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Introduzione
In passato a livello del rachide l’Osteopatia veniva vista come un trattamento della colonna che utilizzano vari
tipi di approcci: fasciale, viscerale, strutturale, emozionale...
Le tecniche strutturali sono quelle che vanno ad invertire parametri della disfunzione, cioè mandano la stut-
tura nel senso opposto a quello in cui si trova.
Spesso si snobbano le tecniche strutturali sulla colonna, perché non si è capaci di farle. In realtà i pochi studi
scientifici che sono stati fatti dimostrano che il trattamento osteopatico sulla colonna è efficace almeno quan-
to la somministrazione di farmaci.
Prima di scegliere una tecnica bisogna sicuramente valutare il Pz (farsi un’idea del suo quadro anatomico,
fisiologico, emotivo e livello del dolore causato dai suoi sintomi). Una volta fatto questo l’Osteopata deve poi
scegliere la tecnica più adatta e nella sua cassetta degli attrezzi non devono mancare, accanto alla lima e alla
carta vetrata, il martello e lo scalpello, perché se deve abbattere un muro può farlo in modo efficace solo con
il martello. Certo bisogna anche dire che, piuttosto che usare male il martello, è meglio usare la lima. Magari
si raggiunge un risultato limitato ma almeno non si fanno danni.
Quindi nel corso di base di Osteopatia cercheremo di darvi una competenza più che buona in questi 6 anni
di scuola.
Nel neonato non ci sono curvature tranne un’unica cifosi dorso–lombare primaria (perché compare per prima)
e funzionale (perché sostiene globalmente la colonna). Durante lo sviluppo motorio la cifosi unica si modifica
fino alla comparsa della lordosi cervicale intorno al III-IV mese (è una lordosi di compenso perché in questo
periodo il bambino comincia a controllare il capo in posizione seduta, per poter dirigere lo sguardo). Durante
il passaggio dalla posizione quadrupedica alla posizione eretta si ha la comparsa della lordosi lombare (sem-
pre per adattamento alla gravità). Questo ricalca quello che è stata la filogenesi, quando l’uomo è passato
dalla stazione quadrupedica a quella bipede.
La colonna che non presenta curvature fisiologiche è ancora più vulnerabile perché diminuisce la sua flessibil-
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ità e soprattutto la sua resistenza. In fisica la resistenza di una colonna è pari al numero delle curve al quadrato
+ 1 R = N2+1
Questo concetto ci porta ad una considerazione pratica ovvero che la presenza di queste curve è fonda-
mentale per il corretto funzionamento della colonna stessa: per es le persone che presentano una colonna
completamente piatta o molto verticalizzata sul piano sagittale (spesso corrisponde ad una soggetto alto e
longilineo) sono spesso soggette a dolori della colonna vertebrale perché è una colonna più fragile e meno
elastica (in quanto le curve donano elasticità alla struttura) e quindi non hanno una colonna priva di sintoma-
tologia.
Questo vale sia da un punto di vista costituzionale che da un punto di vista pratico. Per es. chi mantiene una
posizione seduta con la schiena iperestesa e utilizza una respirazione toracica (utilizzando i muscoli accessori
della respirazione) è sicuramente più predisposto a sviluppare microtraumi della colonna poiché la colonna
in posizione iperestesa da un punto di vista meccanico di contatto posteriore con le articolazioni costo-verte-
brali è una colonna che presenta un grado di rotazione che diminuisce (poiché non si trova nella sua posiz-
ione fisiologica): la rotazione della testa (del rachide cervicale) non è di 90° ma di 50-55°, per poter arrivare ai
90° la rotazione della colonna continua fino all’ultima vertebra lombare che fa 1 grado di rotazione (a livello
del rachide lombare abbiamo 5° di rotazione, 1 per ogni vertebra).
Ciò ci deve far pensare che una persona che non ruota la testa può avere un problema non solo sul rachide
cervicale ma anche nelle porzioni più distanti della colonna.
Tornando al soggetto in posizione seduta la rotazione del capo non si esaurisce a livello cervicale ma arriva in
modo determinante fino alla IV-V vertebra dorsale e quindi se la schiena è iperestesa si blocca la rotazione di
tutta la colonna e quindi viene sollecitata in maniera particolare la regione cervicale. Questo ci dimostra come
sia importante che queste curve abbiano un loro grado di adattamento. Se andiamo in un eccesso di gradi
allora andiamo verso le ipercifosi o iperlordosi e possiamo parlare di dismorfismo o paramorfismo.
Sempre restando sul tema della globalità se ammettiamo che la rotazione cervicale prosegue sul rachide ar-
rivando anche a livello più basso possiamo giustificare dei sintomi che non corrispondono per forza al punto
in cui vi è la problematica meccanica-funzionale; quindi ritornando al discorso sulla curva cifotica rispetto alle
due curve lordotiche (che sono adattative e secondarie), viene bene da pensare come le due lordosi (la cer-
vicale e la lombare) sono delle curve non solo secondarie ma anche molto adattative ed è per questo che
sono le curve in cui compaiono le maggiori sintomatologie. Vi sarà capitato di incontrare molte più persone
che denunciano dolore a livello della curva cervicale o lombare rispetto alla curva dorsale.
Questo perchè queste regioni sono due aeree meno protette e meno stabilizzate. Prendiamo per es. la regione
lombare localizzata tra il bacino, che ha una mobilità relativamente stabile e condizionata dall’appoggio degli
arti, e il tronco, la colonna dorsale (costituita dalle costole e dagli organi interni) che è un’altra struttura molto
compatta, stabile. Tra il tronco e il bacino abbiamo la colonna lombare che, al di là della struttura muscolare,
non ha nessun sostegno osseo (se paragonato per es. al torace che è invece un blocco più solido): quindi
la zona lombare, come succede spesso alle lordosi, è una zona adattiva che deve e può adattare quelle che
sono le componenti ascendenti e discendenti (pensiamo a quelle meccaniche e viscerali) che rendono la re-
gione lombare più vulnerabile. Tra le altre cose il disco intervertebrale tra la V vertebra lombare e l’osso sacro
è quello più soggetto a problematiche: subisce la maggiore sollecitazione, è l’unico disco che presenta una
forme cuneiforme, ha infatti uno spessore anteriore che è circa 1,5-2 volte di quella posteriore (gli antropologi
dicono che questa forma si sta modificando e magari tra qualche migliaio di anni, visto che è il punto dove è
avvenuta di più la sollecitazione dalla stazione quadrupedica a quella bipede, potrà subire ulteriori modifica-
zioni). Non a caso a livello statistico la maggior parte delle problematiche risiede a livello lombare.
La stessa cosa avviene a livello cervicale, poichè è una zona adattativa e perchè si trova anch’essa tra due zone
più compatte quali il dorso e il cranio, il quale ha un suo peso e un suo volume e che, al di là della mobilità in-
trinseca del cranio, rappresenta una sfera di un certo peso che si trova appoggiata ad una struttura che anche
in questo caso è sostenuta solamente da muscoli come la regione lombare. Ecco perchè a livello cervicale, da
un punto di vista meccanico, si hanno tante sintomatologie.
Pensate solo che se uno ha una gamba più alta o una spalla più storta, per mantenere l’orizzontalità dello
sguardo, dovrà fare degli sforzi adattativi continui del rachide cervicale, che solleciteranno questa struttura in
maniera importante.
Questo però ci porta a fare un’altra considerazione, che spesso non è sufficiente lavorare a livello delle zone
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adattative: quando una persona viene da noi con un sintomo, istintivamente siamo portati a mettere una
mano sulla zona che fa male, con la palpazione cerchiamo di migliorare localmente la problematica. Invece
bisogna sforzarsi di capire quando il problema non è situato come causa nella regione ma può essere l’effetto
di una disfunzione che deriva da un’altra regione.
Questo approccio (lavorare nella zona che fa male) non è sbagliato in assoluto, non bisogna fare l’errore op-
posto di avere un atteggiamento distaccato verso la regione dolorante, ma non bisogna neanche ostinarsi a
trattare unicamente la regione che procura dolore; posso anche trattare la zona interessata, ma se dopo una
settimana o due il Pz torna con lo stesso sintomo, devo andare a ricercare qualche altra cosa.
Excursus sulla figura dell’osteopata: noi siamo meccanici, ma anche idraulici ed elettricisti perchè se andiamo
a lavorare su una struttura meccanica come una vertebra, che vede affiancate altre strutture come le radici
nervose, andremo a ripristinare un corretto funzionamento anche del nervo; si lavora anche sul drenaggio
dell’infiammazione poiché l’edema - elemento che mantiene le componenti infiammatorie - che si crea, osta-
cola il corretto funzionamento della regione interessata dall’infiammazione.
Pensate per es. ad un’ ernia del disco che di per sé può essere sintomatologica, poiché il disco intervertebrale
ha un’innervazione propria oppure perchè va a premere su alcune strutture importanti, diventando quindi un
agente meccanico che va ad influire sull’aspetto elettrico, oppure ancora perchè entra in gioco l’edema che
toglie spazio e diminuisce la possibilità della radice di muoversi liberamente.
Ciò accade spesso quando parliamo del rachide e delle problematiche a distanza soprattutto quando la re-
gione interessata dal sintomo non ha possibilità di trovare sollievo attraverso il movimento (compensatorio)
della regione sovrastante. Ci sono però dei casi in cui l’ernia deve essere operata, ma rispetto all’orientamento
che si aveva vent’anni fa, gli ortopedici e i neurochirurghi sono molto più prudenti perchè si è visto che i Pz
operati di ernia hanno molto spesso recidive o comunque non risolvono la sintomatologia. Tuttavia i Pz che
hanno un’ernia vera, senza altre problematiche, per es. a livello viscerale, stanno bene, a livello del bacino
tutto funziona e a livello della colonna non ci sono adattamenti. Sono le persone dove noi possiamo fare vera-
mente poco poiché è veramente l’ernia a creare il problema, e la maggior parte sono destinate all’ intervento,
diciamo un 5%.
La maggior parte dei Pz si ritrovano molto più impicciati e con una serie di condizionamenti sui quali invece
ci si può lavorare (ci sono anche quei Pz che dopo una settimana di riposo e l’antidolorifico stanno di nuovo
bene). Il Pz quindi richiede l’aiuto dell’osteopata e/o del fisioterapista che fanno il proprio lavoro e che spesso
non agiscono localmente, per es: se si fulmina una lampadina, nel senso che voi avete tutte le lampade accese
mentre una è fulminata, la prima cosa che vi viene da pensare è di mettere le mani sulla lampada (cioè di agire
localmente) ma se la lampadina funziona è inutile cambiare 10 volte la stessa lampadina perchè quella non si
accenderà mai (è inutile insistere sul punto che fa male se non è quello ad originare il dolore), naturalmente
uno comincia a muoversi sul circuito per trovare l’interruttore del dolore e per cercare dove si trova la causa.
Ciò non è facile da fare perchè spesso, questo interruttore, non è in vista e passa inosservato. Ci sono delle
cose molto semplici e delle cose molto complesse, spesso delle cose molto complesse si risolvono anche in
maniera inaspettata, per es. persone che vengono con un dolore all’arto inferiore, che hanno fatto un quantità
cospicua di analisi ed indagini e nessuno gli ha saputo dare una spiegazione, presentano un semplice scivola-
mento della tibia.
Questo perchè il mal di schiena non è il problema del Pz ma è la manifestazione di un problema/sintomo che
spesso non risiede lì quindi bisogna andarselo a cercare.
Ritornando alla colonna, questa è una lezione introduttiva così cerchiamo di rendere un pochino più concreto
e reale nel lavoro di tutti i giorni quello che noi andiamo a fare, sennò sembra veramente che facciamo solo
i meccanici e noi dobbiamo dimostrare con quello che facciamo e con quello che sappiamo che noi non an-
diamo a fare solamente “CRI-CRAK” (come alcuni ci dicono) ma faccio CRIK perchè c’è una disfunzione osteo-
patica, che mi condiziona la meccanica, il drenaggio e la conduzione elettrica.
La grossa differenza teorica-filosofica tra l’osteopatia e la chiropatrica è una differenza che poi nella realtà
non ci dovrebbe essere (parlo non come approccio ma come idea filosofica iniziale). Per l’osteopatia la regola
dell’ARTERIA è suprema (Still diceva che il sangue deve arrivare e circolare nei tessuti, dove non arriva o dove
arriva male è presente una stasi e si crea il problema) ovunque noi abbiamo un sintomo abbiamo anche una
stasi venosa o un’ischemia. Per la visione chiropratica (che fu fondata da Palmer, un allievo di Still) invece è
il NERVO che è supremo. Certo entrambi sono due aspetti importanti della problematica, però nella chiro-
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pratica questo porta a lavorare praticamente solo sulla colonna vertebrale (adesso di meno perchè anche la
chiropratica si è evoluta) e a ragionare sempre sul discorso che bisogna liberare i nervi, mentre in osteopatia
si lavora anche e soprattutto per liberare la vascolarizzazione/il drenaggio, ed è questo il motivo per cui Still
era fissato su questo discorso dell’arteria suprema. Non è una regola ma una cosa concreta che trova riscontro
nella pratica e nella cura dei sintomi che presenta il Pz (lui trattava per es. Pz con dissenteria per liberare le vie
di drenaggio dell’intestino, lavorava sui meso e sugli epiploon per cercare di ricreare gli scambi perchè c’era,
come spesso accade nei processi infiammatori, una stasi ed un blocco del circuito il quale non riesce a trovare
una via d’uscita).
corpo vertebrale
La vertebra tipo
Le vertebre sono morfologicamente molto differ-
enti tra loro, ma hanno una struttura simile nelle
componenti che le costituiscono.
Se si scompone una vertebra tipo nelle sue parti
costitutive si constata che essa è formata da due
parti principali, il corpo vertebrale davanti, e
l’arco posteriore dietro.
arco posteriore
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Anteriormente
Abbiamo il corpo vertebrale il quale
è, a seconda del livello che prendi-
amo in esame, la zona nella quale
avviene il sostegno della colonna
ma anche degli arti sup e inf.
È formato da un piatto sup ed uno
inf costituiti da osso compatto e da
una zona interna costituita da osso
spongioso.
Globalmente si articola con il corpo della vertebra sovra e sottostante attraverso il disco intervertebrale costi-
tuito da tessuto fibrocartilagineo.
Il corpo vertebrale è attraversato da trabecole ossee che si organizzano a seconda delle forze di pressione e
trazione a cui la vertebra è sottoposta.
Avremo linee di forza:
• longitudinali che si dirigono posteriormente
• trasversali e oblique che dal corpo vanno verso le trasverse
• dal piatto superiore vanno verso la spinosa e verso la faccetta articolare sup
• dal piatto inferiore vanno verso la spinosa e verso le faccette articolari inferiori
Posteriormente
peduncoli apofisi
Posteriormente al corpo abbiamo la zona dinamica della vertebra, che si ma-
terializza in alcune strutture che sono: trasversa
- il peduncolo = unione funzionale fra il pilastro ant e quello post. È quella
regione della vertebra che congiunge la parte postero esterna della vertebra
all’arco posteriore della vertebra stessa; è una zona di passaggio indubbia-
mente molto critica in quanto qui avviene una trasmissione di forze molto
importanti.
- l’arco vertebrale è la struttura che segue il peduncolo, ed è formato dalle
lamine lateralmente, le quali si riuniscono posteriormente nell’apofisi spino- massiccio
lamina
sa, che è la parte che riusciamo a palpare e visionare dall’esterno. articolare spinosa
La regione centrale che va dal peduncolo alle lamine è detta massiccio articolare per la presenza delle apofi-
si articolari sup ed inf; da questi massicci si distaccano poi lateralmente le apofisi trasverse. L’arco post
delimita insieme alla parte posteriore del corpo vertebrale il canale rachideo.
Le faccette articolari
Hanno un orientamento nello spazio che è differente nei vari livelli della colonna, nel senso che sono ori-
entate su piani diversi.
Ci sono delle faccette articolari SUP e delle faccette articolari INF, perché una coppia si articola con le faccette
della vertebra sovrastante, e una coppia con quelle della vertebra sottostante.
Le faccette articolari della regione lombare hanno un orientamento parasagittale (cioè che si avvicina molto
al piano sagittale), in cui:
la faccetta inf guarda avanti-fuori e leggermente in basso,
la faccetta sup guarda dietro-dentro e leggermente in alto.
I due orientamenti maggiori sono:
- quella inferiore > verso FUORI e
- quella superiore > verso DENTRO (ciò spiega perchè parliamo di orientamento su un piano parasagittale).
processo processo
articolare SUP costiforme
forame peduncolo
vertebrale
corpo faccetta
vertebrale articolare
INF
corpo vertebrale processo proc. spinoso
zona anulare articolare
periferica INF
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proc. spinoso faccetta
L4 processo
articolare articolare
SUP proc. mamillare corpo vertebrale SUP
processo
processo costiforme
proc. accessorio
costiforme
lamina e pedun-
colo vertebrale processo
articolare SUP
forame
vertebrale incisura
vertebrale faccetta
corpo superiore
vertebrale articolare
INF processo proc. spinoso
articolare
INF
L5
lamina processo
proc. spinoso dell’arco articolare
vertebrale INF processo
forame articolare
faccetta corpo vertebrale SUP
vertebrale articolare
SUP processo
processo costiforme
costiforme
incisura processo
vertebrale sup articolare SUP
peduncolo
corpo dell’arco
vertebrale vertebrale
RIEPILOGO
1. corpo vertebrale
2. peduncolo (passaggio dal corpo alla parte dinamica della vertebra)
3. massiccio articolare
4. le tre apofisi: l’apofisi trasversa e le due faccette articolari o apofisi articolari
5. le lamine che sostituiscono la regione post al massiccio articolare e si riuniscono nell’apofisi spinosa
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Legamenti processo articolare inf
- Disco intervertebrale: vero e capsula dell’articolaz
proprio elemento legamentoso zigo-apofisaria
con funzione di stabilizzazione. leg longitud. ant processo articolare inf
È una struttura di sostegno tra processo trasverso
corpo sup e corpo inf al cui in- vertebracorpo di una
lombare processo spinoso
terno c’è il nucleo che è la parte
disco leg giallo
gelatinosa e più vitale del disco.
intervertebrale leg interspinoso
- Legamento longitudinale ant:
parte dall’occipite e arriva al leg longitud. ant leg sovraspinoso
sacro, è adeso più al corpo ver- foro intervertebrale
tebrale e meno al disco, limita i
leg longitud. post
movimenti di estensione.
- Legamento longitud. post:
parte anch’esso dall’occipite e
arriva al sacro. Si trova dietro il
corpo vertebrale all’interno del canale midollare. È più adeso al disco e meno al corpo vertebrale (questo
determina una maggiore sollecitazione a livello dei dischi con una maggiore percentuale di erniazione), limita
i movimenti di flessione.
- Legamenti gialli: uniscono lateralmente le lamine (vanno dalla lamina sovrastante alla lamina sottostante)
sono detti gialli perchè ricchi di elastina, quindi molto elastici. Hanno la funzione di proteggere del midollo.
- Legamenti interspinosi: vanno dalla parte inferiore della spinosa sovrastante alla parte superiore della
spinosa sottostante.
- Legamento sovraspinoso: è un unico fascio che dal sacro arriva all’occipite (nella parte cervicale prende il
nome di leg nucale), unisce globalmente e nella parte più esterna le spinose.
- Legamento intertrasversario: disposto lateralmente alla vertebra tra la trasversa sup e la trasversa inf, limita
i movimenti di inclinazione. Il leg di dx limita l’inclinaz a sin e quello di sin limita l’inclinaz dx.
- Capsula articolare: su ogni articolazione (4 per ogni vertebra) rappresenta il mantenimento dell’articolazione
stessa.
Tutti i legamenti limitano i movimenti di flessione. Il legamento longitudinale anteriore è l’unico che limita il
movimento di estensione perché poi intervengono l’arco posteriore e il contatto delle apofisi spinose.
PRATICA
Pz prono, reperimento delle spinose lombari a partire dall’alto (D12) oppure dal basso (osso sacro).
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processo canale vertebrale
articolare sup
processo corpo vertebrale
mammillare
processo
trasverso
corpo vertebrale
foro vertebrale
processo peduncolo
accessorio (o radice)
processo processo
spinoso trasverso
processo processo
articolare sup accessorio
lamina processo
mammillare lamina
processo processo
articolare inf spinoso
sem 3 Fierro
PRATICA
FLESSIONE ESTENSIONE
Movimenti articolari
In entrambi i casi si potranno avere delle disfunzioni simmetriche o bilaterali, cioè che interessano tutte e due
le faccette articolari, sia quella di dx che quella di sin, “bilaterali” significa che sono bloccate entrambe.
Se faccio un movimento di FLEX le spinose di due vertebre si allontanano, c’è più spazio tra esse; ma in
NEUTRALITA’ degli spazi “anomali” possono indicare una probabile disfunzione, a patto però di verificarla
con dei test di mobilità, perché possono esserci delle anomalie costituzionali, morfologiche, tali da darmi
spazi importanti ma fisiologici in quel soggetto. È importante quindi sempre il concetto di mobilità, mettere
la struttura in movimento per definirne la disfunzione.
(È molto importante anche considerare la respirazione. Per es durante l’INspirazione globalmente tutte le
curve si riducono, e a livello lombare avremo una flessione, mentre a livello dorsale un’ estensione. È impor-
tante perché esiste un test di mobilità basato proprio sulla respirazione, in cui, preso appoggio sulle spinose,
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si va a valutare l’escursione articolare delle vertebre sia nella fase espiratoria che in quella inspiratoria).
Disfunzione vertebrale
Con questo termine s’intende una vertebra le cui faccette articolari inferiori sono in disfunzione rispetto alle
faccette articolari superiori della vertebra sottostante. Perché è importante questo concetto? Perché quando
facciamo la tecnica di chiusura in chiave dobbiamo focalizzarla, per liberare la faccetta articolare (o le faccet-
te) che ci interessa, vale a dire le faccette articolari inferiori della vertebra soprastante.
Siccome una vertebra ha 4 articolazioni (due superiori e due inferiori), per convenzione - quando si parla di
disfunzione - s’intende quanto detto sopra, altrimenti non si saprebbe a quali articolazioni si fa riferimento.
Ora stiamo facendo le disfunzioni simmetriche, ossia quelle disfunzioni che riguardano entrambe le faccette
articolari inf della vertebra in disfunzione. Questo tipo di disfunzioni seguono la II Legge di Freyette, in cui
R=S, ossia la rotazione della vertebra è dallo stesso lato dell’inclinazione (side). È una disfunzione che può
interessare anche solo 1 vertebra.
Quindi si parte da una zona ampia e si arriva sull’articolazione bloccata, ossia una determinata faccetta arti-
colare inferiore bloccata.
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Osservazione
Osservo i movimenti che può compiere la colonna lombare, vale a dire: flessione, estensione, inclinazione,
rotazione. È un’ossevazione di massima. La colonna lombare in posizione di neutralità presenta una lordosi.
STATICA_Pz di spalle
La colonna lombare è una zona di lordosi, dobbiamo immaginarla in neutralità.
Osservo se la lordosi è accentuata, armonica, alta o bassa.
Osservo come il tronco è stato montato sul bacino, se è shiftato.
Come sono i triangoli della taglia?
Immagino un filo a piombo che cade dall’occipite al sacro e verifico se questa linea incontra i corpi vertebrali
oppure no. Se non li incontra, ciò significa che anche i dischi vertebrali sono spostati. Se le spinose sono spo-
state posso immaginare che in quella zona ci siano delle tensioni e forse dolore.
Pz di profilo
Vedo se la curva è accentuata o no, se il bacino - in senso generico - è in conversione anteriore o posteriore e
se c’è un po’ di pancetta.
Domanda: la pancetta è un problema di lassità muscolare o c’è dell’altro? Oppure, è la pancetta a causare
l’iperlordosi o il contrario? Risposta: pensate che i muscoli sono un accessorio, un po’ come la carrozzeria di
una macchina, mentre ad un Osteopata interessa il più delle volte vedere che cosa c’è all’interno. La carrozze-
ria può avere una piccola ammaccatura e quindi il muscolo presentare un piccolo stiramento, causato da un
motivo x, ma quello che ci interessa di più è il cuore della struttura, sono le strutture portanti, il motore (vale a
dire i visceri) e tutta la circolazione dei fluidi. Pensate che tutto il pacchetto viscerale è in una sacca, che ade-
risce alla parete parietale posteriore. Inoltre tutti i visceri hanno dei legamenti, che si chiamano meso, che si
attaccano sulla parete parietale posteriore, che è aderente alla colonna e fascialmente ha una continuità su di
essa. Quindi se c’è qualcosa che tira verso il basso, la colonna si deve adattare, perché è stata creata apposta
come un susseguirsi di vertebre e di articolazioni. La colonna è la risultante di altre problematiche. Si può dire
che l’osteopatia non cura l’ernia del disco ma fa una messa a punto in seguito alla quale la colonna trova un
assetto migliore e non va a dar fastidio all’ernia. Quindi le tensioni sulla colonna possono avere origine visce-
rale, fasciale, emotiva.
Torniamo alla domanda sulla pancetta. Perché il corpo si mette in questa posizione? In questa posizione la-
vorano i muscoli accessori della respirazione, localizzati nella parte alta del torace. Di conseguenza il centro
frenico del diaframma si abbassa molto. Così facendo va a premere sulla parte alta dei reni dove si trovano le
ghiandole surrenali, che producono adrenalina, noradrenalina e cortisolo. L’adrenalina serve a rispondere a
situazione in cui ho bisogno di una reazione rapida: di attacco o di fuga, quindi una reazione anche di tipo mu-
scolare. Il cortisolo è il cortisone naturale e serve ad abbassare la soglia del dolore. La reazione di attacco o di
fuga dovrebbe essere momentanea e durare poco, mentre il problema nasce quando dura ore, giorni, anni. In
una situazione del genere, siccome i muscoli si attaccano sulle vertebre, schiacciano e comprimono e quindi
possono provocare un’ernia del disco a livello cervicale, il tunnel carpale, addormentamento delle mani.
Questo per dire che quando si tratta una schiena bisogna farsi moltissime domande, perché un mal di schiena
può avere una causa banale oppure no.
DINAMICA_Flessione
Guardo se c’è un’armonia, osservo le spinose. A livello lombare le spinose non sono tanto evidenti. Devo far
attenzione se il Pz flette le anche anziché le vertebre lombari, perché questo indica una rigidità lombare.
Inclinazione laterale
Osservo se ci sono delle vertebre che non seguono.
Rotazione
L’Osteopata tiene il bacino.
Estensione
Non è molta a livello lombare però vale la pena valutarla, perché se è assente indica che c’è un blocco.
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Palpazione_Pz prono
Valutazione delle spinose. L’Osteopata appoggia indice e medio di entrambe le mani a dx e sin delle spinose
1) fa una pressione verso il basso, per far uscire la spinosa in esame tra le dita (Fig. 1)
2) fa scivolare la pelle sulle spinose e valuta la spinosa della vertebra superiore e quella della vertebra inferiore
(Fig. 2). Si può sentire se sono allineate o se ce n’è qualcuna fuori asse. Se con la punta delle dita si va a sbattere
contro una spinosa, vuol dire che quella vertebra è ruotata. Da ricordare che le spinose lombari sono lunghe
talvolta anche cm 1,5 - 2.
Per la II legge di Freyette�������������������������������������������������������������������������������������
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inclinazione ��������������������������������������������������������������������
= rotazione. Quindi quando si conosce la rotazione si sa anche l’in-
clinazione. A questo punto manca solo il parametro di F o E. Per valutarlo si deve sentire se c’è spazio tra una
vertebra e l’altra.
3) Si mettono gli indici sopra e sotto la spinosa in esame (Fig. 3). Da ricordare che L4 si trova a 45° dalla SIPS.
4) La conferma si ha appoggiando le mani sopra le creste iliache e unendo i pollici al centro: L4 (Fig. 4). La
palpazione non dice se c’è una disfunzione ma evidenzia solo la posizione delle vertebre in neutralità. Per
evidenziare una disfunzione si devono fare i test di mobilità.
1 2 3
4
Test di mobilità
1. Si basa sulla respirazione. In INspiraz la colonna lombare fa una F (in generale in INsp tutte le curve della
colonna sono meno accentuate, quindi per appiattire una lordosi bisogna fare una F). Chi invece sente di inar-
care la schiena in Insp, deve attribuirlo ad un’ anormalità, dovuta ad una cattiva respirazione diaframmatica.
Ricorda: i bambini respirano di pancia.
L’Osteopata, con le mani sulle spinose, chiede al Pz di INsp e sente che cosa succede (Flessione) e lo stesso
durante l’Esp (Estensione). A quel punto può denominare la disfunzione.
sem 3_Longobardi
Fisiologia vertebrale
Nella valutazione di una vertebra, il punto di riferimento è sempre la vertebra sottostante; ma per testare la
mobilità, devo considerare la NEUTRALITA’ della vertebra stessa, che è lo stato dal quale si parte per mettere
in movimento la struttura. Dello stato di neutralità della vertebra consideriamo principalmente due elementi
fondamentali:
a) parte STATICA (ant) la sovrapposizione dei corpi vertebrali tramite i dischi intervertebrali, che determi-
nano la COLONNA STATICA ovvero quello che supporta i carichi;
b) parte DINAMICA (post) la sovrapposizione degli archi, provvisti non a caso di apofisi, muscoli e lega-
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menti deputati alla mobilizzazione delle vertebre.
Consideriamo lo stato di mobilità o immobilità di una vertebra rispetto alla sottostante con al centro il
disco intervertebrale. Notiamo che a livello lombare il nucleo polposo è spostato un po’ indietro.
Neutralità
È lo stato in cui la vertebra si trova in appoggio discale rispetto alla sottostante. Le faccette articolari sono
in stato di quiete. Vi è un equilibrio muscolo-legamentoso a dx e sin. È una condizione ideale per iniziare la
mobilità.
Parliamo di condizione di neutralità rispetto ai movimenti che si possono produrre, quindi una vertebra in
neutralità non avrà né uno stato di flessione, né di estensione, né di rotazione, né di inclinazione, ma rispon-
derà alla forza di pressione con un appoggio discale nel quale si ha una reazione della struttura discale, che
come sappiamo ha una duplice funzione, oltre alla funzione legamentosa, in quanto adesa ai piatti vertebrali,
ha anche una funzione di ammortizzazione, per cui risponde, con l’appoggio sul condilo discale; anche a livel-
lo delle faccette articolari abbiamo una situazione di neutralità, in quanto non essendo in movimento, si trova
in una condizione di riposo; la reazione a questo appoggio è anteriore; equilibrio muscolare e legamentoso di
tutte le componenti posteriori. La vertebra si trova quindi in uno stato di equilibrio tra tensione e detensione,
sia a dx che a sin della vertebra stessa.
Neutralità = appoggio discale / reazione alla pressione / non impegno delle faccette articolari / equilibrio
delle strutture muscolari e legamentosi alla vertebra connesse.
Mobilità vertebrale
Dalla situazione di neutralità, mobilizzando la vertebra, si possono avere 2 tipi di movimenti:
1) movimenti simmetrici. Sono quelli in cui la parte dx e quella sin della vertebra compiono lo stesso movi-
mento. Sono i movimenti di flessione e estensione bilaterali (bilaterale perché il movimento fa riferimento
alle due faccette articolari)
2) movimenti asimmetrici. Sono quelli in cui la parte dx fa un movimento e quella sin ne fa un altro. Sono i
movimenti di inclinazione e rotazione dx o sin.
Movimenti simmetrici
Flessione bilaterale (dalla posizione neutra)
Partendo da uno stato di neutralità, durante la flessione, la vertebra sovrastante compie un’inclinazione del corpo
vertebrale in avanti, quindi globalmente il corpo vertebrale si inclina in avanti. Lo spazio intervertebrale diminuisce
anteriormente, e il nucleo viene sospinto all’indietro.
Il corpo vertebrale s’inclina avanti, tanto che la parte ant del corpo vertebrale guarda in avanti-basso, mentre
la parte post va in avanti-alto. Poiché anteriormente si riduce lo spazio, il disco è compresso e il nucleo pol-
poso fugge posteriormente.
Tutte le strutture legamentose post sono in tensione, vale a dire:
leg long post
leg interspinosi
leg sovraspinosi
leg gialli
Le faccette articolari inf della vertebra soprastante vanno avanti-alto (si può dire anche in divergenza).
Questo movimento avviene teoricamente in 2 tempi:
1) preparazione del movim > le faccette si preparano ad allontanarsi
2) divergenza vera e propria
Divergenza = flessione = anteriorità (termini sinonimi)
Movimenti asimmetrici
Inclinazione laterale (si abbrevia con S = side)
È un movimento in cui il corpo si inclina sul piano frontale, su un
solo lato, determinando una convergenza della faccetta articolare
di quel lato ed una divergenza della faccetta articolare opposta (per
es. in una inclinazione dx, la faccetta articolare di dx converge e la
faccetta articolare di sin diverge).
La vertebra soprastante s’inclina su un lato realizzando un movi-
mento di convergenza dal lato dell’inclinazione e di divergenza
dal lato opposto. In una inclinaz dx, la faccetta dx va in conver-
genza e quella di sin va in alto e avanti.
I leg intertrasversari dal lato della convessità (o divergenza) limi-
tano il movimento.
Il disco intervertebrale viene compresso dal lato della inclinaz
per cui il nucleo viene spinto verso la convessità (lato opposto
dell’inclinazione).
In questo movimento di inclinazione le faccette articolari fanno movimenti opposti: la faccetta dx va in con-
vergenza, vuol dire che scivola in BASSO/DIETRO; mentre la faccetta di sin, essendo in divergenza, va in ALTO/
AVANTI. Quindi non solo le faccette alzandosi da un lato si abbassano dall’altro, ma vanno anche in avanti o in
dietro seguendo il movimento, questo vuol dire allora che l’inclinazione non è un movimento puro sul piano
frontale (Fryette), ma per le sue condizioni, si accompagna anche alla rotazione.
Rotazione laterale
È il movimento in cui la vertebra, rispetto alle faccette articolari, si posteriorizza da un lato e si anteriorizza dall’altro,
producendo una rotazione del corpo vertebrale, che si definisce dal lato verso il quale ruota la parte anteriore del
corpo vertebrale, e coincide con il lato in cui la faccetta articolare si posteriorizza.
(per es. in una rotazione dx avrò che la faccetta di dx va in posteriorità, la faccetta di sin va in anteriorità, il
corpo ruota a dx nella parte anteriore e la spinosa devia a sin).
Una faccetta della vertebra soprastante si posteriorizza (lato della rotazione), mentre l’altra si anteriorizza. La
rotazione si definisce dal lato in cui ruota la parte ant del corpo vertebrale. Il corpo gira verso la faccetta che si
posteriorizza, mentre la spinosa verso la faccetta che va in avanti.
A livello vertebrale, tranne che per l’Atlante, non esistono movimenti di rotaz e inclinaz puri, ma solo mo-
vimenti combinati. Quindi non posso ruotare una vertebra se insieme non la inclino. Per es. una inclinazione
dx comprende una rotazione dx, se parlo di 2 vertebre.
Questi fenomeni sono sempre presenti nella fisiologia del rachide e sono stati codificati da Fryette.
Fryette ha studiato i movimenti combinati della vertebra, sia nel caso di una vertebra sulla sottostante, quindi
un movimento vertebrale isolato, che nel caso di movimenti di un gruppo di vertebre.
Definiamo gruppo di vertebre, un gruppo di almeno 3 vertebre, chiamando apicale o vertebra apice la
vertebra che si trova al centro; e limitanti o estreme le vertebre che si trovano all’inizio o alla fine.
H.H. Fryette enunciò le leggi dei movimenti fisiologici della colonna vertebrale.
I movimenti della colonna vertebrale sono quelli di Extension-rotation-sidebending (ERS) o di Flexion-side-
bending-rotation (FSR).
14
I movimenti ERS e FSR dipendono dalla morfologia della curva nelle quale si trovano le singole vertebre.
Il movimento fisiologico di una singola vertebra non dipende dunque da se stessa, ma dalla morfologia della
curva di cui si trova a far parte.
NSdRs S R
2. tensionamento delle strutture lat, in part dei leg intertrasversari, dal lato della convessità
C’è una legge fisica della fisiologia articolare, che si applica anche nella fisica biologica, per cui un corpo che è
sottoposto a una forza di trazione o di pressione, modificherà il suo posizionamento nello spazio per evitare il
punto di rottura ADATTAMENTO. Se faccio un’inclinaz a dx i leg intertrasv di sin sono in tensione. Per sfug-
gire a questa tensione si spostano verso la linea mediana, perché lì diminuisce la divergenza delle trasverse.
Siccome sono post al fulcro del movimento, quando si avvicinano alla linea mediana, trazionano i corpi e li
fanno ruotare. La trazione avviene sul lato opposto a quello in cui avviene la rotazione dei corpi vertebrali.
Questa legge è valida per rachide lombare e dorsale ma non per il rachide cervicale.
È da sottolineare che questi due meccanismi (1+2) sono sinergici e contribuiscono, ciascuno a suo
modo, alla rotazione nello stesso senso dei corpi vertebrali.
Questa rotazione è fisiologica. Tuttavia in certi casi, alterazioni della statica vertebrale dovute sia ad una
anomala ripartizione delle tensioni legamentose, che a delle irregolarità di sviluppo, provocano una rotazione
permanente dei corpi vertebrali. Si realizza così una scoliosi che associa una curvatura o inclinazione laterale
permanente della colonna, ad una rotazione dei corpi vertebrali.
L’ NSR è una rotoscoliosi, in cui la rotazione avviene sempre dal lato della convessità della curva, che corri-
sponde al gibbo posteriore; dal lato dell’inclinazione invece avremo il gibbo anteriore; questo perché, es-
sendo la colonna collegata alle coste, la rotazione di essa, produce un gibbo posteriore, ma la parte dx va in
avanti producendo il gibbo ant (anche se non è un vero gibbo quello ant).
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In una NSR avremo una rotazione massima nella vertebra apicale mentre nelle vertebre estreme o limi-
tanti avremo la massima inclinazione. Immaginando il gruppo di vertebre L1-L5
L3 (vertebra apicale) > massima R minima S
L1-L5 (vertebre limitanti) > massima S minima R
2° legge di Fryette
Si applica ad una singola vertebra rispetto alla sottostante.
Non essendo in neutralità, ci sarà uno stato di F o di E della vertebra. Se una vertebra rispetto alla sottostante
si trova in uno stato di F o di E, ad una rotazione è sempre accompagnata un’inclinazione omolaterale.
FRdSd S=R
ERsSs S=R
Abbiamo visto che la convergenza e la divergenza mettono insieme due movimenti.
FRSdx se sono in uno stato di flessione, mi compare una rotazione e contemporaneamente un’inclinazione
omolaterale, perché nel momento in cui le due faccette articolari devono tornare alla condizione di neutralità,
la faccetta di destra torna, mentre quella di sin rimane li = F / divergenza / anteriorità sinistra.
ERSsin se mi trovo in uno stato di estensione, nel ritorno alla neutralità, qualcosa ad un certo punto rimane
in una posizione di blocco su una faccetta articolare, perché una viene avanti e l’altra no = E / convergenza /
posteriorità sin.
la lettera quindi non indica il lato della disfunzione, ma solo il lato della inclinazione-rotazione della vertebra;
non si riferisce alla faccetta in disfunzione.
3° legge di Fryette
I parametri della disfunzione sono tra loro inversamente proporzionali e hanno un’importanza maggiore nell’ordine
in cui sono scritti.
EoF>R>S
N>S>R
FRS: senza la F non ci sarebbe la disfunzione;
NSR: senza la N non ci sarebbe la prima legge;
e tutti questi parametri del movimento sono in rapporto di proporzionalità, in quanto la loro somma da un
valore specifico X.
La 3°Legge specifica meglio quello che avviene durante le prime due leggi. I movimenti delle prime due sono
tra di loro inversamente proporzionali e sono d’importanza progressiva in base a come sono enunciati. F ed E
sono i primi elementi che vengono fuori e sono più importanti rispetto a R, che a sua volta è più importante
di S
60 30 10 N 60 30 10
E R S F R S
Nella valutazione della mobilità di una vertebra, devo integrare queste leggi ai test di mobilità, al fine di de-
terminare una possibile disfunzione.
Le leggi di Fryette non trovano applicaz nel rachide cervicale sup C0 (0 = occ sul rachide)- C1 - C2 e in generale
la prima non trova applicaz sul rachide cervicale.
sem 4_ Longobardi
Non si può mai denominare una disfunzione senza aver eseguito dei test di mobilità. Infatti dal semplice po-
sizionamenti della vertebra non si può definire una disfunzione.
Tipo 2 > 2° Legge > di una vertebra su quella sottostante (ciò non esclude che anche altre vertebre siano in
disfunzione, magari anche con la stessa disfunzione).
In uno stato di F o E unilaterale, l’inclinazione è preceduta da una R (= rotaz) unilaterale, quindi si avrà una FRS
o una ERS, che significa che una vertebra rispetto alla sottostante fa prima una flessione o un’estensione, a cui
segue una R e un’inclinazione (= S, side) omolaterale.
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Tipo 2 > disfunz ASIMMETRICHE> sono quelle in cui la vertebra presenta una disfunzione su una sola
faccetta articolare; tale disfunzione può esordire o con una F o con una E.
disfunz asimmetriche MONOLATERALI (in cui R = S)
FRSdx
FRSsin
ERSdx
ERSsin
1 2
Ricapitolando ERSdx o sin POSTdx + ANTsin
FRSdx o sin MONOLATERALI POSTsin + ANTdx BILATERALI
Nelle disfunzioni asimmet-
riche possiamo trovare ques- Sono quelle in cui 1 faccetta Sono quelle in cui entrambe
ti casi: è bloccata in F o E e 1 è lib- le faccette sono bloccate
era di tornare alla neutralità una in ANT una in POST.
Il fatto che riguardi 1 sola vertebra, non esclude che ce ne possa essere più di 1 in uno stesso segmento.
Per es. L3 in disfunzione su L4 che a sua volta può essere in disfunzione su L5. Quindi se trovo più di una ver-
tebra in disfunzione non per forza sarà una disfunzione di tipo 1, ma anche di tipo 2, ad esempio posso aver 2
o 3 vertebre consecutive che hanno una disfunzione di ERS o FRS.
Ai test sarò in presenza di una vertebra in disfunzione di F se essa si riallinea durante la F e viceversa in presen-
za di una disfunzione in E, se la vertebra si riallinea in E. Qualora non si riallinei né in F né in E, sarò in presenza
di una disfunzione bilaterale asimmetrica.
SCHEMA
I TIPO II TIPO
NSRdx a FLEX
NSRsin ESTENS
b ERSdx/sin
FRSdx/sin
c ANTdx + POSTsin
ANTsin + POSTdx
Andiamo a vedere qualche esempio di deviazione di una spinosa ed il relativo ragionamento per attribuire e
denominare una disfunzione.
Ipotizziamo di trovare L3 spostata a sin: rispetto alla linea di simmetria la spinosa a sin ci dice che la vertebra
è ruotata a dx e inclinata a dx; le possibilità sono che ci troviamo di fronte a una ERSdx oppure una FRSdx op-
pure POSTdx +ANTsin.
La disfunzione viene nominata SOLO con il test di mobilità.
Prima di valutare vertebra per vertebra possiamo fare una leggera pressione a livello lombare che ci potrà
evidenziare una zona di restrizione, in questo modo non andremo a valutare le vertebre ma come i tessuti
restituiscono il movimento, quindi ricercheremo qualche punto di resistenza, si tratta di una misurazione
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qualitativa, non quantitativa. Potremo effettuare delle pressioni vertebra per vertebra, a gruppi di due e a
mano aperta, valuteremo la risposta che otterremo dai tessuti, cercheremo un punto di resistenza, di mag-
giore densità delle strutture sotto la mano; per fare un es, se faccio questo tipo di lavoro sulle due ginocchia
che informazioni potrei ottenere? Forse uno sarà più caldo, o più gonfio, informazioni qualitative.
Torniamo alla nostra spinosa di L3 ruotata a sin, se affermo che si tratta di una FRS dx in base a quali informazi-
oni lo faccio?
Vuol dire che al test di flessione la spinosa si è riallineata in F, segno che le 2 faccette articolari sono in grado
di fare una flessione bilaterale.
Tornando in neutralità vedo che ritorna in rotazione.
Faccio allora il test di estensione e vedo che la deviazione aumenta perché la faccetta di sin è rimasta in flex
mentre la faccetta di dx, che è libera, è andata in estensione.
Per far flettere e ruotare una vertebra a dx bisogna che la faccetta di sin vada avanti.
Questo vale in tutti i casi, in una ERSdx se la spinosa dietro è deviata a sin, facendo la F aumenta la rotazione
e nell’estensione si riallinea, la faccetta di sin è andata in avanti.
Se ne abbiamo una bloccata in flex e una bloccata in est vuol dire la vertebra è ruotata a dx e quindi la causa è
che la faccetta di sin è andata in avanti, ed è il caso delle asimmetriche bilaterali che sono illustrate sopra.
Altro caso: spazi interspinosi con variazioni negli spazi. Mi sembra che lo spazio fra L2 L3 sia più ridotto degli
altri. Faccio il test di mobilità: faccio flettere, cosa succede? Lo spazio si apre? Si.
Durante l’estensione cosa succede, si chiude? No
La disfunzione sarà L2 in flex bilaterale.
Se invece durante la flex non si fosse aperto e durante l’estensione si fosse chiuso avrei avuto L3 in estensione
bilaterale.
Facciamo un pò di test.
Punti di repere per individuare L4 L5 oltre al test con le mani sulle creste iliache, c’è da ricordare che la spinosa
di L5 differisce dalle altre: è più puntiforme, le altre sono più quadrilatere ciò la rende ben identificabile, al-
tro punto di repere importante a livello lombare sono le trasverse, alla palpazione le troviamo più in alto della
spinosa della stessa vertebra.
Se trovo uno spazio più ristretto tra due spinose ma si apre e si chiude vuol dire che non c’è disfunzione. Ri-
cordare che la disfunzione si nomina con il test di mobilità. Quando una spinosa sembra deviata ma non siete
sicuri provate a fare così: a prendere la spinosa fra le dita di una mano e mantenendo la spinosa della vertebra
inferiore con l’altra mano, date una leggera rotazione a dx e a sin (si sentirà la differenza nella qualità dei tes-
suti), oppure andate a sentire le trasverse che saranno (in caso di disfunzione) una più anteriore e una più
posteriore. Attenzione alle disfunzioni asimmetriche in cui una faccetta è bloccata aventi e l’altra dietro.
Gli spazi intervertebrali andranno valutati uno per volta.
I test in F ed E potranno essere effettuati anche attraverso dei test respiratori: a volte i Pz hanno dolore per cui
chiedere loro determinati movimenti sarà difficile, più facile invece fare i test respiratori.
Ecco come vanno effettuati: Pz sul lettino, posizione prona, respirazione più profonda; a livello lombare in-
spirazione = flessione e si può chiedere anche un’apnea di pochi secondi, espirazione = estensione. A livello
toracico sarà l’inverso.
Attenzione perché alcune persone hanno una respirazione molto toracica, cosiddetta respirazione paradossa,
che può alterare i risultati quindi, magari, chiedere al Pz di fare una respirazione più addominale, gonfiando
la pancia.
PRATICA
Tecnica diretta
Ipotizziamo la seguente disfunzione: L3 in ERSdx
Posizionamento del Pz
Pz in decubito lat (per es. in caso di ERS dx si posiziona il Pz sul lato della rotazione, o della post cioé a dx)
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Pz in asse dalla
testa ai piedi e in
equilibrio ancora
prima di chiudere
le leve
Chiusura in chiave
Si parte dalla leva inf, si sente
il movimento tra L4 e L3 e ci si
ferma quando si sente l’ultimo
movimento su L4 = la barriera
articolare (nelle tecniche artico-
lari è importante cercare l’ultimo
movimento e non il primo come
nelle TEM). Il primo movimento che
si percepisce è la barriera visco-
elastica (va bene per le tecniche
fasciali). Se si facesse una tecnica
articolare sulla prima barriera visco-elastica, il risultato sarebbe del tutto inefficace.
20
attenzione
a non far
ruotare il
bacino del Pz,
perché in tal
caso il livello
sale e invece
di L3-L4 si
arriva a L1
a b
oppure, se il Pz è molto
alto, si controlla la leva inf
con il bacino
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*piccola perché per la III legge di Freyette il movimento arriva subito, in quanto si è già su L3
attenzione a non
lasciare la testa né
appoggiata sul let-
tino né ruotata verso
il soffitto
si chiede al Pz di
intrecciare le braccia
posizione corretta del braccio craniale posizione scorretta del braccio craniale
(tra il seno e la spalla)
direzione corretta della leva sup e inf direzione scorretta della leva sup e inf
- l’Osteopata si
posiziona, chiede
al Pz di respirare (in
INsp mantiene e
in Esp aumenta la
rotazione) e sente se
il posizionamento
è sufficientemente
preciso tra L3 e L4
22
se l’Osteopata sente
di aver perso il livello,
cerca con le sue gambe
di muovere la leva inf (o
la leva sup) e far risalire
(o scendere) il cursore
poi chiede al Pz di prendere aria, espirare e ricontrolla con l’obiettivo di avvicinarsi sempre di più alla barrie-
ra articolare. L’Osteopata deve sentire che sopra a L3 e sotto a L4 tutte le vertebre sono chiuse, in modo che
la tecnica avvenga solo tra L3 e L4. Quindi è fondamentale posizionare bene il Pz e fare bene la chiusura in
chiave.
23
variante della presa nel caso di una
in caso di una disfun- disfunzione alta si
zione di L5 su S1 può partire anche
dalla leva sup
Usiamo le TECNICHE DIRETTE per andare direttamente a invertire i parametri di una disfunzione (rispetto al
punto prossimale, su uno o più piani dello spazio).
A livello vertebrale ci organizziamo su tre piani dello spazio. Quando prendiamo in esame una vertebra, sia
nel test sia nel posizionamento, dobbiamo immaginarci come si posiziona nello spazio rispetto ai tre punti di
repere. Quindi le vertebre sono un po’ più complesse da interpretare.
L3 in ERS dx: la faccetta in disfunzione è la dx che si trova in posteriorità (o estensione, o convergenza, tutti
sinonimi). La vertebra è in rotazione dx (movimento sul piano orizzontale), inclinazione laterale (piano fron-
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tale) ed estensione (piano sagittale). Quindi ci sono tanti parametri da considerare quando cerchiamo il po-
sizionamento nella tecnica diretta per invertire i parametri della disfunzione. Cerchiamo sempre di invertirli
tutti, ma delle volte saremo costretti a sacrificare uno o due parametri e saremo così limitati nell’efficacia della
tecnica (ad es. nelle tecniche per le vertebre cervicali), e qualche volta a sacrificare anche il Pz! (ha-ha-ha tutti
a ridere!).
Nelle tecniche dirette andiamo a sentire, cercare l’ultima barriera possibile, che è la barriera articolare, che de-
termina prima un detensionamento delle fasce più superficiali, poi un detensionamento delle fasce più pro-
fonde fino ad arrivare nella zona dei muscoli monoarticolari vicino alla disfunzione, superiamo anche quella
resistenza e facciamo direttamente invertire la posizione alla faccetta articolare in disfunzione: tecnica diretta
con thrust (alta velocità bassa ampiezza). In questa tecnica solo l’operatore è attivo: il Pz è attivo solo per
quanto riguarda la respirazione.
Tecniche DIRETTE
1. Thrust (es. lombar roll) = tecnica ad alta velocità e bassa ampiezza.
2.Tecniche a energia muscolare (TEM) = utilizza la respirazione e la partecipazione del Pz con una contrazione
muscolare. Si fa lavorare il muscolo in contrazione isometr. (in media 3 respirazioni, si può arrivare anche a 5)
Passaggi della tecnica:
- si chiede al Pz di INspirare (NO una grande inspiraz perché altrimenti si perde la chiusura in chiave)
- durante l�������������������������������������������������������������������������������������������������
’������������������������������������������������������������������������������������������������
apnea INspir l����������������������������������������������������������������������������������
’���������������������������������������������������������������������������������
Osteopata chiede al Pz di spingere contro il suo braccio craniale o caudale o en-
trambi (3 sec di contrazione); la quantità delle contrazioni da fare sulla leva sup o su quella inf o su entrambe
dipende da che cosa si sente con i polpastrelli (se per es. si sente che si sta andando troppo in basso, significa
che si sta recuperando troppo sulla leva sup e così nella contrazione seguente si fa lavorare la leva inf oppure
se si sente di essere ben bilanciati si può chiedere una contrazione su entrambe le leve)
- 3 sec di pausa, mentre il Pz espira
- l’Osteopata cerca una nuova barriera visco-elastica
Nelle tecniche a energia muscolare facciamo comunque una tecnica diretta perché invertiamo direttamente
i parametri della disfunzione, ma a differenza del thrust si chiede la partecipazione attiva del Pz. In questo
caso non lavoriamo sulla barriera articolare ma sulla barriera muscolare, sulla barriera visco-elastica, cioè sul
muscolo che mantiene la posizione della faccetta articolare in disfunzione. Quindi non parliamo dei grossi
muscoli paravertebrali, fasici, superficiali del movimento, tipo gran dorsale, romboidi, dentato, ma si tratta dei
muscoli monoarticolari, (es. trasverso spinoso, andare a vederli) i muscoli più profondi della statica, che vanno
dalla spinosa alla trasversa, sono legati ad una sola faccetta articolare.
In che modo andiamo ad agire su questi muscoli? Andando ad agire su una contrazione isometrica. Ad es-
empio: nel gomito, disfunzione di flessione è mantenuta dal flessore. Devo far sì che questo muscolo abbia
una barriera motrice sempre più vicina alla neutralità. Devo far detendere la tensione del flessore che vince
sull’estensore, antagonista. Porto l’articolazione fino a sentire la tensione del flessore. Con la tempistica dei
3sec-3 sec andiamo a recuperare gradualmente sulla tensione del muscolo per avvicinarsi alla neutralità. Se
dovessi invece usare una tecnica diretta andrei ad avvicinarmi, stirando il muscolo, alla barriera articolare,
e qui farei la tecnica diretta. Quindi mi avvicino alla barriera articolare seguendolo durante 2-3 respirazioni
per arrivare al massimo delle possibilità perché dobbiamo superare anche la tensione del muscolo per ar-
rivare alla barriera articolare. Se non si fa una corretta messa in tensione si fa una tecnica sul muscolo, non
sull’articolazione, per cui la tecnica non è efficace! La barriera articolare è l’ultima che compare. Quella musco-
lare è la prima che compare (per tecnica sul muscolo).
Quindi entrambe le tecniche sono dirette. Una con e una senza l’ausiliio del Pz.
Tecniche INDIRETTE
1.Tecniche di aggravamento o tecniche funzionali = si avvicinano le inserzioni, in questo modo il fuso musco-
lare si detende e posso guadagnare in lunghezza. Lavorano su un altro principio: di inibire il muscolo che
mantiene la disfunzione ed eventualmente stimolare il circuito dell’antagonista per rinforzare il muscolo vitti-
ma della disfunzione. Quindi vado ad aggravare (fare ancora di più una rotazione dx stimolando l’antagonista,
il rotatore sinistro).
Es. porta in un Saloon: disfunzione di porta aperta. Tecnica diretta: dò un calcio alla porta e la chiudo. Tecnica
diretta ad energia muscolare: mantengo la porta aperta, ferma, e agisco sulla molla esterna tirandola di più
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e siccome non c’è movimento, la molla, quando lascio, mollerà un po’ perché la sto sfiancando, un po’ alla
volta cede la molla e si chiude la porta. Se no, tecnica di aggravamento: si dà una spinta e la molla interna si
carica, acquisisce energia, e la porta si chiude. Con la tecnica indiretta non solo si aggrava, ma si mantiene
l’aggravamento per un certo numero di secondi, si dà il tempo al sistema di riorganizzarsi, per cui il muscolo
vittima può recuperare sul muscolo vincitore e riportare la porta (vertebra) in neutralità.
NB: Tutte queste sono delle tecniche, non degli approcci! (fasciale, viscerale, craniale..). Es. approccio fasciale,
posso lavorare sulle fasce sia con una tecnica diretta o con energia muscolare o di aggravamento usando pur
sempre un approccio fasciale. Oppure faccio una tecnica funzionale, prendo i 2 lembi e li avvicino, esaspe-
rando l’aggravamento e sento che il sistema riparte nel senso di un allungamento. Non confondere quindi
l’approccio col tipo di tecnica che si sceglie (quindi non dire “no io faccio una tecnica dolce, fasciale, perché
una tecnica fasciale può anche essere una tecnica diretta!).
La tecnica ad energia muscolare: lavoriamo sul muscolo che mantiene la disfunzione. L3 in ERS dx. La vertebra
sottostante, ossia L4, è la mia neutralià. Ho la spinosa deviata a sin, e dovrò detendere il muscolo rotatore di
dx. Posizionerò il Pz come facevo nelle tecniche dirette. Uso la leva superiore per includere la vertebra in dis-
funzione (L3). Posiziono il Pz da quale lato? Lato dx, il lato della rotazione, sia che si tratti della posteriorità vera
(ERS dx), o relativa (es. FRS dx: la faccetta dx è in neutralità ma è relativamente più indietro della sin che è in
disfunzione di flessione, e quindi antero-superiore). Infatti compare la componente di inclinazione: quando la
faccetta va in convergenza, la faccetta va indietro e in basso. Quando va in divergenza, va in avanti e in alto.
L3 in ERS dx: la faccetta è indietro-basso, quindi compare l’inclinazione dx. Pz sul lato dx perché includendo
la disfunzione nella leva superiore vado a realizzare una derotazione: immaginare le spalle del Pz come le
trasverse della vertebra, quando il Pz fa la de-rotazione ruota verso sin le spalle. La leva inferiore invece fa una
rotazione dx che porta relativamente L3 ancora più in rotazione sin, porta la faccetta in disfunzione ancora di
più in anteriorità. Dal lato della disfunzione, L3 va in avanti e L4 va indietro, quindi relativamente si porta verso
la correzione. Una volta posizionato il Pz, raggiunta la barriera visco-elastica, chiedo di fare una piccola con-
trazione o per ritornare verso la disfunzione L3, oppure lavoro sulla leva inferiore nella rotazione opposta, per
andare progressivamente a riposizionare la vertebra in disfunzione per portare progressivamente la faccetta
dx di L3 verso la neutralità. Serve sentire le spinose, siccome lavoro su un piccolo muscolo monoarticolare, io
devo essere preciso! Monitorare costantemente che tutto avvenga tra L3 e L4, quando sento la contrazione, e
quando riposiziono L4 sotto a L3 o L3 sopra a L4.
Il PROTOCOLLO è: Inspirazione (non profonda), Apnea inspiratoria, Contrazione isometrica per 3 sec, 3 sec
di pausa (Pz rilascia la contrazione), Espirazione, durante la quale si recupera la nuova barriera muscolare. Si
ripete per 3-5 volte fino a ottenere un risultato soddisfacente. Eventuali scrosci, movimenti che si dovessero
sentire non ci devono interrompere! La tecnica va completata. Anche con le tecniche dirette, va portata fino in
fondo. L’unica cosa che ci deve frenare è il dolore del Pz, o una gamba che si addormenta, o un dolore riferito,
nella gamba… il dolore è sempre un campanello d’allarme che indica che c’è qualcosa che non va, che non
avevamo valutato bene o non ci siamo posizionati bene.
Fierro
Osservazione del Pz di spalle
Osservazione della STATICA della colonna
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Prendiamo 3-4 punti che ci interessano della sua zona lombare.
dx_difficile sin_facile
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3. Palpazione_Pz prono
È utile per sentire le spinose e gli spazi tra di esse.
Correzione di L5 in FRSsin
Si mette il Pz dal lato della rotazione,
quindi a sin e si flette il braccio per dare
stabilità al Pz.
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Poi posiziona la leva sup ruotando il brac-
cio del Pz in avanti (e non verso l’alto).
Si fanno intrecciare le
braccia del Pz
Anno 2 sem 1
Di Branco
In una disfunzione di NSR, un gruppo di vertebre (almeno 3) si trova in neutralità e i corpi vertebrali saranno
inclinati (S) da un lato e ruotati (R) dal lato opposto.
TEST
Hip drop test o test di caduta dell’anca
Il Pz è in piedi
Ci permette di individuare il lato da cui la colonna lombare si inclina con più facilità.
Questo è un test che si fa nella prima fase della visita, dopo un esame visivo.
Il Pz è in piedi di spalle. Gli si chiede di piegare un ginocchio in modo che l’emibacino cada dallo stesso lato
e la colonna di conseguenza si inclini dall’altro. Si fa la stessa cosa dall’altro lato e si vede dove la colonna ha
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maggiore facilità. In questo modo si amplifica ancor di più (se c’è una disfunzione) l’impossibilità della col-
onna a fare rotazione e inclinazione. Appena il ginocchio si piega, sulla colonna si forma una curva, se volete
una porzione di scoliosi lombare, più o meno ampia.
Si nota inoltre se nella scoliosi (1° Legge di Fryette > NSR) c’è una vertebra fuori schema (ossia in 2° Legge di
Fryette > FRS o ERS). Se trovo una vertebra in ESR o FSR dovrò prima di tutto ridurla, per riportare la situazione
in NSR, ossia ottenere una scoliosi funzionale, una colonna che si muove bene.
Pz di profilo
Verifico l’atteggiamento del collo oppure se ha la pancia, se c’è un gonfiore addominale o una pancetta che
scende verso il basso.
La rigidità spesso è dovuta anche al Diaframma (pilastri D12 L1 L2).
Oppure può essere una rigidità da contrattura dello Psoas (atteggiamento seduto sull’osso sacro). In tal caso
mancherebbe anche la curva lombare o addirittura ci sarebbe un’ inversione della curva dorso-lombare, L3 L2
L1 con apofisi spinose più esposte.
2. Se la curva è abbastanza omogenea (1) e non vedo delle interruzioni, so che la curva
si adatta secondo una legge di tipo 1 = NSR (le vertebre sono in appoggio solo sul disco e
sono libere di muoversi in tutte le direzioni).
In presenza di un adattamento di tipo 1(ved. foto) ho la seguente situazione:
N = vertebra in neutralità e in appoggio sul disco
S = side banding, inclinazione (in questo caso a sin)
R = rotazione controlaterale (in questo caso a dx).
Quindi, l’hip-drop test ci dice:
plica a) se la colonna sta in NSR
b) se c’è una NSR più importante da un lato rispetto all’altro.
SAC
RO Visto che parliamo di NSR, quindi di condizionamento vertebrale a distanza, probabilmente
la responsabilità di questo aumento della curva (da un lato o dall’altro) sarà di tipo musco-
lare o meglio muscolo-fasciale (quindi si tratta di adattamenti di tipo osteopatico).
Muscolare = muscolo-fasciale = Fasciale= viscerale
3. Se nella situazione 2) compaiono delle baionette (2a) o dei raddrizzamenti (2b) nella
NSR, significa che quella vertebra (rappresentata dalla baionetta) o quel gruppo di vertebre
(rappresentata dal raddrizz) non può ruotare a dx (es NSRdx) perché è rimasto ingaggiato a
sin, quindi ho delle disfunzioni di tipo 2 GENERICHE. In tal caso se sono nella situazione 3)
1 appena descritta, a seguire faccio il test del pelvic roll e poi gli altri test della colonna (per
es. sfinge/dorso curvo, palpazione....) per aumentare gli elementi della mia valutazione.
31
vertice
più alto =
baionetta
NSR baionetta rigidità alta
raddrizzamento vertice
più basso =
baionetta
bassa
1 2a 2b 3 4a 4b
Se c’è, tra la dx e la sin, un lato più rigido (3) significa che su quel lato gli elementi muscolo-fasciali creano
delle tensioni e quindi non compare una NSR (come al punto 1).
4. Se trovo delle baionetta o dei rad-
drizzamenti (4a, 4b) sul lato rigido
significa che tutte le vertebre ruota-
no bene a dx tranne la faccetta artico-
lare di una vertebra, che è bloccata in
F o E (FRS o ERS > 2° Legge di Fryette).
In tal caso dall’altro lato avrò una NSR
un pò rigida e una o più baionette.
Nel caso di una spondilolistesi si avrà una zona in disfunzione abbastanza netta e bilaterale tra L5 e S1.
Ricapitolando: controllare se la curva è omogenea, se non è omogenea fare il test di mobilità.
Questo test sarebbe meglio farlo in penombra, perché così abbiamo più l’informazione dell’ombra articolare,
di quello che succede sotto il tessuto.
Questo test lo facciamo da D11-D12 al sacro, perché sopra ci sarà un compenso dorsale.
32
Hip Drop Test (classe 2A)
L’ HIP DROP TEST, anche chiamato TEST DI CADUTA DELL’ANCA, viene utilizzato per
definire un’eventuale disfunzione in NSR della colonna lombare.
Il Pz è in piedi, con i piedi allargati alla distanza delle teste femorali, in appoggio bipo-
dalico; gli si chiede di flettere un ginocchio e lasciar cadere il bacino dello stesso lato, sos-
tenendo il peso del corpo sull’altra gamba in appoggio, mantenendo la posizione eretta.
Quello che l’Osteopata va a valutare è la capacità dei tessuti della colonna, di adattarsi
quando si fa “cadere” il bacino da un appoggio bilaterale a unilaterale.
È una situazione in cui si evidenziano delle informazioni che l’Osteopata deve interpre- plica
tare, ovvero:
- l’altezza/spessore della plica cutanea, del lato della concavità (quella controlaterale SAC
RO
alla gamba che cade). Il test è comparativo per cui la valutazione sarà fatta rispetto al cont-
rolaterale, tenendo conto che molto spesso non c’è una simmetria del corpo tra i due lati.
- l’ampiezza della curva lombare che si crea, spesso la curva è molto importante da un
lato e più verticale dall’altro.
Al centro si può notare una curva (ideale) della colonna, una NSR, ovvero una curva che
segue la 1° legge di Fryette, si tratta infatti del gruppo di vertebre che costituiscono la
colonna lombare.
questo test ci dà un’ idea di quanto la colonna è facilitata ad incurvarsi da un lato piuttosto
che dall’altro.
Le STRUTTURE che a livello lombare mantengono e guidano questa condizione sono
fondamentalmente tre:
1) il m. QUADRATO DEI LOMBI
2) il m. PSOAS
3) i pilastri del DIAFRAMMA
Queste rendono rigida o elastica la colonna, reagendo agli spostamenti meccanici e alle variazioni metaboliche
del visceri.
Non a caso partono quasi tutte da L4 e meno da L5. In una condizione di rigidità delle strutture a monte, è a
questo livello che le trazioni logorano i tessuti, infatti la maggior parte delle ernie lombari, si manifestano tra
L4-L5 e L5-S1.
L’hip drop test indica, sul lato che risulta positivo al test, che le strutture muscolo elastiche che si trovano
su quel lato e che governano la fisiologia della colonna lombare, sono più tese lì rispetto all’altro lato. Vuol
dire che dal lato della positività si inclina maggiormente, perché c’è una maggiore tensione laterale sul mm
quadrato dei lombi e anteriore sul mm psoas e il diaframma.
Da questo è facile immaginare che un test dei mm psoas potrebbe essere confrontato con l’hip drop test.
Infatti uno psoas teso da un lato è spesso supportato dalla positività dell’hip drop dallo stesso lato. Questo
vorrebbe dire che è certa la presenza di un accorciamento importante, anche se non se ne conosce ancora la
causa.
LE POSSIBILITÀ CHE POSSONO RISULTARE DALL’HIP DROP TEST, sono quelle di trovare:
- una curva armonica,
- una curva che si presenta spezzata o frammentata.
Nel secondo caso, l’interpretazione che ne segue è che nel punto in cui la curva è interrotta ci sia:
1) una o più vertebre, che non possono fare la rotazione nel senso dell’NSR richiesta; si avrà quindi una BAIONET-
TA. Queste vertebre necessitano di essere testate ed eventualmente trattate, perché c’è sotto una disfunzione
indotta dal movimento dell’Osteopata. fatto il test sulla vertebra, si fa ripetere l’hip drop al Pz; qualcosa
dovrebbe essere cambiato, un pò come succede per il PELVIC ROLL, test con cui si induce un movimento tale
che dia la possibilità di valutare ciò che avviene a livello lombare.
2) Un VERTICE, che può essere presente in qualunque punto della curva. Questo vuol dire che, all’interno di una
NSR (provocata in questo caso dall’hip drop test) 1 vertebra fa una rotazione maggiore in quel senso, perché è bloc-
cata in quel movimento e quindi si sposta maggiormente creando il vertice. In questo caso, se si chiede al Pz un
hip drop dal lato opposto, si noterà che allo stesso livello del vertice, si forma una baionetta, e questo perché
la vertebra che da un lato ruota maggiormente creando un vertice, nella rotazione opposta non può andare,
perché è bloccata, e farà una baionetta.
33
Ci sono sempre delle “OMBRE” che si possono notare all’osservazione, perché non esiste una colonna in grado
di fare una NSR perfetta, ed è difficile quindi trovare delle curve perfettamente armoniche, ma si trovano ap-
punto delle ombre che devono suscitare la curiosità dell’Osteopata nella sua interpretazione.
È importante osservare il Pz da lontano, e non soffermarsi troppo sulle sottigliezze, ma dare importanza alle
ombre e contestualizzare il Pz nella sua globalità.
SIAS dx
SIPS sin
Rotazione sin
mano sin dietro SIPS dx
mano dx davanti SIAS sin
SIPS dx
SIAS sin
34
Il pelvic roll ci dice se c’è un bacino più resistente in
avanti e uno che cede meglio indietro e quindi ci dà
un’informazione sulla POSTURA dell’individuo, ma
non è utile per denominare esattamente il tipo di
disfunzione del Pz.
La differenza tra un Pelvic Roll e un generico test fasciale o non sul bacino è che nel Pelvic Roll vado a far scor-
rere, per es. nel caso di una mia spinta sul corto braccio sin, l’iliaco sin sul corto braccio della sacro iliaca sin;
mentre se sposto la mia spinta nella direzione del lungo braccio, faccio scorrere l’iliaco sul lungo braccio della
sacro iliaca sin.
Da non confondere la Pseudorotazione con la Rotazione del bacino che è un adattamento che coinvolge le
faccette articolari dell’articolaz sacro-iliaca e che ha come sua conseguenza un iliaco ant da un lato e un iliaco
post dall’altro. Globalmente il bacino guarda a dx o a sin.
*pseudorotazione del bacino = un adattamento del bacino per motivi muscolo-fasciali, principalmente a car-
ico del m. psoas
ILIACO A. i 2/3 sup della fossa iliaca A. superficie lat del tendine
(n. femorale, L2 L3) B. labbro int della cresta iliaca dello psoas
C. base del sacro B. porzione del corpo del femore distale al
piccolo trocantere
FUNZIONI
catena cinetica aperta: F, Add, RE del femore
35
catena cinetica chiusa: inclinaz omo-
laterale del tronco e rotazione cont-
rolaterale, RI del femore ed un’azione
di richiamo verso l’alto del femore
sull’acetabolo.
La retrazione del m. psoas ha un’azione di richiamo del femore verso l’alto, ossia in direzione dell’acetabolo
ed è perciò causa di:
- adattamenti del sacro (che vedremo più avanti)
- accorciamento dell’AI (= arto inf )
Il Pz supino si presenta con un AI virtualmente più corto e una limitazione alla RI, ossia un’anca in RE (da su-
pino, vale a dire in catena cinetica aperta, lo psoas è un RE di femore).
Il corpo muscolare si presenta teso alla palpazione sia nella fossa iliaca che a livello del tendine sulle vertebre.
L’iliaco, dal lato dello psoas teso, è indietreggiato.
Siamo così in presenza di una pseudorotazione del bacino. Con il test pelvic roll trovo una SIAS un po’ più
posteriore, sento che da un lato il bacino ruota più facilmente che dall’altro. Inoltre troverò un’anca in RE, un
arto virtualmente più corto, una cresta iliaca più alta.
g
un’intossicazione....)
2) in presenza di una disfunzione dorsale a livello di D12 D11, si fa una
riduzione con delle tecniche dirette o muscolari (TEM)
3) si allunga lo psoas (ved. varie tecniche anno 1)
4) si fa la tecnica di Jackson
g
Pseudorotazione di bacino dx
psoas dx 1. il bacino guarda a dx
accorciato 2. emibacino dx risalito e indietreggiato
Lo psoas è un muscolo che garantisce una disfunzione di tipo NSR.
Tecnica di Jackson
Ipotizziamo un accorciamento a dx, quindi un’ inclinazione a dx e un iliaco più alto a dx, che si manifesta in
statica eretta.
1) L’osteopata fa una contro inclinazi-
one a sin prendendo e sollevando leg-
germente i piedi del Pz e spostando
gli arti verso sin
3) Si recupera l’inclinazione
verso sin, come al punto 1).
L’inclinazione è importante
perché senza non si riesce a
fare la tecnica
37
4) Si fa un’ulterio-
re inclinazione, o
spostando il ba-
cino del Pz a dx
o prendendolo
dietro le spalle
e spostandolo a
sin.
5) Si fa una e si prende
controrotazione un appoggio
delle vertebre perpendicolare
appoggiando sulla SIAS
completamente
l’avambraccio
6) Si deruota
e a termine
espirazione si
fa un thrust.
Disfunzioni di 2° tipo
Test di mobilità:
1. Localizzazione
a) osservazione: vado a cercare qualcosa che sia il più possibile rispondente all’informazione che chiedo;
b) palpazione: ugualmente vado a palpare qualcosa non a caso. Ad es: vado a palpare le spinose che sono
deviate. È un modo per localizzare il punto che mi interessa.
Una volta che ho localizzato il livello, ciò significa che andrò a fare il test su quella vertebra.
Ho localizzato L3, quindi farò il test di L3 rispetto alla sottostante (L4).
Dico che è una disfunzione di 2° tipo perché non c’è un gruppo di vertebre.
2. Posizionamento
L3 in RSsin. A questo ci arrivo valutando se c’è una maggiore rotazione a dx o sin. Possono esserci utili le
38
trasverse, nel caso specifico dovrebbero darmi la dx più avanti, la sin più indietro. Le trasverse di L3 le trovo
leggermente più in alto, nella base della spinosa sovrastante.
So che L3 è ruotata a sin, che la spinosa è deviata a dx. Quindi, posso già dire che L3 è RSsin.
Essendo disfunzione di 2° tipo R = S.
3. Mobilizzazione
Si deve basare su tutto quello che ho fatto, quindi può essere una ERSsin, FRSsin, bilaterale asimmetrica.
Paziente prono, posiziono le dita sulla spinosa di L3 e L4, chiedo al Pz di inspirare e espirare. Durante
l’inspirazione (F) si riallinea, durante l’espirazione (E) ritorna in rotazione sin. Se si riallinea in uno dei due mo-
vimenti posso escludere una bilaterale. Si riallinea in F = cioè che entrambe le faccette insieme possono fare
la F, è libera dai due lati. Mentre nell’estensione compare una rotazione sin, significa che una faccetta non può
fare l’E. La maggiore ampiezza l’abbiamo in F.
4. Denominazione
L3_FRSsin
39
Aggiungere un parametro di inclinazione
In questa disfunzione (FRSsin) la vertebra è inclinata a sin,
quindi devo inclinarla a dx. Mi aiuto con la leva inferiore, fac-
cio la controinclinazione sollevando gli arti inf e poi riappog-
giando gli arti sul lettino, così ho ottenuto un pò d’inclinazione
a dx. Così quando vado a fare la chiusura oltre a fare una ro-
tazione a dx farò pure una inclinazione a dx.
Perché è interessante il parametro di inclinazione rispetto a
quello di R a livello lombare? Perché a livello lombare le facc-
ette articolari si trovano su un piano para-sagittale; quin-
di, significa che l’inclinazione rispetto alla R è un parametro
più libero. In R il rachide lombare si incastra, in incli-
nazione si incastra meno; quindi, l’inclinazione è un
parametro più importante, perché l’inclinazione lat-
erale di ogni segmento lombare è di 4-5°, la R di 1-2°,
quindi posso agire di più sul parametro di inclinazi-
one laterale sia in una tecnica ad energia muscolare,
sia in una tecnica diretta.
side + R
LINEE GUIDA PER FARE UN BUON TEST DI MOBILITA’ (classe 2A)
2) POSIZIONAMENTO
Si tratta di definire la posizione della vertebra, in questo caso si tratta di definirne la posizione STATICA, ovvero
come si trova la vertebra rispetto alla sottostante.
Per trovare la vertebra da trattare di fa ricorso alla conoscenza dei punti di repere:
- SPINOSE si capisce come è posizionata la vertebra:
40
a) se la spinosa è deviata = orientamento asimmetrico
b) valutazione degli spazi = orientamento simmetrico
- PROCESSI TRASVERSI si trovano lateralmente alla spinosa e più in alto, circa all’altezza della base della ver-
tebra sovrastante; la valutazione delle trasverse dà una conferma alla precedente valutazione della spinosa.
3) MOBILITA’
Si tratta del vero e proprio test di mobilità, che si eseg-
ue in due modi, secondo l’esperienza dell’Osteopata:
a) con il contributo respiratorio
b) inducendo una flessione o estensione della colonna
(e quindi della vertebra).
Durante l’Esp la
vertebra fa un’E
(e ruota maggior-
mente)
4) DENOMINAZIONE
La denominazione della disfunzione è la vera finalità del test.
Es. Se c’è una R dx i casi possibili sono:
- FRSdx quindi ant sin
- ERSdx quindi post dx
- Bilaterale asimmetrica, quindi ant sin + post dx
Longobardi
Facciamo un training su tutte le tecniche dirette, inserendo però anche il parametro di inclinazione laterale,
che è un parametro particolarmente importante a livello lombare, per la direzione delle faccette articolari. In
particolare per le tecniche dirette, abbiamo notato che in alcuni casi vengono applicate con qualche difficoltà,
ossia: Pz infastidito per il dolore, Pz robusto difficile da gestire, Pz rigido che non si rilassa (in quest’ultimo caso
risulta più difficoltoso andare ad eseguire la tecnica diretta perché quindi il movimento sarà più limitato)…..
La componente che blocca di più il movimento a livello lombare è sicuramente la componente di rotazione,
che su questo tipo di Pz risulta essere la componente più fastidiosa. È una componente che irrigidisce ancora
di più la colonna della persona e quindi abbiamo una maggiore difficoltà sia per trovare il livello che per tro-
vare il passaggio per la tecnica. Su queste persone dobbiamo partire dal presupposto che la rotazione è la
componente che maggiormente blocca il segmento, quindi di conseguenza nelle persone particolarmente
lasse è una componente che possiamo utilizzare in maniera più disinvolta.
La rotazione è una componente che potrebbe non essere indicata ad es nei problemi discali (che sono di vario
tipo: ernia discale, protrusione ecc). Il disco intervertebrale è anche un legamento, orientato orizzontalmente,
e ha delle fibre oblique nei due sensi e delle fibre longitudinali e quindi nel momento in cui noi andiamo a
torcere, a ruotare in maniera opposta i due piatti vertebrali su cui è inserito il disco, si esercita un effetto di
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compressione sul disco stesso. Quindi la rotazione è la componente che oltre a dare maggiore rigidità al Pz,
stressa di più il disco. Perciò nelle persone in cui non vogliamo essere aggressivi sul disco dobbiamo cercare
di non abusare della componente di rotazione. Un altro elemento che ci può portare verso la componente di
inclinazione laterale è che su alcuni soggetti la componente di rotazione è una componente nella quale è vero
che noi otteniamo una maggiore messa in tensione, ma è pur vero che quando è troppa la rotazione delle
volte perdiamo un pò il contatto col Pz (va troppo fuori dal lettino), quindi aggiungere una componente di
inclinazione ci aiuta a recuperare il posizionamento del Pz e quindi il livello su cui agire con la tecnica.
I problemi discali come detto prima sono di vario tipo e in base a ciascuno vedremo in seguito particolari ac-
corgimenti per effettuare comunque la tecnica.
In caso di listesi (scivolamenti vertebrali) si ha un problema organico non funzionale, di ipermobilità, quindi
nelle persone che presentano questi problemi bisogna vedere di che grado è la listesi (ci sono tre gradi di
listesi) e se il Pz ha delle problematiche di tipo neurologico. In caso di Pz che manifestano un deficit motorio
chiediamo la consulenza al medico di famiglia che eventualmente lo manda dallo specialista. Se abbiamo
una listesi vecchia da anni che il Pz ormai sa di avere e ha mal di schiena, si può lavorare cercando di modi-
ficare un pò l’assetto posturale, cercando di lavorare a monte o a valle; se per es sulla listesi c’è un gruppo di
vertebre in F, possiamo lavorare sulla vertebra apicale di questo gruppo per cercare di controbilanciare un pò
ma sappiamo benissimo che sono Pz che devono curare anche altri aspetti, come un buon tono dei muscoli
addominali, non prendere pesi ecc
Pratica
Posizioniamo il Pz. Nel lettino dovremmo avere un qualche tessuto in modo che non vi sia attrito tra la pelle
del Pz e il lettino.
Immaginiamo una L3 in ERSdx. Posizioniamo il Pz sul lato dx (lato della rotazione). Posiziono il Pz vicino al
bordo del lettino e ne controllo equilibrio ed allineamento. Ricerco le vertebre su cui devo lavorare, ossia L3
ed L4. Vado a chiudere la leva inferiore fino a quando sento che ingaggio L4 e non L3. Posso mettere un cus-
cino sotto la testa del Pz. Vado a chiudere la leva superiore fino a quando si ingaggia L3 e non oltre (dò anche
un parametro di F visto che ho una disfunzione in E). Essendo un tipo robusto mi aspetto una colonna non
ipermobile, quindi faccio una rotazione che non sia esageratamente importante perché essendo i parametri
inversamente proporzionali, se metto tutta rotazione poi non avrò più inclinazione, e stessa cosa per la flesso-
estensione; quindi a maggior ragione metterò una piccola componente di F ma non esagero perche andrò a
guadagnarla sull’inclinazione. Una volta chiuso in chiave il Pz starò attento a posizionarne il capo in linea con
lo sterno. Ora vado ad inclinare leggermente il bacino tirando la parte che sta sul lettino verso il basso del Pz
e vado poi a ricontrollare il livello L3-L4.
Mi posiziono bene sopra sul Pz col mio cor-
po, con le dita sempre su L3-L4 e vado a sen-
tire come va la componente di inclinazione.
L’avambraccio craniale poggia sul torace,
mentre l’avambraccio caudale è sul bacino:
andare a sentire la componente di inclinazi-
one significa dare una leggera “spinta” verso
l’alto del Pz con l’avambraccio caudale per
quanto riguarda la leva inferiore e una spin-
ta verso il basso con avambraccio craniale
per quanto riguarda la leva superiore (sarà
una compressione in finale).
Chiaramente è molto più efficace il lavoro fatto sulla leva inferiore perché sul torace posso spingere fino a
un certo punto. Chiaramente la componente di inclinazione in questo caso mi dà quasi sempre la preferenza
di essere attivo nel thrust soprattutto sulla leva inferiore; sulla leva superiore vado a fare un contrappoggio,
eventualmente una piccola coppia, ma poco. Quindi la componente di inclinazione è meno facile da mettere
sulla leva superiore perché sto sul torace.
42
Vado quindi nella direzione della inclinazione sin; sto
ruotando a sin e sto inclinando a sin quindi è chiaro che con
l’avambraccio craniale non vado a spingere verso l’alto del Pz
ma verso il basso. Quindi faccio respirare il Pz e durante l’Esp
recupero avvicinando e deruotando. Se mi accorgo che
sono troppo alto posso recuperare il movimento aumentando
leggermente la chiusura superiore.... a fine Esp darò il thrust
come già detto con l’avambraccio caudale; quindi dò una
componente in inclinazione ma senza perdere la rotazione, di
fatto è leggermente in obliquo.
È una tecnica nella quale voglio utilizzare molto il parametro di inclinazione laterale. Quindi in una ERS io so
che sotto (sotto verso il lettino nella posizione delle foto) ho una convergenza, quindi facendo l’inclinazione
laterale io sto mandando in divergenza le faccette articolari (mi interessa molto l’azione di alto-basso con le
braccia e mani per far divergere le faccette che sono in convergenza). Se sentiamo che il parametro di incli-
nazione va bene allora ci dirigiamo verso la tecnica altrimenti correggiamo il bacino come visto prima per poi
ricontrollare che il livello sia giusto; quindi potremmo favorire l’inclinazione già dall’inizio.
Ora devo inserire il parametro di inclinazione laterale. Per fare ciò bisogna appoggiarci sul Pz e utilizzare lo
spostamento del nostro corpo insieme al braccio, quindi non è un lavoro di gomito. Per il thrust utilizziamo
maggiormente la leva inferiore perché per la componente di inclinazione è più efficace, ma per la costruzione
della messa in tensione utilizzeremo tutte e due le leve. Dobbiamo avere la sensazione di arrivare sempre più
verso la barriera articolare per poi dare il thrust.
Alla fine della messa in tensione thrust col mio corpo agendo tramite il braccio sulla leva inferiore. Più la per-
sona è elastica più ci vuole messa in tensione e più è maggiore il valore dei parametri da aggiungere.
NSR
Disfunzione che comprende almeno 3 vertebre che siano in appoggio solo sul disco, quindi in neutralità.
Quando induciamo una inclinazione laterale (s= side banding= inclin laterale) essa è accompagnata da una
rotazione dei corpi vertebrali dal lato opposto all’inclinazione. Nella NSR esistono dei vertici (alto, basso) e poi
esiste un apice della curva che si caratterizza per avere solo un parametro di rotazione massima e nessuna
inclinazione. Quindi, se io voglio agire per dar un’informazione correttiva (non tanto di una scoliosi ma di una
disfunzione che possa correggersi di tipo N), dovrò tenere conto dei parametri della NSR a livello lombare e
invertire i parametri.
Dobbiamo fare un trattamento muscolare su una situazione di tipo NSR a livello lombare, quindi usiamo una
tecnica TEM. Troviamo la disfunzione, poi troviamo la barriera motrice nel senso della correzione e poi fac-
ciamo una contrazione dal lato della disfunzione.
44
L’Osteopata In tempi successivi, con
contatta una presa sulle spalle del
posteriorm Pz l’Osteopata
la spinosa - corregger�����������������
à i parametri di-
della sfunzionali di inclinazione
vertebra in e rotazione, ossia S sin R dx
disfunzione. - chiederà al Pz una con-
trazione nel senso dell����
’ag-
gravamento (ossia inclin
dx e rot verso sin) sempre
attraverso la respirazione.
Riduzione di una L3 apicale
(NSR)_Tecnica diretta con
thrust_Pz decubito laterale
Il trust si fa sulla spinosa. Il Pz �����
è po-
sizionato sul lato della rotazione (nel
nostro es L3 ruotata a sin e inclinata a
dx). La disfunzione NSR significa che
la vertebra sta soltanto in appoggio
sul disco, quindi galleggia nel senso
opposto del comando che proviene
dai legamenti longitudinali anteri-
ore e posteriore, da tutte le fasce che chiusura in chiave
stanno a quel livello e non ingaggia
le faccette articolari.
Mettendo il Pz sul lato sin, si crea una rotazione dx con inclinazione sin, quindi il corpo vertebrale guarda a
dx e la spinosa va verso il lettino. L’Osteopata, dopo aver fatto la chiusura in chiave, deve fare un appoggio a
livello della spinosa di L3. Deve mantenere una certa neutralità, per cui deve stare attento a non dare n�������
�����
fles-
sione né estensione.
Si può prendere l’appoggio in due modi:
- con i pollici: è più delicato è preciso
- con l’eminenza tenar
SI utilizza la respirazione: inspira-soffia e thrust.
45
- appoggio con l’eminenza tenar/ipotenar
g
Colonna lombare gnel caso delle NSR possiamo agire con delle tecniche dirette sulla vertebra apicale che è
quella che ha la maggiore rotazione. Possiamo trattare una NSR lombare sia con una tecnica diretta che con
una ad energia muscolare.
Es: una NSRdx con rotazione massima in L3 a dx.
Posso agire sulla rotazione di L3. Oppure posso fare una tecnica ad energia muscolare nella quale vado ad
invertire i parametri della disfunzione.
COLONNA DORSALE
Le curve della colonna vertebrale vanno stabilizzandosi dalla nascita e nei primi mesi di vita per poi assestarsi
in maniera visiva (l’apparizione delle 3 curve sul piano sagittale) avviene intorno all’età in cui il bambino si
mette in posizione eretta. Quindi, nella vita fetale e nei primi mesi di vita il bambino sta in una posizione di
colonna di cifosi unica. Successivamente alla nascita il bambino presenta una cifosi complessivamente svi-
luppata su tutta la colonna. Poi al 3°-4° mese, quando il bambino porta lo sguardo orizzontale, quindi porta
la testa ad addrizzarsi sul collo e sulle spalle, compare la prima lordosi: la lordosi cervicale. Successivamente
all’età dei 10-12-13 mesi si va a conformare la lordosi lombare, che è l’esigenza che ha il bipede per mettersi
nella stazione eretta. Però permane la cifosi dorsale, che è la curva primaria, che compare nel primo momento
di vita.
Questa rappresenta una curva primaria dal punto di vista di apparizione, e anche perché è una curva che
determina meno adattamenti rispetto alle altre 2. Infatti, le due lordosi sono 2 parti della curva vulnerabili,
in cui si creano i maggiori sintomi, e sono le parti più adattative. A differenza della colonna dorsale con il to-
race, che è una struttura consolidata; a livello delle lordosi vi è una diminuzione della stabilità complessiva (la
lordosi lombare che si trova tra bacino e torace, la lordosi cervicale tra il torace e il cranio), sono due strutture
compatte dove in mezzo c’è una struttura adattativa. Questo determina anche una maggiore frequenza in
queste due curve di problematiche artrosiche, instabilità. È difficile vedere una spondilolistesi in una vertebra
dorsale, ma a livello cervicale e lombare si. A livello lombare si vedono anche delle instabilità vertebrali, cioè
le faccette articolari delle vertebre presentano una regione a contatto che è cartilaginea, nei processi artrosici
il rimaneggiamento interfaccettario può determinare una instabilità vertebrale.
Le 3 curve sul piano sagittale sono fondamentali:
1) per la stazione eretta,
2) per il posizionamento della persona nello spazio,
3) per la resistenza della colonna.
La presenza delle curve rende non solo la colonna più elastica, più ammortizzante, ma anche più resistente;
infatti, una colonna con le curve poco accentuate rappresenta una colonna più rigida ma anche più fragile,
(una legge della fisica dice che: la solidità di una struttura è esponenzialmente maggiore rispetto al numero
delle curve).
È importante che queste curve siano in armonia, non troppo accentuate e nemmeno poco accentuate.
A livello del rachide dorsale c’è l’articolazione con le coste, per cui è indissolubile il movimento delle coste
e delle vertebre. La mobilità del torace ci deve sempre portare a fare una relazione tra le strutture costali e
46
vertebrali. Il caso più classico è se avete il gibbo (cifosi con rotazione della colonna, con rotazione della gab-
bia toracica, con un gibbo posteriore e un adattamento anteriore del gibbo), questo è quello che comples-
sivamente avviene in una scoliosi; per es: NSRdx abbiamo una rotazione dei corpi vertebrali a dx e una incli-
nazione della colonna a sx, quindi si dice che si ha una rotazione dei corpi vertebrali dal lato della convessità
della curva, se girano i corpi vertebrali (quindi le trasverse) anche le coste girano. L’angolo costale inferiore e
l’angolo costale posteriore, che sono le parti più prominenti delle coste, vanno a formare un gibbo posteriore
dal lato della rotazione e un gibbo anteriore dal lato contro laterale.
Teorie sullo stato del cranio. Ci sono delle forme del cranio che sono assimetriche, se pensiamo alla parte an-
teriore e posteriore del cranio come a 2 vertebre, se si vede l’evoluzione filogenetica della specie umana, nella
formazione del cranio sembrerebbe l’evoluzione di due vertebre che si sono modificate in 2 blocchi, che per
noi sono la sfera anteriore e la sfera posteriore e le rotazioni opposte di queste due sfere a livello del cranio
sono di fatto una scoliosi, che è denominata una latero-flessione-rotazione, è una disfunzione della base del
cranio che se la si osserva bene da l’idea di una scoliosi.
Questo discorso per dire che se abbiamo una scoliosi non possiamo pensare che facendo una manovra sulla
vertebra apicale la risolvo. Le scoliosi e le NSR più in generale, sono delle strutture che si mettono in adatta-
mento rapido (per una sciatalgia si crea una NSR, ma una NSR antalgica).
Vertebra TORACICA
Vertebra toracica e differenze con la vertebra lombare
processi artic sup processo spinoso
faccetta costale incisura vertebrale sup
trasversaria processo trasverso
faccetta costale sup arco
vertebrale faccetta
costale
trasversaria
corpo
vertebrale faccetta artic sup
foro
vertebrale radice dell’arco
vertebrale
processo
spinoso processo faccetta
articolare costale inf
inf
corpo
vertebrale
faccia lat della 6 vertebra dorsale faccia sup della 6 vertebra dorsale
processo spinoso
processi articolare sup
processo costiforme processo
processo mammillare
mammillare incisura vertebrale sup processo
accessorio
processo
processo costiforme
accessorio
faccetta artic
sup
47
Il suo corpo è ovale, quello della
lombare è sostanzialmente ro-
tondeggiante e le proporzioni fra
le varie dimensioni della vertebra
sono abbastanza regolari, cioè che
la profondità e l’altezza della verte-
bra sono complessivamente simili.
Anche nel corpo della vertebra
toracica individuiamo i due piatti
vertebrali superiori e inferiori che
sono bucherellati per permettere
gli scambi con il disco interverte-
brale che si trova sopra, la parte
laterale del corpo che è formato da
un osso di contatto che si chiama
muro del corpo vertebrale.
Un’altra differenza con la vertebra lombare sempre riguar-
do al corpo: la presenza delle faccette costali, la costa si ar-
ticola con la vertebra in due zone: articolazione costo-ver-
tebrale e costo-trasversaria, , che sono due articolazioni
per lato per ogni costa; più che parlare di faccetta costale
dobbiamo parlare di una emifaccetta, perché ogni costa
si articola con 2 emifaccette: la emifaccetta della vertebra
corrispondente e della vertebra soprastante.
T1 si articola con k1 e k2.
K1 ha o una faccetta unica su T1 o in alcuni casi C7 presen-
ta delle emifaccette per K1. Quindi, K1 lo troviamo nella
parte superiore del corpo di T1.
K5 si articola con emifaccette superiori di T5 e emifaccette
inferiori di T4 e trasversa di T5.
K10 si articola con emifaccette superiori di T10 e emifac-
cette inferiori di T9 e trasversa di T10.
T11 e T12 hanno un’unica faccetta costale per le loro
coste. T12 presenta un’unica faccetta costale della parte
mediana del corpo e non presenta l’articolazione tras-
versaria. Quindi K11 e K12 si articolano esclusivamente
con T11 e T12 le quali presentano un’unica faccetta
costale, poiché nella parte inferiore di K10 non c’è fac-
cetta articolare e K11 e K12 si articolano esclusivamente
con la vertebra corrispondente. Questo perché le coste
basse devono avere una maggiore mobilità oltre che lat-
ero-laterale anche verso il basso, quindi devono essere
più libere per espandere la parte inferiore della cupola
del diaframma, e per rendere più ampio il movimento
dell’inclinazione laterale e di flesso-estensione della col-
onna. Perché non essendo unite allo sterno quindi per-
mettono maggiore elasticità in questa regione.
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Il corpo vertebrale viene seguito
dai peduncoli che sono il legame
tra la parte posteriore-superiore
del corpo vertebrale e la parte
dell’arco vertebrale. Il peduncolo
insieme al peduncolo superiore
della vertebra soprastante rap-
presenta la zona in cui si forma il
forame di coniugazione della ver-
tebra. Il forame di coniugazione è
formato tetto dalla parte inferiore
del peduncolo della vertebra so-
prastante, pavimento dalla parte
superiore del peduncolo della ver-
tebra sottostante, parte posteriore
dai massicci articolari e dalla cap-
sula dell’articolazione interafofisar-
ia, parte anteriore del forame di co-
niugazione corpi vertebrali, disco
intervertebrale.
Ai peduncoli fanno seguito le strut-
ture dell’arco posteriore, che sono:
massiccio articolare che parte
dall’articolare inferiore all’articola-
re superiore, è tutta la struttura centrale dell’arco che va dalla faccetta articolare superiore alla faccetta ar-
ticolare inferiore. L’orientamento delle faccette articolari delle dorsali è su un piano para-frontale, men-
tre quelle lombari para-sagittale. Orientamento faccette superiori delle vertebre lombari: alto-dietro-dentro,
quelle inferiori: basso-fuori-avanti, questo per impedire la listesi della vertebra che altrimenti scivolerebbe
in avanti. Quando si verifica la listesi significa che questo rapporto si è alterato, le strutture posteriori non
mantengono bene la vertebra e complessivamente un corpo vertebrale perdendo una parte del legame in-
feriore scivola in avanti, questa è una antero-listesi: la più frequente; questo a livello lombare e cervicale è più
frequente, è meno frequente a livello dorsale che è quasi solamente traumatico.
Le faccette articolari superiori sono orientate come le lombari sempre leggermente in alto-fuori-dietro, le
faccette inferiori sono orientate in basso-avanti-dentro.
Le trasverse sono abbastanza sviluppate in lateralità soprattutto per le vertebre toraciche medio-alte, intorno
a T10-11-12 le trasverse sono meno sviluppate, sono più piccoline. A tutti i livelli tra T1-T10 presentano una fac-
cetta per l’articolazione costo-trasversaria, mentre T11 e T12 non hanno faccette per le coste. L’orientamento
delle faccette articolari appena descritte non è uguale per tutte le vertebre toraciche, infatti la 12° presenta
delle faccette articolari inferiori uguali a quelle delle lombari cioè che guarda in basso-fuori-avanti. Quindi, la
conformazione inferiore nonché la spinosa della 12° vertebra toracica assomiglia già a una vertebra lombare.
Le trasverse si trovano nella parte alta della vertebra, più o meno in corrispondenza del piatto superiore della
vertebra. L’arco posteriore si chiude tramite le lamine nella spinosa che a livello toracico ha una caratteristica
di essere molto prominenti e molto inclinate in basso-dietro. Questo è molto importante per le vertebre dor-
sali perché rappresenta un punto di repere molto importante; questo determina per il conteggio delle verte-
bre un riferimento da tener sempre presente perché da T3 a T10 esiste un decapaggio per cui la spinosa della
vertebra corrisponde in proiezione al corpo della vertebra sottostante. Ciò significa che se trovo una trasversa
ruotata e devo decidere di quale vertebra si tratta, se: la trasversa si trova a livello della spinosa di T5, si tratta
della trasversa di T6 (della vertebra sottostante). Se sono sulla spinosa di T6, lateralmente troverò le trasverse
di T7. Importante sia per la denominazione della vertebra sia per il posizionamento che noi dovremmo adot-
tare sia nel test che nella riduzione; perché se ho una posteriorità di T6 e spingo la trasversa che trovo a livello
di T6, in realtà sto spingendo in avanti T7 quindi sto aumentando la disfunzion; quindi, devo sempre tener
presente il decalaggio. Fino a T2 possiamo dire che grosso modo la spinosa si trova a lo stesso livello della
vertebra, questo dipende anche se la persona ha un dorso molto piatto il decapaggio aumenta, se ha le curve
molto accentuate il decapaggio diminuisce. In un dorso normale si trova T1 e T2 troviamo la spinosa allo
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stesso livello del corpo, T11 T12 trovano la spinosa a livello del corpo. La T3 ha un decalaggio intermedio, cioè
troveremo la spinosa tra il corpo di T3 e T4.
La spinosa di T3 si trova più o meno a livello dell’angolo superiore della scapola, l’angolo inferiore si trova a
livello della spinosa di T7.
I legamenti
Legamento longitudinale ant:
prende tutte le vertebre a partire da
quelle cervicali e lombare, va dalla
zona anteriore del corpo vertebrale
ad aderire più alla vertebra, meno al
disco intervertebrale. È un legamen-
to che limita l’E della vertebra
Legamento longitudinale post:
che si trova dentro il canale verte-
brale, subito avanti la dura madre. È
più adeso al disco intervertebrale e
meno al corpo della vertebra. Limita
la F della vertebra.
Le capsule delle articolazioni interfac-
cettarie: che sono delle strutture che rin-
forzano la stabilità della vertebra a livello
delle faccette articolari laterali.
I legamenti intertrasversari: che si tro-
vano tra le trasverse lateralmente e limi-
tano il movimento di inclinazione lat.
I legamenti gialli: che si trovano fra le
lamine, caratteristica di avere una mag-
giore elasticità rispetto al legamento
tradizionale poiché devono rendere
flessibile la mobilità della vertebra (ro-
tazione, inclinazione, flessione). Anche il
disco intervertebrale oltre ad avere una
funzione di ammortizzatore ha una fun-
zione di stabilizzazione (perché aderisce ai 2 corpi) a
livello della colonna dei corpi.
Legamento interspinoso: va dalla base della spino-
sa superiore e quella inferiore e legamento sovra
spinoso: che ricopre il precedente, che si trova più
esternamente ed è un legamento unico che ricopre
tutte le spinose toraciche, cervicali e lombari.
Vista laterale.
Visualizzazione delle curve sul piano sagittale
Mettendolo in movimento:
- sul piano sagittale inclinando la testa e la spalla e il busto, e con la mano lungo il fianco (inclinazione a dx e
sx) vado a vedere cosa succede sulla colonna, veder gruppi di vertebre che non riescono a muoversi oppure
singoli punti in cui la colonna perde improvvisamente armoniosità, ma anche la valutazione della dinamica
del movimento, cioè potrebbe avere delle accelerazioni del movimento o dei rallentamenti del movimento,
oppure degli adattamenti del movimento, es. nell’inclinazione segue anche il bacino.
Devo interpretare non solo ciò che succede a fine movimento ma anche quello che succede durante il movi-
mento.
51
Vista frontale, sagittale:
es: chiedo la F in avanti e valuto la curva.
Seduto:
- Pz incrocia le braccia al petto e poggia le mani sulle spalle opposte.
Osteopata di fronte al fianco del Pz, lo sostiene (afferrando nell’incrocio
dei gomiti) e si mette più o meno all’altezza della sua zona dorsale. Con la
mano caudale sulla colonna va a sentire, ad es alcune zone particolari viste
nella visita precedente in piedi.
Posso fargli fare dei movimenti attivi: è l’osteopata che gli fa fare i movimenti, sono dei movimenti che par-
tono dal busto dell’osteopata:
- la flessione
- l’estensione
- l’inclinazione
- le rotazioni
Nello sviluppo delle curve (ripercorrendo la filogenesi) si evince che la prima curva ad essere presente è la
cifosi dorsale che nella vita intrauterina e nei primi 4-5 mesi di vita è presente come una cifosi unica.
Poi lo sviluppo porta al raddrizzamento della testa e quindi la comparsa della lordosi cervicale (IV mese, peri-
odo in cui il bambino comincia a sostenere il capo sul collo)
Successivamente il passaggio alla posizione quadrupedica porta allo sviluppo della lordosi lombare.
Tutto questo permette alla persona il raggiungimento della posizione bipede e la possibilità della colonna di
essere piu performante a livello strutturale.
Quando si assiste ad uno squilibrio importante delle curve è opportuno intervenire con esercizi posturali e
propriocettivi.
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Caratteristiche della vertebra toracica
le vertebre toraciche sono12.
Presentano una particolarita eclatante:
le faccette costali (emifaccette) sono
situate a livello del corpo vertebrale e a
livello della trasversa.
Il corpo vertebrale ha una forma molto più rotondeggiante (il corpo delle vertebre lombari è molto più ovale)
sulle tre dimensioni.
Il corpo vertebrale presenta il muro (parte corticale) e i due piatti (sup e inf ) strutturalmente più cribrosi, cioè
perforati da una serie di forellini che garantiscono gli scambi osmotici con il disco intervertebrale.
Problematiche irritative del disco possono portare a patologie infiammatorie importanti che in alcuni casi
possono interessare anche il corpo vertebrale. Questo fenomeno è chiaramente riscontrabile con una RM
(pesata in T2 ) capace di mettere in evidenza fenomeni algodistrofici o reattivi del corpo vertebrale in seguito
all’imbibizione di liquido infiammatorio causato della sofferenza del disco.
Il canale vertebrale ha una forma meno triangolare rispetto alle vertebre lombari (che sono più rotonde-
ggianti).
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Non a tutti i livelli è presente questa situazione:
tutte le vertebre si articolano con 1 costa.
La costa si articola con la parte sup della vertebra
dalla quale prende il nome (k1 si articola con la
parte superiore di D1).
Questa situazione è presente a livello di tutte le
vertebre fino a K10.
D11 e D12 presentano un’unica faccetta nella
parte mediana del corpo, che si articola con la
costa corrispondente.
D11 e D12 non presentano un’articolazione cos-
to-trasversaria (se ce l’hanno è molto instabile).
Il torace è una struttura che ricerca adattamenti
pur non avendo molta capacità adattativa.
D1 ha le faccette superiori sullo stesso piano delle altre vertebre toraciche. In questo caso è C7 ad avere le sue
faccette inferiori simili a D1.
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La lamina corrisponde alla
parte post dell’arco verte-
brale.
La lamina di dx si unisce
alla lamina di sin a livello
della spinosa e rappresen-
ta la protezione post per il
midollo spinale.
Tra le lamine di due vertebre contigue
è presente il leg giallo.
La posizione delle spinose è
- un repere importante per il
conteggio delle vertebre
- fornisce informazioni (non
preciso) del livello vertebrale
su cui ci si trova.
Importante!
Una curva dorsale ridotta presenterà un’ accentuazione di questo fenomeno (le trasverse di D6 si localizzano
esternamente alla spinosa di D5) e viceversa (la spinosa di D5 si localizza medialmente alle trasverse di D6).
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Apparato Legamentoso
Leg longitudinale ant:
- si trova nella parte ant dei corpi
- è extracanalare
- è presente su tutta la colonna (da C1 a S1 S2)
- aderisce molto al corpo e poco ai dischi.
Le strutture legamentose della capsula articolare rendono ogni articolazione intervertebrale (tra le faccette)
un’articolazione vera e propria con liquido sinoviale e cartilaginee articolare.
Anche a questo livello è possibile trovare artrosi che può dare rigidità o instabilità.
Il disco è una struttura legamentosa perché stabilizza le due vertebre tra le quali è situato.
Colonna e movimento
Divergenza, movimento di F – il corpo rotola e scivola avanti.
1. Primo grado (inclinazione del corpo ma assenza di scivolamento)
2. secondo grado (le faccette vanno avanti-alto)
Convergenza, movim. di E - La vertebra rotola e scivola post e le faccette articolari vanno in basso-dietro.
I movimenti asimmetrici di una vertebra non possono mai avvenire su un solo piano.
L’inclinazione e la rotazione, asimmetrici, sono sempre combinati tra di loro:
- infatti in una convergenza dx, la faccetta di dx non va solo in basso ma anche dietro.
- nella divergenza non va solo in alto ma anche in avanti.
Nella 2° legge > E/FRS si esce dalla neutralità e si prende in considerazione una vertebra rispetto alla sot-
tostante.
In questo caso, un’inclinazione è sempre seguita da una rotazione dei corpi omolateralmente.
Movimenti simmetrici:
flessione – a livello del dorso è di circa 60°
estensione – 35°
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inclinazione 20°
rotazione 35°
Trovarsi in queste situazioni fa partire il test da una situazione anomala, da una posizione spaziale delle dita
differente.
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Piano sagittale - Pz in F anteriore della colonna a partire dalla testa.
Valutare armonia curva o presenza di tratti di colonna rettilinei e quindi poco mobili.
Test_Pz seduto
Posizionando le dita sulle spinose si pos-
sono apprezzare e valutare i tratti della
colonna che all’esame visivo erano risultati
come meno mobili.
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.......Rotazione.
.
clavicola
testa
vista posteriormente
collo
coste tubercolo
acromion
angolo fossa sopra-
spinata
scapola
corpo spina
fossa sotto-
Reperi spinata
spinosa di D3 > spina della scapola
spinosa di D7 > angolo inf scapola coste vere
coste false
coste fluttuanti
Test di mobilità
Pz seduto sul lettino, la testa del Pz du-
rante il test deve essere sempre bilan-
ciata non ruotata né inclinata.
Vado a fare prima un test in cui mobi-
lizzo in F-E la colonna e individuo una
zona che mi sembra meno mobile;
60
su questa zona posso fare inclinazione laterale, rotazione per
andare a selezionare su una o 2 vertebre qual è/quali sono
quella/e da testare.
61
Test di mo-
bilità in E e la
vertebra non
si riallinea; test
di mobilità in
F e la vertebra
si riallinea. Ho
trovato una
FRSdx.
test di mobilità in E
(vert alte_uso il capo)
test di mobilità in F
(vert alte_uso il capo)
Se facciamo un test dorsale usando la respirazione, facciamo mettere il Pz prono con un cuscino sotto la
fronte: in questo modo la colonna dorsale non è in tensione.
In caso di una FRSsin (per es D3), dovrei trovare a
livello di D3 nella parte dx una trasversa più anteriore
rispetto a quella di D4; posso paragonare le trasverse
di D3 con quelle sottostanti di D4.
cuscino
sotto
la fronte
62
durante l’Esp la colonna dorsale
farà una F.
spinosa di D5
trasversa dx di D5
Possibili risposte del test (prendendo ad es. la condizione sopracitata, quindi con R sin):
1) faccio la F e la vertebra si riallinea; faccio l’E e la vertebra si disassa ulteriormente FRSsin
2) faccio la F e la vertebra si disassa; faccio l’E e la vertebra si riallinea ERSsin
3) faccio la F e la vertebra Non si riallinea; faccio l’E e la vertebra NON si riallinea Bilaterale asimmetrica
Ant dx+Post sin.
4 ) come ultima possibilità, ci troviamo con le spinose allineate sulla linea mediana e con una situazione in cui
la distanza tra di esse non è armonica. Non necessariamente, se le spinose sono allineate, è esclusa la possi-
bilità che in flessione o estensione, compaiano delle rotazioni. Ci possono essere delle condizioni poco chiare.
Se il test precedentemente fatto ha evidenziato la stessa zona come ipomobile e con una sofferenza tissutale,
si va a valutare se la vertebra rispetto alla sottostante può o meno andare in F e in E. Questa informazione ci
dirà se siamo in una condizione di F o E bilaterale
Non bisogna commettere l’errore, in caso di spazi troppo chiusi o troppo aperti, di confondersi perciò è op-
portuno andare a valutare uno spazio alla volta.
Attenzione!! Il fatto che una vertebra sia in disfunzione, non esclude la possibilità che sia in disfunzione anche
la sottostante.
Test meccanico
Dopo aver effettuato il test in piedi, il Pz viene fatto sedere ed è importante prima di tutto, mettere il Pz in ap-
piombo e soprattutto la zona che si sta testando deve avere una proiezione verticale che cade sul bacino.
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sulla vertebra e sulla sottostante per indi-
viduare quella che ci interessa di più.
Per individuare il livello numericamente,
potremo andare a utilizzare la flessione
del capo che metterà in evidenza la
prominente oppure l’estensione del capo
che renderà più sporgente D1; da qui ini-
zieremo a contare le vertebre fino ad arri-
vare a posizionarci sulla vertebra interes-
sata e sulla sottostante.
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2. una rotazione
3.flesso
estensione
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sem 3 Di Branco_Ernia
Parlando di ernie discali, bisogna constatare che sull’ernia effettivamente, non si può fare nulla!
Il problema è legato in particolare all’ampiezza del canale vertebrale che è soggettiva. La cosa che emerge e
che deve fare riflettere, è il fatto che le ernie si presentino sempre, o quasi, allo stesso livello.
Partendo dal fatto che le lordosi sono tali per la presenza nella regione anteriore di strutture che esercitano
una trazione come ad es. la regione cervicale che si adatta alle tensioni della guaina viscerale del collo che è
correlata alle tensioni derivanti dall’esofago.
A livello lombare ci sono grossi gruppi muscolari che agiscono posteriormente come il grande dorsale, lateral-
mente come il quadrato dei lombi, anteriormente come il m. psoas e i pilastri del diaframma.
Dunque in teoria parliamo di una zona molto mobile; ma non è così.
L’ernia è di solito posteriore o laterale, è dunque frutto di tensioni che vengono dalla regione anteriore; quindi
andiamo a cadere sul m. psoas, tra le fibre del quale ritroviamo il plesso lombare; inoltre ritroviamo l’inserzione
dei pilastri del diaframma che origina da D12 e arriva, con qualche fibra in maniera incostante, fino a L4.
Il m. psoas discende a livello della fossa iliaca dove si connette con il ventre carnoso dell’iliaco che va a costi-
tuire una sorta di pavimento; a questo sono contrapposte superiormente le cupole del diaframma che vanno
a costituire il tetto.
Abbiamo dunque due strutture che agiscono in maniera similare anche se in sensi diversi. L’azione muscolare
del diaframma è guidata dal comportamento dei visceri.
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presente una pressione, positiva o negativa a seconda della fase respiratoria, che mantiene le strutture ad-
ese superiormente ed inferiormente; questa pressione è mantenuta dalla tensione e resistenza della parete
addominale.
Quando la tenuta della parete addominale diminuisce per un qualsiasi motivo (vita sedentaria, esito di un
intervento chirurgico, parto ecc.), i visceri si abbassano per la forza di gravità con l’inevitabile conseguenza
che ci sia un comportamento medesimo da parte del diaframma (che si poggia su di essi cambiando la sua
posizione e azione) e dei pilastri.
I visceri scendendo si poggiano sempre più a livello del muscolo iliaco, più da un lato o dall’altro, che reagisce
diventando ipertrofico e andando a determinare delle ripercussioni anche a livello delle inserzioni prossimali
dello psoas. Questo comporta una verticalizzazione della colonna lombare con due principali conseguente:
alterazione dei carichi; se il fenomeno si protraesse per pochi giorni non darebbe problemi particolari, ma
mantenendosi nel tempo ha chiaramente degli effetti importanti; altra conseguenza, è la perdita di elasticità
del tratto lombare che determina un inevitabile compenso delle strutture sottostanti L4-L5-S1 che non es-
sendo sottoposte a queste forti tensioni muscolari e avendo per struttura una minore mobilità, dovrebbero
essere tranquille. Il compenso viene messo in atto, in particolare, nella deambulazione durante la quale c’è
una fisiologica alternanza di torsioni iliache e sacrali che non fanno altro che determinare adattamenti su
queste strutture compensanti. Il tratto lombare che risulta verticalizzato, determina dei fenomeni di colpi di
frusta sulle vertebre L4-L5-S1.
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importante sottolineare che il disco intervertebrale di L5 si presta a questi fenomeni per la sua conformazi-
one irregolare.
Le ernie a livello L4-L5-S1 sono generalmente da usura, mentre a livello dorsale basso e anche risalendo, sono
più conseguenza di trauma o di uno sforzo; possiamo avere delle classiche ernie posteriori o delle ernie di
Schmorl derivanti da delle invaginazioni del disco che portano a uno sfondamento del piatto vertebrale (gen-
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eralmente sottostante). Quest’ultima tipologia di ernie, si può manifestare in conseguenza, ad es., di un salto
con un atterraggio non perfetto o senza una preparazione alla fase di appoggio; accade nei soggetti non più
giovanissimi ed è abbastanza frequente come fenomeno.
Tornando alla “bocca” che si
presenta tra psoas e pilastri del
diaframma, rappresenta una zona
di equilibrio di tensioni e pres-
sioni, che vengono influenzate
anche dalle catene muscolari
posteriori. La formazione di
un’ernia, altro non è che una
risposta dell’organismo e uno
degli errori che classicamente si
fa, è rimuoverla senza andare a
riequilibrare le tensioni anterior-
mente; accade così che si presentano delle recidive o dei fenomeni irritativi legati alla cicatrizzazione ipertro-
fica.
L’ernia non è dunque un elemento prerogativo di dolore!
La cosa da tenere presente, è che se il Pz si presenta con una iperreflessia o areflessia, con una perdita della
forza o della sensibilità l’indicazione è solo ed esclusivamente chirurgica.
Tutto questo discorso fa capire come il nostro organismo lavori sempre alla ricerca di un equilibrio; quando
questo viene meno, per un qual si voglia problema, si scatenano i fenomeni algici (discorso a parte per i
fenomeni traumatici) nei distretti di minore capacità adattativa del corpo, che, in questo caso, sono i distretti
lombari non interessati dalle inserzioni muscolo legamentose di psoas e pilastri del diaframma.
Andando più sulla parte pratica, il Pz con lo scatenarsi del fenomeno algico si presenterà da noi con degli at-
teggiamenti posturali che ci aiuteranno ad avere un’idea della situazione.
L’idea fondamentale, nella valutazione della postura, è che il Pz cerca di evitare il dolore e di decomprimere
della radice. Potremo avere diversi atteggiamenti:
3. Pz che si presenta in flessione di tronco, iliaco posteriore e dolore nella fase di estensione; in questo caso
68
penso ad uno spasmo dello psoas che determina la sofferenza della zona di minore resistenza.
Gli elementi sopra indicati non sono vincolanti e necessariamente compatibili nella realtà, ma rappresentano
dei punti di partenza e di riflessione.
Trattamento
Partiamo dal fatto che il Pz non dovrebbe arrivare nelle condizioni sopracitate, ma si dovrebbe agire in mani-
era preventiva; ed è compito dell’Osteopatia mettere il Pz nella condizione di miglior equilibrio globale.
Il vero intervento osteopatico mira a valutare il diaframma, i visceri ecc.; ma non si tratta di un trattamento
esclusivamente viscerale, infatti bisogna valutare le informazioni che giungono dall’esterno dell’organismo
e nello specifico le informazioni dal basso verso l’alto, quindi appoggio dei piedi, ginocchia, anche, bacino e
tutto quello che si può valutare in un quadro ascendente.
Ma il Pz, nella maggior parte dei casi, arriva in una condizione di emergenza; in questo caso l’Osteopatia mira
a mettere la struttura in condizione di mobilizzare i liquidi che passano intorno, perché l’ernia è costituita da
una grossa componente liquida.
Verranno messe in atto dunque tutte quelle tecniche che agiscono sulla mobilizzazione dei liquidi a partire
dalle tecniche craniali sino ai drenaggi viscerali con obbiettivo di drenare la zona di sofferenza e dunque ridu-
rre la compressione.
Ricapitolando si andrà a:
-valutare la postura antalgica
-mai trattare un paziente senza RMN!!!
-valutare la topografia radicolare (zona di dolore e di deficit funzionale ad es.);
-Test di Lasègue
che classicamente è positivo quando il
dolore si presenta dai 60° in su; ma in una
condizione di emergenza, con ernia es-
pulsa e migrata, nel momento in cui si ef-
fettua il test, praticamente nei primissimi
gradi, parte il fenomeno algico perché la
radice nervosa è sottoposta ad una im-
portante compressione.
In una condizione simile, non c’è molto da perdere tempo; bisogna chiedere se si stanno prendendo i farmaci
giusti, se è stato dal medico, dall’ortopedico o dal neurologo. L’Osteopata può fare delle cose che vedremo
più avanti.
In un caso classico, non grave come sopra, nel quale il Pz riesce ad arrivare durante il test ad una flessione
maggiore, allora andremo a fare un’analisi differenziale che consiste:
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2. fletto l’anca fino al punto di dolore, abbasso leggermente
e faccio una RI di anca + Add di arto inferiore per mettere
in tensione il piriforme; la risposta positiva a questo stimolo
indica una probabile disfunzione sacrale presumibilmente
correlata ai visceri del piccolo bacino.
I muscoli pelvi trocanterici reagiscono quando c’è un proces-
so espansivo di qualsiasi natura (stitichezza, fibromi, ipertro-
fia prostatica, tumori ecc.); potrebbe anche esserci stata una
semplice caduta sul sedere che ha provocato una disfunzione
sacrale di torsione con la messa in tensione del piriforme.
3. possibilità che non ci sia una risposta in nessuna delle analisi differenziali sopra citate e il dolore ricompare
solo riportando l’Arto inf alla F di partenza (quella in cui compariva il dolore nel test). Questa risposta indica
una disfunzione sacro iliaca pura o una disfunzione ad esempio di L4.
4. se compare il dolore sulla gamba controlaterale rispetto a quella testata, andremo a effettuare dei test an-
che sulla controlaterale.
5. se il dolore tende a non sparire mai il problema è più centrale, non a livello della radice nervosa.
70
Slump test_Pz seduto.
L’Osteopata procede così:
- preme sulle spalle del Pz
(come sopra),
- chiede al Pz si INsp e
rimanere in apnea
- durante l’apnea gli
chiede di estendere un
Arto inf, per allungare il
nervo.
Se il Pz ha male il test è
positivo.
Approccio all’ERNIA
Se c’è un problema di ernia conclamata non espulsa, dobbiamo tenere presente il discorso neurologico,
richiedere magari l’esame RMN, fare i tests che abbiamo già visto (come Lasègue) per vedere se è un prob-
lema neurologico o sacro-iliaco o di m. piriforme o psoas o fare anche un tests puntiforme, chiamato test
della chiave, che ci da proprio la zona di fastidio, di sofferenza e il lato (che a volte non è così evidente) su cui
sdraiare il Pz.
Poi avevamo parlato del test del non dolore: compressione + respirazione a mantice pieno e mantice vuoto,
per verificare se prima e dopo il trattamento la radice si è liberata.
Ora vediamo le tecniche che devono semplicemente allontanare, decomprimere la parte fuoriuscita dalla
radice nervosa. Normalmente si ipotizzano 2 grandi famiglie ma in realtà ce ne sono abbastanza di più.
Cmq, schematizzando, possiamo ipotizzare
1. ernia al di sotto e internamente alla radice
2. ernia al di sopra e esternam alla radice.
In base a questo però il discorso cambia poco. Noi dobbiamo visualizzare la disf ma poi la tecnica si basava
sostanzialmente su un movimento di respirazione con un’ aspirazione del disco, una presunta o un’ipotetica
ispirazione della parte erniata accompagnata da un’ inspirazione ed espirazione. X fare questo il vero accorgi-
mento è cercare di sdraiare il Pz dal lato in cui non ha dolore.
A volte l’atteggiamento antalgico crociato o diretto non è così facile da capire per cui si chiede al Pz su quale
lato riesce a dormire di notte e quello è il lato del non dolore.
Vediamo ora un caso di SUPERO-ESTERNA:
questa dovrebbe dare un atteggiamento antalgico crociato cioè il Pz ha dolore a dx e si scansa a sin, ma non
sempre quella è la posizione del non dolore x cui noi lo chiediamo sempre al Pz.
Se il Pz ha un’ ernia a dx e si sdraia a sin la procedura è:
come sempre la mia preoccupazione è quella di creare meno disagio al Pz x cui a volte è necessario piegargli
di più le gambe. Chiudiamo “leggermente in chiave” nel pto che ci interessa. L’idea è quella di mobilizzare la
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radice e allontanare il punto che dà dolore.
Durante una fase inspiratoria faccio poco, durante l’espirazione cerco di allontanare con la mano craniale il
pto di dolore trazionando verso l’alto del Pz e con la mano podalica traziono sulla direzione della radice nel
verso distale quindi entrambe le mani si allontanano tra di loro e dal pto critico.
Durante una successiva inspirazione accompagno, quindi torno un po’ indietro e con un’altra espirazione
traziono un po’ di più. Questi movimenti sono alternati cioè una volta lavoro sulla radice e una volta allontano
l’ernia. Con un lavoro molto selettivo.
2
mobilizzazione dell’ ernia
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3 mobilizzazione alternata
Questo lavoro serve a mobilizzare l’ernia e, con questo movimento elicoidale serve anche a mobilizzare e
drenare la zona liquida dalla radice quindi l’edema periradicolare dall’ernia. Qualcuno dice che l’ernia rientra
ma il prof pensa sia molto improbabile infatti la risonanza prima e dopo del trattamento è la stessa.
Questa è una tecnica sintomatologica che faremo dopo il trattamento in quanto da Osteopati trattiamo il Pz
nel suo insieme e dopo facciamo questo che è sintomatologico a conclusione del trattamento o come soc-
corso immediato ma non può essere considerato il trattamento dell’ernia
Se il Pz si lamenta interrompiamo, mai insistere.
Audouard dice che è meglio guardare un attimo la sacro-iliaca che a volte già basta.
Ora vediamo un’ernia INFERO-INTERNA. Qui, in teoria, il Pz sente dolore dal lato stesso dell’ernia quindi in
teoria potrei farlo sdraiare da questo lato.
Se faccio così devo mobilizzare la radice con la mano craniale verso il basso e verso l’esterno del Pz e con la
mano caudale verso il basso del Pz con molta precisione quindi metto un pollice sul pungolo nocicettivo e col
resto della mano appoggiata traziono.
Se il Pz invece si sdraia dall’altro lato quindi lato opposto all’ernia, con la mano podalica sto sulla radice e con
la mano craniale “sull’ernia” ad incrocio e il discorso è sempre quello di trazionare la radice e allontanare l’ernia
in fase espiratoria.
Questo lavoro a volte è molto efficace ma a volte non dà risultati allora facciamo un lavoro anteriore sul m.
psoas. Prima di fare questo il prof ha un suo protocollo che consiste nell’andare prima a verificare la sinfisi,
poi il sacro e poi mettiamo il Pz supino e x via anteriore facciamo un trattamento entrando col pollice come il
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trattamento dello psoas.
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Ancora davanti abbiamo l’inserzione del diafram-
ma, a livello lombare i pilastri del diaframma. Si
nota che i pilastri del diaframma e le fibre dello
psoas si incrociano, sono inserite nella stessa zona
(da D12 a L4), quindi abbiamo un diaframma so-
pra e uno sotto (inteso come comportamento); il
comportamento di questi muscoli è di contenere
i visceri, i visceri tendono sempre a scendere, ab-
biamo la controspinta della parete addominale che
tiene (se tiene!), se questa tenuta cede un pochi-
no (a seguito di: un parto, la pancia, un trauma,
un’operazione), questa zona si vede allontanare
i visceri verso il basso, quindi anche il diaframma
si adatta scendendo verso il basso, e aumenta un
po’ la sua tensione anche sulla colonna lombare
che man mano comincia ad invertire la sua lordosi.
Questi visceri sono accolti nel bacino, nel bacino
c’è lo paoas; quindi questi visceri vanno a premere
di più sullo psoas; a seguito di ciò lo psoas inizia a
contrarsi sia nelle sue inserzioni con il bacino che
nelle sue inserzioni vertebrali e ancora una volta
aiuta, diventa sinergico all’azione dei pilastri del di-
aframma. Quindi, ci troviamo di fronte a una zona
che all’origine è mobile, elastica; e invece man mano diventa sempre più rigida, viene perso del movimento,
e il corpo in qualche modo cerca di recuperare questo movimento sopra a livello dorsale e cervicale, ma so-
prattutto mette sotto stress gli unici punti dove l’inserzione muscolare è minore quindi c’è più svincolo, questi
punti sono i dischi L4-L5, L5-S1, che faranno da perno. Perché fino a L4 è tutto rigido, quindi questa parte ten-
derà ad andare in avanti, mentre da L5 tenderà ad andare verso dietro quindi ci sarà una situazione a cesoia;
otteniamo il cosidetto “effetto a frusta”, a forza di fare questo lavoro dopo 4-5 volte si spezza. Ecco perché la
maggior parte delle ernie si presentano in questa zona.
A livello lombare c’è un irrigidimento, questo non è associato a una iperlordisi, anzi nel tempo può avvenire
una inversione della curva, cioè diventa una curva dritta, significa che c’è una trazione che inverte una situ-
azione muscolare.
Allenare la parete muscolare può aiutare a prevenire.
Se dovessimo invece avere un’ernia a livello di L2-L3 o L3-L4 sarà dovuta al fatto che queste zone riescono ad
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ammortizzare poco, o può essersi verifi-
cato un trauma importante o una schiac-
ciamento importate, come una caduta sul
sedere.
Prima di trattare le ernie, il vero lavoro
osteopatico sarà quello preventivo. La
prevenzione comprende: un’adeguata ali-
mentazione, la riduzione del sovrappeso,
ci possono essere problemi al fegato che
danno lombalgia. Secondo alcuni autori
la protrusione rimane tale non è detto che
diventa ernia, secondo altri la protrusione
è l’anticamera dell’ernia.
L’ernia si forma quando c’è la tendenza
della bocca (parte anteriore) a chiudersi;
quindi, l’ernia si mette in equilibrio con
le tensioni che stanno davanti. Quindi, se
togliamo l’ernia, decomprimo, cioè vado
a togliere da un contesto di equilibrio cre-
ando così un disequilibrio che facilmente
mi porterà alla formazione di una recidiva;
perché io ho tolto il dolore (l’ernia) ma non
ho tolto le cause (es: viscerale).
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TEST
Test di Lasegue
Test positivo se hai dolore sotto ai 60°.
Pz supino. L’osteopata di fianco prende l’arto inferiore del paziente e lo porta in flessione d’anca con gamba
distesa, e cerca di scatenare il dolore.
Quando tiro su l’arto, se tutto è libero, si dice che è lo sciatico (cmq le radici del plesso lombare) debbano scor-
rere per almeno un centimetro e mezzo (12 millimetri sicuramente!). Quindi, se non ci sono intrappolamenti
di scorrimento. Se la radice è libera, quando fletto l’arto di 60° e anche oltre, in genere non succede niente.
Attenzione a non confondere con un dolore a livello muscolo-fasciale da tensione dei muscoli ischio-crurali.
Se invece, ai primissimi gradi di flessione, il paziente avverte subito dolore, c’è un intrappolamento della ra-
dice, e probabilmente questa radice è diventata pure edematosa, quindi c’è una reazione locale che non con-
sente lo scivolamento. A questo punto prima di mettere le mani sul paziente andare a vedersi bene la RMN.
1 2
Con la mano craniale controllo sempre le tensioni dell’anca. Mano caudale afferra la caviglia.
a) Se il dolore compare prima dei 60° (fig.1), l’osteopata abbassa di qualche grado l’arto e stiro la radice (fig.2),
comprimendo sulla pianta del piede del Pz. Se il Pz avverte dolore anche così, significa che c’è un interessa-
mento radicolare.
b) Se il Pz sente dolore prima dei 60° di F, l’Osteopata abbassa di qualche grado l’arto e comprime la radice
attraverso una pressione sulla pianta del piede, il soggetto non sente dolore; tiro nuovamente su l’arto e il
soggetto sente dolore. È un problema all’articolazione sacro-iliaca. Tramite la tensione dei muscoli ischio-
crurali (durante la F dell’arto) tento di far fare una bascula posteriore del bacino, c’è una tensione importante
a livello dell’articolazione sacro-iliaca, dei legamenti e probabilmente quello mi crea qualche fastidio a questo
movimento.
c) Se il Pz sente dolore prima dei 60° di F, l’osteopata abbassa di qualche grado l’arto e
comprime la radice attraverso una pressione sulla pianta del piede, il soggetto non sente dolore; tiro nuova-
mente su l’arto e il soggetto sente dolore. Accentuo il dolore facendo una RI, add dell’arto, il Pz ha dolore.
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Il Pz ha sempre un dolore a livello pelvi-trocanterico. Faccio i
test che ho fatto precedentemente, il Pz sente dolore, però…
allora l’osteopata chiede al Pz se ha dolore quando riporta
l’arto velocemente verso il lettino. Se il Pz ha dolore è un prob-
lema allo psoas. Essendo accorciato, quando abbasso l’arto,
frusta la colonna, chiude ancora di più.
Se alcune persone durante il test non riescono a tenere il gi-
nocchio esteso nel momento della F dell’arto, non importa
perché comunque l’Osteopata sta già mettendo in tensione le
radici sotto la coscia.
Ho una radice nervosa e ho una ernia supero-esterna. Almeno da un punto di vista teorico comincio a ve-
dere se posso trattare il Pz con la disfunzione dell’ernia (ernia sin, osteopata a sin), il Pz deve decombere sul
lettino su un fianco, in una quasi chiusura in chiave, dal lato del non dolore. Devo vedere se questo è possibile
se no sono costretto a mettere il Pz dal lato opposto. Il discorso della posizione del Pz mi deriva da una sem-
plice considerazione: si chiede al Pz: quando ha più dolore? la notte; da che lato dorme? Il lato dove dorme
sarà quello del non dolore.
La risonanza non mi dice esplicitamente che c’è un’ernia supero-ester-
na o infero-interna, ma si scopre attraverso i test.
Pz prono.
Segno una radice, ernia supero-esterna.
Vorrei mobilizzare la radice nel forame di coniugazione, allontanare
per quanto possibile l’ernia dalla radice, per dare una possibilità alla
struttura locale, di poter drenare meglio quest’edema periradicolare
che si forma in queste problematiche, la grossa rottura è che la parte
acquosa che esce si può incanalare. Se c’è un problema di ernia che non
è migrata, non è espulsa ce ne freghiamo, perché ce l’hanno tutti!!!
Se, invece, è espulsa e migrata, è problematica perché comincia ad incanalarsi e a comprimere dove non
dovrebbe. Va a comprimere nella parte liquida del gel che esce fuori dal nucleo, questa parte liquida in qual-
che modo devo poterla drenare. Come faccio? Con le mani devo cercare di mettere la struttura nel modo
migliore affinchè reagisca. Da un punto di vista dei mezzi tecnici, oltre alle operazioni, ci sono tante possi-
bilità, tra le quali: scaldamento con laser chirurgico dell’ernia che fa evaporare o fa reagire bene le molecole
d’acqua che stanno dentro e quindi la parte compressiva diventa meno fastidiosa.
80
Abbiamo un’ernia supero-esterna
a dx, con atteggiamento antalgico
crociato, per cui metto il Pz sul fianco
sin. Se il Pz ve lo consente fate una
chiusura in chiave molto delicata-
mente, non dovete dare una torsione
perché se c’è già il disco rovinato se
torcete fate più danno.
Se il Pz non ve lo consente si stabi-
lizza il Pz mettendo le gambe flesse a
90° e lavorate solo sul tronco sup.
1 2
Si può fare la stessa cosa anche con l’ernia infero-interna. Qualche volta è utile fare queste cose altre volte non
serve a niente.
81
Facendo questo lavoro 3-4 volte avete un lavoro strepitoso per le ernie (definiamole “non cattive”, non intra-
foraminali).
Riassumendo g prendo un appoggio diretto la sopra, scanso tutto ciò che mi infastidisce, lo porto indietro
(verso il lettino), comincio a mobilizzare localmente con la gamba. Questo perché in mezzo allo psoas ci passa
il plesso. Basta che io faccia un lavoro diretto su questo muscolo, che crea una situazione locale che libera im-
mediatamente. È un lavoro che si può fare dopo o nei casi gravi prima.
Ancora sull’ernia
Quando viene una persona con il mal di schiena, si chiede se ha la risonanza magnetica; da li vedete tutto
subito e bene. Si chiede da quanto tempo si ha il dolore, la topografia radicolare del dolore: possiamo far cam-
minare il soggetto sui talloni e sulle punte, se cammina su entrambe significa che non c’è un deficit di forza;
vedere i riflessi; la sensibilità: la sensazione di pelle cartonata, come se non fosse mia, tipica di certi problemi
che si instaurano su L3-L4, bruciore o dolore nella zona.
Facciamo il test di Lasegue: spesso anche quando il Pz non ha dolore, quando alzate la gamba del soggetto
e poi alzate l’altra sentite una che va e l’altra che è frenata; quindi questo test ci dice qualcosa in più oltre al
dolore.
Il livello del dolore, facendo il test della chiave, mi dice se il dolore è a dx, sin, al centro o da tutte le parti.
Prima del trattamento ci resta da vedere il test del non dolore.
Queste tecniche che vedremmo sono abbastanza teoriche, hanno una riuscita al 50% perché dipende dalla
caratteristica del problema, ipotizziamo come trattamento sintomatico dell’ernia. Sintomatico perché il tratta-
mento osteopatico dell’ernia è un trattamento dell’individuo, si comincia dal cranio. Però se il Pz viene con un
problema alla schiena e l’Osteopata gli tratta il cranio, il Pz lo prende per matto!! È un trattamento sintomatico,
meccanico, che andrà fatto alla fine di un trattamento osteopatico.
Fare una chiusura in chiave, se non è possibile fare un atteggiamento in chiusura in chiave. Nel caso di un’ernia
supero-esterna, mettiamo il lato dolente verso l’Osteopata, però se ha dolore lo facciamo girare dall’altro lato.
Posizioniamo mano caudale sulla radice e mano craniale sull’ernia; in 3 movimenti mobilizzo la radice, poi
l’ernia, oppure mobilizzo sia ernia che radice. Questo quando il Pz ve lo consente!!
Quando l’ernia è infero-interna sta dall’altra parte, il rischio è quello di com-
primere verso l’ernia. Vi dovete posizionare sempre in maniera tale che una
mano allontana e una mantiene.
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Perché se vado a fare cose come: allontano la radice e
l’ernia la rimando sopra, non faccio altro che compri-
merla ancora di più.
Bisogna visualizzare l’azione che si sta facendo; riba-
dendo che questa è un’azione di contorno finale di
tutto il trattamento osteopatico.
83
1 2 3
(fig.3) Aggancio l’arto inferiore (mano dietro al ginocchio), (fig.4)traziono verso il soffitto, quindi sono ancora
più in appoggio; una volta che sono in appoggio sulla radice traziono la gamba distendendola sul lettino
(fig.5-6). Si fa per 2-3-4 volte.
4 5 6
Potete entrare anche così , con 2°-3° dito, anatomicamente sposate perfet-
tamente la zona, solo che poi dopo non potete più lavorare.
La cosa importante in queste tecniche è che, mentre nelle TEM ci si ferma sulla barriera visco-elastica per cer-
care di far lavorare in allungamento i muscoli che mantengono la disfunzione, con la tecnica diretta si supera
la barriera dei muscoli per avvicinarsi il più possibile a quella che è la barriera articolare. A maggior ragione
si deve essere più attivi con tutte e due le leve nella messa in tensione, anche se nel momento della riduzione,
si è più attivi ed efficaci sulla leva inferiore, perché la leva superiore dovendo agire sull’inclinazione non può
agire in trazione ma in avvicinamento, ed essendo poggiati sul torace si rischia di essere troppo invasivi, si
agisce sulla componente di inclinazione rotazione, ma nel thrust si predilige la leva inferiore.
Rachide dorsale_Melis
Suddividiamo il rachide dorsale in 3 zone: rachide superiore, medio e inferiore.
Superiore: D1-D4, perché D4 è l’ultima vertebra alla quale arrivano le rotazione del capo, anche se in soggetti
particolarmente lassi la rotazione può trasmettersi anche su D5-D6.
Medio: D5-D9
Inferiore: D10-D12; distinguiamo medio da inferiore perchè nell’inferiore le tecniche ad energia muscolare
possono essere fatte anche in decubito laterale.
Le disfunzioni osteopatiche che ci possono essere a livello dorsale sono:
- disfunzione simmetriche: impegno bilaterale delle faccette articolari, possono esserci disfunzioni in fles-
sione bilaterale se c’è un’anteriorità o divergenza bilaterale, oppure disfunzioni in estensione bilaterale se c’è
una posteriorità o convergenza bilaterale.
- disfunzioni asimmetriche
DISFUNZIONI ASIMMETRICHE
Disfunzioni di tipo 1 o in NSR: in neutralità, non ci sono parametri di flesso-estensione, l’appoggio si farà
a livello del disco, quindi senza impegno delle faccette articolari. È un tipo di disfunzione che riguarda un
gruppo di vertebre, denomineremo le vertebre apicali che saranno quelle più inclinate, e la vertebra apice che
è quella centrale che ha il parametro di rotazione maggiore. È un tipo di disfunzione mantenuta dai muscoli
lunghi, (ad es. a livello lombare è mantenuta dai muscoli psoas o dal quadrato dei lombi).
Disfunzioni di tipo 2 (ERS, FRS): c’è un parametro di rotazione, c’è l’impegno di una sola faccetta articolare,
che può essere posteriore nel caso di una ERS, o quella anteriore nel caso di una FRS.
Disfunzioni bilaterali assimmetriche: abbiamo una doppia disfunzione. Es: in rotazione sx, avremmo un
disfunzione della faccetta posteriore di sx e faccetta anteriore di dx.
Nelle tecniche strutturali, dirette, dove c’è il thrust, c’è un meccanismo doppio:
- da un lato c’è un effetto meccanico, con un’apertura, uno scivolamento delle faccette articolari (la capitazi-
one, lo scrocchio), il passaggio del liquido all’interno della cavità sinoviale, si passa da uno stato liquido a uno
stato di gas; andiamo a comprimere tutto, poi il movimento di thrust è molto rapido crea questa dispersione
di gas;
- un effetto neuro riflesso, che consiste nella diminuzione dell’attività gamma, è un circuito nervoso che
tiene un muscolo in ipertono.
Sono muscoli restrittori: che mantengono la disfunzione, ad es in una
disfunzione di 2° tipo sono i muscoli intertrasversari o interspinosi o
trasverso spinosi, sono muscoli molto profondi, questi quando sono
in ipertono mantengono la vertebra in disfunzione, funge da tirante,
tira su dei punti ossei.
Questa riduzione dell’iperattività gamma si trova in quasi tutte le
tecniche osteopatiche.
Il Pz contrae i muscoli ipertonici (quelli segnati in rosso) che manten-
gono la disfunzione, li contrae in maniera isometrica su lunghezze
progressivamente aumentate, cioè troviamo il segmento in disfunzi-
one: un muscolo ha una lunghezza “x”, un muscolo ha una lunghezza
“y”, dobbiamo invertire questi parametri.
Al sistema nervoso centrale arrivano simultaneamente due informazioni discordanti, perché una è
un’informazione in accorciamento (la contrazione che chiedo) e una in allungamento (la vertebra è messa in
un certo modo e la costringo ad aumentare l’inserzione muscolare). Non potendo avere una risposta univoca,
il sistema nervoso centrale è costretto a proteggere tutto diminuendo l’attività gamma, di conseguenza in-
dietreggia la barriera motrice patologica. La tecnica ad energia muscolare la facciamo per 3-4 volte, perché
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ogni volta si riduce l’attività gamma; la ripetizione della manovra alla fine normalizza il tono dei muscoli che
mantengono la disfunzione sino alla liberazione articolare.
Gli svantaggi
Sono difficili da fare, richiedono molta precisione;
Non sono applicabili in fase acuta, il muscolo è ipercontratto ed è meglio non sollecitarlo in questo modo, in
questo caso sono preferibili le tecniche funzionali, indirette.
D4 in ERSsin
Pz seduto, Osteopata in piedi alla sua dx, mano dx sulla bozza parietale, mano dx sta con dito medio o indice
nello spazio interspinoso tra D4 e D5. I parametri di correzione saranno dati in maniera progressiva e graduale
tenendo sempre conto della terza legge di Fryette, secondo la quale inserendo un parametro nello spazio si
assiste automaticamente alla riduzione degli altri parametri che poi seguiranno.
Farò una flessione per includere nella leva superiore D4, cioè fletto finchè non sento che D4 si allontana da D5,
ma D5 non la segue. Rotazione dx, con il dito devo percepire la lateralizzazione della spinosa minima e una
minima inclinazione dx. Una volta invertiti i parametri disfunzionali, si chiede una contrazione isometrica, si
chiede al paziente di raddrizzarsi.
D4 in FRSsin
Cambieranno soltanto i parametri, inseriremo una estensione, quindi una chiusura dello spazio tra D4 e D5.
NSRsin
Disfunzione di gruppo, mantenuta dai muscoli lunghi costrittori. Es: D7, D8, D9, ma può essere da D6 fino
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a D10. Andremmo a lavorare nel punto di max rotazione (che è una scoliosi), nella vertebra centrale, quella
apice, perché è quella che si trova più sul piano orizzontale rispetto alle altre. Non dobbiamo dare nessun
parametro né di F né di E. Inclinazione e rotazione saranno opposte.
Quando devo trattare una disfunzione sul rachide dorsale alto, per trovare la vertebra parto da D1. Devo dis-
criminare D1 da C7. La vertebra più prominente è C7, però ci possono essere delle particolarità.
Pz seduto. Mettiamo 3 dita, dove ci sono le vertebre più prominenti e
andiamo ad estendere il capo; siccome le vertebre si muovono in base
alle faccette articolari, se noi andiamo a indurre un’E del capo, la ver-
tebra che ha le faccette messe su un piano para-orizzontale scivola in
avanti quindi sparisce.
Tra C7 e D1 la vertebra che ha le faccette su un piano para-orizzontale
è C7. T1 le ha para-frontali per cui rimane saliente.
Quando devo trattare una vertebra sul rachide dorsale medio e basso,
si può fare in 2 modi:
1. risalire seguendo il bordo della 12° costa, quindi reperiamo D12.
2. In alcuni soggetti particolarmente voluminosi o sensibili possiamo
andiamo a localizzare lo spazio tra L5-S1 e saliamo.
D3 in ERS sin
Pz seduto. Utilizzerò il capo del Pz, perché se faccio i movimenti di rotazione, questi movimenti si trasmettono
fino alla 4° vertebra dorsale.
Osteopata si mette a dx del Pz perché c’è una rotazione sin, mano craniale nello spazio interspinoso tra D3-D4
e controllerò cosa succede nei diversi movimenti, mano caudale a livello della bozza parietale.
La vertebra è in E, per cui andrò a fare una F.
È una F localizza-
ta, non è esagera-
ta altrimenti oltre
ad aprire D3-D4,
arrivo fino a L1.
Localizzo il movimento, chiudo D3 nella leva superiore, ovvero sento che la spinosa di D3 sale, ma non sale
quella di D4, se volete potete mettere un dito nello spazio tra D3-D4 e uno sullo spazio tra D4-D5; in modo tale
che sentiate aprirsi lo spazio tra D3-D4 e non tra D4-D5.
Devo posizionare la vertebra contro la barriera motrice patologica, devo in-
vertire i parametri: flessione, rotazione dx (con l’indice posso leggermente
spostarmi dal lato dove dovrà ruotare la spinosa, perché se ruoto a dx la
spinosa dovrà ruotare sul lato sin, e percepisco appena appena lo sposta-
mento della spinosa), inclinazione dx.
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D2 in FRS sin
La disfunzione è anteriore dx, quindi l’Osteopata si mette a dx.
Con la mano craniale mi metto tra D2 e D3, mano caudale da-
vanti allo fronte.
Con la mano davanti allo fronte imprimo una E, R dx e inclinazi-
one dx.
Chiedo al Pz di spingere contro la mano che sta sulla fronte.
O incrociando i gomiti, in base alla tonicità del paziente, alla tensione dei
muscoli, all’ingombro del petto.
D8 in ERS sin
Con la mano craniale, con l’indice mi metto nello spazio tra D8-D9, pos-
so anche mettere il medio nello spazio tra D9-D10, così sento quando
includo la prima vertebra in disfunzione della leva e non devo includere
l’altra.
Questa volta userò il corpo del Pz, che faccio venire verso di me.
Gli dò una componente di F, ruoto a dx (sento la spinosa che si muove e
mi fermo), inclino a dx e chiedo al Pz di raddrizzarsi.
Chiedo al Pz 3 secondi di contrazione, recupero ancora un pò di param-
etri e così via.
D8 in FRS sin
Gli dò una componente in E e sento che si chiude lo spazio tra D8-D9, ruoto a dx e inclino a dx e chiedo al Pz
di addrizzarsi.
Importante: quando diamo il parametro di R deve essere su un piano orizzontale, quando diamo un param-
etro di inclinazione deve essere su un piano frontale, questo è importante sia nel test che nella tecnica.
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NSR
Stessa cosa, più semplice perché abbiamo un parametro in meno su cui
lavorare.
NSR sin
Ho un’inclinazione dx, con una R sin, ovvero abbiamo una prominenza
delle trasverse di sin, avremmo gli spazi intercostali che a dx saranno più
chiusi, mentre sulla sin saranno più aperti, avremmo anche i tubercoli inter-
costali sin più prominenti.
In una disfunzione di gruppo avremmo 2 vertebre culmine (D5 e D9), che
sono quelle più inclinate. E poi la vertebra centrale (D7) che è la vertebra più
orizzontale, che sarà quella più ruotata; quindi noi agiremo su questa verte-
bra.