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TRAUMATOLOGIA ORTOPEDICA
La TRAUMATOLOGIA è la branca della medicina che interessa la diagnosi, il trattamento e
la riabilitazione di tutte le lesioni scaturite da traumi.
Per TRAUMA si intende un evento violento in cui la forza vulnerante danneggia i tessuti
perché ne supera il limite di resistenza. Nei casi più gravi, ai danni locali, si associa un
danno generale al pz, per cui si parla di MALATTIA TRAUMATICA.
Possiamo distinguere diversi tipi di traumatismi:
- Da Caduta: si verificano principalmente nelle RSA (legati alle alterazioni della
deambulazione e dell’acuità visiva dei pz) o in aree pubbliche (piazze e parchi, dove i
bambini giocano su altalene e scivoli).
- Domestico: cucina (lesioni da taglio o, specialmente nei bambini piccoli, da presa
elettrica), bagno (traumi da caduta).
- Stradale: i traumi stradali gravi e invalidanti sono in aumento, non solo per i
conducenti ma anche per i passeggeri.
- Sul Lavoro: persistono ancora soprattutto a causa del lavoro “in nero”.
- Sportivo: riguardano spesso bambini in cui si ha traumatismo da sovraccarico per
l’eccessiva attività agonistica incitata dai genitori.
- Da Maltrattamento: in circa il 50% dei traumi nei bambini sotto i 3 anni è
sospettabile un maltrattamento (di solito 2, 3 fratture al braccio o ai femori ed
ematomi che indicano percosse subite nel tempo).
Le lesioni traumatiche possibili, sono:
1. contusioni;
2. distorsioni;
3. sublussazioni;
4. lussazioni;
5. distacchi epifisari;
6. fratture;
OSTEOCONDROSI
Sono un gruppo di malattie a carattere degenerativo-necrotico che si verificano a livello
dei nuclei di accrescimento epifisari, delle apofisi e delle ossa brevi dello scheletro in
accrescimento. Si tratta di una necrosi asettica, avascolare non accompagnata da
infiammazione che può comparire in maniera subdola in articolazioni normali e in soggetti
sani quasi sempre senza precedenti anamnestici.
EPIDEMIOLOGIA:
Colpisce con un’incidenza maggiore tra i soggetti di sesso maschile di 8-15 anni, soprattutto
quelli che praticano una intensa attività sportiva.
L’incidenza nella popolazione generale è di 1,7% anche se si pensa ci sia una sottostima
della reale diffusione della malattia.
Le regioni più colpite sono:
- l’epifisi prossimale del femore (Malattia di Legg Calvè Perthes);
- l’apofisi tibiale anteriore (Sindrome di Osgood Schlatter);
- l’epifisi vertebrale (Sindrome di Scheuermann);
- l’apofisi posteriore del calcagno (Sindrome di Sever-Blanke, Morbo di Haglund);
- la testa del II-III metatarso (Sindrome di Kohler II- Freiberg, l’unica che colpisce più
frequentemente le femmine)
- lo scafoide tarsale (Sindrome di Kohler I)
- l’osso semilunare (Sindrome di Kienbock)
- nel polo inferiore della rotula (Malattia di Sinding-Larsen-Johansson)
Le osteocondrosi possono anche essere distinte dal punto di vista anatomico in:
- Apofisarie: se interessano l’apofisi, regione dove si inserisce il tendine;
- Epifisarie: se interessano l’estremità delle ossa lunghe.
EZIOPATOGENESI:
L’eziopatogenesi è poco nota, ma sicuramente è multifattoriale ed intervengono:
- Predisposizione genetica;
- Disturbo della nutrizione del nucleo di ossificazione;
- Diminuite resistenze meccaniche;
- Microtraumatismi ripetuti ad es. per intensa attività fisica;
Si distinguono da un punto di vista meccanico:
- Osteocondrosi epifisarie da carico: su base ischemico-compressiva, di questo
gruppo fanno parte:
- Legg-Calvè-Perthes → testa del femore;
- Morbo di Scheuermann → vertebre dorsali centrali.
- Osteocondrosi apofisarie da trazione: la trazione del tendine causa una
tendinopatia inserzionale perché i nuclei di ossificazione non sono in grado di
resistere alle sollecitazioni meccaniche esercitate a livello delle giunzioni
osteotendinee, di questo gruppo fanno parte:
- Osgood-Schlatter → apofisi tibiale anteriore
- Sever-Blanke → apofisi posteriore del calcagno
3 teorie cercano di spiegare come si arrivi alla patologia:
1. Teoria traumatica: secondo cui traumatismi a livello epifisario possono risultare il
fattore scatenante di una alterazione cartilaginea di natura forse congenita.
2. Teoria vascolare: l’ischemia può essere dovuta a diverse cause:
- patologie della coagulazione;
- alterazione vasale primaria;
- compressione dei questi vasi terminali;
3. Teoria della displasia della cartilagine di Ponseti: secondo cui alla base
dell’osteocondrosi ci sia un’alterazione genetica della cartilagine che diventa più
sensibile a traumi e fenomeni ischemici. In effetti si è vista un’alterazione della
quantità di peptidoglicani e una riduzione dello spessore delle fibre collagene
(matrice extracellulare che porta nutrimento nell’area) che porterebbe a turbe
dell’ossificazione e ad un anormale accrescimento della cartilagine rendendola meno
resistente e più soggetta a fenomeni ischemici del nucleo di ossificazione e ad
un’alterata guarigione che porta a deformità della testa femorale.
Si distinguono due fasi comuni a tutte le patologie:
1. La fase necrotico-regressiva: frammentazione e distruzione delle trabecole ossee
per autolisi cellulare
2. La fase riparativa deformante: la riparazione o ricostruzione del focolaio
osteonecrotico avviene ad opera del tessuto di granulazione, ma la riparazione non
avviene omogeneamente in tutta l’area danneggiata.
La sostituzione ossea avviene asimmetricamente e prevale lungo il margine esterno
della stessa zona reattiva (creeping substitution).
La malattia evolve sempre verso la guarigione spontanea e la sua durata varia, a seconda
della sede, da pochi mesi a più anni, di solito non più di tre-quattro anni.
Il problema si viene a manifestare quando la malattia, durante il suo decorso, ha determinato
delle modifiche strutturali che possono essere anche invalidanti, come ad esempio quelle
delle epifisi femorali.
OSTEOPOROSI
L’OSTEOPOROSI è un disordine scheletrico caratterizzato da una riduzione della densità
minerale ossea (BMD ≤ -2.5 DS rispetto alla media di adulti sani) e da un deterioramento
della micro-architettura dell’osso in presenza di un normale rapporto tra matrice organica e
minerale.
Comporta un aumentato rischio di fratture per traumi a bassa energia: fratture da fragilità.
L’OSTEOPENIA è il processo di involuzione fisiologica dell’osso che porta ad una lenta e
graduale riduzione della massa ossea senza implicazioni cliniche.
EPIDEMIOLOGIA:
L’osteoporosi è la patologia più diffusa nei paesi industrializzati.
È stimato che il 30-50% delle donne e il 20-30% degli uomini avrà fratture osteoporotiche nel
corso della sua vita.
EZIOPATOGENESI:
Si tratta di un’alterazione del normale equilibrio tra i processi di osteogenesi (osteoblasti) e
quelli di osteolisi (osteoclasti), con predominanza dei processi distruttivi.
- Alterazioni MACROSTRUTTURALI:
- assottigliamento della corticale (l’osso diventa più suscettibile alle forze di
torsione e flessione)
- riduzione delle trabecole ossee (l’osso diventa più suscettibile alle forze di
compressione)
- Alterazioni MICROSTRUTTURALI:
- diminuzione della densità minerale
- aumento della grandezza dei cristalli minerali
A differenza dell’osso normale, l’osso osteoporotico presenta una ridotta deformazione
plastica, avendo perso buona parte della propria elasticità; a ciò consegue che per carichi
sempre maggiori non si avrà una concomitante formazione dell’osso, raggiungendo il punto
di rottura con estrema facilità, anche in assenza di trauma: “fratture da fragilità”.
L’osso, in queste condizioni può andare incontro ad una esplosione, determinando una
frattura “da scoppio” o frattura comminuta.
Osteoporosi PRIMARIA:
- Post-menopausale: gli estro-progestinici influiscono sull’omeostasi del calcio e dei
cristalli ossei;
- Senile;
- Idiopatica del giovane;
Osteoporosi SECONDARIA:
- artrite reumatoide;
- malattie endocrine;
- uso cronico di farmaci come cortisone o eparina;
- immobilità: la mancanza di movimento influisce negativamente sull’osteosintesi;
CLINICA:
Le sedi più comuni sono:
- corpo vertebrale (crolli vertebrali, con “effetto domino”);
- distale del radio (cadute frontali);
- collo del femore;
Ovvero, le ossa più sollecitate dalla postura e dalle attività di tutti i giorni.
Le fratture vertebrali sono le più comuni fratture osteoporotiche e dopo la prima frattura
vertebrale il rischio di una seconda frattura vertebrale aumenta di 5 volte: il cedimento di un
corpo vertebrale, infatti, determina la deviazione della curva fisiologica della colonna
vertebrale (che si manifesta con ipercifosi/iperlordosi) modificando la biomeccanica di tutta
la colonna vertebrale (“effetto domino”).
Solo 1/3 delle fratture vertebrali sono clinicamente sintomatiche, spesso si osserva solo una
leggera riduzione del movimento.
DIAGNOSI:
- Esami ematochimici (fosfatasi alcalina, funzione tiroidea, ormoni);
- Densitometria Ossea: quantifica la massa ossea in relazione alla densità in sali
minerali dell’osso. È una tecnica che utilizza raggi X (la radiazione è minima) ma ad
oggi ci sono anche strumenti che usano gli ultrasuoni.
Le zone che si vanno a testare sono: la colonna vertebrale, l’articolazione
coxo-femorale, l’articolazione metacarpo-falangea e il calcagno.
Si fa diagnosi di osteoporosi quando il valore di BMD è < 2,5 DS dalla media.
TERAPIA:
Può essere conservativa:
- busti e tutori associati
- terapia farmacologia sintomatica (Calcio; Vitamina D; Terapia ormonale, SERMs;
Bifosfonati;)
O chirurgica:
- vertebroplastica percutanea
PREVENZIONE:
Per il rischio elevato di allettamento/invalidità è maggiormente utile prevenire l’osteoporosi.
Per prima cosa bisogna favorire, in bambini e adolescenti, il raggiungimento di un adeguato
picco di massa ossea con:
- Adeguata apporto giornaliero di calcio e Vit. D (400-600 UI/die nell’adulto)
- Esposizione frequente ai raggi solari
- Adeguata attività fisica
Negli adulti invece si cerca di prevenire/ritardare la perdita di massa ossea con:
- Adeguato di calcio e Vit. D in rapporto all’età;
- Evitare fumo e alcol;
- Esposizione frequente ai raggi solari;
- Adeguata attività fisica in rapporto al peso corporeo e all’età;
- Eventuale terapia ormonale sostitutiva;
Nel soggetto osteoporotico si cerca di evitare le fratture con:
- Rimozione delle barriere architettoniche;
- Utilizzo di ausili alla deambulazione;
- Cambiamento delle abitudini di vita;
- Trattamento di difetti visivi e disturbi dell’equilibrio;
- Adeguata illuminazione degli ambienti domestici;
- Evitare l’utilizzo di tappeti;
- Predisporre punti d’appoggio in casa;
- Richiedere un’assistenza quotidiana.
OSTEOARTROSI
La funzione dinamica del sistema osteoarticolare è assicurata dalle articolazioni e dai
muscoli che sono poi il vero motore dell'apparato locomotore.
L’articolazione è costituita da una serie di parti anatomiche che ne permettono il
funzionamento: osso, cartilagine, sinovia, legamenti, capsula, dischi ecc.
La cartilagine articolare non si deve rischiare di confonderla con quella di coniugazione: la
cartilagine di coniugazione consta di 3 strati, mentre quella articolare ne ha 5:
1. lamina splendent (assenza di condrociti);
2. strato tangenziale (le fibrille collagene diventano più spesse e si legano con gli
aggregati di proteoglicani, i condrociti sono rari e di forma ovalare);
3. strato radiale (metabolicamente attivo costituito da condrociti nella loro forma
matura, protetti da tessuto fibrillare che si dispone a canestro attorno alle cellule);
4. strato colonnare (con fibre collagene distribuite in tutte le dimensioni di spazio);
5. strato calcificato o “tyde mark” (demarca la cartilagine vera dall’osso
subcondrale).
La cartilagine è costituita da condrociti immersi in una sostanza amorfa prevalentemente
acquosa contenente fibre collagene legate da aggregati di proteoglicani (lunghe catene di
acido ialuronico cariche negativamente).
Quindi la rete di proteoglicani da un lato è legata dal legame chimico con le proteine di
legame che conferisce RESISTENZA, ma dall'altro lato per le forze negative è MOBILITA’.
La cosa particolare è che il tessuto cartilagineo è privo di vasi sanguigni, linfatici e nervi (per
questo lesioni cartilaginee non si riparano facilmente, sarebbe meglio PREVENIRE).
Il nutrimento è garantito dal liquido sinoviale prodotto dai sinoviociti della membrana
sinoviale dell’articolazione che per filtraggio del plasma fornisce tutte le sostanze
all’articolazione.
L’OSTEOARTROSI è un processo degenerativo cronico di un’articolazione nel suo
complesso, caratterizzata da lesioni progressive (modificazioni morfologiche,
biochimiche, molecolari e biomeccaniche della matrice cartilaginea con rammollimento e
reazione dell’osso subcondrale con produzione di osteofiti e formazione di GEOIDI) della
cartilagine articolare e dell’osso sottostante, che provoca un grado variabile di dolore,
limitazione funzionale e un forte impatto negativo sulla qualità di vita.
EPIDEMIOLOGIA:
E’ la malattia più comune nella popolazione sopra i 65 anni e rappresenta il 72,6% delle
patologie reumatiche. Dopo i 75 anni colpisce circa l’80% della popolazione con
un’incidenza che inizia ad aumentare a partire dai 60 anni.
In Italia colpisce circa il 16% della popolazione e rappresenta la seconda causa di
invalidità dopo le malattie cardiovascolari.
EZIOPATOGENESI:
La patologia è il risultato di un insieme di fattori meccanici e biologici che esitano nel deficit
dell’equilibrio fra la produzione e la degradazione della cartilagine articolare.
Quando gli stimoli superano la resistenza del tessuto ha inizio il processo artrosico.
Tra i fattori di rischio troviamo:
- età,
- razza,
- assetto genetico,
- fattori ormonali,
- obesità,
- over-use articolare,
- pregresse malattie infiammatorie (ARTRITI),
- traumi articolari:
A seconda dell’eziologia:
- artrosi PRIMITIVA o idiopatica, dovuta ad un’alterazione primitiva della cartilagine
articolare in soggetti con predisposizione genetica e carattere multigenico.
- artrosi SECONDARIA, che si accompagna a patologie o fattori di rischio che
predispongono al processo artrosico.
Per Localizzazione:
- artrosi Localizzate
- artrosi Generalizzate
A seconda della patogenesi:
- artrosi MECCANICA: diversi fattori contribuiscono a creare una iperpressione sulla
cartilagine sana:
- Displasia: incongruenza tra le superfici articolari;
- Turbe statiche: disassiamenti, squilibri, instabilità;
- Sovraccarico: obesità, professione del soggetto o attività sportiva.
L’iperpressione sulla cartilagine sana causa una CONDROSI, cioè una condizione
preartrosica di sofferenza della cartilagine, che può arrivare fino all’artrosi vera e
propria. 2 sono le teorie che spiegano la formazione della condrosi:
1. Teoria meccanica: l’iperpressione causa rottura delle fibrille di collagene e
perdita dei proteoglicani con conseguente edema della cartilagine e
distruzione;
2. Teoria cellulare: i condrociti reagiscono all’iperpressione ma alla fase
reattiva (citochine proinfiammatorie con IL1, TNFa) segue una fase
degenerativa: con necrosi e distruzione della cartilagine articolare.
- artrosi STRUTTURALE: varie patologie causano una alterazione della cartilagine
altrimenti sana, causando una condropatia che anche in presenza di carichi normali,
sfocia nella patologia artrosica:
- Turbe nervose: artropatie neurologiche;
- Turbe metaboliche: gotta, condrocalcinosi;
- Patologie dell’osso: ischemia, necrosi, Paget;
- Traumatismi;
- Patologie della sinovia: infezioni, infiammazioni, emartri;
- Turbe endocrine: acromegalia;
- Patologie ereditarie.
Il processo inizia con la sollecitazione del tessuto a cui segue una risposta infiammatoria con
produzione di un EDEMA. Cominciano quindi a verificarsi fenomeni lesivi che portano alla
FISSURAZIONE che porterà ad una ULCERAZIONE e continuerà a progredire
fino alla EBURNEAZIONE, in cui manca ormai la cartilagine e l’osso subcondrale è
totalmente esposto.
Tutto il processo dipende dalle sollecitazioni che portano ad una attivazione dei condrociti
che risponderanno con produzione e rilascio nel liquido sinoviale di citochine
proinfiammatorie. L’aumento delle citochine determina uno squilibrio e la modificazione
dell’ambiente articolare con conseguente interessamento di tutti gli elementi articolari.
Nella patogenesi si riconoscono dunque due fasi:
- Fase Reattiva in cui si verificano tutte le modificazioni in risposta allo stimolo
- Fase Degenerativa in cui abbiamo perso il tessuto e non si può più ripristinare la
situazione di partenza.
CLINICA:
I distretti più colpiti sono:
1. vertebre cervicali e lombari (spondilo-disco-artrosi);
2. articolazione coxo femorale;
3. ginocchia;
4. dita delle mani e dei piedi (RIZOARTROSI: artrosi che colpisce l’articolazione tra
trapezio e metacarpo, l’articolazione più usata nella mano);
La sintomatologia è caratterizzata da:
- DOLORE ARTROSICO (meccanico) che origina dall’infiammazione della sinovia e
delle strutture periarticolari e NON dalla condrosi (la cartilagine è priva di
innervazione);
- rigidità (specialmente al mattino);
- tumefazione;
- perdita del normale allineamento dei capi articolari;
- limitazione funzionale;
- scroscii;
Il dolore ARTROSICO è diverso da quello ARTRITICO.
L’ARTRITE è una malattia a patogenesi multifattoriale che insorge in soggetti
geneticamente predisposti e si manifesta con un processo infiammatorio cronico
(nell’artrite è il LINFOCITA la cellula attiva, nell’artrosi è il condrocita) che interessa la
sinovia, la cartilagine articolare e, tardivamente, l’osso. Il DOLORE ARTRITICO è un
dolore infiammatorio, fisso a carattere tensivo, che si accentua nelle ore notturne e al
risveglio, con il movimento tende ad attenuarsi.
DIAGNOSI:
E’ essenzialmente clinica, basata su esame obiettivo e anamnesi, si possono ricercare
Markers Bio-Umorali specifici che aiutano a porre una diagnosi differenziale basata
sull’esclusione di patologie con caratteristiche comuni o simili all’artrosi (come le artriti).
RX: si potrebbe effettuare per una conferma diagnostica e deve sempre essere eseguito in
una posizione che garantisca la presenza della forza che determina il sovraccarico
biomeccanico.
ECO: permette valutare la presenza di un versamento.
TC, RMN o Artroscopia: per evidenziare eventuali lesioni associate.
Solo il 30% delle Artrosi diagnosticate Radiologicamente sono sintomatiche.
Esistono diverse classificazioni, una tra queste è la classificazione di Kellgren e Lawrence:
- Grado 0 rappresenta una situazione quasi normale,
- Grado 1 una semplice alterazione della interlinea articolare,
- Grado 2: —
- Grado 3: —
- Grado 4 una modificazione totale della conformazione articolare accompagnata da
alterazioni morfologiche degli elementi articolari.
Le lesioni elementari rappresentano l’insieme di fenomeni che si rendono manifesti
all’indagine strumentale:
- OSTEOFITI piccole escrescenze di tessuto osseo di nuova formazione,
generalmente a forma di becco o cresta.
- GEOIDI cioè raccolte cistiche di liquido sinoviale che si era fatto strada nel tessuto
osseo a partire dalle lesioni fissurative.
- SCLEROSI segno di addensamento osseo dovuto all’azione di sintesi degli osteo
blasti che cercano di rendere la struttura ossea più resistente nei confronti delle
sollecitazioni esterne.
TERAPIA:
Il trattamento conservativo:
- eliminazione dei fattori di rischio
- fisioterapia
- antinfiammatori (cox2) e condroprotettori (eparan solfato, condroitin solfato)
- FANS
- infiltrazioni di cortisone, acido ialuronico, PRP
Il trattamento chirurgico:
- palliativo: per via artroscopica
- riparativo/ricostruttivo: OSTEOTOMIE DI CORREZIONE
- sostitutivo: PROTESIZZAZIONE
COXARTROSI: nel 90% delle coxapatie ci troviamo davanti ad un’artrosi. Il 20% della
popolazione ne soffre, distinguiamo:
- coxartrosi MECCANICA
- coxartrosi METABOLICA
- coxartrosi MISTA
Le cause più comuni sono: l'osteocondrosi, la coxa vara e valga, l'epifisiolisi, esiti di fratture,
artrite. La sintomatologia ha le caratteristiche “dell'auto vecchia” e poi un dolore continuo per
la riduzione dello spazio articolare e intrarotazione e abduzione dell’anca.
STENOSI VERTEBRALI
Il canale spinale è formato dall’unione tra 2 semiarchi: la parte anteriore della colonna e la
parte posteriore, che forma un foro centrale che è il canale spinale.
Il diametro del canale spinale può stenotizzare per varie cause:
- Congenite;
- Acquisite: ernie del disco mediane e ipertrofia delle faccette articolari.
Essendo patologie croniche, è raro il dolore acuto. Più frequentemente si ha una
sintomatologia cronica caratterizzata da ipostenia, ipoestesia e claudicatio neurogena.
Il dolore diminuisce stando seduti, sdraiati o chinandosi in avanti perché lo spazio si allarga
un po’ e a riposo per la riduzione della richiesta di sangue (che arriva nella regione stenotica
con un ipo-afflusso).
La TC può essere utile per capire il motivo della stenosi.
La terapia chirurgica consiste nella rimozione dell’osso in esubero e la stabilizzazione della
colonna con mezzi di sintesi.
SPONDILOLISTESI E SPONDILOLISI
La spondilolistesi è lo scivolamento di una vertebra sopra la sottostante. Una vertebra può
scivolare solo sulla sottostante poiché è tutta la colonna che scivola su quella vertebra.
Quindi si dice ad es. che si ha una spondilolistesi L5 si indica lo scivolamento di L5 su S1.
Ci sono diversi gradi di spondilolistesi secondo la classificazione di Mayerding che
prevede 5 gradi: l’ultimo grado (scivolamento > 75%) è la spondiloptosi.
Spesso alla spondilolistesi si associa il concetto di spondilolisi.
La spondilolisi è l’interruzione dell'istmo osseo che congiunge la faccetta articolare
superiore con quella inferiore. L’istmo può lesionarsi nelle diverse età.
Esiste la spondilolisi senza la spondilolistesi. La spondilolistesi avviene più frequentemente
se è associata la spondilolisi perché se si rompe l’istmo, l’unica struttura che trattiene i corpi
vertebrali dallo scivolamento è il disco.
Paradossalmente, nei giovani il rischio di spondilolistesi in presenza di rottura dell’istmo è
più frequente proprio perché il disco è più morbido.
Quando invece non c’è spondilolisi, la vertebra può scivolare per vari motivi: in genere
processi degenerativi a carico delle varie componenti dell’articolazione vertebrale.
In una spondilolistesi istmica (con spondilolisi) il canale spinale non solo non si restringe ma
si può anche allungare → no sintomi → diagnosi tardiva spesso occasionale.
In una spondilolistesi degenerativa invece, l’integrità dell’arco neurale può causare un
inghigliottinamento delle radici nervose → stenosi con claudicatio anche per spondilolistesi
di grado I.
Radiograficamente, un segno caratteristico di spondilolisi nella proiezione obliqua è il segno
del cagnolino con il collare o del cagnolino decapitato.
La terapia è indicata soprattutto nei pz giovani e consiste nella stabilizzazione
circonferenziale (artrodesi) attraverso un approccio chirurgico posteriore. Si associa anche
la protesi discale.
CERVICALGIA
Le cervicalgie sono affezioni dolorose della regione cervicale la cui eziologia può essere
diversa:
- Di origine rachidea: significa che la sintomatologia dolorosa è provocata da
patologie che colpiscono il rachide cervicale. Queste patologie possono essere di
natura:
A. Degenerativa: spondiloartrosi cervicale, spondilodiscoartrosi (che coinvolge le
articolazioni intervertrebrali e il disco intervertebrale), ernia discale;
B. Traumatiche: distorsioni cervicali, fratture cervicali;
C. Infiammatorie/infettive;
D. Neoplastiche;
- Di origine extrarachidea: sono una serie di patologie che provocano una
sintomatologia dolorosa localizzata al collo, spalla e arto superiore che sono spesso
confuse con radiculopatie. Tra queste malattie abbiamo la sindrome dell’egresso
toracico che può essere di 2 tipi:
1. neurogena vera con compressione del plesso brachiale a causa di un fascio
anomalo di tessuto che connette C7 a T1;
2. arteriosa se viene compressa l’a. succlavia da parte di una costa
sovranummeraria cervicale;
- Di origine midollare: se sono presenti patologie come neoplasie, siringomielia,
sclerosi a placche.
La cervicobrachialgia è una condizione dolorosa del collo e dell’arto superiore (fino anche
alle dita) causata dalla compressione delle radici nervose di C5, C6 e C7, di solito
monolaterale.
Può essere causata dalla presenza di osteofiti o da ernie discali. Si associa a parestesie ed
ipoestesie. Terapia farmacologica con FANS e cortisonici. Collare in alcuni casi.
L’artrosi cervicale è una patologia che riguarda circa il 70% dei soggetti oltre i 70 anni.
È caratterizzata da dolore al collo, irradiato al braccio (cervicobrachialgia) o all’occipite
(cervicocefalgia, se interessate c2-c4) e contratture muscolari (torcicollo), rigidità del collo, e
manifestazioni neurologiche come parestesie o ipoestesie.
La terapia è fondamentalmente farmacologica con antidolorifici e miorilassanti.
La terapia chirurgica è indicata nei casi in cui c’è un danno neurologico di alto grado.
LESIONI LEGAMENTOSE:
Le strutture capsulo-legamentose del ginocchio sono:
Capsula Fibrosa: avvolge a manicotto tutta l'articolazione del ginocchio e gli dà nutrimento,
grazie anche alla sinovia al suo interno e al liquido sinoviale che permette tra le altre cose lo
scivolamento dei capi articolari;
Legamenti di rinforzo:
- COLLATERALI: mediale (o tibiale) e laterale (o fibulare), sono legamenti stabilizzatori
periferici del ginocchio.
1. Collaterale MEDIALE ha diversi fasci, 3, che dalla superficie alla profondità
sono molto adesi alla capsula articolare.
2. Collaterale LATERALE è più piccolo ed esile del mediale, ma le lesioni isolate
di questo legamento sono molto rare.
- CROCIATI: sono due robusti legamenti, crociato ANTERIORE e POSTERIORE che
rappresentano i più importanti mezzi di connessione tra femore e tibia. Si incrociano
a livello della fossa intercondiloidea del femore, all'interno della capsula ma
all'esterno della cavità articolare, in quanto la membrana sinoviale forma una doccia
a concavità posteriore che accoglie entrambi i legamenti crociati.
Evitano la traslazione della tibia sul femore.
1. Crociato Anteriore origina dalla tibia, davanti all'eminenza intercondiloidea e
decorre in senso antero posteriore per inserirsi sulla faccia mediale del
condilo laterale del femore.
2. Crociato Posteriore origina dietro l'eminenza intercondiloidea tibiale e decorre
in senso postero anteriore per inserirsi sulla faccia laterale del condilo
mediale del femore.
LESIONE DEL Legamento Collaterale Mediale:
EZIOLOGIA:
- ipersollecitazioni in valgo sul ginocchio (traumi contusivi, cadute)
- sovraccarico funzionale (nuotatori in stile rana, per l’estensione a frusta ripetuta)
CLINICA:
- dolore nella parte mediale del ginocchio
- blocco articolare
- tumefazione
- instabilità
- impotenza funzionale
DIAGNOSI:
Stress In Valgo: il ginocchio viene flesso a 30° per eliminare la stabilità data dal crociato
posteriore e spingiamo medialmente con la mano per valutare se vi è un’anomala apertura
mediale che apparirebbe in caso di rottura:
- 1° grado: apertura da 0 a 5 mm
- 2° grado: apertura da 5 a 10 mm
- 3° grado: apertura > 10 mm
TRATTAMENTO:
Nelle lesioni di 1° e 2° grado il trattamento è conservativo e prevede l’uso di un tutore.
Nelle lesioni di 3° grado c’è chi consiglia il trattamento conservativo, c’è chi consiglia il
trattamento chirurgico, che consiste in una ricostruzione del legamento mediante sutura
diretta.
LESIONE DEL Legamento Crociato Anteriore:
EZIOLOGIA:
Nel 90% dei casi è dovuto ad un trauma sportico. Il paziente riferisce di aver sentito un
“crack” (segno dello spaghetto) e un forte dolore improvviso.
La rottura è dovuta a meccanismi traumatici direzionali che agiscono in:
- valgismo e rotazione esterna (sciatori, calciatori)
- varismo e rotazione interna
- iperestensione (calcio a vuoto)
- contrazione massima del quadricipite (atterraggio dopo un salto in sciatori o giocatori
di pallacanestro)
- iperflessione brusca e forzata
- iper rotazione interna
CLINICA:
Il dolore è assente e scompare precocemente dopo l’evento acuto poiché il LCA non è
innervato. Mentre si può avere versamento e gonfiore all’articolazione (se c’è
interessamento o rottura della sinovia).
DIAGNOSI:
Alcuni test clinici vengono in aiuto:
TEST STATICI:
1. Test del cassetto anteriore: con il ginocchio flesso a 90° in un pz supino, si blocca il
piede con il peso del corpo e si tira in avanti la tibia, se vi è spostamento in avanti il
LCA potrebbe essere lesionato.
2. Test di Lachman: segue la stessa logica del test del cassetto anteriore ma il
ginocchio è flesso a 15°-20°, con una mano si regge la parte sovracondiloidea del
femore mentre con l’altra si sposta in avanti la tibia.
Con la flessione di 15°-20° il legamento crociato anteriore dovrebbe normalmente essere in
tensione massima, la positività del test di Lachmann indica un LCA lesionato con una
accuratezza maggiore rispetto al test del cassetto anteriore in cui a 90° il LCA, non essendo
in tensione massima, permette un certo grado di avanzamento della tibia.
TEST DINAMICI:
3. Pivot Shift Test: valuta la stabilità del ginocchio dalla flessione all’estensione totale.
4. Jerk Test: valuta la stabilità del ginocchio dall’estensione totale alla flessione.
5. Recurvatum Test: sollevando i piedi del pz supino il ginocchio affetto da lesione si
incurva più del controlaterale.
L’RX si esegue nonostante i legamenti non si possano visualizzare con questa metodica per
verificare se la rottura del legamento ha causato una avulsione capsulare: lesione di
Segond.
La RM permette di visualizzare le altre componenti molli e pianificare l’intervento
terapeutico.
TRATTAMENTO:
Prevede la RICOSTRUZIONE CHIRURGICA tramite allotrapianto (da cadavere) o
autotrapianto (dal pz stesso) di una porzione di tendine prelevato dall’achilleo, femorale,
zampa d’oca, ecc.
LESIONE DEL Legamento Crociato Posteriore:
EZIOLOGIA:
La lesione dell’LCP ha un’importanza relativamente minore rispetto alla rottura del tendine
crociato anteriore, perchè le strutture che stabilizzano il ginocchio posteriormente evitando
quindi l’iperflessione e la rotazione interna sono di più.
La rottura dell’LCP non è quasi mai isolata, perché il trauma che genera rottura dovrebbe
essere severo (ad alta velocità, forza, come negli incidenti stradali). Infatti l’LCP ha una
resistenza alla rottura calcolata del doppio rispetto a quella dell’LCA.
CLINICA:
- dolore
- gonfiore
- instabilità articolare
DIAGNOSI:
Segno dello STEP-OFF: se il paziente viene messo supino con le ginocchia flesse a 90° la
tipia scivola posteriormente.
TEST STATICI:
- Test del cassetto posteriore: ci si siede sul piede del paziente che tiene il ginocchio
flesso a 90° e si spinge la tibia all’indietro, se si percepisce un movimento accentuato
rispetto al ginocchio sano, potrebbe essere presente una lesione dell’LCP.
- Test del cassetto postero-laterale: al test del cassetto posteriore si associa anche
un movimento di rotazione esterna, serve per vedere se in associazione con la
lesione dell’LCP vi è una lesione del legamento collaterale mediale.
- Whipple Test: è un test del cassetto eseguito in posizione prona con il ginocchio
flesso a 90°, annulla in parte il ruolo tensorio del quadricipite.
- Angolo asse femoro-piede
TEST DINAMICI:
- Test posteriore dinamico
- Reverse Pivot Shift
L’RX, TC e RM possono essere utili per visualizzare come per le lesioni anteriori segni
indiretti o diretti e pianificare l’eventuale intervento terapeutico.
TRATTAMENTO:
Conservativo (se la traslazione della tibia è < 10 mm e non ci sono lesioni associate):
- tutori in estensione con sostegno posteriore per 3 settimane
- deambulazione assistita con bastoni canadesi e potenziamento del quadricipite
- riabilitazione muscolare (che di solito consente il ritorno allo sport in circa 3 mesi)
Chirurgico (se ci sono lesioni associate):
- trapianto in artroscopia