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ORTOPEDIA

Prof. Sessa

TRAUMATOLOGIA ORTOPEDICA
La TRAUMATOLOGIA è la branca della medicina che interessa la diagnosi, il trattamento e
la riabilitazione di tutte le lesioni scaturite da traumi.
Per TRAUMA si intende un evento violento in cui la forza vulnerante danneggia i tessuti
perché ne supera il limite di resistenza. Nei casi più gravi, ai danni locali, si associa un
danno generale al pz, per cui si parla di MALATTIA TRAUMATICA.
Possiamo distinguere diversi tipi di traumatismi:
- Da Caduta: si verificano principalmente nelle RSA (legati alle alterazioni della
deambulazione e dell’acuità visiva dei pz) o in aree pubbliche (piazze e parchi, dove i
bambini giocano su altalene e scivoli).
- Domestico: cucina (lesioni da taglio o, specialmente nei bambini piccoli, da presa
elettrica), bagno (traumi da caduta).
- Stradale: i traumi stradali gravi e invalidanti sono in aumento, non solo per i
conducenti ma anche per i passeggeri.
- Sul Lavoro: persistono ancora soprattutto a causa del lavoro “in nero”.
- Sportivo: riguardano spesso bambini in cui si ha traumatismo da sovraccarico per
l’eccessiva attività agonistica incitata dai genitori.
- Da Maltrattamento: in circa il 50% dei traumi nei bambini sotto i 3 anni è
sospettabile un maltrattamento (di solito 2, 3 fratture al braccio o ai femori ed
ematomi che indicano percosse subite nel tempo).
Le lesioni traumatiche possibili, sono:
1. contusioni;
2. distorsioni;
3. sublussazioni;
4. lussazioni;
5. distacchi epifisari;
6. fratture;

CONTUSIONI DISTORSIONI LUSSAZIONI


1. CONTUSIONI: sono lesioni traumatiche prodotte dall’azione violenta
compressiva di un corpo esterno smusso (se appuntito causa una ferita da taglio)
o dall’urto del corpo stesso spinto ad una certa velocità contro una superficie
rigida.
La lesione presenta 4 caratteristiche:
1) Cute integra
2) Soluzione di continuo dei tessuti sottocutanei
3) Rottura dei vasi
4) Stravaso di sangue
Se il trauma si accompagna a lesione cutanea si parla di ferita lacero-contusa.
Per distinguere i vari gradi di interessamento utilizziamo la gradazione secondo
Dupuytren:
- Nel 1° grado è interessata solo la cute e il sottocute, con lesione dei vasi
capillari che si presenta con eritema, edema ed ecchimosi;
- Nel 2° grado viene interessato il tessuto sottocutaneo profondo con rottura
dei piccoli vasi che si manifesta con ecchimosi ed ematoma;
- Nel 3° grado vengono interessati i muscoli e i nervi con ematoma e
neurologico;
- Nel 4° grado viene interessato il periostio, con rottura dei vasi e
coinvolgimento dei nervi. È possibile riscontrare necrosi tissutale con
successiva riparazione cicatriziale.
CLINICA:
La lesione di presenta come zona cutanea più calda (termotatto positivo),
arrossata, iperemica, raramente ischemica (solo se la lesione è particolarmente
grave), tumefatta ed edematosa. Immediato è il dolore che può aumentare alla
digitopressione. L’entità del dolore è correlato alla gravità della contusione. Dopo 3-4
giorni compare un’ecchimosi nella zona della lesione.
La lesione dei tessuti profondi può non essere accompagnata da una lesione esterna
immediatamente rilevabile all’ispezione, per cui in alcuni casi l’entità del danno può
essere sottovalutata.
DIAGNOSI:
L’RX nelle proiezioni standard (antero posteriore e latero laterale) che mi permette di
vedere se c’è una frattura soprattutto nelle zone in cui il tessuto sottocutaneo e
muscolare antistante è sottile come ad es. la tibia.
L’ECO risulta utile per verificare la presenza dell’ematoma, l’entità, l’estensione, il
coinvolgimento, la profondità e l’organizzazione della lesione (può essere utile anche
al fine di monitorare l’efficacia della terapia).
TERAPIA:
1) Terapia farmacologica: si basa sull’utilizzo di antinfiammatori e analgesici,
stando attenti all’utilizzo dei FANS in pazienti che hanno un ematoma
importante perché potrebbe aumentare il sanguinamento dato che questi
farmaci agiscono sulle COX, quindi sulla produzione di prostaglandine. Oggi
si sta sempre più rivalutando l’utilizzo del paracetamolo.
2) Altra punto della terapia è costituito dal riposo ed elevazione dell’arto al fine di
garantire il drenaggio dell’edema.
3) Abbiamo, ancora, la possibilità di ricorrere alla crioterapia tramite borsa del
ghiaccio che deve essere messa per 10’/h per evitare danni da freddo. Il
ghiaccio è il miglior antiflogistico, analgesico e antiedemigeno.
4) Nei casi di ematoma importante che potrebbe non risolversi spontaneamente,
posso aspirare l’ematoma stesso con un piccolo accesso chirurgico per
accelerare il processo di guarigione. Una volta aspirato faccio un bendaggio
compressivo mettendo l’arto in scarico; il bendaggio deve essere fatto bene
altrimenti si potrebbe peggiorare la situazione.
5) Risultano utili anche terapie fisiche come tecar, ultrasuoni e laser per cercare
di accelerare il processo di guarigione.
2. DISTORSIONI: lesioni articolari caratterizzate dalla perdita parziale e temporanea
del rapporto tra superfici articolari contigue con possibile stiramento e/o
lacerazione dell’apparato capsulo-legamentoso, causata da ipersollecitazioni
meccaniche (solitamente torsioni).
Per causare la distorsione, la forza meccanica deve vincere le resistenze elastiche
offerte dalla capsula e dei legamenti dell’articolazione interessata. Alcuni distretti
anatomici sono più resistenti di altri per la loro struttura, ad es. l’anca piuttosto che la
spalla. Le sedi più colpite sono:
- l’articolazione tibio-tarsica* a causa dei movimenti di inversione cioè
varo-supinazione della caviglia;
- il ginocchio, molto frequente negli sport in cui è frequente la rotazione (calcio,
basket);
- le articolazioni interfalangee (pallavolo e basket);
- l’articolazione radio-carpica;
- del gomito;
- della spalla (tennista, cestista);
- le articolazioni metacarpo-falangee;
CLINICA:
Il quadro clinico varia di intensità e specificità in relazione alla gravità del trauma, alla
sede e alle caratteristiche fisiche del soggetto stesso, si rilevano in ogni caso:
- Edema e tumefazione che possono portare a lassità legamentosa se non
trattati (arto declive per scaricare l’edema: arto in scarico);
- Dolore spontaneo accentuato alla digitopressione su interlinea articolare e
legamenti, presente anche alla mobilitazione;
- Versamento articolare che può essere:
- Emartro: sangue dentro la cavità articolare;
- Idrartro: versamento di liquido sinoviale;
- Piartro: essudato purulento nella cavità articolare;
- Impotenza funzionale.
Distorsioni SEMPLICI:
- legamento elongato (o distratto) ma integro.
- essuna variazione significativa di stabilità articolare.
Distorsioni GRAVI:
- legamento lesionato
- stabilità articolare compromessa
All’interno dell’articolazione i propriocettori e i meccanocettori, strutture fondamentali
per il corretto movimento degli arti, per la deambulazione e per la stazione eretta
potrebbero essere danneggiati.
* in questo caso le strutture che permettono di stabilizzare la parte laterale
dell’articolazione tibio-tarsica, cioè il legamento collaterale laterale formato da 3 fasci:
leg. talo-fibulare ant e post e leg. fibulo-calcaneale.
DIAGNOSI:
E’ generalmente clinica ma per escludere la presenza di fratture eseguiamo un RX in
AP e LL, a volte in obliqua per avere un quadro più completo.
La RM è il gold standard per la diagnosi e stadiazione della distorsione perché
permette di vedere i tessuti molli.
Altri esami che si eseguono meno frequentemente sono l’ECO e l’artroscopia.
TERAPIA:
In fase acuta:
- uso di analgesici e antinfiammatori e crioterapia.
- l’arto va tenuto in scarico
- l’articolazione va svuotata se c’è un versamento importante.
In fase di mantenimento:
- si immobilizza con tutore o stecca gessata l’articolazione
- si ricostruiscono i legamenti rotti
- si esegue riabilitazione fisioterapica post-chirurgica per permettere il recupero
della normale fisiologia dell’articolazione
- si rieduca il paziente per la prevenzione delle recidive
3. SUBLUSSAZIONE: è la perdita parziale e permanente dei rapporti fra superfici
articolari contigue con sicuro stiramento e/o lacerazione dell’apparato
capsulo-legamentoso causato da sollecitazioni meccaniche che superano
l’elasticità dell’apparato capsulo-legamentoso.
Una delle più frequenti è la sublussazione acromion-claveare, poi abbiamo la
metacarpo-falangea e poi la scapolo-omerale.
Il trattamento può essere cruento o conservativo a seconda della gravità della
lesione.
4. LUSSAZIONE: è la perdita completa e permanente dei rapporti fra superfici
articolari contigue causata da sollecitazioni meccaniche che superano l’elasticità
dell’apparato capsulo-legamentoso. È una delle lesioni traumatiche più frequenti con
predilezione per il sesso maschile.
È nella stragrande maggioranza dei casi legata a traumi indiretti che interessano
nell’80% dei casi l’arto superiore.
La predisposizione del soggetto, cioè l’iperlassità dei tessuti molli articolari,
predispone all’evento lussativo.
Le articolazioni più colpite in ordine di frequenza sono: scapolo-omerale, metacarpo-
falengee, interfalangee, gomito, ginocchio e anca.
La classificazione delle lussazioni prevede la suddivisione in:
- Lussazioni traumatiche: che a loro volta possono essere dirette o indirette.
- Lussazioni patologiche: causate da processi infiammatori o neoplastici.
- Lussazioni recidivanti: quando dopo il primo episodio seguono altri episodi:
questo avviene spesso perché il pz al 4-5° giorno di immobilizzazione
dell’articolazione, non sentendo più dolore, non tiene più a riposo
l’articolazione e non permette la cicatrizzazione della lesione nella maniera
corretta, predisponendo alle recidive.
- Lussazioni abituali: sono le lussazioni che avvengono anche in seguito a
movimenti fisiologici; possono essere dovute ad un errato trattamento di una
lussazione o delle sue recidive che porta ad una sclerosi dei margini di
lesione.
- Lussazioni congenite: ad es. la lussazione dell’anca, ginocchio, gomito.
CLINICA:
Gli elementi clinici che suggeriscono la presenza di una lussazione sono:
- Variazione del profilo anatomico (nella scapolo-omerale abbiamo il segno
della “spalletta” per la perdita della convessità deltoidea);
- Dolore articolare: spontaneo e acutissimo, talvolta irradiato per compressione
dei tronchi nervosi;
- Atteggiamento coatto dell’arto (posizione classica del pz con spalla lussata è:
arto addotto, gomito flesso e l’altro arto che lo sostiene): spesso si
accompagna ad una contrattura di difesa della muscolatura che impedisce la
riduzione della lussazione se non dopo sedazione/anestesia;
- Impotenza funzionale assoluta.
- Possibile coinvolgimento vascolare.
Immediatamente o tardivamente all’evento possono insorgere alcune complicanze:
1. Tra le complicanze immediate abbiamo la lesione delle strutture vicine
all’articolazione interessata, specialmente se c’è una frattura (Nel caso della
frattura-lussazione dell’anca ci può essere un interessamento del nervo
sciatico mentre in caso di lussazione-frattura gleno-omerali può essere
interessato il nervo ascellare).
2. Le complicanze tardive sono dovute soprattutto a fenomeni ischemici
post-traumatici con necrosi delle epifisi lussate come nel caso dell’anca. Altra
complicanza tardiva è la recidiva di lussazione conseguente ad instabilità
articolare.
DIAGNOSI:
E’ principalmente clinica dato il quadro eclatante. L’RX nelle due proiezioni standard
permette di confermare la diagnosi e di escludere la presenza di fratture.
La TC e RM sono indagini di secondo livello. La RM è essenziale per la valutazione
degli esiti.
TERAPIA:
INCRUENTA: consiste nella riduzione della lussazione con riposizionamento dei capi
articolari (attraverso una manovra contraria a quella che ha determinato la
lussazione), previa anestesia generale o plessica per ridurre la contrazione di difesa
e il dolore, seguita dall’immobilizzazione con bendaggi molli o gessati in maniera da
sostenere la rigenerazione dei tessuti molli nella corretta posizione (in alcuni casi si
deve intervenire chirurgicamente per ricostruire i legamenti).
Dopo la riduzione è sempre bene eseguire:
- esame neurovascolare
- RX di controllo
- follow-up
CRUENTA: nel caso di lussazione recidivanti o irriducibili, con plastica ricostruttiva
dell’apparato capsulo-legamentoso e “tightrope” articolare.
Dopo 4-5 settimane si inizia la riabilitazione, il lavoro in acqua è molto utile nei primi
periodi data l’assenza di gravità.
LUSSAZIONE GLENO OMERALE:
E’ il tipo di lussazione più frequente nell’adulto. Viene classificata in: ANTERIORE
(95%), INFERIORE (luxatio erecta, 1%), SUPERIORE, POSTERIORE (3-4%).
Viene trattata in modo incruento, quando possibile, seguendo un protocollo
riabilitativo ben preciso che comprende:
- 1-3 settimana:
a. l’immobilizzazione del braccio in adduzione con gomito flesso
b. l’esecuzione di esercizi di mobilità e forza di dita e polso
- 4-5 settimana:
a. movimenti pendolari
b. stretching assistito
c. esercizi in acqua
d. mobilizzazione scapolo-omerale
- 6-8 settimana:
a. rinforzo muscolare selettivo
b. stretching della capsula
- 9 settimana:
a. ginnastica propriocettiva a muro e su superfici instabili
- 10 settimana:
a. ripresa graduale dell’attività fisica
LUSSAZIONE ACROMION CLAVICOLARE:
Rappresenta il 12% dei casi di lussazione di spalla.
Viene classificata secondo Rockwood in 6 tipi:
1. stiramento del legamento acromion-clavicolare (AC)
2. danno del legamento acromion-clavicolare e stiramento dei legamenti
coraco-clavicolari (CC)
3. danno dei legamenti AC, CC e della fascia deltopettorale, all’RX si nota un
distanziamento degli ossi in articolazione tra loro
4. danno dei legamenti AC, CC, della fascia deltopettorale, dislocazione
posteriore della clavicola, aumento della normale distanza all’RX della
regione coraco-clavicolare
5. danno dei legamenti AC, CC, della fascia deltopettorale e aumento della
normale distanza all’RX della regione corcaco-clavicolare
6. danno dei legamenti AC, CC, della fascia deltopettorale, dislocazione
inferiore della clavicola e diminuzione della normale distanza RX della
regione coraco-clavicolare
Il trattamento conservativo prevede l’immobilizzazione del braccio con tutore e
pressore (del tipo 1 e 2). Trattamento del tipo 3 controverso, mentre il trattamento
chirurgico è necessario dal 4 tipo in poi.
LUSSAZIONE OMERO ULNARE:
Più frequente nella popolazione tra 5 e 15 anni. E’ caratterizzata da:
- accorciamento dell’avambraccio
- palpazione della troclea omerale lussata in avanti sul braccio
Viene trattata tramite riduzione manuale ed immobilizzazione.
LUSSAZIONE INTERFALANGEA:
Caratterizzata da:
- dolore localizzato
- deformità aticolare
- riduzione o perdita della sensibilità
Vengono trattate con riduzione manuale con trazione ed immobilizzazione.

DISTACCHI EPIFISARI E FRATTURE


5. DISTACCHI EPIFISARI: sono lesioni traumatiche tipiche dell’infanzia e
dell’adolescenza (30% delle fratture pediatriche) che interessano le cartilagini di
accrescimento presenti tra epifisi e diafisi; Più spesso si verificano per trauma
indiretto soprattutto nei bambini di sesso maschile (per la maggiore attitudine
all’attività fisica, rapporto 2:1).
Le sedi più frequenti sono:
- le epifisi prossimali di radio e ulna (42%),
- le epifisi delle ossa della mano (33%),
- le epifisi distali della tibia o del perone (15%),
- l’epifisi prossimale dell’omero (5%).
La cartilagine di accrescimento è deputata alla crescita dell'epifisi sul versante
diafisario. La parte ossificata della cartilagine è detta metafisi.
È formata da 3 strati che sono:
1. strato in proliferazione (condrociti in vari strati di maturazione)
2. strato di cartilagine matura (condrociti ipertrofici ed incolonnati produttori di
fosfatasi alcalina, richiamano dal sangue ioni calcio)
3. strato calcificato (cartilagine maturata in vero e proprio osso)
Dalla parte epifisaria, i nuclei epifisari aiutano ad assicurare la formazione di osso a
partire dai nuclei cartilaginei.
I distacchi epifisari vengono classificati in PURI e MISTI a seconda che vi sia
coinvolgimento anche della metafisi o del nucleo epifisario.
La classificazione più utilizzata nella pratica clinica quotidiana è quella di Salter
Harris che suddivide i distacchi in 5 tipi:
1. Tipo 1: puro completo. L’interruzione decorre esclusivamente nel disco
cartilagineo.
2. Tipo 2: la più frequente in assoluto, parte dal disco cartilagineo e termina
nella metafisi.
3. Tipo 3: l’interruzione interessa il disco cartilagineo e il nucleo epifisario.
4. Tipo 4: l’interruzione interessa il disco cartilagineo, la metafisi e il nucleo
epifisario;
5. Tipo 5: schiacciamento dello strato basale della cartilagine di accrescimento
con compromissione metafisaria e/o epifisaria.
I primi 2 tipi hanno buona prognosi se l’intervento è tempestivo.
Negli altri 3 tipi possono manifestarsi importanti deformità anche dopo idoneo
trattamento.
La prognosi dipende anche dall’età del pz: se il distacco avviene quasi al termine
dello sviluppo, il danno sarà limitato; se avviene in età precoce il danno sarà più
grave.
CLINICA:
La sintomatologia è identica alle fratture dell’adulto: edema, tumefazione, dolore,
impotenza funzionale e alterazione del normale profilo anatomico.
DIAGNOSI:
Si eseguono: RX, TC e RM per visualizzare al meglio il disco cartilagineo, i tessuti
molli e l’edema della zona interessata.
TERAPIA:
INCRUENTA: riduzione ed immobilizzazione dell’arto.
CRUENTA: intervento chirurgico con utilizzo di fili di Kirschner (particolarmente adatti
in queste sedi delicate, diametro < 2 mm), mantenuti in sede per 4 settimane e
rimossi previa verifica RX sullo stato di guarigione della regione. Eseguiamo un
follow-up a 1, 2, 3, 6 e 12 mesi.
6. FRATTURE: sono interruzioni della continuità di un osso, causate da
ipersollecitazioni meccaniche (traumi) che superano il limite di elasticità e resistenza
dell’osso, fratture traumatiche. Il trauma che può provocare una frattura
traumatica può essere:
- Diretto: l’osso si frattura in corrispondenza del punto in cui viene
applicata la forza;
- Indiretto: l’osso si frattura a distanza dal punto di applicazione della forza
traumatizzante, nel punto in cui scarica la forza:
a. Per flessione;
b. Per torsione: nei traumi distorsivi ad es. quando la forza non si
scarica sull’articolazione ma sull’osso;
c. Per trauma assiale: a loro volta possono essere:
i. da compressione
ii. da trazione
d. Miste: quando più meccanismi lesivi concorrono a determinare la
frattura;
Si parla invece di fratture patologiche quando si producono spontaneamente o a
seguito di traumi minimi. Questo può avvenire in caso di osteoporosi o di neoplasie
dell’osso primitive e secondarie. Si parla infine di fratture chirurgiche se
l’interruzione della continuità ossea viene provocata per correggere una deformità
scheletrica.
In base all’interessamento anatomico possiamo avere fratture:
- Bilaterali;
- Unilaterali;
- Multiple;
In base all’interessamento articolare dobbiamo distinguere tra:
- Fratture articolari: coinvolgono in genere le epifisi (o le metafisi)
Si dividono in:
- PARZIALI: superficie articolare interrotta ma non completamente
separata dalla diafisi.
- TOTALI: superficie articolare interrotta e completamente separata
dalla diafisi.
- Fratture extra-articolari: la rima della frattura non interessa in alcun modo la
superficie articolare, ma può essere intracapsulare.
In base alla porzione di osso interessata si classificano a loro volta
topograficamente in:
- Epifisarie: coinvolgono la porzione articolare
- Diafisarie: interessano il terzo medio dell’osso
- Metafisarie: coinvolgono la zona di sostegno dell’epifisi
In base all’entità del danno, la frattura può essere:
- INCOMPLETA: interruzione parziale della continuità di un osso, una sola
corticale è interrotta. Può essere:
a. Sottoperiostea
b. A legno verde
c. Infossata
d. Infrazione (riguarda solo la corticale)
- COMPLETA: interruzione totale della continuità ossea, con rottura di tutte e 2
le corticali. Queste possono essere, in base ai monconi ossei formatisi:
- SEMPLICI: interruzione circonferenziale unica della diafisi o della
metafisi. C’è 1 rima con 2 monconi ossei:
1. Parcellari (distacco di un piccolo frammento osseo);
2. Trasversali;
3. Oblique;
4. Spiroidi: quando ci si avvolge su sé stessi come quando resta
il piede incarcerato mentre si corre.
- PLURIFRAMMENTARIE: con uno o più frammenti intermedi
completamente separati:
1. BIFOCALI: ci sono 2 rime che non convergono, con 3 monconi
ossei;
2. COMPLESSE: ci sono 2 o più rime confluenti, con 2 monconi
e 1-3 frammenti;
3. COMMINUTE: plurime rime confluenti con formazione di più di
3 frammenti.
In base allo spostamento dei frammenti, le fratture complete, vengono
distinte in:
- COMPOSTE: non si ha spostamento dei monconi ossei;
- SCOMPOSTE: si ha spostamento dei monconi ossei a causa
dell’azione dei muscoli.
In base allo spostamento dovuto alla direzione del trauma e alle
trazioni muscolari, le fratture scomposte, possono essere:
a. Ad Latus: l’asse longitudinale è più o meno conservato ma i
due monconi sono spostati l’uno rispetto all’altro;
b. Ad Longitudinem: i 2 monconi ossei sono sovrapposti lungo
lo stesso asse; a volte sono sovrapposti talmente bene che in
una Rx antero-post non si vede la frattura → bisogna fare una
Rx in proiezione laterale;
c. Ad Axim: i frammenti vengono a formare delle angolature che
di solito sono angolature in varo o in valgo; il ginocchio
spostato verso l’esterno indica una frattura in valgo;
d. Ad Periferiam: l’asse può essere conservato ma c’è una
rotazione di uno dei 2 frammenti.
Questi sono i 4 spostamenti elementari: difficilmente se ne trova uno
solo ma spesso si associano. Nelle fratture ad alta energia (ad es.
quelle da incidente motociclistico) si possono trovare tutti
contemporaneamente.
In base alla compromissione dei tessuti molli distinguiamo, nelle fratture
complete:
- Fratture CHIUSE: i frammenti della frattura rimangono chiusi dai
tessuti molli e all’esterno l’osso non si vede;
- Fratture ESPOSTE: c’è una soluzione di continuo con la cute e l’osso
esce fuori dai tessuti molli. Spesso è lo stesso moncone osseo a
causare lacerazione dei tessuti molli (l’osso che più frequentemente
dà luogo a fratture esposte è la tibia perché i tessuti molli antistanti
sono scarsi e non riescono a contenere i monconi).
Una frattura esposta è maggiormente correlata a lesioni vascolari e
nervore ed è una frattura contaminata che può andare incontro ad
infezioni più facilmente: in PS si somministra una terapia antibiotica
empirica e si esegue un lavaggio profondo della ferita per eliminare gli
eventuali corpi estranei.
Dobbiamo differenziare le fratture esposte in:
a. dall’interno verso l’esterno: frammenti della frattura che
perforano i comuni tegumenti da dentro in fuori. Sono fratture a
contaminazione limitata (solitamente di tipo ambientale);
b. dall’esterno all’interno: un agente vulnerante che taglia e
penetra nei tessuti molli raggiungendo l’osso. In questi casi è
necessaria terapia antibiotica più aggressiva e toilette
chirurgica.
Le fratture possono o meno essere associate a danno dei tessuti molli.
Classificazione di Gustilo Anderson:
1. trauma a bassa energia che causa un minimo danno dei tessuti molli o una
ferita di dimensioni inferiori al cm
2. trauma a media energia che causa danno dei tessuti molli e una ferita di
dimensioni comprese tra 1 e 10 cm
3. trauma ad alta energia che causa un ampia lacerazione dei tessuti molli ma
non espone i tessuti ossei, senza o con ampia perdita di sostanza: 3a. e 3b.,
3c. con lesioni vascolari e nervose che necessitano di riparazione per
garantire la sopravvivenza dell’arto
Classificazione di Olstem Tscherne:
- Fratture di GRADO 0: fratture non gravi con minimo danno tissutale,
generalmente causate da forze torsionali indirette
- Fratture di GRADO 1: fratture di moderata gravità associate ad abrasioni o
contusioni superficiali
- Fratture di GRADO 2: fratture gravi associate ad abrasioni profonde,
contusioni di cute e muscolo causate da un trauma diretto
- Fratture di GRADO 3: fratture gravi associate a contusioni estese, danni da
urto violento a muscoli sottostanti, avulsione sottocutanea o sindrome
compartimentale
CLINICA:
SINTOMI GENERALI:
- shock traumatico
- rialzo termico
- insonnia
- alterazioni del sistema GI (per irritazione del nervo vago)
- ipovolemia (per la perdita di sangue associata)
SINTOMI LOCALI:
- dolore intenso spontaneo ed accentuato alla digitopressione che può evocare
sensazione di crepitio e/o di rumori di scroscio (dovuti allo sfregamento dei
frammenti);
- movimento preternaturale dei monconi di frattura (mobilità innaturale);
- deformità locale;
- accorciamento dell’arto;
- ecchimosi e tumefazione delle parti molli;
- contrattura antalgica immediata: il dolore fa si che i pz contraendo i muscoli
provi a mantenere fermi i frammenti ossei e di evitare i piccoli movimenti che
causano la sintomatologia dolorosa locale;
- impotenza funzionale.
Tra questi sono definiti segni di certezza: il crepitio e la mobilità innaturale.
DIAGNOSI:
Nel sospetto di frattura dobbiamo fare immediatamente un RX (dà diagnosi di
certezza nel 98% dei casi), nelle 3 proiezioni standard (AP, LL ed obliqua).
Una TC o una RM vengono riservati nei casi in cui si voglia definire bene le situazioni
anatomiche della frattura. Le fratture più frequentemente soggette a TC sono le
fratture vertebrali (per vedere se c’è coinvolgimento del canale spinale), le fratture
del bacino e le fratture articolari (per vedere se c’è un coinvolgimento vascolare o
nervoso e per il planning operatorio).
La RM va utilizzata fondamentalmente nelle “fratture da impatto” che non si vedono
alla RX o alla TC.
La scintigrafia si riserva alle fratture patologiche per neoplasie ossee così come la
biopsia.
EVOLUZIONE:
Nel tessuto osseo la perdita di sostanza o di continuità dovuta ad una frattura viene
riparata mediante formazione di tessuto osseo. La guarigione consta di 3 fasi:
- 1° fase: infiammatoria. Subito dopo il trauma si ha la formazione di un
versamento ematico (ematoma). Il coagulo di fibrina fornisce la matrice per
l’angiogenesi e la cicatrizzazione. Le piastrine rilasciano numerosi fattori di
crescita e citochine che richiamano macrofagi (che iniziano a rimuovere il
coagulo e il tessuto osseo necrotico) e che stimolano la proliferazione
fibroblastica con conseguente sintesi di collagene che porta alla formazione
del callo fibroso o callo iniziale nell’arco di circa 3 settimane.
- 2° fase: riparativa. Le cellule mesenchimali si differenziano in osteoblasti
che producono matrice extracellulare ossea, il callo fibroso si mineralizza e si
forma il callo osseo; è la fase della consolidazione che ha durata diversa a
seconda dei distretti.
- 3° fase: rimodellamento. L’osso del callo osseo è immaturo, più fragile, con
un’architettura diversa dal normale per questo motivo osteoclasti e osteoblasti
danno luogo a processi di rimodellamento che possono durare mesi se non
anni dall’episodio di frattura.
COMPLICANZE:
Le complicanze di una frattura si distinguono in immediate, precoci e tardive, locali e
generali.
Le complicanze immediate si presentano già con la frattura, le precoci subito dopo la
frattura, le tardive a distanza dalla frattura.
Tra le complicanze generali abbiamo:
- Immediate:
1. shock traumatico,
2. shock emorragico,
3. shock ischemico,
4. stupor neurologico.
- Precoci:
1. embolia adiposa,
2. tromboembolia,
3. embolia polmonare.
- Tardive:
1. polmonite,
2. ARDS,
3. piaghe da decubito.
Tra le complicanze locali abbiamo:
- Immediate:
1. esposizione della frattura,
2. lussazione dell’arto,
3. lesioni vascolari, nervose o viscerali;
- Precoci:
1. infezione del focolaio di frattura (osteomielite);
2. sindrome di Volkmann: sindrome mista nervosa-vascolare (paralisi
ed ischemia meccanica) che si può instaurare in alcuni distretti in cui
non vi sono cavità in cui può riversarsi l’ematoma. Comunemente è
causata da una lesione sovracondiloidea dell’omero e si manifesta
con mano ad artiglio che rende l’estensione passiva delle dita limitata
e dolorosa;
3. sindrome Compartimentale: sofferenza tissutale causata da una
tumefazione del muscolo leso all'interno di un involucro costrittivo
(stecca, gesso, fasciatura o muscolo stesso) che determina un
aumento della pressione tissutale e una diminuzione della perfusione
sanguigna con conseguente ischemizzazione e necrosi dell’arto.
Fondamentale la diagnosi precoce e per questo può aiutarci la
presenza di dolore acuto, scomparsa dei polsi, scomparsa della
sensibilità. Il trattamento in urgenza prevede la fasciotomia con la
produzione di diverse incisioni verticali che verranno ricucite in un
secondo momento:
- Tardive:
1. pseudoartrosi: è un disturbo di consolidazione con formazione di una
falsa articolazione che tra i 2 monconi ossei che a causa della
mancata consolidazione restano mobili. Si verifica dopo 6 mesi dalla
frattura, altrimenti si parla di ritardo di consolidazione. Può essere di 2
tipi:
- Ipertrofica: la causa di pseudoartrosi è MECCANICA, cioè la
frattura non è stata ben immobilizzata, e si produce tanto callo
fibroso che non si riesce a trasformare in callo osseo a causa
dei movimenti.
- Atrofica: la causa di pseudoartrosi è BIOLOGICA cioè è
mancato l’apporto biologico dell’ematoma di frattura che
normalmente da inizio alla guarigione o perché la frattura è
esposta o perché è stato aspirato chirurgicamente.
In entrambi i casi bisogna intervenire (magnetoterapia, onde d’urto
oppure nuovamente chirurgia) sia per ristabilire la giusta meccanica
sia per stimolare il processo biologico di guarigione.
2. necrosi asettica (nei distretti poco irrorati come l’astragalo e lo
scafoide),
3. artrosi post-traumatica,
4. rigidità articolare,
5. complicanze nervose,
6. osteodistrofia post-traumatica di Sudek: osteoporosi locale tipica
delle fratture del polso o del piede che si manifesta con dolore, spesso
molto forte ("brucia" o "rode"), limitazione dei movimenti e altri segni e
sintomi che sembrerebbero indicare una componente vasomotoria
(gonfiore, rossore anche screziato o a chiazze, oppure colore
grigiastro della pelle, alterazioni della temperatura locale, atrofia dei
tessuti).
TERAPIA:
1. Riduzione: cioè riportare i due frammenti a contatto e ricostruire la normale
anatomia scheletrica. La riduzione può essere:
- Incruenta:
a. Rapida ed Estemporanea ottenuta con manovre manuali,
viene effettuata in tutti i casi in cui sono interessate delle ossa
piccole (il polso ad es.) o nei bambini.
b. Continua e Graduale ottenuta con trazione trans-scheletrica o
trazione a pelle (ad es. nelle gambe, a causa dell’importante
componente muscolare che impedisce la riduzione manuale,
immediata, si usano fissatori esterni, cerotti, fili e pesi, viti e
staffe).
- Cruenta:
a. Riduzione Chirurgica
2. Immobilizzazione:
- Incruenta, con apparecchio gessato:
Le complicanze legate all’applicazione di apparecchio gessato sono:
1. Disturbi correlati alla presenza dell’app gessato: stasi venosa,
rigidità articolari, dermatiti da gesso, ipotrofie muscolari,
osteoporosi, turbe algo-distrofiche;
2. Disturbi correlati alla imperfetta confezione dell’app gessato:
piaghe da decubito, disturbi circolatori e nervosi. Il vantaggio è
il rispetto biologico del focolaio di frattura.
- Cruenta, con intervento chirurgico di stabilizzazione:
1. interna (endomidollare con chiodo endomidollare, o corticale
con placche e viti)
2. esterna (con fissatori e mezzi di sintesi che riducono la frattura
grazie a un apparato esterno)
L’intervento chirurgico diventa necessario in caso di:
- Fratture irriducibili
- Fratture sottoposte all’azione “diastasizzante” dei muscoli
- Complicanze nervose-vascolari
- Polifratturati
Complicanza temibile dell’immobilizzazione cruenta è l’infezione dei
fissatori, con formazione di biofilm batterico.
L’unico trattamento in questo caso è rimuovere il mezzo utilizzato,
sterilizzarlo e trattare la ferita con antibiotici.
3. Consolidamento e Guarigione: sono processi naturale che andiamo a favorire
con una corretta riduzione e immobilizzazione.
Bisogna, poi, durante il periodo di immobilità, scongiurare i rischi di trombosi venosa,
il rischio infettivo (respiratorie, negli anziani allettati), l’ipotrofia muscolare e la perdita
dello schema motorio.

Fratture dell'arto superiore:


Fratture della clavicola:
La clavicola è l’osso a forma di “S” italica che si articola anteriormente con lo sterno e
posteriormente con l’acromion scapolare.
EPIDEMIOLOGIA:
Le fratture della clavicola sono particolarmente frequenti in età infantile (15%) con un picco
di incidenza in epoca perinatale. Nell’adulto rappresentano il 5% delle fratture.
EZIOLOGIA:
Possono avvenire per un trauma diretto o indiretto (ad es. quando ci si protegge con la
mano estesa da una caduta) tipicamente in sportivi (sciisti e ciclisti) e motociclisti.
La rima di frattura tipicamente si localizza nel punto di sporgenza dell’osso dove le fibre
ossee si torcono e l’osso passa dall'essere triangolare a cilindrico (locus minoris
resistentiae).
CLINICA:
- DOLORE;
- impotenza funzionale;
- testa inclinata verso il lato affetto e braccio sorretto (i muscoli sternocleidomastoideo
e pettorale, che si inseriscono a livello clavicolare sono quelli responsabili del
movimento di testa ed arto superiore);
COMPLICANZE ACUTE:
- lesioni vascolari associate specialmente alle fratture mediali a carico di
carotide e arteria succlavia;
- lesioni nervose con neuroaprassia del nervo brachiale;
- DISPNEA (pneumotorace se uno dei frammenti ossei buca la pleura);
- se il frammento superiore è acuminato può esporsi e lacerare la cute;
COMPLICANZE CRONICHE:
- pseudoartrosi
DIAGNOSI:
L’RX è più che sufficiente, e si esegue in anteroposteriore e tangenziale.
Le indagini di 2 livello (TC) servono solo nei politraumatizzati o per vedere se gli spuntoni
ossei hanno causato problemi ai distretti adiacenti o eventualmente se la clavicola si è
lussata.
La classificazione di ROBINSON e ALLMAN classifica i pz in 3 gruppi sulla base del
segmento clavicolare interessato dalla rima di rottura:
- Gruppo 1 terzo medio (al centro)
- Gruppo 2 terzo laterale (distalmente)
- Gruppo 3 terzo mediale (medialmente)
TERAPIA:
Per le fratture composte o lievemente scomposte, con accorciamento < 1,5 cm, il
trattamento è CONSERVATIVO con bendaggio a 8 (può limitare l'igiene o formare piaghe).
L’intervento CHIRURGICO si esegue se 1. ci sono lesioni dei tessuti molli, 2. è esposta,
irriducibile (> 20 mm) o comminuta, 3. se è presente un 3° frammento:
- filo di kirschner (si piega a “L” e si estrae a frattura guarita)
- mezzi di osteosintesi (placche e viti che, tuttavia, essendo solo sotto mezzo
centimetro di pelle potrebbero esporsi secondariamente)
Altre complicanze sono il danno estetico, la formazione di cheloidi, lesioni iatrogene vasculo
nervose.
Fratture del polso:
Le fratture del polso sono abbastanza frequenti 15% di tutte le lesioni scheletriche.
Riguardano più spesso le donne (4:1) e gli anziani. Si verificano dopo cadute casalinghe o
traumi a bassa energia visto che questo è uno dei siti più colpiti dall'osteoporosi. In giovani
adulti sono associati a traumi sportivi ad alta energia.
Distinguiamo fratture:
- TIPO 1: da flessione
- TIPO 2: da taglio
- TIPO 3: da compressione
- TIPO 4: da avulsione
- TIPO 5: combinata compressione e avulsione
In questi casi la TC è d'obbligo perché è una frattura articolare e la riduzione deve essere
più anatomica possibile.
DIAGNOSI:
1. FRATTURE DI COLLES: nasce per caduta sulla mano in compressione e
iperestensione diventa intrarticolare perché riguarda lo stiloide ulnare (che si sposta
in senso radio-dorsale).
Si manifesta all’RX come una deformità dalla forma caratteristica in LL a dorso di
forchetta, in AP a baionetta.
2. FRATTURA DI GOYRAND (o di Colles inversa): nasce per caduta con iperflessione
del polso, in questo caso avviene una ventralizzazione del frammento con deformità
a paletta in proiezione LL e a baionetta in anteriore. Una complicanza frequente a
seguito della frattura di Goyrand è la sindrome del tunnel carpale*.
3. FRATTURA DI HUTCHINSON: causata da una caduta con mano iperestesa e rivolta
verso l’esterno con il palmo in avanti, in questo caso lo stiloide radiale viene
coinvolto perché lo scafoide fa da mortaio ed essendo più debole strutturalmente si
frattura.
4. FRATTURA DI BARTON: frattura articolare del radio distale che si accompagna a
volte a dislocazione dell’articolazione radio-carpica. Si presenta in 2 pattern: Barton
classico, dorsale e Barton inverso, volare.
La classificazione AO distingue le fratture extrarticolari, le articolari parziali e le articolari
complete (A, B, C) in 3 sottogruppi:
- A1, B1, C1: con una rima di scomposizione;
- A2, B2, C2: con due rime di scomposizione;
- A3, B3, C3: tre rime di scomposizione, le più gravi.
Le fratture più stabili sono le extrarticolari composte o scomposte ma senza comminuzione
o le intrarticolari composte marginali.
Le intrarticolari scomposte e le pluriframmentarie intra ed extrarticolari sono considerate
instabili.
TERAPIA:
Nelle fratture stabili si può fare una riduzione incruenta con gesso brachio antibrachio
mano che viene mantenuto in sede per circa 6 mesi e controllato con follow-up radiografici.
Nelle instabili si fa una riduzione incruenta e poi a cielo chiuso o aperto si mettono dei
mezzi di sintesi. OGGI SI TENDE A OPERARE DI PIÙ, infatti, l'intervento è rapido e
l'osteosintesi dà una buona stabilità alla frattura e non c'è rischio di rigidità post
trattamento.
Si usano principalmente placche (accesso palmare in cui non si disturbano tanto i muscoli
flessori) o fili metallici e gesso brachio antibrachio mano.
La fissazione esterna, che si esegue mettendo in trazione il polso con "ligamento taxis", ha
indicazione nelle fratture instabili o dove hanno fallito gli altri metodi.
Le complicanze anche a seguito di trattamento sono:
- infezioni
- pseudoartrosi
- lesioni nervose
- rigidità alla fita
- sindrome del tunnel carpale
- osteodistrofia post traumatica di Sudek
Fratture del metacarpo:
FRATTURA DI ROLANDO: è la frattura della base del 1° metacarpo con linea di frattura
interarticolare a “Y” o “T”;
FRATTURA DI BENNETT: è la frattura della superficie articolare volare della base del
metacarpo, con lussazione dorso radiale. Va trattata chirurgicamente nella maggior parte dei
casi sintetizzando i frammenti ossei con mezzi di osteosintesi per evitare la comparsa
precoce di rizoartrosi.

Fratture dell'arto inferiore:


Fratture del collo del femore:
Le fratture PROSSIMALI del femore possono riguardare la testa, il collo e la regione
trocanterica (piccolo, grande trocantere e cresta intertrocanterica, sede di inserzione della
capsula) del femore.
Sono un'evenienza che incide sempre più, ed ha una certa importanza sociale,
specialmente per la popolazione anziana, che necessita di ospedalizzazione (mentre sono
rare nei giovani, dove avvengono solo in seguito a traumi ad altissima energia) e in cui la
mortalità è abbastanza elevata per le tante comorbidità (IRC, insufficienza respiratoria,
cardiomiopatie, ecc.) che, nel momento in cui avviene uno shock traumatico da frattura, si
aggravano e portano dal 10 al 36% di questi pazienti a morte (entro 1 anno dall’evento).
Il perché questa zona sia particolarmente soggetta a fratture e come mai le fratture di questa
zona siano particolarmente gravi trova risposta:
1. nell'anatomia dei fasci ossei che rendono stabile e resistente questa zona (cefalico,
trocanterico e arciforme) ma che, tuttavia, lasciano una zona di debolezza (area di
WARD) triangolare nella loro intersezione
2. nell'anatomia vascolare del femore prossimale che è di tipo TERMINO-TERMINALE:
l'arteria circonflessa laterale (che rischia di essere obliterata proprio per lo stress
mobile) in seguito a frattura causa un altissimo rischio di necrosi della testa del
femore, se la frattura lede la cresta intertrocanterica (ZONA LIMITE) al di sotto di cui
l’arteria circonflessa mediale garantisce un miglior apporto di sangue che verrebbe
così a mancare.
Le fratture mediali sono quelle che riguardano la testa del femore, le laterali quelle che
riguardano i trocanteri o le porzioni inferiori.
Questa distinzione è importante perché la frattura laterale è molto più facilmente curabile
rispetto ad una frattura mediale che ha capacità di rigenerazione solo se i vasi sono indenni
o se si possono rigenerare.
Le fratture mediali possono essere intracapsulari o extracapsulari (la capsula è rinforzata dai
3 legamenti ischio ileo e pubofemorale).
La diagnosi si basa sulla radiografia (90% dei casi è sufficiente per porre diagnosi)
valutando le proiezioni anteriore e assiale per fare diagnosi di frattura mediale, laterale o
sottotrocanterica.
I fattori di rischio vengono divisi in:
MODIFICABILI:
- malnutrizione (deficit di Vit D e Ca)
- fumo
- abuso di alcol
- corticosteroidi
- stile di vita sedentario
NON MODIFICABILI:
- il sesso femminile,
- l'età > 65,
- diminuzione della concentrazione di estrogeni,
- anamnesi positiva per fratture,
- razza caucasica o asiatica;
FRATTURA MEDIALE
EZIOLOGIA:
Sono fratture tipiche dei pz osteoporotici e in genere meno frequenti di quelle laterali,
possono nascere dopo una banale caduta (traumi a bassa energia) o in un soggetto giovane
per traumi ad alta energia (incidente stradale).
CLINICA:
I segni clinici sono modesti:
- dolore leggero a livello inguinale,
- zoppia con lieve accorciamento e rotazione esterna dell'arto fratturato (la capsula
mantiene in linea di massima le lunghezze).
DIAGNOSI:
La TC puo farci vedere fratture ingranate, ma sull'RX basiamo la diagnosi e tutte le
classificazioni:
- Classificazione TOPOGRAFICA:
a. sottocapitata;
b. basicervicale (è una frattura il cui margine scorre lungo la linea di inserzione
capsulare, biologicamente è più attiva e responsiva rispetto alle altre, perchè
la vascolarizzazione della testa, anche se ridotta viene mantenuta);
c. transcervicale obliqua o orizzontale (può causare varismo dell’anca);
- Classificazione DI GARDEN (PROGNOSTICA):
I. GRADO: frattura incompleta
II. GRADO: frattura completa composta o ingranata
III. GRADO: frattura completa con parziale scomposizione
IV. GRADO: frattura completa scomposta
Una frattura ingranata è più probabile che abbia mantenuto una vascolarizzazione,
così come una frattura composta in generale rispetto ad una scomposta ha migliori
possibilità di guarigione perché più STABILE (vs. INSTABILE). Per cui la
classificazione distinguendo i IV GRADI, permette di scegliere un trattamento
chirurgico più o meno conservativo (se il nostro paziente è giovane si può comunque
tentare di conservare la testa in prima istanza).
- Classificazione DI PAUWELS: in base all’obliquità della rima di fratture rispetto alla
testa del femore definisce 3 gradi crescenti che indicano un rischio crescente di
evoluzione pseudoartrosica della frattura:
1. Tipo 1: obliquità tra 0° e 30°
2. Tipo 2: obliquità tra 30° e 50°
3. Tipo 3: obliquità > 70°
TERAPIA:
Il trattamento incruento non ha razionale, l'80% dei malati morirebbe senza possibilità di
guarigione. Per questo si esegue entro le 48 ore l’intervento chirurgico, per diminuire al
massimo l'immobilizzazione, evitare le infezioni, TVP, piaghe e pseudoartrosi.
Nei tempi più rapidi possibili si fa una chirurgia conservativa o sostitutiva:
CONSERVATIVA: nei pz giovani con GARDEN I o II;
- osteosintesi con viti cannulate (2 o 3 viti incrociate);
SOSTITUTIVA: nei pz anziani con PAUWELS II e III o GARDEN III o IV;
- artroprotesi totale per i pz più giovani (oltre a protesizzare la testa del femore, si
mette una coppa all'interno dell'acetabolo in modo che non venga usurato
velocemente dalla testa metallica);
- endoprotesi in cui si sostituisce solo la testa del femore che si articola direttamente
con l'acetabolo;
Gli accessi preferiti sono l'antero-laterale o il laterale al massimo, escludendo l’approccio
posteriore per preservare i muscoli glutei, importanti per contenere la protesi ed evitare
lussazioni.
FRATTURE LATERALI
EZIOLOGIA:
Sono fratture extracapsulari molto più frequenti delle mediali, che possono seguire ad un
trauma diretto che agisce sulla regione trocanterica o un trauma indiretto con torsione
dell’anca flessa. L’INDICE DI SINGH è solitamente < 3: si tratta di un indice che valuta
l’integrità articolare (da 1 a 6), anche se le fratture laterali potrebbero nascere anche come
fratture patologiche con gli stessi fattori di rischio delle mediali, sono più spesso traumatiche.
La prognosi è migliore per tutti i fattori biologici che riguardano la vascolarizzazione e
la posizione extracapsulare, infatti sono anche pazienti che anemizzano perché c'è
spandimento emorragico.
CLINICA:
I segni clinici invece sono molto evidenti:
- arto molto accorciato con imponente abduzione
- impotenza assoluta
La classificazione TOPOGRAFICA divide le fratture laterali in:
- intertrocanterica;
- sottotrocanterica;
- pertrocanterica (più comune);
- frattura isolata del grande trocantere (nelle donne osteoporotiche o in seguito ad una
brusca trazione dei tendini dei muscoli abduttori dell’anca, che qui si inseriscono);
La classificazione DI EVANS JENSEN: valuta le fratture instabili o le stabili e la
scomposizione della rima di frattura si ha anche per la forza dei muscoli che ritraggono il
pezzo osseo;
La classificazione DI SEINS MAIER: valuta il tipo meccanico e biologico;
DIAGNOSI:
Si fa con un RX che è dirimente.
TERAPIA:
Il trattamento è chirurgico CONSERVATIVO con chiodi endomidollari:
- si fa una piccola incisione al di sopra del grande trocantere,
- si entra nel canale midollare dopo aver ridotto la frattura,
- si fresa il canale e con una guida entra il chiodo,
- poi c'è la possibilità di inserire altre viti di bloccaggio (distalmente e prossimalmente).
Le complicanze possono comunque esserci e riguardano di solito:
- la rottura dei mezzi di sintesi,
- infezioni,
- ritardo di consolidazione (se supera i 6 mesi, pseudoartrosi),
- osteonecrosi,
- frattura della diafisi femorale,
- dolore,
- artrosi post-traumatica.
Fratture di ROTULA:
La rotula è il più grande osso sesamoide del corpo, situato nel contesto del muscolo
quadricipite per cui tutti e 4 i fasci del quadricipite si legano ad essa (tramite l’espansione
della fascia lata, i legamenti collaterali mediale e laterale e il legamento femoro-rotuleo). Ha
una funzione di leva (o perno) nei confronti del muscolo quadricipite, potenziando il
movimento di estensione della gamba sulla coscia.
EPIDEMIOLOGIA:
La frattura di rotula non è molto frequente (1%) e il sesso maschile è quello più colpito, in età
giovanile.
EZIOLOGIA:
Si verifica per traumi diretti “da cruscotto” o indiretti sportivi.
CLINICA:
- dolore
- versamento importante sul ginocchio
DIAGNOSI:
RX e TC visto che si tratta di una frattura articolare.
All’RX comprendiamo se la frattura è:
- Distacco apicale
- Distacco osteocondrale
- Pluriframmentaria composta e scomposta
- Marginale
- Trasversale, più comune e grave associata a diastasi di 2-3 cm
- Verticale
TERAPIA:
Il trattamento CONSERVATIVO prevede l’utilizzo di un apparecchio gessato (mantenuto in
sede per 15 gg) e di un tutore (per mantenere in estensione l’articolazione per altri 30 gg) è
possibile nei casi in cui la diastasi sia minima (< 2-3 mm) o nelle fratture verticali.
Nei restanti casi si esegue il trattamento CHIRURGICO che deve sempre preservare il
legamento rotuleo e ristabilire l’integrità anatomica con cerchiaggio a tirante dinamico (si
possono eventualmente eliminare frammenti di rotula ma in questo caso si perde un 20-30%
di forza). Se la frattura è comminuta si esegue un cerchiaggio circonferenziale.
L’utilizzo di viti è solitamente esclusivo per le fratture sagittali.
Le complicanze dell’intervento chirurgico, sono:
- rischio di infezione
- rottura dei mezzi di sintesi
- secondo intervento per rimuovere i mezzi di osteosintesi
- rigidità articolare e l’algodistrofia
- pseudoartrosi
Fratture del PIATTO TIBIALE:
Sono fratture molto importanti perché sono spesso legate a protesizzazione si verificano a
seguito di traumi ad alta energia per cadute dall'alto o per traumi diretti sul ginocchio.
La classificazione di Schatzker, divide le fratture prossimali della tibia in 6 tipi in ordine di
gravità:
- 1° tipo: fissurazione semplice laterale
- 2° tipo: fissurazione semplice associata ad affossamento laterale
- 3° tipo: affossamento laterale
- 4° tipo: lesione mediali (più gravi perchè determinano varismo e dà esiti più
invalidanti).
- 5° tipo: bicondilare
- 6° tipo: interessa anche la metafisi o la diafisi prossimale della tibia
CLINICA:
- ginocchio gonfio,
- lassità legamentosa,
- lesioni vascolo nervose,
- esposizione dei monconi ossei.
DIAGNOSI:
RX in AP ed LL, associata a TC, per il planning pre-operatorio.
TERAPIA:
Trazione transcheletrica a livello del calcagno a cui si collegano pesetti per la riduzione
graduale della frattura prima che il paziente si sottoponga all'intervento chirurgico di
osteosintesi.
- 1° tipo: si fissa il piatto tibiale con una vite
- 2° e 3° tipo: si rialza l'affossamento e si stabilizza la tibia con placche e viti
- 4° tipo: cambia il tipo di accesso, che è mediale, e si stabilizza la frattura con placca
e viti
- 5° tipo: si utilizza una doppia placca
- 6° tipo: oltre all'utilizzo di placca e viti si possono usare fissatori esterni
Dopo la chirurgia ci sarà un periodo di riposo che permetterà la corretta guarigione della
ferita chirurgica prima del trattamento riabilitativo.
Un'altra possibilità e l'esecuzione di un artroprotesi totale di ginocchio, nei casi più
catastrofici.
Fratture DIAFISARIE di TIBIA:
Le fratture diafisarie della tibia, essendo un osso poco coperto dai tessuti molli, facilmente si
espongono in seguito al trauma con interruzione della cute e contaminazione dei tessuti
(specialmente se il meccanismo si esposizione avviene dall'esterno verso l'interno).
EPIDEMIOLOGIA ED EZIOLOGIA:
Tra le ossa lunghe, la tibia si frattura di più nel sesso maschile tra i 20 e i 40 anni a causa di
traumi diretti come caduta dalla moto, dall'alto ecc o traumi indiretti a bassa energia con
fratture spiroidi o oblique lunghe.
CLINICA:
Le fratture tibiali diafisarie si classificano secondo Melis in 4 tipi, a seconda di quale sia la
zona in cui si produce il frammento:
1. interamente nel terzo prossimale
2. tra terzo medio e terzo distale
3. tra terzo prossimale e distale
4. interamente nel terzo medio
Ma la classificazioni più importanti sono:
- quella di Gustillo Anderson che in caso di fratture esposte divide 3 gradi di gravità
da una piccola lesion < 1 cm a perdita di sostanza ossea, cutanea e muscolare in
cui, nella forma più grave si ha associata lesione nervosa e vascolare.
- quella di Ostern Tscherne per cui, anche se c'è cute integra, il trauma può avere
dato comunque una grave lesione vascolare, nervosa con necrosi e colliquazione dei
tessuti. In caso di gravi lesioni non esposte può verificarsi la sindrome
compartimentale: gli ematomi che non escono all'esterno comprimono vasi e nervi
determinano necrosi e danni spesso irreversibili.
DIAGNOSI:
All’esame obiettivo si valuta:
- se ci sono sensibilità tattile, termica e dolorifica
- se c’è polso periferico
Un esame RX standard basta per la frattura di tibia.
Ma, se non sentiamo il polso l’angioTC è mandatoria.
TERAPIA:
Il trattamento può essere CONSERVATIVO:
- apparecchio gessato (se la frattura è ridotta e stabile, altrimenti, essendo che il
gesso ha effetto antiedemigeno, potrebbe favorire il peggioramento della frattura).
- riduzione incruenta che ci mette al riparo dagli spostamenti secondari a pelle o
scheletrica (più usata, si fa con i trapani e si trae l’osso con filo staffa e pesetti).
Il trattamento CHIRURGICO:
- chiodo midollare (GOLD STANDARD): può essere inserito da sopra o da sotto. Al
perone si mette un chiodino endomidollare di Rush (spesso il perone è indenne ma
può essere indotta una osteotomia per non ostacolare la collimazione degli elementi
tibiali).
- fissatori esterni (nei politraumatizzati, nei casi di lesioni ai tessuti molli specie se la
frattura è infetta o potenzialmente infetta), possono rappresentare o un trattamento
definitivo o essere uno step prima del trattamento di sintesi interna, infatti il fissatore
non assicura una ricostruzione anatomica, ma solo una ricostruzione funzionale.
Quando si usano fissatori esterni bisogna controllare almeno ogni settimana che non
insorgano complicanze, fistole, ecc.

DEVIAZIONI ASSIALI: anca e ginocchio


Sono deformazioni caratterizzate da una variazione dell’angolo di inclinazione del collo
femorale ANGOLO CERVICO-DIAFISARIO (formato dall’asse cervicale del femore e
dall’asse della diafisi femorale).
L’angolo cervico-diafisario varia fisiologicamente con l’età e tra i 2 sessi:
- Nel bambino appena nato, l’angolo cervico-diafisario è di circa 150°;
- Nel bambino 8-10 anni è di circa 135°-145°;
- Nell’adulto è circa 127°;
- Nell’età senile ha un’ampiezza di circa 110°-120°;
L’angolo di antiversione, detto anche angolo di declinazione è l’angolo compreso tra l’asse
longitudinale del collo del femore e l’asse passante per i condili femorali. L’angolo di
antiversione misura:
- 30-40° nel neonato;
- 15-20° nel bambino;
- 12-15° nell’adulto.
È un angolo importante perché la sua variazione influisce sulla deambulazione.
COXA VALGA
La coxa valga è una deformità causata dall’aumento dell’angolo cervico-femorale > 136°
nel giovane adulto che porta a verticalizzazione del femore.
Questo comporta una inadeguata posizione della testa del femore all’interno dell’acetabolo,
una sollecitazione abnorme da parte dei carichi e infine un’artrosi precoce.
Possiamo classificare la coxa valga in:
- Congenita:
a. Semplice: è dovuta ad un arresto del processo fisiologico di varizzazione del
collo del femore;
b. Antiversa: all’aumento dell’angolo di inclinazione si accompagna un aumento
dell’angolo di declinazione;
c. Sublussante: la testa tende a fuoriuscire dal proprio alloggiamento;
d. Lussante: la testa del femore ha completamente perso il rapporto con
l’acetabolo;
Sia la lussante che la sublussante sono esiti di DCA (displasia congenita dell’anca).
- Acquisita:
a. Statica: da alterata distribuzione dei carichi;
b. Dinamica: da squilibri muscolari;
CLINICA:
Il pz si presenta con l’arto in atteggiamento di abduzione e intra-rotazione,
deambulazione dondolate tipo “marinaio”, si può avere dolore all’anca (coxalgia) che si
irradia al ginocchio.
DIAGNOSI:
Il segno di Galeazzi, o di Allis, suggerisce una lussazione congenita dell'anca o un
accorciamento del femore. Si individua tramite l'asimmetria delle ginocchia osservando il
paziente in posizione supina su una superficie piatta con le ginocchia stesse a 90°. In un
paziente con coxa valga le ginocchia avranno altezze differenti (segno di Galeazzi
positivo): quella più corta è l’anca patologica.
Oltre alla visita clinica, la diagnosi si avvale di metodiche di imaging, prima tra tutte l’RX
dell’arto inferiore.
TERAPIA:
Il trattamento nei casi di coxa valga sublussante o lussante è chirurgico con osteotomia di
centramento varizzante e derotante.
Nel caso di una coxa valga semplice o antiversa si può decidere di ritardare l’intervento
chirurgico, seguendo il paziente in controlli periodici.
COXA VARA
La coxa vara è una deformità caratterizzata da una diminuzione dell’angolo cervico-
femorale < 110-120° nel giovane adulto per cui il collo del femore va ad orizzontalizzarsi.
In relazione alla porzione del femore maggiormente interessata possiamo avere:
- Coxa vara trocanterica;
- Coxa vara cervicale;
- Coxa vara cefalica.
In base all’età d’insorgenza invece possiamo distinguere:
- Coxa vara congenita: dovuta all’assenza del collo del femore;
- Coxa vara dell’infanzia: può essere dovuta al rachitismo che porta a deformità a
clava del femore, alla verticalizzazione della cartilagine di coniugazione oppure alla
DCA, osteocondrosi, osteocondrodistrofia, traumi, infiammazioni, qui iniziano ad
agire le forze meccaniche.
- Coxa vara dell’adolescenza: la causa può essere l’epifisiolisi cioè l’improvvisa
mancanza di rapporti tra testa e collo del femore per via di un’anomala crescita del
piatto osseo (scivolamento che comporta modificazioni dell’anca);
- Coxa vara dell’adulto: può avvenire per modifiche dell’articolazione a seguito di
artrosi, di una patologia dell’infanzia, di fratture o di necrosi ischemica idiopatica della
testa del femore. La causa più frequente è quella traumatica.
CLINICA:
Il pz con coxa vara si presenta con gli arti extraruotati e flessi, con zoppia di caduta
(perché un arto è più corto dell’altro e quindi “cade” al suolo), dolore che si irradia al
ginocchio. La zoppia è determinata all’azione dei glutei e degli extrarotatori su un sistema
di assi modificato che comporta un braccio di leva alterato su cui non può applicare una
forza congrua.
DIAGNOSI:
Segno di Trendelemburg (o zoppia dell’anca): la deambulazione anomala si manifesta in
appoggio monopodalico (quando si è sull’arto affetto), ed è dovuta alla riduzione della forza
muscolare degli abduttori dell'anca (medio gluteo e piccolo gluteo) e/o da una lussazione
congenita dell'anca. Consiste in una caduta del bacino, controlaterale al lato della debolezza
nel momento in cui l’arto deficitario è nella fase di appoggio, dislocando il centro di gravità in
modo da far bilanciare il corpo sull'arto con un sostegno muscolare minimo a livello dell'anca
(segno di Trendelemburg positivo).
L’RX mostra una diminuizione dell’angolo di inclinazione, assenza del collo femorale,
aumento di spessore e verticalizzazione della cartilagine femorale. La caratteristica
radiologica è la “Y” rovesciata (l’RX non fa vedere la cartilagine di accrescimento e
l’articolazione assume questa forma).
Nella coxa vara rachitica possiamo vedere la forma a clava del collo del femore,
verticalizzazione della cartilagine di coniugazione, ipotrofia del nucleo di ossificazione
prossimale e, a seguito dell’azione continua di forze differenti, si può determinare uno
slargamento della metafisi e un’atrofia dell’epifisi.
TERAPIA:
Il trattamento della coxa vara varia a seconda del caso in questione:
- congenita: nei casi in cui si interviene precocemente si può effettuare una
immobilizzazione in abduzione massima fino alla completa ossificazione, altrimenti si
esegue una osteotomia valgizzante.
- infantile rachitica: l’approccio è più conservativo con divieto di carico e uso di tutori
associato ad integratori vitaminici.
- dell’adolescenza: epifisiodesi temporanea, intervento chirurgico in cui, con l'impianto
temporaneo di placche, si blocca l'accrescimento di metà della metafisi.
- dell’adulto: artroprotesi d’anca.
GINOCCHIO VARO E VALGO
Il ginocchio si definisce VARO quando femore e tibia non sono perfettamente allineati, ma
formano un angolo ottuso aperto medialmente, cioè verso l’altro ginocchio. Si caratterizza
per la presenza di uno spazio fra le ginocchia quando i malleoli si toccano.
E’ più frequente nell’uomo e solitamente corrisponde ad una deformità della tibia.
E’ presente in quasi tutti i neonati ed è dovuto alla posizione fetale. Si corregge
spontaneamente in genere nei primi mesi di vita anche se talvolta persiste fino a 2-3 anni.
Il ginocchio si definisce VALGO quando femore e tibia formano invece un angolo ottuso
aperto verso l’esterno e vi è uno spazio tra i malleoli.
Il ginocchio valgo è più frequente nella donna e solitamente si associa ad una deformità del
femore.
Compare dopo i primi passi del bambino e tende ad autocorreggersi entro i 5-6 anni.
La deformità del ginocchio in varo o in valgo può essere classificata in 3 gradi di severità:
1. lieve (fino a 10° di angolo femoro-tibiale),
2. moderata (10-20°),
3. grave (>20°).
EZIOLOGIA:
Si vedono a volte delle ginocchia marcatamente vare nel rachitismo, nella malattia di Blount,
o tibia vara. Diversi studi hanno inoltre dimostrato che la pratica di sport quali il calcio
durante l’adolescenza possono incrementare un Varo Costituzionale del Ginocchio.
Alcune infezioni (ad es. la rickettsiosi) o fratture possono determinare una deformità di
femore e tibia che portano ad un ginocchio varo o valgo.
CLINICA ED EVOLUZIONE:
Nell’adulto, il ginocchio VARO può favorire la comparsa di un’artrosi al ginocchio a causa del
sovraccarico del compartimento interno.
La deformità in VALGO invece, è solitamente meglio tollerata e può causare una
degenerazione in artrosi del compartimento esterno del ginocchio più tardivamente della
deformità in varo. Tuttavia, un ginocchio valgo può causare un malallineamento
dell’apparato estensore, che può favorire una degenerazione della cartilagine tra rotula e
femore (sindrome dolorosa rotulea o instabilità/lussazione della rotula).
TERAPIA:
se il bambino è sintomatico (dolore, fatica nel fare sport...) e la deformità è di grado severo
(distanza tra le ginocchia >15cm nel varo, distanza tra le caviglie >11cm nel ginocchio valgo)
possono essere indicati interventi che “indirizzano” la crescita del ginocchio del bambino.
Vanno chiaramente prima escluse altre cause “patologiche” di ginocchio varo o valgo
(infezioni, malattia di Blount…).
Nell’ADULTO un ginocchio varo o valgo andrebbe trattato solo se associato a sintomi.
L’intervento CONSERVATIVO prevede l’uso di tutori con una spinta correttiva nel senso
inverso della deformità o plantari o solette.
L'intervento CHIRURGICO è un intervento di OSTEOTOMIA CORRETTIVA DI GINOCCHIO,
tibiale o femorale. Un intervento che sposta il carico dalla porzione usurata dell’articolazione
verso la porzione sana, al fine di risolvere il dolore e gli altri sintomi dovuti al sovraccarico,
migliorare la funzionalità dell’articolazione.

DISPLASIA CONGENITA (EVOLUTIVA) DELL’ANCA


È un gruppo eterogeneo di affezioni che riguardano lo sviluppo e la morfologia
dell’articolazione coxo-femorale e causano alterazioni a carico della testa e dell’acetabolo e
delle strutture capsulo-legamentose di questo distretto, con conseguente dislocamento della
testa del femore dalla cavità acetabolare e perdita dei normali rapporti articolari.
EPIDEMIOLOGIA:
La DCA rappresenta il 73% delle deformità dello scheletro con un rapporto M:F di 1:6 nelle
forme meno gravi (nelle forme più gravi 1:1).
L'incidenza dell’incongruenza articolare è di 5-30 su 1000 nati vivi, quella dell’instabilità di
3 su 1000 nati vivi mentre quella della lussazione è di 1 su 1000 nati vivi.
L’anca sinistra è più frequentemente interessata (65% dei casi) rispetto alla destra, mentre
nel 20% dei casi l’affezione è bilaterale.
Spesso è associata ad altre deformità osteoarticolari, come: piede torto congenito (varietà
talo-valgo-pronato), agenesia dell’alluce e dita del piede, aplasia della tibia e altre deformità
multiple (causate da briglie amniotiche, ad esempio).
FISIOPATOLOGIA ED EZIOLOGIA:
Vi sono delle differenze anatomiche tra l’anca dell’adulto e quella del bambino:
- nell’adulto la testa è completamente accolta nella cavità acetabolare, è rinforzata da
elementi capsulari e legamentosi molto forti che solidarizzano la testa del femore con
la cavità acetabolare;
- nel bambino invece l'articolazione è meno robusta, il 50% del tessuto è cartilagineo
per cui le strutture contenitive sono meno forti; inoltre l’acetabolo è poco profondo e
presenta fibrocartilagine, per cui la testa del femore non è perfettamente accolta al
suo interno; infine, il collo del femore del bambino è più tozzo di quello dell’adulto,
tende al valgismo (l’angolo tra l’asse del collo del femore e l’asse della diafisi del
femore normalmente è 125/127°, in questi bambini è di 140° o più) e all’antiversione
(l’angolo di antiversione è quello che si forma tra l’asse cervicale e un piano
passante per i condili posteriori del femore, di solito misura 15°/18°, in questi bambini
misura 40° o più).
Tutti questi elementi portano ad un’instabilità parafisiologica.
E’ stata ipotizzata la genesi post-natale di questa patologia che per anni è stata
considerata congenita perché si è visto che c’è una notevole variabilità dell’incidenza tra le
diverse etnie, dovuta alle diverse tradizioni dei vari popoli: alcune popolazioni di nativi
americani Navajo, l’incidenza di questa patologia era molto alta (quasi di 80 casi su 1000
nati vivi).
Studiando le abitudini delle popolazioni è stato visto che gli indiani Navajo avevano
l’abitudine di fare crescere i propri neonati con le anche addotte ed estese.
In africa l’incidenza di DCA è praticamente assente, nelle popolazioni studiate (i Sami) le
abitudini prevedevano di tenere i bambini con le gambe abdotte e flesse.
L’eziologia è multifattoriale. Si riconoscono:
1. Fattori genetici, anche se non sono stati identificati i geni responsabili. Si ipotizza
che esistano poiché la patologia è più frequente nel sesso femminile e nei soggetti
con familiarità positiva.
2. Fattori meccanici, legati alla madre (utero bicorne, oligodramnios, polidramnios,
briglie amniotiche e presentazione podalica) o alla vita post natale (la posizione delle
anche addotte ed estese).
3. Fattori ormonali, gli estrogeni materni, la relaxina ed il progesterone, promuovono
l’instabilità dell’anca favorendo la lassità dei tessuti molli.
La teoria della displasia acetabolare afferma che la causa di DCA è un difetto a carico
della cartilagine acetabolare, meno resistente alle sollecitazioni meccaniche indotte dalla
testa femorale, per delle alterazioni microscopiche del collagene.
CLINICA:
Le diverse forme anatomo-cliniche della DCA, rappresentano in sequenza i gradi di gravità
della patologia, sono:
1. L’incongruenza articolare, in cui si rileva:
a. un aumento dei valori articolari di valgismo e antiversione dell’anca;
b. ipoplasia della testa del femore che però è di forma normale;
c. una retrazione della capsula anteriore e la lassità della capsula posteriore;
d. ipertrofia della cartilagine acetabolare a causa delle sollecitazioni
meccaniche, con la formazione del NEO LIMBUS;
e. modifiche microscopiche della forma e della disposizione dei condrociti, delle
caratteristiche biochimiche della matrice della cartilagine e dei proteoglicani,
in particolar modo nella porzione cartilaginea acetabolare.
2. La Pre-lussazione;
3. La Sublussazione:
a. maggiore antiversione e valgismo dell’anca;
b. testa del femore appiattita;
c. retrazione della capsula anteriore e lassità della capsula posteriore
accentuate;
d. iperplasia del pulvinar (tessuto fibro-adiposo intracapsulare), e del LIMBUS (il
cercine fibro-elastico che fascia la testa del femore rinforzando
l’articolazione);
e. ipertrofia del legamento rotondo (va dalla lamina quadrilatera della cavità
acetabolare al polo superiore della testa del femore);
f. inibizione dell’ossificazione endocondrale della porzione postero-superiore
della cartilagine acetabolare, dovuta ad iperpressione della testa femorale;
4. La Lussazione:
a. perdita del rapporto articolare con la risalita della testa del femore che diventa
sempre meno rotonda, meno coperta dai legamenti;
b. formazione di un nuovo acetabolo (doccia di migrazione);
c. strozzamento a clessidra della capsula da parte del tendine dell’ileopsoas;
d. l’acetabolo tende all’anchilosi per garantire una qualche
5. La Lussazione Inveterata:
a. formazione del neocotile a livello dell’ala iliaca;
b. alterazione morfologica della testa femorale
c. accorciamento degli adduttori e dell’ileopsoas
EVOLUZIONE:
Ad 1 anno dall’insorgenza della malattia, la testa del femore non è perfettamente inserita
nella cavità acetabolare, che la ricopre solo per metà. La distribuzione dei carichi non è
omogenea e questo, nel corso del tempo (a 25 anni), determina l’appiattimento della testa
femorale al suo polo superiore e la formazione di osteofiti, artrosi e infine anchilosi (a 65
anni).
DIAGNOSI:
La diagnosi è sia clinica che strumentale (screening ecografico, in sesta settimana che
riveste un ruolo più importante della radiografia, che non può essere effettuata prima del
sesto mese).
- Anamnesi: bisogna individuare i fattori di rischio:
1. Il sesso femminile (M:F è 1:5);
2. La presentazione podalica alla nascita;
3. Primiparità della madre;
4. La familiarità;
5. La lassità legamentosa e le anomalie del metabolismo del collagene e degli
estrogeni;
6. Patologie gestazionali;
7. Malformazioni associate come piede torto (varietà talo-valgo) o torcicollo
miogeno che hanno anch’essi una genesi meccanica dovuta al conflitto tra
contenuto (nascituro) e contenente (cavità addominale/utero);
- Segni clinici (assenti nella displasia, ma presenti nei gradi di lussazione):
1. L’asimmetria delle pliche cutanee della regione inguinale e della regione
glutea.
2. Limitazione del grado di abduzione delle anche: un’anca che si abduce non
più di 55°/60° è un campanello d’allarme.
- Test di instabilità: non sono positivi per tutti i gradi della malattia, ma solo quando
l’anca è lussata, lussabile o instabile.
1. Test di Ortolani o segno dello scatto di Ortolani: il paziente con anca
displasica non ha il femore perfettamente alloggiato all’interno dell’acetabolo,
l’operatore sottopone il paziente supino con anche addotte e flesse a 90° a
questa manovra in cui afferra il ginocchio e fa sì che la testa entri all’interno
della cavità acetabolare (imponendo un movimento di abduzione, flessione e
rotazione interna) producendo uno scatto visibile e percettibile.
2. Manovra di Barlow: è l’opposto della manovra di Ortolani, in quanto prevede
l’adduzione delle cosce con la possibilità di percepire lo scatto in uscita
dell’anca dall’acetabolo. La sensibilità della manovra di Barlow diminuisce
all'aumentare dell'età del bambino, per questo è essenziale eseguirla fin dal
primo giorno di vita.
3. Segno di Galeazzi: bambino supino con anche e ginocchia flesse, se
l’altezza delle ginocchia non è uguale ci suggerisce una lussazione di anca a
carico la coscia più bassa.
4. Segno di Klisic: si posiziona il terzo dito sul grande trocantere e il secondo
dito sulla spina iliaca antero-superiore. Se la retta che unisce queste due
estremità passa al di sopra dell’ombelico, il soggetto è normale; se passa al
di sotto dell’ombelico significa che il grande trocantere è risalito e quindi deve
farci sospettare la lussazione dell’anca.
Se il bambino si sviluppa senza che la malformazione sia stata corretta presenta:
- Andatura ondeggiante e zoppicante;
- Dismetria degli arti inferiori;
- Accentuata lordosi lombare (possibile unico segno all’esordio);
- Il segno di Galeazzi diventerà man mano sempre più eclatante;
- Comparirà il segno di Trendelemburg:
5. Segno di Trendelemburg positivo (limitazione dei muscoli abduttori dell’anca
del lato affetto che fa aumentare il “pelvic drop” causando una caduta
dell'emibacino controlaterale al deficit).
RX: la diagnosi, in passato, si faceva con la “triade di Putti”, cioè tre segni radiografici:
1. Cotile (acetabolo) sfuggente, meno coprente del normale;
2. Ipoplasia o assenza del nucleo cefalico-femorale;
3. Risalita del grande trocantere, visualizzabile grazie a interruzione dell'ogiva di
Shenton (arco formato dal margine inferiore del collo femorale e dal margine inferiore
della branca ileo-pubica).
L’RX si esegue nelle 2 proiezioni AP e LL posizionando le anche in flessione e adduzione,
posizione “frog leg”.
ECO: L’ecografia ci permette di fare screening a “tappeto” in quanto è un esame poco
costoso, per nulla invasivo o dannoso quindi ripetibile, eseguibile sin dalla nascita e ci
permette di vedere tutte le componenti anatomiche dell’anca e di monitorare l’efficacia della
terapia.
Il metodo utilizzato è il metodo di Graf: l’ecografia si esegue con delle sonde lineari da
11-7,5 MHz, ci permette di visualizzare tutte le parti dell’anca infantile a pochi giorni dalla
nascita e consta in 3 parti:
1. Riconoscimento della sezione ecografica corretta tramite i punti di repere: questi
sono la testa femorale (in rosso), il profilo laterale dell’ileo (in rosa) che deve essere
rettilineo, se non lo è si sono presi i punti di repere sbagliati, il margine inferiore
dell’ileo (in verde) e il labrum (triangolino giallo), che spinge la testa dentro
l’acetabolo;
2. Descrizione delle varie parti dell’articolazione: testa del femore, acetabolo, cartilagine
acetabolare;
3. Tipizzazione: grazie ai punti di repere prima descritti è possibile tracciare tre rette che
formano due angoli. La tipizzazione consiste nella misurazione degli angoli α e β,
che permettono di riportare a valori numerici un giudizio complessivo sull’aspetto
ecografico dell’anca:
a. L’angolo α è indice di maturità scheletrica perché individua il margine inferiore
dell’ileo, nell’anca sana misura ≥ 60°;
b. L’angolo β è indice del grado di copertura della fibrocartilagine, del labrum,
nell’anca sana misura ≤ 55°.
La tipizzazione ci permette di classificare il paziente tramite la classificazione di Graf:
- I = anca normale
- II = anca displasica:
IIA = ritardo di ossificazione;
IIB = displasia iniziale;
IIC = anca critica;
- III = anca sublussata
- IV = anca lussata
Alla diagnosi precoce consegue un trattamento conservativo tempestivo precoce che
consente di evitare l’evoluzione in osteoartrosi o necrosi vascolare e permette di ottenere
risultati migliori.
TERAPIA:
Il trattamento può essere di tipo conservativo o di tipo chirurgico.
CONSERVATIVO:
Per il trattamento conservativo si utilizzano i DIVARICATORI, sempre indicati in qualunque
grado di displasia (dall’I al IV) e i meccanismi di SKIN TRACTION:
- divaricatore di Pavlik è un tutore che consente il posizionamento delle anche in
abduzione (tra 50-75°) e flessione (tra 90° e 110°), esso permette in maniera
naturale, dolce e gentile la riduzione e la stabilizzazione dell’articolazione
coxo-femorale (ricrea la posizione tipica dei bambini africani). Questo divaricatore
agisce:
1. sulla componente scheletrica riposizionando l’epifisi nella cavità acetabolare;
2. sulla componente muscolo-tendinea riducendo la tensione dei muscoli
adduttori e della capsula anteriore che tende a ritrarsi.
Il successo è inversamente proporzionale all’età.
- divaricatore di Tubingen è un divaricatore che dà una maggiore libertà di
movimento e che consta di diversi pezzi: c’è un supporto a livello delle spalle; una
staffa di divaricazione a livello delle cosce la cui lunghezza può essere modificata per
variare il grado di abduzione delle anche; delle corde a perline colorate che
permettono di modificare il grado di flessione. Questo divaricatore consente una
posizione accovacciata, permettendo una flessione dell’anca simile a quella assunta
all’interno dell’utero.
La durata del trattamento con divaricatore dipende dall’età in cui il bambino inizia ad
indossarlo:
- Età di inizio 0-1 mese: durata media 3-4 mesi
- Età di inizio 1-3 mesi: durata media 7 mesi
- Età di inizio 3-9 mesi: durata media 9 mesi
L’efficacia del tutore viene valutata tramite un controllo ecografico periodico ogni 3-4
settimane.
Le controindicazioni all’uso del divaricatore sono:
- la lussazione teratogena,
- gli squilibri muscolari,
- il mielomeningocele,
- l’artrogriposi,
- la sindrome di Ehlers-Danlos
- l’età > 5-6 mesi (il bambino in questa età ha infatti una tensione muscolare maggiore
e alcune modifiche strutturali sono state già determinate).
L’insuccesso del trattamento con divaricatore si ha quando fallisce la riduzione, per cui
l’angolo α è aumentato di meno di 4°, oppure se la diagnosi è tardiva.
La SKIN TRACTION è una trazione longitudinale, con l’anca flessa ed abdotta, che può
essere effettuata o in posizione tradizionale (flessione di 30°) o in posizione di Bryant
(flessione = 90°) per riportare la testa del femore nella posizione fisiologica.
Al fine di scongiurare il rischio di osteonecrosi è importante rispettare la cosidetta “safe
zone”, per cui la flessione non deve superare i 90° e l’abduzione deve essere compresa tra i
40° e i 55°.
Dopo aver effettuato la trazione, il paziente deve essere ospedalizzato e ingessato in
anestesia generale. Il gesso viene applicato nella “human position” = abduzione di 50° e
flessione di 90-110° per 6-12 settimane. In questo caso, il controllo periodico prevede una
TC per controllare che la testa sia nell’acetabolo (la radiografia spesso non è
sufficientemente sensibile). In seguito si mette un tutore rigido.
CHIRURGICO:
Il trattamento chirurgico è rarissimo, si fa nei casi di diagnosi tardiva o per il fallimento del
trattamento conservativo, questo può avvenire nel caso in cui l’anca sia irriducibile o
instabile, entrambe causate da:
- Legamento rotondo e pulvinar ipertrofici
- Labrum invertito e/o ipertrofico
- Capsula e legamento acetabolare ipertrofici
- Deficit osseo
- Deformità a clessidra
L’approccio chirurgico può essere rivolto alle parti molli o alle parti ossee a seconda di quale
regione entra in conflitto con la riacquisizione di una normale posizione fisiologica femorale:
- tenotomia adduttori e psoas
- capsuloplastica
- tettoplastica
- osteotomie pelviche e femorali
La complicanza più temibile della chirurgia è la necrosi della testa del femore.
EPIFISIOLISI ED EPIFISIOLISTESI
È una lesione distrofica della cartilagine di accrescimento prossimale (tra il nucleo si
ossificazione e il resto della testa del femore) del femore a cui segue spesso la
dislocazione del nucleo epifisario prossimale, l’epifisiolistesi, che determina deformità in
varismo cervico-cefalico del collo del femore.
Il varismo dell’anca può originarsi a livello del trocantere, del collo o della testa del femore.
Quando dipende dalla testa si chiama varismo cervico-cefalico: l’asse della testa e del
collo che normalmente sono un unico asse, in questo caso hanno inclinazioni diverse. Il
varismo cervico-cefalico si ha sia nell’epifisiolisi ma anche nel distacco epifisario di primo
tipo. Nel 98% dei casi di epifisiolisi la dislocazione del nucleo epifisario prossimale del
femore è inferiore posteriore e laterale. Nel distacco epifisario invece il distacco dell’epifisi
avviene in relazione alla direzione trauma.
Nel caso di un trauma che causa un distacco epifisario infero-laterale, per fare diagnosi
differenziale con l’epifisiolistesi acuta dobbiamo considerare altri elementi come la presenza
di distrofia e la bilateralità della lesione oltre che tutti gli elementi che possiamo raccogliere
all’anamnesi (problemi ormonali, metabolici ecc). Il trattamento nei 2 casi è uguale: riduzione
e fissazione che si fa anche nell’anca controlaterale, nel caso di epifisiolisi, per prevenire
l’epifisiolistesi.
EPIDEMIOLOGIA:
È una patologia con un’incidenza non molto alta di 2:1000 a livello mondiale, con una
prevalenza di 3:1 per il sesso maschile. Ha un picco d’incidenza tra 10-17 anni nel sesso
maschile e tra gli 8-15 anni nel sesso femminile (in cui è raro dopo il menarca).
Caratteristico è il fatto che in almeno il 50% dei casi la lesione è bilaterale ma quasi mai
contemporanea. Nei casi monolaterali l’anca sinistra è 2 volte più colpita rispetto alla destra.
EZIOPATOGENESI:
L’ipotesi più accreditata è che su una base genetica di predisposizione, agiscano fattori
scatenanti di natura biochima ed ormonale tali da determinare, in presenza di stress
meccancici, alterazioni morfologiche a carico della cartilagine di accrescimento epifisaria.
Tra le possibili cause abbiamo cause di natura:
- metabolica: osteodistrofia renale, ipovitaminosi D, ipervitaminosi A,
- ormonale: ipotiroidismo, ipogonadismo, ipopituitarismo, iperparatiroidismo
- meccanica: obesità, traumi, alterazioni anatomiche come la maggiore profondità
dell’acetabolo che imprigiona la testa;
- altro: radioterapia, chemioterapia, immunoterapia, sarcoidosi, sclerosi multipla,
sindrome di Down.
Il carico a cui è sottoposta l’anca consta di 2 vettori: una forza varizzante e una forza
compressiva. Se diminuisce la resistenza della cartilagine di accrescimento, la forza
varizzante provocherà un varismo cervico-cefalico e la epifisiolistesi.
La cartilagine di accrescimento è formata da 3 strati: cartilagine di proliferazione, cartilagine
ipertrofica, cartilagine calcificata. La cartilagine si calcifica grazie alla fosfatasi alcalina
prodotta dal condrocita ipertrofico che richiama cristalli di idrossiapatite dal plasma. La
cartilagine calcificata riceve l’irrorazione dall’osso metafisario contiguo con la formazione di
vero tessuto osseo.
Le alterazioni morfologiche e strutturali della cartilagine di accrescimento sono visibili:
1. Microscopio ottico: osserviamo un aumento dello spessore della cartilagine di
accrescimento che possiamo vedere anche radiograficamente confrontando il lato
sano con il lato malato; questo è dovuto al disordine organizzativo di questa
cartilagine in cui i condrociti non sono disposti a colonna ma a grappolo. Scompaiono
anche i setti longitudinali sostituiti da matrice extracellulare lassa e scarsamente
fibrillare.
2. Microscopio elettronico: si osserva l’ipertrofia dei condrociti, la ridotta dimensione
delle fibre collagene e fittamente stipate tra loro e scomparsa dei proteoglicani che
normalmente hanno il ruolo di legare le fibrille collagene.
CLINICA:
Abbiamo una classificazione clinica, una strumentale/radiografica e una prognostica.
- Classificazione radiografica: È la classificazione di Wilson che distingue 4
gradi a seconda dell’entità dello scivolamento dell’epifisi, quindi dell’epifisiolistesi:
- 1° Grado: scivola < del 25% del totale
- 2° Grado: scivola dal 25-50%
- 3° Grado: scivola dal 50-75%;
- 4° Grado: scivola > 75%.
- Classificazione clinica:
- Pre-epifisiolisi: condizione in cui è presente l’epifisiolisi pura, è
paucisintomatica con gonalgia, coxalgia lieve, facile stancabilità.
Radiograficamente vedremo, rispetto al controlaterale se è sano, un aumento
dello spessore della epifisi. Il sintomo che dovrebbe allarmare il pediatra non
è il dolore all’anca ma il dolore alla faccia antero-mediale del ginocchio,
ricorrente.
- Epifisiolisi acuta: sintomatologia improvvisa con in genere anamnesi
positiva per episodio traumatico (coxalgia violenta, arto atteggiato in
extrarotazione e flessione, impotenza funzionale).
- Epifisiolisi cronica: più frequente. La sintomatologia dura da più di 3
settimane ed è caratterizzata da gonalgia che scompare a riposo, coxalgia
intermittente, arto atteggiato in extrarotazione e flessione, zoppia di fuga*,
accorciamento moderato (1-2cm).
*Differenza tra zoppia di fuga e zoppia di caduta
La zoppia di caduta si ha in caso di accorciamento dell’anca e non c’è dolore. La zoppia di
fuga invece è un atteggiamento in cui si sottrae l’arto inferiore al carico perché c’è dolore.
Esiste anche la zoppia mista in caso di accorciamento e dolore.
- Epifisiolisi acuta su cronica: improvvisa e violenta esacerbazione del
dolore cronico dopo un trauma di minima entità.
- Epifisiolisi inveterata: è la più temibile. Non ci si è accorti dello scivolamento
della testa e essendo presente da tempo già potrebbe essere avvenuta la
saldatura della cartilagine di accrescimento. L’unico intervento in questo caso
è chirurgico con frattura dell’epifisi per cercare di rimetterla a posto. I segni
sono dismetria degli arti, segni iniziali di artrosi, limitazione articolare.
- Classificazione prognostica:
- forma stabile (85% dei casi) c’è basso rischio di osteonecrosi e una buona
capacità di caricare l’arto e deambulare;
- forma instabile (15% dei casi) c’è un elevato rischio di osteonecrosi perché
lo spostamento epifisario può portare ad una rottura dei vasi arteriosi; ed è
associata a incapacità di caricare l’arto.
DIAGNOSI:
L’esame radiografico è indispensabile per fare diagnosi.
L’RX mostra:
1. Slargamento della cartilagine di coniugazione;
2. Riduzione dell’altezza epifisaria;
3. Scivolamento del nucleo epifiasario;
4. Positività del segno di Klein: la linea tangente al collo non interseca il nucleo
epifisario e questo vuol dire che l’epifisi sta cominciando a scivolare.
La TC che va vedere bene lo spostamento posteriore.
La RM (che permette la visualizzazione precoce di alterazioni della cartilagine, prima dello
spostamento) così come la Scintigrafia non vengono molto utilizzate.
COMPLICANZE:
1. Necrosi avascolare epifisaria: è catastrofico perché sono soggetti giovani che devono
andare a mettere una protesi;
2. Condolisi;
3. Artrosi secondaria;
4. Chiusura precoce della cartilagine con accorciamento dell’arto.
TERAPIA:
Il trattamento INCRUENTO: consta di riduzione e immobilizzazione con il gesso o con tutori,
viene utilizzato nei casi in cui lo scivolamento sia minimo.
Il trattamento CRUENTO:
- con riduzione e immobilizzazione con viti percutanee (epifisiodesi)
- staccando l’epifisi per riportarla al suo posto (osteotomia).
Dopo 3 anni dall’epifisiodesi c’è una perfetta restitutio ad integrum per cui si vanno a
rimuovere le viti.
L’osteotomia non è frequente ed è molto rischiosa, viene riservato a quei casi in cui si deve
agire su una epifisiolisi più datata o in cui non si può ridurre.

PIEDE TORTO CONGENITO


È una malformazione congenita complessa del piede ad eziologia sconosciuta, che
coinvolge l’apparato legamentoso e muscolo-tendineo della porzione mediale e
plantare del piede e che determina un’alterazione dei normali rapporti tra gli abbozzi
osteo-cartilaginei, che da un punto di vista morfologico e strutturale, sono perfettamente
normali.
Il contatto del piede al suolo non avviene nei normali punti di appoggio:
- Tuberosità del calcagno
- 1° metatarso, da un lato
- 4° e 5° metatarso, dall’altro
EPIDEMIOLOGIA:
Nel 35-60% dei casi la deformità risulta bilaterale ma può interessare anche solo un piede,
più il destro che il sinistro.
C’è una prevalenza nel sesso maschile rispetto al sesso femminile e può associarsi nel 7%
dei casi ad altre malformazioni: DCA, torcicollo miogeno, aplasia della tibia, trisomia 21,
spina bifida, mielingocele e altre.
EZIOPATOGENESI:
Tra i fattori che concorrono a determinare questa patologia abbiamo:
- Fattori genetici: si tratterebbe di una eredità poligenica;
- Fattori ambientali:
a. Anomalie dell’utero che fanno si che ci sia un’alterazione del rapporto
contenente/contenuto come malformazioni uterine, aumento del tono
muscolare dell’utero, neoformazioni uterine,
b. Anomalie d’impianto (gravidanze extrauterine; si vede la patologia nell’aborto)
c. Gravidanza protratta o pretermine
d. Macrosomia fetale
e. Oligoidroamnios
f. Briglie placentari
g. Stagionalità (infezioni virali)
h. Inquinamento (in Sicilia il piede torto congenito è frequente in città come
Gela, Priolo, Augusta, ecc.)
Teoria patogenetica di Hoffa o teoria della meccanica fetale è la teoria secondo cui c’è
un arresto della detorsione e derotazione del piede (imputabile a cause meccaniche) intorno
al 3-4 mese di gravidanza, e il piede del feto è atteggiato in posizione
equino-varo-addotta- supinata. Se non può derotare e distendersi rimane in questa
posizione.
Esistono anche altre teorie patogenetiche:
Teoria ormonale: i livelli ematici elevati di relaxina ed estrogeni faciliterebbe la lassità del
tessuto connettivale fetale; questa teoria non spiega perché c’è una retrazione della parte
interna del piede.
Teoria di Bohm: la detorsione del piede non avviene per fattori teratogeni, ipossici o
dismetabolici.
Teoria vascolare: una situazione di ipossia determina un’alterazione dei muscoli.
Teoria dell’arresto dello sviluppo embrionario: alterazione della cellula uovo (non più un
fatto meccanico) che causa un blocco della torsione e rotazione del piede.
Teoria muscolare: gli atteggiamenti viziati sarebbero causati da anomalie muscolari a cui
seguirebbero squilibri nelle tensioni tendinee e legamentose.
Teoria nervosa: anomalie di innervazione causano squilibri tra muscoli agonisti e
antagonisti.
CLINICA:
Vi sono numerose varietà cliniche che vengono raggruppate in 4 grandi gruppi:
1. Equino-Varo-Addotto-Supinato (il più frequente, 80% dei casi);
2. Metatarso-Varo;
3. Talo-Valgo-Pronato (molto spesso è il campanello d’allarme di un’altra grave
deformità ad esso associata, la DCA);
4. Valgo-Convesso (ha una inversione della volta plantare, tanto che viene definito
“piede a dondolo”);
Normalmente l’angolo formato tra l’asse longitudinale della gamba e quello del
retropiede è di 90°. Se quest’angolo è:
- > 90° = piede EQUINO, con flessione plantare e appoggio avampodalico;
- < 90° = piede TALO, con flessione dorsale;
E’ importante specificare retropiede perché quest’angolo potrebbe essere normale anche in
presenza di un problema dell’avampiede e in quel caso si parlerebbe di piede
pseudoequino quando si forma un angolo tra asse del retropiede e dell’avampiede: il
problema di solito è di natura neurologica.
L’asse longitudinale della gamba normalmente coincide, con un margine di 2-4° in valgo
(fino a 5° è fisiologico, di solito è più ampio nelle femmine), con l’asse verticale del
retropiede. Se si forma un angolo tra i due assi avremo:
- Piede VARO: se l’asse del retropiede è inclinato medialmente rispetto all’asse di
gamba: angolo aperto medialmente;
- Piede VALGO: se l’asse del retropiede è inclinato lateralmente rispetto all’asse di
gamba: angolo aperto lateralmente;
Consideriamo l’asse longitudinale del piede (tra avampiede e retropiede). Normalmente
questo asse è unico. Se a livello del mesopiede l’asse devia avremo:
- Piede ADDOTTO: se l’asse devia verso l’interno (l'avampiede volge verso l’interno);
- Piede ABDOTTO: se l’asse devia verso l’esterno (l'avampiede volge verso
l’esterno/lateralmente).
In base alla rotazione dell’asse dell’avampiede rispetto a quella del retropiede (movimento
torsionale del piede sull’asse longitudinale) abbiamo:
- Piede SUPINATO: superficie plantare rivolta all’interno - medialmente;
- Piede PRONATO: superficie plantare rivolta all’esterno.
Infine, considerando l’arco plantare definiamo:
- Piede CAVO: accentuazione dell'arco plantare; difficilmente è una deformità a se
stante nel neonato e nel PTC è la conseguenza delle altre malformazioni.
- Piede PIATTO: riduzione dell’arco plantare.
Può essere distinto, in base all’eziologia in:
- IDIOPATICO: quando è una patologia propria del piede determinata da una displasia;
più frequente a dx;
- POSTURALE O POSIZIONALE: quando è dovuto ad una errata posizione del piede
durante le ultime settimane di gravidanza; spesso si risolve da solo dopo la nascita;
- SINDROMICO O TERATOGENO: il piede rappresenta solo un aspetto parziale di
patologie malformative - è associato ad altre patologie come:
- Spina bifida
- Patologie neuromuscolari
Data l’elevata variabilità clinica sono stati delineati dei criteri di inclusione per cui, si parla
di PTC idiopatico se:
1. Abbiamo una di quelle alterazioni morfologiche appena descritte e/o polpaccio
ipotrofico/atrofico (a testimonianza che il vizio inizia a livello della gamba)
2. La presentazione clinica non si risolve spontaneamente
3. Si richiedono interventi chirurgici e fisioterapici
Vi sono allo stesso modo criteri di esclusione:
1. Risoluzione spontanea o attraverso una correzione passiva plantigrada (PT
posizionale)
2. Associato a patologie sindromiche (PT sindromico)
3. Associato a patologie cerebro-vascolari che determinano una paralisi
4. Deformità del piede diverse, ad es: talo-valgo
EVOLUZIONE:
La storia naturale del PTC non trattato alla fine porterà comunque ad una alterazione
strutturale delle ossa ma all’inizio le parti scheletriche sono perfettamente normali. Il danno è
localizzato solo a carico dei tessuti molli: il tessuto tendineo presenta ridotto numero di
tenociti, più tozzi, disordinati e sono molto diminuite le fibre elastiche.
C’è una sola condizione in cui già alla nascita c’è un'alterazione degli abbozzi
osteocartilaginei ed è il piede torto primitivo lì dove c’è un’alterazione genetica.
DIAGNOSI:
La diagnosi grazie all’esame ecografico può essere fatta precocemente, in epoca prenatale
a partire dalla 11°/12° settimana di gestazione (3 mesi). La diagnosi precoce del PTC
permette di informare i genitori della condizione del futuro neonato che così si preparano a
livello psicologico. Ci permette anche di vedere se ci sono altre malformazioni associate o si
tratta di una malformazione isolata (l’ecografista ha l’obbligo di approfondire).
Nonostante ciò, nel 10% dei casi, la diagnosi avviene dopo la nascita, intorno al
primo/secondo anno di vita.
Alla nascita la deformità è manifesta, il piede sarà:
- Flesso plantarmente
- Concavità mediale
- Convessità laterale
- Superficie plantare rivolta medialmente
- Inversione
L’elasticità viene valutata con prove di riduzione e l’esame clinico va completato definendo il
“grado di correggibilità” secondo la classificazione di Harrold-Walker che distingue in
base al valore angolare tra l’asse longitudinale della gamba e l’asse longitudinale del piede:
1. GRADO I: > 90° (atteggiamenti viziati correggibili manualmente)
2. GRADO II: = 90° (la correzione passiva manuale è difficoltosa ma possibile)
3. GRADO III: < 90° (la deformità è resistente e la correzione manuale è impossibile)
La classificazione di Catterall-Pirani distingue il PTC in base ad uno score calcolato
sui punteggi assegnati alle caratteristiche del mesopiede e del retropiede. Principi del
punteggio:
1. si confronta il piede torto con un piede normale in relazione a 6 indicatori:
- 3 per il mesopiede:
1. curvatura del margine laterale;
2. la piega cutanea mediale;
3. testa dell’astragalo palpabile;
- 3 per il retropiede:
1. piede equino rigido;
2. il calcagno vuoto (trazionato verso l’alto dal tendine di Achille che lo
porta su);
3. la piega cutanea posteriore del tallone;
2. per ogni indicatore si attribuisce un punteggio da 0 a 1:
- 0 = normale;
- 0,5 = anormalità moderata;
- 1 = anormalità grave;
3. il punteggio totale va da 0 a 6: un punteggio più alto indica una maggiore gravità (6 =
il più grave).
TERAPIA:
Terapia INCRUENTA:
A partire dagli anni ’90 furono sviluppate tutta una serie di metodiche per il trattamento
incruento del PTC:
1. Metodica di Seringe: fisiokinesiterapia e mezzi di contenzione (placchette e
cerotti). E’ purtroppo associata a sovraccarico tensorio cutaneo e lesioni cutanee, per
cui in corso d’opera, essendo la cute dei neonati molto fragile, viene spesso
abbandonata.
2. Metodica di Kite: si basa sul modellamento manuale a tappe associato all’uso di
apparecchi gessati.
a. prima veniva trattata l’adduzione,
b. poi il varismo,
c. infine l’equinismo.
Terapia CRUENTA:
Anche qui abbiamo varie metodiche, ad esempio:
- Metodica Turco: capsulotomia posteriore con allungamento “a Z” del tendine di
Achille
- Metodica di Cincinnati: capsulotomia circonferenziale di quasi tutta la caviglia
- Metodica di Codivilla: capsulotomia posteriore + capsulotomia mediale per
allungare il tendine d’achille ed il tibiale anteriore (eventuale trasposizione del tibiale
anteriore)
Il METODO PONSETI è oggi il GOLD-STANDARD:
È una metodica mininvasiva che porta a risultati eccellenti. La tecnica di Ponseti viene
effettuata in anestesia generale con il piede in extrarotazione di circa 60° con dorsiflessione
inferiore a 10°-15°. Prevede 4 grandi punti:
1. Manipolazioni Correttive Graduali: sulle varie deformità che prevedono la
riduzione della testa dell’astragalo sublussata e, facendo “dolci” movimenti di
abduzione e supinazione si cerca di correggere prima il cavismo e l’adduzione del
piede, poi progressivamente, nell’arco di mesi, il varismo e infine l’equinismo.
2. Confezionamento di apparecchi Gessati Femoro-Podalici: in genere attorno al
15-20° giorno di vita, o anche da appena nati, dopo le opportune delucidazioni ai
genitori. Ce ne sono di 5 tipi: il primo va a correggere il cavismo e l’adduzione; 3
vanno a correggere l’adduzione e il varismo e il quinto va a correggere l’equinismo.
3. Tenotomia: del tendine d’achille per la correzione dell’equinismo (taglio completo a
cielo chiuso: mininvasivo), 1 cm sopra l’inserzione del tendine. Si fa in genere entro 6
mesi di vita.
Dopo si fa un ultimo gesso che teniamo per 3 settimane che tiene il piede dorsiflesso
di 10°. Il bambino di 4-5 mesi ha una capacità riparativa enorme e rapidissima, per
cui nell’arco di 20 giorni il tendine viene riparato completamente.
4. Tutore di Denis-Browne: applicato per 3 mesi 24/7 (giorno e notte) e poi 16h al
giorno per 3-4 anni (preferibilmente solo la notte). Serve a mantenere l’arto in
extrarotazione ed è l’unico modo per prevenire recidive.
Le complicanze al trattamento con metodo Ponseti sono rare e possono essere:
- Perdita dell’apparecchio gessato (perché troppo largo)
- Sindrome flebostatica (perchè troppo stretto)
- Sofferenze cutanee (perchè troppo stretto)
Dopo l’applicazione del gesso bisogna tenere in osservazione il bambino per 3-4 ore per
assicurarci che non ci siano disturbi di circolo (facendo il solletico verificare che si muovano
le dita e che non cambino colore, nere o bianche) e si avvisano i genitori che devono correre
in ospedale se il bambino presentasse un disturbo.
La recidiva è legata nell’80% dei casi, alla non corretta adesione al trattamento di
mantenimento con tutore (scarsa compliance). Le recidive possono manifestarsi anche
tardivamente dopo 7-8 anni. La classificazione di Manes valuta 3 gradi di recidiva (lieve,
moderato e grave).
I segni precoci di recidiva:
- L’abduzione (il primo a comparire)
- Rigidità del piede
- Difficoltà ad indossare le calzature
- Equinismo
La soluzione è la ripresa del metodo Ponseti. Se la recidiva è presa subito bastano 2-3 cicli
di gessi associati a manipolazioni correttive, altrimenti si deve rioperare.

PIEDE PIATTO GIOVANILE


Il piede è formato da 27 ossa divise su 3 livelli: retropiede (talo e astragalo), mesopiede
(metatarso) e avanpiede (falangi) e bisogna considerarlo come un organo vero e proprio
perché è adibito al sostegno, alla funzione deambulatoria e alla propriocezione del corpo.
Individuiamo nel piede 3 punti di appoggio (1° metatarso, 4° e 5° metatarso, tallone) che
formano degli archi:
1. L’arco trasverso
2. L’arco lungitudinale mediale
3. L’arco longitudinale laterale
Questi archi determinano la volta plantare fisiologica.
Il piede piatto è un aumento della base d’appoggio della pianta del piede con
valgismo del retropiede a causa della perdita dell’arco mediale.
Il piede piatto viene distinto in:
- Fisiologico: fino a 3-4 anni di età.
- Paramorfico: fino ad 8 anni.
- Strutturato: a 9-10 anni, difficilmente correggibile e in alcuni casi sintomatico.
Viene inoltre diviso in:
- Congenito, che, come spesso accade, può essere associato ad altre manifestazioni.
Alcune cause di PPC sono:
a. Anomalie scheletriche come articolazioni non funzionanti, sinostòsi, ipoplasie
ecc.
b. Lassità dei legamenti
c. Errata posizione durante la vita intrauterina
d. Brevità del tendine di Achille
- Acquisito, che è a sua volta distinto in:
a. Essenziale o statico-adolescenziale: quello di gran lunga più frequente.
b. Sintomatico: presente anche nella popolazione adulta ed è dovuto:
- cause Neurogene
- cause Traumatiche
EPIDEMIOLOGIA:
Il Piede Piatto si presenta nel 11-70% dei bambini e adolescenti, è quindi una patologia
molto diffusa ma la vera incidenza è difficile da individuare.
E’ più frequentemente nel maschio (rapporto 2:1) ed è associato a particolari condizioni di
vita: i pazienti obesi, la mancanza di attività sportiva ed inoltre è molto elevata l’associazione
con l’iperlassità legamentosa.
EZIOPATOGENESI:
3 tendini determinano una corretta morfologia del piede e sono quelli dei muscoli:
1. Tibiale posteriore
2. Flessore lungo delle dita
3. Flessore lungo dell’alluce
Quando si ha un ipotono di questi muscoli si ha una predisposizione a formare il piede
piatto, in particolare il tibiale posteriore.
CLINICA:
Camminata con piede pronatore.
Dolore e impaccio motorio.
Il profilo anteriore del piede è caratterizzato da:
- Avampiede supinato e abdotto in risposta al retropiede valgo
- Strabismo rotuleo convergente
- Alluce in valgo
Il profilo posteriore invece da:
- Bordo esterno del piede quasi sollevato
- Avampiede che sporge lateralmente
Il profilo mediale infine è caratterizzato da:
- Riduzione/scomparsa della volta plantare
- La testa dell’astragalo sporge medialmente (segno del doppio malleolo) e a volte
anche lo scafoide (terzo malleolo)
DIAGNOSI:
Si indaga se c’è una familiarità, se il soggetto fa attività sportiva; si vanno ad escludere
eventuali comorbidità (neurologiche, posturali, legamentose, visive e odontostomatologiche)
e valutiamo se è obeso.
Per quanto riguarda l’esame obiettivo è fondamentalmente si valutano i profili del piede e la
camminata.
Successivamente si vanno a fare dei test con cui valutare la correggibilità della patologia:
1. Jack test: si flette dorsalmente l’alluce per tendere il flessore lungo del 1° dito;
2. Tip toe test: si chiede al pz di camminare sulle punte dei piedi;
Se questi test determinano la correzione del difetto allora la patologia è altamente
correggibile.
Inoltre, si può usare il podoscopio che ci permette di classificare la gravità del vizio.
È un apparecchio costituito da un vetro illuminato su cui far salire il pz in posizione eretta per
valutare l’area di appoggio plantare.
Si classifica in 4 gradi crescenti di gravità:
- Grado 0: piede normale;
- Grado 1: l’istmo del piede si allarga medialmente;
- Grado 2: la volta plantare scompare e il contatto della pianta a terra è totale;
- Grado 3: “piede a dondolo” l’impronta esterna dell'avampiede si attenua per
l’esagerata pronazione del piede;
L’RX (che si esegue solo in previsione dell’intervento) ci permette di andare a valutare gli
angoli che nel piede piatto risultano patologici:
- Angolo di Kite: si valuta con una radiografia in anteroposteriore con un raggio di
incidenza di 20-25°. L’angolo si forma tracciando gli assi maggiori di astragalo e
calcagno: se questo è > di 25° è patologico.
- Angolo di Costa-Bertani: è formato da due rette passanti una per il punto inferiore
della tuberosità calcaneare e l’altra per il punto inferiore del sesamoide mediale (si
incontrano nel punto inferiore dell’astragalo). Quando l’angolo compreso tra le 2 rette
supera i 120-125° è patologico.
- Angolo di pendenza astragalica (v.n. 18°-22°)
- Angolo di pendenza calcaneare (v.n. 35°-50°)
Gli esami strumentali di secondo livello (TC principalmente) sono raramente utilizzati, se non
nei casi in cui il piede piatto è molto rigido in cui si sospettano sinostosi astragalo-calcaneari
(fusioni ossee).
TERAPIA:
L’obiettivo dell’ortopedico è evitare che un piede piatto funzionale REVERSIBILE possa
diventare sintomatico.
Infatti, il piede piatto, può determinare nel tempo:
- valgismo del ginocchio
- l’alluce valgo
- dolore e frequenti cadute
- degenerazione tendinea del tibiale posteriore (artrite infiammatoria, artrosi precoce e
raramente rottura del tendine)
Proprio per questo è importante intervenire precocemente, nella fase paramorfica con un
trattamento adeguato in maniera da non giungere alla fase sintomatica.
Trattamento CONSERVATIVO:
1. fisioterapia (dai 4-5 anni): mira al potenziamento dei muscoli insufficienti/non
adeguatamente trofici (tibiale posteriore, flessore lungo dell’alluce e delle dita) ed è
caratterizzato da esercizi propriocettivi volti al potenziamento dei muscoli cavizzanti e
dei peronei interni, esercizi varizzanti/verticalizzanti il retropiede e rinforzo dei mezzi
di sostegno della volta plantare con normalizzazione dell’appoggio (ad es.
camminare lungo la retta, sul bordo laterale del piede, punta alternata a tallone,
esercizi prensili);
- ortesi: plantari personalizzati (prescrivibili in pz: dai 4 ai 9 anni, sopra i 15 anni
dove non si può eseguire il calcaneo-stop o in pz sintomatici già a 2 anni), che
tuttavia non correggono il difetto ma facilitano la deambulazione perché migliorano
l’appoggio;
Trattamento CHIRURGICO: si riserva ai bambini che hanno più di 10 anni (tra 10 e 13 anni),
quando un piede sintomatico non risponde al trattamento conservativo prolungato (epoca
corretta di attesa: TRE ANNI).
Il GOLD STANDARD è l’intervento di ARTRORISI (Calcaneal-STOP): che serve a diminuire
l’ampiezza dell’articolazione patologica in maniera da correggere il viziato garantendo una
corretta mobilità. Limitando l’eccessiva escursione articolare dell’astragalo sul calcagno con
RIPRISTINO DELL’ALLINEAMENTO DEL RETROPIEDE.
L’intervento, eseguito in DAY-HOSPITAL, consiste nell’impianto di una vite, endo senotarsica
o eso senotarsica, quindi intra o extra articolare, in obliquo a livello del “calcaneal notch”,
zona dove abbiamo la maggiore depressione del seno del tarso:
- Si esegue una manovra forzata di inversione del piede per mantenere
corretto l’asse inter astragalo calcaneo scafoideo, riducendo la
divergenza astragalo-calcaneare.
- Con la punta del trapano si fa un foro in cui inserire la vite, regolando la
profondità in maniera idonea a garantire la correzione.
Con la parte sporgente la vite determina un impaccio meccanico all’astragalo,
riducendo l’angolo di divergenza (varizzazione) e inoltre stimola la propriocezione che
migliora la terapia.
- La tecnica chirurgica è completata da sutura con filo riassorbibile e bendaggio
compressivo.
Consentiamo il carico da subito per evitare una supinazione residua. La medicazione della
ferita viene effettuata ogni 7 giorni (fondamentale per evitare infezioni) con rimozione dei
punti a 15 giorni dall’intervento. Astinenza dall’attività sportiva per almeno un mese, ad
eccezione del nuoto che può essere praticato fin da subito.
A 3-4 anni dall’intervento si va a rimuovere la vite.
Le complicanze sono:
- eccessiva correzione con sviluppo di piede cavo
- infezioni
- tendinite dei peronieri
L’artrorisi è una procedura semplice, ripetibile e mini-invasiva, anche se esistono altre
alternative:
- Osteotomie calcaneari
- Artrodesi
- Capsuloplastica
- Allungamenti e trasposizioni tendinee

OSTEOCONDROSI
Sono un gruppo di malattie a carattere degenerativo-necrotico che si verificano a livello
dei nuclei di accrescimento epifisari, delle apofisi e delle ossa brevi dello scheletro in
accrescimento. Si tratta di una necrosi asettica, avascolare non accompagnata da
infiammazione che può comparire in maniera subdola in articolazioni normali e in soggetti
sani quasi sempre senza precedenti anamnestici.
EPIDEMIOLOGIA:
Colpisce con un’incidenza maggiore tra i soggetti di sesso maschile di 8-15 anni, soprattutto
quelli che praticano una intensa attività sportiva.
L’incidenza nella popolazione generale è di 1,7% anche se si pensa ci sia una sottostima
della reale diffusione della malattia.
Le regioni più colpite sono:
- l’epifisi prossimale del femore (Malattia di Legg Calvè Perthes);
- l’apofisi tibiale anteriore (Sindrome di Osgood Schlatter);
- l’epifisi vertebrale (Sindrome di Scheuermann);
- l’apofisi posteriore del calcagno (Sindrome di Sever-Blanke, Morbo di Haglund);
- la testa del II-III metatarso (Sindrome di Kohler II- Freiberg, l’unica che colpisce più
frequentemente le femmine)
- lo scafoide tarsale (Sindrome di Kohler I)
- l’osso semilunare (Sindrome di Kienbock)
- nel polo inferiore della rotula (Malattia di Sinding-Larsen-Johansson)
Le osteocondrosi possono anche essere distinte dal punto di vista anatomico in:
- Apofisarie: se interessano l’apofisi, regione dove si inserisce il tendine;
- Epifisarie: se interessano l’estremità delle ossa lunghe.
EZIOPATOGENESI:
L’eziopatogenesi è poco nota, ma sicuramente è multifattoriale ed intervengono:
- Predisposizione genetica;
- Disturbo della nutrizione del nucleo di ossificazione;
- Diminuite resistenze meccaniche;
- Microtraumatismi ripetuti ad es. per intensa attività fisica;
Si distinguono da un punto di vista meccanico:
- Osteocondrosi epifisarie da carico: su base ischemico-compressiva, di questo
gruppo fanno parte:
- Legg-Calvè-Perthes → testa del femore;
- Morbo di Scheuermann → vertebre dorsali centrali.
- Osteocondrosi apofisarie da trazione: la trazione del tendine causa una
tendinopatia inserzionale perché i nuclei di ossificazione non sono in grado di
resistere alle sollecitazioni meccaniche esercitate a livello delle giunzioni
osteotendinee, di questo gruppo fanno parte:
- Osgood-Schlatter → apofisi tibiale anteriore
- Sever-Blanke → apofisi posteriore del calcagno
3 teorie cercano di spiegare come si arrivi alla patologia:
1. Teoria traumatica: secondo cui traumatismi a livello epifisario possono risultare il
fattore scatenante di una alterazione cartilaginea di natura forse congenita.
2. Teoria vascolare: l’ischemia può essere dovuta a diverse cause:
- patologie della coagulazione;
- alterazione vasale primaria;
- compressione dei questi vasi terminali;
3. Teoria della displasia della cartilagine di Ponseti: secondo cui alla base
dell’osteocondrosi ci sia un’alterazione genetica della cartilagine che diventa più
sensibile a traumi e fenomeni ischemici. In effetti si è vista un’alterazione della
quantità di peptidoglicani e una riduzione dello spessore delle fibre collagene
(matrice extracellulare che porta nutrimento nell’area) che porterebbe a turbe
dell’ossificazione e ad un anormale accrescimento della cartilagine rendendola meno
resistente e più soggetta a fenomeni ischemici del nucleo di ossificazione e ad
un’alterata guarigione che porta a deformità della testa femorale.
Si distinguono due fasi comuni a tutte le patologie:
1. La fase necrotico-regressiva: frammentazione e distruzione delle trabecole ossee
per autolisi cellulare
2. La fase riparativa deformante: la riparazione o ricostruzione del focolaio
osteonecrotico avviene ad opera del tessuto di granulazione, ma la riparazione non
avviene omogeneamente in tutta l’area danneggiata.
La sostituzione ossea avviene asimmetricamente e prevale lungo il margine esterno
della stessa zona reattiva (creeping substitution).
La malattia evolve sempre verso la guarigione spontanea e la sua durata varia, a seconda
della sede, da pochi mesi a più anni, di solito non più di tre-quattro anni.
Il problema si viene a manifestare quando la malattia, durante il suo decorso, ha determinato
delle modifiche strutturali che possono essere anche invalidanti, come ad esempio quelle
delle epifisi femorali.

Malattia di Legg Calvè Perthes


Questa è la più frequente tra le ostecondrosi. È una patologia idiopatica dell’età dell’infanzia,
caratterizzata da una necrosi ischemica (non settica) dell’epifisi prossimale del femore che
se non trattata può evolvere in deformità permanenti.
La malattia prende il nome da tre studiosi che l’hanno descritta in maniera indipendente.
EPIDEMIOLOGIA:
Vengono interessati maggiormente i maschi (5:1) tra i 2 ed i 12 anni ed è bilaterale nel
10-15% dei casi.
L’incidenza segue un cosiddetto gradiente latitudinale per cui la patologia è maggiore in
Giappone mentre ha incidenza minore in Australia.
EZIOPATOGENESI:
Multifattoriale:
- Traumi,
- Alterazioni genetiche (gene COL2A1, i geni proapoptotici espressi dai condrociti e
l’alterazione dei pathway infiammatori),
- Malattie sistemiche,
- Fumo passivo, radiazioni e chemioterapia,
- Ritardo di accrescimento,
- Sinoviti,
- Bassa statura e obesità,
- Livello socioeconomico basso,
- Difetti della coagulazione (paramorfismo del fattore V di Leiden e della protrombina
II).
Schematizziamo così l’eziopatogenesi:
La necrosi rende l’epifisi più fragile e il processo di riparazione che ne consegue è
squilibrato, afinalistico, per cui si ha un cambiamento che coinvolge tutta l’articolazione, non
solo la cartilagine articolare.
Iter evolutivo segue le 2 fasi:
1. Regressivo-necrotico: degenerazione della cartilagine epifisaria, sinovite linfo-
plasmacellulare, necrosi e frammentazione del nucleo di accrescimento.
2. Riparativo-deformante: presenza di processi riparativi con schiacciamento del nucleo
di accrescimento e deformazioni della testa del femore che portano a coxa plana,
coxa breva, coxa magna.
Le complicanze a lungo termine comprendono:
- deformità della testa del femore
- incongruenza articolare con lussazioni o sublussazioni
- possibile necrosi avascolare della testa del femore
CLINICA:
Segni Precoci:
- zoppia intermittente ed episodica
- dolore all’anca che si estende fino al ginocchio
- contrattura muscolare antalgica
- ipotrofia di coscia e natica
Segni Tardivi:
- riduzione del ROM
- segno di Trendelenburg
- dismetria articolare
Le cosiddette “teste” a rischio, che devono essere attenzionate, sono quelle che si
presentano in queste condizioni:
- Età > 8 anni
- Sesso femminile
- Diagnosi e trattamento tardivo
- Harring di tipo C (collasso pilastro laterale > 50%)
- Estrusione laterale della testa femorale
- Diffuse cisti metafisarie
- Allineamento orizzontale del piatto epifisario
- Obesità
- Persistente rigidità dell’anca
DIAGNOSI:
- Anamnesi;
- Esame obiettivo;
- Diagnostica strumentale:
- RX: in cui si osservano 3 segni caratteristici (1. protrusione laterale della
testa del femore, 2. segno del crescente trasparenza parallela alla
superficie articolare coxofemorale di solito osservata nelle fratture
subcondrali, 3. segno di Gage trasparenza a forma di “V” nella porzione
laterale metaepifisaria della testa del femore) che aiuta a distinguere le 4 fasi
che caratterizzano la malattia secondo diverse classificazioni:
1. La classificazione di Catterall, in base alla % di epifisi prossimale interessata e agli
altri parametri ossei (appiattimento, frammentazione e sclerosi della testa del femore)
distingue 4 gruppi: il gruppo 1 ha un interessamento < 25%, il gruppo 4 ha un
interessamento del 100%.
2. La Salter e Thompson è molto semplice, si distinguono i pazienti in due gruppi in
base all’entità del coinvolgimento: gruppo A se la testa è interessata per <50%,
gruppo B se la testa è interessata per >50%.
3. La Stulberg distingue 5 gruppi in base alla congruenza tra acetabolo e testa del
femore: tipo 1 e 2 la congruenza è sferica, tipo 3 e 4 la congruenza è non sferica e il
tipo 5 presenta incongruenza totale.
4. La classificazione di Haring, che distingue i pazienti in 4 gruppi (A, B, B/C e C),
immaginando la testa come costituita da 2 pilastri, tanto più il pilastro laterale è
consumato tanto più alto è il grado, fino ad avere nel tipo C un collasso > 50% del
pilastro laterale.
- RM: se eseguita senza m.d.c consente di vedere lo slargamento dell’epifisi,
mentre utilizzando il m.d.c. possiamo osservare una riduzione
dell’enhancement (segno di ischemia), il pattern di rivascolarizzazione e la
morfologia femorale;
- ECO: con cui possiamo vedere il versamento e l’ispessimento della
membrana sinoviale (utile nella diagnosi differenziale con le sinoviti
transitorie);
- ARTROGRAFIA: con cui, grazie all’infiltrazione di m.d.c. a livello
dell’articolazione, possiamo vedere il range di abduzione, l’indice di
sublussazione e i segni di impingement articolare;
- SCINTIGRAFIA: con cui possiamo vedere le alterazioni prima che compaiano
all’RX con un anticipo di 3 mesi, ma viene poco utilizzata per l’elevata dose di
radiazioni a cui viene esposto il paziente;
TERAPIA:
Cambia in base all’età del paziente all’esordio, ai fattori prognostici e alla stadiazione.
L’approccio deve essere tempestivo per prevenire la formazione di deformità.
Esistono 3 possibilità terapeutiche:
1. Osservazione: nei pz < 6 anni, di grado Catteral I e II, con escursione articolare
nella norma e si basa su controlli clinici periodici radiografici ogni 3-6 mesi.
2. Tattamento conservativo: nei pz < 6 anni, di grado Catteral I e II, con zoppia e
limitazione articolare. Con SKIN TRACTION o ortesi (apparecchi gessati) si
riposiziona l’epifisi femorale all’interno dell’acetabolo mantenendone la sfericità.
Per ottenere il risultato è necessario:
- Riposo a letto
- Deambulazione con stampelle
- FANS
- Fisioterapia
3. Trattamento chirurgico:
Nei pz > 8 anni, di grado Herring B o B/C (il grado C non si opera, è troppo grave), si
basa sul concetto di contenimento della testa del femore all’interno dell’acetabolo e si
serve di diverse tecniche:
- RELEASE MUSCOLARE
- OSTEOTOMIA “VARIZZANTE” di femore o di bacino
Nelle fasi tardive: quando si è già in presenza di deformità dell’epifisi prossimale del
femore:
- OSTEOTOMIA “VALGIZZANTE” di femore
- ARTRODIASTASI
- PROTESI D’ANCA

Sindrome di Osgood Schlatter


È la seconda per frequenza tra le osteocondrosi, e riguarda l’inserzione del tendine
rotuleo (apofisi tibiale anteriore). Può anche essere definita come una tendinopatia
inserzionale dovuta alle sollecitazioni meccaniche provocate dalla trazione esercitata dal
tendine rotuleo sul nucleo apofisario tibiale, che risulta essere indebolito da un’ossificazione
alterata per cause costituzionali o acquisite.
EPIDEMIOLOGIA:
L’incidenza è maggiore nei soggetti sportivi specialmente maschi (M:F = 3-10:1) di età
media tra i 12 e i 15 anni (nelle femmine, compare tra gli 8 e i 12 anni). L’incidenza è
maggiore nei soggetti che hanno un’attività sportiva intensa. È bilaterale nel 20-50% dei casi
e il decorso clinico è di due anni.
EZIOLOGIA:
Come le altre osteocondrosi è dovuta a:
- Fattori traumatici: traumatismi ripetuti a livello dell’apofisi tibiale che si verificano
prima dell’ossificazione (corsa o dal salto, basket, pallavolo); Nel 50% dei casi il
soggetto riferisce comunque un trauma importante;
- Fattori biomeccanici: un’alterazione dei rapporti tra la lunghezza del tendine rotuleo e
la rotula (una rotula alta riduce l’efficienza dell’apparato estensore, per cui si ha una
trazione eccessiva sulla tuberosità tibiale, inserzione del tendine rotuleo);
- Fattori intrinseci, qualitativi del nucleo di accrescimento.
CLINICA:
Tumefazione e dolore alla digitopressione a livello della tuberosità tibiale anteriore:
- intermittente nella fase iniziale, esacerbata dall’attività fisica
- per poi diventare persistente in tutte le attività del soggetto
Limitazione funzionale o una ipotrofia del quadricipite.
DIAGNOSI:
La diagnosi è prettamente clinica, ma si ricerca una conferma con l’RX ed ECO in cui si
osservano:
- frammentazione e irregolarità a livello del nucleo di accrescimento epifisario
- sollevamento dell’apice della tuberosità,
L’RM può evidenziare la presenza di un edema e delle alterazioni morfologiche, ma è usata
molto raramente.
TERAPIA:
Il trattamento incruento consiste in:
- Astensione dallo sport (attività fisica da salto, carico e contatto), fino alla
scomparsa della sintomatologia algica.
- FANS
- L’utilizzo di un tutore o ginocchiera gessata che hanno un elemento pressorio
sottorotuleo, una sorta di cinturino che si posiziona sotto la rotula e serve a dare
stabilità e a non gravare sull’articolazione, in questo modo si cerca di ridurre il dolore.
- Crioterapia per il dolore (ghiaccio 4 volte al giorno per 20’)
- Fisioterapia al fine di allungare gli ischio-crurali e il quadricipite.
Il trattamento cruento consiste in:
- Perforazioni Multiple nel nucleo di ossificazione che stimolano la vascolarizzazione
e l’ossificazione dell’osso.
- Tubercolo Plastica e rimozione di frammenti chirurgici
Viene eseguito nei casi in cui la sintomatologia non riesce ad attenuarsi con la terapia
conservativa.
Nell’adulto, dopo l’ossificazione, non dà più fastidio solitamente a meno che il paziente
non sia piastrellista perché si inginocchia spesso, allo stesso modo gli uomini di chiesa.
Questi pazienti possono avere degli esiti dismorfici.

Morbo di Sever Blanke


Osteocondrosi dell’apofisi del calcagno, dove si inserisce il tendine di Achille.
EPIDEMIOLOGIA:
Insorge tra gli 8-13 anni soprattutto nei maschi.
EZIOLOGIA:
L’origine è da ricercare nel trauma da trazione ripetitivo a livello dell’inserzione del tendine di
Achille sull’apofisi calcaneare e sul nucleo di accrescimento presente in questa zona.
Le microfratture che si creano, vanno incontro a processi di riparazione ipertrofica che
portano alla formazione di uno sperone calcaneare. Questo costituisce un insulto lesivo nei
confronti del tendine achilleo, per cui nel corso del tempo si possono creare delle formazioni
fibrotiche nodulari e si può instaurare una tendinopatia cronica (Morbo di Haglung).
CLINICA:
- Tumefazione a livello del retropiede, sul calcagno.
- Dolore alla pressione.
- Infiammazione che riguarda non solo il tendine ma anche le borse tendinee, che
sono molto fastidiose.
- Limitazione funzionale.
DIAGNOSI:
E’ clinica, ma all’RX è possibile vedere un’alterazione morfologica della cartilagine
calcaneare con formazione del tubercolo o sperone calcaneare.
Con l’ECO si evidenzia la borsite peri-Achillea.
TERAPIA:
Incruenta:
- plantari a scarico calcaneare
- esercizi di stretching del tendine di achille
- FANS
- apparecchio gessato per 4-6 settimane se il dolore è intenso
Cruenta:
- bursectomia ed escissione dello sperone calcaneare

Morbo di Scheuermann (p. 46)


Il morbo di Scheuermann o Ipercifosi Dismorfica è una cifosi dorsale causata
dall’osteocondrosi dei nuclei epifisari di almeno 3 vertebre.
EPIDEMIOLOGIA:
Interessa il 0,4-10% della popolazione. Si presenta tipicamente nella tarda infanzia = 8-12
anni e in una forma più severa tra i 16 e i 18 anni. È maggiormente presente nei maschi.
EZIOPATOGENESI:
E’ multifattoriale:
- Fattori genetici
- Fattori biomeccanici
- Fattori vascolari
I vari traumatismi che si sommano su una vertebra in necrosi per il ridotto apporto vascolare
portano ad un autolisi e successiva ricostruzione asimmetrica, con deformità.
CLINICA:
- Deformità del dorso con Ipercifosi media: D6-7 o Ipercifosi bassa: D11-12
- Lordosi lombare
- Capo anteposto
- Spalle anteriorizzate
L’esame neurologico è negativo: i sintomi neurologici sono rari.
Nella diagnosi differenziale con la cifosi ci aiuta la mobilizzazione della colonna, infatti,
l’alterazione nel cifotico tende a migliorare, nell’osteocondrosi no.
Sulla base del grado di cifosi (angolo patologico tra le vertebre), distinguiamo 3 quadri
crescenti di gravità:
1. Lieve < 50°
2. Media 50 - 70°
3. Severa > 70°
DIAGNOSI:
All’RX:
- Irregolarità dei piatti epifisari vertebrali (avvallamenti a “colpo d’unghia”);
- Cifosi > 40°;
- Cuneizzazione > 5° su 3 o più vertebre: la parete anteriore della vertebra si abbassa;
- Assottigliamento dei dischi intervertebrali;
- Ernie di Schmorl: si vedono alla RX come “spazi vuoti” a livello del corpo vertebrale
dovuti alle deformità del corpo vertebrale per cui si insinuano strutture (ad es. il disco
cartilagineo) che normalmente sarebbero ben separate dal corpo vertebrale.
TERAPIA:
Si predispone un busto gessato, o, in casi molto gravi > 75°, si interviene chirurgicamente
(soprattutto se ci sono alterazioni neurologiche, indicazione assoluta alla chirurgia).
Gli interventi che si possono effettuare sono diversi ma il concetto di base resta quello di
determinare una lordosi laddove c’è l'ipercifosi, quindi, ad es. si rimuove la parete posteriore
di una vertebra.

OSTEOPOROSI
L’OSTEOPOROSI è un disordine scheletrico caratterizzato da una riduzione della densità
minerale ossea (BMD ≤ -2.5 DS rispetto alla media di adulti sani) e da un deterioramento
della micro-architettura dell’osso in presenza di un normale rapporto tra matrice organica e
minerale.
Comporta un aumentato rischio di fratture per traumi a bassa energia: fratture da fragilità.
L’OSTEOPENIA è il processo di involuzione fisiologica dell’osso che porta ad una lenta e
graduale riduzione della massa ossea senza implicazioni cliniche.
EPIDEMIOLOGIA:
L’osteoporosi è la patologia più diffusa nei paesi industrializzati.
È stimato che il 30-50% delle donne e il 20-30% degli uomini avrà fratture osteoporotiche nel
corso della sua vita.
EZIOPATOGENESI:
Si tratta di un’alterazione del normale equilibrio tra i processi di osteogenesi (osteoblasti) e
quelli di osteolisi (osteoclasti), con predominanza dei processi distruttivi.
- Alterazioni MACROSTRUTTURALI:
- assottigliamento della corticale (l’osso diventa più suscettibile alle forze di
torsione e flessione)
- riduzione delle trabecole ossee (l’osso diventa più suscettibile alle forze di
compressione)
- Alterazioni MICROSTRUTTURALI:
- diminuzione della densità minerale
- aumento della grandezza dei cristalli minerali
A differenza dell’osso normale, l’osso osteoporotico presenta una ridotta deformazione
plastica, avendo perso buona parte della propria elasticità; a ciò consegue che per carichi
sempre maggiori non si avrà una concomitante formazione dell’osso, raggiungendo il punto
di rottura con estrema facilità, anche in assenza di trauma: “fratture da fragilità”.
L’osso, in queste condizioni può andare incontro ad una esplosione, determinando una
frattura “da scoppio” o frattura comminuta.
Osteoporosi PRIMARIA:
- Post-menopausale: gli estro-progestinici influiscono sull’omeostasi del calcio e dei
cristalli ossei;
- Senile;
- Idiopatica del giovane;
Osteoporosi SECONDARIA:
- artrite reumatoide;
- malattie endocrine;
- uso cronico di farmaci come cortisone o eparina;
- immobilità: la mancanza di movimento influisce negativamente sull’osteosintesi;
CLINICA:
Le sedi più comuni sono:
- corpo vertebrale (crolli vertebrali, con “effetto domino”);
- distale del radio (cadute frontali);
- collo del femore;
Ovvero, le ossa più sollecitate dalla postura e dalle attività di tutti i giorni.
Le fratture vertebrali sono le più comuni fratture osteoporotiche e dopo la prima frattura
vertebrale il rischio di una seconda frattura vertebrale aumenta di 5 volte: il cedimento di un
corpo vertebrale, infatti, determina la deviazione della curva fisiologica della colonna
vertebrale (che si manifesta con ipercifosi/iperlordosi) modificando la biomeccanica di tutta
la colonna vertebrale (“effetto domino”).
Solo 1/3 delle fratture vertebrali sono clinicamente sintomatiche, spesso si osserva solo una
leggera riduzione del movimento.
DIAGNOSI:
- Esami ematochimici (fosfatasi alcalina, funzione tiroidea, ormoni);
- Densitometria Ossea: quantifica la massa ossea in relazione alla densità in sali
minerali dell’osso. È una tecnica che utilizza raggi X (la radiazione è minima) ma ad
oggi ci sono anche strumenti che usano gli ultrasuoni.
Le zone che si vanno a testare sono: la colonna vertebrale, l’articolazione
coxo-femorale, l’articolazione metacarpo-falangea e il calcagno.
Si fa diagnosi di osteoporosi quando il valore di BMD è < 2,5 DS dalla media.
TERAPIA:
Può essere conservativa:
- busti e tutori associati
- terapia farmacologia sintomatica (Calcio; Vitamina D; Terapia ormonale, SERMs;
Bifosfonati;)
O chirurgica:
- vertebroplastica percutanea
PREVENZIONE:
Per il rischio elevato di allettamento/invalidità è maggiormente utile prevenire l’osteoporosi.
Per prima cosa bisogna favorire, in bambini e adolescenti, il raggiungimento di un adeguato
picco di massa ossea con:
- Adeguata apporto giornaliero di calcio e Vit. D (400-600 UI/die nell’adulto)
- Esposizione frequente ai raggi solari
- Adeguata attività fisica
Negli adulti invece si cerca di prevenire/ritardare la perdita di massa ossea con:
- Adeguato di calcio e Vit. D in rapporto all’età;
- Evitare fumo e alcol;
- Esposizione frequente ai raggi solari;
- Adeguata attività fisica in rapporto al peso corporeo e all’età;
- Eventuale terapia ormonale sostitutiva;
Nel soggetto osteoporotico si cerca di evitare le fratture con:
- Rimozione delle barriere architettoniche;
- Utilizzo di ausili alla deambulazione;
- Cambiamento delle abitudini di vita;
- Trattamento di difetti visivi e disturbi dell’equilibrio;
- Adeguata illuminazione degli ambienti domestici;
- Evitare l’utilizzo di tappeti;
- Predisporre punti d’appoggio in casa;
- Richiedere un’assistenza quotidiana.

OSTEOARTROSI
La funzione dinamica del sistema osteoarticolare è assicurata dalle articolazioni e dai
muscoli che sono poi il vero motore dell'apparato locomotore.
L’articolazione è costituita da una serie di parti anatomiche che ne permettono il
funzionamento: osso, cartilagine, sinovia, legamenti, capsula, dischi ecc.
La cartilagine articolare non si deve rischiare di confonderla con quella di coniugazione: la
cartilagine di coniugazione consta di 3 strati, mentre quella articolare ne ha 5:
1. lamina splendent (assenza di condrociti);
2. strato tangenziale (le fibrille collagene diventano più spesse e si legano con gli
aggregati di proteoglicani, i condrociti sono rari e di forma ovalare);
3. strato radiale (metabolicamente attivo costituito da condrociti nella loro forma
matura, protetti da tessuto fibrillare che si dispone a canestro attorno alle cellule);
4. strato colonnare (con fibre collagene distribuite in tutte le dimensioni di spazio);
5. strato calcificato o “tyde mark” (demarca la cartilagine vera dall’osso
subcondrale).
La cartilagine è costituita da condrociti immersi in una sostanza amorfa prevalentemente
acquosa contenente fibre collagene legate da aggregati di proteoglicani (lunghe catene di
acido ialuronico cariche negativamente).
Quindi la rete di proteoglicani da un lato è legata dal legame chimico con le proteine di
legame che conferisce RESISTENZA, ma dall'altro lato per le forze negative è MOBILITA’.
La cosa particolare è che il tessuto cartilagineo è privo di vasi sanguigni, linfatici e nervi (per
questo lesioni cartilaginee non si riparano facilmente, sarebbe meglio PREVENIRE).
Il nutrimento è garantito dal liquido sinoviale prodotto dai sinoviociti della membrana
sinoviale dell’articolazione che per filtraggio del plasma fornisce tutte le sostanze
all’articolazione.
L’OSTEOARTROSI è un processo degenerativo cronico di un’articolazione nel suo
complesso, caratterizzata da lesioni progressive (modificazioni morfologiche,
biochimiche, molecolari e biomeccaniche della matrice cartilaginea con rammollimento e
reazione dell’osso subcondrale con produzione di osteofiti e formazione di GEOIDI) della
cartilagine articolare e dell’osso sottostante, che provoca un grado variabile di dolore,
limitazione funzionale e un forte impatto negativo sulla qualità di vita.
EPIDEMIOLOGIA:
E’ la malattia più comune nella popolazione sopra i 65 anni e rappresenta il 72,6% delle
patologie reumatiche. Dopo i 75 anni colpisce circa l’80% della popolazione con
un’incidenza che inizia ad aumentare a partire dai 60 anni.
In Italia colpisce circa il 16% della popolazione e rappresenta la seconda causa di
invalidità dopo le malattie cardiovascolari.
EZIOPATOGENESI:
La patologia è il risultato di un insieme di fattori meccanici e biologici che esitano nel deficit
dell’equilibrio fra la produzione e la degradazione della cartilagine articolare.
Quando gli stimoli superano la resistenza del tessuto ha inizio il processo artrosico.
Tra i fattori di rischio troviamo:
- età,
- razza,
- assetto genetico,
- fattori ormonali,
- obesità,
- over-use articolare,
- pregresse malattie infiammatorie (ARTRITI),
- traumi articolari:
A seconda dell’eziologia:
- artrosi PRIMITIVA o idiopatica, dovuta ad un’alterazione primitiva della cartilagine
articolare in soggetti con predisposizione genetica e carattere multigenico.
- artrosi SECONDARIA, che si accompagna a patologie o fattori di rischio che
predispongono al processo artrosico.
Per Localizzazione:
- artrosi Localizzate
- artrosi Generalizzate
A seconda della patogenesi:
- artrosi MECCANICA: diversi fattori contribuiscono a creare una iperpressione sulla
cartilagine sana:
- Displasia: incongruenza tra le superfici articolari;
- Turbe statiche: disassiamenti, squilibri, instabilità;
- Sovraccarico: obesità, professione del soggetto o attività sportiva.
L’iperpressione sulla cartilagine sana causa una CONDROSI, cioè una condizione
preartrosica di sofferenza della cartilagine, che può arrivare fino all’artrosi vera e
propria. 2 sono le teorie che spiegano la formazione della condrosi:
1. Teoria meccanica: l’iperpressione causa rottura delle fibrille di collagene e
perdita dei proteoglicani con conseguente edema della cartilagine e
distruzione;
2. Teoria cellulare: i condrociti reagiscono all’iperpressione ma alla fase
reattiva (citochine proinfiammatorie con IL1, TNFa) segue una fase
degenerativa: con necrosi e distruzione della cartilagine articolare.
- artrosi STRUTTURALE: varie patologie causano una alterazione della cartilagine
altrimenti sana, causando una condropatia che anche in presenza di carichi normali,
sfocia nella patologia artrosica:
- Turbe nervose: artropatie neurologiche;
- Turbe metaboliche: gotta, condrocalcinosi;
- Patologie dell’osso: ischemia, necrosi, Paget;
- Traumatismi;
- Patologie della sinovia: infezioni, infiammazioni, emartri;
- Turbe endocrine: acromegalia;
- Patologie ereditarie.
Il processo inizia con la sollecitazione del tessuto a cui segue una risposta infiammatoria con
produzione di un EDEMA. Cominciano quindi a verificarsi fenomeni lesivi che portano alla
FISSURAZIONE che porterà ad una ULCERAZIONE e continuerà a progredire
fino alla EBURNEAZIONE, in cui manca ormai la cartilagine e l’osso subcondrale è
totalmente esposto.
Tutto il processo dipende dalle sollecitazioni che portano ad una attivazione dei condrociti
che risponderanno con produzione e rilascio nel liquido sinoviale di citochine
proinfiammatorie. L’aumento delle citochine determina uno squilibrio e la modificazione
dell’ambiente articolare con conseguente interessamento di tutti gli elementi articolari.
Nella patogenesi si riconoscono dunque due fasi:
- Fase Reattiva in cui si verificano tutte le modificazioni in risposta allo stimolo
- Fase Degenerativa in cui abbiamo perso il tessuto e non si può più ripristinare la
situazione di partenza.
CLINICA:
I distretti più colpiti sono:
1. vertebre cervicali e lombari (spondilo-disco-artrosi);
2. articolazione coxo femorale;
3. ginocchia;
4. dita delle mani e dei piedi (RIZOARTROSI: artrosi che colpisce l’articolazione tra
trapezio e metacarpo, l’articolazione più usata nella mano);
La sintomatologia è caratterizzata da:
- DOLORE ARTROSICO (meccanico) che origina dall’infiammazione della sinovia e
delle strutture periarticolari e NON dalla condrosi (la cartilagine è priva di
innervazione);
- rigidità (specialmente al mattino);
- tumefazione;
- perdita del normale allineamento dei capi articolari;
- limitazione funzionale;
- scroscii;
Il dolore ARTROSICO è diverso da quello ARTRITICO.
L’ARTRITE è una malattia a patogenesi multifattoriale che insorge in soggetti
geneticamente predisposti e si manifesta con un processo infiammatorio cronico
(nell’artrite è il LINFOCITA la cellula attiva, nell’artrosi è il condrocita) che interessa la
sinovia, la cartilagine articolare e, tardivamente, l’osso. Il DOLORE ARTRITICO è un
dolore infiammatorio, fisso a carattere tensivo, che si accentua nelle ore notturne e al
risveglio, con il movimento tende ad attenuarsi.
DIAGNOSI:
E’ essenzialmente clinica, basata su esame obiettivo e anamnesi, si possono ricercare
Markers Bio-Umorali specifici che aiutano a porre una diagnosi differenziale basata
sull’esclusione di patologie con caratteristiche comuni o simili all’artrosi (come le artriti).
RX: si potrebbe effettuare per una conferma diagnostica e deve sempre essere eseguito in
una posizione che garantisca la presenza della forza che determina il sovraccarico
biomeccanico.
ECO: permette valutare la presenza di un versamento.
TC, RMN o Artroscopia: per evidenziare eventuali lesioni associate.
Solo il 30% delle Artrosi diagnosticate Radiologicamente sono sintomatiche.
Esistono diverse classificazioni, una tra queste è la classificazione di Kellgren e Lawrence:
- Grado 0 rappresenta una situazione quasi normale,
- Grado 1 una semplice alterazione della interlinea articolare,
- Grado 2: —
- Grado 3: —
- Grado 4 una modificazione totale della conformazione articolare accompagnata da
alterazioni morfologiche degli elementi articolari.
Le lesioni elementari rappresentano l’insieme di fenomeni che si rendono manifesti
all’indagine strumentale:
- OSTEOFITI piccole escrescenze di tessuto osseo di nuova formazione,
generalmente a forma di becco o cresta.
- GEOIDI cioè raccolte cistiche di liquido sinoviale che si era fatto strada nel tessuto
osseo a partire dalle lesioni fissurative.
- SCLEROSI segno di addensamento osseo dovuto all’azione di sintesi degli osteo
blasti che cercano di rendere la struttura ossea più resistente nei confronti delle
sollecitazioni esterne.
TERAPIA:
Il trattamento conservativo:
- eliminazione dei fattori di rischio
- fisioterapia
- antinfiammatori (cox2) e condroprotettori (eparan solfato, condroitin solfato)
- FANS
- infiltrazioni di cortisone, acido ialuronico, PRP
Il trattamento chirurgico:
- palliativo: per via artroscopica
- riparativo/ricostruttivo: OSTEOTOMIE DI CORREZIONE
- sostitutivo: PROTESIZZAZIONE

COXARTROSI: nel 90% delle coxapatie ci troviamo davanti ad un’artrosi. Il 20% della
popolazione ne soffre, distinguiamo:
- coxartrosi MECCANICA
- coxartrosi METABOLICA
- coxartrosi MISTA
Le cause più comuni sono: l'osteocondrosi, la coxa vara e valga, l'epifisiolisi, esiti di fratture,
artrite. La sintomatologia ha le caratteristiche “dell'auto vecchia” e poi un dolore continuo per
la riduzione dello spazio articolare e intrarotazione e abduzione dell’anca.

GONARTROSI: più frequente nella donna, è un’artrosi che interessa il compartimento


femoro tibiale di ginocchia vare.
Causa un dolore importante all’emirima interna che limita il movimento e l’attività fisica, con
ipotono e ipotrofia dei muscoli della gamba.
Per il trattamento medico si somministrano subito antinfiammatori per spegnere la flogosi
con inibitori super selettivi delle cox2.
Il trattamento chirurgico prevede una sostituzione protesica dell'articolazione o con
osteotomia e fissatore esterno o con protesi monocompartimentali.

ESAME POSTURALE E DEFORMITA’ SPINALI


Il rachide ha diverse funzioni:
- proteggere le strutture nervose (funzione protettiva, di ammortizzazione delle
sollecitazioni e preservazione di cervello e midollo spinale);
- sostenere il tronco contrapponendosi alla forza di gravità (funzione di sostegno);
- controllare la postura attraverso una serie di movimenti di rotazione,
flesso-estensione e flessione laterale (funzione dinamica);
E’ formato da 33-34 vertebre distinte in 4 tratti:
1. cervicale (7),
2. toracico (12),
3. lombare (5),
4. sacro-coccigeo (4-5).
La porzione cervicale, toracica e lombare sono mobili, mentre la porzione sacro-coccigea è
fissa.
La colonna vertebrale, osservata sul piano laterale, presenta 4 curve fisiologiche:
1. Lordosi cervicale a concavità posteriore (32° - 36°)
2. Cifosi dorsale a convessità posteriore (25° - 45°)
3. Lordosi lombare a concavità posteriore (21° - 49°)
4. Curva sacro-coccigea a convessità posteriore (vertebre sacrali fuse in una curva
cifotica)
Sul piano frontale (coronale) la colonna deve essere retta, la presenza di una qualsiasi
curvatura è segno di una colonna patologica (soltanto nel neonato ci può essere una curva
dovuta all’assenza di carico).
DISMORFISMI E PARAMORFISMI
Paramorfismo: (morfeo = forma, parà = vicino) indica uno scorretto atteggiamento
posturale, il più delle volte legato a squilibri muscolari-legamentosi dovuti prevalentemente
ad uno stile di vita sedentario e a malsane abitudini posturali.
È una condizione parafisiologica che può essere corretta aggiustando le abitudini
posturali.
Il paramorfismo scoliotico (non patologico), l’ipercifosi con accentuazione patologica della
normale curva dorsale del rachide o l’iperlordosi lombare, cioè l’accentuazione della normale
lordosi lombare, sono tutti esempi di paramorfismi.
Disformismo: (morfeo = forma, dius = alterato) indica una condizione patologica di
alterazione della morfologia che tende solo a peggiorare, a meno che non ci sia un corretto
intervento esterno. La scoliosi ed il morbo di Scheuermann sono i dismorfismi più frequenti.
- PARAMORFISMO SCOLIOTICO -
L’atteggiamento scoliotico è una alterazione biomeccanica del rachide in cui non si rilevano
anomalie strutturali reali, legato ad una ipotonotrofia dei muscoli paravertebrali, del cingolo
scapolo omerale e pelvico. Riguarda solitamente bambini tra i 5 e i 14 anni, sedentari, che si
siedono scorrettamente mentre giocano con le console o con gli smartphone.
Ci sono moltissime forme di paramorfismi:
- Posturale:
Fondamentalmente oggi possiamo trovarci davanti 2 tipi di soggetti:
1. il primo che ha uno stile di vita assolutamente sedentario con atteggiamento
posturale sbagliato (95% dei casi);
2. il secondo invece è l’opposto, è il bambino che deve diventare bravissimo
nella sua attività sportiva e questo porta a patologia da sovraccarico
funzionale che una volta si vedevano solo nell’età adulta.
- Psico-somatico: un soggetto che ha problemi psicologici tende ad assumere
posture errate;
- Patologico: irritazione articolare, tumore, appendicite che portano all’assunzione di
posizioni antalgiche errate
- Dismetria degli arti inferiori: fisiologica, entro 5 mm, quando la dismetria supera il
1cm si presenta scoliosi. La prima causa patologica di dismetria sono le fratture:
l’osso fratturato cresce di più per l’elevatissimo turn over osseo.
- Contratture muscolari
Bocca e occhi devono essere sempre valutati quando ci si trova davanti ad una patologia
della colonna. Alcuni studi mostrano che disfunzioni oculo-motorie e disfunzioni
temporo-mandibolari sono spesso associate ai paramorfismi scoliotici.
Quando c’è un’anomalia para o dismorfica della colonna, l’ipodontia (anomalia di sviluppo
dei denti con assenza di 1 o più denti) è 10 volte più frequente, ma anche un prognatismo o
una malocclusione di classe II.
Una questione ancora controversa è quella del legame tra vizi dell’appoggio plantare (ad es.
piedi piatti) e scoliosi perché è difficile quantizzare informazioni obiettive sull’appoggio
podalico e la verticalità.
Un piede piatto, che valgizza (sindrome pronatoria), ha un appoggio obliquo, può avere una
certa genesi nell’insorgenza del paramorfismo soprattutto se l’interessamento è di un solo
piede, perché si genera asimmetria con ripercussioni sul bacino e sulla colonna.
La diagnosi del paramorfismo è clinica, lo studio radiografico mostra una colonna normale.
Se un soggetto ha una asimmetria del cingolo scapolo-omerale (una scapola più alta
dell’altra ad es.) non ha la scoliosi, ma un atteggiamento scoliotico.
Con asimmetria del profilo delle spalle, dei fianchi, dei triangoli della taglia.
Il triangolo della taglia è lo spazio formato dal profilo del fianco e da quello del lato interno
del braccio rilassato ai lati del corpo.
La cosa importante è che facendo piegare il soggetto la colonna si riallinea.
Per evitare che il paramorfismo evolva in dismorfismo (cosa probabile se il soggetto è in età
puberale) bisogna controllare la postura attraverso:
- Autocorrezione: invitare il bambino a mantenere una postura adeguata;
- Attività sportiva: un bambino in età evolutiva dovrebbe praticare circa 6 ore di attività
sportiva alla settimana. Le arti marziali sono particolarmente indicate, facendo
sviluppare nel bambino stabilità, dinamismo, ecc.
- Rieducazione motoria: ginnastica posturale, fisiokinesiterapia, che ha una duplice
azione:
1. Analitica: in cui si corregge lo specifico atteggiamento errato;
2. Globale: in cui si va a trattare la postura nella sua interezza.
- SCOLIOSI -
La scoliosi è una deformità della colonna vertebrale caratterizzata da alterazioni della
struttura e dei rapporti reciproci tra le vertebre nei tre piani dello spazio, per cui ad una
curva laterale > 10° Cobb sul piano frontale si associa una rotazione vertebrale.
Se il soggetto con scoliosi si flette in avanti, avrà un gibbo o gobba.
EPIDEMIOLOGIA:
La scoliosi riguarda il 2-4% dei ragazzi di età compresa tra 12-14 anni (i dati circa la
prevalenza sono molto variabili, dallo 0,47% al 5,2% della popolazione, perché non ci sono
criteri classificativi univoci: alcuni dicono 10° altri 15° ecc.).
La differenza di sesso non c’è per le curve banali (M:F = 1,4:1) ma per le scoliosi gravi il
rapporto cambia completamente con un rapporto M:F di 1:7,2.
Per quanto riguarda le varie porzioni della colonna:
- le curve toraciche sono le più frequenti (48%)
- seguite dalle toraco-lombari
- e dalle lombari
EZIOPATOGENESI:
Ancora oggi non sappiamo qual è il fattore che causa la genesi della scoliosi. Parleremo
allora di una patologia multifattoriale in cui concorrono fattori genetici, ormonali, neurologici,
muscolari.
Oggi si dà molto peso a:
1. MELATONINA che influenza lo sviluppo armonico muscolo-scheletrico della colonna.
Una carenza di melatonina determinerebbe un aumento di calmodulina che porta alla
formazione di catene anomale di miosina.
2. PROTEINA Oligomerica della Matrice Cartilaginea (COMP) presente nella
cartilagine, nei tendini, osso, dischi intervertebrali che determinerebbe una iperlassità
tale da determinare dei vizi durante l’accrescimento.
3. ORMONE DELLA CRESCITA, una sua carenza.
La teoria patogenetica oggi più accettata è quella di Nachemson e Dubousset secondo cui
si ha una maturazione anomala, geneticamente determinata, di alcuni centri della
propiocezione, dell’equilibrio e della postura.
Le tipologie di scoliosi sono numerose.
CLASSIFICAZIONI:
In base alla genesi della malattia abbiamo:
- CONGENITE (3%): vizi di formazione della colonna vertebrale (emispondilia, fusione
vertebrale = sinostosi ecc.) durante la vita intrauterina. Il bambino nasce con una
condizione scoliotica. Sono forme più gravi che il più delle volte devono essere
corrette con interventi chirurgici importanti.
- NEUROMUSCOLARI (4%): una distrofia muscolare porta a quadri scoliotici molto
difficili da trattare.
- Altre scoliosi (8%): sono riconducibili a neurofibromatosi, mucopolisaccaridosi, altre
patologie dismetaboliche, traumi (scoliosi post-traumatica), infezioni (scoliosi
post-infettiva), neoplasie, osteocondrodisplasie.
- IDIOPATICHE (85%): è la forma più frequente, colpisce i soggetti sani e non è legata
a nessuna menomazione fisica o precedente di malattia.
Una delle più comuni è la classificazione topografica che distingue:
- Curve cervicali: tra C1-C6;
- Curve cervico-toraciche: tra C7-T1;
- Curve toraciche pure;
- Curve toraco-lombari;
- Curve lombari tra L2-L4;
- Curve lombo-sacrali.
In rapporto all’età dell’insorgenza, che non sempre coincide con l’epoca della diagnosi,
distinguiamo:
- INFANTILE: 0-3 anni;
- GIOVANILE:
1. 3-6anni;
2. 6-9 anni;
3. III:9-12anni;
Quelle che si manifestano entro i 10 anni (early onset, EOS) sono le più gravi.
- ADOLESCENZIALE: 12-18 anni (AIS adolescent idiopathic scoliosis);
Sono quelle che evolvono meno.
- ADULTO
- ANZIANO:
Solitamente legate a processi osteoporotici che portano sempre più spesso alla
comparsa di scoliosi senile.
In base al dato radiografico:
- Scoliosi a curva unica
- Scoliosi a curva doppia: una principale e una secondaria
- Curve lievi: < 20°;
- Curve di media entità: 20-40°;
- Curve gravi: > 40°, spesso necessitano del trattamento chirurgico.
CLINICA:
A livello vertebrale si ha una cuneizzazione delle vertebre, in parte legata all’alterazione dei
tessuti molli perivertebrali che si trovano contratte dal lato della concavità mentre dal lato
della convessità della curva si elongano. Nel tempo portano allo sviluppo della curva
patologica, la “gobba” perché le vertebre vanno incontro a rotazione che porta, inoltre, ad
una deformazione della gabbia toracica: un emitorace risulta prominente rispetto all’altro.
Gli organi toracici tendono ad adattarsi alla riduzione dei volumi potendo causare: problemi
cardiaci, circolatori, ridotta escursione polmonare con problemi respiratori da atelettasia.
La scoliosi non dà dolore, è molto improbabile (tranne nell’adulto). Quando lo dà è un dolore
subdolo, lieve e varia a seconda del distretto anatomico interessato, mentre può dare
contratture.
DIAGNOSI:
Anamnesi:
- Chiedere se c’è familiarità: c’è una componente genetica;
- Chiedere se ci sono stati problemi durante il parto, se ci sono stati traumi;
- Determinare età cronologica e scheletrica che spesso non combaciano; mi devo
rendere conto del grado di maturità scheletrica. Nel periodo del menarca,
l’incremento della scoliosi è incontrovertibile e diventa particolarmente complessa.
Esame in stazione eretta:
- Curvatura della colonna vertebrale;
- Diversa altezza delle scapole e diversa distanza tra le scapole e la linea mediana;
- Asimmetria dei profili delle spalle;
- Asimmetria dei fianchi con fossette parasacrali di diversa altezza;
- Asimmetria dei triangoli della taglia;
- Dorso molto rigido che può essere deformato per la sporgenza delle coste;
- Esame del filo a piombo: permette di valutare l’asse occipito-sacrale ed eventuali
sbandamenti laterali. Il filo si fissa a livello di C7 e normalmente il piombo dovrebbe
cadere in corrispondenza della piega interglutea. Anche in caso di deviazioni laterali
potrebbe risultare normale per presenza di curve di compenso. Nel caso in cui ci sia
deviazione del filo rispetto all’asse mediano, questa deviazione si misura.
Esame in stazione curva:
Con le mani e le dita unite il soggetto si flette in avanti fino ad evidenziare la gibbosità.
- Test di Adams: si invita il soggetto a flettersi in avanti a 80°- 90° con le braccia
rilassate. Se non ha una prominenza di un emitorace rispetto ad un altro, il soggetto
non ha la scoliosi. Se flettendosi si osserva una gibbosità è indice di scoliosi
strutturale. Possiamo anche quantizzarlo con lo scoliosometro o con il gibbometro,
con l’inclinometro di Giosualdo o per i più moderni con un app per iPhone.
Indagini strumentali:
La diagnosi di certezza di scoliosi è radiografica. Deve essere fatta una radiografia del
rachide in toto, in ortostatismo, in telemetria, su carta millimetrata, nelle 2 proiezioni
standard.
L’RX valuta:
- Posizione topografica delle curve;
- Numero ed estensione delle curve;
- La gravità della scoliosi: si misura con il metodo di Cobb. Nella radiografia in
proiezione AP si tracciano delle linee seguendo il profilo superiore ed inferiore del
corpo delle vertebre ai margini della curva. Da queste rette si tracciano le
perpendicolari e si forma un angolo, detto angolo di Cobb, che esprime il grado di
deviazione laterale sul piano frontale della colonna e indica in gradi l’entità della
deviazione scoliotica.
Più piccolo è l’angolo, meno grave è la scoliosi.
- Il grado di rotazione vertebrale: attraverso il metodo di Nash e Moe: in base allo
spostamento del processo spinoso, visibile in proiezione LL, si stabilisce il grado di
rotazione; nella rotazione il processo spinoso transita in vari settori ed ogni settore è
associato ad un determinato grado di rotazione (da 1 a 4).
- Alterazioni morfologiche delle vertebre: cuneizzazioni;
- Maturità ossea: possiamo quantizzare l’ossificazione delle creste iliache per definire
lo stato di maturità del soggetto.
Il test di Risser valuta l’ossificazione delle epifisi delle creste iliache (gradi da 0 a 5 =
cresta iliaca completamente ossificata) per calcolare la prognosi del pz: minore è la
maturità, maggiore è l’evoluzione.
Se il soggetto ha finito di crescere la scoliosi non peggiora, a meno che non siamo di
fronte a scoliosi molto gravi.
Ci sono dei casi in cui la RX non è sufficiente (2-5% dei casi).
Nei casi in cui ci sono curve atipiche, nei casi in cui il pz ha dolore e devo capire perché, nei
soggetti in cui presumo ci sia una scoliosi congenita o secondaria devo fare una TC.
Per le curve che hanno un angolo di Cobb > 30° farò una RM perché ci potrebbe essere un
danno midollare.
Altri esami che si possono fare, sono:
- la spinometria: serve per il follow up, per valutare l’evoluzione.
- la micro-dose X-ray che espone il pz a minori quantità di raggi X, ma essendo meno
precisa della radiografia, non è di solito prevista.
EVOLUZIONE:
Una curva scoliotica ha più possibilità di evolvere (FATTORI PROGNOSTICI NEGATIVI) se:
- Stadio di Risser basso (0-1, più è basso più il soggetto andrà a peggiorare)
- In base alla topografia: una curva toracica evolve con maggiore probabilità rispetto
ad una lombare;
- Se la curva è doppia;
- Se l’angolo di Cobb è > 20°; l’evolutività della curva è direttamente proporzionale
all’entità della curva stessa;
- Presenza di deformità toracica;
- In base alla mobilità del soggetto: se riesce a curvarsi lateralmente con facilità o
meno;
- Se il bambino ha un’età minore;
- Il sesso femminile soprattutto se prepuberale, per lo scatto puberale nell’età del
menarca.
TERAPIA:
Si avvale principalmente di follow-up, corsetto ortopedico, busto gessato e in ultima istanza
di intervento chirurgico di artrodesi.
Le curve < 10°:
- controlli periodici, ogni 3-6 mesi (3 mesi quando si è più giovani, ad es. nelle ragazze
pre-menarca; 6 mesi quando si è più grandi);
- attività fisica con sport di slancio (pallavolo, pallacanestro) se l’età è 8-9 anni;
- corsetto ortopedico solo se si ha un aumento di 5° in 6 mesi;
Le curve tra 10° e 20°:
- controlli periodici;
- correzione posturale: attività fisica, ginnastica posturale, corsetto neuromuscolare;
Le curve tra 20° e 40°:
- corsetto ortopedico (ortesi);
Le curve tra 40° e 50°:
- busti gessati;
- corsetto ortopedico;
Le curve > 50°:
- trattamento chirurgico (artrodesi);
Il corsetto ortopedico è strutturato in modo da migliorare la distribuzione dei carichi al fine
di evitare una concentrazione di tensioni sulla colonna vertebrale.
Esistono diversi tipi di corsetto:
- Corsetto di Cheneau con apice fino a T8
- Corsetto Sforzesco con apice fino a T4
Va tenuto inizialmente 14-16 ora al giorno, fino a quando non si raggiunge la maturità
scheletrica (circa 16 anni) poi lo si tiene solo la notte per 2-3 anni.
Oltre all’efficacia, va valutata anche la tollerabilità da parte del pz, infatti tra le complicanze
non sono da ignorare quelle psicologiche. Altre complicanze sono:
- irritazioni cutanee,
- piaghe,
- fenomeni neurologici (intorpidimento della coscia),
- evoluzione verso una cifosi dorsale o un dorso piatto.
Il successo è del 93% nei pazienti che utilizzano il corsetto per > 13h al giorno;
Del 41% in coloro che lo utilizzano 6h al giorno.
Il busto gessato, chiamati anche E.D.F. sulla base del loro funzionamento:
1. Elongazione del bambino, agendo a livello occipitale-mentoniero e a livello del
bacino;
2. Derotazione della colonna applicando dei pressori localizzati;
3. Flessione laterale della colonna;
È difficilmente accettato dal pz e può determinare anche problemi respiratori e
gastrointestinali.
Il trattamento chirurgico viene effettuato per angoli di Cobb > 45-50°, con gibbosità, dolore
non controllato, deformità con interessamento endocavitario o quando ci sono problematiche
funzionali (come ad es alterazioni respiratorie) oltre che scheletriche.
Trattamento chirurgico EOS:
- Distrazione: allungamento ogni 3/6 mesi attraverso barre magnetiche
allungabili o barre metalliche tradizionali;
- VEPTR (Vertical Expandable Prosthetic Titanium Rib), sono protesi costali
verticali in titanio usate nei bambini con problemi respiratori (nelle scoliosi
congenite o nelle scoliosi legate a patologie muscolari come le distrofie).
- Crescita guidata: si avvale di strumentazione che guida l’accrescimento in
una corretta direzione: tecnica Luque Trolley e tecnica Shilla
- Compressione: inibizione della crescita dal lato convesso della curva tramite
tiranti;
Trattamento chirurgico AIS:
- Artrodesi vertebrale (artrodesi = intervento che trasforma qualsiasi articolazione da
mobile a statica, è un’anchilosi chirurgica); può essere fatta anteriormente,
posteriormente o con approccio combinato. Si utilizzano mezzi di sintesi metallici
(viti, placche ecc.) e/o sintetici per promuovere la fusione ossea.
Questi interventi sono molto complicati, vanno fatti in centri specializzati, sono legati
a varie complicanze: infezioni, problematiche neurologiche e di fallimento
dell’impianto.
- IPERCIFOSI DORSALE (p. 37) -
La cifosi è la curvatura fisiologica dorsale della colonna vertebrale con concavità anteriore
in senso sagittale (20°- 35°).
Si parla di ipercifosi dorsale quando l’angolo di Cobb della cifosi dorsale è > 35° in
proiezione sagittale ed è solitamente associata a iperlordosi lombare compensatoria.
L’ipercifosi dorsale può essere sia paramorfica (non strutturata, senza cuneizzazione delle
vertebre) che dismorfica (cioè strutturata con cuneizzazione delle vertebre) = morbo di
Scheuermann.
- ROUND: è il tipo più frequente, vede molte vertebre coinvolte, solitamente è toracica
o toraco-lombare, solitamente riducibile;
- ANGULAR: è più rara ma più grave, vede poche vertebre coinvolte, e può peggiorare
con la crescita.
L’ipercifosi paramorfica o atteggiamento ipercifotico (è quella di gran lunga più
frequente) non ha alla base un’alterazione strutturale delle vertebre che tuttavia si trovano in
una condizione di flessione.
EPIDEMIOLOGIA:
È più frequente negli adolescenti specialmente nelle ragazze più introverse, e si è vista una
spiccata familiarità.
EZIOLOGIA:
Sono atteggiamenti reversibili causati da vizi posturali, disturbi visivi, uditivi, dentari.
La correzione di queste cause porta ad una scomparsa del paramorfismo e si avvale di
applicazione di forze passive e attive.
CLINICA:
Clinicamente l’atteggiamento del pz varia a seconda del tratto colpito:
- Parte alta della cifosi toracica: collo molto obliquo e in avanti, scapole alate;
- Parte media: sporgenza del dorso, spalle protruse per scivolamento delle scapole
sulle coste;
- Parte bassa: scarsa presentazione clinica o presenza di mancata sporgenza dei
glutei.
DIAGNOSI:
- ANAMNESI: si vede se ci sono patologie alla base, familiarità e il profilo psicologico
del paziente. Verificare lo zaino perché non è un problema se lo metto bene, anche
se pesante perché lo porto per poco tempo: entrambi gli spallacci, ammortizzato, che
arriva all’arco sacrale.
- EO: curva cifotica ad ampio raggio, iperlordosi lombare, spalle anteriorizzate, capo
anteposto, iperlassità legamentosa, altezza notevole rispetto ad una curvatura
ipotonica, mobilità conservata, facilmente e volontariamente corregibile.
- TEST DEL FILO A PIOMBO: normalmente il filo posizionato a livello di C7 è tangente
a T7-T8 e tocca il sacro o è posteriore fino a 1,5 cm, se la distanza del filo da C7 è di
4-5cm (freccia di cifosi) mentre la distanza del filo da L2 è di 3-4 cm (freccia di
lordosi). In caso di cifosi alta c’è un aumento della freccia di cifosi, in caso di cifosi
media c’è un aumento di entrambe le frecce. —-- bo non se capisce una sega
- ARCOMETRO DI OSUALDO
- RX (in ortostatismo e in 2 proiezioni: AP e LL): ci permette di valutare l’angolo di
Cobb e di vedere se la ipercifosi è strutturata o meno. Bisogna eseguire un controllo
RX ogni anno.
- TC e RM: se sospettiamo complicanze respiratorie.
EVOLUZIONE:
Un atteggiamento cifotico non trattato può peggiorare e strutturarsi, compromettendo il
fisiologico sviluppo osseo e muscolo-legamentoso del rachide.
TRATTAMENTO:
Il trattamento incruento delle forme strutturate lievi-moderate prevede la rieducazione alla
corretta postura, ginnastica correttiva con potenziamento muscolare ed eventualmente
l’utilizzo di ortesi. Sport da evitare sono tutti quelli che portano ad un atteggiamento cifotico:
box in primis; mentre quelli consigliati sono yoga e tutti quelli che ti portano ad allungare la
muscolatura.
Nelle forme gravi (> 45°) possiamo usare dei corsetti o busti gessati associati alla ginnastica
posturale. Il corsetto di Milwaukee è quello più utilizzato: va ad elongare i muscoli, e a
distrarre la colonna toracica.
Solo in rari casi può essere necessario l’intervento chirurgico.
- IPERLORDOSI LOMBARE -
Si parla di iperlordosi lombare quando l’angolo di Cobb è maggiore di 40-50°. È molto più
frequente nel sesso femminile per la diversa conformazione ossea e abitudini.
Bisogna distinguere quella apparente (colonna normale ma glutei particolarmente sporgenti)
da quella vera.
L’iperlordosi lombare può essere aggravata da diversi fattori di rischio:
- Assunzione di una postura scorretta durante la giornata, solitamente dovuta ad una
vita lavorativa sedentaria;
- Sovrappeso: il peso corporeo in eccesso è causa di stress ulteriore sui dischi nella
regione lombare;
- Gravidanza: soprattutto negli ultimi mesi;
- Ernia del disco;
- Fratture;
- Lussazioni;
- Artrosi;
- Rachitismo;
- Osteoporosi;
- Muscolatura lombare debole.
Il trattamento si basa su ginnastica correttiva e uso di corsetti de-lordosizzanti.

ERNIA DEL DISCO


Affezione caratterizzata dalla dislocazione del nucleo polposo (costituito principalmente da
acqua) a causa della rottura o sfiancamento dell’anello fibroso del disco.
Le ernie peggiori si hanno quando l’ernia è contenuta dal legamento longitudinale posteriore:
in questo caso, la pressione sulle radici nervose sarà maggiore e la sintomatologia più
eclatante.
Quando invece il disco e il legamento si rompono e il nucleo polposo non viene contenuto,
non esercita un'elevata pressione sulle radici nervose e la sintomatologia si risolve passata
la fase acuta.
Possiamo distinguere le ernie in:
- Espulsa
- Espulsa migrata
- Sottolegamentosa
- Sottolegamentosa migrata
- Ernia centrale la sintomatologia può anche essere assente;
- Ernia intraforaminale, extraforaminale o paramediana la sintomatologia periferica
sarà più importante per compressione della radice nervosa;
In base alla radice del nervo interessata, la sintomatologia può essere diversa sia motoria
che sensitiva. Le parestesie sono in genere il primo sintomo.
- Lombosciatalgia: per compressione di L5- S1;
- Lombocruralgia: per compressione di L2- L3.
La diagnosi di ernia del disco può essere fatta con la RM che ci serve per caratterizzare
l’ernia ed impostare il giusto trattamento.
In passato il trattamento era prettamente chirurgico. Oggi si può decidere di attuare una
terapia conservativa (farmacologica principalmente con infiltrazioni di cortisone) o
una terapia chirurgica. Se il pz non ha disturbi motori ma ha solo dolori o parestesie, si deve
temporeggiare perché questi sintomi possono regredire con la giusta terapia medica e
riabilitativa. Quando invece si ha una sintomatologia motoria con deficit trofico del muscolo
innervato dalla radice compressa, si deve fare l’intervento chirurgico.
La terapia chirurgica sostanzialmente consiste nella discectomia, cioè nella rimozione del
disco intervertebrale erniato.
La microdiscectomia (a cielo aperto), si effettua:
- a livello lombare mediante l’apertura di un piccolo sportello osseo per accedere
posteriormente al canale (laminectomia) e rimuovere il frammento discale erniato;
- a livello cervicale mediante un approccio anteriore attraverso una piccola incisione in
una piega del collo, asportando l’ernia dopo rimozione dell’intero disco intersomatico,
talora posizionando una protesi intersomatica (cage in metallo o in ceramica).
La discectomia endoscopica percutanea si effettua mediante penetrazione laterale del
disco con una sonda attraverso la quale vengono utilizzati strumenti analoghi a quelli della
chirurgia a cielo aperto, miniaturizzati, e la d. endoscopica mediante penetrazione posteriore
mediana, attraverso il canale vertebrale, tecnica del tutto analoga alla microdiscectomia
classica ma in dimensioni ridotte.

STENOSI VERTEBRALI
Il canale spinale è formato dall’unione tra 2 semiarchi: la parte anteriore della colonna e la
parte posteriore, che forma un foro centrale che è il canale spinale.
Il diametro del canale spinale può stenotizzare per varie cause:
- Congenite;
- Acquisite: ernie del disco mediane e ipertrofia delle faccette articolari.
Essendo patologie croniche, è raro il dolore acuto. Più frequentemente si ha una
sintomatologia cronica caratterizzata da ipostenia, ipoestesia e claudicatio neurogena.
Il dolore diminuisce stando seduti, sdraiati o chinandosi in avanti perché lo spazio si allarga
un po’ e a riposo per la riduzione della richiesta di sangue (che arriva nella regione stenotica
con un ipo-afflusso).
La TC può essere utile per capire il motivo della stenosi.
La terapia chirurgica consiste nella rimozione dell’osso in esubero e la stabilizzazione della
colonna con mezzi di sintesi.

SPONDILOLISTESI E SPONDILOLISI
La spondilolistesi è lo scivolamento di una vertebra sopra la sottostante. Una vertebra può
scivolare solo sulla sottostante poiché è tutta la colonna che scivola su quella vertebra.
Quindi si dice ad es. che si ha una spondilolistesi L5 si indica lo scivolamento di L5 su S1.
Ci sono diversi gradi di spondilolistesi secondo la classificazione di Mayerding che
prevede 5 gradi: l’ultimo grado (scivolamento > 75%) è la spondiloptosi.
Spesso alla spondilolistesi si associa il concetto di spondilolisi.
La spondilolisi è l’interruzione dell'istmo osseo che congiunge la faccetta articolare
superiore con quella inferiore. L’istmo può lesionarsi nelle diverse età.
Esiste la spondilolisi senza la spondilolistesi. La spondilolistesi avviene più frequentemente
se è associata la spondilolisi perché se si rompe l’istmo, l’unica struttura che trattiene i corpi
vertebrali dallo scivolamento è il disco.
Paradossalmente, nei giovani il rischio di spondilolistesi in presenza di rottura dell’istmo è
più frequente proprio perché il disco è più morbido.
Quando invece non c’è spondilolisi, la vertebra può scivolare per vari motivi: in genere
processi degenerativi a carico delle varie componenti dell’articolazione vertebrale.
In una spondilolistesi istmica (con spondilolisi) il canale spinale non solo non si restringe ma
si può anche allungare → no sintomi → diagnosi tardiva spesso occasionale.
In una spondilolistesi degenerativa invece, l’integrità dell’arco neurale può causare un
inghigliottinamento delle radici nervose → stenosi con claudicatio anche per spondilolistesi
di grado I.
Radiograficamente, un segno caratteristico di spondilolisi nella proiezione obliqua è il segno
del cagnolino con il collare o del cagnolino decapitato.
La terapia è indicata soprattutto nei pz giovani e consiste nella stabilizzazione
circonferenziale (artrodesi) attraverso un approccio chirurgico posteriore. Si associa anche
la protesi discale.

CERVICALGIA
Le cervicalgie sono affezioni dolorose della regione cervicale la cui eziologia può essere
diversa:
- Di origine rachidea: significa che la sintomatologia dolorosa è provocata da
patologie che colpiscono il rachide cervicale. Queste patologie possono essere di
natura:
A. Degenerativa: spondiloartrosi cervicale, spondilodiscoartrosi (che coinvolge le
articolazioni intervertrebrali e il disco intervertebrale), ernia discale;
B. Traumatiche: distorsioni cervicali, fratture cervicali;
C. Infiammatorie/infettive;
D. Neoplastiche;
- Di origine extrarachidea: sono una serie di patologie che provocano una
sintomatologia dolorosa localizzata al collo, spalla e arto superiore che sono spesso
confuse con radiculopatie. Tra queste malattie abbiamo la sindrome dell’egresso
toracico che può essere di 2 tipi:
1. neurogena vera con compressione del plesso brachiale a causa di un fascio
anomalo di tessuto che connette C7 a T1;
2. arteriosa se viene compressa l’a. succlavia da parte di una costa
sovranummeraria cervicale;
- Di origine midollare: se sono presenti patologie come neoplasie, siringomielia,
sclerosi a placche.
La cervicobrachialgia è una condizione dolorosa del collo e dell’arto superiore (fino anche
alle dita) causata dalla compressione delle radici nervose di C5, C6 e C7, di solito
monolaterale.
Può essere causata dalla presenza di osteofiti o da ernie discali. Si associa a parestesie ed
ipoestesie. Terapia farmacologica con FANS e cortisonici. Collare in alcuni casi.
L’artrosi cervicale è una patologia che riguarda circa il 70% dei soggetti oltre i 70 anni.
È caratterizzata da dolore al collo, irradiato al braccio (cervicobrachialgia) o all’occipite
(cervicocefalgia, se interessate c2-c4) e contratture muscolari (torcicollo), rigidità del collo, e
manifestazioni neurologiche come parestesie o ipoestesie.
La terapia è fondamentalmente farmacologica con antidolorifici e miorilassanti.
La terapia chirurgica è indicata nei casi in cui c’è un danno neurologico di alto grado.

LESIONI MENISCALI E LEGAMENTOSE DEL GINOCCHIO


LESIONI MENISCALI:
Possiamo distinguere nel ginocchio due articolazioni:
1. femoro tibiale
2. femoro patellare
L’articolazione femoro tibiale è formata dai condili femorali e dalle due cavità glenoidee dei
condili tibiali.
I condili femorali hanno una forma curva mentre il piatto tibiale è piano e solo un po' curvo.
Per far sì che i condili si adattino al piatto tibiale, tra i due capi articolari sono interposti due
dischetti di fibrocartilagine allo scopo di fornire una congruenza articolare che ammortizzi i
carichi e stabilizzi l’articolazione: il menisco interno (forma di una “C”) ed il menisco
esterno (forma di “O”).
I menischi sono dotati, tra l'altro, di terminazioni nervose propriocettive che vengono perse
quando il menisco viene danneggiato in seguito ad eventi traumatici o iatrogeni.
Circa il 75% delle patologie meniscali riguarda il menisco interno che, essendo più fisso, è
più soggetto ai traumatismi (compressioni, rotazioni, abduzioni, adduzioni, iperflessioni e
iperestensioni).
CLINICA:
Le piccole lesioni si rendono manifeste solo quando si effettua un’attività fisica intensa con:
- dolore
- gonfiore
- blocco articolare
- sensazione di instabilità
Esistono diversi tipi di lesioni meniscali:
a. longitudinali o a manico di secchio
b. radiali o a becco di pappagallo
c. flap (orizzontali) o flap lussati
DIAGNOSI:
E’ principalmente clinica e si serve di alcuni tests:
TEST DI APLEY: Con il paziente prono con ginocchio flesso si comprime l'articolazione
mettendo il ginocchio (dell’esaminatore) sulla coscia del paziente e premendo la pianta del
piede (del paziente) la si ruota verso l’interno e verso l’esterno. Se si evoca dolore il test è
positivo (rispettivamente per una lesione del menisco interno ed esterno).
TEST DI MCMURRAY: Con il paziente supino con ginocchio flesso, l’operatore afferra e
frena il tallone con una mano mentre con l’altra cerca di estendere il ginocchio. Se il menisco
è leso anteriormente si ha dolore durante l’estensione, se invece il dolore si manifesta alla
flessione è il compartimento posteriore ad essere leso.
SEGNO DI CABOT: Con il paziente supino con ginocchio flesso, coscia in abduzione e
piede sul ginocchio controlaterale si chiede al paziente di estendere contro la resistenza
dell’operatore il ginocchio. Se sopraggiunge un dolore acuto è probabile che vi sia una
lesione del menisco esterno.
SEGNO DI FINOCCHIETTO: Durante i movimenti di flessione ed estensione della gamba,
palpando le emirime del ginocchio si percepisce uno scatto doloroso che indica una lesione
del corno posteriore del menisco interno.
L’RX e la RM possono essere utili nei casi dubbi o in preparazione preoperatoria.
TERAPIA:
Il paziente non viene trattato chirurgicamente anche se la RM rivela alterazioni, se non sono
sintomatiche.
La terapia Chirurgica prevede un intervento di meniscectomia selettiva e meniscopessi
(indicata specialmente nelle lesioni longitudinali ben vascolarizzate che hanno una buona
guarigione, al contrario la meniscopessi è sconsigliata negli altri tipi di lesioni).
La meniscectomia totale non si esegue più per il rischio inevitabile di degenerazione
artrosica (monocompartimentale).
L’intervento può essere effettuato in artrotomia o in artroscopia (con tecnica Inside-out,
attraverso una mini inciscione ed uno strumento specifico, Outside-in attraverso l’uso di
trocar per le lesioni del corno anteriore, All-inside in cui si usano vari strumenti, sutura a
gancio, frecce meniscali, T-fix, fast-fiz o rapidlock).

LESIONI LEGAMENTOSE:
Le strutture capsulo-legamentose del ginocchio sono:
Capsula Fibrosa: avvolge a manicotto tutta l'articolazione del ginocchio e gli dà nutrimento,
grazie anche alla sinovia al suo interno e al liquido sinoviale che permette tra le altre cose lo
scivolamento dei capi articolari;
Legamenti di rinforzo:
- COLLATERALI: mediale (o tibiale) e laterale (o fibulare), sono legamenti stabilizzatori
periferici del ginocchio.
1. Collaterale MEDIALE ha diversi fasci, 3, che dalla superficie alla profondità
sono molto adesi alla capsula articolare.
2. Collaterale LATERALE è più piccolo ed esile del mediale, ma le lesioni isolate
di questo legamento sono molto rare.
- CROCIATI: sono due robusti legamenti, crociato ANTERIORE e POSTERIORE che
rappresentano i più importanti mezzi di connessione tra femore e tibia. Si incrociano
a livello della fossa intercondiloidea del femore, all'interno della capsula ma
all'esterno della cavità articolare, in quanto la membrana sinoviale forma una doccia
a concavità posteriore che accoglie entrambi i legamenti crociati.
Evitano la traslazione della tibia sul femore.
1. Crociato Anteriore origina dalla tibia, davanti all'eminenza intercondiloidea e
decorre in senso antero posteriore per inserirsi sulla faccia mediale del
condilo laterale del femore.
2. Crociato Posteriore origina dietro l'eminenza intercondiloidea tibiale e decorre
in senso postero anteriore per inserirsi sulla faccia laterale del condilo
mediale del femore.
LESIONE DEL Legamento Collaterale Mediale:
EZIOLOGIA:
- ipersollecitazioni in valgo sul ginocchio (traumi contusivi, cadute)
- sovraccarico funzionale (nuotatori in stile rana, per l’estensione a frusta ripetuta)
CLINICA:
- dolore nella parte mediale del ginocchio
- blocco articolare
- tumefazione
- instabilità
- impotenza funzionale
DIAGNOSI:
Stress In Valgo: il ginocchio viene flesso a 30° per eliminare la stabilità data dal crociato
posteriore e spingiamo medialmente con la mano per valutare se vi è un’anomala apertura
mediale che apparirebbe in caso di rottura:
- 1° grado: apertura da 0 a 5 mm
- 2° grado: apertura da 5 a 10 mm
- 3° grado: apertura > 10 mm
TRATTAMENTO:
Nelle lesioni di 1° e 2° grado il trattamento è conservativo e prevede l’uso di un tutore.
Nelle lesioni di 3° grado c’è chi consiglia il trattamento conservativo, c’è chi consiglia il
trattamento chirurgico, che consiste in una ricostruzione del legamento mediante sutura
diretta.
LESIONE DEL Legamento Crociato Anteriore:
EZIOLOGIA:
Nel 90% dei casi è dovuto ad un trauma sportico. Il paziente riferisce di aver sentito un
“crack” (segno dello spaghetto) e un forte dolore improvviso.
La rottura è dovuta a meccanismi traumatici direzionali che agiscono in:
- valgismo e rotazione esterna (sciatori, calciatori)
- varismo e rotazione interna
- iperestensione (calcio a vuoto)
- contrazione massima del quadricipite (atterraggio dopo un salto in sciatori o giocatori
di pallacanestro)
- iperflessione brusca e forzata
- iper rotazione interna
CLINICA:
Il dolore è assente e scompare precocemente dopo l’evento acuto poiché il LCA non è
innervato. Mentre si può avere versamento e gonfiore all’articolazione (se c’è
interessamento o rottura della sinovia).
DIAGNOSI:
Alcuni test clinici vengono in aiuto:
TEST STATICI:
1. Test del cassetto anteriore: con il ginocchio flesso a 90° in un pz supino, si blocca il
piede con il peso del corpo e si tira in avanti la tibia, se vi è spostamento in avanti il
LCA potrebbe essere lesionato.
2. Test di Lachman: segue la stessa logica del test del cassetto anteriore ma il
ginocchio è flesso a 15°-20°, con una mano si regge la parte sovracondiloidea del
femore mentre con l’altra si sposta in avanti la tibia.
Con la flessione di 15°-20° il legamento crociato anteriore dovrebbe normalmente essere in
tensione massima, la positività del test di Lachmann indica un LCA lesionato con una
accuratezza maggiore rispetto al test del cassetto anteriore in cui a 90° il LCA, non essendo
in tensione massima, permette un certo grado di avanzamento della tibia.
TEST DINAMICI:
3. Pivot Shift Test: valuta la stabilità del ginocchio dalla flessione all’estensione totale.
4. Jerk Test: valuta la stabilità del ginocchio dall’estensione totale alla flessione.
5. Recurvatum Test: sollevando i piedi del pz supino il ginocchio affetto da lesione si
incurva più del controlaterale.
L’RX si esegue nonostante i legamenti non si possano visualizzare con questa metodica per
verificare se la rottura del legamento ha causato una avulsione capsulare: lesione di
Segond.
La RM permette di visualizzare le altre componenti molli e pianificare l’intervento
terapeutico.
TRATTAMENTO:
Prevede la RICOSTRUZIONE CHIRURGICA tramite allotrapianto (da cadavere) o
autotrapianto (dal pz stesso) di una porzione di tendine prelevato dall’achilleo, femorale,
zampa d’oca, ecc.
LESIONE DEL Legamento Crociato Posteriore:
EZIOLOGIA:
La lesione dell’LCP ha un’importanza relativamente minore rispetto alla rottura del tendine
crociato anteriore, perchè le strutture che stabilizzano il ginocchio posteriormente evitando
quindi l’iperflessione e la rotazione interna sono di più.
La rottura dell’LCP non è quasi mai isolata, perché il trauma che genera rottura dovrebbe
essere severo (ad alta velocità, forza, come negli incidenti stradali). Infatti l’LCP ha una
resistenza alla rottura calcolata del doppio rispetto a quella dell’LCA.
CLINICA:
- dolore
- gonfiore
- instabilità articolare
DIAGNOSI:
Segno dello STEP-OFF: se il paziente viene messo supino con le ginocchia flesse a 90° la
tipia scivola posteriormente.
TEST STATICI:
- Test del cassetto posteriore: ci si siede sul piede del paziente che tiene il ginocchio
flesso a 90° e si spinge la tibia all’indietro, se si percepisce un movimento accentuato
rispetto al ginocchio sano, potrebbe essere presente una lesione dell’LCP.
- Test del cassetto postero-laterale: al test del cassetto posteriore si associa anche
un movimento di rotazione esterna, serve per vedere se in associazione con la
lesione dell’LCP vi è una lesione del legamento collaterale mediale.
- Whipple Test: è un test del cassetto eseguito in posizione prona con il ginocchio
flesso a 90°, annulla in parte il ruolo tensorio del quadricipite.
- Angolo asse femoro-piede
TEST DINAMICI:
- Test posteriore dinamico
- Reverse Pivot Shift
L’RX, TC e RM possono essere utili per visualizzare come per le lesioni anteriori segni
indiretti o diretti e pianificare l’eventuale intervento terapeutico.
TRATTAMENTO:
Conservativo (se la traslazione della tibia è < 10 mm e non ci sono lesioni associate):
- tutori in estensione con sostegno posteriore per 3 settimane
- deambulazione assistita con bastoni canadesi e potenziamento del quadricipite
- riabilitazione muscolare (che di solito consente il ritorno allo sport in circa 3 mesi)
Chirurgico (se ci sono lesioni associate):
- trapianto in artroscopia

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