osso osteoporotico presenta una ridotta deformazione plastica, avendo perso
buona parte della propria elasticità; a ciò consegue che per carichi sempre maggiori non si avrà una
concomitante formazione dell’osso, raggiungendo il punto di rottura con estrema facilità, anche in assenza di
trauma. Per cui saranno sufficienti carichi fisiologici per determinare una frattura → frattura patologica. L’osso,
in queste condizioni può andare incontro ad una esplosione, determinando una frattura “da scoppio” o frattura
comminuta.

Osteoporosi primaria:
- Post-menopausale: gli estro-progestinici influiscono sull’omeostasi del calcio e dei cristalli ossei
- Senile
- Idiopatica del giovane

Osteoporosi secondaria:
- A malattie come artrite reumatoide, malattie endocrine ecc. All’uso cronico di farmaci come cortisone o
eparina
- Ad immobilità: la mancanza di movimento influisce negativamente sull’osteosintesi.

FATTORI DI RISCHIO
NON MODIFICABILI MODIFICABILI
Sesso femminile Malnutrizione (deficit di calcio e vitamina D)
Età > 50 anni Fumo
Bassa concentrazione di estrogeni Abuso di alcol
BMI < 19 kg/m2 Stile di vita sedentario
Storia di fratture da fragilità Uso di steroidi e anticonvulsivi
Razza caucasica e asiatica

EPIDEMIOLOGIA
Tutto lo scheletro può essere interessato ma le sedi più comuni sono a livello del corpo vertebrale (crolli
vertebrali, con “effetto domino”) e distale del radio (cadute frontali) ma anche il collo del femore; le ossa più
sollecitate dalla postura e dalle attività di tutti i giorni. È stimato che il 30-50% delle donne e il 20-30% degli
uomini avrà fratture osteoporotiche nel corso della sua vita. Solo 1/3 delle fratture vertebrali sono clinicamente
sintomatiche.
Le fratture vertebrali sono le più comuni fratture osteoporotiche. Si è visto che dopo la prima frattura vertebrale
il rischio di una seconda frattura vertebrale aumenta di 5 volte per un’alterazione delle forze agenti sulle
vertebre. Il cedimento di un corpo vertebrale, infatti, determina la deviazione della curva fisiologica della
colonna vertebrale (che si manifesta con ipercifosi/iperlordosi) modificando la biomeccanica di tutta la colonna
vertebrale → effetto domino.

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DIAGNOSI
Si ricorda che solo 1/3 delle fratture vertebrali sono sintomatiche, spesso quello che si vede è solo una leggera
riduzione del movimento.
È vero che ci sono tutta una serie di esami ematochimici (fosfatasi alcalina, funzione tiroidea, testosterone) che
ci possono dare un’idea, ma quello che succede è che si fa diagnosi dopo una frattura; per cui questo è il vero
problema.
E quindi la densitometria ossea è un esame fondamentale: quantifica la massa ossea in relazione alla densità in
sali minerali dell’osso. È una tecnica che utilizza raggi X (la radiazione è minima) ma ad oggi ci sono anche
strumenti che usano gli ultrasuoni. Le zone che si vanno a testare sono: la colonna vertebrale, l’articolazione
coxo-femorale, l’articolazione metacarpo-falangea e il calcagno.
La DXA è quella più utilizzata e si fa diagnosi di osteoporosi quando il valore è < -2,5 DS.

TRATTAMENTO
La terapia può essere conservativa (busti e tutori associati a terapia farmacologia sintomatica) o chirurgica con
vertebroplastica (ormai percutanea).
Il trattamento è per lo più farmacologico, deve essere inoltre volto a modificare le abitudini di vita e chirurgico
in caso di fratture.
Farmacologico:
- Supplementazione calcica
- Vitamina D
- Terapia ormonale
- Modulatori selettivi del recettore degli estrogeni (SERMs)
- Bifosfonati: i farmaci più utilizzati in maniera selettiva.
Ci sono delle complicanze per l’uso di questi farmaci.
Questa terapia grava molto sulla spesa della sanità pubblica.

PREVENZIONE
Per il rischio elevato di allettamento/invalidità è quindi maggiormente utile prevenire l’osteoporosi o almeno
attuare delle tecniche di prevenzione delle fratture nei soggetti osteoporotici.
Per prima cosa bisogna favorire, in bambini e adolescenti, il raggiungimento di un adeguato picco di massa ossea
con:
- Adeguata apporto giornaliero di calcio e Vit. D (400-600 UI/die nell’adulto)
- Esposizione frequente ai raggi solari
- Adeguata attività fisica
- Ormoni sessuali
Negli adulti invece si cerca di prevenire/ritardare la perdita di massa ossea con:
- Adeguato di calcio e Vit. D in rapporto all’età
- Evitare fumo e alcol
- Esposizione frequente ai raggi solari
- Adeguata attività fisica in rapporto al peso corporeo e all’età
- Eventuale terapia ormonale sostitutiva (bifosfonati e raloxifene = modulatore del recettore degli
estrogeni).

Nel soggetto osteoporotico si cerca di evitare le fratture con:


- Rimozione delle barriere architettoniche
- Utilizzo di ausili alla deambulazione
- Cambiamento delle abitudini di vita
- Trattamento di difetti visivi e disturbi dell’equilibrio
- Adeguata illuminazione degli ambienti domestici
- Evitare l’utilizzo di tappeti
- Predisporre punti d’appoggio in casa
- Richiedere un’assistenza quotidiana.

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CEMENTOPLASTICA NELLE FRATTURE VERTEBRALI DA


OSTEOPOROSI
FRATTURE OSTEOPOROTICHE VERTEBRALI
• Sono le più comuni fratture osteoporotiche
• Avvengono in assenza di trauma o con minimo trauma (flessione!)
• Ogni anno ne vengono diagnosticate 430.000 in EU (117 per 100.000 persone)
• Dopo la prima frattura vertebrale il rischio di frattura vertebrale aumenta di 5 volte per sopraggiunte
modificazioni della biomeccanica della colonna in toto.

TIPI DI FRATTURE
• Crolli vertebrali: riduzione uniforme dell’altezza del corpo vertebrale

• Deformità vertebrali: riduzione di 4 mm (o 15%) rispetto all’altezza posteriore:


- dell’altezza anteriore (a cuneo)
- dell’altezza centrale (biconcava)

CLASSIFICAZIONE MORFOLOGICA DELLE FRATTURE VERTEBRALI

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CLINICA
Acute: comparsa di dolore acuto ed invalidante senza o con minimo trauma.
Manifestazioni croniche: diminuzione dell’altezza, deformità del rachide, sporgenza dell’addome.

CONSEGUENZE A LUNGO TERMINE


Il Costo Umano
• Diminuzione della autosufficienza
• Riduzione della qualità della vita
• Necessità di assistenza
• Malattie polmonari
• Aumento della mortalità

OSTEOPOROSI E FRATTURE VERTEBRALI: EFFETTO DOMINO


Non appena subito una prima frattura vertebrale:
- il rischio di averne ulteriori è massimo nei primi 6-12 mesi.
- 1 donna su 5 ne subisce un’altra entro 12 mesi
- è necessario un tempestivo intervento con una terapia rapida

VALUTAZIONE STRUMENTALE
L’esame di prima linea è l’RX. Se l’esame radiografico in presenza di dolore è negativo o dubbio in presenza di
frattura recente si eseguirà una RMN tramite la quale si potrà osservare edema.

TRATTAMENTO
Trattamento conservativo
• Impiego di ortesi toraco-lombo-sacrale in gesso, in materiale plastico preformato e modellato, corsetti rigidi a
tre punti di appoggio
• Manovra di riduzione in estensione della colonna

Importanza degli elementi posteriori


• Nella scelta del trattamento conservativo gioca un ruolo importante la valutazione delle strutture posteriori:
– Se intatte agiscono da fulcro nella manovra correttiva in iper-estensione della colonna
• La successiva stabilizzazione viene affidata all’impiego del corsetto

Trattamento chirurgico
2 grandi eccezioni:
1^ ECCEZIONE: bisogna distinguere tra le fratture osteoporotiche vertebrali (A1-2) e le fratture vertebrali di
qualsiasi tipo in pazienti osteoporotici che hanno indicazione chirurgica in base alle attuali classificazioni.
2^ ECCEZIONE: dolore invalidante (fratture osteoporotiche).

Vertebroplastica
• Non agisce sulla cifosi segmentaria
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• Il cemento va applicato a densità bassa


• Rischio di stravaso del cemento
• Sollievo dal dolore nel 70% dei casi

Cifoplastica
• Migliorare l’anatomia della vertebra crollata
• Prevenzione del dolore dovuto alla cifosi
• Prevenzione di ulteriori fratture vertebrali ripristinando la biomeccanica della colonna in toto
• Riduzione del rischio di stravaso di cemento
• Eliminare il dolore dovuto alla frattura
• Aumento resistenza meccanica della vertebra
• Distruzione termica fibre nervose sensoriali intraossee

Indicazioni
- Fratture osteoporotiche (singole o multiple)
- Fratture traumatiche in pz giovani (sostituti ossei)
- Localizzazioni metastatiche
• Angiomi
• Mieloma multiplo

Approccio transpeduncolare
Indicato per i livelli T10-L5.

Procedura Chirurgica
1. Posizionamento del paziente
2. Individuazione del peduncolo e del punto di ingresso
3. Posizionamento del Trocar
4. Inserimento del filo guida e posizionamento della cannula di lavoro
5. Possibilità di effettuare la biopsia
6. Fresa
7. Inserimento del palloncino e gonfiaggio parziale per assicurarne la posizione
8. Ripetizione della procedura controlateralmente
9. Gonfiaggio bilaterale
10. Cementazione: inserimento del cemento (PMMA) all’interno dello spazio creato dal palloncino.
Inserimento trocar da 11 gauge fino al muro posteriore del soma inserimento fresa nel soma – creazione alloggio
per il palloncino  inserimento del sistema di gonfiaggio – palloncino-battistrada

CONCLUSIONI
▪ Ristabilisce l’altezza della vertebra?
▪ Riduce la cifosi segmentaria?
▪ Elimina il dolore
▪ Stabilizza la frattura
▪ Riduce il rischio di stravaso del cemento
Ricordiamoci che è una procedura nata per le fratture OSTEOPOROTICHE, che è risultata utile in altre
instabilità strutturali anteriori, ma non esistono studi in merito.

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PARA – DISMORFISMO SCOLIOTICO IN ETÀ EVOLUTIVA


Bisogna fare distinzione tra paramorfismo scoliotico e dismorfismo scoliotico. Il primo è qualcosa di transitorio,
modificabile e che può essere risolto; il secondo è invece una patologia permanente.

CENNI DI ANATOMIA DELLA COLONNA VERTEBRALE


La colonna vertebrale è formata da 33 vertebre distinte in 4 grandi distretti: cervicale (7), toracico (12), lombare
(5) e sacro-coccigeo (4-5). La colonna vertebrale ha diverse funzioni; oltre a proteggere le strutture nervose ha
soprattutto funzione di sostegno del tronco contrapponendosi alla forza di gravità e funzione dinamica, per il
controllo della postura attraverso una serie di movimenti di rotazione, flesso-estensione e flessione laterale. Le
porzioni cervicale, toracico e lombare formano la componente mobile della colonna, la porzione sacro-coccigea
forma la parte fissa.
Il rachide visto da una proiezione laterale mostra delle curve fisiologiche. Una colonna retta è una colonna
patologica. Ci sono 4 grandi curve, distinte in lordosi, a concavità posteriore, e cifosi, a concavità anteriore.
• Lordosi cervicale a concavità posteriore (32°-36°)
• Cifosi dorsale a convessità posteriore (25°-45°)
• Lordosi lombare a concavità posteriore (21°-49°)
• Curva sacro-coccigea a convessità posteriore (vertebre sacrali fuse in una curva cifotica)

Tutto ciò ammortizza le sollecitazioni e preserva le strutture nobili craniali.


Sul piano frontale (coronale) la colonna deve essere retta. Se è presente
una qualsiasi curva si tratta di una colonna patologica. Soltanto nel neonato
ci può essere una curva dovuta all’assenza di carico.
Un soggetto può avere un atteggiamento sbagliato dal punto di vista
posturale ma non è detto che sia malato.
Paramorfismo: (deriva dal greco morfeo = forma e parà = vicino) indica
uno scorretto atteggiamento posturale, il più delle volte legato a squilibri
muscolari-legamentosi dovuti prevalentemente ad uno stile di vita sedentario
e a malsane abitudini posturali. È una condizione parafisiologica che può
essere corretta aggiustando le abitudini posturali.
Il paramorfismo scoliotico (non patologico) non è la scoliosi (patologia) che
per definizione è una deformità della colonna vertebrale caratterizzata da
alterazioni della struttura e dei rapporti reciproci tra le vertebre nei tre piani
dello spazio, per cui ad una curva laterale > 10° Cobb sul piano frontale si
associa una rotazione vertebrale.

Dismorfismo: (dius = alterato) indica un’alterazione patologica della morfologia che non tende a migliorare,
anzi tende solo a peggiorare, a meno che non ci sia un corretto intervento esterno.
Oltre all’atteggiamento scoliotico, abbiamo l’ipercifosi con accentuazione patologica della normale curva
dorsale del rachide o l’iperlordosi lombare, cioè l’accentuazione della normale lordosi lombare.

PARAMORFISMO SCOLIOTICO
Per paramorfismo si intende una deviazione laterale della colonna con perdita della verticalità sul piano frontale,
che non si accompagna mai ad una rotazione e deformazione dei corpi vertebrali. Non causa dolori a meno che
non subentrino contratture.
L’atteggiamento scoliotico consegue ad una alterazione biomeccanica del rachide perché c’è uno squilibrio
muscolare, non si ha una simmetria di equilibrio. È legata ad una ipotonotrofia dei muscoli, soprattutto dei
muscoli paravertebrali, ma anche del cingolo scapolo-omerale e pelvico. Non è solo una condizione inerente al
distretto della colonna, ma riguarda anche i distretti dell’arto inferiore e del cingolo scapolo-omerale. Importante
è che non ci sono anomalie strutturali reali.
Sono solitamente bambini tra i 5 e i 14 anni, sedentari, che si siedono scorrettamente mentre giocano con le
console o con gli smartphone.
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CLASSIFICAZIONE
• Posturale: ce l’ha il 99% dei ragazzini, che si corregge con il cambio delle abitudini di vita. Negli ultimi 10
anni è cambiato in maniera radicale il modo di passare il tempo libero, con un aumento della sedentarietà
mentre una volta il passatempo principale era l’attività motoria. Il bambino che passa il proprio tempo
davanti al televisore, al PC ecc sta chino su se stesso rendendo il proprio assetto anatomico muscolare ancora
più ipotrofico. Il secondo problema è la famiglia in quanto i genitori non hanno più tempo da dedicare al
proprio figlio. Fondamentalmente oggi possiamo trovarci davanti 2 tipi di soggetti: il primo che ha uno stile
di vita assolutamente sedentario con atteggiamento posturale sbagliato (95% dei casi); il secondo invece è
l’opposto, è il bambino che deve diventare bravissimo nella sua attività sportiva e questo porta a patologia da
sovraccarico funzionale che una volta si vedevano solo nell’età adulta.
• Psico-somatico: un soggetto che ha problemi psicologici tende ad assumere posture errate;
• Patologie: irritazione radicolare nervosa (tumore), appendicite che portano all’assunzione di posizioni
antalgiche errate
• Eterometria degli arti inferiori: in ambito fisiologico, entro 5mm è quasi normale, quasi nessuno ha i due
lati esattamente uguali. La scoliosi si presenta quando la dismetria supera 1cm. Qual è la prima causa
patologica di dismetria? Le fratture. L’osso fratturato cresce di più per l’elevatissimo turn over osseo. Tra
femore e gamba il femore è quello che cresce di più perché è molto più vascolarizzato.
• Contratture delle anche.
Nella maggior parte dei casi il paramorfismo è muscolare.
CONDIZIONI ASSOCIATE
• Disfunzione dell’articolazione temporo-mandibolare
• Alterazione dell’appoggio plantare
• Disfunzioni oculomotorie
Oltre alla dismetria dell’arto inferiore e all’errato appoggio plantare, altre strutture possono condizionare la
colonna vertebrale e queste strutture sono bocca e occhi. Quando siamo davanti ad un atteggiamento posturale
errato della colonna devo valutare anche questi distretti. Alcuni studi mostrano che disfunzioni oculomotorie e
disfunzioni temporo-mandibolari sono spesso associate ai paramorfismi scoliotici.
Importanti difetti visivi come miopie elevate, ipermetropie o consistenti astigmatismi influiscono in maniera
decisiva sul dinamismo del corpo rallentandone le attività, nonché influenzandone la postura a vari livelli, anche
in regioni anatomicamente distanti dal distretto oculare. I difetti di convergenza oculare e gli strabismi latenti
(forie), sono responsabili di asimmetrie di tensione a carico dei muscoli assiali, per le intime connessioni
neurofisiologiche, che garantiscono la sinergia dei movimenti degli occhi con quelli del collo e delle gambe. Se
un occhio converge di meno, il nostro Sistema Posturale si adatta nel tentativo di aiutarlo.
Quando c’è un’anomalia para o dismorfica della colonna, l’ipodontia (anomalia di sviluppo dei denti con
assenza di 1 o più denti) è 10 volte più frequente, ma anche un prognatismo è spesso associato o una
malocclusione di classe II → indagare anche dal punto di vista odontostomatologico.
Una questione ancora controversa è quella del legame tra vizi dell’appoggio plantare, piedi piatti e scoliosi
perchè è difficile da quantizzare, non si ha uno strumento che ci dia obiettive informazioni sull’appoggio
podalico e la verticalità. Il falso mito che associa piedi piatti a scoliosi non esiste ad oggi. Un piede piatto, che
valgizza, ha un appoggio obliquo, può avere una certa genesi nell’insorgenza del paramorfismo soprattutto se
l’interessamento è di un solo piede, perché si genera asimmetria con ripercussioni sul bacino e sulla colonna. La
scuola francese di Lione ha suggerito che il piede piatto valgo-pronato (sindrome pronatoria), può associarsi a
delle alterazioni posturali della colonna, postura errata che se non corretta può determinare una scoliosi.
Se sul piede piatto ci sono dei dubbi, il legame con l’apparato visivo è certo. Se ho miopia, ipermetropia,
astigmatismo importante, assumerò una postura che non sarà corretta. In questo caso va corretta l’alterazione
visiva perché se non corretta può causare disturbi posturali che cronicizzando possono determinare un
dismorfismo. Se correggo il paramorfismo in tempo la situazione non evolve in dismorfismo.
CLINICA
A livello radiografico non si osserva niente, la diagnosi è clinica; lo studio radiografico mostra una colonna
normale.
Se un soggetto ha una asimmetria del cingolo scapolo-omerale (una scapola più alta dell’altra ad es.) non ha la
scoliosi, ha un atteggiamento scoliotico. Con asimmetria del profilo delle spalle.
Possiamo avere anche l’asimmetria dei fianchi.

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Ci può essere anche una asimmetria dei triangoli della taglia. Il triangolo della taglia è lo spazio formato dal
profilo del fianco e da quello del lato interno del braccio rilassato ai lati del corpo. Il triangolo di destra ad es.
può essere asimmetrico rispetto a quello di sx ma non necessariamente è indice di scoliosi; può indicare la
presenza di un paramorfismo scoliotico. Inoltre, si può osservare ipotonotrofia di gruppi muscolari.
La cosa importante è che facendo piegare il soggetto la colonna si riallinea.
Il problema sta proprio nell’identificare e correggere in tempo il
paramorfismo perché se non trattato e corretto porterà ad una scoliosi
strutturale, soprattutto se il soggetto è in età puberale. Bisogna prevenire
l’evoluzione dell’atteggiamento scoliotico in scoliosi vera!
Come si fa a correggere la postura? Controllando la postura attraverso:
• Autocorrezione: invitare il bambino a mantenere una postura adeguata;
bersagliare il bambino ad assumere una corretta postura.
• Attività sportiva: un bambino in età evolutiva dovrebbe praticare circa 6
ore di attività sportiva alla settimana. Quali sport vanno praticati? Il
nuoto non è il primo sport da praticare per correggere gli atteggiamenti errati nel bambino. Il nuoto va bene
negli adulti perché agisce su tutto il distretto muscolo-scheletrico senza stressare le cartilagini. Nel bambino
in età evolutiva, la crescita in acqua in assenza di gravità non è come la crescita praticando sport come le arti
marziali che fanno sviluppare nel bambino stabilità, dinamismo, superiori al bambino che pratica nuoto. Dai
0-3 anni il nuoto va bene; da 3-9 anni arti marziali, ginnastica o danza; dopo i 9 anni gli sport con la palla
sono consigliati anche perché sociali.
Quali sono le 2 attività più asimmetriche? Tennis e scherma. Se praticati in maniera non agonistica qualsiasi
sport può essere praticato, non succede niente; l’agonismo invece porta a sviluppare alcuni distretti piuttosto
che altri, agonisti piuttosto che antagonisti.
• Rieducazione motoria: ginnastica posturale, fisiochinesiterapia se non si risolve il problema con quanto
detto prima. Ha una duplice azione:
- Analitica: in cui si corregge lo specifico atteggiamento errato;
- Globale: in cui si va a trattare la postura nella sua interezza.

DISMORFISMO SCOLIOTICO
La scoliosi è una deviazione laterale sul piano frontale della colonna, con inclinazione >10° Cobb sul piano
frontale, a cui si associa sempre una rotazione vertebrale sul piano sagittale. Se il soggetto con scoliosi si
flette in avanti, avrà un gibbo o gobba.
Le tipologie di scoliosi sono numerose. In base alla genesi della malattia abbiamo:
• Scoliosi congenite (3%): vizi di formazione della colonna vertebrale (emispondilia, fusione vertebrale =
sinostosi ecc.) durante la vita intrauterina. Il bambino nasce con una condizione scoliotica. Sono forme più
gravi che il più delle volte devono essere corrette con interventi chirurgici importanti.
• Scoliosi neuromuscolari (4%): abbiamo visto l’importanza del sistema muscolare nel corretto
mantenimento della postura. Condizioni come una distrofia muscolare non permettono ciò e portano a quadri
scoliotici molto difficili da trattare.
• Altre scoliosi (8%): sono riconducibili a varie condizioni patologiche come neurofibromatosi,
mucopolisaccaridosi, altre patologie dismetaboliche, traumi (scoliosi post-traumatica), infezioni (scoliosi
post- infettiva), neoplasie, osteocondrodisplasie.
• Scoliosi idiopatiche (85%): è la forma più frequente. Idiopatica (idios = propria e patos = sofferenza)
significa che colpisce i soggetti sani, che non hanno nulla, non legata a nessuna menomazione fisica o
precedente di malattia.

EPIDEMIOLOGIA
I dati circa la prevalenza sono molto variabili, dallo 0,47% al 5,2%, perché non ci sono criteri classificativi
univoci (alcuni dicono 10° altri 15° ecc.). Riguarda il 2-4% dei ragazzi di età compresa tra 12-14 anni. La
differenza di sesso non c’è per le curve banali (M:F = 1,4:1) ma per le scoliosi gravi il rapporto cambia
completamente con un rapporto M:F di 1:7,2.
Per quanto riguarda le varie porzioni della colonna, le curve toraciche sono le più frequenti (48%), seguite dalle
toraco- lombari e dalle lombari.

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CLASSIFICAZIONE
Esistono molti modi di classificare la scoliosi. Una delle più comuni è la classificazione topografica che
distingue:
• Curve cervicali: tra C1-C6
• Curve cervico-toraciche: tra C7-T1
• Curve toraciche pure: tra T2 e T10
• Curve toraco-lombari: tra T11 e L1
• Curve lombari: tra L2-L4
• Curve lombo-sacrali: tra L4 e L5

In rapporto all’età dell’insorgenza, che non sempre coincide con l’epoca della diagnosi, distinguiamo:
• Scoliosi infantile: 0-3 anni;
• Giovanile
- I: 3-6 anni;
- II: 6-9 anni; quelle che si manifestano entro i 10 anni (early onset, EOS) sono le più gravi
- III: 9-12 anni;
• Adolescenziale: 12-18 anni; sono quelle che evolvono meno (AIS adolescent idiopathic scoliosis)
• Adulto
• Anziano: solitamente legata a processi osteoporotici che portano sempre più spesso alla comparsa di scoliosi
senile.
In base al dato radiografico (se sospetto una patologia scoliotica devo far fare una corretta radiografia) devo
identificare il numero di curve e la sede di queste:
- Curva unica
- Curva doppia: una principale e una secondaria
In base al grado di gravità che si evince dalla radiografia possiamo classificare le scoliosi in:
• Curve lievi: < 20°
• Curve di media entità: 20-40°
• Curve gravi: > 40°, spesso necessitano del trattamento chirurgico.

EZIOPATOGENESI
Ancora oggi non sappiamo qual è il fattore che causa la genesi della scoliosi. Parleremo allora di una patologia
multifattoriale in cui concorrono fattori genetici, ormonali, neurologici, muscolari.
Oggi si dà molto peso anche alla melatonina che influenza lo sviluppo armonico muscolo-scheletrico della
colonna. Una carenza di melatonina determinerebbe un aumento di calmodulina che porta alla formazione di
catene anomale di miosina, con conseguente compromissione della crescita del midollo spinale e/o aumento
della crescita ossea e sviluppo asimmetrico della colonna vertebrale e dei muscoli paraspinali.
Ma anche la proteina Oligomerica della Matrice Cartilaginea (COMP) presente nella cartilagine, nei tendini,
osso, dischi intervertebrali. Nei pazienti con scoliosi rispetto ai gruppi controllo, livelli sierici più bassi della
COMP e down-regulation del gene COMP negli osteoblasti determinerebbero una iperlassità tale da
determinare dei vizi durante l’accrescimento.
La teoria dell’accrescimento e ormoni sostiene che alla base della scoliosi vi siano:
• Aumento della taglia staturale (Nelle ragazze si ha uno scatto puberale più rapido)
• Anomalie ormonali (Elevati aumenti di GH)
• IGF-1 (somatomedina C o SM-C) è massimo in pubertà e diminuisce con la
vecchiaia.

Studi recenti hanno dimostrato come muscoli paravertebrali posti per lo stesso
lato della convessità della curva primaria abbiano una maggiore concentrazione
di calmodulina e una maggiore concentrazione di fibre muscolari di tipo I. i
muscoli paravertebrali posti dallo stesso lato della concavità della curva primaria
presentano invece maggiore trascrizione di geni quali TGF-β2, TGF-3 e
TGFBR2.
La teoria patogenetica oggi più accettata è quella di Nachemson e Dubousset
secondo cui si ha una maturazione anomala, geneticamente determinata, di alcuni
centri della propriocezione, dell’equilibrio e della postura.
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ANATOMIA PATOLOGICA
A livello vertebrale si ha una cuneizzazione delle vertebre che è in parte legata all’alterazione dei tessuti molli
perivertebrali che poi portano allo sviluppo della curva patologica. Le strutture molli risultano contratte dal lato
della concavità mentre dal lato della convessità della curva si elongano. Questo a lungo andare si ripercuote
sulle ossa.
Si ha la gobba perché c’è questa rotazione che porta inoltre alla deformazione della gabbia toracica → un
emitorace risulta prominente rispetto all’altro.
Quando queste alterazioni riguardano specialmente il tratto toracico, si arriva alla modificazione degli organi
toracici che tendono ad adattarsi al ridotto volume del torace. Tra le modificazioni più importanti possiamo
avere: problemi cardiaci, problemi circolatori, ridotta escursione polmonare e quindi problemi respiratori da
atelectasia. Questo accade per casi molto gravi (>60° Cobb).

DIAGNOSI
La diagnosi anche qui è clinica ma, al contrario del paramorfismo scoliotico, la diagnosi di certezza è
radiografica. Importante è l’anamnesi:
- Chiedere se c’è familiarità: c’è una componente genetica;
- Chiedere se ci sono stati problemi durante il parto, se ci sono stati traumi;
- Determinare età cronologica e scheletrica che spesso non combaciano; mi devo rendere conto del grado di
maturità scheletrica. Nel periodo del menarca, l’incremento della scoliosi è incontrovertibile e diventa
particolarmente complessa.

Esame in stazione eretta


• La curvatura della colonna vertebrale
• La diversa altezza delle scapole
• Asimmetria dei profili delle spalle
• Asimmetria dei fianchi
• La diversa distanza tra le scapole e la linea mediana
• Asimmetria dei triangoli della taglia
• Fossette parasacrali di diversa altezza
• Dorso molto rigido che può essere deformato per la sporgenza delle coste
• Deformazione del torace a causa della rotazione delle vertebre
• Possibile rigidità della curva mediante test di bending laterale (Casi molto
gravi non li vediamo quasi mai).

Sono tutti segni che mi fanno pensare ad una scoliosi ma ancora non possono dire
con certezza che si tratti di una scoliosi e non di un paramorfismo scoliotico. Cos’è
che mi permette di fare diagnosi differenziale tra le due condizioni? Il test di
Adams, lo vedremo dopo.
Esame del filo a piombo: permette di valutare l’asse occipito-sacrale ed eventuali
sbandamenti laterali. Il filo si fissa a livello di C7 e normalmente il piombo dovrebbe
cadere in corrispondenza della piega interglutea. Anche in caso di deviazioni laterali
potrebbe risultare normale per presenza di curve di compenso. Nel caso in cui ci sia
deviazione del filo rispetto all’asse mediano, questa deviazione si misura.

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Esame in stazione curva


Con le mani e le dita unite il soggetto si flette in avanti fino ad
evidenziare la gibbosità.
Test di Adams: si invita il soggetto a flettersi in avanti a 80°-90° con le
braccia rilassate. Se non ha una prominenza di un emitorace rispetto ad un
altro, il soggetto non ha la scoliosi. Se flettendosi ha la gibbosità è indice
di scoliosi strutturale. Possiamo anche quantizzarlo per monitorare la
bontà del trattamento, con lo scoliosometro, con il gibbometro, con
l’inclinometro di D’Osualdo o per i più moderni con un app per iPhone.

SINTOMATOLOGIA
La scoliosi non dà dolore, è molto improbabile. Quando lo dà è un dolore subdolo, lieve e varia a seconda del
distretto anatomico interessato. Può dare contratture. Una scoliosi di 10-15°, a meno che non ci sia una
particolare attenzione, passa misconosciuta proprio perché nel giovane non causa dolore, non è mai causa di
dolore. Se c’è dolore devo cercare la causa del dolore che non è la scoliosi. Nell’adulto invece la scoliosi può
essere causa di dolore.
La sintomatologia:
• Insorge ed evolve in maniera subdola
• Varia a seconda della sede della colonna vertebrale colpita
• Disturbi endocavitari (ipertrofia del cuore destro, stasi nel piccolo circolo, ecc.) nei casi più gravi ed avanzati.

INDAGINI STRUMENTALI
Il pediatra deve prescrivere la radiografia al bambino che ha una deformità conclamata o sospetta perché è
l’unico modo per vedere e caratterizzare la scoliosi. La diagnosi di certezza di scoliosi è radiografica. Deve
essere fatta una radiografia del rachide in toto, in ortostatismo, in telemetria, su carta millimetrata, nelle 2
proiezioni standard.
Con la radiografia valuto:
1. Posizione topografica delle curve
2. Numero ed estensione delle curve
3. La gravità della scoliosi: la misuro con il metodo di Cobb. Nella radiografia in proiezione AP si tracciano
delle linee seguendo il profilo superiore e inferiore del corpo delle vertebre ai margini della curva. Da queste
rette si tracciano le perpendicolari e si forma un angolo, detto angolo di Cobb, che indica in gradi l’entità
della deviazione scoliotica. Più piccolo è l’angolo, meno grave è la scoliosi.
4. Grado di rotazione vertebrale: attraverso il metodo di Nash e Moe: in base allo spostamento del processo
spinoso si stabilisce il grado di rotazione; nella rotazione il processo spinoso transita in vari settori ed ogni
settore è associato ad un determinato grado di rotazione (da 1 a 4).
5. Alterazioni morfologiche delle vertebre: ci fa vedere se ci sono cuneizzazioni
6. Maturità ossea: sempre radiograficamente possiamo quantizzare l’ossificazione delle creste iliache per
definire lo stato di maturità del soggetto → il test di Risser valuta l’ossificazione delle epifisi delle creste
iliache (gradi da 0 a 5 = cresta iliaca completamente ossificata) per valutare la prognosi → minore è la
maturità, maggiore è l’evoluzione. Se il soggetto ha finito di crescere la scoliosi non peggiora, a meno che
non siamo di fronte a scoliosi molto gravi. Possiamo valutare con il metodo di Nash e Moe la rotazione
vertebrale: consideriamo il rapporto dei due peduncoli delle vertebre con la linea mediana.

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Bisogna considerare quindi anche la regione occipitale e coxo-femorale. La radiografia ci permette di valutare
tutte le caratteristiche della scoliosi e ci permette di impostare il corretto trattamento.
Valutazione radiografica dell’eventuale corregibilità della curva:
• Rx in inclinazione laterale (bending) destra
• Rx in inclinazione laterale (bending) sinistra
• Rx della colonna vertebrale in AP in sospensione o decubito di fronte sotto trazione

Stadio di Risser
Valuta l’ossificazione delle epifisi delle creste iliache. È utile per individuare l’inizio della pubertà.
0) Assenza nucleo ossificazione
1) Comparsa nucleo accrescimento
2) Formazione di più nuclei accrescimento
3) Fusione dei nuclei lateralmente alla cresta
4) Estensione mediale della fusione
5) Fusione totale nuclei con l’osso iliaco

Ci sono dei casi in cui la Rx non è sufficiente (2-5% dei casi). Nei casi in cui ci sono curve atipiche, nei casi in
cui il pz ha dolore e devo capire perché, nei soggetti in cui presumo ci sia una scoliosi congenita o secondaria
devo fare una TC. Per le curve che hanno un angolo di Cobb > 30° farò una RM perché ci potrebbe essere un
danno al midollo. Sono comunque esami di secondo livello.
Altri esami che si possono fare (meno utili della Rx) sono:
• la spinometria: serve per il follow up, per valutare l’evoluzione.
• la micro-dose X-ray che è molto costosa ma espone il pz a minori quantità di raggi X, il problema è che è
meno precisa della radiografia e quindi il piano di follow up è = Rx una volta l’anno (non espone nel
complesso a molte radiazioni e ci fa vedere il tutto bene).
• TC e RM solo per escludere che siano scoliosi non idiopatiche.

FATTORI DI EVOLUZIONE DELLA CURVA SCOLIOTICA


Una curva scoliotica ha più possibilità di evolvere se:

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• Stadio di Risser basso = 0-1 (più è basso più il soggetto andrà a peggiorare)
• In base alla topografia: una curva toracica evolve con maggiore probabilità rispetto ad una lombare
• In base alla mobilità del soggetto: se riesce a curvarsi lateralmente con facilità o meno
• Se la curva è doppia
• Se l’angolo di Cobb è > 20°; l’evolutività della curva è direttamente proporzionale all’entità della curva
stessa
• Presenza di deformità toracica
• Età, l’incidenza cresce progressivamente
• Il sesso femminile soprattutto se prepuberale, per lo scatto puberale nell’età del menarca.

TRATTAMENTO
Le curve banali vanno osservate con dei controlli periodici, ogni 3-6 mesi (3 mesi quando più piccola, ragazza
pre- menarca; 6 mesi quando è più grande); se si ha un aumento di 5° in 6 mesi si prescrive un corsetto.

< 10° Osservazione, se aumenta di 5° in 6 mesi si prescrive corsetto

10° – 20° Ginnastica Posturale

20-40° Corsetto ortopedico (ortesi)

40-50° Busti gessati + corsetto ortopedico

>50° Trattamento chirurgico (artrodesi)

Se una bambina di 9 anni ha una scoliosi di 10° si consigliano controlli periodici, correzione posturale,
attività fisica con sport di slancio come pallavolo, pallacanestro. Fino agli 8 anni va bene danza classica,
artistica.
Per le curve di 10-20° il trattamento consiste nella ginnastica posturale per sviluppare un maggiore controllo e
una maggiore stabilità della colonna e aiuta nello sviluppo degli automatismi riflessi di correzione. La si fa anche
unitamente allo sport. Si può associare a corsetti neuromuscolari.
Per le curve di 20-40° ho l’obbligo di instaurare un trattamento
ortesico con dei corsetti che hanno lo scopo di agire sul rachide
modificando i vincoli esterni e favorendo una migliore
distribuzione dei carichi. Questi corsetti devono essere sempre
associati alla ginnastica posturale. Infatti mentre il corsetto
corregge passivamente, la ginnastica posturale fortifica attivamente
i muscoli. L’uno o l’altro per queste curve non sono sufficienti, ci
vogliono entrambi. Ci sono diversi esercizi da fare con o senza il
corsetto. Esistono diversi tipi di corsetto. I più utilizzati sono:
• Corsetto di Cheneau; con apice fino a T8
• Corsetto Sforzesco, evoluzione di Milano del busto lionese;
con apice fino a T4
Va tenuto inizialmente 14-16 ora al giorno, fino a quando non si raggiunge la maturità scheletrica (circa 16 anni)
poi lo si tiene solo la notte per 2-3 anni.
Il corsetto deve essere messo al momento giusto, deve essere adatto alla situazione e tenuto per tutto il tempo
della evoluzione (constatato dal metodo di Risser). Pazienti che hanno raggiunto la maturità scheletrica (Risser
4-5) con curve che non superano i 50° oppure pz 3-4 anni dopo il menarca con minima crescita staturale negli
ultimi 6 mesi possono dismettere il corsetto. Il corsetto viene strutturato in modo da migliorare la distribuzione
dei carichi al fine di evitare una concentrazione di tensioni. Oltre all’efficacia, va valutata anche la tollerabilità
da parte del paziente.
Esistono delle complicanze che spesso vengono sottovalutate soprattutto quelle psicologiche, che trattandosi di
bambini possono avere conseguenze molto gravi. Altre complicanze sono irritazioni cutanee, piaghe, fenomeni
neurologici (intorpidimento della faccia anteriore della coscia), evoluzione verso una cifosi dorsale o un dorso
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piatto. L’aspetto psicologico è forse il fattore più importante da considerare.


Successo: 93% nei pazienti che utilizzano il corsetto per >13h al giorno; 41% in coloro che lo utilizzano 6h al
giorno.
Lo ribadisco: con il corsetto non guariamo la scoliosi, ne evitiamo il peggioramento, ne blocchiamo la
progressione.

Se abbiamo una scoliosi con angolo di Cobb > 40° non ci


rimane altro che il busto gessato. Vengono chiamati
E.D.F. perché con questi busti agiamo applicando
sostanzialmente 3 tipi di forze: una che permette
l’Elongazione del bambino agendo a livello occipitale-
mentoniero e a livello del bacino, l’altra che agisce
cercando di Derotare la colonna applicando dei pressori
localizzati; e la terza è una forza di Flessione laterale. È un
tipo di corsetto difficilmente accettato dal pz che può
determinare anche problemi respiratori e gastrointestinali.

Il trattamento chirurgico viene effettuato per angoli di


Cobb>45-50°, con gibbosità, dolore non controllato,
deformità con interessamento endocavitario o quando ci
sono problematiche funzionali (come, ad esempio,
alterazioni respiratorie) oltre che scheletriche. Bisogna considerare se siamo in un early onset oppure in un
adulto (la chirurgia della EOS è compatibile con la crescita, quando è adolescente c’è la fusione vertebrale).

TRATTAMENTO CHIRURGICO EOS


• Distrazione: allungamento ogni 3/6 mesi attraverso barre magnetiche allungabili (le più moderne)
• Crescita guidata: si avvale di strumentazione che guida l’accrescimento in una corretta direzione: tecnica
Luque Trolley e tecnica Shilla.
• Compressione: inibizione della crescita dal lato convesso della curva tramite tiranti
La crescita guidata e la compressione sono compatibili con la crescita (Growth-friendly implants). Quindi nelle
early onset vengono usati vari strumenti di distrazione, tra cui i sistemi di distrazione costali → VEPTR
(Vertical Expandable Prosthetic Titanium Rib): è una protesi costale verticale in titanio che viene utilizzata
nei bambini con problemi respiratori. Non lo si fa tanto per correggere la scoliosi ma per i problemi respiratori
nelle scoliosi congenite o nelle scoliosi legate a patologie muscolari come le distrofie.

TRATTAMENTO CHIRURGICO AIS


Artrodesi vertebrale (artrodesi = intervento che trasforma qualsiasi articolazione da mobile a statica, è
un’anchilosi chirurgica); può essere fatta anteriormente, posteriormente o con approccio combinato. Si
utilizzano mezzi di sintesi metallici (viti, placche ecc.) e/o sintetici per promuovere la fusione ossea. Questa si
fa nell’adulto, al termine dell’accrescimento.
Questi interventi sono molto complicati, vanno fatti in centri specializzati, sono legati a varie complicanze →
infezioni, problematiche neurologiche e di fallimento dell’impianto.
PREVENZIONE
Quello che mi preme dirvi è che la prevenzione è molto importante e dovrebbe essere fatta con un attento esame
di screening scolastico. Ci permette di individuare precocemente sia i casi di scoliosi strutturata che i casi di
paramorfismi scoliotici in modo da evitare che questi evolvano verso un dismorfismo vero e proprio. Controllare
sempre bocca e occhi, ma anche l’appoggio plantare. Lo sport agonistico può essere un fattore di rischio.
Dobbiamo stare attenti a queste cose perché il dolore arriva solo da adulto, per una più rapida degenerazione
discale e delle fascette articolari. E bisogna stare attenti alle conseguenze psicologiche perché questi soggetti
hanno una minore vita sociale dovuta a dolore in tutte le attività quotidiane tant’è che molte donne con scoliosi
non si sposano.

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IPERCIFOSI DORSALE
La cifosi è la curvatura fisiologica dorsale della colonna vertebrale con concavità anteriore
in senso sagittale (20°-35°). Si parla di ipercifosi dorsale quando l’angolo di Cobb della
cifosi dorsale > 35° in proiezione sagittale ed è solitamente associata a iperlordosi
lombare compensatoria. Volgarmente è detta gobba. L’ipercifosi dorsale può essere sia
paramorfica (non strutturata, senza cuneizzazione delle vertebre) che dismorfica (cioè
strutturata con cuneizzazione delle vertebre) = morbo di Scheuermann.
La cifosi di tipo round è più frequente, vede molte vertebre coinvolte, solitamente è
toracica o toraco-lombare, solitamente riducibile.
La cifosi di tipo angular è più rara ma più grave, vede poche vertebre coinvolte, può
peggiorare con la crescita.
L’ipercifosi dismorfica si può verificare anche, meno frequentemente, per svariate cause:
• Congenita
• Metabolica
• Displasica
• connettivo
• Neoplasie
• Post-traumatica
• Neuromuscolare
• Iatrogena

L’ipercifosi paramorfica o atteggiamento ipercifotico (è quella di gran lunga più frequente) non ha alla base
un’alterazione strutturale delle vertebre che tuttavia si trovano in una condizione di flessione.
Sono atteggiamenti reversibili causati da vizi posturali (atteggiamento cifotico), disturbi visivi, uditivi, dentari.
La correzione di queste cause porta ad una scomparsa del paramorfismo e si avvale di applicazione di forze
passive e attive. Sono soggetti spesso introversi. È più frequente negli adolescenti, sono di più i soggetti di sesso
femminile e si è vista una spiccata familiarità.

L’ipercifosi dismorfica o strutturata può essere idiopatica oppure fare seguito a malformazioni congenite,
prima di tutte il Morbo di Scheuermann (o dorso curvo giovanile).

IPERCIFOSI PARAMORFICA
Clinicamente l’atteggiamento del pz varia a seconda del tratto colpito:
• Parte alta della cifosi toracica: collo molto obliquo e in avanti, scapole alate
• Parte media: sporgenza del dorso, spalle protruse per scivolamento delle scapole sulle coste
• Parte bassa: scarsa presentazione clinica o presenza di mancata sporgenza dei glutei.

DIAGNOSI
Anamnesi: si vede se ci sono patologie alla base, familiarità e il profilo psicologico del paziente. Verificare lo
zaino perché non è un problema se lo metto bene, anche se pesante perché lo porto per poco tempo: entrambi gli
spallacci, ammortizzato, che arriva all’arco sacrale.
EO: curva cifotica ad ampio raggio, iperlordosi lombare, spalle anteriorizzate, capo
anteposto, iperlassità legamentosa, altezza notevole rispetto ad una curvatura
ipotonica, mobilità conservata, facilmente e volontariamente corregibile.
Il test che ci aiuta nella diagnosi di ipercifosi è il filo a piombo e un righello.
Normalmente il filo posizionato a livello di C7 e tangente a T7-T8, o tocca il sacro o è
posteriore fino a 1,5 cm. La distanza del filo da C7 è di 4-5cm (freccia di cifosi)
mentre la distanza del filo da L2 è di 3- 4 cm (freccia di lordosi). In caso di cifosi alta
c’è un aumento della freccia di cifosi, in caso di cifosi media c’è un aumento di
entrambe le frecce.
Inoltre si può utilizzare l’arcometro d’Osualdo.
Tra gli esami strumentali, l’Rx (in ortostatismo e in 2 proiezioni → AP e LL) ci
permette di valutare l’angolo di Cobb e di vedere se la ipercifosi è strutturata o meno.
Bisogna eseguire un controllo Rx ogni anno.
Anche qui TC e risonanza se sospettiamo complicanze respiratorie.

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Un atteggiamento cifotico non trattato può peggiorare e strutturarsi, compromettendo


il fisiologico sviluppo osseo e muscolo-legamentoso del rachide.
TRATTAMENTO
Il trattamento incruento delle forme strutturate lievi-moderate prevede la
rieducazione alla corretta postura, ginnastica correttiva con potenziamento muscolare
ed eventualmente l’utilizzo di ortesi.
Nelle forme gravi (>45°) possiamo mettere dei corsetti o busti gessati associati alla
ginnastica posturale. Il corsetto di Milwaukee è quello più utilizzato; va ad elongare i
muscoli, la colonna toracica si distrae. Sempre associata a fisioterapia.
Sport da evitare sono tutti quelli che ti portano ad un atteggiamento cifotico: box in
primis; quelli consigliati sono yoga e tutti quelli che ti portano ad allungare la
muscolatura.
Solo in rari casi può essere necessario l’intervento chirurgico.

IPERCIFOSI DISMORFICA
1. Cifosi dovuta a malformazioni congenite: (vedi dopo Morbo di Scheuermann)
Diagnosi alla nascita o pre-natale, difetti congeniti nella formazione delle vertebre, se manca una porzione di
vertebra (parliamo di emispondilia) o deficit di segmentazione (la vertebra non si è separate e permangono
zone sinostotiche, i dischi non separano un corpo vertebrale dall’altro).
L’andamento è progressivo e si interrompe con la crescita, durante la quale le indicazioni al trattamento
dipenderanno dalla rapidità di progressione della deformità. E’ possibile che vi siano alterazioni
neurologiche associate.
2. Cifosi associate a displasia:
Malattie dei tessuti molli (in particolare del connettivo), eccessiva lassità legamentosa —> sindrome di
Marfan e sindrome di Ehlers-Danlos.
Anormale fragilità ossea e progressiva formazione di fratture —> osteogenesi imperfetta e osteoporosi
idiopatica giovanile.
3. Cifosi e malattie metaboliche:
Mucopolisaccaridosi
Malattie da accumulo lisosomiale, Alcune aminoacidopatie,
Difetti della glicosilazione delle proteine (CDG), Malattia di Gaucher.
4. Cifosi secondarie a paralisi:
Le cause di paralisi possono essere Encefalopatie ipossico-ischemiche Neuropatie centrali o periferiche
Malattie neuromuscolari
Traumi
Malattie genetiche
Tumori
Malattie metaboliche
L’intervento chirurgico è necessario e si esegue durante l’adolescenza.

Morbo di Scheuermann
In questa patologia si ha una osteocondrosi dei nuclei epifisari vertebrali che portano le sezioni posteriori delle
vertebre a crescere più velocemente delle porzioni anteriori → cuneizzazione di almeno tre corpi vertebrali che
si manifesta con cifosi dolorosa e rigidità della colonna dorso-lombare.
È una patologia abbastanza rara la cui forma più severa è quella tardo-adolescenziale (16 -18 anni), colpisce
maggiormente il sesso maschile.
Eziologia multifattoriale: fattori genetici, biomeccanici, vascolari. Patogenesi:
traumatismi ripetuti nel tempo associati ad un ridotto apporto vascolare → necrosi osteocartilaginea dei nuclei di
accrescimento delle epifisi dei corpi vertebrali → alterata crescita della vertebra (soprattutto porzione anteriore).

CLASSIFICAZIONE
Lieve <50°
Media gravità 50° - 70° Severa
Parliamo di ipercifosi media quando è localizzata nel tratto D6-D7, ipercifosi bassa nel passaggio dorso lombare,

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localizzata nel tratto D11-D12

EO CLINICO
Deformità del dorso accentuata dal bending anteriore, dorsalgia, lordosi lombare e cervicale di compenso, capo
anteposto, spalle anteriorizzate, rigidità della deformità al test di iperestensione, retrazione dei muscoli ischio -
crurali, esame neurologico negativo.
Fenotipo: soggetti alti, pesanti e con un alto BMI rispetto ai coetanei. Correlazione tra la grandezza della curva
cifotica e dolore, scarsa autostima, riduzione delle attività ludico-motorie.
I sintomi neurologici sono rari e più comunemente dovuti ad un’ernia del disco associata alla cifosi. In età
adulta: prevalenza e intensità del mal di schiena maggiori rispetto alla popolazione generale.

ESAMI STRUMENTALI
Riscontri radiografici patognomonici:
• Ipercifosi > 45° - 50°
• Cuneizzazione > 5° di almeno 3 vertebre adiacenti
• Irregolarità dei piatti vertebrali con avvallamenti
“a colpo d’unghia”
• Restringimento degli spazi discali
• Protrusione anteriore dei nuclei di ossificazione
• Ernie di Schmorl

TRATTAMENTO
Sintomatologia algica e disturbi respiratori non indifferenti.
- Indicazioni assolute alla chirurgia: quando si ha inginocchiamento del midollo spinale con conseguenti
alterazioni neurologiche;
- Indicazioni relative: pazienti sintomatici con cifosi toracica > 80° o cifosi toraco-lombare > 65°.
Interventi chirurgici:
• Osteotomia Smith-Petersen
• Osteotomia di Ponte
• Osteotomia di sottrazione peduncolare (PSO)
• Resezione della colonna anteriore (VCR)

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IPERLORDOSI LOMBARE
Si parla di iperlordosi lombare quando l’angolo di Cobb è maggiore di 40-50°. È molto più frequente nel sesso
femminile per la diversa conformazione ossea e abitudini come i tacchi alti. Un’accentuazione della normale
lordosi avviene anche durante la gravidanza. Bisogna distinguere quella apparente (colonna normale ma glutei
particolarmente sporgenti) da quella vera. Il trattamento si basa su ginnastica correttiva e uso di corsetti
delordosizzanti.
L’ iperlordosi lombare può essere aggravata da diversi fattori di rischio:
- Assunzione di una postura scorretta durante la giornata, solitamente dovuta ad una vita lavorativa sedentaria
- Sovrappeso: il peso corporeo in eccesso è causa di stress ulteriore sui dischi nella regione lombare
- Gravidanza: soprattutto negli ultimi mesi
- Ernia del disco: indica la fuoriuscita di materiale del nucleo polposo del disco intervertebrale causata dalla
rottura delle fibre dell’anello fibroso che formano la parete del disco
- Fratture
- Lussazioni
- Traumi di vario genere alla colonna vertebrale
- Artrosi
- Rachitismo
- Osteoporosi
- Muscolatura lombare debole.

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RACHIALGIE LOMBARI E CERVICALI


La maggior parte delle patologie vertebrali riguardano le articolazioni. Le patologie ossee sono soprattutto quelle
traumatiche e tumorali. L’unità funzionale della colonna è composta dai 2 piatti vertebrali, dalle faccette
articolari posteriori, dal disco intervertebrale e dal forame di coniugazione da cui fuoriesce la radice nervosa che
poi può essere compressa per diverse cause (come ernia discale o stenosi da altri motivi) dando origine a
cruralgie, sciatalgie ecc.

La colonna può essere divisa in 2 regioni:


- Anteriore: formata dai corpi vertebrali e dal disco interposto tra le vertebre; è la porzione che dà
sostegno alle sollecitazioni e ai carichi assiali grazie al disco che ammortizza i carichi.
- Posteriore: formata dalle articolazioni vertebrali e dai legamenti; è la porzione che guida tutti i
movimenti che possiamo compiere.

Le articolazioni fondamentali della colonna sono:


- Intervertebrali (o intersomatiche): le facce intervertebrali dei corpi si articolano mediante un disco
fibrocartilagineo che funge da ammortizzatori (Sinfisi). Il disco intervertebrale è formato da una parte
periferica che consiste in un anello fibroso e da una parte centrale chiamata nucleo polposo. L’anello fibroso
è formato da fibre collagene ed elastiche. Il nucleo polposo è formato da una matrice che ha una componente
acquosa che nel corso degli anni può calcificare. In acuto si può avere la rottura dell’anello fibroso con
fuoriuscita del materiale discale. Il disco fibrocartilagineo è come una biglia interposta tra 2 piani che si
sposta anteriormente, posteriormente o lateralmente in base al movimento della colonna di estensione,
flessione, inclinazione laterale e rotazione. Se l’anello fibroso si rompe e fuoriesce il materiale discale, si può
avere la compressione della radice nervosa corrispondente con l’insorgenza della sintomatologia che
caratterizza le sciatalgie e le cruralgie. L’ernia discale è la fuoriuscita del materiale polposo dal disco
cartilagineo, con compressione della radice nervosa.
- Articolazioni posteriori costituite dalle faccette articolari: ogni vertebra ha 4 processi articolari, 2 superiori
e 2 inferiori che si articolano con i processi articolari delle vertebre contigue. Hanno orientamento e forma
diversa in base al tratto della colonna in questione, poiché ogni tratto permette movimenti peculiari: il tratto
cervicale e lombare permette soprattutto i movimenti di flessione ed estensione, cosi come anche la rotazione
(in particolare il tratto C1-C2 atlante ed epistrofeo).

Per le rachialgie fondamentale è l’esame clinico. Questo ci serve per arrivare alla corretta diagnosi con un
adeguato iter diagnostico-strumentale, senza che siano prescritti esami inutili. Un aiuto può arrivarci dal dolore
in quanto ci sono patologie che determinano un dolore meccanico (patologie degenerative) e patologie che
determinano un dolore di tipo infiammatorio

DEFINIZIONE DI DEGENERAZIONE
Alterazione qualitativa e quantitativa delle cellule che si accompagna a perdita funzionale che può
accompagnarsi o meno ad una sintomatologia.
Quando un pz giunge dal medico con un dolore lombare, ci sono buone probabilità che stia accadendo qualcosa
a livello delle faccette articolari. Se le faccette articolari sono in ordine, il problema è di piccola entità.
L’iperpressione parte in genere da un problema discale. Finché il disco è ben idratato, finché le vertebre sono
ben distanziate così come anche le faccette articolari, il problema sarà principalmente funzionale. Se invece il
disco intervertebrale cede, le faccette articolari vanno in conflitto tra loro e la sintomatologia diventa più
importante, con dolori spiccati soprattutto al mattino. Questo perché durante la notte il disco intervertebrale
riacquisisce un certo volume grazie allo scarico delle forze in posizione supina e allontana le faccette articolare.
Quando la degenerazione delle faccette articolari è minima si parla di disfunzione. Si passerà poi alla fase di
instabilità ed infine una fase di stabilità caratterizzata dall’anchilosi (fusione delle faccette articolari).
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1. Fase di disfunzione: è caratterizzata da degenerazione discale, reazione infiammatoria degli end plates
(degli impianti vertebrali) e artropatia faccettale reattiva a questa iperpressione.
2. Fase di instabilità: è caratterizzata da ipertrofia faccettale, aumento dello spazio interarticolare, iniziale
osteofitosi marginale e ipermobilità.
3. Fase di stabilità: è caratterizzata dal contatto osseo tra gli end plates, fusione delle faccette e osteofitosi
anteriore.
LOMBALGIA
Definizione: algia o tensione muscolare localizzata nell’aria compresa tra la xii costa e le pieghe glutee con o
senza dolore irradiato agli arti.
Oltre al dolore, ci può essere una tensione muscolare palpabile a livello dell’area con questione.
La vertebra è costituita da un corpo vertebrale, che si va a connettere con le vertebre sotto e soprastanti, è
delimitata posteriormente da processi trasversi (il processo spinoso, il canale neurale o canale vertebrale). Le
faccette articolari vanno a creare delle connessioni specifiche con le vertebre soprastanti.
A livello vertebrale possiamo andare a considerare due tipi di articolazioni:
- INTERSOMATICA: tra le due vertebre (in mezzo troviamo un disco cartilagineo)
- INTERAPOFISARIA: le faccette articolari fungono da artrodia.
Queste articolazioni cambiano in senso di inclinazione tra un distretto e l’altro della colonna.

Fondamentale a livello del rachide è il SISTEMA LEGAMENTOSO (forse uno dei più rigidi, ma allo stesso
tempo elastico). Presenta:

• PILASTRO ANTERIORE
- Legamento longitudinale anteriore (sup. anteriore dei corpi
vertebrali)
- Legamento longitudinale posteriore
Sono fondamentali soprattutto in caso di fratture.
• ARCO POSTERIORE
- Legamento giallo
- Legamento intertrasverso
- Legamento sovraspinoso
- Legamento interspinoso

La caratteristica biomeccanica dell’unità funzionale vertebrale/spinale


(unità motoria, formata da due corpi vertebrali fra di loro adiacenti e il
disco intervertebrale compreso/interposto – tessuti molli interposti
escludendone i muscoli) è il DISCO INTERVERTEBRALE. È formato
da:
- ANELLO FIBROSO: lamelle concentriche di tessuto
fibrocartilagineo denso che racchiudono al loro interno un nucleo polposo.
- NUCLEO POLPOSO: tessuto lasso molto idratato costituito per l’88% da acqua e per la restante porzione
da proteoglicani, fibrille collagene e cellule simil-cartilaginee.
Queste due porzioni permettono dei movimenti di inclinazione, rotazione e scivolamento.

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I nervi spinali forniscono risposte rapide e riflesse a numerosi stimoli. Per capire come avviene l’irradiazione del
dolore agli arti, bisogna ricordare che la distribuzione periferica dei nervi spinali obbedisce ad una
organizzazione metamerica, grazie alla quale le strutture cutanee, muscolari e connettive derivate da un
determinato metamero sono innervate esclusivamente da fibre afferenti ed efferenti di un nervo spinale.

Procedendo dal tratto cervicale a quello lombare l’inclinazione si verticalizza (fino a raggiungere 90°) e questo
spiega perché il tratto cervicale è più mobile in termini di rotazione, scivolamento o flesso/estensione.
Il disco intervertebrale integro, per quantità/qualità delle fibre, permette il corretto movimento, di sopportare i
carichi e di non creare delle problematiche di instabilità, che sono una delle cause della lombalgia.

PATOGENESI DOLORE LOMBARE


Le cause di un dolore lombare possono essere diverse:

Alla patogenesi contribuiscono diversi fenomeni:


• Displasia: incongruenza della superficie portante
• Turbe statiche: disassiamenti, squilibri, instabilità
• Sovraccarico: ponderale, professionale, sportivo

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Questi tre elementi conducono a iperpressione, con conseguente insorgenza della patologia disco-somatica e
articolare e, infine, condurranno a dolore meccanico.
Le cause che riguardano l’ortopedico sono quelle spondilogene che hanno delle caratteristiche di dolore
specifiche. Nelle cause spondilogene pure non sono presenti parestesie perché non abbiamo un interessamento
delle strutture neurologiche (per parestesie intendiamo una alterazione della sensibilità che si irradia lungo gli
arti con una organizzazione metamerica).

LOMBALGIE SPONDILOGENE
A causa di turbe statiche (instabilità, squilibri, disassiamenti), displasiche (incongruenza della superficie
portante) e da sovraccarico (ponderale, professionale, sportivo) si crea inizialmente un’IPERPRESSIONE legata
ai corpi vertebrali che agiscono sul disco intervertebrale, che fin quando può cerca di resistere a queste forze.
Quando, però, si perde la caratteristica del disco (patologia disco-somatica) o per sovraccarico si genera una
patologia a livello dell’articolazione (patologia articolare) si ha un DOLORE DI TIPO MECCANICO.
CASCATA DEGENERATIVA: dapprima si ha una fase di disfunzione recuperabile, dopo si passa ad una fase
di instabilità (con osteofitosi marginale che aumenta il contatto tra le superfici articolari, ma soprattutto porta,
nei casi più gravi, a spondilartrosi con perdita della motilità) e, infine una fase di stabilità.

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EZIOPATOGENESI
Le L.S. posso essere classificate in base alle cause che generano dolore. Distinguiamo:
CAUSE MINORI:
- Posturali: spesso coincidono con la fase di disfunzione. In particolare:
• Posizioni di lavoro o studio scorrette
• Eccessiva sedentarietà (non avere un adeguato trofismo o allenamento)
• Curve patologiche (paramorfismi e dismorfismi)
• Vizi posturali (creazione di posture di compenso che nel tempo possono causare dolore) Di solito si
agisce con una KINESITERAPIA, si cerca di togliere l’elemento che disturba l’equilibrio. Ginnastiche
specifiche, ad es. quella di Mezieres.
- Sindrome delle faccette articolari (FJS): sindrome algica caratterizzata da dolore tissutale profondo,
dovuto sia alla patologia degenerativa delle articolazioni interipofisarie posteriori, come avviene nelle
forme artrosiche, sia alla presenza di instabilità segmentale con conseguenti anomalie di impianto e/o
orientamento delle superfici articolari zigoapofisarie (iperlordosi lombare, diminuzione dello spazio
intersomatico, scoliosi, spondilolistesi, lesioni discali, ecc.).

Trattamento
Possiamo sempre iniziare con un trattamento conservativo, solitamente nei casi più lievi.
1° STEP: corsetto ortopedico (controlla meglio la postura), fisioterapia fisica e funzionale, terapia medica con
anti infiammatori
2° STEP (più invasivo): infiltrazione di corticosteroidi nella zona periarticolare posteriore, ozono a più livelli di
profondità (l’ozono ha un potere ox che, agendo sui doppi legami del carbonio negli acidi grassi insaturi,
provoca la formazione di perossidi reattivi. Questo determina due effetti: miglioramento dell’ossigenazione e
della circolazione locale e azione antinfiammatoria e analgesica locale), denervazione faccette articolari in
radiofrequenza (intervento mini-invasivo che consiste nell’introdurre un ago sonda nella schiena al fine di
raggiungere il nervo connesso alla faccetta articolare e distruggerlo in modo che al cervello non arrivi nessun
segnale di tipo dolorifico (termolesione).

CAUSE MAGGIORI (più importanti da un punto di vista clinico):


Ernie discali: fuoriuscita del materiale che costituisce il nucleo polposo dei dischi intervertebrali dopo rottura o
degenerazione dell’anulus fibroso, sede di micro traumi ripetuti nel tempo o micro fissurazioni. Non sempre
un’ernia dà dolore; spesso può essere misconosciuta.

CARATTERISTICHE
• BULGING DISCALE: schiacciamento e successivo scivolamento del disco con anulus integro. Aumento
dello spazio occupato dal disco che eccede il suo normale posizionamento – può comprimere parte del tubo
neurale o le sue radici
• PROTRUSIONE: rottura di alcune fibre dell’anulus, il nucleo polposo non è ben definito all’interno e cerca
di farsi strada in questo “varco” che si è creato – spesso si associa a problematiche a livello delle radici
nervose
• ESTRUSIONE: rottura dell’anulus con erniazione del nucleo polposo. Clinica più manifesta
• SEQUESTRO (ESPULSA O MIGRATA): migrazione di frammento del nucleo. Può portare ad una
risoluzione spontanea della sintomatologia. L’ernia espulsa può essere a sua volta sottolegamentosa,
translegamentosa o retrolegamentosa.
In base alla sede topografica l’ernia può essere:
- Mediana
- Paramediana (leggermente allontanata dalla linea mediana)
- Intraforaminale
- Extraforaminale (più laterale)

Ha una clinica che si rifà all’organizzazione metamerica. In base al punto in cui l’ernia compare:
• Dolore
• Deficit motori
• Parestesie/ipoestesie
• Riduzione/abolizione dei riflessi osteotendinei

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Nelle lombosciatalgie la sintomatologia interessa la parte posteriore o postero-laterale della coscia, della gamba
e parte laterale del retropiede, mentre la lombocruralgia si avverte a livello della superficie anteriore / antero-
laterale mediale.
Segni clinici specifici:

CLASSIFICAZIONE CLINICA DELLE ERNIE DISCALI INTERVERTEBRALI


- Solo disturbi sensitivi (60-70%): il trattamento spesso è conservativo;
- Disturbi sensitivi e motori (30-40%): è caratterizzato da dolore, ipoestesia/deficit muscolari e riduzione o
scomparsa dei riflessi. Molto spesso non regredisce con il trattamento conservativo, ma vi è la necessità di
ricorrere ad una chirurgia del disco. Ci sono diverse tecniche. Tra le più utilizzate abbiamo la discectomia
laser percutanea del disco o pldd che è una metodica mini-invasiva eseguita in anestesia locale con
metodiche percutanee. La vaporizzazione parziale del nucleo polposo determina la decompressione del
nervo interessato con l’obiettivo di ridurre l’ipertensione esercitata dal sistema disco-ernia sulla radice
nervosa. Limita, anche, la comparsa delle recidive, derivanti dalla sola ablazione. Ovviamente non può
essere eseguito, ad esempio, su un’ernia espulsa completamente perché non c’è continuità tra nucleo
polposo e l’ernia. Un’altra opzione terapeutica è l’infiltrazione del disco o discogel che consiste
nell’iniezione intradiscale di 0,8 ml di una miscela a base di alcol etilico che produce necrosi locale del
nucleo polposo e disidratazione dell’ernia.
- Sindrome cauda equina (rara urgenza ortopedica)

STENOSI SPINALE
Chiamata anche stenosi del canale vertebrale è un insieme di condizioni che determinano la riduzione dell’area
totale del canale vertebrale, dei recessi laterali e dei foramina nervosi. Può essere:
- Congenita
- Protrusioni locali concentriche
- Ipertrofia delle faccette articolari
La sintomatologia è caratterizzata da claudicatio neurogena (diversa da quella vascolare) e/o da radicolopatia
lombare o sacrale.

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TRATTAMENTO
1° STEP → trattamento conservativo nei gradi lievi. Tra i farmaci utilizzati abbiamo i corticosteroidi (indicati
nel dolore acuto di lombalgia e sciatalgia), miorilassanti, FANS e neurotrofici (L-acetil carnetina, acido alfa-
lipoico). Se corticosteroidi e FANS non sono sufficientemente efficaci, altre opzioni valide sono i
neuromodulatori (gabapentin) o gli oppiacei. Si possono utilizzare, anche, corsetti ortopedici e fare ricorso alla
fisiokinesiterapia (terapia fisica, ginnastica posturale di Meizieres)
2° STEP → Intervento chirurgico: si vanno a rimuovere le lamine che creano l’arco vertebrale posteriore, si
libera il canale neurale e si crea un’artrodesi che limita il recidivarsi della compressione.

SPONDILOLISTESI
Può essere:
- Istmica: si ha una rottura del peduncolo e lo scivolamento che ne consegue può essere repentino, ma il più
delle volte non crea un meccanismo di strozzo sul tubo neurale (si sposta la vertebra senza tirarsi dietro
l’arco posteriore, quindi non si ha una compressione). Il più delle volte avviene per caratteristiche
traumatiche in sportivi (tuffatori, pesistica, ginnastica artistica in alcuni casi) e inizialmente può non dare
dolore;
- Degenerativa: più caratteristica di soggetti che negli anni hanno avuto un cambiamento delle caratteristiche
strutturali della vertebra e pian piano diventano instabili. In questo caso l’integrità dell’istmo, del peduncolo
porta ad una compressione del tubo neurale con conseguente dolore. Nella spondilolistesi molto spesso
abbiamo l’alterazione del sagittal balance, cioè dei carichi che dall’occipite arrivano al bacino quando la
colonna non riesce a bilanciare bene.
A livello radiografico è caratteristico lo SCOTTY-DOG SIGN.
Da un punto di vista clinico è presente DOLORE LOMBARE COSTANTE, soprattutto quando è presente
compressione neurale, che non risponde alle terapie farmacologiche sistemiche o locali e alla FKT. Per
questo motivo si arriva spesso al trattamento chirurgico. La tecnica maggiormente utilizzata si chiama
ARTRODESI STRUMENTATA (chirurgia open) e mira alla fusione di uno o più segmenti vertebrali
mediante l’utilizzo di viti peduncolari, barre, cages, per ristabilire l’anatomia funzionale. L’insieme di due
tipi di fusione costituisce l’artrodesi circonferenziale e permette di raggiungere una corretta stabilizzazione.

INSTABILITÀ
Sono dei micro o macro movimenti tra le vertebre causati da difetti delle
articolazioni vertebrali posteriori e/o anteriori. Sono degli scivolamenti
emblema dell’instabilità vertebrale. La condizione patologica è
caratterizzata da un lento e progressivo scivolamento in avanti di una
vertebra rispetto a quella sottostante. Le vertebre maggiormente colpite
sono L4, L5 ed S1.
È caratterizzata da:
• Dolore lombare costante, con crisi di blocco tale da limitare
notevolmente la vita di relazione, lavorativa e sportiva
• Dolore che non risponde alle terapie farmacologiche sistemiche o
locali e alla FKT
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• Dolore non sempre supportato dall'aiuto della diagnostica per immagini

ESAME CLINICO
• Età del paziente
• Impotenza funzionale
• Dolore: cronologia, carattere e risposta ad un precedente trattamento, localizzazione (eventuale
irradiazione), fattori aggravanti (tosse, starnuto, sforzo ecc.), fattori allevianti (riposo, esercizio, farmaci)

ESAME OBIETTIVO
L'esame clinico deve essere completato con la ricerca dei segni particolari evocati da manovre diagnostiche
specifiche quale la manovra di Lasègue: Elevazione passiva dell'arto inferiore in estensione. devono essere notati
la presenza e l'intensità del dolore e l'angolo fino al quale può venire alzato l'arto teso, per valutare anche
l'andamento della malattia nel tempo. La positività (comparsa del dolore) o l'impossibilità di eseguire il
movimento depone per la sofferenza di una radice nervosa bassa (L4, L5, S1). La manovra va eseguita
bilateralmente.
Livello L4
• valutazione della funzionalità muscolare: la radice nervosa di L4 è meglio valutabile esaminando la
flessione dorsale della caviglia, e viene attuata contraendo il muscolo tibiale anteriore.
• valutazione della sensibilità tattile: il dermatomero di pertinenza della radice L4 è localizzato in
corrispondenza del margine mediale della gamba e si estende oltre il malleolo mediale.
• valutazione dei riflessi osteotendinei: la radice L4 viene valutata evocando il riflesso quadricipitale.
Livello L5
• valutazione della funzionalità muscolare: la radice nervosa di L5 è meglio valutabile Esaminando il
muscolo estensore lungo dell'alluce, che ne estende la falange distale.
• valutazione della sensibilità tattile: il dermatomero di pertinenza della radice L5 è localizzato in
corrispondenza della regione antero-laterale della gamba e si estende sulla parte dorsale del piede.
• valutazione dei riflessi osteotendinei: la contrazione del bicipite femorale nella sua porzione mediale può
essere utilizzata per la valutazione della radice di L5.
Livello S1
• valutazione della funzionalità muscolare: la radice nervosa di S1 si valuta esaminando la flessione
plantare del piede attuata dai muscoli gastrocnemio e soleo. Questa è effettuata chiedendo al paziente di
assumere la stazione eretta in punta di piedi.
• valutazione della sensibilità tattile: il dermatomero di pertinenza della radice S1 è localizzato in
corrispondenza della regione posteriore del polpaccio e si estende distalmente al calcagno, per proseguire
lungo il bordo laterale del dorso del piede.
• valutazione dei riflessi osteotendinei: la contrazione in flessione plantare della caviglia può essere
utilizzata per la valutazione della radice S1; si può avere un indebolimento o assenza del riflesso achilleo.

SINDROME DELLE FACCETTE ARTICOLARI


È la principale causa di lombalgie. È la fase immediatamente successiva al disturbo intervertebrale minore con
cui è molto simile. È una sindrome algica caratterizzata da dolore dovuto sia alla patologia degenerativa delle
articolazioni interapofisarie posteriori, come tipicamente avviene nelle forme artrosiche, sia alla presenza di un
quadro di instabilità segmentale con conseguenti anomalie di impianto e/o di orientamento delle superfici
articolari delle faccette vertebrali. È il principale motivo per cui il pz si reca dal medico. Il quadro di instabilità
provoca infiammazione e dolore. È una patologia dovuta all’adattamento delle faccette articolari in seguito ad un
problema discale, si potrebbe definire come un’artropatia da usura delle faccette articolari.

ERNIE
Affezione caratterizzata dalla dislocazione del nucleo polposo (costituito principalmente da acqua) a causa della
rottura o sfiancamento dell’anello fibroso del disco. Si può avere dunque la protrusione del materiale discale
verso le radici nervose che può essere di diverso tipo: il peggiore dal punto di vista anatomo-patologico non è
detto che sia il peggiore dal punto di vista clinico.
Le ernie peggiori si hanno quando l’ernia è contenuta dal legamento longitudinale posteriore. In questo caso la
pressione sulle radici nervose sarà maggiore e la sintomatologia più eclatante. Quando invece il disco e il
legamento si rompono e il nucleo polposo non viene contenuto, non esercita una elevata pressione sulle radici
nervose e la sintomatologia si risolve passata la fase acuta.
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Possiamo distinguere le ernie in:


- Espulsa
- Espulsa migrata
- Sottoligamentosa
- Sottoligamentosa migrata
Anche la posizione dell’ernia può far variare la sintomatologia:
- Se l’ernia è centrale la sintomatologia può anche essere
assente
- Se l’ernia è intraforaminale, extraforaminale o
paramediana la sintomatologia periferica sarà più
importante per compressione della radice nervosa.
In base alla radice del nervo interessata, la sintomatologia può
essere diversa:
- Lombosciatalgia: per compressione di L5- S1
- Lombocruralgia: per compressione di L2- L3.
La sintomatologia può essere sia motoria che sensitiva. Le parestesie sono in genere il primo sintomo.
La diagnosi di ernia del disco può essere fatta con la RM che ci serve per caratterizzare l’ernia ed impostare il
giusto trattamento. In passato il trattamento era prettamente chirurgico. Oggi si può decidere di attuare una
terapia conservativa (farmacologica principalmente, infiltrazioni di cortisone) o una terapia chirurgica. La
terapia chirurgica sostanzialmente consiste nella discectomia, cioè nella rimozione del disco intervertebrale
erniato. La microdiscectomia (a cielo aperto) è il classico trattamento chirurgico, che si effettua a livello lombare
mediante l’apertura di un piccolo sportello osseo per accedere posteriormente al canale (laminectomia) e
rimuovere il frammento discale erniato, a livello cervicale mediante un approccio anteriore attraverso una
piccola incisione in una piega del collo, asportando l’ernia dopo rimozione dell’intero disco intersomatico, talora
posizionando una protesi intersomatica (cage in metallo o in ceramica). Tecniche percutanee comprendono la d.
endoscopica mediante penetrazione laterale del disco con una sonda attraverso la quale vengono utilizzati
strumenti analoghi a quelli della chirurgia a cielo aperto, miniaturizzati, e la d. endoscopica mediante
penetrazione posteriore mediana, attraverso il canale vertebrale, tecnica del tutto analoga alla microdiscectomia
classica ma in dimensioni ridotte.
Se il pz non ha disturbi motori ma ha solo dolori o parestesie, si deve temporeggiare perché questi sintomi
possono regredire con la giusta terapia medica e riabilitativa. Quando invece si ha una sintomatologia motoria
con deficit trofico del muscolo innervato dalla radice compressa, si deve fare l’intervento chirurgico.

STENOSI
Il canale spinale è formato dall’unione tra la parte anteriore della colonna e la parte posteriore. L’unione tra i 2
semiarchi, forma un foro che è il canale spinale. Il canale spinale ha un diametro che può essere stenotico per
varie cause:
- Stenosi congenita
- Ernie del disco mediane
- Ipertrofia delle faccette articolari a causa dell’instabilità.

Molte categorie professionali come i braccianti agricoli o coloro che stressano molto la colonna, hanno stenosi
del canale spinale proprio perché si è sviluppata un’ipertrofia delle faccette articolari.
Essendo patologie croniche, raro è il dolore acuto. Più frequentemente si ha una sintomatologia cronica
caratterizzata dalla claudicatio neurogena.

Claudicatio neurogena Claudicatio vascolare


- Diminuisce stando seduti, sdraiati o chinandosi in - Diminuisce a riposo per riduzione della
avanti perché lo spazio si allarga un po’ richiesta di sangue
- Ipostenia, ipoestesia - Segni di ipoafflusso periferico

Le radiografie non mostrano niente di particolare. La TC può essere utile per capire il motivo della stenosi. La
terapia chirurgica consiste nella rimozione dell’osso in esubero e la stabilizzazione della
colonna con mezzi di sintesi.

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SPONDILOLISTESI/ SPONDILOLISI
La spondilolistesi è lo scivolamento di una vertebra sopra la sottostante. Una
vertebra può scivolare solo sulla sottostante poiché è tutta la colonna che scivola
su quella vertebra. Quindi si dice ad es. che si ha una spondilolistesi L5 che
indica lo scivolamento di L5 su S1. Se dico spondilolistesi di L4 vuol dire che
L4 sta scivolando su L5.
Ci sono diversi gradi di spondilolistesi secondo la classificazione di Meyerding
che prevede 5 gradi. L’ultimo grado (scivolamento > 75%) è la spondiloptosi.
Spesso alla spondilolistesi si associa il concetto di spondilolisi. La spondilolisi è
l’interruzione dell'istmo osseo che congiunge la faccetta articolare superiore con
quella inferiore. L’istmo può lesionarsi nelle diverse età.
Esiste la spondilolisi senza la spondilolistesi. La spondilolistesi avviene più
frequentemente se è associata la spondilolisi perché se si rompe l’istmo, l’unica
struttura che trattiene i corpi vertebrali dallo scivolamento è il disco.
Paradossalmente, nei giovani il rischio di spondilolistesi in presenza di rottura
dell’istmo è più frequente proprio perché il disco è più morbido. Quando invece
non c’è spondilolisi, la vertebra può scivolare per vari motivi, in genere processi
degenerativi a carico delle varie componenti dell’articolazione vertebrale.
Come possiamo distinguere le due condizioni clinicamente?
In una spondilolistesi istmica (con spondilolisi) il canale spinale non solo non
si restringe ma si può anche allungare → no sintomi → diagnosi tardiva spesso
occasionale.
In una spondilolistesi degenerativa invece, l’integrità dell’arco neurale può causare un inghigliottinamento
delle radici nervose → stenosi con claudicatio anche per spondilolistesi di grado I.
Radiograficamente, un segno caratteristico di spondilolisi nella proiezione obliqua è il segno del cagnolino con
il collare o del cagnolino decapitato.
La terapia è indicata soprattutto nei pz giovani e consiste nella stabilizzazione circonferenziale (artrodesi)
attraverso un approccio chirurgico posteriore. Si associa anche la protesi discale.

CERVICALGIE
Le cervicalgie sono affezioni dolorose della regione cervicale la cui eziologia può essere diversa:
▪ Di origine rachidea: significa che la sintomatologia dolorosa è provocata da patologie che colpiscono il
rachide cervicale. Queste patologie possono essere di natura:
- Degenerativa: spondiloartrosi cervicale, spondilodiscoartrosi (che coinvolge le articolazioni
intervertebrali e il disco intervertebrale), ernia discale
- Traumatiche: distorsioni cervicali, fratture cervicali
- Infiammatorie/infettive
- Neoplastiche
▪ Di origine extrarachidea: sono una serie di patologie che provocano una sintomatologia dolorosa
localizzata al collo, spalla e arto superiore che sono spesso confuse con radiculopatie. Tra queste malattie
abbiamo la sindrome dell’egresso toracico che può essere di 2 tipi: neurogena vera con compressione del
plesso brachiale a causa di un fascio anomalo di tessuto che connette C7 a T1; arteriosa se viene compressa
l’a. succlavia da parte di una costa sovrannumeraria cervicale.
▪ Di origine midollare: se sono presenti patologie come neoplasie, siringomielia, sclerosi a placche.

La cervicobrachialgia è una condizione dolorosa del collo e dell’arto superiore (fino anche alle dita) causata
dalla compressione delle radici nervose di C5, C6 e C7, di solito monolaterale. Può essere causata dalla presenza
di osteofiti o da ernie discali. Si associa a parestesie ed ipoestesie. Terapia farmacologica con FANS e
cortisonici. Collare in alcuni casi.

ARTROSI CERVICALE
È una patologia che riguarda circa il 70% dei soggetti oltre i 70 anni. È caratterizzata da dolore al collo, irradiato
al braccio (cervicobrachialgia) o all’occipite (cervico-cefalgia se interessate c2-c4). Possono essere presenti
anche contratture muscolari (torcicollo), rigidità del collo, e manifestazioni neurologiche come parestesie o
ipoestesie. La terapia è fondamentalmente farmacologica con antidolorifici e miorilassanti. La terapia chirurgica
è indicata nei casi in cui c’è un danno neurologico di alto grado.
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SPALLA
Sembra un’unica articolazione ma è in realtà formata da molteplici articolazioni:
• Scapolo-omerale: quella più importante, quella che nel gergo comune viene identificata con l'articolazione
della spalla
• Sterno-clavicolare: articolazione molto ferma, stabilizzata da svariati legamenti; l’elemento di connessione
più mediale tra lo scheletro assile e appendicolare
• Acromion-clavicolare: citato soprattutto in caso di lussazioni
• Scapolo-toracica: non è una vera e propria articolazione perché non presenta una membrana sinoviale, non ha
un ambiente articolare né una capsula articolare, bensì ha dei movimenti di scivolamento lungo la gabbia
toracica sulla sua superficie posteriore ed è fondamentale avere questi movimenti di scivolamento nella
biomeccanica proprio per avere un movimento armonico.

La spalla, come sapete bene, è l'articolazione più mobile del nostro corpo; un’enartrosi che a differenza dell'anca
(altra enartrosi) è una struttura molto delicata: la testa supera di gran lunga la superficie della scapola (6:1),
mentre nell'anca abbiamo un acetabolo che per 2/3 copre la testa del femore.
Questo è molto importante per le lesioni che ora andremo a vedere proprio perché l'incidenza dei traumi della
spalla è elevata.
Lo spazio sub-acromiale è lo spazio tra acromion e la testa dell'omero: è da attenzionare perché questo spazio
deve esserci dato che accoglie la borsa tendinea e perché permette il passaggio al nervo sovraspinoso. È di
fondamentale importanza soprattutto nella patologia dell’Impingement Subacromiale (trattata in seguito).

ANATOMIA DELLA SPALLA


Scapola
Osso piatto, pari, simmetrico e semimobile dove si riconoscono strutture importanti:
-La cavità glenoidea
-L’acromion, continuazione della spina scapolare che divide in due parti la scapola: anteriore e superiore dove
alloggia il muscolo sovraspinato (della cuffia dei rotatori) e una parte inferiore dove alloggia il sottospinato.
-Il processo coracoideo: vi si inseriscono due tendini definiti come tendine congiunto, cioè il capo breve del
bicipite e il muscolo coracobrachiale.
Sulla faccia anteriore della scapola prende inserzione il muscolo sottoscapolare, altro muscolo della cuffia dei
rotatori.

Clavicola
Osso a S italica, primo centro di ossificazione intrauterino dalla 5° settimana che completa la chiusura della fisi
mediale attorno ai 23-25 anni, è un elemento di connessione tra lo scheletro assile e appendicolare.
Osso piatto, pari, simmetrico, semimobile e con numerosi punti di inserzione muscolare.

Omero
In questo caso è di nostro interesse la parte prossimale.
Distinguiamo:
-Le due tuberosità: grande (trochite) e piccola (trochine),
elementi importanti di inserzione della cuffia dei rotatori
-L’epifisi prossimale che è una superficie sferica ricoperta
quasi totalmente di cartilagine con una incisura
fondamentale per le fratture a questo livello (punto critico
di passaggio per alcuni vasi che, se danneggiati, possono
portare a ciò che avete visto nelle fratture della testa del
femore).
Caratteristica del cingolo scapolare è che ci sono degli
angoli fondamentali da conoscere che ci permettono di
capire la biomeccanica complessa di quella che è la
articolazione più mobile del nostro corpo.
L’asse cervico-diafisario solitamente tra 130-150° e anche
un grado di retroversione (nel femore c’è un grado di
antiversione, nell’omero c’è un grado di retroversione tra

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20-30°).
La glena è leggermente retroversa e inclinata verso l’alto di circa 5° e nell’insieme la scapola ricordiamo che non
risulta in parallelo rispetto al piano trasversale posteriore, ma ha una inclinazione di circa 30° e questo ci
interessa dal punto di vista radiografico per alcune proiezioni specifiche che permettono di studiare meglio la
spalla.
VASCOLARIZZAZIONE

INNERVAZIONE

• C5-T1 plesso brachiale


• Rami sopraclavicolari
• Rami sottoclavicolari
• Rami terminali: n. radiale, n. mediano, n. ulnare; n.
ascellare (innerva il deltoide), n. muscolocutaneo che
passa sotto il processo coracoideo ed è importante
per il muscolo brachiale.

ARTICOLAZIONE SCAPOLO-OMERALE
La superficie articolare dell’omero è di gran lunga maggiore della glena, solitamente è cinque volte maggiore
come superficie, l’indice glenomerale (GHI: 0,75-0,76) ci fa capire questa sproporzione tra superfici, e per
questo è considerata l’articolazione più instabile che abbiamo nel nostro corpo. Per aumentarne la stabilità
esistono dei vincoli statici e dinamici.
▪ Vincoli statici:
- Superficie articolare:
• Contatto articolare
• Inclinazione scapolare, che permette in un certo senso di far combaciare le due superfici
• Pressione intra articolare, che può esserci dato che è una cavità chiusa
- Parti molli:
- Legamento coraco-omerale: che parte dalla coracoide e va ad inserirsi sull'omero
- Capsula articolare: può essere interessata da capsuliti (retrazione infiammatoria del LGOI) che
alza la testa dell’omero e crea fastidi e limitazioni nei movimenti.
- Cercine: formata da tessuto fibroso ha la forma come di una pera, slargata in basso proprio per la
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gravità. È una sorta di aumento concesso dalla glena per alloggiare meglio la testa omerale che si
continua con i legamenti glenomerali e quindi con la capsula.
- Legamenti gleno-omerali

▪ Vincoli dinamici sono invece il "motore" di questa spalla


- Muscoli della cuffia dei rotatori che creano un manicotto, un appoggio per la testa dell'omero
- Deltoide: il principale motore, senza il quale nessun movimento potrebbe avvenire
- Bicipite: il suo tendine prossimale va ad inserirsi all'interno del labbro glenoideo superiore
(parzialmente intracapsulare)
I legamenti gleno-omerali sono 3: hanno la funzione di stabilizzare il tutto proprio perché sono degli
ispessimenti nastriformi della capsula articolare
• legamento gleno-omerale superiore: se visibile è molto piccolo
• legamento gleno-omerale medio: è il più grande, origina sotto il LGOS nella regione sotto acromiale.
Assieme al tendine del sottoscapolare limita la rotazione esterna, rinforza anteriormente la spalla (si oppone
alla trazione anteriore = ti tiro il braccio) e inoltre si oppone alla traslazione inferiore.
• legamento gleno-omerale inferiore: ha origine proprio a livello del cercine, può anche originare dall’osso
e arriva al collo anatomico dell’omero, crea una sorta di sostegno inferiore alla testa.

LEGAMENTI DELLA CUFFIA DEI ROTATORI


Sono i tendini dei muscoli della cuffia dei rotatori che, in ordine cranio-caudale, sono:
- Sovraspinoso: origina dalla fossa sovraspinosa a livello della superficie posteriore della scapola e si
inserisce a livello del trochìte (grande tuberosità dell'omero), avvolgendo la parte superiore della testa
dell’omero.
- Sottospinoso: origina dalla fossa sottospinosa della scapola e si inserisce sempre sul trochite ma
inferiormente al sovraspinoso.
- Piccolo rotondo: piccolo muscolo che origina dal bordo laterale della scapola e si inserisce sempre a livello
del trochite, ma inferiormente al sottospinoso. Ha una funzione esigua nel movimento di extrarotazione ma
è comunque molto importante per la stabilità della scapola.
- Sottoscapolare: è adeso alla faccia anteriore della scapola, origina dalla fossa sottoscapolare ed è l’unico
che si inserisce anteriormente sul trochine, la piccola tuberosità dell’omero. È adibito all’intrarotazione
della testa omerale.

La cuffia dei rotatori non può essere vista come dei compartimenti singoli e indipendenti, è tutto un sistema
interconnesso. La vera azione della cuffia è quella di centrare costantemente la testa dell’omero sulla glena al
servizio del deltoide.
Serve a resistere a delle forze orizzontali e verticali: i l deltoide senza cuffia non permetterebbe l’abduzione,
perché come muscolo isolato è un elevatore e semplicemente alzerebbe l’omero verso l’alto.

Sovraspinoso

Sottospinoso

Sottoscapolare
Piccolo rotondo

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TEST PER LA CUFFIA


Vengono eseguiti per evidenziare lesioni dei tendini della cuffia dei rotatori:
• Test di Jobe
• Test di Patte
• Drop sign
• Lift off Test
• Napoleon Test

Test di Jobe
L’esaminatore contrasta la forza di elevazione dell’arto mantenuto abdotto a 90°, anteposto di 20° e intraruotato
90°. Il deficit di forza indica la rottura del tendine sovraspinoso.

Test di Patte
Si chiede al paziente di extraruotare la spalla contro resistenza mantenendo l’arto lungo il fianco e con il gomito
flesso a 90°. Il dolore in extrarotazione contrastata definisce il test positivo per lesione del tendine infraspinato.

Lift off
Il paziente viene invitato a porre il dorso della mano a livello della regione lombare. La positività del test è data
dall’impossibilità di scostare la mano dal tronco e indica una lesione del tendine sottoscapolare.

Napoleon test
Il paziente deve premere il palmo della mano contro l’addome mantenendo anteriorizzato il gomito. La flessione
del polso indica la lesione del tendine sottoscapolare.

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TEST PER LA VALUTAZIONE DEL CLBB


• Segno di popeye o di ludington:
- si effettua facendo contrarre al paziente entrambi i bicipiti con le mani poste sulla testa;
- tumefazione regione anteriore del braccio alla flessione del gomito.
• Test di Speed, Test di Yergason: positivi nella patologia infiammatoria o degenerativa una retrazione
distale del ventre muscolare o una mancata contrazione è indicativa di rottura del capo lungo del bicipite

Una retrazione distale del ventre muscolare o una mancata contrazione è indicativa di rottura del capo lungo del
bicipite.

PALPAZIONE SOLCO CLB


Dolore alla palpazione del solco in elevazione contrastata.

ESAMI STRUMENTALI
• RX: esame di 1° livello da eseguire in due proiezioni, antero-posteriore e laterale.
• Ecografia: esame preliminare nel caso di lesioni muscolari, tendini della cuffia, borsiti o sinoviti. È un
esame a basso costo, ripetibile ma operatore dipendente.
• TC: utile come approfondimento diagnostico, preferita alla RM nella valutazione delle superfici ossee e
delle calcificazioni, scarsa risoluzione delle strutture cartilaginee, indispensabile nel planning pre
operatorio.
• RMN: esame di 2° livello utile per la valutazione dei tessuti molli.

LE PRINCIPALI PATOLOGIE DELLA SPALLA


• Lussazioni, patologia subacromiale, lesioni cuffia ed instabilità
• Fratture della clavicola
• Fratture dell’omero prossimale
• Omartrosi (vedi capitolo osteoartrosi)

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PATOLOGIA SUBACROMIALE
L'acromion è un elemento osseo che sta al di sopra della testa dell'omero e ovviamente può essere interessato da
patologie che possono limitare il movimento della scapola che si manifestano con la riduzione dello spazio
subacromiale. Il conflitto subacromiale è una patologia infiammatoria degenerativa della spalla che si realizza
nello spazio subacromiale che coinvolge il tendine del muscolo sopraspinato con l’acromion e il legamento
coraco- acromiale.
Sindrome da conflitto o “Impingement Syndrome”: patologia degenerativa e infiammatoria della spalla che si
realizza all’interno dello spazio sottoacromion-coracoideo durante i movimenti di abduzione e anteroposizione
della spalla. E’ il primum movens della tendinopatia della cuffia dei rotatori, soprattutto negli sportivi (baseball,
tennis, nuoto). Questo spazio a livello subacromiale è occupato dalla borsa subdeltoidea che ha la funzione di
ridurre gli attriti.
Cosa può portare all’ impingement sub-acromiale?
• Movimenti ripetuti di sollevamento delle braccia sopra la testa (per attività sportive o lavorative);
• Squilibrio dei muscoli che partecipano ai movimenti della spalla, incapacità da parte dei muscoli della cuffia
dei rotatori di funzionare da stabilizzatori e movimento anomalo della scapola;
• Spazio subacromiale (in cui scorre il tendine del sovraspinato) geneticamente ristretto per via della forma
dell’acromion (uncinata o incurvata) in alcuni soggetti. Normalmente questo spazio misura dai 10 mm ai 3 mm;
• Artrosi dell’articolazione acromion-claveare;
• Formazione di “becchi” dati dall’artrosi acromion/claveare che grattano il muscolo generando infiammazione e
sfilacciamento.
• Traumi alla spalla (che possono causare calcificazione del legamento coraco-acromiale;
• Infiammazione ai tendini e tenosinovite;
• Tendenza alla formazione di osteofiti;
• Retrazioni capsulari;
• Perdita della cuffia dei rotatori per migrazione superiore della testa dell’omero.
Le cause possono essere diverse:
- Conflitto primario: compressione estrinseca, per una perdita di equilibrio si riduce lo spazio
subacromiale creando prima una borsite, lesione parziale o totale, lesione massiva, artropatia.
- Conflitto secondario: degenerazione intrinseca, quindi nasce dalla cuffia dei rotatori, a livello di strutture
che creano un danno organico e una riduzione dello spazio subacromiale; frequente è la degenerazione
intrinseca del tendine sovraspinoso, soprattutto in un soggetto dopo i 45-50aa.
- Borsiti: se si infiamma la borsa aumenta di dimensioni e crea conflitto
- Lesioni della cuffia dei rotatori (in particolare del sovraspinoso):
• Bursali (parziali)
• Interstiziali (degenerativa)
• Articolari
• Complete
• Artriti
• Capsuliti
La lesione parziale comporta:
1. aumento di carico alle fibre vicine
2. il distacco delle fibre dall’osso diminuisce la forza che può sviluppare il muscolo
3. altera il supporto ematico
4. espone il tendine ad enzimi litici che rimuovono qualsiasi ematoma utile alla guarigione del tendine
Se non prevenuta o correttamente trattata una lesione parziale può trasformarsi nel tempo in lesione totale.

CONDIZIONI ASSOCIATE
Ci possono essere delle alterazioni anatomiche (anche fisiologiche) che possono predisporre a queste patologie:
• Acromion piatto, curvo o uncinato (nel 40% dei casi!). Quanto più si va a piegare questo acromion, tanto
più si avranno delle problematiche di conflitto estrinseco perchè si riduce lo spazio ed è più facile che le
strutture vengano schiacciate contro l’acromion. Per cui appena ci viene un paziente con i sintomi che
vedremo non dobbiamo subito pensare ad una lesione del sovraspinoso ecc. per prima cosa si fa una
radiografia (se abbiamo un problema all'acromion naturalmente il trattamento è differente). Un’altra
causa è una rigidità post-traumatica del legamento glenomerale inferiore.
• Discinesia scapolare: equilibrio perso nei muscoli della scapola
• Problemi di instabilità

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• Os acromiale: mancata fusione di nuclei di accrescimento dell’omero

ITER DIAGNOSTICO
Anamnesi ed Esame Obiettivo
• test di Neer
• test di Yocum
• test di Jobe
• dolore notturno
• crepitio
• dolore durante attività sportive e/o lavorative
Indagini strumentali
• RMN
• Ecografia
• TC

GRADI DI MALATTIA
• Edema ed emorragia: quando i danni sono provocati da traumi o iperattività. Di solito ne soffrono gli sportivi
di età inferiore ai 25 anni
• Borsiti e tendiniti: in questi casi a risentirne sono, in particolare, gli uomini dai 25 ai 40 anni che difficilmente
riescono a guarire del tutto
• Tendinosi gravi e lesioni dei tessuti tendinei: questo stadio elevato della malattia colpisce in particolare uomini
e donne della fascia over 50.

TRATTAMENTO
• Conservativo (per almeno 6 mesi): Riposo, FANS, Ghiaccio, Infiltrazioni, Fisiochinesiterapia (laserterapia,
elettroterapia antalgica, chinesiterapia)
• Chirurgico

LESIONI DELLA CUFFIA DEI ROTATORI


La patologia subacromiale poi evolve in una lesione della cuffia dei rotatori:
• Pz > 60-70 anni
• Rara nei giovani Fattori di rischio
• età
• fumo
• ipercolesterolemia
• familiarità
• lavori pesanti o sport specifici
EZIOLOGIA
• Lesioni croniche degenerative (degenerazione intrinseca)
• pz anziani
• può interessare tutti i tendini della cuffia Impingement cronico
• la lesione inizia a livello bursale o nel contesto tendineo Iatrogena
• durante interventi chirurgici specifici Traumatica
• lesioni sottoscapolare nei giovani pz
• lesioni associate in pz > 40 anni o atleti (soprattutto lanciatori)

TIPOLOGIA
Dobbiamo considerare anche le lesioni della cuffia dei rotatori (sovraspinoso in primis) possono essere parziali o
complete.

Parziali
Le parziali si differenziano in:
• Articolari (impingement interno) quando la superficie del tendine colpita è rivolta verso l'articolazione;
• Interstiziali quando la lesione è nel corpo del tendine;
• Bursali quando ad essere interessata è la superficie esterna del tendine (in contatto con lo spazio
subacromiale) che naturalmente non possiamo vedere con l'artroscopia ma utilizzeremo l’ecografia o

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eventualmente la RM. La bursale spesso è la prima che si verifica quando c’è un impingement perchè si
riduce lo spazio subacromiale.
Le lesioni parziali comportano un'alterazione dell'equilibrio muscolare che permette il movimento e quello che si
viene a determinare è che le fibre che rimangono saranno caricate maggiormente e possono andare incontro ad
usura fino alla degenerazione; quindi, si va man mano a diminuire la forza del muscolo; si può anche andare
incontro ad una degenerazione dei vasi perché nel momento in cui non c'è continuità, i vasi muoiono e quel
tendine si degrada. Un tessuto che non è più vitale espone il tendine a tutta una serie di enzimi litici fisiologici
che non colpiscono solo il tendine degenerato ma anche le fibre sane. Quindi una lesione parziale può diventare
anche completa e questo porta ad una terapia che sarà più cruenta. Se non trattata, da parziale può diventare
totale!

(Lesioni parziali della cuffia dei rotatori)

La patologia può trovarsi a diversi stadi di gravità che in base alla classificazione di Neer sono divisi in:
- Stadio 1: borsite subacromiale e tendinite del sovraspinoso; è tipica dei soggetti più giovani (<25 anni) ed è
una condizione reversibile caratterizzata da dolore per i movimenti di abduzione ampia del braccio. I test
clinici del conflitto sono positivi (test di Neer, test di Hawkins, test di Jobe).
- Stadio 2: fibrosi e tendinite; in genere si trova nei soggetti tra 25-40 anni. In questo caso abbiamo un
ispessimento della borsa sub-acromiale, tendinosi del sovraspinato e del capo lungo del bicipite. C’è dolore
ricorrente durante l’attività fisica e ci sono segni ecografici di sofferenza tendinea.
- Stadio 3: speroni ossei e rotture tendinee; più frequente nelle età più avanzate caratterizzata da dolore
continuo e limitazione funzionale importante.→ artropatia da rottura della cuffia dei rotatori

Totali
Le totali si differenziano in:
• Crescent: rimane a livello tendineo.
• U-V shape: è una degenerazione molto avanzata che ha
raggiunto il muscolo e può interessare anche la capsula
articolare. Il recupero funzionale sarà molto più lento.
• L shaped
• Reverse L
• Trapezoidal
• Massive tear full thickness rotator cuff tears
Storia naturale delle lesioni tendinee non trattate:
tendine normale eccessivamente utilizzato→ rottura a spessore parziale→ rottura a
spessore totale

CLASSIFICAZIONE TOPOGRAFICA
Settore A (lesioni anteriori): tendine sottoscapolare, rotator interval e LHB tendon
Settore B (lesioni centrali superiori): tendine sovraspinato
Settore C (lesioni posteriori) del sottospinato e teres minor
Le immagini TC ci permettono di distinguere una lesione acuta da una cronica,
quest’ultima presenterà un ventre muscolare ridotto e infarcito maggiormente di
grasso, quindi le lesioni richiederanno trattamenti diversi. La degenerazione grassa
avviene spesso in lesioni traumatiche trascurate.
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ITER DIAGNOSTICO
Anamnesi, che deve essere accurata: ispezione, vediamo come muove la spalla; palpazione dei punti dolorosi;
• Età
• Tempo intercorso dell'ultima lussazione
• Numero di lussazioni
• Meccanismo traumatico
• Semeiotica clinica: ci sono vari test che possiamo fare per valutare la stabilità dell'articolazione
• Sulcus sign: si vede uno spazio quando noi spingiamo l'omero verso il basso.
• Cassetto anteriore: sentiamo uno scatto quando spingiamo la testa dell'omero.
• Apprehension test: ci poniamo dietro al pz, una mano sul deltoide e portiamo il braccio addotto a 90°
verso dietro; il pz con instabilità anteriore di “spalla avrà la sensazione di “spalla che sta per uscire”,
avrà una contrazione involontaria e ci fermerà.
• Relocation test: manovra di rientramento dell'articolazione gleno-omerale con remissione della
sintomatologia, si utilizza in modo da diminuire l'apprensione del pz e poter continuare l'extrarotazione
“in modo da vedere se questa apprensione è giustificata”.
• Jerk test: per la stabilità posteriore (S.L.A.P. e H.A.G.L.); si fa in maniera dinamica prendendo tutto il
braccio e si vede se c'è un rumore (= jerk), tipo a scatti.
• Cassetto posteriore: come la precedente, si va sempre a stimolare la fuoriuscita questa volta
posteriormente. Si fa nel dubbio siamo di fronte ad una lesione del sottoscapolare.
• Apprensione posteriore: movimento contrario all’A. test anteriore.
I test li vedremo meglio dopo.
Durante i test con il ROM attivo facciamo muovere gli arti nello spazio liberamente per vedere i movimenti. Se
c’è una limitazione allora sarà accompagnato da un ROM passivo.
Dopo i test specifici si conferma con imaging.

CLINICA
Le lesioni parziali, soprattutto a livello della cuffia dei rotatori e nella maggior parte dei casi per il tendine del
sovraspinoso, hanno molto spesso questo comportamento:
• Il dolore aumenta durante la notte
• Ci può essere crepitio legato alla mancanza di continuità delle strutture; non per forza deve essere un
problema tendineo
• Dolore durante l’attività: sportiva, lavorativa, ma anche la casalinga che alza il braccio per prendere la
pentola I due sintomi tipici dell’instabilità di spalla sono il dolore e l’apprensione.
TEST FUNZIONALI
La prima cosa che chiediamo di fare al paziente è di alzare entrambe le braccia, per
vedere se c'è differenza di movimento tra il braccio sofferente e quello sano e se c'è
dolore nel movimento → painful arc +; nelle fasi più tardive può non esserci
dolore ma proprio impossibilità del movimento.
Poi facciamo il test di Hawkins: l'operatore sta dietro il paziente, una mano sulla
spalla, l'altra sull'avambraccio e si fa una rotazione interna con gomito in flessione
a 90°; in questo modo il trochite tocca il legamento coraco-omerale e se c'è
conflitto ci sarà dolore → test di Hawkins +.
Test di Jobe: usato per studiare il tendine del sovraspinoso. Si fa resistenza al
movimento del pz di elevazione del braccio tenuto abdotto a 90°, anteposto di 20° e intraruotato (con il pollice
verso il braccio); quando c’è un deficit di forza, non un dolore evocato dal movimento è spesso indice di una
lesione completa anche vecchia; quando l'evento è recente invece provochiamo dolore (fase acuta).
Test di Whipple: si mette il braccio verso l’altro lato del corpo e si cerca di muovere verso l’alto (un po’ come il
test di Jobe si fa resistenza); si vede se abbiamo un problema al sovraspinoso.
Speed test (palm up test): va a testare il muscolo bicipite; si chiede al pz di mettere il braccio esteso con il
palmo che ruota verso l'alto, nel momento in cui c’è un problema il pz sentirà dolore e non riuscirà a completare
il movimento.
Test di Neer: l’esaminatore si pone alle spalle del pz e si esegue una elevazione- adduzione passiva del braccio
intra-ruotato, mantenendo con l’altra mano la scapola abbassata: il test è positivo se evoca dolore. È il classico
segno di conflitto tra trochite e bordo antero-inferiore dell’acromion.

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Ci sono numerosi test e la comparazione con l’arto controlaterale è fondamentale per i test in ortopedia! Questi
test li nominiamo solamente, sono più specifici e sono moltissimi.

1. Test di impingement 5. Sottospinoso


• test di Neer, • ERLS (external rotation lag sign)
• test di Hawkins, • Test di Patte
• test di Yocum)
6. Test di lassità
2. Cuffia dei rotatori 0 è normale Positivo può • Load and shift test
essere • Sulcus sign
1: dolore
2:deficit di forza 7. Test di instabilità
3: impotenza funzionale • Apprension test
• Relocation test
3. Tendine sottoscapolare • Test di Rockwood, di Gagey, Jerk test
• Test di lift-Off
• Belly-Press test (di Napoleone)
• Bear-Hug test

4. Sovraspinato
• Test di Jobe
• Test di Whipple

IMAGING
RX: AP di routine, per le fratture; AP vera o obliqua. Si considera per deficit ossei conseguenza di un trauma
lussativo e se voglio vedere il rapporto tra glena e omero anche AP extra, AP intra, Stryker Notch view.

Ecografia: esame preliminare nel caso di lesioni muscolari, tendini della cuffia, borsiti o sinoviti. È l’unico
esame dinamico. E’ ripetibile, a basso costo, ma operatore-dipendente.

TC: preferita alla RM nella valutazione delle superfici ossee e


delle calcificazioni indispensabile nello studio dei difetti ossei
(Bony-Bankart, erosione glenoidea, Hill-Sachs) con ricostruzioni
3D, quindi per le fratture ma anche per capire il deficit della
glena.
Ci sono vari metodi che ci permettono di studiare la percentuale
di superficie e ci indicano il trattamento migliore da eseguire
(vedi immagine).

RM: di secondo livello, valutazione dei tessuti molli, talvolta col


mdc, gold standard per la valutazione della CDR, delle strutture
capsulo-labrali e cartilaginee (artro-RM).

INSTABILITÀ E MICROINSTABILITÀ
Avevamo accennato prima al concetto di instabilità e di indice glenomerale.
Quando si ha una lesione cronica o un atteggiamento post-traumatico (magari dopo una lussazione) si può
parlare di instabilità e microinstabilità.
LASSITÀ (asintomatica)
L’iperlassità dei legamenti è un fattore di rischio di instabilità perché può esporre l’articolazione a movimenti
che normalmente non vengono permessi. Eccessiva traslazione gleno-omerale asintomatica (contorsionisti), è
una caratteristica costituzionale. È solitamente asintomatica ma ci si accorge già all'esame obiettivo:
- Iperflessione del I dito sulla faccia volare dell’avambraccio
- Ginocchio recurvato di >10°
- Iperestensione del gomito >10°

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INSTABILITÀ (sintomatica)
Eccessiva traslazione gleno-omerale che crea sintomi e disfunzione il più delle volte è legata ad una lesione
organica, soprattutto traumi (diretti acuti o microtraumi ripetuti).
Esistono diverse classificazioni della instabilità:
➢ Grado:
• I Grado: quando l'instabilità porta ad avere una sublussazione minima; c'è aumento degli spazi tra la testa
dell'omero e la cavità glenoidea
• II Grado: quando siamo in una franca sublussazione, quasi lussazione
• III Grado: lussazione franca.
Queste condizioni sono spesso misconosciute; tranne naturalmente per la lussazione che è accompagnata da
dolore importante che quindi molto spesso rappresenta il sintomo di esordio.
➢ Direzione: Anteriore, Posteriore, Superiore, Inferiore; soprattutto le lussazioni hanno una direzione
➢ Eziologia: TUBS, AIOS, AMBRI
• TUBS (Traumatic Unilateral Bankart Surgery): sono instabilità associate sempre ad una lesione di Bankart,
cioè ad una lesione del cercine glenoideo nella porzione antero-inferiore, che impedisce al legamento gleno-
omerale medio di esplicare la sua azione di contenimento; l’unico trattamento è chirurgico perché la
lussazione ricapiterà. Possono anche essere associate ad altre lesioni come: Hill-Sachs o la SLAP lesion.
(vedi dopo anatomia patologica).
• AMBRI (Atraumatic Multidirectional Bilateral Rehabilitation Inferior shift): è una instabilità che si viene a
creare per usura; soggetti non sportivi che hanno una instabilità bilaterale, in tutte le direzioni e uno
scivolamento inferiore della testa dell'omero. Sono causate anche da lassità generalizzata e vengono trattate
con la riabilitazione. (La spalla si lusserà sia anteriormente che posteriormente).
• AIOSS (Acquired Instability Over Stressed Shoulder): le più frequenti, dovute a microtraumi ripetuti nel
tempo, tipiche dei soggetti sportivi che praticano gli sport ‘overhead’ (pallanuoto, pallavolo, tennis, nuoto,
lanci) dove la mano si porta sopra la testa. Non è mai associata alla lussazione di spalla ma a
microinstabilità, cioè piccoli movimenti che l’omero fa sulla glena non naturali che danno dolore e che
possono associarsi a piccole lesioni dei tendini dei muscoli della spalla.

TEST PER L’INSTABILITÀ


• Test dell'apprensione
• Fulcrum test

Apprehension test
Il paziente è seduto con la spalla abdotta di 90° e il gomito flesso,
l'esaminatore, posto dietro, esegue lentamente una extrarotazione e con
l'altra mano esercita contemporaneamente una leggera spinta in avanti della
testa omerale. Tale manovra determina, come suggerisce il nome del test,
apprensione nel paziente con instabilità anteriore di spalla, che evidenzierà
la situazione di "allarme" sia con l'espressione del volto che a parole
(sensazione soggettiva di spalla che "sta per uscire“ con contrattura
involontaria).

Fulcrum test

Il paziente è supino con arto abdotto ed extraruotato di 90°. L'esaminatore


pone un pugno sotto l'omero prossimale a fare da "fulcro" mentre con l'altra
mano esegue una spinta verso il basso del gomito. Questa manovra,
provocando una traslazione anteriore della testa omerale sulla glenoide
determina una reazione di allarme nel paziente, simile a quella del
precedente test di apprensione.

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BIOMECCANICA DEL LANCIO


(Ci fa capire meglio la genesi delle AIOSS)
Fase preparatoria, Early cocking e Late cocking dove i muscoli sono pronti a sprigionare l’energia;
Fase di accelerazione, fase di rilascio violento dell’energia che si dissipa come energia cinetica impressa alla
palla o energia che viene ‘assorbita’ dalle strutture muscolari (microtraumi).

PATOGENESI AIOSS
1. tendinopatia da affaticamento CDR per continue contrazioni eccentriche
2. contrattura capsula posteriore o posteroinferiore
3. riduzione irreversibile (IR) dei movimenti, generalmente riduzione della intrarotazione.
Come progredisce? La testa omerale per via degli elementi contratturali della capsula si sposta in una posizione
anomala portando a:
• Iperlassità anteriore
• Riduzione della intrarotazione (GIRD)
• PASTA: La testa può pinzare la cuffia dei rotatori perchè questa si trova tra glena e testa dell’omero nel
movimento di abduzione ed extrarotazione quindi il soggetto accusa dolore
• SLAP: si crea stress sull’inserzione del capo lungo del bicipite (l’unico ad avere una inserzione intrarticolare
all’interno della spalla).

ANATOMIA PATOLOGICA
Lesione di Bankart
È una disinserzione del cercine glenoideo in regione sub-equatoriale. Può essere pura quando è interessata solo
la cartilagine, altrimenti si parla di lesione di Bankart ossea quando è il tessuto osseo glenoideo antero-inferiore
ad avere un problema che porta comunque ad una anomalia a livello strutturale (la TC è quella che ci permette di
visualizzarla bene); infine la lesione di Bankart può essere inversa quando causa una lussazione posteriore della
spalla (10% dei casi).
Le lesioni di Bankart sono classificate in base a quanto cercine viene a
distaccarsi:
• Tipo A: Distacco cercine antero inferiore.
• Tipo B: Degenerazione e rottura dei legamenti antero caudali con usura
labbro esistente.
• Tipo C: Combinazione della lesione di Bankart con rottura associata del
L.G.O.I., viene chiamata lesione di Perthes ed è la peggiore.

Uno strumento che si utilizza in artroscopia è il palpatore, un uncino che


serve nella prima fase dell'artroscopia che è quella diagnostica, in cui si va a
confermare la diagnosi fatta con la RM. Va a vedere se c'è un buco a livello
del cercine inferiore in modo da escludere o meno una lesione di Bankart.

H.A.G.L. lesion
Humeral Avulsion Gleno-humeral Ligament: distacco del legamento gleno-omerale medio sul versante omerale
(la Bankart era invece sull'altro versante, quello del cercine).

S.L.A.P. lesion
Superior Labrum tear from Anterior to Posterior: è il distacco dell'origine del bicipite sulla parte superiore del
cercine che viene chiamata ancora bicipitale. Può essere di tipo I quando si nota col palpatore un leggero
cedimento ma non c'è un distacco che invece iniziamo ad avere nel tipo II; nel tipo III si distacca un lembo
dell'ancora e nel tipo IV è completamente avulso, quasi degenerato. Nei primi 3 tipi si fissa il cercine; nel IV tipo
si rimuove la parte danneggiata.

Perthes: può appiattirsi il labbro


ALPSA: si crea una cicatrizzazione del labbro in un punto diverso rispetto al normale
GLAD: danno cartilagineo
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Lesione ossea della glena (Bone Bankart)


Alla base delle lussazioni abituali può esserci una lesione ossea (es. bone Bankart) per cui se noi andiamo a
curare il tendine questo dopo un po' si va a rompere di nuovo e quindi facciamo una TC, tipizziamo la lesione e
andiamo ad intervenire sull'osso prima.
Lesione ossea dell’omero (Hill-Sachs)
Frattura cuneiforme da impatto della porzione postero-laterale della
testa omerale.
Ricordiamo che l’epifisi dell’omero ha molto osso spongioso, quindi
una glena acuminata può creare impronte.
La parte supero-posteriore della testa dell’omero esce dalla sua
normale collocazione e impattando con l’apice della glena che è
appuntito crea questo reperto radiologico o visibile anche in artroscopia. Questo porta anche a problemi di
‘incastro’ detto tecnicamente “engaging”: questa spalla, ai massimi gradi di extrarotazione e adduzione, va ad
incastrarsi (la testa dell'omero si incastra con il cercine glenoideo) e spesso e volentieri questi soggetti arrivano
al pronto soccorso bloccati.
[Tutto questo per dirvi che in caso di lussazione la prima cosa che devo fare è un Rx, non conviene ridurla subito
perché con quella manovra possiamo anche determinare dei danni ed è inoltre molto importante ai fini medico-
legali perché facendo una Rx prima, possiamo dimostrare che quella frattura non l'abbiamo causata noi. La
frattura iatrogena è un evento raro, perché sappiamo quel che facciamo; diverso è il discorso quando ad
intervenire è chi non è del campo. Certo è che ridurre immediatamente una spalla lussata è mille volte più facile
che una dopo 2 ore, perché si è già avuta la reazione di irrigidimento dei muscoli infiammati che in alcuni casi
può portare in sala operatoria per addormentare il pz ed eseguire le manovre]

TRATTAMENTO
Può essere conservativo o chirurgico.

Il trattamento conservativo consiste in una fase di riposo, associata a FANS.


Nel momento in cui non si vuole fare una operazione o la si vuole procrastinare si possono effettuare delle
infiltrazioni di corticosteroidi e poi acido ialuronico che vanno a lubrificare l'articolazione e far passare
l'infiammazione; si può anche utilizzare la lidocaina per far passare velocemente il dolore.
La terapia che deve seguire è atta al rafforzamento di un distretto che è stato a riposo e si fa comunque, anche se
il soggetto deve andare in sala operatoria perché si deve vedere che compenso post-operatorio può avere.
Quindi facciamo fisiochinesiterapia (laserterapia, elettroterapia antalgica, chinesiterapia) e vediamo come va
perché non è detto che si deve andare per forza in chirurgia, se non è uno sportivo e ha un buon compenso
possiamo lasciare il tutto com'è.
Il trattamento conservativo deve essere fatto per 6 mesi.
Il trattamento chirurgico prima si faceva in open, adesso in artroscopia che implica dei tagli davvero minimi.
Artroscopia: ci sono diverse tecniche, sempre più innovative.
Si fanno dei taglietti, si inseriscono dei trocar: abbiamo intanto una cannula che è come una cannuccia che ha
un’angolazione di 30°, per cui quando inseriamo la telecamera non sarà frontale ma inclinata e questo ci
permette di vedere meglio, tipo grandangolo; c’è poi un motore che spruzza continuamente acqua fisiologica in
maniera da lavare il tutto, eventuale sangue (anche se solitamente non c'è sangue in questi interventi) e serve per
la videocamera, per vedere meglio, quest’acqua poi attraverso un foro cade a terra e viene raccolta da specifici
tappetini.
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Riabilitazione (simile in tutti i distretti)


Si inizia con la mobilizzazione, prima passiva e poi attiva assistita per circa 3 settimane. Poi andiamo con il
potenziamento muscolare:
1. Contrazioni isometriche (4-6 sett.): chiediamo al pz di fare delle contrazioni senza movimento in modo da
evitare le forze di taglio che possono agire sulle cartilagini articolari. Si rimedia all’atrofia dei muscoli.
2. Contrazioni isotoniche (7-8 sett.): chiediamo al pz di alzare il braccio e tenerlo alzato. Contrazioni usate per
muovere un’articolazione contro una forza esterna (gravità prima, pesi poi).
3. Controllo neuro-muscolare (9-12 sett.): con l’uovo chiediamo al pz di tenersi in equilibrio sulle mani.
Ripristina le alterazioni dei recettori nervosi.

LUSSAZIONE
Definizione: perdita totale e permanente dei rapporti tra i capi articolari, causata da forze che superano il
coefficiente elastico dell’apparato capsulo-ligamentoso.

CLASSIFICAZIONE
• Lussazioni congenite
• Lussazioni acquisite: patologiche o traumatiche
• Lussazioni recenti (poche ore dal trauma)
• Lussazioni inveterate (a distanza, anche di giorni, dal trauma)
• Lussazioni recidivanti (ripetizione sempre più frequente della lussazione)
• Lussazioni abituali

QUADRO CLINICO
• Variazione del profilo anatomico dell’articolazione compromessa
• Dolore articolare spontaneo, irradiato talvolta per compressione dei tronchi nervosi
• Atteggiamento coatto dell’arto
• Impotenza funzionale assoluta

Si ha la compromissione delle strutture capsulo-legamentose con possibile coinvolgimento delle strutture


vascolari e nervose.

DIAGNOSI
• RX-GRAFIA
• ECOGRAFIA
• RMN
• TC

COMPLICANZE
• Immediate:
- lesione di strutture vicine all’articolazione: n. ascellare
• Tardive:
- Necrosi della testa omerale
- Recidiva della lussazione

FREQUENZA PER DISTRETTI


• lussazione gleno-omerale
• lussazione acromion-claveare
• lussazione omero-ulnare
• lussazioni interfalangee

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LUSSAZIONE GLENO-OMERALE
• È il tipo di lussazione più frequente nell’adulto, rappresenta il 12% delle lussazioni di spalla.
• Trattamento con riduzione incruenta tramite trazione assiale ed immobilizzazione con tutore e pressore.
• Viene classificata in: anteriore (80-85%), inferiore, superiore, posteriore.

Le cause alla base di una lussazione della spalla sono abbastanza numerose; una delle più frequenti è la caduta in
appoggio su braccio extraruotato (l’extrarotazione del braccio quando si cade è un meccanismo istintivo di
difesa; si tende in fatti a ruotare esternamente il braccio allo scopo di creare un punto di appoggio per proteggere
il corpo dagli effetti della caduta). Un altro evento che può determinare la lussazione della spalla è un trauma di
notevole intensità su braccio intraruotato e addotto; lo stesso può dirsi di una caduta sul versante laterale della
spalla. In ambito sportivo, questo tipo di infortunio può essere dovuto a un movimento brusco del braccio sopra
la testa (i classici esempi sono quello del movimento compiuto dal lanciatore di una squadra di baseball e quello
effettuato da un giavellottista al momento del lancio dello strumento). Anche un’iperlassità congenita o
acquisita può portare alla lussazione; nel primo caso si tratta di una naturale predisposizione all’instabilità
dell’articolazione, mentre nel secondo caso il problema è relativo a una precedente lussazione. E infine quanto
detto prima per l’instabilità di spalla.
La sintomatologia è caratterizzata da un fortissimo dolore e da deficit funzionale pressoché totale; tipicamente
il braccio è pendente lungo il tronco, in atteggiamento coatto; la palpazione della spalla mette in evidenza la
perdita della sua caratteristica rotondità e rende possibile la localizzazione della testa dell’omero lussato. La
cavità glenoidea risulta vuota.
INTERVENTO IN ARTROSCOPIA: QUALI VANTAGGI?
Negli ultimi 15 anni il miglioramento delle tecniche in artroscopia (accesso all’articolazione mediante piccole
incisioni e strumenti dedicati con controllo attraverso microtelecamera) ha portato notevoli miglioramenti nei
risultati. Il vantaggio di non incidere i muscoli e la precisione nella riparazione della lesione rendono questa
tecnica più adatta a pazienti giovani (dai 15 ai 30 anni), con poche lussazioni o con situazioni di microinstabilità.
La tecnica prevede l’utilizzo di “ancorette” che assomigliano a microviti (in titanio o acido polilattico
riassorbibile) dalle quali fuoriescono fili in tessuto non riassorbibile ad alta resistenza che vengono passati e
legati attorno alla capsula articolare e al labbro glenoideo per ricreare la normale tensione capsulare.
Questa tecnica non è utilizzabile in caso di fratture associate o di insufficiente resistenza del tessuto capsulare.
La procedura tradizionale, indicata in pazienti che presentano facili lussazioni, prevede invece l’incisione
chirurgica sulla porzione anteriore della spalla e l’utilizzo di varie tecniche di plastica capsulare che
conferiscono la corretta tensione.
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LUSSAZIONE ACROMION-CLAVEARE
L’articolazione acromio-clavicolare è rinforzata direttamente dal legamento acromio-clavicolare e dalla capsula
ma anche da un legamento a distanza che è il legamento coraco-clavicolare.

Si parla di lussazione acromion-claveare quando si ha una perdita di rapporti tra le superfici articolare
dell’acromion e della clavicola. La causa della lussazione e sempre un trauma violento che si scarica sulla
faccia laterale della spalla e in genere consiste in una caduta laterale senza protezione. Può essere conseguente ad
un incidente stradale ma può anche essere conseguente ad un infortunio sportivo come per esempio nel rugby,
nella lotta, nello sci ecc.
Le lesioni di quest’articolazione vengono identificate con la classificazione di Rockwood adottata attualmente a
livello internazionale, e che distingue 6 tipi di lesioni:
1° Tipo - Trauma distorsivo dell'articolazione acromion-
claveare;
2° Tipo - Lesione dei legamenti acromion-clavicolari;
3° Tipo - Lesione dei legamenti acromion-clavicolari e
coraco-clavicolari. Aumento dello spazio coraco-
clavicolare. Deltoide e trapezio distaccati.
4° Tipo - Lesione dei legamenti acromion-clavicolari e
coraco-clavicolari. Lo spazio coraco-clavicolare può
apparire normale. La clavicola è lussata posteriormente
all'interno del muscolo trapezio.
5° Tipo - Lesione dei legamenti acromion-clavicolari e
coraco-clavicolari. Grosso aumento dello spazio coraco-
clavicolare. Deltoide e trapezio distaccati dalla metà della
clavicola distale.
6° Tipo - Clavicola lussata inferiormente alla coracoide o
all'acromion.
Comunque la sintomatologia è quasi sempre molto importante e consiste in:
- Dolore violento
- Impotenza funzionale dell’arto superiore
- Gonfiore localizzato nella faccia superiore della spalla
- Ematoma dei tessuti molli.
Nel caso di lussazione di grado III il segno clinico del “tasto di pianoforte” che consiste nella scomparsa della
salienza dell’estremità acromiale della clavicola alla pressione digitale ed alla sua ricomparsa non appena viene
a cessare la pressione digitale.
Nella maggioranza dei casi si tratta di lesioni di I o II grado secondo la classificazione di Rockwood (quelle che
si chiamano sub-lussazioni) e quindi il trattamento è conservativo. Si applica un bendaggio che tiene
immobilizzato l’arto superiore per 3-4 settimane e poi si inizia la terapia riabilitativa. I tempi di recupero in

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genere non superano i 3 mesi.


Nel caso in cui si abbia una lesione di grado superiore allora l’indicazione può essere chirurgica e consiste nella
ricostruzione dei legamenti rotti come conseguenza del trauma.
Una lussazione è inveterata quando non è stata fatta una diagnosi tempestiva o quando il trattamento
(conservativo o chirurgico) non è stato efficace nel tempo. Generalmente il paziente lamenta dolore a livello
della fascia trapezio deltoidea anche a riposo e facile stancabilità nel reggere pesi ed elevando le braccia oltre il
piano della scapola. In queste situazioni può essere indicato il trattamento chirurgico.

FRATTURE DELLA SCAPOLA


La scapola si comporta come superficie piana a contatto con le coste per la stabilizzazione dell’arto superiore sul
torace. Si tratta di un osso mobile coperto di muscoli, le sue fratture sono assai rare.

Sono prodotte in genere da traumi diretti ad alta energia che comportano spesso non solo la frattura della scapola
ma anche delle coste, della clavicola, lussazioni glenomerali, lesioni vascolo-nervose, pneumotorace.
Le fratture della scapola possono essere distinte in:
• Intra-articolari: riguardano la cavità glenoidea;
• Extra-articolari: possono riguardare il corpo della scapola, il collo o il processo coracoideo.
Il paziente si presenta con l’arto addotto, con limitazione funzionale dell’arto superiore
la cui mobilitazione provoca intenso dolore, ematoma a cuscinetto sulla frattura.
La diagnosi è radiologica e si serve della proiezione AP e tangenziale alla scapola. Bisogna fare anche una
proiezione ascellare per valutare lo stato della cavità glenoidea. A volte è necessaria una TC per meglio definire
la frattura e l’indicazione chirurgica. Il trattamento è quasi sempre conservativo con immobilizzazione con
bendaggio tipo Desault per 2-3 settimana seguita da 1-2 settimane di reggibraccio o apparecchio gessato toraco-
brachiale.

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FRATTURE DI CLAVICOLA
ANATOMIA
La clavicola ha una forma ad S italica; è il primo centro di ossificazione intrauterino che si forma a partire dalla
quinta settimana di gestazione; la fisi mediale si chiude completamente intorno ai 23- 25 anni di vita, è quindi
l’ultimo osso a completare la maturazione scheletrica. Funge da connessione tra lo scheletro assile e quello
appendicolare. Prende rapporti con lo sterno tramite l’articolazione sterno-clavicolare, molto mobile, e con
l’acromion tramite l’articolazione acromion- clavicolare, meno mobile.
La sua sezione varia in senso medio-laterale: da più o meno tonda all’estremità mediale, triangolare al terzo
medio e dopo tende a diventare piatta. Queste caratteristiche rappresentano un locus minoris resistentiae, per cui
sono importanti ai fini eziopatogenetici perché spiegano come mai la clavicola è così frequentemente interessata
da fratture.
I movimenti che può fare una clavicola, seppur ridotti, sono vari:
• Elevazione: 11-15°
• Retrazione: 15-29°
• Rotazione posteriore intorno al proprio asse lungo: 15-31°
Questi movimenti sono fondamentalmente dovuti all'azione dei muscoli della spalla e infatti la clavicola:
• Partecipa alla motilità del cingolo scapolare
• Protegge le strutture vascolo-nervose sottostanti: plesso brachiale e vasi come la succlavia
• Dà origine ed inserzione di parte del deltoide, parte del pettorale e parte dello SCM e anche degli scaleni.

EPIDEMIOLOGIA
Rappresentano il 5% delle fratture nell'adulto, il 10-15% nel bambino e il 45% di tutte le fratture della spalla. Si
ha un picco nel periodo perinatale: sono le prime fratture che si hanno dopo la nascita, spesso le madri non se ne
accorgono se non dopo una settimana, quando compare una tumefazione dura, anelastica che è il callo osseo che
si forma subito in un bambino di pochi giorni di vita. Un secondo picco si ha in età adolescenziale quando il
ragazzo si approccia allo sport.
L’incidenza M:F è di 2:1 prima della sesta decade di vita per abitudini di vita (sport, moto).
Terzo medio: è la parte più soggetta a frattura proprio per la sua sezione triangolare non adatta a scaricare le
forze.
Terzo laterale: può essere interessato soprattutto per traumi a livello della parte esterna della spalla.

EZIOLOGIA
Molti sono traumi sportivi, si è fatto uno studio sui vari sport e si
è visto che la bici è uno dei principali, seguita da sport da
contatto. Si distinguono:
• Trauma diretto: quando si cade sulla spalla
• Trauma indiretto: quando si cade sulla mano estesa
(acronimo inglese FOOSH = Fall On Out Stretched Hand)

DIAGNOSI
La clinica viene associata ad imaging per conferma.
La clinica è abbastanza eclatante, soprattutto nelle fratture più
importanti, infatti si ha:
1. Dolore;
2. Tumefazione;
3. Ecchimosi;
4. Edema;
5. Impotenza funzionale;
6. Prominenza ossea, infatti la frattura di clavicola facilmente è esposta;
7. Crepitii ossei → segni patognomonici di frattura;
8. Testa inclinata verso il lato affetto per una condizione coatta, di difesa;
9. Spalla flottante.

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V anno Polo A-C 2022/2023

L’esame di primo livello è la radiografia: in proiezione antero-posteriore


(AP) quello che si vede è un dislivello (99% dei casi) che si manifesta perché
si ha lo sternocleidomastoideo (SCM) che fa alzare il frammento mediale e
due muscoli, il deltoide e il pettorale, che invece tengono in loco il
frammento laterale con l’ausilio di alcuni legamenti.
Basta già questa proiezione per fare diagnosi, ma sono anche altre le
proiezioni che vengono effettuate per andare a visualizzare meglio la lesione,
ad esempio la proiezione caudo-craniale (CC): il raggio è inclinato dal basso
verso l’alto, quindi, questa proiezione permette di vedere gli spazi tra
l'acromion, il coracoide e la gabbia toracica e di capire meglio la posizione di
un frammento.
Indagini di II livello vengono riservate ai casi dubbi, per vedere eventuali
lesioni associate e per trovare un eventuale frammento dislocato: la TC.

LESIONI ASSOCIATE
In una piccola percentuale di casi abbiamo lesioni associate ma sono
importanti per l'importanza delle strutture vicine:
• Lacerazioni di arteria succlavia o carotide
• Neuropatie per interessamento del plesso brachiale
• Pneumotorace – emotorace: è raro che un frammento arrivi 1-3% al polmone
perché si ha la retrazione dei muscoli sopra citati
• Fratture costali o lesioni cutanee
• Lussazioni < 1%
• Disfagia
• Dispnea

CLASSIFICAZIONE
Sono tante, quella più utilizzata è la Allman che distingue i pazienti in tre
gruppi in base alla porzione di clavicola interessata: 1° gruppo terzo
mediale, 2° gruppo terzo laterale e 3° gruppo terzo mediale. Le altre
classificazioni (ricordiamo la Robinson) sono più complesse perché
tengono conto di eventuali coinvolgimenti capsulo-ligamentosi.

TRATTAMENTO

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V anno Polo A-C 2022/2023

Trattamento incruento
È il gold standard. Viene eseguito in presenza di una lieve scomposizione, se
l'accorciamento è < 15 mm e se non ci sono lesioni associate.
Quello che più comunemente si fa è il bendaggio a 8: prende le spalle anteriormente
e con un incrocio interscapolare crea una retro-posizione delle spalle; l'acromion tira
la clavicola e si ristabilisce così l'asse, spesso infatti questo tutore riesce a ridurre la
frattura o a riallineare la clavicola. Il trattamento dura un mese, ogni settimana
abbiamo la visita e viene riposizionato il bendaggio perché cede. Dopo due mesi si
può ricominciare a fare sport che non sia di contatto che è da evitare per almeno 5-6
mesi, tempo entro il quale avviene la restitutio ad integrum.
I problemi che può dare il bendaggio sono:
• Discomfort perché stringe a livello ascellare;
• Igiene quotidiana limitata;
• Lesioni e piaghe ascellari da decubito perché queste bende tirano;
• Parestesia all’arto omolaterale, cambiando postura il fastidio passa;
• Disturbi del sonno.
La guarigione avviene molto spesso con una bozza a livello della clavicola, la cui entità dipende dalla lesione.
Una complicanza può essere la presenza di un terzo frammento che rende la frattura irriducibile e bisogna, in
questo caso, operarla.

Trattamento chirurgico
Raramente andiamo incontro a chirurgia, nei bambini non si fa mai, ma è inevitabile in determinati casi:
• Frattura esposta
• Frattura irriducibile
• Accorciamento > 20 mm a seguito della scomposizione
• Frattura comminuta (ovvero una frattura in cui l’osso è fratturato in più punti)
• Lesioni vascolo-nervose
• Lesioni pleuriche o problematiche vascolari
• Se tra i due frammenti ossei si sovrappone del tessuto muscolare (l’osso infatti non può guarire)
• Floating shoulder: è una frattura che riguarda la clavicola e la scapola nella sua interezza, questa comporta
la sconnessione tra la componente articolare gleno-omerale e la corrispondente porzione ossea. È di
frequente riscontro nei politraumatizzati.
Sono vari i trattamenti che possono essere eseguiti:
• Sintesi con placca e viti: quella più utilizzata anche perché rispetto alle altre metodiche presenta un recupero
più rapido, bisogna però ricordare che la clavicola è un osso molto superficiale e quindi la placca risulta
scomoda e deve essere rimossa non appena guarita la frattura.
• Sintesi endomidollare elastica
• Filo di K (Kischner): si inserisce questo filo che poi viene rimosso dopo 30-40 gg, una volta rimosso non
rimane nulla all’interno dell’osso ed è per questo che ancor oggi, nonostante sia la metodica più antica, viene
preferita in certe situazioni;
• Rockwood Clavicle Pin
La sintesi con placca e viti si preferisce in quanto dà ottimi risultati funzionali, stabilizza perfettamente la
frattura e si ha una mobilizzazione precoce. L’intervento consiste nell’incisione lungo il bordo della clavicola, si
riduce la frattura tramite delle pinze e si fissano i frammenti tra loro tramite del filo da sutura. In seguito si
sceglie la placca (che ricalca l’anatomia dell’osso) della misura corretta e si fissa tramite viti.
Oggigiorno esistono anche dei chiodini endomidollari che non necessitano di essere rimossi in un secondo
momento
Le complicanze del trattamento chirurgico sono:
1. Danno estetico (cheloidi)
2. Lesioni iatrogene vasculo-nervose
3. Rischio di infezioni
4. Decubiti cutanei
5. Rottura o mobilizzazione MdS
6. Pseudoartrosi
7. Necessità di rimozione MdS
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FRATTURE DELL’OMERO
Soprattutto le fratture della testa dell’omero sono tra le fratture più frequenti nell’anziano e nel pz osteoporotico
(assieme alle fratture della colonna vertebrale, della testa del femore e del polso).

FRATTURE PROSSIMALI DELL’OMERO


EPIDEMIOLOGIA
Questa frattura rappresenta il 4-6% di tutte le fratture dell’adulto e il 40% di tutte le fratture della spalla. È la
terza frattura più diffusa nella popolazione anziana, preceduta dalla frattura del polso e del femore. Il rapporto
F:M è di 2:1, questa differenza è dovuta all’osteoporosi. Se il paziente è osteoporotico le fratture spesso
presentano molti frammenti a volte difficilmente riducibili.

EZIOLOGIA
Nella quasi totalità dei casi avviene per trauma diretto sulla spalla.
Un trauma indiretto (anche in un soggetto osteoporotico) difficilmente genera una frattura, più facilmente
genera una lussazione. L’unico caso in cui un trauma indiretto può causare frattura è se si ha la caduta a braccio
esteso, in cui tutte le forze dell’impatto scaricano sull’arto teso. Di solito le forze scaricano a livello del polso,
ma a volte la frattura avviene nella porzione prossimale dell’omero. Alla frattura si può associare la lussazione.
Il trauma che provoca la frattura viene distinto in trauma a bassa energia, tipico della popolazione anziana, e
trauma ad alta energia, tipico dei giovani, spesso dovuto ad incidenti stradali.

CLINICA
I segni clinici di una probabile frattura sono sempre gli stessi: dolore,
edema, ecchimosi diffusa alla porzione mediale del braccio che
tende ad estendersi anche all’emitorace laterale (segno di
Hennequin, sempre presente), atteggiamento di difesa con arto
addotto e gomito flesso sostenuto dall’altro arto, impotenza
funzionale. A questi segni comuni a tutte le fratture bisogna
aggiungere la deformità e i crepitii ossei, segni che non sono sempre
presenti, ma che sono fortemente indicativi di frattura ossea.

DIAGNOSI
Questi pazienti non possono essere sottoposti ad esame obiettivo a causa del dolore, per
cui il primo step è l’imaging. La radiografia è l’esame di primo livello, si usano
diverse proiezioni:
• Proiezione antero-posteriore vera glenoidea: il raggio deve incidere rispetto
all’asse mediano con un angolo di 30°, così facendo passa attraverso la glena
(figura 1), questa proiezione ci permette di capire se la frattura è scomposta;
• Proiezione trans-scapolare ad “Y”: ci permette di vedere se alla frattura si
accompagna una lussazione (figura 2);
• Proiezione ascellare (Figura 3).
La frattura resta visibile all’RX per mesi, ma non vuol dire che non è guarita. Alla
radiografia è utile associare una TC con ricostruzione 3D per vedere quanti frammenti
ci sono e dove sono spostati e per effettuare il planning preoperatorio. Nel caso delle
fratture prossimali questo esame strumentale ha un’importanza maggiore perché se la
rima di frattura arriva fino all’articolazione è essenziale avere un quadro 3D.

CLASSIFICAZIONE
La gravità di una frattura dipende dal numero di frammenti e dalla scomposizione, ma
anche dalla capacità di guarigione della frattura quindi dalla sede. In base a questo sono
state proposte diverse classificazioni.

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Classificazione di Neer (1970)


La classificazione di Neer considera l’anatomia della testa
dell’omero, la biomeccanica del trauma e il numero di
frammenti. La porzione prossimale dell’omero viene
suddivisa in 4 parti: testa dell’omero, la grande tuberosità, la
piccola tuberosità e la diafisi.
Nota: grande tuberosità o trochite; piccola tuberosità o
trochine. Nell’omero dobbiamo distinguere il collo
anatomico dal collo chirurgico. Il collo anatomico è il solco
che separa la testa dal collo. Il collo chirurgico è la porzione
dell’omero prossimale che più facilmente va incontro a
frattura, punto di passaggio tra la diafisi e la metafisi. Le
arterie che nutrono l’epifisi prossimale dell’omero sono
arterie che dal collo chirurgico risalgono fino alla testa
dell’omero. Una frattura del collo chirurgico può causare una
ipovascolarizzazione dell’estremità prossimale con possibile
necrosi avascolare della testa dell’omero.
Le fratture secondo questa classificazione vengono distinte
in:
• Frattura a due frammenti → si ha la dislocazione di un
frammento;
• Frattura a tre frammenti → si ha la dislocazione di due
frammenti;
• Frattura a quattro frammenti → scollamento di tutte e
quattro le componenti dell’omero prossimale, con
coinvolgimento vascolare importante e notevole rischio di necrosi avascolare.
Un frammento è un pezzo di osso che si è distaccato almeno di 1 cm o ruotato almeno di 45°.

Classificazione AO-ASIF (1984)


La classificazione AO-ASIF è accettata a livello internazionale e divide
tutte le fratture in tre gruppi: A, B e C, ognuno dei quali ha dei
sottogruppi.
• A: fratture extrarticolari unifocali
• B: fratture extrarticolari multifocali
• C: fratture articolari
La classificazione AO si basa sulla sede della frattura (epifisaria o
metafisaria) e il numero di frammenti. In realtà nelle fratture dell’epifisi
prossimale dell’omero si preferisce utilizzare altre classificazioni, in
particolare la classificazione di Neer e la classificazione di Hoffmeyer.
La classificazione di Hoffmeyer invece tiene conto della
vascolarizzazione.

Classificazione LEGO di Hertel


Stilata nel 2004, oggigiorno è la classificazione più utilizzata. Questa,
infatti, classifica il pattern della frattura e permette inoltre di stimare la
sopravvivenza di questo distretto osseo. Questa classificazione individua
cinque piani lungo i quali può avvenire la scomposizione dei frammenti e
dà un totale di 12 combinazioni
possibili, di cui 6 combinazioni in cui l’omero è scomposto in due
frammenti, 5 combinazioni in tre frammenti e una sola combinazione con
quattro frammenti.
HH = epifisi prossimale, GT =
grande tuberosità, LT = piccola
tuberosità, shaft = diafisi.

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V anno Polo A-C 2022/2023

TRATTAMENTO
Il trattamento può essere incruento nel caso di fratture composte, o
cruento nel caso di fratture scomposte.
Criteri prognostici
Nota: il calcar è la superficie postero-mediale dove decorre
l’arteria circonflessa.
Quando la frattura si presenta con una scomposizione importante o
anomala si può dare per scontato che ha causato un danno
vascolare. Quando la scomposizione riguarda l’epifisi prossimale (5
dei 12 possibili pattern secondo Hertel) si ha un altissimo rischio di
necrosi avascolare della testa omerale, che aumenta all’aumentare
del numero di frammenti. La necrosi non è una condizione che
diventa clinicamente evidente nel giro di qualche giorno, deve
passare un anno prima che i frammenti muoiano, per cui il paziente
deve essere adeguatamente informato prima di valutare qualsiasi
terapia. Clinicamente la necrosi viene avvertita con dolore durante i
movimenti della spalla, radiograficamente all’inizio non si vede
molto, ma nel corso del tempo può portare anche al riassorbimento
della testa dell’omero.

Trattamento conservativo
Circa l’80% delle fratture dell’omero prossimale sono minimamente
scomposte o, se scomposte, contenute dai tessuti molli (tendini,
capsule e legamenti), in questo caso la frattura si tratta con
approccio non chirurgico. Se sono mantenuti i rapporti articolari tra l’epifisi dell’omero e la glena si usano i
tutori. Ne esistono due tipi: il desault (foto) e i tutori preconfezionati (figura), entrambi hanno lo scopo di
mantenere il braccio in adduzione e l’arto in intra-rotazione. Il tutore deve essere tenuto per 5 settimane. Quando
è indicato il tutore? Si prende in considerazione: l’età; il tipo di frattura; lo spostamento della frattura; la qualità
dell’osso; la dominanza dell’arto; le condizioni generali di salute e la concomitanza di altre lesioni. Per fare un
esempio, nel caso di un giovane che richiede la massima prestazione lo si sconsiglia, diverso per una donna di
età avanzata con frattura a carico del braccio non dominante, bisogna comunque associare fisioterapia ed
assicurarsi che non si inneschi necrosi avascolare, in tal caso bisogna procedere in seconda battuta con la terapia
chirurgica.

Trattamento chirurgico
Le opzioni terapeutiche chirurgiche sono due: la sintesi e la
artroplastica. Entrambe presentano diverse tecniche, con la
sintesi si cerca di ricostituire l’anatomia dell’osso facendo una
riduzione della frattura e fissando i frammenti tramite strumenti
specifici:
1. La sintesi a minima: si usano dei fili percutanei per fissare i
frammenti per 30-35 giorni, durante i quali il paziente deve
tenere l’arto a riposo. Rispetto agli altri sistemi di sintesi
presenta un minor rischio di necrosi ma anche una minore
stabilità, è utile per le fratture pediatriche in cui le metafisi
non sono ancora saldate. Per questa metodica serve buona qualità dell’osso e che il calcar sia integro;
2. Placca e viti: indicate per fratture scomposte e/o instabili, si usa per le fratture a due e a tre frammenti, in
alcuni casi anche per quelle a quattro frammenti;
3. Chiodo endomidollare: sebbene di solito si usa per le fratture diafisarie, può essere utile nel caso di fratture
a due frammenti.
L’artroplastica può essere effettuata sia in acuto in tutti i casi in cui una riduzione della frattura comporta un
alto rischio di necrosi avascolare, oppure in un secondo momento nei casi in cui si è trattata la frattura con un
tutore ma non si è avuto un outcome soddisfacente. Abbiamo due tipi di protesi:
1. Protesi anatomica: ha la forma della testa dell’omero, per cui l’omero mantiene la convessità e la glena la
concavità, ricalcando l’anatomia fisiologica della spalla. Questa viene utilizzata quando la cuffia dei rotatori
rimane integra, quindi tipicamente nei giovani;
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V anno Polo A-C 2022/2023

2. Protesi inversa: la concavità è sull’omero e la convessità sulla glena, questa protesi allunga il braccio di leva
dell’omero e quindi il deltoide supplisce abbastanza bene alla mancanza della cuffia dei rotatori.
Ricordiamo infatti che deltoide, pettorale etc sono muscoli accessori, intervengono nel movimento ma non
lo iniziano. Queste protesi si usano nel caso di fratture scomposte con lesioni irreparabili dei muscoli della
cuffia dei rotatori.

Fa vedere dei video e li commenta.


Operazione di sintesi: solitamente si sceglie un ingresso mini-invasivo trans- deltoideo
per effettuare una riduzione incruenta tramite fili di K, in seguito si deve inserire una
placca che viene posizionata alla stessa altezza del nervo circonflesso, nervo
intramurale del deltoide. Per evitare di danneggiarlo si fa scivolare la placca a contatto
con l’osso in senso cranio-caudale in modo da essere certi di non toccarlo (il nervo,
infatti, non sta a ridosso dell’osso). Nel caso in cui la frattura sia più scomposta serve
un accesso più grande, per cui si opera tramite un accesso deltoideo-pettorale. Questo
permette un’ottima visualizzazione dell’estremità prossimale dell’omero e permette di
effettuare una riduzione cruenta, che consiste nell’infilare un dito nell’accesso e usarlo
per spingere i frammenti vicini tra loro (=falegnameria).
Artroplastica: si utilizza l’accesso deltoideo-pettorale, si rimuove la parte malata
dell’osso e si inseriscono le superfici articolari. Quando questa operazione viene
eseguita in acuto è essenziale rispettare le tuberosità perché su di queste si inseriscono
i tendini dei muscoli della cuffia dei rotatori che devono essere sempre, se possibile,
risparmiati.

FRATTURE DIAFISARIE DELL’OMERO


Sono le fratture comprese tra poco sotto il collo chirurgico e 4 cm sopra la piega del gomito. Possono essere
causate da un trauma diretto o indiretto. Lo spostamento dei frammenti ossei dipende dalla sede della rima di
frattura:
- Se la rima di frattura si localizza al di sopra della linea d’inserzione del deltoide, il frammento prossimale si
sposta all’interno perché tirato dal grande pettorale mentre quello distale si sposta all’esterno proprio perché
tirato dal deltoide e dal bicipite.
- Se la rima di frattura si localizza sotto la linea d’inserzione del deltoide, il frammento
prossimale si sposta verso l’esterno, quello distale verso l’interno.
Sintomi: tumefazione, ematoma, accorciamento e deformità dell’arto, impotenza funzionale. Diagnosi: Rx nelle
2 proiezioni standard. Se si sospettano lesioni vascolo-nervose: EMG, eco-doppler, arteriografia.
Trattamento: incruento con apparecchio gessato o cruento con fissatori esterni o placche e chiodi interni.

FRATTURE DISTALI DELL’OMERO


Distalmente l’omero è formato dagli epicondili laterale e mediale tra i quali è interposta la superficie articolare
che prende contatto con ulna (troclea omerale) e radio (condilo omerale) per formare l’articolazione del gomito.
Posteriormente troviamo la fossetta olecranica che accoglie l’olecrano ulnare durante l’estensione
dell’avambraccio. Nel gomito troviamo anche una terza articolazione che è quella radio- ulnare.
Le fratture dell’estremità distale dell’omero sono importanti per la possibile compromissione dei nuclei
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d’accrescimento nell’età dello sviluppo in quanto avvengono soprattutto nel bambino e anche per il possibile
danno ai fasci vascolo-nervosi (a. radiale, n. mediano, radiale e ulnare).

FRATTURE SOVRACONDILOIDEE IN ETÀ EVOLUTIVA


Sono le fratture più comuni in età pediatrica. Sono fratture extra-articolari che coinvolgono la metafisi distale
dell'omero.
La complessità di questa frattura è legata al fatto che nei bambini, dal punto di vista anatomico, ci sono 3 nuclei
di accrescimento primari (come in altre ossa) e 6 nuclei secondari (è questa la cosa strana). Questi 6 nuclei
secondari compaiono in epoche diverse e permettono di avere informazioni sull'età di maturità ossea. L'altra
particolarità è la presenza di vasi e nervi importanti, che possono essere lesionati:
- A. brachiale
- N. mediano: decorrono antero-medialmente
- N. radiale: decorre antero-lateralmente al condilo laterale
- N. ulnare: decorre posteriormente al condilo

EPIDEMIOLOGIA
Rappresenta il 18% delle fratture in età pediatrica e quasi l'80% di tutte le fratture in età evolutiva. Interessa
leggermente di più i maschi, con un’età media di 5-7 anni. Non si sa il perché ma è più colpito l'arto sx e non c'è
nessuna correlazione con l'arto dominante.

EZIOPATOGENESI
Il meccanismo patogenetico è legato da un lato dall'iperlassità legamentosa intrinseca del soggetto in età
evolutiva, e dall'altro da una struttura ossea in accrescimento. Su questa base si viene a determinare un
meccanismo traumatico che il più delle volte (90%) si verifica per una caduta su arto in estensione → la parte
distale tende a valgizzare rispetto alla parte prossimale; o più raramente per trauma diretto sul gomito con arto in
flessione → la parte distale tende a varizzare.

CLINICA
Classici segni di frattura: dolore, limitazione funzionale, tumefazione, ecchimosi con Pucker sign (ecchimosi che
si "increspa" per la presenza della piega del gomito). Abbiamo poi la deformazione a S del gomito e quello che è
fondamentale è verificare la sensibilità e la motilità per le strutture di cui abbiamo parlato prima. Diagnosi
radiografica
Si basa sulla classificazione di Gartland:
– 1° Tipo: composta. Spesso è difficile andare a fare diagnosi, ci aiuta allora il Fat pad sign (segno del
cuscinetto) = in cui la frattura è intraspongiosa per cui si avrà uno stravaso ematico che si vede come
un'area radiopaca, in alcuni casi è meglio utilizzare l'ecografia per vedere questo stravaso ematico.
– 2° Tipo: integrità solo del muro posteriore, parzialmente scomposta
– 3° Tipo: completamente scomposta. È quella più associata a danni vascolari e neurologici la cui incidenza
varia rispettivamente da 2-38% e da 10-34%. Quest'ultime soprattutto se la scomposizione è sul versante
ulnare → n. mediano, che si vede con l'incapacità di fare il segno dell'OK con le dita. Se invece la
scomposizione avviene lateralmente il rischio è quello di ledere il n. radiale.

Qualche anno dopo Wilkins ha aggiunto due tipi in base allo spostamento sul piano coronale:
- Tipo IIIa: in cui il frammento prossimale volge verso la testa ulnare
- Tipo IIIb: in cui il frammento prossimale si sposta in senso radiale.

Per valutare la scomposizione ci possiamo far aiutare dalla linea omerale anteriore che normalmente, se non c'è
scomposizione, va ad intersecare la testa dell'ulna. Possono essere distinte in:
• Precoci:
- Lesione nervosa
- Lesione o stenosi dell'a. brachiale → S. compartimentale fino ad arrivare alla S. di Volkmann con la
mano ad artiglio che non è più reversibile, è una sindrome che ormai non si vede più grazie alla
diagnosi sempre più precoce.
• Tardive: deformità e/o limitazione funzionale. Quando viene a compromettersi la componente ossea.

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Il Trattamento è conservativo soprattutto per i Gartland I e si fa con apparecchio gessato per 3 settimane e poi
con tutore. Negli altri casi il gold standard è la riduzione a cielo chiuso con sintesi percutanea utilizzando fili di
K. Quando però la frattura è esposta, irriducibile o siamo in presenza di danno neuro-vascolare, quindi situazioni
di emergenza, quello che si va a fare è una chirurgia a cielo aperto.

La grande diatriba è legata alla tempistica, al posizionamento dei fili e a quale sia il miglior posizionamento del
paziente, se prono o supino → non c'è grande differenza di outcome e c'è lo stesso rischio di complicanze
neurovascolari (forse un po' meno col prono perché sono situate volarmente); si è visto però che nella posizione
prona è più facile ridurre la frattura grazie anche alla forza di gravità però ci sono maggiori problematiche
anestesiologiche perché la capacità polmonare in un bambino si riduce molto.

Per quanto riguarda il timing ad oggi si tende ad intervenire entro le 6h e ad evitare le ore notturne perché si è
visto che sono associate ad una riduzione peggiore.

Per quanto riguarda il posizionamento dei fili di Kirschener → incrociati o paralleli? e paralleli dove? dal lato
ulnare o dal lato radiale? Si è visto che la configurazione più stabile è quella che prevede l'utilizzo di fili di K ad
incrocio; questo perché si viene ad interessare sia il lato ulnare che il lato radiale; il problema è però che si ha
una maggiore possibilità di danno iatrogeno perché a livello ulnare si può ledere il n. mediano per cui adesso si
tende ad attuare una configurazione radiale.

Per il prof è importante piuttosto andare a vedere in sala operatoria la stabilità della frattura per cui se è instabile
non è raro che si metta un 3° filo poi dal lato ulnare.

Raramente si utilizza la fissazione esterna anche se è una tecnica mini-invasiva, legata ad un minor rischio di
deformità e che determina una migliore riduzione e stabilità perché il tempo chirurgico è più lungo, è legata ad
un maggior rischio di lesione del n. radiale (perché le viti che vengono inserite sull'omero sono proprio nella
regione del n. radiale). Quindi anche se è nuova non ha preso molto piede.

Sono dei fili che escono dalla cute perché poi vengono rimossi in ambito ambulatoriale dopo 4 settimane (dopo
aver fatto una Rx di controllo). Dopo di ciò li mandiamo a fare riabilitazione [soprattutto quando vengono tratti
gli arti inferiori perché è facile che il bambino impari una sequenza motoria errata]

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FRATTURE DELL’ESTREMITÀ DISTALE DEL RADIO / FRATTURE DI


POLSO
ANATOMIA
Il distretto della mano contiene 27 ossa, 8 di queste sono le ossa
del carpo che sono distribuite su due file da 4 ossa ciascuna,
queste ossa sono in contatto tramite faccette articolari e sono
rafforzate da legamenti, la biomeccanica è quindi molto
complicata.
Quando si parla di frattura del polso si considera una frattura a
livello dell’epifisi distale del radio, a volte combinata con la
frattura dell’epifisi distale dell’ulna, ma che non riguarda le
ossa del carpo.
Teoria delle tre colonne:
• Colonna radiale che comprende la stiloide radiale e la fossetta
scafoidea.
• Colonna intermedia comprende la fossetta semilunare e l’incisura sigmoidea.
• Epifisi distale dell’ulna la fibrocartilagine triangolare e la radio ulnare distale.

EPIDEMIOLOGIA
La frattura del polso costituisce il 15% di tutte le lesioni scheletriche in un rapporto F:M = 4:1, in genere è
provocata da un trauma indiretto, in particolare dalla caduta sulla mano atteggiata a difesa e gomito in
estensione. Sono fratture extra-articolari abbastanza frequenti, soprattutto nel soggetto osteoporotico, infatti,
insieme alle fratture vertebrali sono le fratture più frequenti della donna in menopausa, nell’anziano dovute a
cadute a casa e traumi a bassa energia, mentre nel giovane o nello sportivo sono traumi ad alta energia.
EZIOPATOGENESI E CLASSIFICAZIONE
Legati alle cadute sulla mano ci possono essere vari meccanismi traumatici, che possono essere facilmente
compresi tramite la classificazione di Fernandez:
• Tipo I: frattura da flessione → classica caduta a meno estesa con il palmo rivolto verso il suolo;
• Tipo II: frattura da taglio → si ha una forza d’impatto perpendicolare alla diafisi del radio per cui si creano
degli split;
• Tipo III: frattura da compressione → sono fratture articolari molto complesse;
• Tipo IV: frattura da avulsione → sono dovute a strutture che si inseriscono a livello dell’articolazione e
creano la frattura stessa;
• Tipo V: frattura combinata.

Un’altra classificazione è quella della Mayo Clinic, padri fondatori della chirurgia della mano. Un’altra
classificazione ancora è la classificazione AO, che classifica tutti i distretti ossei interessati da frattura. Le
fratture del polso sono così classificate:
• Extra-articolari: A1, A2 e A3
• Articolari parziali: B1, B2 e B3
• Articolari complete: C1, C2 e C3
I criteri 1, 2 e 3 vengono assegnati in base al numero delle rime di frattura e alla scomposizione e quindi alla
gravità della frattura.

DIAGNOSI CLINICA
• Alterazione del normale profilo anatomico
• Deformità caratteristiche
• Dolore
• Tumefazione
• Impotenza funzionale

DIAGNOSI STRUMENTALE
L’esame di primo livello è la radiografia nelle proiezioni standard (AP e LL) in prono-
supinazione intermedia (proiezione neutra) per andare a ricostruire come è scomposta la
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frattura. Parametri radiografici:


• Sul piano AP: angolo di inclinazione radiale (v.n. 22°); indice radio-ulnare distale (v.n. cm. 0,5); spostamento
radiale.
• Sul piano LL: inclinazione della superficie articolare del radio (v.n. 11°); spostamento dorsale o volare.
La TC ci permette una valutazione preoperatoria, inoltre è utile nei casi in cui è interessata l’articolazione o
siamo in presenza di una frattura pluriframmentaria con dislocazione dei frammenti.

La classificazione di Fernandez non fa altro che racchiudere delle fratture che già altri prima
di lui avevano descritto, ci sono quindi diverse conformazioni di frattura che prendono il
nome dallo studioso che le ha osservate:
Frattura di Poteau-Colles [la chiede spesso agli esami]: è la frattura più frequente delle
vecchiette, è infatti determinata dalla caduta sulla mano.
Avviene in caso di compressione e iperestensione del polso durante la caduta.
La caratteristica di questa frattura da flessione è che il frammento epifisario si sposta in senso
radio-dorsale.
Clinicamente si ha dolore, tumefazione, impotenza funzionale ed ecchimosi.
Solitamente è localizzata 2,5 cm al di sopra dell’articolazione radio-carpica.
L’arto presenterà:
• La deformità a baionetta del profilo frontale della mano rispetto
all'avambraccio (deviazione radiale del carpo e della mano rispetto
all'avambraccio), figura 1;
• La deformità a dorso di forchetta del profilo laterale del polso (la mano
non si trova più sul prolungamento dell'asse dell'avambraccio, ma si
dispone dorsalmente ad esso), figura 2.

Frattura di Goyrand-Smith (o di Colles inversa): anche questa è determinata dalla


caduta sulla mano, è tipica delle cadute all’indietro.
Avviene anche questa in caso di compressione, accompagnata questa volta però
dall’iperflessione del polso (figura 3).
La rima di frattura è la stessa della frattura di Colles, ma lo spostamento del frammento
epifisario avviene in senso radio-volare perché durante la caduta la mano è
atteggiata in flessione. Questa differenza è essenziale perché permette di
eseguire la corretta manovra di riduzione della frattura.
Si ha una deformità a paletta (garden spade) (figura 4).

Frattura di Barton: frattura articolare del radio distale.


• È una frattura da taglio, la forza vettoriale
• divide in due il piatto articolare radiale e in base al
pattern di scomposizione che si genera si parla di
pattern dorsale o volare (quest’ultima detta Barton
inversa).
• Questa frattura si può accompagnare a dislocazione
dell’articolazione radio-carpale. Quali sono le ossa del
carpo che si collegano al radio? Scafoide e semilunare.

Frattura di Hutchinson: determinata da una caduta sulla mano con braccio iperesteso e mano deviata verso
l’esterno con il palmo in avanti. Lo scafoide viene sottoposto a compressione fratturando il processo stiloideo
radiale. Frattura di Chauffeur.

Frattura di Die-Punch: determinata da una caduta sulla mano con il braccio iperesteso e la
mano neutra. È una frattura da compressione. Solitamente il semilunare viene sottoposto ad
una compressione e quindi va a schiacciare la sua faccetta articolare a livello dell’epifisi
distale del radio. Questa compressione determina un avvallamento del piano articolare del
radio. È importante perché è molto difficile da trattare (figura 8).

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TRATTAMENTO
Ai fini del trattamento è utile distinguere le fratture in stabili ed instabili, soprattutto per le fratture intrarticolari:
Stabili Instabili
Extra-articolari composte Extra-articolari con infossamento o comminuzione metafisaria
Extra-articolari scomposte senza comminuzione Intra-articolari marginali scomposte
Intra-articolari marginali composte Intra-articolari complesse

I criteri di instabilità di Jupiter sono riassunti nell’immagine a fianco,


tra tutti è molto importante la comminuzione dorsale > 50% (ovvero la
frattura ha creato un frammento > 50% della superficie del piano
articolare; la dislocazione e la grave osteoporosi.
Nelle fratture stabili il trattamento è incruento con riduzione mediante
manovre appropriate e immobilizzazione con apparecchio gessato.
Nelle fratture instabili il trattamento è cruento, si può trattare con fili di
K incrociati, epibloc (sintesi endomidollare), con placche per via volare,
con inchiodamento intrafocale secondo Kapandji o per fissazione esterna.

INDICAZIONI AL TRATTAMENTO CHIRURGICO


• Marcata comminuzione dorsale
• Accorciamento Radiale 5 - 10 mm
• Angolazione Radiale > 20°
• Scalino / Diastasi Articolare > 1 mm
• Importante radial shift / dorsal shif

CRITERI RADIOGRAFICI DI ACCETTABILITÀ DELLA RIDUZIONE


Quando si effettua una riduzione si cerca di ricostituire l’anatomia, per far ciò esistono dei criteri che ci dicono
se la riduzione effettuata è accettabile o meno.

TRATTAMENTO CONSERVATIVO
Consiste in un gesso che blocca sia il gomito che il polso, quando si confeziona
bisogna inclinare il polso adeguatamente in base al tipo di frattura. In 6
settimane si ha un’ottima risoluzione delle fratture stabili, durante questo
periodo il paziente deve essere seguito.
La riduzione della frattura a paziente sveglio viene effettuata con tre operatori:
l’operatore n°1 ferma il braccio e l’operatore n°2 tira l’avambraccio tenendo le
mani sul polso del paziente, questo permette di applicare una trazione
“sgranando” la frattura. Interviene l’operatore n°3 che inserisce i suoi
avambracci al di sotto dell’avambraccio del paziente, creando un piano di
appoggio. L’operatore n°2 piega la mano verso il basso e la riduzione è così
completata. Si procede poi col fissaggio della posizione corretta tramite
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l’applicazione di bende. L’esempio qui riportato è una frattura di Colles, la scomposizione infatti è dorsale e
flettendo la mano si cerca di riportare giù il frammento. Un ruolo importante è svolto dalla ligamentotaxis, cioè il
trasferimento delle forze di trazione sui frammenti di frattura attraverso le inserzioni capsulo-ligamentose e i
tessuti molli che stanno sopra l’osso, infatti, nel momento in cui si applica la trazione spingono il frammento
osseo nella posizione desiderata. Il tipo di riduzione cambia in funzione del tipo di frattura.

Sintesi a minima con i fili di K


A volte è necessario aumentare la stabilità della
riduzione, la riduzione di minima non è
sufficiente, per far ciò si usa la sintesi con i fili
di K. Le indicazioni di instabilità sono i criteri
di Jupiter.
Le tecniche proposte invece sono:
• Osteosintesi interframmentaria
• Fissazione intrafocale (tecnica di Kapandji)
• Osteosintesi endomidollare (Epibloc)

Osteosintesi interna

L’osteosintesi interna avviene il più delle volte con placche e viti, le placche possono essere di forma diversa, o
volari o dorsali. Le placche volari vengono dette placche a mensola perché così come le viti ancorano la mensola
al muro, qua le viti ancorano la placca ai frammenti ossei, le placche dorsali invece possono creare conflitto con
i tendini estensori. Queste placche trovano indicazione diversa in base al pattern di scomposizione, ricordiamo
che la sintesi con placca e viti è sconsigliata nei pazienti osteoporotici.
Nell’immagine a fianco: placche volari sopra, placche dorsali sotto.
Osteosintesi con placca e viti presenta dei vantaggi: la mobilizzazione è precoce e si ha
una riduzione anatomica della frattura. Per questo motivo nel soggetto giovane
l’indicazione è assoluta, mentre è controindicata nel caso di marcata osteoporosi,
condizioni generali scadenti e scarsa compliance, spesso la paziente è in età avanzata
quindi non è importante restituirle un polso perfettamente funzionante, basta che non
provi dolore. Le complicanze sono la sindrome algodistrofica, viziose consolidazioni,
pseudoartrosi, infezione, rigidità delle dita, lesioni nervose.
Video intraoperatorio: si accede a livello del radio distale tramite l’acceso di Henry, si
localizza il muscolo flessore radiale del carpo, questo nasconde il muscolo flessore lungo
del pollice che viene spostato in senso mediale e si espone il pavimento di questo acceso
chirurgico che è il muscolo pronatore quadrato, questo si riconosce perché le sue fibre
sono trasverse rispetto alla diafisi del radio. Questo muscolo viene inciso (nel soggetto
anziano spesso è ipotrofico e quindi può essere stato distrutto dalla frattura), si sposta e si
espone l’osso. In base alla frattura si rimettono a posto i frammenti, si lava e si sintetizza tramite placca e viti. Il
fissaggio avviene sotto guida ampliscopica, ovvero con l’amplificatore di brillanza.
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Fissazione esterna
È rara ma viene usata in casi di fratture esposte o instabili, è indicata nel caso di
danni dei tessuti molli ed è infatti usata nel caso di pazienti politraumatizzati.
Questa tecnica si basa anch’essa sul concetto della ligamentotaxis, tecnica che
sfruttando le forze di trazione e tessuti molli circostanti ricompone i frammenti
della frattura. È controindicata per le fratture articolari parziali, nella frattura di
Barton inversa e in caso di marcata osteoporosi. Questa metodica agisce solo sulla
lunghezza, per cui viene usata in casi in cui si associa un’instabilità radio-carpica,
una lussazione, e può essere usata in concomitanza ad altri mezzi di sintesi. Le
complicanze sono legate soprattutto a rigidità articolare (tipica del caso in cui la
fisioterapia non è stata condotta con molta cura); a lesioni iatrogene vasculo-nervose; si può avere una irritazione
da parte dei mezzi di sintesi (placche e viti) a carico dei muscoli flessori e soprattutto dei muscoli estensori e in
tal caso se alla pseudoartrosi si accompagna infezione è indicata la rimozione dei mezzi di sintesi.

FRATTURE DEL I METACARPO

FRATTURA DI ROLANDO
Frattura base del primo metacarpo con linea di frattura intrarticolare a T o a Y.
Meccanismo traumatico: traumi diretti o indiretti.
Sintomatologia: alterazione del normale profilo anatomico, dolore,
tumefazione.
Diagnosi: clinica, RX.
Trattamento chirurgico: sintesi con fili di K o placche e micro viti.

La base del I metacarpo va a comprimersi sul trapezio e si crea la frattura, si


avranno i soliti sintomi da frattura e la compromissione della funzionalità del
pollice. Se questa frattura non viene trattata chirurgicamente è pressocché
sicuro che dia artrosi.

FRATTURA DI BENNET
Frattura della superficie articolare volare della base del primo metacarpo con
lussazione dorso-radiale.
Meccanismo traumatico: traumi diretti o indiretti.
Sintomatologia: alterazione del normale profilo anatomico, dolore,
tumefazione.
Diagnosi: clinica, RX.
Trattamento conservativo in rari casi.
Trattamento chirurgico: sintesi con fili di K o placche e micro viti.
L’azione che hanno due tendini sul I metacarpo porta ad una dislocazione e
scomposizione caratteristiche. I tendini sono del muscolo abduttore lungo del
pollice e del muscolo adduttore del pollice. Il rischio di rizoartrosi qua è
elevatissimo, più che in quella di Rolando.

Le fratture della mano non sono solo al livello del


metacarpo ma possono riguardare tutte le ossa
della mano, esistono viti e placche per tutte le
fratture. Le viti per le falangi hanno il diametro di
1 mm, questo ci fa capire quanto l’ortopedia
oggigiorno sia specifica.

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SINDROME DEL TUNNEL CARPALE


È la sindrome caratterizzata dalla compressione del nervo mediano nel suo passaggio nel canale del carpo, una
struttura anatomica osteofibrosa, per cause che riducono il volume del canale stesso (sclerosi del legamento
volare trasverso, esiti di fratture di polso, acromegalia) o per cause che ne aumentano il contenuto
(tenosinoviti, tumori, anomalie muscolo- tendinee o vascolari).
Nota: il nervo mediano è un nervo misto. La sua
componente muscolare è destinata a gran parte dei
muscoli della loggia anteriore dell'avambraccio (a
eccezione dei più mediali) e della muscolatura intrinseca
della mano (quasi tutta l'eminenza tenar e alcuni
muscoli lombricali). La parte sensitiva innerva invece la
cute laterale del palmo della mano e la cute palmare
delle prime 3 dita, alla quale si aggiungono tutte le
falangi distali. A volte innerva la cute palmare laterale
del 4º dito.

Colpisce più le femmine che i maschi, soprattutto nei soggetti >45 anni. bilaterale in circa metà dei casi. Per
quanto riguarda il quadro
clinico, questo varia a seconda del grado di sofferenza del nervo:
- Fase iniziale o irritativa: caratterizzata da parestesie e dolore prevalentemente notturno e alle prime 3 dita
della mano. I test di Tinel e di Phalen possono essere positivi. Il segno di Tinel consiste nell’avocazione di
scosse alla percussione del nervo. Il segno di Phalen nella comparsa di parestesia dopo 30- 60 secondi di
flessione del polso.
- Fase intermedia di compressione/dolore: oltre al dolore e parestesie è presente anche ipovalidità dei
muscoli dell’eminenza tenar (opponente del pollice, abduttore e flessore breve del pollice).
- Fase tardiva o di paralisi: si ha abolizione dell’apposizione del pollice, atrofia dell’eminenza tenar, ipo-
anestesia delle prime 3 dita, difficoltà nel controllo della presa di oggetti di piccole dimensioni.
La diagnosi clinica viene confermata dallo studio elettrofisiologico. Utile Rx nel caso di sospetta causa ossea.
Per quanto riguarda il trattamento dobbiamo distinguere tra il trattamento della fase irritativa, che è un
trattamento incruento che consiste in riposo, anti-infiammatori, tutore del polso, infiltrazione di cortisone, dal
trattamento della fase compressiva/di paralisi che invece è un trattamento chirurgico che consiste nella sezione
del legamento trasverso. Nei casi di compressione inveterata, in cui ormai si è verificata la degenerazione del
nervo, il recupero funzionale può non essere totale

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DISPLASIA CONGENITA E/O EVOLUTIVA DELL’ANCA

È un gruppo eterogeneo di affezioni che riguardano lo sviluppo e la morfologia dell’articolazione coxo-femorale.


È caratterizzata da un ampio spettro di alterazioni della testa e dell’acetabolo, ma anche delle strutture capsulo-
legamentose di questo distretto, con conseguente dislocamento della testa del femore dalla cavità acetabolare con
perdita dei normali rapporti articolari. I quadri sono molto variabili tant’è che ai due opposti si ha:
• Da un lato una semplice incongruenza articolare tra testa sferica e acetabolo concavo;
• Dall’altro lato una situazione clinicamente grave, a prognosi infausta, che è la lussazione congenita
dell’anca, con perdita completa del rapporto articolare normale tra testa del femore e acetabolo.
La DCA è una patologia a carattere evolutivo (il nome completo della malattia è infatti “displasia congenita e/o
evolutiva dell’anca”, questo sottolinea che le modifiche anatomiche possono iniziare a manifestarsi anche nel
periodo post-natale, per cui non è esclusivamente congenita) la cui prognosi dipende dallo stadio della stessa:
tanto più grave è la forma, tanto più difficile ne diventa il trattamento e peggiore la prognosi. Spesso è associata
ad altre deformità osteoarticolari quali piede torto congenito, deformità multiple, agenesia alluce e dita del
piede, briglie amniotiche, aplasia della tibia. È una delle patologie ortopediche più frequenti in ambito
pediatrico, anche Ippocrate la descrisse suggerendo che fosse legata a traumi addominali della madre in
gravidanza.

DIFFERENZE ANATOMICHE
Vi sono delle differenze anatomiche tra l’anca dell’adulto e quella del bambino:
• Nel caso dell’adulto la testa è completamente accolta nella cavità acetabolare, è rinforzata da elementi
capsulari e legamentosi molto forti che solidarizzano la testa del femore con la cavità acetabolare;
• Nel caso del bambino invece l'articolazione è meno robusta, il 50% del tessuto è cartilagineo per cui le
strutture contenitive sono meno robuste, inoltre l’acetabolo è poco profondo e presenta fibrocartilagine, per
cui la testa del femore non è perfettamente accolta al suo interno, infine il collo del femore del bambino
presenta una serie di differenze rispetto a quello dell’adulto, esso infatti è:
- Tozzo: più corto di quello dell’adulto;
- Valgo: l’angolo tra l’asse del collo del femore e l’asse della diafisi del femore normalmente è 125/127°,
in questi bambini è di 140° o più;
- Antiverso: l’angolo di antiversione è quello che si forma tra l’asse cervicale e un piano passante per i
condili posteriori del femore, di solito misura 15°/18°, in questi bambini misura 40° o più.
Tutti questi elementi portano ad un’instabilità parafisiologica.

EPIDEMIOLOGIA
Rappresenta il 73% delle deformità dello scheletro con un rapporto M:F di 1:6 nelle
forme meno gravi, nelle forme più gravi questa differenza tra i due sessi tende ad
annullarsi. Molto più frequente è l’incidenza della incongruenza (5-30 su 1000 nati
vivi), minore l’incidenza della instabilità (3 su 1000 nati vivi) e della lussazione (1
su 1000 nati vivi). L’anca sinistra è più frequentemente interessata (65% dei casi)
per rapporti con l’utero materno e nel 20% dei casi l’affezione è bilaterale.

EZIOLOGIA
Perché è stata ipotizzata la genesi post-natale di questa patologia che per anni è stata
considerata congenita? Perché si è visto che c’è una notevole variabilità
dell’incidenza tra le diverse etnie, per cui si è ipotizzato che questa differenza fosse
dovuta alle diverse tradizioni dei vari popoli. È stato osservato che in alcune
popolazioni africane tale patologia era assente, mentre in altre popolazioni, come ad
esempio i nativi americani Navajo, l’incidenza di questa patologia era molto alta
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(quasi 80/1000). Studiando le abitudini delle popolazioni è stato visto che gli indiani Navajo e il popolo Sami
avevano l’abitudine di fare crescere i proprio neonati con le anche addotte ed estese, che è l’opposto di ciò che si
fa per trattare il bambino con DEA. Le abitudini delle popolazioni africane invece sono quelle di tenere i
bambini con le gambe abdotte e flesse e ciò determina il centramento dell’anca, che consente di far guarire
un’anca che è nata con una displasia. Questo suggerisce che ci sia une genesi non necessariamente congenita.
L’eziologia è quindi multifattoriale. Si riconoscono:
• Fattori genetici, anche se non sono stati identificati i geni responsabili. Si ipotizza che esistano poiché
la patologia è più frequente nel sesso femminile e nei soggetti con familiarità positiva → Teoria
ereditaria di tipo poligenico a “bassa penetranza”.
• Fattori meccanici, tra cui alcuni legati alla madre, quali l’utero bicorne, l’oligoidramnios (ovvero un
volume deficitario di liquido amniotico), il polidramnios (eccesso di liquido amniotico), le briglie
amniotiche e la presentazione podalica; altri legati alla vita post natale, quale la posizione delle anche
addotte ed estese.
• Fattori ormonali, il ruolo più importante è svolto dagli estrogeni materni, possono intervenire anche
altri ormoni, quali la relaxina ed il progesterone, che promuovono l’instabilità dell’anca favorendo la
lassità dei tessuti molli, in particolare nel sesso femminile.

PATOGENESI
Dall’eziologia ormonale nasce la teoria della lassità capsulo-ligamentosa secondo la quale gli ormoni materni
promuovono la lassità capsulo-legamentosa che provoca la tendenza alla lussazione dell’epifisi femorale. Oltre a
questa prima ipotesi, si teorizza che anche l’acetabolo abbia un suo ruolo patogenetico riconducibile alle
alterazioni ormonali, per cui si parla della teoria della displasia acetabolare: si ha un difetto a carico della
cartilagine acetabolare, meno resistente alle sollecitazioni meccaniche indotte dalla testa femorale per delle
alterazioni microscopiche del collagene.

ANATOMIA PATOLOGICA
Le diverse forme anatomo-cliniche della DCA, che sono anche i gradi di gravità, sono:
• Incongruenza articolare;
• Pre-lussazione;
• Sublussazione;
• Lussazione, il grado più grave, in cui si ha la perdita totale e permanente della connessione tra i capi
articolari;
• Lussazione inveterata, quando la lussazione persiste da anni, la testa ha perso completamente rapporti con
l’acetabolo ed è migrata superiormente.
Ricordiamo che mentre nell’adulto l’anca ha un rapporto tra testa del femore e acetabolo di 1,5:1, nel bambino la
testa del femore per la gran parte non è adagiata nell’acetabolo, che è poco profondo e con concavità minima.
Tutto ciò determina una instabilità potenziale che si rende manifesta nei soggetti sottoposti a determinate
abitudini. Questa è l’evoluzione:
1. Inizialmente si ha:
a. Un aumento dei valori articolari di valgismo e
antiversione dell’anca, unica modifica importante;
b. La testa del femore ipoplasica, però di forma normale;
c. La retrazione della capsula anteriore e la lassità della
capsula posteriore;
d. Un’alterazione della cartilagine acetabolare in senso ipertrofico a causa delle sollecitazioni
meccaniche, con la formazione del neolimbus.
e. A queste alterazioni macroscopiche corrispondono delle modifiche microscopiche, in particolare si
avranno anomalie della forma e della disposizione dei condrociti, anomalie delle caratteristiche
biochimiche della matrice della cartilagine e dei proteoglicani, in particolar modo nella porzione
cartilaginea acetabolare.
2. Nella sublussazione si ha:
a. Un’alterazione della testa del femore che non sarà più sferica, diventa più piatta;
b. Un’iperplasia del pulvinar, che è il tessuto fibro-adiposo intracapsulare, e del limbus, il cercine fibro-
elastico che fascia la testa del femore rinforzando l’articolazione;
c. Il legamento rotondo diventa ipertrofico, si ricorda che questo legamento va dalla lamina quadrilatera
della cavità acetabolare al polo superiore della testa del femore, si ricorda inoltre che l’arteria del
legamento rotondo del femore è uno dei rami arteriosi principali della testa del femore;
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d. Maggiore antiversione e valgismo;


e. Retrazione della capsula anteriore e lassità della capsula posteriore accentuate;
f. SLIDES: In questa fase si ha l’inibizione dell’ossificazione endocondrale della porzione postero-
superiore della cartilagine acetabolare, dovuta ad iperpressione della testa femorale.
3. Nella lussazione si ha:
a. La perdita del rapporto articolare con la risalita della testa del femore che diventa sempre meno
rotonda, meno coperta dai legamenti;
b. la formazione di un nuovo acetabolo (doccia di migrazione);
c. strozzamento a clessidra della capsula da parte del tendine dell’ileopsoas;
d. l’acetabolo si appiattisce e tende all’anchilosi per garantire il sostegno in qualche modo. In questo caso
l’unico approccio possibile è la protesi d’anca.
4. Nella lussazione inveterata si ha:
a. La formazione del neocotile a livello dell’ala iliaca;
b. Alterazione morfologica della testa femorale;
c. Accorciamento degli adduttori e dell’ileopsoas;
d. La correzione è molto difficile, per cui la prognosi è molto più infausta.

EVOLUZIONE DELLA STORIA NATURALE


Ad un anno dall’insorgenza della malattia la testa del femore non è perfettamente inserita nella cavità
acetabolare, che la ricopre solo per metà. La distribuzione dei carichi non è omogenea, questo nel corso del
tempo (a 25 anni) determina un appiattimento della testa femorale al suo polo superiore e la formazione di
osteofiti. Questo determina la formazione dell’artrosi, che intorno ai 65 anni si evolverà in anchilosi, perché la
testa viene immobilizzata dagli osteofiti. Questo determina la necessità di mettere una protesi (con tutte le
conseguenze che ne conseguono). Oggi 40 protesi su 100 sono dovute ad una DCA non diagnosticata o trattata
male. Importante è quindi fare diagnosi precoce entro i 2 mesi. La diagnosi precoce mi permette di individuare
la condizione e di attuare un trattamento che nella quasi totalità dei casi è conservativo.

DIAGNOSI
La diagnosi è sia clinica che strumentale, oggi l’ecografia riveste un ruolo più importante della radiografia.

CLINICA
• Raccolta anamnesi: bisogna individuare i fattori di rischio. Questi sono:
- Il sesso femminile (M:F è 1:5);
- La presentazione podalica alla nascita;
- La familiarità è un fattore di rischio;
- Lassità legamentosa e anomalie del metabolismo del collagene e degli estrogeni;
- Patologie legate alla gestazione;
- Il primogenito è più a rischio perché la parete addominale della
madre è meno distensibile.
- Controllare se ci sono malformazioni associate come piede torto
(varietà talo-valgo) o torcicollo miogeno che hanno anch’essi
una genesi meccanica dovuta al conflitto tra contenuto
(nascituro) e contenente (cavità addominale/utero).
• Segni clinici: nella displasia sono quasi sempre negativi, al contrario
della lussazione in cui il 60% dei pazienti presenta positività ai segni
clinici.
- L’asimmetria delle pliche cutanee della regione
- inguinale e della regione glutea.
- Limitazione del grado di abduzione delle anche: un’anca che si abduce non più di
55°/60° è un campanello d’allarme.
- Condizioni frequentemente associate: piede torto nella variante talo-valgo e
torcicollo miogeno congenito.
• Test di instabilità: non sono positivi per tutti i gradi della malattia, ma solo quando
l’anca è lussata, lussabile o instabile.
- Test di Ortolani o segno dello scatto di Ortolani: Il segno di Ortolani, quando
positivo, dimostra che l’anca è instabile. Il paziente con anca displasica non ha il
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femore perfettamente alloggiato all’interno dell’acetabolo, l’operatore sottoponendolo a questa manovra


fa sì che la testa entri all’interno della cavità acetabolare. Nel momento in cui la testa si alloggia
all’interno dell’acetabolo, produrrà uno scatto, che risulta essere sia visibile che percettibile al tatto. La
manovra si esegue con il paziente supino, con le anche addotte e flesse a 90°: l’operatore afferra il
ginocchio, ponendo il pollice sulla porzione mediale della coscia (sull’ileopsoas) e le restanti dita sulla
porzione laterale, e impone alle cosce un movimento di abduzione, flessione e rotazione interna. Se il
segno è positivo è patognomonico.
- Manovra di Barlow: evoca il segno dello scatto in uscita ed è quindi
l’opposto della manovra di Ortolani, in quanto prevede l’adduzione delle
cosce. Anche questo segno indica che l’anca è instabile. La manovra
prevede di posizionare il neonato tranquillo in posizione supina e di
flettere le cosce ad angolo retto rispetto al bacino. Si devono poi afferrare
le ginocchia col palmo della mano, appoggiare il pollice medialmente
lungo le cosce e il terzo e il quarto dito lateralmente in corrispondenza del
grande trocantere del femore. Adducendo le cosce e portandole verso la
linea mediana, si esercita contemporaneamente una leggera pressione sul
ginocchio, dirigendo la forza in senso antero-posteriore. La manovra, se eseguita correttamente, provoca
la fuoriuscita della testa del femore della sua sede anatomica. Spostandosi all'esterno dell'acetabolo la
testa del femore produce uno scatto percepibile col dito medio (segno dello scatto in uscita). Il segno
dello scatto conferma la positività della manovra e induce il sospetto di displasia dell'anca. La sensibilità
della manovra di Barlow diminuisce all'aumentare dell'età del bambino, per questo è essenziale eseguirla
fin dal primo giorno di vita.

- Segno di Galeazzi: bambino supino con anche e ginocchia flesse, se l’altezza delle ginocchia non è
uguale ci suggerisce una lussazione di anca a carico la coscia più bassa.

- Segno di Klisic: si posiziona il terzo dito sul grande trocantere,


il secondo dito sulla spina iliaca antero-superiore. Se la retta
che unisce queste due estremità passa al di sopra
dell’ombelico, il soggetto è normale; se passa al di sotto
dell’ombelico significa che il grande trocantere è risalito e
quindi deve farci sospettare la lussazione dell’anca.
Tutti i test che eseguiamo consentono di vedere la lussazione, che
rappresenta meno dell’1% delle presentazioni dei casi di DEA. La
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maggior parte della popolazione con la patologia, clinicamente non la vedrò perché non ha la lussazione, ma ha
solo delle piccole varianti di complementarietà.

CLINICA DEL BAMBINO DEAMBULANTE


Con l’avvento dell’ecografia e con lo screening effettuato alla 6° settimana di
vita questa condizione è pressocché scomparsa perché si può trattare
efficacemente per tempo, con la radiografia si poteva ipotizzare la presenza di
malattia intorno al 6° mese di vita. La storia naturale è stata quindi
completamente sovvertita dall’avvento dell’ecografia. Se il bambino si sviluppa
senza che la malformazione sia stata corretta presenta:
• Andatura ondeggiante e zoppicante;
• Dismetria degli arti inferiori;
• Accentuata lordosi lombare (possibile unico segno all’esordio);
• Il segno di Galeazzi diventerà man mano sempre più eclatante,
• Segno di Trendelenburg positivo → limitazione dei muscoli abduttori
dell’anca del lato affetto.
È una condizione che oggi riscontriamo solo nei bambini provenienti con i flussi
migratori.

DIAGNOSI STRUMENTALE
La diagnosi radiografica della DEA oggi è in disuso
perché tardiva; infatti, per potere fare diagnosi bisogna
visualizzare il nucleo cefalico (ovvero il nucleo di
ossificazione della testa del femore) che fino a 4 -5 mesi
non è visibile, ma già a 4-5 mesi devo avere risolto il
problema, per cui la metodica oggi non si usa più. Tra
l’altro bisogna evitare di esporre il bambino alle radiazioni
della radiografia ed è comunque una metodica la cui
interpretazione è soggettiva. In passato la diagnosi che si
faceva con la “triade di Putti”, cioè tre segni radiografici:
1. Cotile (acetabolo) sfuggente, meno coprente del
normale;
2. Ipoplasia o assenza del nucleo cefalico-femorale;
3. Risalita del grande trocantere, visualizzabile grazie a
interruzione dell'ogiva di Shenton (arco formato dal
margine inferiore del collo femorale e dal margine
inferiore della branca ileo-pubica).

Oggi la diagnosi è ecografica. L’ecografia ci permette di


fare screening in quanto è un esame poco costoso, per nulla
invasivo o dannoso quindi ripetibile, eseguibile sin dalla
nascita e ci permette di vedere tutte le componenti
anatomiche dell’anca e di monitorare l’efficacia della terapia.
Il metodo utilizzato è il metodo di Graf: l’ecografia si esegue con delle sonde lineari da
11-7,5 MHz, ci permette di visualizzare tutte le parti dell’anca infantile a pochi giorni
dalla nascita e consta in 3 parti:
1. Riconoscimento della sezione ecografica corretta tramite i punti di repere:
questi sono la testa femorale (in rosso), il profilo laterale dell’ileo (in rosa) che
deve essere rettilineo, se non lo è si sono presi i punti di repere sbagliati, il margine
inferiore dell’ileo (in verde) e il labrum (triangolino giallo), che spinge la testa
dentro l’acetabolo;
2. Descrizione delle varie parti dell’articolazione: testa del femore, acetabolo,
cartilagine acetabolare;
3. Tipizzazione: grazie ai punti di repere prima descritti è possibile tracciare tre rette
che formano due angoli. La tipizzazione consiste nella misurazione degli angoli α e
β, che permettono di riportare a valori numerici un giudizio complessivo

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V anno Polo A-C 2022/2023

sull’aspetto ecografico dell’anca:


a. L’angolo α è indice di maturità scheletrica perché individua il margine inferiore dell’ileo, nell’anca
sana misura ≥ 60°;
b. L’angolo β è indice del grado di copertura della fibrocartilagine, del labrum, nell’anca sana misura ≤
55°.

CLASSIFICAZIONE DI GRAF
La tipizzazione ci permette di classificare il paziente tramite la classificazione di Graf:
• IA-IB: anca normale
• II: anca displasica → A = ritardo di ossificazione; B = displasia iniziale; C = anca critica;
• III: anca sublussata;
• IV: anca lussata.
Il segno di Ortolani è presente al grado III e IV.

SCREENING DIAGNOSTICO
Il problema è: a chi fare lo screening ecografico? È meglio associare anche i test clinici? Nel mondo non c’è
uniformità di pensiero per cui non si sa qual è l’orientamento giusto. In Italia lo screening ecografico oggigiorno
non è ancora obbligatorio, ma a tutti i neonati si fa una valutazione clinica globale (Barlow, Galeazzi, Ortolani),
a cui segue obbligatoriamente un esame ecografico a tutti i pazienti che hanno segni o fattori di rischio per DEA.
Il prof sostiene che sarebbe più corretto fare l’ecografia a tutti i neonati, che permette di fare diagnosi precoce ed
è un esame a basso costo. Alla diagnosi precoce consegue un trattamento conservativo tempestivo precoce che
consente di evitare l’evoluzione in osteoartrosi o necrosi vascolare e permette di ottenere risultati migliori.

TERAPIA
Lo scopo del trattamento è quello di mantenere il corretto posizionamento dei componenti articolari fino alla
normale crescita ossea e delle parti molli. Il trattamento può essere di tipo conservativo o di tipo chirurgico.
Divaricatore
I divaricatori possono essere dinamici e statici.
Per il trattamento conservativo ci sono fondamentalmente due linee di trattamento. Uno
consiste nell’utilizzo del divaricatore di Pavlik (foto a fianco) che è un tutore che
consente il posizionamento delle anche in abduzione (tra 50-75°) e flessione (tra 90° e
110°), esso permette in maniera naturale, dolce e gentile la riduzione e la stabilizzazione
dell’articolazione coxo-femorale (ricrea la posizione tipica dei bambini africani). Questo
divaricatore agisce:
• Sulla componente scheletrica riposizionando l’epifisi nella cavità acetabolare;
• Sulla componente muscolo-tendinea riducendo la tensione dei muscoli adduttori e
della capsula anteriore che tende a ritrarsi.
Il successo è inversamente proporzionale all’età. I risultati della terapia con divaricatore di
Pavlik se fatta correttamente e precocemente sono ottimali.
Esistono anche altri tipi di tutore sviluppati a partire da quello di Pavlik come il
divaricatore di Tubingen (←). È un divaricatore che dà una maggiore libertà di movimento
e che consta di diversi pezzi: c’è un supporto a livello delle spalle; una staffa di
divaricazione a livello delle cosce la cui lunghezza può essere modificata per variare il grado
di abduzione delle anche; delle corde a perline colorate che permettono di modificare il
grado di flessione. Questo divaricatore consente una posizione accovacciata, permettendo
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V anno Polo A-C 2022/2023

una flessione dell’anca simile a quella assunta all’interno dell’utero.


Quando utilizzare i divaricatori? Sempre quando l’ecografia è positiva, anche se di banale entità (quindi dal
grado II al grado IV uso il divaricatore). Per quanto tempo va tenuto? Prima lo metto e meno lo tengo perché le
anche sono più modificabili.
• Età di inizio 0-1 mese → durata media 3-4 mesi
• Età di inizio 1-3 mesi → durata media 7 mesi
• Età di inizio 3-9 mesi → durata media 9 mesi
Valuto l’efficacia del tutore tramite un controllo ecografico periodico ogni 3-4 settimane.
Le controindicazioni all’uso del divaricatore sono la lussazione teratogena, gli squilibri muscolari, il
mielomeningocele, l’artrogriposi, la sindrome di Ehlers-Danlos e l’età > 5-6 mesi, il bambino in questa età ha
infatti una tensione muscolare maggiore e alcune modifiche strutturali (strozzamento a clessidra etc) sono state
già determinate, devo quindi considerare altre opzioni.
L’insuccesso del trattamento con divaricatore si ha quando fallisce la riduzione, per cui
l’angolo α è aumentato di meno di 4° durante i primi 6 mesi, oppure se la diagnosi è
tardiva (> 6 mesi).
Tutori: complicanze
• Lesioni cutanee: dermatiti (inguine, poplite, spalle…)
• Paralisi del nervo femorale: per l'eccessiva flessione, di solito transitoria, ma
predittiva di fallimento del trattamento
• Pavlik harness disease: erosione della superficie postero laterale dell'acetabolo
con impedimento dello sviluppo della parete posteriore dell'acetabolo
provocato dall'uso troppo prolungato del tutore in anche non centrate
• Sublussazione del ginocchio
Skin traction
Se non si riesce a risolvere il quadro con il divaricatore (solitamente perché il paziente
arriva a 7-8 mesi, periodo in cui il divaricatore non funziona più) bisogna fare la skin
traction, che consiste nello stiramento dell’anca per riportare la testa del femore nella
sua posizione. La skin traction è quindi una trazione longitudinale, con l’anca flessa ed
abdotta, che può essere effettuata o in posizione tradizionale (flessione di 30°) o in
posizione di Bryant (flessione = 90°). Al fine di scongiurare il rischio di osteonecrosi
importante rispettare la “safe zone”, secondo la quale la flessione non deve superare i
90° e l’abduzione deve essere tra i 40° e i 55°.
Dopo aver effettuato la trazione il paziente deve essere ospedalizzato e ingessato in anestesia generale. Il gesso
viene applicato nella “human position” = abduzione di 50° e flessione di 90-110° per 6-12 settimane (foto a
fianco). In questo caso non si possono eseguire controlli ecografici, ma si deve utilizzare la TC per controllare
che la testa sia nell’acetabolo perché la radiografia spesso non è sufficientemente sensibile. In seguito si mette un
tutore rigido.
Si ribadisce ancora che un’anca displasica non è detto che sia instabile; instabili sono le anche di grado 3-4, con
segno di entrata-uscita positivo.

Apparecchio gessato
➢ In anestesia generale
➢ Spica cast
➢ “Human position”: Flessione = 100°, Abduzione < 55°
➢ Da mantenere per 6-12 settimane
➢ Controllo Rx grafico / TC
Il gesso viene rimosso a 12 settimane.

Trattamento chirurgico
Il trattamento chirurgico è rarissimo, si fa nei casi di diagnosi tardiva o per il fallimento del trattamento
conservativo, questo può avvenire nel caso in cui l’anca sia irriducibile o instabile, entrambe causate da:
• Legamento rotondo e pulvinar ipertrofici
• Labrum invertito e/o ipertrofico
• Capsula e legamento acetabolare ipertrofici
• Deficit osseo

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• Deformità a clessidra Bisogna capire qual è la causa perché cambia l’approccio chirurgico, che può essere
rivolto alle parti molli o alle parti ossee.

Vi sono diverse opzioni di trattamento chirurgico in base all’aumentare dell’età e delle deformità:
- 12 mesi: riduzione chiusa
- 18 mesi: riduzione aperta +/- release dei tessuti molli
- 36 mesi: riduzione aperta +/- osteotomie
- Oltre 36 mesi: riduzione aperta con osteotomie femorali e pelviche

Vie di accesso
Anteriore (Smith-Petersen)
- Tra sartorio e TFL
- Età > 12 mesi
- Più comunemente usata poiché riduce il rischio di lesione dell'arteria circonflessa mediale del femore
- La capsuloraffia può essere seguita dopo la riduzione

Mediali
- In pazienti di età inferiore ai 12 mesi
- Minori perdite ematiche
- Più diretta per la rimozione degli ostacoli alla riduzione
- Maggior rischio AVN
Distinguiamo diversi tipi di accesso mediale:
• Ludloff: il più usato, tra pettineo e adduttori breve e lungo.
• Weinstein: accesso anteromediale, tra pettineo e fascio neurovascolare.
• Ferguson: accesso posteromediale, superiormente tra adduttori lungo e gracile, in profondità tra
adduttori breve e grande.

Ci sono svariati interventi che si possono fare:


▪ Interventi parti molli:
• Tenotomia adduttori
• Tenotomia psoas
• Capsuloplastica
▪ Interventi osso:
• Tettoplastica
• Osteotomie pelviche
• Osteotomie femorali

Chirurgia scheletrica: complicanze


• AVN: soprattutto dovuta all’arteria epifisaria laterale
- Fallimento o crescita del nucleo ossifico un anno dopo la riduzione
- Ampliamento del collo
- Aumento della densità e frammentazione della testa del femore ossificato
- Deformità residua del femore prossimale dopo ossificazione
• Recidiva:
- Circa il 10% dei casi con un trattamento appropriato
- Richiedere un follow up radiografico fino alla maturità scheletrica
• Lesioni vascolo nervose

PROGNOSI
Dipende da vari fattori: grado di displasia, epoca di inizio del trattamento, metodo di trattamento.
Fa l’esempio di un bimbo trattato a 8 mesi con skin traction che già a 14 anni presenta segni iniziali di artrosi.

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COXA VARA E VALGA


L’anca è una enartrosi, una delle articolazioni più stabili ma anche più mobili del nostro corpo (dopo la spalla).
Nella spalla però il rapporto tra superficie convessa (omero) e cavità glenoidea è di 6:1 il che vuol dire che
l’omero è semplicemente appoggiato alla cavità glenoidea. Nel caso dell’anca il rapporto tra le 2 superfici è di
1,5:1 il che vuol dire che la testa del femore è ben contenuta dall’acetabolo. La vascolarizzazione dell’anca è
complessa. La testa del femore è irrorata dall’arteria cervicale laterale ascendente (ramo della circonflessa
laterale) che rompendosi causa necrosi della testa del femore.
Sono deformazioni caratterizzate da una variazione dell’angolo di inclinazione del collo femorale (ANGOLO
CERVICO-DIAFISARIO) che normalmente è di 127° formato dall’asse cervicale e dall’asse della diafisi.
L’angolo cervico-diafisario varia con l’età e tra i 2 sessi.
▪ Nel bambino appena nato, l’angolo cervico-diafisario è di circa 150°;
▪ Nel bambino 8-10 anni è di circa 135°-145°;
▪ Nell’adulto è circa 125°;
▪ Nell’età senile ha un’ampiezza di circa 110°-120° per modificazioni strutturali.

Altro parametro che dobbiamo considerare è l’angolo di antiversione detto anche angolo di declinazione.
È l’angolo compreso tra l’asse longitudinale del collo del femore e l’asse passante per i condili femorali.
L’angolo di antiversione misura:
▪ 30-40° nel neonato;
▪ 15-20° nel bambino;
▪ 12-15° nell’adulto.
È un angolo importante perché la sua variazione influisce sulla deambulazione (in siciliano “a camminata e 10 e
10”).

COXA VALGA
La coxa valga è una deformità causata dall’aumento dell’angolo cervico- femorale > 136° nel giovane adulto
che porta a verticalizzazione del femore. Questo comporta una inadeguata
posizione della testa del femore all’interno dell’acetabolo → sollecitazione
abnorme da parte dei carichi → artrosi precoce.
Possiamo classificare la coxa valga in:
▪ Congenita:
- Semplice: è dovuta ad un arresto del processo fisiologico di
varizzazione del collo del femore;
- Antiversa: all’aumento dell’angolo di inclinazione si accompagna un
aumento dell’angolo di declinazione;
- Sublussante: la testa tende a fuoriuscire dal proprio alloggiamento;
- Lussante: la testa del femore ha completamente perso il rapporto con
l’acetabolo.
- Sia la lussante che la sublussante sono esiti di DCA (displasia congenita
dell’anca).
▪ Acquisita:
- Statica: da alterata distribuzione dei carichi;
- Dinamica: da squilibri muscolari.

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Clinicamente il pz si presenta con l’arto in atteggiamento di abduzione


e intra-rotazione, spesso si ha una deambulazione dondolate tipo
“marinaio”, si può avere dolore all’anca (coxalgia) che si irradia al
ginocchio e il segno di Galeazzi è positivo.
Il segno di Galeazzi, o di Allis, è un segno che suggerisce una
lussazione congenita dell'anca o un accorciamento del femore
(l’abbiamo visto nella displasia congenita dell’anca). Si individua
tramite l'asimmetria delle ginocchia osservando il paziente in posizione
supina su una superficie piatta con le ginocchia stesse a 90° (quella più
corta è l’anca patologica).
Il trattamento nei casi di coxa valga sublussante o lussante è
chirurgico → osteotomia di centramento varizzante e derotante [Ndr:
Osteotomia= intervento chirurgico in cui le ossa vengono tagliate,
rimodellate o parzialmente rimosse, riallineando le superfici portanti
dell'articolazione].
Nel caso di una coxa valga semplice o antiversa faccio controlli
periodici perché si manifesta in giovane età e può andare a peggiorare.

COXA VARA
La coxa vara è una deformità caratterizzata da una diminuzione dell’angolo cervico- femorale < 110-120° nel
giovane adulto per cui il collo del femore va ad orizzontalizzarsi. In relazione alla porzione del femore
maggiormente interessata possiamo avere:
A. Coxa vara trocanterica;
B. Coxa vara cervicale;
C. Coxa vara cefalica.
In base all’età d’insorgenza invece possiamo distinguere [quella più utilizzata]:
A. Coxa vara congenita: dovuta all’assenza del collo del femore;
B. Coxa vara dell’infanzia: può essere dovuta al rachitismo che porta a deformità a clava del femore, alla
verticalizzazione della cartilagine di coniugazione oppure alla DCA, osteocondrosi, osteocondrodistrofia,
traumi, infiammazioni, qui iniziano ad agire le forze meccaniche.
C. Coxa vara dell’adolescenza: la causa può essere l’epifisiolisi cioè l’improvvisa mancanza di rapporti tra
testa e collo del femore per via di un’anomala crescita del piatto osseo (scivolamento che comporta
modificazioni dell’anca);
D. Coxa vara dell’adulto: può avvenire per modifiche dell’articolazione a seguito dell’artrosi, a seguito di una
patologia dell’infanzia, di fratture o di necrosi ischemica idiopatica della testa del femore. La causa più
frequente è il trauma.

CARATTERISTICHE
▪ Spesso bilaterale;
▪ Frequenza uguale nei due sessi;
▪ Si manifesta dopo i 3-4 anni;
Il pz con coxa vara si presenta con gli arti extraruotati e flessi, con zoppia di
caduta (perché un arto è più corto dell’altro e quindi “cade” al suolo), dolore
che si irradia al ginocchio e segno di Trendelemburg positivo. La zoppia è
determinata all’azione dei glutei e degli extrarotatori su un sistema di assi
modificato che comporta un braccio di leva alterato su cui non può applicare
una forza congrua.
Segno di Trendelemburg (o zoppia dell’anca): la deambulazione anomala si
manifesta in appoggio monopodalico (ovvero quando si è sull’arto affetto),
ed è dovuta alla riduzione della forza muscolare degli abduttori dell'anca
(medio gluteo e piccolo gluteo) e/o da una lussazione congenita dell'anca.
Consiste in una caduta del bacino, controlaterale al lato della debolezza
nel momento in cui l’arto deficitario è nella fase di appoggio; dislocando il
centro di gravità in modo da far bilanciare il corpo sull'arto con un sostegno muscolare minimo a livello
dell'anca.

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DIAGNOSI RADIOLOGICA
RX ci mostra una diminuzione dell’angolo di inclinazione. La caratteristica radiologica è la Y rovesciata: l’Rx
non fa vedere la cartilagine di accrescimento e quindi l’articolazione assume questa forma. Abbiamo un aumento
di spessore e verticalizzazione della cartilagine di coniugazione. Possiamo misurare gli angoli di cui abbiamo
parlato prima. Inoltre si ha assenza del collo femorale.

COXA VARA DELL’INFANZIA


È legata a numerose patologie:
▪ Rachitismo;
▪ DCA;
▪ Osteocondrosi;
▪ Osteocondrodisplasia;
▪ Infiammazioni acute e croniche;
▪ Post-traumatica.

Nella Coxa vara rachitica possiamo vedere la forma a clava del collo del femore,
verticalizzazione della cartilagine di coniugazione, ipotrofia del nucleo di ossificazione
prossimale e, a seguito dell’azione continua di forze differenti, si può determinare uno
slargamento della metafisi. Inoltre, si può avere un’atrofia dell’epifisi.

TRATTAMENTO
Il trattamento della coxa vara varia a seconda del caso in questione:
• Coxa congenita: nei casi in cui si interviene precocemente si può effettuare una
immobilizzazione in abduzione massima fino alla completa ossificazione,
altrimenti si esegue una osteotomia valgizzante.
• Coxa rachitica [ormai rara]: l’approccio è più conservativo con divieto di carico e
uso di tutori associato ad integratori vitaminici = si cura il rachitismo insomma.
• Coxa dell’adolescenza: si fa l’epifisiodesi temporanea (Intervento chirurgico che,
con l'impianto temporaneo di placche, blocca l'accrescimento di metà della
metafisi).
• Coxa dell’adulto: artroprotesi.

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FRATTURE DEL COLLO DEL FEMORE


È molto frequente negli over 65; nei giovani la causa più frequente sono gli incidenti stradali; nei bambini <3
anni sono invece legati ad abusi o a traumi da parto = fratture perinatali. Nella popolazione anziana nel 30% dei
casi sono causa di ospedalizzazione. La complicanza più grave nell’anziano è l’anemizzazione che richiede
l’ospedalizzazione.
EPIDEMIOLOGIA
Si tratta di numeri estremamente importanti:
- 350.000 fratture negli USA ogni anno
- 900.000 fratture in Europa di cui il 10% in Italia
La cosa importante è che sono in netto aumento dato che tende ad aumentare l’età media della popolazione per
cui si pensa che nel 2050 queste saranno il doppio, dal punto di vista europeo.
Abbiamo una prevalenza del sesso femminile con un rapporto M:F=1:4. La mortalità entro un anno varia dal
14% al 36% ed è soprattutto legata all’allettamento. Il rischio di allettamento è ingente; solo 1/3 dei fratturati
ritorna ad una vita normale (precedente alla frattura).

FATTORI DI RISCHIO PER FRATTURE DEL FEMORE PROSSIMALE


- Età > 65 anni;
- Sesso femminile;
- Osteoporosi (tutto lo scheletro può ovviamente essere interessato da frattura in caso di osteoporosi);
- Inattività/malnutrizione;
- Menopausa;
- Altri fattori: fumo, perdita di peso, cortisonici;
- Deficit cognitivi.
Si cerca sempre di fare prevenzione per gli incidenti domestici negli anziani, perché anche traumi a bassa energia
possono portare a frattura.
L’osteoporosi determina una fragilità ossea per perdita di densità minerale e deterioramento della
microarchitettura dell’apparato scheletrico; questo comporta un aumentato rischio di fatture per traumi a bassa
energia (fratture).
L’osteopenia è invece un processo di involuzione fisiologica dell’osso che porta ad una lenta e graduale
riduzione della densità minerale ossea, senza implicazioni cliniche.
Non si accompagna a nessun sintomo, si vede solo attraverso una MOC → mineralometria ossea
computerizzata, che va a valutare la densità della componente minerale-ossea. Normalmente è > di -1 deviazioni
standard; l’osteopenia va da -1 a -2,5 DS; se supera le -2,5 deviazioni standard rispetto ad una popolazione
normale si parla di osteoporosi.

Fattori di rischio non modificabili


- Sesso femminile;
- Età > 50 anni;
- Bassa concentrazione di estrogeni;
- BMI < 19;
- Anamnesi positiva per fratture da fragilità;
- Razza caucasica e asiatica;

Fattori di rischio modificabili


- Malnutrizione (deficit di Ca e vit. D);
- Fumo;
- Abuso di alcol;
- Stile di vita sedentario: si consiglia la camminata veloce, almeno mezz’ora al giorno perché si va a stimolare
l’osso;
- Non si deve pensare all’osso come un tessuto statico e questo basta a determinare l’irrobustimento delle ossa.
Si consiglia di eseguire attività fisica di bassa intensità poiché attività ad alta intensità potrebbero portare al
deterioramento della cartilagine in un anziano. Quindi le attività consigliate sono cyclette e l’allenamento in
acqua. Quest’ultime se associate al pilates o yoga mantengono in sollecitazione i muscoli e l’articolazione in
maniera fisiologica e ne permettono l’allungamento.
- Uso di steroidi e anticonvulsivanti

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CENNI DI ANATOMIA
L’articolazione coxo-femorale è un’enartrosi, ovvero un’articolazione
che ci permette di eseguire movimenti sui tre piani spaziali; è la più
stabile del nostro corpo perchè la sfericità della testa femorale alloggia
perfettamente nella concavità cotiloidea dell’acetabolo. Il tutto permette
il movimento:
- Flessione di 100°
- Estensione di 20°
- Abduzione di 20-30°
- Rotazione interna ed esterna di 90°
La porzione mediale del femore prossimale è costituita da:
- Testa femorale;
- Collo femorale
Bisogna distinguere poi una porzione laterale ovvero la
PORZIONE TROCANTERICA costituita da:
- Grande trocantere;
- Piccolo trocantere;
- Cresta intertrocanterica
A livello del grande trocantere si inseriscono i glutei mentre
nel piccolo si inserisce l’ileopsoas. È fondamentale saper
riconoscere la cresta intertrocanterica perché ci permette di andare a riconoscere una regione intracapsulare e
una regione extracapsulare e quindi le rispettive fratture.
Angoli femorali
• Angolo di inclinazione o angolo cervico-diafisario: angolo che si
forma tra il piano cervicale e l’asse longitudinale del femore:
- Normale 130° +/- 7°;
- Coxa Vara quando < 120°;
- Coxa Valga quando > 135°;

• Angolo di antiversione o angolo di torsione: angolo che si forma


tra l’asse passante per il collo e l’asse passante per la porzione
posteriore dei condili femorali:
- Normale 10° - 15°;
- Antiverso > 15°;
- Retroverso < 10°

Questi angoli sono fondamentali per la stabilità di questa regione.


La struttura di questa regione anatomica è molto resistente grazie alla presenza di
sistemi trabecolari interni, orientati lungo le linee di maggiore stress:
1. FASCIO CEFALICO, con un decorso che sostiene la testa del femore;
2. FASCIO TROCANTERICO, costituito da linee che vanno dal grande al piccolo
trocantere;
3. FASCIO ARCIFORME, con andamento ellissoidale.
Ma c’è una zona di intersezione, il triangolo di Ward, che è la zona più debole, per cui
se le forze si scaricano proprio in quel punto si può avere una frattura anche per un
trauma a bassa energia.
Questi fasci sono importanti anche perché ci permettono di ottenere informazioni in
linea di massima sul grado di osteoporosi, di fatto l’integrità di questi fasci trabecolari
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V anno Polo A-C 2022/2023

ci fornisce l’INDICE di SINGH, che individua 6 gradi in ordine di


decrescenza, partendo da una condizione normale fino ad un grado 1
privo di ogni trabecolatura.
La capsula articolare, che solidarizza la regione cotiloidea con quella
cervicale, ha un andamento tipico: di fatto parte dal labbro acetabolare
e si inserisce anteriormente sulla linea intertrocanterica, mentre
posteriormente sul collo anatomico.
È rinforzata dai legamenti:
- ILEO-FEMORALE;
- ISCHIO-FEMORALE;
- PUBO-FEMORALE.

CLASSIFICAZIONE
• Fratture intracapsulari
• Fratture extracapsulari

VASCOLARIZZAZIONE DEL COLLO FEMORALE


L’importanza della cresta intertrocanterica è attribuibile nella definizione della
vascolarizzazione. Alcune regioni del corpo, come ad es. lo scafoide, l’astragalo,
che hanno delle vascolarizzazioni di tipo termino-terminale dopo una frattura
guariscono con difficoltà, con una pseudoartrosi o mancata consolidazione. Tra
questi l’anca è un esempio tipico. Se viene ad essere interessato uno dei rami
principali a livello della testa del femore, non arriverà sangue e non si avrà una
buona guarigione. I rami principali sono:
1. ANELLO VASCOLARE EXTRACAPSULARE (anastomosi fra a.
circonflessa mediale e ramo ascendente dell’a. circonflessa laterale);
2. ANELLO VASCOLARE SOTTOSINOVIALE (anastomosi arterie cervicali
ascendenti);
3. ARTERIAEPIFISARIALATERALE (origina dall’anello vascolare
sottosinoviale): fornisce gran parte dell’apporto ematico alla testa.
4. ARTERIA DEL LEGMENTO ROTONDO (ramo a. otturatoria): irrora la
parte inferiore della testa.

CLASSIFICAZIONE SU BASE TOPOGRAFICA


• Fratture mediali
• Fratture laterali
La cresta intertrocanterica rappresenta una zona di demarcazione tra le fratture
mediali (intracapsulari) - che avranno uno scarso apporto ematico, perché si va
ad interrompere l’apporto ematico da parte dei rami dell’a. circonflessa che
penetrano nell’osso a livello dell’inserzione distale della capsula, per cui
stenteranno a guarire e si avrà un maggior rischio di necrosi della testa del femore
- e quelle laterali che invece manterranno una buona vascolarizzazione.
Per cui ogni frattura che si verifica a monte dell’inserzione distale della
capsula può interrompere la circolazione del frammento prossimale,
aumentando il rischio di necrosi della testa femorale. Le fratture mediali non
hanno i presupposti anatomici vascolari per andare incontro a processi
rigenerativi.
Allo stesso modo la maggiore scomposizione e l’entità del coinvolgimento
epifisario aumentano il rischio di danni vascolari alla testa del femore.
Comunque, una rivascolarizzazione della testa è possibile se si mantiene una certa
integrità vasale e se la capacità di rigenerazione vascolare è mantenuta.

DIAGNOSI
RX → in due proiezioni (assiale e antero-posteriore) già ci dà buone informazioni sull’entità della lesione, sui
frammenti e l’angolo di frattura (vedi classificazione di Powels; l’angolo cervico-diafisiario può essere
alterato), la linea di frattura, l’eventuale accorciamento del collo del femore, piccolo trocantere
prominente. In modo anche da studiare un piano terapeutico e valutare la prognosi.
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V anno Polo A-C 2022/2023

È imperativo mobilizzare il paziente il prima possibile per prevenire l’insorgenza della sindrome da
immobilizzazione. Le manifestazioni cliniche correlate alla sindrome da immobilizzazione sono:
- Sistema nervoso centrale: si può avere la comparsa di disturbi del tono dell’umore; stato confusionale;
- Disorientamento spazio-temporale; allucinazioni ed agitazione psico-motoria.
- Sistema muscolare: ipotrofia
- Sistema scheletrico: decalcificazione; artrosi ovvero indebolimento cartilagineo da non uso
- Sistema cardiovascolare: riduzione del ritorno venoso con possibile formazione di trombi embolizzanti
- Sistema respiratorio: alterazione della ventilazione perché si riduce l’espansione degli alveoli; possibilità
di ristagno di secrezioni che possono portare allo sviluppo di infezioni
- Sistema digerente: rallentamento della motilità intestinale con conseguente facilità di formazione di
fecalomi e riduzione della funzione di assorbimento
- Sistema renale: la posizione supina rende più difficile il controllo volontario della minzione; inoltre, si
viene a modificare il normale posizionamento delle vie urinarie, ostacolando il normale deflusso
dell’urina favorendo la stasi e l’insorgenza di infezioni, soprattutto se si utilizza un catetere
- Sistema cutaneo: lesioni da decubito per la ridotta irrorazione delle zone che subiscono il peso corporeo
- Morte
FRATTURE MEDIALI (INTRACAPSULARI)
Sono tipiche degli anziani che sono affetti da osteoporosi, sono meno frequenti rispetto a quelle laterali. Il
meccanismo di produzione delle fratture mediali del collo del femore è il trauma indiretto → caduta con urto
sulla regione trocanterica associata a torsione. Dovuti ad urti banali (cadute domestiche) diretti a livello del
grande trocantere e raramente di tipo rotazionale. Spesso causate da carichi ripetuti ai distretti muscolari,
associati a movimenti di torsione. Quelli dei giovani invece sono ad alta energia in caso di incidenti stradali, in
sport violenti oppure in casi di patologie:
1. Fratture su cisti ossee;
2. Neoplasie;
3. Problema endocrino;
4. Nutrizionale.

PATOGENESI
• Frequenza: 12% delle fratture
• Età: oltre 6° decennio di vita
• Rapporto Maschi/Femmine: 1/3

SEGNI CLINICI
Quasi impercettibili, molto diversi rispetto a quelli delle fratture laterali; il pz molto spesso riesce a camminare
perché sono intracapsulari e quindi c’è la capsula che dà un po’ di sostegno.
Sono caratterizzate da dolore a livello inguinale che si irradia fino alla regione anteriore del ginocchio non
molto intenso che si esacerba alla mobilitazione passiva dell’arto. Il paziente talvolta riesce a camminare
zoppicando e con fastidio durante i movimenti di mobilizzazione attivi e passivi dell’arto interessato (limitazione
dei movimenti dell’anca interessata). Non sempre però vi è impotenza funzionale. Provocano inoltre lieve
extrarotazione ed accorciamento dell’arto interessato.

DIAGNOSI
La diagnosi viene posta grazie all’RX standard in A-P
ed assiale dell’anca. La radiografia è utile anche per
classificare la lesione su base topografica, quindi
anatomica in:
- SOTTOCAPITATA: alla base della testa, rilevabili
all’RX come linee bianche di aumentata densità. Si
rendono evidenti dopo qualche giorno e dopo
sollecitazioni. E’ la più comune frattura intra-
capsulare dell’anca.
- BASICERVICALE: alla base del collo femorale, è l’unica in cui l’irrorazione alla testa è mantenuta (seppur
ridotta) perché distale all’arteria circonflessa anteriore. Le fratture sono intracapsulari, con la linea di
frattura che scorre lungo la linea di inserzione capsulare.
- TRANSCERVICALE: rima di frattura nel collo. Si visualizza con RX ottenuta con l’arto in rotazione
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interna perché provoca deformità in varismo (angolo cervico diafisario < 125°).
- TRANSCERVICALE OBLIQUA: nel collo femorale con direzione parallela al femore. La più frequente è
la sottocapitata.
Solo in casi dubbi richiedere approfondimento con esame TC.

CLASSIFICAZIONE DI GARDEN
Classificazione clinica:
1° Grado: frattura incompleta. Travate verticalizzate (frattura ingranata in coxa-valga).
2° Grado: frattura completa ma non scomposta. Travate e corticale interrotte senza spostamento.
3° Grado: frattura completa con parziale scomposizione. Travate orientalizzate (frattura in coxa-vara con aspetto
della testa a luna piena).
4° Grado: frattura completa con totale scomposizione. Travate interrotte con spostamento completo dei
frammenti.
Le fratture di 1° e 2° grado sono stabili, quelle di 3° e 4° instabili.
Sono spesso causa di casi dubbi perché difficili da vedere alla Rx e richiedono approfondimenti diagnostici.

CLASSIFICAZIONE DI PAUWELS
Classificazione in base all’angolo che la rima della frattura
determina con la testa del femore; maggiore è
quest’angolo più elevata è la possibilità che non si
guarisca e si formi una pseudoartrosi.
1° Tipo: obliquità 0-30°
2° Tipo: obliquità 30-50°
3° Tipo: obliquità > 70°

FATTORI PROGNOSTICI NEGATIVI


▪ Fattori meccanici
- Pauwels II e III
- Garden III e IV: tanto più la rima di frattura è verticale tanto più la prognosi sarà sfavorevole.
▪ Fattori biologici
- Assenza di periostio
- Presenza di liquido sinoviale
- Vascolarizzazione terminale dal lato mediale

TRATTAMENTO
Può variare a seconda di:
- Età;
- Livello di attività prima dell’infortunio;
- Comorbidità (ipertensive, neurologiche);
- Scomposizione, numero di frammenti;
- Osteoporosi: non si può fare una sintesi importante in un osso osteoporotico.
Conservativo
Ad oggi viene considerato obsoleto. Un tempo lo si metteva in riposo per 4 mesi ma adesso sarebbe impensabile
a meno che non rifiuti completamente l’intervento, sia particolarmente defedato e quindi vi siano
controindicazioni all’intervento chirurgico. Consiste nell’immobilizzazione e nel riposo per 2-4 mesi. Questo per
le complicanze di un prolungato allettamento:
- Trombosi venosa;
- Infezioni;
- Piaghe da decubito;
- Perdita di funzione dell’arto;
- Pseudoartrosi.
Fino ad arrivare alla sindrome da immobilizzazione.
Chirurgico
Il trattamento chirurgico è quindi il gold standard e abbiamo tre alternative:
1. RIDUZIONE ED OSTEOSINTESI (trattamento riparativo);
2. Sostitutiva parziale con ENDOPROTESI;
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3. Sostitutiva completa con ARTROPROTESI in cui viene sostituito, non solo testa e collo del femore, ma
anche la componente acetabolare.
1° e 2° tipo Garden: OSTEOSINTESI; 3° e 4° tipo Garden: SOSTITUZIONE PROTESICA.
L’osteosintesi con viti cannulate viene effettuata nei soggetti più giovani, nei Pauwels più I che II o nei Garden I
e II; non ha senso farla nell’osteoporotico.
Si utilizzano dei fili come guida, i famosi fili di Kirschner, sui quali si avvita la vite cannulata (2-3 anche) che
quindi ha la strada predeterminata. Si tenta in questo modo di salvare il collo e la testa del femore; si cerca di
promuovere la guarigione naturale della frattura.
ENDOPROTESI
Quando si ha una scomposizione maggiore o si ha una instabilità intrinseca
→ Pauwels II e III
→ Garden III e IV
Non consideriamo la possibilità di un trattamento riparativo
come l’osteosintesi perché si tratta di un trattamento
fallimentare.
L’ENDOPROTESI si fa nel soggetto anziano in cui magari
la qualità dell’osso non è ottimale e infatti usiamo il
cemento per ancorare la protesi all’osso perché non ci
sarebbe un ancoraggio ottimale per osteointegrazione.
È una protesi parziale perché si a va sostituire solo la
componente femorale [Ndr: è uguale all’artroprotesi, solo
che manca la componente acetabolare appunto].
Indicazioni
- Scarse condizioni di vita;
- Fratture patologiche dell’anca;
- Severa osteoporosi;
- Età > 75 anni;
- Riduzione incruenta insufficiente;
- Patologie pre-esistenti dell’anca.
I soggetti possono camminare da subito, quindi è un bel vantaggio per questi anziani.

ARTROPROTESI
Indicazioni
• Età < 75;
• Patologia acetabolare concomitante;
• Alto livello di attività e quindi grandi speranze di vita.
Controindicazioni
• Infezioni: il metallo è terreno fertile, i batteri creano un biofilm su di esso;
• Pazienti giovani;
• Rottura dei mezzi di sintesi dopo osteosintesi;
• Patologia acetabolare pre-esistente.
Abbiamo una componente femorale ed una acetabolare. La prima è come un chiodo endomidollare a cui è unita
una sfera che rappresenta la testa del femore; la seconda è come una cupola che si mette al posto dell’acetabolo.
Ci sono varie tecniche chirurgiche, tutte equivalenti, per cui il chirurgo sceglie quella con cui personalmente si
trova meglio, che ha fatto più volte.

1. Si apre la capsula
2. Si rimuovono i frammenti e si continua sotto come sotto
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Le protesi che si utilizzano oggi sono in lega di titanio e il materiale più moderno è il tantanio. Questo è
maggiormente biocompatibile e anche più resistente ed elastico, quasi come l’osso. Tutto questo è per permettere
all’osso di crescere di sopra in maniera da garantire i migliori successi a medio e lungo termine. Tutto per
l’obiettivo finale → protesi che dura per tutta la vita del pz, una protesi che non determina malformazioni,
alterazioni nel passo, allergie, infezioni, attrito, microinsabilità → usura della protesi.
Ma perché questa protesi fallisce? Tralasciando il caso in cui l’ortopedico non abbia disegnato perfettamente la
protesi e i problemi propri del paziente (obesità, allergie, patologie concomitanti, attività del soggetto), il
problema è che ancora non si è riusciti a creare un’interfaccia tra la protesi femorale e la parte cotiloidea che non
si usuri nel tempo.
Abbiamo fatto un femore in tantanio, sfera in ceramica, capsula di polietilene e altra capsula in tantanio, ma
ancora non si riesce a non farla usurare; non abbiamo trovato il biomateriale adatto nella parte articolare.
COMPLICANZE
• Osteoporosi
• Incongruo trattamento

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FRATTURE LATERALI (EXTRACAPSULARI)


Frattura isolata del grande trocantere. Avviene principalmente nelle donne osteoporotiche ed è il risultato di un
trauma diretto sul grande trocantere o per avulsione a causa di una trazione del tendine del muscolo gluteo
medio.
CLASSIFICAZIONE SU BASE DESCRITTIVA
• Stabili
• Instabili
EPIDEMIOLOGIA
- Età > 60 anni;
- Più frequente delle fratture mediali;
- Colpite 63,3 donne su 100.000 ogni anno e 27,7 uomini;
- Indice di SINGH < 3 (indice che valuta l’integrità articolare e va 1 a 6);
- Possibilità di fratture patologiche.
Sono causate da un trauma diretto da caduta con impatto sulla regione trocanterica; raramente da un trauma
indiretto, per torsione dell’arto flesso.
PATOGENESI
• Età avanzata
• Indice di Singh (qualità del sistema trabecolare < 3)
• Fratture patologiche (minimo trauma)
MECCANISMO TRAUMATICO
• Diretto: caduta sul massiccio trocanterico.
• Indiretto: per torsione sull’arto flesso.
SEGNI CLINICI
Dolore importante nella regione trocanterica, ematoma vasto, abbiamo un arto extraruotato di > 45° (si ha il
sopravvento dei muscoli extrarotatori su quelli intrarotatori), addotto (muscoli adduttori), accorciamento
dell’arto per il dolore (muscoli pelvi-trocanterici)e impotenza funzionale.
DIAGNOSI
Ancora una volta la Rx standard (proiezione
assiale e antero-posteriore) è sufficiente a fare
diagnosi; TC in casi selezionati.

CLASSIFICAZIONE TOPOGRAFICA
- Intertrocanterica: tra i due trocanteri;
- Sotto-trocanterica;
- Sotto-trocanterica diafisaria: che si
allunga in obliquo lungo la diafisi;
- Pertrocanterica: dal grande trocantere
passa sotto al piccolo trocantere.
Si può avere anche una frattura isolata del
grande trocantere. È un’affezione poco comune
che interessa le donne molto osteoporotiche. Si
può verificare a seguito di trauma diretto sul
grande trocantere o per avulsione (asportazione)
a causa della trazione da parte del tendine del
gluteo medio.
La frattura di gran lunga più comune tra le
fratture extra- capsulari è quella pertrocanterica;
è associata a varismo e, mediante la
classificazione di Evans-Jensen, si distinguono
5 gradi:
Stabile e Instabile è un concetto importante in
ortopedia perché fa riferimento alla guarigione. Classificazioni più complesse non hanno utilità clinico-
decisionali poiché, qualunque sia il tipo di lesione, non si ha compromissione della vascolarizzazione per cui

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V anno Polo A-C 2022/2023

comunque si avrà la guarigione del tessuto.


La frattura sottotrocanterica si verifica inferiormente al piccolo trocantere fino a 5 cm da esso (poi si chiamano
diafisarie). Sono frequentemente scomposte a seguito dell’azione dei muscoli.
La classificazione più utilizzata è quella di Seinsheimer che divide in 5 gruppi in base al n. di frammenti e della
loro dislocazione.

TRATTAMENTO
FRATTURE LATERALI STABILI: osteosintesi corticale
FRATTURE LATERALI INSTABILI: osteosintesi corticale o endomidollare
Riduzione ed Osteosintesi con chiodo endomidollare e viti:
1. Si apre;
2. Si prepara il canale per il chiodo;
a. Con la maschera (un apposito strumento) si inseriscono le frese che vanno a scavare il canale.
3. Si prepara il canale per le viti;
4. Si mette anche una vite di bloccaggio per il chiodo
5. Infine, si mette un tappetto per il chiodo.
IMPORTANTE:
- IMPERATIVO MOBILIZZARE PRIMA POSSIBILE IL PAZIENTE.
- Ridurre al minimo la durata del decubito e mantenere, ove possibile, una deambulazione sufficiente.

COMPLICANZE DEL TRATTAMENTO CHIRURGICO


• Rottura delle viti;
• Perdita della sintesi prossimale (cut-out);
• Infezioni;
• Ritardo di consolidazione;
• Osteonecrosi;
• Frattura della diafisi del femore;
• Dolore.
L’importante è cercare di provenire → agire sull’osteoporosi.

MANIFESTAZIONI CLINICHE ASSOCIATE ALLA SINDROME DA ALLETTAMENTO


•sistema nervoso centrale
•sistema muscolare
•sistema scheletrico
•sistema cardiovascolare
•sistema respiratorio
•sistema digerente
•sistema endocrino e renale
•sistema cutaneo

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EPIFISIOLISI
È una lesione distrofica della cartilagine di accrescimento prossimale (tra il nucleo si ossificazione e il resto
della testa del femore) del femore a cui segue spesso la dislocazione del nucleo epifisario prossimale
(epifisiolistesi) tale da determinare deformità in varismo cervico-cefalico del collo del femore. Ricordiamo
che l’angolo cervico-cefalico è l’angolo che si forma tra l’asse del collo del femore e l’asse della testa del
femore. È una patologia dell’adolescenza.
EPIDEMIOLOGIA
Ha un’incidenza mondiale di 10:100000, con una prevalenza di 3:1 per il sesso maschile. Ha un picco
d’incidenza tra 10-16 anni nel sesso maschile e tra i 9-14 anni nel sesso femminile (in cui è, comunque, raro
dopo il menarca). Spesso è associata all’obesità (peso>90° percentile) e all’immaturità scheletrica. La familiarità
non è molto significativa (positiva nel 5%). Caratteristico è il fatto che in almeno il 50% dei casi la lesione è
bilaterale (20%-80% dei casi) e quasi mai è contemporanea: solitamente l’arto controlaterale viene interessato
nei 12 mesi successivi. Si è visto che nei casi monolaterali l’anca sinistra è 2 volte più colpita rispetto alla destra.
Le patologie dell’anca riguardano diverse fasce d’età:
▪ Età neonatale: displasia congenita dell’anca (displasia della cartilagine acetabolare);
▪ Infanzia: malattia di LEGG-CALVE’-PERTHES (osteocondrosi);
▪ Adolescente: coxa vara degli adolescenti (epifisiolisi).
Tutte e 3 riguarda la cartilagine dell’anca, locus di minoris resistentiae nel senso che è bersaglio di una serie di
patologie legate al fatto che la cartilagine ha 2 caratteristiche fondamentali: elasticità e resistenza. Ha il ruolo di
ammortizzare i carichi che si applicano sull’articolazione.
Avremo quindi l’epifisiolisi che porta a epifisiolistesi, tale da determinare varismo cervico-cefalico. Il varismo
dell’anca può originarsi a livello del trocantere, del collo o della testa del femore. Quando dipende dalla testa si
chiama varismo cervico-cefalico: l’asse della testa e del collo che normalmente sono un unico asse, in questo
caso hanno inclinazioni diverse. Il varismo cervico-cefalico si ha sia nell’epifisiolisi ma anche nel distacco
epifisario di primo tipo.

EZIOLOGIA E PATOGENESI
Non è del tutto nota. L’ipotesi più accreditata è che su una base genetica di predisposizione, agiscano fattori
scatenanti di natura biochimica ed ormonali tali da determinare in presenza di stress meccanici alterazioni
morfologiche a carico della cartilagine di accrescimento epifisario. Tra le possibili cause abbiamo cause di
natura:
- metabolica: osteodistrofia renale, ipovitaminosi D, ipervitaminosi A,
- ormonale: ipotiroidismo, ipogonadismo, ipopituitarismo, iperparatiroidismo
- meccanica: obesità, traumi, alterazioni anatomiche come la maggiore profondità dell’acetabolo che
imprigiona la testa;
- altro: radioterapia, chemioterapia, immunoterapia
- patologie come sarcoidosi, sclerosi multipla, sindrome di Down.
Questi fattori causano alterazioni morfologiche e strutturali a carico della cartilagine di accrescimento fino
all’epifisiolisi.
Richiamo di istologia: La cartilagine di accrescimento è formata da 3 strati: cartilagine di proliferazione,
cartilagine ipertrofica, cartilagine calcificata. La cartilagine si calcifica grazie alla fosfatasi alcalina prodotta dal
condrocita ipertrofico che richiama cristalli di idrossiapatite dal plasma. La cartilagine calcificata poi riceve
l’irrorazione dall’osso metafisario contiguo con la formazione di vero tessuto osseo.
Quali sono queste alterazioni morfologiche e strutturali della cartilagine di accrescimento?
-Microscopio ottico: osserviamo un aumento dello spessore della cartilagine di accrescimento che possiamo
vedere anche radiograficamente confrontando il lato sano con il lato malato; questo è dovuto al disordine
organizzativo di questa cartilagine in cui i condrociti non sono disposti a colonna ma a grappolo. Scompaiono
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V anno Polo A-C 2022/2023

anche i setti longitudinali sostituiti da matrice extracellulare lassa e scarsamente fibrillare.


-Microscopio elettronico: si osserva l’ipertrofia dei condrociti, la ridotta dimensione delle fibre collagene e
fittamente stipate tra loro e scomparsa dei proteoglicani che normalmente hanno il ruolo di legare le fibrille
collagene.
Tutte queste alterazioni fanno sì che la cartilagine di accrescimento non riesca a resistere ai carichi che agiscono
su essa.

TEORIA PATOGENETICA
Squilibrio biochimico ormonale → alterazione morfologica
della cartilagine epifisaria → compromissione elasticità e
resistenza che in presenza di fattori meccanici porta a
epifisiolistesi, acuta o cronica. L’epifisiolistesi acuta entra
in diagnosi differenziale con un distacco epifisario di primo
tipo.
Il carico a cui è sottoposta l’anca consta di 2 vettori: una
forza varizzante e una forza compressiva. Se diminuisce
la resistenza epifisio-metafisaria, la forza varizzante
provocherà un varismo cervico-cefalico e la epifisiolistesi.

CLASSIFICAZIONI
Abbiamo una classificazione clinica, una strumentale/radiografica e una prognostica.
❖ Classificazione radiografica: È la classificazione di Wilson che distingue 4 gradi a seconda dell’entità dello
scivolamento dell’epifisi, quindi dell’epifisiolistesi:
▪ 1° Grado: scivola < del 25% del totale
▪ 2° Grado: scivola dal 25% al 50% del totale
▪ 3° Grado: scivola dal 50% al 75% del totale
▪ 4° Grado: scivola > 75%.
Nel 98% dei casi la dislocazione del nucleo epifisario prossimale del femore è inferiore posteriore e laterale.
[Ndr: si dice “epifisiolisi con epifisiolistesi di ... grado”]
Nel distacco epifisario invece il distacco dell’epifisi avviene in relazione alla direzione trauma. Nel caso di un
trauma che causa un distacco epifisario infero-laterale, per fare diagnosi differenziale con l’epifisiolistesi acuta
dobbiamo considerare altri elementi come la presenza di distrofia e la bilateralità della lesione oltre che tutti gli
elementi che possiamo raccogliere all’anamnesi (problemi ormonali, metabolici ecc) se è un adolescente obeso.
Il trattamento nei 2 casi è uguale: riduzione e fissazione che si fa anche nell’anca controlaterale, nel caso di
epifisiolisi, per prevenire l’epifisiolistesi.
❖ Classificazione clinica: clinicamente distinguiamo diversi stadi:
o Pre-epifisiolisi: è la condizione in cui è presente l’epifisiolisi pura. Clinicamente è paucisintomatica con
gonalgia, coxalgia lieve, facile stancabilità. Radiograficamente vedremo, rispetto al controlaterale se è sano, un
aumento dello spessore della fisi. Il sintomo che dovrebbe allarmare il pediatra non è il dolore all’anca ma il
dolore nella faccia antero-mediale del ginocchio, ricorrente. Se però il pediatra decide di far fare una radiografia
il ginocchio, non vedremo niente! Fondamentale è fare diagnosi precoce con radiografia delle anche in doppia
proiezione (sempre!!).
o Epifisiolisi acuta: è caratterizzata da una sintomatologia improvvisa < 3 settimane con in genere anamnesi
positiva per episodio traumatico, coxalgia acuta e violenta, arto atteggiato in extrarotazione durante la flessione
dell’anca (segno di Dremhann), impotenza funzionale. L’epifisiolisi acuta ci permette di diagnosticare subito la
patologia e intervenire immediatamente, scongiurando il rischio di una epifisiolisi cronica o peggio inveterata.
Correlata ad uno scivolamento di IV grado e ad un atteggiamento di difesa che va in DD con distacco epifisario
(dovuto ad un trauma ad alta energia).
o Epifisiolisi cronica: più frequente. La sintomatologia dura da più di 3 settimane ed è caratterizzata da gonalgia
che scompare a riposo, coxalgia intermittente, arto atteggiato in extrarotazione e flessione, zoppia di fuga,
accorciamento moderato (1-2cm).
Nota: differenza tra zoppia di fuga e zoppia di caduta
La zoppia di caduta si ha in caso di accorciamento dell’anca e non c’è dolore. La zoppia di fuga invece è un
atteggiamento in cui si sottrae l’arto inferiore al carico perché c’è dolore. Esiste anche la zoppia mista in caso di
accorciamento e dolore.
o Epifisiolisi acuta su cronica: improvvisa e violenta esacerbazione del dolore cronico dopo un trauma di
minima entità.
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o Epifisiolisi inveterata: è la più temibile. Non ci si è accorti dello scivolamento della testa e essendo presente
da tempo già potrebbe essere avvenuta la saldatura della cartilagine di accrescimento. L’unico intervento in
questo caso è chirurgico con frattura dell’epifisi per cercare di rimetterla a posto. I segni sono dismetria degli
arti, segni iniziali di artrosi, limitazione articolare.
❖ Classificazione prognostica
Se si tratta di una forma stabile (85% dei casi) c’è basso rischio di osteonecrosi e una buona capacità di caricare
l’arto e deambulare; se si tratta di una forma instabile (15% dei casi) c’è un elevato rischio di osteonecrosi
perché lo spostamento epifisario può portare ad una rottura dei vasi arteriosi; ed è associata a incapacità di
caricare l’arto.

DIAGNOSI
L’esame radiografico è indispensabile per fare diagnosi.
L’Rx mostra:
• Slargamento della cartilagine di coniugazione;
• Riduzione dell’altezza epifisaria;
• Scivolamento del nucleo epifisario;
Positività del segno di Klein: la linea di Klein passa per tutta
la metafisi laterale del femore e nella normalità entra nella
testa del femore. Se c’è scivolamento non entra nella testa del
femore.
La TC è generalmente poco richiesta, permette di visualizzare
bene gli spostamenti posteriori (nelle forme inveterate) ed è
utile nei pazienti con ridotta tolleranza della mobilizzazione
dell’anca.
La RM permette la visualizzazione precoce di alterazioni della cartilagine, prima dello spostamento. RM così
come la Scintigrafia non vengono molto utilizzate.

COMPLICANZE
▪ Necrosi avascolare epifisaria: è catastrofico perché sono soggetti giovani che devono andare a mettere una
protesi;
▪ Condolisi;
▪ Artrosi secondaria;
▪ Chiusura precoce della cartilagine con accorciamento dell’arto.

TRATTAMENTO
Mira a correggere lo spostamento delle epifisi e accelerare il processo di fusione cartilagineo in modo che la
testa non possa più scivolare, prevenendo le complicanze e restituendo la funzionalità al pz. Altrimenti lasciata a
se stessa tenderebbe alla guarigione con esiti.
Il trattamento è prima sempre cruento (poi conservativo): riduzione e immobilizzazione con viti percutanee →
epifisiodesi che è l’intervento d’elezione, in alternativa viene effettuata l’osteotomia. In sala si riduce lo
scivolamento e si fissa medialmente la cartilagine di accrescimento con una vite. Dopo 3 anni dall’epifisiodesi
c’è una perfetta restitutio ad integrum per cui si vanno a rimuovere le viti.
L’osteotomia in cui si deve staccare l’epifisi per riportarla al suo posto non è frequente ed è molto rischiosa.
Questo intervento viene riservato a quei casi in cui si deve agire su una epifisiolisi più datata o in cui non si può
ridurre.
Osteotomie del collo a rischio necrosi → cuneiforme extracapsulare alla base del collo.
Il trattamento incruento consta di riduzione e immobilizzazione con il gesso o con tutori, viene utilizzato nei casi
in cui è controindicato l’intervento chirurgico (es. ragazzino immunodepresso che fa chemio/radioterapia).

Domanda del prof: se il paziente è a rischio epifisiolisi, tratto l’altro lato preventivamente? Negli USA viene
adottata la strategia preventiva, in Europa no: per questo nel mondo l’incidenza della forma bilaterale è tra il
20% e l’80%, negli USA si giustifica l’intervento classificando direttamente l’epifisiolisi come bilaterale. Il prof
non opererebbe l’anca sana perché se prima metto una vite e poi in un secondo momento succede qualcosa in
quell’anca diventa un problema.

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LESIONI CAPSULO-LEGAMENTOSE DEL GINOCCHIO


GINOCCHIO

Il ginocchio è un ginglimo angolare in cui si articolano 3 ossa: femore, tibia e patella. Quest’ultima è inserita
all’interno del tendine quadricipitale e rafforza il ginocchio in tutti i suoi movimenti. Possiamo distinguere nel
ginocchio 2 articolazioni:
• femoro-tibiale (ginglimo angolare): è formata dai condili femorali e dalle due cavità glenoidee dei condili
tibiali. È un’articolazione
sottoposta a carico maggiore durante la stazione eretta e in cui il carico aumenta in posizione flessa verticale
come quando saliamo o scendiamo le scale o quando corriamo.
• femoro-rotulea (artrodia): non è mai sottoposta a carico in posizione verticale per cui in caso di patologie di
questa articolazione possiamo non prescrivere il divieto di carico che invece si instaura in caso di patologia
femoro-tibiale.
Viene invece sottoposta a stress durante la flesso-estensione come nel caso di sport come il ciclismo. La
caratteristica di questa articolazione è legata alle strutture capsulo-legamentose.

MENISCHI
I condili femorali hanno una forma curva mentre il piatto tibiale è più piano. Per far sì che i condili si adattino al
piatto tibiale, tra i 2 capi articolari sono interposti 2 menischi fibro-cartilaginei, interno ed esterno, di forma
semilunare, per rendere congruente la componente femorale con quella tibiale ed evitare l’usura, riducendo le
sollecitazioni articolari date dal peso corporeo e dalle forze torsionali.
I menischi sono distinti in due tipologie sia per la collocazione che per la forma.
• Menisco interno ha una forma a “C”, distinguiamo un corno anteriore, un corpo, un corno posteriore;
• Menisco esterno è leggermente più chiuso a “O”, per cui è più resistente

Questa distinzione spiega anche perchè la genesi dei traumi colpisce maggiormente il menisco interno.
Queste strutture si fondono quasi con l’inizio dei legamenti crociati, i più importanti del ginocchio a livello
articolare. Ogni menisco in sezione ha forma triangolare il cui apice è rivolto all’interno della cavità articolare.
La superficie superiore è concava, quella inferiore è piana (congruenza articolare). I menischi hanno la
funzione di salvaguardare l’integrità dell’articolazione, riducendo i carichi di contatto tra femore e tibia
(ammortizzatori). Se il menisco si danneggia o si riduce di dimensioni i carichi aumentano. Altra funzione
importante è quella di stabilizzare l’articolazione del ginocchio (come anche i legamenti). Infine i menischi
sono dotati di terminazioni propriocettive che vengono perse quando il menisco viene danneggiato per trauma
o dopo chirurgia.
Nel movimento i menischi non sono fissi e rigidi ma sono strutture morbide che si muovono con i movimenti del
ginocchio. Il menisco interno è più fisso, il menisco esterno è più mobile. Questo è importante da un punto di
vista di patologia perché il menisco interno essendo più fisso, è più soggetto ai traumatismi dovuti ai movimenti
del ginocchio. Circa il 75% delle patologie meniscali riguarda il menisco interno.

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Abbiamo 3 strati, dall’esterno verso l’interno:


- Zona red-red
- Zona red-white
- Zona white: di avascolarizzazione

La vascolarizzazione del ginocchio, principalmente dall’arteria poplitea con le arterie genicolate, è


fondamentale per la guarigione dopo una lesione. La zona white è quella da dove originano i legamenti crociati
che quindi non andranno incontro a guarigione. La terapia deve pensare anche a questo: se interessa la parte
periferica, in artroscopia, andrò a suturare la lesione che andrà incontro a guarigione; nelle zone meno
vascolarizzate si opterà piuttosto per una rimozione molto attenta, minima, della parte di menisco lesionata.

STRUTTURE CAPSULO-LEGAMENTOSE DEL GINOCCHIO


▪ Capsula fibrosa: avvolge a manicotto tutta l’articolazione del
ginocchio e gli dà nutrimento, grazie anche alla sinovia al suo interno
e al liquido sinoviale che permette inoltre lo scivolamento dei capi
articolari; anch’essa è un elemento stabilizzatore dell’articolazione;
▪ Legamenti di rinforzo:
- Patellare o rotuleo
- Popliteo obliquo
- Popliteo arcuato
- Collaterali: mediale (o tibiale) e laterale (o fibulare); sono
stabilizzatori periferici del ginocchio. Il collaterale mediale ha
diversi fasci (3) dalla superficie alla profondità e sono molto adesi
alla capsula articolare. Il collaterale laterale è più piccolo ed esile
del mediale. Le lesioni isolate del collaterale laterale sono molto
rare.
- Crociati: sono 2 robusti legamenti che rappresentano i più
importanti mezzi di connessione tra femore e tibia. Si incrociano a
livello della fossa intercondiloidea del femore, all’interno della
capsula ma all’esterno della cavità articolare, in quanto la
membrava sinoviale forma una doccia a concavità posteriore che
accogli entrambi i legamenti crociati; quindi → intracapsulari ma
extra-articolari. Evitano la traslazione della tibia sul femore. (I
legamenti crociati non hanno né vascolarizzazione né
innervazione. Questo è importante perché la rottura del crociato
non dà versamento ematico cospicuo.)
▪ Il crociato anteriore origina dalla tibia, davanti all’eminenza
intercondiloidea e decorre in senso antero-posteriore per inserirsi sulla
faccia mediale del condilo laterale del femore.
▪ Il crociato posteriore origina dietro l’eminenza intercondiloidea
tibiale e decorre in senso postero-anteriore per inserirsi sulla faccia
laterale del condilo mediale del femore.

Ricordiamo che con la RM (che è il gold standard di secondo livello)


possiamo visualizzare queste strutture dei tessuti molli.
EZIOPATOGENESI DELLE LESIONI LEGAMENTOSE DEL
GINOCCHIO
• Valgismo-rotazione esterna
• Varismo-rotazione interna
• Iperestensione (tipico “calcio a vuoto”)
• Traumi postero-mediali e postero-laterali
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Trauma diretto:
es. impatto sul compartimento laterale con piede fisso al suolo;
Trauma indiretto:
es. valgo-flessione-rotazione esterna → lesione LCM, LCA, corno posteriore menisco interno, LCP (se il trauma
avviene in estensione).
es. valgo-flessione-rotazione interna → lesione LCL, LCA, corno posteriore menisco esterno, LCP (se il trauma
avviene in estensione).
Lesioni:
Compartimento interno, esterno, del pivot centrale (LCA+LCP).
La più frequente è la lesione dei collaterali, poiché sono i principali elementi che rafforzano la capsula articolare.
Spostamento delle superfici articolari sul piano sagittale:
Trauma diretto (da cruscotto, ovvero il ginocchio sbatte direttamente a livello della tibia) → LCP Trauma
indiretto (iperestensione) → LCP, LCA
Traumi distorsivi del ginocchio:
Lesioni capsulo-legamentose semplici quando riguardano una sola struttura e non inficiano la stabilità (LCM,
LCA, LCP), oppure complesse quando riguardano più strutture contemporaneamente (multiligamentose, almeno
due legamenti interessati, come nella lussazione di ginocchio) e la stabilità è compromessa, il ginocchio continua
a cedere.

Possiamo avere distorsioni di primo, di secondo e di terzo grado del ginocchio.

I) legamento risulta stirato o con minime lacerazioni. Mancano i segni di lassità articolare non c’è una
significativa invalidità a lungo termine. La clinica è caratterizzata da scarsa dolorabilità, scarso versamento
ematico, tumefazione. Il trattamento consiste nel riposo e nella riabilitazione muscolare.
II) lacerazione parziale del legamento con conseguente lassità articolare. Il trattamento consiste nella terapia
riabilitativa.
III) rottura completa del legamento con instabilità articolare. Il trattamento è chirurgico.

ANATOMIA PATOLOGICA
• Lesioni legamento collaterale mediale
• Lesioni legamento crociato anteriore
• Lesioni legamento crociato posteriore e postero-laterali

ROTTURA DEL LEGAMENTO COLLATERALE MEDIALE


Il legamento collaterale mediale può essere considerato come un ispessimento della capsula articolare che dal
condilo mediale scende longitudinalmente fino alla porzione superiore del terzo prossimale di tibia.
Le lesioni del LCM possono essere isolate e sono causate tipicamente da un trauma in valgismo. Alcune volte il
LCM si associa ad una lesione del LCA se il trauma è importante. Un pz che ha una instabilità del LCM è più
spesso soggetto a lesioni del LCA perché la forza traumatica in valgo si riflette anche sul LCA così come anche
sul menisco mediale.
Cause di rottura del LCM:
- Ipersollecitazioni in valgo del ginocchio: trauma contusivo sulla parte laterale del ginocchio, caduta su un
fianco mentre l’arto è piantato al suolo;
- Sovraccarico funzionale: come nel caso dei nuotatori stile rana per l’estensione a frusta ripetuta;

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Clinicamente si manifesta con dolore nella parte mediale del ginocchio, blocco articolare, gonfiore della parte
mediale del ginocchio, instabilità ed impossibilità funzionale nel sostenere il peso corporeo. Edema ed
ecchimosi.
Test di instabilità: l’instabilità rimane anche se il dolore è passato dopo qualche giorno.
Stress in valgo, da eseguire a 0° e 30° di flessione: il ginocchio viene flesso a 30° (questo perché la flessione a
30° elimina la componente di stabilità data dal LCP) con una mano con cui spingiamo medialmente, mentre
l’altra tiene la caviglia. L’anomala apertura mediale indica la probabile lesione del LCM e in base al grado di
apertura del compartimento mediale avremo:
Grado I: apertura da 0 a 5 mm
Grado II: apertura da 5 a 10 mm
Grado III: apertura > 10 mm
Ricordiamo che in alcuni pz la lassità dei legamenti è congenita. Se il test si mantiene positivo anche a ginocchio
flesso a 0°, significa che la lesione delle strutture mediali si associa alle lesioni di altri legamenti come il LCP.

ITER DIAGNOSTICO
Anamnesi: modalità di insorgenza del dolore, storia clinica dell’evento traumatico, attività, età, caratteristiche
fisiche del pz.
EO: ispezione con ricerca di ecchimosi o ematoma evidenti, edema dei tessuti molli extrarticolari, palpazione
per valutare la sede del danno, positività ai test specifici.
Test specifici di instabilità.
Esami strumentali: si può fare una RM se il trauma è importante e si sospettano lesioni anche di altre strutture e
una Rx ma solo se ci interessa vedere una eventuale lesione ossea associata.

TRATTAMENTO
Il trattamento difficilmente è chirurgico perché essendo parte della capsula, anche se poco
vascolarizzato, tende a guarire.
I e II grado: (recupero rispettivamente in 7-10gg / 2-4 settimane)
• RICE e FANS
• Tutore (per 20-30 giorni)
• Carico progressivo
• Potenziamento muscolare e fisioterapia (dopo alcune settimane)
Il tutore serve a garantire un’ottimale guarigione e scongiurare complicanze come retrazione
tendinea e dei muscoli, ecco perché è utile applicarlo in acuto. Se lo si mette tardi, il legamento
è già cicatrizzato e rimane lasso. Sono tutori articolati in cui possiamo decidere il grado di
movimento possibile, armati con barre di contenzione.
III grado: trattamento conservativo, c’è chi dice che si deve ricostruire chirurgicamente (si
ripara con una sutura diretta), altri in acuto altri in cronico. Il prof pensa che il trattamento chirurgico vada
riservato agli sportivi e se c’è una concomitante rottura del LCA, altrimenti tutore bloccato a 30° con arto in
scarico; questo perché a lungo termine, comunque, il legamento tende a guarire per cicatrizzazione.

ROTTURA DEL LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE


Più frequente a 25 anni negli sportivi, a 40 anni nei non sportivi. Il rapporto M:F è 2:1. Negli adolescenti la
lesione del LCA è rara 3% (Shelbourne): solitamente la lesione è una avulsione della spina tibiale.
Nei bambini il più delle volte si hanno delle avulsioni ossee della spina intercondiloidea anteriore, quindi cambia
il trattamento, non si parla di rottura legamentosa, ci sarà piuttosto la rottura del piatto tibiale perché nei bambini
è più debole l’osso rispetto al legamento. (Questa è una cosa positiva perché il trattamento è più semplice e
prevede l’utilizzo di tutore in flessione di 5-10° da tenere per 30 giorni, poi ginocchiera articolata. Si interviene
chirurgicamente solo quando abbiamo una avulsione con diastasi del pezzo fratturato).
Il LCA è una struttura che risulta dall’unione di singoli fasci di fibre legamentose che partono dal femore e si
inseriscono distalmente sulla tibia in corrispondenza di un’ampia superficie.
Didatticamente i fasci li distinguiamo in antero-mediale (AM) e postero-laterale (PL). Rottura completa: AM +
PL, porta sempre a instabilità che è di tipo antero-posteriore. Rottura parziale: AM/PL, un fascio resta
competente.
È uno dei legamenti più importanti per la stabilità del ginocchio e quello che forse va più incontro a rottura. Il
ruolo del LCA è quello di opporsi alla traslazione anteriore della tibia rispetto al femore e di limitare la rotazione
interna del ginocchio.
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EZIOPATOGENESI
Nel 90% dei casi è causato da un trauma sportivo
- Valgismo-rotazione esterna: sciatore a cui si infila lo sci nella neve, calciatore colpito dall’avversario
mentre il piede è fisso a terra (sbilanciato perché sta calciando) o un giocatore di football;
- Varismo-rotazione interna;
- Iperestensione: calcio a vuoto;
- Contrazione massima del quadricipite: come nello sciatore che atterra dopo un salto o nel giocatore di
pallacanestro;
- Iperflessione brusca e forzata;
- Iper-rotazione interna.

ANAMNESI
- Modalità di insorgenza del dolore
- Storia clinica dell’evento traumatico
- Caratteristico “crack” al momento del trauma associato a forte dolore improvviso che quasi
immediatamente scompare. È definito il segno dello spaghetto perché si sente come tanti spaghetti che si
rompono;
- Attività
- Età: in un 40-50enne il legamento deve essere ricostruito anche se oggi la tendenza è quella di riparare il
legamento anche in età più tardive, perché l’assenza del legamento determina instabilità articolare con
sensazione di slittamento del ginocchio nei movimenti di rotazione, quando il piede è appoggiato al terreno
dovuto alla sublussazione anteriore della tibia sul femore. Questo può portare, prima o poi, ad una
distorsione e il soggetto si romperà il menisco con conseguente degenerazione artrosica che porta a
protesizzazione in tempi precoci.
- Caratteristiche fisiche del paziente

CLINICA
Dolore, gonfiore, sensazione di instabilità, positività ai test di instabilità.
Il dolore è dato dal coinvolgimento delle altre strutture articolari perché il crociato anteriore non è innervato
Il crociato è un legamento intracapsulare ma extra-articolare, quindi, se non ci fosse lesione della sinovia non ci
sarebbe neanche il versamento. Quando si interrompe anche la sinovia che è ben vascolarizzata avremo gonfiore
dovuto a versamento, emartro e tutti i sintomi tipici delle distorsioni. Passata la fase dell’edema, il pz non ha
dolore e andrà dal medico per l’instabilità o perché si è rotto qualcos’altro.
Se c’è emartro si avrà il ballottamento positivo: la rotula, sollecitata dalla digito-pressione dell’operatore si
sposta perché è presente sangue.
Altre cause di emartro: lesioni condrali, lesioni meniscali, fratture ecc.
Triade maligna di O’Donoghue: LCA + collaterale mediale + menisco mediale;
Pentade maligna di Trillat: collaterale mediale + LCA + LCP + menisco mediale + capsula
postero-interna.
DIAGNOSI
Perché fare una Rx se i legamenti non si vedono? Perché si potrebbero nascondere patologie
ossee che non conosciamo. Alcune volte può essere presente la lesione di Segond, una
avulsione capsulare segno patognomonico di lesione capsulare associata a rottura del LCA.
Per vedere se ci sono lesioni di altre componenti articolari bisogna fare la RM (anche per
cautelarsi da un punto di vista medico-legale).

La diagnosi fondamentalmente è clinica. Si eseguono test specifici statici (cassetto anteriore


e Lackman) e dinamici (Pivot-shift, Jerk test e recurvatum test).

Test del cassetto anteriore che potrebbe essere falsamente positivo perché con il
ginocchio flesso a 90° il LCA non è in tensione quindi anche in caso di legamento
integro si potrebbe avere lo spostamento in avanti della tibia. Il test del cassetto anteriore
eseguito invece in rotazione interna o esterna ci permette di valutare l’integrità delle
strutture posteriori o comunque il confronto con il ginocchio sano ci aiuta.

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Test di Lackman. È come un test del cassetto anteriore ma con il


ginocchio flesso a 15-20°. Si tiene con una mano la parte
sovracondiloidea del femore e con l’altra la tibia sollecitandola in avanti
e si valuta lo spostamento. A 15- 20° di flessione il crociato anteriore è
quasi in tensione massima. Se il legamento è integro sento che la
traslazione è minima e si ferma per messa in tensione massima del
crociato. Lo stop non è sempre netto ma ci sono diversi gradi. Se lo stop
è ritardato potrebbe indicare una lesione parziale. Oppure avverto una
differenza con l’arto sano.

Pivot-shift: tra i test dinamici il più importante per il LCA e valuta la


stabilità del ginocchio durante la flesso-estensione, in particolare mentre
il ginocchio va dall’estensione alla flessione
Jerk test: è analogo al Pivot-shift, ma valuta la stabilità del ginocchio
che va dalla flessione all’estensione. Il pz si posiziona supino con il
ginocchio in estensione. Una mano spinge in valgismo il ginocchio,
l’altra ruota internamente la gamba mentre si esegue la flessione del
ginocchio. La rottura del crociato anteriore determina una sublussazione
anteriore dell’emipiatto tibiale esterno. Con il Jerk test passando dalla
flessione all’estensione questa sublussazione si riduce e si vede come
uno scatto.
Recurvatum test: paziente supino con arti estesi, si sollevano i piedi; spesso si vede il ginocchio affetto che si
incurva più dell’altro Il trattamento ha l’obiettivo di ridare stabilità normale, permettere la pratica sportiva,
correggere la lassità anteriore per prevenire lesioni meniscali e l’evoluzione precoce verso l’artrosi.
TRATTAMENTO
Conservativo: età, grado di instabilità, presenza o meno di
lesioni associate, livello di attività sportiva.
Ricostruzione chirurgica: non si sutura perché non è
vascolarizzato, quindi non guarirebbe.
- Autografts: gracile e semitendinoso, tendine quadricipitale,
banda ileo-tibiale, terzo centrale del tendine rotuleo, (che ha
uno spessore totale di circa 3 cm) con 2 bratte ossee di circa 1
cm dalla rotula e dalla tibia.
- Allografts da cadavere (rotuleo o gracile e semitendinoso,
tendine di Achille, tensore della fascia lata, tendine del tibiale anteriore). Utilizziamo un trapianto da cadavere
nei pz > 50 anni perché in questo la qualità del trapianto autologo potrebbe essere non ottimale e inoltre la
ripresa funzionale è più rapida perché manca il dolore causato dal prelievo del trapianto. Il neolegamento non
viene fissato sull’osso ma viene inserito in dei tunnel scavati nel femore e nella tibia.
Normalmente il crociato anteriore è costituito da 3 fasci ma è impossibile ricostruire la normale anatomia. Si
posiziona un unico fascio che grosso modo ricalca la posizione del fascio antero-mediale.
- Sintetici (LARS: ligament advanced reinforcement system) sono formati da una trama di poliestere (polietilene
teraftalato).
Oggi la ricostruzione si fa anche nei soggetti più avanti con l’età, adulti e giovani anziani, perché la pratica
dell’attività sportiva è divenuta più frequente anche a queste fasce d’età. Gli adolescenti raramente vanno
incontro a rottura del LCA perché tutto l’apparato capsulo-legamentoso ha una notevole elasticità.
L’artroscopia è una tecnica chirurgica mini-invasiva che consente di operare a cielo chiuso. Gode di minore
invasività, minori percentuali di complicanze, recupero post-operatorio più veloce rispetto agli interventi a cielo
aperto.
L’incisione è a livello del tendine rotuleo, si prende la bratta ossea della rotula e una a livello della tibia, viene
poi inserita previa tunnelizzazione sia della tibia che del femore (in artroscopia si fanno dei fori con delle guide)
e tramite questi si fa passare il nuovo legamento che poi viene fissato con delle viti. Il pz passerà attraverso una
prima fase di riposo e poi di recupero con fisioterapia che dura anche 3-4 mesi e ritorno alla normalità dopo i 6
mesi.
Lasciare almeno i residui della inserzione del crociato a livello della tibia e del femore (alcuni mm di quello
lesionato in poche parole) può favorire una buona integrazione del nuovo legamento. Il tendine una volta inserito
va incontro ad un processo di ligamentizzazione e un residuo presente può coadiuvare l’integrazione.

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Ci sono anche tendini senza bratte ossee e varia la durata dell’attecchimento che può essere più lento. Alcuni
preferiscono il gracile e il semitendinoso, altri il tendine rotuleo.
ROTTURA DEL LEGAMENTO CROCIATO POSTERIORE
Ha una importanza ridotta rispetto al crociato anteriore perché le strutture stabilizzanti posteriori sono di più. E’
una lesione meno frequente rispetto a quelle del crociato anteriore spesso perchè è più voluminoso.
Spesso è una lesione dovuta ad un trauma sagittale puro diretto posteriormente a livello del III superiore della
tibia. LCP contribuisce ad opporsi all’iperestensione del ginocchio, limitare la rotazione interna e l’iperflessione
e a contenere i movimenti in varo e valgo.
L’incidenza è molto variabile (3-37%) perché spesso questa lesione passa misconosciuta in quanto è poco
sintomatica. Solo gli sportivi riescono ad avvertire l’instabilità posteriore.
Raramente si rompe da solo. Spesso la sua rottura si associa alla lesione di altre strutture postero-laterali perché
il trauma deve essere importante, infatti, il LCP ha una resistenza alla rottura doppia rispetto al LCA. Può essere
causato da traumi diretti in senso antero-posteriore (come in un incidente d’auto), da violente iperflessioni o
iperestensioni del ginocchio.
DIAGNOSI
EO: a differenza del crociato anteriore la sintomatologia è molto più sfumata (dolore, gonfiore). Il dolore è
retrorotuleo o mediale, gonfiore, vaga sensazione di instabilità strettamente dipendente dal trofismo del
quadricipite con ‘scivolamento’ posteriore; positività ai test di instabilità.
L’instabilità del pz, quando avvertita, sarà in senso posteriore. Un segno tipico è lo step-off: se il pz viene messo
supino con le ginocchia flesse a 90°, la tibia scivola posteriormente perché non ha un elemento cardine che la
tiene in posizione e si crea una sorta di incavo a livello anteriore. I test di valutazione del crociato posteriore
sono anch’essi statici e dinamici:
TEST STATICI TEST DINAMICI
Cassetto posteriore Test posteriore dinamico
Cassetto postero-laterale Reverse Pivot shift
Whipple test
Angolo asse femore-piede
Il test del cassetto posteriore è importante perché in flessione il crociato
posteriore è teso e mostrerà la traslazione posteriore del piatto tibiale. Ci si siede
sul piede del pz con ginocchio flesso a 90° e, poste le mani con le dita dietro al
ginocchio, spingiamo la tibia. Il test è positivo se si percepisce una traslazione
posteriore maggiore rispetto al sano.
Il cassetto postero-laterale è come il cassetto posteriore è solo che si associa
anche un movimento di rotazione esterna e serve a vedere se abbiamo una lesione
associata (del legamento collaterale esterno o dei tendini dei muscoli laterali della
gamba) → instabilità postero-laterale.
La traslazione posteriore della tibia è molto influenzata dalla muscolatura, in
particolare dal quadricipite. Un quadricipite tonico potrebbe affievolire la
sintomatologia. Il Whipple-test, che è come un test del cassetto in posizione prona e in flessione, annulla in
parte il ruolo del quadricipite.
A pz prono valutiamo l’angolo asse-femore-piede: se aumenta è indice di insufficienza postero-laterale.
La diagnosi strumentale si serve di Rx, TC e RM (come nel LCA).
TRATTAMENTO
▪ Conservativo: viene riservato ai casi in cui la traslazione posteriore della tibia sia < a 10 mm;
quando la traslazione diminuisce in intrarotazione, e quando non è associata a compromissione del LCA
- Tutori in estensione con sostegno posteriore, per 3 settimane
- Deambulazione assistita con bastoni canadesi per 2 settimane e poi potenziamento del quadricipite
- Riabilitazione muscolare con ritorno allo sport dopo 3 mesi
▪ Chirurgico: indicato quando si associa ad altre lesioni, sempre attraverso trapianti autologhi per via
artroscopica. L’intervento è simile a quello che abbiamo visto per l’anteriore ma l’inserzione del legamento
chiaramente è diversa.
Il pz che non è sintomatico non si tratta. Un quadricipite ben sviluppato può bastare a stabilizzare
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l’articolazione.

LESIONI MENISCALI
I meccanismi traumatici che possono determinare una lesione meniscale sono tutti:
- Compressione
- Adduzione
- Rotazione
- Iperflessione
- Abduzione
- Iperestensione
Il menisco che più va incontro a lesioni è quello mediale → lesioni menisco mediale 70% vs laterale 30%.
I vasi a livello marginale sono più ricchi, a livello articolare sono di meno, e questo spiegherà perché alcune
lesioni a livello articolare non hanno capacità di guarigione, perché l’approvvigionamento sanguigno è scarso.
Innervazione: nervo otturatorio e femorale.
La sintomatologia è quella tipica della distorsione con dolore di vario grado (acuto, modesto, semplice fastidio)
localizzato in genere dal lato della lesione, gonfiore per idrartro (dovuto alla produzione di liquido da parte della
sinovia irritata), blocco articolare e sensazione di instabilità.
Le lesioni di piccole dimensioni possono autostabilizzarsi e quindi permettere una normale attività quotidiana ma
quando si effettua un’attività un po’ più intensa si potrebbe avere dolore. Tipico della sintomatologia meniscale è
l’andamento altalenante dei sintomi. In fase acuta si ha gonfiore, dolore, una minima sensazione di instabilità →
il pz sente come qualcosa che si sposta all’interno del ginocchio. Un menisco che si rompe può incastrarsi
nell’articolazione e bloccare il ginocchio.
I test più comuni sono il test di Apley e il test di McMurray, ma abbiamo anche il test di Ferrero, il Grinding test
e il test del finocchietto. Anche qui Rx e RM si fanno per gli stessi motivi della rottura del LCA.
Test di Apley: pz prono con ginocchio flesso. Si comprime
l’articolazione mettendo il ginocchio sulla coscia del pz e premendo
la pianta del piede e poi si ruota. Le lesioni del menisco mediale
provoca dolore alla rotazione interna della tibia; la rotazione esterna
se provoca dolore indica lesione del menisco laterale.
Test di McMurray: pz supino con ginocchio flesso, l’operatore
ferma con una mano il tallone e con l’altra il ginocchio. Si cerca si
estendere il ginocchio, se il menisco è leso nei suoi corni anteriori si
provoca dolore alla completa estensione. Se invece compare dolore
nella flessione forzata si pensa ad una lesione dei corni meniscali
posteriori.
Segno di Cabot: pz supino con ginocchio flesso a 90°, la coscia in abduzione e
il piede che poggia sul ginocchio sano. Si chiede al pz di estendere contro la
resistenza offerta dalla mano dell’operatore; un dolore acuto impedisce al pz di
proseguire la manovra nelle lesioni del menisco esterno.
Segno di Finocchietto: alla palpazione delle emirime, si avverte uno scatto
doloroso durante i movimenti di flesso-estensione → lesione del corno
posteriore del menisco interno.
In alcuni casi facciamo Rx o RM.

TRATTAMENTO
Oggi la cosa più corretta è salvare il menisco e mantenere quanto più tessuto meniscale possibile in quanto la sua
funzione non può essere vicariata da nessun’altra struttura quindi la meniscectomia oggi non si fa più perchè si è
visto essere altamente artrogena, al massimo è selettiva, ovvero si rimuovono piccole componenti meniscali con
una pinza artroscopica chiamata Basket, si cerca di regolarizzare il più possibile il menisco perché l’irregolarità
può creare dolore durante determinati movimenti.
Quindi le possibilità sono 2 e la scelta dipende dall’età del pz, dalla sintomatologia e dall’attività lavorativa,
sportiva del soggetto ma anche dal tipo di lesione si può decidere se eseguire una meniscectomia selettiva o una
meniscopessi.
- Atteggiamento conservativo: non tratto chirurgicamente il pz se le lesioni sono presenti solo alla RM in

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assenza di clinica o se le lesioni sono state viste in artroscopia ma non sintomatiche. Vuol dire che sono
lesioni piccole perché una lesione grave è sicuramente sintomatica. Nel pz anziano si evita l’intervento.
- Intervento artroscopico: l’intervento che si esegue più spesso è la meniscectomia selettiva, un intervento
che rimuove unicamente la parte del menisco lesionata, lasciando il resto del menisco sano.
- Sutura meniscale (meniscopessi): ogni possibile lesione riparabile. Indicata nei casi di lesioni della zona
periferica vascolarizzata.
Meniscectomia selettiva
Modificazioni articolari:
1. Squadramento della sup. condiloidea
2. Riduzione dello spazio articolare
3. Osteofitosi
La resezione del menisco mediale aumenta la pressione da contatto sulla cartilagine di oltre il 350%.
Meniscectomia ultra selettiva
Mirata al risparmio della più ampia superficie meniscale.

ESITI DI TRATTAMENTO
Dopo meniscectomia totale aumento dello stress di contatto del 313%;
Dopo meniscectomia selettiva (1/4 di menisco) aumento dello stress del 45%; Complessivo aumentato rischio di
osteoartrosi precoce!
Per tale motivo si preferiscono le suture meniscali tra le tecniche chirurgiche dove si cerca di suturare quelle aree
di lesione soprattutto nella zona red-red.
Esistono diversi tipi di lesioni meniscali:
A. Longitudinali
B. Radiale
C. Flap
D. Manico di secchio Sono complicanze
E. Radiale “a becco di pappagallo” rispettivamente di
F. Flap lussato A, B e C
Lesioni longitudinali, radiali e orizzontali sono quelle a
prognosi più favorevole. Le lesioni longitudinali possono più
delle altre essere trattate con meniscopessi perché avvengono
in zone del menisco periferiche, cioè le zone vascolarizzate.
Al contrario una sutura del margine interno difficilmente
andrà incontro a guarigione.
Come avvengono queste lesioni? L’eziologia può essere
traumatica o degenerativa. Le lesioni degenerative non
conviene suturarle perché in questo caso i menischi sono usurati.
L’intervento chirurgico può essere fatto in artrotomia o in artroscopia:
• Le artrotomie diventano sempre meno comuni e vengono effettuate solo in caso di lesioni capsulo-
legamentose complesse o fratture complesse del piatto tibiale.
• Artroscopia: tramite delle cannule nella articolazione si passano dei fili per suturare le strutture interessate
dalla lesione.
Può essere:
- Inside-out: che si fa con uno strumento specifico, attraverso una mini-incisione
- Outside-in: che si usa per le lesioni del corno anteriore, attraverso i trocar
- All inside: in cui si utilizzano vari strumenti → sutura a gancio, T-fix, frecce meniscali, fast-fix o
rapidlock.
L’artroscopia ha un valore diagnostico prima ancora di essere terapeutico, ci conferma la lesione se è presente.
Sceglierò la meniscectomia se la lesione non è in una zona ben vascolarizzata e non ci sarebbe guarigione.
Una meniscectomia selettiva in un soggetto sportivo spesso è preferita perché garantisce un pronto recupero (20
giorni, 1 mese) rispetto alle suture meniscali, che richiedono invece la sospensione dell’attività sportiva per 2-3
mesi.
La pulizia del menisco porta a problemi di artrosi? Sì, il soggetto avrà un maggiore rischio.

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FRATTURE DI ROTULA
LA ROTULA
È un osso sesamoide, è inserito nel tendine quadricipitale
e la quasi totalità della sua
superficie è coperta da cartilagine articolare. Si rapporta
con il femore; ossifica tra i 4 e i 7 anni di età e può avere
anche delle forme un po' allungate, alla radiografia può
presentarsi come bipartita o tripartita.

BIOMECCANICA
Dipende dalle strutture con cui prende rapporto che
sono:
• L'espansione distale della fascia lata;
• Il legamento controlaterale, mediale e laterale
• Legamento femoro-rotuleo
Sono importanti perché́ una frattura a livello osseo, se riguarda anche le strutture legamentose può avere uno
spostamento evidente e può̀ cambiare la prognosi e anche il tipo di trattamento e soprattutto il movimento
estensore del ginocchio può̀ essere compromesso.
La rotula ha un atteggiamento dinamico nei rapporti che ha con il femore perché́ cambia molto la sua posizione
nello spazio; una rotula che non si sposta può già di per sé alterare il braccio di leva e come sappiamo il
ginocchio deve sopportare importanti carichi soprattutto in un soggetto sportivo.

EPIDEMIOLOGIA
Rappresenta l'1% delle fratture nell'adulto, apparentemente molto bassa ma molto debilitante come frattura. La
fascia d’età più colpita è quella fra 20-50 anni. I maschi sono più colpiti con un rapporto M:F=2:1 prima della
sesta decade. In pochissimi casi (7%) è esposta.
La più frequente frattura della rotula è quella trasversale ed è anche quella più importante perché è quella che più
porta ad un trattamento chirurgico.
Le cause che portano alla frattura della rotula sono:
• Trauma diretto: incidente automobilistico con impatto a ginocchio flesso (soggetti che vanno a sbattere il
ginocchio contro il cruscotto della macchina);
• Trauma indiretto: brusca contrazione quadricipitale → trasmesso al tendine rotuleo, che genera una
forza che comprime la rotula con il femore. Più frequentemente porta alla diastasi dei frammenti.

CLASSIFICAZIONE TOPOGRAFICA
▪ Fratture composte: trasversa o pluriframmentata;
▪ Fratture scomposte: che possono avere differenti pattern, i più frequenti
sono:
1. Trasverse: è la più frequente. Se le espansioni del quadricipite sono
integre, la scomposizione è quasi nulla; se invece è leso, si può
ottenere una diastasi importante (anche 9 cm);
2. Verticali: la diastasi è pressoché nulla essendo integro
l’apparato estensore;
3. Multiframmentaria: è la conseguenza più̀ classica del trauma diretto.
Altre fratture sono quelle osteocondrali: solitamente piccole, coinvolgono
la cartilagine dei condili femorali e la rotula, non vanno a determinare
alterazioni nell'estensione ma possono comportare dei fenomeni di artrosi.
CLINICA
Solitamente molto evidente, soprattutto se ci sono fenomeni di diastasi che vanno ad alterare il
profilo anatomico del ginocchio; si ha un'impotenza funzionale assoluta; c'è una perdita di
continuità̀ del meccanismo estensore; si ha, naturalmente, dolore, edema sopra il ginocchio di
lieve entità nelle fratture composte o massivo nelle fratture scomposte, gonfiore e il soggetto
non potrà poggiare il piede a terra perché́ il sostegno dato dal quadricipite perde di efficacia.
Una tumefazione soffice, in corrispondenza della linea di frattura, può essere l’unico segno delle
fratture trasversali composte. Emartro (=versamento di sangue all’interno dell’articolazione) e
rapido gonfiore, sono in genere presenti nell’ambito di fratture scomposte, alle quali si associa
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impossibilità ad estendere il ginocchio contro gravità sollevare la gamba tesa).

DIAGNOSI
Alla palpazione si può evidenziare il "vallo rotuleo" dovuto alla presenza di
diastasi. Si può notare, a livello della rotula, quella che viene definita
"transazione soffice" legata alla rima di frattura che può anche far apprezzare
dei piccoli crepitii sottocutanei. Infine, il pz non sarà in grado di sollevare la
gamba.
Per quanto riguarda l'imaging, quello che noi andiamo a fare è un Rx standard
in AP e LL; nelle fratture verticali può essere utile una proiezione assiale (assiale
di rotula), che viene effettuata con un raggio di incidenza, a ginocchio più o
meno flesso, che prende, dall'alto verso il basso, la rotula nel suo profilo
superiore.
La TC viene invece utilizzata quando si hanno dei dubbi e quando si vuole
vedere bene dove si porta la rima di frattura e la diastasi dei frammenti.
La RM non viene solitamente utilizzata, ma può servire per verificare l'interessamento capsulare e dei tessuti
molli, che non sono visibili alla Rx.

TRATTAMENTO
Cambia in base a quella che è l'entità della frattura e si può scegliere un trattamento incruento o uno cruento. Gli
obiettivi sono quelli di andare a ridurre i frammenti; ripristinare la superficie articolare in modo da evitare i
fenomeni artrosici (articolazione molto sollecitata); e salvaguardare il meccanismo estensorio.
Nel momento in cui abbiamo una diastasi → 2-3 mm in una frattura trasversale
dobbiamo fare un trattamento chirurgico; questa regola non vale nella frattura
verticale, perché i fasci tendinei, essendo paralleli alla rima di frattura, non vanno a
creare una scomposizione elevata, e nei casi multiframmentari. Si fa un taglio sulla
superficie del ginocchio dove non ci sono particolari strutture (qualche piccolo nervo
sensitivo del tendine rotuleo); e poi:
1. Cerchiaggio dinamico con fili di Kischner: con una pinza riduco la frattura, si
inseriscono dei fili in cui poi si inserisce un altro filo e si va a creare un 8 e si
stringe in modo che i fili vanno a ridurre la frattura;
2. Viti: vengono utilizzate maggiormente in quelle fratture sagittali che hanno una
scomposizione legata anche a dei problemi di tipo tissutale, legamentoso per cui
delle viti trasversali possono essere sufficienti. A questo può anche essere
associato il cerchiaggio.
3. Rimozione dei frammenti: quando troppo comminuta conviene eliminare i
frammenti e inserire i tendini con particolari suture all'osso. Questo perché la
guarigione avverrebbe in maniera disorganizzata e potrebbe creare degli osteofiti
che impediscono il movimento.
Le complicanze sono quelle comuni a tutti i tipi di intervento ortopedico:
• La rottura dei mezzi di sintesi che a questo livello è abbastanza comune perché utilizziamo dei fili molto
sottili e i carichi sono importanti;
• Rigidità articolare;
• Infezioni, seppur rara;
• Pseudoartrosi;
• Alterazioni della forma della rotula che possono compromettere l'efficienza dell'articolazione;
• Perdita di forza;
• Trombosi venosa profonda, seppur molto rara.
Quando la diastasi è < 2-3 mm o nelle fratture verticali si può fare un trattamento conservativo che porta ad
immobilizzare l'articolazione con degli apparecchi gessati o tutori→ ginocchiere in estensione. L'apparecchio
gessato può essere rimosso dopo 15 gg ma la posizione estesa deve essere mantenuta per 30 giorni → tutori.

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FRATTURE PROSSIMALI DI TIBIA (O FRATTURE DEL PIATTO TIBIALE)


Sono fratture molto importanti perché spesso legate a protesizzazione. Si verificano a seguito di traumi ad alta
energia in particolare a forze in varo o valgo combinate al carico assiale dovute a:
• auto che colpiscono un pedone (frattura da impatto);
• cadute dall’alto con deformità in varo o valgo.
L’impatto determina lo split del piatto tibiale a causa
dell’azione del condilo femorale.

Classificazione di Schatzker: consta di 6 tipi in ordine di


gravità:
1° Tipo: fissurazione semplice dell’emipiatto laterale;
2° Tipo: quando alla fissurazione semplice si associa un
affossamento;
3° Tipo: affossamento puro. Questi primi 3 riguardano la
porzione laterale;
4° Tipo in poi si associano lesioni a livello mediale. Si è visto
che sono più gravi; determinano varismo (al posto del
fisiologico valgismo); hanno degli esiti più invalidanti.
Riguarda solo la porzione mediale;
5° Tipo: entrambi i piatti tibiali sono fratturati;
6° Tipo: quando interessa anche la metafisi o la diafisi prossimale della tibia.

CLINICA
Abbiamo tutti i sintomi classici delle fratture. Essendo vicino all'articolazione si può verificare un emartro →
ginocchio gonfio, o un interessamento dei tessuti capsulo-
legamentosi che può̀ esitare in una lassità legamentosa.
Fratture importanti possono anche determinare lesioni vascolo-
nervose (soprattutto nervo peroniero comune e tibiale) e molto
spesso si può̀ avere l'esposizione dei monconi ossei.
Quest'ultimo caso richiede un trattamento in acuto, non può̀
essere procrastinato.

DIAGNOSI
Anche qui la Rx è la norma; le proiezioni utilizzate sono AP e
LL ma anche obliqua. Nei casi dubbi, e quando c'è un
interessamento dell'articolazione è buona regola eseguire una
TC che è molto utile per fare un adeguato planning pre-
operatorio.
La TC con ricostruzione 3D permette di eseguire un planning
pre-operatorio per il corretto approccio chirurgico, permettendo
una migliore visualizzazione della frattura e dell’esatta
comminuzione e/o depressione articolare.

TRATTAMENTO
In caso di frattura esposta, l’intervento chirurgico è immediato
al fine di ridurre il rischio di infezione.
Nelle fratture scomposte senza esposizione, in attesa
dell’intervento chirurgico quello che noi andiamo a fare è la
trazione trans-scheletrica dell'arto questo perché́ a livello della
gamba i muscoli sono molto forti e tendo a comprimere i
monconi ossei; quindi, lo facciamo per evitare problematiche
come le sindromi compartimentali (lo spazio è poco nella gamba
ed è tutto molto serrato), ma anche per evitare la deformità̀ ,
stravaso ematico e fenomeni embolici. Si fa a livello del
calcagno, si collegano dei pesi e si fa questa riduzione graduale
che prepara il pz per la chirurgia.

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• Per il tipo I a volte possiamo semplicemente fissare il piatto con una vite.
• Per il tipo II e III quello che si va a fare è rialzare l'affossamento e poi stabilizzarlo con una placca e
delle viti.
• Per il tipo IV cambia il tipo d’accesso → mediale ma usiamo sempre placche e viti.
• Per il tipo V si vanno ad utilizzare due placche.
• Per la VI oltre all'utilizzo di placche e viti possono risultare utili l'uso di fissatori esterni (che può essere
anche utilizzato per bridging chirurgico quando la trazione non è utile).
Dopo la chirurgia ci sarà un periodo di riposo che permetterà la corretta guarigione e poi si andrà a fare un
trattamento riabilitativo.
L’artroprotesi totale del ginocchio può̀ essere una soluzione (oltre che per l'artrosi) nei casi più̀ catastrofici. Le
complicanze sono come per le fratture di rotula.

FRATTURE DIAFISARIE DELLA TIBIA


La tibia si presenta così da un punto di vista osseo, la cosa importante da
ricordare è che ci sono quattro compartimenti muscolari così suddivisi:
-Un compartimento antero-laterale
-Un compartimento mediale
-Due compartimenti posteriori

EPIDEMIOLOGIA
Le fratture di tibia sono le lesioni più frequenti tra le ossa lunghe:
• 26 su 100.000 abitanti ogni anno
• Rappresentano quasi il 20% di tutte le fratture degli arti inferiori
• Rappresentano il 2% di tutte le fratture combinate
• Più frequente nel sesso maschile e nella II – IV decade d’età, dovuto
alle attività più turbolente.
Nel caso in cui la frattura sia dovuta ad un incidente su strada è difficile che
si presenti isolata, si solito si ha la frattura contemporanea di tibia e perone
per dei giochi di leva che si vengono a creare, dato che si tratta di due ossa
lunghe.
EZIOPATOGENESI
Distinguiamo due meccanismi:
1. Traumi diretti ad alta energia: solitamente dovuti ad un urto o ad uno schiacciamento, la frattura si produce
a livello della zona di applicazione della forza lesiva. Le cause principali sono le cadute, lo sport (calcio,
sci) e incidenti su strada.
2. Traumi indiretti a bassa energia: sono dovuti a traumi da flessione o torsione, oppure possono essere
secondari a una compressione o ad una trazione, la frattura si produce a distanza dalla forza lesiva.
Questo tipo di fratture si genera grazie ad un gioco di
leve, per cui si crea una forza che supera il coefficiente
di resistenza dell’osso.

Classificazione fratture chiuse


La classificazione AO (Associazione per l’Osteosintesi)
si utilizza per tutti i segmenti corporei. Ogni segmento
corporeo è indicato da un numero preciso, la frattura
della gamba (tibia e perone) è indicata dal numero 4. Si
individua poi la porzione dell’osso coinvolto: 1 per la
porzione prossimale, 2 per la porzione diafisaria, 3 per la
porzione distale. Si valuta poi la gravità della frattura: in
generale con “A” si ha una gravità minore, con “B” una
gravità intermedia, con “C” la gravità sarà elevata. Il
parametro delle lettere cambia in base alla porzione di
osso considerata, nel caso delle due estremità si
considererà il coinvolgimento dell’articolazione, nel caso
della porzione diafisaria il numero di frammenti ossei.

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Classificazione Melis

Classificazione fratture esposte

Classificazione di Gustilo-Anderson

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Classificazione Oestern-Tscherne: si utilizza quando si ha un interessamento dei tessuti molli senza


un’esposizione del focolaio di frattura.
Le fratture esposte della tibia sono abbastanza frequenti perché è coperta da uno strato sottile di tegumenti.

QUADRO CLINICO
Il quadro clinico può diventare catastrofico, questo è dovuto al fatto che i muscoli sono organizzati in
compartimenti tramite le fasce, queste sono di consistenza duro-elastica e non si espandono facilmente. Bisogna
quindi assolutamente scongiurare la sindrome compartimentale. Affrontando quindi una tappa per volta:
• Anamnesi: età del paziente, comorbilità associate, tipo di frattura, meccanismo traumatico.
• Esame obiettivo: questo può andare da quadri più sfumati a quadri più gravi, bisogna ricercare:
- Lesioni cutanee
- Ecchimosi
- Edema e tumefazione
- Alterazione del normale profilo osseo
- Dolore spontaneo
- Impotenza funzionale
- Motilità preternaturale
• Importante la valutazione di:
- Sensibilità tattile, termica e dolorifica
- Polsi periferici
- Fratture associate
- Eventuale grado di esposizione e compromissione delle parti molli.
• Per andare a scongiurare la sindrome compartimentale, bisogna fare molta attenzione alle cinque P:
- Pain, dolore: molto violento, non passa neanche con farmaci molto potenti;
- Pallore: controllare quindi se i
- Polsi periferici vengono meno;
- Parestesie: se l’ematoma va a comprimere strutture nervose si ha una sensibilità alterata;
- Pressione intracompartimentale: si misura solo se gli altri punti precedenti fanno sorgere il dubbio di una
sindrome compartimentale, se la pressione è circa 40 mmHg è possibile fare diagnosi di sindrome
compartimentale. Questo spesso cambia l’approccio terapeutico: si passa dall’attesa ad un intervento
d’urgenza tramite fasciotomia.
(Ho fatto una ricerca internet, le P sembrerebbero essere sei: 1 pain, 2 painful palpation, 3 paresis, 4
paraesthesia, 5 presence of peripheral pulses, 6 pink colour)

DIAGNOSI

La radiografia permette di evidenziare in maniera semplice la frattura;


La TC ha un ruolo fondamentale nei distretti diafisari che si avvicinano alle
articolazioni;
L’angioTC nel caso di traumi con esposizioni importanti è essenziale perché
permette di escludere dei danni vascolari. Nei casi più gravi questa indagine
indirizza la scelta
terapeutica verso l’amputazione, perché è inutile salvare l’arto se la circolazione è andata persa.

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TRATTAMENTO
Può essere di tipo conservativo, con confezionamento di un apparecchio gessato femoro-podalico, al solito
bisogna immobilizzare l’articolazione a monte e quella a valle del segmento osseo coinvolto dalla frattura, nel
caso specifico a monte c’è il ginocchio e a valle c’è la caviglia. Questo trattamento è indicato per fratture
composte, senza angolazione, a maggior ragione se si tratta di un individuo in età evolutiva.
Si può effettuare la riduzione incruenta – trazione continua graduale, che è una metodica d’attesa. Va
effettuata lungo l’asse del segmento scheletrico fratturato. Essa ha un duplice scopo: azione antalgica e
correzione dell’accorciamento, con riduzione del focolaio di frattura. Esistono diversi dispositivi per realizzare la
trazione continua: trazione a pelle, transcheletrica, trazioni-sospensioni, ecc.
Infine il trattamento può essere di tipo chirurgico:
1. Osteosintesi con chiodo endomidollare: utilizzato quando c’è una frattura netta, non pluriframmentata, o nel
caso in cui l’infibulazione ossea permetta di ridurre la frattura. È utilizzato per le fratture diafisarie (nel
terzo medio di diafisi) ed è controindicato nelle fratture delle estremità. Questa metodica ha un’ottima
stabilità e durata, consente un carico immediato e una ripresa funzionale rapida. Richiede una buona
esperienza chirurgica.
2. Osteosintesi con placca e viti: utile nel caso in cui ci siano più frammenti, cambia la sede dell’incisione e
l’invasività dell’approccio, che sarà maggiore rispetto al chiodo. Placca e viti sono utilizzate principalmente
per le fratture meta-epifisarie o diafisarie scomposte e/o instabili. Questa metodica:
a. Richiede un’accurata riduzione della frattura;
b. Dà una sintesi con stabilità relativa;
c. Può portare a un maggior rischio di ritardo di consolidazione e nonunion.
3. Stabilizzazione con fissatore esterno: analogo a quello della caviglia, rappresenta il trattamento definitivo
nelle fratture esposte, può essere indicato nel caso di soggetti politraumatizzati (che possono così essere
subito trattati per lesioni maggiori) o in soggetti con controindicazione all’osteosintesi. Il fissatore è
indicato anche per trattare gli esiti delle fratture della tibia: essendo un osso lungo, a volte guarisce con dei
difetti di posizione, con dei vizi, quali difetti torsionali, difetti di angolazione e altri. Il fissatore può essere
usato per correggerli; inoltre può essere indicato nel caso di una pseudoartrosi, nel caso di una frattura che
non guarisce nel tempo.
Caso clinico: paziente inizialmente trattato con fissatore esterno monoassiale (che controlla solo la lunghezza),
successivamente trattato con fissatore esterno ibrido che permette di controllare meglio la distribuzione
tridimensionale dei frammenti, infine dopo 120 giorni si è convertito il trattamento con un chiodo endomidollare
perché col fissatore esterno non si era raggiunta la guarigione ideale. In questi casi si procede con il chiodo
perché rappresenta uno stimolo biologico: è pur sempre un corpo estraneo che passa dentro il canale midollare,
per cui tramite il chiodo si riesce ad aumentare la vascolarizzazione. Tre delle quattro corticali (anteriore,
posteriore, laterale e mediale) guarite permettono di confermare la guarigione.

Complicanze
Si distinguono le complicanze immediate, che insorgono in acuto:
• Esposizione della frattura;
• Lesione dei tessuti molli;
• Lesioni vascolari e nervose;
• Sindrome da shock traumatico.

SI distinguono poi le complicanze secondarie, che insorgono dopo il trattamento:


• Infezione a livello dei tessuti molli, ancora più temibile quella a livello dell’osso
• Necrosi cutanea
• Flebiti
• Embolia gassosa

Infine si distinguono le complicanze tardive:


• Ritardo di consolidazione
• Pseudoartrosi
• Deformità in varo-valgo

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FRATTURE DEL COMPLESSO TIBIO-FIBULO-TALARE


(FRATTURA TIBIO-TARSICA)
Le fratture malleolari sono fratture molto comuni nella pratica clinica (rappresentano il 9% delle fratture
dell’adulto) e possono interessare tutti i malleoli della caviglia.

ANATOMIA
Situata tra gamba e piede, la caviglia è l’articolazione sinoviale del corpo umano, che funge da punto di
congiunzione tra le estremità distali di tibia e perone e la porzione superiore dell’astragalo. È una sindesmosi.
Tibia e Perone (Fibula) sono ossa che costituiscono la gamba; l’astragalo, invece, è uno delle 7 ossa del tarso
del piede. Questa articolazione permette di effettuare i
movimenti di:
- dorsiflessione movimento che consente di sollevare il
piede e camminare sui talloni
- plantaflessione movimento che permette di puntare il
piede verso il pavimento. Si esegue quando si prova a
camminare sulle punte
- eversione consiste nel sollevare il bordo laterale
(margine esterno) mantenendo il margine mediale sul
pavimento
- inversione consiste nel sollevamento del margine
mediale del piede, mantenendo il margine laterale
adeso al pavimento

Il malleolo mediale o tibiale è la prominenza ossea


osservabile sul lato interno di ciascuna caviglia.
Questo malleolo è sede di inserzione del grande
legamento Deltoideo, legamento del comparto
mediale, composto da 4 fasci. Dei 4 faci due
raggiungono l’astragalo, uno il calcagno e uno il
navicolare.
Legamenti che dal malleolo raggiungono l’astragalo:
- tibio-talare anteriore (ATTL)
- tibio-talare posteriore (PTTL)
- il legamento che va fino al calcagno è il
cosiddetto tibio-calcaneale (TCL)
- il legamento che raggiunge il navicolare è il
cosiddetto tibio-navicolare (scafoide) (TNL)
Il malleolo laterale o peroneale è la prominenza ossea
osservabile sul lato esterno di ciascuna caviglia.
Da questo malleolo originano 3 legamenti laterali; da
qui due raggiungono l’astragalo, uno raggiunge il
calcagno.
I legamenti che vanno fino all’astragalo sono noti
come:
- talo-fibulare anteriore
- talo-fibulare posteriore mentre il legamento che
raggiunge il calcagno prende il nome di:
- calcaneo-fibulare.
I legamenti della porzione laterale della caviglia sono i maggiori interessati nel caso di distorsioni della caviglia,
perché sono facilmente interessati da un processo di elongazione.
Esistono a livello dell’articolazione anche di tubercoli ossei da cui nascono dei legamenti. In particolare
abbiamo:
il tubercolo anteriore da dove nasce il legamento tibio-fibulare anteriore o di Chaput-Wagstaffe
ed il tubercolo posteriore che viene anche definito malleolo mediale o di Volkmann da cui origina il legamento
tibio-fibulare posteriore.

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Si tiene a precisare che queste strutture ossee prendono nome specifico perché possono essere sede di specifiche
lesioni.

PATOLOGIA
La frattura del malleolo è l’infortunio scheletrico che consiste nella rottura di una o di entrambe le prominenze
ossee visibili a livello della caviglia. In altre parole si tratta della rottura di uno o di entrambi i malleoli. Si tratta
di fratture intra-articolai.
Siamo soliti distinguere le fratture malleolari in 3 grandi tipologie:
- frattura unimalleolare (68%) è la rottura ossea di uno solo dei due malleoli. Se la frattura unimalleolare
interessa il malleolo che sta sul lato interno della caviglia (malleolo mediale o tibiale), si parla di frattura
del malleolo tibiale; se invece riguarda il lato esterno della caviglia ( malleolo laterale o peroneale) si parla
di frattura del malleolo peroneale.
- Frattura bimalleolare (25%) nota anche con il nome di frattura bimalleolare di Pott, è la rottura
contemporanea del malleolo tibiale e del malleolo peroneale.
- Frattura trimalleolare (7%) conosciuta anche come frattura trimalleolare di Pott, è un triplice infortunio,
caratterizzato dalla rottura ossea contemporanea del malleolo peroneale, del malleolo tibiale e della sezione
posteriore dell’estremità distale della tibia, ovvero il tubercolo di Volkmann (detto impropriamente malleolo
posteriore). In genere questo tipo di lesioni si accompagnano anche ad uno stiramento o a una lesione dei
legamenti della caviglia.

EPIDEMIOLOGIA
Si tratta della 2° frattura per frequenza nell’arto inferiore, ed è la più comune causa di infortunio a carico della
caviglia. Rappresenta il 9% di tutte le fratture che interessano la popolazione adulta. Nel 2% dei casi può
presentarsi come frattura esposta, vista la vicinanza delle superfici ossee alla cute e la loro possibilità avere, a
seguito del trauma, una superficie particolarmente tagliente.
L’incidenza annua di questo tipo di lesione è stimata essere 107-184/100.000. in generale gli eventi di frattura
sono ugualmente distribuiti tra uomo e donna. Tuttavia è bene riportare l’esistenza di un picco bimodale, infatti:
la popolazione maschile con frattura del malleolo appartengono più frequentemente alla popolazione adulta
giovane (<60 anni di età), mentre le donne con una frattura del malleolo appartengono molto più spesso alla
popolazione di età compresa tra i 50 e i 70 (>50 anni di età) questo probabilmente perché nelle donne si tratta di
fratture banali a carico di ossa già gravate da un processo di invecchiamento.

CAUSE
Ci sono tre principali cause di frattura del malleolo:
1. Eccessivi movimenti di torsione o rotazione della caviglia. Questo tipo di forze agiscono più
frequentemente in quei soggetti che praticano sport.
2. Cadute o inciampi del tutto accidentali, che possono verificarsi durante le attività domestiche.
3. Traumi diretti dovuti a forti impatti alle caviglie o agli arti inferiori in generale.

CLASSIFICAZIONE
Le lesioni vengono classificate in base al livello anatomico della frattura del perone rispetto alla sindesmosi
tibio-peroneale (articolazione tra tibia e perone, dotata di minimo movimento fisiologico). La classificazione ha
una grande importanza nel decidere la terapia e conoscere la prognosi di una data frattura malleolare. La più
utilizzata è quella di Lauge-Hansen (la Danis-Weber e la AO/OTA sono più complesse):
Supination-Adduction
La frattura avviene al di sotto del livello della sindesmosi, quindi, non avrò lesione di
questa struttura. Si verificano dei movimenti di:
- supinazione: la pianta del piede guarda la linea mediana, causando lo stiramento delle
strutture del comparto laterale
- adduzione: avvicinamento dell’astragalo alla linea mediana
Quindi in un primo momento (step 1) avrò la lesione del legamento peroneo-astragalico
o avulsione dell’apice del malleolo peroneale. In un secondo momento (step 2) avrò la
frattura obliqua del malleolo mediale. Si tratta di fratture distali, con prognosi
favorevole, in cui la sindesmosi e il legamento tibio-peroneale anteriore nono vengono
coinvolti.

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Supination-Exorotation
La frattura si verifica a livello della sindesmosi. Il legamento tibio-peroneale anteriore spesso è coinvolto. I
movimenti che si verificano in questo caso sono:
- supinazione
- extrarotazione: la punta del piede si dirige verso l’esterno.
Quindi sempre nello stesso ordine si verificheranno:
1. Lesione del legamento tibio-peroneale anteriore
2. Frattura obliqua del malleolo peroneale
3. Lesione del legamento tibio-peroneale posteriore o
frattura del terzo malleolo
4. Avulsione del malleolo mediale o lesione del legamento
deltoideo
Venendo meno entrambe le strutture che mantengono adeso il perone alla tibia, il più delle volte si ha parziale
rottura della sindesmosi.

Pronation-Exorotation
Si tratta di fratture che avvengono al di sopra della sindesmosi. Il legamento tibio-peroneale anteriore è sempre
lesionato. Spesso si assiste a una sublussazione o ad una completa lussazione laterale dell’astragalo. In questo
tipo di lesione la frattura del perone può avvenire anche molto prossimalmente. Questo genera errori diagnostici
perché il clinico nota tumefazione e dolore, ma non la frattura. I movimenti che si verificano sono:
- Pronazione
- Extrarotazione
In questo caso il primo imputato nella genesi della lesione
non è più il perone, ma il malleolo mediale. Quindi avremo:
1. Avulsione del malleolo mediale e rottura del legamento
deltoideo
2. Lesione del legamento tibio-peroneale anteriore
3. Frattura sovrasindesmosi del malleolo peroneale
4. Frattura del terzo malleolo o lesione del legamento
tibio-peroneale posteriore

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CLINICA
All’esame clinico si notano tumefazione, impotenza funzionale e, in caso di lussazione o sublussazione,
deformità della caviglia. Le esposizioni cutanee non sono frequenti, mentre è molto comune, soprattutto nelle
fratture più complesse ed instabili, una sofferenza dei tessuti molli caratterizzata da flittene che condizionano il
momento della terapia. Per differenziarle dalle distorsioni, con cui condividono la presenza di ecchimosi, ci si
basa sul dolore che è molto più intenso e aumenta con l’appoggio plantare. Quindi il soggetto avrà una
possibilità di carico più limitata, accompagnata da instabilità e dolore alla mobilizzazione.

DIAGNOSI
Esame obiettivo ed anamnesi
In caso di sospetta frattura del malleolo, il più classico degli esami obiettivi ha per oggetto la caviglia dolente e
prevede almeno due “manovre” diagnostiche: la ricerca di ematoma, gonfiore, deformità e una valutazione della
capacità di movimento.
Diagnostica per immagini
Gli esami di diagnostica per immagini ideali all’individuazione
di una frattura del malleolo sono:
-RX un esame pratico, che mostra chiaramente, le
caratteristiche di una frattura ossea. È fondamentale per
escludere la distorsione. Sono generalmente sufficienti a scopo
diagnostico e di classificazioni tre proiezioni: AP, laterale e
quella del mortaio.
Esistono dei segnali radiografici riferiti a delle distanze tra
Tibia e Perone e alla loro Sovrapposizione.
Questi parametri sono:
-medial clear space consiste nella misura radiografica della
distanza il margine interno del malleolo mediale e la faccia
mediale dell’ astragalo
-tibiofibular clear space consiste nella misura radiografica
dello spazio tra la scanalatura della prominenza distale della
tibia ed il margine mediale del perone distale.
-tibiofibular overlap è l’area di sovrapposizione tra la
prominenza distale anteriore della tibia e la porzione mediale
del perone distale.
Esiste nel caso di lesioni dubbie una particolare proiezione: La proiezione secondo
Mortise. Questa proiezione serve a valutare la superficie articolare. La tecnica si basa
su di una intrarotazione della gamba di 10-15°, così facendo il fascio della radiazione
è perpendicolare alla linea intermalleolare. È una proiezione molto valida ed ha la
capacità di ridurre la sovrapposizione tra la cupola dell’astragalo e lo spazio articolare,
e definisce in maniera chiara lo spazio mediale e laterale.
-Indicazioni alla TC: fratture trimalleolare (malleolo tibiale posteriore), presenza di
lesioni osteocondrali, precisare l'anatomia ossea (rapporti tibia-perone), congruenza
dell'astragalo nel mortaio, fratture occulte.

TRATTAMENTO
Il trattamento di una frattura del malleolo dipende da quali e quanti malleoli sono fratturati e dalla gravità della
frattura.
In genere, è valida la regola per cui, se i frammenti del malleolo sono vicini tra loro e l'infortunio non è grave,
sono sufficienti il riposo e l'immobilizzazione della caviglia interessata per almeno 6-8 settimane; mentre, se i
frammenti del malleolo sono distanti od ostacolati nell'avvicinamento e l'infortunio è grave, è fondamentale il
ricorso alla chirurgia.

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Trattamento Incruento

La scelta del trattamento dipende da diversi fattori: tipo di frattura, natura della stessa, composizione, stabilità. Il
primo approccio alla lesione prevede una immobilizzazione rigida con la valva gessata (gesso a doccia, cioè
aperto). In una seconda fase dopo 7-10 giorni, se la caviglia si è sgonfiata, procediamo ad una rivalutazione e al
confezionamento di un apparecchio gessato chiuso che permetterà una migliore immobilizzazione e darà un
supporto per l’appoggio. E’ essenziale una rivalutazione radiografica a caviglia sgonfia perché alcune radiografie
inizialmente ottime senza eccessivi gradi di sovrapposizione possono a distanza di tempo sia perché l’arto si è
sgonfiato, sia perché c’è stata una mobilizzazione anomala presentare un quadro che richiede un trattamento
cruento.

TERAPIA IN CASO DI UNA FRATTURA DEL MALLEOLO PERONEALE


Una frattura non grave del malleolo peroneale (quindi una frattura composta e stabile) prevede un trattamento di
tipo conservativo, consistente in un periodo di riposo, nell'immobilizzazione della caviglia tramite gessatura e
nell'uso di stampelle per evitare l'appoggio a terra. In genere, in tali circostanze, la gessatura interessa il piede e
buona parte della gamba e ha una durata di circa 6 settimane.

TERAPIA IN CASO DI UNA FRATTURA DEL MALLEOLO TIBIALE


Il trattamento previsto in presenza di una frattura del malleolo tibiale è molto simile a quello descritto poc'anzi,
in caso di frattura del malleolo peroneale.

Trattamento Cruento

Il trattamento chirurgico il più delle volte è specifico a seconda di quello che ci troviamo ad affrontare. Se
abbiamo fratture esposte il trattamento è sicuramente un trattamento d’urgenza che prevede la fissazione esterna
e che permette, nel caso fossimo in presenza di un politraumatizzato, che altri specialisti possano agire. Il
fissatore esterno ci permette anche di cominciare a trattare in attesa del momento ideale quando la cute sarà
pronta per l’incisione e procedere dunque con i trattamenti di sintesi. Si tratta sempre di fratture articolari che
esitano spesso in instabilità residua, dunque utilizziamo, dove è necessario, placche e viti in titanio.
Il Cotton-Hook test è utile per testare l’instabilità della sindesmosi: stabilizzate la porzione distale di tibia e
fibula con una mano e applicate una forza di traslazione laterale a livello del piede con l’altra mano; il test è
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positivo per lesioni della sindesmosi se osservate una traslazione maggiore di 3-5 mm o se avvertite uno strano
rumore. Valutata clinicamente l’instabilità della sindesmosi due possibili opzioni di trattamento cruento sono:
• Tightrope
• Trans-Syndesmotic Screw (6-12 settimane)

TERAPIA IN CASO DI UNA FRATTURA DEL MALLEOLO PERONEALE


Una frattura grave del malleolo peroneale, invece, richiede l'intervento del chirurgo, il quale dovrà prima
riposizionare i frammenti ossei nella loro posizione anatomica corretta e poi saldarli tra loro per mezzo di viti,
perni ecc. Al termine dell'intervento chirurgico, il riposo, l'immobilizzazione della caviglia operata e l'uso di
stampelle, per evitare l'appoggio a terra, sono d'obbligo. Di solito, riposo e immobilizzazione dovrebbero durare
tra le 6 e le 8 settimane.

TERAPIA IN CASO DI UNA FRATTURA DEL MALLEOLO TIBIALE


Il trattamento previsto in presenza di una frattura del malleolo tibiale è molto simile a quello descritto poc'anzi,
in caso di frattura del malleolo peroneale.

TERAPIA IN CASO DI UNA FRATTURA BIMALLEOLARE


A prescindere dalla loro gravità, gli episodi di frattura bimalleolare richiedono l'intervento chirurgico, seguito
da: un periodo di riposo, l'immobilizzazione della caviglia per almeno 6 settimane e l'uso di stampelle.
Gli unici casi di frattura bimalleolare, per i quali è sconsigliata la chirurgia, sono quelli in cui il paziente soffre di
gravi problemi di salute. In tali frangenti, infatti, la pratica chirurgica potrebbe essere fatale.

TERAPIA IN CASO DI UNA FRATTURA TRIMALLEOLARE


La terapia prevista in presenza di una frattura trimalleolare è molto simile, se non uguale, a quella descritta
poc'anzi, in caso di frattura bimalleolare; anche la categoria di pazienti inadatti all'intervento chirurgico è la
medesima.

COME CAPIRE SE HA AVUTO LUOGO LA GUARIGIONE?


Sia in presenza di fratture gravi, sia in presenza di fratture non gravi, l'unico modo per appurare la saldatura di
una malleolo fratturato è osservarne lo stato di salute, per mezzo di un esame ai raggi X. Se, in base all'esame ai
raggi X, persiste una qualche lesione ossea, il medico curante è costretto a immobilizzare nuovamente la caviglia
e parte della gamba, e a raccomandare altro riposo.

Da Dionigi, trattamento fratture malleolari:


Una frattura-lussazione della caviglia deve essere subito ridotta e stabilizzata in buona posizione tramite un
apparecchio gessato (aperto anteriormente) o una trazione transcheletrica calcaneare. Lasciare una frattura-
lussazione o comunque una frattura instabile a se stessa comporta sempre l’instaurarsi o l’aggravarsi delle lesioni
dei tessuti molli associate. La terapia di queste fratture è quasi sempre chirurgica. Fanno eccezione talune
fratture composte e stabili di tipo A e B ì, che si mantengono composte con il gesso, che deve essere mantenuto
per 6 settimane, soprattutto se in pazienti defedati o ad alto rischio chirurgico. In ogni caso la terapia
conservativa allunga i tempi di guarigione ed è gravata da un’alta percentuale di osteoporosi post-traumatica
(algodistrofia o malattia di Sudek).
La chirurgia si basa su una riduzione anatomica (si tratta di fratture articolari) e una sintesi stabile che permetta il
movimento precoce dell’articolazione. Vengono utilizzate placche e viti (3,5-2,4 mm). Una particolarità della
terapia delle fratture di tipo B (se il legamento tibio-peroneale è lesionato) o di tipo C è l’utilizzo, oltre ai mezzi
di sintesi dedicati a stabilizzare i frammenti malleolari, di una vite trasversa o di un filo di kirschner obliquo, tra
perone e tibia, al fine di permettere la riparazione del legamento e della membrana interossea. Questa vite, o il
filo di stabilizzazione, viene di solito rimossa dopo 6-8 settimane dall’intervento.
Una non perfetta riduzione dei malleoli o il permanere di una diastasi tibio-peroneale comporta gravi
conseguenze nella funzionalità articolare tibio-tarsica con precoce rigidità, dolore e artrosi post-traumatica.

DAMAGE CONTROL
Fissazione esterna temporanea a ponte
Indicazioni: la compromissione dei tessuti molli risulta evidente al momento della prima valutazione del
paziente.
• Fratture – Lussazioni
• Fratture esposte
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• Fratture chiuse: edema imponente, flittene sierose o emorragiche, abrasioni profonde o contaminate,
sindromi compartimentali.

Trazione transcheletrica
Indicazioni: fratture scomposte che non possono essere ridotte con una semplice trazione manuale.
• Riallineare i frammenti ossei e mantenere l’allineamento
• Controllare il dolore
• Limitare i danni tissutali
• Prevenire le complicanze
• Garantire la mobilità della parte non lesa.

COMPLICANZE
• Sistemiche: shock ipovolemico, TVP, embolia polmonare, embolia grassosa, CID.
• Loco-regionali: perdita della riduzione, infezione, ritardo di consolidazione, pseudoartrosi, deiscenza
della ferita, vizi di consolidazione, deficit funzionale, artrosi.

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PIEDE TORTO CONGENITO


È una malformazione congenita complessa del piede ad eziologia sconosciuta, che coinvolge l’apparato
legamentoso e muscolo-tendineo della porzione mediale e plantare del piede e che determina un’alterazione dei
normali rapporti tra gli abbozzi osteo-cartilaginei. C’è alterazione dei normali rapporti ma da un punto di vista
morfologico e strutturale, gli abbozzi osteo-cartilaginei sono perfettamente normali.
Il contatto del piede al suolo non avviene nei normali punti di appoggio:
- Tuberosità del calcagno
- 1° metatarso, da un lato
- 4° e 5° metatarso, dall’altro
Già Ippocrate parlava di questa patologia come di una patologia trattabile con un approccio forte e diretto. Negli
anni ha affascinato numerosi studiosi alla ricerca della metodica più vantaggiosa ed efficace.

EPIDEMIOLOGIA
Nel 35-60% dei casi la deformità risulta bilaterale ma può interessare anche solo un piede, più il destro che il
sinistro. C’è una prevalenza nel sesso maschile rispetto al sesso femminile e può associarsi nel 7% dei casi ad
altre malformazioni come DCA, torcicollo miogeno, aplasia della tibia, trisomia 21, spina bifida,
mielomeningocele e altre; quando vediamo un piede torto quindi dobbiamo escludere che ci siano altre
malformazioni che possono passare misconosciute perché non evidenti come il piede torto. In Europa è la
seconda malformazione più frequente dopo la displasia congenita dell’anca. In Sicilia è la deformità più
frequente che si verifica con maggior frequenza in città come: Gela, Augusta e Milazzo per cui un fattore
eziologico può essere l’inquinamento.

EZIOPATOGENETICA
Se l’eziologia è sconosciuta (idiopatico o criptogenetico), come spesso accade, bisogna pensare ad una eziologia
multifattoriale. Tra i fattori che concorrono a determinare questa patologia abbiamo:
▪ Fattori genetici: si tratterebbe di una eredità poligenica;
▪ Fattori ambientali:
- Anomalie dell’utero che fanno sì che ci sia un’alterazione del rapporto contenente/contenuto come
malformazioni uterine, aumento del tono muscolare dell’utero, neoformazioni uterine
- Anomalie d’impianto (gravidanze extrauterine; si vede la patologia nell’aborto)
- Gravidanza protratta o pretermine
- Bimbi macrosomici
- Poco liquido amniotico
- Briglie placentari
- Stagionalità (infezioni virali)
- Inquinamento, come abbiamo detto prima

(Esistono diverse teorie patogenetiche. La più importante è quella di Hoffa o teoria meccanica fetale secondo
cui c’è un arresto della detorsione e derotazione del piede imputabile a cause meccaniche durante la vita fetale
per anomalie dell’ambiente fetale. Intorno al 3-4 mese di gravidanza, il piede del feto è atteggiato in posizione
equino-varo-addotta- supinata. Se non può derotare e distendersi rimane in questa posizione.
Esistono anche altre teorie patogenetiche:
- Teoria ormonale: i livelli ematici elevati di relaxina ed estrogeni faciliterebbe la lassità del tessuto
connettivale fetale; questa teoria non spiega perché c’è una retrazione della parte interna del piede.
- Teoria di Bohm: la detorsione del piede non avviene per fattori teratogeni, ipossici o dismetabolici.
- Teoria vascolare: una situazione di ipossia determina un’alterazione dei muscoli.
- Teoria dell’arresto dello sviluppo embrionario: alterazione della cellula uovo (non più un fatto
meccanico) che causa un blocco della torsione e rotazione del piede.
- Teoria muscolare: gli atteggiamenti viziati sarebbero causati da anomalie muscolari a cui seguirebbero
squilibri nelle tensioni tendinee e legamentose.
- Teoria nervosa: anomalie di innervazione causano squilibri tra muscoli agonisti e antagonisti.

N.R. A lezione ha citato solo le teorie riportate nelle slides sopra, non ha invece menzionato quelle tra parentesi)

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VARIETÀ CLINICHE
Vi sono numerose varietà cliniche che vengono raggruppate in 4 grandi gruppi:
1. Equino-varo-addotto-supinato
2. Metatarso-varo
3. Talo-valgo-pronato
4. Valgo-convesso

La varietà clinica più frequente di piede torto congenito è la equino-varo-addotto-supinato (80%), seguita dal
metatarso-varo, dal talo-valgo-pronato e dal valgo-convesso. Per cui oggi, quando si parla di piede torto
congenito si fa riferimento alla varietà E V A S idiopatico.
Può essere distinto, in base all’eziologia in:
• Idiopatico: quando è una patologia propria del piede determinata da una displasia; più frequente a dx.
• Posturale o posizionale: quando è dovuto ad una errata posizione del piede durante le ultime settimane di
gravidanza; spesso si risolve da solo dopo la nascita. Buona prognosi.
• Sindromico o teratogeno: il piede rappresenta solo un aspetto parziale di patologie malformative - è
associato ad altre patologie come:
- Spina bifida
- Patologie neuromuscolari
Quindi spesso legato a patologie neuropatiche. Per fortuna è molto raro.
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DEFINIZIONI
▪ Normalmente l’angolo formato tra l’asse longitudinale della gamba e quello del retropiede è di 90°. Se
quest’angolo è:
o > 90° = piede equino, con flessione plantare e appoggio avanpodalico
o < 90° = piede talo, con flessione dorsale
Nota: è importante specificare retropiede perché quest’angolo potrebbe essere normale anche in presenza di un
problema dell’avampiede e in quel caso si parlerebbe di piede pseudoequino quando si forma un angolo tra
asse del retropiede e dell’avampiede. Il problema di solito è di natura neurologica.
▪ L’asse longitudinale della gamba normalmente coincide, con un margine di 2-4° in valgo, con l’asse
verticale del retropiede. Se si forma un angolo tra i due assi avremo
o Piede varo: se l’asse del retropiede è inclinato medialmente rispetto all’asse di gamba, angolo aperto
medialmente;
o Piede valgo: se l’asse del retropiede è inclinato lateralmente rispetto all’asse di gamba, angolo aperto
lateralmente. Fino a 5° è fisiologico e nelle femmine può anche essere un po’ più rilevato.
▪ Consideriamo l’asse longitudinale del piede (tra avampiede e retropiede). Normalmente questo asse è unico.
Se a livello del mesopiede l’asse devia avremo:
o Piede addotto: se l’asse devia verso l’interno (l’avampiede volge verso l’interno);
o Piede abdotto: se l’asse devia verso l’esterno (l’avampiede volge verso l’esterno/lateralmente).
▪ In base alla rotazione dell’asse dell’avampiede rispetto a quella del retropiede (movimento torsionale del
piede sull’asse longitudinale) abbiamo:
o Piede supinato: superficie plantare rivolta all’interno - medialmente;
o Piede pronato: superficie plantare rivolta all’esterno.
▪ Infine considerando l’arco plantare definiamo:
o Piede cavo: accentuazione dell'arco plantare; difficilmente è una deformità a se stante nel neonato e
nel PTC è la conseguenza delle altre malformazioni.
o Piede piatto: riduzione dell’arco plantare.

CRITERI DI INCLUSIONE
Data l’elevata variabilità clinica sono stati delineati dei criteri di inclusione per cui, si parla di PTC idiopatico se:
1. Abbiamo una di quelle alterazioni morfologiche appena descritte e/o polpaccio ipotrofico/atrofico (a

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testimonianza che il vizio inizia a livello della gamba)


2. La presentazione clinica non si risolve spontaneamente
3. Si richiedono interventi chirurgici e non (fisioterapici)

Vi sono allo stesso modo Criteri di esclusione:


1. Risoluzione spontanea o attraverso una correzione passiva plantigrada→ PT posizionale
2. Associato a patologie sindromiche → PT sindromico
3. Associato a patologie cerebro-vascolari che determinano una paralisi
4. Deformità del piede diverse, ad esempio: talo-valgo

ANATOMIA PATOLOGICA
Le lesioni sono a carico dei tessuti molli della parte mediale del piede e sono responsabili della deformità. Lo
scheletro è solo compromesso nei rapporti articolari ed è ancora in massima parte presente come abbozzi
cartilaginei. Se li volessimo vedere solo un’ecografia o una RM ce li mostrerebbe. La storia naturale del PTC
non trattato alla fine porterà comunque ad una alterazione strutturale delle ossa ma all’inizio le parti scheletriche
sono perfettamente normali. Nel PTC equino- varo-addotto-supinato per quanto riguarda i tessuti molli, non ci
sono modifiche delle fibre muscolari del tricipite della sura; il tessuto tendineo invece è caratterizzato da un
ridotto numero di tenociti, più tozzi, disordinati e sono molto diminuite le fibre elastiche. Le lesioni scheletriche
come detto sono assenti alla nascita ma l’alterata posizione delle ossa in accrescimento ne compromette i
rapporti articolari determinando deformità di ogni singolo segmento osseo nel caso in cui il pz non è
trattato o è trattato male. C’è una sola condizione in cui già alla nascita c’è una alterazione degli abbozzi
osteocartilaginei ed è il piede torto primitivo lì dove c’è un’alterazione genetica.
Altra varietà clinica è il PTC talo-valgo-pronato. La caratteristica di questo piede è che molto spesso è il
campanello d’allarme di un’altra grave deformità ad esso associata che è la displasia congenita dell’anca.
Altra varietà è il PTC valgo-convesso che ha una inversione della volta plantare, tanto che viene definito “piede
a dondolo”.

DIAGNOSI
La diagnosi grazie all’esame ecografico può essere fatta precocemente, in epoca prenatale a partire dalla
11°/12° settimana di gestazione (3 mesi). La diagnosi precoce del PTC permette di informare i genitori della
condizione del futuro neonato che così si preparano a livello psicologico. Ci permette anche di vedere se ci sono
altre malformazioni associate o si tratta di una malformazione isolata, l’ecografista ha l’obbligo di approfondire.
Nonostante ciò, nel 10% dei casi, la diagnosi avviene dopo la nascita, intorno al primo/secondo anno di vita.
Alla nascita la deformità è manifesta, il piede sarà:
- Flesso plantarmente
- Concavità mediale CAVE: Cavo, Addotto, Varo ed Equino
- Convessità laterale
- Superficie plantare rivolta medialmente acronimo inglese
- Inversione
Poi si valuta l’elasticità con prove di riduzione e l’esame clinico va completato definendo il “grado di
corregibilità” secondo la classificazione di Harrold-Walker che distingue in base al valore angolare tra l’asse
longitudinale della gamba e l’asse longitudinale del piede:

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Oggi si utilizza anche la classificazione di Catterall-Pirani che distingue il PTC in base ad uno score calcolato
sui punteggi assegnati alle caratteristiche del mesopiede e del retropiede. Principi del punteggio:
▪ si confronta il piede torto con un piede normale in relazione a 6 indicatori: 3 per il mesopiede:
o curvatura del margine laterale,
o la piega cutanea mediale,
o testa dell’astragalo palpabile; 3 per il retropiede:
o piede equino rigido,
o il calcagno vuoto (trazionato verso l’alto dal tendine di Achille che lo porta su)
o la piega cutanea posteriore del tallone;
▪ per ogni indicatore si attribuisce un punteggio da 0 a 1:
o 0 = normale;
o 0,5 = anormalità moderata;
o 1 = anormalità grave;
▪ il punteggio totale va da 0 a 6: un punteggio più alto indica una maggiore gravità (6 = il più grave).

TRATTAMENTO
Il trattamento può essere cruento o incruento mininvasivo, dipende dalla precocità del trattamento e dal grado di
deformità. A partire dagli anni ’90 furono sviluppate tutta una serie di metodiche come quella francese, di
Seringe funzionale che prevede l’utilizzo di un bendaggio elastico (ha lo scopo di raggiungere la posizione
platigrada in maniera indolore evitando l’intervento chirurgico) o la metodica di Kite. La più
diffusa è però la metodica di Ponseti (è il gold standard), inventata negli anni ‘50 che per oltre
40 anni non è stata considerata.

Metodica di Seringe: in cui si associano metodiche di fisiokinesiterapia a mezzi di contenzione


→ utilizzando delle placchette e dei cerotti. Spesso però associata a sovraccarichi per la cute e
quindi spesso veniva abbandonata in corso d’opera, perché la cute dei neonati è molto fragile

Metodica di Kite: che si basa sul modellamento manuale a tappe associato all’uso
← di apparecchi gessati. Quindi prima veniva trattata l’adduzione, poi il varismo e
infine l’equinismo.

Ma può essere fatto anche un Trattamento cruento, che veniva eseguito soprattutto tra gli anni ’80 e ’90.
Anche qui abbiamo varie metodiche, ad esempio:
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Metodica Turco: capsulotomia posteriore con allungamento “a Z” del tendine di Achille →

← Metodica di Cincinnati: con un taglio


circonferenziale di quasi tutta la caviglia si apriva
l’articolazione.

Metodica di Codivilla: capsulotomia posteriore per allungare il tendine di Achille +


capsulotomia mediale per allungare il tibiale anteriore (è possibile una eventuale
trasposizione del tibiale anteriore).

Si è visto che la chirurgia portava poi ad un piede rigido, che non si muoveva, dava dolore (oltre che cicatrici
molto evidenti) e quindi si preferiscono i metodi incruenti, poco invasivi e in particolare il metodo Ponseti.
È una metodica mininvasiva che porta a risultati eccellenti. La tecnica di Ponseti viene effettuata in anestesia
generale con il piede in extrarotazione di circa 60° con dorsiflessione inferiore a 10°-15°. Prevede 4 grandi punti:
1. Manipolazioni correttive graduali che agiscono in maniera a tappe sulle varie deformità → cerco la testa
dell’astragalo sublussata e la riduco facendo movimenti di abduzione e supinazione del piede (movimenti
“dolci” per evitare di ledere le strutture nobili o dare fastidio agli abbozzi cartilaginei). Attraverso questi
movimenti correggo prima il cavismo e l’adduzione del piede, poi progressivamente, nell’arco di mesi
correggo il varismo e infine l’equinismo.
2. Confezionamento di apparecchi gessati alti, femoro-podalici perché sennò il gesso viene sfilato in quanto
il bambino ha salienze anatomiche poco conclamate rispetto all’adulto. Il gesso va dalla radice della coscia
fino alle dita. Il tendine d’Achille è molto retratto per cui devo tenderlo flettendo il ginocchio. Si fa in
genere attorno al 15-20° giorno di vita, in corrispondenza con il calo ponderale ma si può farlo anche
appena nato, dopo le opportune delucidazioni ai genitori.
Ce ne sono di 5 tipi, il primo va a correggere il cavismo e l’adduzione; 3 vanno a correggere l’adduzione e il
varismo e il quinto va a correggere l’equinismo.
3. Tenotomia: devo agire sull’unico tendine che non riuscirò mai a correggere che è il tendine d’Achille
perché è il tendine più forte. È un taglio completo, unico presupposto alla correzione dell’equinismo. Se non
lo taglio, non correggo. Si esegue toccando il margine mediale del tendine d’Achille, inserisco il bisturi, lo
ruoto e taglio il tendine. Il taglio va fatto 1 cm sopra l’inserzione del tendine. Si fa in genere entro 6 mesi di
vita. Dopo si fa un ultimo gesso che teniamo per 3 settimane che tiene il piede dorsiflesso di 10°. Il tendine
d’Achille sezionato si ripara senza lasciare alcun segno del taglio. Il bambino di 4-5mesi ha una capacità
riparativa enorme e rapidissima. Nell’arco di 20 giorni viene riparato perfettamente, al pari di un tendine
non trattato chirurgicamente.

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4. Applicazione del tutore di Denis-Browne: applicato per 3 mesi


24/7 (giorno e notte) e poi 16h al giorno per 3-4 anni
(preferibilmente solo la notte). Ha un valore fondamentale ma è
l’anello debole del trattamento. Serve a mantenere l’arto in
extrarotazione perché è l’unico modo che ho per prevenire la
recidiva. La recidiva è il più grande problema post-
trattamento. Un piede torto tende a recidivare. Il mantenimento
con tutore è l’unica possibilità per prevenire l’insorgenza dalla
recidiva. Importante è la collaborazione dei genitori.

La recidiva è legata nell’80% dei casi, come abbiamo già detto, alla non corretta adesione al trattamento di
mantenimento con tutore → scarsa compliance. Il piede deve essere sostenuto nella sua crescita perché tende
sempre sul patologico. Le recidive possono manifestarsi anche tardivamente → 7-8 anni. Intanto bisogna
distinguere una recidiva da un piede non completamente corretto perché l’ortopedico è stato scarso e poi
dobbiamo sempre stare attenti ai segni precoci di recidiva:
→ L’abduzione è il primo a comparire
→ Rigidità del piede
→ Difficoltà ad indossare le calzature
→ Equinismo
Perché recidiva?
- Per insufficiente correzione iniziale
- Per ritardato inizio del trattamento
- Per errata esecuzione della metodica
- Perché non si è capito che si trattava di un piede torto secondario a disordini neuromuscolari
- Per mancata adesione al trattamento (non utilizzo del tutore di Denis Browne) [quello più frequente]

La soluzione è la ripresa del metodo Ponseti. Se la recidiva è presa subito bastano 2-3 cicli di gessi associati a
manipolazioni correttive, altrimenti si deve rioperare. La classificazione della gravità della recidiva si chiama
classificazione di Manes (3 gradi di recidiva). Tento sempre di evitare il trattamento chirurgico invasivo che
consiste in osteotomie e artrodesi (fusione di 2 ossa con trasformazione di una articolazione da dinamica a
statica).
E il bambino quando cammina? Abbiamo cominciato che il bambino aveva 15 giorni, a 4 mesi lo abbiamo
trattato chirurgicamente, 3 settimane di gesso e 3 mesi di tutore e siamo a 8 mesi. Il bambino fisiologicamente
comincia a camminare a circa 12 mesi. Paradossalmente i bambini dopo il trattamento, si mettono in piedi
prima dei bambini normali.
Le complicanze al trattamento con metodo Ponseti sono rare e possono essere:
- Perdita dell’apparecchio gessato perché troppo largo
- Sindrome flebostatica perché troppo stretto
- Sofferenze cutanee
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Un piede monolaterale per certi versi è più svantaggioso di un piede torto bilaterale perché i due piedi non
saranno uguali. Ad es. a 7 anni il piede trattato sarà più piccolo del piede normale. L’appoggio è comunque
buono, a volte anche meglio rispetto al piede sano.

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CONCLUSIONI

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PIEDE PIATTO
BIOMECCANICA DEL PIEDE
Il piede è formato da 27 ossa divise su 3 livelli: retropiede, mesopiede e avampiede. Bisogna considerarlo come
un organo vero e proprio perché è adibito al sostegno e alla funzione deambulatoria.
Inoltre è un organo propriocettivo che ci dà informazioni sull’ambiente esterno e sulla posizione del nostro corpo
nello spazio.
Individuiamo tre punti di appoggio che formano degli archi:
• L’arco trasverso
• L’arco longitudinale mediale
• L’arco longitudinale laterale
• Questi archi sono quelli che determinano la volta plantare
fisiologica che nel momento in cui si va a perdere determina
alcune patologie come appunto il piede piatto.

DEFINIZIONE
Alterazione morfologica del piede, caratterizzata dalla riduzione
o scomparsa dell'arco plantare mediale con conseguente
aumento della superficie d'appoggio.

Il piede piatto determina un aumento della base d’appoggio con


valgismo del retropiede a causa della perdita dell’arco plantare
mediale.

PIEDE PIATTO ED ETÀ


• Fisiologico: sino a 3-4 anni
• Paramorfico: tra 4-8 anni, si può correggere da solo o facilmente anche dal pz stesso
• Strutturato: dopo 9-10 anni, difficilmente correggibile e in alcuni casi sintomatico.

CLASSIFICAZIONE
• Congenito: che, come spesso accade, può essere associato ad altre manifestazioni. Alcune cause di PPC
sono:
- Anomalie scheletriche (articolazioni non funzionanti, sinostosi, ipoplasie, anomala torsione ossea, ecc.
- Iperlassità dei legamenti (S. di Marfan, Osteogenesis imperfecta, S. di Down, S. di Ehlers-Danlos)
- Errata posizione durante la vita intrauterina
- Brevità del tendine di Achille
• Acquisito: che è a sua volta distinto in:
- Essenziale o statico-adolescenziale: quello di gran lunga più frequente. In cui ci sono delle condizioni
predisponenti (soggetti obesi o longilinei ipotonici, iperlassità ormono-dipendente)
- Sintomatico: presente anche nella popolazione adulata e può essere dovuta a varie cause e può essere:
distrofico-rachitico, senile, infiammatorio, neurogeno, neoplastico, traumatico

EPIDEMIOLOGIA
Si presenta nel 11-70% dei bambini e adolescenti, è quindi una patologia molto diffusa ma la vera incidenza è
difficile da individuare perché alcuni autori fanno rientrare anche il piede fisiologico.
Si verifica più frequentemente nel maschio [rapporto 2:1] ed è associato a particolari condizioni di vita: i
pazienti obesi, la mancanza di attività sportiva ed inoltre è molto elevata l’associazione con l’iperlassità
legamentosa.

EZIOPATOGENESI
Abbiamo 3 tendini che determinano una corretta morfologia del piede e sono quelli dei muscoli:
1. Tibiale posteriore
2. Flessore lungo delle dita
3. Flessore lungo dell’alluce
Quando si ha un ipotono di questi muscoli si ha una predisposizione a formare il piede piatto, in particolare il
tibiale posteriore.
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V anno Polo A-C 2022/2023

DIAGNOSI
Naturalmente si inizia dall’anamnesi in cui il pz può riferire:
• Età di insorgenza
• Familiarità
• Dolore? Quando?
• Impaccio motorio
• Facile faticabilità?
• Iperlassità legamentosa?
• Senso di tensione plantare?
• Attività sportiva
• Uso di ortesi e/o calzature ortopediche
Si vanno poi ad escludere eventuali comorbidità (neurologiche, posturali, legamentose, visive e
odontostomatologiche) e valutiamo se è obeso.
Per quanto riguarda l’esame obiettivo è fondamentale. Si va a guardare il paziente da difronte, da dietro,
medialmente e durante la camminata:
• Il profilo anteriore è caratterizzato da:
- Avampiede supinato e abdotto in risposta al retropiede valgo
- Strabismo rotuleo convergente
- Alluce in valgo
- Carico mediale
- Unghia dell’alluce ruotata medialmente
- Intrarotazione tibiale
• Il profilo posteriore invece da:
- Bordo esterno del piede quasi sollevato perché privo di carico
- Avampiede che sporge lateralmente (regola delle “troppe dita esterne”)
• Il profilo mediale infine è caratterizzato da:
- Riduzione/scomparsa della volta plantare
- La testa dell’astragalo sporge medialmente (segno del doppio malleolo) e a volte anche lo scafoide
(terzo malleolo)

A P M
RETROPIEDE VALGO E VARO
• Valgo: appoggio al suolo con il bordo interno. l'asse longitudinale del retropiede e l'asse longitudinale
gamba formano un angolo aperto lateralmente.
• Varo: appoggio al suolo solo con il bordo esterno. l'asse longitudinale del retropiede e l'asse longitudinale
gamba formano un angolo aperto medialmente.

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CAMMINATA

TEST CLINICI
Successivamente si vanno a fare dei test con cui valutare la flessibilità del piede:
1. FLESSIONE DORSALE DELL’ALLUCE (JACK TEST): si fa una flessione dorsale dell’alluce in modo da
tendere il flessore lungo del 1° dito.
2. TEST DI APPOGGIO AVAMPODALICO (TIP TOE TEST): si chiede al pz di camminare sugli avampiedi
Se questi test determinano la correzione del difetto allora la patologia è altamente correggibile.

ESAMI STRUMENTALI
Esame podoscopico
Il podoscopio ci permette di fare diagnosi e classificare la gravità. È un apparecchio costituito da un vetro
illuminato in cui far mettere il pz in posizione eretta e uno specchio che ci permette di vedere bene l’area di
appoggio plantare.
1° Grado: appoggio quasi normale
2° Grado: via via che il grado aumenta
3° Grado: aumenta anche l’istmo della
4° Grado: pianta del piede

Radiografia
Per la diagnosi definitiva è necessario l’esame radiografico che permette la misurazione
degli angoli di inclinazione delle ossa podaliche e, quindi, la loro alterazione:
- Angolo di Kite: si valuta con una radiografia in anteroposteriore con un raggio di
incidenza di 20-25°. L’angolo si forma tracciando gli assi maggiori di astragalo e
calcagno; se questo è > di 25° è patologico.

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- Angolo di Costa-Bertani: è formato da due rette passanti, una per il punto inferiore della tuberosità
calcaneare, l’altra per il punto inferiore del sesamoide mediale (si incontrano nel punto inferiore
dell’astragalo). Quando supera i 120-125° è patologico.

- Angolo di pendenza astragalica (v.n. 18°-22°).


- Angolo di pendenza calcaneare (v.n. 35°-50°).

Gli esami strumentali di secondo livello sono raramente utilizzati in questo ambito, a meno che ci troviamo di
fronte ad un piede piatto rigido/non flessibile perché in questo caso devo sospettare che ci siano delle anomalie
congenite, come delle sinostosi astragalo-calcaneari (fusioni ossee). Nella precitata situazione è bene può
effettuare un esame TC.

EVOLUZIONE
Ridotta qualità della vita, rispetto ai bambini con piedi normali, a causa di una minore lunghezza del passo e, di
conseguenza, della velocità di marcia. Le principali differenze tra i gruppi cinematici riguardano il piano
coronale: i bambini con piede piatto hanno maggiore eversione del retropiede e supinazione dell’avampiede
durante il cammino.
• Dolorabilità
• Facile faticabilità
• Impaccio motorio
• Cadute frequenti
• Ginocchio valgo
• Alluce valgo
• Onicodistrofie
• Micosi
I soggetti stentano a fare attività motoria, quindi aumentano da un punto di vista di ponderale.

PIEDE PIATTO DELL’ADULTO


Disfunzione del tendine tibiale posteriore:
• Degenerazione tendinea
• Artrite infiammatoria
• Rottura traumatica del tendine (casi rari)

PREVENZIONE

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TRATTAMENTO
Si va al trattamento dal momento in cui questa patologia determini un impedimento al bambino di svolgere
alcune attività sportive per l’impaccio motorio che essa può determinare, ma anche per una questione evolutiva
in cui può andare incontro il bambino. Infatti il piede piatto può determinare nel tempo, un valgismo del
ginocchio, l’alluce valgo; si può avere dolore, frequenti cadute e poi nell’adulto ad una degenerazione tendinea
del tibiale posteriore (→ artrite infiammatoria, artrosi precoce e raramente rottura del tendine).
Proprio per questo è importante intervenire precocemente, nella fase paramorfica con un trattamento adeguato in
maniera da non giungere alla fase sintomatica. L’obiettivo dell’ortopedico è evitare che un piede piatto
funzionale REVERSIBILE possa diventare sintomatico.
Il trattamento può essere conservativo o chirurgico, si inizia con il trattamento conservativo per poi giungere a
quello chirurgico nel momento in cui il primo fallisce.
• Trattamento conservativo:
• Trattamento fisioterapico (dai 4-5 anni): noi sappiamo dalla genesi del piede piatto che ci sono 3 muscoli
insufficienti/non adeguatamente trofici (tibiale posteriore, flessore lungo dell’alluce e delle dita), quindi la
terapia deve mirare al loro potenziamento. Tale trattamento è caratterizzato da esercizi propriocettivi volti al
potenziamento dei muscoli cavizzanti e dei peronei interni, esercizi varizzanti/verticalizzanti il retropiede e
rinforzo dei mezzi di sostegno della volta plantare con normalizzazione dell’appoggio (esempi: camminare
lungo la retta, sul bordo laterale del piede, punta alternata a tallone, esercizi prensili
• Ortesi: che sarebbero i plantari. Sulla loro efficacia si ha qualche dubbio perché è un sostegno passivo del
piede. L’uso di plantari personalizzati può essere riservato ai pazienti con squilibri posturali sovrasegmentari
a causa dell’eccessivo valgismo del retropiede a partire dai 5-6 anni. Questi non correggono, bensì facilitano
la deambulazione perché migliorano l’appoggio. Il piede quando è sull’ortesi è corretto ma i muscoli non
agiscono in maniera attiva; magari associati alla fisioterapia.
Ce ne sono di diversi tipi:
• Plantare a conca talloniera avvolgente: avvolge e contiene il retropiede; fornisce l'appropriato sostegno
della volta plantare mediale
• Plantare ad elica dinamico: cuneo supinatore per il retropiede e sostegno metatarsale
• plantare tipo Lelièvre: cuneo supinatore per il retropiede e controspinta retro-capitata del quinto raggio
metatarsale
• Viladot: alloggiamento calcaneare con volta longitudinale mediale e contro spinta retro-capitata del
quinto raggio metatarsale.
Sono modellabili e possono essere utili per alleviare la sintomatologia algica nei soggetti più grandi grazie
ad un ripristino passivo e temporaneo del normale appoggio plantare.
Funzione:
- Devalgizzare il calcagno;
- Desupinare l’avampiede;
- Stimolare la formazione della volta plantare.

Trattamento chirurgico: si riserva ai bambini che hanno più di 10 anni (tra 10 e 13 anni), quando ormai il
trattamento conservativo non può dare risultati, quando un piede sintomatico non risponde al trattamento
conservativo prolungato (epoca corretta di attesa: TRE ANNI).
Le opzioni sono tante:
• Artrorisi: è una metodica che serve a diminuire l’ampiezza di
un’articolazione che risulta essere patologica in maniera da correggere
l’atteggiamento viziato e garantire una corretta mobilità. Limitano
l’eccessiva escursione articolare dell’astragalo sul calcagno con
RIPRISTINO DELL’ALLINEAMENTO DEL RETROPIEDE.
Consiste nell’impianto di una vite, ci sono vari trattamenti di artrorisi
in base a dove viene posizionata questa vite → endosenotarsica o
esosenotarsica e quindi → intra-articolare o extra-articolare. Oggi
rappresenta il gold standard; utilizziamo il cosiddetto calcaneo-stop
(esosenotarsica). Si va ad inserire questa vite un po’ in obliquo al
livello del “calcaneal notch”, zona dove abbiamo maggiore
depressione del seno del tarso. Si effettua una mini-incisione laterale
di circa 1 cm e attraverso gli amplificatori di brillanza andiamo a
vedere sempre il corretto posizionamento, mentre un altro operatore
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V anno Polo A-C 2022/2023

tiene il piede nella corretta posizione. Si esegue una manovra forzata di inversione del piede per mantenere
corretto l’asse interastragalo-calcaneo-scafoideo, riducendo la divergenza astragalo-calcaneare. Con la punta
del trapano si fa un foro in cui inserire la vite, regolando la profondità in maniera idonea a garantire la
correzione. Con la parte che sporge la vite determina un impaccio meccanico all’astragalo, riducendo
l’angolo di divergenza (varizzazione) e inoltre determina una stimolazione propriocettiva che migliora la
terapia. La tecnica chirurgica è completata da sutura con filo riassorbibile e bendaggio compressivo.
Intervento eseguito in day-hospital. Consentiamo il carico da subito per evitare una supinazione residua. La
medicazione della ferita viene effettuata ogni 7 giorni (fondamentale per evitare infezioni) con rimozione dei
punti a 15 giorni dall’intervento. Astinenza dall’attività sportiva per almeno un mese, ad eccezione del nuoto
che può essere praticato fin da subito.
A 3-4 anni dall’intervento si va a rimuovere la vite perché è sempre meglio togliere ciò che è estraneo dato
che comunque ha corretto il difetto.
Il calcaneo-stop trova indicazione nei pazienti neurologici, ad esempio nei bambini affetti da paralisi
cerebrale infantile.
Riassumendo, i tempi dell’intervento:
1. Incisione 1 cm anteriore al malleolo peroneale
2. Preparazione dell'articolazione sottoastragalica
3. Posizionamento di filo guida all'interno del seno del tarso
4. Test funzionali con l'utilizzo di prove
5. Posizionamento di protesi endosenotarsica
L’artrorisi è una procedura semplice, ripetibile e mini-invasiva. Dà ottimi risultati a lungo termine con
minime complicanze, però ha la caratteristica di avere un’efficacia inversamente proporzionale all’età. Si
attua, infatti, intorno ai 12 anni, quando il trattamento conservativo e quando è sintomatica [NB: non si
trattano mai chirurgicamente i piedi piatti non sintomatici]
Se al controllo dopo 7 giorni riscontriamo una condizione che può essere frequentemente associata, quale la
contrattura dei muscoli peronieri, faremo:
1. Infiltrazione di Depomedrol 1ml + Xinocaina 1 ml
2. Apparecchio gessato tipo gambaletto
3. Fisioknesiterapia
Vi sono, infine, dei casi in cui il calcaneo-stop non è sufficiente e può rendersi necessario allungare il
tendine di Achille.
• Osteotomie calcaneari (a cuneo, di addizione, di traslazione mediale)
• Artrodesi (astragalo-calcaneare)
• Capsuloplastica
• Allungamenti e trasposizioni tendinei

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FISIATRIA

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INDICE

INFARTO CEREBRALE .................................................................................................................. 3


NEUROPATIE PERIFERICHE ...................................................................................................... 12
DISTURBI DEL MOVIMENTO .................................................................................................... 21
LOMBOSCIATALGIA E LOMBOCRURALGIA: DIAGNOSI E RIABILITAZIONE ............... 28
EMOFILIA ...................................................................................................................................... 34
SCALE DI VALUTAZIONE .......................................................................................................... 37
EREDOATASSIE ............................................................................................................................ 40
SCLEROSI MULTIPLA ................................................................................................................. 44
SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA .................................................................................... 46
REPARTI DI FISIATRIA, DEFINIZIONE DI RIABILITAZIONE E SINDROME DA
ALLETTAMENTO ......................................................................................................................... 48
PROTOCOLLO RIABILITATIVO PROTESI D’ANCA ............................................................... 51
PROTOCOLLO RIABILITATIVO PROTESI GINOCCHIO ........................................................ 55
PATOLOGIA DA SOVRACCARICO FUNZIONALE (da OVERTRAINING o
OVERRACHING) ........................................................................................................................... 66
LESIONI MUSCOLARI ................................................................................................................. 73
INSTABILITÁ SPALLA................................................................................................................. 79
ARTROSI ........................................................................................................................................ 81
BIOMECCANICA DELL’ANCA ................................................................................................... 87
MIOPATIE INFIAMMATORIE ..................................................................................................... 99
MALATTIA DI PARKINSON...................................................................................................... 101
PARAMORFISMI E DISMORFISMI .......................................................................................... 106

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INFARTO CEREBRALE
VASCOLARIZZAZIONE CEREBRALE
Circolo anteriore: la carotide si divide in esterna per la vascolarizzazione del viso e interna da cui originano
oftalmica, cerebrale anteriore, cerebrale media e corioidea.
Circolo posteriore: vertebrale, da cui origina cerebellare postero inferiore, e basilare, da cui originano
cerebrale posteriore, cerebellare antero-inferiore e cerebellare superiore.

PATOLOGIE DEI VASI


Vasi epiaortici: aterosclerosi.
Circonferenziali: emboli aterosclerotici e cardiaci.
Arterie perforanti: obliterazione, lipoialinosi e microateromatosi (infarto lacunare).

INFARTO COMPLETO DELL’ARTERIA CEREBRALE MEDIA


Cause: embolismo cardiogeno o arterioso, più rara l’aterosclerosi.
Sintomi: classica emiparesi (emisindrome prevalentemente facio-brachio-crurale sensitivo motoria). A sx:
afasia completa o di Broca
A dx: stato confusionale, neglect visuo-spaziale, anosoagnosia.
L'anosognosia è un disturbo neuropsicologico che consiste nell'incapacità del paziente di riconoscere e
riferire di avere un deficit neurologico o neuropsicologico.
Emianopsia controlaterale omonima, deviazione forzata sguardo e capo verso la lesione.

INFARTO RAMO ANTERIORE O SUPERIORE CEREBRALE MEDIA


Area cortico-sottocorticale del lobo temporale e convessità del lobo frontale. Si risparmia l’arteria inferiore.
Cause: embolismo cardiogeno (19%), o arterioso (stenosi).
Sintomi: emisindrome facio-brachiale sensitivo-motoria. A sx: anomia iniziale sino ad afasia
A dx: vari gradi di emidisattenzione o neglect, quadri confusionali acuti.
Neglect: disturbo della cognizione spaziale nel quale, a seguito di una lesione cerebrale, il paziente ha
difficoltà ad esplorare lo spazio controlaterale alla lesione e non è consapevole degli stimoli presenti in
quella porzione di spazio esterno o corporeo e dei relativi disordini funzionali.

INFARTO RAMO INFERIORE O POSTERIORE CEREBRALE MEDIA


Area cortico-sottocorticale dei giri superiore e inferiore del lobo temporale e del lobo parietale.
Cause: embolismo cardiogeno (34%) o arterioso.
Sintomi: emisindrome facio-brachiale sensitivo-motoria. Emianopsia controlaterale omonima o
quadrantopsia superiore. A sx: afasia fluente di Wernike (frasi lunghe, ma prive di nessi logici e rispetto
della sintassi) o di conduzione globale.
A dx: emidisattenzione, aprassia costruttiva, stato confusionale, agitazione, delirio.

INFARTO ARTERIA PREFRONTALE (CEREBRALE MEDIA)


Area cortico-sottocorticale del giro frontale medio, porzione opercolare anteriore, triangolare superiore
orbitale.
Cause: embolismo cardiogeno o arterioso.
Sintomi: assenza di emianopsia sensitiva, motoria. Non c’è emiparesi.
Disturbi neuropsicologici: deficit cognitivi e comportamentali, perdita di programmazione motoria, apatia
(indifferenza alla realtà, disinteresse per le situazioni, rifiuto coinvolgimento attivo), abulia: sindrome
prefrontale.

INFARTO ARTERIA PRECENTRALE (CEREBRALE MEDIA)


Area cortico-sottocorticale del giro precentrale medio, porzione posteriore del giro frontale, triangolare
superiore orbitale.
Cause: embolismo cardiogeno o arterioso.
Sintomi: emisindrome facio-brachiale sensitivo-motoria.

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Sindrome premotoria: difficoltà nel passare da un atto motorio al successivo, planning motorio ridotto.
A sx: afasia motoria transcorticale (deficit nella ripetizione, esistono anche forme miste di afasia in cui il
linguaggio è incomprensibile ma il pz può cantare o pregare), agrafia, acalculia, alessia.
A dx: neglect motorio (perdita del senso di posizione degli arti nello spazio).

INFARTO TERRITORIO SOLCO CENTRALE (CEREBRALE MEDIA)


Area cortico-sottocorticale del giro precentrale posteriore e porzione anteriore del giro post centrale.
Cause: embolismo cardiogeno o arterioso
Sintomi:
- Occlusioni prossimali: sintomi di deficit motorio e sensitivo facio-brachiale.
- Occlusioni distali: plegia e deficit sensitivo arto superiore; perdita sensibilità cheiro-orale (anestesia metà
bordo periorale e del margine radiale della mano dello stesso lato, presente nelle lesioni talamiche e
corticali post- rolandiche).

INFARTO ARTERIA PARIETALE ANTERIORE (CEREBRALE MEDIA)


Area cortico-sottocorticale del giro post centrale posteriore e della porzione anteriore del giro parietale
inferiore, giro sopramarginale, giro temporale superiore e medio.
Cause: embolismo cardiogeno o arterioso.
Segni: deficit sensitivo facio-brachiale, s. cheiro-orale (s. pseudo talamica). A sx: afasia di conduzione,
aprassia, agrafia e acalculia.
A dx: emineglect motorio.

INFARTO ARTERIA PARIETALE POSTERO SUP/ANGOLARE (CEREBRALE MEDIA)


Area cortico-sottocorticale del giro postcentrale posteriore e porzione anteriore del giro parietale temporale
superiore e medio, giro parietale inferiore; giro sopramarginale; giro temporale superiore e medio, parte post
dei lobuli parietale inf e sup, giro occipitale.
Cause: emboli cardiogeni/ arteriosi
Segni: deficit sensitivo in uno o 2 segmenti facio-brachio-crurali; perdita del senso di posizione degli arti. Il
pz perde la sensibilità sotto i piedi.
Questi pz se chiudono gli occhi: si bloccano, barcollano, camminano aumentando lo spazio fra le gambe.
A sx: afasia di Wernicke, disorientamento dx-sx, agnosia delle dita, acalculia (s. di Gerstmann).
A dx: emineglect, disfunzioni visuospaziali.
Emianopsia laterale, quadrantopsia inferiore.

INFARTO ARTERIA PARIETALE POSTERO INF/TEMPORALE (CEREBRALE MEDIA)


Area cortico-sottocorticale lobuli parietali postero/inferiori, giri temporali posteriore, medio, anteriore
Cause: emboli cardiogeni/arteriosi.
Segni: deficit sensitivo in uno o due segmenti facio-brachio-crurale, perdita del senso di posizione degli arti.
A sx: afasia di Wernike
A dx: emineglect, stato confusionale, delirio
Emianopsia laterale, quadrantopsia superiore
Sordità pura (entrambi gli emisferi)

INFARTO DEL TERRITORIO PROFONDO DELLA CEREBRALE MEDIA


Occlusione dell’ACM: prima dell’origine delle arterie lenticolostriate, l’estensione dipende dai circoli
collaterali.
Infarti lacunari: occlusione di una sola arteria perforante, < 15 mm. Emiparesi motoria pura, sensitiva pura,
sensitivo motoria, emiparesi atassica, sindrome della mano impacciata
Infarto striato capsulari: occlusione di più arterie, > 20mm
Cause: emboli cardiogeni/ arteriosi (37-38% degli infarti striato capsulari).
Correlazioni anatomo-cliniche
Capsula interna, braccio anteriore:
Emiparesi motorie pure (s. cortico-reticolo-pontino spinale) Segni frontali, neglect motorio (peduncolo
talamico anteriore)

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Parte superiore capsula interna, corona radiata paraventricolare:


Emiparesi motoria pura, sensitivo-motorio anche brachio-faciale, s. disartria-mano goffa, afasia, aprassia,
emineglect.
Capsula esterna-insula (rari):
Paralisi bilaterale muscoli facciali, masticatori, linguali, masticazione, deficit emozionali.
Nucleo lenticolare (rari):
Micrografia (putamen), deficit espressione linguistica e memoria verbale (interruzione del circuito striato,
pallido, talamo, corticale)
Bilaterale: parkinsonismo
Testa del nucleo caudato:
Disturbi del comportamento: agitazione, abulia, acinesia psichica, deficit frontale, afasia (sx), neglect (dx),
manifestazioni coreiche
Infarti striato capsulari (a virgola):
Deficit motorio prevalente rispetto a quello sensitivo, afasia (sx), neglect (a dx).

INFARTO ARTERIA CEREBRALE ANTERIORE


Ha due caratteristiche che la differenziano dagli infarti della cerebrale media: spesso in questo caso l’arto
superiore viene risparmiato e il pz spesso è predisposto a disturbi sfinterici.
Deficit motori: emiparesi con predominanza crurale (lesione della porzione più alta della corteccia motoria)
brachio-facciale (estensione profonda).
Deficit sensitivi: stessa distribuzione di quelli motori.
Incontinenza urinaria: fecale (lobulo paracentrale).
Riflesso di afferramento controlaterale: (lobo frontale mediale).

Infarto Sinistro
Aprassia unilaterale sx (è un disturbo riguardante l’organizzazione del movimento finalizzato, esiste anche
l’aprassia costruttiva che è l’incapacità di costruire rappresentazioni bi- e tridimensionali sia volontariamente
che sotto imitazione), agrafia, anomia tattile (lesione corpo calloso).
Abulia (riduzione dell’attività spontanea e del linguaggio, aumentata latenza delle risposte, ridotta capacità
concentrazione), apatia.
Euforia, agitazione, iperattività (lesione lobo frontale – mediale).

Infarto Destro
Mutismo iniziale
Neglect motorio/spaziale sx
abulia, apatia, stato confusionale acuto

Infarto bilaterale
Emiparesi bilaterale
Mutismo acinetico (limitata risposta a stimoli) Gravi disturbi dell’umore
Incontinenza di lunga durata

CIRCOLO POSTERIORE
Cerebrale posteriore: sensibilità, vista, funzione motoria, olfatto, sindrome di Parinaud, sindrome di Weber.
Arteria vertebrale: paralisi brachio-crurale, paralisi omolaterale lingua, sindromi bulbari.
Arteria basilare: ponte mesencefalo cervelletto e talamo. Diplopia, disartria, vertigini, nistagmo, se colpito il
centro del respiro exitus.

INFARTI CEREBELLARI
Sindromi topografiche da infarto cerebellare:
- Lesione ramo mediale arteria cerebellare postero inferiore:
Sindrome pseudovestibolare con vertigine rotatoria, atassia tronco, nistagmo, dismetria (emboli

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cardiaci).
- Lesione ramo laterale arteria cerebellare postero inferiore:
Instabilità, atassia agli arti, lateropulsione assiale ipsilaterale, assenza atassia del tronco (emboli cardiaci
e arteriosi).
- Lesione arteria cerebellare antero-inferiore:
Disfunzione cerebellare e segni pontini laterali quali riduzione sensibilità al volto (V) o paralisi faciale
(VII), deficit sensibilità termo dolorifica controlaterale
- Lesione arteria cerebellare superiore:
Disartria associata a vertigini, instabilità, atassia tronco e arti, nistagmo (è patologico solo se è in
posizione frontale o leggermente laterale).

VALUTAZIONE CLINICA CLASSIFICAZIONE DELL’OCSP


- TACI (total anterior circulation infarct)
- PACI (partial anterior circulation infarct)
- POCI (posterior circulation infarct)
- LACI (lacunar infarct)

In caso di emorragia si aggiunge il suffisso H al posto della I finale: TACH, PACH, POCH, LACH. Per
concludere sottolinea nuovamente che l’ictus non è soltanto emiparesi.

SINDROMI ALTERNE
Sono lesioni unilaterali del tronco encefalico che causano sindromi neurologiche, a genesi vascolare,
traumatica, demielinizzante che si manifesta con sintomi di deficit neurologico centrale controlaterale (danno
situato sopra l’incrociamento delle vie piramidali e sensitive) e periferico omolaterale (per danno a carico dei
nuclei o delle fibre dei nervi cranici).

Sindrome bulbare laterale (Sindrome di Wallenberg)


Sindrome alterna più comune. Caratterizzata dalla presenza di: emianestesia termodolorifica degli arti
controlaterali, sindrome cerebellare, vertigini, emiatassia, asinergia, adiadococinesia omolaterale, paralisi
faringo- laringea (disfonia disfagia disartria), ipoestesie emifacciali e sindrome di Bernard Horner.

Sindrome bulbare mediale


Paralisi omolaterale X-XII nervo ed emiparesi brachiocrurale controlaterale.

Sindrome pontina ventrale (Sindrome Millard-Gubler)


Interessati VI-VII nervo con paralisi omolaterale dell’emivolto di tipo periferico (emivolto sup e inf) e
paralisi del muscolo retto esterno dell’occhio con strabismo convergente nelle lesioni inferiori, paralisi
coniugata di sguardo nelle lesioni medie, oftalmoplegia internucleare se leso il fascicolo longitudinale
mediale. Controlateralmente si presenta con emiplegia brachiocrurale.

Sindrome pontina dorsale (Sindrome di Foville)


Nuclei VI-VII e nucleo X con movimento coniugato di lateralità degli occhi.

Sindrome mesencefalica (Sindrome di Weber)


Lesione piede del peduncolo con interessamento via piramidale e radice del III nervo cranico. Strabismo
esterno, ptosi palpebrale, midriasi.

Sindrome mesencefalica (Sindrome di Parinaud)


Lesione tetto del mesencefalo (danno ai colliqui superiori), paralisi sguardo di verticalità.

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TERMINOLOGIA ICTUS
APRASSIA: è un disturbo neuropsicologico del movimento volontario. Viene definita come l’incapacità del
soggetto di compiere movimenti coordinati e diretti ad un determinato fine, nonostante la volontà del
paziente e la sua capacità motoria (non vi è paresi) siano conservate. È un disturbo della programmazione del
movimento, ad esempio non riuscire ad allacciare le scarpe oppure fare il nodo alla cravatta. Il pz è spesso
inconsapevole di questi deficit, dunque faremo diagnosi eseguendo un ottimo esame obiettivo.

NEGLECT: La negligenza spaziale unilaterale è un disturbo della cognizione spaziale nel quale il paziente
ha difficoltà ad esplorare lo spazio controlaterale alla lesione. È noto anche come eminegligenza o
eminattenzione spaziale unilaterale. Questa condizione viene spesso osservata nei territori dove può esservi
una lesione ischemica dell’ictus. Solitamente la lesione è localizzata nell’emisfero dx ed il deficit si
manifesta nell’incapacità del pz di orientare l’attenzione in direzione opposta, ovvero a sinistra.

AFASIA: è la perdita della capacità di comporre o comprendere il linguaggio. Non rientrano infatti in questa
definizione i disturbi del linguaggio causati da deficit sensoriali primari, deficit intellettivi, turbe psichiche e
disturbi dell’apparato muscolo-scheletrico deputato alla fonazione. Esistono diversi tipi di afasia e sono
tantissimi gli studi che riguardano queste condizioni patologiche.

AGNOSIA: è un disturbo della percezione caratterizzato dal mancato riconoscimento di oggetti, persone,
suoni, forme, odori in assenza di disturbo della memoria. Solitamente questi pazienti possono scambiare un
oggetto con un altro (es: il cucchiaio con la forchetta), agnosia musicale, astereognosia (tattile).

DISARTRIA: è un disturbo motorio del linguaggio che deriva da una lesione neurologica coinvolgente la
componente motoria. Non è dunque collegato alla comprensione del linguaggio, bensì è dovuto ad un
problema muscolo-scheletrico che riguarda i muscoli fonatori.

ANOSOGNOSIA: è un disturbo neuropsicologico che consiste nell’incapacità del pz di riconoscere, dunque


essere consapevole, di avere un deficit neurologico. Il pz non è in grado di riconoscere il suo stato di
malattia.

EMIANOPSIA OMONIMA: si riferisce ad una condizione in cui una persona può vedere solo da un lato, il
sinistro o il destro. È il risultato di una lesione che riguarda una parte del cervello dove i segnali visivi
arrivano da una metà del campo visivo da ciascuno dei due occhi. Si dice dunque omonima in quanto la
perdita del campo visivo interessa le due metà, destra o sinistra, di entrambi gli occhi.

ANOMIA: tipo di afasia per cui il paziente riconosce gli oggetti ma non sa definirli o chiamarli con il loro
nome. Lesioni porziona basale profonda del lobo temporale. A seconda della zona può dare anomia nomi
propri, comuni verbi. Riguarda arteria cerebrale posteriore.

QUADRANTOPSIA: è una forma di emianopsia a quadrante, nella quale si verifica la perdita di un solo
quadrante del campo visivo. Sono causate da lesioni (ad esempio tumori) del tratto ottico, cioè delle
benderelle nervose che rappresentano la prosecuzione del nervo ottico oltre il chiasma, generalmente in
prossimità della loro proiezione sulla corteccia cerebrale occipitale.

APATIA: rappresenta un sintomo di alcune malattie psichiatriche, diverse malattie neurologiche e


dell’abuso di svariate sostanze psico-attive. È uno stato psicologico contraddistinto da un calo o assenza di
motivazione, da un evidente disinteresse verso la vita e da una indifferenza generalizzata nei confronti del
mondo circostante. Un soggetto apatico è una persona svuotata della sua emotività, che manca di motivazioni
e che non è interessata a stabilire nuovi rapporti sociali e mantenere quelli esistenti. Pertanto, il significato
letterario di apatia è “senza emozioni”. A differenza della depressione il pz non provoca disagio della propria
condizione. È una riduzione dei comportamenti finalizzati.

ACINESIA: consiste nella perdita o nella riduzione della capacità di eseguire alcuni movimenti automatici,
spontanei, che ricorrono nella vita di tutti i giorni. Questa perdita di funzioni può riguardare il linguaggio,
l’espressione del volto, i movimenti oscillatori delle braccia durante la deambulazione. L’acinesia è spesso

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associata a diverse patologie, tra cui Parkinson e schizofrenia catatonica. Per curare l’acinesia è necessario
risalire alla sua causa patologica ed intervenire su di essa.

ABULIA: condizione caratterizzata da volontà debole non sufficiente. Paziente che non ha voglia di fare
niente. Impedisce di prendere decisioni autonomamente, di intraprendere un’azione nonostante la necessità.
Es sindrome prefrontale.

RIABILITAZIONE NEL PAZIENTE CON ICTUS


DANNO SNC PRIMO MOTONEURONE
Paziente emiparetico:
• Paresi totale o parziale dei muscoli estensori (estensore spalla, estensore carpo, estensore dita), è la
mancanza del reclutamento di uno o più gruppi muscolari.
• Spasticità muscoli antagonisti (per meccanismi di plasticità neuronale), si tratta dei flessori negli arti
superiori e gli estensori negli arti inferiori
• Retrazione muscoli paretici (accorciamento fibre muscolari): si può trattare solo chirurgicamente
Le tre condizioni possono essere presenti anche in contemporanea.

Il paziente con spasticità agli arti inferiori presenta ipertono a livello del quadricipite e dei flessori plantari.
Sembra che fletta molto il ginocchio, in realtà lo fa per compensare l'assenza della dorsiflessione: se non alza
il ginocchio inciampa sulla punta del suo piede (steppage - ndr: pronuncia alla francese). Il paziente per non
inciampare deve sollevare il ginocchio o falciare.
La spasticità del quadricipite fa sì che il ginocchio sia rigido (stiff knee), mentre la spasticità dei flessori
plantari del piede dà equinismo. In questo caso, in realtà, l'equinismo è dato dal doppio meccanismo della
spasticità dei flessori plantari e della debolezza dei flessori dorsali.

A questo punto si deve valutare il soggetto, posto sul lettino, segmento per segmento (es spalla, gomito,
ginocchio, ecc). Per ogni segmento la prima manovra da fare è l'estensione passiva: si vede se l'articolazione
in esame ha tutta l'estensione passiva. Il paziente potrebbe non averla per una retrazione muscolare (in
inglese contracture). Se ha una retrazione l'articolarità passiva si blocca ad un certo punto.

1. Manovra passivo lento (retrazione muscolare): si vede il massimo grado di escursione articolare (180°
nel gomito, se il pz ha di meno c’è retrazione)
2. Manovra passivo veloce (spasticità), è velocità dipendente perché si crea un riflesso da stiramento. Se si
ha un blocco prima della massima escursione possibile si ha spasticità.
3. Manovra attiva (paresi), positiva se il pz non riesce a eseguire il movimento a causa delle cocontrazione
agonista-antagonista o, nei casi più gravi, esegue il movimento opposto.

I gradi di spasticità si esprimono come differenza tra i gradi dell'escursione articolare passiva lenta rispetto
a quella veloce (es. nel gomito il pz in esame ha estensione passiva lenta del gomito di 180°, estensione
passiva veloce di 100° e quindi spasticità di 80°) e questi gradi sono quelli riabilitabili, su cui si può agire.
Se ci fosse stata retrazione e quindi angolo di spasticità 0 non ci sarebbero stati margini per la riabilitazione:
la retrazione muscolare non si può riabilitare, tuttavia si può trattare con la chirurgia funzionale, una
branca dell'ortopedia praticata da pochissime persone. Essa allunga i muscoli, allunga i tendini, sposta un
muscolo al posto di un altro, ecc. Si chiama così perché serve a migliorare la funzione muscolare.

Retrazione: no fisiatria, chirurgia di allungamento


Paresi: movimenti rapidi e ripetitivi

Per inibire la spasticità vi sono 3 metodi:


1. farmacologico generale: Baclofen. Tuttavia, il Baclofen non è un farmaco intelligente che va solo del
muscolo dove deve andare; esso va ovunque creando una debolezza di tutti i muscoli, anche dell'agonista
che è già debole. Pertanto, si ha diminuita capacità di deambulazione. Inoltre, dà alterazioni del tono
dell'umore. Purtroppo, l'utilizzo di piccole dosi per evitare gli effetti collaterali non è sufficiente per dare

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l'effetto clinico voluto.


2. tossina botulinica: infiltrata direttamente nei muscoli spastici, a condizioni che gli agonisti abbiano una
buona forza muscolare. È il trattamento oggi preferito (nds: vedi sotto per le modalità)
3. fisioterapia: stretching, biofeedback, ecc. Vi sono tutta una serie di tecniche che sono nate tipo la Bobbat.
Tuttavia, il trattamento fisioterapico per la spasticità dura poco: il tempo della seduta e forse fino al
giorno dopo.
Lo 0 (zero) preso come riferimento nei gradi che si utilizzano nella scala di valutazione della disabilità
(SCALA DI TARDIEU) corrisponde all'angolo in cui muscolo antagonista è accorciato al massimo. Ad es.
nel braccio il grado di massimo accorciamento del bicipite sarebbe la condizione in cui l'avambraccio è
parallelo al braccio(cosa non possibile fisiologicamente). Nella gamba lo 0 è la massima estensione. Per le
dita è complicato: si prende come riferimento la falange intermedia del terzo dito: 0 è quando questa falange
è in linea con il braccio. Se antagonista più forte di agonista chiedi di flettere e estende.

Si tratta di un pz giovane. All'arto inferiore si possono notare due fenomeni:


1. clono del quadricipite, che si vede durante la deambulazione (il clono, quindi, non si vede solo col
martelletto!)
2. spasticità del gluteo. Essa non esce fuori durante la camminata lenta; mentre, il pz nella camminata
veloce dal lato affetto fa un passo breve. Ciò perché il gluteo si mette in azione e tira dietro, accorciando
il passo. Il fatto che quando cammina lentamente non si hanno differenze di ampiezza indica che si tratta
solo di spasticità e che non c'è retrazione

Per capire se il paziente cammina a passo ridotto (anche rispetto a visite precedenti) o si fa l'analisi del
cammino, con elettrodi, sensori ecc, oppure si fa il 10 meter walk test: si misura in quanto tempo il paziente
fa i 10 metri.

Nel caso della debolezza dei muscoli agonisti si faranno fare degli esercizi per migliorare il reclutamento dei
muscoli. Noi dobbiamo migliorare la plasticità cerebrale, la rappresentazione corticale della zona attraverso
la ripetizione di movimenti man mano più rapidi. È utile anche per prevenire la retrazione muscolare. Se il
paziente non muove non è semplice, ma già il solo pensare di eseguire un movimento è già un esercizio. Non
andiamo a potenziare il muscolo come in palestra. Non vi sono farmaci per migliorare una paresi. Si era
tentato con le cellule staminali, ma si è visto che a livello nervoso non sono efficaci.

INFILTRAZIONE DI TOSSINA BOTULINICA


L'infiltrazione con tossina botulinica si pratica sotto guida con elettrostimolazione: si prende un ago
collegato ad un apparecchio di elettrostimolazione dedicato, che presenta una parte elettrica che dà la
stimolazione e una parte da cui passa il farmaco; si cerca il ventre muscolare verificando la contrazione
attraverso la stimolazione elettrica e poi si inietta il farmaco.
Il tempo di applicazione è di circa 15-20 minuti a seduta e l'effetto del farmaco dura circa 6 mesi (si applica
2 volte l'anno).
Il trattamento si può fare a vita (negli Stati Uniti, dove è nata la tecnica, ci sono pz che lo fanno da circa 30
anni e più e ancora hanno effetti).
Il problema può essere la quota proteica del farmaco che può dare reazione anticorpale che può ridurre o
vanificare l'effetto. Negli ultimi anni, comunque, sono usciti farmaci con bassissima quota proteica o che
addirittura sembrerebbero non averne: ciò ha ridotto effetto immunologico verso la tossina.
In tutto il mondo si usa la tossina botulinica tipo A, ma esiste anche la tipo B, che è usata nei casi in cui il
pz non risponda più alla tossina A. Esistono anche altri tipi di tossina, che, però, non sono mai stati
commercializzati fino a questo momento.
Catena pesante e leggera, la leggera rompe le SNAP25 che permettono adesione vescicale acetilcolina e
placca neuromuscolare (paralisi chimica)

Nello studio dell’emiparesi il fisiatra guarda la componente motoria con occhio critico studiando le
alterazioni motorie del paziente, pertanto, verranno ricercati i muscoli diventati paretici e spastici.
EMIPARESI: non necessariamente tutta la metà del corpo deve essere paralizzata; infatti, a volte troviamo
alcuni muscoli paretici (per es. m. estensore del carpo, m. flessore del carpo, m. estensore del carpo, m.
flessore delle dita, m. estensore delle dita, m. bicipite, m. tricipite, elevatore della spalla) e altri no.

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SPASTICITÀ: È un ipertono dato da una riorganizzazione del sistema nervoso nel tentativo di recuperare la
funzione persa. Il fisiatra dovrà trovare il giusto equilibrio nel potenziare i muscoli deboli ed inibire i muscoli
ipertonici. È un fenomeno velocità-dipendente, pertanto quando si fa un movimento lentamente la spasticità
non viene evocata. La contrazione muscolare viene fatta in un momento inopportuno, in cui l’alternanza
agonisti/antagonisti viene persa e i due gruppi muscolari vengono reclutati contemporaneamente per un
cortocircuito che si viene a creare, conducendo ad una condizione definita co-contrazione spastica.
MISURAZIONE FORZA MUSCOLARE: si utilizzano delle scale banali che valutano la forza di ogni
singolo muscolo, fornendo un punteggio strettamente correlato alla forza del muscolo (Pmin:1, Pmax: 4). La
difficoltà sta nel selezionare i muscoli da valutare, richiedendone una valutazione segmento per segmento al
fine di stabilirne il grado di compromissione e di poter monitorare la funzionalità dei muscoli paretici e
muscoli ipertonici nel tempo.

FORME DI SPASTICITÀ:
-spasticità legata a iperattività muscolare fine a se stessa
-co-contrazione spastica: movimento simultaneo di muscoli agonisti e antagonisti che ostacola il
movimento
-distonia spastica: spasticità che può emergere anche indipendente dal movimento, presentando
caratteristiche cliniche simili alle distonie (Movimenti involontari legati a patologie a carico dei gangli
della base, responsabili della comparsa di spasticità a riposo).

Occorre misurare l’angolo della scala di Tardieu, cosa che si può fare in ogni articolazione. Esso corrisponde
alla differenza di grado tra un movimento fatto lentamente e un movimento fatto velocemente (Angolo a
lenta velocità – angolo a velocità sostenuta = angolo di spasticità), indicherà il grado di spasticità del
segmento valutato (maggiore è l’angolo di spasticità, maggiore sarà il grado di spasticità del segmento
considerato).
Sappiamo che nell’ictus anche disturbi cognitivi che noi fisiatri non valutiamo.

I seguenti esempi sono tratti da video:


ARTO SUPERIORE
Esame della spalla: movimento lento dei muscoli elevatori della spalla, si valuta se gli estensori
(antagonisti) sono retratti a causa della postura in posizione di accorciamento protratta nei mesi o negli anni;
movimento veloce (raggiunge gli stessi gradi raggiunti dalla manovra lenta, non c’è spasticità); nella
manovra attiva, con sollevamento dell’arto, il paziente fa dei compensi perché non ha la forza negli elevatori
per flettere l’arto verso l’alto. Questo è indice che vi è un deficit del reclutamento dei muscoli elevatori della
spalla senza avere retrazione o spasticità degli estensori. In questo caso il riabilitatore farà un esercizio per
migliorare il reclutamento dei muscoli agonisti.
Esame del gomito: Movimento lento (i muscoli antagonisti, flessori del gomito, non presentano retrazione
perché la manovra raggiunge i fisiologici 180 gradi di range of motion); movimento veloce (riduzione dei
gradi, arriva a 90 gradi, forte componente spastica dei muscoli flessori del gomito); manovra attiva
(estendiamo l’arto attivamente, c’è una buona capacità di reclutamento degli estensori). Il riabilitatore si
impegnerà a migliorare la componente spastica dei flessori del gomito e non quella retrattile o la capacità di
reclutamento degli estensori (che possibilmente viene meglio rivelata attraverso una prova di reclutamento
contro resistenza). Nell’arto superiore i muscoli ad avere un deficit nel reclutamento, e quindi gli agonisti,
sono generalmente gli estensori (estensore del gomito, del carpo e delle dita), mentre gli spastici e quelli che
si retraggono sono gli antagonisti, quindi i flessori (flessori del gomito: bicipite, brachioradiale; del carpo:
flessore radiale, flessore ulnare; delle dita: flessore comune delle dita).
Esame del polso: Movimento lento (grande ampiezza articolare, 160 gradi di movimento, indice che non c’è
retrazione dei muscoli flessori); movimento veloce (non c’è un blocco anticipato rispetto al movimento lento,
non c’è spasticità); dorsiflessione attiva (arriva a circa 90 gradi, c’è un deficit di reclutamento di muscoli
agonisti cioè gli estensori). In questa mano di questo paziente bisogna fare potenziamento sulla capacità di
reclutamento dei muscoli estensori.
Esame delle dita: Movimento lento (non arriva a fine range of motion, circa 90 gradi, retrazione
muscolare), movimento veloce (Si blocca ancora prima, circa 80 gradi, componente spastica), manovra attiva
(il paziente non riesce bene ad aprire neanche poco la mano, debolezza dei muscoli estensori delle dita). Si
agisce su tutti e 3 i campi, con tossina botulinica per ridurre la spasticità, esercizi di potenziamento del

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reclutamento dei muscoli estensori per la debolezza muscolare ed eventuale intervento chirurgico di
allungamento muscolare o tendineo per i muscoli retratti.

ARTO INFERIORE
Esame del ginocchio: Movimento lento con dorsiflessione (arriva a circa 90 gradi, non c’è retrazione dei
muscoli estensori del ginocchio, prevalentemente il quadricipite e il retto femorale); movimento veloce (c’è
un catch a circa 40 gradi, c’è una spasticità del muscolo quadricipite che si evoca in modo velocità-
dipendente); manovra attiva (flessione del ginocchio, a circa 90 gradi). Non c’è retrazione, non c’è debolezza
da impedire il movimento, c’è una quota importante di spasticità del muscolo quadricipite.
Esame della caviglia: Movimento lento, massima dorsiflessione (arriva a circa 90 gradi, non c’è quota
retrattile); movimento veloce (blocco anticipato, a circa 70 gradi); dorsiflessione attiva della caviglia (il
paziente rimane fermo, non ha capacità di reclutamento del tibiale anteriore e in generale dei muscoli
agonisti della caviglia). Il paziente ha incapacità di reclutamento dei muscoli utili al gesto e anche la
spasticità dei muscoli antagonisti. Per la valutazione del soleo senza i due capi del gastrocnemio la manovra
si deve effettuare a ginocchio flesso.

La flessione palmare serrata delle dita può essere causa di micosi, macerazione, cattivi odori. Con la mano è
difficile avere risultati funzionalmente utili con la fisioterapia (esercizi ripetitivi, ecc.)

INFILTRAZIONE DI TOSSINA BOTULINICA


L'infiltrazione con tossina botulinica si pratica sotto guida elettromiografica con elettrostimolazione: si
prende un ago collegato ad un apparecchio di elettrostimolazione dedicato, che presenta una parte elettrica
che dà la stimolazione e una parte da cui passa il farmaco; si cerca il ventre muscolare verificando la
contrazione attraverso la stimolazione elettrica (si deve osservare il movimento clinicamente atteso) e poi si
inietta il farmaco.
Il tempo di applicazione è di circa 15-20 minuti a seduta e l'effetto del farmaco dura circa 6 mesi (si applica 2
volte l'anno).
Il trattamento si può fare a vita (negli Stati Uniti, dove è nata la tecnica, ci sono pz che lo fanno da circa 30
anni e più e ancora hanno effetti).
Il problema può essere la quota proteica del farmaco che può dare reazione anticorpale che può ridurre o
vanificare l'effetto (sembra essere dovuto non tanto alla molecola ma agli stabilizzanti). Negli ultimi anni,
comunque, sono usciti farmaci con bassissima quota proteica o che addirittura sembrerebbero non averne:
ciò ha ridotto effetto immunologico verso la tossina.
In tutto il mondo si usa la tossina botulinica tipo A, ma esiste anche la tipo B, che è usata nei casi in cui il pz
non risponda più alla tossina A. Esistono anche altri tipi di tossina, che, però, non sono mai stati
commercializzati fino a questo momento.
Catena pesante e leggera, la leggera rompe le SNAP25 che permettono adesione vescicale acetilcolina e
placca neuromuscolare (paralisi chimica).

I muscoli flessori più importanti sono il bicipite e il brachiale; quindi, nella spasticità del movimento di
estensione del gomito infiltreremo questi (il bicipite ha anche azione di supinatore dell’avambraccio, quindi
infiltrandolo i soggetti hanno tendenza alla iperpronazione dell’avambraccio con polso ruotato verso
l’interno e pollice verso il basso, dando un impatto funzionale negativo, motivo per cui ove possibile si
preferisce fare l’infiltrazione nel brachiale). L’infiltrazione si fa in vari punti, e si vanno a valutare i muscoli
in cui effettivamente l’inibizione dell’ipertonicità dia un miglioramento clinico, perché ci sono dei casi in cui
la spasticità di un muscolo permette comunque un qualche movimento di un’articolazione che risulta essere
immobile nei casi di totale mancanza di reclutamento dei muscoli agonisti.
Si possono fare anche delle iniezioni eco guidate, ma sono meno precise.
Dopo l’infiltrazione con tossina botulinica che c’è un minimo di movimento attivo, così si può lavorare sulla
plasticità.

Alcuni dettagli sui muscoli:


• L’ago dà elettricità, il pz non sente la scarica e si va nella zona con maggiore concentrazione di placche
neuromuscolari, che nel bicipite è nella parte più bassa.
• Nelle dita ci sono flessori superficiali (muovono le falangi intermedie), i flessori profondi (muovono

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falangi distali), mentre le falangi prossimali sono mosse da muscoli interossei.


• Si cerca di infiltrare il pronatore che ha un triplice orientamento nello spazio: ruota attorno a se stesso, va
dalla parte superficie alla profondità e va dalla zona mediale a quella laterale.

Un’altra scala che si utilizza di più per la spasticità è quella di Ashworth che è insignificante rispetto a quella
di Tardieu. Infatti, misura solo la resistenza ai movimenti passivi, quindi se si sente resistenza prima della
metà o dopo. Nonostante sia meno completa è più usata perché quella di Tardieu era caduta in disuso ed è
stata rimessa in gioco da pochi anni.

SCALA DI ASHWORTH
0 nessun aumento del tono
1 aumento lieve
2 aumento del tono non impedisce flessione e estensione passiva
3 ostacola i movimenti passivi
4 arto rigido in flessione o estensione, impossibile mobilitazione passiva

NEUROPATIE PERIFERICHE
Il sistema nervoso periferico è poco studiato perché le lesioni sono maggiormente a carico del SNC. Si tratta
di patologie caratterizzate dal danneggiamento dei nervi periferici.
Il secondo motoneurone ha origine dalle corna anteriore del midollo spinale, da qui si dipartono i nervi
spinali o le radici e da queste il plesso brachiale con i singoli tronchi nervosi (ulnare, radiale, mediale).
Per raggiungere la placca neuromuscolare dunque il muscolo. Esiste, analogamente alla BEE, una barriera
emato-nervo, la quale è meno rappresentata a livello dei gangli dorsali e delle terminazioni nervose (regioni
più suscettibili al danno da parte delle noxae, che in genere oltrepassano la barriera e provocano un
danneggiamento che si estende in senso centripeto.

Quando si parla di patologia del secondo motoneurone dobbiamo distinguerle in due grossi gruppi:

• Patologie Acquisite (nel corso della vita) su base: Infettiva, Autoimmunitaria, Degenerativa.
- Sclerosi laterale amiotrofica (ALS): dura 2-5 anni, quindi se il pz presenta disturbi da oltre 5 aa si
tende ad escluderla;
- Poliomielite (data da virus che colpisce le corna anteriori e determina paralisi; in alcuni casi il virus
rimane latente per molti anni, per poi riattivarsi e determinare la sindrome post-polio
- Miastenia gravis
- Polimiosite ed altre miopatie infiammatorie
• Patologie Congenite: Charcot Marie Tooth, Atrofia muscolo Spinale, Miastenia congenita, Distrofie
muscolari (Duchenne).

Ereditarie non significa che debbano manifestarsi alla nascita ma possono estrinsecarsi anche nel corso della
vita.

Quando si ha il sospetto di patologia del secondo motoneurone dobbiamo tenere in considerazione alcuni
punti:
- Forza muscolare: dobbiamo capire se la debolezza è insorta d'emblée, a giorni alterni o
progressivamente. Sapere se è la debolezza è localizzata o interessa tutto il corpo. Conoscere progressione
ed eventuali miglioramenti o peggioramenti nel tempo.
- Sensibilità: molte malattie delle corna anteriori non presentano disturbi della sensibilità.
- Dolore: alcune malattie delle corna anteriori non presentano dolore.
- Sintomi cardiaci, polmonari e bulbari: linguaggio, parola, deglutizione, cardiaci soprattutto nelle
polimiositi
- Storia clinica: sapere se il pz ha comorbilità quali: neoplasie, malattie infettive, traumi, malattie
autoimmuni.
- Segni centrali: sintomi respiratori cardiologici; tremore, disequilibrio e atassie per coinvolgimento

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cerebellare. Capire se sia interessato anche il primo motoneurone.


Una delle prime cose da valutare in un paziente con questo tipo di disturbi è la localizzazione degli stessi,
valutando se:
- ad un solo nervo (mononeuropatia);
- a più nervi (mononeuropatia multipla), in questo caso è un solo nervo nelle sue varie ramificazioni a
soffrire o diversi nervi ma in posti diversi e senza simmetria; dovute ad esempio a vasculiti, sarcoidosi
polineuropatie infiammatorie;
- di un arto intero (plessopatia) dovute ad esempio ad incidenti stradali, traumi, neoplasie, irradiazione;
- simmetricamente ad entrambe le mani, o i piedi, o gli arti superiori in un primo momento e gli inferiori
successivamente (polineuropatia, sono più nervi a soffrire). Prevalentemente diabetica.

Nel dolore neuropatico il paziente riferisce parestesie, formicolio, sensazione di caldo di freddo, disturbi del
movimento (in base al tipo di neuropatia) diverso dal dolore nocicettivo che presenta altre caratteristiche
(solitamente è profondo e non irradiato). Origina dai nervi misti o squisitamente sensitivi. In alcuni casi
limite le due forme coesistono (es. ernia del disco per compressione del legamento interspinoso che è ricco di
nocicettori e compressione della radice nervosa)

PUNTI FONDAMENTALI
Sintomi: debolezza poiché il muscolo è denervato e dolore neuropatico
Decorso: Tempi e modalità di insorgenza
• Acuta (entro 4 settimane)
• Subacuta (tra 4 e 8 settimane)
• Cronica (> di 8 settimane)
• Recidivante (con remissioni e ricadute): un esempio è la HNPP o neuropatia ereditaria con paralisi da
pressione (in questa patologia, che deriva da una predisposizione genetica, il pz in seguito a una pressione
banale come accavallare le gambe o parlare al telefono sviluppa una paralisi che regredisce completamente
in poche settimane)
Coinvolgimento: motorio - sensitivo - vegetativo - misto

CAUSE DELLE POLINEUROPATIE


o DM
Il problema è legato alla microangiopatia, perché il pz diabetico soffre di vasculopatia periferica. I nervi
sono nutriti dai vasa nervorum, danneggiati dalla microangiopatia, che li porterà a sofferenza per l'ipossia
instauratasi. A questo si aggiungono alterazioni metaboliche con attivazione di processi infiammatori e
morte cellulare.

o IRC

o Ipotiroidismo: molto rara, deposito di materiale mucinoso attorno ai nervi e alla fine del nervo nei corpi
di Raynaud.

o Deficit nutrizionale (alcolismo cronico, malattie croniche, errori alimentari, diete, malassorbimento,
specie vit. B e vit E) e anche il digiuno (riporta la storia di un pz prima obeso, che dopo dieta ferrea
diviene magrissimo con piede paralizzato. Si trattava di una neuropatia latente da deficit di vit B, per
sofferenza del nervo peroneo. Può accadere anche in pz con gastrite cronica o gastroresecati); Il nostro
corpo si rinnova nel corso del tempo completamente. La tiamina è una sostanza fondamentale, in
particolare nella decarbossilazione degli acidi alfa-keto in coenzima A per la formazione della mielina;
dunque, se viene a mancare la tiamina avremo la neuropatia. Nel caso di deficit di vitamina B è bene
somministrarla ev.

o Iatrogena (neurotossicità) in particolare chemioterapici quali: vincristina, talidomide, alcuni antiaritmici


come l’amiodarone e alcuni antimicrobici;

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o Neuropatie contratte in rianimazione (o polineuropatia in area critica o CRYMINE) portano il pz alla


paralisi.
Critical illness polineuropathy: è una polineuropatia che insorge nel pz sano dal punto di vista
neurologico, in ambiente critico quale la rianimazione e terapia intensiva, questo avviene per:
- sepsi prolungata;
- per uso di corticosteroidi prolungato;
- per uso di bloccanti neuromuscolari.
Dunque, il pz va incontro ad una forma di polineuropatia seria con paralisi di arti inf e superiori perchè
aumenta la permeabilità dei nervi periferici, diventando essi esposti a sostanze tossiche per cui prima
erano invulnerabili. Occorre analizzare il decorso per DD con sindrome da allettamento, in quanto
quest’ultima provoca danni progressivi, mentre la CRYMINE insorge da un giorno all’altro.

o Immunomediate (Guillan-Barre - CIDP forma cronica);


Guillan-Barre: poliradicoloneuropatia infiammatoria demielinizzante a decorso acuto e/o sub-acuto.
Sintomi: paralisi flaccida bilaterale, parestesie, rachialgie, sintomi autonomici
Infiltrati linfocitari e macrofagici dei nervi periferici e delle radici nervose e distruzione della mielina
Molteplici varianti e gravità sino alla CIDP (forma cronica persistente)

PATOLOGIE ANTECEDENTI/ PREDISPONENTI


Più frequenti: infezioni alte vie respiratorie/infezioni gastroenteriche
Meno frequenti:
• Certe (micoplasma, CMV, EBV, Campylobacter)
• Probabili (Varicella-Zoster, Morbillo, Parotide, Epatite A e B)
• Possibili (rosolia, influenza A e B, Coxsackie ed Echovirus) COVID

- In corso di infezioni (mononeuropatia da herpesvirus, ma anche plessopatie o polineuropatie tronculari; si


manifestano durante l’infezione oppure possono essere post-erpetiche e persistere dopo la risoluzione
dell’infezione, sono reversibili con terapia - neuropatie centrali da HIV, quest’ultimo passa la BEE
tramite l'effetto 'cavallo di troia' sfruttando i linfociti, il danno è maggiore nei soggetti che facevano uso di
eroina e atri stupefacenti, può dare anche neuropatie periferiche - neuropatie da lebbra, leishmaniosi,
CMV e da HCV, quest’ultima caratterizzata dal deposito di crioglobuline);
- Connettiviti: Vasculiti Caratteristico è il fenomeno delle crioglobuline, immunoglobuline che precipitano
a temperature inferiori ai 4 gradi, ne esistono 3 tipi: monoclonali, policlonali e miste. Distruzione dei vasi
da parte di enzimi degradativi con rilascio di citochine citotossiche.
- Paraneoplastiche: si formano degli anticorpi antineoplastici: anti Hu (per il polmone, la prostata, il tratto
GI, timoma) anti CV2 (sarcoma e patologie neuroendocrine) antiganglioside (melanoma). Questi Ab si
depositano nei nervi, infiltrano il tessuto nervoso e causano la neuropatia. Importante anamnesi per
dimagrimento, neoplasie, familiarità.
- Altre: da Lupus, Sjӧgren, Artrite psoriasica
- Focali (S. del tunnel carpale, tarsale, cubitale dell'ulnare al gomito).

DIAGNOSI
Per vedere se c'è una NP si fa l'elettromiografia e la biopsia cutanea e si vede la ridotta densità delle
piccole fibre intradermiche (es. pz HIV+), in quanto sarebbe difficile valutare i danni con emg.
Quando abbiamo una neuropatia dobbiamo capire il motivo, dopo un'attenta anamnesi dobbiamo richiedere
una batteria di esami per cercare cause sconosciute, tra questi:
- Ab anti-gangliosidi (GM1a, 1b, 1d, 3)
- Ab paraneoplastici
- Glicoproteina antimielina
- Batteria di esami per le epatiti
- Esame LQR
- Test HIV, Virus herpetico e CMV
- Ab anti-gliadina, transglutaminasi, anticorpi anti-endomisio
- Dosaggio vitamina E, vitamine B
- HbA1c

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- Crioglobuline

La clinica chiaramente ci guida su cosa richiedere. Ad esempio, se abbiamo un pz diabetico da due mesi è
difficile che sia stato il diabete la causa della neuropatia, ne dobbiamo cercare un'altra. Ci sono poi le forme
idiopatiche in cui non si trova una causa e le troviamo negli anziani.

NEUROPATIE FOCALI
Le neuropatie focali sono il risultato di lesioni del sistema nervoso periferico localizzato a livello delle radici,
plessi o tronchi nervosi.
Possono essere dovute o a lesioni traumatiche o a movimenti ripetitivi e giornalieri che si fanno nelle attività
sportive o nelle attività lavorative che creano dei danni proprio per l’eccessivo uso.

I nervi più frequentemente coinvolti sono:

o NERVO ULNARE: formato da una componente sensitiva e una motoria che prima viaggiano insieme e
poi si separano:
▪ Ramo sensitivo: innerva quarto e quinto dito della mano
▪ Ramo motorio: si divide in due parti che vanno al primo e al quinto interosseo dorsale.

Presenta dei punti in cui è vulnerabile:


- Punto ascellare
- Epitroclea
- Retinacolo dei flessori
- Arcata palmare
- Canale di Guyon
- Tunnel cubitale (perché la flesso-estensione del gomito porta uno stress)

▪ Se la neuropatia interessa il nervo prima della divisione: lesione con ipotrofia degli interossei (primo e
quinto sono i più importanti per elettromiografia) e parestesie nel quarto e quinto dito
▪ Se la neuropatia interessa il ramo motorio: Ipotrofia degli interossei senza deficit sensitivo (frequente
nei ciclisti poiché decorre in corrispondenza del punto di appoggio sul manubrio)
▪ Se la neuropatia interessa il ramo motorio dopo lo sfioccamento del ramo che va a quinto interosseo:
ipotrofia primo interosseo
▪ Se la neuropatia interessa il ramo sensitivo: solo parestesia o disestesia del quarto-quinto dito
Il nervo ulnare è spesso interessato nel caso di movimenti ripetitivi da attività quotidiane, sportive e
lavorative.

o NERVO MEDIANO: la neuropatia del nervo mediano interessa soprattutto ciclisti ma anche musicisti
e tutte le attività in cui c’è un iperflessione del carpo (parrucchieri, barbieri, ecografisti).
Può dare:
- Sindrome del tunnel carpale: per intrappolamento del nervo mediano al polso perché passa al di
sotto del reticolo dei flessori quindi un’ipertrofia di questi muscoli o un continuo traumatismo
possono dare la sindrome. Causata anche da variazioni ormonali, edema dei tessuti, ipotiroidismo,
gravidanza e menopausa
- Sindrome del muscolo pronatore rotondo: perché passa al di sotto del muscolo pronatore rotondo
che lo può comprimere (culturisti). Sintomatologia indistinguibile da quella della sindrome del
tunnel carpale (coinvolgimento n. mediano senza pronatore rotondo e variabilmente flessore radiale
del carpo, dolore alla compressione del pronatore), ma si vede all’emg l’interessamento della parte
prossimale del nervo.
- Neuropatia del nervo interosseo anteriore (ramo motorio del nervo mediano): innerva
selettivamente il muscolo flessore profondo del pollice e dell’indice quindi il paziente non è in grado
di fare la O.
[Ci sono due pronatori (rotondo e quadrato); il p. rotondo va dalla parte mediale del braccio a quella laterale,
dalla superficie alla profondità, e gira attorno a sé stesso (infatti alla sua contrazione corrisponde la
pronazione)].

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[Le falangi intermedie e distali sono mosse dai muscoli flessori superficiali e profondi, mentre i muscoli che
si trovano nella mano sono destinati alle falangi prossimali e al pollice]

o NERVO RADIALE: la neuropatia del nervo radiale e tipica dei “Manual Worker” quindi dei lavori
manuali che implicano movimenti ripetitivi. Il nervo radiale è un nervo particolare perché gira a spirale
attorno all’omero e innerva tutti muscoli dell’avambraccio, i muscoli estensori del carpo e il tricipite.
Per via di questo percorso a spirale una sindrome compartimentale può dare la lesione di questo (lo
stesso muscolo ipertrofico crea una pressione sul nervo es. in culturisti o monociclisti).
Neuropatia dell’interosseo posteriore (ramo del nervo radiale): nervo motorio che innerva i muscoli del
compartimento posteriore dell’avambraccio. Molto spesso è compresso a livello del suo passaggio al
gomito (arcata di Frohse) per fibrosi dell’arcata o per continui movimenti di prono-supinazione (es:
nuotatori).
I sintomi sono tutti motori: Ipostenia e paralisi dei muscoli estensori del polso e delle dita

o NERVO SOPRASCAPOLARE
Ha due rami: uno va al muscolo sovraspinato e l’altro al sottospinato e poi passa all'interno del
legamento spino-glenoideo e del legamento scapolare. Viene spesso coinvolto nelle patologie correlate a
sport dove il paziente tiene la mano sopra la testa come la pallavolo e il sollevamento pesi per cui il
nervo può andare incontro a compressione da cui deriva la paralisi del muscolo sovraspinato e
sottospinato con adduzione e rotazione interna della spalla. Si potrà quindi osservare anche ipotrofia
muscolare, cioè un muscolo che ha perso la sua normale morfologia poiché denervato fino a
trasformarsi in tessuto fibroso.
Nei casi di ipotrofia per lesione nervosa si possono sviluppare zone di ipotrofia settoriali (se è un
singolo nervo a soffrire) oppure possono essere generalizzate se sono coinvolti più nervi per esempio
nelle spondiliti. Nelle mielopatie cervicali si sviluppa un’ipotrofia dei muscoli delle braccia, dei muscoli
delle gambe per la perdita di numerose fibre all’origine del MS.
Il n. soprascapolare può essere compresso a livello della scapola anche da malformazioni congenite del
legamento scapolare; dalla depressione od iperestensione della spalla (sling effect).

o NERVO TORACICO LUNGO: il nervo toracico lungo può essere danneggiato o per eccessivo uso
(culturismo) o per infezioni virali. In genere reversibile.
Uno dei sintomi principali della neuropatia del nervo toracico lungo è la scapola alata monolaterale.
Facendo sollevare le scapole al paziente esse risultano instabili.

o RAMI DIGITALI: nelle dita della mano non arrivano rami motori, ma le dita delle mani si muovono
grazie ai tendini dei muscoli flessori estensori dell’avambraccio.
Le neuropatie che coinvolgono i rami digitali sono quindi neuropatie di tipo sensitivo e sono tipiche dei
giocatori di bowling

o NERVO ASCELLARE: il nervo ascellare è un nervo che innerva il muscolo deltoide e viene
danneggiato in sport come la pallavolo o sport da contatto (football americano, hockey su ghiaccio). La
principale manifestazione è la “spalla cadente”. Spesso confuso con lesione cuffia rotatori o dei loro
tendini.

o NERVO MUSCOLO-CUTANEO: innerva il bicipite, coinvolto in sport come sollevamento pesi,


pallavolo, pallacanestro.

o PLESSO BRACHIALE: il plesso brachiale è un insieme di nervi ed è principalmente interessato da


chi pratica sport di contatto, soprattutto quando c’è di iperflessione laterale del capo (giocatori di
football americano, nuotatori professionisti). Tipico in seguito ad incidenti motociclistici.
Le principali sindromi sono:
- Outlet syndrome (sindrome dello sbocco): compressione del plesso brachiale alla sua origine. Si
manifesta con dolore neuropatico
- Sindrome degli scaleni: compressione del nervo data dall’ipertrofia dei muscoli scaleni
- Sindrome dello stretto toracico: può essere neurogena o no. Dolore neuropatico arto superiore (dd

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ernia cervicale tramite EMG). Si consiglia di eseguire anche il doppler perché questa sindrome può
interessare anche i rami arterovenosi.

o NERVO ANTERO-BRACHIALE LATERALE: questo nervo decorre nell’avambraccio laterale ed è


un nervo sensitivo. La neuropatia è tipica di chi pratica sport dove si sforza molto il braccio (windsurf).

o NERVO PUDENDO: innerva buona parte dei muscoli del pavimento pelvico, il muscolo bulbo
cavernoso e altre regioni e può essere compresso e danneggiato da un utilizzo continuo della bicicletta
per compressione.

o NERVO PERONEO:
Sindrome del tunnel tarsale anteriore riguarda il nervo peroneo profondo.
- Distalmente: nervo peroneo può essere coinvolto nei traumi distorsivi della caviglia e comportare un
danno del 17% dei casi. Sintomatologia neurologica come formicolio, spilli, addormentamento delle
dita
- Prossimalmente: nella zona della testa della fibula, il nervo peroneo può essere intrappolato tra il tenere
il bicipite femorale e la testa laterale del muscolo gastrocnemio (in chi stanno molto tempo
inginocchiato).
- Esistono poi delle lesioni da flessione prolungata; questo non avviene a un soggetto normale e vigile ma
in un soggetto in stato di sonno profondo patologico, di coma o anestesia. Si osserva anche nei soggetti
alcolizzati che si addormentano, non hanno sensazione del fastidio e quindi hanno la paralisi del radiale,
questa paralisi (paralisi del radiale con mano pendente) infatti è stata chiamata per molto tempo paralisi
del sabato sera, proprio perché si verificava in questi soggetti che si addormentavano in uno stato di non
lucidità per effetti di alcool o droghe e si svegliavano con questa paralisi. È stata anche chiamata
‘paralisi dell’amante’ perché la testa poggiata sul braccio può dare la sintomatologia.

o NERVO TIBIALE: la paralisi del nervo tibiale può dare sindrome del tunnel tarsale mediale (canale
osteofibroso). Imputabile a traumi distorsivi della caviglia. Dolore lungo il decorso del nervo tibiale
posteriore, parestesie. A livello della caviglia si divide in nervo plantare laterale e mediale. Dolore retro-
malleolare e talvolta al tallone e può estendersi fino alle dita. Terapia: cavigliera o ortesi o infiltrazioni
o intervento chirurgico.

o NERVO FEMORALE: il nervo femorale innerva il muscolo femorale e può essere danneggiato negli
sport dove c’è un eccessivo stretching dell’arto (danzatori).
- Nervo femoro-cutaneo (Sindrome di Roth o meralgia parestetica): neuropatia sensitiva della faccia
antero-laterale della coscia che causa iperalgesia e dolore nella zona laterale della coscia.

o NERVO SURALE:
Si trova nella caviglia e spesso è danneggiato nel corso di interventi chirurgici alla caviglia, dopo
infiltrazione di corticosteroidi o dopo artroscopia. Cosa si fa con un nervo danneggiato? Innanzitutto,
bisogna vedere se c'è un’integrità della fibra nervosa. È chiaro che in un trauma da sport non ci si
aspetta che ci sia integrità del perinevrio quindi non c'è un'indicazione chirurgica. L’indicazione
chirurgica nelle zone nervose si ha nella maggior parte dei casi quando c'è un danno traumatico e quindi
si sospetta la lesione, il danno, il taglio del nervo; l'esempio classico è la frattura dell'omero con lo
spuntone osseo che trancia il nervo radiale. Il recupero della funzione dipende dal tipo di lesione: se è
uno stupor del nervo, una lesione neuroaprassica quindi è solo la guaina mielinica ad essere coinvolta, il
recupero si ha molto velocemente nell'arco di pochi giorni. Se invece è stata prolungata e oltre alla
mielina, è stato interessato l’assone, il recupero si può avere anche in settimane o mesi.
Due sindromi importanti, seppur rare, sono:
• Sindrome del tunnel tarsale anteriore: compressione del rame terminale del nervo peroneo profondo
sul dorso della caviglia sotto il retinacolo dei flessori.
• Sindrome del tunnel tarsale mediale: intrappolamento del nervo tibiale a livello della doccia
retromalleolare mediale tra il legamento laciniato o retinacolo dei flessori (tetto del tunnel) e il
legamento deltoideo (pavimento del tunnel).

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Diagnosi differenziale: quando si vede ipertrofia del primo interosseo potrebbe trattarsi di SLA se assenti i
disturbi sensitivi e il dolore, di spondilodiscoartrosi cervicale grave se il pz è molto anziano e il decorso non
è progressivo,

ELETTROMIOGRAFIA
Questa metodica diagnostica ci dice se la neuropatia è assonale o demielinizzante. Studia tutto il secondo
motoneurone dalle corna anteriori al muscolo e si divide in due momenti:
• Elettromiografia ad ago: se mettiamo un ago in un muscolo sano, troviamo un grafico piatto (silenzio
elettrico) perché il muscolo normo-innervato non deve dare nessun segnale. Se dovessimo trovare
un’attività elettrica spontanea (le fibrillazioni), vuol dire che il nervo è danneggiato e non riesce ad
inibire il muscolo in condizione di riposo.
Inoltre, il nervo mantiene il muscolo trofico, per cui se viene danneggiato accade che il muscolo
diventa fibrotico. Quando invece si sviluppano le fascicolazioni, fibrillazioni molto grandi, riscontrabili
per esempio nelle fasi di denervazione avanzate (come nella SLA), queste si vedono ad occhio nudo
perché riguardano un fascicolo di fibre.
Se chiediamo al paziente di muoversi saranno evidenziati dei potenziali; se i potenziali (PUM)
diventano polifasici e più grossi del normale, ci suggeriscono che ci sia stato un meccanismo di
reinnervazione (sprouting assonale). Il pattern EMG che compare in seguito alla richiesta rivolta al
paziente di contrarre i muscoli ci può indirizzare verso la patologia che sta alla base: un tracciato con
potenziali di bassa ampiezza polifasici che si recluta improvvisamente è caratteristico della polimiosite,
un tracciato “povero” con potenziali più ampi è caratteristico della SMA, ogni patologia ha il suo
caratteristico pattern, che rapportato alla clinica ci consente di fare diagnosi, nelle miopatie il
reclutamento delle fibre muscolare che dovrebbe essere graduale lo vediamo rapido.
• Elettroneurografia: si usa un elettrostimolatore e si studia la velocità di conduzione e l’ampiezza di
risposta. La velocità di conduzione ci dà un’idea della guaina mielinica, mentre l’ampiezza di risposta
misura il numero di assoni ancora sani. Si dà lo stimolo nella parte prossimale e si misura la risposta
distalmente in un punto in cui il nervo è più superficiale: si misura la distanza tra i due punti, e lo stesso
apparecchio calcola la velocità di conduzione.
Normalmente la velocità di conduzione è superiore a 45m/s. Se la velocità è ridotta pensiamo ad un danno
mielinico, se invece è ridotta l’ampiezza di risposta (v.n. 4-5 mA) sappiamo che c’è una riduzione del
numero di assoni.
Grazie a queste due tecniche possiamo sapere che tipo di polineuropatia è. Indispensabile sia l’uso di
elettrodo ad ago che di superficie.

Ecografia del nervo


L’ecografia serve anche a vedere se per un trauma nervoso avviene il distaccamento del nervo.

Risonanza del nervo può essere utile ma è poco diffusa.

Trattografia: è una risonanza delle radici vertebrali che permette di studiare ad alta risoluzione l’origine.
Importante nelle avulsioni e per distinguere lesioni pregangliari, gangliari e post gangliari.

Se una lesione nervosa periferica dura a lungo si crea il dolore neuropatico cronico; nella regione posteriore
del midollo arrivano le fibre C (parte profonda) e le fibre Aβ (superficie). Succede che per una neuropatia
periferica persistente le fibre profonde vanno incontro ad un fenomeno di sprouting (termine inglese,
traducibile in italiano con “gemmazione” o “germogliazione”, e invadono la parte superiore delle corna
posteriori del midollo (le quali si ipertrofizzano). Anche se la patologia primaria viene trattata, resta questo
dolore neuropatico cronico (si usano antidepressivi).

RIABILITAZIONE DI UNA NEUROPATIA PERIFERICA


1. Mantenere il range articolare: in caso di immobilizzazione, anche se c’è un recupero muscolare, nel
frattempo c’è un’anchilosi articolare perché il paziente è stato fermo sei mesi, quindi, non sarà
comunque possibile ripristinare il movimento.

2. Mantenimento del tono e del trofismo muscolare: se il nervo viene a mancare, il muscolo si trasforma

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in tessuto fibroso; quindi, anche se il nervo dovesse essere recuperato, il muscolo potrebbe non essere
più “disponibile”. Quindi bisogna mantenere il tessuto muscolare vivo tramite sedute di
elettrostimolazione in attesa della possibile reinnervazione.

3. Mantenimento della sensibilità: si usano gli esercizi conoscitivi facendo chiudere gli occhi al paziente
e toccare degli oggetti con l’intento di stimolare la sensibilità tattile [il professore dice che non sono
molto utili].

Sono importanti le ortesi per mantenere in posizione neutra le articolazioni al fine di evitare una
retrazione del muscolo; non basta che il terapista faccia muovere l’articolazione per 30 minuti al giorno,
perché se il resto del giorno il paziente sta in una posizione viziata va incontro a retrazione muscolare ed
anchilosi articolare.
Ci sono le ortesi statiche per mantenere l’articolazione in una certa posizione. Ad esempio, per gli arti
inferiori si usano le ortesi AFO (ankle-foot orthosis) per mantenere il piede a 90 gradi, altrimenti con la
pressione delle lenzuola si ha la posizione in equino del piede.
Le ortesi dinamiche hanno delle molle ed elastici collegati a dei ditali che permettono un movimento residuo
del paziente.

NEUROPATIA PERIFERICA CHEMIOTERAPIA INDOTTA


Etiopatogenesi sconosciuta, non è chiaro quali farmaci usare e a che dosaggi, non tutti i pz esprimono questa
patologia. Non ci sono tanti studi clinici perché i pz sono variabili per caratteristiche, dosaggi. Gli oncologi
non se ne curano molto. Sostanze neurotrofiche e integratori non si sa quale funzione abbiano che tipo di
riabilitazione fare. La prevalenza è comparabile a quella della neuropatia diabetica.

Il paziente manifesta perdita di sensibilità, ridotta qualità di vita, disestesie urenti, difficoltà nei movimenti
fini. Oncologi trials e pratica clinica. Fisiatri diagnosi differenziale, valutazioni prognostiche, trattamento
farmacologico e riabilitazione.

Rischio CIPN: in relazione all’aumento incidenza dei tumori e al trattamento. Colon-retto, seno, prostata,
polmone e stomaco sono neoplasie candidate. Non tutti i farmaci hanno stesso effetto. Alcuni farmaci
determinano effetti prevalentemente sensitivi e altri con sensitivo-motori. Raro effetto solo motorio, la
componente sensitiva è predominante.

Sensitivi: derivati del platino, talidomide, bortezomib, doxorubicina. Sensorimotorio: plactitaxel e taxani,
alcaloidi vinca e vincristina, etipolone e eribulina.

Patogenesi, fattori rischio, correlazione tra farmaco e coinvolgimento nervo periferico, biomarcatori
eventualmente predittivi, qualità vita a lungo termine NON sono chiari.

Patogenesi: farmaci antineoplastici interferiscono con cellule replicanti e non è il caso dei neuroni. La
maggior parte dei farmaci non passa BEE e barriera emato-nervo. Il chemioterapico entra in zone più
vulnerabili dove la barriera non è presente: placca, terminazioni, radice del ganglio dorsale. In maniera
centripeta arrivano al ganglio della radice dorsale dove ci sono i neuroni che non sono tutti uguali. Quelli
grandi sono propriocettivi, quelli piccoli sono coinvolti nella percezione termodolorifica. Si ha espressione
canali ionici diversi.
Il meccanismo di danno è diverso e anche l’impairment sensitivo in base ai neuroni interessati.
• Derivati del platino: si legano al DNA e interferiscono con la replicazione cellulare. Determinano
atassia, parestesia e neuropatia indotta dal freddo (insorge entro 72h dalla somministrazione del
farmaco ed è iperattività al freddo o agli stimoli chimici, meccanici e pressori, solitamente reversibile).
Possono dare sintomi motori rari come crampi muscolari, raro coinvolgimento fibre autonomiche
come ipertensione ortostatica, ileo paralitico, altri eventi come ototossicità e insufficienza renale.
EMG: i potenziali d’azione sensitivi sono assenti.
• Talidomide: si pensa interagisca con l’angiogenesi. Riduzione velocità conduzione motoria, riduzione
velocità conduzione sensitiva. Spesso si fa emg quando danno evidente e sintomi sfumati, mentre nella
talidomide le due cose viaggiano insieme

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• Lenalidomide: non dovrebbe essere neurotossico, dà disturbi sfumati


• Taxani: k polmone, creano mialgia, parestesie distali e simmetriche, perdita di sensibilità a mani e
piedi, dolore articolare, debolezza, perdita movimenti fini, dolore diverso dal dolore neuropatico, non
presente negli altri. Perdita assonale grandi fibre, coinvolgimento distale, neuropatia del ganglio della
radice dorsale
• Epitoloni: destabilizzano i microtubuli, effetti collaterali come mialgia, perdita sensibilità, dolore,
parestesia. Recupera prima di quella da taxano.
• Alcaloidi della vinca: interagiscono con fuso mitotico con meccanismo opposto al taxano. Sintomi
evidenti con esordio precoce, parestesie, dolore, perdita sensibilità, condizionamento autonomico con
ipotensione ortostatica, ritenzione urinaria, ileo paralitico, costipazione, disturbi vescicali.
Coinvolgimento dei nervi cranici 8 e 9, la debolezza degli estensori del polso è diversa e distale, anche
severa nella manipolazione degli oggetti. Emg: coinvolgimento motorio e sensitivo, riduzione
ampiezza potenziali motori, velocità conduzione conservata. Effetti collaterali ematologici,
iperuricemia.
• Inibitori del proteasoma: sensitivi a livello subclinico o rilevabili emg. Riferisce dolore

Esistono nuovi farmaci che sono altrettanto efficaci come bentuximab nei linfomi, è un profarmaco che è
ligando per cd30 e non è espresso nel snp. Non dovrebbe essere neurotossico, ma ci sono dei casi. Inibitori di
checkpoint immunitario, che possono determinare neuropatie acute severe.

Si è evidenziata associazione tra chemioterapici e neuropatie genetiche preesistenti come la charcot marie
tooth, che agisce come fattore predisponente e con vincristina determina neuropatia severa. Questo
testimonia che la genetica ha ruolo importante nel determinare queste manifestazioni.

Questa neuropatia non è omogenea, esistono variabili, la risposta non è prevedibile, la causa può essere
diversa e anche la gravità in base al pz. La lunga aspettativa di vita nei sopravvissuti determina problema di
convivenza con questa patologia.

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DISTURBI DEL MOVIMENTO


I disturbi del movimento o “disordini del movimento” rappresentano una categoria di patologie invalidanti
in cui il protagonista è il movimento, possiamo distinguere due sottocategorie:
- Disordini del movimento con Acinesia, dove vi è una riduzione dell’attività motoria, che comprendono:
Bradicinesia, Ipocinesia (oltre che l’Acinesia) e si tratta di pazienti che si muovono poco.
- Disordini del movimento con iperattività motoria, come nel caso di Tic, Mioclono, Corea, Distonie e
Tremori.

Tra le sindromi acinetiche più frequenti abbiamo:


• Morbo di Parkinson idiopatico
• Parkinsonismo post-encefalitico
• Parkinsonismo da farmaci
• Atrofia Multisistemica e le sue varianti
• Paralisi sopranucleare progressiva
• Degenerazione cortico basale
• Malattia da corpi di Lewy

Poi vi sono i parkinsonismi secondari o acquisiti, legati agli infarti cerebrali multipli, all’Encefalopatia post-
anossica, all’Idrocefalo e alle lesioni occupanti spazio.

CARATTERISTICHE PAZIENTE IPOCINETICO


Abbiamo un “movimento a rallentatore”.
Dobbiamo distinguere tra i sintomi: l’ipocinesia, la bradicinesia, la rigidità articolare, il tremore a riposo
e i riflessi posturali.

PARKINSONISMO DA FARMACI
Alcuni farmaci possono indurre sindrome parkinsoniana con una distribuzione simmetrica e una più rapida
progressione.
I sintomi regrediscono entro 6-12 mesi dalla sospensione del farmaco. Tra questi farmaci abbiamo:
- Neurolettici (Fenotiazine e Butirrofenoni)
- Dopamino Antagonisti
- Depletori Dopaminergici (Reserpina, Tetrabenazina)
- Calcio-Bloccanti (Flunarizina, Cinnarizina)
- Metoclopramide
- Litio
- Alfa-metildopa
- Antidepressivi Triciclici
- Acido Valproico

PARALISI SOPRANUCLEARE PROGRESSIVA


È una taupatia. La PSP è caratterizzata da una sindrome parkinsoniana rigido-acinetica, instabilità posturale
con frequenti cadute e disartria di tipo pseudolobulare.
Si osservano precoci alterazioni della motilità oculare nella verticalità e nella lateralità.
L’integrità dei riflessi vestibolo-oculari (manovra degli occhi di bambola) e del riflesso di Bell (elevazione
ed abduzione degli occhi nel tentativo di chiudere le palpebre) permettono di classificare le alterazioni come
sovranucleari.
Si riscontra fissità dello sguardo con aggrottamento delle sopracciglia, rigidità assiale, distonia, segni
piramidali e segni cerebellari.
È frequente un decadimento cognitivo che spesso evolve verso una demenza frontotemporale.

Diagnosi strumentale
Alla RMN si riscontra atrofia del mesencefalo e la SPECT mostra un ipometabolismo simmetrico frontale e

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striatale.
Terapia
La risposta scarsa o assente alla levodopa è un criterio di supporto diagnostico.
- DA
- Tossina botulinica per il trattamento del blefarospasmo e della distonia degli arti.

DEGENERAZIONE CORTICOBASALE
È una taupatia. La DCB esordisce con sintomatologia unilaterale caratterizzata da rigidità, distonia, aprassia,
scosse miocloniche e un disturbo della sensibilità di tipo corticale a carico dell’arto superiore e della mano.
Talora è presente il caratteristico fenomeno della “mano aliena”: la paziente non riconosce più di averlo, si
presenta come una mano chiusa e viene spesso scambiato con una patologia ortopedica.
La malattia diventa bilaterale in 2-5 anni causando invalidità degli arti superiori, disartria, rallentamento
della marcia, tremore d’azione e demenza. Una quota di casi esordisce come demenza fronto-temporale o
afasia progressiva seguita da segni corticali asimmetrici.

Diagnosi strumentale
La RMN mostra un’atrofia corticale focale dei lobi frontali e parietali superiori, controlaterali all’arto
maggiormente affetto e talora anomalie di segnale iperintense della sostanza bianca ed atrofia del corpo
calloso. La SPECT di flusso evidenza un ipometabolismo corrispondente.

Terapia
- Levodopa
- Clonazepam per il Mioclono
- Tossina botulinica per la distonia degli arti

PATOLOGIE DA IPERCINESIA

Mioclono
Attività incontrollata ritmica che può avere una distribuzione focale, multisegmentaria, multifocale,
segmentaria o generalizzata. Contrazione breve e fulminea.
Può essere continuo o intermittente.
Può essere spontaneo o comparire durante un’azione volontaria, oppure può essere evocato da un riflesso.

La sede inziale del Mioclono può essere corticale, talamica (asterixis mano), reticolare riflessa, palatale o
striatale. Può essere causata da Encefalopatia secondaria da danno cerebrale diffuso post-anossico o può
esordire in età giovanile come nel caso della mutazione del gene y-sarcoglicano.

Distinguiamo:
o Mioclono di origine spinale: il paziente presenta movimenti involontari ritmici della spalla sinistra,
artrosi cervicale e lesione midollare cervicale;
o Mioclono segmentale secondario ad un glioma spinale, comprende tutto il segmento (non è focale)
o Mioclono spinale organico, evocato da un riflesso.
o Mioclono di origine psicogena, che scompare con le variazioni posturali

Corea
Affezione ereditaria del SNC che determina degenerazione dei neuroni dei Gangli della base.
È caratterizzata da movimenti involontari patologici, alterazioni del comportamento, disturbi emotivi e
dell’umore
I movimenti coreici sono movimenti involontari, a insorgenza improvvisa, irregolari, asimmetrici,
afinalistici, prevalentemente distali che interessano gruppi di muscoli la cui contrazione provoca movimenti
di breve durata di uno o più segmenti scheletrici a tipo scatti improvvisi.

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Malattia di Huntington
La malattia di Huntington (detta anche corea di Huntington) è una malattia neurodegenerativa trasmessa con
modalità autosomica dominante. Si manifesta a 30-50 anni fatale in 16-20 anni. Si tratta di una malattia
inesorabilmente progressiva, caratterizzata da movimenti coreoatetosici, disturbi della personalità e demenza.
Il gene responsabile della malattia di Huntington, denominato anche IT15 (interesting transcript 15)
huntingtina ripetizioni CAG braccio corto cromosoma 4. Fenomeno dell’anticipazione.

Clinica
Le tre manifestazioni caratteristiche della malattia sono:
- Disturbi del movimento
- Alterazioni di personalità
- Deterioramento mentale.
I primi segni sono rappresentati da lievi alterazioni della personalità rilevate dai familiari. I pazienti
diventano sospettosi, irritabili, lamentosi, impulsivi, talora aggressivi. Frequentemente sono presenti
alterazioni dell’umore, in particolare in senso depressivo. Le facoltà intellettive vengono invariabilmente
compromesse. Il paziente diventi più apatico.
Le alterazioni del movimento rappresentano la caratteristica più tipica della malattia.
Inizialmente sono lievi ed interessano le mani e il volto del paziente che viene considerato agitato o
“nervoso”.
I muscoli somatici sono colpiti in maniera casuale e i movimenti coreici si diffondono da una parte del corpo
all’altra. Spesso sono presenti movimenti pseudofinalistici eseguiti nel tentativo di mascherare gli scatti
involontari.
Lentamente il disturbo coinvolge l’intera muscolatura; il paziente mantiene una posizione ferma solo per
pochi secondi, la deambulazione si associa a movimenti delle braccia e delle gambe che portano ad
un’andatura di tipo danzante (corea).
La motilità oculare è quasi costantemente alterata con movimenti saccadici ritardati, lenti ed ipometrici,
perdita dei movimenti lenti di inseguimento e difficoltà a eseguire movimenti di convergenza.
Caratteristica è l’impersistenza dello sguardo.
I movimenti coreici sono intensificati dagli stimoli emotivi, scompaiono nel sonno.
Il tono muscolare è ridotto tuttavia, con il progredire della malattia, possono diventare evidenti rigidità,
tremore e bradicinesia, elementi tipici della malattia di Parkinson.
I nervi cranici sono risparmiati, la sensibilità è indenne, i riflessi tendinei sono solitamente normali, ma
possono essere vivaci; la risposta alla stimolazione plantare può essere anormale.
Nelle fasi più avanzate, il progredire del deterioramento cognitivo e dei disturbi motori conducono il paziente
sino a uno stato vegetativo.

Diagnosi e diagnosi differenziale


- Gli esami ematochimici, urinari e liquorali sono normali.
- L’EEG presenta anomalie diffuse.
- TC e la RM dell’encefalo mettono in evidenza la dilatazione dei ventricoli laterali che assumono un
aspetto a farfalla a causa dell’atrofia del nucleo caudato.
- La PET con fluorodesossiglucosio dimostra precocemente l’ipometabolismo del glucosio nel caudato e
nel putamen.
La malattia di Huntington può essere diagnosticata facilmente in un adulto che presenta la triade clinica
caratteristica e una storia familiare della malattia.

Terapia
Attualmente non esiste alcuna terapia in grado di modificare il decorso.
- I neurolettici (Aloperidolo) sono efficaci nel ridurre i disordini della motilità e possono essere utili
anche nei confronti dei disturbi comportamentali ma possono aggravare la bradicinesia e la distonia.
- I neurolettici atipici, benché meno potenti, risultano essere meglio tollerati.
- La depressione risponde alla terapia antidepressiva convenzionale.
- La Carbamazepina o il Valproato sono utili per i disturbi maniacali.
- L’ansia viene trattata con le benzodiazepine.

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- La psicosi viene trattata con neurolettici atipici.


- Nella forma infantile i farmaci antiparkinsoniani possono essere utili.

Malattia di Sydenham o corea reumatica


Autoimmune non degenerativa. Nota anche come corea infettiva o reumatica, la corea di Sydenham è un
disturbo proprio dell’età infantile o giovanile conseguente a infezione da streptococco beta emolitico di tipo
A.
Il coinvolgimento dell’encefalo nell’infezione reumatica è caratterizzato da infiltrati linfocitari perivasali i e
fenomeni trombotici a livello del neostriato.
Di solito la sintomatologia coreica insorge da 6 a 12 mesi dopo l’infezione streptococcica con sintomi
prevalentemente psichici (irritabilità, astenia, distraibilità, instabilità emotiva, irrequietezza motoria e
conseguente scadimento del rendimento scolastico).
Successivamente si manifestano i tipici sintomi motori coreici, accompagnati da ipotonia muscolare. I
movimenti coreici possono interessare tutto il corpo, ma soprattutto gli arti e il capo.
La terapia è soprattutto preventiva. Nella sindrome conclamata possono essere utili gli stessi farmaci
consigliati nella malattia di Huntington

Ballismo
Viene chiamato così perché sembra che il paziente faccia un ballo, caratterizzato da movimenti involontari e
spesso può presentarsi solo monolateralmente come Emiballismo.
Abbiamo movimenti di lancio a livello degli arti, di vasta ampiezza, regolari e imprevedibili.

Tic
I tic sono movimenti involontari che si manifestano come sequenze stereotipate di movimenti coordinati
brevi e improvvisi. Possono essere motori o vocali, semplici o complessi.
Spesso si tratta di movimenti semplici simili a scosse, talora appaiono come movimenti complessi, quali
ammiccamento dell’occhio, smorfie del viso, scosse del capo, sollevamento della spalla, etc.
Si possono manifestare isolatamente, come avviene per i tic semplici dell’infanzia e dell’età adulta, oppure
nell’ambito di sindromi complesse, quali la malattia di Gilles de la Tourette (MGT) e la malattia di Wilson.
Sindrome di Tourette <18 anni.

DISTONIE
Patologie date da degenerazione dei nuclei della base.
Sono contrazioni involontarie, prolungate e ripetute di un gruppo di muscoli striati, talora
accompagnate da dolore. Possono essere coinvolti i muscoli volontari degli arti, del tronco e della regione
cranica.
Nella distonia d’azione i movimenti involontari sono scatenati o esacerbati dal movimento volontario. Si
parla di distonia attività-specifica quando la distonia compare esclusivamente durante l’esecuzione di
un’azione specifica.
Con il progredire della sindrome distonica, i movimenti volontari della parte del corpo non affetta da
distonia, possono indurre contrazioni distoniche della parte malata (fenomeno di overflow).
Alcune manovre o stimolazioni tattili attenuano la contrazione distonica (fenomeno del gesto antagonista)
esempio toccare il mento per distonia cervicale.
La distonia peggiora dopo l’affaticamento, si attenua con il rilassamento, scompare durante il sonno. Si
possono manifestare pattern ripetitivi.
Infine, si possono verificare crisi distoniche con improvvisi aumenti di intensità della distonia fino allo stato
distonico.
Possono essere:
- Focali
- Segmentarie
- Generalizzate (quelle infantili sono tali)
Le principali forme di distonia focale sono:
- Blefarospasmo, contrazioni tonico-cloniche dei muscoli orbicolari degli occhi, spesso bilateralmente
- Emispasmo faciale di Meige, contrazione tonico-clonica dei muscoli pellicciai di un emivolto.

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- Distonia cervicale o torcicollo spasmodico, spasmo tonico, clonico o tonico-clonico dei muscoli
sternocleidomastoideo e/o trapezio con conseguente ipertensione, flessione o rotazione laterale del collo.
- Distonia laringea o disfonia spasmodica, contrattura dei muscoli laringei con episodi di voce stridula.
- Crampo dello scrivano, contrattura dei muscoli della mano e dell’avambraccio nel corso della scrittura.

La classificazione eziologica identifica tre categorie:


o distonie primarie, in cui la distonia è la principale manifestazione clinica
o distonie plus, con altri segni e sintomi associati
o distonie secondarie

DISTONIE PRIMARIE
La maggior parte delle distonie primarie esordisce in età adulta in assenza di familiarità.
Sono localizzate nella sede di esordio (Distonie focali) come collo (Distonia cervicale), volto
(Blefarospasmo), mandibola (Distonia oro-mandibolare), corde vocali (Disfonia spasmodica), arto
superiore (Crampo dello scrivano).
In alcuni casi si estende ai distretti adiacenti:
o Distonia cervicale: nota come torcicollo spasmodico, esordio tra 20 e i 60 anni, possono determinarsi
posture anomale. Una piccola quota di pazienti va incontro a remissione ma entro l’anno ha una ricaduta.
Può essere anche evocata (o inibita: movimento compensatorio) da un movimento volontario del paziente.
o Blefarospasmo: causato dalla contrazione del muscolo orbicolare dell’occhio, esordisce con aumento
della frequenza di ammiccamento, ed in seguito della chiusura delle palpebre, fino ad arrivare a una
chiusura prolungata e serrata che causa cecità funzionale. È più comune nelle donne e di solito dopo i 50
anni
o Crampo dello scrivano: movimento incontrollato durante l’attività di scrittura, esordisce in età adulta, di
solito resta limitato ad un arto, quello dominante, in una piccola quota di casi si estende a quello
controlaterale. Può limitarsi solo all’atto della scrittura (quindi si può imparare a scrivere con l’arto non
dominante) ma se si estende ad altre attività può essere utile l’iniezione di tossina botulinica.
o Distonia delle corde vocali: si manifesta in due forme, la più comune è la distonia spasmodica, nella
quale i muscoli vocali si contraggono avvicinando le corde vocali rendendo la voce alterata; la disfonia
respiratoria dà mancanza di respiro quando si inizia a parlare o quando si parla a voce alta. Può essere
utile l’iniezione di tossina botulinica.

DISTONIE PLUS
Questo gruppo comprende condizioni cliniche ereditarie nelle quali non vi è evidenza di un processo
neurodegenerativo alla base della sintomatologia distonica, e la distonia si associa a sintomi parkinsoniani
oppure al mioclono.
o Distonia levodopa sensibile (DLS)
Si tratta di una forma autosomica dominante a penetranza incompleta, caratterizzata da esordio infantile o
giovanile con atteggiamenti distonici nella deambulazione, cadute o talora distonie focali.
Differisce dalle altre forme per la presenza di bradicinesia, rigidità plastica, camptocormia e alterazione
dei riflessi posturali.
Presenta peggioramento dei sintomi nell’arco della giornata e miglioramento con il sonno notturno. Ha
peculiare risposta a basse dosi di levodopa. È dovuta a mutazione in eterozigosi del gene GCH1 nella
maggior parte dei casi.
o Distonia-Mioclono (DYT11)
È una sindrome caratterizzata dalla presenza di scosse miocloniche che interessano gli arti superiori, il
collo ed il tronco e raramente gli arti inferiori.
I sintomi compaiono nell’infanzia o nella prima adolescenza.
È dovuta ad una mutazione del geneDYT11. Si trasmette in maniera autosomica dominante. I sintomi
sono tipicamente responsivi all’alcol.
o Distonia-parkinsonismo ad esordio rapido (DYT12)
È una sindrome rara. I sintomi esordiscono nell’adolescenza o in età giovane-adulta con una progressione
rapida con successiva stabilizzazione. La trasmissione è autosomica dominante. Il gene responsabile è
DYT12 e codifica per la subunità alfa3 della pompa sodio-potassio.

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DISTONIE SECONDARIE
Si tratta di quelle condizioni per cui la distonia si verifica in seguito a lesioni dell’encefalo; cause:
- Paralisi cerebrale infantile
- Ipossia cerebrale
- Malattie cerebrovascolari
- Infezioni cerebrali
- Lesioni del midollo spinale
- Lesioni dei nervi periferici
- Levodopa
- Neurolettici (talora persistono anche dopo l’interruzione del farmaco)

Terapia
Il trattamento è migliorato in seguito all’introduzione della chemo-denervazione mediante iniezione di
tossina botulinica e della stimolazione cerebrale profonda. La terapia è sintomatica.

Farmaci dopaminergici

Farmaci anti-dopaminergici
- Clozapina, neurolettico atipico, si è mostrata moderatamente efficace nelle distonie segmentarie e
generalizzate.
- Tetrabenazina, farmaco depletore centrale della dopamina, può essere usato nelle distonie segmentarie.

Anticolinergici: possono essere utili per il trattamento delle forme generalizzate e segmentarie.

Altri farmaci:
- Miorilassanti (Benzodiazepine, Tizanidina, Orfenadrina) in pazienti che non rispondono agli
anticolinergici.
- Clonazepam nel blefarospasmo e nella distonia mioclonica.
- Baclofen orale nelle distonie oromandibolari.

Tossina botulinica
Il trattamento con tossina botulinica è utile nel blefarospasmo (distonia focale caratterizzata dalla chiusura
persistente e involontaria delle palpebre), nell’emispasmo facciale e nella distonia cervicale ma anche nella
distonia oromandibolare, il crampo dello scrivano e le distonie dei musicisti. Per la distonia cervicale è
trattamento d’elezione.

Terapia chirurgica
La stimolazione cerebrale profonda del globo pallido interno (GPi) è il trattamento chirurgico d’elezione
nelle distonie generalizzate.

SINDROMI TARDIVE
Distonie legate a psicofarmaci, soprattutto causate da farmaci antipsicotici, difficile da distinguere dalla
distonia psichiatrica.
• La Distonia acuta da neurolettici è caratterizzata da contrazioni brevi di muscoli che di solito causano
posture o movimenti anomali, quali crisi oculogire, protrusione della lingua, trisma, torcicollo e posture
diatoniche degli arti e del tronco.
• L’Acatisia acuta da neurolettici è caratterizzata da sensazioni soggettive o dà segni obiettivi di
irrequietezza. Il paziente presenta senso di ansia e incapacità di rilassarsi e cammina avanti e indietro, si
dondola mentre sta seduto, si alza e si siede continuamente. Entrambe le forme acute di disturbi dei
movimenti indotti dal movimento rispondono alla sospensione del farmaco neurolettico e al trattamento
con anticolinergici.
• La Sindrome maligna da neurolettici (SMN) è una complicazione del trattamento antipsicotico
pericolosa per la vita e si può manifestare in un qualunque momento nel corso del trattamento. È

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caratterizzata dalla triade di disturbi del movimento (rigidità muscolare, distonia, acinesia, agitazione),
febbre elevata e sintomi vegetativi (sudorazione, instabilità della pressione arteriosa e della frequenza
cardiaca, congestione polmonare). Una sintomatologia simile può anche manifestarsi nei pazienti
parkinsoniani a seguito dell’improvvisa sospensione della terapia con levodopa. Il trattamento della SMN
include la terapia di supporto cardiovascolare e respiratoria e l’uso di Dantrolene sodico, un miorilassante
o di Bromocriptina.
• Il Tremore iatrogeno cronico: si tratta di una condizione patologica caratterizzata da discinesia tardiva.
La discinesia tardiva è caratterizzata da movimenti ripetitivi (stereotipati) e rapidi che coinvolgono la
parte inferiore della faccia e la lingua o il tronco (flesso-estensioni e torsioni ripetitive) o, infine, le dita
delle mani e dei piedi. L’intervento più efficace sulla discinesia tardiva è la sospensione della terapia con
neurolettici o il passaggio a farmaci di terza generazione (Clozapina, Risperidone, Olanzapina e altri).

Terapia sindromi ipercinetiche


Non c’è una cura definitiva, il trattamento è solo sintomatico, va a ridurre i sintomi. Utilizziamo
frequentemente la Tossina Botulinica per ridurre il movimento distonico. Somministrabile anche sotto guida
elettromiografica.
La tossina è costituita da una catena pesante che lega le proteine di membrana della placca neuromuscolare
permettendo quindi l’internalizzazione della molecola; e da una catena leggera che si stacca e porta a
distruzione delle proteine che regolano l’esocitosi delle vescicole di Acetilcolina, che si accumula nel
terminale. La placca neuromuscolare risponde in acuto con uno Sprouting; dopo circa 3 mesi la placca
riprende a funzionare, le placche sprouting degenerano e l’effetto del farmaco finisce.
Il trattamento avviene circa due volte l’anno, utilizzabile nel bambino solo per Piede Equino spastico.
Alternative sono il Fenolo (costo e durata inferiori, porta a blocco del nervo) o la Pompa al Baclofene.
Per via orale possiamo somministrare il Baclofene, che però porta a inibizione di più gruppi muscolari e a
depressione dell’umore.

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LOMBOSCIATALGIA E LOMBOCRURALGIA: DIAGNOSI E


RIABILITAZIONE
È un disturbo frequente in età adulta, con massima incidenza tra i 40 e i 50 anni di età, circa l'80%della
popolazione ne è colpito almeno una volta nella vita.
La lombalgia (cioè il dolore alla colonna vertebrale, il complesso funzionale che fa da pilastro all’organismo
umano) non è una malattia ma un sintomo di diverse patologie, aventi in comune la diffusione del dolore
in regione lombare. È un disturbo estremamente frequente in età adulta, con massima incidenza in soggetti di
40-50 anni di entrambi i sessi. Circa l'80% della popolazione ne è colpito almeno una volta durante la vita.
Può presentarsi in forma:
• Acuta (dolore di durata inferiore alle 6 settimane) => nota popolarmente come “colpo della strega”
• Subcronica (da 6 a 12 settimane)
• Cronica (più di 12 settimane)
È tra le più frequenti cause di assenza dal lavoro ed ha perciò un'elevata incidenza socio-economica.
La lombalgia è distinta in due grandi gruppi, a seconda che derivi o meno dai segmenti ossei sovrapposti (le
vertebre) che la compongono:
• di origine vertebrale
• di origine extravertebrale

Gruppo delle lombalgie di origine vertebrale:


o forme da patologie congenite, tra cui
- sacralizzazione dell’ultima vertebra lombare, la quinta, che in questo caso risulta fusa con la prima
vertebra sacrale;
- spondilolisi, ovvero la mancata fusione di parte dell’arco posteriore di una vertebra
- spondilolistesi, quando avviene lo scivolamento in avanti di un corpo vertebrale
- sinostosi, deformità congenita dovuta alla fusione di due o più vertebre;
o le forme, molto più frequenti, da patologie acquisite:
- posture
- muscolari: strappi
- processi degenerativi, tra cui discopatie, stenosi del canale etc..
- malattie reumatiche
- infezioni
- neoplasie
- traumi
- turbe metaboliche e del turnover osseo

Nel gruppo delle lombalgie extravertebrali figurano quelle da cause neuromeningee (neoplasia midollo),
viscerali (gastrointestinali, urologiche e ginecologiche) e vascolari (aneurisma dell'aorta addominale)
psicogene.

Lombalgie particolari sono quelle da cause generali, quali stati febbrili, influenza, raffreddamento
(lombalgia "a frigore"). Più cause di lombalgia possono coesistere nello stesso soggetto.

RICHIAMO ANATOMIA: REGIONE LOMBARE DELLA SCHIENA


La regione lombare è costituita da cinque vertebre (L1 - L5). Tra queste vertebre vi sono frapposti dischi in
fibrocartilagine che agiscono come cuscini impedendo alle vertebre stesse di sfregare tra di loro e, allo stesso
tempo, forniscono una protezione per il midollo spinale. I nervi entrano ed escono dal midollo spinale
attraverso specifiche aperture tra le vertebre; tali nervi ricevono dalla pelle informazioni e mandano messaggi
ai muscoli. La stabilità della colonna è garantita dai legamenti e dai muscoli di schiena e addome. Piccole
articolazioni, chiamate faccette articolari, limitano e dirigono il movimento della colonna vertebrale.
I muscoli multifidi decorrono dall'alto verso il basso lungo la parte posteriore della colonna vertebrale e sono
importanti per mantenerla dritta e per permettere alcuni movimenti comuni come sedersi, camminare e
sollevare pesi. Patologie a carico di essi sono spesso riscontrate negli individui che accusano una lombalgia
cronica, poiché questi muscoli vengono utilizzati impropriamente per assumere posture che alleviano il

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dolore alla schiena. I problemi ai muscoli multifidi continuano anche dopo che è passato il dolore e possono
essere una causa determinante per il presentarsi di recidive.
Un disco intervertebrale possiede un nucleo gelatinoso circondato da un anello fibroso. Nel suo normale stato
indenne, la maggior parte del disco non è raggiunto né dal sistema circolatorio né dal sistema nervoso; vasi
sanguigni e nervi, infatti, passano solo verso l'esterno del disco. Nella sua parte interna vi sono cellule
specializzate che possono sopravvivere senza ricevere una fornitura
diretta di sangue. Nel corso del tempo, i dischi perdono sia flessibilità e
sia capacità di assorbire le forze fisiche. Ciò comporta l'aumento di
sollecitazioni sulle altre parti della colonna vertebrale, causandone un
irrigidimento. Come risultato, vi è meno spazio attraverso il quale il
midollo spinale e le radici nervose possono decorrere. Quando un disco
degenera a seguito di infortunio o di una malattia, la sua composizione
cambia: vasi sanguigni e nervi possono crescere al suo interno e/o una
parte di esso può erniare, andando a comprimere direttamente la radice
del nervo. Uno di questi cambiamenti può essere responsabile del mal di
schiena.
I legamenti del rachide dorsale sono i seguenti:
• legamento longitudinale anteriore e posteriore
• legamento sovraspinoso e interspinoso
• legamento giallo
• legamento intertrasversario

Biomeccanica del rachide


I movimenti del rachide sono caratterizzati da 3 gradi di libertà:
- Flesso-estensione (avanti-indietro) sul piano sagittale
- Inclinazione laterale (destra e sinistra) sul piano frontale
- Rotazione assiale sul piano trasverso
Esempi di movimenti: Flessione della spalla → elevazione dell’arto; estensione della spalla → porto l’arto
verso il basso.

Range articolare
Ogni segmento articolare ha i suoi gradi di libertà. Sono i gradi in cui non intervengono altre articolazioni.
È chiaro che a livello cervicale posso fare una flessione di più di 40°- 45°, ma perché faccio intervenire una
parte che non è più rachide cervicale. Il rachide cervicale ha dunque una flessione di 40° e un’estensione di
45°, l’inclinazione laterale a dx e sx è di 45°. La rotazione è di circa 50°, anche se esiste chi riesce a ruotare
di più e chi può ruotare meno (magari perché è anziano, ha un’artrosi o motivi per ruotare meno).
Si scrive in una cartella che il pz ha una flessione ridotta del rachide cervicale, si deve dire di quanti gradi. Si
deve sapere che la flessione fisiologica è 40°, se arriva a 20° e poi ha dolore dico che è ridotta di 20°.
Il rachide in avanti si flette di 45°, indietro di 35° e l’inclinazione laterale è di 35°. Se vado oltre non è più
rachide cervicale ma si usano altri sistemi articolari.
Ognuna di queste zone può essere causa di lombalgia.
Bisogna capire innanzitutto se la lombalgia coinvolge il sistema nervoso periferico (dolore irradiato agli arti
inferiori) o no. Se è irradiato si devono distinguere le 2 seguenti condizioni:
• Lombosciatalgia: quando il pz ha un dolore che scende posteriormente lungo la coscia e la gamba fino al
piede (radici L5-S1: le due radici si uniscono a formare il nervo sciatico e hanno come dermatomero la
coscia e il gluteo e la gamba posteriormente fino al piede posteriormente o sul davanti se coinvolto L5).
In caso di lesione prossimale può essere interessata una sola radice e l’emg è dirimente. C’è anche la
possibilità che un nervo possa essere intrappolato nel post gangliare, questa è la sindrome del piriforme. Il
nervo sciatico può essere intrappolato da questo muscolo per squilibri posturali o per allenamenti
sbagliati. Può anche andare incontro a una ipertrofia anche lieve e comprimere il nervo nel suo decorso.
Inoltre, se questo paziente ha anche una punta di ernia del disco e c'è un’elettromiografia che non è chiara
e non dice che è una sofferenza di L5 S1 post gangliare, rischia di essere operato di ernia del disco senza

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trarne beneficio. L5 innerva tibiale anteriore, peroniero lungo e peronieri brevi. S1 il tricipite della sura.
• Lombocruralgia: quando il dolore è anteriore (radice L4 che ha un miotomo e dermatomero alto: ovvero
il quadricipite. Esiste una patologia nel giovane denominata black disk, in cui il disco perde elasticità e
sostanze che danno nutrimento. Si vede nei giovani, altera biomeccanica, ha predisposizione genetica, si
cura sperimentalmente con infiltrazione di staminali. È alla base di patologie biomeccaniche,
spondilolistesi, ernia. si chiama così per come si vede alla risonanza.

CAUSE
1. Artrosi lombare (molto frequente) spondilodiscoartrosi
2. Ernia del disco
Fuoriuscita del nucleo polposo del disco intervertebrale che rompe l’anello fibroso e protrude nel canale
spinale (determinando instabilità e dolore cronico), dove trova:
• il midollo se si trova più in alto di L2
• più in basso del corpo vertebrale di L2 trova la cauda
• sia più in alto che più in basso di L2 trova i nervi spinali.
Le ernie non sono tutte uguale tra di loro, infatti ad esempio:
• una piccola centrale (mediana) può essere asintomatica;
• una paramediana (quindi lateralizzata) può toccare la radice nervosa ed essere sintomatica;
• una intraforaminale sarà sicuramente sintomatica;
• una extraforaminale più complessa.
Quindi l’ernia è un corpo estraneo in un contenitore che non è il suo; oltre alla localizzazione bisogna
valutare anche il canale vertebrale (se è ampio l’ernia potrà essere asintomatico).
Può essere espulsa, espulsa migrata, sottoligamentosa, sottoligamentosa migrata. Terapia:
conservativa FANS e corticosteroidi, chirurgica microdiscectomia (se instabilità del rachide, che richiede
anche stabilizzazione; se sintomi neurologici; se mancato controllo del dolore con terapia conservativa)
3. Sindrome delle faccette articolari (artrosi delle articolazioni intervertebrali)
Artropatia da usura delle faccette articolari
4. Spondilolistesi (scivolamento della vertebra in avanti)
Scivolamento solitamente in avanti (anterolistesi), più raramente indietro (retrolistesi) di una vertebra.
Succede perché si ha una lisi dell’istmo vertebrale (spondilolisi), che si riconosce all’RX in proiezione
obliqua perché si nota la testa mozzata del cagnolino virtuale che si riconosce tra le vertebre. La causa
principale è genetica.
La spondilolistesi crea dolore lombare e radicolare. Può essere anche silente e la diagnosi essere
occasionale. Non è la vertebra a creare dolore, ma l’instabilità. La cura è bloccare le vertebre con un
intervento chirurgico di artrodesi vertebrale (non si fa sempre, solo se altamente sintomatica). In rari casi
succede un meccanismo favorevole in cui la vertebra che scivola si fonde con quella sottostante: è un
evento raro e fortunato in cui il pz non si deve operare, è come se fosse un’artrodesi fisiologica.
Traumatica o degenerativa. 4 gradi: 25%, 25-50%, 50%, 75%.
Si hanno 2 tipi di dolore: nocicettivo (ovvero un dolore dove una struttura muscolare/ossea che riceve un
urto) e neuropatico (dolore che viene dall’insulto/trauma di un nervo ed un dolore urente, con formicolio,
prurito => è un dolore elettrico). Quindi nella spondilolistesi si ha un dolore misto. Il dolore neuropatico
deriva dal fatto che le fibre Aβ che arrivano nella parte profonda del corno posteriore (le C nella parte
superficiale) si superficializzano come se facessero uno sprouting e determinano una condizione
irreversibile di ipertrofia delle corna posteriori.
5. Scoliosi (deviazione dell’asse longitudinale del rachide dorso lombare, a volte anche cervicale; non esiste
solo nel bambino, ma anche nell’adulto dove peculiarmente è associata a dolore, mentre nel bambino è
asintomatica. Inoltre, rappresenta l’evoluzione di una scoliosi già presente e tende a peggiorare.
L’intervento si fa solo se il pz è giovane, senza osteoporosi e sintomatico, e consiste nella stabilizzazione
della colonna)
6. Spondilodisciti (processi infettivi dei dischi intervertebrali con successiva distruzione del disco; possono
essere brucellari o tubercolari; tbc può colpire sia disco che osso)
7. Fratture e crolli vertebrali (dovute principalmente a tre cause: traumatica, osteoporosi, mieloma
multiplo). Le metastasi determinano invece osteolisi. Se anziano si fa terapia conservativa, se no
cifoplastiche o vertebroplastiche.

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8. Tumori vertebrali
9. Radicolite post-virale da herpesvirus: sintomatologia subdola con mal di schiena e dolore urente alla
gamba se colpisce lo sciatico
10. Stenosi: congenite, ernia del disco, ipertrofia faccette articolari. Claudicatio neurogena. Neuromodulatori
come gabapentin
11. Visceralgie come coliti o dolore pancreatico
12. Tumori vertebrali

PROCESSO DIAGNOSTICO
Anamnesi
Bisogna chiedere al pz se ha patologie oncologiche, gastrointestinali (perché ci sono le pseudolombalgie che
in realtà sono “visceralgie” come ad es. colite cronica), se ha osteoporosi, se è dimagrito, se ha avuto traumi
etc… per conoscere le condizioni generali del pz e orientarci nella diagnosi. Valutare età, professione, se fa
sport. Chiedere da quanto tempo presente e se peggiorato.
L’anamnesi è uno dei punti principali del processo diagnostico (anche dal punto di vista medico legale). Le
domande classiche sono: “Lei soffre di qualcosa?”, “Che farmaci prende? (può aiutare a conoscere patologie
che il pz non riferisce)”.

Esame obiettivo
La prima cosa è osservare il pz per vedere la sua postura; ovviamente non esiste la postura ideale, inquanto
essa è funzionale allo stile di vita del pz. Bisogna valutare se è una “postura antalgica”, ovvero una posizione
assunta (ad es. scoliotica) per ridurre la sintomatologia dolorosa.

Valutare integrità nervosa attraverso presenza di sintomi motori e sensitivi. L’innervazione multiradicolare
consente di fare diagnosi differenziale confrontando se, quali e in che misura i muscoli innervati dalle stesse
radici (ma possibilmente da nervi diversi) sono indeboliti.

Successivamente bisogna eseguire delle manovre.


La manovra di Lasègue: manovre dove facciamo stendere il pz sul lettino e solleviamo la gamba per stirare
lo sciatico (ricordiamo che lo sciatico è elettrico): se è coinvolto lo sciatico la manovra diventa dolorosa e già
a 30 gradi il pz avvertirà una sintomatologia dolorosa. Se il pz presenta dolore, ma sopporta un allungamento
anche di 60-70° non si parla di Lasègue positivo, bensì potrebbe trattarsi di un accorciamento dei muscoli
posteriori della coscia (in tal caso si parla di pseudo-Lasègue e si classifica tale se la gamba riesce ad
ottenere un angolo sul lettino che va da almeno i 40° fino a circa i 90°).
La stessa manovra viene fatta al contrario, e prende il nome di Manovra di Wasserman (o Lasègue inverso)
e serve a studiare le radici di L3 e L4. Manovra di Valleix.

- Muscoli innervati da L5: uno dei due capi del bicipite femorale, estensore lungo dell’alluce e estensore
breve delle dita. L’estensore lungo dell’alluce è il muscolo che in caso di sciatalgia si indebolisce per primo.
Questo test è importantissimo. Tibiale anteriore e lungo peroniero (L4-S1) sollevano la caviglia come fossero
i fili di una marionetta, motivo per cui se ho un deficit del lungo peroneo ma non del tibiale anteriore, se
chiedo di effettuare una dorsiflessione il piede si solleverà in supinazione. Se invece ho un deficit del tibiale
anteriore e non del lungo peroneo (cosa molto rara), in dorsiflessione il piede si solleverà in pronazione.
- Muscoli innervati da S1: Tricipite surale, capo lungo del bicipite femorale. In caso di deficit il pz non
riesce a stare sulla punta del piede.

Dopo di che dobbiamo vedere la forza muscolare dell’estensore del piede e dell’estensore delle dita:
valutiamo la forza perché quando c’è una compressione radicolare può esserci dolore neuropatico seguito da
paralisi che può essere subclinica: valutiamo se nel sollevare il piede (o l’alluce) facendo un po’ di
resistenza, la forza è analoga in entrambi i lati → questo indica che la lesione lombare sta coinvolgendo le
fibre motorie del nervo periferico. L4 (flessione coscia su bacino estensione gamba) L5 (flessione dorsale)
S1 (flessione plantare)

Dopo di che valuto i riflessi.


Eseguo il riflesso rotuleo per valutare la radice di L4 (ovvero la radice predominante): se c’è una lesione da
secondo motoneurone il riflesso sarà ipovalido/ipoevocabile o assente.

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Se invece il riflesso è ipereccitabile significa che c’è stata una lesione del primo motoneurone.
[quindi se è ipovalido la lesione è periferica; se è ipereccitabile è centrale]
Eseguo il riflesso achilleo e medio plantare che servono per le radici L5 e soprattutto S1.

Poi valutiamo l’articolarità (quanto piega la colonna in flesso estensione ed in latero-laterale e il numero di
gradi): perché questo è uno dei criteri insieme al dolore per capire se bisogna operare o fare un trattamento di
riabilitazione.

Esami strumentali
Le indagini strumentali devono essere inerenti al tipo di sintomatologia.
• RX Standard: è utile perché vediamo le spondilolistesi, le scoliosi, le fratture vertebrali, gli emispondili
congeniti => non è obsoleta e da info che altre metodiche non ci danno.
Nella spondilolistesi conviene fare, se non c’è dolore, l’RX dinamica (massima estensione e massima
flessione).
• La TAC è un po' meno richiesta ultimamente per questo tipo di patologia (può essere fatta anche in3D):
fa vedere le ernie, le cisti sinoviali.
• La RM ad alto campo ci fa vedere oltre alle ernie, soprattutto i tessuti molli come il midollo ed encefalo
(bisogna fare una RM ad alto campo, ovvero RM chiuse, quelle aperte sono a basso campo e adatte a
piccole articolazioni, come ginocchio, caviglia, polso ecc.).
• Si può fare anche la trattografia per studiare i nervi (ancora eseguito in poche strutture in Italia): utile,
ad esempio, in caso di incidenti stradali e non si capisce se il braccio paretico è dovuto ad una lesione di
plesso o una lesione di radice.
• Si può eseguire anche l’elettromiografia che studia il secondo motoneurone: definisce la gravità della
neuropatia periferica, permette di fare diagnosi differenziale fra una lesione tronculare e una lesione di
radice, distingue la patologia periferica da quella centrale, se si ha interessamento del nervo o della
radice del nervo permette, inoltre, di valutare se si tratta di una sciatalgia pre-gangliare o post-gangliare
e ciò è possibile in quanto i corpi cellulari nervosi sono localizzati a livello dei gangli, dunque, se la
neuropatia è pre-gangliare i potenziali sensitivi saranno normali, se invece la lesione neuropatica è
localizzata lungo il decorso dello sciatico (e quindi post-gangliare) saranno alterati.
• Esami ematochimici: crollo vertebrale in un giovane sospetto mieloma multiplo, ricerca processo
antinfiammatorio, e marker malattie autoimmuni come connettiviti.

TRATTAMENTO
Il trattamento dipende dalla causa. È essenzialmente di 2 tipi:
• conservativo
• chirurgico
TRATTAMENTO CONSERVATIVO (che non necessitano intervento chirurgico)
Trattamento farmacologico
La prima regola da seguire è che se il dolore è nocicettivo bisogna utilizzare FANS o con i nuovi etoricoxib
(ma bisogna stare attenti perché possono dare problemi con la pressione quindi attenzione ai pz che hanno
problemi cardiovascolari). Poi si usano i mioralassanti centrali e periferici e anche gli antidepressivi.
Gabapentin usato per ridurre il dolore neuropatico. In caso di ernia che interessa il SNP si possono usare
corticosteroidi.

Fisioterapia funzionale
Si utilizzano le correnti tens, ovvero correnti che hanno la capacità di “chiudere il cancello al segnale
doloroso” il quale non riesce a passare ed hanno un effetto transitorio. Sull’azione di caldo o il freddo ci sono
evidenze scientifiche moderate. In fase subacuta si dovrebbero fare la fisioterapia, la massoterapia, le
trazioni, esercizi attivi. Si può utilizzare anche la Tecar nei muscoli paravertebrali. L'educazione posturale
globale si fa quando il paziente è guarito per evitare che ritorni il mal di schiena. In merito alla laserterapia
dati insufficienti per dimostrare l'efficacia clinica.

Supporti lombari
È un’arma a doppio taglio perché rende ipotonici i muscoli paravertebrali e gli addominali quindi quando
toglie il busto potrebbe stare peggio di prima. Vanno usati per un breve periodo (ad es. in ortostatismo o nei
viaggi in macchina) o in fase acuta.

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Posturale
Massoterapia, trazioni, esercizi attivi (RPG rieducazione postura globale).

EBM Evidence Based Medicine


È il pane quotidiano dei centri di fisioterapia, sono molto utilizzati anche senza un’evidenza scientifica
consolidata.
Sulla terapia fisica c’è poco in letteratura. Confronto con assenza di trattamento ed altri trattamenti
conservativi. Gli esercizi non hanno efficacia nella lombalgia acuta.
Qualche evidenza di efficacia nella lombalgia subacuta (riduzione assenteismo). Moderata efficacia nella
lombalgia cronica su dolore e funzione.

Revisione di Hayden:
Maggiori effetti su dolore e funzione con:
• esercizi individuali
• supervisione del terapista
• lunga durata
• interventi addizionali
• stretching e rinforzo

Ricordiamo per cultura personale (non ai fini dell’esame):


• Il metodo Souchard
• Il metodo Meziere

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EMOFILIA
È una malattia ereditaria recessiva, legata al cromosoma X, caratterizzata da un deficit di uno dei fattori della
coagulazione. Sulla base di questo deficit vi sono due tipi:
o Emofilia: A, con deficit del fattore VIII
o Emofilia B, con deficit del fattore IX.
In relazione alla percentuale di fattore VIII o IX presente nel sangue esistono diversi gradi di gravità. La
prevalenza della malattia è di 1:5000 nati vivi per l’emofilia A e di 1:30000 nati vivi per la B.
I soggetti affetti assumono per via endovenosa il fattore di cui sono carenti.
La patologia comporta nel complesso un deficit nel processo di coagulazione e quindi una predisposizione
alle emorragie, che si vede a carico di vari organi, soprattutto quelli che vanno incontro a traumatismi
(nonostante la terapia). Si tratta di:
- apparato masticatorio (denti, gengive)
- apparato gastrointestinale, per il passaggio meccanico del cibo
- muscoli
- articolazioni.

Le emorragie più minacciose per la vita sono a carico di:


- SNC
- apparato gastrointestinale
- collo/gola
- quelle da traumi severi.
Le emorragie a livello delle articolazioni rappresentano il 90% delle emorragie con conseguente problema
osteo- articolare.
Le emorragie si presentano nonostante la terapia per:
- scarsa compliance del paziente alla terapia, considerato che si tratta di soggetti giovani o bambini, che
sono obbligati a fare questa terapia endovena per tutta la vita a giorni alterni o due volte alla settimana;
- la somministrazione non copre del tutto il deficit del paziente;
- pazienti residenti in paesi in via di sviluppo in cui il farmaco non è sempre disponibile;
- soggetti che vanno incontro a traumatismi ripetuti per cui nonostante siano coperti dal farmaco in
termini di deficit manifesteranno emorragia (basti pensare ai bambini che giocano, cadono, litigano tra di
loro);
[La presenza di gonfiore, all'interno dell'articolazione viene identificato in prima istanza come idrarto fin
quando non si appura la presenza di sangue che darà il nome di emartro]
La presenza di sangue all'interno dell'articolazione, per una serie di fenomeni a cascata legati al ferro, alle
citochine e tutta una serie di molecole presenti nel sangue che si depositano sulla guaina sinoviale, darà un
danno a quest’ultima. La membrana sinoviale andrà incontro a un'ipertrofia iniziale, poi a
un'infiammazione acuta, in seguito cronica, infine comincerà a sanguinare. Si crea quindi un circolo
vizioso per cui il sangue iniziale porterà all'uscita di altro sangue con aumento del danno.
Si ha in conclusione una distruzione della cartilagine articolare. Quest'ultima non può ricostruirsi (ci sono al
massimo dei farmaci proteggono la cartilagine, la lubrificano, la nutrono ma non esiste un prodotto che la
rigenera). In sintesi si ha:
• versamento ematico
• inibizione dei componenti di sintesi della cartilagine
• cambio dell'integrità della cartilagine
• distruzione della cartilagine.
Nel frattempo, abbiamo ipertrofia della membrana sinoviale, che crea sanguinamento, quest'ultimo crea
distruzione della cartilagine e ancora deposizione di prodotti di degradazione del sangue che danno altra
infiammazione sinoviale.
Si tratta quindi di un fenomeno che si autoalimenta.
Quando si esamina un paziente con artropatia emofilica si deve comprendere in quale tratto del corso
patologico della cartilagine (emartro, sinovite reattiva, artropatia distruttiva o nell'anchilosi articolare) il
paziente si trova, relativamente all'articolazione affetta. La terapia dipenderà dal danno e quindi dalla fase in
cui si trova la cartilagine.

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Relativamente alla fase artrosica cioè alla fase in cui la membrana sinoviale è stata abbastanza danneggiata e
sono stati danneggiati i condrociti per cui si arriva all'osso, abbiamo una classificazione di Kellgren-
Lawrence che prevede 4 gradi. Più alto è il grado meno spazio intrarticolare c'è tra i capi articolari. Quando
finisce lo spazio articolare o quando la sintomatologia algica è molto avanzata c'è solo una via d'uscita: la
protesi, anche nei soggetti giovani.
Segni e sintomi
- deformità ossea
- sviluppo di osteofiti
- dolore cronico
- perdita della gamma di movimento e forza muscolare periarticolare e propriocezione alterata
- alterazioni psicologiche (diminuzione della percezione della qualità della vita)

Diagnosi
RX, iperdiafania in corrispondenza dell’articolazione interessata dalla sintomatologia algica e dal gonfiore,
questo è un segno di inizio di alterazione artrosica.
Trattamento
La fisiatria agisce sulla base dell'evidence based medicine (EBM)
- home exercise program, in quasi tutti gli articoli si parla di programmi domiciliari
- contrazioni isometriche, contrazioni in cui il muscolo rimane della stessa lunghezza pur contraendosi,
sono quelle che rafforzano la struttura muscolare attorno all'articolazione che serve a sostenere la stessa
articolazione e danno meno fastidio all'articolazione infiammata. Se iniziamo infatti a muovere
un'articolazione con artropatia emofilica non facciamo altro che aumentare la quota infiammatoria.
Dobbiamo però tenere i muscoli allenati per sostenere il peso corporeo e levare dall'articolazione tutto il
grave o cinetico e cinematico.
- infiltrazioni articolari, pratica molto diffusa in fisiatria, in cui bisogna garantire la sterilità della cute
(per non determinare sinoviti infettive e non trattabili). Le infiltrazioni possono essere fatte con la guida
ecografica (es. anca). Si mette l'ago dentro l'articolazione, ma con l'ecografia si evita di danneggiare
arterie e nervi, e si introduce dentro acido ialuronico. È bene che la sonda sia lontano dall'ago, poiché la
sonda non sarà mai sterile.
L'acido ialuronico utilizzato è quello utilizzato anche in estetica, in particolare in quest’ultima branca è
associato a tossina botulinica. L'acido ialuronico utilizzato è chimico, non umano, questo lubrifica
l'articolazione e nutre ma non rigenera la cartilagine. L'acido ialuronico va iniettato nell'artropatia "secca"
(si intende una fase non infiammatoria), cioè non quando c'è ipertrofia e secrezione della sinovia ma
quando il danno è già fatto altrimenti mettiamo altro liquido in un'articolazione già colma. In caso di
artropatia in fase infiammatoria usiamo sostanze corticosteroidee all'interno dell'articolazione.
Le formulazioni di acido ialuronico non sono tutte uguali, ci sono vari pesi molecolari, si utilizza un PM
piuttosto che un altro sulla base della gravità dell'artropatia emofilica in maniera direttamente
proporzionale. Le ditte che producono acido ialuronico fanno una distinzione tra viscosupplementazione
e viscoinduzione. La prima è il meccanismo per cui un'articolazione che ha perso la sua capacità
articolare e artrosica ha bisogno di una supplementazione di acido ialuronico in mancanza di un liquido
sinoviale idoneo che la supporti e che la faccia scorrere. La seconda serve a indurre un miglioramento
della cartilagine, del liquido sinoviale presente o dello stato nutritivo della cartilagine.
L'ingresso dell'ago nell'infiltrazione del ginocchio mediante il processo sotto rotuleo è localizzato è 2-3
cm lateralmente rispetto alla base della rotula. L'ago è diretto verso il margine superiore dell'osso, si
procede quindi a delimitazione con penna dermografica dei margini della rotula e del tendine rotuleo e si
identifica il tipo di iniezione. Dopo accurata disinfezione della cute con soluzione iodata si procede
all'infiltrazione. Bisogna sempre procede in aspirazione e successivamente introdurre il farmaco nella cute
facendo attenzione a che l'ago non sia posto troppo superficialmente, oppure troppo in profondità e
toccare la faccia superiore del femore.
Questo trattamento non si fa soltanto nell'artropatia emofilica ma anche in tutti gli altri tipi di artropatia.
[Digressione: anche la PRP (Platelets rich plasma), l'ultima novità dell'infiltrazione articolare per la
cartilagine, crea una condizione di condroprotezione ma non di rigenerazione. Non si tratta infatti di cellule
mesenchimali che si trasformano in condrociti. A questo proposito bisogna dire che l'utilizzo delle cellule
staminali in medicina, spesso non è chiaro, per chi osserva dall'esterno. Non è dimostrato infatti in nessun
modo che una cellula staminale in un determinato tessuto malato si trasformi in una cellula specifica per quel

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tessuto sana che ne promuova la rigenerazione; al massimo si è riusciti a osservare che la cellula staminale,
in alcuni tessuti, come quello cardiaco, secerne dei fattori di protezione per le cellule sane del tessuto. Nel
tessuto nervoso si è visto anche che le cellule staminali non si trasformano in neuroni. La terapia con cellule
staminali risulta utile solo in ematologia. Spesso addirittura si è visto che i soggetti che si recano nei paesi in
cui la legislazione non è dura nella terapia con cellule staminali, tornano con malattie infettive o
neoplastiche]

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SCALE DI VALUTAZIONE
1. Scala di Barthel;
2. Scala FIM;
3. Scala di Ashworth

4. Glasgow Scale

SCALA DI BARTHEL

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SCALA FIM (FUNCTIONAL INDEPENDENCE MEASURE)


Functional Independence Measure è uno standard internazionale di misura della disabilità. Il suo elemento
principale è la scala FIM®. Essa si presenta come un questionario che censisce 18 attività della vita
quotidiana (13 motorio-sfinteriche, 5 cognitive). Ogni attività può ricevere un punteggio variabile fra 1
(completa dipendenza dagli altri) e 7 (completa autosufficienza). I punteggi cumulativi producono un indice
quantitativo della disabilità della persona. Una scheda standard socio-sanitaria consente di correlarli a
variabili rilevanti a fini clinico-epidemiologici.
Il punteggio FIM™ ha una grande validità metrico-statistica, è un indice di appropriatezza del ricovero e di
efficacia della riabilitazione, è correlato al tempo di degenza ed ai minuti di assistenza. Il profilo dei punteggi
nelle singole voci fornisce informazioni sulla necessità di riconsiderare specifici processi assistenziali.

I campi di applicazione spaziano dalla degenza riabilitativa post-acuta, alla casa di riposo, all'assistenza
domiciliare.

SCALA DI ASHWORTH

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GLASGOW SCALE

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EREDOATASSIE
Di fronte ad un paziente che cammina male, che ha disturbi della coordinazione e a cui si associano disturbi
dell'equilibrio ed instabilità, bisogna sospettare che tale paziente abbia un’atassia.
Atassia: alterazione della coordinazione motoria in assenza di disturbi della forza e del tono muscolare.

Eredoatassie: sono un gruppo eterogeneo di malattia genetiche rare (circa 3000 pazienti affetti in Italia) che
coinvolgono il SNC (ma in alcune anche il periferico, a detta del professore).
Hanno una età di insorgenza variabile, a seconda delle diverse forme.
Alcune insorgono in età infantile (atassia di Friedrich, la quale coinvolge anche il SNP), altre in età adulta.
La fascia di età più colpita va dai 20 ai 60 anni.
Sono dunque malattie ereditarie, le quali però, a differenza di altre, non si manifestano subito nei primi anni
di vita ma si manifestano nel corso della vita.

Il disturbo caratterizzante di questi quadri clinici è l'atassia, cioè l’incapacità di eseguire un movimento
volontario propriamente orientato nella direzione della forza, e la difficoltà nella coordinazione dei
muscoli necessari alla sua corretta esecuzione.
In parole povere l'atassia è data da questa difficoltà a coordinare i movimenti. L'atassia coinvolge sia gli arti
inferiore sia gli arti superiori (più raramente).

Esistono differenti tipi di atassia:


o Atassia Cerebellare, legata a lesioni cerebellari delle vie spino-cerebellari;
o Atassia Sensoriale, legata ai nervi spinali sensitivi e alla lesione delle vie della sensibilità profonda
(cordoni posteriori del midollo);
o Atassia Labirintica, legata a lesioni del complesso vestibolo-cerebellare;

Semeiotica delle atassie


o Atassia Statica, è un’atassia che si manifesta con il soggetto in piedi fermo, senza camminare.
Ha come segno clinico il fatto che il paziente sta con la base d'appoggio allargata (poggia le gambe
larghe), ciò aumenta la sua stabilità posturale.
Il segno di Romberg sarà positivo (facendo chiudere gli occhi a paziente fermo, esso tenderà a cadere),
ciò è dovuto alla presenza di retropulsione, lateropulsione e/o anteropulsione.

o Atassia Dinamica o della marcia, essa si manifesta quando il soggetto cammina. Sono soggetti che
stanno con la base d'appoggio stretta normalmente (quando sono fermi) ma che appena iniziano a
deambulare tendono ad allargarla.
Durante la marcia le braccia saranno abdotte a bilanciere.
I sintomi tendono a peggiorare in condizioni di scarsa luminosità o su terreni sconnessi. Ciò accade
perché il paziente atassico basa molto il suo equilibrio sulla vista poiché ha difficoltà a capire dove sono i
suoi arti nello spazio e difficoltà di equilibrio.

o Atassia Segmentaria: si manifesta con dismetria o con adiadococinesia.

Le strutture colpite elettivamente dalle atassie sono:


- Cervelletto
- Tronco Cerebrale
- Gli emisferi cerebrali e il Midollo Spinale possono essere interessati con vario grado causando la presenza
di segni clinici specifici.

In base alle porzioni anatomiche colpite avremo quadri clinici distinti:


▪ sindrome vestibolo cerebellare: da atassia statica e dinamica durante la marcia;
▪ sindrome paleocerebellare: da atassia del tronco ed andatura a base allargata;
▪ sindrome pontocerebellare: da atassia segmentaria, dismetria e tremore intenzionale.

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Segni clinici precoci


- Progressiva atassia della marcia
- Progressiva atassia degli arti, la patologia colpisce dapprima gli arti inferiori per poi gradualmente
interessare i superiori
- Tremore
- Disartria
- Nistagmo

Segni tardivi
- Oftalmoplegia
- Disfagia
- Disturbi extrapiramidali
- Riduzioni acuità visiva
- Deterioramento cognitivo
- Alterazioni scheletriche della colonna vertebrale
- Disturbi cardiaci
- Disturbi broncopolmonari
- Disturbi sfinterici

Cause
• Alterazione del DNA in un gene.
• Errore del prodotto genico, con sintesi proteica anomala e conseguente formazione di inclusi intranucleari
che determinano la lenta perdita di funzioni neuronali in diverse parti del SNC.
• Espansioni nucleotidiche, presenza di sequenze ripetute nel genoma. L'aumento di numero di queste
sequenze ripetute si associa ad una maggiore precocità d'esordio della patologia Fenomeno
dell'anticipazione, il disturbo si presenterà sempre più precocemente nelle diverse generazioni per
aumento di queste sequenze.

Classificazione
- Atassie Progressive con o senza interessamento sistemico;
- Atassie Non Progressive, stabili per tutta la vita; Cayman
- Atassie Episodiche ed Intermittenti/Periodiche, da porre in dd con sindromi psichiatriche;
- Atassie con Mioclono ed Epilessia;
- Atassie a patogenesi non identificata.

ATASSIE PROGRESSIVE CON O SENZA INTERESSAMENTO SISTEMICO


Possono essere AD o AR oppure c'è un’ereditarietà materna con disordini mitocondriali.
Tra le atassie AD si annoverano le Atassie Spinocerebellari dette anche SCA e l’atassia dentato-rubro-
pallido- lewisiana.
Le SCA sono di diverso tipo:
- SCA tipo 1, da atassia cerebellare con segni di coinvolgimento più esteso del SN. Presenta quindi
spasticità e neuropatie periferiche, parkinsonismi, mioclonie, disfagia e demenza. Sono un insieme di
patologie neurologiche che si presentano contemporaneamente.
- SCA tipo 2, da atassia cerebellare con retinopatia pigmentosa;
- SCA tipo 3, da atassia cerebellare pura. Si può associare a deficit dei nervi cranici e segni extrapiramidali;
- SCA tipo 7, si associa a degenerazione retinica e cecità, le quali possono precedere l'atassia vera e
propria.
Le forme AD possono avere un esordio tra i 20 e i 60 anni. La proteina più frequentemente coinvolta è
l'ataxina.
La prognosi è più favorevole per le forme con esordio in età più avanzata, poiché l'evoluzione della
patologia richiede circa 15 anni entro i quali si ha la perdita della capacità di deambulare.

Atassia dentato-rubro-pallido-lewisiana
La proteina coinvolta è l'atrofina 1, la sintomatologia prevede:

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- Atassia;
- Corea;
- Epilessia;
- Mioclono;
- Demenza;
Si associa ad atrofia spinocerebellare e multisistemica.

Atassie AR
Comprendono l'Atassia di Frederich (che coinvolge anche il SNP).
Si associa ad alterazione cromosoma 9 a livello del gene fratassina, espansione GAA (implicato nel
metabolismo mitocondriale e del Ferro) -> la mutazione causa accumulo di Ferro mitocondriale. Atrofia
cordoni posteriori, degenerazione spinocerebellare, sistema piramidale.
È la forma più frequente di atassia. Colpisce i soggetti in età precoce ed interessa il SNC, il fegato, i reni ed il
pancreas.
I segni di questa atassia sono:
- Atassia di tronco ed arti; atassia tabeto-cerabellare
- Disartria cerebellare
- Assenza di riflessi
- Segni piramidali (segno di Babinski)
- Patologia sensitiva
- Assenza di Riflessi Osteotendinei (presenti nelle Atassie AR)
Si associa a cecità, sordità, cardiomiopatia dilatativa ed alterazioni scheletriche. Terapia non esiste:
antiossidanti e chelanti ferro

Tra le Atassie AR si annoverano anche:


Atassie associate a difetti di riparazione del DNA, queste si dividono a loro volta in:
1. Atassia teleangectasia;
2. Atassia con aprassia oculo-motoria; se ne conoscono due forme dovute ad alterazione di geni distinti:
- tipo 1: apratassina
- tipo 2: senatassina
3. Atassia con deficit di vit. E: si associa a mutazione del genere di trasporto dell’alpha-tocoferolo;
4. Atassia con deficit di coenzima Q10.

ATASSIE EPISODICHE
Sono dette anche parossistiche, sono canalopatie o alterazioni del circolo liquorale (origine ignota).
Le forme associate ad alterazioni dei canali ionici sono distinte in 3 forme AD: EA1 associata ad alterazione
del canale del potassio, EA2 ed EA3 associate ad alterazioni del canale del calcio.
Possono avere durata di minuti od ore. Gli episodi possono essere interrotti da somministrazione di
acetazolamide. I pazienti tendono successivamente a sviluppare atassia progressiva.

ATASSIE MITOCONDRIALI
La più famosa è la MELAS che presenta alterazioni mitocondriali, acidosi lattica ed episodi simil stroke. In
generale si distinguono:
1. NARP, neuropatia, atassia, retinopatia pigmentosa.
2. MELAS, encefalopatia mitocondriale, acidosi lattica ed episodi simil stroke.
3. MERFF, epilessia mioclonica con fibre rosse danneggiate.

ATASSIE A PATOGENESI IGNOTA


1. Sindrome di Angelman
2. Sindrome atassia-tremore correlata alla sindrome della X-fragile

Iter diagnostico eredoatassie


• Anamnesi familiare accurata;
• Esami ematochimici;
• Neuroimmagini (TC e RM);

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• Esami neurofisiologici (PE, EMG);


• Test genetici.
Diagnosi differenziale
Si effettua con numerose patologie:
- Atrofia multisistemica tipo C (olivo ponto cerebellare)
- Atassia paraneoplastica
- Sclerosi multiple
- Atassie Iatrogene (fenitoina)
- Atassia da glutine
- Neoplasie fossa cranica posteriore
- Atassia alcolica
- Degenerazione cerebellare idiopatica

Terapia riabilitativa
- Allenamento coordinativo continuo;
- Somministrazione di riluzolo;
- Somministrazione di alte dosi di idebenone.

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SCLEROSI MULTIPLA
Definizione
Patologia infiammatoria demielinizzante, caratterizzata dalla distruzione della mielina del SNC
(oligodendrociti) che causa progressiva disabilità. Patologia giovanile più comune nelle donne.

Eziologia
Base autoimmune mediata dai linfociti legata a patogenesi multifattoriale. Fattori predisponenti:
o Fumo (irritazione polmoni)
o Pregresse infezioni virali
o Genetici HLA DRB1
o Latitudine

Patogenesi
Il danno mielinico porta a una perdita del supporto trofico dell’assone con rallentamento della conduzione e
deficit neurologico. Successivamente si ha risoluzione dell’infiammazione e rimielinizzazione con recupero
del deficit neurologico, tutto ciò in cronico porta segni sintomi clinici irreversibili.

Clinica
È caratterizzata da riacutizzazioni (deficit neurologico che dura almeno 24h) alternate a periodi di
remissione.
Sintomatologia
o Sintomi motori: ipostenia agli arti
o Neurite ottica retrobulbare
o Sintomi sensitivi: parestesie
o Deficit funzioni piramidali:
▪ Ipostenia
▪ Mioclono piede e rotula
▪ Ipereflessia Babinski
o Deficit funzioni cerebellari:
▪ Atassia
▪ Nistagmo
▪ Tremore intenzionale
o Deficit funzioni tronco cerebrale:
▪ Paralisi facciale
▪ Diplopia
▪ Disfagia
▪ vertigini
o Deficit funzioni sensitive
▪ Parestesia
▪ Disfunzione sfinterica
▪ lhermitte
o Deficit funzioni mentali: demenza
o Epilessia, nevralgia trigeminale, dolore colonna, sintomi extrapiramidali, SNP

Forme cliniche
1. RR (remissioni e riacutizzazioni)
2. SP (secondariamente progressiva)
3. PP primariamente progressiva)
4. PR (progressiva con riacutizzazioni)

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Diagnosi
o Clinica: presenza di attacchi (CIS)
o RM encefalo: ci mostra la presenza di placche di demielinizzazione
▪ Disseminazione spaziale
▪ Disseminazione temporale
o Analisi LCR (indice di link e k index)
o Registrazione potenziali evocati: rallentati.

Terapia
o Acuta:
▪ Boli di corticosteroidi
▪ Miorilassanti
o Di fondo:
▪ IFN beta
▪ Glatiramer acetato
▪ Anticorpi monoclonali natalizumab

Riabilitazione
È difficile stilare un programma riabilitativo di massima, o addirittura impossibile proporre un protocollo a
regole fisse per la riabilitazione del paziente affetto da questa patologia.
Il trattamento riabilitativo cerca di limitare gli esiti funzionali della malattia.
La preservazione del cammino e l’utilizzo delle funzionalità residue sono in questi pazienti prioritaria.
Bisogna prevenire l’allettamento, la formazione di piaghe da decubito e deformità articolari.
Nella fase acuta, spastica, della malattia, si hanno dei disturbi agli arti inferiori ed i muscoli estensori sono
più colpiti. I muscoli abduttori sono più deficitari, mentre gli adduttori prevalenti. La riabilitazione deve
essere a vantaggio dei muscoli ipotonici e si dovranno fare degli allungamenti dei muscoli ipertonici,
soggetti a spasticità.
Bisognerà quindi:
- Effettuare una kinesi passiva dell’articolazione della caviglia e successivo stretching del tendine
d’Achille per evitare retrazioni dello stesso e quindi ovviare all’equinismo del piede. La manovra
deve essere graduale e lenta, con una forza dosata, per evitare un riflesso abnorme
- Mobilizzazione passiva dell’anca in abduzione e adduzione e successivo allungamento dei
muscoli adduttori della coscia.
- Mobilizzazione passiva dell’anca in flesso-estensione e successivo allungamento del muscolo
quadricipite e dei muscoli della loggia posteriore della coscia.
Ulteriore allungamento del tendine d’Achille e del quadricipite da prono

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SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA


Malattia degenerativa caratterizzata da progressiva perdita di I e II motoneurone che colpisce i cordoni
laterali del midollo spinale con riduzione della massa muscolare. Con demenza frontotemporale.

Eziopatogenesi
• Teoria dell’eccitotossicità glutammatergica (necrosi cellulare)
• Ipotesi dello stress ossidativo
• genetica

Sintomi
• I MOTONEURONE:
- Deficit di forza
- Spasticità
- Labilità emotiva
- ROT vitali
- Babinski positivo
• II MOTONEURONE:
- Atrofia (spiccata nel I interosseo dorsale)
- Fascicolazioni
- ROT ridotti
- Crampi
- Disfagia/Disartria
- Insufficienza respiratoria

Forme cliniche
o Forma comune: interessa dapprima i muscoli estensori della mano (atrofia e deficit di forza). La mano è
definita “da scimmia”. Si estende poi a avambracci, spalla, arti inferiori
o Forma bulbare: si manifesta con difficoltà a pronunciare le parole, la lingua (atrofia della lingua,
mammellonata) può avere fascicolazioni o fibrillazioni (fare ECM). Nelle
fasi più avanzate: afasia, compromissione funzione respiratoria, ridotta capacità vitale forzata.
o Forma pseudopolinevritica: inizia con deficit motorio dei muscoli anteriori della gamba → piede
cadente → andatura steppante.

Diagnosi
▪ Clinica: disfunzione di I e II motoneurone in tre distretti (bulbare, arti superiori, arti inferiori)
▪ EMG
▪ Trattografia
▪ RMN (dd ernie)

Diagnosi differenziale
▪ Neuropatie periferiche
▪ SM
▪ Neoplasie

Terapia: Riluzolo
Fisioterapia, nutrizione, respirazione, comunicazione
Terapia riabilitativa
La riabilitazione motoria ha, a seconda degli stadi della patologia, l'obiettivo di:
- Rallentare la perdita delle attività funzionali
- Sviluppare strategie alternative
- Prevenire patologie secondarie

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Mobilizzazioni
- Fase iniziale: moderata attività fisica ed esercizi di stretching.
- Successivamente: esercizi attivi con un minimo di assistenza.
- Infine, la mobilizzazione sarà passiva, mirata a mantenere la mobilità articolare allo scopo di ridurre
irrigidimenti.
Posizionamenti
La posizione della persona va cambiata ogni 2/4 ore.

Obiettivi:
- Prevenzione dei decubiti e degli edemi.
- Evitare le retrazioni muscolo-scheletriche.
- Variare la qualità delle informazioni propriocettive.
• Posizionamento a letto
- Vi sono due posizioni di base in un letto standard: supina e sul fianco.
- Cuscini e asciugamani/teli servono per mantenere un corretto allineamento delle articolazioni e/o
sostenere la persona.
• Posizionamento in carrozzina Valutare:
- l’assetto del tronco
- allineamento dei cingoli scapolare e pelvico
- bacino centrato sul sedile
- capo equidistante dalle due spalle;
- arti superiori posizionati sugli appositi sostegni
- piedi posizionati sull'appoggiapiedi, possibilmente mantenendo l'articolazione del ginocchio a 90°.
Trasferimenti:
- La sensibilità, di norma, è conservata.
- Attenzione al rischio di causare danni.
- Evitare di TIRARE per le braccia il paziente.
- Sostenere il busto ed il capo.

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REPARTI DI FISIATRIA, DEFINIZIONE DI RIABILITAZIONE E


SINDROME DA ALLETTAMENTO
La fisiatria è quella scienza che si occupa del recupero funzionale dopo un evento acuto: i principali campi
d’applicazione sono la neurologia e l’ortopedia. Poi abbiamo anche una fisiatria che si occupa di recupero da
patologie uro-ginecologiche, cardiovascolari, respiratorie.

Suddividiamo i reparti di fisiatria tramite dei codici nazionali: questo perché ognuno di questi reparti ha un
obiettivo specifico diverso, a cui quindi affluiscono pazienti con diverse potenzialità riabilitative.
I codici sono 56, 75, 28 e 60.

CODICE 56: è il classico reparto di riabilitazione intensiva, nel quale vengono trasferiti i pazienti dopo un
evento acuto. Ad esempio, il paziente che ha avuto una frattura di femore, dopo alcuni giorni dopo
l’intervento verrà inviato a questo reparto. L’obiettivo di questo reparto è accogliere pazienti che hanno una
situazione funzionale modificabile; quindi, pazienti che avendo alte potenzialità di recupero possono
migliorare le proprie performance fisiche. Deve essere fornito di alta assistenza medica e infermieristica, in
quanto trattano pazienti in fase acuta/sub-acuta, parliamo di pazienti ad esempio al 3° giorno post-operatorio.
Inoltre, questi reparti devono essere tecnologicamente attrezzati, cioè possedere quei mezzi tecnologici che
oggi usiamo in riabilitazione come la robotica, gli esoscheletri, ecc. Questi pazienti, in 2-3 settimane,
dovranno avere un incremento delle proprie performance fisiche, poi saranno trasferiti al proprio domicilio
dove continueranno l’attività riabilitativa, in proprio o presso strutture accreditate, ma non più ricoverati. Per
entrare in questo reparto i pazienti devono avere delle caratteristiche:
• Possibilità di mettersi in piedi (carico anche parziale)
• Non avere complicanze internistiche che impediscano 2 volte al giorno di fare fisioterapia
• Non avere complicanze alle funzioni corticali superiori tali da rendere difficoltosa la riabilitazione
• Avere un potenziale favorevole di riabilitazione
• Essere cognitivamente presente

CODICE 60: è la LUNGODEGENZA, spesso chiamata però con un termine che fa confondere molti, cioè
lungodegenza riabilitativa. Si fa confusione con il reparto di riabilitazione. La lungodegenza è un reparto in
cui i soggetti che vi sono ricoverati non hanno autorizzazione al carico, non possono caricare, hanno bisogno
di assistenza, soprattutto infermieristica e necessitano di fisioterapia solo per prevenire i danni secondari da
allettamento. Quindi sono pazienti allettati, non riabilitabili, la fisioterapia serve solo a prevenire la
formazione delle piaghe da decubito e delle altre complicanze e mantenere lo stato attuale (più corretto
chiamarle lungodegenze da mantenimento), il ristagno di secrezioni bronchiali, ecc. Magari sono pazienti che
hanno anche disturbi cognitivi e delle funzioni superiori, per cui non li si può riabilitare perché non possiamo
spiegare loro ciò che devono fare. In realtà, alcuni dei pazienti del codice 60 potrebbero, superata la fase in
cui sono non riabilitabili, rientrare nel codice 56.

RSA: altra struttura “pseudo-riabilitativa” è la Residenza Sanitaria Assistita. Anche questa struttura non ha
granché come obiettivi riabilitativi: i pazienti vengono fatti deambulare su un carrello, vengono invogliati al
movimento, ma non ha obiettivi funzionali veri. Sono pazienti che risiedono già nelle RSA prima
dell’intervento o che comunque non hanno potenziale riabilitabile prevedibile e che non essendo autonomi e
non avendo assistenza familiare vengono assistiti in queste strutture.
Quindi tutti questi reparti di riabilitazione hanno una “mission” diversa, non sono la stessa cosa, trattano
pazienti con obiettivi e problematiche differenti.
Quindi, un paziente che proviene, ad esempio, dall’ortopedia e ha un potenziale riabilitabile viene mandato
tra la 3a e la 6a giornata al codice 56. Deve essere munito di:
- radiografie
- elenco della terapia farmacologica in atto
- descrizione di complicanze chirurgiche o internistiche
- esami di laboratorio
- e soprattutto indicazioni sul carico: l’indicazione sul carico viene data sia dal fisiatra in base all’E.O. e
agli esami che il paziente porta, sia dall’ortopedico, in base alla stabilità della frattura trattata.

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Se invece il soggetto non è riabilitabile va alla lungodegenza, codice 60: a questo punto o migliora e quindi
può andare al codice 56 oppure resta non riabilitabile e va o a casa o nelle RSA, se non ha supporto
familiare.

Quando c’è da fare una riabilitazione per un allettamento in seguito ad una frattura nell’immaginario
collettivo c’è il fatto di potenziare un muscolo o di migliorare l’articolarità di una gamba per esempio. Invece
bisogna sapere che ci sono dei cambiamenti importanti in tutto il corpo che influenzano negativamente la
performance motoria, questi sono:
1. Perdita di massa minerale ossea, sia globale (osteoporosi) che distrettuale, nella zona di frattura; ad
esempio, nelle fratture di femore si arriva a perdere il 4,5 % della massa minerale ossea nell’arco dei 12
mesi successivi alla frattura, che non è per niente poco
2. Alterazioni della massa grassa: in un primo periodo il paziente perde massa grassa, accade sin dai primi
3-10 giorni dalla frattura fino ai 2 mesi. Dopo i 2 mesi invece la massa grassa aumenta del 7 % circa.
3. Sarcopenia: è la perdita di muscolo, è molto accentuata. Si parla del 35% nella prima settimana e fino al
60% nel primo anno, considerando sempre una frattura di femore. Quindi diventa difficile la riabilitazione
e il recupero della performance per le alterazioni della massa grassa e della massa muscolare. Il paziente
può stancarsi facilmente ma ciò non deve essere percepito come una mancanza di volontà del paziente,
bisogna essere consapevoli delle trasformazioni nel corpo del paziente.
4. Aumento indici infiammatori: aumentano le citochine e le proteine pro-infiammatorie. Se facessimo una
VES o una PCR in questo paziente con frattura e successivo allettamento le troveremmo elevate. Secondo
diversi studi, questi indici di flogosi ancora dopo un anno permangono su livelli elevati.
5. Diminuzione di capacità cognitive: nel 50 % dei casi, dopo i primi mesi di allettamento. Inoltre nel 25
% dei casi nei mesi successivi può comparire depressione.

La riabilitazione, per essere efficace, deve:


• Servirsi dei giusti setting riabilitativi e della giusta strumentazione (palestre adeguatamente attrezzate,
tecnologiche)
• Considerare le frequenti comorbidità (ipertensione e malattie cardiovascolari, D.M., cirrosi, obesità,
ecc) per eseguire un intervento riabilitativo su misura sul paziente
• Adottare dei protocolli, ogni protocollo presenta degli obiettivi da raggiungere, non si fa ginnastica
tanto per, bisogna considerare il recupero della forza muscolare su una scala da 0 a 5 nei diversi
muscoli, recuperare la flessione, la deambulazione su 2 appoggi, la capacità di salire/scendere dalle
scale, ecc.
• Adeguare l’apporto nutrizionale, soprattutto la quota proteica dato che si instaura la sarcopenia. Non
deve essere lasciato al caso ma bisogna adeguatamente istruire il paziente e i familiari a fare una giusta
dieta in funzione di un più veloce recupero.
• Servirsi di mezzi farmacologici/fisici (esempio: correnti elettromagnetiche) per stimolare il trofismo
osseo, bisogna porre rimedio all’osteoporosi alla quale l’allettato va incontro
• Adeguare l’idratazione
• Prevenire la formazione di piaghe da decubito e le complicanze internistiche
• Dare il carico al giusto momento in accordo con l’ortopedico
• Attenzionare la modalità, la durata, le indicazioni e le controindicazioni per la somministrazione
della riabilitazione, proprio come si fa con un farmaco, attenendosi alle linee guida

E’ stato dimostrato che i pazienti over 65 con frattura di femore che venivano riabilitati e riuscivano a
rialzarsi entro 15 giorni avevano una ridotta mortalità rispetto agli altri.
Infine una curiosità sui Telomeri: cosa c’entrano i telomeri con la riabilitazione? Si è visto che nei soggetti
allettati i telomeri si accorciano progressivamente più velocemente rispetto ai soggetti che fanno attività
fisica in quanto questa è capace di ridurre lo stress ossidativo e l’infiammazione. E quindi l’attività fisica è
correlata ad un aumento in generale della sopravvivenza.

N.B. nella trattazione che il prof fa vengono solamente menzionati i codici 75 e 28. Piccolo
approfondimento: CODICE 75 (NEURORIABILITAZIONE): unità di riabilitazione per pazienti con gravi
cerebrolesioni acquisite, traumatiche e non traumatiche, in grado di sostenere una riabilitazione intensiva
altamente specialistica. CODICE 28: si tratta dell’UNITA’ SPINALE, un centro riabilitativo di alta
specializzazione, destinato alla presa in carico di pazienti con lesioni midollari traumatiche e non.

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SINDROME DA ALLETTAMENTO
La sindrome da allettamento è una patologia multiorgano che coinvolge quasi tutti gli organi (forse la vista
non è coinvolta). È quasi indipendente dalla malattia che l’ha causata, quasi indipendente perché se c’è una
patologia grave è una comorbidità (oltre all’allettamento qui c’è anche la patologia di base). È più grave nel
paziente chirurgico e nell’anziano.
Si può immaginare come una prestazione fisica al contrario, infatti stare allettati richiede un impegno
maggiore di un impegno agonistico perché il corpo non è pensato per stare fermo e nell’allettamento
succedono dei fenomeni che sono tanto più gravi quanto più debole è l’individuo allettato (quindi un anziano
è molto più vulnerabile di un giovane).
Le patologie che portano all’allettamento sono nel 56% cardiopatie e malattie neurologiche, poi anche le
chirurgiche, le neuropsichiatriche, le traumatologiche.
Nell’allettamento c’è una fisiologica riduzione della prestazione fisica, riduzione delle capacità dei vari
apparati, maggiore morbilità e mortalità per patologie croniche, emarginazione, debolezza fisica.

Gli apparati coinvolti sono:


• SNC ed SNP: stato confusionale, aumentata sensibilità alla tossicità dei farmaci e deficit cognitivi, tipici
del paziente allettato da tempo e dell’allettato anziano che perde la cognizione del tempo, dello spazio,
non sa se è giorno, notte, estate, inverno. Declini cognitivo, delirium, depressione, perdita della
rappresentazione dello schema corporeo (neglect), retropulsione.

• Sistema cardiovascolare: riduzione della portata ematica e del ritorno venoso, accumulo di
catecolamine, tromboflebiti agli arti inferiori ed embolia polmonare (utilizzare eparina, trombolitici in via
preventiva), intolleranza allo sforzo e all’ortostatismo;

• Apparato Tegumentario: ci sono forze di compressione, stiramento e attrito a carico della pelle, c'è
anche una riduzione del flusso ematico locale (legato alla pressione), che contribuisce alle lesioni.
Riduzione della percezione del dolore, significa che un paziente non si accorge nemmeno di avere una
piaga. Azione macerante delle urine, delle feci, infatti anche nei migliori centri di riabilitazione in cui il
paziente è seguito, se c'è un tempo che intercorre tra quando il paziente urina e quando viene cambiato
questo può determinare un peggioramento delle condizioni della pelle, perché le urine esplicano la loro
azione macerante contribuendo alla formazione di piaghe e di infezioni cutanee. Si possono aggravare in
celluliti e osteomieliti.

• Apparato Urinario: ritenzione urinaria, residuo post minzionale, questo predispone alle infezioni
urinarie, in aggiunta alla cateterizzazione spesso per lungo periodo. Formazione di calcoli per
ipercalciuria e incontinenza.

• Apparato digerente: anoressia, quindi riduzione del contenuto energetico per minore assorbimento di
sostanze, è vero che l'allettato ha meno bisogno di calorie ma è anche vero che perde massa muscolare,
perde quota proteica quindi ha bisogno di un adeguato apporto nutrizionale, cosa che spesso negli allettati
non avviene in modo adeguato. Stipsi, data da una ridotta assunzione di cibo, dal cambiamento di orari e
di abitudini, dalla mancanza di privacy. Si può arrivare a fecaloma e subocclusione.

• Sistema respiratorio: ristagno di secrezioni bronchiali e riduzione del riflesso della tosse con
conseguenti broncopolmoniti, ma più importante da sottolineare è la riduzione del volume corrente,
atelettasie, desaturazione arteriosa di ossigeno e alterazione del rapporto ventilazione-perfusione. Il danno
è più grave nei soggetti obesi e in chi ha fatto chirurgia addominale maggiore.

• Apparato locomotore: atrofia muscolare e sarcopenia, con deficit di forza, contratture, anchilosi e
osteoporosi (da 3 a 10 giorni). Aumento delle citochine proinfiammatorie e della PCR.

• Apparato metabolico: malnutrizione. Eliminazione urinaria di elettroliti come sodio, potassio, calcio.
Aumento di lipidemia e colesterolemia. Inizialmente perdita di massa grassa, successivamente
quest’ultima aumenta nuovamente sostituendosi al tessuto muscolare.

In conclusione, bisogna ricordare che la sindrome d'allettamento è una patologia multiorgano. È una
patologia nella patologia, visto che subentra in un paziente che è allettato per altre malattie.

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PROTOCOLLO RIABILITATIVO PROTESI D’ANCA


L’intervento di sostituzione dell’anca, chiamato anche artroplastica totale dell’anca, comporta la rimozione
di un congiunto malato dell’anca e la sostituzione con un’articolazione artificiale chiamata protesi. Viene
effettuato per frattura o per coxartrosi importante.
Le protesi utilizzate nell’artroplastica totale dell’anca sono biocompatibili e sono fatte per resistere alla
corrosione, al degrado e all’usura e vengono utilizzate in genere per le persone con danni dell’anca provocate
da artrite o da infortunio.
Seguito della riabilitazione, la protesi d’anca può alleviare il dolore e ripristinare la gamma di movimento e
la funzione dell’articolazione.

Indicazioni
Lo scopo della chirurgia di sostituzione dell’anca è quello di alleviare il dolore e aumentare la mobilità e la
funzione di un’articolazione danneggiata.
Prima di ricorrere alla chirurgia, il medico deve consigliare una serie di accorgimenti che possono prolungare
la vita dell’articolazione naturale (tra tutti un importante fattore determinato dall’attività fisica mirata).
Indicata in caso di dolore, rigidità articolare, scarsa efficacia antinfiammatori e fisioterapia, effetti collaterali
farmaci.
Le condizioni che possono danneggiare l’articolazione possono necessitare l’intervento chirurgico sono:
- Artrosi (primaria o post traumatica)
- Artrite reumatoide
- Frattura
- Tumore
- Osteonecrosi

Controindicazioni
Assolute:
- Infezione in fase attiva dell’articolazione
- Infezione sistemica o sepsi.
- Articolazione neuropatica.
- Tumore maligno che non consente un’adeguata fissazione dell’impianto. Relative:
- Infezione localizzata, in particolare a vescica, cute, torace o altre localizzazioni.
- Muscolatura abduttoria assente o insufficiente.
- Deficit neurologico progressivo.
- Qualsiasi processo che distrugga rapidamente l’osso.
- Pazienti che richiedono procedure urologiche od odontoiatriche pesanti, come la resezione transuretrale
della prostata, che dovrebbe essere eseguita prima della protesi totale d’anca.

Limiti: durata protesi (min 10 anni), limitazione attività sportiva


Rischi connessi all’impianto di protesi d’anca
L’intervento di sostituzione dell’anca è generalmente sicuro, ma come per qualsiasi intervento chirurgico,
alcune complicazioni possono verificarsi.
Tra le più importanti troviamo:
- Embolia
- Infezione
- Frattura delle parti sane dell’articolazione dell’anca
- Lussazione (no adduzione e intrarotazione)
- Allentamento della protesi
- Irrigidimento dell’articolazione
- Usura nel tempo

Protocollo riabilitativo
Gli obiettivi del protocollo riabilitativo sono:
- Evitare lussazioni dell’impianto

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- Ottenere un rinforzo funzionale


- Rinforzare la muscolatura dell’anca e del ginocchio
- Prevenire i rischi da allettamento
- Insegnare ad essere nuovamente autonomi
- Ottenere un ROM quanto più possibile fisiologico senza dolore
- Dual tasking (parlare mentre cammina)
- Training del passo (pz si scorda come camminare, inciampa spesso)

I principali punti del protocollo riabilitativo sono:


1. Divieti assoluti
2. Periodo pre-operatorio
3. Periodo Post-operatorio:
- Degenza
- Domiciliare
- Riabilitazione propriamente detta (con fisioterapista)

Divieti assoluti
I divieti assoluti si danno per prevenire una serie di complicanze che possono inficiare il lavoro svolto dal
chirurgo. Una delle complicanze più insidiose cui si può andare incontro per un atteggiamento errato del
paziente è proprio la lussazione dell’arto operato.
- Non chinarsi eccessivamente in avanti, le mani non devono scendere sotto il livello delle ginocchia.
- Non chinarsi in avanti per alzarsi in piedi, meglio utilizzare le mani per darti una spinta e portare lì anche
in avanti.
- Non portare le coperte e i piedi al busto utilizzando le mani, usare un bastone raccoglitore.
- Non accavallare le gambe
- Non sedersi sulla toilette senza l’apposito rialzino, le ginocchia non devono trovarsi più in alto delle
anche.
- Non sdraiarsi sul fianco senza un cuscino tra le gambe.
- Non stare in piedi con le punte rivolte verso l’interno.
- Usare il corrimano
- Per cambiare direzione staccare bene i piedi

Indicazioni pre-operatorie:
- Istruire il paziente sulle precauzioni per evitare le lussazioni
- Istruzioni sui trasferimenti (letto, bagno, macchina…)
- Entrare uscire dal letto
- Stare seduti sulla sedia
- Salire le scale (nel post intervento il paziente salirà il primo gradino con l’arto non operato, ciò gli darà la
forza di salire caricando sull’arto non operato)
- Scendere le scale (nel post intervento il paziente scenderà il primo gradino con l’arto operato per ridurre
al minimo il rischio di caduta)
- Istruzioni riguardo l’utilizzo del deambulatore
- Esercizi: cosa si inizierà a fare sin dal primo giorno?
Periodo post-operatorio
Una cosa importantissima di cui si deve tener conto è il CARICO.
Il paziente non deve assolutamente poggiare il piede per terra i primi giorni di degenza in ospedale, né a
rientro nella propria abitazione. Sotto consiglio del fisiatra, in accordo con l’ortopedico ed il tipo di
operazione eseguita, si sceglierà infatti quando e come verrà caricata l’anca del peso del corpo.
Il carico deve essere limitato al carico sfiorante (soprattutto se il pz ha subito un’osteotomia del femore di
qualsiasi tipo) nel primo periodo, quindi con l’ausilio dei dispositivi tipo stampella. Dopo 3-4 settimane,
sulla base delle potenzialità muscolari del paziente stesso, potrà iniziare il processo di caricamento che deve
essere sempre graduale fino a non prima delle sei settimane post-operatorio.
Anche il tipo di protesi utilizzata influenza il tempo che deve passare prima di poter poggiare il piede per
terra. Abbiamo 2 tipi di protesi:
- Protesi cementate: vengono utilizzate in pazienti con osteoporosi che impedisce la fissazione diretta

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della protesi all’interno del femore. Attraverso questo processo di cementificazione abbiamo in 15 minuti
la massima presa di questo tessuto osseo che andrà ad abbracciare la protesi all’interno del femore.
- Carico: fino a 6 settimane secondo tolleranza con deambulatore. 4-6 mesi caricando l’arto utilizzando la
stampella nella mano controlaterale.
- Protesi non cementate: di solito vanno fatte in pazienti più giovani poiché va messa ad incastro
all’interno del canale femorale. (sono protesi che imitano la superficie delle ossa, permette
l’accrescimento dell’osso nella protesi) durata maggiore della protesi
Carico: sfiorante per 6-10 settimane 4-6 mesi bastone controlaterale.

I GIORNATA POST-OPERATORIA:
- Allineamento posturale a letto
- Esercizi per l’arto operato e l’arto controlaterale (perché il paziente probabilmente per le successive
settimane starà a letto e dobbiamo evitare un deficit muscolare anche per l’arto sano)
- Esercizi attivi e attivi assistiti per la caviglia che riattivano la pompa plantare ESERCIZI ISOMETRICI:
- Elevazione dell’arto inferiore a ginocchio esteso (se richiesto dal chirurgo, abduzione e laterale dell’arto)
- Contrarre il quadricipite spingendo in basso il ginocchio
- Contrarre i glutei
- Muovere su e giù la caviglia (acceleratore)
- I quattro punti: sollevare il ginocchio flesso, estenderlo, fletterlo, riportare il piede in posizione di
partenza.

IV GIORNATA POST-OPERATORIA:
- Si continuano gli esercizi precedenti
- Si iniziano esercizi più complicati come l’abduzione dell’anca contro gravità
- Si inizia ad aiutare il paziente a mettersi in posizione seduta con le gambe fuori dal letto

VI GIORNATA POST-OPERATORIA:
- Si continuano gli esercizi precedenti
- Al paziente verrà indicato come assumere alla stazione eretta, verranno provati tutti gli accorgimenti che
sono stati imparati precedentemente l’intervento e verrà iniziato alla deambulazione per mezzo di girello
o bastoni canadesi secondo le proprie abilità

PROGRESSIONE DEGLI ESERCIZI:


Quando il paziente è in grado di deambulare Grazia gli ausili di questo dotato, il protocollo richiede che
venga iniziato un percorso di potenziamento muscolare che porterà alla progressiva riabilitazione totale.
- Stretching:
▪ Manovra di Thomas -> tirare il ginocchio sano verso il petto e spingere l’altro in estensione verso il
letto. Questo aiuterà a migliorare ed evitare le contratture della capsula anteriore e dei muscoli flessori
dell’anca (semimembranoso, semitendinoso e il bicipite femorale) (si fa sin dal primo giorno)
▪ Stretching della capsula anteriore estendendo l’arto affetto e flettendo quello sano appoggiandosi a un
deambulatore stabilizzato dal terapista
- Dopo almeno sette giorni dall’operazione si può iniziare a praticare esercizi su cyclette, che facilitano la
flesso-estensione del ginocchio in posizione sicura
- Abduzione dell’anca: eseguire l’esercizio inizialmente come una contrazione isometrica contro resistenza
(barriera del lettino operatore). In seguito, utilizzare un elastico theraband posto intorno alle ginocchia per
aumentare le resistenze
- Abduzioni sul fianco contro gravità
- In stazione eretta abduzioni laterali prima vuoto, poi con utilizzo di pezzetti e carrucole per migliorare la
resistenza
- Dopo sei settimane, iniziare attività di abduzione che prevedono l’utilizzo di corde sportive e step
- Eseguire esercizi di estensione dell’anca in posizione prona per migliorare la tonicità del muscolo gluteo.

Difetti della deambulazione


Non sempre il lavoro svolto viene accettato di buon grado dal paziente, o viene eseguito nel modo corretto
dall’operatore che se ne occupa. Esistono delle condizioni per cui non si recupera completamente il tono

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muscolare preoperatorio, comportando quindi l’insorgenza di tali difetti. Riconoscerli per tempo ci
permetterà di correggerli evitando deficit permanenti al paziente.
1. Quando il paziente esegue un passo anteriore lungo con l’arto interessato e un passo anteriore corto con
l’arto sano. Questo per evitare l’estensione dell’anca operata, che causa una sensazione di tensione a
livello del pube.
2. Quando il ginocchio del paziente cede nella seconda fase dell’appoggio, anche questo si verifica per
evitare l’estensione dell’anca. La flessione del ginocchio è associata ad una prematura elevazione del
tallone.
3. Quando il paziente si tiene davanti a livello del bacino nella fase intermedia e finale dell’appoggio.
4. La zoppia: la più frequente non che è la più difficile da eliminare. Molto spesso è più un fattore
psicologico che è un reale problema meccanico.
Tutti questi difetti della deambulazione possono essere corretti attraverso un’attenta osservazione e
l’insegnamento con dedizione nei confronti del paziente.

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PROTOCOLLO RIABILITATIVO PROTESI GINOCCHIO

Indicazioni
I motivi principali per cui si decide di fare una protesi del ginocchio sono:
- Artrite reumatoide
- Osteoartrosi importate
- Emofilia
- Traumi importanti (anche se solitamente si evita di fare un’artroplastica in soggetti traumatizzati perché
solitamente si tratta di soggetti giovani)

Tipi di protesi
Il ginocchio è composto da tre comparti:
- interno (mediale)
- esterno (laterale)
- anteriore (femoro-rotuleo)
Ognuno di questi comparti può essere rivestito singolarmente con una protesi definita mono-
compartimentale, oppure tutti e tre possono essere sostituiti con una protesi totale del ginocchio.

PROTESI PARZIALE DEL GINOCCHIO


In passato, la sostituzione parziale del ginocchio era l’opzione chirurgica dedicata prevalentemente ai
pazienti di età superiore ai 60 anni, normopeso, con legamenti perfettamente integri, buona articolarità pre-
intervento ed una leggera deformità.
Oggi, la procedura si esegue su pazienti più giovani che hanno dolore e altri sintomi localizzati solo o
prevalentemente in una parte del ginocchio, anche sovrappeso. Poiché una sostituzione parziale del
ginocchio è meno invasiva di un intervento totale, mediamente comporta un recupero più facile, più rapido,
più completo e una maggiore soddisfazione del paziente rispetto a una sostituzione completa del ginocchio.
Il fatto di lasciare integri i legamenti crociati garantisce la cosiddetta “propriocezione”, ovvero quella
sensazione di sentire il ginocchio come “proprio”.
Le moderne protesi monocompartimentali hanno una sopravvivenza paragonabile a quella delle protesi totali,
naturalmente dipende da caso a caso ma si possono superare i vent’anni. Quando una protesi parziale del
ginocchio si usura, può essere convertita in una sostituzione completa del ginocchio con un eccellente grado
di successo.

PROTESI TOTALE DEL GINOCCHIO


Questa procedura è stata rivoluzionaria per l’ortopedia, dando a molti pazienti la possibilità di tornare a
godersi la vita con impianti della durata media di circa vent’anni.
In casi di gravi deformità, deficit di estensione, oppure di flessione o di usura diffusa di tutti i comparti, i
risultati migliori si hanno con una protesi totale.
Anche a dispetto di una fisioterapia di recupero un po’ più dura all’inizio, i pazienti che si sono sottoposti a
sostituzione totale del ginocchio riferiscono una grande soddisfazione e beneficiano di una maggior
differenza tra il prima ed il dopo l’intervento chirurgico.

Intervento chirurgico
L’intervento di sostituzione di protesi del ginocchio è molto più complicato che mettere una nuova protesi.
Vecchia metodica:
L’intervento comprendeva un’incisione longitudinale sulla rotula, poi incidendo il tendine del muscolo
quadricipite e lussando la rotula esternamente, si andava a rompere la fascia sopra rotulea e si procedeva con
la sostituzione dell’articolazione
Nuova metodica (tecnica artroscopica):
Si fa un’incisione molto più piccola ed è possibile mantenere la maggior parte di queste strutture. In questo
modo otterremo meno problemi durante la riabilitazione.

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Obiettivi della riabilitazione dopo protesi totale di ginocchio


- Prevenire i danni da allettamento (ad es., TVP, embolia polmonare, piaghe da decubito)
- Raggiungere un adeguato ROM
- Rinforzare la muscolatura del ginocchio
- Assistere il paziente nel raggiungere l’indipendenza funzionale nelle attività della vita quotidiana.
- Deambulare indipendente con ausili

Considerazioni riabilitative perioperatorie


Metodi di fissazione per le protesi totali di ginocchio:
Cementata
- Utilizzata per soggetti anziani e sedentari.
A bone ingrowth
- Teoricamente, questo metodo di fissazione non dovrebbe deteriorarsi nel tempo (al contrario della
fissazione cementata) ed è pertanto la scelta ideale per soggetti giovani e attivi.
Tecnica ibrida
- Componenti femorale e rotulea non cementate con componente tibiale cementata.
- Utilizzata frequentemente nei casi in cui sia fallita la fissazione con alcune delle protesi a bone ingrowth
riportate in letteratura.

Riabilitazione di pazienti con impianti “ibridi” rispetto a quelli con protesi totale di ginocchio
cementata
Protesi totale di ginocchio cementata
- Possibilità di camminare con pieno carico (se tollerato) con l’uso di un deambulatore fin dal primo giorno
postoperatorio.
Protesi totale “ibrida” di ginocchio
- Carico sfiorante solo con deambulatore per le prime 6 settimane.
- Per le successive 6 settimane cominciare con il cammino a ginocchio flesso con il carico consentito dalla
tolleranza del paziente.

Legamento crociato posteriore (LCP) - sacrificarlo o conservarlo


Vantaggi della conservazione del LCP
- È potenzialmente più semplice tornare a una cinematica normale del ginocchio, che si manifesta in una
maggiore capacità nel salire le scale rispetto ai soggetti in cui il LCP è stato sacrificato.
Svantaggi della conservazione del LCP
- Eccessivo scivolamento del femore sulla tibia.
- Deve essere riprodotta la linea articolare.
- Maggiore difficoltà nel bilanciare il legamento collaterale.
- Maggiore difficoltà nel correggere le gravi contratture in flessione.

Mobilizzazione passiva continua (MPC) (KINETEC)


Esistono dati discordanti sugli effetti a lungo termine della MPC su:
- ROM
- TVP
- Riduzione del dolore
Molti studi hanno dimostrato come sia ridotto il periodo di ospedalizzazione dei pazienti che, utilizzando la
MPC, hanno raggiunto prima i 90° di flessione. Tuttavia, è stato osservato un aumento delle problematiche
connesse con la ferita operatoria. Esistono vari lavori che dicono come, con l’uso della MPC, si abbiano
miglioramenti a lungo termine (1 anno), mentre altri sostengono il contrario.
Se viene utilizzato un apparecchio per MPC, in molti casi l’arto non raggiunge l’estensione completa. Questo
dispositivo deve essere rimosso più volte durante la giornata affinché il paziente possa lavorare con
l’obiettivo di prevenire una retrazione in flessione.

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Fattori di rischio correlati al paziente per le complicanze postoperatorie


- Uso cronico di corticosteroidi
- Fumo
- Obesità
- Malnutrizione (albumina <3,5 e conteggio dei linfociti <1500)
- Diabete mellito
- Uso di immunosoppressori (ad es., methotrexate)
- Ipovolemia
- Malattie vascolari periferiche

Linee guida riabilitative per la protesi totale di ginocchio


Fisioterapia preoperatoria
- Rivedere i trasferimenti con il paziente.
▪ Dal letto alla sedia.
▪ In bagno.
▪ In vasca con seggiolino da vasca.
- Insegnare gli esercizi postoperatori per il ginocchio e dare istruzioni scritte al paziente.
- Insegnare a camminare con il deambulatore (sfiorante o con carico, secondo tolleranza a discrezione del
chirurgo)
- Rivedere le precauzioni:
▪ Per prevenire possibili lussazioni (Es: evitare gli esercizi per gli ischiocrurali in posizione seduta
quando si usa una protesi stabilizzata posteriormente (che sacrifica il crociato).

Obiettivi riabilitativi in fase di ricovero


- ROM 0-90° nelle prime 2 settimane prima della dimissione dall’ospedale o dall’unità di riabilitazione.
- Rapido ritorno del controllo del quadricipite e della forza in modo da permettere al paziente di
deambulare senza la protesi di ginocchio.
- Sicurezza nel cammino con il deambulatore e nei trasferimenti.
- Mobilizzazione precoce per ridurre al minimo il rischio di danno da allettamento.

A causa delle differenze nei tempi in cui si raggiunge la completa mobilità del ginocchio (soprattutto in
flessione) e nella stabilità dell’impianto nel primo periodo postoperatorio si utilizzano diversi protocolli, a
seconda delle preferenze del chirurgo:
1. Protocollo riabilitativo post operatorio accelerato (Cameron e Brotzman)
2. Protocollo riabilitativo (Wilk)

Protocollo riabilitativo accelerato (CAMERON E BROTZMAN)


GIORNO 1
- Dare inizio a esercizi isometrici
▪ Flessioni dell’anca a ginocchio esteso (SGE).
▪ Contrazioni isometriche del quadricipite a ginocchio esteso.
- Camminare due volte al giorno con la ginocchiera bloccata, assistenza e deambulatore
▪ Protesi cementate: caricare per quanto tollerato con deambulatore.
▪ Protesi non cementate: cammino sfiorante con deambulatore
- Trasferimenti dal letto a una sedia due volte al giorno con il ginocchio in completa estensione su uno
sgabello o su un’altra sedia.
- Apparecchio a movimento passivo continuo (MPC)
▪ Non consentire più di 40° di flessione se non dopo 3 giorni.
▪ Di solito 1 ciclo al minuto.
▪ Aumentare di 5-10° al giorno secondo tolleranza.
▪ Non registrare le misure di articolarità passiva dalla MPC, ma piuttosto dal paziente, poiché
potrebbero differire di 5-10°.

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- Iniziare gli esercizi per il miglioramento dell’articolarità attivi e attivi assistiti. Durante il sonno, sostituire
il tutore di ginocchio con un cuscino sotto la caviglia per favorire l’estensione passiva del ginocchio.

GIORNO 2 – SETTIMANA 2
- Continuare con gli esercizi isometrici per tutta la durata della riabilitazione.
- Utilizzare il biofeedback per il vasto mediale obliquo (VMO) se il paziente incontra difficoltà nel rinforzo
o nel controllo del quadricipite.
- Dare inizio a graduali esercizi per il miglioramento dell’articolarità passiva del ginocchio.
▪ Estensione del ginocchio
▪ Flessione del ginocchio.
▪ Scivolamenti del tallone.
▪ Scivolamenti contro il muro.
- Dare inizio alle tecniche di mobilizzazione della rotula quando la ferita è stabile (3°-5° giorno
postoperatorio) per evitare retrazioni.
- Eseguire esercizi attivi di abduzione e adduzione dell’anca.
- Continuare con gli esercizi attivi e attivi assistiti per l’aumento del ROM del ginocchio.
- Continuare e incrementare questi esercizi fino alla sesta settimana postoperatoria. Prescrivere esercizi da
eseguire a domicilio con un terapista
- Pianificare la dimissione quando l’articolarità del ginocchio coinvolto è compresa tra 0° e 90° e il
paziente è in grado di eseguire

GIORNO 10 – SETTIMANA 3
- Continuare con gli esercizi precedenti.
- Continuare con l’uso del deambulatore finché non indicato diversamente dal medico.
- Assicurarsi che sia stato predisposto il programma riabilitativo o di cura infermieristica domestica.
- Prescrivere una profilassi antibiotica
- Non consentire la guida per 4-6 settimane. Il paziente deve aver recuperato un’articolarità funzionale, un
buon controllo del quadricipite e superato i test funzionali.
- Fornire un deambulatore per l’uso domestico e attrezzature secondo necessità.
- Orientare la famiglia ai bisogni, alle capacità e alle limitazioni del paziente.

SETTIMANA 6
- Iniziare il carico secondo tolleranza con ausili alla deambulazione, se non è già stato fatto.
- Compiere scivolamenti appoggiati alla parete (affondi)
- Eseguire salite e discese dal gradino per il quadricipite
- Iniziare a praticare esercizi in catena chiusa del ginocchio e con progressione per 4-5 settimane.
- Esercizi al cicloergometro.
- Eseguire esercizi su uno sgabello con rotelle (rinforzo degli ischiocrurali)

Protocollo riabilitativo (WILK)


FASE 1: FASE DELL’IMMEDIATO POSTOPERATORIO – GIORNI 1-10
Obiettivi
- Contrazione attiva del muscolo quadricipite.
- Deambulazione sicura (controllo isometrico) e indipendente.
- Estensione passiva del ginocchio a 0°.
- Flessione del ginocchio per 90° o più.
- Controllo della tumefazione, dell’infiammazione e del sanguinamento.
Giorni 1-2
Carico sull’arto:
- Carico secondo tolleranza con deambulatore o stampelle. Mobilizzazione passiva continua:
- Da 0° a 40° secondo tolleranza se la ferita è stabile e non vi sono controindicazioni. Rimuovere il
ginocchio dall’apparecchio per la mobilizzazione passiva continua (MPC) diverse volte al giorno e

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sistemarlo in un tutore bloccato di ginocchio con un cuscino sotto la caviglia (non sotto il ginocchio) per
favorirne l’estensione.
Crioterapia:
- Vengono utilizzate attrezzature in commercio. Esercizi:
- “Pompaggi” della caviglia con elevazione dell’arto.
- Esercizi di estensione passiva del ginocchio.
- Flessioni dell’anca a ginocchio esteso (SGE) se non vi sono controindicazioni.
- Esercizi di estensione del ginocchio tra 90° e 30°.
- Esercizi di flessione del ginocchio (cauti).

Giorni 4-10
Carico sull’arto:
- Carico secondo tolleranza. Mobilizzazione passiva continua:
- Da 0° a 90° secondo tolleranza. Esercizi:
- “Pompaggi” della caviglia con elevazione dell’arto.
- Stretching in estensione passiva del ginocchio.
- Flessione attiva assistita del ginocchio.
- Contrazioni isometriche del quadricipite a ginocchio esteso.
- Flessioni dell’anca a ginocchio esteso (SGE).
- Adduzioni e abduzioni dell’anca.
- Esercizi di estensione del ginocchio da 90° a 0°.
- Continuare con l’utilizzazione della crioterapia. Allenamento alla deambulazione:
- Continuare con la deambulazione in sicurezza.
- Istruzioni sui trasferimenti.

FASE 2: FASE MOTORIA – SETTIMANE 2-6


Criteri per il passaggio alla fase 2
- Controllo dell’arto, in grado di compiere flessioni dell’anca a ginocchio esteso (SGE).
- Esercizi attivi per il ROM da 0° a 90°.
- Dolore e gonfiore ridotti al minimo.
- Deambulazione e trasferimenti autonomi. Obiettivi
- Migliorare l’articolarità.
- Aumentare la forza e la resistenza muscolari.
- Stabilità dinamica dell’articolazione.
- Ridurre tumefazione e infiammazione.
- Decidere il ritorno ad attività funzionali.
- Migliorare le condizioni generali di salute.
Settimane 2-4
Carico sull’arto:
- Carico secondo tolleranza con ausili. Esercizi:
- Contrazioni isometriche del quadricipite a ginocchio esteso.
- Esercizi di estensione del ginocchio da 0° a 90°.
- Estensione del ginocchio in corsa interna da 45° a 0°.
- Flessione dell’anca a ginocchio esteso (SGE) (flessione-estensione).
- Adduzione e abduzione dell’anca.
- Movimenti reciproci degli ischiocrurali
- Accovacciamenti
- Stretching (Ischiocrurali, gastrocnemio, soleo, quadricipite)
- Cyclette per aumentare l’articolarità.
- Continuare con lo stretching passivo in estensione del ginocchio.
- Proseguire con l’uso della crioterapia.

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V anno Polo A-C 2022/2023

Settimane 4-6
Esercizi:
- Continuare con tutti gli esercizi descritti sopra.
- Iniziare:
▪ Salite su gradino (step-up) frontali e laterali (con altezze minime).
▪ Affondi frontali.
▪ Programma in piscina.
- Continuare con la compressione, l’uso del ghiaccio e l’elevazione contro l’edema.

FASE 3: FASE INTERMEDIA – SETTIMANE 7-12


Criteri per il passaggio alla fase 3
- ROM 0-110°.
- Controllo volontario del quadricipite.
- Cammino indipendente.
- Dolore e infiammazione ridotti al minimo. Obiettivi
- Aumento dell’articolarità (0-115° e oltre).
- Miglioramento della forza e della resistenza.
- Controllo concentrico-eccentrico dell’arto.
- Funzione cardiovascolare normale.
- Prestazioni funzionali attive normali.
Settimane 7-10
Esercizi
- Continuare con tutti gli esercizi elencati nella Fase 2.
- Dare inizio a un programma progressivo di deambulazione.
- Dare inizio a un programma di resistenza in piscina.
- Ritorno alle attività funzionali.
- Affondi, accovacciamenti, salita su gradino (step-up) (iniziare con un gradino alto 5 cm).
- Insistere sul controllo eccentrico-concentrico del ginocchio.

FASE 4: FASE DELL’ATTIVITÀ AVANZATA – SETTIMANE 14-26


Criteri per la progressione alla fase 4
- Articolarità completa in assenza di dolore (0-115°).
- Forza con punteggio 4+/5 o all’85% dell’arto controlaterale.
- Dolore ed edema minimi o assenti.
- Esami clinici soddisfacenti. Obiettivi
- Permettere a un paziente selezionato di tornare a un livello di funzionalità avanzato (sport amatoriale).
- Mantenere e migliorare la forza e la resistenza dell’arto inferiore.
- Ritornare a uno stile di vita normale. Esercizi
- Contrazioni isometriche del quadricipite a ginocchio esteso.
- SGE (flessione-estensione).
- Adduzione-abduzione dell’anca.
- Accovacciamenti.
- Salita laterale su gradino.
- Esercizi di estensione del ginocchio da 90° a 0°.
- Cyclette per migliorare l’articolarità e come esercizio di resistenza.
- Stretching.
- Estensione del ginocchio fino a 0°
- Flessione del ginocchio fino a 105°.
- Cominciare gradualmente a praticare golf, tennis, nuoto, ciclismo.

Gestione dei problemi della riabilitazione dopo protesi totale di ginocchio


Contrattura in flessione resistente (difficoltà ad ottenere l’estensione completa del ginocchio)

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V anno Polo A-C 2022/2023

- Iniziare con la camminata all’indietro.


- Effettuare l’estensione passiva con il paziente prono, con il ginocchio fuori dal lettino, con o senza carico
sulla caviglia. Questo esercizio deve essere evitato se controindicato dallo stato LCP della protesi.
- Estensione in eccentrica. Il terapista estende la gamba passivamente e poi resiste mentre il paziente tenta
di abbassarla lentamente.
- A paziente in piedi, flettere ed estendere il ginocchio operato. Per la resistenza può essere usata una banda
elastica.
- Se il problema è l’estensione attiva, utilizzare l’elettrostimolazione e il biofeedback elettromiografico per
la rieducazione dei muscoli.
- L’estensione passiva viene eseguita anche con un rotolo posto sotto la caviglia mentre il paziente spinge
verso il basso sul femore (oppure con un peso posto sulla parte distale del femore)
Flessione ritardata del ginocchio
- Stretching passivo in flessione effettuato dal terapista.
- Scivolamenti in flessione contro la parete assistiti dalla gravità.
- Cyclette. Se il paziente ha perso troppa mobilità in flessione per pedalare con il sellino alto, comincia a
pedalare indietro e avanti finché non è in grado di effettuare una pedalata completa. Di solito, questo
obiettivo può essere raggiunto prima pedalando all’indietro

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PROTOCOLLO RIABILITATIVO PROTESI SPALLA


Obiettivo
Recupero della mobilità. Il maggior impedimento nel raggiungerlo è il dolore:
- Come prima cosa è controllare il dolore: riposo, crioterapia, stimolazioni galvaniche, farmaci
- Secondariamente si pensa al movimento: inizio esercizi.

Mobilità
- Mobilizzazione precoce: da subito si lavora con ampiezze inferiori a 90° di abduzione e flessione.
- Obiettivo immediato: 90° di elevazione e 45° di rotazione esterna con braccio al fianco
- Esercizi: mobilizzazione attiva con carrucola o bastone a T, mobilizzazione passiva e stretching. Inizio
con pz supino, quando si recupera movimento senza dolore esercizi da seduto / in piedi

Rinforzo muscolare
- Dipende dal danno (Es: chirurgia della cuffia rotatori, non deve fare movimenti attivi per 6 settimane per
permettere il saldarsi del tendine ricostruito all’osso della grande tuberosità dell’omero)
- Esercizi:
▪ Si inizia con quelli a catena chiusa (co-contrazione di agonisti e antagonisti) la parte distale dell’arto è
fissa contro un oggetto (es il muro) e si effettuano spinte contro il muro. Es: esercizio dell’orologio (mano
contro muro o tavolo, orientata in posizioni diverse del quadrante dell’orologio.)
È importante il precoce rinforzo degli stabilizzatori della scapola
Posso facilitare il recupero tramite Tecniche di facilitazione propriocettiva (PNF)
▪ Successivamente esercizi a catena aperta: mano non più stabilizzata contro oggetto fisso: aumento delle
forze di taglio che agiscono su spalla.
Es: esercizi pliometrici: un ciclo di allungamento e uno di accorciamento del muscolo (lo scopo è recuperare
forza e potenza muscolare, ma solo quando guarigione e movimento sono completi) con benda elastica
(bande di Theraband) a diversa resistenza, pesi o palla medica.
▪ È importante il programma di condizionamento globale: non trascurare il resto dell’apparato muscolo-
scheletrico: stretching, rinforzo e allenamento alla resistenza degli altri componenti della catena
cinematica
▪ Gli esercizi a domicilio sono fondamentali → componente motivazionale fondamentale per portare a
termine la riabilitazione

ARTROPLASTICA DI SPALLA
È una delle poche procedure chirurgiche coinvolgenti la spalla che richiede ospedalizzazione
postoperatoria. La riabilitazione dopo artroplastica segue i tempi necessari per permettere la guarigione
dei tessuti, la mobilizzazione articolare, il rinforzo muscolare e il recupero funzionale.
- Nuove tecniche chirurgiche sulla GO: l’unico muscolo danneggiato durante l’esposizione chirurgica è il
sottoscapolare: il protocollo riabilitativo è in funzione del tempo di riparazione del tendine del
sottoscapolare. Permettono la riabilitazione già da subito dopo la chirurgia
- Approcci precedenti: Richiedevano il distacco dell’origine del deltoide per esporre la spalla per la
sostituzione protesica. Richiedevano una riabilitazione più conservativa e posticipata per prevenire il
distacco della parte reinserita del deltoide.
La rotazione esterna e interna attiva che il paziente raggiunge nelle prime 4-6 settimane sono limitate dai
parametri di mobilità presenti al momento dell’intervento.
Obiettivo della riabilitazione: raggiungere un ROM che consenta un recupero funzionale.
Riuscita della riabilitazione: dipende da presenza/assenza di buon tessuto della cuffia dei rotatori (CR), i
protocolli riabilitativi postoperatori sono solitamente suddivisi in CR danneggiata e CR intatta.

Protocollo riabilitativo dopo artroplastica di spalla con CR intatta


Fase 1: settimane 0-6
Restrizioni mobilità spalla:
- Limitata in flessione, rotazione e abduzione
- Evitare rotazione interna attiva
- Evitare estensione all’indietro
Immobilizzazione: reggi-braccio (per i primi 7-10gg, dopo solo per agio)

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Controllo dolore:
- Oppiacei
- Fans
- Fisioterapia (caldo umido prima e ghiaccio dopo, Ultrasuoni, SGAV)
Mobilità spalla:
- Obiettivi:
▪ 140° di flessione
▪ 40° di rotazione esterna
▪ 75° di abduzione.
- Esercizi:
▪ Pendolo di Codman per la mobilizzazione precoce
▪ Esercizi passivi per il ROM
▪ Stretching della capsula usando l’altro braccio per aiutarsi in mobilizzazione
▪ Esercizi attivi assistiti (flessione, Estensione, Rotazione interna e esterna)
▪ Progredire a esercizi attivi per il ROM.
Mobilità gomito:
- Passiva -> progredire ad attiva
- Obiettivi: 0-130°
- Esercizi: Pronazione e supinazione se tollerate
Rinforzo muscolare: Solo rinforzo della presa.

Fase 2: settimane 6-12


Criteri per il passaggio alla fase 2:
- Dolore minimo
- Mobilità quasi completa
- Sottoscapolare intatto senza dolore al tendine in rotazione interna contro resistenza
Restrizioni:
- Aumento degli obiettivi del ROM:
Dolore:
- Farmaci e fisioterapia (uguale a fase 1)
Mobilita spalla:
- Obiettivi:
▪ 160° di flessione
▪ 60° di rotazione esterna
▪ 90° di abduzione con 40° di rotazione interna ed esterna
Esercizi:
- Aumentare ROM attivo in tutte le direzioni
- Stretching passivo a fine raggio
- Mobilizzazione articolare per retrazione capsula
Rinforzo muscolare:
- Rinforzo della cuffia dei rotatori (3x/settim):
▪ Esercizi isometrici in catena chiusa
▪ Esercizi in catena aperta con theraband
▪ Esercizi isotonici leggeri
- Rinforzo degli stabilizzatori della scapola:
▪ Esercizi in catena chiusa

Fase 3: mesi 3-12


Criteri per il passaggio alla fase 3:
- ROM completo senza dolore
- EO buono
Obiettivi:
- Accrescere forza, potenza, resistenza della spalla
- Migliorare il controllo neuromuscolare e la propriocezione della spalla
- Preparazione a graduale ritorno ad attività funzionali

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V anno Polo A-C 2022/2023

- Programma mantenimento esercizi a casa


Mobilità:
- Raggiungere mobilità uguale a spalla sana
- Esercizi sia attivi che passivi
Rinforzo muscolare:
- Rinforzo della cuffia dei rotatori: come fase 2
- Rinforzo stabilizzatori scapola: esercizi a catena chiusa e aperta
- Rinforzo deltoide
Rinforzo funzionale:
- Esercizi pliometrici
Massimo miglioramento atteso in 12-18 mesi.

Segnali di allarme:
- Perdita di mobilità
- Dolore continuo

Trattamento delle complicanze:


- Può essere necessario riportare questi pazienti alla routine precedente
- Può essere necessario un maggiore uso delle modalità di controllo del dolore.

Protocollo riabilitativo dopo artroplastica di spalla con deficit CR


Fase 1: fase di mobilità immediata (settimane 0-4)
Obiettivi:
- Aumentare il ROM passivo.
- Ridurre il dolore della spalla.
- Ritardare l’atrofia muscolare
Esercizi:
- Movimenti passivi continui
- ROM passivo:
▪ Flessione 0-90°
▪ Rotazione esterna a 30° di abduzione, da 0° a 20°
▪ Rotazione interna a 30° di abduzione: da 0° a 30°
- Esercizi pendolari
- ROM del gomito e del polso
- Esercizi per la presa
- Esercizi isometrici
▪ Abduttori
▪ Rotazione interna ed esterna
- Corda e carrucola (seconda settimana)
- Esercizi attivi assistiti (quando in grado)

Fase 2: fase di mobilizzazione attiva (settimane 5-8)


Obiettivi
- Migliorare la forza della spalla.
- Migliorare il ROM.
- Ridurre il dolore e l’infiammazione.
- Incrementare le attività funzionali.
Esercizi:
- Esercizi per il ROM attivi assistiti con barra a L (iniziare alle settimane 2-3, se tollerato):
▪ Flessione
▪ Rotazione esterna
▪ Rotazione interna
- Corda e carrucole
▪ Flessione
- Esercizi pendolari

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V anno Polo A-C 2022/2023

- Esercizi attivi per il ROM:


▪ Flessione da posizione seduta (arco ridotto 45-90°).
▪ Flessione da posizione supina (per tutta l’ampiezza disponibile).
▪ Abduzione da posizione seduta 0-90°.
▪ Esercizi con tubolare di rotazione interna e esterna (settimane 4-6).
▪ Manubri per bicipite e tricipite.
- Cauta mobilizzazione articolare (settimane 6-8)

Fase 3: fase di rinforzo (settimane 8-12)


Criteri per il passaggio alla fase 3
- ROM passivo: flessione da 0° a 120°
▪ Rotazione esterna a 90° di abduzione: 30-40°
▪ Rotazione interna a 90° di abduzione: 45-55°
- Livello della forza 4/5 per rotazione interna ed esterna e abduzione (Alcuni pazienti non arrivano mai a
questa fase)
Obiettivi
- Migliorare la forza della muscolatura della spalla
- Migliorare e progressivamente incrementare le attività funzionali
Esercizi:
- Esercizi con il tubolare:
▪ Rotazione esterna
▪ Rotazione interna
- Rinforzo con manubri:
▪ Abduzione
▪ Sopraspinoso
▪ Flessione
- Esercizi di stretching
- Stiramenti con barra a L:
▪ Flessione
▪ Rotazione esterna
▪ Rotazione interna

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V anno Polo A-C 2022/2023

PATOLOGIA DA SOVRACCARICO FUNZIONALE (da OVERTRAINING o


OVERRACHING)
Sono patologie muscolo scheletriche molto frequenti in ambiente sportivo, però si possono avere anche in
ambito non sportivo (es. casalinga, ecografista perché sta tutto il tempo con il gomito in tensione, dentista).
Sono legate all’utilizzo continuativo di un segmento corporeo e i tessuti maggiormente sottoposti ai danni da
sovraccarico sono tendini, muscoli, borse sierose, cartilagine, l’osso persino i nervi:
• Tendini: peritendiniti, tendiniti e tendinosi, tenosinoviti
• Tendinopatie inserzionali o entesopatie, condropatie da overuse
• Lesioni ossee da sovraccarico (fratture da stress)
• Lesioni muscolari da sovraccarico (poco importante dirle)
Le più importanti strutture interessate sono: il tendine achilleo (stress meccanico), il gomito e la fascia
plantare
Il problema di fondo per definizione è di natura funzionale ovvero la ripetizione esasperata (intensità) e
continua nel tempo (frequenza) di alcuni movimenti sportivi può comportare l’insorgenza di questi quadri
clinici.

ENTESI
È una struttura di collegamento tra il tendine e l’osso. Essa è composta dalla parte del tendine che si inserisce
nell’osso, dall’osso e dal periostio. Questa struttura è importante per due ragioni, primo perché è piena di
recettori che inviano un feedback al SNC che rileva la quantità e la qualità delle forze che agiscono su questa
struttura e dà le informazioni necessarie per mantenere il rapporto costante ed equilibrato tra i muscoli
antagonisti ed agonisti permettendoci di mantenere l’ equilibrio, di camminare, muoverci, e secondo perché
questa struttura serve a disperdere il carico per ridurre lo stress meccanico sulle sue strutture, osso e tendine.
Dunque, l’entesi ha funzione di ancoraggio, funzione recettoriale e dispersione di stress derivante dal
movimento. In fisiatria l’entesi è molto importante perché è una struttura che va spesso incontro a patologie
che prendono il nome di entesiti conosciute anche come tendinopatie inserzionali ovvero lesione del tendine
nella sua parte di inserzione dell’osso. Una entesite molto trascurata può esitare in infiammazione della
borsa.
Il tendine può infiammarsi→tendinite, se protratta o recidiva→degenerazione del tendine→tendinopatia
cronica (tendinosi). In questo caso il tendine può arrivare alla rottura. I tendini più frequenti sono il tendine
di Achille e quello del bicipite con retrazione di uno dei due capi (in chi fa lavori manuali soprattutto).

BORSE SIEROSE
La borsa sierosa è una struttura formata da due strati di membrana sinoviale, localizzata tra tendine e osso o
tra cute e osso. Al suo interno è contenuto un sottile strato di liquido sinoviale. La sua funzione è ridurre
l’attrito tra il tendine e la parte ossea. Anch’esse sono spesso sede di patologie insieme alla tendinite che
prendono il nome di borsite. Il traumatismo ripetuto induce, infatti, una condizione di infiammazione: borsite
con comparsa di tumefazione e incremento del volume di liquido. La causa dell’infiammazione spesso è la
ripetuta frizione del tendine sovrastante sull’osso oppure per compressione ab estrinseco. Se il danno
permane e la condizione flogistica perdura si può avere un’evoluzione con ispessimento delle pareti della
borsa, dolore locale ed eventuali complicanze calcifiche o infettive (quest’ultime soprattutto nelle zone
superficiali, dove le lesioni cutanee possono rappresentare la porta d’ingesso per i microrganismi). Le zone
principalmente colpite sono il tendine d’Achille, del calcagno e spesso quello della spalla.

DIAGNOSI
Le borse sono difficili da esaminare, sono poco palpabili quindi per diagnosticare una borsite iniziale
possiamo utilizzare l’ecografia (es. Spalla) mentre se si tratta di una forma avanzata diventa palpabile.
Spesso la borsite è associata all’entesite (tendinopatia inserzionale).

CAUSE DELLE PATOLOGIE DA SOVRACCARICO


CAUSE ESTERNE
- Attrezzatura sportiva incongrua e terreno inadeguato
- Insufficiente riscaldamento prima dell’attività sportiva

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- Preparazione atletica e allenamenti eseguiti in modo non corretto (carico non bilanciato, periodo di
recupero non sufficiente
- Errata esecuzione del gesto atletico ( ripetizione del gesto errato o non corretto)

FATTORI INTRINSECI (ovvero legati alla biomeccanica del singolo individuo)


- Anomalie congenite o acquisite dei sistemi osteoarticolari come cifosi e scoliosi del rachide, ginocchio
varo o valgo, piede piatto o cavo oppure pronato o supinato, le eterometrie degli arti inferiori maggiori di
10-15 mm; squilibri muscolari tra muscoli agonisti e antagonisti. Tutti questi fattori alterano le risultanti
dei vettori di forza che agiscono sui tendini e causano una non corretta distribuzione del carico che
cronicamente espone a sollecitazioni abnormi le strutture tendine;
- alterazioni strutturali del tendine e della sua elasticità
- Deficit metabolici (es. diabete)
- Età (le strutture inserzionali divengono con il passare degli anni meno resistenti ai carichi ripetuti e
presentano minore capacità di recupero funzionale)
- Alterazioni idroelettriche

Esame clinico di un’entesi


Quando si sospetta che un paziente abbia un’entesite, si devono tenere in considerazione 4 stadi. Questa
suddivisione in stadi è una classificazione didattica a cui oggi si aggiungono la risonanza e l’ecografia per
fare diagnosi.
STADIO 1: Dolore esclusivamente in seguito ad attività sportiva o fisica, diffuso e mal localizzabile (dolore
al gomito la notte dopo aver lavorato tutto il giorno al pc)
STADIO 2: Il dolore è presente sia durante che dopo l’attività fisica ed è ben localizzato. Quindi alla
digitopressione ci accorgiamo del dolore.
STADIO 3: Dolore, flogosi (edema, arrossamento, tumefazione) e limitazione nell’azione sportiva
STADIO 4: Il dolore diviene continuo nell’arco della giornata. Dolore cronico
Se le entesiti non sono trattate, tendono a durare a lungo, anche mesi. Talvolta non rispondono ai trattamenti,
quindi vengono trattate chirurgicamente come ad esempio la tendinite di De Quervain.

TRATTAMENTO
Nella prima fase, l’obiettivo principale è la riduzione del dolore e dell’infiammazione perché
un’infiammazione cronica crea una degenerazione del tendine e dunque può causare la rottura del tendine
(principalmente il tendine d’Achille e il capo lungo del bicipite sono più soggetti a rottura in seguito ad
attività sportiva). IMPORTANTE: Quando si rompe il tendine bisogna operare subito per evitare la
formazione di aderenze però mentre nel primo caso (t. Achille) è necessario operare immediatamente perché
il paziente non cammina, nel secondo caso, soprattutto nei pazienti anziani e defedati non si opera perché ci
sono altri muscoli che possono compensare la mancanza.
Dunque, nella prima fase si usano ghiaccio, riposo, FANS + terapia fisico strumentale (TECAR, LASER). Al
prof preme dire che bisogna evitare di usare mezzi fisici che provocano calore quando abbiamo la fase
iniziale della tendinite perché possono aumentare la flogosi; quindi, va utilizzata LASER terapia a bassa
potenza. Invece, nella fase cronica si può utilizzare LASER terapia ad alta frequenza.
Per la terapia è importante il riposo attivo cioè attraverso riduzione ed eliminazione delle attività dolorose e
dei movimenti ripetitivi causali compiuti durante l’attività, integrati ad esercizi di rilassamento muscolare.
Dunque, si mette a riposo solo la zona interessata, e il paziente può continuare ad allenarsi.
Nelle tendinopatie acute o riacutizzazioni si usa la CRIOTERAPIA che provoca vasocostrizione locale e
preserva la saturazione di ossigeno nelle parti più profonde del tendine e produce un effetto analgesico
locale, seppur transitorio.

FARMACI
I farmaci più utilizzati nel trattamento della sintomatologia dolorosa conseguente alla tendinopatia sono:
• FANS per via sistemica o per via locale tramite infiltrazione peritendinea e/o mesoterapia
• Acido ialuronico intratendineo e peritendineo, nelle fasi croniche per nutrire il tendine
(viscosupplementazione)
• Integratori orali per il trofismo musco-tendineo (a base di collagene idrolizzato, vitamine, arginina,
ecc…)

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• PRP (o plasma ricco di piastrine) è un gel piastrinico prelevato dallo stesso soggetto, iniettato per via peri
/intra tendinea, ha una buona capacità di rigenerazione del tendine), introdotto recentemente nella fase
cronica.
Con le infiltrazioni bisogna stare molto attenti perché si rischia di danneggiare il tendine. In una fase acuta,
che tende a protrarsi si possono utilizzare le infiltrazioni di cortisone, facendo però molta attenzione a non
toccare il tendine perché il cortisone lo danneggia. Si devono utilizzare nel tendine in sede peritendinea o in
un pz anziano e allettato, altrimenti si rischia degenerazione del tendine.

TERAPIE FISICHE
Tra le terapie fisiche strumentali quelle che, secondo quanto riportato in letteratura scientifica, sono state
maggiormente oggetto di studio negli ultimi anni per i loro effetti antiflogistici, antalgici e anche di
biostimolazione pro-rigenerativa del tessuto tendineo sono:
- Laserterapia ad alta potenza come il LASER ND-YAG a erogazione pulsata,
- La diatermia a sistema capacitivo-resistivo o TECARTERAPIA
- Terapia con ONDE D’URTO EXTRACORPOREE (ESWT), sono delle onde sonore che creano un’onda
d’impatto verso il tendine e si usano nelle fasi croniche.

TRATTAMENTO FISICO
La rieducazione posturale attraverso esercizi di stretching analitico e globale, l’utilizzo di plantari meccanici
e propriocettivi ed eventualmente la rieducazione posturale globale (RPG). Anche la massoterapia
decontratturante è molto utile, con l’obiettivo di rilassare i distretti muscolari contratti e favorirne
l’allungamento.

ALLENAMENTO
Successivamente e gradualmente esercizi di potenziamento muscolare, prevalentemente isometrico, in
palestra e in piscina terapeutica/riabilitativa. In questa fase, ma anche in quelle successive, risulta inoltre
molto utile l’ausilio del taping neuromuscolare al fine di favorire il rilassamento muscolare, detensionare le
inserzioni tendinee e proteggere l’unità muscolo tendinea dell’overstretching.

ESERCIZIO ECCENTRICO (contrazione durante l’allungamento muscolare)


I metodi di allenamento eccentrico consistono in un tipo di allenamento con i pesi in cui la fase eccentrica (o
fase negativa) del movimento viene prolungata, aumentando la contrazione muscolare nella fase
dell’allungamento. Prendiamo ad esempio il manubrio per i bicipiti. Nel momento in cui si porta il manubrio
verso la spalla (fase positiva), la contrazione è concentrica, ma quando si fa scendere il braccio alla posizione
iniziale (fase negativa) il muscolo si allunga, quindi diventa eccentrica.

EPICONDILITE
L’epicondilite, chiamata anche gomito del tennista, è una tendinopatia che interessa l’inserzione prossimale,
a livello dell’epicondilo omerale, dei tendini dei muscoli
estensori e supinatori del polso, più frequentemente il tendine del muscolo estensore radiale breve del carpo;
in circa 1/3 dei casi viene colpito anche il tendine estensore comune delle dita, e talvolta possono essere
coinvolti anche l’estensore radiale lungo del carpo e l’estensore ulnare del carpo. Gli sportivi in cui si
manifesta più frequentemente l’epicondilite sono, oltre ai tennisti, i golfisti, gli schermitori e gli atleti che
praticano le varie specialità di lancio dell’atletica leggera o il sollevamento pesi.

EZIOPATOGENESI
È meccanica da ipersollecitazioni ma anche da minore elasticità muscolare, alterazioni biomeccaniche
(fattori estrinseci e intrinseci descritti precedentemente).

DIAGNOSI
• Clinica: È una delle diagnosi più semplici perché se il pz riferisce dolore al gomito dopo aver premuto
sull’epicondilo nel 99% dei casi è epicondilite (va sempre confrontato con l'altro lato, poiché l'epicondilo
è di per sé molto sensibile), soprattutto se in seguito ad attività che possono averlo favorito come attività
sportiva prolungata oppure portare i sacchetti della spesa ogni giorno o attività lavorativa che mette sotto
pressione questa zona come ad esempio i parrucchieri). Non sono presenti segni neurologici.

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• Ecografia
• Rx utile solo se c’è un fattore intrinseco osseo (es. osteofita, esostosi)

TERAPIA (La terapia è sempre la stessa per ogni patologia, quindi vedi parte generale iniziale).
Terapia acuta: dovrebbe essere bloccato il movimento del polso; i tutori per le epicondiliti sono fasce che
servono a diminuire la forza sull’epicondilo, NON a bloccarlo del tutto.
Sub-acuta: PRP e mezzi fisici, esercizi
Cronica: trattamento chirurgico (rari per l’epicondilite): tendine Achille e de Quervain anche prima della
rottura

EPITROCLEITE
L’epitrocleite, chiamata anche gomito del golfista è una patologia caratterizzata da fenomeni flogistico-
degenerativi a carico dei tendini dei muscoli epitrocleari (flessori-pronatori) del polso a livello della loro
origine omerale. Più frequentemente il processo patologico interessa il tendine del muscolo pronatore
rotondo (capo omerale) e il flessore radiale del carpo, ma possono essere coinvolti anche il tendine del
muscolo flessore ulnare del carpo e del lungo palmare. Si manifesta prevalentemente in atleti che praticano
sport quali golf, tennis, bowling, che praticano la specialità di lancio dell’atletica leggera o che fanno
sollevamento pesi.

DIAGNOSI
Clinica: dolore all’epitroclea TERAPIA
Riposo attivo, crioterapia, mezzi fisici, antiinfiammatori per via orale o locali.

TENOSINOVITE DI DE QUERVAIN
È un’infiammazione della guaina tendinea che avvolge il tendine del muscolo adduttore lungo ed estensore
breve del pollice. Articolazione carpo-metacarpale e prima metacarpale. Dovuta al sovraccarico funzionale
del polso. Viene coinvolta principalmente la guaina, per cui non è una vera e propria entesite, ma è più una
tenosinovite. Si vede spesso nelle donne di mezza età perché è legata ad attività casalinghe dove si usano
molto le mani o in chi pratica la pittura.
Ci sono 2 stadi:
• Tenosinovite
• Stadio avanzato: con netto ispessimento del tetto del primo compartimento dorsale del polso. Se noi
toccassimo questa zona il pz avrebbe molto dolore, e soprattutto si potrebbe vedere il successivo
rigonfiamento della zona.
Quando la seconda fase perdura per molto tempo siamo vicini alla chirurgia.

Diagnosi Differenziale:
1. Si effettua fra tendinopatia di De Quervain e Rizoartrosi
Sono molto simili perché il paziente riferisce dolore nella stessa zona, ma le sedi di evocazione del dolore
sono differenti:
- Il tendine per la De Quervain
- Articolazione trapezio-metacarpale per la Rizoartrosi (appena muoviamo il dito il paziente ha dolore)
Il trattamento della Rizoartrosi e del De Quervain è simile in una fase: l’immobilizzazione. La rizoartrosi
trattata con mezzi fisici anche
Risentono positivamente dell’immobilizzazione di una parte con tutori appositi. Si tratta di un tutore che
blocca solo l’articolazione del pollice e lascia tutte le dita libere: si può muovere l’ultima falange del
pollice. L’articolazione trapezio-metacarpale invece è bloccata in tutte e due i casi.
Oltre all’immobilizzazione, che può essere usata anche per altre tendinopatie, le infiltrazioni con cortico-
steroidi a livello articolare trova beneficio (per le Rizoartrosi), fino a quando può esserci la necessità di
effettuare un intervento chirurgico.
2. Sindrome da intersezione
Entra in diagnosi differenziale con la tenosinovite di De Quervain. Il processo è sostenuto nel punto di
incrocio-intersezione dall’estensore radiale lungo e breve del carpo e l’adduttore lungo e l’estensore breve
del pollice. Viene difficilmente riconosciuta.
3. Lesione del legamento collaterale ulnare e dell’articolazione metacarpo-falangea del pollice Non

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c’entra molto con gli argomenti precedenti e quindi viene solo accennata. In seguito a un trauma da
caduta sul pollice o pallonata sul pollice.

PUBALGIA
È la più classica delle tendinopatie (entesite funzionale della regione pubica). Condizione più complessa di
quanto non si pensi e i tendini interessati sono 3, con quadri clinici differenti:
• Degli adduttori (70-80% dei casi)
• Dello psoas
• Del retto dell’addome
Non avvengono insieme, ma singolarmente. Oppure si possono verificare in 2 sedi contemporaneamente, ma
è raro.
La pubalgia, che da dolore o fastidio in sede pubica durante la deambulazione, può essere confusa con altre
condizioni simili in quella zona, come l’artrosi dell’anca, le lesioni dell’acetabolo, le ernie inguinali, il
varicocele.
Quindi mentre alcune categorie sanitarie che vedono solo tendini e muscoli, nel momento in cui si verifica
un dolore al pube pensano sempre alla pubalgia, il medico deve avere una visione più ampia e considerare
anche le altre branche mediche ed eventualmente indirizzarlo da un altro specialista.
La pubalgia in alcuni casi può esitare in un'osteite reattiva.
Il bacino rappresenta il punto di passaggio fra due sistemi muscolari: del tronco e degli arti inferiori. È sede
della confluenza di forze e tensioni provenienti dall’alto (retto, obliquo e trasverso addome) e dal basso
(adduttore lungo, breve e gracile).
È una struttura quindi sottoposta a carichi particolari per cui particolarmente vulnerabile.
Anche la postura influisce (fa parte delle cause intrinseche), e l’eterometria (differenza di lunghezza fra i due
arti) degli arti inferiori può essere una causa, così come il ginocchio varo o valgo.
Sintomi:
Il primo sintomo è il dolore: bisognerebbe effettuare la digito-pressione della sede di inserzione dei muscoli
più importanti che vanno generalmente incontro a tendinopatia, per capire quale sia il tendine interessato.
La tendinopatia inserzionale, a volte, è talmente violenta che può interessare l’osso creando un’osteite
reattiva molto ben visibile dall’RM.
La RM si fa in tutte quelle condizioni di dolore pubico che non passa, per andare a valutare anche altre
diagnosi che possono interessare il bacino. A volte anche il semplice camminare causa pubalgia, per fattori
predisponenti, non solo in chi fa attività sportiva, soprattutto se ci sono alterazioni bio-meccaniche di base.
Differenze fra gli esercizi a catena cinetica aperta e chiusa:
- Chiusa: in cui il punto di applicazione della forza è fisso, ad esempio se si fa una flessione a terra con le
braccia
- Aperta: ad esempio l’esercizio col bilanciere, in cui il punto di applicazione della forza è mobile.

GINOCCHIO DEL SALTATORE


È una tendinopatia da sovraccarico funzionale che interessa l’inserzione prossimale del tendine rotuleo al
polo inferiore della rotula (70% dei casi), oppure l’inserzione distale del suddetto tendine a livello della
tuberosità tibiale. durante salto 'è una contrazione eccentrica importante per opporsi alla gravità
Esiste un 20% interessa il polo superiore della rotula.
Le cause predisponenti: oltre a determinati sport (come lo squat, che sovraccarica molto le articolazioni), ad
esempio troviamo:
-la ridotta flesso-estensione dell’articolazione tibio-tarsica: quindi se visitiamo un pz con una tendinopatia
del ginocchio, bisogna guardare anche la tibio-tarsica (cioè la caviglia), perché a volte c’è una ridotta
escursione articolare in dorsi-flessione o planti-flessione, a volte fisiologica a volta da trauma.
-aumento angolo q determinato da linea tra spine iliaca anterosuperiore a punto medio rotula (dovrebbe esser
intorno ai 12 gradi nell'uomo e 16 nella donna rispetto alla perpendicolare.
-la retrazione dei muscoli ischio-crurali, sempre per l’alterazione della bio-meccanica. Si può verificare
tramite manovra Lasègue (pseudolasegue), ma il dolore non è alla schiena ma alla coscia per accorciamento
muscoli posteriori nei soggetti sedentari. Anche il ciclismo porta a questa retrazione.
-anomalie posturali come iperlordosi e ipercifosi, che determinano tendinopatia a distanza, perchè si mettono
in atto meccanismo di compenso muscolare e tendineo, che li sovraccarica.
Ricordiamo che il tendine sottoposto a flogosi continua va incontro a degenerazione

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Diagnosi:
La palpazione del tendine è fondamentale anche per la dd. Ad esempio, in un paziente che viene per
meniscopatia, tramite la palpazione possiamo diagnosticare un problema proprio sul tendine.

Terapia:
È sempre uguale
-Riposo attivo
-Tutore, anche con cinturini attorno la rotula per tenere a riposo la zona
-Infiltrazioni peritendinee con acido ialuronico o PRP
-Laserterapia: in riduzione di calore nella fase acuta e con calore nella fase cronica
-Tecarterapia: in atermia nella fase acuta e classica (termica) nella fase cronica
-Elettrostimolazione con correnti di Kotz: quando c’è una tendinopatia del rotuleo c’è un meccanismo quasi
neurologico per cui il muscolo quadricipite si riduce di volume. Si usa quindi l’elettrostimolazione con
correnti per muscoli normo-innervati, per potenziarli.
-cinturino intrapatellare, cerotti
-Esercizi:
0°-30° - contrazione eccentrica del muscolo quadricipite e successivamente l’allungamento cauto dello
stesso. Cauto perché allungando il muscolo allunghiamo anche il tendine creando ulteriore infiammazione.

TENDINOPATIA DELLA ZAMPA D’OCA


Zampa d’oca: tendine comune di tre muscoli, che sono gracile, sartorio, semitendinoso.
Entra in diagnosi differenziale con le patologie del ginocchio. La palpazione risulta fondamentale per la
diagnosi. Tra l’altro sono tendinopatie che impiegano molto tempo per esaurirsi e se il pz torna troppo presto
all’attività sportiva può capitare che torni la patologia. La terapia è lunga.
È difficile intercettare le cause, e a volte se intercettate è difficile intervenire, come avviene nel caso del
ginocchio varo.
Condizioni predisponenti:
-Piede piatto
-Ginocchio varo
-Esostosi
-Condizioni compressive dell’osso, che comunque sono abbastanza rare.
Il sintomo più frequente della tendinopatia e della borsite è il dolore localizzato in corrispondenza della
superficie mediale del ginocchio.
Terapia: si rimanda alle altre tendinopatie.

SINDROME BANDELLETTA ILEO-TIBIALE


È un tendine comune di due muscoli: Grande gluteo e Tensore della fascia lata.
Il tensore della fascia lata si inserisce nella faccia antero-esterna della tibia a livello del tubercolo di Gerby.
Anch’essa è una patologia da sovraccarico funzionale, che coinvolge il compartimento laterale del ginocchio
e colpisce maggiormente podisti, maratoneti, calciatori e giocatori di pallacanestro.
Cause:
Intrinseche:
- Deficit del medio gluteo e varismo del ginocchio
Diagnosi differenziale: con le patologie del compartimento laterale ginocchio (meniscopatia)
Terapia:
Si rimanda alle altre tendinopatie. Nella fase sub-acuta (2° fase) si fanno esercizi di propriocezione per
migliorare l’equilibrio e il reclutamento muscolare.

FASCITE PLANTARE
La fascia plantare o legamento arcuato è una robusta fascia fibrosa che collega la zona mediale del calcagno
con la radice del piede, con la funzione di stabilizzare il piede e sorreggere l’arco plantare (supporto per arco
longitudinale piede, limita allungamento per scarsa elasticità).
La vediamo in soggetti che stanno molto in piedi.
La fascite crea una condizione di dolore, impotenza funzionale e quindi deficit deambulatorio, talvolta

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causata da un’altra patologia che si chiama sperone calcaneale (detto anche spina calcaneale).
Lo sperone calcaneale è un osteofita che può essere la causa, ma non sempre ovviamente (15% soggetti
asintomatici, nel 50% di essi è presente anche la fascite).
Diagnosi differenziale con il morbo di Sever, (descritto più in basso).
Cause:
-Il cavismo o piede cavo
-Il piattismo con retropiede valgo
-Il piede pronato
-L’accorciamento del tendine d’Achille
-Le calzature senza plantari.

MALATTIA DI SEVER
È un’apofisite calcaneale che colpisce solo i bambini dagli 8 agli 12 anni, soprattutto maschi ed è
caratterizzata anch’essa da dolore e impotenza funzionale. Il bambino ha dolore al calcagno e non riesce a
camminare.
Cause: sforzi e microtraumi ripetitivi che caricano eccessivamente il tendine di Achille nella sua inserzione
(apofisi calcaneale): colpisce maggiormente l’osso che può arrivare anche un’avulsione parziale dell’apofisi
calcaneale, fino alla FRATTURA da avulsione.
Fattori di rischio:
-Eccessiva o aumentata attività sportiva (corsa e salti ripetitivi)
-Sport ad alto impatto
-Limitata dorsi-flessione caviglia
-Calzature improprie
-Corsa su superficie dura
-Retropiede valgo soprattutto se pronato (va verso l'interno) e valgo, piede cavo

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LESIONI MUSCOLARI
Sono dei traumi muscolari che possono presentarsi in maniera acuta, subacuta o cronica, sia durante
l’allenamento che in condizioni di vita quotidiana. Li distinguiamo in diretti e indiretti.
Diretti: possono causare una contusione, ovvero una lesione da schiacciamento delle fibre muscolari, una
lacerazione del muscolo con conseguente soluzione di continuo (interruzione della continuità della fibra)
intramuscolare associata a soluzione di continuo della cute sovrastante.
Indiretti:
1. Elongazione: allungamento eccessivo del muscolo oltre i propri limiti di elasticità con stiramento delle
fibrocellule muscolari. È maggiore se succede durante un’attività fisica.
2. Distrazione: è una vera e propria lacerazione delle fibre del muscolo coinvolto dal trauma.
CONTUSIONE MUSCOLARE (DIRETTI)
Un forte impatto tra un muscolo e un corpo rigido può provocare delle lesioni cutanee e sottocutanee che in
alcuni casi possono coinvolgere cute, muscolo, tendini e articolazioni.
L’impatto può avvenire quando il muscolo è rilassato o quando è contratto, nel bel mezzo di un’azione
sportiva; nel primo caso i tessuti sono abbastanza elastici da “spostarsi” con l’urto e minimizzare i danni, nel
secondo caso invece il muscolo è troppo rigido e il contatto può essere estremamente violento. Si ha lo
schiacciamento delle fibre muscolari con sangue ed edema reattivo. Il danno muscolare è dato da una
lacerazione di un numero variabile di fibre muscolari in funzione della violenza e della contrazione del
muscolo al momento del trauma.
Le fibre coinvolte nel trauma contusivo sono prevalentemente quelle più profonde, adiacenti al piano osseo,
per via dell'impatto. La contusione è sempre accompagnata da un’ecchimosi, e quasi sempre da un
ematoma, cioè da un versamento di sangue dovuto alla rottura dei capillari in uno strato più profondo del
tessuto.
• Se la fascia muscolare rimane integra l'ematoma si sviluppa all'interno del muscolo (intramuscolare),
con tumefazione immediata e possibile insorgenza di sindrome compartimentale (sofferenza ischemica e
forte dolore); in questo caso bisogna drenare e fare delle fasciotomie se la pressione è >45mmHg.
• Se la fascia viene lesa, l'ematoma si localizza tra i muscoli (intermuscolare) e la tumefazione compare
in genere dopo 24-48 ore. Nella pratica clinica è comunque frequente osservare anche delle forme miste.
Nelle contusioni il numero di fibre lesionate è direttamente proporzionale a diversi fattori: violenza
dell’impatto nell’area di applicazione della forza, la velocità dei corpi che urtano, la presenza di superficie
contundente. Nelle forme più gravi si ha rottura del muscolo con emorragia abbondante ed eventuale lesione
di tipo aponeurotico e periostale. In seguito a contusioni tangenziali a livello del tronco o della faccia esterna
della coscia può formarsi un versamento siero-ematico caratterizzato da scollamento post-traumatico del
tessuto sottocutaneo della fascia profonda, con successiva rottura del plesso vascolare perforante e
riempimento della cavità con sangue siero e tessuto adiposo.
Clinica
Nelle forme più lievi vi è una moderata dolenzia locale che spesso compare tardivamente rispetto all’evento
traumatico, consentendo il proseguimento dell’attività. Nelle lesioni più gravi il dolore acuto è associato a
tumefazione, ed ecchimosi localizzata o ematoma, che impone l’arresto dello sforzo, con eventuale andatura
zoppicante antalgica post-traumatica. La palpazione può risultare dolorosa.
A causa dell’ematoma e della contrattura la contusione esita generalmente in una limitazione funzionale di
varia entità: lieve se residua oltre il 50% dell’articolarità, moderata se l’escursione è ridotta a meno del 50%
del ROM fisiologico, severa se è ridotta a meno di 1/3.
Il recupero va da 4-5 giorni a 20-30 dipende dall’entità del danno e dal soggetto, dalla grandezza della
lesione e dallo stato di salute del muscolo in partenza (un muscolo ipertrofico si riprende prima perché le
fibre adiacenti sopperiscono). Non si può tornare alla piena attività prima della piena guarigione.
Il quadro anatomo-patologico delle lesioni contusive è spesso sovrapponibile a quello delle lesioni
distrattive, ma rispetto a quest’ultime esse tendono a evolvere più frequentemente verso la fibrosi calcifica.
Terapia: PRICE
Complicanze: miosite ossificante, falde liquide.
TRAUMI INDIRETTI
Sono legati:
- condizioni intrinseche: traumi preesistenti del muscolo lo rendono più fragile e vulnerabile ai traumatismi,

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come ad esempio, un’inadeguata preparazione atletica o riscaldamento muscolare, una pregressa lesione o
una condizione di affaticamento muscolare da superamento, o tensione muscolare per stress psicologico.
- Fattori estrinseci: condizioni ambientali (caldo freddo pioggia), attrezzature sportive inadeguate, sport
anabolici (accumulo di acido lattico e altri cataboliti altera l’omeostasi cellulare con modificazioni
dell’attività contrattile muscolare).
Un trauma muscolare indiretto può comunque determinare non solo un danno muscolare, ma anche una
lesione fasciale o un semplice versamento tra fascia e ventre muscolare con scollamento tra le due strutture.

DISTRAZIONE MUSCOLARE
Lo strappo, o distrazione muscolare, è una lesione piuttosto grave che causa la rottura di alcune fibre che
compongono il muscolo.
Tale lesione è generalmente causata da un'eccessiva sollecitazione (brusche contrazioni o scatti improvvisi,
ampiezza e velocità del gesto non ben controllata) ed è piuttosto frequente in ambito sportivo (soprattutto
negli sport che richiedono un movimento muscolare esplosivo come sollevamento pesi, baseball, calcio, gare
di sprint e di salto). Gli sport che richiedono attività di tipo anabolico predispongono all’insorgenza di lesioni
muscolari in quanto l’accumulo di acido lattico e altri cataboliti nelle fibrocellule altera l’omeostasi cellulare
con modificazioni della contrattilità del tessuto muscolare.
Prevalentemente in corrispondenza della parte superficiale del ventre muscolare (al contrario delle
contusioni), oppure molto frequentemente a livello delle giunzioni miotendinee, all’origine o all’inserzione
del muscolo stesso. Può essere lesa anche la fascia e si può creare uno scollamento mio-fasciale: la fascia
muscolare si scolla dal muscolo, spesso sintomatica ma non diagnosticata.
Spesso, gli strappi muscolari avvengono in condizioni di scarso allenamento o quando il muscolo è
particolarmente stanco o impreparato a sostenere lo sforzo (mancato riscaldamento).
Sebbene lo strappo possa colpire qualsiasi muscolo del corpo, le sedi più frequentemente colpite sono gli
arti, in particolare molto frequente è il coinvolgimento a carico dei muscoli poliarticolari, lunghi, con ventre
muscolare voluminoso (quadricipite, ischiocrurale, adduttori, bicipiti e tricipite della sura>>soprattutto gli
adduttori e il tricipite della sura, il quale spesso sviluppa tendinite cronica e si rischia l’avulsione con il
trauma). Una distrazione muscolare frequente nei culturisti è invece quella che coinvolge il tricipite e/o il
deltoide durante gli esercizi di spinta su panca piana.
Classificazione
In base al numero di fibre:
1. Lesione di Primo Grado
In questo tipo di lesione sono danneggiate solo poche fibre muscolari (meno del 5%).
Il danno è tutto sommato modesto e viene avvertito come un dolore improvviso e violento non presente a
risposo e che si presenta durante la contrazione e l'allungamento muscolare e aumenta alla
digitopressione. Ogni tanto l’atleta continua lo sforzo
In caso di lesione di primo grado non si ha, quindi, un'importante perdita di forza o limitazione del
movimento.
2. Lesione di Secondo Grado o Lesione Grave
La gravità dello strappo aumenta, poiché viene coinvolto >5% fibre. Preceduto da una sensazione di
schiocco o scatto. Il dolore, che è di carattere acuto, è simile ad una fitta e viene chiaramente avvertito in
seguito ad una violenta contrazione muscolare. Presente per piccolo mobilizzazioni. Ecchimosi cutanee in
corrispondenza dell’ematoma, che può formarsi anche distalmente a causa della gravità
La lesione interferisce con il gesto atletico, alla palpazione talora si apprezza il difetto.
3. Lesione di Terzo Grado o Lesione Gravissima
L'alto numero di fibre coinvolte causa una vera e propria lacerazione del ventre muscolare (completa o
semi completa coinvolge comunque almeno 3/4 delle fibre).
Tale lesione si avverte alla palpazione come un avvallamento, un vero e proprio scalino che testimonia
l'entità della rottura.
Il dolore, che è violentissimo, determina una completa impotenza funzionale tanto che, se la lesione
coinvolge gli arti inferiori, l'atleta si accascia immediatamente al suolo. Presente a riposo e durante la
notte. Ai lati tumefazioni da retrazione delle fibre, ecchimosi edemi.
In base alla localizzazione intramuscolare:
• Prossimali: prognosi peggiore in retto femorale e adduttori

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• Medie
• Distali: prognosi peggiore nel tricipite per fragilità tendine
In base all’orientamento della lesione:
• Longitudinale
• Trasversale (tempi di recupero più lunghi)
Sintomi
Il soggetto colpito da uno strappo muscolare avverte un dolore acuto nella zona lesionata, tanto più intenso
quanto maggiore è il numero di fibre coinvolte.
Il dolore avvertito viene spesso rievocato dalla contrazione del muscolo interessato.
Se il trauma è particolarmente grave, il soggetto si trova nell'impossibilità di muovere la parte interessata ed
il muscolo appare rigido e contratto, dolorabile nel complesso con in più un punto doloroso trafittivo ben
definito in sede lesionale e perilesionale.
Una distrazione di II o di III grado si accompagna, nella maggior parte dei casi, ad edema ed ematoma. La
presenza dell’ecchimosi può essere circoscritta o assente in lesioni profonde
Se nei traumi più lievi il sangue rimane all'interno del muscolo, in quelli più gravi migra in superficie dove si
accumula e forma evidenti ematomi.
Dopo circa 24 ore, si può apprezzare un livido localizzato più in basso rispetto alla sede dello strappo a
testimonianza dello stravaso ematico.
Può inoltre insorgere una contrattura muscolare "di difesa" grazie alla quale l'organismo cerca di
immobilizzare l'area interessata per favorire il recupero ed evitare che la situazione peggiori ulteriormente.

Trattamento
La prima cosa da fare è sospendere immediatamente l'attività sportiva ed immobilizzare la zona colpita.
Se nei casi più gravi tale sospensione è d'obbligo, in quelli più lievi il soggetto, vista la sopportabilità del
dolore, è naturalmente portato a stringere i denti e continuare; in questo modo però aumenta notevolmente
il rischio di aggravare la situazione, per cui si consiglia di fermarsi il prima possibile, anche se il dolore
avvertito è di lieve entità.
Dopo essersi fermati, è buona norma:
• Evitare di caricare l'arto interessato;
• Mettere l'arto sofferente in una posizione di riposo (posizione rialzata);
• Applicare immediatamente un impacco freddo (borsa del ghiaccio, spray ecc.) sulla zona interessata in
modo da ridurre il flusso di sangue ai vasi lesionati (vasocostrizione);
• Evitare qualunque forma di calore (massaggi, pomate, fanghi ecc.);
• Rivolgersi ad un medico specializzato e sottoporsi ad esami strumentali, per valutare la reale entità del
danno.

Primo grado si risolvono nel giro di 1-2 settimane, arco di tempo in cui il paziente (atleta) deve rimanere a
riposo e sottoporsi a una cura farmacologica a base di antinfiammatori e miorilassanti. Protocollo PRICE.
Qualche esercizio di stretching può aiutare ad accelerare e migliorare il recupero rielasticizzando, per quanto
possibile, il tessuto di riparazione cicatriziale e tecar in atermia.
Secondo grado prevedono, invece, tempi di guarigione più lunghi (tra 48h e 45g). Prima della ripresa
dell'attività sportiva, il soggetto dovrà seguire un percorso di riabilitazione e sottoporsi ad opportuni
interventi fisioterapici. Stretching, esercizi prima in isometria poi aerobici, mezzi fisici.
Lesioni di terzo grado, protocollo PRICE, Trattamento come 2 grado ma + lungo, gesso e tutore, può essere
necessario l'intervento chirurgico.
Tra le terapie fisiche più efficaci, si segnala la Tecarterapia; si tratta di una metodica ancora poco diffusa,
che, secondo alcuni studi, consentirebbe di dimezzare i tempi di recupero grazie al trasferimento di cariche
elettriche endogene agli strati muscolari più profondi. Drenaggio, svuotamento ematoma, microraffia
(ricucire muscolo).

Prevenzione
La prevenzione degli strappi muscolari si caratterizza per l'osservanza di alcuni punti fondamentali:
• Eseguire sempre un riscaldamento generale e specifico della muscolatura

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• Assicurarsi di essere nelle condizioni fisiche idonee per sopportare lo sforzo


• Valutare attentamente la praticabilità del terreno di gioco
• Scegliere abbigliamenti adatti, coprirsi per bene nei mesi invernali e, se necessario, utilizzate pomate
specifiche durante la fase di riscaldamento
• Eseguire sempre esercizi di allungamento per migliorare l'elasticità e la flessibilità muscolare sia in
fase preparatoria che defaticante
Si consiglia, infine, di non sottovalutare alcun sintomo doloroso, anche se lieve; la prevenzione degli
strappi muscolari più gravi si effettua anche attraverso una corretta terapia delle forme più lievi.

ELONGAZIONE
Si verificano per sollecitazione eccessiva in allungamento del muscolo. Non sono presenti lacerazioni
macroscopiche delle fibre muscolari, ma possono essere presenti lesioni submicroscopiche a livello del
sarcomero. È presente, inoltre, lieve edema interstiziale e qualche microemorragia da lesione capillare. Il
danno tissutale è comunque prevalentemente di tipo funzionale delle miofibrille, ovvero un’alterazione
ionica, biochimica e metabolica intramuscolare eventualmente associata a un’alterazione locale della
conduzione neuromuscolare.
È un allungamento delle fibre di entità maggiore alla fisiologica estensibilità. Nelle elongazioni dovute a
stiramento delle fibre muscolari con danno submicroscopico del tessuto muscolare, il dolore è per lo più
immediato, acuto e ben localizzato, insorge durante l’attività e costringe l’atleta a interrompere l’attività
sportiva, pur non dando un’impotenza immediata. Nella maggior parte dei casi, infatti, il dolore non è tale da
impedire la ripresa dell’attività fisica, ma consente la ripresa seppur con performance meno efficace e
possibile aggravamento della lesione.
Terapia: massaggio decontratturante, stretching, cyclette (dopo 10g si riprende).

LESIONI MUSCOLARI SUBACUTE


Sono disordini muscolari indotti da fatica e sovraccarico funzionale reiterato del tessuto muscolare,
prevalentemente di tipo eccentrico, come quello che si verifica nelle specialità che implicano sforzi
prolungati di lunga durata e ripetuti nel tempo es: maratona.
• I DOMS (delayed onset muscle soreness)
• I disordini muscolari indotti da fatica (comunemente definiti contratture)
Il quadro clinico è determinato da un’alterazione di tipo funzionale del muscolo più che una vera lesione
anatomica. Clinica: comparsa di dolore in seguito all’attività sportiva o all’allenamento, entro 12-48h che
può persistere per diversi giorni dall’attività. Inizialmente il dolore è di lieve entità ma con il tempo tende a
divenire sempre più intenso e persistente dopo il training. La sintomatologia algica si associa a senso di
pesantezza e rigidità del muscolo, solitamente durante l’esercizio o a riposo. Alla palpazione modesta rigidità
con assenza di altri segni. Positivo il test in allungamento passive. Durata sintomi:60 min-24h
CONTRATTURE
Attualmente definite come disordini muscolari indotti dalla fatica, si manifestano sotto forma di disturbi
algo- funzionali caratterizzati da una condizione di ipertono funzionale. Tale condizione costituisce una
risposta antalgica allo stress. Spesso compaiono in concomitanza dello svolgimento dell’attività sportiva ma
si possono manifestare anche successivamente. L’atleta riferisce dolore sordo e diffuso mal localizzabile che
compare durante l’attività ma persiste pure a riposo. Il dolore si esacerba alla palpazione e anche alle
manovre di stiramento passivo del muscolo e durante la contrazione isometrica. La patogenesi è
riconducibile a accumulo di acido lattico nel tessuto muscolare. Alla sintomatologia dolorosa si associano
indurimento muscolare palpabile e limitazione funzionale di grado variabile. La sintomatologia permane per
un tempo compreso tra i 60 min e le 24h per poi scomparire spontaneamente.
Terapia: opposto di contusioni e distrazioni: calore massaggi stretching contrastoterapia (per 40 min:
impacchi caldo umidi 15 min e borsa del ghiaccio 5 min)
CRAMPO MUSCOLARE
È una contrazione muscolare involontaria, spasmodica e dolorosa ma che a differenza della contrattura è
transitoria e di breve durata. È anch’esso espressione di affaticamento per accumulo di acido lattico.
L’origine è comunque spesso multifattoriale ed è provocata dall’associazione di un deficit idrosalino ed
energetico. L’insorgenza è facilitata dalla scadente condizione atletica dell’atleta e da un insufficiente
idratazione

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LESIONI MUSCOLARI CRONICHE


1. Un’evoluzione naturale di lesioni acute e subacute importanti, come nel corso delle fibrosi post-
traumatiche da riparazione di lesioni muscolari particolarmente estese.
2. Una fibrosi ab-inizio conseguentemente a traumatismo muscolare reiterato da sovraccarico cronico,
come nel caso della fibrosite dei muscoli ischiocrurali, detta anche “sindrome degli ischio crurali” tipica
degli ostacolisti e dei maratoneti e caratterizzata dalla fibrosi dell’inserzione prossimale ischiatica dei
muscoli flessori del ginocchio.
3. Un’alterazione del normale processo di guarigione della lesione muscolare acuta con formazione di
lesioni tissutali che permangono nel tempo, come le falde fluide peri lesionali le cisti siero ematiche, le
ernie muscolari, le miositi ossificanti e le calcificazioni muscolari.
Fibrosi muscolare
È la più frequente complicanza delle lesioni muscolari acute e subacute. La patogenesi è correlata
principalmente a un deficit della neoangiogenesi in sede lesionale con conseguente prolungata situazione di
ischemia e ipossia locale. Tale condizione è imputabile sia alla presenza di un danno muscolare ampio e di
una lesione vascolare estesa, sia in molti casi a un errato approccio terapeutico a causa, ad esempio, di una
mobilizzazione troppo precoce o immobilizzazione troppo prolungata, oppure di un inadeguato
trattamento di un voluminoso ematoma che progressivamente va incontro a organizzazione fibrosa. Pertanto,
la massa fibrosa altera le proprietà di contrattilità elasticità ed estensibilità del muscolo, con i conseguenti
disturbi algo funzionali. Inoltre, se la fibrosi avviene alla periferia di un muscolo, può provocare delle
aderenze tra le due facce perimisiali contigue ostacolando così la contrazione muscolare e provocando di
conseguenza disturbi funzionali di grado variabile.
Miosite ossificante
Si presenta con una mialgia mal definita, associata a sensazione di impedimento all’allungamento muscolare
(per difficoltà di scorrimento dei vari piani muscolari tra di loro) e a ridotta elasticità del muscolo coinvolto.
Nella miosite ossificante l’arto coinvolto si può presentare talvolta dolente, tumefatto, caldo e ipomobile.
Indagine radiologica: osso ben strutturato con una certa uniformità radiologica, mentre le calcificazioni si
presentano come nubecole a densità disomogenea da deposizione di Sali di calcio all’interno del tessuto
lesionato. Il riassorbimento di tali calcificazioni avviene generalmente entro dodici mesi dall’insorgenza ma
talvolta possono persistere specie in caso di calcificazioni estese. Deriva da esiti di trauma.
Falde fluide perilesionali
Sono raccolte essudatizie e/o ematiche che si vengono a formare tra due facce muscolari in seguito a traumi
contusivi, sia per effetto diretto del trauma sia per fenomeni reattivi infiammatori delle fasce conseguenti
all’aumento di pressione intramuscolare, a sua volta dovuto alla presenza di ematoma. Tali raccolte liquide in
mancanza di opportuno trattamento, tendono a persistere assumendo i caratteri di vere e proprie lesioni
croniche. Diagnosi: eco a distanza di 24-48 ore dal trauma per evitare falsi negativi dovuti alla presenza di un
edema reattivo, sia per il follow up che per la diagnosi. RM utile per i muscoli profondi. Terapia fisica e
fisioterapia.

Diagnosi
L’esame principe delle lesioni muscolari è l’ecografia nella diagnosi. La RM è più complessa e costosa.
L’indagine serve a vedere grado, sede, orientamento della lesione, muscolo coinvolto, presenza di lesioni
croniche, distacco mio-fasciale.

Trattamento
La maggior parte delle lesioni muscolari traumatiche risponde al trattamento conservativo, le indicazioni alla
chirurgia sono riservate a lesioni parziali o complete del ventre muscolare o le avulsioni miotendinee.
Subito dopo il trauma (immediatamente e dopo 2-3 giorni) protocollo PREST.
- Riposo
- Elevazione
- Stampelle
- Crioterapia
- Elastocompressione
PRICE e POLIS (protezione carico ottimale, riposo, ghiaccio, compressione, elevazione)
Per ridurre la flogosi locale, l’emorragia e le sollecitazioni meccaniche sulla struttura. Il ghiaccio riduce
l’entità dell’emorragia. La stessa funzione è svolta dalla compressione, che favorisce anch’essa l’emostasi

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locale. L’elevazione e il sollevamento della parte affetta consentono inoltre un libero drenaggio, per gravità,
della congestione tissutale conseguente al danno muscolare.
Nella fase acuta (24-72 ore dal trauma) le terapie fisiche indicate sono quelle a freddo: crioterapia, tecar
terapia capacitiva in atermia, laser terapia a bassa potenza, definita low level laser therapy (LILT). Il calore
se introdotto troppo precocemente può causare fastidiose complicanze come fibrosi e calcificazioni che
rallentano il processo di guarigione il percorso riabilitativo.
Fase subacuta: 4-8 giorni in sinergia con la prosecuzione del protocollo PRICE (protezione, riposo,
ghiaccio, compressione, elevazione) si possono introdurre anche tipologie di terapia con mezzi fisici, che
però non causino un’ipertermia locale dei tessuti. Ultrasonoforesi, pomate a base di farmaci antinfiammatori
(ketoprofene in gel) oppure ultrasuonoterapia a freddo, oppure si possono utilizzare campi magnetici pulsati
atermici ad alta frequenza e bassa intensità. La terapia manuale mediante massoterapia decontratturante trova
indicazione a distanza di almeno 3-4 giorni dall’infortunio.
Successivamente in base alla gravità della lesione: termoterapie elettrostimolazione Elettrostimolazione con
correnti di Kotz dà vigore a muscolo per lungo tempo immobile se correttamente innervato.
I disordini muscolari indotti da fatica richiedono riposo, allungamento, stretching. I disordini muscolari
indotti da fatica richiedono riposo, allungamento, stretching. La prevenzione passa attraverso la verifica di
alterazioni biomeccaniche pre-esistenti e predisposizioni (piede piatto e piede cavo).

I FENOMENI DI RIPARAZIONE iniziano precocemente con infiltrazione di leucociti che fagocitano tessuti
lesionati; segue l’attivazione di cellule satelliti, cioè mioblasti con alta resistenza all’ipossia che nella lamina
basale producono una struttura sinciziale simile al muscolo preesistente. Partecipano anche ponti
citoplasmatici tra cellule lese, fibroblasti che producono tessuto fibroso tra le fibre lese che poi viene
innervato e vascolarizzato. Le fibre interrotte in maniera completa hanno scarso potere di rigenerazione; la
restitutio si ha con tessuto connettivo cicatriziale che però non è vero muscolo; se è di esigua entità non
succede nulla, se è ingente crea un deficit funzionale.

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INSTABILITÁ SPALLA
La superficie articolare dell’omero è di gran lunga maggiore della glena, solitamente è cinque volte maggiore
come superficie, è considerata l’articolazione più instabile che abbiamo nel nostro corpo. Per aumentarne la
stabilità esistono dei vincoli statici e dinamici.

Legamenti della cuffia dei rotatori


Sono i tendini dei muscoli della cuffia dei rotatori che, in ordine cranio- caudale, sono:
- Sovraspinoso: origina dalla fossa sovraspinosa a livello della superficie posteriore della scapola e si
inserisce a livello del trochìte (grande tuberosità dell'omero), avvolgendo la parte superiore della testa
dell’omero.
- Sottospinoso: origina dalla fossa sottospinosa della scapola e si inserisce sempre sul trochite ma
inferiormente al sovraspinoso.
- Piccolo rotondo: piccolo muscolo che origina dal bordo laterale della scapola e si inserisce sempre a
livello del trochite, ma inferiormente al sottospinoso. Ha una funzione esigua nel movimento di
extrarotazione ma è comunque molto importante per la stabilità della scapola.
- Sottoscapolare: è adeso alla faccia anteriore della scapola, origina dalla fossa sottoscapolare ed è l’unico
che si inserisce anteriormente sul trochine, la piccola tuberosità dell’omero. È adibito all’intrarotazione
della testa omerale.

Instabilità: eccessiva traslazione gleno-omerale che crea sintomi e disfunzione il più delle volte è legata ad
una lesione organica, soprattutto traumi (diretti acuti o microtraumi ripetuti).

Grado:
• I Grado: quando l'instabilità porta ad avere una sublussazione minima; c'è aumento degli spazi tra la
testa dell'omero e la cavità glenoidea;
• II Grado: quando siamo in una franca sublussazione, quasi lussazione;
• III Grado: lussazione franca.
Queste condizioni sono spesso misconosciute; tranne naturalmente per la lussazione che è accompagnata
da dolore importante che quindi molto spesso rappresenta il sintomo di esordio.

TRAUMATICA: trauma genera lesione capsulo legamentosa e instabilità unidirezionale, maggior parte dei
casi anteriore (lesione di Bankart).
ATRAUMATICA (congenita): instabilità multidirezionale per lassità congenita.
MICROTRAUMATISMI: negli sportivi, sport over head.

Sintomi: dolore, limitazione ROM, parestesie

Diagnosi: storia clinica (sindrome Marfan) test funzionali

Terapia: traumatica (chirurgica) atraumatica (riabilitazione)

Riabilitazione (simile in tutti i distretti)


Si inizia con la mobilizzazione, prima passiva e poi attiva assistita per circa 3 settimane. Poi andiamo con il
potenziamento muscolare:
1. Contrazioni isometriche (4-6 sett.): chiediamo al paziente di fare delle contrazioni senza movimento in
modo da evitare le forze di taglio che possono agire sulle cartilagini articolari. Si rimedia all’atrofia dei
muscoli.
2. Contrazioni isotoniche (7-8 sett.): chiediamo al paziente di alzare il braccio e tenerlo alzato. Contrazioni
usate per muovere un’articolazione contro una forza esterna (gravità prima, pesi poi).
3. Controllo neuro-muscolare (9-12 sett.): con l’uovo chiediamo al paziente di tenersi in equilibrio sulle
mani. Ripristina le alterazioni dei recettori nervosi.

Lesione di Bankart
È una disinserzione del cercine glenoideo in regione sub-equatoriale. Può essere pura quando è interessata
solo la cartilagine, altrimenti si parla di lesione di Bankart ossea quando è il tessuto osseo glenoideo antero-

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inferiore ad avere un problema che porta comunque ad una anomalia a livello strutturale (la TC è quella che
ci permette di visualizzarla bene); infine la lesione di Bankart può essere inversa quando causa una
lussazione posteriore della spalla (10% dei casi). Le lesioni di Bankart sono classificate in base a quanto
cercine viene a distaccarsi; abbiamo inoltre il tipo C in cui si associa la rottura del LGOI, viene chiamata
lesione di Perthes ed è la peggiore per quanto riguarda l’instabilità. Uno strumento che si utilizza in
artroscopia è il palpatore, un uncino che serve nella prima fase dell'artroscopia che è quella diagnostica, in
cui si va a confermare la diagnosi fatta con la RM. Va a vedere se c'è un buco a livello del cercine inferiore
in modo da escludere o meno una lesione di Bankar.

BIOMECCANICA DEL RACHIDE

FRATTURE DA FRAGILITÀ
Sono fratture derivanti da fragilità ossea. Sedi prevalenti: colonna e femore. Spontanee o da traumi a bassa
energia. Più frequenti nella donna. Fragilità ossea dipende da età, genetica, malassorbimento, farmaci
(tamoxifene, corticosteroidi prolungati), errori alimentari (bassa assunzione di farmaci), patologie endocrine.
La patogenesi si basa su prevalenza attività osteoclastica su quella osteoblastica. Gravidanza osteoporosi
temporanea, ma nelle primipare attempate l’osteoporosi diventa precoce perché vicine alla menopausa e non
hanno tempo di recuperare.
Mineralometria ossea computerizzata si fa fino ai 60 anni alla colonna, poi insorgono fattori artrosici che
altera risultato e si fa al femore o a entrambe in una fase di transizione (60-65).
Esistono pz con fratture senza alterazioni alla moc: in questo caso alterata qualità trabecolare, che non si
vede con la moc (bassissima dose radioattiva) ma occorrerebbe una tc ad alta risoluzione.
Dolore: si pensa avvenga quando avviene la frattura, anche piccole fratture vertebrali. Ma in realtà stato
infiammatorio continuo e citochine danno dolore latente confondibile con la fibromialgia. La deprivazione di
sonno potrebbe ridurre massa ossea perché aumenta cortisolo e citochine e riduce ormone della crescita.
Linee guida consentono di calcolare rischio frattura e se imminente o non, e indicare terapia. Ci sono farmaci
che aumentano rischio: disturbi mobilità, ictus, allettamento, sm, artrite reumatoide, corticosteroidi, terapia
deprivazione androgenica per prostata, inibitori pompa protonica, ciclosporina e immunosoppressori,
antiepilettici come fenintoina, ciclofosfamide e altri chemioterapici.
Trattamento precoce mandatorio, mobilizzazione precoce se no pz muore per allettamento.
Pz anziano va più incontro a fratture da fragilità perché aumenta rischio di cadute: sarcopenia, perdita
coordinazione muscolare ed equilibrio.

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ARTROSI
L’artrosi è un’affezione degenerativa cronica a carico delle strutture ossee e delle componenti articolari
(cartilagine, sinovia, capsula).
Viene classificata in:
- Artrosi primaria o idiopatica
- Artrosi secondaria a fattori locali e generali ed a eventi traumatici (es. pz obeso sviluppa artrosi precoce)
È la causa di invalidità permanente o transitoria nella popolazione italiana e ricopre quasi il 10% di tutte le
patologie.
Dipende dall’età, più sono anziani e più è presente, e nei maschi più che nelle donne. Obesità e diabete
possono accelerare la degenerazione, può esserci una componente genetica (ereditarietà autosomica
dominante nell’artrosi generalizzata).

La patogenesi è riconducibile ad un’alterazione biochimica degenerativa della sostanza fondamentale della


cartilagine articolare (proteoglicani). Ci possono essere sollecitazioni eccessive su cartilagine normale
come micro e macrotraumi, eccesso ponderale e malallineamento o sollecitazioni normali su cartilagine
anomala. sono presenti alterazioni del condrocita che rilascia metalloproteasi di matrice, si ha degradazione
con detriti nel liquido sinoviale e una conseguente reazione infiammatoria che si autoamplifica.

Le caratteriste cliniche sono:


- dolore articolare durante l’uso
- rigidità delle articolazioni dopo un periodo di inattività
- perdita di articolarità

Il dolore è di tipo gravativo e insorge generalmente all’inizio del movimento, raggiunge un’acme
al carico massimo della articolazione e cessa con il riposo e con il calore oppure con la sottrazione
al carico. è costante e ingravescente anche se con il movimento cede.
La malattia presenta dei periodi di remissione e dei periodi di riacutizzazione della sintomatologia.
Periodi in cui il pz zoppica e momenti in cui no.
È importante porre il quesito se il dolore è infiammatorio(artrite) o meccanico(artrosi).

• La rigidità si manifesta la mattina al risveglio e si risolve con qualche movimento di flesso-estensione.


• L’artrosi dell’anca si manifesta con coxalgia, che si accentua con lo sforzo, e zoppia.
• L’irradiazione del dolore raggiunge l’inguine, la faccia interna della coscia e il ginocchio.
• Il pz è limitato nei movimenti di flessione, estensione, rotazione interna ed esterna e abduzione e
adduzione.

Il paziente con protesi deve intraprendere comportamenti rieducativi, definiti come igiene posturale:
-diminuzione del peso corporeo (più si è obesi più si degrada una protesi);
- utilizzare degli ausili per distribuire il carico (es. bastone);

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-esercizi di mobilizzazione passiva e attiva dell’articolazione (potenziare il quadricipite e il vasto


mediale soprattutto perché spesso dopo gli interventi all’anca e al ginocchio si va incontro all’inibizione
artrogenica e quindi atrofia dei muscoli sopra. Fare una prevenzione pre-operatoria, cosicché il quadricipite
sia rinforzato e si eviti l’ipotrofia.

Terapia
Il primo step, che spesso non viene considerato, è il trattamento conservativo quindi sport, potenziamento
muscolare. Insieme a questa può essere abbinata la terapia antalgica (laser, tens, tecar).
Poi terapia con antinfiammatori, normalmente si inizia con il paracetamolo, poi algix da 60mg nelle
patologie croniche (c’è anche da 120 mg che deve essere dato per artrite reumatoide).

ESERCIZI
Il pz fa intra ed extrarotazione dell’arto inferiore, poi elevazione dell’arto teso, poi elevazione del ginocchio
al petto da supino, poi accavallamenti del ginocchio sul fianco, poi elevazione dell’arto sul piano frontale e
sagittale in piedi. Inizialmente a corpo libero, poi può essere fatto successivamente con dei pesi, è
sconsigliato in fase iniziale perché spesso il pz è obeso. Se c’è un blocco è meglio evitare di forzare.
Per rafforzare i muscoli. È importante potenziare il vasto mediale e quadricipite perché capita che il pz non
guarisce e si manda dall’ortopedico quando invece è “colpa” del fisiatra. Sia per migliorare l’anca che la
mobilità muscolare. Se non ha buon trofismo dei muscoli c’è la zoppia perché non ha potenziato i muscoli
giusti. Attenzione se si ha il pz obeso perché poggia il peso tutto sull’arto dolente. È necessario un buono
appoggio. Tutti questi esercizi vanno fatti senza protesi, se no porterebbero a lussazione.

PROTESI
Quando è necessaria? Quando è presente dolore persistente che non passa con terapia conservativa e
antinfiammatoria. Con claudicazione evidente e se ha difficoltà nei movimenti (non riesce ad es. a
ruotare internamente il piede della gamba dolorante, né a legarsi le scarpe). Le linee guide dicono che
devono essere eseguite sotto guida ecografica.
Nell’artrosi il nuoto è consigliato perché non si sovraccarica l’anca.
Bisogna istruire il pz su come prevenire le lussazioni ed effettuare i trasferimenti (evitare sede basse, di
inclinare il tronco avanti, incrociare le gambe sedendosi e alzarsi dopo esser scivolato sul bordo della
sedia). Nel pre-intervento è consigliabile acquistare una seduta comoda rialzata, perché il pz con la
protesi all’anca non può sedersi in sedie o divani bassi. In questo modo la pressione nell’anca non è
eccessiva.

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Nello squat la pancia e il sedere devono essere contratti perché altrimenti si fa male i muscoli lombari.

Spesso i pz anziani non hanno un buon controllo del corpo e non si rendono conto di quali sono i muscoli
agonisti e antagonisti. Dopo un eventuale intervento di protesi diventa essenziale avere controllo e stabilità
del corpo. Questi esercizi devono essere eseguiti con assistenza di personale sanitario (fisioterapisti e/o
fisiatri).
Infatti, un lieve squilibrio può dare problemi; ad esempio, pz anziana che ha asimmetria nelle gambe e
scoliosi da quando era piccola, va dal fisiatra/ortopedico perché ha zoppia. Ovviamente la prima cosa che si
potrebbe pensare è mettere un rialzo sotto il piede, ma in realtà è sbagliato perché così facendo si crea uno
squilibrio muscolare consolidato. Prima di cambiare il setto posturale è importante fare esercizi di stabilità
e rafforzamento.

Un’altra cosa da fare è attivare la pompa venosa. Se si migliora l’afflusso vascolare e il drenaggio vascolare
migliora tutto il quadro clinico del pz. Ad esempio, facendo sollevare il pz sulle punte si attivano le valvole
a nido di rondine e si migliora l’afflusso.

In generale: per tutti i muscoli antigravitari serie di esercizi lunghi. I muscoli fasici serie rapidi e brevi.
Per quanto riguarda l’ausilio si hanno diversi bastoni. Ad esempio, quando si prescrive il bastone ascellare
si devono valutare i muscoli della spalla (cuffia dei rotatori) per evitare danni.
Poi c’è il tripode (finale a 3 braccia), questi devono essere stretti, non larghi altrimenti il pz inciampa.
Un altro utilizzato è il deambulatore, che può essere a 4 ruote e si muove facilmente con poca forza. Quindi
se c’è ad esempio un pz con Parkinson conviene utilizzare il deambulatore a 2 ruote e 2 puntali così ha un
blocco e non rischia cadute.
È importante dire al pz di svolgere gli esercizi a scarpe chiuse, se non le ha e cade la responsabilità è del
medico che non ha vigilato.

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Dopo l’intervento il pz ha la necessità di iniziare a camminare piano piano con il deambulatore e poi con le
stampelle.
Carico sfiorante: vuol dire che inizialmente il pz poggia sull’arto sano e non su quello operato e poi via
via con un carico parziale progressivo anche sull’anca operata.
• Pre-operatorio: fare dei buoni esercizi per rafforzare il vasto mediale.
• Tecniche ormai avanzate, ma può succedere che perde tanto sangue e diventa anemico
lamentando stanchezza e ipossia.
• Protocolli fast-track: il paziente il più velocemente possibile deve tornare alla vita normale; il pz
anziano che sta tanto tempo a letto post-intervento perde tono muscolare e questo è svantaggioso.
Dopo allettamento prolungato il pz non riesce più a stare seduto. Ha inoltre problemi di
canalicolitiasi (patologia di appannaggio degli otorini) e questo contribuisce alla difficoltà a stare
seduti.
Obiettivo secondo giorno in piedi.
Altri obiettivi: togliere il catetere precocemente.

ESERCIZI
Rinforzare la muscolatura
Mantenere o aumentare il Range of Motion attivo e passivo
Passaggi posturali. Da supino a seduto, da seduto in piedi e viceversa. Questi vanno sempre scritti nei
protocolli riabilitativi e va indicato se il pz ha bisogno di assistenza. Ci sono delle scale per valutare se il
paziente riesce a muoversi solo o ha bisogno di aiuto (una è la trunk control test).
Il trasferimento letto-wc è una delle abilità che il pz deve recuperare in fretta. Questa fa parte delle attività
base come alzarsi dal letto e lavarsi. Poi ci sono quelle più complesse recuperabili in un secondo momento.
Trasferimento di carico: sono presenti in varie scale valutative. In questi casi, il fisioterapista deve far
appoggiare prima su un piede e poi sull’altro il pz e fargli ruotare la testa, prima da una parte e poi
dall’altra.

PROTOCOLLO RICE
Il protocollo RICE (Rest, Ice, Compression, Elevation) è uno dei protocolli base per qualsiasi problematica
ortopedica che va incontro a riabilitazione. Bisogna mettere subito a riposo completo la parte in questione,
applicare del ghiaccio, fare compressione (ad es. un bendaggio) e metterlo con posizione leggermente
rialzata. Un altro protocollo è il PRICE, dove la P sta per protezione, cioè quando vi è la necessità di
mettere un tutore (ad es. in presenza di una distorsione di caviglia).

Cosa aspettarsi dopo l’intervento


Nella riabilitazione, ci si pongono degli obiettivi che sono a breve, medio e lungo termine.
- BREVE TERMINE: recupero del ROM e rinforzo muscolare
- MEDIO TERMINE: recupero degli adl primari (cioè attività della vita quotidiana)
- LUNGO TERMINE: recupero del ciclo del passo nella maniera più fisiologica possibile

• Settimana da 0 a 3: è importante tenere il dolore sotto controllo (uso di paracetamolo, FANS) e attuare
degli esercizi che migliorino l’articolarità e la deambulazione. Una cosa importante sono esercizi
respiratori, in modo da migliorare il tono-trofismo addominale, ed esercizi per l’attivazione del
pavimento pelvico perché, in questo modo, si possono gestire i muscoli agonisti e antagonisti che, da
solo, il pz non riuscirebbe ad attivare

• Settimana da 3 a 6: l’anca dovrebbe permettere di intensificare gli esercizi, riuscendo a flettere l’anca
almeno a 90°, abdurla a 25° ed estenderla completamente
Importante da usare sono gli elastici, evitando di usare pesi, e fare la cyclette , alzando il sellino più alto
possibile, così da flettere meno l’anca e il ginocchio

• Settimana da 6 a 12: Si iniziano a fare degli esercizi di propriocezione, ad es. stare su una pedana
instabile ad occhi aperti o chiusi, in single task (cioè quando si fa una sola attività, generalmente negli
anziani), o in dual task (fatti dagli sportivi, ad es. stando con un solo piede sulla pedana mentre si

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palleggia).
Importanti esercizi da fare sono gli affondi, controllando il pz così da non farlo cadere, e far salire e
scendere le scale. In particolare, si sale iniziando con il piede sano, si scende iniziando con il piede della
parte malata.

N.B.: Il codice da usare nella riabilitazione è il codice 56, per cui i pz hanno come percorso riabilitativo 3
ore di palestra al giorno, un’ora e mezza la mattina e un’ora e mezza il pomeriggio. Se il pz diventa
autonomo, il percorso riabilitativo può terminare, altrimenti il pz deve fare riabilitazione
ambulatorialmente.
Tutti questi esercizi servono a:
- Migliorare il tono muscolare
- Ridurre il rischio di caduta
- Migliorare la qualità ossea
- Tenere il peso sotto controllo
Si consiglia di eseguire gli esercizi anche al termine del periodo di riabilitazione

FASE POST-OPERATORIA
- Protesi cementate: caricare secondo tolleranza con un deambulatore per almeno 2 settimane.
Successivamente, utilizzare prima 2 stampelle e poi una sola nella mano contro laterale per 4 mesi
- Protesi non cementate (o biologiche): durano di più ma non attecchiscono subito (preferibile quindi
nei giovani). Bisogna quindi iniziare lentamente, con carichi molto leggeri. Fare deambulazione con
carico sfiorante usando un deambulatore per 1-2 settimane. Successivamente, usare un bastone nella
mano contro laterale per un periodo di 4 mesi.
- Carrozzina: può essere utile per percorrere lunghe distanze, evitare una flessione eccessiva
dell’anca, oltre gli 80°. A tal fine, importante è sistemare un cuscino triangolare sul sedile. Bisogna
assicurarsi che i poggiapiedi siano sufficientemente lunghi.
- Cuscino di abduzione: per evitare una lussazione della protesi, importante soprattutto a letto mentre si
dorme o si riposa.

Istruzioni per i trasferimenti - Comportamenti da attuare:


- Evitare di chinarsi avanti per alzarsi dalla sedia o dal letto
- Prima far scivolare le anche in avanti fino al bordo anteriore della sedia, poi cominciare ad alzarsi
- Non incrociare le gambe quando ci si volta dalla posizione supina a quella seduta sul letto
- Assistere il pz fino a quando non è in grado di effettuare trasferimenti sicuri.
- Bagno: utilizzare un alza-water con assistenza fino a quando non sarà in grado di effettuare
trasferimenti sicuri.
- Training per le scale: Il buono sale in paradiso e il cattivo scende all’inferno - L’arto “buono” o non
operato sale per primo il gradino e l’arto “cattivo” od operato scende per primo il gradino.
- Bisogna valutare con la scala MRC (medical research council) se il paziente effettivamente recluta il
muscolo e poi valutare se il paziente effettua movimenti di strisciamenti sul letto, contro gravità o
contro resistenza posta dall’operatore.
- Istruzioni per il ritorno al domicilio: la sedia deve avere i braccioli e deve essere alta almeno 70 cm,
inclusa l’imbottitura, dall’alto del cuscino a terra. Per i rapporti sessuali il paziente dovrà attendere il
parere del medico e dovrà tendenzialmente stare supino ed evitare torsioni. Per fare il bagno il paziente
deve attendere almeno 6 settimane e deve comunque avere assistenza per evitare che la protesi si lussi.
Bisogna valutare l’ambiente domestico e le attività quotidiane in funzione degli ostacoli alla
riabilitazione.
- Attività da evitare: portare pesi o fare le pulizie; fare la spesa e sollevare carichi da soli, fare il bucato e
preparare i pasti, passare l’aspirapolvere, rifare il letto, lavare i pavimenti, sollevare i pesi in generale.
Evitare gli esercizi in generale che aumentano il carico sull’arto o costringono alla flessione.

Possibili complicanze post-operatorie e relative all’allettamento:


- Le infezioni sono complicanze piuttosto rare, 2 % circa. Si possono presentare nella ferita o nell’area

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attorno all’articolazione, per questo motivo il paziente viene sottoposto ad una terapia antibiotica
profilattica
- Bisogna evitare le piaghe da decubito, per farlo il paziente viene mobilizzato in maniera delicata
durante la pulizia quotidiana.
- Il pericolo che si formino trombi è elevato nel periodo dell’allettamento e per ridurre i rischi si
utilizzano: anticoagulanti, gambe sollevate, pressoterapia per stimolare la circolazione e calze elastiche.
Si può effettuare anche la mobilizzazione passiva e attiva del collo-piede in flessione dorsale.

TRATTAMENTO DELLA SINDROME RETTO-ADDUTTORIA


• Terapia conservativa dai 3 ai 6 mesi, permette di raggiungere la guarigione completa nell’80% dei casi.
Si articola in 3 fasi: ACUTA, SUBACUTA, RITORNO ALLO SPORT
Nella fase iniziale:
- Riposo assoluto
- FANS
- Crioterapia
- Terapia infiltrativa
- Laser
- Ultrasuoni
- Fattori di crescita
Tipologie di trattamenti conservativi:
- Allungamento della muscolatura adduttoria sia tradizionale che in PNF – Facilitazione Neuromuscolare
Propriocettiva.
- Allungamento catena posteriore tramite squadra Mezieres o Stretching Globale Attivo di Souchard.
- Esercizi propriocettivi mono e bipodalici, su varie superfici, in vari decubiti, a occhi aperti e chiusi,
salendo con un salto ecc.
- Trofismo e forza muscolare tramite isometria e elastici.
• Coordinazione intermuscolare e riprogrammazione dello schema motorio tramite oscillazioni e slanci
degli arti inferiori, diversi tipi di corsa (rettilinea, curva, in accelerazione. e decelerazione, con cambi di
direzione, con vari tipi di arresto), tramite diverse andature (skip, corsa calciata, passo laterale). Al
bisogno inserire anche gesti specifici attinenti all’eventuale sport praticato.
• Rinforzo muscolare in eccentrica, (inizialmente isometrica). [differenza: in isometria il paziente è fermo
e tiene il muscolo contratto; i movimenti concentrici sono quelli in cui il muscolo si accorcia; quelli
eccentrici sono quelli in cui il muscolo si allunga.]

TRATTAMENTI CHIRURGICI
In caso di mancata efficacia dopo almeno 3 mesi di trattamento conservativo
- Tendinopatia “pura” degli adduttori: detensione della muscolatura adduttoria, attraverso una
tenotomia percutanea, essenzialmente a carico dell’adduttore lungo (tecnica poco utilizzata perché
ritenuta troppo “distruttiva” per i giocatori professionisti).
- Lesioni della parete addominale: intervento di Nesovic, che consiste nel riequilibrio delle forze
muscolari tramite plastica addominale, ovvero suturare la parete addominale con l’arcata crurale e più
precisamente tra l’estremità inferiore del retto addominale e del tendine congiunto al periostio pubico.
Ridistribuzione in maniera ottimale dei “vettori forza” scaricando le zone di inserzione del retto
addominale e dei muscoli adduttori.

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BIOMECCANICA DELL’ANCA
L’anca è l’articolazione che si instaura tra la testa sferica del femore e la profonda cavità acetabolare della
pelvi. Ha delle caratteristiche anatomiche utili alla stazione eretta, deambulazione e corsa. È un voluminoso
osso piatto pari e simmetrico ed è costituito da ileo (posto superiormente), ischio(postero-inferiormente) e
pube (antero-inferiormente). Il punto di saldatura delle tre ossa corrisponde all’acetabolo.

I legamenti dell’articolazione coxo-femorale sono di fondamentale importanza in quanto garantiscono la


stabilità. Questi legamenti sono:
- legamento ileo-femorale, legamento pubo-femorale, legamento ischio femorale che permettono di
stabilizzare la testa del femore con l’acetabolo, ovvero rafforzano la superficie esterna della capsula
articolare.
- legamento ileo-lombare, sacro-iliaco anteriore e lombo-sacrale che permettono di stabilizzare le ossa
dell’anca con la colonna vertebrale, in particolar modo con l’ultima porzione della colonna lombare ed il
sacro.

Da un punto di vista clinico è di particolare interesse l’articolazione sacro-iliaca poiché è spesso coinvolta
in processi di tipo infiammatorio, artrosico e degenerativo.
Dunque, frequentemente le sacroileiti entrano in d.d. con le lombalgie in quanto sono caratterizzate da una
sintomatologia simile; in questi casi è importante eseguire un ottimo E.O con digitopressione della regione
sopracitata (sacroiliaca), seguito da esami radiologici che mettano in evidenza l’articolazione.
vere e proprie dai fenomeni artrosici che riguardano l’anca.

Per poter comprendere adeguatamente la biomeccanica dell’anca bisogna ben capire alcuni concetti chiave:

1)L’angolo di inclinazione descrive un angolo sul piano frontale compreso tra il collo del femore e il lato
mediale della diafisi femorale. Alla nascita questo angolo misura in media 175°-180°. Mano a mano con
l’attività muscolare ed il carico durante la deambulazione si verifica una riduzione di 2° ogni anno tra i 2 e
gli 8 anni di età fino a raggiungere un angolo di inclinazione di circa 125° (valore fisiologico).
Si possono avere anomalie dell’angolo di inclinazione:
-coxa vara (vara= piegare verso l’interno): in questo caso l’angolo di inclinazione sarà <125°, solitamente
intorno ai 105°
-coxa valga (valga=piegare verso l’esterno):in questo caso l’angolo sarà >125°, solitamente intorno ai 140°
Queste condizioni patologiche predispongono a deficit posturali che possono determinare entesiti, tendiniti
e fenomeni artrosici precoci. Sarà dunque importante il riscontro radiologico in questi soggetti di una
eventuale alterazione della biomeccanica dell’anca.

2)L’angolo di torsione del femore è quell’angolo che si instaura tra diafisi e collo del femore. Normalmente
il collo e la testa del femore sono proiettati in avanti, tra gli 8° e 20° (solitamente 15) rispetto alla diafisi del
femore. Parliamo di antiversione eccessiva quando abbiamo un angolo >15° (fino a 35°), mentre parleremo
di retroversione eccessiva quando abbiamo un angolo <15° (fino a 5 °).
Queste variazioni dell’angolo possono dunque determinare patologie di carattere ortopedico.
Nel neonato l’angolo di antiversione è di circa 40° e ciò è fisiologico. Con la crescita ossea, aumento del
peso e attività muscolare l’angolo si ridurrà fino 15° entro i 16 anni. La persistenza di questa antiversione
predispone a degenerazione articolare. Quest’ultima o un’eccessiva antiversione (25°,45°,80°) può
determinare un’intrarotazione compensatoria dell’arto inferiore nel bambino (come nelle paralisi cerebrali).

STRUTTURA DEL FEMORE


È l’osso lungo più voluminoso del corpo e rappresenta lo scheletro della coscia. Prossimalmente si articola
con l’acetabolo dell’osso dell’anca, invece distalmente si articola con tibia e rotula.
Dal punto di vista strutturale è costituito esternamente da osso compatto, nella corteccia, che garantisce
resistenza a forze tangenziali e torsioni ed internamente da osso spugnoso che forma la rete trabecolare
mediale e arcuata che conferisce elasticità all’osso.
La testa del femore forma circa 2/3 di una sfera completamente ricoperta da cartilagine articolare, eccetto la
regione centrale chiamata fovea. Il ligamentum teres (o legamento rotondo della testa del femore) si trova
tra il legamento trasverso dell’acetabolo e la fovea, dove all’interno passa l’arteria acetabolare utile per
fornire sangue alla testa del femore nel neonato; nell’adulto serve relativamente a poco, in quanto il

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nutrimento è dato dalle arterie circonflesse mediali e laterali. La principale funzione nell’adulto è quella di
aumentare la sensibilità propriocettiva in quanto è particolarmente ricco di meccanocettori.

STRUTTURA DELL’ACETABOLO
È una profonda cavità emisferica che accoglie la testa del femore. Il ciglio acetabolare è incompleto e
presenta una apertura inferiore dai 60° ai 70°. È presenta una incisura acetabolare che è ricoperta da
cartilagine, mentre la fossa acetabolare non presenta cartilagine ma è presente uno spazio per il legamento
teres. Il labbro acetabolare è un robusto anello fibrocartilagineo, importante dal punto di vista
biomeccanico in quanto fornisce stabilità (della testa del femore sull’acetabolo) e mantiene una pressione
intra-articolare negativa. Le lesioni del labbro acetabolare sono insidiose in quanto essendo una regione
scarsamente vascolarizzata presenta una scarsa capacità di guarigione spontanea.

OSTEOCINEMATICA DELL’ANCA
L’osteocinematica (dal greco ostéon = osso e kínema –atos = movimento) studia i movimenti osservabili
delle ossa nello spazio, da un cambiamento dell’angolo tra segmenti scheletrici adiacenti.
Essa si suddivide in:
-osteocinematica femorale-pelvica dell’anca, che è la rotazione del femore rispetto alla pelvi che è fissa.
Possiamo valutarne diversi piani e gradi:
1) Flessione dell’anca: è quel movimento che ci permette di portare il ginocchio verso l’addome. Arriva
fisiologicamente a 120°
2) Estensione dell’anca: è quel movimento che ci permette di portare posteriormente il ginocchio. Arriva
fisiologicamente a 20°
3) Abduzione dell’anca: è quel movimento che ci permette di portare verso l’esterno il ginocchio. Arriva
fisiologicamente 40°
4) Adduzione dell’anca: è quel movimento che ci permette di portare verso l’interno il ginocchio. Arriva
fisiologicamente a 20°
5) Movimenti di rotazione dell’anca sul piano orizzontale: la rotazione interna è di 35°, la rotazione
esterna 45°
-osteocinematica pelvica-femorale dell’anca: è la rotazione del bacino rispetto al femore fermo (è il
classico movimento che noi compiamo quando ci abbassiamo per raccogliere un oggetto)
Anche qui possiamo valutarne diversi piani e gradi:
1) 1)flessione in avanti di circa 90° da seduto oppure flessione in avanti di circa 30 ° in posizione
eretta
2) 2)estensione di 15° del bacino rispetto al femore
3) 3)abduzione (cioè in questo caso è il bacino che si allontana dal femore) di 30° del bacino rispetto
al femore
4) 4)adduzione di 25° del bacino rispetto al femore
5) 5)Movimenti di rotazione del bacino rispetto al femore: rotazione interna ed esterna di circa 15°.

È importante conoscere l’articolarità fisiologica del soggetto per poter valutare una eventuale riduzione
dell’osteocinematica sia per quanto riguarda il piano che l’angolo. Questi concetti sono fondamentali per
descrivere a 360° l’alterazione patologica del paziente e stabilire qual è il piano riabilitativo più
appropriato.
I muscoli che permettono tutti questi movimenti sono gli adduttori, gli abduttori, il retto dell’addome, il
bicipite femorale, il retto femorale (questo è importante perché permette di flettere l’anca ed estendere il
ginocchio).
Normalmente la protesizzazione d’anca avviene per coxartrosi importante, quando il paziente ha eccessivo
dolore, oppure dopo frattura. Fondamentale da visionare all’imaging radiologico: la rima articolare deve
essere ben rappresentata. L’articolazione dell’anca è una enartrosi che permette movimenti in flessione,
estensione, adduzione, abduzione, rotazione. Nei punti di carico c’è una maggiore rappresentazione della
cartilagine articolare, che nell’artrosi e nell’invecchiamento diminuisce e determina dolore.
Radiologicamente nell’artrosi vediamo la rima articolare che si fa sempre più sottile fino a scomparire in
alcuni punti. Ci sono geodi (formazioni cavitarie pseudocistiche a contenuto fibromixoide che si formano
nell'osso subcondrale delle articolazioni colpite da artrosi) e aree di osteofitosi che non permettono più

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un’adeguata congruenza tra testa e acetabolo, causando dolore e impotenza funzionale (si sente bloccato in
flessione o estensione dell’anca).
La degenerazione artrosica di tutte le articolazioni può essere idiopatica o secondaria. Le più frequenti
possono essere sia l’usura da invecchiamento, ma anche da sforzi eccessivi, osteonecrosi asettica
dell’epifisi femorale, traumi, infezioni, fratture sottocapitate del collo femorale, artrite reumatoide.
Questo causa disabilità, dolore al paziente che comporta una mancata utilizzazione dell’articolazione, a cui
consegue un ipotono e ipotrofia muscolare da immobilità. Da ciò deriva una perdita del normale ciclo del
passo, frequenti cadute. Congiuntamente all’invecchiamento e al tasso crescente di obesità, queste
aumentano il rischio di fratture, con notevole costo socioeconomico.

Sintomatologia:
• dolore inguinale, solitamente irradiato all’interno o all’esterno della coscia, può arrivare al ginocchio o
alla schiena.
• impotenza funzionale con perdita di ROM
• zoppia, il paziente soffre durante la deambulazione
La sintomatologia è inizialmente occasionale, poi aumenta in frequenza fino a diventare permanente (anche
notturna).

Oltre l’esame radiografico, che permette di farci vedere come cambia l’osso morfologicamente nel contesto
di artrosi, di fa un esame clinico nel cui contesto si effettuano diversi test, tra cui il FABER test o il FADIR
test.
Nel FABER test si invita e si guida il paziente durante una flessione, abduzione ed extrarotazione
dell’anca. Se suscita dolore o si blocca il movimento prima della terminazione dell’escursione articolare
massima, il test è positivo ed è possibile che ci sia un impingement o artrosi d’anca.
Nel FADIR test si invita e guida il paziente in flessione, adduzione e intrarotazione. Se l’articolarità è
limitata o il paziente ha dolore dobbiamo indagare se si tratta di un impingement o artrosi d’anca.

TRATTAMENTO
• Negli stadi iniziali, quando la rima articolare è mantenuta e gli osteofiti non sono eccessivi, si può
tentare un trattamento conservativo riabilitativo con infiltrazione di acido ialuronico e antinfiammatori
per os.
• Se il paziente non risponde e si trova in uno stadio avanzato allora si procederà con chirurgia.
Un team multidisciplinare dovrà prendere in carico il paziente, perché fisiatra e fisioterapista, dopo la
chirurgia, dovranno seguirlo attentamente.
• Infiltrazioni ormai sono effettuate con approccio eco guidato. Soprattutto per l’anca è essenziale per via
delle strutture vicine che non devono essere danneggiate. L’ago va inserito in prossimità della rima
articolare che viene identificata mediante una guida ecografica, che rende la procedura più semplice. Si
vede una sorta di semiluna iperecogena che corrisponde all’osso, su cui poi si va ad infilare l’ago.
• Mezzi di osteosintesi o protesi. Come mezzi di osteosintesi chiodi e viti. Per protesi si intendono delle
strutture che possono essere ulteriormente saldate da viti o da cerchiaggio, soprattutto se il paziente è
lussato e deve andare incontro ad una revisione di intervento chirurgico.
Nel momento in cui si impianta una protesi, si può scegliere tra una endoprotesi, in cui si sostituisce
esclusivamente la componente femorale o acetabolare, o artroprotesi, in cui si sostituisce sia la
componente femorale che acetabolare. L’impianto viene scelto sulla base delle caratteristiche del paziente,
per ricostruire meglio la geometria dell’anca. Si può usare una cementata, che viene soprattutto usata nei
pazienti anziani che necessitano di un carico immediato, perché un allettamento prolungato fa perdere loro
il controllo del tronco, non riescono più a mettersi neanche seduti e possono andare incontro a inibizione
artrogenica, ovvero una ipotonotrofia muscolare soprattutto del quadricipite, difficile da recuperare se non
vi è un carico post-operatorio immediato. Camminando quasi da subito, i pazienti anziani scongiurano
complicanze quali TVP o piaghe da decubito.
Una protesi biologica ha una durata maggiore, soprattutto utile in giovani con artrosi precoce. In generale
dura una decina d’anni, ma anche più se il paziente è magro e non la stressa molto.
La protesi ha diverse componenti:
• la coppa che corrisponde alla testa del femore e che va inserita nell’acetabolo,

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• lo stelo che si inserisce nella diafisi.


Nella protesi cementata c’è il cemento che fissa la parte protesica all’osso, mentre in quella non cementata
è un meccanismo a pressione che permette l’adesione delle componenti.
Le possibili complicanze che il fisiatra deve prendere in considerazione sono molteplici:
• Dismetria: dopo un impianto di protesi d’anca, soprattutto le protesi totali, un arto è più corto dell’altro.
Dopo un primo training riabilitativo di potenziamento muscolare, quando il paziente comincia a
deambulare, sarà necessario usare per un periodo dei rialzi. Per piccole dismetrie < 1cm, il rialzo è una
sorta di plantare che viene messo dentro la scarpa anche invisibile e la cui unica necessità è quella di
usare delle calzature appropriate. Nelle dismetrie > 1 cm invece è necessario mettere un rialzo fuori
dalla scarpa e non basta un tacco, ma spesso deve essere a tutto spessore. Questo è importante per
evitare un rischio di cadute e zoppia eccessivo.
• Lussazione della protesi. Ci sono degli atteggiamenti che vanno evitati, soprattutto nel primo periodo
dopo l’intervento chirurgico, come l’eccessiva flessione dell’anca, l’adduzione e l’intrarotazione. Nel
tempo potranno essere effettuati con prudenza. Nell’anziano per via della demenza spesso non vi è
adeguata compliance a queste prescrizioni; infatti, spesso questi pazienti nelle ore notturne tenderanno
ad intraruotare l’anca con alto rischio di lussazione. Un altro movimento da evitare è una seduta troppo
bassa (es. in macchina, in carrozzina).
• Ipotrofia muscolare: più frequente e duratura se dopo la chirurgia il paziente non fa riabilitazione, causa
uno squilibrio muscolare tra le due gambe, che può rendersi responsabile di frequenti cadute. Da qui la
necessità, con la riabilitazione, di portare il paziente a riacquisire la dinamicità e autonomia precedente
all’intervento. Qualora non fosse possibile si prescrivono degli ausili alla deambulazione, come un
bastone, la carrozzina, il deambulatore poiché l’obiettivo è non farlo cadere. Col tempo il paziente dovrà
smettere di usarli.
• Ritardo nella cicatrizzazione o infezione della ferita, spesso dovuto a problemi di vascolarizzazione con
arrossamento, si può arrivare fino alla necrosi.
• Neoformazione di tessuto osseo nelle zone periprotesiche: deriva da trasformazione strutturale di parti
della muscolatura glutea.
• TVP e EP, da evitare mediante un trattamento con eparine a basso peso molecolare (clexane) fino a
dopo un mese dall’intervento, finché non termini l’allettamento e si muova adeguatamente. Si
prediligono calze elastiche bilaterali.

Un paziente, dopo chirurgia, ormai viene invitato ad essere ricoverato per un periodo più o meno lungo in
presidi di riabilitazione. Se il paziente riesce a muoversi adeguatamente si ricovera in riabilitazione
intensiva, ovvero farà trattamento riabilitativo 3h al giorno e se ha altre comorbidità, che non gli
permettono di prolungare la seduta riabilitativa, si possono dilazionare le 3h nell’arco della giornata.
Se il paziente, per età avanzata o patologie CV di base, non riesce a tollerare eccessivi sforzi, può essere
ricoverato in riabilitazione estensiva, che prevede solo 1,5 h al giorno e anche questa può dilazionarsi nel
tempo.
Durante il ricovero il fisiatra deve valutare la ferita e togliere i punti, perché in ortopedia sta solo 3-5 giorni
con approcci fast-track con dimissione precoce. Va sempre valutato con RX di controllo a 15-20-30 giorni
dalla chirurgia che non ci siano neoformazioni di tessuto osseo nelle regioni periprotesiche, perché
potrebbero bloccare l’articolarità dell’anca, inoltre bisogna controllare che non si mobilizzi la protesi e non
si lussi.
Gli obiettivi del progetto riabilitativo sono:
• Recupero completo dell’articolarità, quindi del ROM con flessione, estensione e ad e abduzione che si
erano persi dopo frattura o artrosi, per permettere una deambulazione sufficiente;
• Potenziamento muscolare, soprattutto del quadricipite, ischio-crurali, abduttori, che più frequentemente
per via del dolore del paziente non sono stati più usati e l’immobilità ne ha causato una ipotrofia
• Training del passo sicuro: il paziente deve imparare nuovamente a camminare. Infatti, il fisioterapista
dovrà spiegare nuovamente come camminare spezzettando il ciclo del passo, quindi la fase di istanza, di
appoggio del tallone, fase di doppio appoggio, fase di spinta. Spesso fondamentale l’utilizzo di ausili,
iniziando spesso con un deambulatore, poi due stampelle, una stampella fino a non utilizzarli del tutto.
• Evitare cadute, mediante controllo ambiente domestico e di eventuali barriere architettoniche;

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• Raggiungimento di una sicurezza e controllo dei movimenti anche durante il dualtasking. Nella maggior
parte dei casi, senza pensarci, effettuiamo due movimenti contemporaneamente (camminiamo e
chiacchieriamo), nel paziente anziano che perde il ricordo del ciclo del passo questo non è molto facile.
Se il paziente non è più allenato al dual-task il rischio di caduta aumenta, per cui nella riabilitazione è
sempre consigliato il training dual-tasking.
• Reinserimento nell’attività di vita quotidiana (ADL), con recupero di ogni disabilità. Le ADL sono oltre
il camminare, gli spostamenti sedia-letto, sedia-in piedi, andare in bagno, vestirsi. Vi è spesso una
raccolta anamnestica in cui si chiede a che piano vive, se dispone di un ascensore, se le porte sono
grandi tali da far passare un deambulatore, se da solo o ha un caregiver. È necessario prendere visione di
dove il paziente andrà per attuare il miglior percorso riabilitativo.
La riabilitazione di solito inizia con il paziente a letto. Il recupero del ROM nei primi giorni dopo
intervento viene effettuato a letto, normalmente al primo o al secondo giorno. Il paziente viene messo poi
seduto al letto e se riesce a mantenere la stazione seduta senza supporto, può cominciare una riabilitazione
in piedi, inizialmente per pochi minuti con appoggio o assistenza, fino all’abbandono degli ausili.
Normalmente, subito dopo l’intervento, viene posizionato un tutore morbido triangolare o un cuscino tra le
gambe in abduzione, per evitare una intrarotazione dell’anca, che favorirebbe una lussazione della protesi.
Viene sempre effettuata la medicazione della ferita chirurgica. Inizialmente il paziente potrebbe arrivare
con un catetere vescicale, per cui dovrebbe essere assistito dal personale.
Quando cominciamo la riabilitazione fisioterapica, il paziente avrà un po' di dolore; quindi, a letto si
procede con l’esecuzione di un training respiratorio, che potenzia anche i muscoli addominali. Il recupero
del ROM si può fare attivamente o passivamente con il kinetec, un macchinario che sposta l’arto senza
necessità che lo faccia il fisioterapista per lungo tempo. Il rinforzo muscolare può essere effettuato facendo
contrarre il quadricipite, mettendo sotto un supporto, così da sollevare il piede.
Si inizia sempre con esercizi privi di carichi, evitando pesi come cavigliere. Quando necessario, si
preferisce l’uso di elastici piuttosto che pesi. Altri esercizi che il paziente può fare sono gli squat. In un
primo momento un paziente protesizzato non può fare una flessione eccessiva; quindi, lo squat deve essere
solo accennato e un mezzo squat non deve superare mai i 45° negli adulti e mai superare i 30° nell’anziano.
Anche la cyclette potrà essere inserita nel processo riabilitativo, ma la sella dovrà essere alta, perché
se bassa si favorisce la lussazione della protesi per via dell’eccessiva flessione dell’anca. Col passare del
tempo, oltre al rinforzo muscolare si verifica una stabilizzazione della protesi e si riacquisiscono più gradi
in flessione e adduzione. Un altro esercizio che si fa spesso per potenziare i muscoli glutei e ischio-crurali è
l’esercizio del ponte, che il paziente tollera molto bene e permette di rinforzare addominali, scaricare la
schiena, e ha benefici anche sui muscoli paravertebrali. Il paziente normalmente deve mantenere la
posizione un minuto o fino a fatica e poi riappoggiarsi sul lettino.
Al paziente vengono impartiti giornalmente dei consigli per eseguire dei movimenti in sicurezza senza
rischi di lussazione della protesi:
1. È possibile dormire sul fianco sano mantenendo un cuscino tra le gambe (almeno per le prime 10
settimane)
2. È consigliabile scendere dal lato operato; far scivolare la gamba operata verso l’esterno e sedersi con
gambe giù dal letto appoggiandosi con le braccia al materasso
3. Seduti sul letto con le gambe distese non piegarsi in avanti
4. Non incrociare le gambe
5. Non intra-ruotare le gambe
Valutare in quale letto posizionare il paziente, il letto va messo con l’arto sano vicino al muro e l’arto
operato con possibilità (tolta la sponda) di essere poggiato per primo a terra, così da favorire il fisioterapista
all’appoggio. Invece nell’ictus si pone l’arto deficitario libero per spronare il paziente ad usarlo sempre di
più, con sponde per evitare di cadere.
Vengono spiegati al paziente i cambi posturali a letto, ad esempio che non può girarsi sul lato operato in un
primo momento perché favorirebbe l’intrarotazione dell’anca. Viene anche spiegato come alzarsi dalla
sedia senza flettere eccessivamente l’anca e come flettersi in avanti per raccogliere un oggetto evitando una
flessione eccessiva dell’anca.
In riabilitazione intensiva i primi obiettivi sono:
1. Cambi posturali in sicurezza, senza che il paziente cada ed evitando una lussazione di protesi
2. Esercizi di potenziamento dei muscoli dell’arto inferiore, con recupero totale o eventualmente parziale
del ROM dell’anca

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3. Training della deambulazione con ausili, deambulatore, stampelle e poi via via sempre con maggiore
autonomia.
4. Svezzamento degli ausili
La dimissione viene decisa dal team ed è subordinata alla capacità del paziente di assolvere alle normali e
necessarie attività di vita autonomamente, eventualmente con ausili e presidi. Di norma, in una protesi
d’anca con riabilitazione intensiva, se non ci sono problemi, il ricovero dura circa 1 mese, al termine del
quale farà una RX di controllo e si deciderà se continuare una riabilitazione estensiva o con riabilitazione a
domicilio, oppure con una riabilitazione ambulatoriale.

Una volta dimesso è fondamentale:


• Rimuovere qualunque ostacolo a casa per evitare di inciampare e di cadere. Valutare se il paziente può
salire le scale eventualmente provvedere ad un montacarichi.
• Evitare di usare cassetti e ripiani posizionati in basso in modo da evitare una flessione eccessiva
dell’anca
• Non è possibile tornare immediatamente alla guida e nei casi dei trasferimenti in macchina è necessario
reclinare leggermente indietro lo schienale ed utilizzare due cuscini sulla seduta. Al momento della
discesa dalla macchina è opportuno posizionare un cuscino tra le ginocchia.
• Per vestirsi e per l’igiene personale chiedere ad un caregiver o usare ausili specifici come spugne con
manico lungo, calzascarpe con manico lungo.
• Usare un alza-water.
• Preferire la doccia o una sedia per vasca.
• Utilizzare pinze con manico lungo per afferrare qualcosa sul pavimento. Oppure piegarsi in avanti
piegando il ginocchio sano e mantenendo distesa indietro la gamba operata, non bisogna mai
accovacciarsi. Lasciando la gamba operata indietro evitiamo che con la flessione del tronco si produca
una flessione dell’articolazione coxo-femorale.
• Per cambiare direzione compiere piccoli passi staccando sempre bene i piedi da terra, non intraruotare la
gamba operata nei cambi di direzione.
• Salire le scale portando in avanti prima la gamba sana, poi quella operata e per ultimo le stampelle.
• Per scendere le scale posizionare le stampelle sul gradino inferiore, portare in avanti prima la gamba
operata e poi quella sana.
• Usare il corrimano per salire la scala, ma non abbandonare la stampella.
• Spesso viene invitato a mantenere un cuscino tra le gambe, per evitare che durante la notte intraruoti
l’arto involontariamente.
Anche quando viene dimesso, il paziente può essere invitato ad effettuare gli esercizi fisioterapici a
domicilio, come la contrazione isometrica mettendo un sostegno sotto il ginocchio corrispondente al piede
da sollevare. Fondamentale effettuare un potenziamento dei muscoli laterali dell’anca: in piedi con le mani
appoggiate in fondo al letto, allontanare la gamba operata dalla sana, mantenere la posizione per 3-4
secondi e tornare alla posizione di partenza; al ritorno fare attenzione a non incrociare le gambe.
La cyclette con seduta alta può essere portata avanti a casa. Se il paziente prima era autonomo, in base a
quanto può recuperare e da quanto trofismo e ROM abbia già recuperato, può iniziare ad abbandonare le
stampelle (regola è che quando il paziente tende a dimenticarla vorrà dire che non ne ha bisogno).

Regole per preservare la protesi:


• Con l’uso e le attività quotidiane, l’inserto e la testina della protesi vanno lentamente incontro a usura.
L’eccessiva attività o il peso elevato possono accelerare questo processo e possono condurre
precocemente verso un intervento di sostituzione della protesi.
• Sono sconsigliati tutti gli sport che prevedono traumi diretti o indiretti dell’anca e che prevedano il
contatto con gli avversari (sport di squadra)
• Attività consigliate: tennis, corsa, nuoto, bicicletta e altre attività a basso impatto. Possono essere riprese
dopo un primo periodo di riabilitazione.
In realtà anche pazienti giovani possono andare incontro a protesi, soprattutto se con problemi di valgismo
o varismo, artrosi precoce, se obesi, se hanno caricato troppo in gioventù, per cui dovranno essere
protesizzati precocemente. In questi casi l’attività fisica andrà effettuata con cautela, se no la protesi durerà

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meno di 10 anni, con la necessità di una revisione di intervento chirurgico.

FRATTURE
Il paziente anziano va purtroppo incontro a frattura per osteoporosi o per traumi ripetuti (fratture da
fragilità).
L’incidenza è molto alta e cresce analogamente alla mortalità all’aumentare dell’età del paziente.
Negli ultimi anni la mortalità dopo frattura di femore si è ridotta, ma rimane molto alta la disabilità residua
ad 1 anno dalla frattura. Se la disabilità è >50% normalmente poi diviene permanente, perché è più
semplice riabilitare una disabilità entro il primo anno, in quanto dopo si genera una perdita del tono e del
trofismo muscolare.
La prognosi dipende dalle comorbilità (es. denutrizione, artrite reumatoide). Un paziente molto autonomo
prima della frattura tenderà a recuperare meglio. Le capacità cognitive inficiano molto il percorso
riabilitativo, in quanto una demenza causa una minore aderenza al trattamento riabilitativo. Il paziente
tende a dimenticare il training per cui si ricomincia da capo, finché il paziente sviluppa un automatismo.
Coinvolta anche la depressione: mentre nel post-stroke la depressione è frequente, nel soggetto allettato,
anziano e isolato, si va facilmente incontro ad uno stato depressivo che fa sì che il paziente non mangi
adeguatamente, non collabori, eviti la fisioterapia, renda impossibile la riabilitazione intensiva, per cui
verrà spostato in una
riabilitazione estensiva come una RSA, in cui si riduce il numero di ore di riabilitazione e la disabilità sarà
più duratura.
A volte i pazienti tornano in casa o in casa di riposo, dove la riabilitazione non sempre viene effettuata e
questo peggiora la prognosi.
Le condizioni cliniche di base configurano tre tipologie di profili di pazienti anziani con frattura del
femore, che ci permettono di capire fino a quanto posso spingermi nel percorso riabilitativo.
1. 10% individui totalmente indipendenti e con scarsa o nulla comorbidità, prognosi migliore e cerco di
farlo recuperare il più possibile tentando di farlo ritornare indipendente.
2. 10% altamente disabile e incapace di deambulare prima della frattura, qui il percorso è utile a prevenire
le complicanze dell’allettamento. Si cercherà di disallettare il paziente, eventualmente rimetterlo in
carrozzina, per evitare TVP, piaghe da decubito.
3. 80% soggetti autonomi ma con alcune difficoltà nell’esecuzione delle attività quotidiane e con due o più
patologie croniche associate (cardiache, respiratorie, artrosiche). Sono soggetti che spesso rientrano nei
soggetti fragili.

Molti dei pazienti con frattura di femore rientrano nella definizione geriatrica di soggetti fragili, definita da:
• Riduzione delle riserve funzionali
• Aumentata vulnerabilità multi-sistemica di organi e apparati alle malattie

Nei soggetti fragili le fratture di fragilità del femore prossimale sono molto frequenti:
• Sono in genere secondarie ad eventi traumatici di modesta entità, come una caduta o un urto, che
normalmente in soggetti non fragili non avrebbero causato una frattura.
• Avvengono frequentemente in persone con preesistenti disturbi della mobilità o dell’equilibrio, o deficit
sensitivi o altre patologie associate (ipovedenti).

I fattori prognostici vanno ad inficiare il trattamento riabilitativo e sono distinti in:


1) Precedenti all’evento acuto:
a) Età, più è anziano più il trattamento riabilitativo è complicato;
b) Stato funzionale pre-frattura, se deambula autonomamente o meno;
c) Stato cognitivo o depressivo;
d) Comorbidità, come insufficienza cardiaca con NYHA che causa un importante dispnea durante la
riabilitazione. Durante la riabilitazione nel periodo COVID si mette un saturimetro, così come in
pazienti con classi NYHA critiche.

2) Altri conseguenti alla frattura e al trattamento post impianto di protesi:


a) Sviluppo di complicanze intra-ospedaliere;
b) Delirium, in questo caso va dimesso, perché il paziente è come se non riconoscesse l’ambiente
circostante e magari la presenza dei parenti permette un miglioramento del quadro oltre che della

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compliance alla riabilitazione domiciliare.


c) Scarso controllo del dolore;
d) Prolungata immobilizzazione con piaghe da decubito.

Una maggiore faticabilità, debolezza, anoressia, paura di cadere inficiano la deambulazione, creando
maggiore disabilità e morbidità/mortalità. Altri segni sono sarcopenia, osteopenia, malnutrizione e calo
ponderale. Si rimedia mediante un catetere venoso o la nutrizione parenterale o un sondino naso-gastrico
(anche se più difficile da tollerare durante il trattamento riabilitativo). Ci potrebbe essere disfagia, ad
esempio in caso di pregressi ictus.
Per approfondire il tono dell’umore, spesso viene richiesta una consulenza psichiatrica e un supporto.
Instabilità posturale, disequilibrio vanno trattati con ginnastica posturale adeguata e con trattamento
propriocettivo.
Trattiamo la fragilità mediante:
• Stabilizzazione del quadro clinico, che viene fatta in ortopedia
• Valutare la potenziale reversibilità del paziente delle ADL (normale stile di vita)
• Prevenire l’evoluzione verso la disabilità

L’intervento fisioterapico deve essere integrato da un nursing dedicato e finalizzato:


• Alla cura delle posture, aiutandolo a spostarsi quando non riesce da solo;
• Alla mobilità al letto, per evitare le piaghe;
• Al mantenimento delle autonomie apprese sotto la guida del fisioterapista in modo da raggiungere
obiettivi comuni quali la prevenzione dei danni cutanei e osteoarticolari da immobilità. Se il paziente
presenta iniziale piaga è fondamentale medicarla opportunamente, mettere dei presidi antidecubito,
perché una piaga rende più complicato il trattamento riabilitativo, peggiora la seduta perché il paziente
avrà dolore al livello sacrale, rende complicata la deambulazione;
• A volte è necessario anche aiutarlo a mangiare;
• Riprendere alcune attività autonome al letto, il che migliora molto anche il tono dell’umore.

Ormai si attenziona sempre di più questo approccio multidisciplinare:


• Dimissione fast-track dall’ortopedia, quindi quanto più precocemente possibile, normalmente secondo-
terzo giorno.
• Si attua un precoce ricovero in riabilitazione se possibile intensiva dove si fanno 3h al giorno e se
diventa improprio si dimette e si indica la estensiva con durata di 1,5h al giorno in RSA.
• Si cerca di ridurre la mortalità, con l’aiuto di un geriatra o di un internista.
• Si cerca di ridurre il delirium e il disorientamento temporo-spaziale con l’aiuto di un neurologo o uno
• psichiatra.
• Si cerca di ridurre le complicanze da immobilità, con precoce mobilizzazione con l’aiuto degli
infermieri durante la giornata nei momenti in cui non fa fisioterapia e si invitano gli OSS a sedere il
paziente durante i pasti, spronando il paziente a cambiare postura.

La responsabilità nel trattamento internistico non è solo del geriatria o dell’internista, ma è ormai condivisa
con ortopedico e fisiatra
Nel team multidisciplinare sono inseriti anche l’OSS, l’infermiere, il terapista della riabilitazione
occupazionale, il caregiver e l’assistente sociale. L’assistente sociale è quello che si assicurerà che il
paziente dimesso andrà in un ambiente adeguato alle proprie necessità.
Il terapista della riabilitazione occupazionale è quello che ha un ruolo importante nell’evitare la
depressione. Il paziente viene invitato a svolgere le attività della vita quotidiana.
Normalmente si mette un’endoprotesi nelle fratture mediali del collo del femore, con sostituzione della sola
componente femorale. Nelle fratture laterali e nella coxartrosi normalmente l’ortopedico preferisce
un’artroprotesi.
Nella demenza ci sono dei percorsi riabilitativi appositi che durante il trattamento riabilitativo si possono
associare al trattamento fisiatrico generale. Devo valutare prima di tutto il deficit neuro-cognitivo
(riabilitazione neuro-motoria), valutare se ha anche un deficit deglutitorio (riabilitazione deglutitoria
appropriata grazie all’aiuto di una logopedista), valutare se ha un’insufficienza respiratoria, valutare se
presente costipazione.

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La precoce ripresa delle activities of daily living è l’obiettivo principale della presa in carico, perché
migliora anche l’aderenza al trattamento e l’umore del pz.

Le ulcere da pressione hanno una evoluzione ben precisa, si vede un semplice arrossamento e se il giorno
successivo è sempre presente si deve attenzionare. Se si forma l’ulcera l’evoluzione in necrosi è più
frequente. Valutare capacità visive, perché un soggetto che non vede adeguatamente rischia una caduta.

Utilizzo del deambulatore a 2 ruote e 2 punte. Quando diventa autonomo con il deambulatore l’uso delle
stampelle è importante ed è anche difficile da acquisire. Il pz abbandonerà la stampella autonomamente
quando si sentirà sicuro ed avrà meno paura di cadere. Nel caso del pz che abbia paura di cadere gli
vengono
proposti dei trattamenti idonei. Il kinetec permette di allenare l’arto e recuperare il range of motion.

La ginnastica propriocettiva è quella che permette di mantenere l’equilibrio nonostante perturbazioni


esterne.
Il sistema propriocettivo ci permette di mantenere l’equilibrio grazie alla muscolatura degli arti inferiori,
soprattutto quando viene destabilizzato (trattamento riabilitativo dell’anca, vestibolopatia, labirintite, deficit
visivo, ecc). La ginnastica propriocettiva può iniziare con semplici circuiti e percorsi che stimolano la
sensibilità della pianta del piede (tappetini con dei sensori, cuscini che permettono una percezione diversa
dal liscio del pavimento oppure le tavolette di Freeman, che permettono recupero e miglioramento della
propriocezione). Su questi cuscini o tavolette si inizia a salire con entrambi i piedi, poi solo con uno, si
associano altre azioni (dual task cognitivo o motorio), esercizi quali squat.
Gli esercizi diventano sempre più complessi in relazione all’età del pz e alle prestazioni motorie. Spiegare
come salire le scale od evitare un ostacolo è fondamentale per il pz per evitare cadute e prendere
consapevolezza del suo sistema propriocettivo. I fattori ambientali sono da considerare; spesso è
un’assistente sociale che se ne prende carico, per valutare se ha caregiver, se ha possibilità di utilizzare un
deambulatore, se riesce a tornare per fare riabilitazione ambulatoriale o ha necessità di un ADI.

Prima della dimissione del pz abbiamo la necessità di conoscere i suoi progressi per decidere cosa è più
opportuno fare e sulla base di questo lo sottoponiamo ad alcune scale valutative.
• NRS viene chiesto al pz quanto dolore abbia da 0 a 10. Alla dimissione dovrebbe avere un punteggio
più basso.
• ROM valutiamo con un goniometro il grado di flessione ed estensione, abduzione ed adduzione,
rotazione del distretto interessato. Valutiamo ad inizio trattamento e poi in una fase più avanzata
valutiamo i miglioramenti.
• MRC
• Si usa una MRC modificata con il 4- e il 4+, in base alla resistenza offerta dall’operatore.
• BI ci dà subito la possibilità di valutare l’indipendenza funzionale del pz. Un punteggio > 60 indica
che il pz è indipendente.
• BRADEN ci permette di capire non solo la disabilità del pz ma anche se ha un maggiore rischio di
sviluppare piaghe. La percezione sensoriale può essere alterata, ad esempio nel pz diabetico se
sviluppa una lesione di continuo non ne percepirà il dolore. Per umidità si riferisce al pannolone (a
livello sacrale, se non cambiati immediatamente ogni volta, si rimane umidi rischiando che si formi
una piaga da decubito). L’attività fisica, perché un pz allettato sviluppa maggiormente piaghe; la stessa
cosa per la mobilità. In caso di scarsa mobilità necessario inserire nel programma riabilitativo che il pz
deve essere spostato ogni due ore.
Una scarsa alimentazione alimenta il rischio di lesioni da decubito. Se il pz non riesce a sollevare
l’arto, lo spostamento avverrà per scivolamento e questo potrà provare la formazione di un’ulcera da
decubito. Viene spesso fatto dagli infermieri a differenza della Barthel che viene fatta dal medico.
• Ci sono altre scale come la CAS che permette di valutare i trasferimenti del pz, se riesce a deambulare,
se lo fa da solo, con aiuto o non riesce a muoversi.
• ADL, scala molto simile a quella di Barthel, e valuta se il pz è in grado di andare in bagno, il controllo
del retto, alimentarsi, il controllo della vescica, ecc.
• IADL (Instrumental Activity Daily Living) valuta se il pz è in grado di utilizzare alcuni strumenti della
vita quotidiana (telefono, gestione casa, prendere un mezzo pubblico, ecc).

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Viene effettuato un test della deglutizione, anche senza fibroscopio, per valutare se è a rischio di polmonite
ab ingestis (facendo sorseggiare dell’acqua, poggiando la mano sul blocco laringeo, vediamo se il blocco
laringeo fa un movimento di anteriorizzazione e sollevamento regolare. Se questo non dovesse avvenire o
se dopo aver bevuto l’acqua il pz ha la voce gorgogliante e/o tossisce c’è il rischio di ab ingestis e viene
indicato un trattamento riabilitativo dal logopedista per garantire al pz l’adeguata idratazione ed
alimentazione senza rischi). Valutare le sclere, lingua, cute per vedere lo stato di idratazione.

Importante anche la quantità della deambulazione, ad esempio riuscire ad andare dal letto al bagno. Se il pz
sviluppa dispnea, affaticabilità o dolore prima di raggiunger il bagno, l’obiettivo riabilitativo non è stato
ancora raggiunto e non può essere accettabile. BADL (Base Activity Daily Living).

Quando si stila il progetto riabilitativo è importante includere la pianificazione delle dimissioni.


Normalmente nel progetto riabilitativo si scrivono degli obiettivi a breve termine (recupero del range of
motion, recupero della forza muscolare), a medio termine (training del passo mediante ausili) e poi quelli a
lungo termine (recupero training del passo senza assistenza e se possibile senza ausili).

I percorsi propriocettivi diventano sempre più difficili. Nel caso degli anziani c’è il supporto dei
fisioterapisti e l’uso delle parallele per l’appoggio e si cerca di farli camminare su “terreni” diversi (per
consistenza ma anche per sensazioni percettive diverse). Esistono principalmente due tipi di tavolette
propriocettive di Freeman. In quelli con 1 grado di libertà il pz eseguirà solo movimenti di flessione antero-
posteriore plantare
e tibiale, medialmente e lateralmente. Mentre in quella a 3 gradi di libertà può oscillare da tutti i lati.
Nel pz anziano uso quella ad 1 grado di libertà, non per facilitargli il compito, ma per garantirgli una
massima assistenza da parte del fisioterapista e per potenziare alcuni muscoli rispetto ad altri (movimento
antero-posteriore per rinforzare i muscoli ischio-crurali e il quadricipite; movimento latero-laterale per i
glutei, abduttori ed adduttori). Nello sportivo uso i 3 gradi di libertà.

APPROFONDIMENTO PROTESI
Una protesi si fa solitamente quando l’articolazione è giunta ad un danno irreparabile o molto avanzato.
La cartilagine non si ricostruisce (come i neuroni). Ci possono essere varie cause che portano alla
distruzione della cartilagine: l’età, le malattie autoimmuni, eventi infettivi, traumatici. Il danno non risulta
mai realmente irreparabile, però sussiste la necessità di sostituire tutta l’articolazione. Le protesi che si
fanno maggiormente sono: ginocchio e anca. Esistono anche le protesi di spalla, caviglia, gomito, che si
fanno più per eventi traumatici che degenerativi. Le protesi di gomito si fanno in seguito ad incidenti
automobilistici, fratture a scoppio irreparabili del gomito; anca e ginocchio si fanno prevalentemente per
patologie degenerative, artrosiche. Prima di arrivare alla protesi, si prova a fare altri interventi riabilitativi,
che sono di due tipi:
• Fisioterapici: cercare di ridurre il dolore, di migliorare l’articolarità dell’articolazione con un
trattamento incruento;
• Infiltrazioni intrarticolari: hanno vari scopi. I principali farmaci oggi sono tre: corticosteroidi, acido
ialuronico e PRP (Platlet Rich Plasma, ottenuto attraverso la centrifugazione del sangue stesso del
paziente da cui deriva la ‘’pappa piastrinica’’, parte di sangue con grande effetto rigenerativo,
considerate quasi cellule staminali proprie, che si mettono nelle articolazioni nel tentativo di nutrire le
cartilagini articolari). Le infiltrazioni di anca, ginocchio e di altre parti del corpo si fanno alcune a mano
libera, cioè non hanno bisogno di guida perché la via di accesso è abbastanza semplice, specie nel
ginocchio; in altri casi ci si serve della guida ecografica. Per l’infiltrazione all’anca si mette l’ago sotto
guida ecografica, si cerca di evitare i nervi, soprattutto il femorocutaneo che passa anteriormente
all’anca, ed il fascio vascolare, si mette l’acido ialuronico all’interno dell’articolazione, che ha
fondamentalmente due scopi:
o Discosupplementazione, cioè se aumenta la quantità di liquido intrarticolare, allora aumenta la
viscosità dell’articolazione e quindi l’articolarità;

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o Discoinduzione, l’acido ialuronico dovrebbe indurre le cellule sinoviali a produrre liquido sinoviale
proprio e quindi a migliorare l’articolarità.
Nel soggetto giovane si usa la discoinduzione, cioè si fa acido ialuronico di basso peso molecolare;
nel soggetto anziano dove la sinovia e la cartilagine sono distrutte si fa la discosupplementazione,
cioè si mettono i prodotti ad alto peso molecolare che attutiscono un po' il carico e si distribuiscono
all’interno dell’articolazione.
Infiltrazione al ginocchio: la via di accesso sovrarotulea è la più frequente in assoluto, la cosa più
importante in questa infiltrazione è la sterilità, come se fosse un campo operatorio, quindi usare tintura
di iodio passata più volte, garza sterile, guanti sterili. La scelta del prodotto da iniettare dipende dal
quadro clinico: un ginocchio gonfio, con idrartro (pieno di liquido), non richiede acido ialuronico che è
altro liquido, ma corticosteroidi perché servono come antinfiammatorio locale; se si ha un ginocchio
asciutto, senza liquido, si mete acido ialuronico che ci serve a ‘’lubrificare’’ l’articolazione.
L’infiltrazione si fa senza anestesia. Si possono infiltrare tutte le articolazioni, per esempio la spalla ha
varie vie di accesso: per infiltrare lo spazio sub-acromiale si va qualche cm sotto.

Lo scopo per cui noi facciamo una protesi è prima di tutto alleviare il dolore, che è persistente, ridurre il
deficit articolare, quindi l’impotenza funzionale; migliorare la qualità di vita. Occorre vedere quanta
limitazione articolare c’è in questa articolazione. Quindi se è un ginocchio vedremo la flessoestensione, se
è un’anca vedremo tutti i movimenti dell’anca.
Le cause più comuni per cui c’è un’indicazione a una protesi d’anca sono:
• Artrosi primaria o post-traumatica: dovuta o a un trauma ripetuto ma soprattutto quando vi è una lesione
(per esempio nel ginocchio quando vi è una lesione del legamento e si ha un’instabilità dell’articolazione, si
ha un’artrosi precoce). Anche sulla colonna vertebrale succede questo, quando c’è un’instabilità vertebrale
per un fatto traumatico o congenito, l’artrosi viene prima perché l’instabilità provoca una maggiore usura
delle articolazioni.
• Artrite reumatoide: quindi tutte le malattie autoimmuni che coinvolgono le articolazioni, come l’artrite
psoriasica.
• Necrosi: una ridotta vascolarizzazione della testa del femore, per cui quella parte di articolazione va in
necrosi, è poco irrorata. Quindi si deforma morfologicamente, va incontro a un’involuzione.
Si riconosce un’artrosi attraverso una radiografia: ci sono gli osteofiti, che sono neoformazioni di osso, e la
rima articolare che si riduce fino a scomparire quando l’artrosi è molto avanzata. Un’artrosi d’anca non
vuol dire che il paziente ha necessariamente bisogno di una protesi, quello che conta è il dolore e quanta
articolarità ha perso. Ci sono artrosi molto gravi, per esempio l’artrosi causata da una displasia congenita
dell’anca e l’artrosi subentra molto prima, perché l’anca ha lavorato senza la sua fisiologica morfologia.
Nella necrosi della testa del femore inizialmente il paziente riferisce dolore all’anca, difficoltà a muoversi,
ma non ci sono lesioni dal punto di vista radiografico, mentre se si vede la radiografia dopo un anno, la
testa del femore è ‘’strana’’, la morfologia è cambiata (non è la classica artrosi, non ci sono osteofiti né
riduzione dello spazio tra femore e acetabolo). La testa del femore è una sfera liscia che scorre dentro
l’acetabolo; la testa artrosica diventa deforme, scorre con difficoltà e ogni movimento evoca dolore.
Un’artrosi del ginocchio si riconosce per addensamento del segnale sulla rima articolare, osteofiti,
riduzione della rima articolare.
Questi sono i segni principali per ogni articolazione. Anche il condilo femorale può andare incontro a
necrosi.
Quindi le indicazioni alla protesi d’anca e di ginocchio sono:
• Presenza di dolore limitante le attività quotidiane;
• Persistenza del dolore sia di giorno che di notte;
• Presenza di rigidità articolare;
• Scarsa efficacia degli antinfiammatori e dei condroprotettori;
• Effetti collaterali o nocivi in seguito a terapia con farmaci;
• Scarsa efficacia della fisioterapia.
Bisogna anche vedere la storia clinica del paziente: se ha delle comorbidità (non si fa una protesi a un
paziente che ha una miopatia per cui non riesce a stare in piedi), le aspettative di vita del paziente (non si fa
una protesi d’anca a un paziente oncologico). Si può avere la sostituzione dell’acetabolo oppure la
sostituzione della testa e parte del collo femorale. Se l’acetabolo è in buone condizioni, per esempio nel
caso di una protesi fatta per un evento traumatico che ha fratturato la testa del femore, si fa una sostituzione

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solo della testa. Normalmente però la sostituzione è sia della testa che dell’acetabolo.
I limiti di queste protesi sono:
• Durata della protesi: la durata minima oggi è di 10 anni, ma ci sono protesi che durano molto di più;
• Le limitazioni che il paziente può avere se portatore di una protesi, per esempio nell’attività sportiva, ma
anche movimenti della vita quotidiana come abbassarsi oltre un certo limite per prendere un oggetto a terra,
bisogna evitare la iperflessione dell’anca, evitare che il ginocchio vada sopra l’anca: non abbassarsi per
prendere oggetti a terra, non alzarsi dalla sedia piegando il busto in avanti, non accavallare le gambe, non
sedersi in sedie troppo basse.
Una delle cause di distruzione dell'articolazione è l'artrite emofilica.
L'emofilia è una patologia data da carenza di fattore VIII e IX della coagulazione, con continue emorragie
che si manifestano soprattutto sottoposte a stress meccanico, come a livello dentario, gastro-intestinale,
muscolare, ma soprattutto, nel 90% dei casi, a livello articolare. Bisogna assumere il fattore mancante e.v.
più volte a settimana, in base alla gravità. Per diverse ragioni è possibile che comunque i pazienti vadano
incontro ad emorragie:
- non c'è massima aderenza alla terapia e.v più volte alla settimana;
- la terapia non è sufficiente;
- il pz va incontro a urti, traumatismi che facilitano l'insorgenza di emorragie;
- mancanza di terapia nei paesi in via di sviluppo.
Nell'articolazione, il sangue fuoriuscito danneggia la membrana sinoviale (per via di ferro, citochine,
prodotti di degradazione; in tutte quelle molecole ematiche che normalmente sono estranee
all'articolazione) e inibisce la componente di sintesi della cartilagine. La membrana va in ipertrofia e
comincia a "sanguinare", aggravando il problema in un circolo vizioso che porta alla distruzione
dell'articolazione. Si ha una prima fase di emartro, una seconda fase di sinovite reattiva, infiammatoria, e
una terza fase di distruzione della cartilagine. Una volta distrutta, la cartilagine non si rigenera. 4 gradi in
base alla riduzione di ampiezza dello spazio articolare (parametro principale) e in base alla presenza di
osteofiti, fino ad arrivare alla necessità di una protesi.
Per quanto riguarda la fisioterapia in tali pz, l'Evidence Based Medicine ha messo in evidenza come
metodo l'esercizio a casa, poi gli esercizi isometrici (senza escursione articolare), perché non ci sono né
carico né movimento, poi i mezzi fisici (laser terapia, tecar terapia, ionoforesi). Questi ultimi mezzi sono da
usare con
criterio: per esempio, sapendo che il laser ha una profondità di pochi cm, non lo andremo ad utilizzare per
l'anca (uso in caso le onde d'urto). La magnetoterapia ha un effetto acceleratore sul metabolismo osseo, ma,
secondo gli studi, è valida solo per un periodo di tempo prolungato (3/4 h al giorno); però non ci sono
molte evidenze scientifiche. Non c'è evidenza chiara nemmeno sull'utilizzo di mezzi fisici in pz oncologici.
La terapia si avvale, inoltre, di infiltrazioni di acido ialuronico o corticosteroidi.

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MIOPATIE INFIAMMATORIE
Le miopatie infiammatorie sono patologie primarie del muscolo. Esistono molte malattie secondarie, per
questo è importante specificarlo (es. sofferenza neurogena).
Sono patologie autoimmuni caratterizzate da:
• Debolezza muscolare simmetrica e bilaterale interessante perlopiù le porzioni prossimali degli arti e le
regioni periarticolari, in particolar modo la scapolo-omerale o la coxofemorale (deltoidi e flessori anca
muscoli più colpiti).
• Infiltrato infiammatorio diagnosticabile tramite biopsia
• A volte coinvolgono anche altri organi (pelle, polmone, articolazioni, cuore, tratto gastrointestinale) nel
contesto di patologie sistemiche

Esami di laboratorio: si può riscontrare aumento degli enzimi muscolari: transaminasi, creatina
fosfochinasi (CPK), aldolasi, gamma-GT. Il valore delle CPK si considera sospetto quando arriva a circa
600 e si mantiene alto per molti mesi. Se, invece, si tratta di un evento occasionale non desta particolari
preoccupazioni, in quanto una semplice EMG con inserzione dell’ago nel muscolo e, soprattutto, uno
sforzo fisico possono farla aumentare.
Biopsia muscolare: fa vedere prevalentemente la degenerazione della fibra e gli infiltrati infiammatori.
EMG: si individuano potenziali polifasici piccoli a bassa ampiezza, le fibre muscolari sono reclutate tutte
contemporaneamente (tracciato di reclutamento massimo), fibrillazioni a riposo (in una condizione
fisiologica ci dovrebbe essere il silenzio elettrico), scariche bizzarre a riposo.
In alcune forme di miopatie c’è coinvolgimento della cute con rash cutanei. In passato si classificavano in
dermatomiositi e polimiositi in relazione a questa variabile. Oggi le polimiositi sono ulteriormente
classificate in miopatie da corpi inclusi e miopatie necrotizzanti immunomediate.

Dermatomiosite
È caratterizzata da debolezza muscolare dei muscoli prossimali (deltoidi, bicipiti, flessori dell’anca),
manifestazioni cutanee (eruzioni a livello della faccia o delle spalle, possibilmente pigmentati nelle forme
giovanili, pustole a livello delle mani, rash eliotropo nella regione periorbitaria, calcinosi in sede
periarticolare soprattutto nelle forme a esordio giovanile). La biopsia può anche essere evitata perché il
quadro clinico è patognomonico.

Polimiosite
Hanno un quadro clinico simile alla dermatomiosite, ma sono assenti le manifestazioni cutanee. Gli enzimi
sono elevati in ambedue le forme patologiche (CDK, AST, aldolasi, γGT ecc…), ma alla biopsia la
polimiosite presenta peculiarmente infiltrati di CD+ T-cells, assenti nella dermatomiosite.

Miopatia da corpi inclusi


La debolezza si presenta in maniera graduale e subdola, in genere clinicamente evidente dopo i 50 anni ed è
asimmetrica e sia prossimale che distale. Gli enzimi sono solo leggermente aumentati. L’EMG si presenta
peculiarmente con reperti miogeni e neurogeni insieme (potenziali polifasici piccoli e fibrillazioni). Si tratta
spesso con steroidi e immunosoppressori.

Miopatia necrotizzante
Il quadro clinico insorge in maniera estremamente brusca e improvvisa. Può essere presente disfagia. Si ha
un marcatissimo rialzo degli enzimi.

Tutte e quattro le forme sono responsive a immunosoppressori (meno la miopatia da corpi inclusi).

Diagnosi
• Forza muscolare
• Esame obiettivo dermatologico

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• Anamnesi per malattie interstiziale polmonare


• Esami di laboratorio e strumentale con controlli seriati (da effettuare mandatoriamente a riposo)
• RM può essere utile per mostrare danno cronico quando c’è eccesso di sostituzione del tessuto
muscolare degenerato con tessuto adiposo e danno acuto quando è presente edema.

Segno di Gottons: eritema nelle articolazioni interfalangee.


Segno dell’holster: nella regione laterale della coscia (dove si tiene la fondina della pistola)

Miopatia da covid
Fa parte della sindrome da long covid, che ha tra i sintomi cardinali l’astenia. Si è visto che in una piccola
percentuale di pazienti essa risulta attribuibile ad una miopatia infiammatoria. Si pensa che il virus possa
infettare direttamente il muscolo o che la degenerazione muscolare possa essere secondaria alla tempesta
citochinica. La riabilitazione e l’attività fisica non sembrano utili in quanto agiscono solo sulla funzione
respiratoria, ma non migliorano la funzione muscolare.

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MALATTIA DI PARKINSON
È un disturbo degenerativo del movimento caratterizzato dalla perdita dei neuroni della substantia nigra e
dall’alterazione della via nigrostriatale.
Il quadro clinico è caratterizzato da:
Freezing, ovvero un blocco improvviso con durata da pochi secondi a pochi minuti caratterizzato da
difficoltà ad iniziare la marcia (piedi incollati al suolo), difficoltà ad alzare il piede dopo il primo passo,
blocco improvviso durante la marcia e durante il passaggio da un ambiente all’altro (in particolar modo
attraverso spazi stretti).
Il trattamento riabilitativo va iniziato subito, a differenza della L-dopa. Infatti, il paziente che non si muove
può andare incontro a retrazioni capsuloligamentose tipiche dovute alla rigidità. I pz ricoverati con
demenza spesso possono sembrare parkinsoniani in quanto presentano una resistenza al movimento passivo
dell’arto che mima la troclea, anche se in questo caso è il paziente che la oppone volontariamente.
Importante la ginnastica respiratoria, poiché questi pazienti vanno in cifosi e possono avere turbe della
funzione respiratoria. I pazienti col Parkinson non riescono facilmente a parlare perché si stancano
parecchio. Si ha una perdita dell’accordo neurofonatorio che si associa anche a difficoltà ventilatoria.
Infatti, quando si parla si è prevalentemente in espirazione, ma il paziente con Parkinson parte da una
capacità vitale diminuita e ha inoltre tremore delle corde vocali. La disfagia nel Parkinson è estremamente
tardiva, quindi i meccanismi di contenzione laringea per evitare la ab ingestis vengono mantenuti fino alle
fasi avanzate.

Anamnesi accurata del paziente


• Bilancio internistico
• Bilancio articolare e muscolare: ampiezza articolare, dolori, deformità, turbe trofiche
• Esame neurologico: in valutazione fisiatrica non ha valenza diagnostica, ma serve a quantificare il
danno e il grado di disabilità attraverso delle scale
• Esame neuropsicologico: turbe del linguaggio, gnosiche, prassiche, intellettive
• Scale di valutazione: menomazione, disabilità, trasferimenti, deambulazione, igiene personale,
alimentazione, qualità della vita
• La menomazione è il danno o la malattia in quanto tale (es. malattia di Parkinson, frattura dell’anca,
ecc…)

STADIAZIONE DELLA MP SECONDO HOEHN E YAHR


STADIO 1:Malattia unilaterale.
STADIO 2: Malattia bilaterale, senza deficit dell’equilibrio.
STADIO 3: Malattia bilaterale con lievi alterazioni posturali; fisicamente indipendente.

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STADIO 4: Grave disabilità; il paziente può ancora mantenersi in piedi, ma non riesce a camminare da
solo.
STADIO5:Malattia pienamente sviluppata; il paziente è costretto sulla sedia a rotelle o a letto se non
aiutato.

[Solo la scala di Hoehn e Yahr è stata attenzionata, le altre slides vengono riportate per completezza]

Le scale di valutazione possono essere utilizzate anche dal fisioterapista. Una scala importante da cui
partire è la Barthel, che consta di 10 items. Si valuta se il paziente riesce a compiere piccoli spostamenti, se
riesce a fare il bagno, se è continente, se riesce a mangiare da solo, ecc… . Se il punteggio totale è
superiore a 60 il ricovero non viene rimborsato in quanto il paziente è autonomo nelle attività quotidiane.
Esistono le scale per la qualità della vita, che sono lunghe da compilare. Una delle più semplici è la SF36.
Per l’autonomia esistono anche altre scale meno utilizzate oltre alla Barthel: ADL - IADL - AADL. Per la
depressione vengono usate scale quali la Geriatric Depression Scale. Patologie come l’ictus sono associate
a una depressione che insorge molto rapidamente, mentre il Parkinson è associato ad un’insorgenza tardiva
della stessa.
La scala di Hoehn e Yahr è importante poiché non rimane esclusivamente una scala funzionale, ma sulla
base di questa viene effettuata la fisioterapia. L’equilibrio è garantito da propriocezione, cervelletto e
gangli della base, sistema vestibolare e vista. I gangli della base integrano tono e postura, il cervelletto
integra gli schemi motori con l’esperienza. Se c’è un disequilibrio da causa vestibolare il paziente aprendo
gli occhi compensa e il nistagmo passa subito, mentre da causa cerebellare non cambia se ad occhi aperti o
ad occhi chiusi. Per fare diagnosi differenziale tra nistagmo vestibolare e periferico si usano gli occhiali di
Frenzel per impedire di mettere a fuoco. Un nistagmo vestibolare viene compensato dalla messa a fuoco, un
nistagmo periferico no.
Reazione feedforward: ad esempio sono su un autobus e coordino una postura anticipatoria (allargare la
base di appoggio) ai fini di non cadere mentre si verifica una frenata improvvisa, poiché mi accorgo tramite
la vista che l’autista sta frenando.
Reazione feedback: mi spingono e non cado.
Il neonato sviluppa verso i 5-6 mesi la prima reazione feed-forward (quando lo si appoggia al terreno apre
le braccia). Prima essa viene sviluppata, prima il bambino camminerà. Nel Parkinson la reazione feed-
forward viene persa allo stadio 3, nonostante l’integrazione delle afferenze visive. Allo stadio 1 il paziente
non deve ancora fare fisioterapia, allo stadio 2 deve cominciarla per correggere le retrazioni e la postura
camptocormica, allo stadio 3 deve necessariamente farla per preservare le funzioni che non sono ancora
intaccate, soprattutto bisogna lavorare sulla propriocezione e sull’equilibrio. Esiste una differenza tra
esercizi vestibolari e esercizi propriocettivi. Se inciampo e riesco goffamente a mantenere l’equilibrio è
grazie all’attivazione del sistema vestibolare. La rovesciata di un calciatore coinvolge, invece,
prevalentemente il sistema propriocettivo. Quindi il sistema vestibolare subentra in condizioni di
emergenza, mentre il sistema propriocettivo permette l’effettuazione di un gesto fine e controllato.
Le scale relative a postura ed equilibrio non vengono applicate solo al Parkinson, ma a molte altre patologie
neurologiche e ortopediche. La Berg fa vedere solo l’equilibrio, la scala Tinetti valuta anche l’andatura, ma
ha una sezione per l’equilibrio. Dell’andatura si valuta la simmetria del passo, se è a base allargata o meno,
se i talloni sono aperti o meno, se per sedersi si deve aiutare con le braccia, se riesce a girare su sé stesso.
L’equilibrio va valutato nei passaggi posturali, in stazione eretta, durante trasferimento di carico, ecc…
Un passaggio posturale è la transizione da supino a seduto e da seduto a eretto, che può essere effettuato
autonomamente o con minimo aiuto o con assistenza completa. Il trasferimento di carico è il passaggio da

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un lato all’altro (ad esempio appoggio più su un piede o un altro). Se questo non avviene correttamente il
paziente non riesce a girare. Se il paziente non ha i passaggi posturali non si può tentare il trasferimento di
carico, e se non si ha il trasferimento di carico il fisioterapista non può fare camminare il paziente. Quindi,
gli esercizi di riabilitazione devono seguire questo importante ordine sequenziale. Per riabilitare i
trasferimenti di carico si fa spostare al paziente il peso da un piede all’altro.
La scala di Falling Measure serve a valutare quante cadute abbia fatto il pz negli ultimi sei mesi. Si possono
fare degli apprension test per quantificare sul piano ortopedico il rischio di lussazione delle articolazioni e
sul piano neurologico il disequilibrio. Si vede se il paziente ha paura di cadere, perché ciò indica una
perdita delle reazioni di feed forward.
Tra le scale che valutano il rischio caduta è possibile citare il Test Timed Up and Go (TUG), anche questa
si può fare in tutti i pazienti neurologici e ortopedici. Il paziente parte da seduto e si cronometra il tempo
che impiega per alzarsi, per correre un tragitto di 3 metri, tornare e sedersi. Maggiore è il tempo impiegato
e maggiore è il rischio cadute. Poi abbiamo la 10 meters walking test (tempo per percorrere 10 metri) e la 6
minutes walking test (quanti emipassi compie in 6 minuti).
Gait analysis: il paziente cammina su una pedana che misura forze e accelerazioni e si attaccano degli
elettrodi per fare elettromiografia di superficie. Si valutano alterazioni del reclutamento dei vari gruppi
muscolari durante il ciclo del passo. Alcune alterazioni specifiche fanno fare diagnosi di predemenza.
Anche nel test della deglutizione ci sono delle alterazioni che consentono di fare diagnosi precoce di SLA.
La stazione eretta può essere valutata attraverso posturografia statica (se l’equilibrio non viene perturbato),
o posturografia dinamica (test provocativo in cui l’equilibrio viene perturbato).

Tra i sintomi secondari la depressione ha certamente una componente dovuta all’isolamento sociale, che
potrebbe rispondere bene al supporto psicologico. Il tremore nel Parkinson è a riposo, quello cerebellare
durante il movimento. Ipertono rigido. Segno della troclea. Nel paziente cerebellare c’è ipotono con il
segno del rimbalzo di Holmes. La distinzione tra un parkinsoniano e un paziente cerebellare si può fare con
il segno di Romberg.
La progressione del Parkinson è molto lenta. I disturbi della deambulazione iniziano dopo 8-10 anni. Uno
studio dimostra che mentre camminiamo compiamo numerose azioni contemporaneamente. Una possibile
strategia riabilitativa potrebbe essere quella di far fare al soggetto degli esercizi dual task: mentre cammina
(dopo essere stato allenato a camminare cercando di allungare i muscoli che tendono alla retrazione,
mantenere un’andatura costante, seguire un percorso mediante dei cues) compie esercizi cognitivi (parla o
racconta qualcosa, conta a ritroso), o in alternativa un compito motorio (trasportare un oggetto o in caso di
soggetto giovane palleggiare). Si è visto che anche la depressione può influire negativamente sul passo, per
questo l’effetto distraente della dual task può risultare migliorativo. Tutto ciò è stato confermato dalla gait
analysis.

Riflessi posturali
Sono meccanismi automatici o semi-automatici che intervengono per perturbazioni corporee massive attese
o inattese. Vengono organizzate a livello della formazione reticolare tronco-encefalica. Latenza 90-100ms.
Le reazioni correttive possono essere di feedback o feedforward (dipende dal fatto che la perturbazione sia
attesa o inattesa). Vengono perse allo stadio 3 di Hoenn e Yahr, e ciò modifica il protocollo riabilitativo. Il
paziente pur avendo gli occhi aperti non riesce a mantenere l’equilibrio e adattare la postura. L’origine di
queste alterazioni si pensa sia correlata al venir meno del ruolo di controllo dei gangli della base e dell’area
motoria supplementare).

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Rieducazione motoria
• Mobilizzazione attiva e passiva
• Stretching dei flessori
• Addestramento a passaggi posturali
• Esercizi per il disequilibrio
• Riabilitazione del cammino
Quando si fa riabilitazioni in linea generale si cerca di recuperare e potenziare funzioni residue e vicariare
funzioni perse. Nel Parkinson il paziente tenderà ad avere retrazione, quindi si può fare stretching per
cercare di allungare la catena cinetica posteriore e farlo stare più dritto possibile nel tempo per evitare
accorciamento dell’apparato capsulo-ligamentoso, cifosi, ripercussioni sulla tibio-tarsica e sul tendine di
Achille per via delle ginocchia piegate. Chiaramente, poiché non si tratta di una retrazione da spasticità non
sarà possibile utilizzare la tossina botulinica.

Ginnastica vestibolare
I bambini che hanno cinetosi migliorano con ginnastica vestibolare. Consiste nello stimolare i canali
semicircolari in tutte le direzioni attraverso rotazioni del capo e utricolo e sacculo camminando avanti e
indietro.

Ginnastica propriocettiva
Nel paziente con Parkinson l’unica possibilità di intervento è la stimolazione delle vie propriocettive e la
percezione e consapevolezza del proprio corpo, della posizione relativa dei segmenti articolari nello spazio,
della dinamica dei movimenti e dello stato di tensione o rilassamento dei muscoli. Consentono di ridurre il
rischio caduta. Esistono delle tavolette con un perno centrale che oscillano (o in due sole direzioni o in tutte
le direzioni, quest’ultima indicata nello sportivo, non nel paziente neurologico o nel paziente che ha più
forza in alcuni gruppi muscolari perché se usa quello multidirezionale allenerà sempre gli stessi muscoli) o
le mezze sfere bobath, per mantenere l’equilibrio durante l’allenamento.

Strategie cognitive
Se questi esercizi propriocettivi sono complicati si può addestrare il paziente all’uso di strategie cognitive.
Si usano stimoli ritmici generati dallo stesso paziente o presenti nell’ambiente (sensory cues). Ad esempio,
si può segnare per il pz il percorso attraverso cui camminare con strisce colorate (stimoli visivi), su cui il
paziente può concentrarsi mentre cammina e avere meno freezing. I cues possono essere anche uditivi
(metronomo, musica) o tattili (pz batte la gamba scandendo il tempo del passo). Possono essere fatti a occhi
chiusi o aperti, ma poiché il paziente perde le reazioni feed forward è da preferire la seconda modalità. Può
essere utile anche farlo camminare sul tapis roulant (particolari perché dotati di biofeedback visivo) perché
si abitua a seguire il ritmo imposto. Alcuni esempi sono:
• Il paziente deve mantenere appoggio monopodalico
• Mantenere equilibrio in affondo cercando di mantenere il baricentro centralmente (all’inizio con
assistenza, poi si continua davanti allo specchio)
• Trasferimenti di carico latero-laterali e anteroposteriori (ad esempio per paziente che deve alzarsi dal
letto)
• Movimenti degli arti inferiori in base alle preferenze dell’operatore
• Mantenere l’equilibrio su terreni impervi

Le strategie motorie sono importanti. Il fisioterapista spiega quotidianamente come impostare nella maniera
più agevole le attività della vita quotidiana:
• ciclo del passo (appoggiare il tallone, fase di oscillazione): se il paziente non usa queste funzioni si
perde la rappresentazione somatotopica (decondizionamento motorio). Prima si cerca di ricondizionare
la funzione, poi il paziente arriverà progressivamente alla riautomatizzazione. Il rachide e il perineo
sono difficili da riabilitare perché hanno scarsa rappresentazione somatotopica.
Gli esercizi sono correlati alla postura. Se il paziente è in atteggiamento camptocormico bisognerà
potenziare la catena cinetica posteriore per portare indietro le spalle. Per iniziare sono da preferire gli
esercizi in isometria, dove non c’è accorciamento o allungamento del muscolo e sono più semplici.

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Terapia occupazionale
Consente di trovare delle strategie motorie compensatorie e mantenere i movimenti fini degli arti superiori.
Lo scopo è di mantenere il paziente autonomo, migliorare compliance ad altre terapie, prevenire
depressione, ridurre cadute, favorire passaggi posturali e prevenire decubiti. Interessa scrittura, uso di
utensili, abbigliamento, igiene, alimentazione, uso degli interruttori, adattamento dell’ambiente domestico.

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PARAMORFISMI E DISMORFISMI
Nel paramorfismo c’è un atteggiamento posturale errato di tipo funzionale e non è presente deformità. Nel
dismorfismo l’alterazione posturale è strutturata e c’è deformità.
Nel primo caso il recupero è possibile, nel secondo l’obiettivo è evitare il peggioramento della deformità. È
presente una perdita di armonico utilizzo di distretti muscolari impegnati nel mantenimento della postura
eretta per compensare delle curve non fisiologiche. L’acquisizione della stazione eretta è, infatti, permessa
dalla presenza di alcune curve fisiologiche. Se non si mantiene la postura eretta in età dello sviluppo si
struttura la deformità. Durante l’età dell’accrescimento il paramorfismo è facilmente acquisito per zaini,
cellulari, atteggiamento durante lo studio. Anche nel piede il piede piatto è paramorfico durante i primi anni
di vita, fino a 6 anni può essere seguito senza che si passi al dismorfismo. Appena diventa doloroso viene
trattato.
Chi ha un colpo di frusta ha una rettilineizzazione della colonna vertebrale, inizialmente antalgica per
contrattura dei muscoli. Quando stiamo in piedi i carichi si distribuiscono uniformemente sulle strutture
anteriori disco e corpi vertebrali e su quelle posteriori che sono le articolazioni. Spesso quelle che sono
dolenti sono le faccette articolari (morivo per cui il dolore del paziente spesso aumenta in iperestensione
del rachide quando è presente sfregamento delle faccette). Ad esempio, in una gravida con la progressione
della gestazione il carico non verrà più distribuito uniformemente sulla colonna, ma graverà
prevalentemente sulle porzioni posteriori determinando mal di schiena.
La colonna vertebrale è rigida, ma allo stesso tempo molto flessibile in quanto consente un range
significativo di movimenti. Chi presenta iperlassità legamentosa riesce a fare movimenti molto più estesi,
della media; tuttavia, sono maggiormente predisposti a lussazioni anche a fronte di traumi banali, e a
dismorfismi.
La colonna vertebrale ha funzione di sostegno ma consente di muoverci in flessoestensione, inclinazione e
rotazione.
I paramorfismi più diffusi nell'età scolare sono:
• atteggiamento astenico
• atteggiamento scoliotico
• atteggiamento cifotico
• atteggiamento lordotico
La curva del rachide si ripercuote sull’atteggiamento sbagliato
del bacino, che può andare in antiversione o in retroversione. Il
primo caso si associa ad una lordosi lombare, il secondo a una
cifosi toracica. Con ginnastica posturale e una attività sportiva
adeguata si può ripristinare la normale postura.
Oggi sono molto frequenti l’atteggiamento cifotico per l’uso del cellulare e quello astenico, caratterizzato
da addome prominente. Nel cifotico la schiena va molto in avanti, nell’astenico l’addome. Cambia il
trattamento, quindi importante la distinzione. Negli anni passati la forma paramorfica prevalente era quella
scoliotica.

Atteggiamento astenico
Dovuto all’incapacità del corpo di opporsi alla forza di gravità. Si presenta con capo inclinato in avanti,
addome prominente, spalle cadenti. Si pensa sia dovuto a: ipotonia muscolare, lassità legamentosa,
componenti psicologiche (per valutarli utile analizzare il ciclo del passo in cui si rendono particolarmente
evidenti).

Atteggiamento cifotico
Aumento della curva fisiologica dorsale a convessità posteriore. Autocorreggibile (differenza con
dismorfismo) volontariamente in una prima fase, successivamente diviene stabile e immodificabile. Il capo
tenderà a scendere sul petto, il collo a spostarsi in avanti, le spalle ad avvicinarsi allo sterno e le scapole ad
alzarsi. I corpi delle vertebre anteriormente sono sottoposti a una tale pressione che assumono una
morfologia cuneiforme. Può essere imputabile a una insufficienza dei muscoli estensori derivante da
gracilità costituzionale o da squilibri muscolari funzionali (es. nei maschi alla pubertà, in chi cresce
rapidamente), o da atteggiamenti psicologici (es. soggetti che si vergognano). Proporre tra gli 8 e i 12 anni
esercizi correttivi che si effettuano in posizione seduta per evitare un’accentuazione della cifosi dorsale e in
decubito per intensificare e localizzare meglio lo sforzo. L’intervento si divide in due fasi:

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1. Mobilizzazione e sblocco della rigidità dei legamenti e dei muscoli della schiena e del petto;
2. Irrobustimento della muscolatura del dorso (che sono più rilassati rispetto ai pettorali) dopo 2-3 mesi.
Bisogna contemporaneamente agire sull’autocorrezione della postura. È bene associare il tutto nel contesto
di un’attività ludico-motoria trattandosi di un percorso lungo. All’inizio si preferisce agire con la colonna in
scarico sul tavolo, arti inferiori flessi e mani del rieducatore in presa nuca-temporale mantenendo il mento
retratto. Si esercita estensione assiale ritmica alternando trazioni manuali e pause. In posizione seduta il
soggetto retrae autonomamente il mento e cerca di estendere il più possibile il tratto interessato.
Successivamente l’esercizio verrà ripetuto con pesi crescenti. La logica di questo approccio è anche quella
di migliorare la rappresentazione somatotopica e la propriocezione del rachide. Preferibile eseguirli davanti
allo specchio.

Atteggiamento lordotico
Accentuazione della curva fisiologica lombare a convessità anteriore, che determina anomala prominenza
dell’addome. Tipica delle ragazzine. Può essere corretta potenziando sia la catena cinetica anteriore che
quella posteriore (sia addominali e lombari che muscoli paravertebrali). Nell’iperlordosi cambia l’aspetto
del bacino che va in retroversione.

Atteggiamento scoliotico
Comporta bending (deviazione laterale) della colonna vertebrale correggibile cambiando postura. È visibile
in alcune posizioni (es. in piedi), mentre in posizione distesa le vertebre si riallineano. Generalmente è
determinato da condizioni statiche es. dismetria degli arti (soprattutto quelli inferiori) o ipovalidità della
muscolatura del tronco. Viceversa, l’eterometria degli arti inferiori potrebbe non essere dovuta a un arto
ipometrico, ma alla presenza di una curva scoliotica già strutturata che altera la posizione del bacino.
La terapia si basa su correzione della causa.
Il processo rieducativo dei paramorfismi richiede di rispettare le seguenti tappe:
1. Presa di coscienza del rachide
2. Presa di coscienza della postura corretta
3. Rafforzamento muscolare e integrazione neuromotoria
4. Ergonomia

Esercizi di presa di coscienza del rachide


Nell’homunculus motorio e sensitivo il rachide risulta essere molto poco rappresentato; pertanto, se non
avviene in prima istanza la presa di coscienza dello stesso si ha inefficacia delle correzioni posturali
apportate. Per questo motivo occorre perfezionare degli esercizi che si basano sull’adesione del rachide al
pavimento o al muro per potenziare glutei e quadricipiti e percepire la colonna durante l’azione agonista e
antagonista di altri muscoli. Se il paziente ha iperlordosi tenderà ad alzare la schiena, pertanto si cercano
strategie di compenso come il fare alzare le gambe. L’obiettivo è sempre appiattire la regione lombare ed
estendere la regione lombare. Uno specchio permette di verificare che una spalla non vada più in alto.
Mentre i muscoli fasici (quelli che ci permettono di fare attività breve e intensa) vanno potenziati attraverso
esercizi concentrici ed eccentrici, i muscoli antigravitari vanno potenziati attraverso contrazione isometrica
prolungata. Il tutto va fatto in maniera simmetrica ed equilibrata chiaramente.

Presa di coscienza della postura corretta nello spazio


L’esercizio consisterà nel posizionamento del tronco nella postura abituale, rilasciata (massima posizione
scorretta), invitando il soggetto a passare all’estrema correzione, per 4-5 volte.
Ovviamente non ci si può aspettare che l’estrema posizione corretta sia mantenuta nel tempo, perché
richiede molto sforzo. Si chiederà quindi al paziente di rilasciarsi leggermente fino a raggiungere una
“postura intermedia”, che richiedendo uno sforzo notevolmente inferiore, potrà essere mantenuta più a
lungo nel tempo
Ultimo obiettivo sarà quello di arrivare ad acquisire il controllo del mantenimento della postura intermedia
corretta, passando preferibilmente dalle posture statiche a quelle dinamiche con la ricerca della maggior
naturalezza possibile, qualunque siano le influenze esterne alle quali il rachide è sottoposto. Lentamente il
soggetto potrà integrarla nelle attitudini e nei gesti della vita quotidiana, al fine di acquisire nel tempo un
automatismo di correzione sempre più duraturo.

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V anno Polo A-C 2022/2023

Rafforzamento muscolare e integrazione neuromotoria


Una volta appresa la postura corretta intermedia è indispensabile inserire un valido programma di
rafforzamento muscolare che ne faciliti l’integrazione a livello corticale consentendo di mantenerla più a
lungo e con il minor sforzo possibile.
I principali muscoli da rafforzare sono quelli antigravitari, in particolare: i muscoli paravertebrali mediante
controresistenze realizzate con carichi posti sul capo; i muscoli scapolari, che dovranno essere rafforzati in
accorciamento, utilizzando posizioni da seduto (in ginocchio, in semipiegamento e in piedi, con busto
eretto e inclinato) con l’aggiunta di manubri; i muscoli addominali e glutei, che svolgono un’importante
azione per il mantenimento della postura corretta del bacino; i muscoli addominali, che devono essere
rafforzati in lunghezza normale, per evitare che il loro accorciamento, esercitando una trazione sul torace,
faciliti la cifotizzazione del tratto dorsale.
Altrettanto importante è il rafforzamento muscolare degli arti inferiori, da realizzarsi con semipiegamenti,
con e senza pesi sul capo, allo scopo di realizzare un maggior equilibrio e una migliore stabilità della
colonna.
Importante anche l’ergonomia, ovvero l’insieme delle tecniche che permettono di eseguire le attività
quotidiane con minor dispendio energetico possibile e con la distribuzione più ottimale possibile del carico
di lavoro. Importante soprattutto in ambito scolastico. Tra l’altro, si è evidenziato scientificamente che
portare lo zaino pesante per brevi tragitti non aumenta il rischio di scoliosi. La seduta è importante per i
bambini, soprattutto quelli con paralisi cerebrali infantili, che potrebbero avere un’emiplegia ed evolvere in
scoliosi a causa dell’asimmetria marcata nella funzione muscolare. L’utilizzo di presidi di supporto e di
spinta nella seduta consente di limitarne la gravità. La differenza tra una scoliosi che si sviluppa nel
bambino e una scoliosi neurogena è data dal fatto che quest’ultima si presenta spesso con un’unica e
pronunciata curvatura, mentre nel primo caso sarà presente una curvatura primaria e una secondaria.
Per ottenere una buona seduta è opportuno avere appoggio completo dei piedi, spazio sufficiente per
muovere le gambe senza urtare le ginocchia, il piano della seduta non deve comprimere le cosce e le
ginocchia, gli avambracci devono essere ben poggiati sul banco e la schiena allo schienale. È opportuno
cambiare spesso posizione.
I paramorfismi non sono alterazioni strutturali dell’apparato scheletrico; pertanto, non controindicano lo
sport. Per quanto concerne l’attività sportiva da effettuare un tempo si pensava che il nuoto fosse la
soluzione definitiva in quanto consente di allenare numerosi gruppi muscolari. Tuttavia, esso presenta il
limite di favorire il movimento in assenza di gravità, mentre gli studi dimostrano che il picco di massa
ossea si raggiunge meglio attraverso gli sport di terra. Quindi è uno sport che, a meno che non si voglia
specificamente privare un soggetto del carico, è indicato in un momento successivo rispetto al periodo
dell’accrescimento, molto valido soprattutto per soggetti con artrosi, soggetti che non possono gravare su
una o più articolazioni o soggetti a rischio di frattura. Negli iperlassi è opportuno evitare sport come la
ginnastica ritmica, che prevedono iperestensioni e iperflessioni eccessivamente, causando eccessivo stress
da stiramento su tendini e legamenti. Possono dare ad esempio lussazioni, o lesioni della cuffia dei rotatori.
Esistono alcuni sport definiti cifosizzanti come ciclismo, canottaggio (anche se solo parzialmente perché
parte del gesto tecnico favorisce l’estensione del rachide), nuoto (limitatamente allo stile farfalla). Non è
stato mai provato che la pratica di uno sport, anche se asimmetrico come il tennis o la scherma, favorisca la
scoliosi. Paradossalmente, in questi sport bisogna porre attenzione allo stretching perché se si instaurano
delle dismetrie da retrazione muscolo-tendinea possono esservi delle ripercussioni sulla postura, sul ciclo
del passo e sul rachide. Molto utili sono anche le arti marziali poiché si praticano a piedi scalzi e
migliorano la propriocezione del piede, stimolano l’appoggio monopodalico e l’attivazione della catena
cinetica anteriore e posteriore.

SCOLIOSI
La scoliosi è una curva patologica vertebrale sul piano frontale che il soggetto non è in grado di correggere
spontaneamente, quando si flette in avanti, caratterizzata dalla rotazione delle vertebre che la compongono.
Classificazione
Scoliosi strutturate:
• Congenite (5%)
• Idiopatica (85%)
• Neuromuscolari (3-4%)
• Neurofibromatosi

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V anno Polo A-C 2022/2023

• Secondarie a malattie mesenchimali


• Artrite reumatoide
• Traumi
• Infezioni ossee
• Tumori
La scoliosi idiopatica è una complessa deformità strutturale della colonna vertebrale che si torce sui tre
piani dello spazio:
• sul piano frontale, si manifesta con un movimento di flessione laterale;
• sul piano sagittale, con un’alterazione delle curve, il più spesso provocandone un’inversione;
• sul piano assiale, con un movimento di rotazione.

Classificazione
In relazione alla localizzazione iniziale della deformità:
• toraciche
• toracolombari
• lombari
• a doppia curva
Le regioni maggiormente interessate sono i punti di passaggio (regioni più deboli e, peraltro, molto
sensibili a fratture). In molte forme idiopatiche è presente la doppia curvatura.

Per età:
• infantili (<3 anni), a prognosi peggiore, bisogna attendere prima di decidere la strategia
• giovanili (4-9 anni), possono risultare utili le attività ludicomotorie (attività in cui il bambino sperimenta
divertimento, ma in maniera controllata)
• adolescenziali (dopo i 10), sono le più frequenti

Nella scoliosi si individuano sempre una o due curve principali (o primitive). Per mantenere l'asse di
gravità del tronco e la verticalità del capo (importante per l'orizzontalità dello sguardo e dell'udito) il
rachide si inflette sopra e sotto tale curva (curve secondarie o di compenso). Una deviazione scoliotica si
accompagna ad una rotazione vertebrale in toto attorno all’asse longitudinale del rachide e ad una
componente torsionale differente in ogni singola vertebra. Nel rachide scoliotico, le vertebre apicali della
curva (le più lontane dalla linea mediana) presentano la deformazione più caratteristica: la cuneizzazione
verso la concavità (aspetto trapezoidale sulle radiografie frontali) dovuta a uno sviluppo asimmetrico dei
corpi vertebrali. La riduzione dello spazio intervertebrale dal lato della concavità della curva provoca nelle
scoliosi una compressione del nucleo polposo ed un suo conseguente spostamento verso il lato della
convessità. Le coste accompagnano la rotazione dei corpi vertebrali. La rotazione dei corpi vertebrali
provoca un’asimmetria costale: le coste dal lato della concavità sono infatti spinte lateralmente ed in avanti
dalle apofisi trasverse, ed hanno la tendenza ad orizzontalizzarsi. Al contrario, le coste dal lato della
convessità sono spinte indietro e si verticalizzano, formando il gibbo. È questa asimmetria costale che,
frenando il gioco respiratorio, provoca una sindrome restrittiva. la scoliosi, una volta iniziata, provoca una
perdita della normale elasticità legamentosa, con retrazione dal lato della concavità e stiramento dal lato
della convessità. La ginnastica posturale serve anche a prevenire tali forme di retrazione. Studi
elettromiografici su pazienti con scoliosi idiopatica, hanno messo in evidenza l'esistenza di significative
asimmetrie di attivazione muscolare ai lati del rachide, pur non chiarendo se questa asimmetria si debba
considerare una concausa o una conseguenza della scoliosi.
In gravidanza, nonostante le patologie del rachide difficilmente peggiorino dopo il completamento
dell’ossificazione della colonna, si hanno dei marcati cambiamenti posturali e l’ossitocina determina lassità
delle strutture legamentose. Difficilmente può verificarsi un peggioramento di una scoliosi, ma di una
iperlordosi sì.
Ci sono segni clinici comuni al paramorfismo e dismorfismo scoliotico e altri che sono patognomonici
della scoliosi conclamata. La Clinica Fissa è il dato che distingue le scoliosi "vere" dalle flessioni laterali
del rachide (paramorfismi).
I segni clinici di una scoliosi della colonna vengono suddivisi in primari e secondari.
I segni primari sono quegli elementi che sono sempre presenti in caso di scoliosi vera.
I segni secondari sono quei segni sempre presenti in caso di scoliosi vera, ma che possono esistere anche in

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V anno Polo A-C 2022/2023

assenza di una scoliosi vera. Essi sono: l'asimmetria delle spalle e delle scapole, l'asimmetria dei fianchi
La rotazione vertebrale è un segno primario di presenza di scoliosi.
La rotazione delle vertebre conduce a due evidenze cliniche: nel tratto dorsale la vertebra, trascinando con
sé nella rotazione anche le coste - che sono alla vertebra intimamente legata - provoca l’innalzamento delle
coste (dal lato della convessità della curva) formando una protuberanza costale, nota come gibbo; nel tratto
lombare (laddove le coste non esistono) la rotazione delle vertebre innalza il piano di appoggio dei muscoli
paravertebrali lombari, che appaiono così sopraelevati rispetto ai controlaterali.
La ricerca del gibbo si effettua mediante la Manovra di Adams: si invita il paziente a flettere il tronco in
avanti a 90°, tenendo le ginocchia dritte e chinando prima la testa e poi il tronco con le braccia rilassate, e
le mani unite. In questa posizione si può mettere in evidenza la presenza di un gibbo, vale a dire una
sporgenza sulla schiena a destra o sinistra della colonna vertebrale.
Asimmetria delle spalle, delle scapole, del bacino, asimmetria dei triangoli della taglia (spazio vuoto
delimitato lateralmente dal profilo mediale delle braccia e medialmente dal profilo del fianco).
Verifica curve sagittali (disassamento): identificare la parte più sporgente dell’ultima vertebra cervicale.
Far cadere un filo a piombo partendo da questo punto. Normalmente, il filo a piombo dovrebbe passare nel
solco tra i due glutei. Lo spostamento del filo da questo punto di riferimento (a destra o sinistra) indica che
il tronco del soggetto è spostato di lato, cosa che potrebbe verificarsi in caso di scoliosi. Il disassamento
non esclude la scoliosi, perché se la curva secondaria compensa interamente la curva primitiva esso sarà
nullo. Si possono anche valutare le frecce, cioè calcolare la distanza tra il filo a piombo e i processi spinosi
di alcune vertebre (C5, T10, L2-L3 e S2).
Misurazione delle curve: l'entità della deviazione scoliotica viene espressa in gradi. Il sistema di
misurazione attualmente più usato è quello di Cobb: si tracciano due linee passanti per il piatto superiore e
inferiore delle vertebre limitanti la curva e a queste le rispettive perpendicolari (angolo di Cobb). Essi sono
presenti solo nelle forme dismorfiche.
Generalmente si considerano casi indicativi di scoliosi valori superiori ai 5 gradi Cobb (oggi si parte
addirittura da 3); la maggior parte delle scoliosi presenta angoli di curvatura tra i 5 e i 30 gradi Cobb; se la
curva supera i 30 gradi la scoliosi è considerata grave.
Queste misure sono importanti per monitorare l’evoluzione delle patologie risparmiando le rx di controllo.
Esiste la scoliosi evolutiva o degenerativa dell’adulto, patologia che non è riconosciuta in quanto si
considera derivazione di una scoliosi avuta da ragazzino. In realtà, è una forma che si presenta de novo (o
in alcuni casi realmente è una scoliosi che non arresta la sua progressione con la fine dell’accrescimento) e
differisce per due caratteristiche: non arresta il suo decorso, ma va avanti per sempre; è sintomatica e
comporta lombalgia.

Diagnosi
Rx in ortostatismo nelle due proiezioni ortogonali. È possibile evidenziare la reale strutturazione (e rigidità)
della curva scoliotica per mezzo di radiogrammi effettuati in flessione laterale.

Trattamento (non è stato spiegato, viene riportata trascrizione delle slides)


La scoliosi va trattata in caso di soggetti in fase prepuberale con curve superiori a 15/20 gradi, in caso di
comprovata evoluzione clinica e/o radiologica. La finalità del trattamento è evitare il peggioramento. Per la
scelta si tiene conto di ampiezza, tipo e progressione della curva ed età del paziente.
Come trattare una scoliosi ?
• scoliosi inferiori ai 15°- 20° Cobb: “Wait and see” o corsetti part-time
• scoliosi tra 20°- 40° Cobb: corsetti ortopedici full-time o busti gessati
• scoliosi > di 40° Cobb: terapia chirurgica

Terapia Scoliosi lieve: 10°-20°-controllo


Paziente giovanissimo e scheletricamente immaturo: controllo ogni 4 mesi
Paziente più grande con minore rischio di progressione: controllo ogni 6 mesi
Paziente con curve stabili senza segni di progressione: controllo a 9-12 mesi

Terapia scoliosi lieve


• Chinesiterapia: ha l’obiettivo di migliorare il tono muscolare, le capacità neuro-motorie e la respirazione
• Attività sportiva generica: evitare gli sport che aumentano l’elasticità della colonna (ginnastica artistica)

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V anno Polo A-C 2022/2023

Attualmente non c’è evidenza sufficiente per raccomandare o sconsigliare l’utilizzo della cinesiterapia e di
esercizi specifici. Si ipotizza una certa efficacia degli esercizi specifici nel rallentare l’evolutività delle
curve patologiche in pazienti affetti da scoliosi idiopatica con curve minori.

Terapia scoliosi moderata


• Corsetto: utilità dibattuta in letteratura: i più recenti studi mostrano risultati positivi sulla storia naturale
della malattia. L’approccio ortesico moderno deve prevedere un corretto approccio tridimensionale
mirato alla correzione della curva sul piano frontale (gradi Cobb), orizzontale (rotazione) nel pieno
rispetto dell’assetto sagittale del rachide.
• Chinesiterapia in associazione al trattamento ortesico: esercizi di mobilizzazione per migliorare
l’articolarità del rachide in corsetto; esercizi di mobilizzazione in preparazione al corsetto; esercizi di
rinforzo della funzione tonica della muscolatura in corsetto; esercizi e posture di recupero dell’assetto
sagittale in corsetto; rieducazione posturale e funzionale.

L’uso del corsetto si prefigge come scopo la limitazione dell'evoluzione della curva e la correzione della
deformità; la chinesiterapia viene attuata per migliorare le condizioni generali del bambino o
dell’adolescente, aumentando il trofismo della muscolatura. Più che la ginnastica in palestra, definita
correttiva mentre in realtà non corregge certo la deformità, si consigliano gli sports attivi, purché
impieghino globalmente la muscolatura del tronco (come la pallavolo o la pallacanestro).
La funzione del corsetto è, nelle forme evolutive, di immobilizzare la colonna e prevenire così
l’aggravamento della malattia. Il corsetto esercita una trazione continua e progressivamente aumentabile
sulla colonna vertebrale. Si tratta però di uno strumento efficace solo nel periodo dell’accrescimento
corporeo, e diviene praticamente inutile nell'età adulta.
Nel trattamento della scoliosi in corsetto la correzione posturale e la stabilità vertebrale sono realizzati
dall'ortesi. Tuttavia, l'esercizio fisico è ugualmente importante per conseguire altri obiettivi essenziali.
In preparazione al corsetto mobilizzare su tutti i piani la colonna vertebrale per favorire le correzioni
successive del busto. In corsetto: accentuare le correzioni del busto, sviluppare il trofismo muscolare,
sviluppare il controllo propriocettivo. In fase di liberazione: rieducare la postura statica e dinamica.

Terapia scoliosi grave


Trattamento chirurgico: arresto dell’evoluzione, correzione della deformità sui tre piani dello spazio,
sicurezza dei nuovi strumentari.

Trattamento riabilitativo
• Fisioterapia mobilizzante e respiratoria preoperatoria (ambulatoriale)
• Fisioterapia respiratoria, antalgica e di assunzione della posizione eretta nell’immediato postoperatorio
• Fisioterapia di integrazione del nuovo schema corporeo, respiratoria, di recupero del tono trofismo del
tronco e degli arti

Raccomandazioni
Una curvatura scoliotica non strutturata e la scoliosi inferiore ai 10±5° Cobb non devono essere trattate in
modo specifico. Piuttosto, è necessario che siano ricontrollate periodicamente sino al superamento del
picco puberale. Si raccomandano, nelle curve minori, gli esercizi specifici come primo gradino di approccio
terapeutico alla scoliosi idiopatica per prevenirne l’evolutività. Gli esercizi, individualizzati sulla base delle
necessità dei pazienti, devono essere finalizzati a un miglioramento del controllo neuromotorio e posturale
del rachide, dell’equilibrio e della propriocezione e a un rinforzo della funzione tonica della muscolatura
del tronco. Si raccomanda che gli esercizi non incrementino l’articolarità e la mobilità del rachide, con
esclusione della fase di preparazione all’uso di un’ortesi. Si raccomanda di evitare per la cinesiterapia l’uso
esclusivo di singoli metodi, nessuno dei quali si adatta a tutte le fasi terapeutiche per il ragazzo affetto da
scoliosi idiopatica, utilizzando in ogni fase del trattamento il metodo, le tecniche e gli esercizi più idonei a
perseguire gli obiettivi terapeutici necessari per il paziente. Si raccomandano esercizi per migliorare la
funzionalità respiratoria in pazienti affetti da scoliosi idiopatica che ne abbiano necessità. L’ attività
sportiva consente un riequilibrio psico-motorio che è consigliabile per tutti e che deve trovare spazio
nell’adolescente scoliotico con le dovute modalità a seconda del tipo di paziente e della gravità ed
evolutività della curva. Quindi, lo sport non deve essere prescritto come un trattamento per la scoliosi

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V anno Polo A-C 2022/2023

idiopatica, ma si raccomanda lo svolgimento di attività sportive di carattere generale per vantaggi aspecifici
in termini psicologici, neuromotori e organici generali, anche durante il periodo d’uso di un corsetto. In
base all’entità della curva e alla fase evolutiva, a giudizio del clinico esperto di patologie vertebrali,
possono essere poste limitazioni rispetto ad alcune particolari attività.

112
RIASSUNTI DI CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE

FRATTURE NASO-ETMOIDO-ORBITARIE (NOE)


Insieme di fratture coinvolgenti O. Nasali + O. Orbitarie (Parte mediale) + O. Etmoide.
Queste ossa delimitano lo Spazio interorbitario, zona la cui fratturazione comporta un alto rischio
Coinvolgimento delle Strutture molli viciniori (Encefalo + Strutture oculari).
Nei 90% dei casi sono fratture Associate ad altre fratture facciali. Inoltre, nei 2/3 dei casi sono Bilaterali.
Risultano causate da Traumi Intensi, esercitati in senso Antero-posteriore.
Il Trauma coinvolge in particolare quelle porzioni ossee particolarmente suscettibili, quali la
Lamina cribiforme, la Parete mediale orbitale, le Ossa Nasali, il Vomere, la Lamina perpendicolare.
-C. Markowitz: valuta il Frammento osseo centrale + Posizione del Legamento cantale mediale (Legamento
che contiene l’occhio all’interno della cavità orbitaria):
Tipo 1: Frammento centrale Singolo + Legamento cantale inserito sulla Cresta lacrimale;
Tipo 2: Frammenti centrali Multiplici + Frammento portante il legamento Sufficiente;
Tipo 3: Comminuzione grave del Frammento centrale + Frammento portante il legamento Piccolo.

DIAGNOSI
La Diagnosi è Clinica + Strumentale (TC), e richiede spesso l’intervento di più specialisti (es.: Oculisti).
-Clinica: Frattura difficile da ispezionare per l’intenso Edema, Ecchimosi/Ematomi e altre lesioni associate.
Ci si basa pertanto sui Sintomi obiettivi:
• Epistassi;
• Telecanto traumatico; (alterazione distanza canti mediali degli occhi)
• Enoftalmo/Esoftalmo;
• Ptosi palpebrale superiore;
• Ecchimosi Congiuntivali/Periorbitarie (Ecchimosi “a Panda”/”a Farfalla”);
• Enfisema palpebrale;
• Limitazione della motilità estrinseca oculare;
• Rinoliquorrea.
La Palpazione permette di valutare l’Instabilità delle ossa nasali;
-TC: Gold standard per la Diagnosi di conferma e per la pianificazione del trattamento;

TRATTAMENTO
- Riposizionamento del Frammento portante il Legamento cantale mediale: questo permette il Ripristino della
Distanza intercantale. La via di accesso è Coronale o, in caso, Endorali superiori.
Si provvede, nel frattempo, al trattamento di possibili Lesioni orbitarie, della base cranica, del naso e del
mascellare;
- Ricostruzione della Regione anatomica interorbitaria: ottenuta attraverso Fissazione rigida interna e
Cantopessi transnasale;
- Trattamento dell’Apparato naso-lacrimale: controverso se trattarlo subito (difficile da trattare).
La Riduzione della frattura, associata alla riduzione dell’edema, dovrebbe risolvere il disturbo. In ogni caso,
sarà necessaria una valutazione secondaria delle vie lacrimali ed effettuare possibile Dacriocistorinostomia.

FRATTURA DELL’ORBITA
DEFINIZIONE
Le pareti orbitarie a più frequente sede di frattura sono quella inferiore e mediale a causa della fragilità.
Possono essere distinte in: - fratture senza scoppio dell’orbita- fratture con scoppio dell’orbita: a loro volta
blow-in (frammento fratturato depiazzato all’interno, è un’emergenza) blow-out (frammento all’esterno:
scende verso il seno mascellare)
Possono essere:
• orbito-zigomatiche

1
• naso-etmoido-orbitarie
• interne dell’orbita
• combinate dell’orbita.

EZIOPATOGENESI
Agente traumatico sul globo oculare (classico- palla da tennis).

SINTOMATOLOGIA
Soggettiva: algia locale, diplopia, alterazione del visus.
Oggettiva: enoftalmo, falsa ptosi palpebrale (falsa perché non c’è né lesione al muscolo elevatore né al nervo
oculomotore), ecchimosi congiuntivale e palpebrale, edema ed ematoma palpebrale, enfisema (passaggio di
aria tramite la rima di frattura), oftalmoplegia.

DIAGNOSI
Si basa sulla clinica.
Diplopia direttamente proporzionale alla severità (valutata con esame ortottico e schermo di Hess).
Negli adulto in genere c’è associata un’ampia perdita di sostanza, nei bambini <15 anni i tessuti endorbitari
prolassati rimangono intrappolati nella rima con sofferenza ischemica e necessità di trattamento entro 12-24h
RX: valutazione frattura ed emoseno associato.
TC: tecnica di scelta. Sede, tipo, erniazione, presenza di aria o raccolte ematiche.

TERAPIA
Ricostruzione chirurgica parete mediale e inferiore entro 10-15 gg (se c’è incarceramento 12-24h).
3 tempi: 1 esposizione della rima di frattura, 2 riduzione, 3 ripristino integrità ossea.
Gli approcci sono congiuntivali e cutanei. La congiuntivale non lascia cicatrici.
Il ripristino dell’integrità della parete si fa con materiali eterologhi o alloplastici (in caso di fratture
pluriframmentarie). L’alterazione della sensibilità persiste alcuni mesi.
Si utilizzano incisioni endo-orali o per accesso coronale (in generale per tutte). Se l’osso è irrecuperabile perché
troppo frammentato si può utilizzare o un frammento autologo (generalmente da mandibola o da teca cranica)
o un frammento alloplastico (preferito nel caso dell’orbita)

PARALISI NERVO FACCIALE


DEFINIZIONE
Condizione patologica a eziologia ed espressione clinica multiforme caratterizzata non solo da deficit
funzionali ma anche da effetti estetici, con un conseguente impatto psicologico spesso tragico.

EZIOLOGIA
Forme congenite e acquisite.
- Congenite: presenti alla nascita; isolate o parte di quadri sindromici. Le forme più comuni sono quella da
traumi da parto (restituito in un mese), la microsomia emifacciale (forma sindromica unilaterale) e la sindrome
di Mobius (sindromica bilaterale, con l’associazione di deficit di altri nervi come l’abducente, glossofaringeo,
vago,…)
- Acquisite: paralisi di Bell (forma transitoria più frequente, eziologia probabilmente herpes simplex, 75%
restituito ad integrum); traumi (extracranici, intratemporali e intracranici); cause iatrogene (asportazione di
neurinomi dell’8 nervo cranico, metastasi cerebrali); infiltrazione da parte di patologie neoplastiche maligne
(ad es parotide).

SINTOMATOLOGIA
varia molto, da subdola asimmetria a paralisi flaccida totale dell’emivolto.
- sintomi oculari: deficit chiusura rima palpebrale; secchezza oculare (xeroftalmia) associata spesso
paradossalmente a epìfora (eccessiva lacrimazione) dovuta quest’ultima alla palpebra inferiore che si incurva
verso l’esterno (ectropion) con impotenza del sistema canicolare lacrimale; ptosi del sopracciglio e della
palpebra superiore
- sintomi buccali: ipotono muscoli zigomatici con deviazione rima bucale verso il basso; ipotono m buccinatore
che non permette di masticare dal lato affetto;

2
- sintomi nasali: collasso valvola nasale con ostruzione passaggio aria

ESAME OBIETTIVO
Pz studiato con volto sia a riposo in posizione statica sia durante contrazioni volontarie.
I sintomi vanno valutati con la Scala di House-Brackman, che classifica i deficit in 6 classi.

TRATTAMENTO
Fondamentale inquadrare la classificazione clinico-eziologica, se è una forma mono o bilaterale, e soprattutto
definire temporalmente l’insorgenza della lesione: il fattore tempo è responsabile della progressiva e
irreversibile atrofia da denervazione della muscolatura mimica facciale.
Distinguiamo:
- paralisi recenti (<3 mesi): neurorrafia diretta (collegamento) tra i due monconi se la distanza è <2 cm;
reinnervazione con graft nervoso, si crea un collegamento tra il nervo facciale deficitario e quello sano
controlaterale interponendo il nervo masseterino (scelta più frequente per rapida ripresa, stretta vicinanza
anatomica) oppure nervo surale della gamba (svantaggio: assenza contrazioni spontanee del sorriso)
- paralisi di medio termine (3-18 mesi): i muscoli essendo denervati da più tempo hanno più rischio di andare
incontro a ad atrofia, quindi, non può essere usato come graft il nervo facciale controlaterale (reinnervazione
5-8 mesi); si usa una tecnica “baby sitter” _ che permette di mantenere il tono muscolare nell’attesa della
rigenerazione assonale. Essa prevede _due tempi chirurgici: _prima fase _-> viene fatto un graft nervoso che
è anastomizzato solo al nervo sano, mentre un’altra sorgente nervosa (n ipoglosso) Viene collegata al nervo
affetto così da ridonare trofismo ai muscoli.
seconda fase-> dopo 6-8 mesi il graft nervoso viene collegato al lato deficitario.
- paralisi inveterate (>18 mesi):
trasposizione lembi muscolari viciniori o lembi liberi rivascolarizzati. I muscoli locoregionali di solito sono il
massetere o temporale; i lembi liberi di solito sono il muscolo gracile (forma fusiforme perfetta) con graft di
nervo surale che crea la connessione col nervo facciale controlaterale, oppure il muscolo _gran dorsale _ che
presenta un peduncolo nervoso tale da raggiungere direttamente il nervo facciale controlaterale senza
interposizione di graft.
TUMORI MASCELLARI
TUMORI BENIGNI
Ameloblastoma o adamantioma: è il più frequente, origine odontogena. Tumefazione non dolente, lentamente
progressivo. Diagnosi RX ortopanoramica (lesioni a colpo d’unghia nelle radici dentali) e TC (area osteolitica),
infine istologica. Trattamento conservativo o radicale (più spesso).
Tumore cherato-cistico odontogeno: rivestimento di epitelio squamoso paracheratinizzante e contenuto
liquido. Elevata tendenza a recidiva e aggressività locale. Diagnosi RX ortopanoramica o TC (area osteolitica),
denti dislocati. Asportazione radicale.
Mixoma odontogeno: origina dal follicolo dentario, meno frequente. Radiotrasparente. Tendenza a recidiva,
si asporta.
Odontomi: si distinguono semplici, complessi e composti. Aree radiopache all’interno di aree radiotrasparenti.
Asportazione chirurgica
Fibroma: origine epiteliale (non odontogena)
Angiomi intraossei: origine mesenchimale (non odontogena)
Lesioni a cellule giganti: proliferazione di cellule mesenchimali con cellule giganti multinucleate “osteoclasti-
like”. Tumefazione mascellare, forma aggressiva e non aggressiva. Asportazione radicale
Cherubismo: espansione bilaterale delle ossa mascellari che comporta una facies caratteristica. Malattia
autosomica dominante, si manifesta in infanzia.
Tumore bruno: lesione osteolitica in caso di iperparatiroidismo. Trattamento: Correzione iperparatiroidismo
ed eventualmente asportazione

3
Osteoma e condroma: origine da tessuto osseo e cartilagineo. Asportazione in caso di rapido accrescimento
Displasia fibrosa: età pediatrica, tumefazione a lenta crescita, diagnosi istologica, rx aspetto a vetro
smerigliato. Chirurgia in caso di deformità
TRATTAMENTO: chirurgia spesso conservativa: asportazione transorale delle lesioni + courettage della
cavità residua. Per lesioni grandi, posizionamento placca in titanio per prevenire fratture

TUMORI MALIGNI
Tumori maligni del mascellare superiore: possono originare dal cavo orale (più frequente il carcinoma
squamoso) oppure dal naso o dai seni paranasali (più frequente adenocarcinoma). Tumefazioni rapidamente
ingravescenti, sanguinanti, dolenti, parestesie, ostruzione respiratoria.
Tumori maligni della mandibola: istotipo frequente è il carcinoma squamoso, tumefazione rapidamente
ingravescente, dolente, parestesia, frattura patologica. Diagnosi istologica (biopsia incisione)
TRATTAMENTO: nei tumori epiteliali chirurgia (asportazione della neoplasia e dei linfonodi del collo) +
radioterapia. Nei sarcomi chir + chemio.
CARCINOMA DEL CAVO ORALE
Il carcinoma del cavo orale è il tumore più diffuso della cavità orale in generale. Sono anche tumori in crescita
e la percentuale nelle donne si è alzata. L’età di insorgenza è sempre fra 50-60 anni ma la diagnosi è più
precoce rispetto a prima.
Fattori di rischio:
fumo → nel sigaro è principalmente della lingua, nella sigaretta è più labbra e gengive
alcool
HPV → correlazione tra il 16 e il 18 con il carcinoma squamoso. Si stanno studiando altri ceppi ma ancora
non sono state dimostrate altre correlazioni.
Esposizione a carcinogeni
Scarsa igiene orale
Fattori genetici → ad esempio la mutazione del p16. Importante lavorare su questo ambito per poter fare
diagnosi di predisposizione.
Lesioni precancerose del cavo orale (forse non sono tutte):
Papilloma da HPV → lesioni ciuffiformi, piccole e circoscritte a margini netti.
Avviene soprattutto nelle tonsille, nella lingua e nel pavimento orale. Questo perché
la mucosa orale ha uno strato cheratinizzato che è più protettivo quindi è più facile
che l’infezione virale si attacchi alla lingua.
Lesione da trauma masticatorio → lesioni rilevate, a margini netti, non sanguinante
e non ulcerante, mobile.
Lichen ruber planus
CLINICA → Inizialmente le neoplasie sono totalmente asintomatiche. Quando la
neoplasia infiltra i muscoli, i nervi e i vasi darà dolore, quindi solo in fase avanzata.
In fase avanzata darà impedimenti nella deglutizione, nella masticazione e anche
nella fonazione.
Fare sempre attenzione a ulcerazioni, sanguinamenti…le fasi avanzate comportano
anche movimento anomalo e caduta dei denti.
FORMA ULCERATA DEL CARCINOMA SQUAMOSO → Lesione a margini
rilevati e netti, fondo crateriforme e fibrinoso con detriti di cibo, sanguinante. È la
forma più comune, soprattutto se siamo nella lingua. È una forma che si diagnostica
precocemente perché ulcera subito quindi provoca dolore sin da subito. Può trovarsi
anche all’esterno del cavo orale ed in quel caso presenterà escara.
Una lesione del cavo orale che non guarisce dopo 30gg NON è UN’AFTA, bisogna
attenzionarla.

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FORMA INFILTRANTE → Lesione ulcerante che superficialmente è
molto piccola, ma con infiltrazione delle strutture sottostanti e un
interessamento anche di 7cm. Diagnosi molto tardiva quando c’è già
interessamento dei muscoli della lingua, quando è già sintomatica

FORMA VEGETANTE →, mammellonata con aree di ulcerazioni. È la


forma meno vista ma è quella a prognosi migliore perché contiene tutto il
tumore che non diffonde al di là della lesione vegetante.

DIAGNOSI
Fondamentale innanzitutto l’ispezione e la palpazione. Attenzionare soprattutto:
Aspetto
Sede
Dimensioni
Consistenza alla palpazione
mobilità rispetto alle strutture sottostanti
rapporto con muscoli e ossa

valutazione dei linfonodi →


Si fa un esame radiologico, e poi la biopsia incisionale. Se sono benigne biopsia escissionale. Si fanno Rx
endorali e OPT arcate dentali, e poi TC con mezzo di contrasto e RMN (meno sensibile ma più specifica)
rispettivamente per i tessuti duri (ossa) e per i molli, anche se spesso si fanno entrambe. Si può fare anche la
PET per studiare la capacità metabolica della lesione.
Tutto ciò ci permette di stabilire il TNM

TRATTAMENTO
Rimozione chirurgica della lesione. In base all’entità dell’esportazione, e quindi in base al difetto che si crea,
si può fare una chiusura diretta con punti di sutura, o si possono fare dei lembi di vicinanza (ad es. dalla
guancia).
Si può arrivare fino alla ricostruzione con lembo di coscia (nel caso in cui ad esempio si faccia una escissione
che supera la linea mediana della lingua).
Se l’escissione coinvolge anche l’osso si utilizza una placca apposita come guida su cui si posiziona il perone.
In questo caso si fanno delle simulazioni custom-made al computer e si programma una placca apposita.

RESEZIONI DEL MASCELLARE


Neoplasie maligne limitate all’infrastruttura: resezione per via transorale, limitata alla regione palatale e
alveolare superiore.
Interessamento mesostruttura e/o sovrastruttura: intervento demolitivo coinvolge anche mascellare
superiore e orbita. Accesso intra orale.

RESEZIONI DI MANDIBOLA
Resezione marginale: casi meno gravi, 4 tipi classica, inferiore, sagittale, obliqua.
Mandibulectomia: casi più avanzati, asportato intero osso mandibolare e eventualmente nervo mandibolare

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RICOSTRUZIONE
Obiettivi: ristabilire simmetria del volto, dentatura mediante protesi/faccette, deglutizione, fonazione.
Otturatori palatali: casi in cui non è possibile ricostruzione chirurgica
Lembi locali e innesti: in caso di resezioni limitate
Placca ricostruttiva/dispositivi protesici: per resezioni mandibolari di estese dimensioni
Lembi locoregionali: in caso di maxillectomia, lembo peduncolato del muscolo temporale. In caso di
ricostruzioni mandibolari, lembo peduncolato di miocutaneo gran pettorale
Lembi microvascolari: metodica di scelta dal punto di vista estetico-funzionale.

FRATTURE DEL MASCELLARE


Sono meno frequenti di quelle della mandibola e del malare per la posizione arretrata che la rende meno esposta
ai traumi. Si distinguono in:
1) alveolo-dentaria: caratterizzata da frattura dell’alveolo e frattura della corona del dente o sublussazione o
avulsione del dente
2) frattura orizzontale: Le Fort I, II, III
3) fratture verticali: Lannelongue o disgiunzione intermascellare (rara). Ha direzione verticale parallela al
setto nasale e vomere
4) fratture associate: orizzontali e verticali. Possono coinvolgere diversi settori dell’arcata mascellare.

CLASSIFICAZIONE DI LE FORT
Frattura di Le Fort I: si verifica per traumi sotto la spina nasale anteriore con linea di frattura mono o
bilaterale dalla spina nasale ant fino alla tuberosità del mascellare. Si verifica il distacco della porzione orale
dallo scheletro facciale.
Le Fort II: traumi più violenti in direzione antero-posteriore dall’alto in basso. La linea di frattura va dalla
sutura fronto-nasale, passa dalla doccia lacrimale, e termina nella tuberosità del mascellare.
Le Fort III (Fr. Completa del mascellare o Distacco cranio-facciale): impatti ancora più violenti, direzione
ant-post dall’alto in basso, sulla regione glabellare o laterale del volto. La linea di frattura va dalla sutura
fronto-nasale, in orizzontale, e fa staccare completamente il neurocranio dallo splancnocranio.

TRATTAMENTO
Cruento → riduzione e contenzione con placche in titanio, l’opzione più comune
Incruento → bloccaggio rigido intermascellare, quando abbiamo una totale perdita dell’occlusione superiore
e inferiore, o ci sono anche altri casi.

DISTACCO CRANIO-FACCIALE
SINTOMI
Il dolore è un sintomo costante, esacerbato alla palpazione. L’epistassi è importante nelle fratture alte, per
danno dell’arteria sfeno-palatina. Rinoliquorrea se vi è frattura della lamina cribrosa dlel’etmoide associata.
Allungamento e appiattimento del volto, depressione della piramide nasale, deformazione orbitaria e diplopia
sono tipici delle fratture Le Fort II e III.
Il sintomo più costante è il morso aperto (openbite) traumatico (perdita della normale occlusione dentaria).

DIAGNOSI
si avvale di ispezione esterna, esame endorale, accertamenti radiografici.

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Le Fort I all'ispezione: tumefazione labbro sup, fratture e avulsioni degli incisivi sup, morso aperto. La
percussione dei denti sup vi è il segno di Obwegeser (pentola fessa). Alla palpazione bimanuale mobilità
dell’arcata sup.
Le Fort II-III all'ispezione: edema, ecchimosi periorbitarie-sotocongiuntivali bilaterali nella metà mediale
dell’occhio (diagnosi differenziale con Le Fort III dove interessano tutto l’occhio), deformità dorso nasale,
enoftalmo e diplopia. All’ispezione endorale alterazione incisivi sup, openbite. Palpazione con mobilità
patologica margine orbitario inf.
CONFERMARE i dati alla TC con ricostruzione 3D.

TERAPIA
fase immediata: controllo pervietà vie respiratorie, emorragie nasali/orali/cutanee,
fase successiva chirurgica: esposizione focolai di frattura, riduzione e contenzione.
Nelle fratture composte bloccaggio intermascellare e legatura interdentale.
Nelle fratture di Lannelongue riduzione manuale, contenzione con bloccaggio intermascellare e fissazione
rigida interna sulla rima.
Nella Le Fort III l’incisione si fa nel terzo esterno del sopracciglio, nella Le Fort II a livello palpebrale inf,
nella Le Fort I per via endorale. Si procede quindi a riposizionamento del mascellare. La contenzione con
fissazione rigida interna, placche, viti, bloccaggio intermascellare, sospensioni metalliche interne, rimossi
dopo 2 settimane.
FRATTURE DELLA MANDIBOLA
Sono le lesioni più frequenti cranio-facciali, insieme allo zigomo, per la posizione più esposta a traumi.
Le possibili cause sono: aggressioni, incidenti, traumi sportivi, infortuni sul lavoro.
Patogenesi: traumatica, iatrogena, patologica.
Si frattura la zona con minore resistenza, spesso i condili insieme al corpo.
1. Del corpo:
- Fratture favorevoli → ha un decorso da avanti e indietro e dal basso verso l’alto obliquo che si
riduce spontaneamente grazie all’azione dei muscoli della mandibola, perciò la frattura è ingranata.
Basterebbe un bloccaggio intermascellare, o un semplice trattamento conservativo con nutrizione
liquida.
- Sfavorevoli → andamento della frattura tale per cui viene scomposta dall’azione dei muscoli stessi.
Trattamento → incruento è il bloccaggio quello cruento e con placca mandibolare
2. Dell’angolo: in questo caso predispone anche il fatto che all’interno c’è il dente del giudizio, quindi, è
una regione meno ossificata.
3. Del condilo: può essere della testa o del collo, intra o extracapsulare, monolaterale o bilaterale
- Se monolaterale → contatto omolaterale alla frattura e openbyte controlaterale
- Se bilaterale → openbyte anteriore e contatto posteriore
Classificazione: possono essere complete/incomplete, composte/scomposte, semplici/comminute,
dirette/indirette, esposte/chiuse, con o senza elementi dentari, favorevoli/sfavorevoli.
FRATTURA SFAVOREVOLE: In una frattura obliqua (dal basso in alto e da dietro in avanti) si ha lo
spostamento in alto del ramo e in basso del corpo mandibolare, con diastasi ossea traumatica per azione
contraria dei muscoli della mandibola (rispettivamente massetere e digastrico)
FRATTURA FAVOREVOLE: si verifica nelle fratture del corpo mandibolare dal basso in alto e da davanti
all’indietro.
FRATTURE CONDILO: il condilo è la porzione più debole della mandibola.
Sono fratture articolari classificate in: frattura della testa/collo/subcondilari, monocondilari/bicondilari,
intracapsulari/extracapsulari, parziali/incomplete/comminute.

SINTOMI
Segni certi: alterazione strutturale osso fratturato, mobilità frammenti, asimmetria volto, crepitatio.
Segno tipico: Morso mandibolare se fr. Bicondilare.
Segni incerti: ematoma e tumefazione locoregionale, algia alla pressione, ostruzione vie aeree, mobilità denti,
alterazione mobilità mandibolare, alterazioni volto.

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DIAGNOSI
Ispezione: atteggiamento antalgico con bocca semiaperta, scialorrea, edema e ecchimosi, ferite ed emorragie
cutanee.
Esame endorale: emorragie e lacerazioni gengivali, assenza o lesione degli elementi dentali, alterazione
dell’occlusione dentaria (indicativa della sede di frattura).
Nelle fratture del condilo monolaterale: morso aperto controlaterale, crossbite, contatto omolaterale.
Fratture condilari bilaterali: morso aperto anteriore e contatto posteriore (morso mandibolare).
La palpazione combinata extra ed endorale può identificare la sede di frattura.
Diagnosi di certezza ESAME RADIOLOGICO: la radiologia tradizionale serve per una valutazione
immediata e generale, la TC della mandibola con ricostruzione 3D serve per diagnosi e classificazione più
adeguata.
TERAPIA
Si trattano chirurgicamente solo se l’inclinazione del frammento è superiore ai 30°, altrimenti si fa il
bloccaggio. Perché l’approccio chirurgico in questa zona mette a serio rischio il nervo faciale quindi si fa solo
se strettamente necessario.
Trattamento non chirurgico (per fratture incomplete a legno verde con modesti spostamenti ossei o in caso
di controindicazione a chirurgia): si fa un bloccaggio intermascellare per 10-15gg.
Trattamento chirurgico: esposizione, riduzione e contenzione dei frammenti con fissazione rigida interna
(placche, viti e viti bicorticali).
Fratture condilari: il trattamento chirurgico è riservato solo alle fratture scomposte pluriframmentarie ed
extracapsulari. Si usano fissazione rigida interna ed esterna. Si fa se l’inclinazione è superiore a 30° perché la
chirurgia mette a rischio il nervo faciale.

MALFORMAZIONI MAXILLOFACCIALI
DEFINIZIONE
Le malformazioni maxillo-mandibolari rappresentano la conseguenza di complesse alterazioni dentali o
scheletriche che determinano maggiore o minore sviluppo mascellare o mandibolare. Le alterazioni
scheletriche che possono portare a una malocclusione dento-scheletrica sono:
- protusione mandibolare (progenismo)
- retrusione mandibolare (retrogenia)
- protusione mascellare (prognatismo)
- retrusione mascellare (retrognazia).
Queste alterazioni si presentano raramente isolate, spesso combinate determinando quadri sindromici.

EZIOPATOGENESI
Ci sono tre principali modelli eziopatogenesi:
- trasmissione genetica: trasmissione poligenetica del tipo a soglia, la malformazione si verifica solo quando
la sommatoria degli effetti di vari geni superi un determinato valore
- teoria ambientale: Un fattore scatenante ambientale agisce in un soggetto predisposto
- sindromico: patologie sistemiche es. acromegalia.

DIAGNOSI
Occorre valutare l’aspetto generale del paziente, la facies può indicare lo stato generalizzato della malattia,
come per esempio, nei pazienti acromegalici. L’esame clinico procede con la valutazione del tipo facciale che
potrà essere: normofacciale, dolicofacciale (faccia lunga) o brachifacciale (faccia corta). I segni clinici
riscontrabili all’esame obiettivo ispettivo variano in relazione al numero e al tipo di difetti maxillo-mandibolari
presenti. Lo studio dell’occlusione completa l’esame clinico; si andranno a valutare i diversi parametri che
definiscono la tipologia occlusale di tipo I, II, III secondo angle. Per oggettivare il sospetto diagnostico è
necessario eseguire un’analisi cefalometrica del paziente (si usano programmi come il dolphin che sfrutta le
immagini TC).

TERAPIA
Il trattamento delle malformazioni maxillo-mandibolari si compone di tre diversi momenti:
- fase ortodontica prechirurgica
- fase chirurgica
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- fase ortodontica postchirurgica
La preparazione ortodontica pre-chirurgica serve a eliminare i compensi dentali che si sono verificati in
risposta alla malformazione. L’osteotomia più eseguita per mobilizzare il mascellare superiore è quella di tipo
Le Fort I. Per mobilizzare invece la regione mandibolare la tecnica chirurgica più diffusa è l’osteotomia
sagittale bilaterale. La fase successiva consiste nella terapia ortodontica postoperatoria in cui andranno vinte
le iniziali resistenze muscolari, che tenteranno di riportare la mandibola nella posizione iniziale.

LA RICOSTRUZIONE DEL DISTRETTO TESTA-COLLO


Tecniche ricostruttive a oggi disponibili:
1) Chiusura diretta
2) Innesti
3) Lembi locali
4) Lembi liberi rivascolarizzati
La tecnica ricostruttiva viene scelta durante il planning pre-operatorio e tiene conto di vari fattori Analisi del
sito ricevente /Esperienza del chirurgo /Possibilità di avere tessuti da donatori /Caratteristiche del pz
3 principi guida basilari aiutano nella scelta:
• Il tessuto escisso, se possibile, va sostituito con quello similare (esempio: l’impiego di tessuti prossimi alla
ferita) i tessuti locoregionali garantiscono la miglior corrispondenza funzionale/estetica
• Se il pz è oncologico la ricostruzione non deve ostacolare/ritardare radio e chemioterapia
• Scegliere sempre la tecnica che ha le % di successo maggiori

INNESTI IN GENERALE
Si definisce Innesto il trapianto di tessuti privati della propria vascolarizzazione e di ogni collegamento da una
sede (area donatrice) a un’altra sede (area ricevente) distinguiamo autoinnesti (stesso pz) /omoinnesti (donatore
e pz stessa specie e antigenicità) /eteroinnesti (donatore e ricevente di specie differenti)
Innesto isotopico: trapianto di tessuto identico
Innesto eterotopici: trapianto di tessuto differente
In base alla composizione del tessuto distinguiamo gli innesti in semplici e composti (semplici: cutanei
/dermici/adiposi) composti: dermo adiposi, condro ossei)
A differenza degli innesti i lembi mantengono il peduncolo e la loro vascolarizzazione è quindi indipendente
dall’area ricevente. I lembi maggiormente usati nella ricostruzione della regione testa-collo sono:
• Muscolari/Muscolocutanei
• Fasciocutanei
• Ossei/osteomuscolari
• Perforanti
INNESTI OSSEI
Sono tra gli innesti più utilizzati per la ricostruzione maxillofacciale, normalmente autologhi in quanto gli altri
tipi non sono abbastanza stabili.
possono essere di tre tipi:
1) corticale
2) midollare
3) corticale e midollare insieme.
La teca cranica, cresta iliaca e coste rappresenta in genere l’area donatrice per gli interventi del distretto testa
collo.
Una volta allestito, l’innesto osseo subisce una serie di rimodellamenti e riassorbimenti che porta a una perdita
di volume, questo fenomeno è ridotto al minimo nei LEMBI OSSEI.
Gli innesti ossei si usano quando il difetto non supera i 3-4cm di lunghezza, per lunghezze superiori ci
affidiamo a lembi liberi rivascolarizzati.
INNESTI CUTANEI
Trasferimento di tessuto cutaneo anche di grandi dimensioni da un’area corporea all’altra possono essere “a
tutto spessore” o “a spessore parziale” in base allo spessore del derma prelevato. Rappresentano il gold
standard per il trattamento di deficit cutanei estesi, si preleva il tessuto da un’area che andrà facilmente incontro
a processi di cicatrizzazione (generalmente glutei tronco e inguine).
L’area donatrice ideale per un innesto cutaneo del volto viene scelta tra scalpo, collo e regione sovraclaverare.

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LEMBI IN GENERALE
LEMBO= trapianto di uno o più tessuti da un sito donatore a un sito ricevente mantenendo una connessione
con la sede di prelievo, tale connessione definita peduncolo assicura la nutrizione al lembo stesso.
Il lembo mantiene quindi una vascolarizzazione indipendente dall’area ricevente questo lo differenza dagli
innesti, e permette la ricostruzione in zone in cui la vascolarizzazione è danneggiata.
Lembo libero microvascolare: IN QUESTO CASO non c’è connessione vascolare tra l’area ricevente e il
lembo il peduncolo in questo caso viene dissezionato ed elevato con il lembo stesso per poi essere ricollegato
mediante microanastomosi a vasi presenti sul sito ricevente.
A differenza dei lembi tradizionali l’uso del lembo libero consente di poter scegliere il tessuto da trapiantare
in base alle caratteristiche della sede ricevente.
Classificati in vario modo tra cui
- Tessuti componenti (cutanei/muscolari/ossei)
- Rapporto col sito ricevente (locali/distanti)
- VASCOLARIZZAZIONE la più utile in ambito pratico risulta essere quella che tiene conto dei:
Lembi random: lembi cutanei basati sul plesso vascolare subdermico
Lembi assiali: lembi dotati di una specifica vascolarizzazione basata sul decorso di un asse vascolare assiale
a decorso longitudinale.
LEMBI MUSCOLARI
Lembi muscolari (muscolo e fascia muscolare) e muscolocutanei (muscolo, fascia profonda, grasso
sottocutaneo e cute) sono basati entrambi su uno o più peduncoli vascolari. possono essere allestiti anche come
lembi liberi.
- Lembo peduncolato del muscolo grande pettorale: è il più usato nelle ricostruzioni di difetti del distretto
testa-collo in particolare nei pz non candidabili a microchirurgia usato per le ricostruzioni oromandibolari e
della guancia.
- Lembo libero di muscolo retto dell’addome: usato principalmente nelle ricostruzioni di deficit molto estesi,
svantaggi nel suo utilizzo sono la morbilità del sito donatore con possibile sviluppo di ernie.
- Lembo del muscolo temporale: per la ricostruzione dei difetti orbitari e nelle ricostruzioni palatomascellari
o se non è possibile usare altre procedure ricostruttive.
- Lembo fasciocutaneo: costituiti da fascia profonda, t. adiposo sottocutaneo e dalla cute.
- Lembo libero di avambraccio: tra i più usati, è basato sull’arteria radiale. Tra i suoi vantaggi: tecnica di
allestimento molto rapida è ideale per la ricostruzione di difetti a spessore parziale della guancia o difetti di
piccole dimensioni della lingua. Il suo svantaggio è la morbilità nel sito donatore, prima di usarlo effettuare un
test di allen ed eventualmente ecocolordoppler.
Lembi ossei e osteomuscolari generalmente usati come lembi liberi, trovano indicazione nei difetti ossei
superiori ai 5-6cm di lunghezza hanno una vascolarizzazione autonoma che consente la ricostruzione di difetti
ossei anche di grandi dimensioni limitando al minimo i fenomeni di rimodellamento /riassorbimento tipici
degli innesti
-lembo libero di fibula: è possibile eseguire osteotomie multiple e orientare i diversi segmenti nello spazio
mantenendo la vascolarizzazione, ragion per cui si può ricreare la geometria del distretto maxillomandibolare.
La fibula è il lembo di scelta per la ricostruzione di più del 50% della mandibola.
-Lembo libero di cresta iliaca, oltre che come lembo osseo anche come lembo osteomuscolare (con il m.
Obliquo interno) lungo dai 5-6 cm spesso 2mm usato per la ricostruzione di strutture curvilinee.
-Lembi del sistema sottoscapolare
-Lembi perforanti
Si definiscono vasi perforanti quei vasi che originano in un vaso assiale del corpo e che attraversando la
muscolatura e i tessuti connettivi raggiungono tramite la Fascia profonda e il tessuto adiposo sottocutaneo, da
qui danno delle ramificazioni a candelabro che irrorano la cute.
-Lembo antero-laterale di coscia ha numerosi vantaggi, tra i quali un lungo peduncolo (8-16cm) e con vasi
di calibro adeguato alle anastomosi (2mm). Contiene in genere più di una perforante e questo consente delle
ricostruzioni tridimensionali complesse. L’uso è limitato dalle procedure di prelievo che risultano complesse.

TRAUMI MAXILLO FACCIALI


Si possono presentare:
- isolati
- associati a lesioni del neurocranio e/o altri distretti

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- fratture panfacciali
Quelle del terzo superiore coinvolgono anche il neurochirurgo, nel terzo medio li coinvolgono circa nel 50%
dei casi.
1. fase emergenziale → in causo di trauma grave. Prevede l’intervento del rianimatore per stabilizzare il
pz (messa in sicurezza delle vie aeree, gestione delle emorragie, stabilizzazione delle ferite e temporanea
della frattura, gestione delle infezioni e sedazione del dolore). L’altro intervento spesso necessario è
quello del neurochirurgo per la valutazione neurologica.
In fase emergenziale il maxillo-facciale può essere coinvolto per garantire la pervietà delle vie aeree e
aiutare il rianimatore per l’intubazione.
Possibili cause di ostruzione delle vie aeree: corpi estranei, coaguli, vomito, terriccio, frammenti dentari
o ossei, protesi dentarie, retropulsione del corpo linguale per una frattura mandibolare, depiazzamento
posteriore dell’osso mascellare. Sono tutte motivazioni per cui l’anestesista richiede la collaborazione del
maxillo-facciale, perché si trovano spesso in difficoltà nella fase di intubazione di un pz con trauma
facciale.
È necessario asportare i corpi estranei, fare un lavaggio tracheobronchiale, spostare la lingua o fare una
legatura mandibolare d’emergenza (in base ovviamente a qual è la causa di questa ostruzione).
È importante anche il tamponamento nasale in caso di emostasi.
2. fase diagnostica
3. stabilire la priorità di trattamento → potrebbero coincidere ad esempio traumi facciali e al contempo
emorragie cerebrali che ovviamente hanno la precedenza. Ordine di priorità:
-trattamento di lesioni toraciche e addominali, al pari di lesioni cerebrali
-trattamento delle fratture e lesioni dei tessuti molli delle estremità e delle mani (fratture esposte)
-trattamento delle fratture facciali
Quindi la chirurgia maxillo-facciale in queste situazioni non ha la precedenza. Il timing nel caso del maxillo-
facciale può essere:
● Immediato: ha il vantaggio di operare in una condizione di minore edema e di una sintomatologia
unicamente locale.
● Primi giorni dal trauma: intanto fa cortisone ad alte dosi e poi viene operato alla fine dell’iter diagnostico,
è l’evenienza più comune e si opera di solito dopo 24-48h
● Rimandato di 10/15gg: spesso vengono anche da altri ospedali dove sono stati già trattati neuro-
chirurgicamente in urgenza senza aver coinvolto il maxillo facciale e chiamano solo dopo che il quadro
neurologico si è stabilizzato. È una fase più complessa dove bisogna ricreare le fratture perché si è già
creato un callo osseo primario, soprattutto se i pazienti sono giovani.

EPIDEMIOLOGIA
Le cause più frequenti nell’adulto sono Incidenti stradali, cadute facciali, aggressioni, traumi sportivi.
Nell’uomo sono più frequenti.
Nell’infanzia sono più frequenti le FRATTURE DELLA MANDIBOLA perché è più esposta rispetto, ad
esempio, ai traumi del mascellare, di solito sono meno gravi i traumi nel bambino anche per il loro peso più
esiguo. MISURE DI PROTEZIONE + EFFICACI: casco integrale, cintura, seggiolino per auto.
OSSA + FRAGILI: quelle nasali, seguite dalle zigomatiche e dalla mandibola; la mandibola è particolarmente
esposta per la sua lunghezza nonostante sia protetta dai muscoli Masticatori.
SINTOMI: algia locale, edema, ecchimosi ed ematomi dei tessuti molli, epistassi, chemosi congiuntivale,
alterazioni della sensibilità nei territori innervati dal trigemino, asimmetria facciale.
Esoftalmo e/o diplopia (nelle frattura orbitarie sono frequenti).
All’esame del cavo orale possiamo trovare: alterazione dei rapporti di chiusura tra le arcate dentali, fratture
e/o avulsioni dentali, ematomi derivanti dal cavo orale o lingua.
DIAGNOSI: CLINICA SEMPRE CONFERMATA DA RX STANDARD DEL CRANIO (proiezione
occipitobuccale, ant-post, laterale, assiale a raggi molli) e RX ORTOPANORAMICA.
La TC (2°lv) assiale, sagittale, coronale e con ricostruzione 3D permette di avere certezza diagnostica sulla
sede e il tipo di frattura, se ci sono erniazioni del contenuto orbitario o raccolte di aria o ematiche nella cavità
orbitaria.

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TERAPIA: ad eccezione nei casi di frattura senza spostamento è CHIRURGICA, mira al ripristino anatomo-
funzionale della parte lesa. L’Intervento deve essere fatto entro 15gg dal trauma per EVITARE
CONSOLIDAMENTO VIZIATO DEI FRAMM. OSSEI, FIBROSI MUSCOLARE, DEFICIT NERVOSI.
TRATTAMENTO IN URGENZA
- locale
- generale
TRATTAMENTO LOCALE: sedazione del dolore, prevenzione di possibili infezioni e emorragie e
eliminazione di ostruzione delle vie aeree.
Ostruzione vie aeree superiori possono causare insuff. Respiratoria a cuoi consegue ipossia e ipercapnia,
possibili danni cerebrali diretti per incremento della pressione venosa intracranica, edema ed emorragie
cerebrali. 3 sono le cause di ostruzione vie aeree superiori: GLOSSOPTOSI, OSTRUZIONE FARINGEA DA
CORPI ESTRANEI, OCCLUSIONE DELL’OROFARINGE.
GLOSSOPTOSI: è la retropulsione del corpo linguale, grave negli stati di incoscienza; viene trattata
posizionando il pz in decubito laterale e ancorando con filo di sutura la lingua alla guancia favorendo la
respirazione.
OSTRUZ. FARINGEA DA CORPI ESTRANEI: (saliva, sangue vivo o coagulato, vomito, muco, protesi
dentarie o frammenti ecc…) Rimossi con aspiratore, manualmente in urgenza perché ostacolano il flusso aereo;
se inalati>>Broncoscopia previa rx del torace.
OCCLUSIONE DELL’OROFARINGE: dopo frattura del mascellare si può avere una dislocazione del
palato molle con successiva ostruzione orofaringea. In questo caso>> necessario trattamento chirurgico ma in
attesa dello stesso si può fare una RIDUZIONE MANUALE SUPERO-ANTERIORE DEL MASCELLARE
infilando indice e medio nella cavita orale del pz spingendo il PALATO MOLLE posteriormente nelle
COANE. Si avrà un ripristino della pervietà delle vie aeree.
NEI GRAVI TRAUMI MAXILLO-FACCIALE sarà necessario fare INTUBAZIONE, TRACHEOTOMIA,
LARINGOSTOMIA
INTUBAZIONE: per via nasale o orale viene fatta dall’anestesista e necessità di essere cambiata ogni 24/48H
quindi se si pensa di lasciarla per + tempo si fa una TRACHEOTOMIA.
TRACHEOTOMIA: trattamento in urgenza fatta da qualsiasi medico e necessità di 15 minuti per essere
eseguita. Si fa con pz supino e capo iperesteso un’incisione di 2-3 cm due dita sopra il giugulo e si inserisce la
cannula. Se non si hanno 15m a disposizione si fa la LARINGOSTOMIA.
LARINGOSTOMIA: si apre la membrana inter-cricoidea che si trova la il margine inferiore della tiroide e il
margine superiore della cartilagine cricoide. Aprendola si potrà inserire una cannula tracheale permettendo gli
scambi d’aria.
IN CASO DI GRAVI EMORRAGIE ORALI e/o CUTANEE: sutura delle ferite, legature dei vasi lacerati;
in alcuni casi sarà necessario legare l’arteria facciale.
TRATTAMENTO EPISTASSI: le distinguiamo in anteriori e posteriori. Le anteriori derivano da lesioni
della mucosa del setto nasale o dei turbinati, le posteriori da lacerazioni dell’a. sfenopalatina o arterie etmoidali.
TRATTAMENTO EPISTASSI ANTERIORE: garza (tampone) di 50cm inserita in cavità nasale +
profondamente possibile cercando di riempire completamente la cavita nasale; la garza viene tolta dopo circa
4 gg per rischio di infezioni.
TRATTAMENTO EPISTASSI POSTERIORE: si fa un tamponamento posteriore con un sondino che va
dalle narice alla cavita orofaringea uscendo dalla bocca, viene ancorato un tampone e questo viene spinto
dell’epifaringe favorendo la formazione di un coagulo a monte delle coane. Rimosso dopo 4 gg.
TERAPIA GENERALE PER PZ POLITRAUMATIZZATO: in seguito a traumi stradali di solito.
SI fa un controllo locale e generale per le funzioni vitali. SI TRATTA di solito LO SHOCK TRAUMATICO
attraverso normalizzazione emodinamica, riequilibrio acido-base ed elettrolitico e ripristino della volemia.

LABIOPALATOSCHISI
Una schisi è una fessura, la presenza di uno spazio anormale congenito nel labbro superiore (labioschisi),
nell’alveolo o nel palato (palatoschisi).

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Labbro leporino o labioschisi isolata: deriva dal fallimento della fusione dei processi frontonasale e
mascellare, con conseguente fessura di varia estensione attraverso il labbro, l’alveolo e il pavimento nasale
(una fessura incompleta non si estende attraverso il pavimento nasale, mentre una fessura completa implica la
mancanza di connessione tra la base alare e l’elemento labiale mediale).
Palatoschisi: rappresenta il fallimento della fusione dei ripiani palatali dei processi mascellari, con
conseguente schisi dei palati duri e/o molli. Le fessure si presentano durante la quarta fase di sviluppo. Il punto
esatto in cui compaiono è determinato dai luoghi in cui la fusione dei vari processi facciali non è avvenuta,
questo a sua volta è influenzato dal momento della vita embriologica in cui si è verificata una certa interferenza
con lo sviluppo.
La labiopalatoschisi, detta anche labbro leporino, è una malformazione che si presenta con un'interruzione
(schisi) del labbro superiore, della gengiva e del palato, caratterizzata da una comunicazione diretta tra naso e
bocca. Le cause non sono ancora del tutto chiare. Ricerche scientifiche suggeriscono che la malformazione sia
dovuta sia a fattori genetici che ambientali.
In alcuni casi la palatoschisi o la labiopalatoschisi si possono associare a sindromi genetiche o ad altre malattie
di cui la più nota è la sequenza o sindrome di Pierre Robin. Altre possibili cause sono l'oligoidramnios, la
miotonia o le patologie del tessuto connettivo. Un terzo dei pazienti presenta la sindrome velocardiofacciale.
I sintomi principali sono:
Problemi di suzione: latte materno, biberon;
Problemi ai denti: il bambino con labiopalatoschisi ha spesso denti mancanti, in soprannumero oppure storti.
Questo richiede visite di controllo e correzioni odontoiatriche ed ortodontiche;
Problemi nel parlare: alcuni bambini con labiopalatoschisi hanno difficoltà nell'esprimersi e hanno quindi
bisogno di effettuare cicli di logopedia per imparare a parlare bene;
Ricorrenti infezioni dell'orecchio (otiti): numerosi episodi di otite possono causare perdita dell'udito. Sono
quindi necessarie visite specialistiche dall'otorinolaringoiatra per l'eventuale necessità di posizionare un
drenaggio timpanico (un piccolo tubicino nel timpano) per far fuoriuscire il liquido che si deposita al suo
interno e che favorisce le infezioni.

FRATTURA MALARE
DEEFINIZIONE
Facilmente esposto a traumi per la posizione anatomica. Deficit funzionali ed estetici.
Possono essere classificate in:
-Fratture senza spostamento
-Fratture con spostamento del corpo zigomatico senza rotazione
-Fratture con spostamento del corpo zigomatico e rotazione mediale
-Fratture con spostamento del corpo zigomatico e rotazione laterale
-Fratture complesse o pluri-frammentarie
-Fratture dell’arco zigomatico isolato o associate (frattura classica infossamento a V)
Questa classificazione tiene conto delle modalità dell’impatto traumatico.
Punti di minore resistenza: sutura maxillomalare, temporomalare, frontomalare. → fratture dello zigomo
definite fratture a tripode, per il malare completamente disarticolato.

EZIOPATOGENESI
Attività sportive, aggressioni, colluttazioni, incidenti.
Si presentano isolate o associate.
SINTOMATOLOGIA
Edema dei tessuti molli ed ecchimosi periorbitale, dolore alla pressione. All’ispezione rileviamo
depiazzamento osseo, appiattimento dell’emivolto, ecchimosi congiuntivale ed epistassi. Diplopia in caso di
coinvolgimento muscolare (se dovuto a incarceramento del retto inferiore e piccolo obliquo) si evoca
guardando verso l’alto e l’esterno con limitazione funzionale. Se presente enoftalmo si ha distopia. Contusione
dei muscoli massetere e temporale porta a limitazione apertura della bocca. Ipo anestesia dei territori del
trigemino.

DIAGNOSI
Clinica difficoltosa per edema.

13
Palpazione accurata e comparata. Margine orbitale inferiore con il dito indice, segno dello scalino (per
sovrapposizione di frammenti ossei). Successivamente palpazione dell’osso malare e dell’arco, palpazione con
indice della sutura maxillomalare (frattura rilevata con crepitio).
I maggiori disturbi oculari sono dovuti al diametro verticale dell’orbita. Traumi di maggiore gravità, paresi
transitoria dei muscoli estrinseci dell’occhio.
RX: In prima istanza, focolaio di frattura radiotrasparente (diastasi frammenti ossei) se si sovrappongono, si
ha maggiore opacità.
TC: del massiccio facciale: dislocazione osso zigomatico e arco, fratture orbita

TERAPIA
Ad eccezione dei traumi senza spostamento è chirurgica. Entro 10-15 gg per evitare consolidamento e fibrosi.
3 tempi:
1) esposizione delle rime di frattura
2) riduzione
3) contenzione delle stesse mediante fissazione esterna. Un’incisione nel terzo esterno del
sopracciglio e una transpalpebrale inferiore cielo aperto o chiuso in base alla frammentazione.
La via percutanea viene effettuata mediante uncino di GINESTET.
Contenzione mediante placche e viti in titanio.

TUMORI MALIGNI DEL CAVO ORALE


(ulcerante, vegetante, infiltrante-supera la membrana basale)
I tumori maligni del cavo orale sono principalmente di natura epiteliale: Carcinoma squamoso 90%,
adenocarcinoma, carcinoma adenoidocistico, carcinoma mucoepidermoide, ghiandole salivari, metastasi.
Sesso maschile, 60 anni. Fatt. di rischio: fumo, alcol, radiazioni, traumatismo, scarsa igiene orale, lesioni
precancerose e raggi UV. Localizzazione più frequente: corpo linguale. Diffusione via linfatica prevalente
quindi sedi preferenziali saranno livelli linfonodali del Robbins I, II, III, skip metastasis al IV livello, rare al
V livello (ultime 2 fattore prognostico negativo). Metastasi a distanza rare 10% (polmone, fegato, osso).
Stazioni linfonodali del Robbins: Ia sottomentonieri, Ib sottomandibolari, II giugulari alti, III giugulari medi,
IV giugulari bassi, V linfonodi del triangolo posteriore, VI linfonodi ricorrenziali pre e paratracheali, VII
mediastinici.
Sintomatologia: lesione dolente, emorragica. Casi avanzati: alterata motilità linguale, deficit sensibilità labbro
inferiore, trisma.
Diagnosi: istologica tramite biopsia. TC con mdc massiccio facciale e collo. TC torace e addome per metastasi.
Trattamento: il trattamento di scelta è l’exeresi radicale, seguita o meno da trattamento adiuvante
(radio/chemio) Fatt. prognostici sfavorevoli: stadio avanzato, dimensioni tumore, infiltrazione, metastasi
linfonodali e a distanza. STADIO INIZIALE I-II: lesioni ≤4 cm senza infiltrazione. Asportazione in margini
sani. Lo svuotamento latero-cervicale è indicato nel caso di lingua e pelvi orale con infiltrazione ≥4mm.
STADIO AVANZATO III-IV: asportazione + svuotamento latero cervicale (radicale o radicale modificato)
o esteso (cute)+ radiochemioterapia. SOPRAVVIVENZA 90-95% T1 T2, 30% T4
CENNI CHIRURGIA DEMOLITIVA: bisogna sempre assicurarsi un margine di 1 cm.
Glossectomia parziale: resezione porzione corpo e/o base lingua. Glossopelvectomia: se insieme a porzione
pelvi orale.
Buccopelvectomia: resezione pavimento della bocca, se infiltrano la mandibola si fa una mandibulectomia.

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CHIRURGIA PLASTICA
MALFORMAZIONI CONGENITE IN CHIRURGIA PLASTICA

Definiamo malformazione congenita qualsiasi alterazione della normale morfologia corporea


determinata da un errore di sviluppo nel corso della vita intrauterina.

Le malformazioni che interessano la chirurgia plastica sono:


Strutture esterne della faccia e del collo
Della regione mammaria
Delle mani e piedi

La frequenza delle malformazioni congenite è in aumento per:


Aumento inquinamento atmosferico
ecc.
Aumento del consumo di farmaci
Miglioramento delle terapie antiabortive

EZIOLOGIA

Può essere fondamentalmente suddivisa in due tipi di fattori:


Fattori endogeni o fetali:
Alterazioni patrimonio genetico per via ereditaria
Alterazioni genetiche spontanee
Malattie da alterazione del numero di cromosomi (sia autosomici, sia sessuali)
Fattori esogeni o materni:
Traumi meccanici
Processi flogistici a livello sacco amniotico
Deficit circolatori a livello placentare
Malattie sistemiche metaboliche e/o ormonali della madre
Deficit alimentari e vitaminici
Farmaci teratogeni
PATOGENESI

I meccanismi patogenetici possono essere suddivisi in:

Meccanismi Displasici: in questo caso


precoce o tardiva comparsa dei normali fenomeni di inibizione dello sviluppo stesso.

Meccanismi Disrafici: la formazione deriva dalla mancata saldatura di fessure e di soluzioni


di continuo che sono normalmente presenti nei vari stadi della vita embrionale.

1
LABIOPALATOSCHISI

LABIOSCHISI: è una malformazione congenita caratterizzata da fissurazione del labbro


superiore in posizione paramediana. Può essere mono o bilaterale.
PALATOSCHISI: è caratterizzata da fissurazione delle strutture del palato, tale da mettere in
comunicazione la cavità orale con una o entrambe le cavità nasali.
Queste malformazioni possono presentarsi singolarmente o in associazione fra loro ed in questo
caso si parlerà di labiopalatoschisi.

EZIOLOGIA
0 nati vivi, con predilezione
per il sesso maschile.

EZIOPATOGENESI

Labro superiore: si forma per fusione del processo fronto-nasale, nella linea mediana, con i
due processi mascellari lateralmente.
Il palato secondario: si forma per fusione dal foro
del mascellare sulla linea mediana determinata dalla migrazione in basso della lingua man
mano che il collo si verticalizza.

Esiste una predisposizione genetica su cui agiscono condizione teratogene quali infezioni virali

Tutte queste noxae patogene comportano deficit vascolari ed alterazioni nella migrazione del
iche normalmente congiunte.

LABIOSCHISI: può essere distinta in tre forme:


Completa (interessa il labbro a tutto spessore, raggiugendo in latezza il vestibolo nasale)
Incompleta (labro per tutto spessore ma non per tutta altezza)
Frustra o cicatriziale (interruzione anatomica del muscolo orbicolare, mentre la cute e la
mucosa appaiono indenni)
Si presenta con:
Dislocazione della narice
Appiattimento e slargamento della parete del naso

anche la restante parte del labbro.


-6 mesi.

PALATOSCHISI: si può presentare in forma isolata od in associazione con schisi del palato primario,
può essere completa e incompleta.
Si presenta con fissurazione del palato che può estendersi posteriormente sulla linea mediana a

La mal

2
INNESTI E LEMBI
INNESTI
Definiamo innesto il trapianto di uno o più tessuti o di una parte di essi, trasferiti in altra sede
interrompendo le connessioni vascolari con la sede del prelievo. Gli innesti possono essere semplici
(costituiti da un solo tessuto) o complessi (costituiti da più tessuti).

Classificazione in base al soggetto donatore e ricevente:


Autoinnesti: donatore e ricevente sono la stessa persona
Omoinnesti: donatore e ricevente appartengono alla stessa specie
Eteroinnesti: donatore e ricevente appartengono a specie diverse.

Isotopici: il tessuto viene utilizzato in sostituzione di un altro tessuto identico in altra sede.
Eterotopici: il tessuto viene utilizzato in sostituzione di un altro tessuto
Classificazione in base allo spessore del lembo:
Epidermici
Dermo-epidermici a piccolo spessore
Dermo-epidermici a medio spessore
Innesti a tutto spessore

I lembi vengono prelevati tramite il dermatomo con possibilità di calibrazione.

ZONE DI PRELIEVO:
Innesti sottili a medio spessore: superfici ampie come coscia, glutei
Innesti a spessore totale: pieghe inguinali, regione addominale, piega del gomito, superficie
volare del polso. Gli innesti a spessore totale sono più stabili rispetto ai precedenti.
Innesti a rete: pessimo risultato estetico ma esplicano la loro azione funzionale, sono
utilizzati nel caso di grandi perdite di sostanza dove le zone donatrici non sono sufficienti.

spontanea per innesti a piccolo e medio spessore visto che


vengono risparmianti gli annessi cutanei, cosa che non succede per innesti a tutto spessore.
Gli innesti lasciano a livello della zona di prelievo una zona discromia.
Nel caso di innesti a tutto spessore, la guarigione avviene tramite chiusura diretta (sutura).

di
raccolte ematiche.

-6 giorni.

Le cause più comuni di mancato attecchimento sono:

Infezioni
Inadeguatezza del fondo
Insufficiente immobilizzazione

3
Un innesto per definizione è privo di vascolarizzazione propria, si definisce attecchito quando si
siano stabilite le connessioni vascolari con la zona ricevente.

1. (24-
viene poi sos
saranno i processi.
mobilizzato per 4 gg mentre quello a tutto spessore circa
6gg.
2. (24- 72 h)
3. Fase della contrazione (6-12 mesi): retrazione cicatriziale, questa potrebbe comportare la
retrazione di parti sensibili come palpebre.

CARCINOMA BASOCELLULARE

Più frequente e diffuso tumore della cute


È costituito da cellule simili a cellule dello strato basale con scarsa tendenza
alla maturazione.
Non da metastasi e ha crescita lenta
Incidenza sesso Maschile, 60-80 anni
Fattore oncogeno --> esposizione cronica alle radiazioni attiniche (in particolare UV-B),
responsabili di un danno a livello del DNA, con formazione di dimeri di timina. Quando la
formazione di dimeri supera la capacità di riparazione, si sviluppano alterazioni

Interessa le aree foto esposte nel 90% come: fronte, naso, cuoio capelluto, palpebre e il
mento.
Interessa maggiormente soggetti con carnagione chiara

Discromie
Perdita elasticità
Discheratosi diffuse
Clinicamente si conoscono 4 forme di basalioma:
Nodulare
o Forma più frequente
o Nodulo rilevato, fini teleangectasie e irregolarmente pigmentato
o Accrescimento lento e irregolare
o Si sviluppa sia verso la superficie che tessuti profondi
Superficiale
o Crescita esclusiva in superficie
o Chiazza eritematosa, margini netti ma frastagliati con croste e erosioni
Ulcerato
o Rapidamente destruente
o Si infiltra rapidamente ai piani profondi
o Margini netti, a stampo, con fondo facilmente sanguinante
Piano-cicatriziale
o A carico del viso con sviluppo superficiale

4
o Placca biancastra, croste sulla superficie, consistenza dura, infiltrata
con margini irregolari e sfumati.
Trattamento consiste nella totale exeresi chirurgica.

CARCINOMA SPINOCELLULARE
È una neoplasia maligna che può insorgere su qualsiasi epitelio
Costituita da cellule che tendono alla cheratinizzazione
Malignità locale con rapida crescita (spesso presenza di linfoadenite aspecifica)
Metastasi per via linfatica (dd basalioma)
Sesso maschile, 50-70 anni
Fattore oncogeno:
esposizione a radiazioni solari e ionizzanti
esposizione a sostanze chimiche
presenza di cicatrici distrofiche e retraenti (es. ustioni e infiammazioni
croniche)
fumo
odonto e parodontopatie
scarsa igiene orale
Colpisce prevalentemente: labbro inferiore, mento, padiglione auricolare, dorso delle mani
e zona di passaggio tra cute e mucosa. Il labro inferiore rappresenta la sede di maggiore
frequenza.
Clinicamente distinguiamo 4 forme:
o Nodulare
Precoce comparsa di ulcerazioni e sanguinamento
Consistenza dura, adesa ai piani profondi con alone eritematoso
o Infiltrante
Si presenta come una piccola placca a superficie liscia e margini regolari
Consistenza dura ed adesa ai piani circostanti
Evolve verso ulcerazione e sanguinamento
o Ulcerata
Insorge su pregresse cicatrici, soprattutto da ustioni (ulcera di Marjolin)
Fondo inizialmente sanguinante --> diventa necrotico e sanioso a causa di
fenomeni batterici o da necrosi ischemica.
o Vegetante
Si sviluppa in superficie come una lesione erosa e sanguinante
Tipica della regione anale, orale e genitale dove assume un aspetto a
cavolfiore
Può essere sede di processi infettivi e macerativi
Trattamento chirurgico con totale exeresi, se inoperabile terapia palliativa (chemio/radio)

5
IL LINFONODO SENTINELLA
È il primo linfonodo che, drenando il sito del melanoma maligno, ne riceve anche le cellule
neoplastiche.
LS indenne --> anche gli altri linfonodi della stessa stazione lo sono. LS con metastasi -->
saranno presenti anche negli altri linfonodi della stessa stazione.
Viene utilizzato del colorante vitale blu intraoperatorio per lo studio dei linfonodi. È una
tecnica sensibile e specifica. Il colorante deve raggiungere la stazione di drenaggio. Pertanto,
dal momento del

È possibile utilizzare anche il radio colloide. Questa tecnica utilizza il tecnezio-99m. Nelle 24h
intervento veniva iniettata in sede intradermica, in prossimità della lesione,
un tracciante radioattivo. Mediante un rilevatore gamma-portatile si valutava la radioattività
del linfonodo che veniva così asportato con la più piccola incisione possibile.

MELANOMA MALIGNO

È la neoplasia cutanea con più alta mortalità


Si manifesta nel 70% dei casi su nevi preesistenti, 30% su cute indenne.
fattore predisponente più accreditato esposizione a radiazioni UV-B.
Le regioni corporee più colpite sono quelle normalmente non foto esposte (in ordine di
frequenza: arti inferiori, il tronco, il cuoio capelluto, arto superiore), raramente sono
interessati il volto e le estremità.
Maggiore incidenza nel sesso femminile, 40-50 anni.
Quattro forme di melanoma:
A crescita superficiale
o 70% di tutti i melanomi
o Chiazza pianeggiante o poco rilevata, limiti netti e regolari
o
radiale, nella seconda fase in senso verticale con invasione in
profondità.
Nodulare
o Rappresenta il 15% dei casi
o Nodulo rilevato, colorito disomogeneo
o Si sviluppa subito sia in superficie che in profondità
o Possibile variante clinica amelanotica
Su lentigo maligna
o Melanoma in situ a lungo decorso
Lentigginoso
o Meno frequente
o A livello palmare, plantare e subungueale

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MALFORMAZIONI CONGENITE DELLA MANO

Una classificazione delle malformazioni della mano sufficientemente completa è quella che
le suddivide in quattro gruppi:
o Per difetto
Assenza tot arto
Assenza mano
Assenza dito
o Per eccesso
Polidattilia
Polifalangia
macrodattilia
o Per mancata divisione
Sindattilia
Sinostosi interfalangea
o Per errore di forma dei singoli elementi

POLIDATTILIA

È una malformazione per eccesso di numero caratterizzata dalla presenza di uno o più raggi
digitali o parti di essi in soprannumero.
1/3000 nati
Più frequentemente coinvolge il V dito, presenta forma sporadica o familiare o associata a
sindromi malformative.
A seconda della localizzazione del dito soprannumerario:
o Forma radiale
o Forma ulnare
o Dita intercalate
Trattamento chirurgico

SINDATTILIA
È una malformazione caratterizzata dalla fusione parziale o totale di due o più dita.
1/2000 nati vivi
50% bilaterale
Si classificano in:
Incomplete
Complete
Complesse: alterata fusione dei segmenti scheletrici e cutanei
È possibile distinguere:
Lasse: solo pliche cutanee
Fibrose: adesione alle strutture legamentose
Ossee: la connessione avviene in maniera interdigitale.
Il trattamento deve avvenire tra il 6-24 anno di sviluppo.

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