Sei sulla pagina 1di 293

Vertebrale_Longobardi sem 2 (nel sem 1 non ci sono state lezioni di vertebrale)

Introduzione
In passato a livello del rachide l’Osteopatia veniva vista come un trattamento della colonna che utilizzano vari
tipi di approcci: fasciale, viscerale, strutturale, emozionale...
Le tecniche strutturali sono quelle che vanno ad invertire parametri della disfunzione, cioè mandano la stut-
tura nel senso opposto a quello in cui si trova.
Spesso si snobbano le tecniche strutturali sulla colonna, perché non si è capaci di farle. In realtà i pochi studi
scientifici che sono stati fatti dimostrano che il trattamento osteopatico sulla colonna è efficace almeno quan-
to la somministrazione di farmaci.
Prima di scegliere una tecnica bisogna sicuramente valutare il Pz (farsi un’idea del suo quadro anatomico,
fisiologico, emotivo e livello del dolore causato dai suoi sintomi). Una volta fatto questo l’Osteopata deve poi
scegliere la tecnica più adatta e nella sua cassetta degli attrezzi non devono mancare, accanto alla lima e alla
carta vetrata, il martello e lo scalpello, perché se deve abbattere un muro può farlo in modo efficace solo con
il martello. Certo bisogna anche dire che, piuttosto che usare male il martello, è meglio usare la lima. Magari
si raggiunge un risultato limitato ma almeno non si fanno danni.
Quindi nel corso di base di Osteopatia cercheremo di darvi una competenza più che buona in questi 6 anni
di scuola.

Colonna vertebrale (CV)


Sul piano frontale
La CV presenta, nel soggetto sano, un allineamento senza curvature laterali.

Sul piano sagittale


Ci sono tre curvature fisiologiche: lordosi cervicale, cifosi dorsale, lordosi lombare.
La presenza di curvature ha una notevole importanza perché rendono la colonna più elastica e resistente.

Nel neonato non ci sono curvature tranne un’unica cifosi dorso–lombare primaria (perché compare per prima)
e funzionale (perché sostiene globalmente la colonna). Durante lo sviluppo motorio la cifosi unica si modifica
fino alla comparsa della lordosi cervicale intorno al III-IV mese (è una lordosi di compenso perché in questo
periodo il bambino comincia a controllare il capo in posizione seduta, per poter dirigere lo sguardo). Durante
il passaggio dalla posizione quadrupedica alla posizione eretta si ha la comparsa della lordosi lombare (sem-
pre per adattamento alla gravità). Questo ricalca quello che è stata la filogenesi, quando l’uomo è passato
dalla stazione quadrupedica a quella bipede.

Le lordosi della colonna


Le curve lordotiche (cervicale e lombare), essendo strutture adattative, spesso presentano dei sintomi.
Poiché si trovano a contatto inferiormente e superiormente con strutture compattative e contenitive (bacino,
torace...), devono avere una funzione adattativa:
- alle sollecitazioni
- al peso
- alle strutture sovra (catena discendente) e sottostanti (catena ascendente)
Questo è il motivo della loro vulnerabilità.

Ad es. la lordosi lombare è influenzata da:


zona prossimale sottostante > bacino
zona prossimale sovrastante > colonna dorsale e torace

Essendo influenzata da tutti questi fattori, nella valutazione osteopatica si considera non solo la zona del
sintomo, ma anche le strutture adiacenti che potrebbero essere causa del sintomo (visceri, organi interni,
vertebre adiacenti, sacro, etc etc)
Bisogna essere acuti e veloci ad individuare la causa e soprattutto pratici nelle manovre.

La colonna che non presenta curvature fisiologiche è ancora più vulnerabile perché diminuisce la sua flessibil-
1
ità e soprattutto la sua resistenza. In fisica la resistenza di una colonna è pari al numero delle curve al quadrato
+ 1  R = N2+1

Questo concetto ci porta ad una considerazione pratica ovvero che la presenza di queste curve è fonda-
mentale per il corretto funzionamento della colonna stessa: per es le persone che presentano una colonna
completamente piatta o molto verticalizzata sul piano sagittale (spesso corrisponde ad una soggetto alto e
longilineo) sono spesso soggette a dolori della colonna vertebrale perché è una colonna più fragile e meno
elastica (in quanto le curve donano elasticità alla struttura) e quindi non hanno una colonna priva di sintoma-
tologia.
Questo vale sia da un punto di vista costituzionale che da un punto di vista pratico. Per es. chi mantiene una
posizione seduta con la schiena iperestesa e utilizza una respirazione toracica (utilizzando i muscoli accessori
della respirazione) è sicuramente più predisposto a sviluppare microtraumi della colonna poiché la colonna
in posizione iperestesa da un punto di vista meccanico di contatto posteriore con le articolazioni costo-verte-
brali è una colonna che presenta un grado di rotazione che diminuisce (poiché non si trova nella sua posiz-
ione fisiologica): la rotazione della testa (del rachide cervicale) non è di 90° ma di 50-55°, per poter arrivare ai
90° la rotazione della colonna continua fino all’ultima vertebra lombare che fa 1 grado di rotazione (a livello
del rachide lombare abbiamo 5° di rotazione, 1 per ogni vertebra).
Ciò ci deve far pensare che una persona che non ruota la testa può avere un problema non solo sul rachide
cervicale ma anche nelle porzioni più distanti della colonna.
Tornando al soggetto in posizione seduta la rotazione del capo non si esaurisce a livello cervicale ma arriva in
modo determinante fino alla IV-V vertebra dorsale e quindi se la schiena è iperestesa si blocca la rotazione di
tutta la colonna e quindi viene sollecitata in maniera particolare la regione cervicale. Questo ci dimostra come
sia importante che queste curve abbiano un loro grado di adattamento. Se andiamo in un eccesso di gradi
allora andiamo verso le ipercifosi o iperlordosi e possiamo parlare di dismorfismo o paramorfismo.

Sempre restando sul tema della globalità se ammettiamo che la rotazione cervicale prosegue sul rachide ar-
rivando anche a livello più basso possiamo giustificare dei sintomi che non corrispondono per forza al punto
in cui vi è la problematica meccanica-funzionale; quindi ritornando al discorso sulla curva cifotica rispetto alle
due curve lordotiche (che sono adattative e secondarie), viene bene da pensare come le due lordosi (la cer-
vicale e la lombare) sono delle curve non solo secondarie ma anche molto adattative ed è per questo che
sono le curve in cui compaiono le maggiori sintomatologie. Vi sarà capitato di incontrare molte più persone
che denunciano dolore a livello della curva cervicale o lombare rispetto alla curva dorsale.
Questo perchè queste regioni sono due aeree meno protette e meno stabilizzate. Prendiamo per es. la regione
lombare localizzata tra il bacino, che ha una mobilità relativamente stabile e condizionata dall’appoggio degli
arti, e il tronco, la colonna dorsale (costituita dalle costole e dagli organi interni) che è un’altra struttura molto
compatta, stabile. Tra il tronco e il bacino abbiamo la colonna lombare che, al di là della struttura muscolare,
non ha nessun sostegno osseo (se paragonato per es. al torace che è invece un blocco più solido): quindi
la zona lombare, come succede spesso alle lordosi, è una zona adattiva che deve e può adattare quelle che
sono le componenti ascendenti e discendenti (pensiamo a quelle meccaniche e viscerali) che rendono la re-
gione lombare più vulnerabile. Tra le altre cose il disco intervertebrale tra la V vertebra lombare e l’osso sacro
è quello più soggetto a problematiche: subisce la maggiore sollecitazione, è l’unico disco che presenta una
forme cuneiforme, ha infatti uno spessore anteriore che è circa 1,5-2 volte di quella posteriore (gli antropologi
dicono che questa forma si sta modificando e magari tra qualche migliaio di anni, visto che è il punto dove è
avvenuta di più la sollecitazione dalla stazione quadrupedica a quella bipede, potrà subire ulteriori modifica-
zioni). Non a caso a livello statistico la maggior parte delle problematiche risiede a livello lombare.
La stessa cosa avviene a livello cervicale, poichè è una zona adattativa e perchè si trova anch’essa tra due zone
più compatte quali il dorso e il cranio, il quale ha un suo peso e un suo volume e che, al di là della mobilità in-
trinseca del cranio, rappresenta una sfera di un certo peso che si trova appoggiata ad una struttura che anche
in questo caso è sostenuta solamente da muscoli come la regione lombare. Ecco perchè a livello cervicale, da
un punto di vista meccanico, si hanno tante sintomatologie.
Pensate solo che se uno ha una gamba più alta o una spalla più storta, per mantenere l’orizzontalità dello
sguardo, dovrà fare degli sforzi adattativi continui del rachide cervicale, che solleciteranno questa struttura in
maniera importante.
Questo però ci porta a fare un’altra considerazione, che spesso non è sufficiente lavorare a livello delle zone
2
adattative: quando una persona viene da noi con un sintomo, istintivamente siamo portati a mettere una
mano sulla zona che fa male, con la palpazione cerchiamo di migliorare localmente la problematica. Invece
bisogna sforzarsi di capire quando il problema non è situato come causa nella regione ma può essere l’effetto
di una disfunzione che deriva da un’altra regione.
Questo approccio (lavorare nella zona che fa male) non è sbagliato in assoluto, non bisogna fare l’errore op-
posto di avere un atteggiamento distaccato verso la regione dolorante, ma non bisogna neanche ostinarsi a
trattare unicamente la regione che procura dolore; posso anche trattare la zona interessata, ma se dopo una
settimana o due il Pz torna con lo stesso sintomo, devo andare a ricercare qualche altra cosa.

Excursus sulla figura dell’osteopata: noi siamo meccanici, ma anche idraulici ed elettricisti perchè se andiamo
a lavorare su una struttura meccanica come una vertebra, che vede affiancate altre strutture come le radici
nervose, andremo a ripristinare un corretto funzionamento anche del nervo; si lavora anche sul drenaggio
dell’infiammazione poiché l’edema - elemento che mantiene le componenti infiammatorie - che si crea, osta-
cola il corretto funzionamento della regione interessata dall’infiammazione.
Pensate per es. ad un’ ernia del disco che di per sé può essere sintomatologica, poiché il disco intervertebrale
ha un’innervazione propria oppure perchè va a premere su alcune strutture importanti, diventando quindi un
agente meccanico che va ad influire sull’aspetto elettrico, oppure ancora perchè entra in gioco l’edema che
toglie spazio e diminuisce la possibilità della radice di muoversi liberamente.
Ciò accade spesso quando parliamo del rachide e delle problematiche a distanza soprattutto quando la re-
gione interessata dal sintomo non ha possibilità di trovare sollievo attraverso il movimento (compensatorio)
della regione sovrastante. Ci sono però dei casi in cui l’ernia deve essere operata, ma rispetto all’orientamento
che si aveva vent’anni fa, gli ortopedici e i neurochirurghi sono molto più prudenti perchè si è visto che i Pz
operati di ernia hanno molto spesso recidive o comunque non risolvono la sintomatologia. Tuttavia i Pz che
hanno un’ernia vera, senza altre problematiche, per es. a livello viscerale, stanno bene, a livello del bacino
tutto funziona e a livello della colonna non ci sono adattamenti. Sono le persone dove noi possiamo fare vera-
mente poco poiché è veramente l’ernia a creare il problema, e la maggior parte sono destinate all’ intervento,
diciamo un 5%.
La maggior parte dei Pz si ritrovano molto più impicciati e con una serie di condizionamenti sui quali invece
ci si può lavorare (ci sono anche quei Pz che dopo una settimana di riposo e l’antidolorifico stanno di nuovo
bene). Il Pz quindi richiede l’aiuto dell’osteopata e/o del fisioterapista che fanno il proprio lavoro e che spesso
non agiscono localmente, per es: se si fulmina una lampadina, nel senso che voi avete tutte le lampade accese
mentre una è fulminata, la prima cosa che vi viene da pensare è di mettere le mani sulla lampada (cioè di agire
localmente) ma se la lampadina funziona è inutile cambiare 10 volte la stessa lampadina perchè quella non si
accenderà mai (è inutile insistere sul punto che fa male se non è quello ad originare il dolore), naturalmente
uno comincia a muoversi sul circuito per trovare l’interruttore del dolore e per cercare dove si trova la causa.
Ciò non è facile da fare perchè spesso, questo interruttore, non è in vista e passa inosservato. Ci sono delle
cose molto semplici e delle cose molto complesse, spesso delle cose molto complesse si risolvono anche in
maniera inaspettata, per es. persone che vengono con un dolore all’arto inferiore, che hanno fatto un quantità
cospicua di analisi ed indagini e nessuno gli ha saputo dare una spiegazione, presentano un semplice scivola-
mento della tibia.
Questo perchè il mal di schiena non è il problema del Pz ma è la manifestazione di un problema/sintomo che
spesso non risiede lì quindi bisogna andarselo a cercare.

Ritornando alla colonna, questa è una lezione introduttiva così cerchiamo di rendere un pochino più concreto
e reale nel lavoro di tutti i giorni quello che noi andiamo a fare, sennò sembra veramente che facciamo solo
i meccanici e noi dobbiamo dimostrare con quello che facciamo e con quello che sappiamo che noi non an-
diamo a fare solamente “CRI-CRAK” (come alcuni ci dicono) ma faccio CRIK perchè c’è una disfunzione osteo-
patica, che mi condiziona la meccanica, il drenaggio e la conduzione elettrica.
La grossa differenza teorica-filosofica tra l’osteopatia e la chiropatrica è una differenza che poi nella realtà
non ci dovrebbe essere (parlo non come approccio ma come idea filosofica iniziale). Per l’osteopatia la regola
dell’ARTERIA è suprema (Still diceva che il sangue deve arrivare e circolare nei tessuti, dove non arriva o dove
arriva male è presente una stasi e si crea il problema) ovunque noi abbiamo un sintomo abbiamo anche una
stasi venosa o un’ischemia. Per la visione chiropratica (che fu fondata da Palmer, un allievo di Still) invece è
il NERVO che è supremo. Certo entrambi sono due aspetti importanti della problematica, però nella chiro-
3
pratica questo porta a lavorare praticamente solo sulla colonna vertebrale (adesso di meno perchè anche la
chiropratica si è evoluta) e a ragionare sempre sul discorso che bisogna liberare i nervi, mentre in osteopatia
si lavora anche e soprattutto per liberare la vascolarizzazione/il drenaggio, ed è questo il motivo per cui Still
era fissato su questo discorso dell’arteria suprema. Non è una regola ma una cosa concreta che trova riscontro
nella pratica e nella cura dei sintomi che presenta il Pz (lui trattava per es. Pz con dissenteria per liberare le vie
di drenaggio dell’intestino, lavorava sui meso e sugli epiploon per cercare di ricreare gli scambi perchè c’era,
come spesso accade nei processi infiammatori, una stasi ed un blocco del circuito il quale non riesce a trovare
una via d’uscita).

Morfologia funzionale della colonna


Osservando la colonna su un piano sagittale possiamo distinguere due zone funzionali:
pilastro anteriore> che corrisponde alla sovrapposizione dei corpi vertebrali e dei dischi intervertebrali, a
costituire la colonna portante del nostro organismo. Dall’alto verso il basso i corpi aumentano di grandezza,
dato che il peso da sostenere è maggiore.
pilastro posteriore> rappresenta la colonna dinamica
è formata dall’arco post, dalle apofisi spinose e dalle apofisi trasverse (che danno inserzione ai muscoli)
Tra queste due zone c’è la funzione di protezione della colonna per il midollo spinale e le radici nervose.

La colonna vertebrale è composta da:


- 7 vertebre cervicali > a livello più alto ci sono le prime due vertebre cervicali, che hanno caratteristiche molto
differenti dalle altre, l’occipite poggia proprio sulla prima cervicale, che è l’atlante, a formare la giunzione
cranio-cervicale, e di fatto qui l’occipite funziona quasi come una vertebra
- 12 dorsali > che si articolano alle 12 paia di coste
- 5 lombari
- 5 sacrali > fuse tra loro a formare l’osso sacro, e con gli iliaci costituiscono il bacino
- 3-5 coccigee. Questa zona è molto importante in quanto:
a) è zona di protezione/inserzione del filum terminalis e della dura madre
b) è parte posteriore del pavimento pelvico (a forma di rombo, è il diaframma del piccolo bacino), ha una
relazione con la funzionalità degli organi del piccolo bacino (delimitato anche dalle tuberosità ischiatiche e
dalla sinfisi pubica)
c) è un’importante zona viscerale del bacino.
Inoltre è la struttura dove termina la colonna vertebrale e punto di corrispondenze neurologiche che poi pos-
sono portare influssi su tutta la colonna, come per es. nei Pz che riferiscono mal di testa dopo aver preso una
botta a livello del coccige, il quale soffre sia per il trauma diretto che per la compressione della giunzione.

corpo vertebrale
La vertebra tipo
Le vertebre sono morfologicamente molto differ-
enti tra loro, ma hanno una struttura simile nelle
componenti che le costituiscono.
Se si scompone una vertebra tipo nelle sue parti
costitutive si constata che essa è formata da due
parti principali, il corpo vertebrale davanti, e
l’arco posteriore dietro.

arco posteriore

4
Anteriormente
Abbiamo il corpo vertebrale il quale
è, a seconda del livello che prendi-
amo in esame, la zona nella quale
avviene il sostegno della colonna
ma anche degli arti sup e inf.
È formato da un piatto sup ed uno
inf costituiti da osso compatto e da
una zona interna costituita da osso
spongioso.
Globalmente si articola con il corpo della vertebra sovra e sottostante attraverso il disco intervertebrale costi-
tuito da tessuto fibrocartilagineo.
Il corpo vertebrale è attraversato da trabecole ossee che si organizzano a seconda delle forze di pressione e
trazione a cui la vertebra è sottoposta.
Avremo linee di forza:
• longitudinali che si dirigono posteriormente
• trasversali e oblique che dal corpo vanno verso le trasverse
• dal piatto superiore vanno verso la spinosa e verso la faccetta articolare sup
• dal piatto inferiore vanno verso la spinosa e verso le faccette articolari inferiori

Quindi troviamo trabecolature che vanno


dai piatti verso la spinosa
dai piatti verso gli articolari e
dai piatti e dal corpo stesso verso le trasverse.
Tutte queste direzioni di forza creano, come abbiamo detto in fisica per le curve della colonna, la resistenza
della vertebra che è una resistenza ma nello stesso tempo una struttura meno pesante di quello che sarebbe
un osso pieno. L’osso pieno si spacca molto più facilmente rispetto ad un osso che ha un sistema di trabeco-
lature che corrispondono a tutte le forze che la vertebra riceve e restituisce. La cosa importante è che su un
piano sagittale tutte queste linee si intersecano nella parte peduncolare (o peduncolo), che di conseguenza
è la parte della vertebra più sollecitata e vulnerabile. La rottura di questa zona è detta spondilolisi (congenita
o traumatica), cioè una rottura in questa regione della vertebra, che provoca di fatto una soluzione di con-
tinuo tra il corpo vertebrale e l’arco posteriore. Spesso però questa soluzione di continuo è mantenuta da
altre strutture e in alcuni casi può essere anche di origine congenita per una mancata fusione o meglio una
mancata calcificazione dei nuclei di ossificazione che porta ad una minore resistenza del corpo vertebrale ris-
petto all’arcata posteriore (vi sono poi delle radiografie specifiche che evidenziano la frattura del peduncolo
5
attraverso delle proiezioni oblique).
Se alla spondilolisi segue lo scivolamento anteriore del corpo vertebrale parleremo di spondilolistesi.

Posteriormente
peduncoli apofisi
Posteriormente al corpo abbiamo la zona dinamica della vertebra, che si ma-
terializza in alcune strutture che sono: trasversa
- il peduncolo = unione funzionale fra il pilastro ant e quello post. È quella
regione della vertebra che congiunge la parte postero esterna della vertebra
all’arco posteriore della vertebra stessa; è una zona di passaggio indubbia-
mente molto critica in quanto qui avviene una trasmissione di forze molto
importanti.
- l’arco vertebrale è la struttura che segue il peduncolo, ed è formato dalle
lamine lateralmente, le quali si riuniscono posteriormente nell’apofisi spino- massiccio
lamina
sa, che è la parte che riusciamo a palpare e visionare dall’esterno. articolare spinosa
La regione centrale che va dal peduncolo alle lamine è detta massiccio articolare per la presenza delle apofi-
si articolari sup ed inf; da questi massicci si distaccano poi lateralmente le apofisi trasverse. L’arco post
delimita insieme alla parte posteriore del corpo vertebrale il canale rachideo.

Le faccette articolari
Hanno un orientamento nello spazio che è differente nei vari livelli della colonna, nel senso che sono ori-
entate su piani diversi.
Ci sono delle faccette articolari SUP e delle faccette articolari INF, perché una coppia si articola con le faccette
della vertebra sovrastante, e una coppia con quelle della vertebra sottostante.

Caratteristiche di una vertebra LOMBARE


Nella vertebra lombare si può notare come l’altezza e il diametro del corpo siano maggiori rispetto a quelli
delle vertebre toraciche e cervicali. Sul piano orizzontale, il diametro latero-lateralmente è 1,5-2 volte mag-
giore del diametro antero-posteriore. Inoltre la zona lombare è una zona della colonna adattativa, di sosteg-
no con delle necessità di dinamicità nettamente maggiori rispetto alle altre aree. Ha la forma di una sezione
di cilindro (od ovale).

Le faccette articolari della regione lombare hanno un orientamento parasagittale (cioè che si avvicina molto
al piano sagittale), in cui:
la faccetta inf guarda avanti-fuori e leggermente in basso,
la faccetta sup guarda dietro-dentro e leggermente in alto.
I due orientamenti maggiori sono:
- quella inferiore > verso FUORI e
- quella superiore > verso DENTRO (ciò spiega perchè parliamo di orientamento su un piano parasagittale).

proc. spinoso faccetta L2 processo


articolare
corpo vertebrale SUP
articolare
processo SUP proc. mamillare processo
articolare INF costiforme
proc. accessorio

processo processo
articolare SUP costiforme
forame peduncolo
vertebrale
corpo faccetta
vertebrale articolare
INF
corpo vertebrale processo proc. spinoso
zona anulare articolare
periferica INF
6
proc. spinoso faccetta
L4 processo
articolare articolare
SUP proc. mamillare corpo vertebrale SUP
processo
processo costiforme
proc. accessorio
costiforme

lamina e pedun-
colo vertebrale processo
articolare SUP
forame
vertebrale incisura
vertebrale faccetta
corpo superiore
vertebrale articolare
INF processo proc. spinoso
articolare
INF

L5
lamina processo
proc. spinoso dell’arco articolare
vertebrale INF processo
forame articolare
faccetta corpo vertebrale SUP
vertebrale articolare
SUP processo
processo costiforme
costiforme

incisura processo
vertebrale sup articolare SUP
peduncolo
corpo dell’arco
vertebrale vertebrale

faccetta proc. spinoso


articolare
INF
Elementi importanti per la PALPAZIONE
1. Grandezza del corpo vertebrale e orientamento delle faccette articolari.
2. Le spinose delle vert. lombari si trovano, su un piano sagittale, a livello del corpo vertebrale corrispondente
(in corrispondenza del bordo inf della vertebra). Inoltre la spinosa lombare è una spinosa massiccia e nella
parte posteriore è particolarmente palpabile e larga (è una fettuccia non una punta), tranne la spinosa della
V vert lomb che è molto più a punta rispetto alle altre. Avremo quindi degli spazi tra le spinose abbastanza
piccoli (anche perché il Pz è prono e sta in lordosi).
3. La trasversa della vert lomb si trova, sempre nella proiezione sagittale, nella parte alta del corpo; ciò sig-
nifica che la spinosa si trova più in basso rispetto alla trasversa della stessa vertebra.

RIEPILOGO
1. corpo vertebrale
2. peduncolo (passaggio dal corpo alla parte dinamica della vertebra)
3. massiccio articolare
4. le tre apofisi: l’apofisi trasversa e le due faccette articolari o apofisi articolari
5. le lamine che sostituiscono la regione post al massiccio articolare e si riuniscono nell’apofisi spinosa

7
Legamenti processo articolare inf
- Disco intervertebrale: vero e capsula dell’articolaz
proprio elemento legamentoso zigo-apofisaria
con funzione di stabilizzazione. leg longitud. ant processo articolare inf
È una struttura di sostegno tra processo trasverso
corpo sup e corpo inf al cui in- vertebracorpo di una
lombare processo spinoso
terno c’è il nucleo che è la parte
disco leg giallo
gelatinosa e più vitale del disco.
intervertebrale leg interspinoso
- Legamento longitudinale ant:
parte dall’occipite e arriva al leg longitud. ant leg sovraspinoso
sacro, è adeso più al corpo ver- foro intervertebrale
tebrale e meno al disco, limita i
leg longitud. post
movimenti di estensione.
- Legamento longitud. post:
parte anch’esso dall’occipite e
arriva al sacro. Si trova dietro il
corpo vertebrale all’interno del canale midollare. È più adeso al disco e meno al corpo vertebrale (questo
determina una maggiore sollecitazione a livello dei dischi con una maggiore percentuale di erniazione), limita
i movimenti di flessione.
- Legamenti gialli: uniscono lateralmente le lamine (vanno dalla lamina sovrastante alla lamina sottostante)
sono detti gialli perchè ricchi di elastina, quindi molto elastici. Hanno la funzione di proteggere del midollo.
- Legamenti interspinosi: vanno dalla parte inferiore della spinosa sovrastante alla parte superiore della
spinosa sottostante.
- Legamento sovraspinoso: è un unico fascio che dal sacro arriva all’occipite (nella parte cervicale prende il
nome di leg nucale), unisce globalmente e nella parte più esterna le spinose.
- Legamento intertrasversario: disposto lateralmente alla vertebra tra la trasversa sup e la trasversa inf, limita
i movimenti di inclinazione. Il leg di dx limita l’inclinaz a sin e quello di sin limita l’inclinaz dx.
- Capsula articolare: su ogni articolazione (4 per ogni vertebra) rappresenta il mantenimento dell’articolazione
stessa.

Tutti i legamenti limitano i movimenti di flessione. Il legamento longitudinale anteriore è l’unico che limita il
movimento di estensione perché poi intervengono l’arco posteriore e il contatto delle apofisi spinose.

PRATICA
Pz prono, reperimento delle spinose lombari a partire dall’alto (D12) oppure dal basso (osso sacro).

Approccio alla regione


1. Troviamo le basi del sacro
2. Sopra le basi troviamo le trasverse di L5 (molto difficili da palpare)
3. Dalle SIPS procedo a 45° ca. verso l’alto dovrei intercettare la spinosa di L5
4. Se vado a livello della cresta iliaca e tiro una linea immaginaria che unisce le due creste dovrei trovarmi a liv-
ello della spinosa di L4, da qui mi dirigo diagonalm (45° ca.) verso l’esterno e dovrei trovare le spinose di L5.
5. Dalla spinosa, se voglio palpare il processo trasverso, mi dirigo verso l’esterno e leggermente verso l’alto.
Un modo per capire se sto su L4, L5 o sul sacro è quello di prendere in considerazione la dimensione della
trasversa poiché la spinosa di L5 è molto più piccola della spinosa di L4.

8
processo canale vertebrale
articolare sup
processo corpo vertebrale
mammillare
processo
trasverso
corpo vertebrale

foro vertebrale

processo peduncolo
accessorio (o radice)
processo processo
spinoso trasverso

processo processo
articolare sup accessorio
lamina processo
mammillare lamina
processo processo
articolare inf spinoso

sem 3 Fierro
PRATICA

FLESSIONE ESTENSIONE
Movimenti articolari

DIVERGENZA = ANTERIORITA’ = FLESSIONE  allontanamento di una faccetta articolare rispetto all’altra, lo


spazio tra le due spinose aumenta.

CONVERGENZA = POSTERIORITA’ = ESTENSIONE  si ha quando le faccette articolari si ingaggiano, si av-


vicinano una all’altra e lo spazio tra le due spinose diminuisce.

In entrambi i casi si potranno avere delle disfunzioni simmetriche o bilaterali, cioè che interessano tutte e due
le faccette articolari, sia quella di dx che quella di sin, “bilaterali” significa che sono bloccate entrambe.

Se faccio un movimento di FLEX le spinose di due vertebre si allontanano, c’è più spazio tra esse; ma in
NEUTRALITA’ degli spazi “anomali” possono indicare una probabile disfunzione, a patto però di verificarla
con dei test di mobilità, perché possono esserci delle anomalie costituzionali, morfologiche, tali da darmi
spazi importanti ma fisiologici in quel soggetto. È importante quindi sempre il concetto di mobilità, mettere
la struttura in movimento per definirne la disfunzione.

(È molto importante anche considerare la respirazione. Per es durante l’INspirazione globalmente tutte le
curve si riducono, e a livello lombare avremo una flessione, mentre a livello dorsale un’ estensione. È impor-
tante perché esiste un test di mobilità basato proprio sulla respirazione, in cui, preso appoggio sulle spinose,
9
si va a valutare l’escursione articolare delle vertebre sia nella fase espiratoria che in quella inspiratoria).

Disfunzione vertebrale
Con questo termine s’intende una vertebra le cui faccette articolari inferiori sono in disfunzione rispetto alle
faccette articolari superiori della vertebra sottostante. Perché è importante questo concetto? Perché quando
facciamo la tecnica di chiusura in chiave dobbiamo focalizzarla, per liberare la faccetta articolare (o le faccet-
te) che ci interessa, vale a dire le faccette articolari inferiori della vertebra soprastante.
Siccome una vertebra ha 4 articolazioni (due superiori e due inferiori), per convenzione - quando si parla di
disfunzione - s’intende quanto detto sopra, altrimenti non si saprebbe a quali articolazioni si fa riferimento.

Ora stiamo facendo le disfunzioni simmetriche, ossia quelle disfunzioni che riguardano entrambe le faccette
articolari inf della vertebra in disfunzione. Questo tipo di disfunzioni seguono la II Legge di Freyette, in cui
R=S, ossia la rotazione della vertebra è dallo stesso lato dell’inclinazione (side). È una disfunzione che può
interessare anche solo 1 vertebra.

Esistono delle disfunzioni simmetriche o bilaterali e delle disfunzioni asimmetriche.


Le disfunzioni seguono la prima o la seconda legge di Freyette.
Nella I legge di Freyette: inclinazione = rotazione
Nella II legge di Freyette: inclinazione = rotazione
Un esempio della I legge �������������������������������������������������������������������������������������
è la scoliosi, ����������������������������������������������������������������������
perch�����������������������������������������������������������������
é abbiamo la rotazione in un senso e l’inclinazione nel senso op-
posto. Nella I legge devono essere coinvolte almeno 3 vertebre. Si tratta di una disfunzione che riguarda un
gruppo di vertebre, almeno 3. La riduzione si fa sulla vertebra apicale, ossia quella centrale delle 3.

Nella II legge può essere coinvolta anche solo 1 vertebra.

Esempi di disfunzioni bilaterali simmetriche


Disfunzione vertebrale bilaterale in F
Le faccette articolari sono divergenti (oppure anteriori bilaterali)
Lo spazio tra le spinose è ampliato.
a) Se ad una vertebra in disfunzione bilaterale in F faccio fare una flessione, avrò la seguente situazione:
le faccette articolari divergono ancora di più e lo spazio tra le spinose si amplia ulteriormente
b) Se ad una vertebra in disfunzione bilaterale in F faccio fare una estensione, avrò la seguente situazione:
le faccette articolari rimangono invariate, non possono convergere perché sono incastrate.
Quindi la denominazione di vertebra in disfunzione bilaterale in F significa che la vertebra pu������������
ò ancora an-
dare in F, in avanti, mentre non può andare in E, indietro. Ricordate che la disfunzione denomina il senso della
maggiore ampiezza.

Disfunzione vertebrale bilaterale in E


Le faccette articolari sono convergenti (oppure posteriori bilaterali).
Lo spazio tra le spinose è ridotto.
a) Se ad una vertebra in disfunzione bilaterale in E faccio fare una flessione, avrò la seguente situazione: le
faccette articolari rimangono invariate, non possono divergere perché sono incastrate.
b) Se ad una vertebra in disfunzione bilaterale in E faccio fare una estensione, avrò la seguente situazione:
le faccette articolari possono avvicinarsi ancora di più.

Valutazione della colonna lombare


Per arrivare a definire una disfunzione lombare si procede così:
1. osservazione globale e movimenti (F del tronco, inclinazione laterale, rotazione, leggera E)
2. palpazione
3. test di pressione
4. test di mobilità

Quindi si parte da una zona ampia e si arriva sull’articolazione bloccata, ossia una determinata faccetta arti-
colare inferiore bloccata.
10
Osservazione
Osservo i movimenti che può compiere la colonna lombare, vale a dire: flessione, estensione, inclinazione,
rotazione. È un’ossevazione di massima. La colonna lombare in posizione di neutralità presenta una lordosi.

STATICA_Pz di spalle
La colonna lombare è una zona di lordosi, dobbiamo immaginarla in neutralità.
Osservo se la lordosi è accentuata, armonica, alta o bassa.
Osservo come il tronco è stato montato sul bacino, se è shiftato.
Come sono i triangoli della taglia?
Immagino un filo a piombo che cade dall’occipite al sacro e verifico se questa linea incontra i corpi vertebrali
oppure no. Se non li incontra, ciò significa che anche i dischi vertebrali sono spostati. Se le spinose sono spo-
state posso immaginare che in quella zona ci siano delle tensioni e forse dolore.

Pz di profilo
Vedo se la curva è accentuata o no, se il bacino - in senso generico - è in conversione anteriore o posteriore e
se c’è un po’ di pancetta.

Domanda: la pancetta è un problema di lassità muscolare o c’è dell’altro? Oppure, è la pancetta a causare
l’iperlordosi o il contrario? Risposta: pensate che i muscoli sono un accessorio, un po’ come la carrozzeria di
una macchina, mentre ad un Osteopata interessa il più delle volte vedere che cosa c’è all’interno. La carrozze-
ria può avere una piccola ammaccatura e quindi il muscolo presentare un piccolo stiramento, causato da un
motivo x, ma quello che ci interessa di più è il cuore della struttura, sono le strutture portanti, il motore (vale a
dire i visceri) e tutta la circolazione dei fluidi. Pensate che tutto il pacchetto viscerale è in una sacca, che ade-
risce alla parete parietale posteriore. Inoltre tutti i visceri hanno dei legamenti, che si chiamano meso, che si
attaccano sulla parete parietale posteriore, che è aderente alla colonna e fascialmente ha una continuità su di
essa. Quindi se c’è qualcosa che tira verso il basso, la colonna si deve adattare, perché è stata creata apposta
come un susseguirsi di vertebre e di articolazioni. La colonna è la risultante di altre problematiche. Si può dire
che l’osteopatia non cura l’ernia del disco ma fa una messa a punto in seguito alla quale la colonna trova un
assetto migliore e non va a dar fastidio all’ernia. Quindi le tensioni sulla colonna possono avere origine visce-
rale, fasciale, emotiva.
Torniamo alla domanda sulla pancetta. Perché il corpo si mette in questa posizione? In questa posizione la-
vorano i muscoli accessori della respirazione, localizzati nella parte alta del torace. Di conseguenza il centro
frenico del diaframma si abbassa molto. Così facendo va a premere sulla parte alta dei reni dove si trovano le
ghiandole surrenali, che producono adrenalina, noradrenalina e cortisolo. L’adrenalina serve a rispondere a
situazione in cui ho bisogno di una reazione rapida: di attacco o di fuga, quindi una reazione anche di tipo mu-
scolare. Il cortisolo è il cortisone naturale e serve ad abbassare la soglia del dolore. La reazione di attacco o di
fuga dovrebbe essere momentanea e durare poco, mentre il problema nasce quando dura ore, giorni, anni. In
una situazione del genere, siccome i muscoli si attaccano sulle vertebre, schiacciano e comprimono e quindi
possono provocare un’ernia del disco a livello cervicale, il tunnel carpale, addormentamento delle mani.
Questo per dire che quando si tratta una schiena bisogna farsi moltissime domande, perché un mal di schiena
può avere una causa banale oppure no.

DINAMICA_Flessione
Guardo se c’è un’armonia, osservo le spinose. A livello lombare le spinose non sono tanto evidenti. Devo far
attenzione se il Pz flette le anche anziché le vertebre lombari, perché questo indica una rigidità lombare.

Inclinazione laterale
Osservo se ci sono delle vertebre che non seguono.

Rotazione
L’Osteopata tiene il bacino.

Estensione
Non è molta a livello lombare però vale la pena valutarla, perché se è assente indica che c’è un blocco.
11
Palpazione_Pz prono
Valutazione delle spinose. L’Osteopata appoggia indice e medio di entrambe le mani a dx e sin delle spinose
1) fa una pressione verso il basso, per far uscire la spinosa in esame tra le dita (Fig. 1)
2) fa scivolare la pelle sulle spinose e valuta la spinosa della vertebra superiore e quella della vertebra inferiore
(Fig. 2). Si può sentire se sono allineate o se ce n’è qualcuna fuori asse. Se con la punta delle dita si va a sbattere
contro una spinosa, vuol dire che quella vertebra è ruotata. Da ricordare che le spinose lombari sono lunghe
talvolta anche cm 1,5 - 2.
Per la II legge di Freyette�������������������������������������������������������������������������������������
:������������������������������������������������������������������������������������
�����������������������������������������������������������������������������������
����������������������������������������������������������������������������������
inclinazione ��������������������������������������������������������������������
= rotazione. Quindi quando si conosce la rotazione si sa anche l’in-
clinazione. A questo punto manca solo il parametro di F o E. Per valutarlo si deve sentire se c’è spazio tra una
vertebra e l’altra.
3) Si mettono gli indici sopra e sotto la spinosa in esame (Fig. 3). Da ricordare che L4 si trova a 45° dalla SIPS.
4) La conferma si ha appoggiando le mani sopra le creste iliache e unendo i pollici al centro: L4 (Fig. 4). La
palpazione non dice se c’è una disfunzione ma evidenzia solo la posizione delle vertebre in neutralità. Per
evidenziare una disfunzione si devono fare i test di mobilità.

1 2 3

4
Test di mobilità
1. Si basa sulla respirazione. In INspiraz la colonna lombare fa una F (in generale in INsp tutte le curve della
colonna sono meno accentuate, quindi per appiattire una lordosi bisogna fare una F). Chi invece sente di inar-
care la schiena in Insp, deve attribuirlo ad un’ anormalità, dovuta ad una cattiva respirazione diaframmatica.
Ricorda: i bambini respirano di pancia.
L’Osteopata, con le mani sulle spinose, chiede al Pz di INsp e sente che cosa succede (Flessione) e lo stesso
durante l’Esp (Estensione). A quel punto può denominare la disfunzione.

sem 3_Longobardi

Fisiologia vertebrale
Nella valutazione di una vertebra, il punto di riferimento è sempre la vertebra sottostante; ma per testare la
mobilità, devo considerare la NEUTRALITA’ della vertebra stessa, che è lo stato dal quale si parte per mettere
in movimento la struttura. Dello stato di neutralità della vertebra consideriamo principalmente due elementi
fondamentali:
a) parte STATICA (ant)  la sovrapposizione dei corpi vertebrali tramite i dischi intervertebrali, che determi-
nano la COLONNA STATICA ovvero quello che supporta i carichi;
b) parte DINAMICA (post)  la sovrapposizione degli archi, provvisti non a caso di apofisi, muscoli e lega-
12
menti deputati alla mobilizzazione delle vertebre.
Consideriamo lo stato di mobilità o immobilità di una vertebra rispetto alla sottostante con al centro il
disco intervertebrale. Notiamo che a livello lombare il nucleo polposo è spostato un po’ indietro.

Neutralità
È lo stato in cui la vertebra si trova in appoggio discale rispetto alla sottostante. Le faccette articolari sono
in stato di quiete. Vi è un equilibrio muscolo-legamentoso a dx e sin. È una condizione ideale per iniziare la
mobilità.
Parliamo di condizione di neutralità rispetto ai movimenti che si possono produrre, quindi una vertebra in
neutralità non avrà né uno stato di flessione, né di estensione, né di rotazione, né di inclinazione, ma rispon-
derà alla forza di pressione con un appoggio discale nel quale si ha una reazione della struttura discale, che
come sappiamo ha una duplice funzione, oltre alla funzione legamentosa, in quanto adesa ai piatti vertebrali,
ha anche una funzione di ammortizzazione, per cui risponde, con l’appoggio sul condilo discale; anche a livel-
lo delle faccette articolari abbiamo una situazione di neutralità, in quanto non essendo in movimento, si trova
in una condizione di riposo; la reazione a questo appoggio è anteriore; equilibrio muscolare e legamentoso di
tutte le componenti posteriori. La vertebra si trova quindi in uno stato di equilibrio tra tensione e detensione,
sia a dx che a sin della vertebra stessa.
Neutralità = appoggio discale / reazione alla pressione / non impegno delle faccette articolari / equilibrio
delle strutture muscolari e legamentosi alla vertebra connesse.

Mobilità vertebrale
Dalla situazione di neutralità, mobilizzando la vertebra, si possono avere 2 tipi di movimenti:

1) movimenti simmetrici. Sono quelli in cui la parte dx e quella sin della vertebra compiono lo stesso movi-
mento. Sono i movimenti di flessione e estensione bilaterali (bilaterale perché il movimento fa riferimento
alle due faccette articolari)
2) movimenti asimmetrici. Sono quelli in cui la parte dx fa un movimento e quella sin ne fa un altro. Sono i
movimenti di inclinazione e rotazione dx o sin.

Movimenti simmetrici
Flessione bilaterale (dalla posizione neutra)
Partendo da uno stato di neutralità, durante la flessione, la vertebra sovrastante compie un’inclinazione del corpo
vertebrale in avanti, quindi globalmente il corpo vertebrale si inclina in avanti. Lo spazio intervertebrale diminuisce
anteriormente, e il nucleo viene sospinto all’indietro.
Il corpo vertebrale s’inclina avanti, tanto che la parte ant del corpo vertebrale guarda in avanti-basso, mentre
la parte post va in avanti-alto. Poiché anteriormente si riduce lo spazio, il disco è compresso e il nucleo pol-
poso fugge posteriormente.
Tutte le strutture legamentose post sono in tensione, vale a dire:
leg long post
leg interspinosi
leg sovraspinosi
leg gialli
Le faccette articolari inf della vertebra soprastante vanno avanti-alto (si può dire anche in divergenza).
Questo movimento avviene teoricamente in 2 tempi:
1) preparazione del movim > le faccette si preparano ad allontanarsi
2) divergenza vera e propria
Divergenza = flessione = anteriorità (termini sinonimi)

Estensione bilaterale (dalla posizione neutra)


È il movimento opposto alla flessione, durante il quale la vertebra sovrastante compie uno scivolamento verso la
posteriorità, per cui il corpo vertebrale nella sua porzione posteriore guarda più verso il basso. Lo spazio interverte-
brale diminuisce indietro e il nucleo viene spinto in avanti.
La vertebra sovrastante s’inclina post, la parte post del corpo vertebrale guarda dietro-basso. Lo spazio inter-
vertebrale è più stretto dietro e più largo davanti, quindi il nucleo del disco è spinto verso l’avanti.
13
Il leg long ant e il contatto delle spinose limitano il movimento di estensione.
Le faccette articolari inf della vertebra soprastante vanno dietro-basso (si può dire anche in convergenza).
Convergenza = estensione = posteriorità (termini sinonimi)

Nei movimenti bilaterali/simmetrici di F e E non ci sono componenti di rotaz e inclinaz.

Movimenti asimmetrici
Inclinazione laterale (si abbrevia con S = side)
È un movimento in cui il corpo si inclina sul piano frontale, su un
solo lato, determinando una convergenza della faccetta articolare
di quel lato ed una divergenza della faccetta articolare opposta (per
es. in una inclinazione dx, la faccetta articolare di dx converge e la
faccetta articolare di sin diverge).
La vertebra soprastante s’inclina su un lato realizzando un movi-
mento di convergenza dal lato dell’inclinazione e di divergenza
dal lato opposto. In una inclinaz dx, la faccetta dx va in conver-
genza e quella di sin va in alto e avanti.
I leg intertrasversari dal lato della convessità (o divergenza) limi-
tano il movimento.
Il disco intervertebrale viene compresso dal lato della inclinaz
per cui il nucleo viene spinto verso la convessità (lato opposto
dell’inclinazione).
In questo movimento di inclinazione le faccette articolari fanno movimenti opposti: la faccetta dx va in con-
vergenza, vuol dire che scivola in BASSO/DIETRO; mentre la faccetta di sin, essendo in divergenza, va in ALTO/
AVANTI. Quindi non solo le faccette alzandosi da un lato si abbassano dall’altro, ma vanno anche in avanti o in
dietro seguendo il movimento, questo vuol dire allora che l’inclinazione non è un movimento puro sul piano
frontale (Fryette), ma per le sue condizioni, si accompagna anche alla rotazione.

Rotazione laterale
È il movimento in cui la vertebra, rispetto alle faccette articolari, si posteriorizza da un lato e si anteriorizza dall’altro,
producendo una rotazione del corpo vertebrale, che si definisce dal lato verso il quale ruota la parte anteriore del
corpo vertebrale, e coincide con il lato in cui la faccetta articolare si posteriorizza.
(per es. in una rotazione dx avrò che la faccetta di dx va in posteriorità, la faccetta di sin va in anteriorità, il
corpo ruota a dx nella parte anteriore e la spinosa devia a sin).

Una faccetta della vertebra soprastante si posteriorizza (lato della rotazione), mentre l’altra si anteriorizza. La
rotazione si definisce dal lato in cui ruota la parte ant del corpo vertebrale. Il corpo gira verso la faccetta che si
posteriorizza, mentre la spinosa verso la faccetta che va in avanti.

A livello vertebrale, tranne che per l’Atlante, non esistono movimenti di rotaz e inclinaz puri, ma solo mo-
vimenti combinati. Quindi non posso ruotare una vertebra se insieme non la inclino. Per es. una inclinazione
dx comprende una rotazione dx, se parlo di 2 vertebre.
Questi fenomeni sono sempre presenti nella fisiologia del rachide e sono stati codificati da Fryette.
Fryette ha studiato i movimenti combinati della vertebra, sia nel caso di una vertebra sulla sottostante, quindi
un movimento vertebrale isolato, che nel caso di movimenti di un gruppo di vertebre.
Definiamo gruppo di vertebre, un gruppo di almeno 3 vertebre, chiamando apicale o vertebra apice la
vertebra che si trova al centro; e limitanti o estreme le vertebre che si trovano all’inizio o alla fine.

Se prendiamo in considerazione la colonna lombare, definiamo L3 apicale ed L1 - L5 limitanti. Se abbiamo un


gruppo di 4 vertebre le due centrali sono le vertebre apicali, quella sopra e quella sotto le limitanti.

H.H. Fryette enunciò le leggi dei movimenti fisiologici della colonna vertebrale.
I movimenti della colonna vertebrale sono quelli di Extension-rotation-sidebending (ERS) o di Flexion-side-
bending-rotation (FSR).
14
I movimenti ERS e FSR dipendono dalla morfologia della curva nelle quale si trovano le singole vertebre.
Il movimento fisiologico di una singola vertebra non dipende dunque da se stessa, ma dalla morfologia della
curva di cui si trova a far parte.

Nomenclatura convenzionale internazionale:


E = estensione, F = flessione, N = neutralità, S = inclinazione (side bending), R = rotazione
1° legge di Fryette
Si applica ai gruppi vertebrali.
Dato uno stato di neutralità di un gruppo di vertebre, una incli-
nazione lat è possibile solo se accompagnata da una rotazione
opposta delle vertebre occupate nel movimento.
Se inclino il rachide lombare a dx, contemporaneamente esso
farà una rotazione a sin.
In questo movimento, la rotazione massima avviene sulla ver-
tebra apicale, che si inclina di meno; mentre l’inclinazione mas-
sima avviene tra le limitanti, che ruoteranno meno.
Nel rachide lombare, L3 ruota di più e L1 ed L5 inclinano di più
 NSR sin  rotazione sin / inclinazione dx.

NSdRs S R

Fattori causa di questo movimento:


1. migrazione dei nuclei dei dischi intervertebrali
I dischi sono strutture legamentose e sono adesi ai corpi. Il nucleo, che nella neutraltità è un pò dietro, nella
inclinaz dx per es. migra nella convessità e poiché è dietro ruota la vertebra a sin.
L’inclinazione laterale aumenta la pressione del disco dal lato della concavità; dal momento che anche il disco
è cuneiforme, la sua sostanza (anche il nucleo), compressa, tende a sfuggire verso il lato più aperto, cioè
verso la convessità, da qui la rotazione.
Questo determina durante l’inclinazione, oltre la migrazione verso il lato della convessità, anche una migrazi-
one verso dietro del nucleo, perché il nucleo come parte del disco è adeso ad esso, e ne segue il movimento.
È questo il primo fenomeno che spiega la rotazione dei corpi vertebrali, perché le vertebre trovandosi in neu-
tralità, sono in appoggio discale, nel momento dell’inclinazione, il nucleo, che è già posteriore, oltre ad andare
verso sin, va in dietro-sin, e se una vertebra la porto dietro-sin, vuol dire che sta ruotando a sin.

2. tensionamento delle strutture lat, in part dei leg intertrasversari, dal lato della convessità
C’è una legge fisica della fisiologia articolare, che si applica anche nella fisica biologica, per cui un corpo che è
sottoposto a una forza di trazione o di pressione, modificherà il suo posizionamento nello spazio per evitare il
punto di rottura  ADATTAMENTO. Se faccio un’inclinaz a dx i leg intertrasv di sin sono in tensione. Per sfug-
gire a questa tensione si spostano verso la linea mediana, perché lì diminuisce la divergenza delle trasverse.
Siccome sono post al fulcro del movimento, quando si avvicinano alla linea mediana, trazionano i corpi e li
fanno ruotare. La trazione avviene sul lato opposto a quello in cui avviene la rotazione dei corpi vertebrali.
Questa legge è valida per rachide lombare e dorsale ma non per il rachide cervicale.

È da sottolineare che questi due meccanismi (1+2) sono sinergici e contribuiscono, ciascuno a suo
modo, alla rotazione nello stesso senso dei corpi vertebrali.

Questa rotazione è fisiologica. Tuttavia in certi casi, alterazioni della statica vertebrale dovute sia ad una
anomala ripartizione delle tensioni legamentose, che a delle irregolarità di sviluppo, provocano una rotazione
permanente dei corpi vertebrali. Si realizza così una scoliosi che associa una curvatura o inclinazione laterale
permanente della colonna, ad una rotazione dei corpi vertebrali.
L’ NSR è una rotoscoliosi, in cui la rotazione avviene sempre dal lato della convessità della curva, che corri-
sponde al gibbo posteriore; dal lato dell’inclinazione invece avremo il gibbo anteriore; questo perché, es-
sendo la colonna collegata alle coste, la rotazione di essa, produce un gibbo posteriore, ma la parte dx va in
avanti producendo il gibbo ant (anche se non è un vero gibbo quello ant).
15
In una NSR avremo una rotazione massima nella vertebra apicale mentre nelle vertebre estreme o limi-
tanti avremo la massima inclinazione. Immaginando il gruppo di vertebre L1-L5
L3 (vertebra apicale) > massima R minima S
L1-L5 (vertebre limitanti) > massima S minima R

2° legge di Fryette
Si applica ad una singola vertebra rispetto alla sottostante.
Non essendo in neutralità, ci sarà uno stato di F o di E della vertebra. Se una vertebra rispetto alla sottostante
si trova in uno stato di F o di E, ad una rotazione è sempre accompagnata un’inclinazione omolaterale.
FRdSd S=R
ERsSs S=R
Abbiamo visto che la convergenza e la divergenza mettono insieme due movimenti.
FRSdx  se sono in uno stato di flessione, mi compare una rotazione e contemporaneamente un’inclinazione
omolaterale, perché nel momento in cui le due faccette articolari devono tornare alla condizione di neutralità,
la faccetta di destra torna, mentre quella di sin rimane li = F / divergenza / anteriorità sinistra.
ERSsin  se mi trovo in uno stato di estensione, nel ritorno alla neutralità, qualcosa ad un certo punto rimane
in una posizione di blocco su una faccetta articolare, perché una viene avanti e l’altra no = E / convergenza /
posteriorità sin.

la lettera quindi non indica il lato della disfunzione, ma solo il lato della inclinazione-rotazione della vertebra;
non si riferisce alla faccetta in disfunzione.

3° legge di Fryette
I parametri della disfunzione sono tra loro inversamente proporzionali e hanno un’importanza maggiore nell’ordine
in cui sono scritti.
EoF>R>S
N>S>R
FRS: senza la F non ci sarebbe la disfunzione;
NSR: senza la N non ci sarebbe la prima legge;
e tutti questi parametri del movimento sono in rapporto di proporzionalità, in quanto la loro somma da un
valore specifico X.
La 3°Legge specifica meglio quello che avviene durante le prime due leggi. I movimenti delle prime due sono
tra di loro inversamente proporzionali e sono d’importanza progressiva in base a come sono enunciati. F ed E
sono i primi elementi che vengono fuori e sono più importanti rispetto a R, che a sua volta è più importante
di S
60 30 10 N 60 30 10
E R S F R S
Nella valutazione della mobilità di una vertebra, devo integrare queste leggi ai test di mobilità, al fine di de-
terminare una possibile disfunzione.

Le leggi di Fryette non trovano applicaz nel rachide cervicale sup C0 (0 = occ sul rachide)- C1 - C2 e in generale
la prima non trova applicaz sul rachide cervicale.

sem 4_ Longobardi

Non si può mai denominare una disfunzione senza aver eseguito dei test di mobilità. Infatti dal semplice po-
sizionamenti della vertebra non si può definire una disfunzione.

Cominciamo con un breve ripasso delle leggi di Fryette.


Sono leggi che servono ad interpretare come dalla fisiologia vertebrale si passa a delle situazioni disfunzi-
onali.
La 1° legge di Fryette si applica ad un gruppo di almeno 3 vertebre: partendo da uno stato di neutralità (N)
quando si produce una inclinazione laterale (S) da un lato avviene una rotazione (R) dei corpi vertebrali in
16
senso opposto.
Quindi la vertebra si trova in appoggio discale, con le faccette articolari non ingaggiate, i tessuti molli, cioè le
fasce e i muscoli sono in pretensionamento quindi non di impegno né da una parte né dall’altra, da questa
situazione di partenza per un gruppo di vertebre un’inclinazione è possibile solo se accompagnata da una
rotazione controlaterale dei corpi vertebrali. La rotazione e l’inclinazione sono opposte e l’osservazione mette
in evidenza che nel gruppo delle vertebre le 2 vertebre marginali hanno la maggiore inclinazione e la minore
rotazione, mentre nella vertebra apicale, che è la vertebra centrale, non si verifica inclinazione ma si ha il mas-
simo della rotazione (se immagino il tratto lombare L1-L5 l’apicale sarà L3, le marginali saranno L1 e L5).
Questo ci permette di individuare la vertebra apicale e soprattutto di poter esercitare su questa vertebra una
manovra correttiva.
Quello che noi chiamiamo NSR altro non è che una scoliosi.
In una scoliosi importante, facendo una RX sul piano frontale si potrà vedere la spinosa della vertebra apicale
che, a causa della rotazione, sarà osservabile, addirittura sul piano frontale.
Nel caso di una disfunzione di un’unica vertebra sulla sottostante facciamo riferimento alla 2° legge di Fry-
ette.
Quindi, che sia chiaro quando diciamo: “disfunzione sulla vertebra sottostante”, oppure “inclinata rispetto alla
vertebra sottostante” che il riferimento è sempre rispetto alla vertebra sottostante.
Si tratta di una disfunzione monovertebrale, cioè rispetto allo stato di neutralità e rispetto al movimento che
può fare la vertebra, una delle due faccette articolari rimane in uno stato di flessione (F) o di estensione (E),
che a sua volta determina una rotazione e una inclinazione, questa volta, però omolaterale, cioè sullo stesso
lato.
Ricordiamo anche la 3° legge: quando in un’articolazione intervertebrale abbiamo un iniziale movimento
in uno dei piani nello spazio si inibiscono o diminuiscono i movimenti di questa articolazione negli altri due
piani dello spazio per cui in una FRS il movimento più importante sarà quello di flessione; rotazione e incli-
nazione saranno di livello minore.
Risposta ad una domanda: per le vertebre cervicali non possiamo applicare la 1° legge perché non esiste lo
stato di neutralità, c’è sempre un contatto interfaccettario.

Classificazione delle disfunzioni a livello vertebrale


Al livello vertebrale vi è uno stato di neutralità della vertebra, in cui essa si trova in appoggio discale e le
faccette articolari non sono ingaggiate né in F né in E. Da questa posizione si possono avere vari tipi di movi-
menti sia simmetrici (F o E) che asimmetrici. Tali movimenti possono andare incontro a delle disfunzioni, che
sostanzialmente sono di due tipi:

Tipo 1 > 1° Legge > disfunzioni NSRdx o NSRsx (S R)


Sono disfunzioni che si organizzano in gruppi di vertebre (1° legge di Fryette). Sono essenzialmente delle
NSR, quindi avremo delle NSRdx e NSRsx dove la S è diversa dalla R (S≠R). Anche se non scrivo NSsxRdx è
sottinteso perché la S (side bending) cioè inclinazione è diversa dalla rotazione, quindi la definizione corretta
sarà ad esempio NSRdx L1-L5 così saprò che l’inclinazione è a sinistra (S), la rotazione è a destra (Rdx) e sarà
indicato anche il gruppo di vertebre interessato (L1-L5) ed io avrò tutti i parametri, inclinazione, rotazione il
gruppo di vertebre interessato.

Tipo 2 > 2° Legge > di una vertebra su quella sottostante (ciò non esclude che anche altre vertebre siano in
disfunzione, magari anche con la stessa disfunzione).
In uno stato di F o E unilaterale, l’inclinazione è preceduta da una R (= rotaz) unilaterale, quindi si avrà una FRS
o una ERS, che significa che una vertebra rispetto alla sottostante fa prima una flessione o un’estensione, a cui
segue una R e un’inclinazione (= S, side) omolaterale.

Le disfunzioni di tipo 2 possono essere:


Tipo 2 > disfunz SIMMETRICHE> F o E bilaterale
Per disfunzione simmetrica s’intende che la parte dx della vertebra fa la stessa cosa della parte sin. Il piano di
simmetria è il piano sagittale che divide il corpo in due metà. Quindi tutte e due le faccette articolari si bloc-
cano in una stessa direzione (F o E).

17
Tipo 2 > disfunz ASIMMETRICHE> sono quelle in cui la vertebra presenta una disfunzione su una sola
faccetta articolare; tale disfunzione può esordire o con una F o con una E.
disfunz asimmetriche MONOLATERALI (in cui R = S)
FRSdx
FRSsin
ERSdx
ERSsin

disfunz asimmetriche BILATERALI> in questi casi, poiché la componente di F o E è diversa


sui due lati, si utilizza il termine di anteriore (flessione /divergenza) o posteriore (estensione/
convergenza) e quindi si definirà la disfunzione come
posteriore dx e anteriore sin
oppure post sin e ant dx.
1) post dx + ant six
2) post sin + ant dx

1 2
Ricapitolando ERSdx o sin POSTdx + ANTsin
FRSdx o sin MONOLATERALI POSTsin + ANTdx BILATERALI
Nelle disfunzioni asimmet-
riche possiamo trovare ques- Sono quelle in cui 1 faccetta Sono quelle in cui entrambe
ti casi: è bloccata in F o E e 1 è lib- le faccette sono bloccate
era di tornare alla neutralità una in ANT una in POST.
Il fatto che riguardi 1 sola vertebra, non esclude che ce ne possa essere più di 1 in uno stesso segmento.
Per es. L3 in disfunzione su L4 che a sua volta può essere in disfunzione su L5. Quindi se trovo più di una ver-
tebra in disfunzione non per forza sarà una disfunzione di tipo 1, ma anche di tipo 2, ad esempio posso aver 2
o 3 vertebre consecutive che hanno una disfunzione di ERS o FRS.

Ai test sarò in presenza di una vertebra in disfunzione di F se essa si riallinea durante la F e viceversa in presen-
za di una disfunzione in E, se la vertebra si riallinea in E. Qualora non si riallinei né in F né in E, sarò in presenza
di una disfunzione bilaterale asimmetrica.

SCHEMA
I TIPO II TIPO
NSRdx a  FLEX
NSRsin ESTENS

b  ERSdx/sin
FRSdx/sin

c  ANTdx + POSTsin
ANTsin + POSTdx

Andiamo a vedere qualche esempio di deviazione di una spinosa ed il relativo ragionamento per attribuire e
denominare una disfunzione.
Ipotizziamo di trovare L3 spostata a sin: rispetto alla linea di simmetria la spinosa a sin ci dice che la vertebra
è ruotata a dx e inclinata a dx; le possibilità sono che ci troviamo di fronte a una ERSdx oppure una FRSdx op-
pure POSTdx +ANTsin.
La disfunzione viene nominata SOLO con il test di mobilità.
Prima di valutare vertebra per vertebra possiamo fare una leggera pressione a livello lombare che ci potrà
evidenziare una zona di restrizione, in questo modo non andremo a valutare le vertebre ma come i tessuti
restituiscono il movimento, quindi ricercheremo qualche punto di resistenza, si tratta di una misurazione
18
qualitativa, non quantitativa. Potremo effettuare delle pressioni vertebra per vertebra, a gruppi di due e a
mano aperta, valuteremo la risposta che otterremo dai tessuti, cercheremo un punto di resistenza, di mag-
giore densità delle strutture sotto la mano; per fare un es, se faccio questo tipo di lavoro sulle due ginocchia
che informazioni potrei ottenere? Forse uno sarà più caldo, o più gonfio, informazioni qualitative.
Torniamo alla nostra spinosa di L3 ruotata a sin, se affermo che si tratta di una FRS dx in base a quali informazi-
oni lo faccio?
Vuol dire che al test di flessione la spinosa si è riallineata in F, segno che le 2 faccette articolari sono in grado
di fare una flessione bilaterale.
Tornando in neutralità vedo che ritorna in rotazione.
Faccio allora il test di estensione e vedo che la deviazione aumenta perché la faccetta di sin è rimasta in flex
mentre la faccetta di dx, che è libera, è andata in estensione.
Per far flettere e ruotare una vertebra a dx bisogna che la faccetta di sin vada avanti.
Questo vale in tutti i casi, in una ERSdx se la spinosa dietro è deviata a sin, facendo la F aumenta la rotazione
e nell’estensione si riallinea, la faccetta di sin è andata in avanti.
Se ne abbiamo una bloccata in flex e una bloccata in est vuol dire la vertebra è ruotata a dx e quindi la causa è
che la faccetta di sin è andata in avanti, ed è il caso delle asimmetriche bilaterali che sono illustrate sopra.

Altro caso: spazi interspinosi con variazioni negli spazi. Mi sembra che lo spazio fra L2 L3 sia più ridotto degli
altri. Faccio il test di mobilità: faccio flettere, cosa succede? Lo spazio si apre? Si.
Durante l’estensione cosa succede, si chiude? No
La disfunzione sarà L2 in flex bilaterale.
Se invece durante la flex non si fosse aperto e durante l’estensione si fosse chiuso avrei avuto L3 in estensione
bilaterale.

Facciamo un pò di test.
Punti di repere per individuare L4 L5 oltre al test con le mani sulle creste iliache, c’è da ricordare che la spinosa
di L5 differisce dalle altre: è più puntiforme, le altre sono più quadrilatere ciò la rende ben identificabile, al-
tro punto di repere importante a livello lombare sono le trasverse, alla palpazione le troviamo più in alto della
spinosa della stessa vertebra.

Se trovo uno spazio più ristretto tra due spinose ma si apre e si chiude vuol dire che non c’è disfunzione. Ri-
cordare che la disfunzione si nomina con il test di mobilità. Quando una spinosa sembra deviata ma non siete
sicuri provate a fare così: a prendere la spinosa fra le dita di una mano e mantenendo la spinosa della vertebra
inferiore con l’altra mano, date una leggera rotazione a dx e a sin (si sentirà la differenza nella qualità dei tes-
suti), oppure andate a sentire le trasverse che saranno (in caso di disfunzione) una più anteriore e una più
posteriore. Attenzione alle disfunzioni asimmetriche in cui una faccetta è bloccata aventi e l’altra dietro.
Gli spazi intervertebrali andranno valutati uno per volta.
I test in F ed E potranno essere effettuati anche attraverso dei test respiratori: a volte i Pz hanno dolore per cui
chiedere loro determinati movimenti sarà difficile, più facile invece fare i test respiratori.

Ecco come vanno effettuati: Pz sul lettino, posizione prona, respirazione più profonda; a livello lombare in-
spirazione = flessione e si può chiedere anche un’apnea di pochi secondi, espirazione = estensione. A livello
toracico sarà l’inverso.
Attenzione perché alcune persone hanno una respirazione molto toracica, cosiddetta respirazione paradossa,
che può alterare i risultati quindi, magari, chiedere al Pz di fare una respirazione più addominale, gonfiando
la pancia.

PRATICA
Tecnica diretta
Ipotizziamo la seguente disfunzione: L3 in ERSdx

Posizionamento del Pz
Pz in decubito lat (per es. in caso di ERS dx si posiziona il Pz sul lato della rotazione, o della post cioé a dx)

19
Pz in asse dalla
testa ai piedi e in
equilibrio ancora
prima di chiudere
le leve

attenzione alla posizione della lordo-


si lombare, soprattutto nelle donne
(un’accentuata lordosi corrisponde
ad una E e quindi ad un parametro
non ideale). L’Osteop riposiziona la
colonna lombare, senza far interveni-
re il Pz, mettendo le mani all’altezza
dell’iliaco appoggiato sul lettino.

si cerca il livello della


disfunzione, cioé L3
su L4 (indice e medio
della mano craniale
sono sulle spinose di
L3 e L4)

Chiusura in chiave
Si parte dalla leva inf, si sente
il movimento tra L4 e L3 e ci si
ferma quando si sente l’ultimo
movimento su L4 = la barriera
articolare (nelle tecniche artico-
lari è importante cercare l’ultimo
movimento e non il primo come
nelle TEM). Il primo movimento che
si percepisce è la barriera visco-
elastica (va bene per le tecniche
fasciali). Se si facesse una tecnica
articolare sulla prima barriera visco-elastica, il risultato sarebbe del tutto inefficace.

20
attenzione
a non far
ruotare il
bacino del Pz,
perché in tal
caso il livello
sale e invece
di L3-L4 si
arriva a L1

posizione errata posizione giusta


si controlla la leva
inf con le gambe
(a) oppure fissando
il bacino dall’alto
con l’avambraccio
caudale (b).

a b
oppure, se il Pz è molto
alto, si controlla la leva inf
con il bacino

si sposta il braccio del Pz per


bilanciare la posizione della
gamba

si chiude la leva sup con


una presa il più possibile
vicino alla spalla e facen-
do un movimento verso
l’alto (per ottenere una R
a sin di L3 e invertire il I
parametro)

si fa fare una piccola F*


del tronco (per invertire il
secondo parametro) si posiziona la testa del Pz in asse con la colonna
e il mento in asse con lo sterno

21
*piccola perché per la III legge di Freyette il movimento arriva subito, in quanto si è già su L3

attenzione a non
lasciare la testa né
appoggiata sul let-
tino né ruotata verso
il soffitto

si chiede al Pz di
intrecciare le braccia

posizione corretta del braccio craniale posizione scorretta del braccio craniale
(tra il seno e la spalla)

direzione corretta della leva sup e inf direzione scorretta della leva sup e inf
- l’Osteopata si
posiziona, chiede
al Pz di respirare (in
INsp mantiene e
in Esp aumenta la
rotazione) e sente se
il posizionamento
è sufficientemente
preciso tra L3 e L4

22
se l’Osteopata sente
di aver perso il livello,
cerca con le sue gambe
di muovere la leva inf (o
la leva sup) e far risalire
(o scendere) il cursore

poi chiede al Pz di prendere aria, espirare e ricontrolla con l’obiettivo di avvicinarsi sempre di più alla barrie-
ra articolare. L’Osteopata deve sentire che sopra a L3 e sotto a L4 tutte le vertebre sono chiuse, in modo che
la tecnica avvenga solo tra L3 e L4. Quindi è fondamentale posizionare bene il Pz e fare bene la chiusura in
chiave.

posizione corretta; le posizione scorretta posizione scorretta


spalle dell’Osteopata
sono a piombo sull’anca
e la spalla del Pz
quando l’Osteopata sente di aver messo in
tensione i tessuti al massimo, dopo una serie di
INsp/Esp, fa un thrust in una fase Espiratoria
(un ulteriore aumento piccolo e veloce di R) o
sulla leva inf o su quella sup (è indifferente poi-
ché si tratta di L3).

Non è sempre necessario fare un thrust a coppia.

Il thrust parte dal corpo e non dagli avambracci

23
variante della presa nel caso di una
in caso di una disfun- disfunzione alta si
zione di L5 su S1 può partire anche
dalla leva sup

Ipotizziamo la seguente disfunzione: L4 in FRS dx

L4 è in R dx invertendo la R di L4 inverto un parametro

con la derotazione della leva inf la faccetta di L4 va


ancora di più in posteriorità, ossia verso la correzione
sem 5_Longobardi

Usiamo le TECNICHE DIRETTE per andare direttamente a invertire i parametri di una disfunzione (rispetto al
punto prossimale, su uno o più piani dello spazio).
A livello vertebrale ci organizziamo su tre piani dello spazio. Quando prendiamo in esame una vertebra, sia
nel test sia nel posizionamento, dobbiamo immaginarci come si posiziona nello spazio rispetto ai tre punti di
repere. Quindi le vertebre sono un po’ più complesse da interpretare.
L3 in ERS dx: la faccetta in disfunzione è la dx che si trova in posteriorità (o estensione, o convergenza, tutti
sinonimi). La vertebra è in rotazione dx (movimento sul piano orizzontale), inclinazione laterale (piano fron-
24
tale) ed estensione (piano sagittale). Quindi ci sono tanti parametri da considerare quando cerchiamo il po-
sizionamento nella tecnica diretta per invertire i parametri della disfunzione. Cerchiamo sempre di invertirli
tutti, ma delle volte saremo costretti a sacrificare uno o due parametri e saremo così limitati nell’efficacia della
tecnica (ad es. nelle tecniche per le vertebre cervicali), e qualche volta a sacrificare anche il Pz! (ha-ha-ha tutti
a ridere!).
Nelle tecniche dirette andiamo a sentire, cercare l’ultima barriera possibile, che è la barriera articolare, che de-
termina prima un detensionamento delle fasce più superficiali, poi un detensionamento delle fasce più pro-
fonde fino ad arrivare nella zona dei muscoli monoarticolari vicino alla disfunzione, superiamo anche quella
resistenza e facciamo direttamente invertire la posizione alla faccetta articolare in disfunzione: tecnica diretta
con thrust (alta velocità bassa ampiezza). In questa tecnica solo l’operatore è attivo: il Pz è attivo solo per
quanto riguarda la respirazione.

Tecniche DIRETTE
1. Thrust (es. lombar roll) = tecnica ad alta velocità e bassa ampiezza.
2.Tecniche a energia muscolare (TEM) = utilizza la respirazione e la partecipazione del Pz con una contrazione
muscolare. Si fa lavorare il muscolo in contrazione isometr. (in media 3 respirazioni, si può arrivare anche a 5)
Passaggi della tecnica:
- si chiede al Pz di INspirare (NO una grande inspiraz perché altrimenti si perde la chiusura in chiave)
- durante l�������������������������������������������������������������������������������������������������
’������������������������������������������������������������������������������������������������
apnea INspir l����������������������������������������������������������������������������������
’���������������������������������������������������������������������������������
Osteopata chiede al Pz di spingere contro il suo braccio craniale o caudale o en-
trambi (3 sec di contrazione); la quantità delle contrazioni da fare sulla leva sup o su quella inf o su entrambe
dipende da che cosa si sente con i polpastrelli (se per es. si sente che si sta andando troppo in basso, significa
che si sta recuperando troppo sulla leva sup e così nella contrazione seguente si fa lavorare la leva inf oppure
se si sente di essere ben bilanciati si può chiedere una contrazione su entrambe le leve)
- 3 sec di pausa, mentre il Pz espira
- l’Osteopata cerca una nuova barriera visco-elastica

Nelle tecniche a energia muscolare facciamo comunque una tecnica diretta perché invertiamo direttamente
i parametri della disfunzione, ma a differenza del thrust si chiede la partecipazione attiva del Pz. In questo
caso non lavoriamo sulla barriera articolare ma sulla barriera muscolare, sulla barriera visco-elastica, cioè sul
muscolo che mantiene la posizione della faccetta articolare in disfunzione. Quindi non parliamo dei grossi
muscoli paravertebrali, fasici, superficiali del movimento, tipo gran dorsale, romboidi, dentato, ma si tratta dei
muscoli monoarticolari, (es. trasverso spinoso, andare a vederli) i muscoli più profondi della statica, che vanno
dalla spinosa alla trasversa, sono legati ad una sola faccetta articolare.
In che modo andiamo ad agire su questi muscoli? Andando ad agire su una contrazione isometrica. Ad es-
empio: nel gomito, disfunzione di flessione è mantenuta dal flessore. Devo far sì che questo muscolo abbia
una barriera motrice sempre più vicina alla neutralità. Devo far detendere la tensione del flessore che vince
sull’estensore, antagonista. Porto l’articolazione fino a sentire la tensione del flessore. Con la tempistica dei
3sec-3 sec andiamo a recuperare gradualmente sulla tensione del muscolo per avvicinarsi alla neutralità. Se
dovessi invece usare una tecnica diretta andrei ad avvicinarmi, stirando il muscolo, alla barriera articolare,
e qui farei la tecnica diretta. Quindi mi avvicino alla barriera articolare seguendolo durante 2-3 respirazioni
per arrivare al massimo delle possibilità perché dobbiamo superare anche la tensione del muscolo per ar-
rivare alla barriera articolare. Se non si fa una corretta messa in tensione si fa una tecnica sul muscolo, non
sull’articolazione, per cui la tecnica non è efficace! La barriera articolare è l’ultima che compare. Quella musco-
lare è la prima che compare (per tecnica sul muscolo).
Quindi entrambe le tecniche sono dirette. Una con e una senza l’ausiliio del Pz.

Tecniche INDIRETTE
1.Tecniche di aggravamento o tecniche funzionali = si avvicinano le inserzioni, in questo modo il fuso musco-
lare si detende e posso guadagnare in lunghezza. Lavorano su un altro principio: di inibire il muscolo che
mantiene la disfunzione ed eventualmente stimolare il circuito dell’antagonista per rinforzare il muscolo vitti-
ma della disfunzione. Quindi vado ad aggravare (fare ancora di più una rotazione dx stimolando l’antagonista,
il rotatore sinistro).
Es. porta in un Saloon: disfunzione di porta aperta. Tecnica diretta: dò un calcio alla porta e la chiudo. Tecnica
diretta ad energia muscolare: mantengo la porta aperta, ferma, e agisco sulla molla esterna tirandola di più
25
e siccome non c’è movimento, la molla, quando lascio, mollerà un po’ perché la sto sfiancando, un po’ alla
volta cede la molla e si chiude la porta. Se no, tecnica di aggravamento: si dà una spinta e la molla interna si
carica, acquisisce energia, e la porta si chiude. Con la tecnica indiretta non solo si aggrava, ma si mantiene
l’aggravamento per un certo numero di secondi, si dà il tempo al sistema di riorganizzarsi, per cui il muscolo
vittima può recuperare sul muscolo vincitore e riportare la porta (vertebra) in neutralità.

NB: Tutte queste sono delle tecniche, non degli approcci! (fasciale, viscerale, craniale..). Es. approccio fasciale,
posso lavorare sulle fasce sia con una tecnica diretta o con energia muscolare o di aggravamento usando pur
sempre un approccio fasciale. Oppure faccio una tecnica funzionale, prendo i 2 lembi e li avvicino, esaspe-
rando l’aggravamento e sento che il sistema riparte nel senso di un allungamento. Non confondere quindi
l’approccio col tipo di tecnica che si sceglie (quindi non dire “no io faccio una tecnica dolce, fasciale, perché
una tecnica fasciale può anche essere una tecnica diretta!).
La tecnica ad energia muscolare: lavoriamo sul muscolo che mantiene la disfunzione. L3 in ERS dx. La vertebra
sottostante, ossia L4, è la mia neutralià. Ho la spinosa deviata a sin, e dovrò detendere il muscolo rotatore di
dx. Posizionerò il Pz come facevo nelle tecniche dirette. Uso la leva superiore per includere la vertebra in dis-
funzione (L3). Posiziono il Pz da quale lato? Lato dx, il lato della rotazione, sia che si tratti della posteriorità vera
(ERS dx), o relativa (es. FRS dx: la faccetta dx è in neutralità ma è relativamente più indietro della sin che è in
disfunzione di flessione, e quindi antero-superiore). Infatti compare la componente di inclinazione: quando la
faccetta va in convergenza, la faccetta va indietro e in basso. Quando va in divergenza, va in avanti e in alto.
L3 in ERS dx: la faccetta è indietro-basso, quindi compare l’inclinazione dx. Pz sul lato dx perché includendo
la disfunzione nella leva superiore vado a realizzare una derotazione: immaginare le spalle del Pz come le
trasverse della vertebra, quando il Pz fa la de-rotazione ruota verso sin le spalle. La leva inferiore invece fa una
rotazione dx che porta relativamente L3 ancora più in rotazione sin, porta la faccetta in disfunzione ancora di
più in anteriorità. Dal lato della disfunzione, L3 va in avanti e L4 va indietro, quindi relativamente si porta verso
la correzione. Una volta posizionato il Pz, raggiunta la barriera visco-elastica, chiedo di fare una piccola con-
trazione o per ritornare verso la disfunzione L3, oppure lavoro sulla leva inferiore nella rotazione opposta, per
andare progressivamente a riposizionare la vertebra in disfunzione per portare progressivamente la faccetta
dx di L3 verso la neutralità. Serve sentire le spinose, siccome lavoro su un piccolo muscolo monoarticolare, io
devo essere preciso! Monitorare costantemente che tutto avvenga tra L3 e L4, quando sento la contrazione, e
quando riposiziono L4 sotto a L3 o L3 sopra a L4.

Il PROTOCOLLO è: Inspirazione (non profonda), Apnea inspiratoria, Contrazione isometrica per 3 sec, 3 sec
di pausa (Pz rilascia la contrazione), Espirazione, durante la quale si recupera la nuova barriera muscolare. Si
ripete per 3-5 volte fino a ottenere un risultato soddisfacente. Eventuali scrosci, movimenti che si dovessero
sentire non ci devono interrompere! La tecnica va completata. Anche con le tecniche dirette, va portata fino in
fondo. L’unica cosa che ci deve frenare è il dolore del Pz, o una gamba che si addormenta, o un dolore riferito,
nella gamba… il dolore è sempre un campanello d’allarme che indica che c’è qualcosa che non va, che non
avevamo valutato bene o non ci siamo posizionati bene.

INDICAZIONE per una TEM:


- un Pz molto rigido, che da un punto di vista muscolare ha una primarietà.
Contrariamente una TEM potrebbe non essere molto efficace su una persona molto lassa: in queste persone
è difficile che il muscolo sia responsabile di una disfunzione (ma non è impossibile)
- in Pz che hanno controindicazioni specifiche o aspecifiche a una tecnica diretta. Le controindicazioni speci-
fiche sono: persone anziane osteoporotiche che hanno una struttura ossea degenerata. Persone in corso di
trattamenti farmacologici particolari (chemioterapia, trattamenti ormonali, trattamenti per osteoporosi). Poi
Pz con controindicazioni, per es. sospetto di un’ernia del disco, che non è una controindicazione assoluta ad
una tecnica diretta, ma ci avverte che la tecn. diretta va utilizzata molto prudentemente, anche se l’ernia è
sospettata dai test che abbia fatto, o dalle indicazioni cliniche che ci dà il Pz. In questo caso ci guida il dolore,
se il Pz fa “Ahi!”, fermarsi.

Fierro
Osservazione del Pz di spalle
Osservazione della STATICA della colonna
26
Prendiamo 3-4 punti che ci interessano della sua zona lombare.

- Triangoli della taglia (shift laterale: slittamento del


bacino, da un lato> per essere sicuri possiamo anche
spingere da una parte il tronco e in direzione opposta il
bacino per vedere come va, poi invertiamo le direzioni di
spinta e vediamo dove non va)
- Altezza delle spalle
- Altezza delle creste iliache
- Scapole (altezza e vedere se sono sporgenti o no)
- Ginocchia (recurvatum a livello ginocchia, spesso lo
troviamo quando c’è una rotazione del bacino. Il recur-
vatum serve per compensare il bacino che fa una rotazi-
one, una gamba se ne va più in dietro e l’altra più avanti.
Quindi quello è un indice che su quel bacino ci potrebbe
essere un problema strutturale come una scoliosi, o un
blocco sacrale, un’ NSR…)

In una scoliosi si vede una NSR, ossia un gruppo di ver-


tebre che presenta una Inclinazione (S) da un lato e una
Rotazione (R) dal lato opposto (I Legge di Freyette, S è
diverso a R), o meglio una NSR non è una disfunzione ma
un atteggiamento di più vertebre.
Una scoliosi non fa male quando tutto si muove ab-
bastanza bene, mentre se c’è un blocco nell’escursione
articolare c’è dolore. Per verificare la NSR si fanno dei test
dinamici.

Vedere l’atteggiamento generale, il bilanciamento,


l’appoggio.

Osservazione della DINAMICA della colonna


Poi mettiamo la colonna in movimento e tramite il movimento andiamo a vedere che tipo di disfunzione
potrebbe essere.
Inclinazione laterale
Si chiede al Pz di fare una inclinaz laterale prima a dx e poi a sin. Si osserva se c’è un lato in cui inclina meglio,
se c’è una limitazione. C’è differenza? Vedere l’armonia della curva della colonna.
Flessione
Prima la testa, si osserva se ci sono gibbi o se la flessione è falsata, ossia se avviene con le anche mentre la col-
onna rimane rigida. Spesso il tratto più rigido corrisponde a quello più limitato nell’inclinazione e rotazione.
Estensione
Non è un movimento ampio.
Rotazione
L’Osteopata tiene il bacino del Pz e gli chiede di ruotare la colonna.
Se troviamo una rotazione da un lato limitata e una inclinazione limitata dal lato opposto allora abbiamo i
parametri per una NSR.
Hip Drop Test o Test di caduta dell’anca
Dà conferma o meno di una NSR.
Si chiede al Pz di rilasciare il ginocchio di una gamba e si osserva come si adatta la colonna lombare.
Se c’è una zona rigida e il Pz in quella zona ha male, lì c’è una limitazione al movimento.
A fine trattamento quando si ripete l’osservazione la situazione del Pz deve essere cambiata.

Es. di Hip Drop Test a sin


Cade l’anca sin (flessione ginocchio sin), il sacro si posiziona in inclinazione (sin), e devo avere un controbilan-
27
ciamento della colonna lombare che mi va a contrastare questa inclinazione del sacro. Vediamo come va la
curva della colonna. Posso avere che da una parte gira di più (quando è in caduta l’anca a dx), mentre dall’altra
(quando è in caduta l’anca a sin) rimane dritta. Quindi in questo caso c’è un’ inclinazione a dx e rotazione a sin.
Nell’altro lato la Pz rimane dritta, non c’è possibilità. La facilità nel farlo sarà anche diversa nel rilasciare l’una
o l’altra gamba. Perché avendo già quell’atteggiamento della colonna, il suo bacino è già ruotato a sin, quindi
avrà facilità nella caduta dell’anca dx (flessione ginocchio dx). Quindi: blocco a livello lombare probabilmente
in NSR, che dovrà trovare conferma nel test di palpazione e mobilità, e test Pelvic Roll, da fare sempre.

1. Hip drop test


L’Osteopata valuta il comportamento della
colonna lombare e il lato da cui è più facile
fare il movimento (potrebbe essere perché
per es. da quel lato c’è una rotazione di ba-
cino).

In questo ragazzo è più facile e più ampio


il movimento a sin che a dx, quindi ha una S dx
NSRsin (Side a dx e Rotaz a sin secondo la I R sin
Legge di Fryette).

dx_difficile sin_facile

2. Pelvic roll (= test fasciale)


Pz supino. L’Osteopata valuta la qualità
della R della colonna lombare. Prende
contatto con le SIAS, esercita una spinta
unilaterale e perpendicolare a ciascuna
di esse, fino a raggiungere la mobilità ar-
ticolare (il lettino deve essere basso).

28
3. Palpazione_Pz prono
È utile per sentire le spinose e gli spazi tra di esse.

È importante per sentire se la disfunzione riguarda


1 gruppo di vertebre o 1 vertebra sola.

Si muovono le dita in sù e in giù per sentire se ci


sono delle spinose fuori asse.

Fierro riscontra in questo ragazzo una disfunzione


di L5 in FRSsin e poi una seconda disfunzione che
riguarda un gruppo di vertebre sopra L5.
Fierro decide di trattare prima di tutto L5 e in un
secondo momento il gruppo di vertebre.
Sente che la spinosa di L5 è a dx e questo significa che la vertebra è ruotata a sin, inoltre sente che lo spazio
INFdi L5 è molto ampio e questo significa che è in F.

Correzione di L5 in FRSsin
Si mette il Pz dal lato della rotazione,
quindi a sin e si flette il braccio per dare
stabilità al Pz.

Si flette la leva INF

L’Osteopata, con la gamba


del Pz tra le ginocchia,
cerca la giusta posizione
della leva inf

29
Poi posiziona la leva sup ruotando il brac-
cio del Pz in avanti (e non verso l’alto).

Si fanno intrecciare le
braccia del Pz

L’Osteopata ruota ...e inclina


il Pz verso di sé ulteriormente la
avvicinandoselo zona d’interesse
con la mano
caudale

Chiede al Pz di inspirare, poi di espirare e alla fine


dell’ESpiraz fa il thrust

Anno 2 sem 1
Di Branco

In una disfunzione di NSR, un gruppo di vertebre (almeno 3) si trova in neutralità e i corpi vertebrali saranno
inclinati (S) da un lato e ruotati (R) dal lato opposto.

TEST
Hip drop test o test di caduta dell’anca
Il Pz è in piedi
Ci permette di individuare il lato da cui la colonna lombare si inclina con più facilità.
Questo è un test che si fa nella prima fase della visita, dopo un esame visivo.
Il Pz è in piedi di spalle. Gli si chiede di piegare un ginocchio in modo che l’emibacino cada dallo stesso lato
e la colonna di conseguenza si inclini dall’altro. Si fa la stessa cosa dall’altro lato e si vede dove la colonna ha
30
maggiore facilità. In questo modo si amplifica ancor di più (se c’è una disfunzione) l’impossibilità della col-
onna a fare rotazione e inclinazione. Appena il ginocchio si piega, sulla colonna si forma una curva, se volete
una porzione di scoliosi lombare, più o meno ampia.
Si nota inoltre se nella scoliosi (1° Legge di Fryette > NSR) c’è una vertebra fuori schema (ossia in 2° Legge di
Fryette > FRS o ERS). Se trovo una vertebra in ESR o FSR dovrò prima di tutto ridurla, per riportare la situazione
in NSR, ossia ottenere una scoliosi funzionale, una colonna che si muove bene.

Pz di profilo
Verifico l’atteggiamento del collo oppure se ha la pancia, se c’è un gonfiore addominale o una pancetta che
scende verso il basso.
La rigidità spesso è dovuta anche al Diaframma (pilastri D12 L1 L2).
Oppure può essere una rigidità da contrattura dello Psoas (atteggiamento seduto sull’osso sacro). In tal caso
mancherebbe anche la curva lombare o addirittura ci sarebbe un’ inversione della curva dorso-lombare, L3 L2
L1 con apofisi spinose più esposte.

Risultati del test


1. Se ho una curva chiusa, ho una plica
abbastanza importante e abbastanza
stretta, questo significa che ci sono
delle strutture, davanti alla colonna lom-
bare, che (dal punto di vista muscolare)
sono responsabili di questa tensione. Di
solito si tratta del m. psoas accompa-
gnato anche dai pilastri del diafram-
ma, dal m. quadrato dei lombi, etc.
Si potrebbe dire che con questo test si
forma una curva lombare che è come
una porzione di scoliosi lombare.

2. Se la curva è abbastanza omogenea (1) e non vedo delle interruzioni, so che la curva
si adatta secondo una legge di tipo 1 = NSR (le vertebre sono in appoggio solo sul disco e
sono libere di muoversi in tutte le direzioni).
In presenza di un adattamento di tipo 1(ved. foto) ho la seguente situazione:
N = vertebra in neutralità e in appoggio sul disco
S = side banding, inclinazione (in questo caso a sin)
R = rotazione controlaterale (in questo caso a dx).
Quindi, l’hip-drop test ci dice:
plica a) se la colonna sta in NSR
b) se c’è una NSR più importante da un lato rispetto all’altro.
SAC
RO Visto che parliamo di NSR, quindi di condizionamento vertebrale a distanza, probabilmente
la responsabilità di questo aumento della curva (da un lato o dall’altro) sarà di tipo musco-
lare o meglio muscolo-fasciale (quindi si tratta di adattamenti di tipo osteopatico).
Muscolare = muscolo-fasciale = Fasciale= viscerale

3. Se nella situazione 2) compaiono delle baionette (2a) o dei raddrizzamenti (2b) nella
NSR, significa che quella vertebra (rappresentata dalla baionetta) o quel gruppo di vertebre
(rappresentata dal raddrizz) non può ruotare a dx (es NSRdx) perché è rimasto ingaggiato a
sin, quindi ho delle disfunzioni di tipo 2 GENERICHE. In tal caso se sono nella situazione 3)
1 appena descritta, a seguire faccio il test del pelvic roll e poi gli altri test della colonna (per
es. sfinge/dorso curvo, palpazione....) per aumentare gli elementi della mia valutazione.

31
vertice
più alto =
baionetta
NSR baionetta rigidità alta
raddrizzamento vertice
più basso =
baionetta
bassa
1 2a 2b 3 4a 4b
Se c’è, tra la dx e la sin, un lato più rigido (3) significa che su quel lato gli elementi muscolo-fasciali creano
delle tensioni e quindi non compare una NSR (come al punto 1).
4. Se trovo delle baionetta o dei rad-
drizzamenti (4a, 4b) sul lato rigido
significa che tutte le vertebre ruota-
no bene a dx tranne la faccetta artico-
lare di una vertebra, che è bloccata in
F o E (FRS o ERS > 2° Legge di Fryette).
In tal caso dall’altro lato avrò una NSR
un pò rigida e una o più baionette.

Per arrivare a queste considerazioni


si deve fare il test di mobilità da en-
trambi i lati.

Nel caso di una spondilolistesi si avrà una zona in disfunzione abbastanza netta e bilaterale tra L5 e S1.
Ricapitolando: controllare se la curva è omogenea, se non è omogenea fare il test di mobilità.
Questo test sarebbe meglio farlo in penombra, perché così abbiamo più l’informazione dell’ombra articolare,
di quello che succede sotto il tessuto.
Questo test lo facciamo da D11-D12 al sacro, perché sopra ci sarà un compenso dorsale.

32
Hip Drop Test (classe 2A)
L’ HIP DROP TEST, anche chiamato TEST DI CADUTA DELL’ANCA, viene utilizzato per
definire un’eventuale disfunzione in NSR della colonna lombare.
Il Pz è in piedi, con i piedi allargati alla distanza delle teste femorali, in appoggio bipo-
dalico; gli si chiede di flettere un ginocchio e lasciar cadere il bacino dello stesso lato, sos-
tenendo il peso del corpo sull’altra gamba in appoggio, mantenendo la posizione eretta.
Quello che l’Osteopata va a valutare è la capacità dei tessuti della colonna, di adattarsi
quando si fa “cadere” il bacino da un appoggio bilaterale a unilaterale.
È una situazione in cui si evidenziano delle informazioni che l’Osteopata deve interpre- plica
tare, ovvero:
- l’altezza/spessore della plica cutanea, del lato della concavità (quella controlaterale SAC
RO
alla gamba che cade). Il test è comparativo per cui la valutazione sarà fatta rispetto al cont-
rolaterale, tenendo conto che molto spesso non c’è una simmetria del corpo tra i due lati.
- l’ampiezza della curva lombare che si crea, spesso la curva è molto importante da un
lato e più verticale dall’altro.
Al centro si può notare una curva (ideale) della colonna, una NSR, ovvero una curva che
segue la 1° legge di Fryette, si tratta infatti del gruppo di vertebre che costituiscono la
colonna lombare.
 questo test ci dà un’ idea di quanto la colonna è facilitata ad incurvarsi da un lato piuttosto
che dall’altro.
Le STRUTTURE che a livello lombare mantengono e guidano questa condizione sono
fondamentalmente tre:
1) il m. QUADRATO DEI LOMBI
2) il m. PSOAS
3) i pilastri del DIAFRAMMA
Queste rendono rigida o elastica la colonna, reagendo agli spostamenti meccanici e alle variazioni metaboliche
del visceri.
Non a caso partono quasi tutte da L4 e meno da L5. In una condizione di rigidità delle strutture a monte, è a
questo livello che le trazioni logorano i tessuti, infatti la maggior parte delle ernie lombari, si manifestano tra
L4-L5 e L5-S1.
L’hip drop test indica, sul lato che risulta positivo al test, che le strutture muscolo elastiche che si trovano
su quel lato e che governano la fisiologia della colonna lombare, sono più tese lì rispetto all’altro lato. Vuol
dire che dal lato della positività si inclina maggiormente, perché c’è una maggiore tensione laterale sul mm
quadrato dei lombi e anteriore sul mm psoas e il diaframma.
Da questo è facile immaginare che un test dei mm psoas potrebbe essere confrontato con l’hip drop test.
Infatti uno psoas teso da un lato è spesso supportato dalla positività dell’hip drop dallo stesso lato. Questo
vorrebbe dire che è certa la presenza di un accorciamento importante, anche se non se ne conosce ancora la
causa.

LE POSSIBILITÀ CHE POSSONO RISULTARE DALL’HIP DROP TEST, sono quelle di trovare:
- una curva armonica,
- una curva che si presenta spezzata o frammentata.
Nel secondo caso, l’interpretazione che ne segue è che nel punto in cui la curva è interrotta ci sia:
1) una o più vertebre, che non possono fare la rotazione nel senso dell’NSR richiesta; si avrà quindi una BAIONET-
TA. Queste vertebre necessitano di essere testate ed eventualmente trattate, perché c’è sotto una disfunzione
indotta dal movimento dell’Osteopata.  fatto il test sulla vertebra, si fa ripetere l’hip drop al Pz; qualcosa
dovrebbe essere cambiato, un pò come succede per il PELVIC ROLL, test con cui si induce un movimento tale
che dia la possibilità di valutare ciò che avviene a livello lombare.
2) Un VERTICE, che può essere presente in qualunque punto della curva. Questo vuol dire che, all’interno di una
NSR (provocata in questo caso dall’hip drop test) 1 vertebra fa una rotazione maggiore in quel senso, perché è bloc-
cata in quel movimento e quindi si sposta maggiormente creando il vertice. In questo caso, se si chiede al Pz un
hip drop dal lato opposto, si noterà che allo stesso livello del vertice, si forma una baionetta, e questo perché
la vertebra che da un lato ruota maggiormente creando un vertice, nella rotazione opposta non può andare,
perché è bloccata, e farà una baionetta.
33
Ci sono sempre delle “OMBRE” che si possono notare all’osservazione, perché non esiste una colonna in grado
di fare una NSR perfetta, ed è difficile quindi trovare delle curve perfettamente armoniche, ma si trovano ap-
punto delle ombre che devono suscitare la curiosità dell’Osteopata nella sua interpretazione.
È importante osservare il Pz da lontano, e non soffermarsi troppo sulle sottigliezze, ma dare importanza alle
ombre e contestualizzare il Pz nella sua globalità.

Le informazioni che riceviamo da questo test, sono di due tipi:


1) MUSCOLARE ( = viscerale )  che sono quelle che arrivano dall’interno della colonna, le modificazioni tes-
sutali.
2)  ARTICOLARE che sono quelle contenute nel movimento in cui si trova la baionetta, ovvero l’avviso che
quella zona, quella vertebra, va testata.

Pelvic Roll_Test fasciale generico


È un test fasciale per valutare la resistenza fasciale meccanica del tessuto intorno alle vertebre lombari e al
bacino, quindi: tutta la fascia iliaca, lo psoas, gran parte della resistenza sulla zona lombare indotta dai pilastri
del diaframma, etc...Alla palpazione potrebbe sembrare come una resistenza dell’osso iliaco.

Pz supino. Lettino basso perché La cosa migliore è pren-


così l’Osteopata può tenere le dere un appoggio dietro
braccia perpendicolari al bacino alla SIPS e uno davanti
del Pz. Non bisogna forzare trop- alla SIAS per vedere come
po perpendicolarmente né so- ruota il bacino. Si de-
prattutto contemporaneamente coapta leggermente e si
(come nella foto) perché altri- spinge, per sentire come
menti si riceve un resistenza pari il bacino globalmente si
all’apertura e chiusura del bacino, comporta rispetto alle
come in un test di out-flare. resistenze elastiche.
è ERRATO fare il test sui
due lati contemporan.
Rotazione dx
mano dx dietro SIPS sin
mano sin davanti SIAS dx

SIAS dx

SIPS sin

Rotazione sin
mano sin dietro SIPS dx
mano dx davanti SIAS sin

SIPS dx

SIAS sin

34
Il pelvic roll ci dice se c’è un bacino più resistente in
avanti e uno che cede meglio indietro e quindi ci dà
un’informazione sulla POSTURA dell’individuo, ma
non è utile per denominare esattamente il tipo di
disfunzione del Pz.

Pelvic roll (modificato)_Test per la pseudorotazione del bacino


Test specifico per il bacino, per scoprire una PSEUDOrotazione del bacino*, ossia se un emibacino guarda
più da una parte piuttosto che dall’altra.

Basta inclinare legger- o del lungo braccio, LUNGO B


mente l’avambraccio per percepire una
nella direzione fisiolog- CORTO B disfunzione sulla
ica del corto braccio sacro iliaca dx o sin.

(qui l’iliaco è in direzi- (qui l’iliaco è in dir-


one del CORTO brac- ezione del LUNGO
cio della sacro iliaca di braccio della sacro
sin) iliaca di sin)

La differenza tra un Pelvic Roll e un generico test fasciale o non sul bacino è che nel Pelvic Roll vado a far scor-
rere, per es. nel caso di una mia spinta sul corto braccio sin, l’iliaco sin sul corto braccio della sacro iliaca sin;
mentre se sposto la mia spinta nella direzione del lungo braccio, faccio scorrere l’iliaco sul lungo braccio della
sacro iliaca sin.
Da non confondere la Pseudorotazione con la Rotazione del bacino che è un adattamento che coinvolge le
faccette articolari dell’articolaz sacro-iliaca e che ha come sua conseguenza un iliaco ant da un lato e un iliaco
post dall’altro. Globalmente il bacino guarda a dx o a sin.

*pseudorotazione del bacino = un adattamento del bacino per motivi muscolo-fasciali, principalmente a car-
ico del m. psoas

INNERVAZIONE ORIGINE INSERZIONE


PSOAS A. apofisi trasverse di tutte le A. piccolo trocantere
(radici ant di L2 L3) vertebre lombari
B. facce laterali dei corpi vertebrali
da D12 a L5 + superfici ventrali dei
dischi intervertebrali

ILIACO A. i 2/3 sup della fossa iliaca A. superficie lat del tendine
(n. femorale, L2 L3) B. labbro int della cresta iliaca dello psoas
C. base del sacro B. porzione del corpo del femore distale al
piccolo trocantere

FUNZIONI
catena cinetica aperta: F, Add, RE del femore

35
catena cinetica chiusa: inclinaz omo-
laterale del tronco e rotazione cont-
rolaterale, RI del femore ed un’azione
di richiamo verso l’alto del femore
sull’acetabolo.

Lo psoas si accorcia per problemi metabolici-viscerali (per es. stitichezza...)

La retrazione del m. psoas ha un’azione di richiamo del femore verso l’alto, ossia in direzione dell’acetabolo
ed è perciò causa di:
- adattamenti del sacro (che vedremo più avanti)
- accorciamento dell’AI (= arto inf )

Il Pz supino si presenta con un AI virtualmente più corto e una limitazione alla RI, ossia un’anca in RE (da su-
pino, vale a dire in catena cinetica aperta, lo psoas è un RE di femore).
Il corpo muscolare si presenta teso alla palpazione sia nella fossa iliaca che a livello del tendine sulle vertebre.
L’iliaco, dal lato dello psoas teso, è indietreggiato.

Siamo così in presenza di una pseudorotazione del bacino. Con il test pelvic roll trovo una SIAS un po’ più
posteriore, sento che da un lato il bacino ruota più facilmente che dall’altro. Inoltre troverò un’anca in RE, un
arto virtualmente più corto, una cresta iliaca più alta.

Riduzione di una pseudorotazione del bacino


La sequenza delle manovre:
1) si toglie la causa della pseudorotazione (per es. un problema del
colon o un’invaginazione ileo-cecale o un problema degli ureteri o

g
un’intossicazione....)
2) in presenza di una disfunzione dorsale a livello di D12 D11, si fa una
riduzione con delle tecniche dirette o muscolari (TEM)
3) si allunga lo psoas (ved. varie tecniche anno 1)
4) si fa la tecnica di Jackson

La pseudorotazione si denomina dal lato dell’accorciamento, quindi

g
Pseudorotazione di bacino dx
psoas dx 1. il bacino guarda a dx
accorciato 2. emibacino dx risalito e indietreggiato
Lo psoas è un muscolo che garantisce una disfunzione di tipo NSR.

Ipotesi di una sequenza di trattamento


Pz supino
1) faccio il pelvic roll
2) palpo lo psoas (flettendo la gamba del Pz - foto sopra) e sento che è spesso, sia il ventre che i tendini in
direzione delle vertebre. Posso fare tutta una serie di test per lo psoas (già visti anno 1)
3) tratto la causa (per es un problema al colon)
4) vedo com’è la zona dorsale bassa e la tratto se c’è una disfunzione
36
5) rifaccio tutti i test da 1) a 4) e se sento che è sufficiente mi fermo
6) se invece sento ancora una facilitazione dei tessuti (e quindi una pseudorotazione) finisco la sequenza con
la tecnica di Jackson

Tecnica di Jackson
Ipotizziamo un accorciamento a dx, quindi un’ inclinazione a dx e un iliaco più alto a dx, che si manifesta in
statica eretta.
1) L’osteopata fa una contro inclinazi-
one a sin prendendo e sollevando leg-
germente i piedi del Pz e spostando
gli arti verso sin

Dopo aver visto che va bene indietro a dx mentre a sin c’è������������������������������������������������


���������������������������������������������������
una resistenza, abbiamo ipotizzato un accorcia-
mento a dx; questo significa che dalla parte dove non c’è l’accorciamento del muscolo (a sin) c’è una tendenza
all’anteriorizzazione (l’iliaco sin è più anteriore rispetto al dx).

2) L’Osteopata fa una piccola


flessione dell’anca sin, solle-
vando l’arto e incrociandolo
sull���������������������������
’��������������������������
altro in modo da far indi-
etreggiare l’iliaco.

Così facendo si perde un po’ di inclinazione, che bisogna recuperare.

3) Si recupera l’inclinazione
verso sin, come al punto 1).

L’inclinazione è importante
perché senza non si riesce a
fare la tecnica

37
4) Si fa un’ulterio-
re inclinazione, o
spostando il ba-
cino del Pz a dx

o prendendolo
dietro le spalle
e spostandolo a
sin.

5) Si fa una e si prende
controrotazione un appoggio
delle vertebre perpendicolare
appoggiando sulla SIAS
completamente
l’avambraccio

6) Si deruota
e a termine
espirazione si
fa un thrust.

Disfunzioni di 2° tipo
Test di mobilità:

1. Localizzazione
a) osservazione: vado a cercare qualcosa che sia il più possibile rispondente all’informazione che chiedo;
b) palpazione: ugualmente vado a palpare qualcosa non a caso. Ad es: vado a palpare le spinose che sono
deviate. È un modo per localizzare il punto che mi interessa.
Una volta che ho localizzato il livello, ciò significa che andrò a fare il test su quella vertebra.
Ho localizzato L3, quindi farò il test di L3 rispetto alla sottostante (L4).
Dico che è una disfunzione di 2° tipo perché non c’è un gruppo di vertebre.

2. Posizionamento
L3 in RSsin. A questo ci arrivo valutando se c’è una maggiore rotazione a dx o sin. Possono esserci utili le
38
trasverse, nel caso specifico dovrebbero darmi la dx più avanti, la sin più indietro. Le trasverse di L3 le trovo
leggermente più in alto, nella base della spinosa sovrastante.
So che L3 è ruotata a sin, che la spinosa è deviata a dx. Quindi, posso già dire che L3 è RSsin.
Essendo disfunzione di 2° tipo R = S.

3. Mobilizzazione
Si deve basare su tutto quello che ho fatto, quindi può essere una ERSsin, FRSsin, bilaterale asimmetrica.
Paziente prono, posiziono le dita sulla spinosa di L3 e L4, chiedo al Pz di inspirare e espirare. Durante
l’inspirazione (F) si riallinea, durante l’espirazione (E) ritorna in rotazione sin. Se si riallinea in uno dei due mo-
vimenti posso escludere una bilaterale. Si riallinea in F = cioè che entrambe le faccette insieme possono fare
la F, è libera dai due lati. Mentre nell’estensione compare una rotazione sin, significa che una faccetta non può
fare l’E. La maggiore ampiezza l’abbiamo in F.

4. Denominazione
L3_FRSsin

La disfunzione è anteriore dx, è bloccata in divergenza. Com’ è posizionata la vertebra? In FRSsin.


Se invece ci troviamo difronte a una ERSsin, nel test troverò che durante l’E si riallinea, durante la F va fuori. La
vertebra di sin stava indietro, nel momento in cui faccio una E viene raggiunta dall’altra.

Se invece non si riallinea né in E, né in F, abbiamo un bilaterale asimmetrica.

Disfunzione L3 in FRSsIn_Tecnica ad energia muscolare.


L3 è anteriore dx e ruotata a sin.
Lo metto sul fianco sin per deruotare e faccio la chiusura in chiave (punti di repere L3, L4).
Chiudo la leva inferiore, chiudo la leva superiore. Lo porto un pò in E, perché c’è una disfunzione in F.
Posiziono il braccio craniale sulla spalla del Pz, il braccio cau-
dale sull’anca del Pz, con le dita tengo sempre i punti di repere
L3 e L4.
Tecnica ad energia muscolare con la leva superiore o inferiore.
Faccio inspirare il Pz, in apnea chiedo di spingere contro il mio
gomito, faccio espirare, aspetto 3 secondi e guadagno.
Se lavoro con la leva inferiore, chiedo di spingere il gluteo con-
tro il mio braccio caudale, sempre nella fase di apnea.
Posso farlo anche a coppia, chiedendo di spingere sia con la
spalla che con il gluteo.

Quante volte si fa con la leva superiore e con la leva inferiore?


Se la disfunzione è più alta (tipo L1) faccio spingere più con la leva superiore, perché la disfunzione è alta!
Questo teoricamente.
Con la disfunzione L3-L4, devo cercare di rimanere su L3-L4, ed è proprio questo che mi fa decidere se spin-
gere sulla leva superiore o inferiore. Se mentre sto guadagnando con la leva superiore, sento che L4 gira, mi
fermo e lavoro sulla leva inferiore.
Nella tecnica ad energia muscolare quello che mi fa decidere quante volte spingere con la leva superiore e
con quella inferiore o con tutte e due, dipende unicamente dal fatto che devo stare concentrato sul livello.

39
Aggiungere un parametro di inclinazione
In questa disfunzione (FRSsin) la vertebra è inclinata a sin,
quindi devo inclinarla a dx. Mi aiuto con la leva inferiore, fac-
cio la controinclinazione sollevando gli arti inf e poi riappog-
giando gli arti sul lettino, così ho ottenuto un pò d’inclinazione
a dx. Così quando vado a fare la chiusura oltre a fare una ro-
tazione a dx farò pure una inclinazione a dx.
Perché è interessante il parametro di inclinazione rispetto a
quello di R a livello lombare? Perché a livello lombare le facc-
ette articolari si trovano su un piano para-sagittale; quin-
di, significa che l’inclinazione rispetto alla R è un parametro
più libero. In R il rachide lombare si incastra, in incli-
nazione si incastra meno; quindi, l’inclinazione è un
parametro più importante, perché l’inclinazione lat-
erale di ogni segmento lombare è di 4-5°, la R di 1-2°,
quindi posso agire di più sul parametro di inclinazi-
one laterale sia in una tecnica ad energia muscolare,
sia in una tecnica diretta.

side + R
LINEE GUIDA PER FARE UN BUON TEST DI MOBILITA’ (classe 2A)

Per la definizione del test si valutano: (disfunzioni di II grado)


1) LOCALIZZAZIONE
È il punto dove si deve fare il test, è necessario localizzare la zona esatta, perché è in quel punto preciso che
deve passare la manovra.
La localizzazione si ottiene attraverso:
- osservazione (test in piedi ecc.)
- palpazione (test di pressione ecc.)
Il test può essere fatto su un gruppo di vertebre o su una singola vertebra.
È importante la localizzazione per poter andare oltre nella definizione del test. Se non si è certi della zona da
trattare è inutile proseguire.

2) POSIZIONAMENTO
Si tratta di definire la posizione della vertebra, in questo caso si tratta di definirne la posizione STATICA, ovvero
come si trova la vertebra rispetto alla sottostante.
Per trovare la vertebra da trattare di fa ricorso alla conoscenza dei punti di repere:
- SPINOSE  si capisce come è posizionata la vertebra:
40
a) se la spinosa è deviata = orientamento asimmetrico
b) valutazione degli spazi = orientamento simmetrico
- PROCESSI TRASVERSI  si trovano lateralmente alla spinosa e più in alto, circa all’altezza della base della ver-
tebra sovrastante; la valutazione delle trasverse dà una conferma alla precedente valutazione della spinosa.

3) MOBILITA’
Si tratta del vero e proprio test di mobilità, che si eseg-
ue in due modi, secondo l’esperienza dell’Osteopata:
a) con il contributo respiratorio
b) inducendo una flessione o estensione della colonna
(e quindi della vertebra).

Una piccola azione dinamica la si può ottenere spin-


gendo la spinosa nel senso delle rotazioni, per confer-
mare qualitativamente che va in un senso piuttosto che
nell’altro. Con il contributo respiratorio, il test è con-
temporaneamente sia qualitativo che quantitativo.

Durante l’INsp la INsp = F lombare Esp = E lombare


vertebra fa una F
(e si ricentra).

Durante l’Esp la
vertebra fa un’E
(e ruota maggior-
mente)

4) DENOMINAZIONE
La denominazione della disfunzione è la vera finalità del test.
Es. Se c’è una R dx i casi possibili sono:
- FRSdx  quindi ant sin
- ERSdx  quindi post dx
- Bilaterale asimmetrica,  quindi ant sin + post dx

Longobardi

Facciamo un training su tutte le tecniche dirette, inserendo però anche il parametro di inclinazione laterale,
che è un parametro particolarmente importante a livello lombare, per la direzione delle faccette articolari. In
particolare per le tecniche dirette, abbiamo notato che in alcuni casi vengono applicate con qualche difficoltà,
ossia: Pz infastidito per il dolore, Pz robusto difficile da gestire, Pz rigido che non si rilassa (in quest’ultimo caso
risulta più difficoltoso andare ad eseguire la tecnica diretta perché quindi il movimento sarà più limitato)…..
La componente che blocca di più il movimento a livello lombare è sicuramente la componente di rotazione,
che su questo tipo di Pz risulta essere la componente più fastidiosa. È una componente che irrigidisce ancora
di più la colonna della persona e quindi abbiamo una maggiore difficoltà sia per trovare il livello che per tro-
vare il passaggio per la tecnica. Su queste persone dobbiamo partire dal presupposto che la rotazione è la
componente che maggiormente blocca il segmento, quindi di conseguenza nelle persone particolarmente
lasse è una componente che possiamo utilizzare in maniera più disinvolta.
La rotazione è una componente che potrebbe non essere indicata ad es nei problemi discali (che sono di vario
tipo: ernia discale, protrusione ecc). Il disco intervertebrale è anche un legamento, orientato orizzontalmente,
e ha delle fibre oblique nei due sensi e delle fibre longitudinali e quindi nel momento in cui noi andiamo a
torcere, a ruotare in maniera opposta i due piatti vertebrali su cui è inserito il disco, si esercita un effetto di
41
compressione sul disco stesso. Quindi la rotazione è la componente che oltre a dare maggiore rigidità al Pz,
stressa di più il disco. Perciò nelle persone in cui non vogliamo essere aggressivi sul disco dobbiamo cercare
di non abusare della componente di rotazione. Un altro elemento che ci può portare verso la componente di
inclinazione laterale è che su alcuni soggetti la componente di rotazione è una componente nella quale è vero
che noi otteniamo una maggiore messa in tensione, ma è pur vero che quando è troppa la rotazione delle
volte perdiamo un pò il contatto col Pz (va troppo fuori dal lettino), quindi aggiungere una componente di
inclinazione ci aiuta a recuperare il posizionamento del Pz e quindi il livello su cui agire con la tecnica.
I problemi discali come detto prima sono di vario tipo e in base a ciascuno vedremo in seguito particolari ac-
corgimenti per effettuare comunque la tecnica.
In caso di listesi (scivolamenti vertebrali) si ha un problema organico non funzionale, di ipermobilità, quindi
nelle persone che presentano questi problemi bisogna vedere di che grado è la listesi (ci sono tre gradi di
listesi) e se il Pz ha delle problematiche di tipo neurologico. In caso di Pz che manifestano un deficit motorio
chiediamo la consulenza al medico di famiglia che eventualmente lo manda dallo specialista. Se abbiamo
una listesi vecchia da anni che il Pz ormai sa di avere e ha mal di schiena, si può lavorare cercando di modi-
ficare un pò l’assetto posturale, cercando di lavorare a monte o a valle; se per es sulla listesi c’è un gruppo di
vertebre in F, possiamo lavorare sulla vertebra apicale di questo gruppo per cercare di controbilanciare un pò
ma sappiamo benissimo che sono Pz che devono curare anche altri aspetti, come un buon tono dei muscoli
addominali, non prendere pesi ecc

Pratica
Posizioniamo il Pz. Nel lettino dovremmo avere un qualche tessuto in modo che non vi sia attrito tra la pelle
del Pz e il lettino.
Immaginiamo una L3 in ERSdx. Posizioniamo il Pz sul lato dx (lato della rotazione). Posiziono il Pz vicino al
bordo del lettino e ne controllo equilibrio ed allineamento. Ricerco le vertebre su cui devo lavorare, ossia L3
ed L4. Vado a chiudere la leva inferiore fino a quando sento che ingaggio L4 e non L3. Posso mettere un cus-
cino sotto la testa del Pz. Vado a chiudere la leva superiore fino a quando si ingaggia L3 e non oltre (dò anche
un parametro di F visto che ho una disfunzione in E). Essendo un tipo robusto mi aspetto una colonna non
ipermobile, quindi faccio una rotazione che non sia esageratamente importante perché essendo i parametri
inversamente proporzionali, se metto tutta rotazione poi non avrò più inclinazione, e stessa cosa per la flesso-
estensione; quindi a maggior ragione metterò una piccola componente di F ma non esagero perche andrò a
guadagnarla sull’inclinazione. Una volta chiuso in chiave il Pz starò attento a posizionarne il capo in linea con
lo sterno. Ora vado ad inclinare leggermente il bacino tirando la parte che sta sul lettino verso il basso del Pz
e vado poi a ricontrollare il livello L3-L4.
Mi posiziono bene sopra sul Pz col mio cor-
po, con le dita sempre su L3-L4 e vado a sen-
tire come va la componente di inclinazione.
L’avambraccio craniale poggia sul torace,
mentre l’avambraccio caudale è sul bacino:
andare a sentire la componente di inclinazi-
one significa dare una leggera “spinta” verso
l’alto del Pz con l’avambraccio caudale per
quanto riguarda la leva inferiore e una spin-
ta verso il basso con avambraccio craniale
per quanto riguarda la leva superiore (sarà
una compressione in finale).
Chiaramente è molto più efficace il lavoro fatto sulla leva inferiore perché sul torace posso spingere fino a
un certo punto. Chiaramente la componente di inclinazione in questo caso mi dà quasi sempre la preferenza
di essere attivo nel thrust soprattutto sulla leva inferiore; sulla leva superiore vado a fare un contrappoggio,
eventualmente una piccola coppia, ma poco. Quindi la componente di inclinazione è meno facile da mettere
sulla leva superiore perché sto sul torace.

42
Vado quindi nella direzione della inclinazione sin; sto
ruotando a sin e sto inclinando a sin quindi è chiaro che con
l’avambraccio craniale non vado a spingere verso l’alto del Pz
ma verso il basso. Quindi faccio respirare il Pz e durante l’Esp
recupero avvicinando e deruotando. Se mi accorgo che
sono troppo alto posso recuperare il movimento aumentando
leggermente la chiusura superiore.... a fine Esp darò il thrust
come già detto con l’avambraccio caudale; quindi dò una
componente in inclinazione ma senza perdere la rotazione, di
fatto è leggermente in obliquo.

(l’impulso nel thrust è verso l’inclinazione laterale).


L’immagine accanto indica la direzione in cui vado, ma an-
dando in questa direzione si incrementa quindi anche la
componente di rotazione.
Quindi è importante gestire il Pz con tutto il corpo e cali-
brare bene i parametri.
Il braccio craniale gioca sui parametri e si può utilizzare nel
thrust anche se più che altro sarà utile per fare un punto
fisso durante il thrust e per centrare bene l’impulso e gio-
care su leve e parametri. Il thrust non è un’azione del solo
braccio ma bisogna utilizzare tutto il corpo.

È una tecnica nella quale voglio utilizzare molto il parametro di inclinazione laterale. Quindi in una ERS io so
che sotto (sotto verso il lettino nella posizione delle foto) ho una convergenza, quindi facendo l’inclinazione
laterale io sto mandando in divergenza le faccette articolari (mi interessa molto l’azione di alto-basso con le
braccia e mani per far divergere le faccette che sono in convergenza). Se sentiamo che il parametro di incli-
nazione va bene allora ci dirigiamo verso la tecnica altrimenti correggiamo il bacino come visto prima per poi
ricontrollare che il livello sia giusto; quindi potremmo favorire l’inclinazione già dall’inizio.

Disfunzione L5 FRS dx (in disfunzione anteriore sin; divergenza in alto a sin)


Pz sul fianco dx perché devo deruotare verso sin. Osservare spalle e bacino (linea che unisce le SIPS) che de-
vono essere perpendicolari al lettino.
In caso di evidente lordosi cerco di appianare un pochino. Se ho difficoltà a reperire le spinose posso flettere
completamente anche e ginocchia del Pz (tenendo i piedi sul lettino), in questo modo le spinose sono più
prominenti e quindi più facili da reperire:
Una volta identificate riposiziono gli arti inferiori.
Chiusura in chiave del Pz fino a sentire il movimento su S1: arrivo fino a L5 e poi ritorno leggermente indietro.
Il parametro di inclinazione laterale può essere inserito prima della chiusura o anche dopo, anche se dopo la
chiusura potremmo accorgerci che non sarà necessario perché sarà già a livello. Una volta chiuse le leve dò
una componente di E visto che ho una disfunzione in F (il Pz porta la mano che sta verso il lettino alla nuca e
spingiamo attraverso il gomito per mandare la colonna in E).

Ora devo inserire il parametro di inclinazione laterale. Per fare ciò bisogna appoggiarci sul Pz e utilizzare lo
spostamento del nostro corpo insieme al braccio, quindi non è un lavoro di gomito. Per il thrust utilizziamo
maggiormente la leva inferiore perché per la componente di inclinazione è più efficace, ma per la costruzione
della messa in tensione utilizzeremo tutte e due le leve. Dobbiamo avere la sensazione di arrivare sempre più
verso la barriera articolare per poi dare il thrust.

L5 bilaterale asimmetrica (anteriorità sin, posteriorità dx).


Pz sul fianco dx (si posiziona dal lato della rotazione e in questo caso la vertebra è ruotata a dx). Chiudo la
leva inferiore e poi la superiore. La differenza rispetto alla disfunzione precedente è che non aggiungo né
parametri di F né di E quindi vado semplicemente a lavorare sulla componente di rotazione e di inclinazione.
43
Dobbiamo stare ben poggiati sul Pz col nostro corpo perchè con questo ci aiutiamo nelle tecniche.
Faccio respirare il Pz e sento cosa accade. Nel caso in es sento che aumentando l’inclinazione il Pz va troppo
in rotazione quindi sento che da L5 passo a L4 quindi lo devo deruotare; ho 2 possibilità: o controllo meglio
la rotazione andando col mio corpo un pò verso il Pz oppure se mi accorgo che ho bisogno di stare un pò più
fuori perché è troppo alto, posso recuperare o sulla rotazione (chiudo di più la leva superiore) o sulla inclinazi-
one della leva superiore.

Alla fine della messa in tensione thrust col mio corpo agendo tramite il braccio sulla leva inferiore. Più la per-
sona è elastica più ci vuole messa in tensione e più è maggiore il valore dei parametri da aggiungere.

NSR
Disfunzione che comprende almeno 3 vertebre che siano in appoggio solo sul disco, quindi in neutralità.
Quando induciamo una inclinazione laterale (s= side banding= inclin laterale) essa è accompagnata da una
rotazione dei corpi vertebrali dal lato opposto all’inclinazione. Nella NSR esistono dei vertici (alto, basso) e poi
esiste un apice della curva che si caratterizza per avere solo un parametro di rotazione massima e nessuna
inclinazione. Quindi, se io voglio agire per dar un’informazione correttiva (non tanto di una scoliosi ma di una
disfunzione che possa correggersi di tipo N), dovrò tenere conto dei parametri della NSR a livello lombare e
invertire i parametri.
Dobbiamo fare un trattamento muscolare su una situazione di tipo NSR a livello lombare, quindi usiamo una
tecnica TEM. Troviamo la disfunzione, poi troviamo la barriera motrice nel senso della correzione e poi fac-
ciamo una contrazione dal lato della disfunzione.

Riduzione di una L3 apicale (NSR)_Tecnica TEM_


Pz decubito laterale
Posizioniamo il Pz sul lato sin, in modo da invertire i parametri di
rotazione e inclinazione. Gli facciamo fare una contrazione dal
lato della disfunzione, quindi sin.
Tener presente che non è una disfunzione di tipo 2, quindi
non è L3 che sta in disfunzione rispetto a L4, ma L3 che
sta in mezzo a una zona superiore e una zona inferiore.
Chiudiamo in chiave il Pz. Il Pz con il bacino farà una contrazi-
one contro la mano caudale dell’Osteopata e con la spalla
verso il braccio craniale dell’Osteopata.
In una apnea INsp l’Osteopata chiede al Pz di spingere con la
spalla (per es) contro il suo braccio, dopodich�����������������������������������������������������������������
é STOP, il Pz smette di spingere e l’Osteopata
������������������������������
guadagna. ��������
La stes-
sa cosa si fa sul bacino: inspira, apnea e spingi con il bacino, stop e guadagno. Questo discorso spalla-bacino
possiamo farlo sia in contemporanea oppure o spalla o bacino.
Riduzione di Per ridurre la
una L3 apicale disfunzione
(NSR)_Tecnica l’Osteopata
TEM_Pz seduto deve invertire
L’Osteopata visual- i parametri,
izza la vertebra in per es. mettere
disfunzione, per es. un’inclinazione
una vertebra incli- sin.
nata a dx e ruotata
a sin

44
L’Osteopata In tempi successivi, con
contatta una presa sulle spalle del
posteriorm Pz l’Osteopata
la spinosa - corregger�����������������
à i parametri di-
della sfunzionali di inclinazione
vertebra in e rotazione, ossia S sin R dx
disfunzione. - chiederà al Pz una con-
trazione nel senso dell����
’ag-
gravamento (ossia inclin
dx e rot verso sin) sempre
attraverso la respirazione.
Riduzione di una L3 apicale
(NSR)_Tecnica diretta con
thrust_Pz decubito laterale
Il trust si fa sulla spinosa. Il Pz �����
è po-
sizionato sul lato della rotazione (nel
nostro es L3 ruotata a sin e inclinata a
dx). La disfunzione NSR significa che
la vertebra sta soltanto in appoggio
sul disco, quindi galleggia nel senso
opposto del comando che proviene
dai legamenti longitudinali anteri-
ore e posteriore, da tutte le fasce che chiusura in chiave
stanno a quel livello e non ingaggia
le faccette articolari.
Mettendo il Pz sul lato sin, si crea una rotazione dx con inclinazione sin, quindi il corpo vertebrale guarda a
dx e la spinosa va verso il lettino. L’Osteopata, dopo aver fatto la chiusura in chiave, deve fare un appoggio a
livello della spinosa di L3. Deve mantenere una certa neutralità, per cui deve stare attento a non dare n�������
�����
fles-
sione né estensione.
Si può prendere l’appoggio in due modi:
- con i pollici: è più delicato è preciso
- con l’eminenza tenar
SI utilizza la respirazione: inspira-soffia e thrust.

appoggio con i pollici

45
- appoggio con l’eminenza tenar/ipotenar
g

Anno 2 sem 2 Longobardi

Colonna lombare gnel caso delle NSR possiamo agire con delle tecniche dirette sulla vertebra apicale che è
quella che ha la maggiore rotazione. Possiamo trattare una NSR lombare sia con una tecnica diretta che con
una ad energia muscolare.
Es: una NSRdx con rotazione massima in L3 a dx.
Posso agire sulla rotazione di L3. Oppure posso fare una tecnica ad energia muscolare nella quale vado ad
invertire i parametri della disfunzione.

COLONNA DORSALE
Le curve della colonna vertebrale vanno stabilizzandosi dalla nascita e nei primi mesi di vita per poi assestarsi
in maniera visiva (l’apparizione delle 3 curve sul piano sagittale) avviene intorno all’età in cui il bambino si
mette in posizione eretta. Quindi, nella vita fetale e nei primi mesi di vita il bambino sta in una posizione di
colonna di cifosi unica. Successivamente alla nascita il bambino presenta una cifosi complessivamente svi-
luppata su tutta la colonna. Poi al 3°-4° mese, quando il bambino porta lo sguardo orizzontale, quindi porta
la testa ad addrizzarsi sul collo e sulle spalle, compare la prima lordosi: la lordosi cervicale. Successivamente
all’età dei 10-12-13 mesi si va a conformare la lordosi lombare, che è l’esigenza che ha il bipede per mettersi
nella stazione eretta. Però permane la cifosi dorsale, che è la curva primaria, che compare nel primo momento
di vita.
Questa rappresenta una curva primaria dal punto di vista di apparizione, e anche perché è una curva che
determina meno adattamenti rispetto alle altre 2. Infatti, le due lordosi sono 2 parti della curva vulnerabili,
in cui si creano i maggiori sintomi, e sono le parti più adattative. A differenza della colonna dorsale con il to-
race, che è una struttura consolidata; a livello delle lordosi vi è una diminuzione della stabilità complessiva (la
lordosi lombare che si trova tra bacino e torace, la lordosi cervicale tra il torace e il cranio), sono due strutture
compatte dove in mezzo c’è una struttura adattativa. Questo determina anche una maggiore frequenza in
queste due curve di problematiche artrosiche, instabilità. È difficile vedere una spondilolistesi in una vertebra
dorsale, ma a livello cervicale e lombare si. A livello lombare si vedono anche delle instabilità vertebrali, cioè
le faccette articolari delle vertebre presentano una regione a contatto che è cartilaginea, nei processi artrosici
il rimaneggiamento interfaccettario può determinare una instabilità vertebrale.
Le 3 curve sul piano sagittale sono fondamentali:
1) per la stazione eretta,
2) per il posizionamento della persona nello spazio,
3) per la resistenza della colonna.
La presenza delle curve rende non solo la colonna più elastica, più ammortizzante, ma anche più resistente;
infatti, una colonna con le curve poco accentuate rappresenta una colonna più rigida ma anche più fragile,
(una legge della fisica dice che: la solidità di una struttura è esponenzialmente maggiore rispetto al numero
delle curve).
È importante che queste curve siano in armonia, non troppo accentuate e nemmeno poco accentuate.
A livello del rachide dorsale c’è l’articolazione con le coste, per cui è indissolubile il movimento delle coste
e delle vertebre. La mobilità del torace ci deve sempre portare a fare una relazione tra le strutture costali e
46
vertebrali. Il caso più classico è se avete il gibbo (cifosi con rotazione della colonna, con rotazione della gab-
bia toracica, con un gibbo posteriore e un adattamento anteriore del gibbo), questo è quello che comples-
sivamente avviene in una scoliosi; per es: NSRdx abbiamo una rotazione dei corpi vertebrali a dx e una incli-
nazione della colonna a sx, quindi si dice che si ha una rotazione dei corpi vertebrali dal lato della convessità
della curva, se girano i corpi vertebrali (quindi le trasverse) anche le coste girano. L’angolo costale inferiore e
l’angolo costale posteriore, che sono le parti più prominenti delle coste, vanno a formare un gibbo posteriore
dal lato della rotazione e un gibbo anteriore dal lato contro laterale.
Teorie sullo stato del cranio. Ci sono delle forme del cranio che sono assimetriche, se pensiamo alla parte an-
teriore e posteriore del cranio come a 2 vertebre, se si vede l’evoluzione filogenetica della specie umana, nella
formazione del cranio sembrerebbe l’evoluzione di due vertebre che si sono modificate in 2 blocchi, che per
noi sono la sfera anteriore e la sfera posteriore e le rotazioni opposte di queste due sfere a livello del cranio
sono di fatto una scoliosi, che è denominata una latero-flessione-rotazione, è una disfunzione della base del
cranio che se la si osserva bene da l’idea di una scoliosi.
Questo discorso per dire che se abbiamo una scoliosi non possiamo pensare che facendo una manovra sulla
vertebra apicale la risolvo. Le scoliosi e le NSR più in generale, sono delle strutture che si mettono in adatta-
mento rapido (per una sciatalgia si crea una NSR, ma una NSR antalgica).

Vertebra TORACICA
Vertebra toracica e differenze con la vertebra lombare
processi artic sup processo spinoso
faccetta costale incisura vertebrale sup
trasversaria processo trasverso
faccetta costale sup arco
vertebrale faccetta
costale
trasversaria
corpo
vertebrale faccetta artic sup
foro
vertebrale radice dell’arco
vertebrale
processo
spinoso processo faccetta
articolare costale inf
inf
corpo
vertebrale
faccia lat della 6 vertebra dorsale faccia sup della 6 vertebra dorsale
processo spinoso
processi articolare sup
processo costiforme processo
processo mammillare
mammillare incisura vertebrale sup processo
accessorio
processo
processo costiforme
accessorio
faccetta artic
sup

incisura vertebrale inf

processo spinoso faccetta articolare inf


corpo vertebrale
faccia lat dx della 3 vertebra dorsale faccia sup della 3 vertebra dorsale
Sono 12 vertebre dorsali.
Il corpo della vertebra toracica è più piccola, e soprattutto le proporzioni del corpo sono differenti.

47
Il suo corpo è ovale, quello della
lombare è sostanzialmente ro-
tondeggiante e le proporzioni fra
le varie dimensioni della vertebra
sono abbastanza regolari, cioè che
la profondità e l’altezza della verte-
bra sono complessivamente simili.
Anche nel corpo della vertebra
toracica individuiamo i due piatti
vertebrali superiori e inferiori che
sono bucherellati per permettere
gli scambi con il disco interverte-
brale che si trova sopra, la parte
laterale del corpo che è formato da
un osso di contatto che si chiama
muro del corpo vertebrale.
Un’altra differenza con la vertebra lombare sempre riguar-
do al corpo: la presenza delle faccette costali, la costa si ar-
ticola con la vertebra in due zone: articolazione costo-ver-
tebrale e costo-trasversaria, , che sono due articolazioni
per lato per ogni costa; più che parlare di faccetta costale
dobbiamo parlare di una emifaccetta, perché ogni costa
si articola con 2 emifaccette: la emifaccetta della vertebra
corrispondente e della vertebra soprastante.
T1 si articola con k1 e k2.
K1 ha o una faccetta unica su T1 o in alcuni casi C7 presen-
ta delle emifaccette per K1. Quindi, K1 lo troviamo nella
parte superiore del corpo di T1.
K5 si articola con emifaccette superiori di T5 e emifaccette
inferiori di T4 e trasversa di T5.
K10 si articola con emifaccette superiori di T10 e emifac-
cette inferiori di T9 e trasversa di T10.
T11 e T12 hanno un’unica faccetta costale per le loro
coste. T12 presenta un’unica faccetta costale della parte
mediana del corpo e non presenta l’articolazione tras-
versaria. Quindi K11 e K12 si articolano esclusivamente
con T11 e T12 le quali presentano un’unica faccetta
costale, poiché nella parte inferiore di K10 non c’è fac-
cetta articolare e K11 e K12 si articolano esclusivamente
con la vertebra corrispondente. Questo perché le coste
basse devono avere una maggiore mobilità oltre che lat-
ero-laterale anche verso il basso, quindi devono essere
più libere per espandere la parte inferiore della cupola
del diaframma, e per rendere più ampio il movimento
dell’inclinazione laterale e di flesso-estensione della col-
onna. Perché non essendo unite allo sterno quindi per-
mettono maggiore elasticità in questa regione.

48
Il corpo vertebrale viene seguito
dai peduncoli che sono il legame
tra la parte posteriore-superiore
del corpo vertebrale e la parte
dell’arco vertebrale. Il peduncolo
insieme al peduncolo superiore
della vertebra soprastante rap-
presenta la zona in cui si forma il
forame di coniugazione della ver-
tebra. Il forame di coniugazione è
formato tetto dalla parte inferiore
del peduncolo della vertebra so-
prastante, pavimento dalla parte
superiore del peduncolo della ver-
tebra sottostante, parte posteriore
dai massicci articolari e dalla cap-
sula dell’articolazione interafofisar-
ia, parte anteriore del forame di co-
niugazione corpi vertebrali, disco
intervertebrale.
Ai peduncoli fanno seguito le strut-
ture dell’arco posteriore, che sono:
massiccio articolare che parte
dall’articolare inferiore all’articola-
re superiore, è tutta la struttura centrale dell’arco che va dalla faccetta articolare superiore alla faccetta ar-
ticolare inferiore. L’orientamento delle faccette articolari delle dorsali è su un piano para-frontale, men-
tre quelle lombari para-sagittale. Orientamento faccette superiori delle vertebre lombari: alto-dietro-dentro,
quelle inferiori: basso-fuori-avanti, questo per impedire la listesi della vertebra che altrimenti scivolerebbe
in avanti. Quando si verifica la listesi significa che questo rapporto si è alterato, le strutture posteriori non
mantengono bene la vertebra e complessivamente un corpo vertebrale perdendo una parte del legame in-
feriore scivola in avanti, questa è una antero-listesi: la più frequente; questo a livello lombare e cervicale è più
frequente, è meno frequente a livello dorsale che è quasi solamente traumatico.
Le faccette articolari superiori sono orientate come le lombari sempre leggermente in alto-fuori-dietro, le
faccette inferiori sono orientate in basso-avanti-dentro.
Le trasverse sono abbastanza sviluppate in lateralità soprattutto per le vertebre toraciche medio-alte, intorno
a T10-11-12 le trasverse sono meno sviluppate, sono più piccoline. A tutti i livelli tra T1-T10 presentano una fac-
cetta per l’articolazione costo-trasversaria, mentre T11 e T12 non hanno faccette per le coste. L’orientamento
delle faccette articolari appena descritte non è uguale per tutte le vertebre toraciche, infatti la 12° presenta
delle faccette articolari inferiori uguali a quelle delle lombari cioè che guarda in basso-fuori-avanti. Quindi, la
conformazione inferiore nonché la spinosa della 12° vertebra toracica assomiglia già a una vertebra lombare.
Le trasverse si trovano nella parte alta della vertebra, più o meno in corrispondenza del piatto superiore della
vertebra. L’arco posteriore si chiude tramite le lamine nella spinosa che a livello toracico ha una caratteristica
di essere molto prominenti e molto inclinate in basso-dietro. Questo è molto importante per le vertebre dor-
sali perché rappresenta un punto di repere molto importante; questo determina per il conteggio delle verte-
bre un riferimento da tener sempre presente perché da T3 a T10 esiste un decapaggio per cui la spinosa della
vertebra corrisponde in proiezione al corpo della vertebra sottostante. Ciò significa che se trovo una trasversa
ruotata e devo decidere di quale vertebra si tratta, se: la trasversa si trova a livello della spinosa di T5, si tratta
della trasversa di T6 (della vertebra sottostante). Se sono sulla spinosa di T6, lateralmente troverò le trasverse
di T7. Importante sia per la denominazione della vertebra sia per il posizionamento che noi dovremmo adot-
tare sia nel test che nella riduzione; perché se ho una posteriorità di T6 e spingo la trasversa che trovo a livello
di T6, in realtà sto spingendo in avanti T7 quindi sto aumentando la disfunzion; quindi, devo sempre tener
presente il decalaggio. Fino a T2 possiamo dire che grosso modo la spinosa si trova a lo stesso livello della
vertebra, questo dipende anche se la persona ha un dorso molto piatto il decapaggio aumenta, se ha le curve
molto accentuate il decapaggio diminuisce. In un dorso normale si trova T1 e T2 troviamo la spinosa allo
49
stesso livello del corpo, T11 T12 trovano la spinosa a livello del corpo. La T3 ha un decalaggio intermedio, cioè
troveremo la spinosa tra il corpo di T3 e T4.
La spinosa di T3 si trova più o meno a livello dell’angolo superiore della scapola, l’angolo inferiore si trova a
livello della spinosa di T7.

I legamenti
Legamento longitudinale ant:
prende tutte le vertebre a partire da
quelle cervicali e lombare, va dalla
zona anteriore del corpo vertebrale
ad aderire più alla vertebra, meno al
disco intervertebrale. È un legamen-
to che limita l’E della vertebra
Legamento longitudinale post:
che si trova dentro il canale verte-
brale, subito avanti la dura madre. È
più adeso al disco intervertebrale e
meno al corpo della vertebra. Limita
la F della vertebra.
Le capsule delle articolazioni interfac-
cettarie: che sono delle strutture che rin-
forzano la stabilità della vertebra a livello
delle faccette articolari laterali.
I legamenti intertrasversari: che si tro-
vano tra le trasverse lateralmente e limi-
tano il movimento di inclinazione lat.
I legamenti gialli: che si trovano fra le
lamine, caratteristica di avere una mag-
giore elasticità rispetto al legamento
tradizionale poiché devono rendere
flessibile la mobilità della vertebra (ro-
tazione, inclinazione, flessione). Anche il
disco intervertebrale oltre ad avere una
funzione di ammortizzatore ha una fun-
zione di stabilizzazione (perché aderisce ai 2 corpi) a
livello della colonna dei corpi.
Legamento interspinoso: va dalla base della spino-
sa superiore e quella inferiore e legamento sovra
spinoso: che ricopre il precedente, che si trova più
esternamente ed è un legamento unico che ricopre
tutte le spinose toraciche, cervicali e lombari.

La mobilità a livello del rachide dorsale è una mobil-


ità in tutti i piani dello spazio. Noi partiamo dallo sta-
to di neutralità della vertebra, che è quello in cui c’è
l’appoggio discale: a una spinta della forza di gravità
reagisce la reazione del disco intervertebrale e sul
fulcro delle faccette articolari risponde il pretenzi-
onamento delle strutture posteriori. Per cui a questo
livello delle faccette articolari non vi è impegno, cioè
non sono né in F né in E, né in avanti né indietro, né in alto né il basso. Quando la vertebra si muove verso la F
si dice che le vertebre vanno in divergenza, cioè le vertebre vanno avanti-alto, quando la vertebra si muove
verso l’E si dice che le vertebre vanno in convergenza, cioè le vertebre vanno in basso-dietro. Per cui a livello
50
vertebrale non esiste nel movimento asimmetrico la possibilità di dissociare i due movimenti. La flessione e
estensione simmetrici avvengono in un piano dello spazio: il piano sagittale; la rotazione e inclinazione sono
combinate.
Nella 1° legge NSR, neutralità, in cui una rotazione è possibile sono se preceduta da un’inclinazione contro
laterale delle vertebra.
Nella 2° legge: ERS, FRS, abbiamo che la rotazione è uguale all’inclinazione.
Se faccio un’inclinazione a dx, la vertebra a dx è più bassa, a sx è più alta; so che a dx quando è andata in con-
vergenza è andata anche in dietro, a sx quando è andata in divergenza è andata anche in avanti.
Quindi, se è più indietro a dx e più avanti a sx so che ha ruotato a dx. Quindi, il movimento di inclinazione e
rotazione a livello vertebrale è sempre un movimento abbinato e combinato, non è mai un movimento puro.
Invece, vediamo che nella prima legge di Fryette rotazione e inclinazione sono diversi, perché li agiscono fat-
tori diversi, come: la migrazione del corpo vertebrale, delle faccette articolari, il tensionamento dei legamenti
intertrasversari.
I movimenti di Inclinazione laterale a livello del rachide dorsale è di 20° a dx e 20° a sx. Rotazione 35° a livello
dorsale complessivamente (5°a livello lombare). Flessione dorso-lombare 105°, levati 60° delle lombari, ab-
biamo circa 55° di flessione dorsale. Estensione dorso-lombare complessivamente 60°, 35° a livello lombare,
circa 30° a livello dorsale. L’estensione è molto più ridotta non solo per il contatto delle spinose, del torace e
c’è una limitazione maggiore del movimento.
A livello delle radici nervose le emergenze del nervo muscolo-motore sono a livello lombare 5 dx e 5 sx, a
livello dorsale 12, a livello cervicale 8. Come facciamo la disposizione tra L5-S1 troviamo la radice di L5. Perché
si dice che nell’ernia tra L5-S1 c’è una compressione di S1? La sciatalgia è la compressione della radice dello
sciatico, nervo ischiatico S1. Questo nervo è normalmente compresso da un’ernia, quindi, spesso si confonde
la radice di S1 con la radice tra L5-S1. In realtà nelle ernie più frequenti: le paramediane, la radice dello scia-
tico viene intercettata nella parte più bassa. Abbiamo la radice di L5, la radice dello sciatico passa nella zona
paramediana del disco, quindi a questo livello si ha la compressione dello sciatico. Non perché il disco va a
comprimere la radice lateralmente che è la radice di S1; ma in realtà la radice viene compressa tra il disco L5-
S1. È molto più frequente avere questa tipologia. Nelle ernie mediane spesso abbiamo dei fenomeni diffusi
degli arti che sono tipicamente dei sintomi delle ernie mediane.

Valutazione colonna dorsale


Pz in piedi, vista dorsale. Valutiamo se la persona ha un’asimmetria della colonna, vediamo se ci sono delle
cicatrici, vediamo l’allineamento delle vertebre.

Vista laterale.
Visualizzazione delle curve sul piano sagittale
Mettendolo in movimento:
- sul piano sagittale inclinando la testa e la spalla e il busto, e con la mano lungo il fianco (inclinazione a dx e
sx) vado a vedere cosa succede sulla colonna, veder gruppi di vertebre che non riescono a muoversi oppure
singoli punti in cui la colonna perde improvvisamente armoniosità, ma anche la valutazione della dinamica
del movimento, cioè potrebbe avere delle accelerazioni del movimento o dei rallentamenti del movimento,
oppure degli adattamenti del movimento, es. nell’inclinazione segue anche il bacino.
Devo interpretare non solo ciò che succede a fine movimento ma anche quello che succede durante il movi-
mento.

51
Vista frontale, sagittale:
es: chiedo la F in avanti e valuto la curva.

Seduto:
- Pz incrocia le braccia al petto e poggia le mani sulle spalle opposte.
Osteopata di fronte al fianco del Pz, lo sostiene (afferrando nell’incrocio
dei gomiti) e si mette più o meno all’altezza della sua zona dorsale. Con la
mano caudale sulla colonna va a sentire, ad es alcune zone particolari viste
nella visita precedente in piedi.

Posso fargli fare dei movimenti attivi: è l’osteopata che gli fa fare i movimenti, sono dei movimenti che par-
tono dal busto dell’osteopata:
- la flessione
- l’estensione
- l’inclinazione
- le rotazioni

Vertebre DORSALI (classe 2A)


La colonna Vertebrale presenta curve sul piano sagittale ed un allineamento sul piano frontale.
Le curve garantiscono elasticità e solidità (l’aumento della resistenza è proporzionale al numero delle curve)
Una colonna senza curve sagittali è rigida, meno elastica, meno mobile e più fragile.
Una colonna con curve troppo accentuate presenta altri problemi tra cui l’accorciamento delle catene musco-
lari o situazioni conflittuali a livello degli organi.

Nello sviluppo delle curve (ripercorrendo la filogenesi) si evince che la prima curva ad essere presente è la
cifosi dorsale che nella vita intrauterina e nei primi 4-5 mesi di vita è presente come una cifosi unica.
Poi lo sviluppo porta al raddrizzamento della testa e quindi la comparsa della lordosi cervicale (IV mese, peri-
odo in cui il bambino comincia a sostenere il capo sul collo)
Successivamente il passaggio alla posizione quadrupedica porta allo sviluppo della lordosi lombare.
Tutto questo permette alla persona il raggiungimento della posizione bipede e la possibilità della colonna di
essere piu performante a livello strutturale.

Quando si assiste ad uno squilibrio importante delle curve è opportuno intervenire con esercizi posturali e
propriocettivi.

La cifosi dorsale rimane a livello dorsale.


È considerata la curva primaria perché
- compare prima
- è struttura portante, solida
- condiziona il posizionamento delle due lordosi che si trovano in due zone adattative.
Il rachide dorsale ha tantissime relazioni con gli organi interni (sistemi sospensori a livello del torace e della
colonna) e, a livello di innervazione (soprattutto ortosimpatica), relazioni con gli organi situati all’interno del
torace e della zona addominale alta (per la presenza delle emergenze spinali e della catena latero-vertebrale
situata ant-lat alla colonna).

Si può parlare quindi di interessi posturali e viscero-somatici/somato-viscerali (sistema a doppio senso).

52
Caratteristiche della vertebra toracica
le vertebre toraciche sono12.
Presentano una particolarita eclatante:
le faccette costali (emifaccette) sono
situate a livello del corpo vertebrale e a
livello della trasversa.

Ogni costa si articola con due emifac-


cette di due vertebre consecutive (si
articola con il corpo della vertebra
sovrastante e sottostante). Per es. K3 si
articola con l’emifaccetta di D2 e di D3.
A livello della trasversa è presente la
faccetta costale che si articola con il
tubercolo costale.

Il corpo vertebrale ha una forma molto più rotondeggiante (il corpo delle vertebre lombari è molto più ovale)
sulle tre dimensioni.

Il corpo vertebrale presenta il muro (parte corticale) e i due piatti (sup e inf ) strutturalmente più cribrosi, cioè
perforati da una serie di forellini che garantiscono gli scambi osmotici con il disco intervertebrale.

Problematiche irritative del disco possono portare a patologie infiammatorie importanti che in alcuni casi
possono interessare anche il corpo vertebrale. Questo fenomeno è chiaramente riscontrabile con una RM
(pesata in T2 ) capace di mettere in evidenza fenomeni algodistrofici o reattivi del corpo vertebrale in seguito
all’imbibizione di liquido infiammatorio causato della sofferenza del disco.
Il canale vertebrale ha una forma meno triangolare rispetto alle vertebre lombari (che sono più rotonde-
ggianti).

La parte post della vertebra (arco e apofisi,


zona più dinamica della vertebra) è collegata
al corpo vertebrale attraverso dei peduncoli.
Le trasverse sono poco sviluppate nella parte
alta (D1 e D2) e bassa (D11 e D12, dove questa
particolarità è ancora più evidente).
Presentano invece uno sviluppo importante da D2-D3 fino a
D10. Anteriormente alla trasversa è presente la faccetta arti-
colare per la costa corrispondente.
Nella parte intermedia, cioè nella regione della vertebra chia-
mata massa laterale (tra il peduncolo, la trasversa e la lamina),
è presente la faccetta articolare con la vertebra sovra e sot-
tostante.
Le faccette articolari sono orientate su un piano parafrontale,
particolarità che rende più difficoltoso un eventuale scivola-
mento ant-post del corpo.

53
Non a tutti i livelli è presente questa situazione:
tutte le vertebre si articolano con 1 costa.
La costa si articola con la parte sup della vertebra
dalla quale prende il nome (k1 si articola con la
parte superiore di D1).
Questa situazione è presente a livello di tutte le
vertebre fino a K10.
D11 e D12 presentano un’unica faccetta nella
parte mediana del corpo, che si articola con la
costa corrispondente.
D11 e D12 non presentano un’articolazione cos-
to-trasversaria (se ce l’hanno è molto instabile).
Il torace è una struttura che ricerca adattamenti
pur non avendo molta capacità adattativa.

L’orientamento delle faccette delle vertebre dorsali


è differente da quello delle vertebre lombari.
Le faccette delle vertebre LOMBARI sono disposte
su un piano paraSAGITTALE,
le sup orientate in dietro-dentro e leggerm. alto,
le faccette inf in avanti-fuori e leggerm. in basso.

Le faccette articolari TORACICHE sono disposte su


un p. paraFRONTALE,
le sup orientate dietro-fuori e leggerm in alto,
le inf orientate avanti-dentro, leggerm. basso.

Non tutte le vertebre dorsali presentano questa caratteristica.


Le faccette inf di D12 sono orientate come le vertebre lombari, su un piano parasagittale – avanti-fuori.
Inoltre D11 e D12 presentano un’unica faccetta articolare per K 11 e K12 e non presentano la faccetta per il
tubercolo costale.

D1 ha le faccette superiori sullo stesso piano delle altre vertebre toraciche. In questo caso è C7 ad avere le sue
faccette inferiori simili a D1.

54
La lamina corrisponde alla
parte post dell’arco verte-
brale.
La lamina di dx si unisce
alla lamina di sin a livello
della spinosa e rappresen-
ta la protezione post per il
midollo spinale.
Tra le lamine di due vertebre contigue
è presente il leg giallo.
La posizione delle spinose è
- un repere importante per il
conteggio delle vertebre
- fornisce informazioni (non
preciso) del livello vertebrale
su cui ci si trova.

Importante ricordarsi che le spinose dorsali


- sono molto sviluppate, soprattutto in lunghezza
- sono molto inclinate verso basso-dietro (soprattutto a partire da D4 fino a D10).
Questa inclinazione colloca la spinosa in proiezione con il corpo e i processi articolari della vertebra sot-
tostante.

- D1 e D2 presentano una spinosa abbastanza allineata con le trasverse.


- La spinosa di D3 si trova a metà strada tra le trasverse di D3 e quelle di D4.
- D11 e D12 ripresentano le spinose orizzontali e non c’è più il fenomeno del decalaggio (cioè reperimento
delle trasverse a partire dalle spinose).

Importante!
Una curva dorsale ridotta presenterà un’ accentuazione di questo fenomeno (le trasverse di D6 si localizzano
esternamente alla spinosa di D5) e viceversa (la spinosa di D5 si localizza medialmente alle trasverse di D6).

Cenni sull’emergenza delle radici nervose


Rispetto all’emergenza delle radici nervose
il tratto cervicale presenta 8 radici nervose
il tratto toracico ne presenta 12
il tratto lombare 5
Ciò significa che l’emergenza della radice di C1 si trova sulla parte superiore del corpo vertebrale di C1, mentre
la radice di C8 si trova sulla parte inferiore della vertebra C7.
Di conseguenza la radice di L5 si trova tra L5 e S1. La radice dello sciatico si trova più in basso.
Spesso si fa confusione con le ernie. L’ernia paramediana di L5 prende la radice di S1.

55
Apparato Legamentoso
Leg longitudinale ant:
- si trova nella parte ant dei corpi
- è extracanalare
- è presente su tutta la colonna (da C1 a S1 S2)
- aderisce molto al corpo e poco ai dischi.

Leg longitudinale post:


- è intracanalare, in relazione con la dura madre
- molto adeso ai dischi, meno al corpo vertebrale
- teso da C1 a S2-S3.

Le strutture legamentose della capsula articolare rendono ogni articolazione intervertebrale (tra le faccette)
un’articolazione vera e propria con liquido sinoviale e cartilaginee articolare.
Anche a questo livello è possibile trovare artrosi che può dare rigidità o instabilità.

Il disco è una struttura legamentosa perché stabilizza le due vertebre tra le quali è situato.

I leg intertrasversari danno stabilità nell’inclinazione laterale.


I leg gialli sono tesi tra le lamine.
I leg interspinosi sono singoli e situati tra due spinose.
Il leg sovraspinoso, unico, è situato sulla parte esterna della spinosa, stabilizza in maniera continuativa tutte
le spinose delle vertebre.

Colonna e movimento
Divergenza, movimento di F – il corpo rotola e scivola avanti.
1. Primo grado (inclinazione del corpo ma assenza di scivolamento)
2. secondo grado (le faccette vanno avanti-alto)
Convergenza, movim. di E - La vertebra rotola e scivola post e le faccette articolari vanno in basso-dietro.

Nell’inclinazione laterale, si mettono in tensione i legamenti laterali (intertrasversari).


In questo movimento si prende in considerazione la superiorità e l’inferiorità.
Nell’inclinazione dx la vertebra si abbassa a dx e si alza a sin.

I movimenti asimmetrici di una vertebra non possono mai avvenire su un solo piano.
L’inclinazione e la rotazione, asimmetrici, sono sempre combinati tra di loro:
- infatti in una convergenza dx, la faccetta di dx non va solo in basso ma anche dietro.
- nella divergenza non va solo in alto ma anche in avanti.

La 1° legge di Fryette è la legge di neutralità (NSR).


Partendo da una situazione di neutralità (posizione teorica in cui le faccette non sono ingaggiate),
ad una inclinazione dx di 3 o più vertebre si assisterà ad una rotazione a sin dei corpi vertebrali.

Nella 2° legge > E/FRS si esce dalla neutralità e si prende in considerazione una vertebra rispetto alla sot-
tostante.
In questo caso, un’inclinazione è sempre seguita da una rotazione dei corpi omolateralmente.

Ciò dipende dall’orientamento delle faccette articolari.


Durante l’inclinazione dx c’è anche una rotazione a dx perché la faccetta di dx va dietro oltre che in basso
mentre la faccetta di sin va avanti oltre che in alto.

Movimenti simmetrici:
flessione – a livello del dorso è di circa 60°
estensione – 35°
56
inclinazione 20°
rotazione 35°

Flex dorso-lomb – 105°


A livello lombare la rotazione è 5° (dovuto all’orientamento delle faccette articolari).

PRATICA – esame visivo_Pz in piedi


Anche per la regione toracica si parte da test visivi:
per valutare presenza di
- curve poco accentuate (mobilità ridotta)
- di un gibbo (rot dx, inclinazione sin. Quindi in caso di inclinazione sin, la rotazione dx non solo porta in dietro
le trasverse di dx e quindi le coste, ma porterà piu avanti quelle di sin).

Trovarsi in queste situazioni fa partire il test da una situazione anomala, da una posizione spaziale delle dita
differente.

Dalla posizione frontale – si osserva


allineamento colonna dorsale
scapole simmetriche

posizione sagittale – si osserva


armonia curve
appiombo delle curve
movimento sul piano frontale – svolgimento
dell’inclinazione a partire dalla testa.

si osserva se ci sono perdite


di armonie della curva messe in evidenza da
zone rettilineizzate o bruschi cambiamenti di
direzione.

il movimento parte dalla testa si osserva se la


curva è armonica

se ci sono zone il Pz potrebbe


rettilinee compensare con
il bacino

57
Piano sagittale - Pz in F anteriore della colonna a partire dalla testa.
Valutare armonia curva o presenza di tratti di colonna rettilinei e quindi poco mobili.

Test_Pz seduto
Posizionando le dita sulle spinose si pos-
sono apprezzare e valutare i tratti della
colonna che all’esame visivo erano risultati
come meno mobili.

Si valuta anche l’allineamento o meno


delle spinose.

test di pressione a vari livelli


Test su un gruppo di vertebre
Si chiede al Pz di incrociare le braccia. L’Osteopata fa pas-
sare il braccio sotto i cavi ascellari del Pz sostenendogli
le braccia.
Si fanno test di pressione e si inducono movimenti di F- E
-Side.........

58
.......Rotazione.

Oppure si testa una


singola vertebra.

.
clavicola
testa
vista posteriormente
collo
coste tubercolo
acromion
angolo fossa sopra-
spinata
scapola
corpo spina
fossa sotto-
Reperi spinata
spinosa di D3 > spina della scapola
spinosa di D7 > angolo inf scapola coste vere

coste false

coste fluttuanti

COLONNA DORSALE: Valutazione e test


Dopo aver fatto una valutazione del Pz dalla posizione in piedi, in statica ed in dinamica, integrando le infor-
mazioni visive con le informazioni palpatorie abbiamo individuato zone e vertebre nelle quali sarà opportuno
effettuare una valutazione più approfondita.
La volta precedente abbiamo visto che con il Pz seduto possiamo integrare un test palpatorio con un test
dinamico. Un leggero movimento ci permette di trovare una facilitazione che può farci pensare ad una comp-
lessiva buona mobilità. Infatti se in una zona o su una vertebra trovo movimenti di inclinazione laterale, di
rotazione, di flesso-estensione, già penso che in quella zona c’è una corretta mobilità.
Una volta individuata la vertebra sulla quale fare il test bisogna procedere per nominare la disfunzione, quindi
ci avvaliamo prevalentemente del test utilizzando come punti di repere le spinose e le trasverse delle verte-
bre. Sappiamo che a livello di palpazione le spinose dorsali corrispondono da D4 a D10 alle proiezioni sulle
vertebre sottostanti, per cui se dobbiamo fare il passaggio della valutazione dalla spinosa alla trasversa lo
dobbiamo considerare; ad es se prendo in considerazione la spinosa di D7 e mi metto lateralmente ad essa
non troverò le trasverse di D7 bensì le trasverse di D8, le trasverse di D7 le troverò più in alto ossia all’altezza
della spinosa di D6.
Andremo successivamente a paragonare quello che accade a livello della spinosa con quello che accade alle
trasverse della stessa vertebra per posizionare la vertebra nello spazio rispetto alla sottostante che è la ver-
tebra che sarà il mio riferimento di movimento, per cui andrò a mobilizzare questa vertebra per vedere se
rispetto alla posizione iniziale in cui l’ho trovata e rispetto alla mobilità mi dà delle informazioni definitive per
59
denominare la disfunzione.
Ricapitolando: nella prima parte i test mi permettono di individuare una regione, una vertebra; nella sec-
onda parte faccio dei test per denominare la disfunzione.
Iniziamo dal ragionare sul posizionamento dorsale, la prima zona da sentire è quella delle spinose: in partico-
lare vado a valutare innanzitutto l’allineamento sulla linea mediana in modo da poter evidenziare eventuali
spostamenti laterali della spinosa.

1°ESEMPIO: Troviamo la spinosa di D3 rispetto a D4 deviata a dx. Se si tratta


di una disfunzione isolata si può ipotizzare la presenza di una rotazione sin ed
un’inclinazione sin e la denominerò come una RSsin. Successivamente andrà
valutata la F e l’E per cui faccio effettuare un movimento di F-E dove avrò un al-
lineamento delle spinose durante la F ed un disassamento durante l’E quindi
in questo caso ho una FRSsin, perché la disfunzione scompare durante il mo-
vimento di F, ciò significa che entrambe le faccette articolari possono fare la F
ma non l’E e la disfunzione come sappiamo si nomina nel senso della maggior
ampiezza. Se invece troviamo sempre in una rotazione ed inclinazione sin una
spinosa che si riallinea in un movimento di E e si disassa in un movimento di F
avremo una ERSsin. Faccio un altro test e vedo che la né la F né l’E fanno cen-
trare la spinosa, la situazione peggiora con una disfunzione di bilateralità
asimmetrica che si definisce in questo caso una anteriore dx posteriore sin.
Ricapitolando: le faccette articolari possono andare sia in F che in E, abbiamo visto che in realtà quando una
faccetta va in F va anche in avanti-alto e quando va in E va basso-dietro.

2°ESEMPIO: In questo caso


troviamo le spinose che sono
sulla linea mediana ma pre-
sentano tra loro degli spazi
asimmetrici per cui si farà un
test di pressione più “fine”
dove andrò a testare la zona
che mi sembra più asimmet-
rica partendo dalla vertebra
che appare più in disfunzi-
one poiché è meno mobile.
A questo punto si effettua il test di F e noto che lo spazio non si apre, faccio il test di E e vedo che gli spazi
si chiudono per cui denominerò la disfunzione come una E bilaterale. Viceversa se le vertebre si aprono in
flessione ma non si chiudono in estensione avremo una disfunzione di F bilaterale.

Test di mobilità
Pz seduto sul lettino, la testa del Pz du-
rante il test deve essere sempre bilan-
ciata non ruotata né inclinata.
Vado a fare prima un test in cui mobi-
lizzo in F-E la colonna e individuo una
zona che mi sembra meno mobile;

Pz allineato test globale sulla colonna in F-E

60
su questa zona posso fare inclinazione laterale, rotazione per
andare a selezionare su una o 2 vertebre qual è/quali sono
quella/e da testare.

Poi denomino il numero della vertebra


partendo da D1, oppure (se è molto
bassa) partendo da K12, che mi fa ar-
rivare alla colonna su D12. Mi metto
sulla spinosa in disfunzione e vedo se
è allineata o disassata. Se è disassata
ragiono sul centraggio, se è allineata
invece ragiono sugli spazi.
Se trovo una vertebra con la spinosa
deviata a sin, vado a contare partendo
conto da D1 conto da K 12 dalla prominente (C7) e utilizzando
una F minima della colonna.
Il risultato è D6 deviata a sin rispetto a D7.
Per valutare la rotazione prendo la
vertebra tra la sua spinosa e quella
sottostante o metto il dito per ve-
dere se questo rispetto a sotto si
spinosa riallinea.
soprastante
Fino a D4 posso usare la testa, sot-
spinosa
sottostante to D4 devo muovere il tronco del
Pz con le braccia incrociate.

D6 è deviata a sin test di mobilità in E


rispetto a D7 (vert basse_uso le
braccia) test di mobilità in F

61
Test di mo-
bilità in E e la
vertebra non
si riallinea; test
di mobilità in
F e la vertebra
si riallinea. Ho
trovato una
FRSdx.

Ipotizziamo di voler valutare D4 rispetto a D5: ho uno spazio


più aperto tra le spinose, testo lo spazio sottostante che risulta
normale, anche quello sovrastante risulta normale, valuto D4
su D5. Con i movimenti del capo vado a vedere se lo spazio si
apre (in F) e si chiude (in E); lo spazio si apre e non si chiude
questa sarà una flessione bilaterale.
Viceversa se lo spazio si chiude ma non si apre è una esten-
sione bilaterale.

test di mobilità in E
(vert alte_uso il capo)
test di mobilità in F
(vert alte_uso il capo)

Se facciamo un test dorsale usando la respirazione, facciamo mettere il Pz prono con un cuscino sotto la
fronte: in questo modo la colonna dorsale non è in tensione.
In caso di una FRSsin (per es D3), dovrei trovare a
livello di D3 nella parte dx una trasversa più anteriore
rispetto a quella di D4; posso paragonare le trasverse
di D3 con quelle sottostanti di D4.

Per utilizzare la respirazione nei


test dobbiamo tenere presente
che durante l’INsp la colonna si
allunga,
in questo caso la curva dorsale
fa un’E;

cuscino
sotto
la fronte

62
durante l’Esp la colonna dorsale
farà una F.

Test sulle spinose per valutare l’allineamento.


Ipotizziamo di trovare la spinosa di D5 a sin,
significa che la vertebra è ruotata a dx

Se D5 è ruotata a dx devo sentire una corri-


spondenza sulle trasverse, in questo caso la
trasversa di sin devo trovarla più avanti. Inoltre
devo tener conto del decalaggio per cui le
trasversa sin di D5
trasverse di D5 devo cercarle ai lati della
spinosa di D4.

spinosa di D5

trasversa dx di D5

pollici sulle trasverse

Test di mobilità rachide dorsale (classe 2A)


Introduzione
Intanto prima di effettuare il test di mobilità è necessario andare a ricordare quali sono i punti di repere delle
vertebre dorsali.
A livello spaziale, la spinosa si trova ad un livello inferiore rispetto alle trasverse ed addirittura bisogna tenere
conto del decalage da D3/D4 fino a D10 in cui la spinosa corrisponde al corpo e alle trasverse della verte-
63
bra sottostante (anche leggermente al di sotto delle trasverse che sono posizionate nella parte superiore del
corpo).
Vedremo due tipologie di test di mobilità:
1. la prima è maggiormente meccanica;
2. una seconda tipologia nella quale si utilizza anche la respirazione.

Il test va interpretato; si compone di due fasi:


1. test visivo
2. test palpatorio che approfondendolo ci porta a posizionare la vertebra rispetto alla sottostante.
Individuiamo la vertebra rispetto alla sottostante che è il nostro punto di riferimento e andiamo a valutare
l’allineamento che ci dà già un idea; a questo punto possiamo richiedere un movimento attivo o indurre un
movimento passivo per valutare F o E.
Una spinosa maggiormente prominente, a livello dorsale, è un informazione che la vertebra è in una condizione
di Flessione. La stessa condizione di prominenza, ma ancora più accentuata può essere segno evidentemente
della Lisi istmica o spondilolisi, perché c’è un distacco dell’istmo.
Se c’è una condizione in cui ad es. la vertebra è posizionata con la spinosa a dx e lo spazio tra la stessa spinosa
e la sottostante è ridotto rispetto allo spazio sovrastante, questo ci dà una informazione ulteriore sulla posiz-
ione; ma naturalmente questo elemento non è denominante una disfunzione.

Possibili risposte del test (prendendo ad es. la condizione sopracitata, quindi con R sin):
1) faccio la F e la vertebra si riallinea; faccio l’E e la vertebra si disassa ulteriormente FRSsin
2) faccio la F e la vertebra si disassa; faccio l’E e la vertebra si riallinea ERSsin
3) faccio la F e la vertebra Non si riallinea; faccio l’E e la vertebra NON si riallinea Bilaterale asimmetrica
Ant dx+Post sin.
4 ) come ultima possibilità, ci troviamo con le spinose allineate sulla linea mediana e con una situazione in cui
la distanza tra di esse non è armonica. Non necessariamente, se le spinose sono allineate, è esclusa la possi-
bilità che in flessione o estensione, compaiano delle rotazioni. Ci possono essere delle condizioni poco chiare.
Se il test precedentemente fatto ha evidenziato la stessa zona come ipomobile e con una sofferenza tissutale,
si va a valutare se la vertebra rispetto alla sottostante può o meno andare in F e in E. Questa informazione ci
dirà se siamo in una condizione di F o E bilaterale

Non bisogna commettere l’errore, in caso di spazi troppo chiusi o troppo aperti, di confondersi perciò è op-
portuno andare a valutare uno spazio alla volta.
Attenzione!! Il fatto che una vertebra sia in disfunzione, non esclude la possibilità che sia in disfunzione anche
la sottostante.

Test meccanico
Dopo aver effettuato il test in piedi, il Pz viene fatto sedere ed è importante prima di tutto, mettere il Pz in ap-
piombo e soprattutto la zona che si sta testando deve avere una proiezione verticale che cade sul bacino.

1. Individuare il livello da testare


L’informazione che abbiamo ottenuto con il test visivo in piedi da il punto da testare; a questo vado ad ag-
giungere una valutazione dinamica che faremo dando movimenti di inclinazione e posizionandoci con le
dita

64
sulla vertebra e sulla sottostante per indi-
viduare quella che ci interessa di più.
Per individuare il livello numericamente,
potremo andare a utilizzare la flessione
del capo che metterà in evidenza la
prominente oppure l’estensione del capo
che renderà più sporgente D1; da qui ini-
zieremo a contare le vertebre fino ad arri-
vare a posizionarci sulla vertebra interes-
sata e sulla sottostante.

il capo in F evidenzia C7 il capo in E evidenzia D1


2. Individuare la posizione spaziale della vertebra e la restrizione di mobilità
A questo punto
valuteremo innanzi-
tutto l’allineamento
delle spinose; poi
potremo effettu-
are un’inclinazione
e rotazione a dx e
un’inclinazione e ro-
tazione a sin per valu-
tare il lato in cui ho
maggiore o minore
difficoltà
inclinazione e rotazione a dx inclinazione e rotazione a sin
A questo punto
sposteremo le dita
mettendoci lat-
eralmente alle due
spinose e andremo
a valutare la F e l’E.
Utilizzeremo il capo
fino al livello D5 o
eventualmente con
le braccia se dovre-
mo arrivare ad un
livello sottostante.
3. È possibile effettuare un test più dinamico
Andremo ad effettuare dei movimenti badando bene alla facilità nell’effettuare il gesto e all’adattamento
della vertebra rispetto alla sottostante:
1. inclinazione laterale

65
2. una rotazione

3.flesso
estensione

La cosa essenziale, al di la delle tecniche di valutazione e di test, è:


- essere certo del livello che mi interessa e della sua denominazione;
- l’orientamento della vertebra nello spazio
- anticipare mentalmente il movimento della vertebra nei vari movimenti che vengono indotti.

TEST rachide DORSALE con RESPIRAZIONE


Come per le vertebre lombari, utilizziamo la respirazione per mobilizzare le vertebre dorsali; immaginando
che in INsp avviene una estensione e quindi un raddrizzamento delle curve, ed in Esp avviene una flessione e
quindi un’accentuazione della cifosi.
Bisogna tenere in particolare attenzione le zone di inversione di curva e di cerniera come la cervico dorsale e
la dorso lombare.
Una cosa interessante è andare ad individuare se una eventuale deviazione della spinosa, corrisponde ad una
omogenea deviazione delle trasverse; questo perché non necessariamente sono corrispondenti. Inoltre
l’orientamento spaziale della vertebra può non essere corrispondente alla facilità di movimento della stessa
che si verifica con un test meccanico.
In alcuni casi delle vertebre possono andare in disfunzione, oltre che sulle faccette articolari, anche sul corpo
vertebrale; potremmo avere dunque dei test che non sono completamente logici. Potremmo avere delle
sommazioni di disfunzioni o viceversa su una spinosa che è centrata, facendo il test di flesso estensione, com-
pare una deviazione laterale.
La cosa migliore è non farsi condizionare da un eventuale orientamento, ma fidarsi delle sensazioni senza
preconcetti.
Trovo una spinosa deviata; trovo la sottostante come punto di riferimento; faccio fare una inspirazione e dovrei
avere un’estensione; faccio fare una espirazione e dovrei avere una flessione chiaramente andrò a verificare in
quale fase la vertebra si riallinea e denominerò la disfunzione.

66
sem 3 Di Branco_Ernia

Parlando di ernie discali, bisogna constatare che sull’ernia effettivamente, non si può fare nulla!
Il problema è legato in particolare all’ampiezza del canale vertebrale che è soggettiva. La cosa che emerge e
che deve fare riflettere, è il fatto che le ernie si presentino sempre, o quasi, allo stesso livello.
Partendo dal fatto che le lordosi sono tali per la presenza nella regione anteriore di strutture che esercitano
una trazione come ad es. la regione cervicale che si adatta alle tensioni della guaina viscerale del collo che è
correlata alle tensioni derivanti dall’esofago.
A livello lombare ci sono grossi gruppi muscolari che agiscono posteriormente come il grande dorsale, lateral-
mente come il quadrato dei lombi, anteriormente come il m. psoas e i pilastri del diaframma.
Dunque in teoria parliamo di una zona molto mobile; ma non è così.
L’ernia è di solito posteriore o laterale, è dunque frutto di tensioni che vengono dalla regione anteriore; quindi
andiamo a cadere sul m. psoas, tra le fibre del quale ritroviamo il plesso lombare; inoltre ritroviamo l’inserzione
dei pilastri del diaframma che origina da D12 e arriva, con qualche fibra in maniera incostante, fino a L4.
Il m. psoas discende a livello della fossa iliaca dove si connette con il ventre carnoso dell’iliaco che va a costi-
tuire una sorta di pavimento; a questo sono contrapposte superiormente le cupole del diaframma che vanno
a costituire il tetto.
Abbiamo dunque due strutture che agiscono in maniera similare anche se in sensi diversi. L’azione muscolare
del diaframma è guidata dal comportamento dei visceri.
�������������������������������������������������������������������������������������������������������������
presente una pressione, positiva o negativa a seconda della fase respiratoria, che mantiene le strutture ad-
ese superiormente ed inferiormente; questa pressione è mantenuta dalla tensione e resistenza della parete
addominale.
Quando la tenuta della parete addominale diminuisce per un qualsiasi motivo (vita sedentaria, esito di un
intervento chirurgico, parto ecc.), i visceri si abbassano per la forza di gravità con l’inevitabile conseguenza
che ci sia un comportamento medesimo da parte del diaframma (che si poggia su di essi cambiando la sua
posizione e azione) e dei pilastri.
I visceri scendendo si poggiano sempre più a livello del muscolo iliaco, più da un lato o dall’altro, che reagisce
diventando ipertrofico e andando a determinare delle ripercussioni anche a livello delle inserzioni prossimali
dello psoas. Questo comporta una verticalizzazione della colonna lombare con due principali conseguente:
alterazione dei carichi; se il fenomeno si protraesse per pochi giorni non darebbe problemi particolari, ma
mantenendosi nel tempo ha chiaramente degli effetti importanti; altra conseguenza, è la perdita di elasticità
del tratto lombare che determina un inevitabile compenso delle strutture sottostanti L4-L5-S1 che non es-
sendo sottoposte a queste forti tensioni muscolari e avendo per struttura una minore mobilità, dovrebbero
essere tranquille. Il compenso viene messo in atto, in particolare, nella deambulazione durante la quale c’è
una fisiologica alternanza di torsioni iliache e sacrali che non fanno altro che determinare adattamenti su
queste strutture compensanti. Il tratto lombare che risulta verticalizzato, determina dei fenomeni di colpi di
frusta sulle vertebre L4-L5-S1.
��������������������������������������������������������������������������������������������������������������
importante sottolineare che il disco intervertebrale di L5 si presta a questi fenomeni per la sua conformazi-
one irregolare.
Le ernie a livello L4-L5-S1 sono generalmente da usura, mentre a livello dorsale basso e anche risalendo, sono
più conseguenza di trauma o di uno sforzo; possiamo avere delle classiche ernie posteriori o delle ernie di
Schmorl derivanti da delle invaginazioni del disco che portano a uno sfondamento del piatto vertebrale (gen-
67
eralmente sottostante). Quest’ultima tipologia di ernie, si può manifestare in conseguenza, ad es., di un salto
con un atterraggio non perfetto o senza una preparazione alla fase di appoggio; accade nei soggetti non più
giovanissimi ed è abbastanza frequente come fenomeno.
Tornando alla “bocca” che si
presenta tra psoas e pilastri del
diaframma, rappresenta una zona
di equilibrio di tensioni e pres-
sioni, che vengono influenzate
anche dalle catene muscolari
posteriori. La formazione di
un’ernia, altro non è che una
risposta dell’organismo e uno
degli errori che classicamente si
fa, è rimuoverla senza andare a
riequilibrare le tensioni anterior-
mente; accade così che si presentano delle recidive o dei fenomeni irritativi legati alla cicatrizzazione ipertro-
fica.
L’ernia non è dunque un elemento prerogativo di dolore!
La cosa da tenere presente, è che se il Pz si presenta con una iperreflessia o areflessia, con una perdita della
forza o della sensibilità l’indicazione è solo ed esclusivamente chirurgica.
Tutto questo discorso fa capire come il nostro organismo lavori sempre alla ricerca di un equilibrio; quando
questo viene meno, per un qual si voglia problema, si scatenano i fenomeni algici (discorso a parte per i
fenomeni traumatici) nei distretti di minore capacità adattativa del corpo, che, in questo caso, sono i distretti
lombari non interessati dalle inserzioni muscolo legamentose di psoas e pilastri del diaframma.

Andando più sulla parte pratica, il Pz con lo scatenarsi del fenomeno algico si presenterà da noi con degli at-
teggiamenti posturali che ci aiuteranno ad avere un’idea della situazione.
L’idea fondamentale, nella valutazione della postura, è che il Pz cerca di evitare il dolore e di decomprimere
della radice. Potremo avere diversi atteggiamenti:

1. In una condizione di ernia supero-esterna


(rispetto alla radice nervosa), il Pz tende ad incli-
narsi dal lato opposto rispetto al lato della mani-
festazione dolorosa, per evitare la compressione e
quindi l’aumento di dolore. Si parla classicamente,
in questo caso di un ernia supero esterna con at-
teggiamento antalgico crociato (questo è però un
discorso schematico che molto spesso non è così
semplice).

2. Ernia infero-interna rispetto alla radice ner-


vosa; il soggetto avrà un atteggiamento di incli-
nazione omolaterale ma con un sorta di blocco in
inspirazione per cercare di comprimere il nervo
sulla radice. Si parla di atteggiamento antalgico
diretto con ernia infero interna.

3. Pz che si presenta in flessione di tronco, iliaco posteriore e dolore nella fase di estensione; in questo caso
68
penso ad uno spasmo dello psoas che determina la sofferenza della zona di minore resistenza.

Gli elementi sopra indicati non sono vincolanti e necessariamente compatibili nella realtà, ma rappresentano
dei punti di partenza e di riflessione.

Trattamento
Partiamo dal fatto che il Pz non dovrebbe arrivare nelle condizioni sopracitate, ma si dovrebbe agire in mani-
era preventiva; ed è compito dell’Osteopatia mettere il Pz nella condizione di miglior equilibrio globale.
Il vero intervento osteopatico mira a valutare il diaframma, i visceri ecc.; ma non si tratta di un trattamento
esclusivamente viscerale, infatti bisogna valutare le informazioni che giungono dall’esterno dell’organismo
e nello specifico le informazioni dal basso verso l’alto, quindi appoggio dei piedi, ginocchia, anche, bacino e
tutto quello che si può valutare in un quadro ascendente.
Ma il Pz, nella maggior parte dei casi, arriva in una condizione di emergenza; in questo caso l’Osteopatia mira
a mettere la struttura in condizione di mobilizzare i liquidi che passano intorno, perché l’ernia è costituita da
una grossa componente liquida.
Verranno messe in atto dunque tutte quelle tecniche che agiscono sulla mobilizzazione dei liquidi a partire
dalle tecniche craniali sino ai drenaggi viscerali con obbiettivo di drenare la zona di sofferenza e dunque ridu-
rre la compressione.

Ricapitolando si andrà a:
-valutare la postura antalgica
-mai trattare un paziente senza RMN!!!
-valutare la topografia radicolare (zona di dolore e di deficit funzionale ad es.);
-Test di Lasègue
che classicamente è positivo quando il
dolore si presenta dai 60° in su; ma in una
condizione di emergenza, con ernia es-
pulsa e migrata, nel momento in cui si ef-
fettua il test, praticamente nei primissimi
gradi, parte il fenomeno algico perché la
radice nervosa è sottoposta ad una im-
portante compressione.
In una condizione simile, non c’è molto da perdere tempo; bisogna chiedere se si stanno prendendo i farmaci
giusti, se è stato dal medico, dall’ortopedico o dal neurologo. L’Osteopata può fare delle cose che vedremo
più avanti.
In un caso classico, non grave come sopra, nel quale il Pz riesce ad arrivare durante il test ad una flessione
maggiore, allora andremo a fare un’analisi differenziale che consiste:

1. fletto l’anca fino al punto in cui parte il dolore, riduco leg-


germente la flessione, rimetto in tensione dando una F dorsale
del piede. Risultati:
a) se c’è nuovamente il dolore è un problema neurologico;
b) se il dolore non ricompare allora si passa alla seconda dif-
ferenziazione;

69
2. fletto l’anca fino al punto di dolore, abbasso leggermente
e faccio una RI di anca + Add di arto inferiore per mettere
in tensione il piriforme; la risposta positiva a questo stimolo
indica una probabile disfunzione sacrale presumibilmente
correlata ai visceri del piccolo bacino.
I muscoli pelvi trocanterici reagiscono quando c’è un proces-
so espansivo di qualsiasi natura (stitichezza, fibromi, ipertro-
fia prostatica, tumori ecc.); potrebbe anche esserci stata una
semplice caduta sul sedere che ha provocato una disfunzione
sacrale di torsione con la messa in tensione del piriforme.
3. possibilità che non ci sia una risposta in nessuna delle analisi differenziali sopra citate e il dolore ricompare
solo riportando l’Arto inf alla F di partenza (quella in cui compariva il dolore nel test). Questa risposta indica
una disfunzione sacro iliaca pura o una disfunzione ad esempio di L4.

4. se compare il dolore sulla gamba controlaterale rispetto a quella testata, andremo a effettuare dei test an-
che sulla controlaterale.

5. se il dolore tende a non sparire mai il problema è più centrale, non a livello della radice nervosa.

6. ultima ma non meno importante, è la possi-


bile risposta negativa a tutti i test sopra citati;
a questo punto, per valutare se sia interessato
lo psoas, abbassiamo rapidamente l’arto sul
lettino; la comparsa del dolore in questo caso
è legata al fatto che essendo, in questa ipotesi,
accorciato lo psoas, abbassando la gamba ve-
locemente c’è una leva sull’inserzione distale
con il bacino che segue inevitabilmente dan-
do un colpo di frusta sulla regione di minore
elasticità.

Se il punto 1) è positivo, il problema è neurologico e posso


fare ulteriori test:
Test di pressione_Pz seduto. L’Osteopata preme sulle spal-
le del Pz per aumentare la pressione intracanalare e poi, per
capire se un lato è più sofferente dell’altro, aumenta la pres-
sione prima a dx e poi a sin.

70
Slump test_Pz seduto.
L’Osteopata procede così:
- preme sulle spalle del Pz
(come sopra),
- chiede al Pz si INsp e
rimanere in apnea
- durante l’apnea gli
chiede di estendere un
Arto inf, per allungare il
nervo.

Se il Pz ha male il test è
positivo.

Test della chiave.


L’Osteopata esercita
una pressione con una
chiave negli spazi tra
una vertebra e l’altra su
tutto il tratto lombare
per individuare la zona
di dolore.
Su quella zona sempre
allo stesso modo cerca
di capire se il dolore è
più a dx o a sin.

Approccio all’ERNIA
Se c’è un problema di ernia conclamata non espulsa, dobbiamo tenere presente il discorso neurologico,
richiedere magari l’esame RMN, fare i tests che abbiamo già visto (come Lasègue) per vedere se è un prob-
lema neurologico o sacro-iliaco o di m. piriforme o psoas o fare anche un tests puntiforme, chiamato test
della chiave, che ci da proprio la zona di fastidio, di sofferenza e il lato (che a volte non è così evidente) su cui
sdraiare il Pz.
Poi avevamo parlato del test del non dolore: compressione + respirazione a mantice pieno e mantice vuoto,
per verificare se prima e dopo il trattamento la radice si è liberata.

Ora vediamo le tecniche che devono semplicemente allontanare, decomprimere la parte fuoriuscita dalla
radice nervosa. Normalmente si ipotizzano 2 grandi famiglie ma in realtà ce ne sono abbastanza di più.
Cmq, schematizzando, possiamo ipotizzare
1. ernia al di sotto e internamente alla radice
2. ernia al di sopra e esternam alla radice.
In base a questo però il discorso cambia poco. Noi dobbiamo visualizzare la disf ma poi la tecnica si basava
sostanzialmente su un movimento di respirazione con un’ aspirazione del disco, una presunta o un’ipotetica
ispirazione della parte erniata accompagnata da un’ inspirazione ed espirazione. X fare questo il vero accorgi-
mento è cercare di sdraiare il Pz dal lato in cui non ha dolore.
A volte l’atteggiamento antalgico crociato o diretto non è così facile da capire per cui si chiede al Pz su quale
lato riesce a dormire di notte e quello è il lato del non dolore.
Vediamo ora un caso di SUPERO-ESTERNA:
questa dovrebbe dare un atteggiamento antalgico crociato cioè il Pz ha dolore a dx e si scansa a sin, ma non
sempre quella è la posizione del non dolore x cui noi lo chiediamo sempre al Pz.
Se il Pz ha un’ ernia a dx e si sdraia a sin la procedura è:
come sempre la mia preoccupazione è quella di creare meno disagio al Pz x cui a volte è necessario piegargli
di più le gambe. Chiudiamo “leggermente in chiave” nel pto che ci interessa. L’idea è quella di mobilizzare la
71
radice e allontanare il punto che dà dolore.
Durante una fase inspiratoria faccio poco, durante l’espirazione cerco di allontanare con la mano craniale il
pto di dolore trazionando verso l’alto del Pz e con la mano podalica traziono sulla direzione della radice nel
verso distale quindi entrambe le mani si allontanano tra di loro e dal pto critico.
Durante una successiva inspirazione accompagno, quindi torno un po’ indietro e con un’altra espirazione
traziono un po’ di più. Questi movimenti sono alternati cioè una volta lavoro sulla radice e una volta allontano
l’ernia. Con un lavoro molto selettivo.

Altra spiegazione della tecnica


Il Pz è disteso sul lato opposto a quello dell’ernia. Se però il Pz riferisce dolore, lo si fa mettere sul lato dove sta
meglio. L’Osteopata fa una leggera chiusura in chiave e procede ai 3 passaggi della tecnica:
1) con la mano caudale, chiedendo al Pz di espirare, in 3 tempi espiratori mobilizza il nervo in direzione cau-
dale. L’Osteopata aumenta ad ogni espiraz l’allungamento ed in un 4 tempo espiratorio rilascia i tessuti,
2) con la mano craniale agisce a livello dell’ernia come al punto 1) ma in direzione craniale,
3) con entrambe le mani, in successivi tempi espiratori allunga e rilascia alternativamente nelle due direzioni
viste ai punti 1) e 2).

1 mobilizzazione del nervo

2
mobilizzazione dell’ ernia

72
3 mobilizzazione alternata
Questo lavoro serve a mobilizzare l’ernia e, con questo movimento elicoidale serve anche a mobilizzare e
drenare la zona liquida dalla radice quindi l’edema periradicolare dall’ernia. Qualcuno dice che l’ernia rientra
ma il prof pensa sia molto improbabile infatti la risonanza prima e dopo del trattamento è la stessa.
Questa è una tecnica sintomatologica che faremo dopo il trattamento in quanto da Osteopati trattiamo il Pz
nel suo insieme e dopo facciamo questo che è sintomatologico a conclusione del trattamento o come soc-
corso immediato ma non può essere considerato il trattamento dell’ernia
Se il Pz si lamenta interrompiamo, mai insistere.
Audouard dice che è meglio guardare un attimo la sacro-iliaca che a volte già basta.
Ora vediamo un’ernia INFERO-INTERNA. Qui, in teoria, il Pz sente dolore dal lato stesso dell’ernia quindi in
teoria potrei farlo sdraiare da questo lato.
Se faccio così devo mobilizzare la radice con la mano craniale verso il basso e verso l’esterno del Pz e con la
mano caudale verso il basso del Pz con molta precisione quindi metto un pollice sul pungolo nocicettivo e col
resto della mano appoggiata traziono.

Altra spiegazione della tecnica


Il Pz è disteso sullo stesso lato di quello dell’ernia. Se però il Pz riferisce dolore, lo si fa mettere sul lato dove
sta meglio. L’Osteopata fa una leggera chiusura in chiave e procede con i 3 passaggi come nella tecnica prec-
edente. In questo caso la direzione in cui si mobilizza il nervo è verso il lettino e non verso l’ Osteopata.

Se il Pz invece si sdraia dall’altro lato quindi lato opposto all’ernia, con la mano podalica sto sulla radice e con
la mano craniale “sull’ernia” ad incrocio e il discorso è sempre quello di trazionare la radice e allontanare l’ernia
in fase espiratoria.
Questo lavoro a volte è molto efficace ma a volte non dà risultati allora facciamo un lavoro anteriore sul m.
psoas. Prima di fare questo il prof ha un suo protocollo che consiste nell’andare prima a verificare la sinfisi,
poi il sacro e poi mettiamo il Pz supino e x via anteriore facciamo un trattamento entrando col pollice come il
73
trattamento dello psoas.

Il dito va in direzione dietro-dentro-basso,


fletto l’anca e la adduco un pò per detendere
i mm. addominali.
Ogni volta che il Pz detende entro sempre di
più fino a sentire la zona da trattare che è più
consistente (perché è osso).
Una volta arrivati sul pto si aggancia l’anca ti-
rando un pò avanti per detendere lo psoas e
porto l’anca in estensione. È sicuramente un
discorso molto generico e in casi di ernie es-
pulse o migrate viene a cadere.

Ernia del disco


Cos’è l’ernia del disco?
La fuoriuscita del nucleo polposo dal disco (ciò che succede a livello istologico)
Può portare a una compromissione radicolare o meno (a livello della clinica neurologica)
Si da la colpa: al sovraccarico, difetti posturali, traumi, sovrappeso, cattiva igiene di vita (uno che fa la spesa
sempre allo stesso modo, porta sempre gli stessi pesi, le stesse scarpe, ecc..)
Può essere sintomatica o asintomatica (spesso sono asintomatiche)
Quasi tutte le ernie sono posteriori (perché la nostra vita e tutto ciò che facciamo è proiettato verso l’avanti)
Tensioni viscerali
Possono risolversi spontaneamente (perché essendo una raccolta liquida tende ad essere riassorbita o scansa-
ta)
74
L’ernia si opera perché quando c’è migrazione con espulsione e compressione a livello del canale di coniu-
gazione, a quel punto si creano delle condizioni che mettono a repentaglio la salute del nervo, allora bisogna
intervenire in tempi relativamente brevi, altrimenti il nervo può andare incontro a degenerazione che può es-
sere abbastanza invalidante, può essere temporaneo o permanente. Questo avviene quando ci sono i sintomi
neurologici, la topografia radicolare si può manifestare sia come dolore della zona o una topografia di inner-
vazione muscolare, quindi calo importante di deficit muscolare. Ci può essere in una prima fase ipereflessia (il
nervo cerca di reagire), in una seconda fase ci può essere un rallentamento se non un’abolizione dei riflessi.
Quando siamo in queste fasi bisogna fare attenzione.
Maggiore interessamento del tratto lombare
I livelli più frequenti: L5-S1, L4-L5, zona intestino, conformazione anatomica per la quale tra la base del sacro
e la parte lombare si crea un angolo, un passaggio da una zona mobile a una meno mobile.
Ogni vertebra lombare ha circa 1 grado di in-
clinazione e di rotazione. È una zona lordotica,
in chinesiologia queste zone sono sottoposte
a importanti stress di tipo muscolare. Le cervi-
cali sono molto mobili, le dorsali meno perché
ci sono le coste, le lombari da un punto di vista
dell’adattamento è abbastanza mobile anche
se singolarmente ogni vertebra si muove poco,
globalmente però è abbastanza mobile.
È una zona sottoposta a delle grosse sol-
lecitazioni di tipo
muscolare: psoas, lombi, dorsali, massa co-
mune, pilastri
del diaframma.
L’ernia normalmente è posteriore quindi
sarà normalmente una reazione che avviene
davanti;
davanti abbiamo l’inserzione dello psoas,
in mezzo ci passano le radici nervose.

75
Ancora davanti abbiamo l’inserzione del diafram-
ma, a livello lombare i pilastri del diaframma. Si
nota che i pilastri del diaframma e le fibre dello
psoas si incrociano, sono inserite nella stessa zona
(da D12 a L4), quindi abbiamo un diaframma so-
pra e uno sotto (inteso come comportamento); il
comportamento di questi muscoli è di contenere
i visceri, i visceri tendono sempre a scendere, ab-
biamo la controspinta della parete addominale che
tiene (se tiene!), se questa tenuta cede un pochi-
no (a seguito di: un parto, la pancia, un trauma,
un’operazione), questa zona si vede allontanare
i visceri verso il basso, quindi anche il diaframma
si adatta scendendo verso il basso, e aumenta un
po’ la sua tensione anche sulla colonna lombare
che man mano comincia ad invertire la sua lordosi.
Questi visceri sono accolti nel bacino, nel bacino
c’è lo paoas; quindi questi visceri vanno a premere
di più sullo psoas; a seguito di ciò lo psoas inizia a
contrarsi sia nelle sue inserzioni con il bacino che
nelle sue inserzioni vertebrali e ancora una volta
aiuta, diventa sinergico all’azione dei pilastri del di-
aframma. Quindi, ci troviamo di fronte a una zona
che all’origine è mobile, elastica; e invece man mano diventa sempre più rigida, viene perso del movimento,
e il corpo in qualche modo cerca di recuperare questo movimento sopra a livello dorsale e cervicale, ma so-
prattutto mette sotto stress gli unici punti dove l’inserzione muscolare è minore quindi c’è più svincolo, questi
punti sono i dischi L4-L5, L5-S1, che faranno da perno. Perché fino a L4 è tutto rigido, quindi questa parte ten-
derà ad andare in avanti, mentre da L5 tenderà ad andare verso dietro quindi ci sarà una situazione a cesoia;
otteniamo il cosidetto “effetto a frusta”, a forza di fare questo lavoro dopo 4-5 volte si spezza. Ecco perché la
maggior parte delle ernie si presentano in questa zona.
A livello lombare c’è un irrigidimento, questo non è associato a una iperlordisi, anzi nel tempo può avvenire
una inversione della curva, cioè diventa una curva dritta, significa che c’è una trazione che inverte una situ-
azione muscolare.
Allenare la parete muscolare può aiutare a prevenire.
Se dovessimo invece avere un’ernia a livello di L2-L3 o L3-L4 sarà dovuta al fatto che queste zone riescono ad

76
ammortizzare poco, o può essersi verifi-
cato un trauma importante o una schiac-
ciamento importate, come una caduta sul
sedere.
Prima di trattare le ernie, il vero lavoro
osteopatico sarà quello preventivo. La
prevenzione comprende: un’adeguata ali-
mentazione, la riduzione del sovrappeso,
ci possono essere problemi al fegato che
danno lombalgia. Secondo alcuni autori
la protrusione rimane tale non è detto che
diventa ernia, secondo altri la protrusione
è l’anticamera dell’ernia.
L’ernia si forma quando c’è la tendenza
della bocca (parte anteriore) a chiudersi;
quindi, l’ernia si mette in equilibrio con
le tensioni che stanno davanti. Quindi, se
togliamo l’ernia, decomprimo, cioè vado
a togliere da un contesto di equilibrio cre-
ando così un disequilibrio che facilmente
mi porterà alla formazione di una recidiva;
perché io ho tolto il dolore (l’ernia) ma non
ho tolto le cause (es: viscerale).

Come identifichiamo la persona che ha l’ernia?


Questa è la radice, il fastidio può essere al di sopra e es-
ternamente alla radice: ernia supero-esterna. Questa
è una radice dx e io ho sopra un qualcosa che mi in-
fastidisce, quindi, avrete una persona che avrà dolore
a dx, irradiazione a dx e si sposta dal lato opposto. Si
chiama ernia supero-esterna caratterizzata da atteg-
giamento antalgico crociato. Questo mi serve quan-
do dovrò mettere le mani, so da che lato la persona ha
meno dolore.

Posso avere un fastidio che sta sotto la radice (radice


dx). Si chiama ernia infero-interna caratterizzata da
un atteggiamento antalgico diretto, cioè il dolore è
a dx e mi inclino a dx.

Può arrivare la persona che sta anche piegata un pò


in avanti, in questo caso la situazione è mista e ci
può essere un interessamento anche dello psoas. Lo
psoas porta su l’iliaco, lo porta indietro, intrarotazione
dell’anca.

Cosa fare quando la persona viene da noi.


L’atteggiamento antalgico ci fa pensare a qualcosa.
Ovviamente prima di trattare guardare la risonanza (esame obiettivo strumentale).
Topografia radicolare: ha più dolore sulla parte esterna, posteriore, c’è chi non riesce a stare sulle punte, sui
talloni, l’abolizione dei riflessi.

77
TEST
Test di Lasegue
Test positivo se hai dolore sotto ai 60°.
Pz supino. L’osteopata di fianco prende l’arto inferiore del paziente e lo porta in flessione d’anca con gamba
distesa, e cerca di scatenare il dolore.
Quando tiro su l’arto, se tutto è libero, si dice che è lo sciatico (cmq le radici del plesso lombare) debbano scor-
rere per almeno un centimetro e mezzo (12 millimetri sicuramente!). Quindi, se non ci sono intrappolamenti
di scorrimento. Se la radice è libera, quando fletto l’arto di 60° e anche oltre, in genere non succede niente.
Attenzione a non confondere con un dolore a livello muscolo-fasciale da tensione dei muscoli ischio-crurali.
Se invece, ai primissimi gradi di flessione, il paziente avverte subito dolore, c’è un intrappolamento della ra-
dice, e probabilmente questa radice è diventata pure edematosa, quindi c’è una reazione locale che non con-
sente lo scivolamento. A questo punto prima di mettere le mani sul paziente andare a vedersi bene la RMN.

1 2
Con la mano craniale controllo sempre le tensioni dell’anca. Mano caudale afferra la caviglia.
a) Se il dolore compare prima dei 60° (fig.1), l’osteopata abbassa di qualche grado l’arto e stiro la radice (fig.2),
comprimendo sulla pianta del piede del Pz. Se il Pz avverte dolore anche così, significa che c’è un interessa-
mento radicolare.
b) Se il Pz sente dolore prima dei 60° di F, l’Osteopata abbassa di qualche grado l’arto e comprime la radice
attraverso una pressione sulla pianta del piede, il soggetto non sente dolore; tiro nuovamente su l’arto e il
soggetto sente dolore. È un problema all’articolazione sacro-iliaca. Tramite la tensione dei muscoli ischio-
crurali (durante la F dell’arto) tento di far fare una bascula posteriore del bacino, c’è una tensione importante
a livello dell’articolazione sacro-iliaca, dei legamenti e probabilmente quello mi crea qualche fastidio a questo
movimento.
c) Se il Pz sente dolore prima dei 60° di F, l’osteopata abbassa di qualche grado l’arto e
comprime la radice attraverso una pressione sulla pianta del piede, il soggetto non sente dolore; tiro nuova-
mente su l’arto e il soggetto sente dolore. Accentuo il dolore facendo una RI, add dell’arto, il Pz ha dolore.

In questo caso c’è un problema al piccolo bacino, che ho messo in


evidenza attraverso la tensione del piriforme, che tocca un pochino
sul nervo; quindi ho una falsa sciatica a partire dal piccolo bacino,
quindi dovrò indagare questa zona (pavimento pelvico, muscoli
pelvi-trocanterici, osso sacro*).
* osso sacro perché il piriforme ci sta attaccato, quindi basta una
bella caduta sul sedere per farvi venire all’inizio una falsa sciatica, ma
nel tempo, quando l’osso sacro risale verso l’alto e indietro (quindi va
a pinzare ancora di più quella zona che già si muoveva poco, il disco
L5-S1), dopo diventa un fastidio insostenibile su un disco che già
soffre e diventa una vera sciatica. Soprattutto nella donna la caduta
sul sedere è devastante da un punto di vista della salute.

78
Il Pz ha sempre un dolore a livello pelvi-trocanterico. Faccio i
test che ho fatto precedentemente, il Pz sente dolore, però…
allora l’osteopata chiede al Pz se ha dolore quando riporta
l’arto velocemente verso il lettino. Se il Pz ha dolore è un prob-
lema allo psoas. Essendo accorciato, quando abbasso l’arto,
frusta la colonna, chiude ancora di più.
Se alcune persone durante il test non riescono a tenere il gi-
nocchio esteso nel momento della F dell’arto, non importa
perché comunque l’Osteopata sta già mettendo in tensione le
radici sotto la coscia.

Pz supino. Faccio sollevare la testa al Pz. Se ho


l’ernia che è in supero- esterna, nel momento in
cui alza la testa la radice va a sbattere.
È un altro modo di fare il test, il prof Di Branco
dice: mi limiterei a fare gli altri!

Il midollo termina a livello del piatto superiore di L1, qual-


che volta a livello del piatto inferiore di L1. Una radice può
essere interessata a livello L5, ma può essere interessata
durante tutto il tragitto. Dove avrò la zona dolente, sarà
li il livello dove è interessata la radice, la zona dolente la
metto in evidenza con il test della chiave.
Pz prono. Osteopata mette il pollice nello spazio interver-
tebrale, sposto il pollice a dx e sin, dove c’è dolenzia c’è
interferenza discale.
Questo test ci dice sia il livello che il lato.
Es: vado sullo spazio, dx aumenta, sin non ho niente, quin-
di es: ho un disco L3-L4 a dx.
Test del non dolore In più posso aggravare il test
Pz seduto. Osteo- in due modi:
pata dietro al Pz con 1.Compressione sulla spalla
le braccia sopra le dx e richiesta al Pz di esten-
spalle del Pz, andrà dere il gin dx
a comprimere a dx e con piede a martello, a
sin. Questo già è un mantice pieno cioè in ap-
primo test, nei casi in nea inspiratoria. Così un
cui c’è molto dolore peso importante mi va a
già dice se c’è una comprimere lo scorrimento
buona compressione del nervo; quindi vedo a che
a quel livello. punto siamo.
Chiedo al Pz: inspira, trattieni
ed estendi l’arto, soffia e giù
la gamba. Lo faccio sia con la
gamba dx che sin.
Questo test posso farlo prima e dopo il trattamento. Per vedere se ho lavorato proprio bene faccio il test senza
aria nei polmoni.
79
2. Chiedo al Pz: inspira, espira ed nello stesso momento estendi l’arto, e giù la gamba. Lo faccio sia con la
gamba dx che sin.
Questo test lo faccio per vedere quanto ancora mi resta da fare, quando a fine seduta riesco a fargli questi
2 test e vedo che non scateno più il dolore, ho finito il mio lavoro. C’era l’ernia, che ti tieni, ma adesso ti ho
messo nella condizione più importante per sistemarti alla prossima seduta. Però è importante uno stile di vita
corretto.

Trattamento ernia del disco


Come ci comportiamo?
Il Pz deve venire da noi supportato da esami come risonanza.
Il Pz viene con un atteggiamento antalgico (non è sempre così). In un Pz con fastidio della radice nervosa a
livello supero-esterno, arriva con un atteggiamento antalgico crociato (mi fa male a sin e mi sposto a dx).
Un fastidio infero-interno rispetto alla radice, abbiamo un atteggiamento antalgico diretto.
Ciò mi serve per avere un’idea almeno in teoria, il lato antalgico sarà il lato migliore dove poter lavorare.
Possiamo fare una topografia radicolare, le zone di elezione del dolore, le zone di anestesia, di ipereflessia, i
riflessi, assenza dei riflessi.
Test della chiave, per vedere il livello più compromesso.
Test di Lasegue
Test del non dolore (quando voglio sapere a che grado di gravità è messo il Pz prima, dopo che ho trattato se
l’ho liberato).
È molto importante che il Pz porti la risonanza, ma se non dovesse averla sarebbe importante fare tutti i test
precedentemente citati perché:
la cauda comincia sul piatto superiore di L1, sul piatto inferiore di L1, più o meno lì finisce il midollo e iniziano
le radici nervose, quindi sotto la discesa di tutte le radici nervose, a livello più basso (che può essere anche L2)
ci può essere qualcosa che infastidisce più radici.

Ho una radice nervosa e ho una ernia supero-esterna. Almeno da un punto di vista teorico comincio a ve-
dere se posso trattare il Pz con la disfunzione dell’ernia (ernia sin, osteopata a sin), il Pz deve decombere sul
lettino su un fianco, in una quasi chiusura in chiave, dal lato del non dolore. Devo vedere se questo è possibile
se no sono costretto a mettere il Pz dal lato opposto. Il discorso della posizione del Pz mi deriva da una sem-
plice considerazione: si chiede al Pz: quando ha più dolore? la notte; da che lato dorme? Il lato dove dorme
sarà quello del non dolore.
La risonanza non mi dice esplicitamente che c’è un’ernia supero-ester-
na o infero-interna, ma si scopre attraverso i test.

Pz prono.
Segno una radice, ernia supero-esterna.
Vorrei mobilizzare la radice nel forame di coniugazione, allontanare
per quanto possibile l’ernia dalla radice, per dare una possibilità alla
struttura locale, di poter drenare meglio quest’edema periradicolare
che si forma in queste problematiche, la grossa rottura è che la parte
acquosa che esce si può incanalare. Se c’è un problema di ernia che non
è migrata, non è espulsa ce ne freghiamo, perché ce l’hanno tutti!!!

Se, invece, è espulsa e migrata, è problematica perché comincia ad incanalarsi e a comprimere dove non
dovrebbe. Va a comprimere nella parte liquida del gel che esce fuori dal nucleo, questa parte liquida in qual-
che modo devo poterla drenare. Come faccio? Con le mani devo cercare di mettere la struttura nel modo
migliore affinchè reagisca. Da un punto di vista dei mezzi tecnici, oltre alle operazioni, ci sono tante possi-
bilità, tra le quali: scaldamento con laser chirurgico dell’ernia che fa evaporare o fa reagire bene le molecole
d’acqua che stanno dentro e quindi la parte compressiva diventa meno fastidiosa.

80
Abbiamo un’ernia supero-esterna
a dx, con atteggiamento antalgico
crociato, per cui metto il Pz sul fianco
sin. Se il Pz ve lo consente fate una
chiusura in chiave molto delicata-
mente, non dovete dare una torsione
perché se c’è già il disco rovinato se
torcete fate più danno.
Se il Pz non ve lo consente si stabi-
lizza il Pz mettendo le gambe flesse a
90° e lavorate solo sul tronco sup.

Mano craniale si infila tra torace e braccio


del Pz, contatta l’ernia.
Mano caudale contatta la radice.
Farò 3 movimenti diversi:
1. deputato alla mobilizzazione della
radice: mano caudale sulla radice, farò
allungo-allungo-allungo e torno. Inspira,
soffia e allungo, mantengo (per 3 volte) e
ritorno alla posizione iniziale;
2. deputato alla mobilizzazione
dell’ernia: mano craniale sull’ernia, farò
scanso-scanso-scanso e torno. Inspira,
soffia e scanso, mantengo (per 3 volte) e ritorno alla posizione iniziale;
3. deputato alla mobilizzazione di radice e ernia: entrambe le mani posizionate una sull’ernia l’altra sulla
radice, farò un lavoro di andata e ritorno a spugna; un movimento elicoidale per far riassorbire.
Cerco di stressare il meno possibile la zona andando a lavorare su vari parametri ma con movimenti piccoli.
Questi sono tutti lavori per le ernie contenute. Per le ernie migrate, espulse, con questo lavoro fate ben poco.
Quello che funziona bene è: un lavoro diretto sullo psoas (diretto sull’ernia, nella via d’accesso anteriore) e la
panca inversa (non dovrei dirlo ma lo dico!!)
Se per un problema qualsiasi il Pz non può stare su questo fianco, lo lavoro sull’altro. Stavolta farò un appog-
gio che mi consenta di allontanare, mobilizzare (fig.1); oppure incrocio, mobilizzo, allontano (fig. 2).

1 2
Si può fare la stessa cosa anche con l’ernia infero-interna. Qualche volta è utile fare queste cose altre volte non
serve a niente.

Un lavoro sullo psoas


Pz supino. Mano craniale si posiziona sullo psoas, mano caudale tengo il ginocchio del Pz flesso. Decomprimo
un pò la zona finchè non vado giù; con la mano craniale vado in appoggio sui corpi vertebrali, blocco la radice
(posizionando il petto dell’osteopata davanti al ginocchio), allungo lo psoas.

81
Facendo questo lavoro 3-4 volte avete un lavoro strepitoso per le ernie (definiamole “non cattive”, non intra-
foraminali).
Riassumendo g prendo un appoggio diretto la sopra, scanso tutto ciò che mi infastidisce, lo porto indietro
(verso il lettino), comincio a mobilizzare localmente con la gamba. Questo perché in mezzo allo psoas ci passa
il plesso. Basta che io faccia un lavoro diretto su questo muscolo, che crea una situazione locale che libera im-
mediatamente. È un lavoro che si può fare dopo o nei casi gravi prima.

Ancora sull’ernia
Quando viene una persona con il mal di schiena, si chiede se ha la risonanza magnetica; da li vedete tutto
subito e bene. Si chiede da quanto tempo si ha il dolore, la topografia radicolare del dolore: possiamo far cam-
minare il soggetto sui talloni e sulle punte, se cammina su entrambe significa che non c’è un deficit di forza;
vedere i riflessi; la sensibilità: la sensazione di pelle cartonata, come se non fosse mia, tipica di certi problemi
che si instaurano su L3-L4, bruciore o dolore nella zona.
Facciamo il test di Lasegue: spesso anche quando il Pz non ha dolore, quando alzate la gamba del soggetto
e poi alzate l’altra sentite una che va e l’altra che è frenata; quindi questo test ci dice qualcosa in più oltre al
dolore.
Il livello del dolore, facendo il test della chiave, mi dice se il dolore è a dx, sin, al centro o da tutte le parti.
Prima del trattamento ci resta da vedere il test del non dolore.
Queste tecniche che vedremmo sono abbastanza teoriche, hanno una riuscita al 50% perché dipende dalla
caratteristica del problema, ipotizziamo come trattamento sintomatico dell’ernia. Sintomatico perché il tratta-
mento osteopatico dell’ernia è un trattamento dell’individuo, si comincia dal cranio. Però se il Pz viene con un
problema alla schiena e l’Osteopata gli tratta il cranio, il Pz lo prende per matto!! È un trattamento sintomatico,
meccanico, che andrà fatto alla fine di un trattamento osteopatico.
Fare una chiusura in chiave, se non è possibile fare un atteggiamento in chiusura in chiave. Nel caso di un’ernia
supero-esterna, mettiamo il lato dolente verso l’Osteopata, però se ha dolore lo facciamo girare dall’altro lato.
Posizioniamo mano caudale sulla radice e mano craniale sull’ernia; in 3 movimenti mobilizzo la radice, poi
l’ernia, oppure mobilizzo sia ernia che radice. Questo quando il Pz ve lo consente!!
Quando l’ernia è infero-interna sta dall’altra parte, il rischio è quello di com-
primere verso l’ernia. Vi dovete posizionare sempre in maniera tale che una
mano allontana e una mantiene.

82
Perché se vado a fare cose come: allontano la radice e
l’ernia la rimando sopra, non faccio altro che compri-
merla ancora di più.
Bisogna visualizzare l’azione che si sta facendo; riba-
dendo che questa è un’azione di contorno finale di
tutto il trattamento osteopatico.

Lo stesso tipo di azione si può fare con il Pz prono.


Tutte 4 le possibilità da tutti e 2 i lati.

Lavoro sullo psoas


Pz supino. Quando c’è un problema importante, il Pz al minimo movimento (es F dell’anca da parte
dell’Osteopata) ha dolore.
(fig.1)La prima cosa da fare sarà flettere il ginocchio con la mano caudale, con la mano craniale entrare
nell’angolo compreso fra il legamento inguinale e la proiezione del retto addominale, è l’unico punto dove
riuscite a entrare senza trovare una grossa resistenza, entrate bene in proiezione della sacro-iliaca. Dopodiché
a seconda dei movimenti che fa il paziente, ogni volta che comprime lo psoas sentite il dito che risale. Con la
mano craniale dovete fare 3 movimenti: 1 vado verso l’alto, 2 vado verso la colonna, 3 risalite verso la radice
che vi interessa. Stiamo parlando di spazi di al max 3 cm, ci spostiamo finchè non becchiamo il punto di max
dolore. Bisogna stare attenti perché è una zona viscerale, dove ci passano molte arterie, e con quest’azione
andiamo in contatto diretto con i corpi vertebrali, significa aver passato lo strato degli psoas, un doppio strato
dove in mezzo transita la radice nervosa. Quindi, agganciando la radice nervosa tramite l’appoggio sullo
psoas noi mobilizziamo tutto il tessuto a quel livello cercando di svincolare la radice nervosa dal pungolo
nervoso e dall’ ernia. È efficace quando il problema non è compromesso al 100% (è compromesso al 100%
quando c’è un’ernia emigrata espulsa ed è diventata intraforaminale, in questo caso qualunque cosa si faccia
sarà solo uno spostamento momentaneo del dolore), ci sarà un risultato abbastanza buono intorno a 80-85%
di riuscita.
(fig.2)Prendo appoggio diretto sullo psoas, fletto la gamba e adduco così andando in appoggio sulla sacro-
iliaca in proiezione dei corpi vertebrali, dalla smorfia del paziente capite quando siete arrivati.

83
1 2 3
(fig.3) Aggancio l’arto inferiore (mano dietro al ginocchio), (fig.4)traziono verso il soffitto, quindi sono ancora
più in appoggio; una volta che sono in appoggio sulla radice traziono la gamba distendendola sul lettino
(fig.5-6). Si fa per 2-3-4 volte.

4 5 6
Potete entrare anche così , con 2°-3° dito, anatomicamente sposate perfet-
tamente la zona, solo che poi dopo non potete più lavorare.

Questo serve soltanto se dovete massaggiare la zona muovendo il ginoc-


chio effettuando movimenti di F, add, abd, E anca, può essere un trattamen-
to preparatorio.

TECNICA DIRETTA con parametro d’INCLINAZIONE LATERALE


All’interno di una tecnica diretta è importante inserire il parametro di inclinazione laterale, che rende la
manovra ancora più efficace, per diversi motivi:
- in caso di Pz con un’ernia, si avrebbe la capacità-possibilità, di essere meno aggressivi sul disco interverte-
brale. Partendo dal presupposto però, che il disco è costituito da una parte più esterna che è l’anulus fibroso,
conformato da fibrocartillagine, con fibre orientate nei vari piani dello spazio, tra i quali si hanno il p. oriz-
zontale, il p. obliquo e un p. longitudinale g le fibre oblique e longitudinali che hanno una loro consistenza,
quando si esercita una rotazione, dal momento che il disco ha anche una funzione legamentosa, essendo
adeso tra due piatti vertebrali, si allontanano le inserzioni di queste fibre, e quindi si accorcia in un certo senso
la loro lunghezza, per cui si ha un’azione di torsione/compressione sul disco (anche se alcuni ritengono che
questa componente di torsione/compressione, sia abbastanza resistente e sopportata) che ne comporta poi
una sofferenza, che ovviamente ha vari gradi di valutazione, da una semplice compressione per disidratazi-
one del disco, a una protusione, fino ad arrivare a un’ernia, magari espulsa; per cui tanto più è maggiore la
gravità della patologia, tanto più è rischioso fare delle tecniche dirette che abbiano un effetto di torsione
compressivo sul disco stesso;
- di fronte a un Pz con una sofferenza lombare, è bene, tramite i test osteopatici e gli esami strumentali, valu-
tare la condizione del soggetto e prendere le eventuali precauzioni per evitare che la situazione possa magari
essere aggravata dal trattamento osteopatico;
84
- è utile nei casi in cui il Pz è particolarmente rigido, per cui presenta una colonna che potremmo definire
marmorea. La componente di rigidità, impedisce la possibilità di posizionare il Pz come si vuole, perché resiste
al posizionamento per le sue caratteristiche di poca plasticità, e soprattutto agendo su una componente di
per sé poco libera (la rotazione) si rischia, nel mettere la componente di rotazione, di incastrare ancora di più
l’articolazione, per cui è poi impossibile ritrovare il livello disfunzionale e la chiusura in chiave, perché si bloc-
cano completamente g sono Pz con i quali si fa molta difficoltà a mettere in tensione;
- è utile su tutti i Pz nei quali è richiesta una particolare attenzione a una tecnica meno aggressiva possibile an-
che sulle strutture osteoarticolari, sia per un discorso puramente biomeccanico, sia in condizioni per cui il Pz
è particolarmente rigido, ha una sofferenza discale importante, una patologia ossea metabolica, in molti casi
le manovre solo in rotazione possono creare ulteriori problemi per cui è utile che l’Osteopata vada a ricercare
la situazione meno aggressiva possibile.
Ci sono quindi molte motivazioni valide per cui è fondamentale saper gestire bene anche il parametro di in-
clinazione laterale.

La cosa importante in queste tecniche è che, mentre nelle TEM ci si ferma sulla barriera visco-elastica per cer-
care di far lavorare in allungamento i muscoli che mantengono la disfunzione, con la tecnica diretta si supera
la barriera dei muscoli per avvicinarsi il più possibile a quella che è la barriera articolare. A maggior ragione
si deve essere più attivi con tutte e due le leve nella messa in tensione, anche se nel momento della riduzione,
si è più attivi ed efficaci sulla leva inferiore, perché la leva superiore dovendo agire sull’inclinazione non può
agire in trazione ma in avvicinamento, ed essendo poggiati sul torace si rischia di essere troppo invasivi, si
agisce sulla componente di inclinazione rotazione, ma nel thrust si predilige la leva inferiore.

Rachide dorsale_Melis
Suddividiamo il rachide dorsale in 3 zone: rachide superiore, medio e inferiore.
Superiore: D1-D4, perché D4 è l’ultima vertebra alla quale arrivano le rotazione del capo, anche se in soggetti
particolarmente lassi la rotazione può trasmettersi anche su D5-D6.
Medio: D5-D9
Inferiore: D10-D12; distinguiamo medio da inferiore perchè nell’inferiore le tecniche ad energia muscolare
possono essere fatte anche in decubito laterale.
Le disfunzioni osteopatiche che ci possono essere a livello dorsale sono:
- disfunzione simmetriche: impegno bilaterale delle faccette articolari, possono esserci disfunzioni in fles-
sione bilaterale se c’è un’anteriorità o divergenza bilaterale, oppure disfunzioni in estensione bilaterale se c’è
una posteriorità o convergenza bilaterale.
- disfunzioni asimmetriche

DISFUNZIONI ASIMMETRICHE
Disfunzioni di tipo 1 o in NSR: in neutralità, non ci sono parametri di flesso-estensione, l’appoggio si farà
a livello del disco, quindi senza impegno delle faccette articolari. È un tipo di disfunzione che riguarda un
gruppo di vertebre, denomineremo le vertebre apicali che saranno quelle più inclinate, e la vertebra apice che
è quella centrale che ha il parametro di rotazione maggiore. È un tipo di disfunzione mantenuta dai muscoli
lunghi, (ad es. a livello lombare è mantenuta dai muscoli psoas o dal quadrato dei lombi).
Disfunzioni di tipo 2 (ERS, FRS): c’è un parametro di rotazione, c’è l’impegno di una sola faccetta articolare,
che può essere posteriore nel caso di una ERS, o quella anteriore nel caso di una FRS.
Disfunzioni bilaterali assimmetriche: abbiamo una doppia disfunzione. Es: in rotazione sx, avremmo un
disfunzione della faccetta posteriore di sx e faccetta anteriore di dx.

Principi di una tecnica miotensiva:


- la tecnica ad energia muscolare è una tecnica attiva perché c’è la collaborazione del paziente;
- è una tecnica a posizionamento diretto, cioè posizioniamo la vertebra in disfunzione contro la barriera mo-
trice patologica, invertendo i parametri disfunzionali nei 3 piani dello spazio. Se abbiamo disfunzione in ERSsx
dovremmo invertire i parametri disfunzionali in una FRSdx;
- si effettuerà una contrazione isometrica contro resistenza dell’osteopata, in direzione dei parametri disfunzi-
onali. R=resistenza, C=contrazione, devono essere uguali perché stiamo parlando di una contrazione isomet-
rica (senza spostamento dei capi articolari).
85
Disfunzione ERSsin di D5 su D6
Abbiamo una vertebra in E quindi un avvicinamento della spinosa di D5
su D6; in rotazione sin, con la spinosa di D5 deviata sul lato dx e in inclinazione
sin minima.
Quindi bisogna visualizzare la disfunzione sui piani dello spazio, poi si posiz-
ionerà la vertebra contro la barriera motrice patologica (FRSdx), poi si chiederà
una contrazione isometrica minima verso la disfunzione per 3 sec,rilasciamento
(3 sec) e cerchiamo nuova barriera patologica incrementando i parametri cor-
rettivi, nuova contrazione.. lavoro ripetuto per 3-4 volte. A lavoro terminato si
testa nuovamente il segmento in disfunzione e valutiamo se è cambiato qual-
cosa o meno.

Nelle tecniche strutturali, dirette, dove c’è il thrust, c’è un meccanismo doppio:
- da un lato c’è un effetto meccanico, con un’apertura, uno scivolamento delle faccette articolari (la capitazi-
one, lo scrocchio), il passaggio del liquido all’interno della cavità sinoviale, si passa da uno stato liquido a uno
stato di gas; andiamo a comprimere tutto, poi il movimento di thrust è molto rapido crea questa dispersione
di gas;
- un effetto neuro riflesso, che consiste nella diminuzione dell’attività gamma, è un circuito nervoso che
tiene un muscolo in ipertono.
Sono muscoli restrittori: che mantengono la disfunzione, ad es in una
disfunzione di 2° tipo sono i muscoli intertrasversari o interspinosi o
trasverso spinosi, sono muscoli molto profondi, questi quando sono
in ipertono mantengono la vertebra in disfunzione, funge da tirante,
tira su dei punti ossei.
Questa riduzione dell’iperattività gamma si trova in quasi tutte le
tecniche osteopatiche.
Il Pz contrae i muscoli ipertonici (quelli segnati in rosso) che manten-
gono la disfunzione, li contrae in maniera isometrica su lunghezze
progressivamente aumentate, cioè troviamo il segmento in disfunzi-
one: un muscolo ha una lunghezza “x”, un muscolo ha una lunghezza
“y”, dobbiamo invertire questi parametri.

Io farò flessione, inclinazione e rotazione dx; il muscolo “x” si


allungherà e diverrà “x+1”, e l’altro “y+1”.
+1 sta per lunghezze aumentate progressivamente.
Poi cercherò una nuova barriera motrice e farò contrarre nuo-
vamente e diventeranno “x+1+1” e “y+1+1”.

Durante la fase di posizionamento contro la barriera motrice


c’è una stimolazione propriocettiva delle fibre intra- ed ex-
tra-fusali; durante la fase di contrazione isometrica viene sti-
molato e disteso il fuso neuromuscolare che è questa sorta di
sensore che si trova all’interno del ventre muscolare.

Al sistema nervoso centrale arrivano simultaneamente due informazioni discordanti, perché una è
un’informazione in accorciamento (la contrazione che chiedo) e una in allungamento (la vertebra è messa in
un certo modo e la costringo ad aumentare l’inserzione muscolare). Non potendo avere una risposta univoca,
il sistema nervoso centrale è costretto a proteggere tutto diminuendo l’attività gamma, di conseguenza in-
dietreggia la barriera motrice patologica. La tecnica ad energia muscolare la facciamo per 3-4 volte, perché
86
ogni volta si riduce l’attività gamma; la ripetizione della manovra alla fine normalizza il tono dei muscoli che
mantengono la disfunzione sino alla liberazione articolare.

I vantaggi delle tecniche mio tensive


Hanno una minima sollecitazione meccanica;
Sono tecniche dolci e molto efficaci a livello della barriera motrice.

Gli svantaggi
Sono difficili da fare, richiedono molta precisione;
Non sono applicabili in fase acuta, il muscolo è ipercontratto ed è meglio non sollecitarlo in questo modo, in
questo caso sono preferibili le tecniche funzionali, indirette.

Indicazioni per le tecniche ad energia muscolare


Possono essere utilizzate come tecniche di prima scelta, oppure come tecniche di preparazione prima di una
tecnica strutturale;
vengono utilizzate nei bambini (non 2-3 anni, ma un’età sufficiente perché possano collaborare);
nei soggetti anziani;
tutti quei casi in cui sia controindicato il thrust.

I componenti della tecnica da seduto per le dorsali


Corretto posizionamento del Pz: seduto
Corretto posizionamento dell’Osteopata: convenzionalmente dovrà stare in piedi, spostato lateralmente ris-
petto al paziente dal lato opposto rispetto al parametro rotatorio della disfunzione. In una ERSsin l’osteopata
starà alla dx del Pz.
Oppure può essere fatto rispetto alla faccetta articolare in disfunzione. Per una disfunzione in ERSsin, abbiamo
un posteriorità a sx, l’osteopata si pone contro lateralmente alla disfunzione, a dx; se è una FRSsin, abbiamo
una anteriorità a dx, mi metto omolateralmente, a dx;
Fondamentale il corretto posizionamento delle braccia del Pz, questo posizionamento cambierà a seconda
che ci interesseremo del rachide dorsale alto o basso.
Per la dorsale superiore le braccia possono essere messe lungo i fianchi, mani sulle coscie, l’Osteopata guida
il paziente mediante le mani sulla testa. In questa zona alta abbiamo la possibilità di trasmettere i parametri
rotatori attraverso il capo.
Nella dorsale media e inferiore le mani del paziente sono posizionate sopra le spalle con gli avambracci incro-
ciati. L’osteopata guida attraverso i gomiti o avambracci del Pz, come una sorta di leva.
Rachide dorsale alto, disfunzioni in ERS, la mano dell’Osteopata blocca la testa del Pz a livello della bozza
parietale. Nelle disfunzioni in FRS, la mano dell’Osteopata blocca la testa del Pz a livello della bozza frontale,
devo dare il parametro di F, rotazione e inclinazione, ma soprattutto quando dovrà addrizzare la testa, la F la
fa meglio se spinge sulla mano con la fronte. Il posizionamento della mano serve per la spinta.

D4 in ERSsin
Pz seduto, Osteopata in piedi alla sua dx, mano dx sulla bozza parietale, mano dx sta con dito medio o indice
nello spazio interspinoso tra D4 e D5. I parametri di correzione saranno dati in maniera progressiva e graduale
tenendo sempre conto della terza legge di Fryette, secondo la quale inserendo un parametro nello spazio si
assiste automaticamente alla riduzione degli altri parametri che poi seguiranno.
Farò una flessione per includere nella leva superiore D4, cioè fletto finchè non sento che D4 si allontana da D5,
ma D5 non la segue. Rotazione dx, con il dito devo percepire la lateralizzazione della spinosa minima e una
minima inclinazione dx. Una volta invertiti i parametri disfunzionali, si chiede una contrazione isometrica, si
chiede al paziente di raddrizzarsi.

D4 in FRSsin
Cambieranno soltanto i parametri, inseriremo una estensione, quindi una chiusura dello spazio tra D4 e D5.

NSRsin
Disfunzione di gruppo, mantenuta dai muscoli lunghi costrittori. Es: D7, D8, D9, ma può essere da D6 fino
87
a D10. Andremmo a lavorare nel punto di max rotazione (che è una scoliosi), nella vertebra centrale, quella
apice, perché è quella che si trova più sul piano orizzontale rispetto alle altre. Non dobbiamo dare nessun
parametro né di F né di E. Inclinazione e rotazione saranno opposte.

Quando devo trattare una disfunzione sul rachide dorsale alto, per trovare la vertebra parto da D1. Devo dis-
criminare D1 da C7. La vertebra più prominente è C7, però ci possono essere delle particolarità.
Pz seduto. Mettiamo 3 dita, dove ci sono le vertebre più prominenti e
andiamo ad estendere il capo; siccome le vertebre si muovono in base
alle faccette articolari, se noi andiamo a indurre un’E del capo, la ver-
tebra che ha le faccette messe su un piano para-orizzontale scivola in
avanti quindi sparisce.
Tra C7 e D1 la vertebra che ha le faccette su un piano para-orizzontale
è C7. T1 le ha para-frontali per cui rimane saliente.
Quando devo trattare una vertebra sul rachide dorsale medio e basso,
si può fare in 2 modi:
1. risalire seguendo il bordo della 12° costa, quindi reperiamo D12.
2. In alcuni soggetti particolarmente voluminosi o sensibili possiamo
andiamo a localizzare lo spazio tra L5-S1 e saliamo.

D3 in ERS sin
Pz seduto. Utilizzerò il capo del Pz, perché se faccio i movimenti di rotazione, questi movimenti si trasmettono
fino alla 4° vertebra dorsale.
Osteopata si mette a dx del Pz perché c’è una rotazione sin, mano craniale nello spazio interspinoso tra D3-D4
e controllerò cosa succede nei diversi movimenti, mano caudale a livello della bozza parietale.
La vertebra è in E, per cui andrò a fare una F.
È una F localizza-
ta, non è esagera-
ta altrimenti oltre
ad aprire D3-D4,
arrivo fino a L1.

Localizzo il movimento, chiudo D3 nella leva superiore, ovvero sento che la spinosa di D3 sale, ma non sale
quella di D4, se volete potete mettere un dito nello spazio tra D3-D4 e uno sullo spazio tra D4-D5; in modo tale
che sentiate aprirsi lo spazio tra D3-D4 e non tra D4-D5.
Devo posizionare la vertebra contro la barriera motrice patologica, devo in-
vertire i parametri: flessione, rotazione dx (con l’indice posso leggermente
spostarmi dal lato dove dovrà ruotare la spinosa, perché se ruoto a dx la
spinosa dovrà ruotare sul lato sin, e percepisco appena appena lo sposta-
mento della spinosa), inclinazione dx.

Chiedo una contrazione isometrica, chiedendo di raddrizzare la testa spin-


gendo sulla mia mano (1-2-3 stop), 3 secondi di pausa nei quali incremento i
parametri di F, R, inclinazione e nuova contrazione.
Per 3-4 volte.
Non importa utilizzare la respirazione.

88
D2 in FRS sin
La disfunzione è anteriore dx, quindi l’Osteopata si mette a dx.
Con la mano craniale mi metto tra D2 e D3, mano caudale da-
vanti allo fronte.
Con la mano davanti allo fronte imprimo una E, R dx e inclinazi-
one dx.
Chiedo al Pz di spingere contro la mano che sta sulla fronte.

Ora per un trattamento a livello delle dorsali basse possiamo lavorare


così. Pz seduto, poggia le mani sulle spalle con i gomiti verso avanti.
L’Osteopata posiziona il suo braccio caudale al di sotto delle braccia del
Pz effettuando una presa.

O incrociando i gomiti, in base alla tonicità del paziente, alla tensione dei
muscoli, all’ingombro del petto.

D8 in ERS sin
Con la mano craniale, con l’indice mi metto nello spazio tra D8-D9, pos-
so anche mettere il medio nello spazio tra D9-D10, così sento quando
includo la prima vertebra in disfunzione della leva e non devo includere
l’altra.
Questa volta userò il corpo del Pz, che faccio venire verso di me.
Gli dò una componente di F, ruoto a dx (sento la spinosa che si muove e
mi fermo), inclino a dx e chiedo al Pz di raddrizzarsi.
Chiedo al Pz 3 secondi di contrazione, recupero ancora un pò di param-
etri e così via.

D8 in FRS sin
Gli dò una componente in E e sento che si chiude lo spazio tra D8-D9, ruoto a dx e inclino a dx e chiedo al Pz
di addrizzarsi.
Importante: quando diamo il parametro di R deve essere su un piano orizzontale, quando diamo un param-
etro di inclinazione deve essere su un piano frontale, questo è importante sia nel test che nella tecnica.

89
NSR
Stessa cosa, più semplice perché abbiamo un parametro in meno su cui
lavorare.

NSR sin
Ho un’inclinazione dx, con una R sin, ovvero abbiamo una prominenza
delle trasverse di sin, avremmo gli spazi intercostali che a dx saranno più
chiusi, mentre sulla sin saranno più aperti, avremmo anche i tubercoli inter-
costali sin più prominenti.
In una disfunzione di gruppo avremmo 2 vertebre culmine (D5 e D9), che
sono quelle più inclinate. E poi la vertebra centrale (D7) che è la vertebra più
orizzontale, che sarà quella più ruotata; quindi noi agiremo su questa verte-
bra.