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SPALLA

ESAME SOGGETTIVO (C/O):


Non bisogna mai dimenticare che scopo dell’esame soggettivo è formulare l’ipotesi. I
passaggi del C/O restano sempre quelli già visti in precedenza.
PROBLEMA PRINCIPALE: la prima domanda da porre al paziente è “qual è, al momento,
il suo problema principale?”.
CARTA DEL CORPO: non fa diagnosi, ma ci comincia a dare i primi dati per formulare
l’ipotesi ed i primi parametri di controllo.
COMPORTAMENTO DEI SINTOMI NELLE 24 ORE: si trovano i primi asterischi
(parametri oggettivi di controllo), e da qui si può stabilire il gruppo clinico.
STORIA: dalle domande relative alla storia si giunge ad ulteriori ipotesi sulle eventuali
strutture responsabili del problema principale, sullo stadio del problema (ricordarsi sempre
di chiedere come stia andando il problema negli ultimi 15 giorni nei casi cronici), sulla
stabilità del problema (porre la domanda “quanto è facile provocare nuovi episodi di
dolore?”) e sulla prognosi.
DOMANDE SPECIALI: ci danno indicazioni su eventuali controindicazioni (antiaggreganti,
cortisone, diabete, AR…).

Ora consideriamo lo specifico per la spalla. Supponiamo, ad esempio, un paziente che


lamenti dolore a livello della regione deltoidea. Le possibili cause del dolore sappiamo
poter essere:
• Muscoli
• S.N.
• Articolazione
• CX (C3-C7)
• TX (T1-T8)
• Sterno-claveare
• 1° costa SPALLA
• Acromio-claveare
• Viscerale
• Acromio-omerale (sopraspinato, borsa SAD)
• Scapolo-toracica
• Tumore
Il nostro grafico delle ipotesi, verrà perciò formulato come segue:

Acromion claveare Gleno-omerale Acromion-claveare

Viscerale Spalla Coste

Neurodinamico Cx Tx
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Ciò vuol dire che tutte le sopraelencate strutture possono essere responsabili del dolore
alla spalla. Dovremo, attraverso l’esame soggettivo, fare una nostra graduatoria, sulle
probabilità che ogni struttura avrà di essere responsabile dei sintomi.
La spalla a livello dermatomerico è innervata da C4 a T1, a livello miotomerico da C4 a
C8, mentre a livello scleratomerico è innervata da C4 a C6. No si può, però non
considerare il trapezio (C3, C6).
Non bisogna fidarsi troppo facilmente della localizzazione del dolore, che può essere
riferito. Si pensi, ad esempio, come dolori a livello gleno-omerale possono anche essere
causati da problemi a livello di T2, per il ramo posteriore della radice che arriva fino
all’articolazione posteriormente, esattamente come quello di T12 arriva al gluteo.
Il sudotoma del braccio va da T2 a T7. Tipica rappresentazione ne è il sintomo periferico,
anche vegetativo (sudore, rossore…), alla mano, a forma di guanto.
E’ gia nota la differenza tra dolore irradiato e proiettato (vedi tabella seguente), con la
particolarità che a livello della spalla il dolore proiettato della spalla può arrivare fino al
polso.

PROIETTATO IRRADIATO
Posizione del dolore variata Segni neurologici
Dolore sordo, diffuso Filiforme, bruciore, diffuso
Prossimale++++ Distale++++

Tipico sintomo gleno-omerale: dolore a bracciale attorno al deltoide, oppure puntiforme


all’inserzione del deltoide; ancora, dolore profondo anteriore, posteriore (o entrambi), sulla
regione della linea articolare. Come già detto, dolore irradiato anche fino al polso.
Tipico sintomo Acomiocraveare è invece dolore superficiale, trasversale lungo
l’articolazione e più intenso lateralmente (altrimenti potrebbe essere sterno-claveare).
Simile, ma più profondo è il dolore Acromio-omerale, che potrà essere anteriore,
posteriore o laterale.
Se non sono presenti questi elementi nella carta del corpo, non si può comunque
escludere il problema alla struttura.

COMPORTAMENTO DEI SINTOMI:


Spesso sono le domande da fare al paziente, poiché egli non ha ancora riferito li dato
durante il colloquio.
• PETTINARSI
• METTERSI IL REGGISENO
• PRENDERE IL PORTAFOGLIO
• INFILARSI LA GIACCA
• METTERE LA CINTURA DI SICUREZZA
• TIRARSI SU I PANTALONI
• DORMIRVI SOPRA
• LAVARE I VETRI
• STIRARE
• ALZARE LA SARACINESCA
• PORTARE UNA PENTOLA PIENA D’ACQUA
• INSERIRE LA RETROMARCIA
• INSERIRE LA QUINTA MARCIA
• MANO DIETRO IL SEDILE PER COMPIERE UNA RETROMARCIA
• NUOTARE
• LANCIARE
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• SUONARE
• ANDARE A SPASSO CON IL CANE

COMPORTAMENTO NELLE 24 ORE:


E’ tipico il sintomo che di giorno varia a secondo dell’attività, e che di notte può andare più
o meno male. A volte, nei primi movimenti al mattino, è più intenso.
Tutto ciò che abbiamo elencato finora è utile per trovare il parametro soggettivo di
controllo (*) e per stabilire il gruppo clinico a cui fare rientrare il paziente.
Ad esempio, facciamo del pettinarsi un asterisco e supponiamo che il paziente sia severo.
Potremo sentire raccontarci dal soggetto quanto segue: “appena arrivo ai capelli inizia il
dolore, non posso andare oltre, ed appena torno il dolore passa”. Ovviamente, in cartella,
bisognerà segnare anche il numero del relativo sintomo segnato sulla carta del corpo.
Ancora, immaginiamo un altro paziente, irritabile mettendo la cintura di sicurezza: “riesco a
mettere la cintura, ma inizia il dolore che resta anche per un’ora”. Ovviamente, è
fondamentale sapere la modalità con cui il paziente esegue il gesto (prende la cintura dal
basso o dall’alto; dal lato del passeggero o del pilota...).
Altro esempio utile, un paziente EOR nel lavare i vetri: “ho dolore solo nel lavare la parte
alta del vetro, dolore che passa appena torno in basso”.
Ancora, paziente ROM nel lavare i vetri: “non ho dolore in alto, ma mentre vado su e giù fa
male”. Se questo paziente avverte leggero dolore solo al movimento quando oltre a
sfregare deve anche spingere (ad esempio per togliere una macchia dura a sparire), è
sempre ROM, ma dovremo sapere che nel P/E, probabilmente dovremo compiere OP in
compressione, per trovare il sintomo.

DOMANDE SPECIALI:
Pazienti che rispondano affermativamente ad una domanda speciale, sono soggetti da
trattare con un grado in meno rispetto al nostro piano di trattamento programmato.
• Infiltrazioni di cortisone: per 3-4 giorni non si trattano
• Analgesici
• Interventi chirurgici
• Tumore di Pancoast
• Diabete: sono soggetti che hanno maggiore incidenza per frozen shoulder, per
una peggiore circolazione
• Asma: assumono cortisone
• Controllo del peso.
• Dolore viscerale (mal di spalla sempre ad una determinata ora, magari dopo
mangiato…)

STORIA:
• Trauma: come è caduto.
• Spontaneo
Un esempio di storia tipica è una donna di 50 anni che 2 mesi fa muoveva la spalla con
dolore, ma ora eleva a 40° ed abduce a 30°, con limite dettato da dolore. E’ un tipico caso
di futura frozen shoulder (più frequente di 6 volte nei diabetici ed a maggiore incidenza
nelle donne tra 40 e 60 anni).
La caratteristica della spalla congelata è:
I° fase, di dolore: può durare da 10 a 36 settimane.
II° fase, di rigidità: può durare da 4 a mesi.
III° fase, di recupero: può durare da 5 a 26 mesi.
E’ importante saperlo sia per la prognosi, sia per sapere quale grado di trattamento
utilizzare.
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Un altro esempio è dolore profondo anteriore, maggiore alla sera, che a volte alla notte
sveglia il paziente, poiché il braccio sembra morto. E’ un caso tipico di “dead arm
sindrom”, cioè una spalla instabile che perde controllo muscolare la notte e la sera,
quando i muscoli sono stanchi. Il Problema principale di questi pazienti può essere
rappresentato da sensazione di braccio morto quando rimane molto in alto, oppure che se
dorme con le mani dietro la testa deve riprenderla con l’altro braccio. Tipico è scarso
controllo con movimento veloce rispetto al movimento lento.
Non bisogna dimenticare che molto spesso il sintomo instabile dipende da una causa
instabile.

PIANO DEL TRATTAMENTO DOPO IL C/O:


• Controllare:
ƒ Problema principale
ƒ Body chart (carta del corpo)
ƒ 24 ore
ƒ Hx (storia)
ƒ Domande speciali
• Esistono abbastanza parametri soggettivi?
• I parametri sono stati valutati in confronto a S,I?
• Ipotesi sulle strutture:

• Controindicazioni?
Motivazioni __________________
• Gruppo clinico

P/E PER LA SPALLA:


PRESENT PAIN: non bisogna dimenticare di conoscere se il paziente abbia o meno
dolore al momento dell’esame fisico.
ISPEZIONE: si parte con l’osservazione del paziente in piedi, guardando attentamente i
seguenti elementi:
• Simmetria delle spalle
• Posizione delle spalle (avanti, indietro…)
• Atrofie muscolari (trapezi, deltoidi, bicipiti…)
• Orientamento della clavicola sul piano frontale (è normale un’inclinazione di
30°)
• Distanza tra la scapola e la colonna vertebrale
• Posizione delle braccia (rotazione…), con eventuale correzione ed
ipercorrezione
DIMOSTRAZIONE FUNZIONALE:
Supponiamo un paziente che abbia dolore nel servizio giocando a pallavolo (fig. 189). In
questa posizione si possono differenziare spalla, cervicale e dorsale. Ad esempio si può
muovere la colonna cervicale (fig. 190), tenendo fissa quella dorsale, oppure viceversa
(fig. 191); ancora, si può compiere differenziazione neurale (fig. 192), movendo la mano,
oppure muovere l’omero a scapola fissa (fig. 193), in extrarotazione, intrarotazione,
compressione, distrazione…
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Fig. 189 Fig. 190 Fig. 191 Fig. 192

Fig. 189: posizione funzionale per un paziente con dolore


nel servizio giocando a pallavolo.

Fig. 190: differenziazione cervicale: giunti al dolore, si


procede con mobilizzazione cervicale e fissazione
dorsale. Si osserva se cambia il sintomo.

Fig. 191: differenziazione dorsale: giunti al dolore, si


procede con mobilizzazione dorsale e fissazione
cervicale. Si osserva se cambia il sintomo.

Fig. 192: differenziazione neurale: giunti al dolore, si


procede con mobilizzazione della mano e fissazione delle
altre strutture. Si osserva se cambia il sintomo.

Fig. 193: differenziazione della spalla: giunti al dolore, si


procede con mobilizzazione dell’omero (extrarotazione,
intrarotazione, compressione, distrazione) e fissazione Fig. 193
della scapola. Si osserva se cambia il sintomo.

Compiuta la differenziazione strutturale si può eventualmente compiere un nuovo piano di


trattamento.

MOVIMENTI ATTIVI:
• Flessione: si osservano qualità e quantità, facendo compiere il movimento al
paziente con tutti e due gli arti (fig. 194). Se deviata va corretta (fig. 195) od
ipercorretta (fig. 196). Bisogna marcare eventuali anomalie della fluidità del
movimento. Si valuta anche il ritmo scapolotoracico da dietro al paziente (fig.
197). Ancora, si osservano i solchi (se sono aumentati, depongono per
un’anteriorizzazione dell’omero) (fig. 198). Un segno di rigidità scapolo-omerale
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è la scapola che va in avanti durante il movimento. In pazienti che hanno


problemi col braccio in alto, si fa compiere un’elevazione in extrarotazione (fig.
199) ed intrarotazione (fig. 200). Ancora, in assenza di sintomi, si procede con
OP: indice della mano del terapista sulla spina e pollice sul bordo della scapola,
con l’altra mano a livello del gomito (fig. 201). Si compiono di grado IV-, IV, IV+,
IV ++, III, III+ e III++; se non si trova il sintomo si ripete in extrarotazione.

Fig. 194 Fig. 195 Fig. 196 Fig. 197

Fig. 194: Flessione


Fig. 195: Flessione con correzione
Fig. 196: Flessione con ipercorrezione
Fig. 197: Ritmo scapolo-omerale
Fig. 198: Osservazione dei solchi: se maggiore è segno
che la spalla instabile porta in avanti tessuto, tra cui la cute.
Fig. 199: Flessione in extrarotazione
Fig. 200: Flessione in intrarotazione
Fig. 201: OP in flessione Fig. 198

Fig. 201

Fig. 199 Fig. 200


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• Abduzione: è importante osservare, anche al ritorno, il ritmo scapolo-toracico, i


solchi, la qualità e la quantità di movimento (fig. 202). Spesso i pazienti hanno
problemi tra gli 80° e i 120°. Se deviato, il movimento va corretto ed
eventualmente ipercorretto (fig. 203). Con pazienti MOMp, si può trovare il
sintomo facendo compiere il movimento in estensione (fig. 204). Se non si trova
il sintomo, si procede con l’OP, che è alquanto semplice: stessa tecnica della
flessione, insistendo però sul controllo della rotazione esterna della scapola
mentre si spinge il braccio in abduzione (fig. 205).

Fig. 203

Fig. 204

Fig. 202: Abduzione.


Fig. 203: Correzione.
Fig. 204 Abduzione in
Fig. 202 Fig. 205 estensione.
Fig. 205: OP.

• Adduzione (o flessione) orizzontale: si chiede al


paziente di mettere la mano del lato in esame sulla
spalla controlaterale (fig. 206). Questa posizione
interessa maggiormente le articolazioni acromion-
omerale, acromion-claveeare e sternoclaveare. Una
possibilità, forse la più affidabile, è misurare dove
arriva l’apofisi stiloidea del radio rispetto al livello
della vertebra (apofisi traversa, spinosa, ecc.);
oppure la distanza naso-gomito (attenzione, però,
alla posizione della testa). L’eventuale OP richiede
una mano sul gomito del lato da esaminare ed una
dietro l’acromion controlaterale (fig. 207), poi si Fig. 206
compie una spinta, a partire da un grado IV - - ad un
III++. Una misura può essere la distanza tra le due mani del fisioterapista (fig.
208).
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Fig. 207 Fig. 208

Fig. 206: flessione orizzontale.

Fig. 207: OP.

Fig. 208: misura della distanza tra le mani del fisioterapista.

• HBB (hand behind back) (fig. 209): la misura si compie confrontando la stiloide
radiale rispetto alla vertebra (fig. 210), paragonandola con la controlaterale (fig.
211): cinque centimetri di differenza a svantaggio della dominante sono normali,
a causa delle masse muscolari più sviluppate. L’OP (fig. 212) si compie fissando
la spalla controlaterale con una mano, quella da trattare con il tronco e la
scapola con la testa, mentre il gomito del paziente è fissato da quello del
terapista. Si compie neutra fino ad un grado IV++, poi in adduzione fino ad un
IV++, poi in intrarotazione fino ad un IV++, poi in estensione fino a IV++. Se non
si giunge a nessun sintomo, si possono combinare le componenti, aggiungendo
con sequenze diverse, poiché non è clinicamente uguale aggiungere adduzione,
intrarotazione ed estensione, piuttosto che intrarotazione, adduzione od
estensione.

Fig. 209 Fig. 210 Fig. 211


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Fig. 212

Fig. 209: Hand Behind Back.

Fig. 210: misura dell’HBB dal lato dominante.

Fig. 211: misura dell’HBB dal lato non dominante.

Fig. 212: OP per l’HBB.

Se, dopo tutto ciò, non si è evocato alcun sintomo, si procede coi test “se necessari”. Per
esempio, si fa compiere il movimento con un peso, o a velocità aumentata.

TEST ISOMETRICI:
Si compiono in posizione neutra o, meglio, nella posizione del problema. Si compiono per
trovare un asterisco. E’ importante non dedurre per forza che ad un test doloroso
corrisponda una lesione del muscolo relativo, poiché la contrazione cambia anche i
rapporti articolari.

MOVIMENTI PASSIVI:
Si osservano i movimenti selezionati come significativi nell’esame soggettivo e nell’esame
fisico.
Sia nel movimento di flessione che in quello di abduzione è presente un interessamento
sia Gleno/Omerale che Acromion/Omerale. Si può differenziare, con un test, se il
problema sia G/O (intra o extraarticolare) oppure A/O (intra o extraarticolare).
• Flessione: ora si osservano Pain (dolore) ,Resistance (resistenza), Spasm
(spasmo) (fig. 213). A questo punto, nell’esaminare il movimento, si possono
compiere i quattro test citati, ad esempio con dolore che compaia a circa 70°. Il
test consiste nel differenziare, con distrazioni e compressioni, in quale
articolazione sia il problema e se esso sia intra od extraarticolare. Ad esempio,
giunti al dolore si compie:
ƒ Distrazione gleno/omerale (fig. 214): se il dolore aumentasse, sarebbe
di pertinenza G/O extraarticolare; se, invece, diminuisse potrebbe
essere G/O intraarticolare.
ƒ Compressione gleno/omerale (fig. 215): se il dolore aumentasse,
sarebbe di pertinenza G/O intraarticolare; se, invece, diminuisse
potrebbe essere G/O extraarticolare.
ƒ Compressione craniale acromion/omerale (fig. 216): se il dolore
aumentasse, sarebbe di pertinenza A/O intraarticolare; se, invece,
diminuisse potrebbe essere A/O extraarticolare.
ƒ Distrazione caudale acromion/omerale (fig. 217): se il dolore
aumentasse, sarebbe di pertinenza A/O extraarticolare; se, invece,
diminuisse potrebbe essere A/O intraarticolare.
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Fig. 214: Flessione passiva.


Fig. 215: flessione a 70°. Distrazione G/O.
Se il dolore aumenta, il problema è
extrarticolare, se cala, intraarticolare.
Fig. 216: flessione a 70°. Compressione
G/O. Se il dolore aumenta, il problema è
intrarticolare, se cala, extraarticolare.
Fig. 217: flessione a 70°. Compressione
craniale A/O. Se il dolore aumenta, il
problema è intrarticolare, se cala,
extraarticolare.
Fig. 218: flessione a 70°. Distrazione
caudale A/O. Se il dolore aumenta, il
problema è extrarticolare, se cala,
Fig. 214 intraarticolare.

Fig. 215 Fig. 217

Fig. 216 Fig. 218

Dopo i 70° la presa cambia (fig. 219), col braccio del paziente che viene posto
sotto l’altra ascella del fisioterapista. Inoltre cambia anche la direzione del
movimento, sia per l’articolazione G/O che A/O. Infatti, per compiere
compressione e distrazione G/O, la spinta non sarà più in direzione interno-
esterno, ma alto-basso. Dopo i 170° man mano che aumenta l’elevazione,
aumenta la compressione A/O. Quindi, se in quegli angoli il dolore aumentasse
in compressione G/O, l’origine potrà essere sia A/O che G/O, perciò, sarà
opportuno, dapprima differenziare con una distrazione G/O, e poi aggiungere
una distrazione A/O (fig. 220), con una spinta verso il soffitto, che aumenterà di
intensità all’aumentare dell’elevazione, per evitare compressione A/O. E’ questa
una manovra molto fine, che serve a testare solo una articolazione. La
compressione A/O in quegli angoli si compie con una spinta verso il pavimento
col palmo della mano (fig. 221).
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Fig. 219: cambio della presa oltre i 70°. Il


braccio del paziente va sotto l’altra ascella
del fisioterapista. Per compiere
compressione e distrazione G/O la
direzione della spinta sarà alto-basso.

Fig. 220: distrazione A/O dopo i 170°. La


spinta avviene verso il soffitto.

Fig. 221: compressione A/O dopo i 170°.


La spinta avviene col palmo della mano
verso il pavimento.
Fig. 219

Fig. 220 Fig. 221

QUADRANTE:
Il “quadrante” rappresenta una buonissima tecnica sia di valutazione che di trattamento.
Non si effettua MAI con pazienti appartenenti al gruppo clinico SIn. E’ una posizione
tridimensionale dettata dai tessuti molli della spalla. Va ricordato che tutte le spalle sane
hanno un quadrante, sempre uguale universalmente, per una questione anatomica. Per
trovarlo, bisogna immaginare di aprire un libro, facendo seguire al gomito flesso a 90° una
direzione che parte dalla SIAS controlaterale e che si dirige in diagonale verso la spalla.
Giunti in elevazione massima, ci si ferma quando l’angolo tra il braccio e la verticale è di
circa 30°, sempre con rotazione della spalla neutra (avambraccio orizzontale). Qui si cerca
il quadrante, posizione raggiunta quando il braccio si ferma da solo in rotazione neutra,
seguendo una linea curva “collinare”, mentre si porta in abduzione e adduzione la spalla.
Il terapista si pone nella posizione chiamata “passo del tango”, attraverso la quale riesce,
col peso del corpo, a fissare la scapola del paziente tra il proprio deltoide e la propria
mano del lato del paziente, posta posteriormente alla scapola con pollice rivolto verso la
colonna vertebrale.
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Fig. 223

Fig. 222: Quadrante, posizione


“passo del Tango”.
Fig. 222 Fig. 223: Quadrante, fissazione
della scapola.

Per compiere una valutazione, possiamo distinguere un Quadrante superiore (Q sup.) ed


un Quadrante inferiore (Q inf.). Il Q sup. si trova nello spazio tra la posizione del
Quadrante (Q) ed i gradi di abduzione; quello inferiore tra Q ed i gradi di adduzione.
Per valutare il Q sup. è necessario partire dal quadrante, tornare qualche centimetro in
estensione, per poi aggiungere qualche grado di abduzione e di extrarotazione (ad ogni
grado di abduzione corrisponde un grado di extrarotazione), compiendo in ogni punto delle
OP in una direzione che vada dall’epicondilo all’epitroclea; quindi, se all’inizio l’OP sarà
verticale, alla fine risulterà orizzontale (figg. 224, 225 e 226). Normalmente la curva che si
crea è standard e di questo tipo:
Fig. 224

Ci si può trovare di fronte ad una situazione di questo tipo,


dove il limite del movimento è dato dal dolore:

R1
P1
P2

Fig. 224: Q sup., prima OP


(verticale).
Fig. 225: Q sup., seconda
OP (diagonale).
Fig. 226: Q sup., terza OP Fig. 225 Fig. 226
(orizzontale).
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Quello visto in precedenza, corrisponde ad un grafico bidimensionale di questo tipo:

C P2 D
IV++

IV+

R’ IV

IV-

IV--
A P1 R1 L B

Con pazienti particolarmente alti o pesanti, è possibile variare la presa, in modo che
l’avambraccio del fisioterapista resti parallelamente a contatto con quello del paziente (fig.
227), accompagnando il movimento (fig. 228).

Fig. 227: presa per il


quadrante superiore
con braccia pesanti.
L’avambraccio del
paziente e quello del
fisioterapista sono a
contatto.

Fig. 228: presa per


trovare il quadrante
superiore con
braccia pesanti. Il
fisioterapista compie
Fig. 227 Fig. 228 il movimento .

Con pazienti particolarmente dolenti, invece, è


effettuabile una presa allo scopo di “accompagnare” il
braccio, reggendolo dal basso, anziché afferrandolo
dall’alto (fig. 229).

Fig.229: Presa per


pazienti
particolarmente
dolenti. Il
fisioterapista regge
il braccio del
paziente da sotto. Fig. 229
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Il quadrante inferiore (figg. 230-235) si trova uscendo dal quadrante in adduzione ed


intrarotazione con gli stessi criteri del superiore, ossia ad ogni brado di adduzione deve
corrispondere un grado di rotazione interna. Le OP avvengono tutte in direzione
epitroclea-epicondilo.

Fig. 230 Fig. 231 Fig. 232

Fig. 233 Fig. 234 Fig. 235

Fig. 230: Q inf., primo OP in direzione epicondilo-epitroclea.

Fig. 231: Q inf., secondo OP in direzione epicondilo-epitroclea.

Fig. 232: Q inf., terzo OP in direzione epicondilo-epitroclea. A questi angoli il fisioterapista


cambia la presa al gomito, spostando la mano dall’omero all’avambraccio, per meglio
controllare la direzione dell’OP.

Fig. 233: Q inf., quarto OP in direzione epicondilo-epitroclea.

Fig. 234: Q inf., quinto OP in direzione epicondilo-epitroclea.

Fig. 235: Q inf., posizione finale dopo adduzione ed intrarotazione. Il braccio non deve
arrivare oltre i – 5° di estensione sul piano orizzontale.
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Il quadrante inferiore normale ha una curva come la parte sinistra della seguente:

inferiore superiore

Tutto ciò che devi da questa curva non è da considerarsi normale, poiché può essere
condizionato solo da dolore, resistenza o spasmo. A seconda del sintomo e del C/O si
esamineranno il Q sup. o il Q inf.

Per trattare nel quadrante superiore esistono tre diverse tecniche (fig. 236):

• Lavorare in OP (figg. 237 e


238), in tanti punti del
sintomo, rappresentati dalle
frecce marroni.
• SCOOPING (figg. 239 e 240),
ossia entrare un poco nel
sintomo, seguendo la curva
ove è presente quest’ultimo, e
poi uscirne subito. E’ un
movimento che segue la linea
del sintomo per massimo 2-3
centimetri, rappresentato in Fig. 236
figura dalla linea rossa.
• ROLLING OVER (figg. 241 e 242) ossia entrare un poco nel dolore, restandovi
per un periodo maggiore rispetto allo scooping, e poi uscirne; in figura è segnato
dalla linea nera.
Fig. 237: tecnica di
trattamento OP
eseguita nel primo
punto della curva
del sintomo.

Fig. 238: tecnica di


trattamento OP nel
Fig. 237 Fig. 238 secondo punto.

Fig. 239:
SCOOPING
eseguito nel punto
di partenza della
curva del sintomo.

Fig. 240:
SCOOPING
all’arrivo. Fig. 239 Fig. 240
76

Fig. 241:
ROOLLING OVER
eseguito nel primo
punto della curva
del sintomo.

Fig. 242:
ROLLING OVER
Fig. 241 Fig. 242 nel secondo punto.

Le tre tecniche, sono una progressione una dell’altra.


Spesso l’avere trattato il paziente con una di queste tecniche, soprattutto in EOR crea del
dolore nuovo (non noto) nel paziente, per cui è possibile evitarlo o risolverlo con un’altra
tecnica che si chiama “eas off” (figg. 243-249), che si compie nella stessa direzione del
movimento, ma con gradi inferiori e che si ferma prima della fine del movimento. Si tratta,
in pratica, di “scuotimenti” del braccio, che devono avvenire sempre con un limite, in modo
da non incutere timore nel paziente. Se si è trattato nel Q inf., lo si compie nel Q inf. e
viceversa.

Figg. 243 -244:


“eas off” con limite
allo scuotimento
dettato dalla
presenza del
lettino. E’
importante esso
sia presente per
Fig. 244 evitare dolore o
Fig. 243 paura.

Fig. 245 Fig. 246 Fig. 247

Fig. 245: “eas off” con limite allo scuotimento dettato dalla coscia del fisioterapista. Lo si
usa negli ultimi gradi di elevazione.

Fig. 246-247: “eas off” con limite allo scuotimento dettato dalla pancia del fisioterapista, in
una posizione prossima ai 90° gradi di elevazione.
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Figg. 248-249:
“eas off” nel
quadrante
inferiore, con limite
allo scuotimento
dettato dalla
pancia del
Fig. 248 Fig. 249 fisioterapista.

“Lock Position”: è una parte del Q inf., che si trova nel punto delimitato dal riquadro. In
pratica è il punto dove la curva del quadrante inferiore rientra formando la cosiddetta
“caverna”. Un paziente con “wallet sign” positivo, in genere non ha la lock position, per cui
scopo del trattamento sarà anche arrivare ad avere quel tipo di curva.

inf. sup.

Per sapere se ci si trovi veramente in tale posizione, dopo avere sentito la “caverna”, devo
avere 4 criteri:
• Sentire il “muro”, spingendo il gomito avanti
• Sentire il “pavimento”, spingendo il gomito in basso
• Sentire il “soffitto”, spingendo il gomito in alto (fig. 250)
• Non potere effettuare rotazione interna, spingendo col mento sul polso del
paziente (fig. 251)
In pratica, si parte in estensione a –5° con intrarotazione, spingendo in avanti verso
un’abduzione, fino a che non si è giunti alla fine del movimento, senza mai perdere la
rotazione interna. In quel punto si verifica la presenza di “muro” (spingendo avanti non si
compie ulteriore movimento), “soffitto” (spingendo in alto non si compie ulteriore
movimento), di “pavimento” (spingendo in basso non si compie ulteriore movimento) e
l’assenza di
rotazione interna. Fig. 251

Fig. 250: “lock


position”,
verifica di
muro, soffitto e
pavimento.
Fig. 251: “lock
position”,
assenza di
rotazione Fig. 250
interna.
78

MOVIMENTI ACESSORI

ARTICOLAZIONE GLENO/OMERALE: i movimenti accessori utili alla valutazione ed al


trattamento di questa articolazione, sono:
• Shaft rotation. Si può compiere in rotazione esterna (figg. 252-253) ed in
rotazione interna (figg. 254-255), tecnica indiretta, nel senso che non si tocca la
spalla;
• Longitudinale caudale (figg. 256-257), tecnica indiretta;
• Longitudinale craniale, tecnica indiretta;
• PA (figg. 258-261), tecnica diretta;
• AP (fig. 262), tecnica diretta;
• Trasversale laterale in compressione, tecnica indiretta;
• Trasversale laterale in distrazione, tecnica indiretta.

Figg. 252-253: shaft


rotation esterna. Per
evitare dolore o paura, il
fisioterapista pone con
la propria pancia un
limite al movimento.
Figg. 254-255: shaft
rotation interna.
Fig. 256: mobilizzazione
longitudinale caudale. Il
fisioterapista imprime il
movimento con uno
spostamento laterale da
un piede all’altro.
Fig. 257: mobilizzazione
Fig. 252 Fig. 253 longitudinale caudale.
L’avambraccio del
fisioterapista è a
contatto col braccio del
paziente.
Fig. 258: paziente con
spalla equidistante dai
lati del lettino, per PA.
Fig. 259: posizione
delle mani del
fisioterapista per il PA.
Fig. 260: PA con
adduzione simmetrica
delle mani.
Fig. 261: PA con la
presa delle due mani
all’omero.
Fig. 254 Fig. 255 Fig. 262: AP, con spinta
all’omero dal tenar.
79

Fig. 256 Fig. 257

Fig. 258 Fig. 259

Fig. 262

Fig. 260 Fig. 261


80

GRUPPO SIN ROM con P>R, ROM con R>P, EOR


CLINICO cioè con S, dove L è R2
perché Lè P2
POSIZIONE • Antalgica • Neutra in • Neutra in • In EOR
• neutra (appena range, cioè range, cioè
il paziente stia verso la verso la
meglio) posizione posizione
dolorosa dolorosa
TECNICA • Movimenti • Accessori • Accessori • Accessori
accessori • Shaft rotation • Fisiologici (si • Fisiologici,
• Shaft rotation possono anche
(rotazione utilizzare per Quadrante
assiale) il trattamento • Combinare
quando il
paziente
abbia un
ROM attivo
del 50% di
quello che ci
si possa
aspettare),
anche
Quadrante
• Combinare
GRADO I o II II III IV + eas off
DIREZIONE • Senza dolore • Senza dolore • Angolare, per • Angolare
• Angolare • Angolare trovare il
diagramma
peggiore, dal
momento che
non il paziente
è più irritabile
SP SP SP • SP la prima • SP la prima
CP seduta seduta
• CP, se P’ è • CP, se P’ è
basso. basso.
• CP, purchè P • CP, purchè P
non aumenti non aumenti
durante la durante la
tecnica tecnica
• CP ON/OFF, • CP ON/OFF,
cioè devo cioè devo
entrare e uscire entrare e uscire
dal dolore dal dolore
TEMPO 2’ 3-4’ 4’-8’ 4’-8’
RITMO Lento Lento Rapido Rapido

Nella tabella sono riassunte le caratteristiche e le regole che deve seguire il trattamento, in
relazione al gruppo clinico del paziente.
81

Per i pazienti appartenenti al gruppo SIn la tecnica cadrà su quella che dia i migliori
risultati. Per pazienti, invece, ROM senza severità, il trattamento potrà avvenire con
dolore, purché siano rispettate le tre condizioni riportate in tabella.
Per un paziente EOR, parlando di movimenti fisiologici (figg. 263 e 264), si includono
anche quelli che avvengono nella posizione del quadrante (figg. 265 e 266), oppure in una
posizione più vicina a quella del sintomo (figg. 267 e 268).

Fig. 263: trattamento


con flessione prima dei
90°.
Fig. 264: trattamento
con flessione dopo i
90°.
Fig. 265: trattamento di
un EOR con OP in Q.
Fig. 266: trattamento di
un EOR con movimenti
accessori in Q.
Fig. 267e 268:
trattamento di un EOR
nella posizione del
sintomo e con ulteriore
Fig. 263 Fig. 264 flessione.

Fig. 265 Fig. 266

Fig. 267 Fig. 268


82

ARTICOLAZIONE ACROMIONCLAVEARE: i movimenti accessori utili alla valutazione ed


al trattamento di questa articolazione, sono:
• Longitudinale caudale (figg. 269-272);
• AP (figg. 274 e 275);
• PA (figg. 273, 276 e 277);
• Compressione e distrazione (fig. 278)
• rotazione assiale
Il dato clinico importante è che sono movimenti che si eseguono a livello della clavicola, a
livello dell’acromion, ma anche a livello dello spazio intraarticolare. Clinicamente potrò
avere delle risposte completamente diverse a seconda del punto di applicazione della
spinta.

Fig. 269: movimento accessorio


longitudinale caudale con punto
d’applicazione sulla clavicola.

Fig. 270: movimento accessorio


longitudinale caudale con punto
d’applicazione sullo spazio intraarticolare.

Fig. 271: movimento accessorio


longitudinale caudale con punto
d’applicazione sull’acromion.
Fig. 269
Fig. 272: movimento accessorio
longitudinale caudale con paziente prono e
terapista in posizione del “cavalier
servente”.

Fig. 270

Fig. 271

Fig. 272
83

Fig. 273 Fig. 274

Fig. 275

Fig. 276

Fig. 277

Fig. 273: PA con punto d’applicazione sulla clavicola, con presa della stessa dal bordo
posteriore con le dita lunghe. Il peso del corpo del fisioterapista determina il
movimento.

Fig. 274: AP coi pollici con punto d’applicazione sulla clavicola.

Fig. 275: AP coi pollici con punto d’applicazione sullo spazio intraarticolare.

Fig. 276: PA col pollice con punto d’applicazione sulla clavicola.

Fig. 277: PA col pollice con punto d’applicazione sull’acromion.


84

Fig. 278 Fig. 278: Compressione e


distrazione. La mano
mediale prende tra pollice
ed indice l’estremità
laterale della clavicola,
mentre l’altra prende a
mano piena omero ed
acromion. L’avvicinamento
o l’allontanamento delle
mani determinano
compressione o distrazione
dell’articolazione
acromionclaveare.

SCAPOLO-TORACICA (fig. 279): i movimenti accessori utili alla valutazione ed al


trattamento di questa articolazione, sono:
• Elevazione (fig. 280);
• Depressione (fig. 281);
• Rotazione esterna (fig. 282);
• Rotazione interna (il riferimento è l’angolo inferiore) (fig. 283);
• Retrazione (adduzione) (figg. 284-285);
• Protrazione (abduzione) (figg. 286-287);
• Compressione (PA della scapola);
• Distrazione (AP della scapola)
Ovviamente, è possibile combinare o angolare ognuno di questi movimenti.

Fig. 279 Fig. 280

Fig. 281 Fig. 279: posizione di partenza per la


mobilizzazione della scapola. La
mano craniale, reggendo il braccio
del paziente flesso al gomito, è posta
tra clavicola e spina, quella caudale
guida l’angolo inferiore della scapola,
con presa a “L” tra pollice e indice.

Fig. 280: Elevazione.

Fig. 281: Depressione.


85

Fig. 283 Fig. 282 Fig. 283

Fig. 284 Fig. 285

Fig. 286 Fig. 287

Fig. 282: rotazione esterna.

Fig. 283: rotazione interna.

Fig. 284: retrazione (adduzione).

Fig. 285: fissazione della colonna lombare con il gomito per compiere la
retrazione.

Fig. 286: protazione (abduzione).

Fig. 287: fissazione del bacino col gomito per compiere la protrazione.
86

Nella scapola è intuitivo capire come combinare ed angolare non sia la stessa cosa (figg.
288 e 289).

Fig. 288 Fig. 289

Fig. 288: esempio di combinazione tra rotazione esterna con retrazione.

Fig. 289: esempio di angolazione di elevazione verso mediale.

Se il sintomo compare in elevazione e retrazione, non vorrà dire che compare


nell’elevazione verso mediale.
La distrazione e la compressione (figg. 290-293), si combinano quasi sempre, poiché da
sole non assumono significato rilevante. Ad esempio, si immagini un ballerino di rock ‘n
roll, che dopo 30 minuti di danza avverta dolore postero-superiore alla spalla.

Fig. 290 Fig. 291

Fig. 292 Fig. 293


87

Fig. 290: distrazione. La mano craniale spinge la scapola sopra la controlaterale.


Fig. 291: distrazione. Variante con intrarotazione del braccio del paziente.
Fig. 292: distrazione. Variante con presa delle dita nello spazio sottoscapolare. Si può
utilizzare solo in quei rari casi in cui la distrazione non venga combinata con altri
movimenti.
Fig. 293: compressione.

STERNO-CLAVEARE:
• AP: si compie sulla clavicola, sullo spazio articolare oppure sullo sterno (figg.
294-295);
• Longitudinale caudale: si può effettuare solo su clavicola e spazio articolare
(figg. 296-299);
• Compressione e distrazione (fig. 300);
• Rotazione assiale (fig. 301).

Fig. 294 Fig. 295

Fig. 296 Fig. 297

Fig. 294: AP sterno-claveare sullo spazio articolare.


Fig. 295: AP sterno- claveare sullo sterno.
Fig. 296: movimento accessorio longitudinale caudale a livello sterno-claveare sulla
clavicola.
Fig. 297: movimento accessorio longitudinale caudale a livello sterno-claveare sullo
spazio intraarticolare.
88

Fig. 298 Fig. 299

Fig. 300 Fig. 301

Fig. 298-299: esempio clinico. Il paziente riferisce dolore nell’allacciarsi le scarpe. Da


tale posizione il fisioterapista può effettuare una mobilizzazione longitudinale caudale
nei suoi diversi punti di applicazione.

Fig. 300: compressione e distrazione acromio-claveare.

Fig. 301: rotazione assiale.


89

COLONNA DORSALE

ESAME SOGGETTIVO (C/O):


La colonna dorsale è una delle parti meno mobili del nostro corpo, per la presenza della
gabbia toracica che, data la funzione di protezione degli organi vitali, è molto rigida. In
pratica, una mobilizzazione di grado III a livello dorsale è impossibile.
Il canale vertebrale a livello
dorsale è più piccolo. Il punto
più stretto si trova a livello di
T6. Il midollo spinale al tratto
toracico ricopre in media due
terzi del canale, mentre a
livello lombare ne riempie al
massimo metà. Clinicamente
significa che in questa zona il
midollo ha meno possibilità di
sfuggire a compressioni
scorrendo e muovendosi, per
cui sarà più facile ritrovare
sintomi.
A T6 è presente un punto di
tensione (come anche ad L4).
Sono zone dove il sistema
nervoso non si sposta, ma
subisce tensione. La spiegazione anatomica è che i vasi ivi arrivano orizzontalmente e non
danno possibilità di scorrimento.
Inoltre il SN a livello toracico ha ridotta vascolarizzazione, quindi uno stress in questa zona
può influire più rapidamente sull’ossigenazione. Non bisogna infatti dimenticare che il SN
consuma il 20% di tutto l’ossigeno che incameriamo.
Nel tratto dorsale il sistema neurovegetivo, a differenza dei tratti cervicale e lombare, è
posizionato posteriormente agli
altri fasci nervosi e non
anteriormente. Il cambio di
direzione avviene a C6-C7 ed L3-
L4. Questo giustifica il perché
molti colpi di frusta abbiano
spiccate reazioni vegetative: un
trauma a tale livello stira il SN che
è orizzontale subendo più stress.
Ancora, è importante rilevare
come il SN vegetativo passi
anteriormente a livello delle
articolazioni costo-trasversarie.
Questo ci dà una chance in più
sulla possibilità di influire sul suo
comportamento con trattamento di
queste articolazioni.
Il SN vegetativo è molto legato
90

alla mobilità dorsale, ed essendo responsabile dell’innervazione degli organi interni,


significa che un’anormale mobilità della colonna dorsale potrà influire sugli organi e
viceversa.
Bisogna ricordare, però, che il dolore dorsale può anche non corrispondere ad un
problema dorsale.
Inoltre gli organi interni sono legati al torace attraverso alcuni legamenti: per esempio,
l’intestino crasso è legato all’8° e alla 9° costa. Attenzione a non confondere la mobilità
degli organi con la loro funzionalità.
A livello dorsale le articolazioni che si possono trattare sono:
• Costo-trasversarie;
• Costo-vertebrali;
• Costo-sternali.

Domande speciali:
• Problemi respiratori;
• Problemi viscerali;
• Osteoporosi;
• Sindrome di Tietze: tumefazione dolente a livello sternocostale spesso legati alla
respirazione che si risolve spontaneamente nel giro di 20 giorni;
• Perdita di peso;
• Stato di salute in generale, chiedendo i sintomi associati quali vomito e sintomi
legati alle funzioni viscerali.

Storia:
Tutti pazienti che hanno effettuato precedenti trattamenti ad altri distretti (tennis elbow,
tunnel carpale, cervicale…), ma sono terapia-resistenti, vanno trattati a livello toracico
(coste, neurali…).

Carta del corpo:


Se articolare, il dolore è locale, unilaterale, irradiato in senso orizzontale, ben localizzato
ed il paziente riesce a “toccarlo”.
Un problema del nervo intercostale, porta un sintomo più distale che prossimale, ma potrà
anche essere solo distale o anteriore. La regola richiede sempre di lavorare prima sulle
interfacce meccaniche.
Un problema di T2 Può dare dolore superficiale alla spalla (si pensi al ramo posteriore di
T2, che arriva alla regione posteriore della spalla).
Un dolore discale, è bilaterale, diffuso, non localizzabile, profondo.
Un problema a livello mediale del braccio, può essere relativo al plesso (C4-T2).
Un dolore puntiforme, profondo a fitte, in qualche parte della pancia può essere viscerale,
ma anche articolare cronico dorsale (non si troveranno sintomi, ma segni comparabili,
come rigidità di TX).
Un dolore profondo, che attraversa, ma che può essere anche solo anteriore, è discale.
Dolore a tutta la scapola, può essere scapolo-toracico, delle coste, o toracico.
Tossire, starnutire, può accentuare tutti questi problemi.
Il mal di testa può essere relativo a Toracico per il sistema neurovegetativo.

24 ore:
Se il dolore al mattino dura molto a lungo, bisogna escludere spondilite anchilosante.

Viscerale:
91

Il dolore viscerale può essere puntiforme o come una fascia. I sintomi sono spesso
descritti come profondi, vaghi, pulsanti, dolori a riposo, costanti ed eventualmente variabili.
I sintomi associati ricorrenti sono: sensazione generale di malessere, crampi addominali,
vomito, inappetenza, dolori respiratori, pelle d’oca, sudore, problemi alla vescica o
all’intestino.
Il comportamento del dolore non dipende dal movimento a dalla posizione. I pazienti affetti
da tali problematiche spesso riferiscono dolore sempre intorno alla stessa ora, oppure
quando sono in funzione gli organi.
Spesso i sintomi non sono legati alla storia.

Sindrome di T4:
Classica rappresentazione sono sintomi vegetativi a “guanto”, bilaterale o monolaterale,
che può associarsi anche alla testa, ma sempre associata ai sintomi delle braccia. I
sintomi sono parestesia, anestesia, formicolìo, dolore, gonfiore soggettivo od oggettivo alle
mani e avambracci.
Caratteristica è la forma completa del guanto. Se bilaterale, sarà sempre bilaterale, se alla
testa, sempre con una o due mani. Alla testa assume le caratteristiche di un sintomo
diffuso, vago, che stringe come una corona.
Tipico è il comportamento del sintomo che sveglia alla notte il paziente a metà del sonno.
quando il soggetto, però, muove un po’ la mano, la situazione migliora. E’ più probabile
che cambi la frequenza del sintomo piuttosto che la localizzazione o l’intensità.
A livello neurologico non si trova alcun segno.
Spesso la mobilità cervicale e della spalla è normale e neppure si riscontrano dolore e
rigidità dorsale. Bisogna sempre verificare la mobilità dorsale, poiché per alcuni pazienti
essere rigidi a questo livello è normale e non lo avvertono come sintomo.
E’ un esempio tipico “alla Maitland”, perché l’eziopatogenesi è ignota. L’unica cosa che si
sa è che migliora con trattamento a livello di T2, T3 e T4. Si chiama “sindrome di T4”,
perché T4 è sempre coinvolta. T4 non è una diagnosi, ma uno schema clinico. La
spiegazione può essere: canale stretto a livello di TX, scarsa vascolarizzazione, scarsa
mobilità….
L’incidenza è maggiore nelle donne tra 30 e 50 anni (la cifosi a questa età aumenta
maggiormente nelle donne che negli uomini).
E’ opportuno porre attenzione a donne in postgravidanza o con seni pesanti.

Ispezione:
Si osservano allineamento delle spalle, dorso piatto o dorso curvo (è preferibile un dorso
curvo che sottintende a migliore ammortizzazione), posizione della testa (in avanti, o
retratta)….

Dimostrazione funzionale:
Movimenti attivi:
• Flessione: si chiede al paziente di portare, a braccia conserte, ogni gomito
all’inguine omolaterale (fig. 302). In assenza di sintomo si può aggiungere
eventuale OP generale, dove il fisioterapista, posto di fronte al soggetto, spinge
con le proprie mani, poste sulle spalle del paziente, ad indici sulle clavicole, in
direzione degli inguini (fig. 303), oppure localizzata. Per quest’ultima, il paziente
incrocia le proprie mani dietro al collo e compie il movimento. Per il tratto dorsale
alto (TDA) (fig. 304) il terapista, posto di fianco al paziente, pone la mano
anteriore sui gomiti e la posteriore con il lato ulnare su C7, compiendo un
movimento come per “girare il volante” con un raggio piccolo; per il tratto dorsale
medio (TDM) (fig. 305) con raggio più ampio e bordo ulnare della mano caudale
92

su T4; per il tratto dorsale basso (TDB) (fig. 306) la mano va su T7 ed il raggio è
ancora più ampio, tendendo ad appiattire la direzione del movimento.

Fig. 302 Fig. 303 Fig. 304

Fig. 302: Flessione


dorsale attiva

Fig. 303: OP in flessione


dorsale.

Fig. 304: OP localizzata


al TDA in flessione.

Fig. 305: OP localizzata


al TDM in flessione.

Fig. 306: OP localizzata


Fig. 305 Fig. 306 al TDB in flessione.

• Estensione (fig. 307): il paziente, con le mani incrociate dietro al collo, compie
un’estensione toracica. Per l’eventuale OP generale (fig. 308), l’esaminatore è
posto di fianco al soggetto ed il braccio anteriore passa sotto le sue ascelle,
mentre la posteriore fissa col bordo ulnare T11, compiendo una flessione
laterale senza lasciare spazio tra sé ed il paziente. Può utilizzare uno sgabello
se il paziente è ipermobile a livello lombare (fig. 309). Le OP localizzate si
compiono al TDA con fissazione di T4 (fig. 310), TDM con fissazione di T7 (fig.
311), TDB con fissazione di T11 (fig. 312), con aggiunta di quella sulla vertebra
locale con presa “pinza-naso” e fissazione, spinta PA o entrambe (fig. 313).
93

Fig. 307 Fig. 308 Fig. 309

Fig. 310 Fig. 311 Fig. 312

Fig. 307: Estensione dorsale attiva.

Fig. 308: OP generalizzata in estensione dorsale.

Fig. 309: OP in estensione con fissazione lombare.

Fig. 310: OP in estensione localizzata al TDA.

Fig. 311: OP in estensione localizzata al TDM.

Fig. 312: OP in estensione localizzata al TDB.

Fig. 313: OP in estensione localizzata ad un livello con


Fig. 313 presa “pinza-naso”.
94

• Flessione laterale (fig. 314): l’OP generalizzata (figg. 315-317) viene compiuta
con fissazione a livello di T11 col bordo radiale della mano del terapista e
movimento generato dalla flessione delle sue ginocchia, mentre quelle locali
avvengono con fissazione di T4 per il TDA (fig. 318), T7 per il TDM (fig. 319) e
T11 per il TDB (fig. 320). Trovato il tratto dolente, si lavora con OP sulla vertebra
specifica, fissando col pollice la spinosa (fig. 321) durante il movimento, oppure
spingendola addirittura dal lato controlaterale al movimento (fig. 322).

Fig. 314 Fig. 315 Fig. 316

Fig. 317 Fig. 318 Fig. 319

Fig. 314:Flessione laterale dorsale attiva.


Fig. 315: OP generalizzata in flessione laterale dorsale. Il ft appoggia la propria ascella
sulla spalla del paziente, mentre il braccio finisce sotto l’ascella del soggetto.
Fig. 316: OP generalizzata in flessione laterale dorsale. Il movimento avviene con la
flessione delle ginocchia del fisioterapista.
Fig. 317: OP generalizzata in flessione laterale dorsale. Fissazione a livello di T11 col
bordo radiale della mano.
Fig. 318: OP localizzata al TDA in flessione laterale. Fissazione di T4.
Fig. 319: OP localizzata al TDM in flessione laterale. Fissazione di T7, mentre scende
di livello anche l’altra mano del terapista.
Fig. 320: OP localizzata al TDB in flessione laterale.
Fig. 321: OP localizzata sulla spinosa. Posizione della mano che fissa la vertebra.
Fig. 322: OP localizzata con spinta sulla spinosa ed inclinazione laterale dorsale.
95

Fig. 321

Fig. 320 Fig. 322

• Rotazione (fig. 323): si può compiere OP generalizzata (figg. 324 e 325), e


localizzata sul segmento con spinta del pollice sulla spinosa (figg. 326 e 327).
Dopodiché si possono eseguire i test se necessari, tra cui, ovviamente, si possono
combinare i movimenti attivi (fig. 328).

Fig. 323 Fig. 324 Fig. 325

Fig. 326 Fig. 327


96

Fig. 323: Rotazione attiva dorsale.

Fig. 324: OP generalizzata in rotazione dorsale.


Fissazione del paziente con coscia contro coscia.

Fig. 325: OP generalizzata in rotazione dorsale


attiva. L’OP avviene con l’avvicinamento reciproco
delle due mani del fisioterapista.

Fig. 326: OP localizzata con fissazione della


spinosa attraverso il pollice e contemporanea
rotazione attiva.

Fig. 327: OP localizzata in rotazione dorsale, vista


anteriormente.
Fig. 328
Fig. 328: Combinazione in flessione e rotazione.

Esame neurologico:
Si esegue solo il test di sensibilità. Tipico esempio è il paziente che non sente il panno
quando si asciuga la schiena.
I test neurodinamici utili alla valutazione del tratto toracico sono tutti (slump, PBK, SLR…).

PAIVM’s (figg. 329-340):


Si compiono:
• PA centrale;
• PA unilaterale sulla lamina;
• PA costo-vertebrale (compiendo un PA sulla apofisi traversa);
• PA costo-trasversale (PA più laterale del PA sulla traversa, quasi sulla costa);
• PA sull’angolo della costa;
• PA lungo la costa;
• AP sulla costocondrale;
• AP sulla costosternale;
• Trasversale a dx o sx: è una manovra uguale a quella che si compie a livello
lombare (fig. 357), si segna dx o sx. E’ indicato con dolore
unilaterale.

Fig. 329 Fig. 330


97

Fig. 331 Fig. 332

Fig. 333 Fig. 334

Fig. 335 Fig. 336


98

Fig. 337 Fig. 338

Fig. 339 Fig. 340

Fig. 329: PA unilaterale.

Fig. 330: distanza di due dita lateralmente alle spinose per compiere un PA sulla traversa.

Fig. 331: PA sull’apofisi trasversa per un PA costovertebrale.

Fig. 332: due mm lateralmente per un PA costotrasversale (si sente un avallamento).

Fig. 333: PA sulla traversa vista sullo scheletro.

Fig. 334: PA sulla costotrasversale sullo scheletro.

Fig. 335: PA sull’angolo della costa.

Fig. 336: Linea disegnata degli angoli delle coste.

Fig. 337: Liberazione della costa facendo scendere il braccio del paziente

Fig. 338: PA lungo la costa

Fig. 339: AP costocondrale

Fig. 340: AP costosternale


99

PPIVM’s (T4-T10):
Si compiono per valutare ipomobilità, ipermobilità, instabilità, qualità e quantità del
movimento.
• Flessione: si solleva la paziente con mani alla nuca, mentre col dito medio si
valuta l’apertura delle spinose. Il movimento avviene per flessione laterale
dorsale del fisioterapista (figg. 341 e 342). Per valutare i diversi livelli, il
movimento rimane lo stesso, mentre il dito si sposta prossimamente o
distalmente. La colonna lombare dell’esaminatore rimane ferma.
Fig. 341: PPIVM’s T4-
T10 in flessione. Il
fisioterapista avvolge
col braccio il torace
del paziente per
compiere trazione.
Fig. 342: Mentre il
terapista compie il
movimento con
propria flessione
laterale dorsale,
avverte l’apertura
delle spinose col dito
medio dalla parte
Fig. 341 Fig. 342
opposta alla sua.
• Estensione: Non cambia nulla, a parte il fatto che con il bordo ulnare della
mano si compie una stabilizzazione, sposandosi ad ogni diverso livello (figg. 343
e 344).
Fig. 343: PPIVM’s T4- Fig. 344
T10 in estensione. Il
fisioterapista
stabilizza col bordo
ulnare il livello in
oggetto della
valutazione, mentre
con un’inclinazione
laterale del proprio
corpo determina
un’estensione
dorsale.
Fig. 345
Fig. 344: PPIVM’s T4-
T10 in estensione. Fig. 343
Stabilizzazione del
livello con appoggio
• Flessione laterale (fig.
del bordo ulnare.
345): trovata la posizione
neutra in flesso-estensione, si
Fig. 345: PPIVM’s T4-
compie una flessione laterale
T10 in flessione
attraverso un’estensione del
laterale, che avviene
terapista senza trazione del
per estensione del
paziente. Il dito medio saggia
fisioterapista.
la quantità di movimento.
100

• Rotazione: bisogna controllare, con paziente sul fianco con mano sulla clavicola
controlaterale, che il tratto in esame sia ben allineato. L’esaminatore si appoggia
sul bacino del soggetto in modo che l’avambraccio del terapista sia parallelo alla
colonna vertebrale (fig. 346). Il medio viene posto col polpastrello sulla punta
della spinosa (fig. 347). Il movimento finisce quando si avverte che la vertebra
inferiore comincia a spingere sul dito. La spinta viene impressa con avambraccio
del fisioterapista su quello del paziente (fig. 348) e non con la mano sulla spalla,
per non spostare la scapola, ma fare in modo che il movimento sia una vera
rotazione delle vertebre toraciche.

Fig. 346

Fig. 347

Fig. 348 Fig. 346: PPIVM’s T4-T10 in rotazione.


Posizione del paziente sul fianco, con
avambraccio del fisioterapista parallelo
alla colonna vertebrale del soggetto.
Fig. 347: PPIVM’s T4-T10 in rotazione.
Posizione del dito medio sullo scheletro
per avvertire lo spostamento delle
spinose.
Fig. 348: PPIVM’s T4-T10 in rotazione.
Spinta dell’avambraccio del fisioterapista
su quello del paziente per evitare
compensi.

PPIVM’s (C7-T4):
Perché avvengano correttamente, la colonna cervicale nel tratto compreso tra C0 e C7
deve risultare fermo.
Il paziente giace sul fianco
• Flessione (figg. 349-351): la fronte del soggetto è appoggiata sul bicipite del
terapista, la cui mano “sposa” la forma del collo, con mignolo ancorato su C7.
Tutto il “sistema” testa-C7 è fermo e si muove rispetto ai segmento sottostanti,
attraverso un movimento di retrazione della scapola del fisioterapista, che valuta
il movimento nella stessa maniera della rotazione precedente.
101

Fig. 350 Fig. 351

Fig. 349

Fig. 349: PPIVM’s C7-T4 in flessione. Il movimento avviene per retrazione della scapola del
fisioterapista, metre col medio dell’altra mano avverte la quantità di movimento.

Fig. 350: PPIVM’s C7-T4 in flessione. La fronte del paziente è appoggiata sul bicipite del
fisioterapista.

Fig. 351: PPIVM’s C7-T4 in flessione. La mano del terapista ”sposa” la forma del collo del
soggetto.

• Estensione: la presa è identica alla precedente. Il movimento avviene con una


protrazione della scapola dell’esaminatore. Il trucco per una buona valutazione
sta nel compiere correttamente il movimento della scapola (fig. 352).
• Rotazione: fino a 30° non succede nulla sotto C2-C3. Ciò vuol dire che il capo
del paziente sarà già ruotato di 30°. Trovata la posizione neutra in flesso-
estensione, si compie il movimento per l’elevazione della scapola del terapista.
La presa è identica a quelle precedenti (fig. 353).

Fig. 352 Fig. 353

Fig. 352: PPIVM’s C7-T4 in estensione. Il movimento, con prese identiche alle
precedenti, avviene per protazione della scapola dell’esaminatore.

Fig. 353: PPIVM’s C7-T4 in rotazione. Il movimento avviene con elevazione della
scapola del fisioterapista

• Flessione laterale: giunti in posizione neutra, spingendo col bordo ulnare sulla
parte laterale di C7, l’esaminatore imprime il movimento compiendo una
102

flessione laterale del proprio corpo mentre il dito medio dell’altra mano valuta la
quantità di movimento tra le spinose (figg. 354-356).

Dimostrazione funzionale:
Un esempio di trattamento per sintomi neurovegetativi è rappresentato dalla figura 357. In
pratica, il sistema nervoso viene messo sotto massimo stress, per poi compiere dei PA
Sull’articolazione costo-traasversaria oppure lungo le coste.

Fig. 354 Fig. 354:


PPIVM’s C7-T4
in flessione
laterale. Il
movimento
avviene con
flessione laterale
del fisioterapista.
Fig. 355 Fig. 355:
PPIVM’s C7-T4
in flessione
laterale. Il dito
Fig. 357
medio avverte la
quantità di
movimento.
Fig. 356:
posizione della
mano vista sullo
scheletro.
Fig. 357:
trattamento del
Fig. 356 sintomo
vegetativo
103

ANCA
ESAME SOGGETTIVO (C/O):
I problemi principali per cui i pazienti si rivolgono al fisioterapista sono:
• Dolore
• Rigidità
• Debolezza
• Scrosci articolari
Le localizzazioni più frequenti dei sintomi sono rappresentate da:
• Regione inguinale: può sottintendere, però, anche a problema toracico o del
dermatomero L1-L2 (in questo caso il sintomo sarà riferito come superficiale,
diffuso e poco localizzabile). Anche l’articolazione sacroiliaca può essere
responsabile di localizzazione a tale livello, così come un ovaio.
• Regione interna del ginocchio.
• Regione glutea: si pensi anche al ramo posteriore di T12 che arriva
posteriormente alla spalla. Parimenti, a livello Lombare ed S1,2,3, il ramo
posteriore arriva fino al gluteo. In questi casi il dolore sarà superficiale con
possibili cambiamenti a livello neurologico, elemento utile alla differenziazione.
Anche in questo caso può essere coinvolta la sacroiliaca (L2-S2). In questi casi
il dolore è spesso descritto come “strano”, oppure presentarsi un sintomo come:
ƒ sensazione di pesantezza della gamba;
ƒ episodi di “inciampo” facendo le scale, in assenza di segni neurologici;
ƒ impressione che l’anca stia per uscire.
Non bisogna dimenticare del disco lombare, che può dare dolore in tale zona.
Ancora, dolore gluteo può derivare dalle articolazioni sacro-coccigea e dalle
sinfisi pubiche.
• Regione trocanterica: bisogna compiere diagnosi differenziale con la borsite,
che, peraltro, evoca un dolore superficiale molto locale.
• Riferito verso la regione lombare.
• Regione quadricipitale: va differenziato con problematiche di pertinenza
lombare (provocano sintomi distali meno intensi dei prossimali), radicolare (che
avrà inoltre segni neurologici), viscerali (reni, vescica, stomaco…), dorsale (si
pensi sempre al ramo posteriore di S2).
• Regione anteriore della gamba.
• Anestesia alla regione laterale della coscia (“meralgia parestesica”), per
compressione del n° cutaneo laterale della coscia (L2, L3).
• Dolore “come una fascia” sulla gamba al di sopra del ginocchio.

Uno studio ha dimostrato che l’incidenza dei sintomi nei problemi dell’anca è la seguente:
Il 60% dei casi avverte dolore nella regione quadricipitale (dolore diffuso, superficiale)
verso mediale;
il 47% nella regione inguinale (dolore profondo, lancinante) in assenza di segni
neurologici;
Il 40% nella regione tibiale (dolore profondo);
Il 40% nella regione sacroiliaca (sensazione di tensione, superficiale);
Altri, ancora avvertono sintomi come una fascia sulla coscia (sensazione di
compressione);
Infine, una piccola parte nella regione trocanterica (dolore profondo, sensazione di
pressione);
Raramente, anche dolore profondo solo al ginocchio.
104

Dal punto di vista neurale, vanno considerati il sistema neurovegetativo, ed i nervi


otturatorio, femorale e sciatico.

COMPORTAMENTO DEI SINTOMI:


Le persona affette da problematiche all’anca possono riferire dolore in alcune delle
seguenti situazioni:
• Stando seduti. E’ perciò opportuno chiedere:
ƒ L’altezza della seduta. In genere se il sedile è basso provoca dolore,
se, invece, è alto non crea problemi.
ƒ La morbidezza della seduta.
ƒ Se al variare della velocità cambi pure il sintomo.
ƒ Se l’eventuale dolore mattutino migliori in maniera piuttosto rapida.
ƒ Se accavallare le gambe evochi dolore.
ƒ Se cambiare direzione camminando evochi i sintomi (rotazione
interna in carico).
ƒ La posizione in cui si sieda il soggetto.
ƒ Dopo quanto tempo compaia il sintomo (“devi alzarti? Puoi rimanere
seduto?…”).
• Camminando. Sarà necessario conoscere:
ƒ Il tempo necessario perché si presenti il sintomo.
ƒ L’ampiezza del passo.
ƒ In quale fase del passo compaia il sintomo.
• Salendo in bicicletta, in moto, a cavallo.
• Durante l’attività sessuale.
• Dormendo sopra all’anca.
• Infilandosi calze, scarpe, pantaloni, mutande…
• Salendo le scale (a causa dello sforzo in flessione). In questo caso sarà
importante sapere quale sia l’altezza degli scalini.

DOMANDE SPECIALI:
• Osteoporosi.
• Aumento di peso.
• Protesi (sarà un paziente SIn per la natura chirurgica del problema): chiedere
sempre se è stato operato per rigidità, dolore o frattura. Domandare come sia
andata la situazione dopo l’intervento. Si mobilizzano con grado III, perché non
sono mai EOR. E’ consigliabile compiere movimenti accessori, piuttosto che
fisiologici, per il fatto che si ha ottiene migliore controllo della mobilizzazione da
parte del fisioterapista.
• Displasia.
• Morbo di Perthes (necrosi giovanile della testa).
• Osteocondrite giovanile.
• Necrosi asettica della testa del femore (Peggioramento repentino nel paziente
dopo i 60 anni).

STORIA:
• Artrosi, dolore spontaneo.
• Mestieri che richiedano carico intenso e/o prolungato.
• Sport di salto, maratona.
• Un problema cronico dell’anca, dovrà sempre essere trattato anche in
associazione alla colonna lombare ed all’articolazione sacroiliaca.
105

ESAME FISICO (P/E):


Dolore Attuale (Present Pain, P/P).
Postura: si valutano:
• Posizione da in piedi;
• Trofismo dei glutei;
• Morfologia e posizione dei piedi, con eventuale correzione ed ipercorrezione.
• Altezza della cresta iliaca;
• Posizione di SIPS e SIAS;
• Postura lombare;
• Distribuzione del carico (magari osservare le deformazioni delle scarpe e l’usura
delle suole).

DIMOSTRAZIONE FUNZIONALE:
Per ciò che concerne la differenziazione tra anca e colona lombare si veda il capitolo
relativo a quest’ultima, dove già abbiamo abbondantemente descritto il ragionamento
clinico che guida tale operazione.
Un capitolo fondamentale è costituito dall’ANALISI DEL CAMMINO. E’ sempre
interessante osservare il soggetto normalmente e, poi, eventualmente:
- In intrarotazione (fig. 358);
- In extrarotazione (fig. 359):
- All’indietro, con passi più o mano lunghi (specie se problema si manifesti in
estensione), osservando la piega glutea (sarà minore dal lato con minore
estensione);
- In avanti con skip (maggiore compenso in estensione lombare dove l’anca
risulti rigida);
- Per differenziare con un problema femoro-tibiale, sarà utilissimo chiedere al
paziente di camminare sui talloni;
- Per differenziare con un problema femoro-patellare, si potrà far camminare
la persona con le ginocchia piegate.
Ancora, può risultare utile l’ANALISI DELLA POSIZIONE SEDUTA. Sostanziale è il
rilevare la misura della distanza tallone-sedia, per vedere a che distanza comparirà il
sintomo (sarà un *, segno oggettivo comparabile) (fig. 360).
Infine, è interessante l’ANALISI DELL’ACCOSCIATA. In questo caso il segno comparabile
risulterà essere la distanza tallone-gluteo (fig. 361).

Fig. 358 Fig. 359 Fig. 360 Fig. 361

Fig. 358: analisi del cammino ad anche intraruotate.


Fig. 359: analisi del cammino ad anche extraruotate.
Fig. 360: analisi della posizione seduta.
Fig. 361: analisi dell’accosciata.
106

MOVIMENTI ATTIVI:
• Flessione attiva. Si osservano qualità e quantità del movimento (fig. 362).
• Flessione del lato malato. Si possono osservare deviazioni, quali flessione in
intrarotazione ed abduzione (fig. 363).
• Flessione del lato sano (fig. 364).
• Abduzione bilaterale (fig. 365).
• Adduzione (fig. 366).
• Intrarotazione (fig. 367).
• Extrarotazione (fig. 368).
• Misura dei 90° totali della rotazione (60° di extrarotazione e 30° di intrarotazione): si
pone il proprio sterno sulla rotula del paziente con anca in massima rotazione esterna,
si compie intrarotazione passiva, verificando che la tibia arrivi sul petto del terapista
(fig. 369). In caso di problema sacroiliaco il ROM totale della rotazione sarà sempre
90°, ma si potrà ritrovarlo con arco spostato.
• Estensione attiva da prono (fig. 370). Se compare dolore, è opportuno compiere
differenziazione tra anca, sacroiliaca e colonna lombare. Per eseguirla, si procede con
un PA sul femore, per poi estendere solo l’anca (fig. 371): se compare dolore, il
problema è di pertinenza dell’anca, altrimenti bisogna procedere col movimento. Nel
tal caso, si fissa il sacro compiendo un’estensione sia dell’anca che della sacroiliaca
(fig. 372): se compare dolore, sarà un problema sacroiliaca, altrimenti lombare.

Fig. 362

Fig. 363 Fig. 364

Fig. 365 Fig. 366 Fig. 367 Fig. 368

Fig. 362: flessione attiva.


Fig. 363: flessione attiva in presenza di deviazioni (intrarotazione ed abduzione).
Fig. 364: flessione del lato controlaterale sano.
Fig. 365: Abduzione bilaterale.
Fig. 366: Adduzione (anca sinistra).
Fig. 367: intrarotazione.
Fig. 368: extrarotazione. Fig. 362
107

Fig. 369 Fig. 370 Fig. 371

Fig. 369: misura dei 90° totali di rotazione dell’anca.


Fig. 370: estensione attiva da prono. Fig. 372
Fig. 371: PA sul femore per differenziazione.
Fig. 372: fissazione del sacro per differenziazione.

MOVIMENTI PASSIVI:
• Rotazione interna da prono (fig. 373).
• Rotazione esterna da prono (fig. 374).
• Flessione da supino, con eventuale OP (fig. 375). Anche attraverso i movimenti passivi
si può compiere differenziazione tra anca e colonna lombare, attraverso fissazione
dell’osso iliaco con la coscia craniale del fisioterapista posto in piedi accanto al
paziente (fig. 376). Compiendo una rotazione interna passiva fino a giungere al
sintomo, valutandone poi il comportamento togliendo la fissazione dell’ileo (fig. 377): se
aumenta, sottintende a pertinenza lombare; se diminuisce, invece, significa che è
causato dall’anca.

Fig. 373 Fig. 374 Fig. 375

Fig. 376

Fig. 373: rotazione interna da prono.


Fig. 374: rotazione esterna da prono.
Fig. 375: flessione da supino.
Fig. 376: fissazione dell’ileo per differenziazione strutturale tra anca e colonna lombare.
Fig. 377: differenziazione strutturale con rotazione interna passiva da supino.
108

Fig. 377 Fig. 378 Fig. 379

Fig. 378: tecnica di trattamento in flessione ed adduzione. Esempio agli 80 gradi di


flessione dell’anca.

Fig. 379: tecnica di trattamento in flessione ed adduzione. Presa con incrocio delle
mani sulle regione mediale del ginocchio del paziente

• Tecnica di trattamento in flessione - adduzione: non è un vero e proprio quadrante, ma


si tratta di qualcosa di simile (fig. 378). Il fisioterapista, in piedi di fianco al paziente dal
lato da trattare, appoggia il ginocchio caudale al lettino, appoggiando il proprio petto
alla coscia del malato, in modo che siano completamente aderenti. Con il braccio
caudale passa sotto alla gamba, andando ad incrociare le mani sul comparto mediale
del ginocchio del soggetto (fig. 379). In questo modo il fisioterapista porta in flessione
l’anca, andando a compiere adduzione con il proprio peso. Come per il quadrante della
spalla, anche in questo caso, tutte le persone disegnano una curva sempre uguale.
Nell’anca è di questo tipo:
flessione

adduzione
Ovviamente, come per la spalla, si possono compiere trattamenti con OP, scooping, rolling
over (fig. 380). Dopo avere trattato, possono essere utili, per eliminare i fastidi causati dal
trattamento, degli “eas off” “scotendo” la gamba del paziente sul proprio petto (fig. 381).

Fig. 380 Fig. 381 Fig. 380: OP (freccia rossa),


scooping (freccia bianca) e rolling
over (freccia verde-trasparente).

Fig. 381: eas off. Il terapista


afferra con le due mani ginocchio
e tallone dell’arto trattato, per poi
andare a compiere degli
“scuotimenti” della gamba contro il
proprio petto.
109

Nel caso non si trovino sintomi o segni comparabili, si possono cercare con:
• Combinazioni: in flessione – adduzione - rotazione interna, oppure in flessione –
adduzione – rotazione esterna (fig. 382). L’eas off dopo un movimento
combinato va compiuto in entrambe le componenti.
• Compressioni: da un grado IV= fino ad un V ++. Si compiono in diverse
direzioni:
o Lungo l’asse del femore (fig. 383): il fisioterapista si lascia cadere sopra
l’asse del femore, imprimendo la spinte col proprio mento;
o Lungo l’asse del collo del femore (fig. 384), imprimendo la spinta col proprio
inguine, magari interponendo la mano tra il paziente ed il proprio corpo (fig.
385).
• Compressione mediale più intensa: il paziente giace sul fianco sano mentre il
fisioterapista vi si “sdraia” sopra mentre flette ed estende l’anca del malato (fig.
386).
• Compressione anche per i pazienti che presentino sintomi in estensione: si
possono compiere in flessione (fig. 387), ed anche in intra od extrarotazione (fig.
388). Il paziente rimane supino con ginocchio flesso fuori dal lato corto del
lettino, mentre il fisioterapista, sedutovi di fronte, imprime le compressioni in
senso longitudinale craniale.

Fig. 382 Fig. 383

Fig. 385

Fig. 384 Fig. 386


110

Fig. 387 Fig. 388

Fig. 382: combinazione: flessione – adduzione –rotazione.


Fig. 383: compressione lungo l’asse del femore.
Fig. 384: compressione lungo l’asse del collo del femore.
Fig. 385: compressione lungo l’asse del collo del femore, posizione della mano
tra paziente e terapista.
Fig. 386: compressione in flessione lungo l’asse del collo del femore con
maggior forza.
Fig. 387: compressione in flessione per pazienti con problemi in estensione.
Fig. 388: compressione in rotazione per pazienti con problemi in estensione.

Come sempre, anche in questo caso è necessario differenziare le strutture responsabili


del sintomo quando esso compaia. Nel caso della flessione dell’anca, bisogna compiere
differenziazione strutturale tra anca, articolazione sacroiliaca e colonna lombare.
Per compierla, dapprima il terapista, in piedi di fianco al soggetto dal lato da esaminare,
pone la mano caudale con tenar ed ipotenar sull’osso ischiatico, mentre tiene l’altra
sull’ala iliaca (figg. 389 e 390), poi stabilizza la coscia dell’esaminato con il proprio mento
(fig. 391), andando a compiere una flessione fino al sintomo.

Fig. 389 Fig. 390 Fig. 391


111

Fig. 392 Fig. 393 Fig. 389: differenziazione


strutturale, mano caudale
su sacro del paziente.
Fig. 390: differenziazione
strutturale, posizione delle
mani viste sullo scheletro.
Fig. 391: differenziazione
strutturale, fissazione della
coscia con il mento.
Fig. 392: differenziazione
strutturale, retroversione
del bacino.
Fig. 392: differenziazione
strutturale, fissazione della
colonna lombare.
Qui si compie con le due mani una retroversione del bacino, deflettendo quindi l’anca (fig.
392). Se il sintomo diminuisce, la sua origine sarà dell’anca, altrimenti sacroiliaca a
lombare. In questo caso bisognerà ulteriormente differenziare: si fa mettere dal paziente
una propria mano dietro la regione lombare per stabilizzare la colonna (fig. 393), ripetendo
l’operazione precedente. Se il dolore scompare, sarà di pertinenza lombare, altrimenti
sacroiliaco.

MOVIMENTI ACCESSORI:
• Shaft rotation: da supino (fig. 394), sul fianco in rotazione interna (fig. 397) e sul
fianco in rotazione esterna (fig. 398). Nel caso di paziente ROMs è possibile
compiere shaft rotation in posizione funzionale (figg. 403 e 404).
• Trasversale laterale: da supino (fig. 395) e con paziente sul fianco (fig. 401). Nel
caso di paziente ROMs è possibile compierlo in posizione funzionale (fig. 405).
• Longitudinale caudale: con paziente sul fianco (fig. 396) e supino (fig. 402).
• PA con paziente sul fianco (fig. 399).
• AP con paziente sul fianco (fig. 400).
• Compressione lungo l’asse del collo del femore in posizione funzionale per
pazienti ROMs (fig. 406).

Fig. 394 Fig. 395 Fig. 396


112

Fig. 397 Fig. 398 Fig. 399

Fig. 400 Fig. 401 Fig. 402

Fig. 403 Fig. 404 Fig. 405


113

Fig. 406 Fig. 394: Shaft rotation da supino.


Fig. 395: Movimento accessorio trasversale laterale
da supino. L’avambraccio del ft è perpendicolare alla
coscia del paziente.
Fig. 396: Movimento accessorio longitudinale con
paziente sul fianco e presa distale al ginocchio.
Fig. 397: Shaft rotation sul fianco in rotazione
esterna.
Fig. 398: Shaft rotation sul fianco in rotazione
interna.
Fig. 399: PA con paziente sul fianco.
Fig. 400: AP con paziente sul fianco.
Fig. 401: Movimento accessorio trasversale laterale
con paziente sul fianco.
Fig. 402: Movimento accessorio longitudinale
caudale da supino.

Fig. 403: esempio di shaft totation in posizione funzionale (flessione d’anca a 90°) per
pazienti appartenenti al gruppo ROMs.
Fig. 404: altro esempio di shaft totation in posizione funzionale (minore flessione
d’anca) per pazienti appartenenti al gruppo ROMs.
Fig. 405: esempio di movimento accessorio trasversale in posizione funzionale per
pazienti appartenenti al gruppo ROMs.
Fig. 406: esempio di movimento accessorio di compressione lungo l’asse del collo del
femore per pazienti appartenenti al gruppo ROMs.

Ovviamente, quando richiesto dal trattamento e consentito dal quadro clinico, è possibile
combinare, angolare, ecc.
Possibili combinazioni sono:
• Rotazione con movimento accessorio trasversale laterale (fig. 407)
• Flessione con movimento accessorio longitudinale caudale (fig. 408)
• Flessione con movimento accessorio di compressione lungo l’asse del
femore (fig. 409)
• Flessione con movimento accessorio di compressione lungo l’asse del collo
del femore (fig. 410)
• Rotazione con aggiunta di più o meno compressione lungo l’asse del collo
del femore (figg. 411 e 412)
• Combinazione di flessione e adduzione (fig. 413)
• Combinazione di flessione, adduzione e rotazione (414)

Fig. 407 Fig. 408


114

Fig. 409 Fig. 410 Fig. 411

Fig. 412 Fig. 413 Fig. 414

Fig. 407: Combinazione di rotazione e movimento accessorio trasversale laterale con


paziente supino per pazienti appartenenti al gruppo clinico ROMs.
Fig. 408: Combinazione di flessione e movimento accessorio longitudinale caudale con
paziente supino.
Fig. 409: Combinazione di flessione e movimento accessorio di compressione lungo l’asse
del femore.
Fig. 410: Combinazione di flessione e movimento accessorio di compressione lungo l’asse
del collo del femore.
Fig. 411: Combinazione di rotazione e movimento accessorio di compressione lungo l’asse
del collo del femore.
Fig. 412: Combinazione di rotazione e movimento accessorio di compressione lungo l’asse
del collo del femore con paziente sul fianco per aumentare la componente di compressione.
Fig. 413: Combinazione di flessione e adduzione.
Fig. 414: Combinazione di flessione, adduzione e rotazione
115

Nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un paziente EOR, il trattamento ci permette di


effettuare una vasta quantità di tecniche, scelte tra le seguenti possibilità:
• OP, SCOOPING e ROLLING OVER (figg. 415 e 416)
• Combinazione di distrazione e flessione (fig. 417)
• Combinazione di distrazione, flessione e rotazione interna (fig. 418)
• Combinazione di distrazione, flessione e rotazione esterna (fig. 419)
• Combinazione di flessione ed AP (fig. 420)
• Compiere PA in flessione od estensione (figg. 421 e 422)
• Combinazione di compressione lungo l’asse del collo del femore ed estensione
(423)

Fig. 415 Fig. 416 Fig. 417

Fig. 418 Fig. 419 Fig. 420


116

Fig. 421 Fig. 422 Fig. 423

Fig. 415: OP (freccia bianca) e SCOOPING (freccia verde) per pazienti EOR.
Fig. 416: ROLLING OVER per pazienti EOR.
Fig. 417: combinazione di flessione e distrazione per pazienti EOR.
Fig. 418: combinazione di flessione, distrazione e rotazione interna per pazienti EOR.
Fig. 419: combinazione di flessione, distrazione e rotazione esterna per pazienti EOR.
Fig. 420: combinazione di flessione e AP per pazienti EOR.
Fig. 421: PA in flessione per pazienti EOR.
Fig. 422: PA in estensione per pazienti EOR.
Fig. 423: combinazione di estensione e compressione lungo l’asse del collo del femore per
pazienti EOR.

Nel frequente caso di pazienti artrosici, è invece possibile compiere delle rotazioni
appositamente dedicate (fig. 424) e differenziare se, nel caso di dolore inguinale in
rotazione interna, l’origine sia lombare o imputabile all’anca. Se duole l’inguine, il dolore
potrà presentarsi come superficiale, vago (si pensi al dermatomero di L1), oppure fitto e
profondo (si pensi piuttosto all’anca). Con intrarotazione dell’anca compare dolore, ed in
quel punto il fisioterapista fissa l’ileo con il proprio inguine (fig. 425): se il dolore aumenta o
non varia è imputabile all’anca, perché viene limitata la flessione laterale lombare, se
diminuisce è lombare. L’operatore toglie quindi la fissazione dell’inguine per verifica (fig.
426): se il dolore aumenta è lombare, poiché ritorna la flessione laterale, altrimenti è
imputabile all’anca.
117

Fig. 424 Fig. 425 Fig. 426

Fig. 424: rotazioni assiali per pazienti artrosici.


Fig. 425: Differenziazione lombare-anca. Giunti al dolore in rotazione interna si fissa l’osso
iliaco col bacino, impedendo flessione laterale lombare: se il dolore interna aumenta o non
varia è imputabile all’anca.
Fig. 426: Verifica della differenziazione lombare-anca. Si toglie la fissazione all’ileo: se il
dolore aumenta è lombare, altrimenti è riferibile a problemi dell’anca.

Per concludere, riportiamo nella tabella che segue, le regole da seguire per un corretto
trattamento dell’articolazione dell’anca:

GRUPPO SIN ROM con P>R, ROM con R>P, EOR


CLINICO cioè con S, dove L è R2
perché L è P2
POSIZIONE • Antalgica • Neutra o in • Neutra o in • In EOR
• neutra (appena range, cioè range, cioè
il paziente stia verso la verso la
meglio) posizione posizione
dolorosa dolorosa
TECNICA • Movimenti • Movimenti • Accessori • Accessori
accessori. Accessori • Fisiologici (si • Fisiologici
• Shaft Rotation • Movimenti possono • Combinare
• Longitudinale fisiologici utilizzare per
caudale il trattamento
• Trasversale quando il
laterale paziente
• AP abbia un
• PA ROM attivo
• Compressione del 50% di
(solo teorica) quello che ci
si possa
aspettare)
• Combinare
118

GRADO I o II II III IV + eas off


DIREZIONE • Senza dolore • Senza dolore • Angolare, per • Angolare
• Angolare • Angolare trovare il
diagramma
peggiore, dal
momento che
non il paziente
è più irritabile
SP SP SP • SP la prima • SP la prima
CP seduta seduta
• CP, se P’ è • CP, se P’ è
basso. basso.
• CP, purchè P • CP, purchè P
non aumenti non aumenti
durante la durante la
tecnica tecnica
• CP ON/OFF, • CP ON/OFF,
cioè devo cioè devo
entrare e uscire entrare e uscire
dal dolore dal dolore
TEMPO 2’ 3-4’ 4’-6’ 4’-8’
RITMO Lento Lento Rapido Rapido

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