Sei sulla pagina 1di 27

Malattie apparato locomotore

Dott. Massimo Migliavacca

Le fratture
Le fratture si verificano attraverso due meccanismi:
- Traumatismo diretto (fratture trasversali, comminute; contusioni, lesioni delle pareti molli)
- Traumatismo indiretto (torsione, fratture spiroidi)

Le fratture trasversali portano ad uno spostamento dei monconi ossei, portando ad una angolazione,
ad una rotazione, ad una traslazione oppure ad una sovrapposizione.
I segni clinici da ricerca all’arrivo al pronto soccorso, di una frattura con deformazione della gamba
sono:
- Ricerca il segno del trauma, segno diretto
- I polsi, la sensibilità distale ed il calore locale (la parte vascolare, neurologica e calore)
- La mobilità delle dita, cioè se oltre al problema sensitivo (neurologico) si ha anche il
problema motorio
- Valutare l’importanza della deformazione dell’arto colpito
- Condizioni della pelle: contusione, ecchimosi, apertura ovvero una esposizione
- Determinare il tipo di frattura

Una frattura scomposta può comportare ad una esposizione esterna dell’osso. La frattura diafisaria
(diafisi è la parte centrale dell’osso lungo; la parte distale è definita epifisi; la metafisi è la parte tra
epifisi e la diafisi). La frattura spiroide interessa la diafisi. Possono esistere fratture a due livelli,
definite fratture diafisarie bifocali perché hanno una doppia sede di lesione. Le fratture meta-
epifisarie (epifisi si articola con un altro osso, permettendo il movimento), si possono notare
frammenti della parte articolare e della parte metafisaria. Esistono delle fratture che comportano una
deformazione a carico del segmento osseo colpito.

Una frattura ingranata è una frattura con schiacciamento della spongiosa e impatto dei frammenti (i
due frammenti sono impattati/compressi); questo determina una stabilità del focolaio della frattura.
Possono essere trattate con un trattamento ortopedico, senza riduzione, se presenta una piccola
angolazione. La riduzione della deformazione determina un’instabilità. Le sedi maggiormente
frequenti di queste fratture sono a livello del polso, del collo femorale e del collo omerale.
Le complicanze delle fratture articolari sono:
- Limitazione dei movimenti, dovuto all’interessamento della parte articolare
- Artrosi
- Algodistrofia, ovvero si altera il metabolismo del calcio a livello di un segmento osseo,
comportando a gonfiore, dolore e riduzione del movimento
- Artrite in caso d’infezione
- Pseudartrosi (rare), ovvero i segmenti ossei fratturati non si consolidano/uniscono in
maniera completa e possono essere instabili causando dolore, gonfiore e riduzione del
movimento.

Il trattamento della frattura può considerare:


- Doccia gessata, ovvero il gesso interessa una sola parte del braccio (inferiore o superiore, a
seconda del tipo di frattura), viene riservato alle fratture composte e/o ingranate che non
possono andare incontro a dei movimenti e che quindi porterebbero ad una scomposizione
- Confezione di un gesso circolare, utilizzata per un maggior contenimento; si posiziona l’arto
interessato dalla frattura in posizione anatomica.
1
Trattamento ortopedico delle fratture
Quando si ha una frattura di tibia o perone, scomposte, e devono essere riallineati i monconi, si
posizione una staffa composta da una parte definita Filo di Kirschner che passa, per esempio, in una
frattura di gamba attraverso il calcagno e in una frattura di femore attraverso la tuberosità tibiale o a
livello dei due condili femorali; alla staffa si associa, attaccato nella porzione opposta, un filo di
acciaio a cui si collega un peso che gradatamente mette in trazione i due segmenti facendo in modo
che si riallineino. Le differenze tra frattura di gamba nelle diverse posizioni:
- Trazione su lettino ortopedico
- Trazione verticale per le fratture della diafisi del femore
- Trazione a pelle (bambini)
Attualmente non si posiziona più una trazione, ma si effettua immediatamente un intervento
chirurgico. Nel momento in cui viene posizionata la trazione e lasciata per qualche giorno, si
osserva una riduzione dei frammenti; quando questi appaiono ben allineati, attraverso rx 7gg, si
posiziona un gesso al quale è possibile applicare uno stivaletto per supportare il carico del corpo.
Per quanto riguarda il trattamento dei singoli distretti, la frattura di polso determina una
deformazione per cui i segmenti ossei fratturati sono scomposti e bisognerà effettuare una trazione
manuale (effettuata da due medici/medico + infermiere); si prende l’arto, quindi il polso, e si
traziona sulla stessa linea delle ossa fratturate riallineando i segmenti ossei scomposti. Quando la
frattura è particolarmente scomposta, bisogna imprimere ulteriori forze, cercando di “sgranare” la
frattura rendendo i segmenti liberi per poter poi applicare un’ulteriore trazione (↑ ↔).
Successivamente alla riduzione si applica un gesso.
Le complicanze possibili con un gesso circolare per le fratture diafisarie non esposte di un arto
sono:
- Sindromi compartimentali, ovvero quando l’arto si gonfia e il paziente presenta disturbi di
tipo neurologico e vascolare; richiede un trattamento chirurgico immediato dato che rischia
di perdere la funzionalità dell’arto trattato.
- Flebiti, ovvero quando un gesso troppo stretto altera la vascolarizzazione
- Embolia gassosa
- Escare cutanee
- Deformazione secondaria
È importante, dopo aver confezionato un gesso, mantenere gli arti in scarico e non applicare gessi
troppo stretti. Bisogna fare in modo che il gesso, all’interno, sia ben riempito con cotone di
Germania e fissurare sistematicamente (tagliare) i gessi circolari per permettere l’espansione e
l’allargamento in caso di bisogno.
La sindrome di Volkmann (una sindrome compartimentale) è la retrazione ischemica dei flessori; il
paziente presenterà dolori all’avambraccio, parestesie alle
dita ed edema. Può portare a:
- Flessione del polso
- Iperestensione della metacarpo-falangea
- Flessione delle falangi

Ulteriori complicanze che possono insorgere sono le flittene da gesso, da trattare immediatamente
in quanto sono una fonte di infezione.
Il primo gesso è rinnovato dopo 45 giorni e sostituito con un altro in flessione di 10-15°.
La gipsotomia è un taglio del gesso nel punto in cui è presente una frattura. Serve a correggere la
deformità mediante manipolazioni e fissare con uno spessore provvisorio; successivamente si

2
effettua un controllo con rx e quando si ottiene l’allineamento si richiude con altre bende gessate. Si
ri-effettuerà un nuovo controllo dopo 8gg e 15gg.

I segni clinici a favore di una trombosi venosa profonda in un paziente con gesso sono:
- Dolore alla pressione del polpaccio
- Febbre, polso accelerato
- Dolore alla dorsiflessione della caviglia.
Bisognerà effettuare un eco doppler o una flebografia. Si interromperà la somministrazione di
calciparina.
I segni clinici a favore di una sindrome compartimentale in un paziente con gesso sono:
- Sensibilità distale anormale - Tensione delle masse muscolari
- Polso distalse scomparso - Mobilità delle dita ridotta
Si effettuerà una misurazione della pressione intra-tissutale (in caso di dubbio), si rimuoverà il
gesso e si effettuerà una fasciotomia d’urgenza.
Le principali fasi della formazione di un callo osseo (guarigione) sono:
- Fase dell’ematoma intorno alla frattura e dell’infiammazione (20gg)
- Formazione di un callo di congiunzione (da 20 a 30gg)
- Calcificazione del callo osseo (da 30gg a 60gg)
- Fase di rimodellamento del callo osseo, che si adatta alle linee di forza

Stadio 1: L’ematoma – La reazione infiammatoria (dal 1° al 20°gg)


Ogni focolaio di frattura viene invaso da un ematoma. Questo ematoma si trasforma rapidamente e
si organizza con la comparsa di nuovi vasi provenienti dai tessuti sani circostanti. L’ematoma viene
sostituito a poco a poco da tessuto fibroso vascolarizzato. La proliferazione cellulare è già intensa
24h dopo il trauma. I monconi ossei sono devitalizzati per molti millimetri.
Stadio 2: Il callo di congiunzione (dal 20° al 30°gg)
Il focolaio di frattura acquisisce a poco a poco una certa stabilità grazie allo sviluppo del callo
fibroso (si invischia). La mobilità diminuisce, le fibre collagene sono rimpiazzate da Sali minerali
che si depositano. Il tessuto fibro-vascolare presenta una metaplasia cartilaginea e poi ossea che
definisce il callo primario. L’apporto vascolare aumenta la tensione d’ossigeno responsabile della
trasformazione dei condrociti periferici in osteociti. Inoltre, compaiono degli osteoclasti che
cominciano a riassorbire le estremità ossee devitalizzate. Nello stesso tempo, ha inizio un’attività
identica nel midollo.
Stadio 3: Calcificazione del callo osseo (dal 30° al 60°gg)

3
Viene neoformato un callo osseo che si forma “a ponte” quindi più ampio, non riprendendo
inizialmente la forma originaria dell’osso ma con il tempo si adegua. Il callo osseo si sviluppa
anche in caso di spostamento, a condizione che sia di modesta entità.

I fattori che possono ritardare il consolidamento osseo sono:


- L’età
- La localizzazione nella diafisi
- L’esposizione cutanea
- L’evacuazione dell’ematoma intorno alla frattura
- L’immobilizzazione insufficiente del focolaio di frattura
- L’interposizione muscolare
- L’infezione

Complicanze precoci:
- Esposizione cutanea - Embolia grassosa
- Lesione vascolare - Infezione
- Lesione nervosa

L’esposizione cutanea determina un rischio settico elevato in quanto i monconi ossei entrano in
contatto con tutto ciò che è presente sulla cute nel momento della frattura.
I trattamenti da prendere in considerazione per una frattura comminuta della gamba al terzo medio
inferiore con esposizione di stadio II:
- Toilette chirurgica, lavaggio, drenaggio aspirativo
- Chiusura cutanea senza tensione
- Osteosintesi con fissatore esterno
- Profilassi ATT e vaccinazione
- Trattamento antibiotico
I vantaggi apportati dall’utilizzo del fissatore esterno per immobilizzare una frattura esposta della
gamba al terzo medio sono:
- Immobilizzazione solida e stabile della frattura
- Si evita la sintesi interna, con rischio di infezione
- Non si deperiostano i frammenti
- È possibile la mobilizzazione delle articolazioni
- Facilità d’accesso per la cura delle parti molli
- Può rimanere posizionato fino a che si ottiene il consolidamento (carico possibile)
Possono presentarsi delle complicanze vascolari che vengono valutate con un doppler o una
arteriografia (quando si è di fronte ad una lesione profonda).
I sintomi che portano a pensare un’embolia grassosa sono:
- Collasso cardio-vascolare
- Confusione mentale
- Petecchie sul corpo

In caso di algodistrofia post-traumatica, all’rx, si osserverà una decalcificazione ossea quindi con
un’alterazione della parte vascolarizzata; questa condizione può causare dolori ed alterazione
funzionale (si tratta con vasodilatatori e ricalcificanti). Quando l’ematoma si riassorbe, il moncone
osseo va incontro a spostamento compromettendo il normale appoggio dell’arto e causando dolore.
La difficoltà di consolidamento è dovuta da:
- Ritardo di consolidamento
- Pseudoartrosi
- Consolidamento vizioso, ovvero quando il consolidamento non rispetta l’anatomia ossea

4
I segni clinici e radiografici di una pseudoartrosi della gamba sopravvenuti dopo un trattamento di
una frattura chiusa con un gesso sono:
- Dolore alla deambulazione
- Calore locale, rossore
- Mobilità del focolaio da ricercare manualmente (pseud. Serrata o mobile)
- Aspetto ipertrofico a “zampa di elefante”
- Margine più o meno ampio
- Proliferazione ossea esterna
- Proliferazione intra-canale (restringimento) (pseud. Ipotrofica)

La pseudoartrosi può essere trattata con una decorticazione osteo-muscolare di Judet. È un distacco
con un osteotomo di numerosi frammenti do osso attaccati ai muscoli; si riattiva il metabolismo
osseo ri-stimolando la formazione dei calli ossei. Si associa un mezzo di sintesi (fissatore esterno)
ed un trapianto osseo spugnoso prelevato dalla cresta iliaca.

Trattamento chirurgico delle fratture


Inchiodamento centro-midollare, placche, viti e fissatori esterni

I chiodi
Sono dei lunghi tubi cavi adattati alla forma dell’osseo. Possono essere utilizzati per le ossa lunghe,
quindi femore, tibia e omero. Normalmente è possibile realizzare l’inchiodamento senza aprire il
focolaio di frattura (inchiodamento a focolaio chiuso). Si effettua un’incisione sulla parte superiore
dell’osso, si prepara la sede e si inserisce il chiodo. I chiodi possono avere diametri e lunghezze
differenti, adattabili all’anatomia del paziente. Servono a stabilizzare la struttura ossea evitando le
rotazioni. Si posiziona il paziente in trazione (staffa), si riduce la frattura, si incide la cute e si
effettua un foro a livello dell’osso per poter posizionare il chiodo. Si utilizza un filo guida, da far
passare nel foro, che mantiene la riduzione e permette di far passare delle frese cannulate (o
analizzatori??) che vanno ad ottenere l’esatta misura del canale; in base alla misura che si utilizzano
si orienta sulla misura del chiodo. Il chiodo non è rotondo ma ha una forma che permette di fornire
stabilità. Successivamente si possono posizionare delle viti che permettono una maggiore stabilità e
scongiurano le rotazioni.
Il chiodo bloccato presenta delle viti trasversale che passano attraverso la corticale e fuoriescono
dall’altra parte dell’osso. Quando le due estremità sono bloccate, il montaggio è definito statico.
Quando il chiodo è bloccato ad una sola estremità, il montaggio è definito dinamico. Il carico
favorisce il contatto dei frammenti. Il bloccaggio è indicato nelle fratture comminute allo scopo di
preservare la lunghezza dell’osso ed impedirne la rotazione. I frammenti inizialmente verranno
inglobati da un callo fibroso e successivamente dal callo osseo.
L’inchiodamento retrogrado è un chiodo che può essere inserito dalla parte distale del femore
(solitamente si parte dall’alto, con questo chiodo dal basso). Si applicano dei cerchiaggi che
mantengono fissati l’inchiodamento e garantire l’anatomia.
Nell’inchiodamento a focolaio chiuso, nelle fratture di tibia, il paziente deve essere posizionato sul
lettino da trazione con il filo trans calcaneare.
L’inchiodamento centro-midollare (o entro-midollare) a focolaio chiuso delle diafisi, permette di
ridurre tutti gli spostamenti tranne uno, ovvero la rotazione (tranne quando i due frammenti possono
essere alesati per una lunghezza sufficiente. La soluzione è bloccare il chiuso nell’osso con delle
viti trasversali.
I chiodi possono essere semplici, con alette o bloccati con viti.
I vantaggi apportati dall’inchiodamento a focolaio chiuso sono:
- Si evita la deperiostazione dei frammenti
- Si evita l’evacuazione dell’ematoma attorno alla frattura
- Si riduce il rischio di infezione
5
- Si può procedere ad una mobilizzazione precoce dei frammenti
- Si concede il carico precoce
- Si ottiene una buona qualità del callo osseo
- Si hanno minori rischi di frattura successivamente alla rimozione (dopo 18 mesi)

Nell’omero, il punto di entrata dei chiodi, è in alto attraverso il trochite ed in basso attraverso la
fossetta olecranica. È possibile effettuare un blocco distale ed uno prossimale. Per la correzione di
un callo vizioso si effettua l’osteotomia, ovvero si rompe l’osso e si corregge la sua posizione
permettendo quindi una corretta guarigione seguendo l’anatomia corretta. I ritardi di consolidazione
e le pseudoartrosi sono rare dopo l’inchiodamento a focolaio chiuso, tuttavia possono verificarsi; in
queste situazioni il chiodo si può rompere (non essendo consolidato le forze di carico si
ripercuotono sul chiodo) e sarà necessario un trapianto osseo per stimolare la produzione del callo.
Si possono utilizzare anche dei chiodi elastici che permettono di fornire stabilità, evitare le rotazioni
e permettere una corretta guarigione.

Placca anatomica
È un elemento forato in materiale compatibile con la struttura ossea nel quale sono presenti dei fori
attraverso cui si possono far passare le viti; solitamente viene utilizzato negli interventi che
richiedono il posizionamento di numerose viti. L’utilizzo delle placche, rispetto all’utilizzo dei
chiodi midollari, comporta alla formazione di una cicatrice molto ampia. Portano ad avvicinare i
due inserimenti ossei favorendo una miglior consolidazione; si effettua quindi l’osteosintesi con
compressioni (AO). La placca è anche indicata in caso di fratture metafisarie. Esistono diversi tipi
di placche, ognuna utilizzabile per un determinato distretto osseo. Esistono delle placche pre-
modellate per l’osteosintesi. Gli inconvenienti che si possono riscontrare per una frattura a focolaio
chiuso al terzo medio sono:
- Evacuazione dell’ematoma intorno alla frattura
- Deperiostazione dei frammenti
- Rischio di infezione
- Scarico per almeno 45gg
- Scarsa qualità del callo ottenuto
- Obbligo di tenere la placca per almeno 18 mesi
- Rischio di frattura dopo rimozione
Possono presentarsi delle fratture successivamente all’ablazione del materiale di osteosintesi. Il
tempo minimo per la rimozione del materiale è di 18 mesi. Anche la placca, quando rigida,
modifica quelle che sono le proprietà anatomiche dell’osso. Possono presentarsi delle situazioni che
richiedono sia il posizionamento del chiodo bloccato sia della placca.

Le viti
Le viti possono essere inserite in modo trasversale mantenendo in sede i monconi ossei rotti. Ogni
intervento può prevedere l’utilizzo di una o più viti a secondi del tipo di frattura. Possono essere di
diverse lunghezze in base a dove devono essere posizionate; possono essere ancorate o alla placca
oppure essere libere. Le viti, sia libere (per fissare i frammenti) sia quelle ancorate alla placca,
possono presentare una parte avvitata, o per tutta la sua forma, come le viti da corticale che si
ancorano a tutto l’osso, oppure solo in parte, come le viti da spongiosa che si ancorano ad una sola
parte dell’osso. Per ogni tipo di osso esistono viti di dimensioni e lunghezze differenti (es. viti per le
ossa della mano saranno meno lunghe rispetto a quelle per il femore). In base al tipo di fratture
esistono placche e viti differenti. Nelle piccole ossa, si possono effettuare delle osteosintesi con
piccole viti (es. scafoide nella mano). Le viti semplice si utilizzano soprattutto in fratture del
ginocchio e in fratture della testa del femore. Nelle fratture della testa del femore possono essere
applicate le lama-placca AO, il chiodo-placca oppure le viti a compressione che avvicinano i due
monconi. Le viti che interessano il trocantere dell’osso, si utilizzano i chiodi Gamma; prima si
6
inserisce il chiodo che viene fissato con una vite cefalica nel collo del femore, si fissa la parte finale
e permette una buona stabilità; nella parte inferiore si applica una vite che determina una migliore
stabilità evitando la rotazione. Le viti possono essere metalliche oppure riassorbibili.

Fissatori esterni
I fissatori esterni sono indispensabili quando le fratture sono esposte e vengono interessate le parti
molli. Servono a fornire lunghezza, anatomia ed impedire la rotazione alla parte interessata.
Successivamente al posizionamento dei fissatori esterni, si applicano delle barre metalliche per
fornire miglior stabilità. Possono essere circolari, detto anche fissatore di Ilizarov (prevede il
passaggio di fili nelle parti distali e prossimali dell’osso; questi fili vengono tenuti in sede da dei
cerchiaggi e da delle barre fornendo ottima stabilità permettendo un carico precoce), oppure essere
monoassiali, detti anche Hoffmann (stabilità minore) Il monoassiale è meno ingombrante.
Nelle fratture-affondamento del piatto tibiale esterno si applica: sollevamento + trapianto osseo.

Fratture anziano e artrosi


Le persone spesso cadono per motivi di osteoporosi; le persone anziane cadono maggiormente in:
cucina, camera da letto, scale e bagno. Le fratture di polso sono le più comuni tra i 65a e 75a mentre
quelle dell’anca sono maggiormente frequenti in O75a. La complicanza più frequente dopo una
caduta è la sindrome ansiosa post caduta in cui in individuo riduce movimento ed attività in modo
eccessivamente cauto, proprio per paura di cadere. Ciò contribuisce a ridurre la forza muscolare,
favorendo una deambulazione anormale e, a lungo andare, un ulteriore aumento del rischio di
caduta. Le cause solitamente sono accidentali in relazione all’ambiente; possono essere anche
dovuti a disturbi di andatura, sindromi vertiginose, collasso, disturbi visivi, sincopi… I fattori di
rischio sono socio-demografici (età avanzata, sesso femminile e mancanza del coniuge), condizioni
funzionali (alterazioni della marcia, problemi di mobilità, alterazioni equilibrio, debolezza
muscolare, deficit della vista, limitazioni funzionali), patologie (artrosi, Parkinson, ictus, diabete,
incontinenza urinaria, ipotensione, vertigini), stato mentale (deterioramento cognitivo, depressione)
e farmaci (politerapia, psicofarmaci).
Le fratture più frequenti nell’anziano sono quelle a livello del femore prossimale, successivamente
al polso. Sono generalmente trattate con indicazioni chirurgiche tenendo conto della condizione
generale del paziente. Le fratture del femore vengono distinte in:
- Laterali, si verificano verso l’esterno (“al di là” dei due trocanteri), possono interessare il
grande trocantere
- Mediali, si verificano tra la linea trocanterica e la testa del femore
Lo spazio tra il piccolo e grande il trocantere viene definita linea trocanterica. Le laterali si trattano
impiantando dei chiodi; le mediali si trattano impiantando un’endo artroprotesi.
Si classificano le fratture del collo del femore, questo serve a capire come trattare la frattura:
- Garden I, frattura composta ingranata in valgo; il trattamento è conservativo, ovvero riposo
a letto, mobilizzazione tardiva, carico non consentito per 60gg e controllo rx per
concessione carico completo. Bisogna prestare attenzione al carico in quanto può
determinare una nuova frattura.
- Garden II, frattura composta con lieve scivolamento del femore
- Garden III, frattura scomposta
- Garden IV, scomposta e dissestata

Nella persona con una frattura mediale al femore (collo e testa dell’omero) il trattamento prevede
anche la chirurgia con il posizionamento delle viti per cercare di compattare i due monconi fratturati
(testa e collo) fornendo una maggiore stabilità; si può anche applicare una vite placca. La
complicanza di questo tipo di fratture è la necrosi cefalica (perdita di flusso) e la pseudoartrosi (non
consolidazione del focolaio di frattura). In caso di fratture prossimali di femore si applicano le viti e
le placche; prevedono una mobilizzazione tardiva, un carico non consentito per 35-40gg ed un
7
controllo rx per concessione carico completo. Con il posizionamento di una protesi si ha una
mobilizzazione immediata, il carico precoce con deambulatore e poi stampelle, ed una rieducazione
al carico. Le fratture laterali (interessano la parte trocanterica) possono essere differenti come
cervico-trocanteriche (interessamento linea trocanterica trattata con mezzi di sintesi) oppure per-
trocanteriche complesse (interessano piccolo e grande trocantere), oppure fratture trocantero-
diafisarie o fratture sotto-trocanteriche. Le fratture trocanteriche prevedono l’applicazione di una
vite-placca; questo tipo di fratture è interessata da necrosi e artrosi. È da valutare la stabilità
dell’osteosintesi: iniziale scomposizione, riduzione ottenuta, stabilità della sintesi e qualità
dell’osso. Se tutti questi fattori sono favorevoli, si avrà: una mobilizzazione immediata, carico
parziale (30-50%) per 30gg e controllo rx per concessione carico completo. Quando la sintesi è
instabile si mantiene il paziente a riposo, si mobilizza ma il carico viene dato dopo 1-2 mesi.

Le fratture di omero sono frequenti nella popolazione anziana e richiedono spesso un intervento
chirurgico seguito da una lunga riabilitazione. Si può applicare un trattamento conservativo con
tutore reggi braccio. Il trattamento chirurgico può essere una sintesi (con chiodi oppure placca con
viti) oppure una protesi. Quando la frattura è particolarmente scomposta si preferisce sostituire la
componente capsula-osso con una protesi. La frattura spesso è dovuta da una caduta sulla spalla,
quindi trauma diretto, oppure da un trauma indiretto. Clinica della frattura:
- Dolore al livello del collo omerale
- Deformazione visibile nelle fratture in abduzione
- Ecchimosi
- Ricerca delle complicazioni (vascolari, nervose, cutanee, muscolari)
È importante classificare le fratture (classificazione di NEER) perché permette di capire se la
frattura è da trattare in modo chirurgico oppure in modo conservativo. Si classificano in:
- Fratture extra-articolari
- Fratture articolari, possono essere ingranate, scomposte, molto scomposte o fratture-
lussazioni
- Fratture meta-epifisarie
Le fratture del trochite vengono trattate con la riduzione chirurgica delle fratture scomposte; si
posizionano viti oppure un cerchiaggio. Le complicazioni del trattamento chirurgico sono:
- Rara esposizione
- Lesioni dei vasi ascellari
- Necrosi
- Artrosi scapolo-omerale
- Rigidità
- Callo vizioso
Le fratture composte vanno trattate con un bendaggio/tutore per 30gg. Successivamente si avvia un
recupero funzionale dell’arto e infine un rinforzo della struttura. Dopo un trattamento chirurgico,
l’inizio della mobilizzazione dipende dalla stabilità e sintesi dei frammenti. Una mobilizzazione
precoce è sconsigliata.

Le fratture di polso sono le più frequenti. Il trattamento è conservativo con gesso, sennò con
trattamento chirurgico. Il trauma si verifica in seguito ad una caduta sulla mano. La più frequente è
la frattura di Colles che interessa l’epifisi distale del radio. Una volta avvenuta la caduta. Si
presenterà una deformazione a dorso di forchetta oppure una inclinazione radiale a livello del polso.
Si effettua una flessione + inclinazione ulnare (trazione sull’asse allungando i segmenti,
successivamente il polso viene piegato verso la parte bassa ed inclinato verso l’ulna; così si
mantiene in trazione), una radiografia di controllo a 7gg, si mantiene il gesso per 30-35gg e una
volta rimosso la FKT per il recupero articolare.
Un altro tipo di sintesi è la sintesi percutanea con fili che vengono fatti passare attraverso ai
frammenti fratturati garantendo una stabilità e comportando, sempre con posizionamento di gesso,
8
un recupero articolare più rapido. Si può applicare anche una placca che viene fissata con le viti che
passano attraverso i frammenti. Un altro tipo di trattamento è il fissatore esterno in distrazione;
viene utilizzato quando la frattura è pluri-frammentaria, quindi interessa sia le ossa della mano sia il
radio e/o l’ulna.

Il crollo vertebrale su base osteoporotica si verifica principalmente nelle persone anziane. Interessa
una vertebra che si presenterà schiacciata e quindi di dimensioni inferiori rispetto alle altre vertebre.
Porterà a problemi di postura e a deficit nella deambulazione. Si avrà una deformazione a cuneo
della vertebra. Si presenta con:
- Dolore intenso a livello della frattura - Cifosi dorsale
- Peggioramento con la stazione eretta - Riduzione dei volumi polmonari
- Interessamento radicolare molto raro - Protrusione addominale
- Riduzione dell’altezza
Si può applicare una stabilizzazione in acuto (NCH) con viti che passano a fianco al corpo
vertebrale sostenendolo ed evitando un ulteriore schiacciamento. In fase acuta si adotta la
cifoplastica; è una metodica che prevede il posizionamento del paziente su lettino operatorio in
posizione prona, si entra con un cateterino nel corpo vertebrale, si gonfia con l’aria il disco sotto
alla vertebra ed infine si inietta del cemento che mantiene la vertebra sollevata. Nel caso in cui non
sia possibile si effettuerà una vertebro-plastica; si entra con un ago che entra all’interno del corpo
vertebrale e permette di iniettare del cemento che compatta il ritardo della consolidazione, evita alla
vertebra di avere più frammenti e porta ad una riduzione del dolore. I trattamenti conservativi
prevedono l’utilizzo di un corsetto che riduce il peso caricato sulle vertebre; possono essere o
corsetti JEWETT, per le fratture dorsali inferiori, oppure corsetto con appoggio ascellare per
fratture vertebrali alte.
Il trattamento conservativo prevede che il paziente venga mobilizzato a letto per 3 settimane; può
alzarsi solo per andare in bagno e per mangiare. Al termine delle 3 settimane il paziente viene
sottoposto ad un intervento chirurgico e successivamente potrà muoversi utilizzando però un busto.
Si effettuerà un rx di controllo.

Artrosi
Per artrosi si intende un’artropatia degenerativa cronica e progressiva caratterizzata da alterazioni,
prevalentemente regressive, a livello della cartilagine articolare e da modificazioni secondarie delle
componenti ossea, sinoviale, capsulare e muscolare dell’articolazione. La cartilagine articolare è
quel tessuto differenziato che ha delle proprietà viscoso-elastiche che hanno due funzioni:
- Dinamica, cioè permettono lo scorrimento dei capi ossei articolari
- Funzione statico-dinamica, cioè ammortizzano le sollecitazioni articolari (forza
compressive)
Le caratteristiche funzionali principali della cartilagine articolare trovano un preciso riscontro nella
sua organizzazione istologica:
- Assenza di vascolarizzazione
- Scarsa cellularità per unità di volume
- Abbondante matrice intercellulare
La cartilagine articolare deriva infatti da un processo di differenziazione del tessuto mesenchimale
pluripotente, che modifica le proprie caratteristiche istologiche sotto l’azione di forze di tipo
compressivo.
L’incidenza dell’artrosi si verifica negli O40, maggiormente presente nel sesso femminile. Le
immagini radiografiche che evidenziano l’artrosi si presentano nelle persone tra 55-65a. Le
localizzazioni risentono di aspetti costituzionali ed ambientali. L’interessamento principale di
questa condizione è a livello del rachide lombare, l’anca, la mano, le articolazioni interfalangee, il
ginocchio e i piedi.
L’artrosi viene classificata in:
9
- Artrosi primaria, predisposizione genetica e quindi caratterizzata da lesioni primitive alla
cartilagine
- Artrosi secondaria, o dismetaboliche, dovute da accumulo di metaboliti a livello articolare
Le secondarie dovute da un sovraccarico funzionale sono:
- A deformità congenite o acquisite articolari
- A lesioni traumatiche
- A processi flogistici o settici articolari
In caso di ginocchio valgo (verso l’interno) le forze sono distribuite nel compartimento esterno; nel
ginocchio varo (verso l’esterno) le forze sono distribuite nel compartimento interno.
L’artrosi è il risultato finale di diversi processi patologici che determinano uno scompenso
articolare, ovvero una discrepanza tra quantità di lavoro richiesto all’articolazione e capacità di
lavoro sostenibile della stessa. Esistono diversi fattori:
- Sistemici, come la senescenza, ereditarietà, sesso, fattori vascolari, obesità, fattori endocrini,
fattori dismetabolici, fattori climatici
- Locali, come sovraccarico funzionale, alterazione dell’architettura articolare, alterazioni
della dinamica articolare
Tutti questi fattori portano ad uno scompenso articolare con conseguenza dell’insorgenza
dell’artrosi.
Non si ha la certezza dei fattori genetici, infatti si parla di predisposizione genetica. Obesità, età e
fattori dismetabolici sono i fattori principali nel determinare l’instaurarsi della malattia.
Al sovraccarico funzionale sono legati particolari attività professionali o sportive, localizzando
artrosi ai gomiti e ai piedi principalmente. Alterazioni dell’architettura articolare comportano una
ineguale distribuzione del carico sulle superfici articolari con sovraccarico funzionale di limitate
aree che vanno incontro precocemente ad usura. Le deformità congenite possono essere:
- Displasia congenita dell’anca
- Disassiamenti congeniti degli arti inferiori
- Piede torto congenito
- Ipoplasia congenita dei capi articolari
Le deformità acquisite sono secondarie a patologie articolari che determinano una modificazione
della normale conformazione dei capi articolari e sono:
- Deformità post-traumatiche
- Deformità su base distrofica (osteocondrosi)
- Deformità su base vascolare (osteocondrosi asettiche)
Per alterazioni della dinamica articolare si intende:
- Sublussazione/lussazione recidivante (rotula, spalla)
- Instabilità articolare da lassità legamentosa
- Artropatia neurogena, con alterazione della sensibilità propriocettiva e dolorifica

Si osservano i seguenti processi microscopici:


- Deplezione di sostanza fondamentale (fuga di mucopolisaccaridi)
- Fibrillazione cartilaginea, la cartilagine presenta delle piccole incisure
- Proliferazione condrocitaria
Negli aspetti macroscopici si osserva principalmente una fissurazione, un’erosione e/o
un’ulcerazione, con scopertura dell’osso subcondrale sottostante. Si avrà:
1. Alterazione della cartilagine articolare
2. Alterazione dell’osso
3. Alterazione della membrana capsulo-sinoviale
Inizialmente si avrà dolore, versamento o scrosci; successivamente si avrà una rigidità
dell’articolazione con limitazione dei movimenti; infine, si avrà una deformazione
dell’articolazione colpita. Il dolore compare al mattino o alla sera in una prima fase, in fase
avanzata sarà presente per tutto il giorno e potrà variare anche in base alle condizioni climatiche
10
esterne. Il dolore artrosico è presenta sia a livello della membrana sia a livello delle terminazioni
nervose.
La rigidità post-immobilizzazione è l’incapacità a riprendere la consueta mobilità di
un’articolazione dopo il riposo notturno o immobilizzazione. È una caratteristica comune anche ad
altre forme reumatiche (artrite reumatoide).
Il versamento articolare è un’infiammazione della membrana sinoviale e può accompagnarsi ad altri
classici segni dell’infiammazione come rubor e calor.
La limitazione dei movimenti articolari consiste nella riduzione dei movimenti tipici
dell’articolazione; si avrà una progressione graduale ed un interessamento prevalente di uno o pochi
dei movimenti dell’articolazione.
Gli scrosci articolari possono essere presenti anche come crepitii o come altri rumori articolari.
Le deformazioni articolari possono presentarsi con un aspetto grossolano, con una nodosità e a
disassiamenti (artrosi deformante).

Il quadro radiografico è caratterizzato da:


- Modificazione di forma dei capi articolari
- Modificazione della rima articolare (rima Roentgen)
- Modificazione della trasparenza ossea
Bisogna analizzare i seguenti segni:
- Forma dei segmenti ossei
- I rapporti tra i capi articolari
- Rima articolare
- Densità ossea
- Ombra dei tessuti molli
La rima articolare appare diminuita di ampiezza per l’usura della cartilagine.
La trasparenza ossea viene modificata dato che è presente un riassorbimento osseo, delle geodi,
delle microfratture e/o osteocondensazione.
La terapia prevede:
- Riposo articolare
- Eliminazione di attività fisiche eccessive o incongrue
- Correzione di eventuali dismetabolismi
- Correzione del sovraccarico ponderale
- Trattamento di eventuali disendocrinie
Successivamente si passa al trattamento medico che principalmente prevede la somministrazione di
analgesici e cortisonici. Spesso si prescrivono i FANS anche se assunti per lungo tempo possono
causare disturbi gastrici. I cortisonici hanno una azione negativa sul trofismo della cartilagine
articolare e hanno un rischio di complicanze settiche locali.
Successivamente e contemporaneamente si effettuerà FKT con l’ausilio di macchinari come la tecar
e le onde d’urto.

Fratture nei bambini


In età pediatrica si deve prendere in considerazione che la parte ossea è solo la arte centrale
dell’osso mentre la parte epifisaria sono le parti estreme del segmento osseo, caratterizzate dalle
cartilagini che rivestono appunto l’epifisi. Queste vengono definite
cartilagini di accrescimento e permettono la crescita dell’osso in
lunghezza e in larghezza.
In età pediatrica si possono verificare:
- Fratture a legno verde: frattura del segmento osseo non
completa in cui il periostio viene lesionato solo parzialmente
e dall’altro lato si mantiene integro. La linea di frattura può

11
interessare tutto il frammento osseo. Come si esegue la manovra di riduzione di una frattura
a legno verde dell’avambraccio?
 Imprimendo un movimento inverso a quello che ha determinato la frattura
 Necessità di iper-correggere la frattura ed ottenere l’allineamento
 Non rompere e/o lesionale la cerniera ostio-periostea per non perdere la stabilità del
focolaio
 Riduzione seguita sistematicamente da un gesso
- Fratture esposte di III grado: si tratta di fratture che sembrerebbero tuttavia scomposte
dopo una riduzione ma, nei mesi successivi, vanno incontro ad una correzione spontanea e si
riducono. Un esempio è la correzione del callo vizioso mediante l’utilizzo del gesso: alcuni
calli ossei, al momento della maturazione ossea, potrebbero anche essere corretti mediante
interventi specifici (a partire in genere dai 18 anni);
- Fratture complete molto scomposte, come quelle che si verificano negli adulti.
In base alla sede in cui si verificano, le fratture possono essere distinte in:
- Fratture diafisarie, ossia che interessano la parte centrale di un frammento osseo, sono in
genere trattate in maniera conservativa, tramite un intervento chirurgico. Il trattamento
chirurgico è indicato quando la riduzione ortopedica è impossibile. Non è possibile
realizzare l’inchiodamento come negli adulti per la presenza delle cartilagini di
accrescimento che non devono essere danneggiate. L’inchiodamento nel bambino viene
definito elastico, ossia mediante l’utilizzo di piccoli chiodi che passano a distanza dalle zone
fertili (preferito a placche e viti). L’inchiodamento elastico ha proprietà meccaniche che
favoriscono la consolidazione e i chiodi vengono rimossi dopo 2 o 3 mesi.
- Fratture metafisarie, ossia quelle più vicine alla parte terminale del segmento osseo.
Hanno in genere una buona prognosi, prevedono un trattamento ortopedico con annesso
rimodellamento e anche una sorveglianza durante il periodo di accrescimento. È
fondamentale infatti diagnosticare in maniera repentina un accrescimento iper-stimolato con
differenza di lunghezza, epifisiodesi (fusione dei nuclei di accrescimento), deviazioni in
varo e in valgo. Alcuni esempi sono le fratture metafisarie basse di tibia (Gillespie):
flessione dorsale forzata, impattazione metafisaria anteriore delle volte a panetto di burro. In
questa situazione è necessario ingessare il piede in equino, per evitare la scomposizione dei
vari frammenti.
- Fratture con distacco epifisario, ossia quelle più pericolose in quanto interessano le
cartilagini di accrescimento. Sono frequenti entro i 10-15 anni, possono essere seguite da
pseudoartrosi, possono determinare disturbi della crescita, devono essere sempre operate per
avere una perfetta riduzione. Esistono 5 tipologie di fratture classificate secondo Salter ed
Harris:
 Tipo 1: scomposizione del nucleo di accrescimento. Radiograficamente si manifesta
un distacco per tutta la lunghezza della cartilagine di coniugazione senza fratture;
questo distacco può essere non evidente, modesto o completo con perdita di contatto.
È presente anche un’interposizione del periostio, con instabilità persistente dopo
riduzione. L’intervento prevede una risoluzione manuale oppure una riduzione con
dei fili percutanei (fili di Kirschner), utili per mantenere la posizione corretta,
devono essere di dimensioni molto piccole per evitare di danneggiare le cartilagini di
accrescimento. La rimozione dei fili avviene in genere dopo 5 settimane e il
segmento osseo dovrebbe essersi riposizionato.
 Tipo 2: frattura e scomposizione del nucleo di accrescimento. Vengono utilizzate
manovre utili per la riduzione del tipo di frattura e, inoltre, possono essere usati
anche in questo caso i fili di Kirschner. È fondamentale ridare un asse corretto
all’articolazione. I fili percutanei possono essere posizionati si per via percutanea sia
tramite intervento chirurgico, in base alla sede e alla gravità della frattura.
12
 Tipo 3: divisione in due parti del nucleo di accrescimento, la cartilagine e l’epifisi
vengono divise in due porzioni. Per dare stabilità si posiziona una vite nella parte
epifisaria. È possibile si manifesti una epifisiodesi cioè quello che era la cartilagine
di accrescimento si è fusa e quindi si ha un blocco della crescita.
 Tipo 4: interessamento della cartilagine di accrescimento, del nucleo di
accrescimento e distacco del segmento inferiore prossimale. È una frattura che
attraversa la cartilagine con un distacco (32.40). l’importante in questo tipo è
riportare nella posizione anatomica tutte le componenti. Un esempio è la frattura di
Tillaux, frattura della caviglia, che viene trattata mediante riduzione ed osteosintesi
percutanea mediante l’utilizzo di viti cannulate; ma anche la frattura di Mc Farland,
frattura del malleolo tibiale interno, che viene risolta mediante il posizionamento di
due viti per stabilizzare i piccoli frammenti formatisi.

 Esistono anche delle fratture triplanari, che possono dare molti problemi di accrescimento
nonostante vengano corrette in maniera efficace. Si tratta infatti di un insieme di fratture di
tipo 2, tipo 3 e tipo 4. Hanno una frequenza del 6% e possono formarsi 2-3-4 frammenti in
base alla tipologia e alle condizioni. Il trattamento prevede l’intervento chirurgico per la
correzione.

 Tipo 5: schiacciamento della cartilagine con scomposizione totale dei due segmenti
dello stesso osso. Prevede una contusione delle cartilagini della crescita con alto
rischio di epifisiodesi. La diagnosi non avviene mediante rx, in quanto viene a
perdersi il normale spazio presente tipicamente tra le due ossa, ma è necessario
valutare eventuali rallentamenti della crescita. È possibile che si manifestino delle
fratture dell’astragalo associate.

Le fratture con distacco epifisario possono essere classificate come precoci, quindi con
sindromi compartimentali e associate a complicanze vascolari (10%) e nervose (3%); oppure
tardive con instabilità e lesioni degenerative (20%) e ritardi della crescita (10%). I disturbi
vascolari possono essere presenti in tutte le tipologie di fratture e richiedono un trattamento
immediato in quanto possono esserci vari danni di entità differenti. I disturbi nervosi invece
prevedono l’insorgenza di neuroprassia da stiramento e l’esecuzione di riduzione delicate
senza però far ricorso alla chirurgia immediata. Nel caso in cui questi sintomi continuassero
a manifestarsi è possibile procedere con un’esplorazione chirurgica e riparazione
dell’attività di conduzione.
Le situazioni che possono portare ad una condizione viziosa dell’articolazione sono:
1. Angolazione sul piano frontale
13
2. Accorciamento
3. Scivolamento o difetto di rotazione
4. Angolazione sul piano sagittale
5. Deformità a baionetta

Epifisiodesi
Si tratta di un intervento che prevede la fusione ossea prematura di una lamina di crescita, causata
da un'anomalia patologica o conseguente a un'operazione chirurgica effettuata per arrestare la
crescita ossea longitudinale. L’epifisiodesi può dare come conseguenze:
- Epifisiodesi totale o parziale centrale: eterometria senza disassiamenti, ginocchio varo per
l’allungamento del perone
- Periferica: disassiazione in vari o valgo, ginocchio ricurvato oppure in flessione
L’eterometria, ossia la differenza di lunghezza, si può avere nel 25% dei casi mentre i difetti di asse
nel 20% dei casi e questi ultimi possono essere trattati mediante osteotomia. Le fratture che
determinano l’insorgenza di epifisiodesi sono traumi violenti, aperture del focolaio di frattura,
infezioni o errori di trattamento (riduzione forzata o osteosintesi inappropriata).

Coxartrosi
La coxartrosi è un processo degenerativo che interessa l’articolazione dell’anca, articolazione
formata dalla testa del femore e dall’acetabolo (parte del bacino concavo che accoglie la testa del
femore e consente il movimento dell’articolazione). Sono maggiormente colpite le donne.
Nell’artrosi si distinguono due forme:
- Forma primitiva: si manifesta dopo i 60 anni. Si manifestano con un processo degenerativo
che va ad interessare la superficie cartilaginea che viene erosa fino a quando non si arriva ad
avere la testa del femore scoperta.
- Forma secondaria: si manifesta dopo i 40 anni. Può essere:
 Displasica:
o Displasia congenita dell’anca, che viene diagnostica alla nascita
o Displasie acquisite dall’infanzia, associate quindi a patologie della testa del
femore. Ad esempio, l’epifisiolisi che corrisponde ad uno scivolamento della
testa del femore; il morbo di Perthes invece corrisponde ad una necrosi della
testa del femore che si manifesta in età pediatrica
 Post traumatica:
o Esiti di fratture del cotile
o Esiti di fratture estremo-prossimale del femore
 Flogistica: associata a malattie reumatiche
 Infettiva:
o Esiti di coxartrite tubercolare
o Esisti di coxartrite aspecifiche
 Neurogena: artropatie neurogene
Il quadro clinico si manifesta con dolore, impotenza funzionale (difficoltà nella deambulazione),
limitazione articolare (difficoltà nell’esecuzione di determinati movimenti) o atteggiamento viziose
(correzioni della postura volte a limitare il dolore). Il quadro clinico si manifesta quindi con dolore
ad esordio subdolo e di tipo nevralgico a livello della radice della coscia che compare durante la
deambulazione e al passaggio dalla posizione assisa all’ortostatismo. Si localizza a livello inguinale
e si possono manifestare irradiazioni alla natica, alla regione trocanterica, ma soprattutto a livello
della faccia anteromediale della coscia, estendendosi fino al ginocchio. Nelle fasi avanzate della
malattia l’arto inferiore appare atteggiato in extra-rotazione, adduzione ma anche in flessione
(l’anca rimane piegata e non raggiunge l’estensione completa) con accasciamento dell’arto
inferiore. La dismetria è sostenuta dalla presenza di contrattura della muscolatura adduttoria
14
dell’anca che causa l’inclinazione del bacino, mentre la lunghezza dell’arto inferiore non è alterato.
Nelle forme displasiche con lussazione inveterata l’accorciamento può essere reale. In alcuni casi la
dismetria può essere associata alla fuoriuscita della testa del femore dall’acetabolo. La
sintomatologia dolorosa condiziona la prestazione funzionale dell'arto inferiore interessato dalla
malattia, riducendo l’autonomia deambulatoria del paziente, che trae beneficio dall'uso del bastone
da passeggio. La limitazione dei movimenti articolari è responsabile dell'incapacità del paziente di
compiere alcune azioni come infilarsi autonomamente le calze oppure salire sui gradini. Queste
azioni sono parametri importanti per stabilire oggettivamente il grado di deficit funzione e quindi
guidare la scelta terapeutica. Per valutare l’articolazione dell’anca è possibile effettuare i seguenti
movimenti:
- Intra-rotazione ed extra-rotazione
- Abduzione e adduzione
- Flessione
Il quadro radiografico viene valutato con una proiezione antero-posteriore e con una proiezione
assiale mediante le quali è possiible valutare il posizionamento dell’anca. Le manifestazioni
radiografiche della coxartrosi ripercorrono i caratteri generali del quadro radiografico artrosico
presentando:
- Modificazione della forma dei capi articolari
- Riduzione dello spessore della rima articolare
- Alterazioni della densità calcarea (osteosclerosi)
Una risoluzione in caso di problemi dell’anca è la protesizzazione, ossia la sostituzione
dell’articolazione artrosica. Questa pratica è riservata, nell’80% dei casi, a pazienti oltre i 60 anni. Il
primo intervento fu eseguito da Charley negli anni ’60. La protesi è formata da due componenti, una
componente acetabolare che ha una coppa metallica con all’interno un inserto in polietilene; oggi
si utilizza invece un inserto in ceramica in quanto ha una durata maggiore. La parte interna
dell’inserto si articola la componente femorale, che può essere uno stelo in titanio oppure in
ceramica su cui si inserisce la testa femorale metallica. L’acetabolo deve essere cementato all’osso
del bacino. Si deve rimuovere la testa del collo del femore, si deve preparare la sede nel femore
creando, mediante l’utilizzo di raspe, una sede di inserzione dove verrà impiantata la protesi. Deve
essere preparato anche l’acetabolo, mediante l’utilizzo di frese, per impiantare la protesi
acetabolare. Prima dell’intervento deve essere effettuata una radiografia tramite la quale si
individuano le corrette dimensioni del femore così che possa essere pronto per l’utilizzo nel
momento dell’intervento. queste protesi possono avere anche una durata di 20 anni.
Esistono anche delle protesi così definite “protesi ibride”, in cui lo stelo femorale non è cementato
mentre lo stelo acetabolare è cementato. Oppure “protesi di rivestimento”, in cui si sostituisce
solamente la testa del femore mantenendo il collo e impiantando l’acetabolo: hanno una durata di
circa 4/5 anni ma consente al paziente di riprendere ad avere una vita molto simile a quella normale.
Esistono anche le “endoprotesi”, in cui si ha uno stelo femorale normale (cementato o non), ma la
cupola viene inserita sulla testa della protesi femore mentre il bacino non viene minimamente
modificato. Quest’ultima viene impiantata soprattutto nei pazienti anziani e permette loro di
recuperare al meglio la loro fisiologia.

Ginocchio valgo e ginocchio varo

15
Le ginocchia possono essere valutate per conformazioni mediante esame clinico facendo
posizionare il paziente a piedi uniti e valutando la distanza tra le ginocchia o tra i piedi dal punto di
vista frontale. Una persona può avere un morfotipo varo (varismo) in caso di presenza di distanza
tra le ginocchia, oppure di morfotipo valgo (valgismo) in caso di contatto tra le ginocchia e piedi
separati.
Dal punto di vista laterale invece le ginocchia possono essere ricurvate (angolo > 180°), normali
oppure flesse (angolo < 180°).
Il ginocchio valgo è una deformità caratterizzata dalla diminuzione dell'angolo aperto lateralmente
formato dall'asse longitudinale del femore con l’asse longitudinale della tibia. Il ginocchio valgo
può essere:
- Congenito, quindi presente a partire dalla nascita
- Acquisito:
 Sintomatico: si manifesta negli anni e può essere distrofico, infiammatorio,
neoplastico, neurogeno, postraumatico oppure anche compensatorio.
 Essenziale: presente dalla nascita
Per diagnosticare il valgismo si utilizza la teleradiografia sotto carico, che ci permette, mediante
l’utilizzo di una lastra millimetrata, di tracciare le linee utili per definire il valgismo e la tipologia.
Inizialmente viene trattato, dopo i tre anni, con l’utilizzo di una scarpa correttiva che controbilancia
il valgismo: il plantare deve portare ad un varismo esagerato. L’asse viene corretto facendo delle
modifiche sul posizionamento del femore. Questo però comporta che si vada incontro ad
epifisiodesi, ossia un intervento chirurgico che si pone come obiettivo quello di arrestare o
rallentare la crescita di una cartilagine di accrescimento mediante il posizionamento di una cambra a
livello dell’articolazione.
Il ginocchio varo invece è una deformità per la quale l'asse longitudinale del femore e quello della
tibia formano un angolo aperto medialmente tanto minore quanto maggiore era deformità. La parte
esterna del ginocchio può risultare quasi normale con il menisco integro e la superficie cartilaginea
lievemente danneggiata, mentre nella parte interna non si vede il menisco, né la superficie
cartilagine e si vede esclusivamente osso. Il rischio di dolore in questi casi è molto alto. Il
trattamento prevede l’utilizzo di tutori che consentono il corretto posizionamento degli arti. In
questo caso tra gli interventi abbiamo l’osteotomia, intervento con cui si cerca di rimuovere il carico
sulla parte interna che è già danneggiata, attuando una sezione dell’osso e posizionando una cambra
(osteotomia de-varizzante). Attualmente, con il miglioramento delle tecniche, si associa nel
trattamento della gonartrosi anche l’utilizzo di una protesi mono-compartimentale, soprattutto nei
casi di varismo importante o di persona giovane. Questa pratica sostituisce l’osteotomia e consiste
nel posizionamento di una protesi SOLO nella parte interna, ossia nella parte danneggiata, in quanto
la parte esterna dell’articolazione è ancora sana e funzionante.

16
Nel ginocchio è possiible impiantare una protesi mono-compartimentale oppure anche una protesi
totale. La prima richiede un’integrità dei lineamenti e di tutto l’apparato coxo-legamentoso. Qualora
questa integrità non ci fosse è necessario procedere con una protesi totale. L’impianto di una protesi
comporta delle complicanze sia a breve termine che a lungo termine:
- Immobilizzazione
- Malposizionamento
- Infezioni come cause primarie oppure secondarie di immobilizzazione
- Usura delle componenti
- Fratture o lussazioni
- Lesioni delle strutture legamentose
La riuscita in senso globale di un processo lungo e talvolta complesso di protesizzazione è
strettamente dipendente dalla soddisfazione soggettiva del paziente, non esclusivamente il
raggiungimento di determinati obiettivi “tecnici”. Esistono anche delle determinanti che possono
influire sul raggiungimento della corretta protesizzazione:
- Comorbilità: circa l’1% dei pazienti protesizzati con patologie cardiache o polmonari si sono
dichiarati insoddisfatti dei risultati dell’intervento articolare (a causa della persistenza dei
sintomi polmonari e cardiaci dopo la procedura chirurgica)
- Sesso: dalla letteratura si evince che nel sesso maschile più che in quello femminile i
risultati della protesizzazione si dimostrano essere migliori
- Dolore: maggiore dolore e rigidità pre protesizzazione correlano con un miglior outcome
postoperatorio. Questo criterio si applica anche alle modificazioni sulle immagini articolari
delle rx. Più severe sono le deformità migliore sarà il sollievo dal dolore nel postoperatorio.
- Aspettative: devono essere realistiche in relazione all’età, alle comorbilità e allo stile di vita
pre-intervento. Spesso le aspettative eccessive nascono da una informazione scorretta o
incompleta.
- Condizioni pre-intervento (rigidità)
- Patologie concomitanti
I fattori che non condizionano una buona riuscita sono invece:
- Età: non condiziona l’outcome di un intervento di protesizzazione, ma dovrebbe essere un
parametro attentamente considerato per l’indicazione.
- Obesità: il peso non influisce sull’impianto della protesi. Questo fattore può essere però
determinante una più lenta ripresa dell’attività quotidiana nel post-intervento
Un aspetto fondamentale nei soggetti protesizzati è la riabilitazione. Gli scopi del trattamento
postoperatorio devono essere in linea con gli scopi della sostituzione protesica: 1. Riduzione del
dolore; 2. Ripristino di una funzione muscolo scheletrica confortevole; 3. Sviluppo di abitudini di
vita che evitino eccessive sollecitazioni. La riabilitazione ha come priorità di:
- Mobilizzazione passiva e rieducazione neuromotoria
- Esercizi attivi assistiti
- Attività funzionali leggere di vita quotidiana
- Recupero della massima escursione articolare desiderabile
- Rafforzamento muscolare con esercizi isometrici
Nel ritorno all’ambiente domiciliare i punti di positività sono:
- Il recupero della propria autonomia
- La ripresa delle proprie abitudini e la comodità dell’ambiente domestico
- La presenza della famiglia
Mentre quelli di criticità sono:
- Paziente che vive da solo
- Difficoltà nel raggiungimento dei presidi riabilitativi
- Interferenze dei familiari riguardo ai tempi e alla capacità del recupero del paziente

17
- Concomitanza delle patologie pregresse
I pazienti che si dichiarano soddisfatti dopo una protesi totale di anca sono circa il 90%. Ma la
soddisfazione da tale intervento è collegata a diverse motivazioni nei diversi pazienti:
- Risoluzione del problema “dolore”, 95%
- Miglioramento dell’umore, 95%
- Riacquisizione della capacità di deambulare, 85%
- Riacquisizione della capacità di svolgere le attività quotidiane essenziali, 90%
- Ritorno al lavoro, 60%
- Ritorno allo sport e alle attività ricreative, 75%

Piede piatto e piede cavo


Il piede piatto è una deformità caratterizzata da una appianamento della volta plantare, ossia l’arco
che è normalmente presente alla base del piede. Si tratta di una delle più comuni entità nosologiche
che si possono presentare all'osservazione. La volta plantare longitudinale può essere paragonata ad
un tripode, i cui punti di appoggio al suolo sono costituiti posteriormente dal calcagno ed
anteriormente dalle teste del I e del V osso metatarsale, ed il cui apice è a livello dell'articolazione
medio-tarsica. Il piede piatto può essere:
- Congenito: può essere causato da un’anomalia di atteggiamento che si manifesta durante la
vita uterina oppure da anomalie scheletriche (sinostosi delle ossa tarsali, assenza o ipoplasia
del perone, anomalia della torsione femorale o tibiale). Una grave forma congenita è il piede
piatto reflesso, in cui le alterazioni della volta plantare sono così gravi che essa si presenta
non solo appianata ma addirittura convessa.
- Acquisito:
 Essenziale o statico adolescenziale: è più frequente in soggetti obesi o longilinei
ipotonici ed è probabilmente dovuto ad una carenza dell'apparato muscolo-
legamentoso durante la fase puberale.
 Sintomatico:
o Distrofico:
 Rachitico: causato dalla insufficienza dei muscoli e dei legamenti cui
è deputato il mantenimento dell'architettura della volta plantare con
instaurazione delle deformità sotto l'azione del carico
 Senile: provocato da un'insufficienza dell'apparato muscolo-
legamentoso della volta plantare connessa con le alterazioni
circolatorie e trofiche proprie dell'età senile
o Infiammatorio: i processi infiammatori cronici (malattie reumatiche) possono
causare alterazioni delle strutture scheletriche e capsulo-legamentose tali da
renderle insufficienti a supportare l'azione del carico, con appianamento della
volta plantare
o Neurogeno: dovuto alla paralisi dei muscoli sospensori della volta plantare
(tibiale anteriore in particolare) in esiti di poliomielite
o Neoplastico: le alterazioni distruttive a carico delle ossa tarsali o della
tibiotarsica dovute a processi tumorali possono determinare cedimenti
strutturali con conseguente piattismo plantare
o Traumatico: può essere la conseguenza di fratture del calcagno o dei malleoli
(con valgismo del retropiede e conseguente appiattimento della volta
plantare) o di lesioni tendine
L'esame clinico del piede piatto richiede una valutazione sia in scarico che sotto carico, impiegando
anche particolari apparecchiature per valutare l'impronta plantare (podografo e podoscopio). Oltre
alla volta plantare deve essere esaminato l'asse longitudinale della gamba e del calcagno, ricercando
un'eventuale deviazione in valgismo di quest'ultimo. Il piede piatto essenziale passa attraverso tre
18
tappe evolutive: (1) Periodo funzionale, (2) Periodo delle contratture, (3) Periodo delle deformità. Il
trattamento del piede piatto essenziale sarà differente in base al periodo in cui viene effettuata la
diagnosi, è perciò importante valutare le condizioni del paziente prima di intervenire.
Nel primo periodo (1) l'esame dell'impronta plantare fornisce informazioni utili per stabilire il
grado di piattismo della volta plantare: possono essere infatti distinti quattro tipi di impronta
plantare.
In caso di valgismo del calcagno si deve valutare prontamente l’appoggio del piede e poi la
tipologia di calzature che vengono indossate: le suole delle calzature, infatti, avranno un usura
maggiore nella parte anteriore interna. In questo caso i sintomi soggettivi quali il dolore la zoppia
sono generalmente assenti.
Nel periodo funzionale il trattamento è prevalentemente correttivo mediante l’attuazione di
ginnastica ed esercizi specifici tra cui:
- Sollevarsi ripetutamente sulla punta dei piedi
- Camminare sulla punta dei piedi
- Camminare sul bordo esterno dei piedi
- Da seduti, far girare una palla in senso orario da antiorario con i piedi
- Raccogliere ripetutamente da terra uno straccio con i piedi
È anche utile l'utilizzo di scarpe e ortesi correttive che rappresentano un sostegno esclusivamente
passivo, per cui, se non associate ad un'adeguata ginnastica correttiva, risultano essere inefficaci.
Nei bambini sotto i 3-4 anni di età, a meno che non ci si trovi di fronte a deformità particolarmente
gravi, le scarpe correttive non vanno consigliate. Spesso, infatti, in questo periodo il piattismo è un
atteggiamento fisiologico, specie nei bambini sovrappeso, che tende a regredire con
l’accrescimento. In questo caso ci si dovrà limitare a periodici controlli clinici. Solamente dopo i 3-
4 anni di età, al persistere delle deformità, andranno prescritte scarpe correttive (per il piede piatto
sono caratterizzate dalla suola rialzata e dal tacco prolungato sul lato interno, da un supporto interno
per la volta plantare e da un rinforzo esterno sulla tomaia, che eviti la deformazione della calzatura
da parte del piede viene spinto lateralmente dai supporti correttivi) o ortesi plantari. Tra queste
ultime la più diffusa è quella di Martorell, caratterizzata da un emisfera posta a livello della
porzione mediale della volta plantare. La spinta fornita determina la correzione sia attiva che
passiva della deformità, riducendo la pronazione anomala dell'astragalo.

Nel secondo periodo (2) la contrattura muscolare (soprattutto dei muscoli peronei), con annesso
malfunzionamento dei muscoli, comporta prima una deformità solo sotto carico che,
19
successivamente, si manifesta anche con il piede a riposo. Il calcagno viene quindi spinto
maggiormente verso l’esterno. Con delle manipolazioni è possibile ridurre queste rigidità. In questa
fase compaiono dolore e zoppia come sintomi principali. In questo periodo il trattamento verrà
attuato dopo una fase iniziale di riposo ed applicazioni termoterapiche, volte alla riduzione della
contrattura. Si procede alla confezione di un apparecchio gessato in narcosi, con calcagno in
supinazione ed avampiede in pronazione, in modo da ricostruire la normale volta plantare.
Nel terzo periodo (3) le alterazioni scheletriche, capsulo-legamentose e muscolari che si possono
instaurare provocano l'irriducibilità della deformità, che permane anche in narcosi. In questa fase è
necessario ricorrere ad un trattamento di tipo chirurgico (resezioni cuneiformi delle ossa tarsali o
artrodesi della sottoastragalica e mediotarsica). Il trattamento chirurgico può essere indicato anche
nei bambini di 11-12 anni in cui il trattamento con plantare non ha dato miglioramenti. L'intervento
consiste nell'introduzione di una vite per via percutanea all'interno del seno del tarso, ossia lo
spazio normalmente esistente tra calcagno e astragalo a livello della sottoastragalica, la cui
esecuzione eccessiva in pronazione è
responsabile della deformità. L’introduzione,
pertanto, di una vite ad incastro in questo
spazio, o avvitata nel calcagno in modo che la
testa sporga dal pavimento del seno, limita
l'iperpronazione impedendo lo scivolamento
dell'astragalo sul calcagno. Tale intervento può
essere associato o meno a plastica di ritensione
dei tessuti molli mediali o ad allungamento del
tendine di Achille. Tale correzione è inizialmente di natura meccanica ma successivamente assume
una natura propriocettiva, in quanto lo stimolo meccanico esercitato dalla vite a livello dei recettori
presenti nei tessuti del seno del tarso stimola, per via riflessa, i muscoli deputati al mantenimento
della volta la cui tensione viene adattata alla nuova situazione e perpetua la correzione anche dopo
l'intervento di rimozione della vite.
Dal punto di vista anatomo-patologico, il piede piatto è caratterizzato dall’appianamento della volta
plantare che si accompagna a deviazione in valgismo del retropiede e ad una pronazione abnorme
dell'astragalo. Il calcagno radiograficamente apparirà orizzontalizzato. Inoltre, l'angolo formato
dall'asse longitudinale del calcagno e dall’asse longitudinale delle ossa metatarsali con apice a
livello dell'articolazione mediotarsica di Chopart, risulta costantemente aumentato (valore normale:
120 130°).
Il trattamento del piede piatto essenziale sarà differente in base al periodo in cui viene effettuata la
diagnosi, è perciò importante valutare le condizioni del paziente prima di intervenire.

Piede torto congenito (P.T.C.)


Per piede torto congenito si intende una deformità presente alla nascita e caratterizzata da uno
stabile atteggiamento vizioso del piede per alterazione dei rapporti reciproci tra le ossa che lo
compongono. Gli assi sono completamente deformati. Esistono quattro forme di piede torto
congenito che, in ordine di frequenza decrescente, sono:
- Piede reflesso valgo: rara deformità caratterizzata dall’inversione della volta plantare, la
parte che appoggia maggiormente è la parte centrale
- Metatarso addotto varo: deformità caratterizzata dalla deviazione verso l’interno dei raggi
metacarpali e delle dita, l’asse è chiuso nella parte interna
- Piede talo-valgo-pronato-piatto:
 Talismo: flessione dorsale del piede, l’appoggio avviene solo sul calcagno
 Valgismo: l’asse longitudinale del calcagno è deviato lateralmente rispetto all’asse
longitudinale della gamba

20
 Pronazione: l’avampiede è ruotato sul suo asse longitudinale in modo tale che la
pianta del piede sia rivolta all’esterno
 Piattismo: appiattimento della volta plantare longitudinale
- Piede equino-cavo-varo-supinato:
 Equinismo: il piede è flesso plantarmente, l’appoggio avviene solo sull’avampiede
(contrario di talismo)
 Varismo: l’asse longitudinale del calcagno è deviato medialmente rispetto all’asse
longitudinale della gamba (contrario di valgismo)
 Cavismo: la volta plantare longitudinalmente è accentuata (contrario di piattismo)
 Supinazione: l’avampiede è ruotato sul suo asse longitudinale in modo tale che la
pianta sia rivolta verso l’interno (contrario di pronazione)
Il piede equino-cavo-varo-supinato è la forma più frequente di
P.T.C. (70-75%) con un incidenza nella popolazione di 1:1000 e
rapporto di maschi/femmine di 2:1. Frequentemente si trovano
associate altre deformità congenite come la displasia dell'anca o la
spina bifida. Per tali ragioni in presenza di piede torto congenito
devono essere praticati sistematicamente accertamenti clinici e
radiografici delle articolazioni coxofemorali e della colonna
vertebrale. Ad oggi è possibile correggere il piede torto congenito e
si raggiunge il trattamento chirurgico solo in pochi casi, resistenti
agli interventi di posizionamento. Dal punto di vista
eziopatogenetico esistono dei fattori ereditari e anche una forte componente ambientale che possono
essere alla base dell’insorgenza di questa alterazione come:
- Blocco della derotazione del piede nelle ultime fasi della vita intrauterina, in associazione
con disvitaminosi, diabete, intossicazioni o infezioni virali
- Utero bicorne
- Gravidanza protratta
Dal punto di vista anatomo-patologico, si possono verificare:
- Anomalie di rapporti, forma e dimensioni degli abbozzi osteocartilaginei del tarso:
 Deviazione mediale e plantare della porzione anteriore dell’astragalo
 Varismo, equinismo e supinazione del calcagno
 Sublussazione mediale della scafoide
 Sublussazione mediale del cuboide
 Inclinazione mediale dei cuneiformi e dei metatarsali
- Ipertrofia dei muscoli della loggia superiore della gamba
- Accorciamento del tricipite surale e del tibiale posteriore
- Ispessimento della porzione distale del tendine di Achille e del tibiale posteriore
- Retrazione capsulo-legamentosa della faccia mediale e posteriore dell’articolazione tibio-
astragalica e astragalo-calcaneare
- Torsione dell’epifisi distale della tibia
La deformità è presente alla nascita e la diagnosi è essenzialmente clinica. In base all' entità
angolare del varismo, la deformità può essere classificata in tre gradi. In termini prognostici questa
classificazione trova scarsa applicazione. La gravità della malattia è maggiormente correlata alla
possibilità di raggiungere una buona correzione delle deformità presenti in particolare
dell'equinismo. I 3 gradi sono:
1. Il piede forma sul pano frontale un angolo mediale maggiore di 90° rispetto all’asse
longitudinale della tibia
2. Il piede forma sul piano frontale un angolo mediale pari a 90° rispetto all'asse longitudinale
della tibia

21
3. Il piede forma sul pano frontale un angolo mediale minore di 90° rispetto all’asse
longitudinale della tibia

Dal punto di vista terapeutico è possibile attuare:


- Manipolazioni: manovre manuali correttive in senso contrario a quello della deformità. Con
il pollice e l'indice di una mano si immobilizzano i malleoli e con la mano controlaterale si
imprime al piede del bambino un movimento di abduzione, valgizzazione, pronazione e
dorsiflessione. Le sollecitazioni devono essere dolce graduali. Queste pratiche devono essere
ripetute più volte al giorno nel primo mese di vita in quanto in quest'epoca la deformità e
ancora plasmabile. È utile istruire i genitori sull'esecuzione.
- Achillotomia precoce: deve essere eseguita nel primo mese dopo aver valutato gli esiti delle
manipolazioni. Ha lo scopo di correggere l’equinismo, si tratta di un intervento poco
invasivo che comporta la sezione completa del tendine di Achille con un tenotomo. La
posizione viene inseguito mantenuta con un gesso che viene rinnovato ogni 10-15 giorni.
- Immobilizzazioni gessate: viene afferrato il piede a livello delle dita e posizionato il cotone
di Germania che verrà poi ricoperto da una benda gessata che deve essere avvolta in senso
medio-laterale, dal ginocchio verso il piede. Durante l’applicazione del gesso bisogna porre
molta attenzione a non creare delle zone di costrizione.
- Tamplins: docce metalliche o gessate appositamente modellate che fissano l’arto interessato
mediante una benda elastica. Queste vengono applicati dopo il completamento della terapia
con apparecchi gessati.
- Scarpe ortopediche: hanno lo scopo di mantenere la correzione. Sono confezionate a livello
plantare in modo da mantenere l'avampiede addotto e a livello del tacco hanno un rialzo
esterno per correggere il varismo. Si utilizzano solo dopo che il bambino ha iniziato a
camminare. Bisogna ritardare il più possibile l'inizio della deambulazione. Sono scarpe
identiche e non differenti a destra e sinistra.
- Terapia cruenta con deformità gravi
Qualora non si sia raggiunta una buona correzione della deformità o quando il trattamento è iniziato
tardivamente, è necessario intervenire chirurgicamente in modo esteso eseguendo:
- Allungamento del tendine di Achille: l'intervento consiste nella sezione a zeta del tendine di
Achille, in modo da ottenere due monconi tendinei che vengono fatti scorrere
reciprocamente e suturati in modo da ottenere l'allungamento del tendine.
- Capsulotomia posteriore
- Capsulo sindesmoplastica mediale

Osteoporosi
I pazienti con osteoporosi, ossia con fragilità ossea, per traumi anche di bassa entità possono subire
delle fratture. L’osteoporosi era una malattia caratterizzata dalla diminuzione della massa ossea per
unità di volume. Il decremento avviene a carico sia della componente proteica che di quella
minerale. I fattori principali sono:

22
- Fattori genetici, che sembrano condizione importanti parametri, nell’ambito dei quali si
inserisce il processo osteoporotico:
 Entità del picco di massa ossea
 Epoca di inizio della riduzione della massa ossea (menopausa)
 Velocità di perdita della massa ossea
- Fattori ormonali, come la diminuzione dei livelli di estrogeni dopo la menopausa che
determina:
 Aumento dell’attività metabolica dell’osso
 Prevalenza dei fenomeni di riassorbimento su quelli di ricostruzione dell’osso stesso
- Fattori legati all’invecchiamento: la diminuzione dell’attività metabolica dell’osso determina
la prevalenza dei fenomeni di riassorbimento su quelli di ricostruzione ossea
- Fattori di rischio:
 Sesso femminile  Ereditarietà specifica
 Razza bianca e razza gialla  Scarsa esposizione al sole
 Ridotto picco di massa ossea  Carenza dietetica cronica di
 Età avanzata calcio
 Menopausa precoce e  Malassorbimento intestinale
prolungati periodi di  Abuso di alcol, caffeina, fumo
amenorrea durante l’età fertile di sigarette
 Ovariectomia in età pre-  Impiego cronico di farmaci
menopausale osteopenizzanti (steroidi,
 Costituzione longilinea, anticoagulanti, diuretici)
magrezza
Stile di vita sedentario, immobilizzazione
L’osteoporosi può essere classificata in:
- Osteoporosi primaria:
 Post-menopausale (tipo I): riconosce come causa principale il deficit estrogenico che
si verifica in occasione della menopausa e che agirebbe a bari livelli del metabolismo
osseo.

23
 Senile (tipo II): dovuta ad una carenza degli ormoni sessuali, a cui si aggiungono
anche gli effetti dell’invecchiamento sul metabolismo osseo.

 Idiopatica giovanile: è un’osteoporosi che compare in donne nel premenopausa o in


maschi con meno di 60 anni. Questi pazienti presentano un aumentato
riassorbimento osseo con neoformazione ridotta o talvolta anche aumentata. Un
ruolo patogenetico nella sindrome è stato attribuito a rapporti tra ormoni sessuali e
calcitonina. Clinicamente è caratterizzata da crolli vertebrali multipli, anche se talora
si possono presentare spiccate deformità scheletriche e fratture a vari livelli, specie
all'anca, al metacarpo e metatarso, alla rotula e alle coste.
- Osteoporosi secondaria:
 Malattie endocrine: iperparatiroidismo, ipertiroidismo, ipogonadismo, diabete
mellito e sindrome di Cushing
 Fattori nutrizionali: ridotto apposto di calcio, deficit proteico, abuso di alcol etilico,
ridotto apposto di vitamina C, malassorbimento, ipervitaminosi A o D
 Malattie ematologiche: mieloma, linfomi, leucemie, mastocitosi e talassemia
 Da farmaci: corticosteroidi, barbiturici, immunosoppressori (Methotrexate), eparina,
ormoni tiroidei, diuretici non tiazidici, idrossido di alluminio
 Da immobilizzazione:
o Generalizzata: paraplegia, allettamento
o Localizzata: post-frattura
 Congenite: osteogenesi imperfetta, omocistinuria, lisinuria, malattie del connettivo
 Malattie croniche: epatopatie, insufficienza renale, malassorbimento, gastrectomia,
artrite reumatoide
Le differenze principali tra osteoporosi di tipo I e di tipo II sono incluse nella seguente tabella:

24
L’osteoporosi decorre in maniera del tutto asintomatica, almeno nelle sue fasi iniziali. In fase
avanzata si ha la comparsa di dolore, secondario sia alle microfratture che si verificano a livello
della spongiosa dell'osso che a vere e proprie fratture. Tale dolore origina dalle strutture ossee con
un'alta percentuale di osso spugnoso e sottoposte al carico quali di vertebre dorsali e lombari e le
ossa tarsali. Gli altri distretti ossei sono solitamente risparmiati. La sintomatologia dolorosa può
comparire in maniera acuta, sia a riposo che durante le normali attività quotidiane. Più
frequentemente è conseguenza di cadute e traumi anche di lieve entità. Possono comparire
deformità (cifosi dorsale ad ampio raggio).
Le sedi tipiche delle fratture sono:
- Vertebrale, dorsale e lombare - Coste
- Radio distale - Collo del femore
- Collo dell’omero - Tarso
Dal punto di vista laboratoristico, di alcuni parametri bioumorali plasmatici e urinari relativi al
metabolismo osseo riveste una certa importanza nella diagnosi della osteoporosi. I dati così ottenuti
vanno però sempre integrati con la clinica e con gli esami strumentali. Analizziamo calcemia (nella
norma, 0.5-10.5 mg/dl), fosforemia (nella norma, 2.5-4.5 mg/dl), calciuria (aumentata, 200
mg/die), fosfatasi alcalina (nella norma, aumenta in caso di frattura recente), idrossiprolinuria
(nella norma) e altri markers.
Dal punto di vista strumentale, si attuano esami di radiologia tradizionale, mineralometria ossea, TC
quantitativa, densitometria a ultrasuoni, biopsia ossea.
La radiologia tradizionale permette di valutare la diminuzione della massa ossea che si basa
sull'evidenza di una rarefazione del disegno del tessuto osseo corticale e trabecolare (osteopenia).
L'indagine radiografica è però soggetto ad alcune limitazioni come l'impossibilità di riconoscere
perdite di massa ossea inferiori al 25% e la presenza di fattori indipendenti dal tenore calcico. Per
questi motivi viene considerato uno strumento scarsamente utile per una diagnosi precoce ed
accurata.
La mineralometria ossea (MOC) è tra le nuove metodiche che sono state perfezionate negli ultimi
anni: questa ci permette di studiare le alterazioni quantitative della massa ossea. Attualmente la
MOC non solo consente di effettuare misurazioni ma ci consente anche di valutare la progressione
della forma e la risposta ad una eventuale trattamento specifico. Esistono tipologie a singolo raggio
fotonico, a doppio raggio fotonico o a raggi x a doppia energia. Quella maggiormente utilizzata è
quella a raggi x: utilizza fotoni emessi da un tubo catodico che analizza l'emissione di due spettri di
25
energia diversa. L'impiego di sorgenti a raggi X ha migliorato soprattutto l'accuratezza e la
precisione dell'esame.
La TC quantitativa è una metodica che prevede l'utilizzo del tomografo e viene utilizzata per lo
studio dello scheletro assiale. Questa indagine permette di determinare i parametri ossei
morfometrici e biomeccanici.
La densitometria ad ultrasuoni invece misura i segmenti scheletrici superficiali (rotula e
calcagno) per ridurre al minimo le interferenze dovuti alle parti molli. Questa metodica si distingue
dalle altre in quanto non utilizza radiazioni ionizzanti, quindi, potrebbe essere utilizzata per lo
screening di massa dell'osteoporosi.
La biopsia ossea viene eseguita in anestesia locale, la sede elettiva è la cresta iliaca anteriore o
superiore e consiste nel prelievo di una porzione dell'osso iliaco. Il campione può consentire un
esame istologico tradizionale che permette di valutare qualitativamente la morfologia del tessuto
osseo; ed un esame istomorfometrico che permette di raccogliere informazioni quantitative sulla
struttura ossea. L'analisi permette quindi di valutare il tipo di patologia che è eventualmente
presente.
La terapia consiste nell’utilizzo di diversi farmaci:
- Calcio: svolge un ruolo fondamentale nella prevenzione dell'osteoporosi. I soggetti che
seguono una dieta a basso contenuto di calcio sono infatti a maggior rischio di frattura. La
somministrazione è utile per prevenire la perdita ossea.
- Vitamina D: contribuisce in maniera determinante al mantenimento dell'omeostasi calcio-
fosforica agendo a livello intestinale, dove aumenta rapidamente l'assorbimento del calcio, a
livello renale, dove favorisce il riassorbimento tubulare di calcio e fosfati, e a livello osseo,
aumentando sia l’assorbimento che la mineralizzazione della matrice osteoide.
- Estrogeni: la carenza di questi è riconosciuta da tempo essere causa di osteoporosi nella
donna. La somministrazione di 17-beta-estradiolo per via transcutanea o orale è efficace nel
trattamento dell'osteoporosi post-menopausale.
- Calcitonina: attualmente poco utilizzata in quanto ha uno scarso effetto
- Difosfonati: molto usati, sono composti chimicamente analoghi al pirofosfato, che è un
fisiologico regolatore sia della mineralizzazione della matrice osteoide che del
riassorbimento osteoclastico. Rappresentano una categoria di farmaci attiva nel trattamento
delle patologie caratterizzate da un vivace riassorbimento osseo quali la malattia di Paget,
l'iperparatiroidismo primario e l'osteoporosi.
- Flavonoidi: Ipriflavone, molecola sintetica derivata dai flavonoidi che è in grado di inibire
l'attività osteoclastica e di stimolare quella osteoblastica. Viene somministrato per bocca ed
agisce positivamente sulla massa ossea.
- Fluoruri: il fluoruro di sodio stimola la neoformazione ossea e in misura minore ne inibisce
il riassorbimento, sia per un effetto diretto sui precursori degli osteoblasti, sia per la
trasformazione della idrossilapatite in fluoroapatite, che rende più stabile la componente
minerale dell'osso.

26
27

Potrebbero piacerti anche