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Il DMT1 che si ammala di NAC ha una storia più lunga di DM rispetto al DMT2. Gli obesi hanno
una maggior incidenza di NAC.
Nello Charcot l’osso diventa fragile perché l’eccessiva vascolarizzazione locale, determina
un’attivazione di osteoblasti e osteoclasti. L’osso è meno solido e il meccanismo di iperafflusso
fa sì da erodere l’osso. L’iperafflusso è causato dall’apertura degli shunt artero-venosi. Il
gestore di quelli chiusi non funziona bene a causa della perdita del controllo da parte del
sistema nervoso simpatico.
Storicamente sono state formulate due teorie inizialmente contrapposte che spiegavano la
patogenesi della CN: la teoria tedesca o neurotraumatica attribuita alla scuola di Volkmann e la
teoria francese o neurovascolare attribuita a Charcot.
Nella fisiologia, quando c’è una frattura, nell’ambito della crepa, si forma un tessuto di
granulazione vascolarizzato. Il meccanismo per cui alcune fratture non consolidano mai, è
perché rimane l’input dell’infiammazione; se la frattura non è bloccata, l’osso non consolida. La
mancanza di dolore, che è quella che fa mettere il piede a riposo, fa mantenere il fenomeno
della infiammazione. Tutto ciò viene avvertito dal periostio come un meccanismo continuo,
mettendo in atto dei fenomeni di rimodellamento dell’osso.
Dopo una frattura, il processo infiammatorio è relativamente di breve durata e l’aumento delle
citochine infiammatorie (quali TNF-alfa e IL1-beta) avviene nelle prime 48 ore; questo accade
probabilmente perché il dolore permette di mettere a riposo l’arto e di risaldare la frattura;
pertanto il rilascio di citochine infiammatorie si riduce e lo stimolo infiammatorio cessa. Ma in
mancanza del presidio del dolore, il piede affetto non viene immobilizzato e il trauma della
deambulazione comporta un perpetuarsi dell’infiammazione in un circolo vizioso. Questo
comporta una progressiva osteolisi documentata nella CN che aumenta il rischio di nuove
fratture e dislocazioni, fintanto che la malattia rimane attiva e non trattata, con due
conseguenze: spostamento del carico su altre ossa e articolazioni e inizio della cascata
infiammatoria. Pertanto l’immobilizzazione è necessaria non solo per ridurre i traumi su un
osso fragile, ma anche per spegnere il processo infiammatorio.
Recentemente si è focalizzata l’attenzione sul legame fra CN e infiammazione. Nella CN c’è uno
stato di “dis-infiammazione”, cioè una risposta infiammatoria locale prolungata ed esagerata in
risposta a uno stimolo infiammatorio che può derivare da un trauma accidentale, più o meno
riconosciuto dal paziente, ma in alcuni casi da interventi chirurgici sul piede inclusi interventi di
rivascolarizzazione o procedure ortopediche.
Non esistono dei markers specifici tipici del processo patologico e quindi mancano dei criteri
clinici e/o radiologici definiti su cui basare la diagnosi.
Anche danni dell’osso senza evidenti fratture (come l’edema della midollare) rappresentano un
criterio per attuare uno scarico in un piede neuropatico edematoso, poiché il persistere del
carico porta a un’evoluzione del quadro clinico con il manifestarsi di fratture complete.
L’unico trattamento dello Charcot in fase acuta senza fratture (aumentata temperatura che
deriva dal processo infiammatorio dell’osso) è l’immobilizzazione dell’arto interessato con uno
stivaletto rigido in gesso o in fibra di vetro che viene fatto per un periodo non inferiore a 90
giorni, da riconfezionare dopo una settimana dalla prima applicazione per adattarlo alla
riduzione dell’edema, al fine di garantire l’immobilizzazione e il contatto totale. Quando è
interessata l’articolazione della caviglia, il mesopiede o il calcagno, il tempo di immobilizzazione
può raggiungere 180 giorni prima che si ottenga la risoluzione della fase acuta ed il
raggiungimento della fase di quiescenza della malattia.
Durante questo periodo il paziente deve assolutamente evitare il carico sul piede durante la
deambulazione, anche se questa avviene con l’ausilio di stampelle o tutori.
Limitazioni all’utilizzo di questa tecnica di scarico sono derivati dagli effetti collaterali descritti
in letteratura (rigidità articolare e ipotrofia muscolare secondari alla prolungata
immobilizzazione in un gambaletto rigido; lesioni ulcerative, infezioni fungine, abrasioni
causate dallo sfregamento a livello di salienze ossee) che arrivano sino al 20%. Tali dati si
riferiscono al TCC confezionato utilizzando la benda gessata di Parigi risultando rigido e
pesante. Se viene realizzato dal tecnico dell’ortopedia, bisogna fare al paziente la terapia con
anticoagulanti (calciparina) o Clexane, sennò può venire una embolia polmonare.
L’uso di questo materiale determina un abbattimento clamoroso del numero degli effetti
collaterali intorno al 5% pur mantenendo un’efficacia elevata; riduce il rischio di abrasioni e
viene così conservata la pompa muscolare, evitando l’edema da stasi venosa. Il gambaletto
così fatto è indicato anche nei pazienti anziani, che possono mantenere un certo grado di
mobilità, grazie alle caratteristiche di leggerezza dello stesso. Questo tipo di stivaletto risulta
meno rigido e meno pesante, caratteristiche che ne determinano anche una migliore
accettabilità da parte del paziente stesso.
Il paziente deve essere disteso, in posizione supina. La cute deve essere adeguatamente
idratata con un emolliente. Le dita devono essere separate da una garza morbida al fine di
evitare macerazioni. L’apparecchio deambulatorio di scarico in vetroresina non è removibile dal
paziente ed è confezionato utilizzando una calza tubolare in cotone dalla tuberosità tibiale sotto
il ginocchio al dorso delle dita in modo che copra abbondantemente le dita.
Si applica un nastro di cerotto gommato (microfoam) allo scopo di proteggere le protuberanze
ossee (malleoli, spina tibiale, dorso del piede in caso di equinismo accentuato), da possibili
frizioni con la sovrastante benda in vetroresina irrigidita.
Successivamente viene adattata una benda in cotone di Germania (a spirale elicoidale con
sovrapposizione del 50%), dalle dita fino alla tuberosità tibiale, senza lasciare aree scoperte ed
eliminando le grinze, con lo scopo di proteggere ulteriormente la gamba e il piede.
Viene bagnata con acqua (PRIMA) e applicata a spirale la prima delle tre bende soft cast in
vetroresina (la meno rigida), su gamba e piede (tempo di lavoro della benda di resina circa 5-
10 minuti).
Dopo avere ottenuto l’irrigidimento della struttura con acqua, che funge da catalizzatore, si
crea un supporto laterale e mediale sulla gamba e sulla faccia plantare del piede; si crea una
staffa con 3-4 passaggi della benda in vetroresina più rigida (scotch cast), applicandola da una
tuberosità tibiale all’altra passando in corrispondenza dei malleoli; si crea quindi una soletta
con la rimanente benda (3-8 strati proporzionalmente al peso); il tutto viene nuovamente
bagnato con acqua (DOPO) per irrigidire rapidamente le bende.
Si completa il gambaletto con un’altra benda di “soft cast” bagnata, rendendo solidale il resto
della staffa alla gamba.
Si rifinisce il tutto scollando con le apposite forbici fino a quattro dita sotto il poplite verso l’alto
e scoprendo il dorso delle cinque dita.
Si ribalta il cotone di Germania per 1-2 cm ed il tubolare di cotone per 5 cm, fermandoli con un
cerotto. Il paziente deve astenersi dal carico per almeno 5 ore, tempo necessario per il
consolidamento della struttura.
Durante tutto il periodo di trattamento deve essere posta particolare attenzione al piede
controlaterale per il rischio di insorgenza di un quadro acuto di Charcot, probabilmente
secondario al carico cui il piede viene sottoposto (calzatura protettiva con suola rigida a
dondolo e contrafforti di supporto della caviglia nella quale viene alloggiato un plantare su
calco per il riequilibrio delle pressioni plantari).
Per lo Charcot acuto, non si mette il tacco gommato in un gambaletto per il primo mese e
mezzo. Viene confezionato con le staffe, dal momento che permettono di lasciare l’intera
superficie plantare libera da pressione.
Un deterrente all’utilizzo del TCC è il costo che per il confezionamento di un solo gambaletto si
aggira sui 50-75 euro; pertanto il costo di un trattamento completo, considerando che il
gambaletto viene sostituito settimanalmente, può arrivare a 200-300 euro, contro i 150 del
gambaletto rimovibile e i 25-75 delle scarpe da lesione.
A seguire si mette un tutore tipo stivale pneumatico AIRCAST, sempre conformato alla gamba
del paziente perché si gonfia. L’AIRCAST è un tutore in plastica rigida. Il vantaggio è di avere
delle camere d’aria che si gonfiano e riducono la possibilità di sviluppare lesioni.
VANTAGGI:
• scarico assoluto della lesione
• non traumatico
• abbastanza efficace
• permette un’autonomia motoria pressochè completa
SVANTAGGI:
• costo
• facilmente rimovibile
• dipende dalla compliance del paziente
• necessità di adeguato expertise
Non solo il piede con ipercheratosi plantari ha bisogno di calzature, ma anche il piede di
Charcot (nella sua fase acuta, va fatto l’apparecchio gessato); una volta stabilizzato, una volta
che il processo attivo si è arrestato e siamo nella fase di quiescenza, il paziente può cominciare
gradualmente a deambulare usando un gambaletto removibile e finalmente una calzatura
adeguata.
Gli obiettivi del trattamento della fase cronica consistono nella riduzione delle pressioni
plantari, nel preservare l’integrità della cute, garantire la stabilità del piede, prevenire
l’ulcerazione del piede.
Una precoce ripresa del carico potrebbe causare la riattivazione della fase acuta nella stessa
articolazione o in altre adiacenti.
La calzatura ideale è costituita da una suola rigida ad angolo di battuta anteriore per
permettere il rotolamento del passo e ridurre il frizionamento a livello metatarso-falangeo. La
suola a barchetta serve per trasferire il carico e facilita nella spinta lasciando il piede immobile
(si toglie il carico sul piede nella fase di spinta). La suola biomeccanica ci permette di scaricare
il 25-30% delle pressioni plantari. Normalmente il massimo punto di propulsione viene dato
sulle teste. Con la suola biomeccanica esso si arretra di 8-10 mm rispetto ad una normale
battuta. La punta è rialzata proprio per fare arretrare il punto di propulsione.
La tomaia deve essere di pelle morbida, deformabile, senza cuciture interne, extra-fonda, con
un’altezza di almeno 4 cm nella regione anteriore per permettere l’alloggiamento delle dita a
martello. La calzatura deve essere allacciata con stringhe o con velcro affinchè sia ottimale la
presa sul collo del piede, evitando così lo scivolamento anteriore e il fisiologico sollevamento
del tallone durante il passo.
Tutti i piedi con osteoartropatia necessitano di controlli costanti e calzature adeguate per tutta
la vita, al fine di prevenire l’ulcerazione. Gli Charcot appena guariti vanno monitorati una volta
al mese.
uno strato interno traspirante e anallergico fatto di materiale morbido, tale da assorbire
le pressioni del piede e cioè ridurre lo shock (forze perpendicolari) e lo stress (forze
trasversali); COPERTURA (NO PELLAMI MA TESSUTO, MICROFIBRA DI POLIESTERE E
POLIURETANO); il PPT a distanza di 22 giorni di trattamento perde le sue proprietà
irrigidendosi.
uno strato intermedio, elastico e sufficientemente stabile nella forma anche sotto il
carico del peso (cioè dotato di “memoria”); SOLETTA (POLIETILENE + EVA: SHORE 35);
uno strato esterno rigido per supportare forma e funzione del piede; BASE (EVA -
SHORE 50/60);
Il plantare deve avere uno spessore minimo per essere alloggiato in una calzatura e non è
corretto prescrivere l’uno senza l’altra.
Il plantare del paziente diabetico deve essere sempre fatto a contatto totale, su calco in gesso
dell’impronta stessa (ossia su misura), termoformabile , senza correzioni (guai a mettere gocce,
barre, cunei, perché si perde il concetto del contatto totale).
No RMN dopo interventi chirurgici per l’edema che persiste (falsi positivi)
Per classificare, dal punto di vista osseo, le fasi dell’evoluzione del processo fratturativo,
Eichenholtz ha diviso il processo patologico in quattro stadi:
1° STADIO: DISSOLUZIONE OSSEA (Durata: 3-6 mesi), rappresenta la fase acuta della
patologia. Rappresenta la fase iniziale di maggiore difficoltà diagnostica e di conseguenza
spesso misconosciuta. Il quadro clinico dell’osteoartropatia di Charcot nella sua fase acuta si
caratterizza per la presenza di segni specifici di infiammazione. Il piede coinvolto dal processo
osteo-articolare presenta i segni di flogosi locali quali edema del piede con tumefazione
arrossata, aumento della temperatura cutanea locale con differenza di almeno 2°C verso il
controlaterale. La differenza di temperatura può arrivare anche a 10°C.
Si può o meno associare una sintomatologia dolorosa locale, sia a riposo sia durante il carico,
seppur in presenza di neuropatia periferica. Il dolore profondo nella neuropatia distale e
simmetrica è spesso conservato: questo spiega perché a volte l’osteoartropatia di Charcot in
fase acuta si presenta con un certo grado di dolore. Il dolore, che non è un sintomo costante,
quando c’è non è proporzionale all’entità dei segni di flogosi presenti.
2° STADIO: COALESCENZA (Durata: 6-12 mesi), si caratterizza per la riduzione dei segni
di flogosi e dell’edema.
Lo studio radiografico mette in evidenza il riassorbimento dei detriti ossei più piccoli e l’iniziale
consolidamento osseo in sede di frattura.
La normale architettura del piede può essere conservata, in particolar modo se il trattamento
protettivo è stato applicato correttamente e precocemente, oppure possono residuare
deformità strutturali e instabilità articolari di diversa severità.
Le gravi deformità che caratterizzano la fase finale del processo evolutivo possono
accompagnarsi a lesioni plantari che possono interessare diverse zone della superficie plantare
e che si caratterizzano per la presenza di abbondante callosità perilesionale, con una scarsa
tendenza alla guarigione, anche se correttamente trattate.
CLASSIFICAZIONE DI SEDE DELLA NAC (DA SANDERS E FRYKBERG) E RELATIVO
RISCHIO AMPUTATIVO
Sempre dal punto di vista radiologico, nel 1991 Sanders e Frykberg hanno proposto una
classificazione dell’interessamento osseo ed articolare del piede di Charcot nella fase di
coalescenza.
Il riassorbimento parte dalle metafisi ed è a carico delle epifisi distali. La neuropatia a livello
delle ossa del piede, dà assottigliamento delle metafisi, che si assottigliano con aspetto a punta
di matita temperata. Un’aumentata forbice tra I e II metatarso, è uno dei segni con cui più
precocemente possiamo riconoscere lo Charcot iniziale. Il rimaneggiamento dell’osso appare
radiograficamente con margini delle articolazioni frastagliati e non lineari.
Se l’osteoartropatia è a livello del mesopiede, c’è un sovvertimento del piede che diventa
concavo invece che convesso (caratteristica forma “a dondolo” con inversione della volta
plantare per frattura delle ossa del tarso), che predispone alla comparsa di lesioni ulcerative
plantari in corrispondenza dei cuneiformi e del cuboide e si sovverte la dinamica del passo.
astragalo-scafoidea
scafo-cuneiforme
calcaneo-cuboidea
Anche in questo caso si osserva un cedimento del piede mediano (deformità del piede “a
dondolo”), che pone il paziente a grave rischio di ulcerazione plantare in corrispondenza della
protrusione del cuneiforme mediale, cuboide, scafoide, con successivo rischio di
osteomielite.
La lassità legamentosa che caratterizza le fasi iniziali della patologia, peggiora gradualmente
con il carico durante la deambulazione che avviene senza dolore.
Dal punto di vista clinico il paziente si presenta all’osservazione per la comparsa di una
tumefazione che interessa la zona calcaneare ma che può estendersi sino al mesopiede ed alla
caviglia. L’impotenza funzionale è scarsa così come il dolore può essere lieve. Saltuariamente il
paziente riferisce di avere avvertito durante il cammino un rumore sordo accompagnato da un
dolore acuto sul retro del tallone.