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14/03/2022 Ortopedia lezione n°5 Prof.

Catani Corrado-Marzi-Scarfò

L’artrosi del ginocchio


L’artrosi è definibile come una patologia degenerativa che colpisce le articolazioni
sinoviali. La struttura anatomica che è colpita nell’artrosi è la cartilagine. L’artrosi si
differenza dall'artrosi infiammatoria, dove invece è la membrana sinoviale ad essere
coinvolta. Nell'artrosi, sia essa primaria o secondaria, la patologia interessa la
cartilagine, che degenera perdendo la capacità di duplicarsi, dal momento che viene
meno lo sviluppo sia della matrice che delle cellule (condrociti).

I frammenti di cartilagine creatisi, anche a causa del lavoro meccanico dell'articolazione,


vengono a toccare la sinovia che li riconosce come fossero corpi estranei, così che si
generi una sinovite. Da questo ne consegue che il processo flogistico sinoviale è
secondario. Quando si parla di un’artrosi non infiammatoria, la patologia riguarda la
cartilagine.
Nella malattia artrosica la membrana sinoviale mostra minore o assente espressione dei
mediatori dell’infiammazione, pur ipertrofizzandosi e divenendo flogistica.
Il dolore articolare dell’articolazione è provocato dalla sinovia, elemento essenziale nel
garantire la presenza di cartilagine all’interno di un’articolazione. Infatti la membrana
sinoviale è responsabile della produzione di liquido sinoviale che costituisce la fonte di
nutrimento della cartilagine articolare.
Il processo biologico che consente alla cartilagine il nutrimento dal liquido sinoviale è
l’osmosi.
Altro elemento fondamentale che contribuisce al nutrimento della cartilagine è l’elasticità
che tale tessuto possiede. La cartilagine al momento in cui viene compressa dal carico
tende a rilasciare cataboliti, come farebbe una spugna, mentre nel momento di scarico
tende ad assorbire il liquido sinoviale circostante. Pertanto, nel momento in cui la
cartilagine perde la sua elasticità dovuta alla patologia degenerativa non riesce più a
nutrirsi e quindi degenera ulteriormente.
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Da un recente studio si è visto come la cartilagine dopo 8 ore di sonno possa essere più
spessa di 0,5/0,6 ml rispetto al suo spessore durante la giornata.
Se la cartilagine viene ad essere compressa e contemporaneamente si ha un trauma, a
causa della forza tangenziale, la cartilagine si rompe, determinando così le lesioni della
cartilagine dette focali. Tali lesioni si hanno proprio perché l’elasticità, che consente la
comprimibilità delle cartilagini dei capi articolari, determina un’interdigitazione tra le due
cartilagini. È questo il motivo per cui nei pz giovani che si procurano importanti traumi
durante certe attività, la forza tangenziale può creare un distacco focale della cartilagine.
Durante il carico, l’interdigitazione tra le cartilagini provoca una resistenza al movimento
garantendo così una forma di stabilità indiretta.

Nell’immagine vengono mostrate le


strutture nel caso di un intervento di protesi
del ginocchio.
A dx si osserva il condilo mediale e a sx il
condilo laterale. La struttura anatomica
che consente di orientarsi nella distinzione
tra condilo mediale e laterale è la rotula.

Le caratteristiche principali del quadro artrosico sono ulcerazione ed erosione


della cartilagine.
Se la cartilagine è ancora in una condizione di normalità risulta lucida, di colore bianco
giallastro. Quando la cartilagine muore e viene erosa dal movimento e dal carico tra
femore e tibia comincia a esporsi l’osso subcondrale.
Nella genesi artrosica e in quella della patologia della cartilagine l’osso subcondrale ha
un ruolo fondamentale. La cartilagine è funzionalmente legata all’osso subcondrale. Ci
sono infatti delle patologie dell’osso subcondrale, che diventando troppo rigido non
consente il trasferimento del carico dalla cartilagine all’osso. Il ruolo fondamentale di tutte
le articolazioni è quello di bilanciare il carico applicato. La cartilagine è l’elemento
essenziale affinché ciò si possa realizzare. La cartilagine non assorbe però tutto il carico,
ma una parte lo trasferisce all’osso subcondrale sottostante. Pertanto, anche l’osso
subcondrale contribuisce al supporto del carico. Ne consegue che se si irrigidisce, il carico
non viene trasferito alla spongiosa bensì assorbito interamente dalla cartilagine. La
capacità però che la cartilagine possiede nell’assorbimento della forza di carico ha un suo
limite fisiologico. La capacità di sopportare il carico da parte della cartilagine articolare è
tarata per sostenere un determinato movimento.
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Non a caso se si rompe un crociato e non viene ricostruito, la posizione del femore rispetto
alla tibia non è più la stessa di prima e per tanto il carico cambia la sede in cui si
concentra, provocando la sofferenza della cartilagine. Questo è il motivo per cui con la
lesione del crociato nel tempo si ha un’alterazione della cartilagine, oltre al fatto che
aumentano leggermente anche le forze tangenziali.
L’osso subcondrale va valutato attentamente all’esame radiografico.
In un quadro artrosico si può avere anche presenza di osteofitosi marginale.
L’osteofita non è altro che una produzione
ossea esuberante normalmente marginale. Si
viene a creare dell’osso in più, spesso proprio
nell’area dove c’è maggiore presenza di
tessuto sinoviale, ai bordi dell’articolazione.
Pertanto, attorno all’osso si comincia ad avere
una flogosi, l’osso reagisce apponendo nuovo
tessuto osseo prevalentemente di carattere
spongioso che può nel tempo sclerotizzarsi
diventando più rigido, aumentando cosi la
morfologia dell’osso nel tentativo di supportare
l’articolazione, come nel caso del ginocchio, a
sopportare meglio il carico, in accordo alla relazione Pressione=F/S.

MENISCHI
Il menisco è una struttura presente in alcune articolazioni quali quelle:
• del ginocchio,
• del polso
• sterno-clavicolare
• temporo-mandibolare
• acromio-clavicolare
E’ fondamentale per due ragioni.
1. Consente di scaricare e ridurre il carico
2. Limita i movimenti.
Ad esempio nell’articolazione acromio-clavicolare alcuni movimenti sono limitati dai
legamenti come quelli conoidi, ma il movimento principale che tale articolazione può
consentire è la rotazione che viene ad essere limitato dalle strutture meniscali in essa
presenti. In una sub-lussazione di 2/3° il dolore è provocato dall’irritazione della struttura
capsulo meniscale
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Nel ginocchio invece i menischi impediscono il movimento di traslazione.


Se si rompe il crociato nel tempo si può avere una lesione cronica, della cartilagine e del
menisco, quest’ultimo si altera nel tentativo di ostacolare l’eccessivo movimento al quale
l’articolazione viene sottoposta.
Dal punto di vista biologico il menisco è una fibro-cartilagine soprattutto nella sua parte
più articolare ovvero al muro meniscale dove entrano i vasi e i nervi. Il menisco è molto
innervato e per tale motivo la sua lesione suscita un forte dolore.

Elementi anatomo patologici della artrosi:


• Erosione e ulcerazione della cartilagine
• Meniscopatia degenerativa
• Sinovite ipertrofica, ipervascolarizzata e fibrosclerotica
• Sclerosi della capsula articolare, soltanto in certe condizioni
• Corpi mobili
I corpi mobili che si generano dal distacco di cartilagine dal capo articolare venendosi poi
a trovare nella cavità articolare assorbono liquido sinoviale accrescendosi sempre più,
finendo anche con l’ossificarsi.
L’artrosi monoarticolare è difficile che si possa avere. Sono molto più frequenti invece le
artriti reumatiche monostotiche. L’artrosi in quanto tale è normalmente poliarticolare. Le
artriti reumatiche invece spesso sono monostotiche (mono-articolari). Il 75% degli affetti è
di sesso femminile e questa correlazione è da attribuire a fattori ormonali diretti e indiretti.
Si ha una forte associazione dell’artrosi con le patologie venose periferiche, anch’esse più
frequenti nelle donne. Per tale motivo a scopo preventivo in tutti gli interventi di protesi o
nei più invadenti agli arti inferiori si fa a livello preoperatorio sempre un doppler venoso.
Si deve tener conto anche delle patologie arteriose soprattutto in soggetti a forte rischio
quali diabetici, tabagisti o con forte deficit di vitamina D.
Il deficit di vitamina D sfortunatamente riguarda sempre più persone ed è facilmente
riscontrabile anche nella popolazione sportiva. La vitamina d non è solo responsabile della
fissazione del calcio nelle ossa ma determina tutta una serie di equilibri dal punto di vista
metabolico che sono assai rilevanti nel garantire, ad esempio, il controllo del dolore o nella
gestione della forza.
Non c’è invece una vera e propria associazione tra l’obesità e l’artropatia degenerativa
così come nelle protesi di ginocchio, dove il fallimento di queste non è correlato all’obesità
del paziente.
Il legame tra obesità e danno a livello articolare del ginocchio si manifesta
nell’articolazione femoro-rotulea.
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Il ginocchio possiede tre articolazioni, tra le quali si annoverano:


• la tibio-femorale mediale
• la tibio-femorale laterale
• la femoro-rotulea.
Tra queste, quella più interna, la
tibio-femorale mediale, presenta
un forte legamento collaterale
che la rende un’articolazione
molto statica. Non presenta
inserzioni muscolari, se non per la
zampa d’oca in basso. Questa tra
le tre articolazioni del ginocchio
rappresenta il punto centrale su
cui avvengono tutte le rotazioni.
L’articolazione su cui si scaricano
le forze maggiori a livello del
ginocchio è l’articolazione femoro-
rotulea dove si ha la rotula, che
essendo un osso sesamoide si
trova internamente al tendine del muscolo quadricipite femorale.
(Altre ossa sesamoidi si trovano nelle mani e a livello dei piedi nella prima metarso-falangea.)

L’osso sesamoide della rotula aumenta il braccio di leva del tendine quadricipite.
Nella condizione di obesità succede che l’articolazione femoro-rotulea lavora troppo e
quindi la cartilagine e l’osso subcondrale vanno in sofferenza. Quindi nell’obeso è
l’articolazione femoro- rotulea a venir danneggiata.
Inoltre, bisogna ricordare che l’articolazione in un obeso lavora in flessione.
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Classificazione dell’artrosi: primitiva e secondaria


L’artrosi primitiva può esser idiopatica, congenita, genetica. Poiché l’artrosi è una
patologia articolare che altera l’anatomia della cartilagine può colpire una, due o tre
articolazioni dando così delle artrosi che sono dette rispettivamente artrosi mono
compartimentale, bi compartimentale o tri compartimentale.
Un tempo tali problematiche venivano tutte trattate con una protesi completa, mentre al
giorno d’oggi grazie alle tecniche di cui si dispone e all’impiego della robotica si eseguono
chirurgie singole dei tre rispettivi compartimenti o associate. Si tratta la problematica
quindi cercando di risparmiare i legamenti.

ARTROSI PRIMITIVA o PRIMARIA

Artrosi Primaria giovanile tricompartimentale


Si ha un danno prevalentemente genetico. In questi casi il
condrocita molto precocemente degenera e muore, alterando
l’omeostasi articolare. (Da anno precedente)
Nell’immagine si può osservare una lastra di un ragazzo di circa
20/25 anni dove si osserva un’artrosi tricompartimentale
(femoro-rotulea, femoro-tibiale mediale e femoro-tibiale
laterale), soprattutto femoro-tibiale mediale e femoro-rotulea.

ARTROSI SECONDARIA
1. ALTERAZIONE MECCANICA

Deformazioni epifisarie

Nelle epifisi esiste una struttura fondamentale: la fisi cioè la


placca di accrescimento; nell’immagine si può notare come a
livello della fisi (questo si può osservare a livello del femore,
dell’omero nel ginocchio ecc.) abbiamo due compartimenti:
uno mediale e uno laterale i quali devono crescere insieme.
Quali possono essere le condizioni che alterano questa
crescita omogenea dei diversi compartimenti?
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Una frattura, un distacco epifisario, per esempio, determina una prevalenza della
produzione di osso, poiché si deve riparare la componente fratturata, ciò può determinare
la chiusura della fisi.
Nel nostro caso si può osservare la cartilagine di accrescimento che, in questo paziente
dovrebbe fisiologicamente essere ancora presente su tutto il perimetro epifisario, si è
ossificata. una condizione molto frequente nel continente africano, causata da
malnutrizione, rientrando nell’ampio gruppo di patologie dismetaboliche.
La domanda che ci poniamo ora è la seguente “Perché abbiamo un interessamento mediale
e non laterale?”
Poiché il carico è ovviamente maggiore nel compartimento mediale durante la normale
routine del ragazzo si osserva è che:
● Lateralmente (sx) si ha una crescita cartilaginea normale;
● Medialmente (dx), dov’è presente l’ossificazione (epifisiodesi), la crescita è
interrotta.
Questo comporta la comparsa di una grossa deformità, un alterato allineamento, che
andrà quindi operato precocemente per normalizzare l’altezza dell’epifisi tibiale mediale ed
evitare l’evoluzione in artrosi. (Da anno precedente)
Riassumendo il tutto parte da una sottostante condizione di malnutrizione che porta a una
crisi della fisi, cioè alla situazione visibile alla lastra che prende il nome di Morbo di
Blount.
Il morbo di Blount interessa generalmente soggetti di 6-10 anni su base traumatica o
dismetabolica e ciò che si osserva è un’importante deformità che richiederà un’osteotomia.

Altri esempi di deformazioni sono l’acromegalia (a dx) su


base ormonale (ipersecrezione GH) e la condrodisplasia (a
sx), patologia piuttosto complessa che interessa la cartilagine,
normalmente vincolata all’osso subcondrale, che si stacca
dalla componente ossea, evidenziando una mancanza di
adesione.
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Osteocondrite Dissecante
Interessa generalmente soggetti fra gli
8-12 anni, è una patologia di carattere
vascolare dove si osserva una
sofferenza dell’osso subcondrale e
cartilaginea, normalmente (90% dei
casi) nel condilo mediale femorale in
prossimità del crociato posteriore,
mentre è raro nel condilo laterale.
Lo possiamo osservare nella lastra qui a fianco dove si vede un
orletto, l’osso che diventa più chiaro e non uniforme come il condilo
esterno.
Molte volte la cartilagine è normale, mentre è anomalo l’osso
subcondrale: questo porta nel tempo ad un’alterazione che richiederà
un trattamento chirurgico per riparare la componente ossea e
rivitalizzare la componente danneggiata. Se la sofferenza si
estendesse anche alla componente cartilaginea il trattamento dovrebbe essere
ulteriormente ampliato con un trapianto cartilagineo.

Altro elemento importante da descrivere è l’osteonecrosi; tale


condizione è sempre associata ad algodistrofia detto anche
edema spongioso o sindrome di Sudek, patologia infiammatoria
dell’osso con buona incidenza soprattutto nel sesso femminile.
Questa si presenta con stato edematoso che interessa la
spongiosa e flogosi (che non vuol dire che abbiamo cellule
dell’immunità ma semplicemente liquido) dovuta ad un’alterazione
del sistema parasimpatico che porta ad un accumulo di fluidi. Tale
quadro clinico è ben osservabile in RM (ma non in TC).
Nell’osteonecrosi, proprio perché c’è un difetto vascolare, si crea una sofferenza che
porta a edema, ma esistono anche edemi da sovraccarico oppure situazioni edematose
causate da un algodistrofia primitiva (patologia estremamente invalidante e molto dolorosa
soprattutto durante il periodo notturno) che può evolvere in osteonecrosi e risultare
facilmente trattabile se presa nelle fasi precoci.
Le algodistrofie si dividono in:
• Post-Chirurgiche
• Post-Traumatiche
• A seguito di immobilizzazione
Questa è una patologia del sistema parasimpatico, nell’equilibrio fra scambio artero-
venoso.
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Menisco Discoide
Un menisco ha una forma di ¼ di luna, il mediale è un po’ più
“coperto”, mentre il laterale ha una dimensione minore. Il menisco
discoide modifica la sua forma passando da ¼ a una luna piena,
generalmente il menisco interessato è quello laterale, questo nel
tempo (di solito intorno agli 8-10 anni) porterà a patologia da
sovraccarico, una compressione consistente del menisco fino alla
rottura dello stesso accompagnata a sintomatologia dolorosa.

L’intervento in artroscopia serve per “pulire” il menisco cercando di dargli la forma più
simile a quella che aveva in natura, ci sono casi in cui il menisco viene rimosso quasi
completamente portando il giovane soggetto a vivere per lungo tempo senza menisco
esterno, aumentando in modo consistente il rischio di sviluppare un’artrosi secondaria
laterale.
Il menisco esterno ha una funzione di mantenimento del movimento del condilo laterale;
considerando che lo stesso in una flessione a 120/130° si trova sul bordo esterno della
tibia, quasi sublussato a riprova dell’enorme capacità elastica del menisco. Infatti, il
menisco esterno non è quasi attaccato alla capsula, è libero perché a differenza del
mediale che deve dare stabilità al ginocchio la parte laterale deve poter ruotare, essere
elastica e il comportamento dei menischi deve essere analogo.
Non a caso nelle lesioni del crociato anteriore il menisco maggiormente interessato è
quello esterno.
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Instabilità
Nell’immagine inferiore a dx si può osservare come
l’erosione dell’emipiatto mediale con legamento crociato
integro si concentra nella parte anteromediale poiché il
femore grazie al legamento integro può ruotare in una sola
direzione, importante sottolineare come per l’inserimento
di una protesi mono compartimentale il crociato stesso
debba essere funzionale.
Nella seconda immagine a sx osservo un quadro diverso: il
crociato è danneggiato e l’erosione che sarà il punto dove
si esercita il carico è diverso per cui il femore slitta antero-
posteriormente in maniera eccessiva e si ha
danneggiamento dell’intero piatto tibiale.
Per queste ragioni viene consigliata, soprattutto nei giovani,
la ricostruzione del crociato poiché l’inserimento di una
protesi rischio un carico eccessivo per la protesi.

Al giorno d’oggi si fa un TC e si va a vedere nell’osso


subcondrale dove l’osso è più sclerotico cioè dove le
trabecole ossee si sono addensate a seguito del maggior
carico.
Nell’immagine sopra, si osserva una ricostruzione di crociato anteriore, dove ci sono le viti
che mi permettono di fissare il legamento osseo in modo tale da ricostruire in modo
completo il CA. Quando andiamo a ricostruire un legamento può accadere nel tempo che il
compartimento mediale possa andare incontro a un processo degenerativo artrosico che
richiederà l’inserimento di una protesi (la qui incidenza è maggiore in questi soggetti).
Il carico articolare dipende dal peso legato alla gravità, dall’orientamento di questa
articolazione e dalle strutture capsule legamentose, infine, la componente compressiva
legata alla muscolatura, molto importante anche nei processi di guarigione.
Basti pensare al carico fra rotula e femore che per la maggior parte non è dato dalla
componente gravitazionale bensì dalla componente muscolare (300-400kg).
La stabilità della spalla è garantita quasi esclusivamente dalla componente muscolare
ecco perché la rottura del sovraspinoso modifica in modo così sostanziale l’equilibrio
dell’articolazione stessa.
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Alterazioni dell’asse meccanico

Ginocchio varo è un ginocchio tendenzialmente concavo all’interno, il carico


si concentra nella parte interna del ginocchio. (vedi immagine dx)

Nella lastra a sinistra si osserva un ginocchio valgo una


deformità dell'arto inferiore che porta la gamba ad
assumere una caratteristica posizione ad X. Gli assi
longitudinali del femore e della tibia deviano, quindi, verso
l'interno, portando le ginocchia ad avvicinarsi l'una all'altra,
formando un angolo ottuso aperto lateralmente. In
soggetto con protesi d’anca, questa per definizione ha un
effetto valgizzante sul ginocchio poiché si medializza il
centro di rotazione.

Nella successiva immagine troviamo esito di osteotomia. L’osteotomia è una “frattura


chirurgica” dell’osso utile per aggiungere e/o togliere la componente ossea per allineare
la parte diafisaria e metafisaria e bloccarla attraverso mezzi di sintesi.
L’osteotomia è praticata in soggetti giovani, attivi ed è
preferibile ad una protesi perché “toglie” il dolore per 10-
15 anni fino a che non si osserva una progressione
artrosica che rende necessario il trattamento protesico. In
aggiunta, la precedente osteotomia determina una
maggior difficoltà nell’intervento di protesi di ginocchio:
vanno rimossi la placca e gli altri mezzi di sintesi, che si
consiglia di rimuovere entro due anni dall’osteotomia. (Da
anno precedente)
Importante ricordare come il rischio di infezione periprotesica post-chirurgico
rappresenti un importante complicanza da tenere in considerazione.
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ALTERAZIONI STRUTTURALI DEI TESSUTI ARTICOLARI

Condrocalcinosi
In quest’immagine radiografica si può osservare fra femore e tibia c’è una radiopacità a
livello di menischi e cartilagine che normalmente sono radiotrasparenti.
Il quadro appena descritto è figlio di una patologia: la condrocalcinosi caratterizzata da
un difetto metabolico per cui il trifosfato di calcio si va a depositare nei menischi e nella
cartilagine portando ad un irrigidimento di queste
strutture, aumentando la possibilità di rottura.
Il trifosfato di calcio è un elemento fortemente irritante
per la sinovia difatti se si libera in articolazione può
portare ad un artrosinovite chimica da trifosfato di
calcio con un ginocchio gonfio, caldo definito
pseudogottoso.
La diagnosi è radiografica e rientra nelle artrosinovite da
microcristalli, per quanto possibile il trattamento di
questi quadri deve essere farmacologico attraverso la
rimozione del liquido e l’iniezione di cortisone sperando
che non si sviluppino sottostanti quadri di artrosi.

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