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PATOLOGIA DOLOROSA DELLA SPALLA

La spalla è l’articolazione prossimale dell’arto superiore con il torace. Presenta un’altissima mobilità, infatti
consente alla mano e al braccio di muoversi nei tre piani dello spazio. Quindi, la sua funzionalità è
importante perché ci consente di articolare la mano nello spazio, quindi di fare qualsiasi cosa attraverso
l’articolazione della spalla.

Movimenti principali

I movimenti principali sono:

• Abduzione: allontanamento della mano dal piano del corpo. Si può fare fino a 90°, poi, se si vuole
andare oltre, senza rotazione esterna non si riesce ad abdurre. Quindi, per alcuni movimenti è
necessario un movimento combinato della spalla.
• Adduzione: movimento opposto rispetto all’abduzione, ovvero avvicinamento della mano al piano
del corpo.
• Anteposizione e retroposizione della spalla
• Movimenti di rotazione: rotazione esterna e rotazione interna (che continua posteriormente)

L’insieme di questi movimenti ci consente di compiere tutti i movimenti del braccio, quindi se uno di questi
movimenti è limitato o non funziona, non si riescono a fare alcuni movimenti nel piano dello spazio.
Se un paziente non ha l’abduzione, non riesce a pettinarsi i capelli.
Se un paziente non ha intrarotazione, soprattutto se donna, non arriva ad allacciarsi e slacciarsi il reggiseno.
Quindi, sono dei movimenti che servono ad articolare la mano nei piani dello spazio.
Quando i pazienti si presentano a visita hanno o dolore o limitazione funzionale o entrambi --> sono questi i
due aspetti che si devono valutare.

Complesso articolare della spalla

La spalla è costituita da cinque articolazioni che insieme formano il complesso articolare della spalla1:

→ Tre articolazioni “vere” propriamente dette: hanno le caratteristiche di un’articolazione normale,


con rivestimento cartilagineo, capsula articolare e legamenti che la mantengono in sede.

• Gleno-omerale (1): è l’articolazione principale della spalla, quella a cui si fa riferimento


quando si parla di spalla in generale.
• Acromion-claveare (4): articolazione tra estremo laterale della clavicola e processo
acromiale della scapola, facilmente palpabile. È un’articolazione che non ha una grossa
motilità, è abbastanza fissa, ma concorre all’abduzione della spalla perché consente
l’elevazione della clavicola. Quando c’è un trauma si può lussare o sublussare, è tipico dei
ciclisti o dei motociclisti: i ciclisti, avendo i piedi attaccati ai pedali, quando cascano,
cascano di spalle e spesso si sublussano o lussano l’acromion-claveare. Bisogna ricordarsi di
andare a premerla quando c’è una situazione del genere in pronto soccorso.
• Sterno-claveare (5): tra l’estremo mediale della clavicola e lo sterno. Questa può essere
sede di fenomeni infiammatori, soprattutto durante le malattie reumatiche.

→ Due articolazioni funzionali: non hanno le caratteristiche anatomiche tipiche di un’articolazione,


sono articolazioni di scorrimento.

• Scapolo-toracica (3): tra faccia anteriore della scapola e gabbia toracica; consente i
movimenti di scivolamento della scapola durante il movimento dell’arto superiore.
• Sotto-acromiale (2): tra testa dell’omero, cuffia dei rotatori, borsa e volta acromiale.

Ora queste cinque articolazioni verranno descritte in dettaglio perché alcune di queste sono responsabili di
alcune patologie della spalla.

1
Il numero tra parentesi si riferisce all’immagine sopra.
1. ARTICOLAZIONE GLENO-OMERALE

L’articolazione gleno-omerale è composta dalla testa omerale che ha la forma di 1/3 di sfera di 30 mm e un
angolo di inclinazione e declinazione (come l’anca). È orientata in dentro e leggermente posteriormente, e
ha un’inclinazione rispetto alla diafisi di circa 135°.

Oltre alla testa omerale, l’articolazione è composta dalla glenoide o cavità glenoidea, che ha la forma di
una pera con la parte più larga in basso. Situata sull’angolo supero-esterno del corpo della scapola, è
orientata in fuori, in avanti e leggermente in alto. Per consentire l’articolarità del braccio nei tre piani dello
spazio è meno contenitiva rispetto all’acetabolo: mentre l’acetabolo è molto più scavato/concavo, la
glenoide è quasi piatta. Infatti, non copre tutta l’estensione della testa omerale e in questo modo consente
una grossa mobilità. Intorno alla glenoide c’è il cercine glenoideo, una specie di bordo/menisco che serve
ad aumentarne la congruenza. Mentre la testa dell’omero è orientata leggermente indietro, la cavità
glenoidea è orientata leggermente in avanti. La cavità glenoidea è, quindi, leggermente antiversa, mentre la
testa dell’omero è leggermente retroversa: in questo modo riescono ad avere un rapporto reciproco. Questo
è importante perché, come nell’anca, la versione relativa tra pallina e coppa le fa stare insieme: se una
guardasse da una parte e una dall’altra, non potrebbero articolarsi tra loro.

Da ricordare l’immagine sotto perché la spalla è davvero così: “è come una foca che tiene sul naso una
palla”, cioè ha sicuramente tanta mobilità, ma altrettanta instabilità. La spalla non è un’articolazione tutta
congruente. Il gomito, invece, è un’articolazione estremamente congruente. Infatti, per lussare un gomito
serve un trauma ad alta energia, in quanto c’è un incastro che lo mantiene fisso. Anche la caviglia è
un’articolazione ad alta congruenza e lo stesso l’anca. A differenza di queste articolazioni, dunque, la spalla
non ha una grande congruenza: i capi articolari ci sono, ma non offrono grande stabilità.
Quindi, la spalla è un compromesso tra stabilità e articolarità
(movimento): se manca la stabilità, la spalla arriva a lussarsi, mentre se
la spalla diventa troppo stabile o rigida per la presenza di fenomeni
cicatriziali, alla fine non si muove più.
La stabilità della spalla dipende (a caratteri generali vale anche per le
altre articolazioni, ma in particolare per la spalla) da due fattori:

• Stabilizzatori passivi: conformazione ossea (geometria dei capi


articolari), quindi i rapporti reciproci tra testa dell’omero e cavità
glenoidea, cercine (aumenta la congruenza, quindi la stabilità),
legamenti (danno stabilità) e capsula articolare. Tutte queste
sono strutture passive che aumentano la congruenza e si
tendono a seconda del movimento che viene effettuato
limitando l’escursione dell’articolazione. Non abbiamo un
controllo attivo su questi elementi.
• Stabilizzatori attivi: i muscoli (nello specifico della cuffia dei rotatori e periscapolari) in tutte le
articolazioni sono stabilizzatori attivi perché la contrazione muscolare aumenta la congruenza, crea
pressione sull’articolazione e la stabilizza. Questo lo si può osservare anche nella colonna
vertebrale, che la si può immaginare come una serie di gradini messi l’uno sull’altro. Questi hanno
degli stabilizzatori passivi, ossia i legamenti (longitudinale anteriore e longitudinale posteriore), ma
i veri tiranti della schiena sono i muscoli. È come l’albero di una nave, in cui ci sono le vele a cui sono
attaccate le corde che le tengono in tensione. Quindi, quando un paziente ha dolore e sta fermo,
perdendo massa muscolare, perde anche stabilità. Per ritrovare stabilità, infatti, si deve ripristinare
la massa muscolare. Questo è il motivo per cui se ad una schiena si mette un busto per 8 mesi,
dopo non lo si può togliere immediatamente: il paziente deve togliere il busto e
contemporaneamente fare rinforzo e recupero muscolare, altrimenti avrà un’instabilità.

Stabilizzatori passivi

→ Cercine glenoideo: il cercine glenoideo è molto simile al menisco nel ginocchio, è una specie di
guarnizione che circonda la cavità glenoidea (applicata al bordo glenoideo), ne aumenta
leggermente la concavità incrementando la congruenza articolare e consentendo un effetto
ventosa.
→ Legamenti gleno-omerali (superiore, medio e inferiore):
rinforzano complessivamente l’articolazione gleno-omerale.
Si tratta di fasci fibrosi che vanno a rinforzare la capsula
davanti, dove è più debole. Sono dei tiranti, per cui se la
spalla tende ad extraruotare o ad abdursi troppo, creano un
limite
all’escursione
articolare non
permettendo all’articolazione di andare oltre quel
movimento in quanto, oltre quel movimento, si
verrebbe a creare una situazione di instabilità. I
legamenti gleno-omerali medio ed inferiore si tendono
all’abduzione e alla retroposizione della spalla perché sono davanti. Nella rotazione esterna
dell’omero, invece, tutti e tre i fasci sono messi in tensione. Quando si ha una lussazione
(articolazione che perde la congruenza in maniera stabile e permanente), si rompe tutto, compresi i
mezzi di contenzione, per cui, se non gli si dà il tempo di riparare, tenendo l’articolazione ferma per
un tempo sufficiente, loro non guariscono e l’articolazione lussata (in questo caso spalla) diventa
instabile.
→ Legamento coraco-omerale: rappresenta il legamento sospensore perché
connette la coracoide all’omero e quindi sospende l’omero. Ne limita la
sublussazione inferiore, dunque si oppone al peso dell’arto. Se non ci
fossero i legamenti, l’omero cadrebbe in basso, quindi sublusserebbe
inferiormente: sono i legamenti che lo tengono su!
→ Legamento coraco-acromiale: costituisce la volta che contribuisce
all’articolazione sotto-acromiale, quell’articolazione funzionale dove la testa
dell’omero scorre.

Stabilizzatori attivi
I muscoli periarticolari e in particolare i muscoli della
cuffia dei rotatori agiscono da stabilizzatori attivi perché,
mettendo in compressione le superfici articolari, ne
aumentano il contatto. Sovraspinoso, sottospinoso,
piccolo rotondo e, sulla faccia anteriore della scapola,
sottoscapolare hanno tutti la stessa azione sulla testa
dell’omero, ossia con la loro contrazione comprimono la
testa dell’omero contro la glena, conferendogli stabilità.

→ Componente del complesso articolare della


spalla, in quanto ne aumenta la stabilità, è il
tendine del capo lungo del bicipite: il capo breve
si inserisce sulla coracoide, mentre il capo lungo
è intra-articolare, ossia passa attraverso
l’intervallo dei rotatori (uno spazio all’interno
della cuffia) e si inserisce al di sopra della glena.
Essendo intra-articolare, ossia passando
all’interno della cuffia dei rotatori, ogni volta che
c’è un’infiammazione della cuffia, si infiamma. Il
capo breve, quando si contrae, compatta
l’omero verso la coracoide, quindi lo tira su e lo stabilizza, mentre il capo
lungo evita che il braccio cada in basso. Da slides: quando il bicipite si
contrae per sollevare un oggetto, il capo corto solleva l’omero
prendendo appoggio sul processo coracoideo e impedisce la lussazione
della testa omerale verso il basso; simultaneamente il capo lungo spinge
la testa verso la glena. Entrambi, quindi, agiscono per aumentare la
stabilità a livello dell’articolazione. Il bicipite è un flessore e, siccome si inserisce sulla tuberosità
bicipitale del radio, è il più importante supinatore del braccio.
→ Deltoide: principale motore dell’abduzione fino a 90°; dopo entrano in gioco altri muscoli, in
particolare il sopraspinato. Il deltoide è innervato dal ramo circonflesso del nervo ascellare: è
importante ricordarlo in caso di lussazione in quanto tale nervo si può rompere. Come conseguenza
della lesione del nervo, il paziente perde sensibilità
a livello della regione deltoidea. La presenza o
meno della sensibilità va valutata prima della
riduzione, non dopo aver ridotto la lussazione
perché altrimenti è difficile dire se fosse o meno
presente prima della manovra.

→ Cuffia dei rotatori:

• Sopraspinato: origina dalla faccia posteriore della scapola, dalla


fossa sopraspinata, e si inserisce sul tubercolo maggiore
dell’omero (faccetta superiore). Il muscolo si porta dall’alto verso
il basso e da posteriore si fa leggermente anteriore, quindi la sua
contrazione determina un movimento di abduzione (tira su la
testa dell’omero) e di extrarotazione (perché da posteriore si
porta davanti; se il muscolo si tende, il braccio verrà portato
indietro). Basta ricordarsi dove sono i muscoli per capire il
movimento.
• Sottospinato: origina dalla faccia posteriore della scapola (fossa
sottospinata) e si inserisce sul tubercolo maggiore (faccetta
media). È un muscolo orizzontale che dal dietro si porta in avanti,
pertanto la sua contrazione determinerà extrarotazione.
• Piccolo rotondo: situato al di sotto del sottospinato, origina dalla
faccia posteriore della scapola e si inserisce sul tubercolo
maggiore (faccetta inferiore). Va dal basso verso l’alto e da
posteriore ad anteriore, quindi determina extrarotazione e
adduzione (porta giù la testa dell’omero).
• Sottoscapolare: muscolo anteriore, origina dalla faccia anteriore
della scapola (fossa sottoscapolare) e si inserisce sul tubercolo
minore dell’omero. Permette i movimenti di intrarotazione e
adduzione.

Tutti insieme (un muscolo anteriore, tutti gli altri posteriori) formano un cappuccio sulla testa
dell’omero, costituito dall’unione dei quattro tendini. Questo cappuccio costituisce la cuffia dei
rotatori. Non c’è una soluzione di continuo anatomica tra tutti i tendini: semplicemente agiscono
come una cuffia che riveste la testa dell’omero e lascia passare solo il capo lungo del bicipite.
Quindi, le funzioni della cuffia dei rotatori sono:

1. Partecipare attivamente nei movimenti della spalla su tutti i piani (abbiamo visto in che
modo riescono a muovere la testa dell’omero e di conseguenza il braccio).
2. Comprimere la testa omerale sulla cavità glenoidea, quindi aumentare la stabilità.
3. Costituire un meccanismo di bilanciamento articolare: siccome i muscoli della cuffia dei
rotatori hanno un bilancio a livello della spalla, se uno di questi si sbilancia nella sua azione,
ossia se uno si contrae troppo e un altro si indebolisce, automaticamente la spalla perde il
proprio bilancio. È importante, quindi, che tutti i muscoli periarticolari funzionino perché
sono un po’ come le briglie di un cavallo: uno tira da una parte e uno dall’altra, però si
bilanciano e mantengono la testa centrata. Senza questo bilanciamento, la testa
traslerebbe nelle diverse direzioni (in basso, in alto, anteriormente e posteriormente) e la
testa dell’omero normalmente non è dotata di un movimento di traslazione!

Compressione a livello dell’articolazione


Quindi, il cercine e i muscoli periarticolari, in particolare i muscoli della
cuffia e il bicipite, creano una compressione in corrispondenza
dell’articolazione della spalla, per cui a livello intra-articolare si crea una
pressione negativa che mantiene la testa dell’omero “appiccicata” alla
glena. Se questa pressione negativa viene persa (per una lesione del
cercine o altro), si crea una minor stabilità. Dunque, la stabilità gleno-
omerale dipende dal contributo di diversi fattori:

→ Componente ossea (versione gleno-omerale): se c’è una


malformazione, un difetto di antiversione o retroversione della testa dell’omero o della glena, si
crea un’instabilità. Un’alterazione della versione gleno-omerale è possibile anche in un soggetto
normale (con normale versione): basta una frattura che comporti un’alterazione della rotazione
dell’omero per avere un’alterazione dei rapporti reciproci tra glena e omero (alterazione della
versione). L’alterazione della versione la si può compensare fino ad un certo punto (c’è un range di
tolleranza anche riguardo la perdita di versione), infatti se un omero guarda 90° davanti, deve
essere operato e rimesso con la versione giusta, ossia centrato sulla glenoide. Quindi, quando si
gestisce una frattura dell’omero deve essere ristabilita la congruenza dell’articolazione (come in
tutte le fratture).
→ Muscoli (pressione negativa che si forma a livello della spalla)
→ Legamenti
→ Cercine glenoideo (crea effetto ventosa)
→ Altro elemento che mantiene la cavità glenoidea coesa all’omero è il film liquido tra i capi
articolari, che fa effetto vuoto: se c’è un versamento,
si distende lo spazio articolare e aumenta l’instabilità
perché nel versamento ci “ciottola” la testa
dell’omero.

Dunque, la stabilità della spalla è un ingranaggio composto da


diversi fattori e tutti devono funzionare. Infatti, se ne manca
uno, si va verso l’instabilità. L’instabilità può essere acuta
(cado e mi lusso) o può instaurarsi progressivamente.
2. ARTICOLAZIONE SOTTO-DELTOIDEA
È importante perché è un’articolazione di scorrimento: consente lo scorrimento dei tendini della cuffia
sotto l’acromion. I tendini della cuffia si trovano tra la testa dell’omero e l’acromion, quindi tra due
superfici ossee. Per questo motivo c’è una struttura che consente il loro scorrimento perché se fanno
attrito sul versante osseo, prima o poi si ledono. È come se una corda di continuo strusciasse su una parete
rocciosa: a strusciare tanto, prima o poi si rompe. Quindi, queste strutture hanno la funzione di favorire lo
scorrimento. La struttura principale di questa articolazione è la borsa. Le borse sono formate da cavità
virtuali, con un film liquido interposto tra due foglietti che consente di avere un movimento di scorrimento.

Da slides: il piano di scorrimento sottodeltoideo è costituito dall’estremità superiore della testa dell’omero
e dai muscoli della cuffia dei rotatori. Tra questa superficie e la volta coraco-acromiale è presente la borsa
sierosa sottodeltoidea che facilita lo scorrimento dei piani ossei e muscolari la cui compressione è alla
base di molte affezioni a carattere degenerativo.

Quali borse bisogna ricordare, che in genere possono essere traumatizzate?

1. Borsa olecranica, a livello del gomito: se batto il gomito forte, si forma un palloncino a questo
livello, per via di un versamento all’interno della borsa. Quando un palloncino si gonfia tanto e poi
si sgonfia, non tornerà mai liscio com’era all’inizio, rimane ondulato. Lo stesso fa la borsa: se si
gonfia e poi si sgonfia, resterà sempre un po’ pastosa, non tornerà mai come prima.
2. Borsa rotulea: serve per far scorrere la rotula. È interessata tipicamente nel pavimentista o in
coloro che stanno inginocchiati a lungo: presentano un ispessimento sul ginocchio (borsite cronica).
3. Borsa sottodeltoidea: non è sottopelle, ma sotto il deltoide, tra deltoide, omero e cuffia dei
rotatori. Permette lo scorrimento, ma si può infiammare (borsite) e può essere una delle cause di
dolore alla spalla.

3. ARTICOLAZIONE ACROMION-CLAVEARE: comprende due


legamenti importanti, legamento conoide e trapezoide, che tengono
la clavicola a livello dell’acromion, la stabilizzano in basso. Se c’è un
trauma e si rompono, i muscoli sternocleidomastoideo e trapezio
portano la clavicola in alto.

4. ARTICOLAZIONE CLAVI-STERNO-CLAVEARE

5. ARTICOLAZIONE SCAPOLO-TORACICA
Perché la spalla diventa instabile?
Se è tutto a posto e la spalla funziona perfettamente, non ci saranno mai patologie. Tuttavia, per vari motivi
la spalla può andare incontro ad una instabilità acuta e macroscopica (come una lussazione), ma può
andare incontro anche ad una micro-instabilità, che poi porta ad una degenerazione progressiva
dell’articolazione. Nella maggior parte dei casi la patologia della spalla è riconducibile ad una progressiva
instabilità. Esistono due tipi di spalle instabili:

→ Spalla instabile di tipo degenerativo, determinata da:

• Usura dei capi articolari, quindi artrosi


• Invecchiamento, usura dei tendini
• Squilibrio muscolare: se i muscoli della spalla non lavorano in maniera coordinata, la spalla
piano piano diventa instabile.
• Alterazioni posturali

→ Spalla instabile post-traumatica, determinata da:

• Microtraumi ripetuti
• Lesioni ligamentose occulte: nel caso di un trauma distorsivo di spalla, senza che vi sia
lussazione, i capi articolari restano in sede, ma si può lesionare un legamento. L’esempio
più comune è quello del ginocchio: un trauma distorsivo di ginocchio può rompere i crociati
senza lussare l’articolazione, che resta in sede. Lo stesso discorso vale per la spalla.
• Particolari attività lavorative: lavorando con il braccio in alto, la grande tuberosità
dell’omero va a chiudere lo spazio tra questa e l’acromion creando una situazione di
possibile conflitto, che non si genererà una/due/tre volte, ma, lavorando il soggetto con il
braccio sempre verso l’alto, continuamente, quindi si crea una situazione in cui i tendini
vengono costantemente compressi tra la tuberosità dell’omero e l’acromion. Questo porta
ad instabilità. I pazienti che hanno problemi alla cuffia generalmente non vanno su.
• Lussazioni: le lussazioni2 scapolo-omerali3 rappresentano quasi il 50% delle lussazioni che
arrivano in pronto soccorso, quindi sono molto frequenti. Nella stragrande maggioranza dei
casi sono anteriori, cioè la testa dell’omero esce davanti. Esiste anche la lussazione scapolo-
omerale posteriore, che rappresenta il 2% dei casi, ma spesso è misconosciuta, perché,
essendo rara, in genere non ci si pensa; inoltre, è difficile da osservare all’imaging. Se si
guarda superficialmente la lastra di sinistra, questa sembra normale. In realtà, la testa
dell’omero guarda dietro e lo si capisce perché è sovrapposta con la glena. In latero-laterale
si vede meglio, ma la
spalla si studia
peggio perché c’è
tutta la gabbia
toracica nel mezzo.
Quando si fa
l’anteroposteriore,
spesso può essere

2
A seconda che la perdita di articolarità sia stabile e permanente o meno, si parla di lussazione o sublussazione.
3
Le lussazioni scapolo-omerali verranno trattate in dettaglio nella seconda parte della lezione.
dato erroneamente un esito negativo “rapporti articolari gleno-omerali in sede”. Nel
dubbio si chiede o la latero-laterale o una TC.

Esiste anche l’instabilità volontaria di spalla, ossia pazienti che possono lussarsi e ridursi la spalla in modo
volontario. In questo caso non c’è indicazione chirurgica perché sono soggetti psichiatrici: non si può
operare un paziente matto perché tanto si lusserà di nuovo l’articolazione. Il “desiderio” di lussare
volontariamente la spalla non può essere trattato chirurgicamente.
È importante distinguere la lassità dall’instabilità. Ci sono persone che sono lasse, cioè più snodate:
arrivano molto più indietro con le dita della mano o hanno una iperestensione del gomito. Questi soggetti
non sono instabili, sono lassi. L’instabilità è un movimento anomalo/patologico che l’articolazione non
dovrebbe fare.

Cosa succede con l’instabilità?


Cuffia, bicipite, glena, quindi pressione negativa, mantengono la testa dell’omero in sede. Se questi
meccanismi si perdono, la prima cosa che succede per effetto dei muscoli è che la testa dell’omero risalga
prossimalmente (sale perché perde la centratura sulla glena). Sopra la testa dell’omero c’è l’articolazione
sotto-acromiale (borsa e cuffia dei rotatori): se la testa risale, toglie spazio alla cuffia, soprattutto durante
l’abduzione sopra i 90° perché la grande tuberosità chiude completamente lo spazio, pinzando i tendini nel
mezzo --> riduzione dello spazio sub-acromiale. Si instaura in questo modo una sindrome da conflitto (da
attrito), cioè la grande tuberosità dell’omero va a chiudere lo spazio e a comprimere i tendini. Non è un
fenomeno costante, ma che avviene solo quando il paziente lavora con la mano sopra il piano delle spalle.
La prima struttura che si infiamma è la borsa sotto-deltoidea (borsite) a cui conseguirà dolore e limitazione
funzionale: il paziente riferirà, ad esempio, che ieri ha imbiancato e che oggi non riesce più a muovere il
braccio. Non si è rotto nulla, ha mantenuto una certa posizione x ore, non era abituato e, siccome la sua
spalla non lavora bene a causa dei muscoli che non sono perfetti, ha infiammato la borsa. È segno che c’è
un processo di progressiva instabilità della spalla. Se si va avanti, i tendini, venendo costantemente
compressi tra le due ossa, piano piano degenerano (degenerazione della cuffia), fino a rompersi e causare
appunto una rottura della cuffia. Tutto questo un tempo veniva chiamato periartrite di spalla, e continua
oggi ad essere chiamato così. Periartrite significa “progressiva instabilità della spalla che da
un’infiammazione porta fino ad una lesione tendinea”.
La testa non è più centrata e risale, comprime i tendini sulla volta sotto-acromiale, piano piano i tendini si
rompono, prima parzialmente, poi totalmente, arrivando così alla lesione completa di cuffia. La scomparsa
della cuffia sopra la testa dell’omero determinerà un’artrosi di spalla.

Domanda: qualsiasi sia la causa dell’instabilità la testa tende a salire?


Risposta: tende a salire per effetto dei muscoli che la richiamano in alto. Se non viene mantenuto in basso
(coeso alla glena tramite i vari meccanismi, ndr), infatti, l’omero tende ad essere traslato verso l’alto. Si
capisce come siano i muscoli a farlo traslare verso l’alto perché in caso di una lesione massiva di cuffia, si ha
una sublussazione inferiore. Essendoci una lesione massiva di cuffia, col peso dell’arto la testa tenderà a
dislocarsi verso il basso in quanto non c’è più la cuffia che la tira su. In ogni caso il movimento di traslazione
della testa dell’omero, sia in alto che in basso, è un movimento patologico che porta ad una degenerazione.

L’iter è sempre quello: è indifferente che si parta da


un microtrauma, da un’alterazione posturale o da
movimenti di iperangolazione (lavorare con il
braccio sempre in alto, ndr), qualsiasi sia la causa
iniziale di instabilità, poi si instaura un circolo
vizioso --> instabilità, sublussazione, impingement
(conflitto) interno e rottura della cuffia dei rotatori.

Lesione della cuffia dei rotatori


Inizialmente si crea una lesione laddove la cuffia si inserisce sul trochite omerale, perché il trochite sale e
la porzione di cuffia al di sopra picchia contro l’acromion. Il tendine che si rompe per primo nella maggior
parte dei casi è il sopraspinato, nella sua parte inserzionale4. Dopodiché questa lesione si espande

4
Il trochite omerale è una regione ossea anatomicamente importante, perché sulle faccette superiore, mediana e
inferiore trovano inserzione, rispettivamente, il tendine del muscolo sopraspinato, il tendine del muscolo sottospinato
e il tendine del muscolo piccolo rotondo.
coinvolgendo progressivamente gli altri tendini
della cuffia. Quindi, la lesione parziale di un
tendine progressivamente diventa a tutto
spessore, fino a coinvolgere gli altri tendini
della cuffia, quindi fino ad arrivare a lesioni
massive in cui si scopre la testa omerale.
È sempre il sopraspinato il primo tendine ad
essere leso ed è quello che si va a ritensionare
per reinserirlo, in quanto è il primo motore
dell’abduzione: l’abduzione fino a 90° la fa il
deltoide, sopra la fa il sopraspinato. Quando
non si ha più cuffia, questo non è più riparabile
perché la rottura avviene su una lesione
cronica, non è acuta (faccio un movimento -->
rompo la cuffia dei rotatori), in quanto quel
tendine non è sano, ma degenerato, motivo per cui si è rotto.
Quindi, se il tendine rimane a lungo retratto verso la scapola,
quando andiamo a procedere chirurgicamente, non si riesce a tirarlo
(a portarlo all’origine, ndr) perché è degenerato appunto, ha perso
elasticità. Quindi, quando non si ha più cuffia, un modo per fa
muovere la spalla è usare il deltoide: chi lo usa sono soprattutto i
pazienti anziani con una lesione massiva di cuffia. Per usare il
deltoide bisogna invertire l’articolazione della spalla, quindi la testa
si mette sulla glena e la coppettina sull’omero, perché in questo
modo si aumenta il braccio di leva. Siccome si deve vicariare la
funzione della cuffia con il deltoide e andare sopra i 90°, oltre i quali
il deltoide non riesce ad andare, bisogna cambiare il braccio di leva
del deltoide e per farlo si usa la protesi inversa di spalla (utilizzata appunto in caso di lesione massiva).

VALUTAZIONE CLINICA DELLE PATOLOGIE DELLA SPALLA


I. ANAMNESI
Quando si guarda un paziente, si deve cercare di capire qual è il problema:

→ Età: è un dato importante con cui ci si può già orientare verso il tipo di patologia.

• Un paziente di 18 anni è difficile che abbia una patologia degenerativa, infatti avrà una
patologia legata prevalentemente all’instabilità acuta o subacuta. Il trattamento consisterà
nel trattare l’instabilità.
• Un paziente di 70 anni l’instabilità ce l’avrà anche avuta all’inizio, ma ora ha una
degenerazione della cuffia dei rotatori con una rottura parziale o totale. Il trattamento
riguarda la degenerazione.

→ Anamnesi riguardo al dolore: tipizza cosa ha il paziente, quindi, facendo le domande giuste,
bisogna ascoltare il soggetto e sarà lui stesso a riferirci direttamente qual è il problema.
→ Interazione con l’ambiente che circonda il paziente: quanto il paziente usa e muove la spalla. Al
paziente interessa non avere più il dolore e avere una spalla che funzioni. Per questo motivo è
importante indagare sulle varie attività della vita quotidiana (attività sportiva o lavorativa) e su
pregressi traumi. Dopotutto, perché il paziente si rivolge al medico? Per il dolore e la limitazione
funzionale.
→ Patologie associate: se il paziente ha l’artrite reumatoide, può avere un’artrite di spalla.

Localizzazione del dolore


Il dolore di spalla può essere di vario tipo (da sinistra verso destra dell’immagine):

→ Se continuo (presente anche di notte) e localizzato a livello della regione sotto-acromiale, il dolore
può essere dovuto ad una borsite.
→ Il dolore può essere irradiato dalla parte anteriore del braccio e poi portarsi distale:
interessamento del capo lungo del bicipite.
→ Il dolore sulla faccia anterolaterale della spalla è il dolore di spalla propriamente detto, dovuto ad
una infiammazione o patologia di cuffia, riferito dai pazienti nel terzo prossimale del braccio.
→ Dolore intenso con contrattura muscolare al margine mediale della scapola: in genere si tratta di
una contrattura muscolare in seguito ad attività sportiva.

Quindi, a partire dalla localizzazione e dall’intensità del dolore si può iniziare a sviluppare un’idea sulla
causa del problema. Inoltre, la spalla fa male di notte: la maggior parte dei soggetti di mezza età riferiscono,
in presenza di una lesione di cuffia vera, di non dormire di notte. Generalmente in ortopedia le patologie
che fanno male di notte sono patologie cattive, come tumori, infezioni e infiammazioni. Ci sono, però,
anche patologie benigne in cui il dolore notturno è presente, come appunto nel caso delle patologie di
spalla e della sindrome del tunnel carpale.

→ Trattamento analgesico: esiste una legge in Italia (legge 34) che impone di trattare il dolore su tutti
i pazienti. Quindi, la prima cosa da fare è trattare il dolore, e lo si fa generalmente con un
antiinfiammatorio. Bisogna chiedere al paziente cosa gli fa male, se ha e quali sono eventualmente
le patologie associate, che farmaci assume, a cosa è allergico e sulla base di queste informazioni si
sceglie l’antiinfiammatorio più adatto, da somministrare per 3-5 giorni.
Se il paziente necessita di una terapia prolungata, bisogna capire cosa ha e probabilmente
l’antiinfiammatorio usato non è il farmaco di scelta in quanto è un farmaco che può avere anche
effetti collaterali. Dunque, il trattamento analgesico è prevalentemente FANS nella prima fase. Le
linee guida americane e inglesi considerano come primo farmaco di scelta il paracetamolo: ha pochi
effetti collaterali, però non ha azione antiinfiammatoria. Quindi, se si somministra questo farmaco,
il paziente sta meglio inizialmente, però quando poi smette l’effetto, ritorna come prima. Per
questo motivo non è il farmaco di scelta per tutte le patologie ortopediche; se serve un effetto
antiinfiammatorio vero, si sceglie un FANS (COX1, COX2-selettivi, ecc), da confrontare con la terapia
che al momento il paziente sta seguendo e con le patologie associate.
→ Trattamento fisioterapico: si possono fare anche trattamenti fisioterapici per migliorare la risposta
del dolore.

È importante capire il grado di interferenza del dolore con il lavoro, lo sport e le attività quotidiane perchè
questo ci guiderà sulla causa e quindi sul tipo di trattamento.
Se un soggetto ha dolore alla spalla sinistra, ma la spalla attivamente e passivamente si muove benissimo,
probabilmente non è un dolore di spalla, ma riferito: può essere un infarto (se interessata la spalla di
sinistra) o una cervicobrachialgia con irradiazione su C5 e C6. Quindi, bisogna sempre considerare due
elementi per individuare un problema primitivo di spalla: dolore e limitazione funzionale.

II. ISPEZIONE
Cosa cercare quando si osserva il paziente?

• Atrofia e ipotrofia muscolare


Nell’immagine a lato si osserva un sottospinato praticamente
assente perché si vede la spina e una buca subito sotto, e
questo lo si può osservare semplicemente facendo spogliare il
paziente.
Nell’immagine in basso si vede il segno di Popeye o “di
braccio di ferro”, dovuto ad una lesione del capo lungo del
bicipite: se si rompe, il ventre muscolare si accorcia e fa
questa pallina. Per vederlo basta far fare al paziente il “muscolo”.
Per il trattamento della lesione del capo lungo del bicipite bisogna
valutare il tipo di paziente, quindi l’attività e l’età --> se è giovane,
il muscolo viene reinserito (non sulla glena, ma nel solco sotto), se
è anziano, se lo “tiene così”, anche perché fa perdere solo il 30%
della forza di flessione del braccio.
• Asimmetrie
• Arrossamenti
• Tumefazioni
• Versamento articolare (spalla molto gonfia): se un paziente che fa Coumadin, arriva al pronto
soccorso con una spalla gonfia, può avere una raccolta di sangue, pertanto è fondamentale
un’anamnesi corretta per avere un indirizzo circa il tipo di versamento che il soggetto può avere.
• Cicatrici (da slides)
• Ecchimosi (da slides)
• Distensioni venose (da slides)

Anche solo osservando come il paziente entra in ambulatorio (movimento pendolare alla deambulazione) e
come si spoglia, si capisce quanto muove la spalla (es. ci si può fare un’idea anche vedendo come il paziente
si sfila la maglia tra i due lati).

II. PALPAZIONE
In alcuni pazienti alla palpazione si può sentire un crepitio a livello della spalla, tipo la neve schiacciata. La
neve fresca crepita perché c’è aria nel mezzo, e ugualmente una borsite molto gonfia crepita (ipertrofia
borsale). Il crepitio può essere dovuto anche ad una irregolarità del piano di scorrimento della cuffia, a un
conflitto osseo, all’irregolarità della superficie dell’acromion.
Il crepitio deve essere sempre correlato con gli altri sintomi del paziente: se il paziente ha una spalla
dolente, che fa male di notte e non lo fa dormire, e alla palpazione della stessa si sente un crepitio, molto
probabilmente ha una borsite ipertrofica. Chiaramente bisognerà poi confermare il sospetto diagnostico
con un’ecografia, ma è importante intanto avere un’idea.

III. MOVIMENTO ARTICOLARE


Bisogna guardare il movimento. Oltre alla qualità del movimento, bisogna distinguere, come in tutte le
articolazioni, tra articolarità passiva e articolarità attiva. Se la spalla passivamente fa tutto, ma
attivamente non fa nulla, il problema è la cuffia (rottura di cuffia). Infatti, se dal punto di vista articolare è
tutto a posto, quindi passivamente si muove bene, ma se attivamente si hanno problemi, la causa è
muscolare (rottura di cuffia o paralisi: i muscoli possono essere rotti o non funzionare per motivi
neurologici). Se un soggetto cade e, oltre ad avere dolore, ha difficoltà a muovere la spalla anche
passivamente, può avere una frattura.

Può essere utile per alcuni pazienti rispondere


alle domande di un questionario, che indaga su
vari aspetti della qualità di vita e su come viene
usata la spalla nella quotidianità. Questo serve
per avere una valutazione da parte del paziente
di come “vive” la sua spalla.
Per l’esplorazione funzionale attiva i movimenti da valutare sono: rotazione esterna, rotazione interna,
abduzione, adduzione, flessione, estensione. Bisogna chiedere al paziente se riesce a pettinarsi, se riesce a
lavarsi la faccia, alle donne se arrivano a slacciarsi il reggiseno. Tutto questo darà indicazioni su quali
muscoli funzionino e quali no, e quindi aiuta a capire dov’è localizzato il deficit. La maggior parte dei
pazienti riferirà un difetto di abduzione: spesso il paziente dirà che ha un’abduzione dolorosa tra 70°-80° e
130°-140°, range dove si attiva il sopraspinato. Fino a 90° arrivano tutti perché tale range di movimento è di
competenza del deltoide, mentre sopra non arrivano in quanto l’abduzione sopra i 90° è di competenza
della cuffia dei rotatori (sovraspinato).

Casi clinici tipici


Una distinzione semplice che si può fare è:

→ Paziente con dolore acuto (il dolore è comparso oggi, una settimana fa non ce l’aveva --> dolore
insorto recentemente)
→ Paziente con dolore cronico (venuto progressivamente con delle fasi di alto e basso, però continuo)

Paziente con dolore acuto

• Osteotendinite del sovraspinoso: il dolore è acromion-deltoideo. Si tratta in


genere di un paziente giovane che ha fatto uno sforzo o movimenti ripetuti,
infatti all’anamnesi riferirà una recente ed intensa attività sportiva o lavorativa.
Ha un’infiammazione acuta (iperemia, edema) che si tratta, di conseguenza, con
antiinfiammatori e riposo. Se il trauma è stato efficiente, ci può essere una
rottura parziale, altrimenti più frequentemente sarà presente una borsite.
• Tendinite del capo lungo del bicipite: in questo caso il dolore si irradia lungo il
braccio (dolore anteriore irradiato distale-prossimale). La tendinite del capo
lungo del bicipite è tipica sia di pazienti giovani, che hanno un’infiammazione del
capo lungo del bicipite per movimenti/traumi ripetuti, sia di pazienti meno giovani, che hanno
lesioni di cuffia: il tendine del capo lungo va dentro l’articolazione, passa attraverso la cuffia e se la
cuffia è degenerata, si infiamma progressivamente. In questo caso il capo lungo viene tagliato
chirurgicamente perché fin tanto che resta all’interno dell’articolazione continua a generare dolore.
• Tendinite calcifica: altra causa di dolore acuto può essere una tendinite calcifica che fa parte del
processo degenerativo/riparativo della spalla --> il tendine degenera e si formano delle
calcificazioni che rappresentano il tentativo dell’organismo di riparare. Durante la fase di
formazione le calcificazioni possono dare dolore, ma non
acuto, se si rompono nello spazio borsale determinano
una spalla iperalgica. La tendinite calcificante può essere il
motivo per cui il paziente ha una spalla pseudoparalitica,
quindi iperalgica: fino a ieri il paziente stava bene, poi ha
fatto un movimento e oggi ha la spalla iperalgica. Da
slides: si tratta di una patologia autolimitante, ciclica.
Durante la fase di deposizione dei sali di calcio il paziente è
asintomatico o accusa lieve dolore. Durante la fase di riassorbimento si assiste ad una
sintomatologia dolorosa acuta (spalla pseudoparalitica). Se il dolore è acuto è indicato riposo, FANS
e lavaggio, ovvero inserire più aghi dentro la calcificazione sotto guida ecografica in anestesia
locale. Attraverso un ago si inietta soluzione fisiologica e dagli altri aghi esce la soluzione fisiologica
e la calcificazione (ossalato di calcio), che viene lavata via proprio fisicamente (viene sciolta e
lavata). Altrimenti si possono fare le onde d’urto: rompono le calcificazioni e ne permettono il
riassorbimento. La chirurgia è più difficile da fare perché se si rimuove chirurgicamente una
calcificazione di 1 cm dal sopraspinato, poi resta un buco.

Paziente con dolore cronicizzato e limitazione funzionale


I pazienti con dolore cronico all’anamnesi riferiscono che il dolore non è
insorto recentemente (storia clinica più lunga) e presentano delle progressive
riacutizzazioni: dopo ogni fase acuta c’è una fase di relativo benessere, poi, a
seconda di quanto muovono/usano la spalla, questa si infiamma nuovamente
e c’è una nuova fase acuta. Dopo ogni fase acuta c’è un progressivo
peggioramento della funzionalità della spalla perché la patologia degenerativa
tende ad andare avanti (limitazione funzionale ingravescente), ogni fase acuta
è uno scalino in più. In pratica si passa da una lesione parziale ad una lesione
totale del sopraspinato, poi la lesione si espande agli altri tendini della cuffia e
progressivamente il paziente peggiora. Sul paziente cronico, prima di fare
diagnostica, devono essere eseguiti dei test che indirizzano su quale possa
essere la patologia.

→ Test della cuffia dei rotatori


Esistono dei test per valutare la funzionalità della cuffia e avere un’idea di quale sia il tendine
interessato.
• Test di Apley: guardare se il paziente riesce a
raggiungere lo stesso punto a livello della
scapola con diversi gradi di intrarotazione ed
abduzione. In un caso si valuta l’abduzione e
quindi il sovraspinato, in un caso si valuta
l’intrarotazione e quindi il sottoscapolare. Da
slides: raggiungere lo stesso punto dietro la
schiena in extrarotazione, intrarotazione ed
adduzione orizzontale.
• Test di Jobe: molto semplice --> si fa mettere
al paziente il pollice in basso chiedendogli di
tirare su il braccio. In questo modo attiviamo il sopraspinato e se il paziente presenta il
dolore, la lesione è del sopraspinato. Da Wikipedia: con spalla abdotta a 90°, anteposta di
30° ed intraruotata con i pollici orientati verso il basso, il paziente deve resistere ad una
spinta verso il basso esercitata dall'esaminatore. La sua positività è determinata dalla
comparsa di dolore e da una diminuzione della resistenza alla spinta ricevuta. Valuta il
muscolo sovraspinato.

• Lift-off test: facciamo mettere al paziente la mano dietro la schiena e gli facciamo spingere.
Il muscolo che si attiva è quello che fa intrarotazione, quindi il sottoscapolare. Con la mano
della spalla da valutare posta dietro la schiena, il soggetto deve effettuare una spinta
all'indietro contro resistenza. In caso di lesione del muscolo sottoscapolare, che questo test
indaga, la mano non riesce ad imprimere nessuna spinta.
• Napoleon test: si fa premere la mano contro la pancia e si guarda se, per arrivare alla
pancia, il paziente deve flettere tanto il polso, oltre i 90°. Se flette il polso oltre i 90°, c’è un
deficit del sottoscapolare (non intraruota).
• Test di Patte: test per valutare l’extrarotazione, ovvero il muscolo sottospinoso. Facciamo
porre al paziente il gomito a 90°, dopodiché facciamo ruotare esternamente contro
resistenza.
→ Segno dell’impingement di Neer: quando la testa dell’omero risale, se il
paziente va in abduzione (elevazione passiva del braccio mantenuto in
rotazione interna da parte dell’esaminatore), la grande tuberosità
picchia contro l’acromion, quindi si ha un impingement. Il segno di Neer
è positivo se all’abduzione ed extrarotazione, il paziente ha dolore.
Come controprova si può iniettare anestetico locale nello spazio sotto-
acromiale (test di Neer): si aspetta qualche minuto e se, alla nuova
esecuzione del test, il dolore scompare --> positività all’impingement, che deriva dalla
compressione della cuffia a livello dello spazio sotto-acromiale.
→ Test di valutazione del capo lungo del bicipite
• Test di Speed: spalla a 90° di flessione, gomito esteso,
avambraccio supinato, si chiede di resistere all’esaminatore che
spinge in basso il braccio.
• Test di Yergason: a gomito flesso supinazione contro resistenza,
perché il capo lungo del bicipite è il principale supinatore
dell’avambraccio. Alla supinazione contro resistenza, il muscolo si
attiva e se il paziente ha dolore, il test è positivo.

Se il paziente non muove sia attivamente che passivamente,


e non ha traumi, quindi non ci sono fratture, avrà un’artrosi
(questo in genere si osserva nell’anziano). Nell’immagine si
può notare come non ci sia più nulla sopra la testa
dell’omero, la testa dell’omero è in contatto con l’acromion,
lo spazio sotto-acromiale è inesistente, quindi va fatta una
protesi inversa perché la cuffia non c’è più.

DIAGNOSTICA STRUMENTALE
Tutto questo deve indirizzare verso la scelta degli esami di diagnostica più idonei al tipo di paziente.
Se il paziente presenta dolore da ieri per aver imbiancato, bisogna attendere, prima si fanno fare gli
antiinfiammatori e si mette a riposo, valutando come va. In alternativa, si può procedere con la radiografia
e l’ecografia per vedere se è presente una borsite o una lesione di cuffia. Ecografia e radiografia sono gli
esami di primo livello. RMN e TAC, invece, sono esami di secondo livello, da usarsi, ad esempio, per
studiare un’artrosi di spalla (TAC).

PRINCIPI DI TRATTAMENTO

→ Fasi iniziali: si procede con trattamento antiinfiammatorio, riposo e un po’ di fisioterapia, tutto
volto a sfiammare la spalla e recuperarne la muscolatura per avere un corretto funzionamento.
Generalmente la fisioterapia si fa sempre, perché la spalla ha gli stabilizzatori attivi, e se il paziente
ha un problema di spalla, li vado a rinforzare cercando di riequilibrarli per ottenere una spalla che
funziona bene.
→ Sindrome da conflitto/attrito sub-acromiale senza significative rotture (manovra di Neer positiva, il
paziente ha dolore in abduzione, conferma con RX o ecografia): oltre a quanto detto
precedentemente (fisioterapia + terapia fisica), si può fare un acromion-plastica, ossia si può
portare via una porzione anteriore laterale di acromion per dare più spazio. Dando più spazio, si
limita il conflitto tra testa dell’omero in abduzione e volta acromiale. Si può fare per via
artroscopica o chirurgia a cielo aperto.

→ Rotture parziali: antiinfiammatori, riposo, fisioterapia, fino all’acromion-plastica.


→ Rotture complete di cuffia: se il paziente è giovane, si cerca di fare una chirurgia ricostruttiva, ossia
si cerca di riparare la cuffia prima che si trasformi in una lesione massiva. Si imbastiscono i tendini
della cuffia e si reinseriscono sopra la grande tuberosità dell’omero. Questo si può fare in
artroscopia o a cielo aperto. Fa seguito terapia fisica + fisioterapia.

→ Artrosi: in pazienti artrosici fortemente limitati si può valutare la possibilità di fare una protesica.
Non si tratta di una protesica come quella di anca e ginocchio, quindi si deve parlare bene con il
paziente e valutare quanto muove la spalla: se non ha richieste funzionali ulteriori, non c’è bisogno
di fare questo intervento, per cui tiene la spalla esattamente come ce l’ha (senza andare a mettere
una protesi di spalla).

Nei pazienti anziani a scopo antalgico si possono fare anche le infiltrazioni: attraverso l’iniezione di
cortisone e anestetico nella struttura anatomica dolorante si prova a modulare il dolore e a limitare
l’infiammazione. Più il paziente è giovane, più è opportuno cercare di evitare le infiltrazioni che potrebbero
portare a degenerazioni dei tendini che lasciano dei depositi a livello dell’articolazione. La terapia
infiltrativa si fa prevalentemente nello spazio sotto-acromiale e a livello del capo lungo del bicipite: queste
sono le due strutture che si infiammano nella patologia degenerativa di spalla.

Qualsiasi cosa si faccia, la fisioterapia è importante nella spalla (!!!) per rinforzare/riequilibrare gli
stabilizzatori attivi, altrimenti tutto quello che è stato fatto fallirà.
Ci vuole sempre un po’ di tempo affinché la spalla recuperi, quindi non bisogna avere fretta nella
valutazione (valutazione dei risultati a distanza di 6 mesi-2 anni).

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