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09 Ortopedia 30.03.

2022 Tartarini – Petrucci


Prof. Tarallo Pelagatti

LESIONI MUSCOLO-TENDINEE DEL GOMITO


NB: all’interno delle tendinopatie, la tendinite è un’infiammazione, la tendinosi invece consiste in un
processo degenerativo tendineo, che quindi avviene nel tempo.

Le tendinopatie inserzionali venivano descritte già anni fa da Nirschl come “alterato o insufficiente
processo di guarigione dopo trauma acuto o microtraumi ripetuti da iperutilizzo”, cioè il gesto
ripetuto più volte porta ad una tendinopatia di vario tipo.

Come tutte le articolazioni anche il gomito va valutato secondo i soliti criteri, rappresentati e
sviluppati di seguito. [il prof ha solo enunciato i 4 momenti principali, senza entrare nel dettaglio dei
singoli]]
ISPEZIONE
● valutazione del “Carrying angle”
● ispezionare il gomito (rashes,abrasioni,eritemi,gonfiore)
● Ispezione della superficie olecranica (noduli sottocutanei,tofi
PALPAZIONE
● Palpare la borsa olecranica (rigonfiamenti della borsa,noduli,tofi)
● Palpazione laterale della linea articolare (ringofiamento sinoviale)
RANGE DI MOVIMENTO
● Flessione del gomito
● Estensione del gomito
● Pronosupinazione dell’avambraccio
STABILITA’ DELL’ARTICOLAZIONE
● Varo e valgo stress

Possiamo suddividere questa articolazione in 4 compartimenti,


caratterizzati ciascuno da una componente muscolare a se’ stante:
A. Compartimento anteriore: m. bicipite e m. brachiale anteriore
B. Compartimento mediale: qui si inseriscono i flessopronatori, quindi
m. epitrocleari (pronatore rotondo, flessore radiale del carpo
e così via)
C. Compartimento posteriore: m. tricipite
D. Compartimento laterale: m. epicondiloidei (estensore radiale breve
del carpo, supinatore, estensore comune delle dita)

Di seguito verranno trattati i 4 compartimenti del gomito, con relative


patologie che interessano i vari muscoli

A. COMPARTIMENTO ANTERIORE
Mentre il muscolo brachiale anteriore, principale
muscolo flessore del gomito, non va praticamente
mai incontro a rottura od altre patologie, il bicipite
brachiale invece può presentare le condizioni
elencate nella slide a lato.

Il bicipite brachiale è un muscolo importante, la


sua funzione è prima di tutto quella di supinatore
primario dell’avambraccio, poi quando
l’avambraccio finisce di supinare ed arriva a fine
corsa, se continua la sua tensione diventa un
flessore di supporto.
Posso testare la mia funzione supinatoria se fletto
a 90° l’avambraccio con il palmo pronato,
dopodichè supinando il palmo dovrei percepire una contrazione bicipitale (più lo supino, più lo
sento).

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Rottura del tendine distale del bicipite brachiale

Inquadramento:
Il tendine bicipitale può lacerarsi prossimalmente a livello del capo lungo1 ed è una lacerazione che
compete l’articolazione della spalla, mentre molto più rara è la rottura del tendine distale comune
del bicipite brachiale, di competenza del gomito.Si osserva soprattutto negli uomini di mezza età
(40-60 anni), dediti ad attività lavorative o di allenamento pesanti.
Di solito il paziente racconta di un trauma acuto con contrazione eccentrica in carico2.
La sensazione di strappo doloroso è immediata ed è avvertita in regione antecubitale. Un deficit di
forza (flessione del gomito e supinazione dell’avambraccio) è sempre presente, ma con il passare
del tempo diviene meno evidente e lo si muove tranquillamente, anche in caso di distacco
completo 🡪 Mai escludere la diagnosi di frattura di bicipite se il pz muove bene il braccio. L’unica
cosa che rimane costante e valutabile è la minor forza in supinazione rispetto all’arto
controlaterale, essendo un supinatore primario.

Segni clinico-diagnostici:
Ci sono essenzialmente due segni patognomici che il clinico può ricercare sul paziente:
● Segno dell’uncino (hook test): consiste
nell’andare ad agganciare il tendine dalla sua
porzione mediale. La manovra consiste nel far
tenere al paziente il gomito flesso a 90°,
avambraccio completamente supinato e si passa il
dito medialmente alla ricerca del tendine brachiale,
che normalmente si aggancia benissimo, teso
come una corda, mentre nel paziente con la frattura tendinea non si sente più.
● The Biceps Crease Interval Test con un
pennarello si fa una linea nello spazio che va
dalla piega del gomito fino alla bombatura
(bombè) del bicipite e si misura la lunghezza.
Ovviamente se il bicipite è rotto, la distanza
diventa maggiore rispetto l’arto controlaterale,
perché il ventre muscolare è risalito
prossimalmente. Solitamente se l’aumento è
superiore a 5 cm è suggestivo di rottura.

Trattamento: reinserzione alla tuberosità del radio:


Un bicipite staccato non si ripara se non con un atto
chirurgico, perciò la terapia elettiva è la chirurgia e
consiste nella reinserzione del tendine distale a livello
della tuberosità radiale. Il trattamento conservativo
(riposo, tutela in tasca reggibraccio) si riserva
solamente a quei pazienti con scarse richieste
funzionali nella sua quotidianità, per cui costi/benefici
è meglio non sottoporli ad un’operazione e tenere il
braccio così.

1
Il bicipite ha due capi, collocati nella porzione prossimale. Il capo breve va alla coracoide ed il capo lungo attraverso la
doccia bicipitale a livello della testa omerale, passa sopra la testa omerale (depressore della testa) poi si va ad inserire
sul margine superiore della glena.
2
Contrazione eccentrica in carico: contrazione in allungamento del muscolo per mezzo di un carico (peso). Nello
specifico dell’articolazione del gomito, la rottura avviene quando questa è in fase di apertura, quindi in estensione.
Quando invece un muscolo compie una contrazione concentrica in carico, vuol dire che si contrae in accorciamento per
mezzo di un carico, nello specifico del gomito, durante la flessione del bicipite. Se ci figuriamo il bicipite, è controintuitivo
pensare che la frattura avvenga in eccentrica e non in concentrica, quindi per fissarlo bene nella mente consiglio la
visione di questo video, non adatto ad un pubblico di palestrati [https://www.youtube.com/watch?v=pZgxkE-2QAw]

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Il gomito è un’articolazione nelle cui vicinanze passano:


● strutture capsulari interne (omero-radiale, radio-ulnare prossimale, omero-ulnare)
● il nervo ulnare
● la doccia epitrocleolecranica posteriormente
● il nervo mediano anteriormente e medialmente
● il nervo radiale anteriormente e lateralmente, vicina alla porzione anteriore del capitello
radiale. Nello specifico, la zona in cui si inserisce il bicipite distale è un punto chirurgico
molto delicato perché passandovi il nervo interosseo posteriore, ramo del nervo radiale, chi
opera deve stare molto attento a non recidere il n.radiale, col rischio che l’intervento di
reinserzione del tendine bicipitale sia riuscita ma il paziente non riesce più ad alzare il
braccio.

I trattamenti chirurgici di reinserzione del tendine bicipitale eseguibili prevedono un doppio o mono
accesso, che verranno trattate di seguito

I° tipo: Reinserzione bicipitale tramite doppio accesso (il più vecchio e meno frequente)

Per prima cosa si cerca il tendine distale dall’incisione anteriore e passando tra le due ossa si
raggiunge la seconda incisione dall’interno, ricercando la tuberosità radiale con l’arto posizionato in
massima pronazione. In questo modo la tuberosità appare dalla parte contralaterale. Una volta
isolata la tuberosità radiale si effettua uno scasso3 con la fresina e si fanno 3 fori per poter inserire il
tendine a livello della doccia. Dopodichè i 3 capi vengono suturati.
Oggi la facciamo meno questa tecnica del doppio accesso, si preferisce fare un monoaccesso
volare anteriore (trattato dopo) che permette di andare a reinserire sulla tuberosità radiale, stavolta
in massima supinazione (altrimenti non riusciamo a vederla).

3
Scasso: tramite una fresa, consiste in una resezione ossea finalizzata alla creazione di un alloggiamento di varia
estensione/profondità per agevolare l’inserimento di stutture tendinee, materiale protesico, fili ecc

3
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Questa è la reinserzione col doppio accesso e quello che vediamo è lo scasso per poter accettare il
tendine al suo interno, con i fili transossei che passano attraverso, poi vengono suturati assieme
(un po’ come i lacci delle scarpe) ed il tendine finisce nella tiuberosità.

La mobilizzazione precoce è fondamentale per la buona riuscita dell’intervento, per evitare


l’instaurarsi di aderenze che nel gomito spesso possono portare a limitazioni della funzionalità
articolare. Si raccomanda al paziente di compiere solo movimenti liberi senza carico.
A 30 giorni il recupero è praticamente completo.

II° tipo: Reinserzione bicipitale tramite monoaccesso volare anteriore con ancora

Consiste in un’incisione a livello della piega del


si va ad isolare la tuberosità radiale
gomito con una leggera estensione a livello del
brachioradiale. Arto in massima supinazione

Si posiziona un’ancoretta, cioè una sorta di Coi fili si sutura il tendine alla tuberosità radiale.
arpione ancorato alla tuberosità, dal quale
escono dei fili

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III° tipo: Reinserzione bicipitale tramite monoaccesso volare anteriore con Endobutton 4

Il tendine viene isolato, agganciato, si fa una Si isola la tuberosità radiale e si procede allo
sutura a spina di pesce scasso

La si fora con un filo di Kirschner, un filo che fa da Si sutura l’endobutton al tendine. Si fresa la
guida per la fresa e trapassa l’osso tuberosità creando un alloggiamento corticale e
si fa passare l’endobutton, che flippa al di là
della corticale opposta e quando si tirano questi
due estremi del filo, fa una sorta di carrucola che
permette al tendine di finire dentro il tunnel
osseo.

Quindi il tendine ha due modi per ancorarsi: uno


Quando il tendine è inserito si inserisce anche
è l’endobutton che tira dall’altra parte ed il
una vite ad interferenza
secondo è la vite ad interferenza5.

4
Ho riportato tutta la descrizione dell’intervento da parte del professore, ma ritengo sia più semplice vedere direttamente
questo video (dura meno di due minuti) https://www.youtube.com/watch?v=n2Yut-0l2oU
5
Si chiama vite ad interferenza perché non è una vite che occupa tutto il foro, ma c’è un’interferenza tra la vite ed il foro,
perchè nel margine esterno della vite c’è il tendine

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B. COMPARTIMENTO POSTERIORE
Il tricipite è l’unico muscolo di questo
comparto ed ha funzione estensoria.
Presenta una sola inserzione a livello
dell’olecrano e tre origini: un capo si
inserisce nel margine posteriore dell’omero
(capo laterale), uno nella porzione
posteriore della parte bassa della linea
aspra posteriore della scapola (capo
lungo), l’altro nel margine posteroinferiore
della glena (capo mediale).
È innervato dal nervo radiale.

Se non funziona il bicipite il gomito non si


estende più.

Il principale problema del tricipite non è la


rottura, dal momento che è il muscolo più
grosso che abbiamo nel braccio e che ha
un’inserzione importante a livello
dell’olecrano. La patologia alla quale va
incontro è piuttosto la tendinopatia
inserzionale. La tendinite del tricipite
invece è una patologia poco comune che
solo raramente è stata menzionata in
letteratura.

Tendinopatia inserzionale
Nell’immagine RX in alto si vede olecrano, omero distale e la lacerazione di parte della porzione
distale del tricipite.
La tendinopatia inserzionale se non curata può portare in extremis ad una lesione completa del
tricipite, quindi un distacco, ma è molto raro. Più comunemente questa patologia è stata associata
alla presenza di impingement posteriore, corpi mobili o gomito classico del tennista.

Eziologia:
Le cause sono prevalentemente biomeccaniche, cioè difetti di
assialità come asimmetria, squilibri muscolari o gesti atletici non
fisiologici. In condizioni normali la forza vettoriale del muscolo
tricipite è quasi parallela alla forza vettoriale ortogonale alla
linea dell’articolazione passante per l’olecrano. Se il tendine non
lavora in maniera simmetrica, ad esempio per alterazione di
asse dell’omero distale, quindi la fibra più mediale lavora più
della laterale, ciò comporta un sovraccarico dovuto ad un asse
alterato. In condizioni normali la forza risultante del tricipite è in
asse con l’olecrano, ma se per qualche motivo (lesione
ligamentosa, lassità, instabilità, esito di un trauma ecc),
l’olecrano è leggermente ruotato e non lavora in asse, allora
l’effetto risultante dei vettori non è coincidente, quindi il tricipite
lavora male e va prima in tendinopatia poi si può distaccare.

In altre parole, lavorando male c’è un’asimmetria, come se


fosse una sorta di porta che apre e striscia sul pavimento, alla
lunga o si rovina la porta o si rovina il pavimento. In questo

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caso, la porta è l’olecrano ed il pavimento è la fossa olecranica


(evidenziata in rosso nell’immagine precedente). Gli sportivi che più
frequentemente vanno incontro a questo tipo di infortuni sono i giocatori di
baseball, il lanciatore del peso, giocatore di pallanuoto o tutte le attività
che comportino un impatto violento in iperestensione.
Oltre alla tendinopatia, questi impatti ripetuti con olecrano in
iperestensione provocano la formazione di osteofiti, che non si formano
lungo tutta la circonferenza olecranica, ma solo nella parte in cui il gomito
lavora in asse alterato e come un martello contro la paletta va a sbattere
in iperestensione.
All’inizio quindi si percepisce fastidio, poi dolore ed alla lunga osso che si oppone ad osso
determina una mancata estensione del gomito a causa dell’interposizione osteofitica. Nell’atleta
quindi questo vuol dire la perdita di qualche grado di estensione e riduzione delle performances.

Trattamento:
Nelle fasi iniziali in cui si ha una tendinite, si può adottare l’utilizzo di un tutore, un bendaggio od il
taping6, tenendo ferma l’articolazione per ridurre l’infiammazione.
Qui l’eventuale intervento chirurgico è quello di andare a pulire
Qualora non dia sollievo e/o la tendinopatia permanga si passa alla rimozione artroscopiaca, cioè
con una telecamera si entra dentro l’articolazione del gomito e si va a pulire queste aderenze
ossee per garantire la funzionalità. Questa tecnica infatti riduce in maniera importante la
sintomatologia dolorosa e migliora l’estensione.

Rottura del tendine distale del tricipite


Le lesioni a carico del tendine distale del
tricipite sono state descritte in letteratura
ma sono in assoluto le più rare di tutte le
patologie tendinee.
Il meccanismo di lesione è spesso un
trauma acuto, nel quale il tendine viene
avulso dall’inserzione olecranica.
Rotture a livello della giunzione
mio-tendinea sono state descritte ma sono
ancora pù rare

Secondo la clinica i pazienti descrivono una


situazione di dolore e debolezza in corso di attività che richiede estensione del gomito.
Spesso l’avulsione del tendine tricipitale o le rotture intratendinee sono il risultato di un evento
traumatico. Nella persona può essere presente edema, ecchimosi e soprattutto una depressione
cutanea subito prossimalmente all’olecrano (gap), percepibile alla palpazione a livello
dell’inserzione olecranica del tricipite. Se ci tocchiamo l’olecrano, passando il dito appena sopra si
sente durissimo il tendine tricipite. Nel paziente in cui si rompe il dito affonda dietro all’olecrano
perché non c’è più la tensione muscolare, il tendine si è staccato.

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Il taping non ha un razionale anatomico, ma neurologico, cioè sfrutta il contrasto tra la sensibilità dolorifica e quella
tattile, passanti entrambe per la via spino-talamica. In altre parole, mettendo un bendaggio di qualsiasi tipo su
un’articolazione si ha un immediato sollievo a causa del fatto che la via spino-talamica che porta la sensibilità dolorifica
dalla periferia a livello del cervello è la stessa della sensibilità tattile. Per questo se sbattiamo l’avambraccio contro il
muro, sentiamo dolore e con l’altra mano ci strofiniamo il punto dove abbiamo sbattuto abbiamo immediato sollievo,
perché c’è un conflitto tra la sensibilità dolorifica e la tattile nel percorso di arrivo al cervello. Passando dalla stesa
autostrada, c’è un ingorgo e questa competizione riduce lo stimolo del dolore che arriva dall’avambraccio fino a livello
centrale.

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Clinica:
Il meccanismo di lesione più comunemente descritto è una
caduta con il braccio in estensione nella quale il carico di
decelerazione è trasmesso attraverso il tricipite che è contratto,
per opporsi alla flessione del braccio.

All’esame obiettivo vi è spesso rigonfiamento, ecchimosi e


depressione prossimale all’olecrano (come visto prima).
L’estensione attiva contro-resistenza è tipicamente diminuita o
assente, dipendendo dalla rottura più o meno completa del
tendine.

Test: o si invita il paziente ad estendere il


gomito contro resistenza e si nota che
non ha forza in estensione o si esegue
una variante del test di Thompson, per
la rottura del tendine d’Achille, nel quale
il pz si mette prono col piede a
penzoloni fuori dal lettino e l’operatore afferra i muscoli gemelli schiacciandoli. Se il tendine
achilleo è attaccato, il piede va in flessione plantare, altrimenti non si muove. La stessa cosa
succede col gomito, con l’avambraccio che penzola, l’operatore va a fare squeezing,
schiacciando la massa muscolare. Se l’avambraccio non da’
nemmeno un minimo di estensione, il tricipite è rotto.

Rx: Nel sospetto del tendine rotto una lastra va fatta. Una radiografia
standard andrebbe sempre eseguita per valutare l’eventuale
presenza di un «Flake Sign» segno radiografico di avulsione
tricipitale e l’eventuale frattura del capitello radiale, spesso
associata. Aspetto tipo fiocco di neve di una piccola porzione di
branca ossea. Alla lastra si possono associare ECO e RM nei casi
più dubbi.

Trattamento
Se la lesione è parziale, con minima perdita di forza in
estensione del gomito, si può optare per un trattamento
conservativo, aggiungendo eventualmente splint a 30° di
estensione per 4 settimane.

Se la lesione è completa invece l’unico trattamento possibile è


chiaramente la chirurgia. È considerata un urgenza e prevede
il trattamento chirurgico entro 2 settimane dal trauma.
Nella prima immagine si vede il kocher che tiene il pezzo
d’osso staccato con tutto il tendine del tricipite e nella seconda
il bicipite riattaccato con reinserzione e cerchiaggio con fili di
Kirschner e fili di sutura
per migliorare la
tensione di questo
tendine.

Nel controllo post


operatorio il flake sign
non c’è più perché è al
suo posto riattaccato
con il tendine reinerito.

IL controllo a 30 giorni dall’intervento dimostra un recupero della flessoestensione.

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C. COMPARTIMENTO MEDIALE
Dall’epitroclea originano i flessopraonatori, quindi
tutti flessori di mano ed avambracioi

Epitrocleite (o epicondilite) mediale


Molto meno frequente dell’epitrocleite o epicondilite
laterale, è la tendinopatia inserzionale dei muscoli
flesso-pronatori (in particolare pronatore rotondo e
flessore radiale del carpo), che originano
dall’epitroclea omerale.
Una volta denominata “gomito del golfista”, ma è
un’addizione storica, visto che spesso questi pazienti
col golf non hanno nulla a che vedere.

Sintomi:
è caratterizzata dalla presenza di dolore sul versante mediale del gomito con irradiazione distale
alla faccia volare dell’avambraccio.
La palpazione dell’epitroclea evoca dolore, così come i movimenti in pronazione dell’avambraccio
e flessione del polso contro resistenza.

Eziologia:
● Traumatica: meno frequente, spesso dovuto a trauma diretto su epitroclea
● Costituzionale, cioè predisposizione a soffrire di questa patologia oppure multiple
tendinosi, spalle, ep. laterale, s. tunnel carpale, ecc

Clinica:
Il tratto comune a questi pazienti è che tutti riferiscono di “aver utilizzato parecchioo il gomito”,
quindi l’iperutilizzo è il fattore primario, a seguito ad esempio di:
● contrazione muscolare attiva
● aumentata attività dei flessori del polso
● pronazione ripetitiva
● insufficienza LCM

Qui vediamo ancora una volta il giocatore di baseball, il cui gomito oltre alla tendinopatia
inserzionale può incorrere in un’epicondilite mediale. Una contrattura in pronazione violenta per
lanciare un oggetto, ripetuta nel tempo più volte può portare ad una tendinopatia.

Diagnosi differenziale:
● instabilità̀ mediale del gomito, per insufficienza del legamento collaterale ulnare; in
anamnesi è utile ricercare eventi traumatici con sollecitazioni in valgo del gomito o
condizioni di sovraccarico negli atleti lanciatori;
● sofferenza (neuroaprassia) del nervo ulnare al gomito: un nervo ulnare che fa male,
collocato nella porzione posteriore vicino all’origine dei flesso pronatori può fare parestesie
dolorose intermittenti possono irradiarsi al margine ulnare della mano, soprattutto in
concomitanza di attività pesanti con l’arto superiore;
● patologie intrarticolari: sinoviti, artropatie infiammatorio degenerative in fase iniziale

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Diagnosi:
Si possono eseguire vari test per evocare dolore, rappresentati nella slide sottostante

Trattamento:
Trattamento conservativo, indicazioni:
● Riposo, modifica delle attività lavorative e sportive
● Modifica dell’attrezzatura
● FANS
● Terapia fisica : ultrasuoni, ionoforesi. Ma hanno effetto solo a breve termine
● Immobilizzazione non efficace: anche se lo si tiene fermo 7/15 gg poi si riprende l’attività,
il dolore ricomincia
● Infiltrazioni con steroide e anest. locale: se ben utilizzato fa molto bene. Bisogna iniettarlo
non a livello muscolare ma a livello dell’interfaccia osteo-tendinea arrivando con l’ago a
livello dell’origine dei flessopronatori, altrimenti viene inserito un ago dentro ad un
muscolo che non serve assolutamente a nulla. Se a 6 settimane c’è un migliroamento
bene, altrimenti dopo 6 mesi si passa al trattamento chirurgico
● Tutore per limitare la contrazione muscolare massimale e ridurre le forze applicate
all’inserzione

Trattamento chirurgico, indicazioni:


● Durata dei sintomi > 1 anno
● Presenza di calcificazioni locali (cronicizzazione)
● Infiltrazioni multiple
● Dolore a riposo
L’atto chirurgico comincia con un’incisione mediale al gomito fino ad arrivare al ventaglio dei
flessopronatori. Si incide e si arriva fino all’osso e si trova la degenerazione tissutale dell’origine
osteotendinea del muscolo.
A volte si associa anche il release dei flessopronatori ed a volte la neurolisi del nervo ulnare.

Quando sono associati segni clinici e/o strumentali di neuropatia del nervo ulnare e’ indispensabile
eseguire la trasposizione anteriore del n. ulnare (neurolisi) altrimenti si rischia di non risolvrre
completamente il problema.

I risultati con questa tecnica sono buoni, ma in generale la pulizia dei flessopronatori dà importante
sollievo a questi pazienti al di là del tipo di tecnica che si utilizza.

D. COMPARTIMENTO LATERALE

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Nel compartimento laterale decorrono i muscoli


epicondiloidei:

1. Estensore radiale breve del carpo (ERBC)


2. Supinatore
3. Estensore comune delle dita (ECD)

EPICONDILITE LATERALE

Introduzione

L’epicondilite del compartimento laterale è definita anche “gomito del tennista” (elevata incidenza
in questo sport) ed è la più frequente e diffusa tendinopatia del gomito. Si tratta di una tendinopatia
dell’inserzione prossimale dei muscoli epicondiloidei (così denominati per l’origine dell’epicondilo
omerale) che coinvolge:

I. in primo luogo, l’estensore radiale breve del carpo (ERBC);


II. meno frequentemente l’estensore comune delle dita (ECD) e l’estensore radiale lungo del
carpo (ERLC);
III. ancora più raramente l’estensore ulnare del carpo. 


Questa epicondilite, associata al tennis solo nel 5% dei casi, può insorgere anche praticando tanti
altri sport come il baseball, il nuoto, il lancio, il golf; o ancora svolgendo diverse attività lavorative
(carpentieri, macellai, tastieristi, idraulici, etc.)

Cosa causa il dolore laterale del gomito?
L’epicondilite laterale è direttamente correlata con le
attività che aumentano la tensione degli estensori del polso e delle dita in associazione alla
supinazione. Nel 1999 Nirschl la definisce come “un alterato o insufficiente processo di guarigione
dopo trauma acuto o microtraumi ripetuti da iperutilizzo”.

Test per l’esame del gomito

Palpazione dell’epicondilo laterale (in prossimità del capitello radiale) in


fase di estensione del polso contro resistenza. Tale manovra di
iperestensione contro resistenza genera dolore a livello dell’origine
laterale degli epicondiloidei (origine degli estensori).


Fisiopatologia

Si parla di tendinosi angio-fibroblastica (non ci sono cellule infiammatorie) riconducibile alla


presenza di collagene immaturo a livello dell’origine del muscolo sull’osso, con elementi vascolari
non finalizzati e necrosi avascolare.

Aree patologiche

o ERBC nel 100% dei casi;


o ECD nel 35% dei casi;
o intra-articolari 5% dei casi;
o NIP (nervo interosseo posteriore, un ramo del
nervo radiale) 10% dei casi (con sintomatologia
simile all’epicondilite).

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Trattamento conservativo

o Agopuntura;
o Onde d’urto;
o Ultrasuoni;
o Laser a bassa energia;
o Elettroterapia;
o Ionoforesi;
o Infiltrazioni:

Le infiltrazioni possono essere eseguite o solo con anestetico locale, o con una combinazione di
anestetico locale e steroide (non si osservano differenze a 6 mesi); è necessario infiltrare a livello
dell’epicondilo laterale, direttamente nell’inserzione dell’ERBC. Se si esagera con le infiltrazioni al
cortisone si può causare lipodistrofia sottocutanea (la pelle
presenterà degli affossamenti per la
presenza di insufficiente tessuto adiposo sottocutaneo).

o Prevenzione: 


Si raccomanda al paziente tennista il cambio della racchetta (discorso analogo per altri sport) oltre
che il miglioramento della tecnica, l’utilizzo di un grip appropriato ed un efficace riscaldamento. I
risultati del trattamento conservativo sono validi nel 90% dei casi, con qualunque metodo tra quelli
elencati, prevenzione inclusa.

Trattamento chirurgico

Dividendo idealmente la porzione laterale


dell’epicondilo (capitulum) in 4 parti
possiamo meglio identificare il quadrante
in cui si inserisce - direttamente sull’osso
e più profondamente - l’ECRB (estensor
carpis radialis brevis). Addentrandosi
ulteriormente nell’articolazione possiamo
vedere in successione - spostandoci dal
versate mediale a quello laterale - la
coronoide, il capitello radiale e l’origine
omerale dell’ECRB ovvero la prima
porzione che sarà disinserita nell’intervento di epicondilite. Il gruppo degli estensori comprende
l’ERBC, l’ECD ed altri muscoli, tutti deputati all’estensione del gomito (gruppo anatomicamente
eterogeneo ma composto da muscoli che svolgono la medesima funzione, ovvero l’estensione); in
caso di epicondilite laterale l’intervento consiste per l’appunto nella disinserzione dell’ERBC
(muscolo di ridotte dimensioni e forza, unico
del gruppo degli estensori sempre interessato
dalla patologia e pertanto sicuramente non
funzionale) per rendere l’estensione più
rapida e senza dolore. I risultati sono
buoni/eccellenti nel 85-97% dei casi.


A differenza dell’intervento di epicondilite


mediale, in cui i flesso-pronatori venivano
distaccati, allontanati, e reinseriti più
distalmente, in questo caso è esclusivamente
necessario staccare dalla sua inserzione
l’ERBC, la cui funzione verrà compensata
dagli altri muscoli estensori (ECD, estensore
proprio del pollice, etc.): funzionalmente non

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vi sarà alcuna differenza ed il paziente


non avvertirà più alcun dolore. È proprio
il dolore generato a livello dell’ERBC a
non permettere al paziente di utilizzare
appieno tutti gli altri estensori del
gruppo; questo può essere verificato
tramite il test della lidocaina (iniezione di
anestetico sull’ERBC 🡪 il paziente riesce
ad effettuare normalmente l’estensione
perché il dolore è annullato).

[Il Professore, per spiegare meglio


l’intervento, propone l’esempio di una
carrozza trainata da 4 cavalli, di cui 3
sono buoni, mentre uno è un ronzino. Proprio quest’ultimo inizia a rallentare l’andamento della
carrozza; analogamente, la stessa cosa accade con gli estensori del gomito: l’ERBC, essendo il
muscolo più piccolo e anche il più interessato dalla patologia (è interessato nel 100% dei casi), è il
primo ad andare in sofferenza. Quando questa diventa cronica, i nocicettori iniziano a trasmettere
segnali dolorifici per limitare il movimento. Quindi, nell’intervento, è come se staccassi il ronzino
dalla carrozza e proseguissi la corsa con 3 cavalli, che continuano a trainare la carrozza senza più
rallentamenti.]

Eventuali complicanze: possibile lesione iatrogena del LCL (legamento collaterale laterale) 🡪
instabilità del gomito.

PROTESI DI GOMITO
Introduzione

L’intervento di protesi di gomito è diventato negli ultimi anni un valido trattamento per le fratture
distali di omero
in pazienti anziani. Era inizialmente indicato per le artriti di gomito (anni 2000);
negli ultimi anni le indicazioni alla protesi
includono fratture complesse dell’omero
distale nelle quali una sintesi sia resa
particolarmente indaginosa o di difficile
esecuzione.

La TC con ricostruzioni 3D è ormai


riconosciuta come estremamente utile nel
comprendere meglio il tipo di frattura e il
planning preoperatorio.

[Immagine RX di paziente con sospetta


frattura del capitulum e della troclea 🡪 richiedo TC).

In caso di frattura, la fissazione interna è il trattamento di scelta (quando possibile). Il tipo di


fissazione interna dipende da:

1. tipo di frattura;
2. qualità dell’osso;
3. tecnica chirurgica utilizzata;
4. esperienza del chirurgo (l’intervento di protesi è complicato e richiede esperienza).

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Il target per la protesi è il paziente in età avanzata (> 65 anni) o comunque il
paziente in cui la
severità della frattura non permette una riduzione dei frammenti con adeguata sintesi.

Fratture articolari dell’omero distale 🡪 Artroprotesi o Sintesi?

[Flow chart della AAOS (American Academy of Orthopaedic


Surgeons) - 2013]

[TEA: Total Elbow Arthroplasty (impianto di protesi completa)]

Vantaggi protesi:

- non necessita di guarigione ossea (no tempi di sintesi);


- rapido ritorno alle attività quotidiane (protesi cementata);
- evita le pseudoartrosi (mancata consolidazione ossea a
6 mesi dal trauma) e la patologie articolari degenerative;
- riduzione del tempo chirurgico (effettuare una valida sintesi su una frattura complessa può
richiedere molto più tempo rispetto all’installazione di una protesi).

Svantaggi protesi:

- fallimento meccanico (distacco e mobilizzazione della componente cementata);


- restrizioni nella vita quotidiana (la protesi è una leva svantaggiosa, il paziente potrà
sollevare fino a circa 3 Kg con il braccio protesizzato).

L’intervento di artroplastica al gomito è accompagnato da una riduzione sostanziale del tempo


operatorio, migliore punteggio in termini di Mayo elbow score, migliore punteggio anche come
DASH score. Uno studio comparativo in donne di età > 65 anni composto di due gruppi di fratture
di gomito trattate con osteosintesi interna l’uno e artroplastica di gomito l’altro, ha dimostrato la

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migliore mobilità nel gruppo trattato con protesi e risultati migliori in termini di soddisfazione del
paziente.

Indicazioni:

o fratture la cui sintesi non può essere ottenuta;


o pazienti anziani (>65 anni) che presentano una preesistente patologia sintomatica (artrite
reumatoide, patologia articolare, etc.);
o fratture non particolarmente comminute ma con importante osteopenia e grave danno alla
componente articolare;
o pazienti sedentari. 


Controindicazioni:

o sospette infezioni (ad esempio per fratture esposte con ferita sporca);
o lesioni cutanee;
o fratture facilmente sintetizzabili con fissazione interna;
o fratture esposte;
o pazienti che richiedono alte prestazioni funzionali;
o pazienti poco collaborativi (es. demenza senile). 


Casi clinici

1) Donna di 77 anni con frattura della paletta omerale tipo C2 della classificazione AO7. Vista l’età
avanzata della paziente la sintesi è fortemente sconsigliata a favore dell’impianto protesico
completo.

2) Uomo di 78 anni che, in seguito ad un


incidente in bicicletta, presenta frattura tipo C3
della classificazione AO con tentativo di
immobilizzazione in apparecchio gessato. Vista
l’età del paziente e la complessità della frattura
la sintesi è da escludere a favore dell’impianto
protesico completo.

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Classificazione delle fratture toraco-lombari in tipo A (da compressione), tipo B (flessione-distrazione), tipo
C (tipo B + componente rotazionale. Il numero sta ad indicare il segmento osseo interessato (es. 1 per
l’omero, 2 per radio e ulna, 3 per il femore e la rotula, etc.)

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Già il giorno seguente all’intervento il paziente è in


grado di mobilizzare il gomito (ad esempio per
leggere il giornale).

[Attenzione all’emiartroplastica su frattura:


l’impianto è indicato solo se le colonne sono
preservate! L’endoprotesi - se non si presta
particolare attenzione alla ricostruzione dei collaterali mediali e laterali - può andare facilmente
incontro a lussazione.]

[Attenzione alle protesi su frattura negli anziani: i pazienti anziani tendono ad usare il braccio
protesizzato in maniera sconsiderata. Per la riuscita dell’intervento è infatti fondamentale la
compliance del paziente. L’utilizzo inappropriato della protesi può portare al riassorbimento ed alla
mobilizzazione fino alla frattura dell’osso su cui è impiantata la protesi.]

Conclusioni

Il trattamento chirurgico della frattura dell’omero distale è legato ad un significativo numero di


complicanze che dipendono però più dal tipo di frattura trattata che non dal tipo
di sintesi
utilizzata.In uno studio multicentrico retrospettivo in cui le artroplastiche di gomito venivano
confrontate con le osteosintesi interne, ad un follow up di 2 anni, l’outcome migliore era a carico
della sostituzione protesica.

Sebbene non vi siano grosse differenze cliniche in termini di outcome tra pazienti sottoposti a TEA
(artroplastica completa del gomito) e quelli sottoposti a ORIF (fissazione interna a riduzione
aperta), si riscontrano differenze a carico delle complicanze: queste sono comuni ad entrambi i
trattamenti, però, nonostante le complicanze in assoluto sembrino più frequenti nei pazienti
sottoposti a protesi di gomito, quelle maggiori sono a carico dei pazienti sottoposti a sintesi aperta.

In pazienti anziani con frattura articolare dell’omero distale la sostituzione protesica del gomito può
essere in determinate circostanze la migliore scelta chirurgica.

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L’incidenza di infezioni protesiche rilevate nelle casistiche raccolte negli anni 80’-90’ riguarda le
protesi impiantate su pazienti reumatologici (più del 50% di questi pazienti erano immuno-depressi
per la terapia cortisonica).

Le complicazioni tardive di una protesica di gomito


includono l’insufficienza tricipitale e il loosening
tardivo degli steli.

PROTESI DI CAPITELLO RADIALE


Introduzione

Le fratture del capitello radiale sono circa il 3% di


tutte
le fratture e rappresentano la stragrande
maggioranza delle fratture di gomito negli adulti.
Queste fratture derivano da un meccanismo di
caduta con il braccio in estensione e l’avambraccio
in pronazione, portando ad un pattern di fratture che
vanno dalla frattura semplice di capitello radiale
all’instabilità complessa di gomito (il capitello radiale
si frattura indirettamente in seguito ad un
trasferimenti di carico che parte dal palmo della
meno e arriva fino alla spalla).

Il trattamento chirurgico delle fratture di capitello radiale associate a instabilità prevede o l’ORIF,
quindi riduzione aperta e sintesi con viti o pins (fili guida), o l’RHA, quindi la protesi di capitello
radiale.

Stabilizzatori del gomito

La stabilità del gomito dipende dall’integrità di entrambe le superfici ossee e dalla tenuta dei tessuti
molli adiacenti in egual misura.

Stabilizzatori primari:

o articolazione ulno-omerale;
o banda anteriore del LCM (legamento collaterale mediale);
o porzione ulnare dell’LCL (legamento collaterale laterale).

Stabilizzatori secondari:

o capitello radiale;
o capsula;
o muscoli (flessori, estensori).

Stabilizzatori ossei:

o processo coronoideo (si oppone alla traslazione posteriore; la faccetta mediale si oppone al
varo stress);
o olecrano (blocca la traslazione anteriore dell’ulna);
o capitello radiale (stabilizzatore secondario al valgo stress).

Biomeccanica del capitello radiale

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Il capitello radiale, e la sua funzionalità, sono molto importanti nel trasferimento del carico
dall’avambraccio all’omero: il 60% del carico passa a livello del capitello radiale ed il restante 40%
passa a livello dell’ulna.

Inoltre, il capitello radiale è:

- stabilizzatore secondario per il carico in valgo (carico con gomito in estensione e


l’avambraccio che va verso l’esterno, quindi il capitello si oppone al valgo), il primario è
LCM;
- diventa stabilizzatore primario
(essenziale) in caso di rottura
del LCM;
- stabilizzatore secondario
all’instabilità rotatoria
posterolaterale (l’avambraccio
ruota posteriormente ed il
capitello si ritrova dietro al
capitulum), il primario è il LCL;
- stabilizzatore assiale insieme alla membrana interossea e la coronoide.

Classificazione di Mason

Mason descrisse, all’interno di uno studio di 100 pazienti, 3


tipi di fratture del capitello radiale:

I. tipo 1: frattura è composta;


II. tipo 2: leggera scomposizione sopra i 2mm;
III. tipo 3: frattura particolarmente complessa;
IV. tipo 4: lussazione del gomito associata a qualunque
tipo di frattura (tipo aggiunto successivamente).

Lussazione postero-laterale del gomito: il capitello radiale lussato scivola posteriormente, senza
articolarsi a livello del capitulum; il capitello radiale è lussato perché il LCL si è rotto nella sua
componente omerale. Ciò permette al capitello radiale di scivolare dietro al capitulum e il gomito
diventa instabile. In questo caso si può effettuare un intervento di protesi di capitello radiale.

Lesione di Essex-Lopresti

Tale lesione è una frattura della capitello radiale


con dislocazione concomitante dell’articolazione radioulnare distale con rottura della membrana
interossea. La lesione prende il nome di Peter Essex-Lopresti che la descrisse per primo nel 1951.

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La frattura del capitello radiale è tale da causare lo scivolamento del radio, che risale
prossimalmente rispetto all’ulna con conseguente lussazione dell’articolazione radioulnare distale
e lesione della membrana interossea. Anche in questo caso l’intervento di protesi di capitello
radiale è indicato poiché ci permette di ripristinare la dismetria che si è creata tra ulna e radio.

Complicanze

- ossificazioni eterotopiche: le più importanti si sono presentate soprattutto in pazienti in cui,


per ottenere un press-fit migliore, è stata provocata una frattura intra-operatoria del colletto
radiale. Si ritiene che
un’eccessiva dimensione
dello
stelo protesico sia da evitare per
non incorrere in probabili
ossificazioni eterotopiche; al
contempo una dimensione troppo
ridotta dello stelo può portare ad
una mobilizzazione dell’impianto
o ad una protesi dolorosa. La
terapia con Etoricoxib - assunto
per 3 settimane dall’intervento -
ha notevolmente abbassato
l’insorgenza di ossificazioni
eterotopiche.
- loosening dello stelo;
- stress shielding dello stelo: lo
stress shielding al livello del
colletto protesico non è considerata una complicanza; è comune per le protesi non
cementate ed è un quadro radiografico che si stabilizza dopo 4-5 mesi dall’impianto.

Conclusioni

Studi in letteratura su fratture tipo Mason III trattate con ORIF e sostituzione protesica, hanno
evidenziato un più alto tasso di complicanze a carico del gruppo trattato con sintesi rispetto al
gruppo trattato con protesi (58% vs 13.9%).

Nella casistica del Reparto di Ortopedia del Policlinico di Modena le ossificazioni eterotopiche
hanno rappresentato il 26% dei casi.

E’ ormai dimostrato come una chirurgia tardiva o una immobilizzazione prolungata del gomito
rappresentino un fattore di rischio per lo sviluppo di HO (ossificazioni eterotopiche).

La presenza di complicanze postoperatorie, come le HO e le osteolisi periprotesiche, influenzano


negativamente il MEPS (Mayo Elbow Performance Score) anche se non vi sono differenze
significative in termini di ROM (Range of Motion).

Si ritene che la protesi anatomica permetta un buon recupero funzionale soprattutto nei casi di
instabilità severa associata a lesione dell’LUCL e frattura della coronoide.

La protesi di capitello garantisce la giusta lunghezza del radio e, vicariando l’assenza di un apice
coronoideo, permette di recuperare una corretta stabilità del gomito.

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