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Anno 3 sem 1 Menichelli

PRESENTAZIONE DELL’ OSTEOPATIA VISCERALE E IL PERITONEO

[ANDARE A RIVEDERE L’ANATOMIA E LA FISIOLOGIA VISCERALE]

Per capire per quale motivo si debba parlare di osteopatia in ambito viscerale e perchè sia importante
valutare e trattare un viscere si può ricordare di quello che ci disse il prof Audouard a proposito del cranio: si
tratta di una struttura come un’altra e in osteopatia i visceri fanno parte della globalità. Si pensa spesso che
la parte viscerale non sia stata integrata nell’osteopatia classica del Dr A. Still perchè partiva dalla struttura
però per ogni organo che studieremo durante questo corso, verrà citato cosa diceva Still a proposito perchè
in realtà egli si occupava dell’osteopatia viscerale pur non avendo le nostre competenze odierne di anato-
mia e fisiologia: per esempio sui reni diceva che pur non sapendo a cosa servissero queste strutture ipotizza-
va che potessero avere il compito di filtrare l’aria o quant’altro.. anche senza capire precisamente le funzioni
rifletteva moltissimo su dissenteria, su tutte le malattie legate ai polmoni, al cuore e all’apparato digerente;
è dunque un falso storico pensare che il viscerale non faccia parte dell’osteopatia classica. I visceri inoltre si
muovono: come tutta la parte osteopatica vista finora se è vero che i visceri si muovono, ci interessano per-
chè noi lavoriamo sulla mobilità delle strutture. Lavorare i visceri per noi è assolutamente un concetto che si
sposa benissimo con i principi osteopatici, anche per la parte viscerale infatti si applicano perfettamente le
regole dell’osteopatia generale di Still:

• globalità: se ci fosse una restrizione di mobilità a livello viscerale pensiamo bene che ciò potrebbe avere
un impatto su tutto l’organismo, così come se ci fosse un blocco dell’astragalo;
• per ogni organo vedremo che> la struttura governa la funzione e poi in realtà ribalteremo il concetto
cioè “la funzione governa la struttura”, sono concetti interdipendenti;
• il ruolo dell’arteria è supremo: parleremo tantissimo del concetto di riorganizzare la vascolarizzazione
dell’addome e non solo, quando si parla di vascolarizzazione si intende anche l’innervazione;
• la vita è movimento: vedremo quanti movimenti hanno i visceri e rispetto a quante cose si muovono.

Un cenno veloce sull’embriologia del tubo digerente: in realtà è un argomento molto interessante (ve-
dremo al VI anno) e si parla tanto del sistema gastro-intestinale in relazione all’embriologia. È una parte che
non faremo perchè abbiamo impostato un metodo che va in un’altra direzione, sarebbe comunque meglio
darle un’occhiata perchè l’embriologia spiega il posizionamento anatomico del viscere nell’addome, sono le
rotazioni embriologiche che motivano la localizzazione dei visceri e alcuni tipi di movimento che vedremo.
Abbiamo i tre foglietti embriologici: endoderma, ectoderma e mesoderma.
Dall’endoderma si sviluppa > il tubo digerente, le sue ghiandole mucose e il parenchima degli organi;
dal disco laterale del mesoderma abbiamo > la pleura e il peritoneo.

Abbiamo detto che gli organi si muovono, nel libretto del CERDO per spiegare per quale ragione ci interes-
siamo delle patologie funzionali viscerali è riportato l’esempio del rene che ha un movimento di circa 3 cm
nella sua loggia renale.

MOTORI dei visceri


I visceri si muovono e lo fanno rispetto a tantissime cose:
1. sistema nervoso somatico: se si cammina, si fa ginnastica, gli addominali.. i visceri avranno un movi-
mento passivo rispetto a quello scheletrico, è impossibile che si faccia una flessione del busto e i visceri non
si adattino comunque a questo movimento somatico. È un movimento chiaramente del tutto passivo moti-
vato dal sistema muscolo-scheletrico.
2. Sistema nervoso autonomo: è un movimento, se vogliamo, un po’ meno passivo. É il diaframma che
durante l’inspirazione e l’espirazione si muove in alto e in basso e determina con questo movimento anche
quello viscerale; è quello di cui ci occuperemo prevalentemente nei prossimi 3 anni.
3. Abbiamo un movimento dei visceri rispetto al cuore, ossia rispetto alla circolazione: la sistole provoca un
impulso vascolare che arriva non solo ai polsi radiale, femorale o carotideo che solitamente palpiamo ma
anche a livello viscerale. Ci sono dei centri vascolari molto importanti che partono dall’aorta (li vedremo) e i
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visceri risentono di tali movimenti vascolari.
4. La peristalsi: un movimento autonomo dei visceri che serve prevalentemente al rimescolamento e alla
propulsione del bolo (cibo) verso l’evacuazione (per quanto riguarda l’apparato digerente, in realtà qualcosa
di simile avviene anche a livello bronchiale con movimenti non peristaltici ma comunque di contrazione e
rilassamento..)
5. Infine rispetto all’impulso ritmico craniale (IRC): così come riusciamo a sentirlo sulla periferia, allo stesso
modo i visceri hanno un movimento rispetto all’IRC.

Ogni motore darà un movimento: quello di un viscere rispetto al diaframma potrebbe essere (o anche no)
uguale a quello che compie rispetto alla peristalsi, potrebbe essere identico rispetto a quello dell’IRC o dif-
ferenziarsi. Ciò che sicuramente si differenzia tra un motore e l’altro è la frequenza, il ritmo e l’ampiezza.
Significa che si possono fare dei test e delle valutazioni di questi diversi movimenti basandosi sulle loro
frequenze: se trovo una determinata frequenza (da tot a tot) saprò di essere per esempio sulla respirazione
toracica; se invece tale frequenza sarà di 6-12 atti/min sono sull’IRC.. discriminando in ascolto di quale mo-
tore ci si trova di volta in volta. C’è un problema di denominazione di questi movimenti rispetto ai motori,
delle variazioni nei diversi autori (per esempio Barral usa una denominazione diversa rispetto a quella che
adottiamo al CERDO, tuttavia si modifica solo il modo di chiamare le cose).

Terminologia
Al CERDO definiamo:
Mobilità: il movimento dei visceri rispetto al diaframma. Il ritmo (frequenza) è di 14-18 cicli/min. Perciò
quando andrò a testare un’altra struttura (tutto ciò che NON sia un movimento del viscere rispetto al dia-
framma) per non creare confusione terminologica non utilizzerò il termine “mobilità” (anche se di fatto sto
facendo quello che in osteopatia generale definiamo un test di mobilità), per esempio su un legamento
(viscerale) utilizzerò i termini: “test di allungamento”, “test di tensione” o “test di densità” ma tra osteopati
quando si parla di test di mobilità viscerale si intende solo il movimento del viscere rispetto al diaframma
(ripetita iuvant).

Motilità: il movimento del viscere rispetto all’IRC. Il ritmo è di 8-12 cicli/min. Non si è più in ascolto del mo-
vimento diaframmatico ma si va alla ricerca della frequenza corrispondente all’IRC.

Motricità: è il movimento rispetto alla peristalsi (o rispetto al SN neurovegetativo), è sono movimenti


intrinseci del viscere.

Barral (al CERDO gli diamo attenzione) parla di motilità (che per noi è sull’IRC) intendendo un movimento
di cui non ha ancora definitivamente individuato l’origine: probabilmente ipotizza essere in relazione con
la memoria embrionale del viscere che è completamente avulso da qualunque altra frequenza (non corri-
sponde all’IRC, al diaframma, al cuore..), lo definisce bifasico (andata/ritorno, come tutte le altre frequenze),
ha una frequenza di 7-8 cicli/min. Specifica chiaramente che non corrisponde minimamente a quella che noi
definiamo motricità (peristalsi) e parla di “inspiro” e “espiro” per distinguerlo da “inspirazione” e “espirazione”
(la mobilità rispetto al diaframma). Quando andremo ad approfondire la materia sui testi di Barral ricor-
diamo che con i termini “motilità, inspiro ed espiro” egli si riferisce a un movimento che probabilmente (non
è riuscito a fare lo studio su tutti gli organi) è in relazione alla memoria embrionale corrispondente ai movi-
menti e alle rotazioni di localizzazione dei visceri nella cavità addominale durante l’ontogenesi.
Nonostante la difficoltà iniziale nella pratica, le frequenze sono abbastanza diverse da permettere agevol-
mente di stabilire su che livello di ascolto ci si trova.
Ogni viscere e ogni organo si muove secondo assi e direzioni che vedremo di volta in volta, viscere per
viscere. I cambiamenti di tale movimenti o comunque delle restrizioni di mobilità possono influenzare la
mobilità, la motilità ma anche la motricità di un organo e questo può comportare:
1. prima di tutto delle patologie locali con relativi sintomi, per esempio una restrizione di mobilità di
stomaco col tempo può provocare una patologia.
2. Patologie locali asintomatiche se trovo una disfunzione osteopatica ma il paziente ancora non ha sin-
tomi perchè questi arriveranno col tempo: lavoreremo anche in questo ambito sulla prevenzione sintomato-
logica.
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3. Possiamo trovare una disfunzione su postumi di patologia: per esempio dopo interventi chirurgici, im-
portanti malattie d’organo (anche in fase di guarigione.)

4. Patologie a distanza: quelle che finora abbiamo visto essere fondamentali per le nostre cliniche e le
nostre riflessioni osteopatiche. I visceri si articolano tra loro e sulle pareti strutturali (vedremo come) e hanno
delle relazioni vascolari, fasciali e neurovegetative a distanza (concetto di globalità), ciò significa che una
patologia/disfunzione vertebrale o craniale per esempio avrà per forza delle ripercussioni a livello viscerale e
viceversa.

IL PERITONEO
Il peritoneo rappresenta il legame tra tutte le strutture viscerali addominali: possiamo pensare che agisca
come nel cranio fanno le membrane di tensione reciproca, perchè è la connessione tra tutti i visceri e tra i
visceri e la struttura. Significa che una restrizione di mobilità in qualunque punto di questo peritoneo non
può che portare una difficoltà in tutte le parti in cui esso si trova, così come a livello vertebrale una disfun-
zione/blocco cervicale potrebbe modificare completamente il funzionamento della catena meccanica, allo
stesso modo se il peritoneo è uno, un qualunque punto di fissazione modifica il funzionamento di tutto.
Si potrebbero fare: test di mobilità, test di motricità, test di motilità, test emodinamici vascolari, test di
pressione e test delle articolazioni viscerali (i legami di peritoneo tra i vari visceri). In realtà purtroppo non
vedremo tutto e nei prossimi tre anni faremo prevalentemente dei test di mobilità (la motricità invece sarà
argomento di studio nel corso di neurovegetativo), sulla motilità accenneremo qualcosa ma non rientra
prettamente nel programma didattico, così pure i test emodinamici che comunque verranno accennati in
quanto interessanti e per capire la globalità.

Il peritoneo è una membrana sierosa a doppio foglietto di circa 2m² e riveste quasi completamente tutta la
cavità addominale e parzialmente quella pelvica, lo si può immaginare come un sacco chiuso che aderisce
alla parete addomino-pelvica che poi si sdoppia per andare a rivestire anche i visceri uno per uno. Parleremo
di divisione in peritoneo parietale e peritoneo viscerale ma in realtà non esiste soluzione di continuità,
è composto infatti da due foglietti: una lamina parietale che è quella che si accolla alle pareti e una lamina
viscerale che riveste gli organi. Questi due foglietti sono in continuità tra loro tramite delle strutture (sempre
di peritoneo) che prendono il nome di: meso, epiploon, legamenti e omenti che collegano i visceri tra loro e
alle pareti. Come prima suddivisione del peritoneo parietale individuiamo:
- il p. diaframmatico che è proprio accollato sotto le cupole freniche
- il p. addominale o parietale ant, dietro la muscolatura addominale con interposta la fascia trasversalis
(andando in senso A/P alla dissezione troviamo: cute, sottocute, muscolatura addominale, fascia trasversalis,
peritoneo parietale, peritoneo viscerale e viscere)
- il p. parietale post, anteriormente alla parete addominale posteriore, accollato alla fascia iliaca e alla fascia
del quadrato dei lombi.

Da notare subito che il diaframma divide le cavità addominale e toracica e che le cupole diaframmatiche si
proiettano anteriormente sulla parete toracica abbastanza in alto: in condizioni di media inspirazione a dx
arriva fino al IV spazio intercostale e a sin fino al V spazio intercostale. Da questo livello in giù corrisponde la
cavità addominale, ossia ci sono dei visceri addominali sottocostali: per es il fegato, lo stomaco e la milza
lateralmente hanno un contatto parietale con la parete costale (mediato dal diaframma). Anche se banale
questo dovrebbe colpirci perchè solitamente siamo portati a immaginare il torace completamente riempito
dai polmoni che in realtà hanno una conformazione tale per cui arrivano a K6 ma la cupola diaframmatica è
molto alta.

I meso, gli epiploon, i legamenti e gli omenti sono delle pliche peritoneali di collegamento, costituite
dall’accollamento di due lamine peritoneali che si sdoppiano per avvolgere la parete e gli organi singolar-
mente, è comunque un unico foglietto sieroso.

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Questa parte di peritoneo che funge da collegamento è quella che si fa chiamare articolazione viscerale
che unisce la parete al viscere (come nell’immagine) oppure il viscere con un altro viscere (anche il perito-
neo viscerale si sdoppia e passa da un organo a un altro compiendo delle rotazioni, dei cambi di direzione..).
Sono i collegamenti su cui lavoreremo perchè oltre a guidare la mobilità meccanica, portano vasi e nervi:
cercheremo la liberartà di queste articolazioni viscerali anche la libertà del sistema vascolare e nervoso.

Definiamo:
Meso: è la formazione peritoneale tesa tra parete
e viscere (un collegamento tra l’una e l’altro). Ac-
coglie nel suo spessore vasi e nervi, con presenza
di abbondante tessuto connettivo

Epiploon (o legamento o omento): è sempre


una struttura bilamellare peritoneale che collega
stavolta un viscere con un altro viscere (collegano
due o più visceri).

Il termine legamento è più spesso riservato agli


epiploon ma può accomunare anche i meso, è più
un termine osteopatico perchè rende bene il
concetto della relazione funzionale molta stretta tra i visceri (articolazione viscerale), in anatomia classica
viene utilizzato sempre meno.
fegato

stomaco

pancreas

colon
discendente

colon
iliaco
cieco
lacuna dei lacuna dei
vasi muscoli
vescica
urinaria

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diaframma fegato TRE spazi
La disposizione del peritoneo consente di
individuare:
aorta 1. uno spazio PERItoneale che contiene tutti
gli organi peritoneali (quelli rivestiti da perito-
piccolo omento neo e dentro la cavità)
foro di Winslow 2. uno spazio RETROperitoneale: ci sono dei
pancreas visceri che non vengono ricoperti comple-
stomaco duodeno tamente dal peritoneo (alcuni solo parzial-
mesentere mente, altri per niente), questo spazio è posto
piccolo
sacco colon trasverso tra il foglietto parietale posteriore e la parete
3. uno spazio SOTTOperitoneale che si
grande omento localizza al di sotto del foglietto inferiore del
piccolo sacco peritoneale che lascia fuori così delle
intestino strutture: utero, vescica, ultima parte degli
colon pelvico
utero ureteri, tube e ovaie, prostata una parte del
sigma-retto [possiamo considerare come lim-
vescica retto ite inferiore dell’addome rispetto alla pelvi il
foglietto inferiore del peritoneo, ma anatomi-
camente classicamente si fa riferimento allo
stretto superiore del bacino].

diaframma pleura
leg rotondo del
fascia diaframmatica fegato e vene
leg falciforme del fegato paraombelicali
peritoneo
(margini di sezione) ombelico
fascia trasversale e suo peritoneo
margine di sezione fascia
linea arcuata o semi- trasversale
circolare (del Douglas) mm. obliqui
m. retto esterno e
dell’addome int dell’addome
vasi epigastrici inf m. trasverso
dell’addome
triangolo inguina- leg ombelicale lat-
le (di Hesselbach) erale di sin (arteria
fascia trasversale ombelicale di sin
(sezionata) obliterata)
leg interfoveolare piega ombelicale
laterale di dx
vasi circonflessi leg ombelicale
iliaci profondi medio (uraco
anello inguinale obliterato) e vene
addominale (o profondo) paraombelicali
arteria cremasterica (o spermatica est) nella piega om-
ramo retropubico belicale media
dell’arteria epigastrica inf fascia prevescicale
vasi iliaci est
piega contenente
cordone spermatico i vasi epigastrici inf
anello femorale n. femorale
guaina femorale fascia iliaca
leg lacunare (del Gimbernat) m. ileo-psoas
leg pettineo (del Cooper) vasi iliaci esterni
falce inguinale e tendine congiunto piega pubo-vescicale
arteria ombelicale (obliterata piega vescicale trasversa
oltre questo punto) arco tendineo del
vasi e nervo otturatore m. elevatore dell’ano
canale otturatorio m. otturatore int
diaframma (o trigono) uro-vescicale
uretere (sezionato) vescichetta seminale
arteria vescicale superiore prostata
condotto deferente vescica urinaria
Peritoneo parietale ANT
É sito dietro alla fascia trasversalis e corrisponde alla faccia ant dei visceri. Lungo la linea mediana si solleva
in una piega che si fa sempre un po’ più profonda andando verso l’alto, è importante perchè costituisce il
legamento falciforme del fegato: nel feto dava passaggio nel suo margine libero alla vena ombelicale
che collegava il feto alla mamma, dopo la nascita si oblitera e diventa legamento rotondo (del fegato). Le
lamine che formano il legamento falciforme poi andranno a rivestire il fegato e formeranno la lamina su-
periore del legamento coronario (che collega l’organo al diaframma). Sotto l’ombelico il peritoneo forma
diverse pieghe: una media e le due pieghe ombelicali laterali. La prima forma il legamento ombelicale
medio (residuo dell’uraco obliterato) su cui faremo un lavoro; i due legamenti ombelicali laterali di dx e
sin (residui delle arterie ombelicali fetali obliterate) si portano ai margini laterali della vescica.

Tutto questo, anche senza saper né leggere né scrivere, ci fa capire il collegamento osteopatico tra: diafram-
ma-linea mediana del corpo - fegato - legamento rotondo - ombelico- vescica! Ossia un collegamento mec-
canico diretto, una vera articolazione viscerale su cui lavora l’osteopatia: si spiega come una disfunzione di
fegato può condizionare una vescica.

leg. falciforme
del fegato lobo sin
del fegato
leg. rotondo
del fegato
lobo dx
del fegato flessura sin
del colon
cistifellea

grande omento
colon (grande epiploon)
ascendente
mm. obliquo esterno
tenia del colon e int dell’addome,
m. trasverso
dell’addome

ileo

piega ombelicale lat


(piega epigastrica con
a. e v. epigastriche inf)
m. retto
dell’addome
piega ombelicale
mediale (con leg
ombelicale lat)

linea arcuata piega ombelicale media


(con residuo dell’uraco)

Peritoneo parietale POST


É la parte posteriore del sacchetto, si porta verso il basso e riveste la parete post dell’addome lasciando fuori
dalla copertura alcuni organi e altri li copre parzialmente. Per es. il duodeno nella sua porzione sup è com-
pletamente rivestito dal peritoneo viscerale mentre il resto è coperto solo nella sua parete ant, è retroperito-
neale; anche i reni e gli ureteri sono retroperitoneali; il pancreas lo è tranne che per alcune sue piccole parti
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(quindi il peritoneo parietale post ricopre parzialmente il duodeno e non ricopre pancreas, reni, uretere).
I visceri intraperitoneali sono agganciati alla parete tramite i meso che vi lasciano un’impronta (come quelle
del mesocolon trasverso, del mesentere e del mesocolon sigmoideo).

Procedendo con una stratificazione della cavità e del contenuto addominale troviamo (da dietro in avanti):
- gli organi retroperitoneali: reni, pancreas, ureteri, parte del duodeno, milza, grossi vasi
- il peritoneo parietale post e colon ascendente e discendente che sono parzialmente (e incostante-
mente) retroperitoneali
- gli organi intraperitoneali: le anse del tenue, stomaco, fegato, colon trasverso..
- il peritoneo parietale ant
- la parete ant dell’addome [non ci sono meso ad attacco anteriore]

[VEDERE SLIDES PRESENTAZIONE]


vv.
epatiche
diaframma, in rapporto v. cava
con area nuda del fegato inferiore
peritoneo parietale
ghiandola ghiandola
surrenale dx surrenale sin
leg. epatoduodenale leg. gastrolienale
(con v. porta,
a. epatica propria a. e v. lienali
e dotto coledoco) pancreas (corpo e coda)
reno dx
mesocolon trasverso
duodeno, parte sup. (radice)
a. e v. coliche di sin
duodeno, parte discend.
sede del colon discend.
pancreas (testa) a. e v. mesenteriche
duodeno, parte orizz. superiori
a. mesenterica inferiore
duodeno, parte ascend. mm. obliquo esterno
a. addominale e int dell’addome,
m. trasverso dell’addome
radice del mesentere recessi paracolici
a. e v. iliache peritoneo parietale post
comuni di dx
sede del colon mesocolon
ascendente sigmoideo
mesoappendice uretere sin
uretere dx a. iliaca esterna
retto piega ombelicale lat
(piega epigastrica con
m. retto dell’addome a. e v. epigastriche inf)
piega ombelicale piega ombelicale
media (con mediale (con leg
residuo ombelicale lat)
dell’uraco)
Peritoneo PELVICO
È il foglietto più basso che si appoggia sopra gli organi del piccolo bacino (extraperitoneali, anche se alcuni
ne sono ricoperti): vescica, utero, ovaio, retto, rene, uretra e prostata. Il peritoneo globalmente finisce sulla
proiezione vertebrale a livello di S3, ricordando che la proiezione vertebrale non è un aggancio anatomico:
quando faremo i nostri test, trovare delle zone vertebrali avrà un significato preciso ma diverso è trovare un
attacco anatomico come può essere quello del diaframma su L1.

Gli epiploon (legamenti) più importanti sono i seguenti:


gastro-colico (da stomaco a colon trasverso)
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gastro-splenico (da stomaco a milza)
gastro-epatico detto anche piccolo epiploon o piccolo omento (da stomaco a fegato)
pancreatico-splenico (da pancreas a milza)
gastro-frenico (un attacco dello stomaco al diaframma)
grande epiploon o grande omento che in realtà è una piega peritoneale (libera) che dallo stomaco passa
sopra il colon trasverso a ponte e va a tappezzare anteriormente l’addome; è una plica sierosa che scende a
volte fino al pube, altre rimane più corta. È come un grembiule ed è pieno di grasso e linfatici, ha quindi un
grande interesse termico e immunitario.

I meso più importanti sono i seguenti:


mesocolon trasverso: è importante perchè divide l’addome in una porzione sovramesocolica e una sot-
tomesocolica (ergo dividiamo gli organi in sovra- e sottomesocolici).
meso sigmoideo
meso dell’intestino tenue o mesentere che è l’aggancio (trasversale sulla parete posteriore) per tutte le
anse dell’intestino tenue
Tra questi notiamo non esserci i mesocolon ascendente e discendente perchè sono incostanti e ci sarà una
relazione diretta tra queste porzioni del crasso e gli organi retroperitoneali (per esempio il rapporto con il
rene viene mediato solo dalla fascia prerenale, senza interposizione di peritoneo).

Ogni organo è tenuto in sede da:


peritoneo (ossia legamenti e pliche)
effetto turgor
depressione sottodiaframmatica: le relazioni pressorie tra le cavità toracica, addominale e piccolo bacino
sono quelle creano un buon equilibrio nell’addome, tant’è vero che degli squilibri pressori creano sempre
delle patologie.
liquido peritoneale nel sistema a doppio foglietto
elasticità propria di ogni organo (sia che sia pieno o cavo)
contenuto
sistema di aggancio vascolare
[in generale denominiamo ORGANI gli organi pieni e VISCERI gli organi cavi, ma nella pratica quotidiana si
può prestare poca attenzione a questo. Il tenue è un viscere lo stomaco è un organo].

Vascolarizzazione ARTERIOSA del tubo digerente


Esistono dei riferimenti (reperi) vascolari da conoscere, tutta la vascolarizzazione dei visceri addominali è a
carico di rami dell’arteria aorta addominale (che a livello di L4 si biforca nelle due aa. iliache comuni).
Dopo aver perforato il diaframma l’aorta addominale emette diversi rami di cui tre sono da ricordare:
- il tripode celiaco: è uno dei primi tronchi in alto che si situa a livello della proiezione vertebrale di D12,
è responsabile della vascolarizzazione della zona sovramesocolica, si divide infatti in arteria gastrica sin,
arteria epatica comune e arteria splenica (o lienale).

- l’a. mesenterica sup: emessa a livello di L1, irrora: tutte le anse del tenue, il cieco, il colon ascendente,
l’angolo colico destro o ang epatico e la metà dx del colon trasverso.

- l’a. mesenterica inf: origina a livello di L3 (ombelicale), irrora la metà sin del colon trasverso, l’angolo
colico sin, il colon discendente, colon sigmoideo e parte del retto (di cui la restante parte è pertinenza
dell’arteria emorroidale).

D12 tripode celiaco L3 a. mesenterica inf

L1 a. mesenterica sup L4 biforcazione

Il drenaggio VENOSO
È formato da due sistemi: quello della vena cava e quello della vena porta. La vena porta porta al fegato
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tutto il sangue refluo dal s. digerente tramite la vena splenica e le due vene mesenteriche (sup e inf)
per tante ragioni che vedremo: funzione antibatterica e funzione metabolica in primis. Il sistema della vena
porta non è il drenaggio proprio del fegato che avviene per le vene epatiche.

Innervazione del tubo digerente


È duplice, ossia a carico delle due componenti del sistema neurovegetativo, che per convenzione viene
diviso anatomicamente in 2 porzioni: il s. ortosimpatico e parasimpatico. In realtà si ricordi sempre che su un
piano funzionale collaborano strettamente, l’uno necessita e non è inibitore dell’altro, sono insieme regola-
tori.

Il S. ORTOSIMPATICO parte dalle catene latero-vertebrali, i GANGLI interessati per quanto riguarda il
sistema gastrointestinale sono quelli compresi tra D1 e D12, situati con precisione davanti alle teste delle
coste da K1 a K12 (già questo dato è interessante: quando facciamo una dog dorsale non è solo un lavoro
articolare ma agiamo anche a livello neurovegetativo viscerale). Dell’ortosimpatico ci interessano
il n. grande splancnico (gangli da D6 a D9) e
il n. piccolo splancnico (gangli da D9 a D12).
I due sistemi si organizzano in plessi che sono delle stazioni in cui orto e para si incontrano, quelli che ci
interessano sono i plessi addomino-pelvici.
Aumenta:
la funzione cardiaca (tachicardia)
la funzione respiratoria (bronco dilatatore)
la funzione linfatica

Diminuisce:
la funzione digestiva (disgregazione dell’alimento soprattuttoa livello di stomaco e fegato)
funzione di assorbimento intestinale
funzione biliare
funzione di evacuazione colica (peristalsi)
la fnzione urinaria

Il S. PARAsimpatico che ci interessa è quello craniale che forma il n. vago (dx e sin) ed è fondamentale per
il controllo viscerale (trattando il cranio perciò posso ottenere un effetto sui visceri); abbiamo poi il parasim-
patico sacrale che parte dal sacro, raggiunge il plesso ipogastrico e innerva soprattutto: colon discendente,
sigma e retto.
Aggiungiamo poi i Plessi Mienterici (ne riparleremo quando passeremo al lavoro pratico) ossia
il plesso di Auerbach e
il plesso sottomucosale che secondo degli studi attuali hanno un peso maggiore di quello assegnatoli in
passato, si è visto che non fanno proprio parte del sistema nervoso neurovegetativo classico ma sono inseri-
ti come un sistema proprio e strutturato con una importanza molto maggiore di quella riconosciuta finora.
Aumenta la peristalsi e apre gli sfinteri.

Quello ortosimpatico è un sistema diurno e di fuga: aumento della frequenza respiratoria e cardiaca, del
diametro della pupilla, tutto il sangue va ai muscoli.. sono reazioni di allerta e questo scatena tutta una serie
di funzioni che aiutano il metabolismo in questa direzione ossia si blocca il sistema parasimpatico, gli sfinteri
saranno chiusi e l’attività digerente si ferma. È un sistema di relazione, attivo quando si interagisce.

Il s. parasimpatico è il sistema notturno di recupero a funzione digestiva, aiuta l’assorbimento e la funzione


biliare; la peristalsi, l’evacuazione e la funzione urinaria. A tale classificazione didattica in realtà corrisponde
un’azione molto più complessa e coordinata di modulazione dei due sistemi.
[segue carrellata di slides sull’anatomia addominale]

DOMANDE varie ed eventuali:


La peristalsi: non esiste un ritmo e una frequenza fissa. Ci sono diverse onde: una peristaltica massiva di
progressione del contenuto gastroenterico e delle onde minori di rimescolamento. Barral sta studiando se
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esista una frequenza standard, probabilmente esiste ma è comunque molta variabile in base allo stato neu-
rovegetativo e agli stimoli esterni (per esempio ingestione del cibo e riflesso di evacuazione).
Sul viscere andremo a valutare prevalentemente la sua mobilità rispetto al diaframma.
Statisticamente fino all’80 % delle lombalgie hanno un’origine viscerale, oppure pensate alle conseguenze
di una gravidanza.
Cicatrici e aderenze post-chirurgiche sono rilevanti sul piano meccanico ma anche dal punto di vista
biochimico (certe sostanze perdurano per decenni intorno alle cicatrici), oppure Pz con vertigini tossiche da
chemio dopo 20 anni..
Cenni sulla storia dell’osteopatia viscerale: Still faceva già tanti collegamenti ma è a tutt’oggi una materia
poco strutturabile e sistematizzata (primo Barral) per la diversità e la personalizzazione degli approcci. Per
sua natura è un sistema “volubile”, mobile e influenzabile (anche dallo stato emotivo).

I VASI sono retroperitoneali

Divisione dell’addome in 9 quadranti


Linee verticali da metà clavicola fino a SIAS
Linee orizzontali una passa per k8, l’altra passa per le SIAS

2. epigastrio
stomaco (antro pilorico)
piloro
parte alta duodeno
parte del lobo sin del fegato
parte del colon trasverso

3. ipocondrio sin
1. ipocondrio dx stomaco
fegato milza
cistifellea ang colico sin
ang colico dx un pezzo di fegato
prima parte del trasverso parte del trasverso
4. fianco dx 6. fianco sin
colon ascendente colon discendente
anse intestinali anse intestinali
7. fossa iliaca dx 9. fossa iliaca sin
cieco sigma
appendice ovaio sin
ovaio dx anse intestinali
uretere uretere
5. mesogastrio 8. ipogastrio
anse intestinali tenue vescica
testa del pancreas prostata
colon trasverso vescicole seminali
quadro duodenale anse intestinali
utero
sigma retto (il sigma diventa
retto a livello di S3)
Punti di repere
Milza K8 K11 (nell’ipocondrio sin a metà dell’ascella tra K8 e K11)
Rene D11 L3
Tronco celiaco D12
A. mesenterica sup L1
A. mesenterica inf L3
10
Ombelico L3
Biforcazione aa. iliache L4 (aorta che si divide nelle due iliache)
Piloro nella zona (non è un punto) delimitata dalla linea transpilorica tra le 2 cartilagini
di K8 e la metà della linea verticale che unisce il processo xifoideo all’ombelico
> si trova sulla linea mediana o spostato leggermente a dx
valvola ileocecale a metà della linea che unisce l’ombelico alla SIAS di dx

Osservazione
Cicatrici
Macchie, brufoli, capillari
Colore della pelle
Respiro del Pz:
- frequenza respiratoria
- tipo di respirazione
- quando il Pz ventila ci sono delle zone dell’addome che si muovono meno? Queste zone sono interessanti
perché indicative di problematiche, infatti una zona addominale che respira bene general. è una zona sana.
Temperatura valutata in maniera globale (un addome caldo è un addome sano; fanno eccezione gli stati
patologi infiammatori gravi. Le zone fredde sono di interesse osteopatico perché indicano qualcosa che non
va). Cercheremo delle “densità” perché un addome sano è caldo, morbido e mobile.

Pratica
NB: generalmente si lavora alla dx del Pz.
1. Esercizio per la visualizzazione dei vari organi:
Mentalmente e con la mano si percorre tutta la distribuzione del tubo digerente.
1. Bocca, esofago che entra nel diaframma, dove poi inizia lo stomaco, che arriva sino al piloro.
2. Dal piloro parte il 1° duodeno verso il fegato, il 2° duodeno fino all’ombelico, il 3° duodeno va a cavallo
dell’ombelico ed il 4° duodeno che risale (si ferma circa ai lati dell’ombelico).
3. Dal 4° duodeno partono tutte le anse intestinali, che coprono tutti i visceri sino ad arrivare in fossa iliaca
dx, dove si trova il cieco.
4. Dal cieco si diparte il colon ascendente, che arriva alto in ipocondrio dx (quindi sopra le coste), segue poi
l’angolo colico dx, il colon trasverso che passa a ponte sopra l’ombelico, per arrivare con l’altra parte del
colon trasverso sin sino all’ipocondrio sin (angolo colico sin). Da qui parte il colon discendente poi il colon
iliaco, il sigma (che a livello di S3 diventa retto facendosi retroperitoneale) ed infine il retto, che va dietro la
sinfisi pubica.
Se si vuole durante il percorso si possono denominare i vari organi che ci sono tenendo in considerazione
che ci sono più organi nello stesso punto.

stomaco I e II duodeno III duodeno

IV duodeno ang. colico dx colon trasverso


11
ang. colico sin
2. Esercizi di osservazione dell’addome
Pz supino. Osservazione. Si osserva l’addome del Pz al fine di rilevare la presenza di eventuali cicatrici, an-
giomi, macchie varie, piercing, capillari rotti sull’addome, nei molto evidenti.
Si valuta il colore, cioè se ci sono delle zone cromatiche diverse in addome e dell’addome rispetto ad altre
zone corporee.
Si osserva la ventilazione del Pz. Ricordiamo che un addome globalmente sano dà l’idea di una fase inspira-
toria ed espiratoria libere ed omogenee. Si valuta la frequenza e l’ampiezza della respirazione e se ci sono
zone dell’addome che ventilano meno bene di altre.

Si procede alla valutazione della temperatura


ponendosi con la mano a poca distanza dal
tessuto e procedendo lungo i vari quadranti
addominali nell’ordine che si preferisce (non si
deve poggiare la mano sull’addome perché ar-
riverebbero altri tipi di informazioni. Si cercherà
di percepire se ci sono zone fredde, dove per
freddo si intende che c’è una irrorazione meno
funzionale rispetto alla norma.

Questo tipo di esercizio richiede un approccio che non sia corticale, bisogna fare affidamento sulle proprie
sensazioni.

3. Test di valutazione dell’addome


Lavorando sempre con la stessa mano si effettua un test di pressione sui 9 quadranti dell’addome. Nel
testare gli ipocondri dx e sin si effettuerà una pressione con tenar ed ipotenar (non con le dita) spingendo
in alto e verso la spalla (perché fegato e stomaco sono sottocostali). Per tutti i rimanenti quadranti la “spinta”
sarà verso dietro in modo da non andare a mobilizzare il peritoneo durante il test di pressione altrimenti si
avrebbero delle informazioni sbagliate.
Nella valutazione dei vari quadranti si può procedere nell’ordine che si preferisce.

test su ipocondrio dx e sin, spinta in alto e verso la spalla con tenar ed ipotenar

12
epigastrio fianco dx

mesogastrio fianco sin

fossa iliaca dx ipogastrio


A questo punto avendo trovato per es. due quadranti più densi,
“duri” rispetto agli altri su questi si esegue un test di bilanciamento
per stabilire quale tra i due è più denso e quindi si trova in disfun-
zione. Qualora siano tre i quadranti maggiormente “duri”, se ne
comparano prima due e poi quello che viene fuori dal test di bilan-
ciamento viene paragonato con il terzo quadrante individuato, sino
a trovarne uno più denso.
Trovato il quadrante in disfunzione si ragiona sugli organi che in
esso si trovano.

fossa iliaca sin


La pressione da applicare sui quadranti è propria di ogni osteopata.
L’osteopata deve posizionarsi in maniera comoda, ben piantato sulle gambe; il braccio e la mano che
non effettuano il test si trovano lungo il corpo e non si appoggiano al lettino (cosa che peraltro neanche
l’osteopata deve fare).

Anche questo test non prevede un approccio corticale, bisogna solo fare affidamento sulle proprie sensazio-
ni per la valutazione della densità.

DIAFRAMMA
Premesse
È il motore, il muscolo principale della respirazione, agisce sulla mobilità costale, ed è come un distributore
13
di forze ascendenti e discendenti per le catene fasciali. Osteopaticamente è un muscolo di entrata per il
viscerale.
Per garantire equilibrio e confort questa struttura è in attività costante in modo da poter fornire, attraverso
la corretta alternanza delle fasi di inspirazione ed espirazione, un corretto apporto di ossigeno ai tessuti ed
un controllo del ph a livello ematologico.
Il diaframma è al centro di un setto o asse aponevrotico centrale, che divide il corpo in due metà: superior-
mente c’è il torace e inferiormente l’addome.
Osteopaticamente per la posizione centrale che occupa viene considerato come la vittima di disfunzioni cre-
ate da altre strutture muscolari, fasciali e viscerali. Pertanto le disfunzioni del diaframma sono generalmente
secondarie ad es. a disfunzioni del cranio (ricordando che il tubercolo faringeo ha sede a livello dell’apofisi
basilare dell’occipite). Ogni volta che si tratta un Pz quindi sarà sempre necessario indagare e trattare il dia-
framma in quanto collegato non solo con la colonna vertebrale tramite i pilastri, ma anche indirettamente
attraverso le fasce, la vascolarizzazione ed il SN vegetativo.

Anatomia
Il diaframma ha la forma di un ombrello ed è costituito da 2 cupole, destra e sinistra, con la centro una inser-
zione tendinea corrispondente al centro frenico.

Posteriormente è collegato alla colonna


tramite i pilastri da D12-L4 (questo è l’unico
attacco diretto del diaframma alla colonna).
Anteriormente le due cupole diaframmat-
pleura iche sono formate da una inserzione carnosa
che dalla xifoide si diparte lateralmente per
collegarsi all’inserzione di costole e muscoli
intercostali fino a k1-k2, dove si inseriscono i
cuore muscoli scaleni. Le persone con respirazione
toracica, cioè alta, con il tempo soffriranno di
cervicalgia per le tensioni che si sviluppano a
dia livello degli scaleni che si inseriscono a k1-k2.
fram Dal processo xifoideo dello sterno si dipar-
ma tono i muscoli digastrici, i principali costitu-
enti del centro frenico, che dal centro frenico
costeggiando K10-K12 arrivano posterior-
spazio mente ad L1 (si trovano sotto il margine
di libero costale a partire dalla xifoide).
Traube La cupola dx si trova a livello del 4° spazio
intercostale (stiamo parlando di proiezioni).
milza
La cupola sin si inserisce a livello del 5°
fegato spazio intercostale (sempre proiettivamente).

Pilastri del diaframma


I pilastri sono in numero di 2 e sono posteriori. Sono dei tendini che partono dai muscoli digastrici.
L1-L4 Il pilastro dx parte dalla faccia anteriore del corpo vertebrale di L1 ed arriva alla faccia anteri-
ore del corpo vertebrale di L4. Esso è maggiore del sx perché per una questione di ancoraggio deve coprire
la voluminosa massa del fegato, più pesante degli organi di sinistra.
L1-L3 Il pilastro di sin parte dalla faccia anteriore del corpo vertebrale di L1 ed arriva alla faccia ante-
riore del corpo vertebrale di L3.

14
I pilastri principali si sud-
dividono in una porzione
interna, media ed esterna
(da entrambi i lati). I seg-
menti interni sono i più
grandi, essi si dirigono in
alto e vanno a formare 2
orifizio del
V.C.I n. frenico sin fori:
n. frenico dx
D8-D10 proiezione sulla
esofago colonna dell’Orifizio
esofageo, più anteriore.
n. grande Vi decorrono al suo interno:
splancnico - esofago
ramo int - nervo vago di dx e sin
della vena
azygos D12-L1 proiezione sulla
colonna dell’Orifizio
n. piccolo aortico, più posteriore.
splancnico
catena Vi decorrono al suo interno:
simpatica - aorta
- dotto toracico portatore di
vasi linfatici

D8-D10 > orifizi esofageo e della vena cava inf D6-D9 > n. grande splancnico
D12-L1 > orifizio aortico D9-D12 > n. piccolo splancnico

Si comprende pertanto come in presenza di una


disfunzione del diaframma, primaria o secondaria,
oppure una disfunzione vertebrale ci possano es-
sere dei problemi di tipo linfatico, vascolare (con
problemi ad arti inferiori e superiori) e nervoso
(con problemi a livello del vago. Essi fascio sezionato
dell’arcata
partono dalla loggia viscerale del collo e dello psoas
si dirigono in basso nell’addome; il dx nel pas-
saggio dorsolombare si fa posteriore ed arriva
nella zona intestinale; il sx si ferma un poco prima
a livello della parte superficiale dello stomaco. pilastri
Il loro compito è quello di dare un’innervazione dx e sin
parasimpatica).
L’ORTOsimpatico dalla catena latero-vertebrale si orga-
nizza in un grande splancnico (D6-D9)
e piccolo splancnico (D9-D12).
Il PARAsimpatico è di pertinenza del nervo vago.
I pilastri medi ed esterni formano fra di loro 3 arcate e
prendono rapporto con il muscolo psoas e con il muscolo
quadrato dei lombi. Nelle insenature formate da queste ar-
cate decorrono i nervi piccolo e grande splancnico e le vene
azigos (queste ultime dirette a tutto il sistema toracico).
È a livello di queste arcate che si testano i pilastri posteriori.

15
1. L’Arcata dello Psoas pilastro dx del diaframma
va dalla parte laterale del arcata dello psoas
corpo di L2 all’apofisi tras- arcata del quadrato
versa di L1 (una contrat- dei lombi
tura a questo livello può
tronco
dare ripercussioni a livello celiaco
I arcata di Senac
del diaframma, del rene, arteria diafram.inf sin
dell’anca e del piede). arteria surrenale sin
2. L’Arcata del Quadrato dei arteria mesenterica sup
lombi, detta anche Legamento
Arcuato del diaframma, va arteria
renale dx
dall’apice della trasversa di L1 a K12.
3. L’Arcata del Trasverso, detta arterie lombari
pilastro dx del diafram
anche Arcata di Senac, va
dall’apice di K12 all’apice di K11
(zona in cui si potrà reperire il arteria mesenterica inf
pilastro; essi si sentono esclusi-
vamente posteriorm, anche se
si effettuerà un test anteriorm).

Anteriormente il diaframma presenta il centro frenico, ha la forma di un trifoglio e si divide in tre fogliole.
Fogliola Anteriore
Fogliola Dx
Fogliola Sin
Le fogliole incrociandosi tra di loro vanno a costituire delle benderelle, che a loro volta si dividono in:
Obliqua-superiore: va dalla fogliola anteriore a quella di destra.
Obliqua inferiore o Arciforme: va dalla fogliola destra a quella sinistra.
Le due benderelle si incontrano e vanno a contornare l’orifizio della vena cava inferiore.

fogliola anteriore scissura di Larrey


benderella
semicircolare INF
orifizio esofageo
orifizio VCI
benderella
semicircolare SUP
fogliola sin
orifizio aortico fogliola dx
1. scissura circoscritta dai pilastri
int e medio. È attraversata dal n.
grande splancnico e dal ramo int
della azygos
iato costo-lombare di Henle
2. scissura circoscritta dai pilastri medio e int. È attraversata dal
1
n. piccolo splancnico e dalla catena latero-vertebrale ortosimpatica
2
3. orifizio delimitato dall’arcata dello psoas. Dà passaggio alla vena
3 lombare ascendente e al fascio più alto dello psoas.

16
pilastri dx e sin D8-D10 proiezione sulla
colonna dell’Orifizio della
vena cava inf e dà passaggio
ramo int della
vena grande alla vena cava inferiore ed al
azygos n. frenico dx (la vena cava
n. grande inf drena il sangue dagli AAII,
ramo int della splancnico pertanto quando sono presenti
vena grande
azygos edemi agli AAII vuol dire che
sono presenti delle disfunzioni.
iato costo- Andando a lavorare le bender-
lombare
arcata dello catena simpatica elle si lavorerà indirettamente
psoas n. piccolo sulla vena cava e si favorirà il
splancnico drenaggio venoso degli AAII.
Inoltre andando a lavorare
anche a livello intestinale, dove
arriva l’innervazione del n. freni-
co, si migliorerà l’edema a livello
degli AAII. Anche un lavoro sull’
OTS migliorerà la vascolariz-
zazione del diaframma poiché
le aa. succlavie sono deputate a
vene lombari D8-D10 = esofago vascolarizzare il diaframma.
ascendenti

orifizio
fogliola ant esofageo
orifizio
della VCI
fogliola sin
bendelletta
bendelletta semicirc sup semicirc INF
parte costale Ricapitolando: iniziando
fogliola dx
un lavoro dall’alto sullo
orifizio stretto toracico sup,
aortico proseguendo con il dia-
arcata dello psoas iato costo-
arcata del quadrato dei lombi lombare framma toracico e poi con
il diaframma addominale
pilastri dx
sin si miglioreranno condiz-
m. quadrato ioni di edema degli AAII).
dei lombi
m. psoas

17
I rapporti anatomici sono con:

Superiormente:
- cuore: il pericardio aderisce intimamente alla
fogliola anteriore mediante il leg. freno-peri-
cardico.
- polmoni: il legamento polmonare inferiore è
connesso con il diaframma. Pertanto patologie
importanti a livello del polmone possono causare
perturbazioni a livello del diaframma e viceversa.
- aorta, esofago e vena cava INF: per i passag-
sin gio attraverso gli orifizi corrispondenti.
fogliole dx INF bendelletta
ant SUP semicirc INF
• Inferiormente a dx:
-fegato
-angolo colico dx
-rene e surrene

Inferiormente a sin:
- stomaco, esofago, milza (post-lat), angolo
colico sin, rene e surrene.
Pancreas e duodeno sono organi retroperi-
toneali e sono maggiormente influenzati dalla
dinamica vascolare e nervosa del diaframma.

n. piccolo
splancnico
iato costo-
lombare Questi sono i rapporti più
prossimi che il diaframma
n. grande contrae con i vari organi,
splancnico ma grazie alle correlazioni
fascio fasciali esso entra in relazi-
costale
di Weber one anche con altri organi
arcata del della catena ascendente e
quadrato discendente.
dei lombi
vena lombare
ascend
arcata di
Senac
arcata di
Senac
arcata del quadrato
dei lombi
m. quadrato arcata dello psoas
dei lombi catena simpatica
arcata dello psoas
m. psoas

18
XII pacchetto vascolo- Innervazione
nervoso intercostale XI costa leg lombo-costale L’innervazione è assicurata da:
XII costa XII costa di Henle - n. frenico dx e sin: partono da C3-C4-
recesso pleurale sin (lunga) dx (corta) fascio
fascio C5
costo-diafram inf sup inf
- nn. intercostali (che agiscono in un
tempo inspiratorio dopo avere ricevuto
informazioni dai centri bulbari siti a livello
del tronco encefalico-IV ventricolo. Si
dovrà tenere conto di ciò quando si an-
dranno ad eseguire delle manovre sul IV
ventricolo perché si andrà ad agire anche
a livello dei nervi intercostali). I Pz con
tetraparesi hanno una respirazione di tipo
paradosso perché non funzionando i ner-
vi intercostali il diaframma non lavorerà in
inspirazione, ma avrà solo una dinamica
di espirazione, che è una dinamica pas-
siva di ritorno. Pz con respirazione alta
tendono a mettere in funzione molto la
componente muscolare degli scaleni e
aponeurosi del trasverso dello stretto toracico superiore, che ne
condizioneranno anche la postura.
Vascolarizzazione
La vascolarizzazione del diaframma è di competenza delle seguenti arterie:
- a. mediastinica post per i pilastri (di provenienza dall’aorta toracica)
- a. diaframmatica sup (proveniente dall’a. mammaria interna a sua volta originatasi dalla succlavia.
L’arteria e la vena mammaria interna passano a livello della scissura di Larrey, dietro alla xifoide da dove
partono i muscoli digastrici; quando si va a liberare la zona delle cupole diaframmatiche e delle coste, si as-
sicura un migliore drenaggio a livello mammario.

Pertanto se c’è una restrizione di


a. mammaria int mobilità a questa zona non c’è un
a. diaframmatica sup buon apporto vascolare e questa
n. frenico dx condizione a lungo andare può es-
n. frenico sin sere una base allo sviluppo di una
neoplasia mammaria, soprattutto nei
soggetti familiarmente predisposti.
a. mammaria int
La mammaria int contrae rapporti
con l’arteria ipogastrica ed a livello
del bacino con l’arteria femorale, per-
a. muscolo frenica
tanto anche questo può giustificare la
presenza di edema degli arti inferiori
a partenza da disfunzioni superiori)
a. capsulare sup - a. diaframmatica inf (proveniente
dall’aorta addominale).

ganglio semilunare

Fisiologia
Il movimento del diaframma, vista la disposizione dei muscoli digastrici e dei pilastri, è di tipo elicoidale
verso il basso-avanti, ma non uniforme.
19
L’atto respiratorio si compone di una fase inspiratoria ed una fase espiratoria.

Fase INsp
Si articola in tre tempi:
1. Precontrazione dei muscoli digastrici (sono il diaframma, che dalla xifoide va a K10-K11-K12 anterior-
mente e poi arrivano a livello di L1 posteriormente per continuarsi nei pilastri).
2. La contrazione dei muscoli digastrici determina l’abbassamento del centro frenico. In questo secondo
tempo inspiratorio si contraggono e si mettono in azione anche i pilastri.
3. L’appoggio del diaframma sui visceri (creando una pressione positiva in addome ed una pressione
negativa nel torace) permette l’apertura trasversale del diaframma.
I nervi frenici dai centri bulbari inviano l’impulso ai nervi frenici affinchè il centro frenico termini la sua
discesa ed i muscoli intercostali si attivino determinando l’apertura della gabbia toracica (gli intercostali
bassi aumentano il diametro trasversale mentre quelli alti determinano un aumento del diametro verticale).
Si avrà pertanto l’aumento dei diametri:
verticale: per abbassamento del centro frenico;
antero-posteriore: per attivazione dei muscoli intercostali alti;
trasversale: per attivazione dei muscoli intercostali bassi;

Fase Esp
È un movimento puramente passivo, che è permesso dall’elasticità della cintura muscolare addominale e dal
pavimento pelvico, oltre che dalla forza accumulata a livello dei polmoni.

Conclusioni
Il diaframma partecipa a:
Fonazione
Respirazione
Deglutizione
Esso è in relazione con il sistema gastrointestinale, circolatorio ed urogenitale.
Ha grande importanza per la gestazione ed il parto.
Riveste grande interesse psicoemozionale per la sua relazione con le emozioni.

DISFUNZIONI OSTEOPATICHE DEL DIAFRAMMA


Si definiscono solo disfunzioni in inspirazione (non si parlerà mai di disfunzioni in espirazione).
Si parlerà di due tipi di disfunzioni:
1. Inspirazione: - alta (sempre legate alla cupola)
- bassa (sempre legate alla cupola)
- alta e bassa
Questo tipo di disfunzioni richiederà dei test sulle cupole diaframmatiche.
2. Pilastri: disfunzioni a carico dei pilastri richiederanno dei test sui digastrici e sul centro frenico.
Lo stato di tensione è assimilabile con il tempo attivo respiratorio.

Disfunzioni in inspirazione bassa


Il diaframma mantiene una posizione relativamente bassa rispetto al punto neutro e riduce l’escursione
espiratoria.
Il segno clinico evidente è che le coste basse rimangono aperte nella fase espiratoria (perché c’è qualcosa
che ne ostacola la chiusura in espirazione).
Dopo avere effettuato un test di pressione per valutare quale delle due cupole diaframmatiche è più densa
si pongono i pollici sotto l’arcata costale e si fa respirare il Pz. Nella discesa quando il Pz inspira si percepirà
che una cupola scende prima rispetto all’altra.
Generalmente le disfunzioni diaframmatiche sono unilaterali, ma occasionalmente possono essere bilaterali.
Dal momento che sono quasi tutte unilaterali sarà necessario fare un test di pressione per discriminare quale
cupola è in probabile disfunzione.

Una disfunzione in inspirazione bassa può dipendere da:


20
qualcosa in basso che mantiene il centro frenico in basso con apertura delle coste;
oppure può esserci qualcosa in alto che non lo fa risalire (per es. una disfunzione di OM con ripercussioni a
livello del tubercolo faringeo, dove ha inserzione l’aponeurosi cervicale profonda).

Disfunzioni in inspirazione alta


Il diaframma mantiene una posizione relativamente alta rispetto al punto neutro e la cupola diaframmatica
riduce l’escursione inspiratoria. Pertanto la griglia costale rimarrà chiusa.

Una disfunzione in inspirazione alta può dipendere da:


qualcosa che mantiene il centro frenico in alto;
oppure da qualcosa dal basso che è in disfunzione e che non fa scendere il centro frenico (es. un parto, un
fegato od uno stomaco in disfunzione).

A queste disfunzioni saranno associati dei segni e dei sintomi quali:


dolore a fascia o a cintura (es. un dolore lombare alto a cintura per l’inserzione dei pilastri in questa zona
oppure un dolore dorsale o costale basso),
dolore cervicale per lo stretto toracico superiore (scaleni) e per il n. frenico (che parte da C3-C4-C5), per-
tanto sarà opportuno controllare le vertebre cervicali. Per es. una tensione molto forte sul n. frenico è spesso
causa di un singhiozzo in modo particolare nel bambino,
dolori toracici alti per la presenza dello stretto toracico,
lombalgie per l’inserzione dei pilastri,
edemi, gonfiori, parestesie (per il passaggio della vena cava inferiore),
cefalee e dizzines (confusioni e vertigini) per un problema vascolare e per l’inserzione del centro frenico a
livello del tubercolo faringeo (collegamento fasciale).

Pratica osteopatica
Nella valutazione osteopatica verranno eseguiti:
Test dei mm. digastrici
Test di densità delle cupole, del centro frenico, dei pilastri
Test di mobilità (è riferito alla mobilità di un organo rispetto al diaframma)

Nel trattamento si agirà su:


Muscoli digastrici
Pilastri
Benderelle
Trattamento delle disfunzioni di mobilità

2 sem
Ripasso
Il diaframma rappresenta il motore viscerale per eccellenza, ma non l’unico.
Per mobilità si intende effettuare dei test di mobilità dei visceri in rapporto al diaframma.
È un setto orizzontale che divide la cavità toracica da quella addominale, mettendo in relazione queste due
strutture e riequilibrandone le pressioni al loro interno. Per questo motivo è spesso oggetto di disfunzioni
sia primarie che secondarie: in realtà esso è più spesso una vittima di disfunzioni originatesi in altre sedi.
Anatomicamente è una struttura muscolare che si aggancia su componenti ossee. Esso si compone di tre
strutture: le cupole diaframmatiche, i pilastri ed il centro tendineo. Mentre i pilastri hanno un aggancio
molto forte a livello strutturale attraverso le vertebre da L1-L4 a dx e da L1-L3 a sin, le cupole diaframmat-
iche invece presentano una relazione più viscerale (per la presenza di organi sopra e sottodiaframmatici), il
centro frenico invece è in relazione con l’asse aponeurotico centrale-asse cranio sacrale. Pertanto il diafram-
ma presenta relazioni con tutti i sistemi.
Il diaframma presenta vari iati per il passaggio di strutture importanti con le quali poter mettere in relazi-
one i sintomi che si presentano in corso di disfunzioni; si tratta degli orifizi:
1. esofageo: tra D8-D10 per il passaggio dell’esofago e dei nervi vaghi dx e sx.
2. aortico: tra D10-D12 per il passaggio dell’aorta e del dotto toracico.
21
3. vena cava inferiore: D8-D10 per il passaggio della vena cava inferiore e nervo frenico dx.
4. grande splancnico (D6-D9) e piccolo splancnico (D9-D12): tra il pilastro interno e quello medio.
5. vene lombari ascendenti: tra il pilastro medio e quello esterno.
L’innervazione avviene ad opera del n. frenico e dei nn. intercostali.
La vascolarizzazione avviene ad opera dell’a. diaframmatica superiore ed inferiore e delle aa. medias-
tiniche.
Il drenaggio venoso avviene a livello della vena cava inferiore.

Disfunzioni diaframmatiche
La conoscenza dell’anatomia del diaframma ci permette di mettere in relazione i sintomi del Pz con una dis-
funzione del diaframma. I sintomi di una disfunzione di questo tipo possono essere rappresentati da:
1. Edemi e gonfiori degli arti inferiori: per le relazioni di tipo emodinamico.
2. Lombalgie: possono essere sia di origine meccanica (per la relazione che i pilastri hanno con i corpi verte-
brali, questo giustificherà la presenza di disfunzioni in NSR lombari con dolori lombari) che vascolare (per la
presenza della vena lombare ascendente).
3. Cefalee: sia da un punto di vista emodinamico (per il ritorno venoso) che meccanico (attraverso l’asse
aponeurotico centrale e la sua inserzione a livello del tubercolo faringeo giustificate da disfunzioni del
cranio).
4. Cervicalgie: per l’innervazione del nervo frenico (a partenza da C3-C5).

Disfunzioni diaframmatiche: pratica


L’Osteopata deve porsi alla dx del Pz.
Si procede all’osservazione del torace e dell’addome del Pz per mettere in evidenza cicatrici, nei, macchie
(cose grosse), colorito, eventuali capillari rotti.
Successivamente si valuta come ventila il Pz, dove respira maggiormente e come si espande e si retrae la
parte costale bassa del diaframma durante l’inspirazione e l’espirazione perché sono queste ad essere mag-
giormente visibili. Es il Pz in esame presenta una maggiore escursione respiratoria a livello della zona cen-
trale dell’addome mentre le coste si aprono poco.
A questo punto si può procedere ad un test di pressione sui digastrici,
mediante una digitazione a livello delle inserzioni sulle coste alla ricerca
di zone più dense, più dure. Prendendo un credito di pelle si procede
con la digitazione ponendosi tra il viscere sottostante e le coste in modo
da testare le inserzioni muscolari a livello sottocostale (si arriva sino
a K10 poiché a livello delle coste fluttuanti si trovano le inserzioni delle
arcate dello psoas, del trasverso e di Senac). L’appoggio non è punti-
forme, ma avviene utilizzando la lunghezza di tutto il polpastrello. Si pro-
cede in maniera comparativa sui due emitoraci. NB: questo test in realtà
rappresenta un lavoro preparatorio di valutazione e di trattamento di un
diaframma in disfunzione.

test di pressione sui digastrici

22
Test di pressione sulle cupole: si prende
un appoggio con l’eminenza tenar ed
ipotenar a livello dell’ipocondrio in esame
e superando un poco il viscere, si prende
contatto con la parete costale (rimanendo
sempre in addome e non appoggiandosi
sulle coste) e mettendosi in direzione della
spalla corrispondente si cerca di superare
il viscere per arrivare come “spinta” a livello
della proiezione sullo spazio intercostale.
È fondamentale che la mano che testa sia
in direzione della cupola diaframmatica in
esame. Test di pressione sulla cupola diaframmatica sin:
direzione di spinta verso la spalla

V spazio
IV spazio

Test di pressione sulla cupola diafram sin: zona di Test di pressione sulla cupola diaframmatica dx:
arrivo della spinta (V spazio intercostale). zona di arrivo della spinta (IV spazio intercostale).
Test delle cupole_VARIANTE
Qualora non si riesca oppure non si
voglia effettuare il test di pressione
sulle cupole diaframmatiche ci si può
posizionare con i pollici sotto le cu-
pole diaframmatiche, mentre con le
altre dita si è sopra la griglia costale.

Test per la individuazione della


cupola diaframmatica in disfunzione
attraverso la valutazione di quale
scende per prima venendo
in contatto con il pollice.
Mentre il Pz respira la cupola con la quale i pollici
vengono a contatto prima è in disfunzione. Appu-
rato questo si valuta la mobilità della griglia cos-
tale per definire se la disfunzione è in inspirazione
alta oppure bassa.

Test per la individuazione della cupola diafram-


matica in disfunzione attraverso la valutazione di
quale scende per prima venendo in contatto con
il pollice (CORRETTA posizione delle dita)

Test di pressione sul centro frenico: con la mano posta in epigastrio ed una inclinazione di 45°, dopo avere
preso un poco di credito di pelle, si effettua una “spinta” in direzione di C7-D1.

23
Test di pressione sul centro frenico: inclinazione Test di pressione sul centro frenico: zona di arrivo della
dell’avambraccio e direzione di spinta. spinta (a livello C7-D1)
Test di pressione ANTERIORE sui pilastri: mantenendo
l’appoggio utilizzato per il test di pressione del centro freni-
co si effettua una “spinta” verticale con direzione dietro-alto.
Con la spinta si dovranno superare i vari piani sino ad arriva-
re a percepire il “duro “ dei corpi vertebrali a livello dei quali
si inseriscono i pilastri.

Test di pressione anteriore sui pilastri:


direzione della spinta dietro e poco in alto

Test di pressione POS-


TERIORE sui pilastri: i
pilastri possono essere tes-
tati anche posteriormente
ponendosi con le mani
molto aperte sui muscoli
paravertebrali tra D12-L4.
Anche in questo caso la
pressione che deve essere
posta deve superare i vari
piani cutanei, muscolari,
ma senza effettuare macro-
movimenti; la spinta deve Test di pressione posteriore sui pilastri: Test di pressione posteriore sui pilastri:
fermarsi ai pilastri e non posizionamento delle mani direzione di spinta da dietro in avanti
andare oltre. La spinta è da dietro in avanti. Questo tipo di test rispetto a quello anteriore permette di dis-
criminare quale dei due pilastri è eventualmente in disfunzione.

Conclusioni: al termine dei vari test di pressione è possibile stabilire quale struttura tra muscoli digastrici,
cupole diaframmatiche, pilastri e centro frenico si trova in disfunzione. In caso di due zone sospette si può
effettuare un test di bilanciamento ed una volta individuata la zona più densa su questa si andrà ad effettu-
are il test di mobilità.

24
Tipi di disfunzioni diaframmatiche
Le disfunzioni del diaframma sono di due tipi:
1. INsp alta: è un diaframma che esegue le fasi di
inspirazione ed espirazione, ma da una posizione
alta. In sostanza nella fase inspiratoria non si apre
né si abbassa, mentre nella fase espiratoria si chi-
ude e rimane alto; quindi riduce la sua escursione
inspiratoria.
2. INsp bassa: è un diaframma che fa sia la fase
di espiro che inspiro, ma da una posizione bassa
riducendo l’escursione espiratoria verso l’alto. In
sostanza nella fase inspiratoria il diaframma si apre
e si abbassa, ma nella fase espiratoria rimane basso Test per valutare l’apertura e la chiusura della griglia
ed aperto (non si chiude né risale). costale e definire il tipo di disfunzione

NB: i fattori che possono determinare questo tipo di disfunzione sono vari e possono agire a livello struttur-
ale, viscerale, cranio-sacrale (come precedentemente descritto).
Inoltre questi due tipi di disfunzione possono essere ulteriormente suddivisi in:
3. Bilaterali: hanno generalmente una base emotiva di fondo.
4.Unilaterale: sono le più diffuse.

Dopo avere effettuato il test di pressione si è riusciti ad individuare la zona in disfunzione, su di essa si va ad
effettuare un test per valutare se la disfunzione è di inspirazione alta oppure bassa. Per fare ciò si pongono
le mani sulla griglia costale e si valuta come essa lavora:
1. se si apre ed abbassa in inspirazione, ma rimane aperta in espirazione si è di fronte ad una disfunzione in
inspirazione bassa della cupola diaframmatica,
2. se non si apre ed abbassa in inspirazione, ma si chiude e sale in espirazione si è di fronte ad una disfunzi-
one in inspirazione alta.

Premesse del trattamento viscerale


Il recoil è una tecnica di correzione diretta perché va contro la barriera tissutale; al contrario il rebaund è
una tecnica di correzione diretta che va all’esterno del tessuto.
Nel viscerale si utilizzerà soprattutto il recoil, mentre su strutture più consistenti come coste e sterno si
utilizzerà il rebaund in quanto queste strutture hanno la tendenza ad avere disfunzioni anche in retrazione:
facendo il rebound l’energia viene portata fuori dal tessuto.
Eseguire una tecnica diretta in ambito viscerale vuol dire attuare una correzione della disfunzione senza
l’ausilio della respirazione del diaframma, mentre con le tecniche funzionali si utilizza la respirazione durante
la correzione.

Valutazione osteopatica pre trattamento


Si procede valutando la tipologia della respirazione del Pz (addominale, toracica bassa o alta), apprezzando
l’ampiezza e la frequenza della ventilazione e la mobilità delle costole basse, medie, alte durante i tempi
inspiratori ed espiratori.

25
Trattamento dei muscoli digastrici
Generalmente il trattamento delle disfunzioni dei muscoli
digastrici prevede l’impiego di tecniche MECCANICHE
DIRETTE.
Innanzitutto per correggere una disfunzione dei mm. di-
gastrici è necessario ricercare la barriera tissutale attraver-
so l’impilamento di tutte le componenti che rendono il
tessuto duro. Pertanto con i pollici si vanno ad impilare le
posizioni in cui il tessuto diventa duro, per es. si ricerca sul
piano frontale la zona di maggior densità e la si mantiene
sotto i pollici. Poi si passa al piano di flesso-estensione
e, una volta trovata la maggior durezza, la si somma alla
precedente. Infine si cerca la zona di maggiore durezza in Impilamento dei tessuti per esecuzione del
inclinazione e la si somma alle due precedenti. recoil (tecnica diretta) per la correzione della
disfunzione dei mm. digastrici
Dopodiché, mantenendo le direzioni di durezza individuate precedentemente si chiede al Pz di prendere
aria e di buttarla fuori e si valuta in quale delle due fasi si percepisce una maggiore durezza. Sulla base di
questa ultima informazione si effettuerà il recoil all’inizio della fase dove si era percepita una maggiore den-
sità (es. nel video in esame è la fase inspiratoria).
Questo tipo di tecnica è veloce ed efficace da eseguire e questo è importante in osteopatia.

Sui muscoli digastrici si può però lavorare anche con altre tecniche quali:
1. Ponsage
2. Siderazioni
3. Tagli connettivali (in genere 3) effettuati con il margine laterale del dito
4. Rimanere sulla zona densa del digastrico e lavorarla fino a che non cede consentendo al pollice di entrare
nel tessuto come fosse burro.

Trattamento dei pilastri


Dopo aver individuato un pilastro in disfunzione mediante i test di pressione da davanti e da dietro (in
quest’ultimo caso si riesce a discriminare quale lato è in disfunzione) si può procedere al trattamento della
disfunzione.
Il Pz è seduto sul lettino con le gambe fuori, mentre l’Osteopata gli si pone di fianco. Questa posizione è det-
tata dal fatto che i pilastri vengono lavorati indirettamente attraverso un lavoro sui muscoli paravertebrali
(che sono sinergici con i pilastri); infatti i pilastri sono posizionati sul margine anteriore dei corpi vertebrali e
ciò li rende difficili da raggiungere mediante un approccio anteriore pertanto è meglio lavorarli da dietro.
La zona del muscolo paravertebrale, che è in relazione con il pilastro si estende da D12 ad L4.
1. Innanzitutto si prende il muscolo paraver-
tebrale e lo si mobilizza verso l’int e verso l’est
così da valutarne la mobilità e individuare la
direzione della disfunzione e di conseguenza
quella in cui va effettuata la siderazione (nel
caso in esame il paravertebrale si mobilizza bene
verso l’interno e male verso l’esterno, pertanto la
siderazione verrà effettuata con direzione fuori).
Per siderare si utilizza la interfalangea. La cosa
più difficile da fare, ma fondamentale è riuscire
ad entrare nella zona da trattare; per fare questo
si possono sfruttare le inclinazioni del tronco del
Mobilizzaz dei mm. paraver- Siderazione del pilastro in
Pz facendo attenzione a non oltrepassare la zona tebrali per valutare la mobil- disfunzione mediante
in disfunzione. ità e il lato della disfunzione interfalangea

26
2. Si può anche agire nell’ang
costo-vertebrale, cioè tra
L1-K12 (reperibile ricercando
k12 e l’angolo a livello della
trasversa di L1). Da qui si può
effettuare un ponsage in dir-
ezione avanti-dentro (perché
bisogna immaginare di proiet-
tarsi sul margine anteriore del
corpo vertebrale).

Ponsage per correzione di una disfunzione dei pilastri


entrando attraverso l’angolo costo-vertebrale
3. Sui Pz che hanno molto dolore in questa zona si può fare una tecnica
indiretta restando fermi con il pollice sulla zona densa e mobilizzare il busto
del Pz a mò di srotolamento. Nelle tecniche indirette in cui si mette in con-
fort il Pz accade il contrario di ciò che si verifica nelle tecniche dirette e cioè
invece di cercare la zona più densa e dura si ricerca dove la zona tende ad
ammorbidirsi. In sostanza si prende punto fisso sull’angolo costo-vertebrale
e si cerca di rendere morbida la zona avviando uno srotolamento del busto.
La tecnica termina quando il dito dell’osteopata entra nel burro, cioè c’è un
grado di soddisfazione tissutale, anche se non si è raggiunto il 100% della
soddisfazione nel trattamento.
NB: l’ang costo-vertebr. è un punto diretto di accesso e di lavoro sul
pilastro.
Ponsage con inclinazione del tronco del Pz per correg-
gere una disfunzione di un pilastro

4. Alla fine del trattamento si esegue nuovamente il test per valutare se la disfunzione è stata corretta.
Trattamento delle cupole diaframmatiche
Dopo avere effettuato un test di pressione ed avere individuato una disfunzione si procede con il test di
mobilità per definire il tipo di disfunzione (inspirazione alta o bassa).
A questo punto si può procedere con la riduzione della disfunzione (ricordando che sul diaframma si utiliz-
zano delle tecniche funzionali perché è lo stesso diaframma a muoversi. All’interno delle tecniche funzionali
si potrà scegliere se effettuarne una di tipo diretto od indiretto).
NB: su tutti i visceri, diaframma compreso, eccezion fatta per il recoil, si preferisce utilizzare delle tecniche
funzionali indirette perché l’addome è dolorabile e non si danno in questo modo stimoli nocicettivi come
accade per le tecniche dirette. Infatti il dolore inibisce la tecnica.
1. Correzione di una disfunzione in INsp BASSA (cioè il griglia
costale si apre durante l’inspirazione, ma rimane aperta durante
l’espirazione, mentre il diaframma è basso).
- L’Osteopata si posiziona con la mano craniale sulla griglia costale,
mentre la mano caudale da una reinformazione tra stomaco e dia-
framma.

Posizione iniziale delle mani

27
In vari tempi INspiratori si apre sempre di più la griglia
costale mentre in espirazione la si mantiene aperta. In
questo modo si apre ancora di più la griglia costale e si
stira ancora di più il diaframma, che si abbassa ulterior-
mente (il tutto con la mano craniale. La mano caudale
invece sta lì ferma e reinforma).
Tutto ciò si esegue fino a che non si percepisce un rilas-
samento del tessuto oppure si è aggravato talmente
tanto che non si riesce ad andare oltre.

Mano craniale che apre la griglia costale


durante la fase di inspirazione
In Esp l’Osteopata Sull’ultima Esp si chi-
porta in alto il dia- ude il diaframma sia
framma con la mano con la mano caudale
caudale reinforman- (che già spinge verso
dolo ulteriormente. l’alto) sia con quella
craniale (che spinge
verso il basso).

Mano caudale du- Posizione finale delle


rante la fase inspira- mani (entrambe in
toria chiusura)

Al termine della correzione si esegue un riequilibrio ascoltando la fase di apertura e di chiusura del diafram-
ma sia stando lì con entrambe le mani oppure dando con le mani una riarmonizzazione. Non è detto che la
tecnica di riarmonizzazione sia necessaria da eseguire alla fine del trattamento; si potrà anche andare a rifare
subito il test di mobilità delle cupole diaframmatiche. Ciò dipende da quelle che sono le nostre sensazioni
all’ascolto, che diventa una fase cruciale, fondamentale del trattamento.
2. Correzione di una disfunzione in INsp ALTA (cioè durante l’inspirazione la griglia costale non si apre,
ma rimane chiusa, mentre durante l’espirazione il diaframma e la griglia costale si chiudono. Quindi il dia-
framma esegue gli atti respiratori in una posizione relativamente alta riducendo la sua escursione durante
l’inspirazione).
In Esp si chiude la griglia costale e si porta il diaframma ancora più in alto con entrambe le mani (posizionate
come nella correzione dell’inspirazione bassa), mentre in fase inspiratoria si mantiene. Quando si percepisce
di essere arrivati perché l’aggravamento ha raggiunto il culmine in inspirazione, si va ad aprire con la mano
craniale, mentre la mano caudale sta li per informare il diaframma che lì c’è il fegato (si può fare elevare il
braccio al Pz dal lato della griglia costale interessata dalla disfunzione). In espirazione invece si mantiene.
A questo punto anche in questo caso, se lo si ritiene necessario si potrà effettuare una fase di riarmonizzazi-
one.
NB: poiché quasi sempre il diaframma è una vittima, prima di ogni eventuale approccio specifico al dia-
framma, è opportuno valutare e trattare sempre le cause primarie che hanno generato e mantenuto queste
disfunzioni diaframmatiche, traumatiche, viscerali (sopra o sottostanti) o psico-emozionali che siano.

Bonetti
Premesse
Mentre nell’effettuare i test di mobilità ci si deve posizionare alla dx del Pz, nell’eseguire le correzioni ci si
può posizionare indifferentemente da un lato oppure dall’altro.
Tutte le volte che si hanno dei dubbi sul posizionamento delle mani nelle tecniche di correzione delle dis-
funzioni del diaframma mettersi nella posizione del test di mobilità.
Il movimento delle mani durante l’esecuzione della correzione della disfunzione deve essere fluido ed in
simbiosi con la respirazione del Pz.

Valutazione osteopatica pre trattamento


28
Si procede valutando la tipologia della respirazione del Pz (addominale, toracica bassa o alta), apprezzando
l’ampiezza e la frequenza della ventilazione e la mobilità delle costole basse, medie, alte durante i tempi
inspiratori ed espiratori.

Test di pressione su muscoli digastrici


Con i pollici e tutta la falange, dopo avere acquisito un credito di pelle, si deve entrare bene dentro la griglia
costale in considerazione del fatto che i digastrici hanno una inserzione posteriore (se si rimane troppo an-
teriori si percepisce la tensione dei retti dell’addome e degli obliqui). Il pollice deve fare un movimento a “C”
entrando dietro e dentro.
Test su mm.
digastrici: il
movimento
deve essere a
“C”, cioè diretto
in dietro-den-
tro in modo
da reperire
l’inserzione
sulla parete
interna delle
coste

Trattamento dei muscoli digastrici Trattamento dei digastrici mediante ponsage


Si può procedere mediante diverse tecniche correttive
quali:
1. Ponsage

2. Mantenere un punto fisso sulla zona dove


c’è tensione e:
- rimanere lì fino a che non si sente il tessuto
cedere ed il dito affondare come “nel burro”.

29
- Sentire che parte un movi-
mento verso una determinata
direzione e seguirlo penet-
rando all’interno fino a che
questo non si ferma e si ha la
sensazione che il dito pen-
etri dentro il burro oppure il
movimento riparte in un’altra
direzione. Visivamente non si
percepisce nulla, mentre sia
l’Osteopata che il Pz sentono
tale movimento.
Trattam. dei digastrici mantenendo un punto fisso sino a che non si ha la sen-
sazione che il tessuto voglia andare in una direzione diversa. Visivamente non
si percepisce nulla, ma sia l’osteopata che il Pz avvertono questa sensazione
Trattamento dei digastrici: - Trattamento connettivale approcciando il con-
riproduzione del mo- nettivo e lavorandolo in una direzione come se si
vimento che eseguono i
pollici nel seguire il movi- volesse tagliare il tessuto.
mento del tessuto - Recoil

Trattamento dei digastrici mediante tagli connettivali

Test di pressione e di mobilità sui pilastri


Approccio ANTeriore
La direzione di spinta è verso dietro. In considerazione del fatto che la colonna vertebrale si trova a metà
del tronco del Pz (valutandone lo spessore) sarà necessario esercitare una pressione tale da ammortizzare
tutti i tessuti sino ad arrivare alla colonna vertebrale; pertanto tale pressione non sarà eccessiva.
Nel caso si percepisca l’aorta pulsare si dovrà procedere a testare i pilastri posteriormente.

30
Test di pressione ANT sui pilastri Test di pressione POST sui pilastri
Approccio POSTeriore
La direzione di spinta è verso avanti.
Anche in questo caso la pressione della spinta dovrà essere tale da arrivare sui pilastri e non oltre. Ciò è
possibile tramite una spinta lenta e progressiva che consenta di percepire prima la pelle, poi la componente
muscolare quindi l’osso del corpo vertebrale a livello del quale si inseriscono i pilastri. Quindi il ventre del Pz
non deve muoversi.

Test di pressione sui pilastri: livello che si deve raggiungere nella


“depressione” dei tessuti per arrivare a testare i pilastri

Test di pressione sui pilastri: approccio pos-


teriore. Movimento che effettuano le mani
nel testare i pilastri
Test di pressione sui pilastri: approccio posteriore
Trattamento dei pilastri
Dopo aver individuato un pilastro in disfunzione mediante i test di pressione da davanti e da dietro si può
procedere al trattamento della disfunzione.
Il Pz è seduto sul lettino con le gambe fuori, mentre l’osteopata gli si pone di fianco. Questa posizione è det-
tata dal fatto che i pilastri vengono lavorati indirettamente attraverso un lavoro sui muscoli paravertebrali
(che sono sinergici con i pilastri); infatti i pilastri sono posizionati sul margine anteriore dei corpi vertebrali e
ciò li rende difficili da raggiungere mediante un approccio anteriore pertanto è meglio lavorarli da dietro.
La zona del muscolo paravertebrale, che è in relazione con il pilastro si estende da D12 ad L4.
1. Innanzitutto si prende il muscolo paravertebrale e lo si mobilizza verso l’interno e verso l’esterno così da
valutarne la mobilità in modo da avere la direzione della disfunzione. Una volta individuato il livello di mag-
31
giore tensione del muscolo paravertebrale-pilastro si dovrà entrare con il dito flesso tra la parete laterale
della spinosa della vertebra e la parete interna del muscolo paravertebrale con direzione avanti ed in pro-
fondità. A questo punto ci si aggancia bene e si sidera. Ci si può aiutare con l’inclinazione del tronco consid-
erando che il movimento non deve superare la zona di densità sulla quale si intende effettuare la siderazi-
one. (La siderazione va effettuata con la direzione degli arti superiori sempre verso l’interno dell’Osteopata,
naturalmente cambiando mano a seconda del lato da trattare).

Test di mobilizzazione verso l’interno Siderazione con il dito flesso tra la


e l’esterno del muscolo paravertebrale parete laterale della spinosa della
per valutarne la mobilità ed a che liv- vertebra e la parete interna del
ello si localizza la disfunzione muscolo paravertebrale con direzi-
one avanti ed in profondità

Nell’effettuare la siderazione ci si può aiutare con l’inclinazione del tronco del paziente facendo attenzi-
one a non oltrepassare la zona in disfunzione. Questa manovra è errata!
2. Si può anche agire nell’angolo costo-vertebrale, cioè tra L1-K12 (reperibile ricercando k12 e l’angolo a
livello della trasversa di L1). Il Pz è sempre seduto sul lettino, mentre l’osteopata si pone lateralmente. Egli
prende contatto con un dito con l’angolo costo vertebrale posizionato lateralmente alla trasversa della ver-
tebra al di sotto della costola ed inizia ad entrare dentro con direzione avanti-dentro a contattare il pilastro.
Anche in questo caso si possono effettuare diverse tecniche quali:
- Ponsage
- Vibrazioni
- Mantenimento della tensione su di un punto fisso sino a che la tensione non molla ed il dito affonda come
nel burro
- Mantenendo la tensione su di un punto fisso si può effettuare una inclinazione del tronco in modo da real-
izzare uno srotolamento fasciale. Il fulcro dello srotolamento deve rimanere a livello della zona più densa.

32
Tecnica di riduzione della disfunzione prendendo
come repere l’angolo costo-vertebrale a livello
del quale si può agire mediante ponsage, vi-
brazioni, mantenimento di un punto fisso (con
o senza inclinazione del tronco) e srotolamento
fasciale.

Test di pressione sulle cupole diaframmatiche


Questo test si divide in due fasi:
I Fase: è quella relativa al test di pressione vero e proprio effettuato per discriminare la cupola in disfun-
zione. Qualora non si utilizzi il test di pressione si può valutare quale cupola scende prima (variante) con
la respirazione, questa sarà in disfunzione. L’”ascolto” viene effettuato tramite il pollice che non deve stare
troppo sotto l’arco costale perché altrimenti si è in contatto con i muscoli digastrici. I pollici devono in realtà
esercitare una leggera pressione in modo da compattare i tessuti verso la cupola così che quando la cupola
scende la si sente subito arrivare sul tessuto compattato.

Test di pressione sulle cupole


diaframmatiche: I° fase. Posiz-
ione dei pollici nell’individuare
quale cupola scende per
prima (che corrisponderà a
quella in disfunzione).

Test di pressione sulle cupole diaframmatiche: I° fase.


Compattamento dei tessuti che si deve raggiungere
per poter percepire la cupola diaframmatica durante
il test di pressione

II Fase: serve per valutare il tipo di disfunzione della cupola, cioè se è in disfunzione in inspirazione bassa
oppure in inspirazione alta.

Trattamento delle cupole diaframmatiche


Dopo avere effettuato un test di pressione ed avere individuato una disfunzione si procede con il test di
mobilità per definire il tipo di disfunzione (inspirazione alta o bassa).
1. Correzione di una disfunzione in INsp BASSA (cioè il griglia costale si apre durante l’INsp, ma
rimane aperta durante l’espirazione, mentre il diaframma è basso).
Per questo tipo di disfunzione si procede con una tecnica funzionale in aggravamento seguita da una tec-
33
nica diretta. L’Osteopata si posiziona con la mano craniale bene a contatto con la griglia costale. La mano
caudale mediante l’eminenza tenar è in contatto con l’ipocondrio in modo da ammassare i tessuti verso la
cupola diaframmatica.
In INsp la griglia costale si apre e l’Osteopata ne favorisce l’ulteriore apertura; contemporaneamente la cu-
pola diaframmatica scende e l’osteopata fornisce un appoggio al diaframma.
In Esp l’Osteopata mantiene la griglia costale aperta facendo una trazione verso l’alto, mentre con la mano
caudale può seguire la cupola che sale. In sostanza è come se l’osteopata guadagnasse un poco verso l’alto.
Questo procedimento viene effettuato per più fasi respiratorie sino a che il tessuto non vuole più e pertanto
si procede verso la correzione: in espirazione la mano craniale aiuta a chiudere la griglia costale mentre la
mano caudale mantiene la cupola verso l’alto. È come se si effettuasse un lavoro a coppia. In inspirazione la
griglia costale si vuole aprire ma la si mantiene chiusa.

Tecnica di riduzione di una dis- La mano caudale mediante In insp la griglia costale si apre e
funzione in INsp BASSA: fase di l’eminenza tenar è in contatto con l’Osteopata ne favorisce l’ulteriore
aggravamento. La mano craniale è l’ipocondrio in modo da ammas- apertura
posizionata sulla griglia costale sare i tessuti verso la cupola dia-
frammatica

In inspirazione la cupola dia- Questo procedimento viene effet- Fase di correzione con tecnica
frammatica scende e l’Osteopata tuato per più fasi respiratorie sino a diretta: in Esp la mano craniale
fornisce un appoggio al diaframma che il tessuto non vuole più e per- aiuta a chiudere la griglia costale
tanto si procede verso la correzione mentre la mano caudale mantiene
la cupola verso l’alto. È come se
si effettuasse un lavoro a coppia.
In insp la griglia costale si vuole
aprire ma la si mantiene chiusa

2. Correzione di una disfunzione in INsp ALTA (cioè durante l’inspirazione la griglia costale non si
apre, ma rimane chiusa, mentre durante l’espirazione il diaframma e la griglia costale si chiudono. Quindi il
diaframma esegue gli atti respiratori in una posizione relativamente alta riducendo la sua escursione du-
rante l’inspirazione).
In inspirazione la griglia tende ad aprirsi, ma l’Osteopata la mantiene chiusa con la mano craniale, mentre la
mano caudale posta sull’ipocondrio mantiene l’appoggio.
In espirazione si aggrava la chiusura della griglia costale.
Questo procedimento si ripete per diversi cicli respiratori dopo di che si attua la correzione: in inspirazione la
griglia costale si apre e l’osteopata va ad aprirla con la mano craniale; indirettamente si apre anche la cupola
34
diaframmatica anche solo aprendo la griglia costale.
Alla fine della correzione si ripete il test per valutare se qualcosa è cambiato.

Tecnica di correzione di una In inspirazione la griglia tende In espirazione si aggrava la chiusura


disfunzione in INsp ALTA: po- ad aprirsi, ma l’Osteopata la della griglia costale. Questo procedi-
sizione delle mani (la craniale è mantiene chiusa con la mano mento si ripete per diversi cicli respira-
sulla griglia costale, la caudale è craniale, mentre la mano caudale tori dopo di che si attua la correzione.
solo di appoggio-informazione). posta sull’ipocondrio mantiene
l’appoggio

Tecnica di riduzione di una disfunzione Tecnica di riduzione di una disfunzi-


di INsp ALTA: fase diretta. In inspirazione one di insp alta: fase diretta. La mano
la griglia costale si apre e l’Osteopata va caudale da un appoggio a livello della
ad aprirla con la mano craniale; indiret- cupola diaframmatica.
tamente si apre anche la cupola diafram-
matica anche solo aprendo la griglia
costale

NB: poiché quasi sempre il diaframma è una vittima, prima di ogni eventuale approccio specifico al dia-
framma, è opportuno valutare e trattare sempre le cause primarie che hanno generato e mantenuto queste
disfunzioni diaframmatiche, traumatiche, viscerali (sopra o sottostanti) o psico-emozionali che siano.

Tecnica di riequilibrio diaframmatico


È una tecnica che viene utilizzata al termine del trattamento sul diaframma per riequilibrare le tensioni.
Sfrutta la respirazione del Pz e l’induzione dell’osteopata.
Bisogna innanzitutto seguire le fasi respiratorie del Pz oppure chiedergli di effettuare una respirazione leg-
germente più profonda (non troppo perché altrimenti il diaframma non ha escursione per poter lavorare).
Il Pz è supino sul lettino mentre l’osteopata effettua la presa del test con l’appoggio degli indici leggermente
sotto l’arco costale.
Nell’inspirazione l’osteopata lavora in apertura avanti-fuori su di un emitorace, mentre sull’altro emitorace
lavora in chiusura e dietro (come a dover passare la tensione sull’altra mano che sta aprendo).
Nell’espirazione la mano che era sull’emitorace in apertura lo chiude con una spinta diretta dietro-dentro in
modo da passare il “testimone” all’altra mano che nell’inspirazione successiva va ad aprire l’emitorace, men-
tre l’altra mano va a chiudere l’emitorace.
La traiettoria che si disegna è quella di un “8” sul piano orizzontale, avendo come riferimento il centro
frenico.
35
L’Osteopata effettua la presa del Nell’inspirazione l’osteopata Sull’altro emitorace lavora in chiusura
test con l’appoggio degli indici lavora in apertura avanti-fuori su e dietro (come a dover passare la ten-
leggermente sotto l’arco costale di un emitorace sione sull’altra mano che sta aprendo)

Nell’espirazione la mano che


era sull’emitorace in apertura
lo chiude con una spinta diret-
ta dietro-dentro in modo da
passare il “testimone” all’altra
mano

Nell’espirazione la mano
che era sull’emitorace in
apertura lo chiude con una
spinta diretta dietro-dentro
in modo da passare il “tes-
timone” all’altra mano che
nell’inspirazione successiva
va ad aprire l’emitorace, men-
tre l’altra mano va a chiudere
l’emitorace

La traiettoria che si disegna è quella


di un “8” sul piano orizzontale, avendo
come riferimento il centro frenico
Test di pressione sul centro frenico
La direzione di spinta è verso D8, avendo cura di inclin-
are l’avambraccio.

36
Dragonetti

LO STOMACO
Lo stomaco è un organo piuttosto importante da un
punto di vista anatomico, funzionale e pratico/clinico.
Esso occupa il quadrante dell’epigastrio (in parte) e
dell’ipocondrio sin. Quindi dal punto di vista osteopati-
co lo stomaco ci interessa molto per l’aspetto biomeccan-
ico perché è un organo completamente intraperitoneale,
pertanto è totalmente avvolto da peritoneo, che è un tes-
suto connettivo sieroso (quindi lo stomaco lo dobbiamo
immaginare come avvolto da una grande fascia).
Lo stomaco, dunque, ha sia rapporti anatomici con strut-
ture come i legamenti, sia rapporti anatomici con organi
adiacenti; per cui se ci sono restrizioni di mobilità a livello
dello stomaco, tali restrizioni si possono creare anche a
distanza, e a lungo andare le disfunzioni mantenute a liv-
ello di questo organo, anche se non interessano l’organo
in senso stretto, di per sé nel tempo possono dare delle
ripercussioni a livello della sua funzionalità organica in-
trinseca. Questo aspetto lo andremo a valutare, testare e
trattare soprattutto a livello dei legamenti che tengono
in sede lo stomaco.

Tra l’altro è opportuno dire che lo stomaco ci interessa anche per un discorso biochimico: infatti, nello
stomaco avviene una II digestione, mentre la I digestione avviene a livello della bocca. Il bolo alimen-
tare dalla bocca scende, arriva nello stomaco e lì hanno inizio le prime scissioni.
Se lo stomaco è in condizioni di normalità non c’è problema; mentre se ci sono condizioni afferenti ed effer-
enti che vanno ad alterare quella che è la sua struttura, a lungo andare si può alterare anche la funzionalità
dell’organo e negli anni si possono avere problemi biomeccanici oltre che di tipo emodinamico (riguar-
do quello che è la fisiologia interna, la vascolarizzazione e l’innervazione).
Nella visione frontale, la prima struttura che si può vedere e testare (frontalmente) è il piloro, che è uno
sfintere dello stomaco e rappresenta il I punto fisso che generalmente non cambia. Sotto il piloro inizia il
duodeno. Lo stomaco è ricoperto quasi interamente dal lobo sin del fegato. Poiché il fegato è un organo
pieno molto più grande, nell’organizzazione embriologica mesodermica, il lobo sx del fegato si è sviluppato
spingendo tutto lo stomaco verso l’ipocondrio sin, ecco perché troviamo quest’ultimo ad occupare oltre che

37
l’epigastrio anche l’ipocondrio sin. Inoltre
lo stomaco è una sacca che si è organiz-
zata girandosi su se stessa per mancanza
di spazio e successivamente non ha preso
mesocolon attacchi sulla parete posteriore come è
trasverso successo per altri organi, ma è andata a
fossetta sopra- creare dietro a livello dell’epigastrio una
duodenale
zona importantissima detta RETROCAVITA’
fossetta DEGLI EPIPLOON: questa rappresenta
duodenale SUP funzionalmente un piano di scivolamento
dove l’organo può muoversi soprattutto
fossetta duode- quando gli arriva cibo senza sbattere con-
no- digiunale tro la parete posteriore addominale. Infatti
vena dobbiamo, come già detto, immaginare lo
mesenterica inf
stomaco come una sacca. A digiuno tale
sacca è ristretta, ma nel momento in cui ar-
fossetta riva il bolo alimentare, si riempie e si dilata.
duodenale INF Per potersi dilatare e restringere, senza ur-
tare contro le pareti addominali posteriori,
grande epiploon ha bisogno di uno spazio che 1) aumenti le
superfici di scorrimento e 2) funga al con-
tempo da ammortizzatore meccanico. Tale
superficie è individuabile appunto nella
retrocavità degli epiploon, localizzata nello specifico posteriormente a livello del piccolo epiploon o pic-
colo omento, che è un leg. gastroepatico che parte dallo stomaco e arriva al fegato.
alto foglietto
dell’epiploon
gastro-splenico
leg. gastro-
frenico stomaco sinistra
milza
foglietto dell’epiploon
pacreatico-splenico

stomaco

peritoneo
gastrico
(foglietto ant)

arteria
gastro-
epiploica

pancreas
mesocolon destra
trasverso obliterazione del
sacco epiploico obliterazione del
basso
sacco epiploico

38
leg. gastro-frenico A livello inoltre di questa retrocavità
dietro davanti degli epiploon passano i
peritoneo stomaco PEDUNCOLI VASCULO-NERVOSI;
parietale post posteriormente alla parete dell’epiploon,
proprio a contatto con la parete posteri-
sezione dell’
immagine ore dell’addome e davanti alle vertebre,
parete post
dell’a.c.e. passa l’aorta con le sue diramazioni e lì
borsa retro- adiacente la vena cava inferiore.
gastrica dell’a.c.e. peritoneo gastrico ant
a. splenica peritoneo gastrico post
parete ant dell’a.c.e

pancreas a. gastroepiploica dx

leg gastro-colico
mesocolon
trasverso

arcata grande epiplon


di Riolan

grande tuberosità
cardia ANATOMIA DELLO STOMACO
In condizioni di normalità se
vogliamo darne una proiezi-
grande one topografica sulla colonna
curvatura vertebrale, lo stomaco si proi-
2 cm
etta e si estende tra D10 e L2.
Tuttavia, lo stomaco cambia
da soggetto a soggetto sia per
piccola quanto riguarda la forma sia
curvatura per quanto riguarda la dispo-
corpo sizione; quindi diciamo che
1,5

piloro orientativamente lo stomaco


si estende con una proiezione
vertebrale da D10 a L2; è lungo
circa 20-25 cm, largo 10-15 cm,
ma non è sempre così.

piccola tuberosità

La proiezione di un organo sulla colonna è molto importante da un punto di vista osteopatico, proprio per-
ché l’osteopatia trattando la globalità lavora sulle proiezioni: con le nostre mani andremo a testare l’organo
e arriveremo su di esso, spesso con la nostra intenzione, perché comunque essendo lo stomaco un viscere,
dobbiamo prima attraversare dei piani incontrando dapprima la pelle, il grasso, gli strati muscolari, la fas-
cia trasversalis, il peritoneo; quindi con la nostra intenzione sappiamo di stare sul fegato, sullo stomaco
rispettando delle proiezioni. Non è sempre così: infatti se ad es. ci troviamo di fronte un soggetto longilineo,
39
non troveremo più uno stomaco alto e largo, ma lo troveremo più allungato. Quindi nel momento in cui faremo
una palpazione e palperemo i punti di repere sapremo teoricamente che questa sacca si troverà sull’ipocondrio
sin e subito al di sotto delle coste; tuttavia in condizioni patologiche, quando lo stomaco stesso perde i contatti
con il diaframma, e quindi siamo in una condizione di ptosi, possiamo trovare il nostro stomaco anche sceso a
livello intestinale: è il caso questo del classico STOMACO ATONICO (stomaco completamente patologico).
In una persona brachilinea, invece, lo stomaco sarà molto più largo e sporgerà poco dalla griglia costale; poi
sarà ovviamente solo la palpazione e la percussione che ci darà una indicazione un pò più precisa.

Lo stomaco ha 2 facce:
anteriore
posteriore.

Ha 2 punti fissi:
1. Il cardias, che mette in comunicazione lo stomaco con l’esofago. Esso si trova a livello di K7 (7 carti-
lagine condrosternale anteriormente). A livello del cardias, abbiamo una linea detta linea Z che delimita il
confine tra l’esofago (tubo che parte dall’osso ioide e arriva al cardias) e lo stomaco. Siamo sulla proiezione
vertebrale di D9-D10. La linea Z è una linea importante che viene utilizzata dal gastroenterologo per valu-
tare il reflusso gastro-esofageo, attraverso il cambiamento del colore della mucosa: questo limite, infatti,
rappresenta un passaggio dalla mucosa dell’esofago alla mucosa dello stomaco. Questa zona, inoltre, è
quella più soggetta alle trasformazioni neoplastiche in presenza di reflusso di HCL.
2. L’altro punto fisso è il piloro, che si trova in proiezione di L1 e delimita il passaggio della fine dello
stomaco all’inizio del duodeno.
In conclusione quindi cardias e piloro sono 2 punti fissi essenziali che tengono in sede lo stomaco.

Lo stomaco presenta poi una grossa o grande tuberosità che è una GRANDE CURVA CONVESSA e
orientata a sin detta anche FONDO DELLO STOMACO. Il fondo dello stomaco è importante perché ne fa-
remo un reperimento a livello del V spazio intercostale (K5): esso segue il limite tra il diaframma e l’inizio
dello stomaco.
Mediante la percussione a questo livello è possibile sentire un cambio di tono:
Suono più chiaro: significa che siamo ancora a livello della pleura e del diaframma.
Suono più cupo: cambia spesso; significa che siamo sulla grande tuberosità dello stomaco.

Poi abbiamo una PICCOLA CURVA, concava verso dx.

La parte centrale è rappresentata dal CORPO DELLO STOMACO che finisce poi con l’antro pilorico (con-
nette il piloro al corpo dello stomaco), con il restringimento del piloro e poi con il piloro (che connette lo
stomaco al duodeno).
Lo stomaco presenta davanti una struttura connettivale gialla, detta GRANDE OMENTO, struttura ricca di
grasso che ricopre anteriormente l’addome, con funzione di protezione degli organi e funzione termica,
oltre che immunitaria.
GRANDE OMENTO: è un grembiule giallo, che avvolge gli organi definiti intraperitoneali. Esso parte dalla
grande curvatura dello stomaco, mediante il legamento gastrocolico, ed arriva anteriormente al colon tras-
40
verso e da lì va a formare tutta una sorta di grembiule, che avvolge gli organi con funzione di protezione.
Poi ci sono organi definiti invece retroperitoneali, i quali non sono avvolti interamente dal peritoneo, ma
saranno ricoperti solo nella loro parete anteriore.

RAPPORTI ANATOMICI DELLO STOMACO CON ALTRI ORGANI


Parte SUP: a livello della grande tuberosità o fondo dello stomaco, attraverso il legamento gastro-fren-
ico (legamento teso tra stomaco e diaframma) contrae rapporti con diaframma. Lo stomaco inoltre contrae
rapporti con il pericardio, con la pleura e con i polmoni.
Sempre per un discorso fasciale e neurovegetativo si possono fare dei collegamenti clinici con il cranio.
Poi attraverso il piccolo epiploon o secondo legamento dello stomaco, che unisce l’ilo del fegato alla
piccola curva dello stomaco, lo stomaco entra in contatto, a livello dell’epigastrio, con il lobo sin del fegato.
angolo di His
leg. gastro-
frenico
Parte INF: anteriormente nella
parte inf, dove arriva il corpo
piccola grande dello stomaco e poi il piloro dello
curvatura curvatura stomaco, lo stomaco, come orga-
epiploon no, contrae rapporti con il colon
piccolo
epiploon gastro- trasverso, le anse del tenue e
splenico con parte del duodeno.
prolungamento
dx dell’a.c.e.
sustentaculum Posteriormente: lo stomaco è in
lienico rapporto con la testa del pan-
arcata gastro- prolungamento creas, tronchi vasculo-nervosi,
epiploica sin dell’a.c.e.
arcata di la milza (postero-lateralmente a
Riolan legamento sin), con il mesocolon trasverso,
gastro-
colico altro legamento o meglio meso, e
anche con ghiandola surrenale
e il rene sinistri.
grande
mesocolon epiploon
trasverso

Ricorda:
epiploon sono i legamenti che
ganglio semi- rene dx uniscono 2 organi tra loro,
lunare sin
faccia gastri- meso sono i legamenti che
ca della milza uniscono un organo alla parete
peduncolo
splenico retrostante
coda del
surrene sin pancreas Parlando dello stomaco è fon-
damentale descrivere e parlare
mesocolon di un particolare spazio che lo
a. renale sin trasverso
caratterizza detto SPAZIO DEL
testa del arcata di TRAUBE.
pancreas Riolan

angolo
duodeno-
digiuno

41
Spazio del TRAUBE
Esso è uno spazio triangolare che serve essenzialmente per delimitare la regione tra K5-K9, dove si effettua
la percussione; tutta questa regione tra K5-K9 anteriormente e lateralmente ha un interesse semeio-
logico, nel senso che corrisponde ad una regione occupata dal gas, poiché all’interno dello stomaco c’è aria,
gas, in quanto lo stomaco è un organo cavo, rispetto invece al fegato che è un organo parenchimatoso
pieno.
Questo spazio sarà sede di percussione e auscultazione, perché è proprio lì che si possono riscontrare poi
delle problematiche disfunzionali o patologiche, relative allo stomaco.
Quando infatti, andremo a palpare lo stomaco, così come gli altri visceri, dobbiamo far caso se ci si presen-
tano sotto le mani delle densità.
Infatti, si dice che un viscere è in disfunzione se è duro/denso: ed è lì che faremo auscultazione e palpazione,
facendo in tal caso attenzione al cambiamento di suono.
Se alla palpazione ci si presenta un viscere morbido e mobile, significa che quel viscere non ha alcuna prob-
lematica.
Naturalmente, cosa molto importante da considerare a livello pratico, è l’orario in cui si fa il trattam, poiché:
a digiuno lo stomaco è vuoto per cui alla palpazione e percussione noi non sentiremo nulla
a stomaco pieno o a metà della fase digestiva, si può alterare la dinamica: quindi si può andare a fare
un test e si può trovare una disfunzione, perché non rientra più in una mobilità normale; oppure magari si
può fare un test, e se si sente una densità non si deve pensare subito che ci può essere una disfunzione a
livello dello stomaco. È opportuno chiedere al Pz se ha mangiato da poco, quante ore sono trascorse, e nel
momento in cui vengono degradate queste molecole: i liquidi dallo stomaco al duodeno passano veloce-
mente; i grassi impiegano quasi 5 h, così come le proteine impiegano 2-3 h; i carboidrati 1-2 h.

LEGAMENTI DELLO STOMACO


I legamenti dello stomaco sono fondamentalmente 4:
leg. gastro-FRENICO
leg. gastro-COLICO
leg. gastro-SPLENICO
leg. gastro-EPATICO o piccolo epiploon

Tutti e 4 i legamenti stabilizzano e tengono in sede lo stomaco.


Quindi, quando c’è una lassità legamentosa, c’è la compromissione di tutti i legamenti, e lo stomaco scende
andando in ptosi.
È tuttavia importante sapere che questa lassità capsulo-legamentosa può non essere data direttamente da
quei legamenti.
Quando un organo è in disfunzione, occorre capire se tale disfunzione è data da catene ascendenti, organi
che stanno al di sotto dello stomaco, quindi organi, strutture, un utero basso o prolasso uterino, un parto
cesareo, una ptosi vescicale, una distorsione di ginocchio non trattata: tutte queste cause possono compro-
mettere tutta la mobilità dello stomaco e quindi dei suoi 4 legamenti, creando disfunzioni. Se troviamo dei
legamenti in disfunzione non è detto che la motivazione sia per forza una causa strutturale o un problema
locale. Quindi, posso avere una ptosi dello stomaco dovuta ad una compromissione dei legamenti, ma oc-
corre prima di tutto CAPIRE LA/E CAUSE: soprattutto se sono cause ascendenti o cause discendenti.

1 ) leg. gastro-FRENICO: mette in rapporto il diafr con lo stomaco, a livello del V spazio intercostale (K5).

2) leg. gastro-SPLENICO: si estende dalla grande curva dello stomaco all’ilo della milza.

3) leg. gastro-COLICO: dalla grande curva dello stomaco parte questo ventaglio, che arriva sul colon tras-
verso e va poi a formare il grande omento, il quale ricopre poi tutto l’addome come un grembiule.

4) PICCOLO EPIPLOON: legamento che si trova tra fegato e stomaco.


Esso è costituito da 2 fasci:
FASCIO ORIZZONTALE: che va dallo stomaco al fegato. Quando noi lo testiamo, dovremo porci al di sotto
della xifoide, mettendoci con una mano sul fegato e una sullo stomaco.
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FASCIO VERTICALE: è il punto da cui partono tutte le strutture vascolari; è un fascio che parte dall’ilo del
fegato e arriva al duodeno.
Questo legamento è chiamato in tre modi:
1. fascio verticale del piccolo epiploon
2. leg. epato-duodenale
3. leg. cistico-duodenale

È possibile, dunque, tramite tale legam comprendere i rapporti anatomici tra fegato, stomaco e duodeno.
Se c’è un’alterazione della struttura o della dinamica funzionale e organica di uno di questi organi, ci pos-
sono essere compromissioni e ripercussioni anche su uno degli altri due.
A livello del piccolo epiploon o legamento epatoduodenale o legamento cistico-duodenale, c’è un pas-
saggio vascolare importante: VENA PORTA, ARTERIA EPATICA e DOTTO COLEDOCO (queste 3 strutture
passano posteriormente al piccolo epiploon e passano a livello dell’ilo epatico).
Quindi, lavorando osteopaticamente queste zone, è possibile fare una liberazione da questo punto di vista,
e lì miglioreremo sicuramente l’apporto vascolare su tutti e tre gli organi, facendo un lavoro vascolare sulla
emodinamica.
Quindi abbiamo l’ilo della milza, ilo del fegato, i quali sono attraversati dai vasi ematici.

Guardando la cavità addominale anteriormente, troveremo lo stomaco a cui si lega un foglietto detto leg.
GASTROSPLENICO (perché parte dalla grande curvatura dello stomaco e si inserisce sulla milza posterior-
mente; in questi piani c’è la cosiddetta RETROCAVITA’ DEGLI EPIPLOON). C’è il grande epiploon o grande
omento e vicino c’è il mesocolon trasverso, che appunto come già detto va dalla parete anteriore dello
stomaco e si inserisce sul colon trasverso.

Leg. GASTRO-COLICO: legamento che parte dalla grande curvatura dello stomaco e si inserisce anterior-
mente a coprire il mesocolon trasverso.
A livello del mesocolon trasverso, esso diventa un grembiule, un lenzuolo che avvolge il tutto. Quindi questo
è sinonimo di GRANDE EPIPLOON.

Mezzi di fissità
I mezzi di fissità dello stomaco sono:

1. I 4 legamenti che mantengono appunto in sede lo stomaco;


2. Effetto turgor (cioè il gonfiore intrinseco dell’organo che a volte può essere dato dalla pressione del
sangue, che fa mantenere lo stomaco in sede, così come il fegato e altri organi parenchimatosi).
3. Pressione intragravitaria dell’organo stesso, la quale aumenta la fissità dell’organo.
4. Differenza di pressione tra cavità toracica e cavità addominale: la pressione addominale è positiva
(P+), mentre la pressione intratoracica è negativa (P-) ; si crea un gradiente pressorio DP in grado a sua volta
di determinare una stabilizzazione da parte degli organi.
5. Tono della muscolatura parietale

Se anche solo uno di questi parametri è alterato, senza dubbio si creano dei disequilibri degli organi, quindi
delle disfunzioni.

Esistono diversi tipi di stomaco, con diverse forme:


Stomaco ipertonico: in genere molto sviluppato in lunghezza, questo è uno stomaco che si trova nelle per-
sone molto depresse, con una grossa componente psicologica. Si può dire che è uno stomaco emozionale.
Atonico: completamente patologico.
Ipotonico: che ha perso tonicità.
Ortotonico: provocato da una iperstimolazione del sistema ortosimpatico.
Verticale ad uncino: fa parte di un normotipo.
Più largo e più corto: tipico di un soggetto brachilineo.
Allungato a sifone longitipo: tipico di un soggetto longilineo.
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Obliquo o a corno di torello: tipico di un brachilineo.

ISTOLOGIA dello stomaco


Lo stomaco presenta le seguenti tonache:
Sierosa
Sottosierosa
Muscolare Esterna a fibre Longitudinali
Muscolare Interna a fibre Circolari
Mucosa
Sottomucosa: questa ultima è importante perché è in essa che ci sono diversi tipi di cellule. Tra queste
abbiamo le cellule caliciformi mucipare, che producono muco e sono importanti in quanto devono proteg-
gere la mucosa dello stomaco.
All’interno dello stomaco c’è l‘HCL, quindi se c’è una eccessiva produzione di questo e aumento di succhi
gastrici, si può andare incontro a problemi di gastrite e ulcera gastrica.
Quindi una parte dello stomaco contiene le cellule mucipare che servono da protezione per la mucosa.
Osservando internamente lo stomaco, è possibile valutare la presenza delle fossette gastriche, soprattutto
quando lo stomaco è in funzione, contenenti le cellule G.
La mucosa dello stomaco, in una fase produttiva, quando contiene il cibo diventa di colore più rosso, men-
tre di solito è più rosa. Ricordiamo pure che la mucosa dell’esofago è diversa nel colore dalla mucosa dello
stomaco, e il passaggio dall’una all’altra è delimitato dalla linea Z.

La tonaca mucosa comprende diversi citotipi:


le cellule principali che poi si suddividono in CELLULE G, cellule queste ultime che poi danno origine alla
GASTRINA. Lo stomaco ha diverse funzioni; quando arriva questo bolo alimentare, a livello gastrico, si at-
tivano determinati enzimi, uno di questi è appunto la gastrina prodotta dalle cellule G. Questo cibo deve
essere infatti degradato, per cui il bolo sarà scisso in componenti di minor peso molecolare come proteine,
amminoacidi, Fe e Fosforo.
La GASTRINA secreta aumenta la produzione di HCL e ciò determina una scissione: per far si che avvenga
una scissione molecolare ci deve essere un alto contenuto di HCL. Quindi da un punto di vista funzionale
possiamo dividere lo stomaco in 2 parti:
1. Parte ALTA: formata dalla grossa tuberosità viene definita la parte acida dove avvengono questi processi
digestivi;
2. Parte BASSA: formata dal tratto che va verso il piloro viene definita parte alcalina dello stomaco.

Infatti, la presenza di HCL in medio/alto contenuto è importante per una corretta scissione molecolare; tut-
tavia è necessaria la presenza di un altro ormone, che dall’altro lato limita la eccessiva produzione di HCL.
La parte bassa, che dunque è responsabile del trasporto delle molecole verso il duodeno, ha la funzione di
alzare il Ph e quindi è un importante sistema tampone.
Infatti tutto ciò che deve arrivare nel duodeno per assimilazione, se arriva con alto contenuto di acidità e
rimane un grosso contenuto di HCL nello stomaco, porta alla corrosione della mucosa.
Dunque le cellule caliciformi mucipare sono importanti al fine di creare con la produzione di uno strato di
muco, un ambiente alcalino-basico nella porzione inferiore dello stomaco.
Nella parte bassa dello stomaco, o parte alcalina, avviene la produzione di BICARBONATO DI SODIO (NAH-
CO3).
Il bicarbonato, infatti, con funzione tamponante, aumenta il PH facendolo avvicinare al valore di neutralità.

Quindi ricapitolando:
cellule principali >>>cellule G >>>GASTRINA >>>attiva >>>>HCL >>degradazione di molecole più comp-
lesse in molecole più semplici >>>aumento della concentrazione di Ph (ph alcalino) nella zona della pic-
cola tuberosità determinato da 2 ormoni prodotti dal duodeno.

La GASTRINA ha 2 funzioni:
1 è un attivatore di HCL.
2 mantiene il tono sfinteriale del cardias, quindi serve per mantenere una muscolatura tonica; infatti se
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questa muscolatura non fosse tonica, parte del cibo ritornerebbe indietro nell’esofago procurando il RE-
FLUSSO GASTRO-ESOFAGEO.

L’HCL attiva la PEPSINA responsabile della trasformazione delle proteine in amminoacidi e dei polisaccaridi
in glucosio, l ’assorbimento di CA2+, Fe2+. Tutto questo è regolato dalla forte acidità presente nello
stomaco e dalle onde peristaltiche.
Le cellule sono protette da uno strato di muco denso e alcalino prodotto dalle stesse.
Inoltre la tonaca sottomucosa gastrica contiene le CELLULE ENDOCRINE che immettono nel sangue la
propria secrezione ormonale.
Tutto ciò è gestito dal Sistema Autonomo Parasimpatico, rappresentato dal n. vago.

INNERVAZIONE dello stomaco


L’innervazione dello stomaco è data dal n. vago dx e vago sin; quindi se abbiamo alterazione di questo de-
corso, abbiamo una compromissione fisiologica dello stomaco, anche se non ci sono delle grosse patologie.
In presenza di una OM bloccata o di una disfunzione cranica importante, possiamo avere compromissioni in
tutto questo decorso e viceversa, una problematica gastrica può avere ripercussioni fino al cranio.
Tutto ciò è dovuto a MOTIVAZIONE NEUROVEGETATIVA ma ANCHE A MOTIVAZIONE FASCIALE.
I nervi vaghi aumentano la peristalsi intestinale, e ci sono dei centri che ci danno degli stimoli, uno di
questi è l’ipotalamo e il 4 ventricolo.
I centri della fame e della sete sono tutti governati dal sistema autonomo.

Sistema PARAsimpatico > Vigile di NOTTE


Sistema ORTOsimpatico > Vigile di GIORNO

Del sistema ortosimpatico fanno parte per lo stomaco, il n. Grande Splancnico (D6-D9) facente parte della
catena latero-vertebrale. Quindi, se la zona D6-D9 è in disfunzione, tale disfunzione blocca ancora di più
l’orto. Se queste vertebre sono in blocco ma non di tipo strutturale, gli sfinteri vanno in spasmo e sono
mantenuti dall’orto.
Una normalizzazione di questo tratto vertebrale inibisce l’orto e stimola il para. È opportuno definire anche
se una lesione è più viscerale o somatica. Se noi stiamo palpando e valutando lo stomaco, e abbiamo
un sintomo correlato, dobbiamo definire se si tratta di un problema di origine strutturale o organico, e sarà
proprio la diagnosi differenziale che ci farà decidere da dove iniziare il trattamento.

FUNZIONI dello stomaco


1. Biochimica (digestione degli alimenti)
2. Di deposito
3. Rimescolamento dei materiali ingeriti
4. Svuotamento dell’intestino attraverso il piloro (i liquidi restano solo pochi minuti nello stomaco, essi in-
fatti hanno un transito veloce e dunque un passaggio piuttosto immediato).

Carboidrati > 1-2 ore


Proteine > 2-3 ORE
Lipidi > 5 ORE

Il cibo che arriva allo stomaco dà un aumento della produzione di HCL, di ormoni e di enzimi:
- GASTRINA
- FATTORE INTRINSECO: ha proprietà di legare e quindi di facilitare l’assorbimento della vitamina B12. Ciò è
interessante da un punto di vista osteopatico.
Questo legame tra fattore intrinseco e vitamina B12 consente poi l’assorbimento a livello dell’ilo, ultimo
tratto intestinale; la vitamina B12 forma l’eme (ferro) e dunque agisce a livello dei globuli rossi del sangue.
Quindi: lavoro lo stomaco osteopaticamente prima di consigliare la vitamina B12. Perché?
Infatti le persone carenti di vitamina B12 non è detto che abbiano un problema organico, ma spesso è
funzionale, quindi si creano situazioni a livello dell’organismo che poi si possono normalizzare da sole.
È opportuno fare trattamenti osteopatici per ridare funzionalità a tutto e garantire il miglioramento
45
dell’assimilabilità delle sostanze piuttosto che attraverso la somministrazione orale. Ottimo è dunque il
lavoro viscerale; la stessa cosa nei pz con artrite reumatoide o anche negli ipotiroidei. È stato visto infatti
con studi sperimentali che trattando i Pz con Eutirox, se il Pz ha l’elicobacter pilori, questo farmaco non è
efficace, quindi è preferibile un trattamento osteopatico funzionale globale, prima d’urto poi dilazionato e di
mantenimento nel tempo. Importante è anche la QDVita del Pz e la sua dinamica.
L’intestino è il 2 cervello: ha un plesso autonomo di AUERBACH mienterico; è stato visto infatti che
anche nei Pz colpiti da ictus l’intestino continua a funzionare.
In tutte le varie patologie è implicato il s. immunitario, che spesso è alla base delle intolleranze >>>
quindi è opportuno controllare anche questo.
Es. è il caso tipico della celiachia: di base l’enzima che scioglie il glutine l’abbiamo tutti, ma sicuramente in
condizioni di stress o in condizioni psicologiche particolari o ancora in caso di abbassamento delle difese
immunitarie, può essere alterato il metabolismo di questo; stessa cosa accade nelle patologie reumatiche
come l’artrite reumatoide; dunque facendo un lavoro viscerale su polmone, fegato, rene, milza >>>che
sono per lo più anche organi immunitari, si ottengono dei buoni risultati.
È opportuno valutare anche l’alimentazione, il glutine, i latticini. Un’attenzione particolare per ciò che
concerne la dieta va prestata ai Pz fibromialgici nei quali è più alta la concentrazione del colesterolo ema-
tico.
C’è una relazione biochimica tra stomaco e cieco per il riflesso gastro-colico: tale riflesso viene attivato dal
vago ed è un riflesso che apre il piloro e rilascia la valvola ileocecale e quindi facilita l’assorbimento della
vitamina B12.

VASCOLARIZZAZIONE ARTERIOSA dello stomaco


Lo stomaco è vascolarizzato dal tronco celiaco (proiezione D12): se noi liberiamo quella zona dorsale, sig-
nifica che stiamo lavorando indirettamente sul tripode o tronco celiaco (a. gastrica, a. splenica, a. epatica).
L’arteria gastrica a sua volta dà rami per il fondo dello stomaco e per la piccola curvatura.
Dietro il tronco celiaco ci sarà il tronco della vena cava superiore e inferiore.

L’a. splenica vascolarizza il tratto dallo stomaco alla milza.


Dà origine alla arteria gastroepiploica, che dà dei rami per il corpo e per la parte alta ed esterna della
grande curvatura dello stomaco.

L’a. epatica: essa arriva dal fegato e va verso lo stomaco. Vascolarizza la parte bassa della grande curvatura,
il piloro e la piccola curva, insieme con la arteria gastroepiploica sin.

L’a. gastrica, che vascolarizza la piccola curva dello stomaco è detta anche CORONARIA STOMACICA.

L’a. gastroepiploica dx si anastomizza con la sin e va alla parte inferiore dello stomaco.

46
DRENAGGIO VENOSO dello
stomaco
v. grande v. emiazygos inf Lo stomaco è drenato dal
azygos (sistema sistema portale. La vena
cava sup) reticolo
v. cava sup (sistema porta) esofageo splenica è quella principale,
v. della grossa quindi tutto il sangue prove-
tuberosità niente dagli organi finisce poi
v. diaframmatica inf nella vena porta, che arriva
v. coronaria
stomacica poi al fegato e alla vena cava.
Quindi si crea una anastomosi
v. sottoepatica tra vena porta e vena cava:
v. cava inf una problematica a livello
della vena cava può portare a
v. porta problematiche venose a livello
v. splenica degli arti inferiori. Infatti, la
v. gastro- vena cava inferiore, attraverso
epiploica sin le vene iliache e le vene
ipogastriche, è in grado di
tronco gastro- drenare gli arti inferiori.
colico di Henle
v. pancreatico- Quindi se abbiamo grossi
duodenale ant e inf edemi in periferia, significa
v. colico v. gastro-epiploica dx che c’è una grossa alterazione
sup dx a livello del SISTEMA
v. mesenterica sup PORTA-CAVA.
Inoltre, una alterazione di questo sistema, può comportare problematiche retto-emorroidali, diretta espres-
sione di ciò.
FISIOLOGIA OSTEOPATICA dello stomaco
In condizioni di normalità, un organo può essere trattato
sulla mobilità, quindi rispetto alla respirazione, si valuta la
sua mobilità rispetto al diaframma.
Se lo trattiamo sul piano cranio/sacrale, lo trattiamo secondo
la motilità.
Se lo trattiamo attraverso il sistema neurovegetativo, lo trat-
tiamo sulla motricità.

A livello dello stomaco, in condizioni di normalità fisiologica,


durante un atto INsp, lo stomaco stesso globalmente fa una
rotazione oraria- scende-quindi si abbassa e avanza (al
contrario del fegato che farà una rotazione antioraria).
La grande tuberosità scende, avanza e si esteriorizza (rotazi-
one oraria), rispetto alla parte inferiore dello stomaco.

Sul piano orizzontale lo stomaco compie una rotazione


dx; sul piano frontale compie una rotazione oraria, at-
torno ad un asse antero-posteriore.

Nella fase espiratoria o durante un atto ESp, lo stomaco


compie dei movimenti in senso opposto, ritornando
dunque al suo punto neutro. Quindi risale verso l’alto-si
posteriorizza e fa una rotazione antioraria.

Disfunzione di INsp dello stomaco


Se in un tempo inspiratorio, lo stomaco fa una rotazione oraria, scende e avanza, mentre nella fase espirato-
ria non torna indietro, ma rimane basso significa che: lo stomaco si trova in disfunzione di inspirazione.
47
Cause:
Può essere dovuta ai soli legamenti o ad uno di questi (problematiche strutturale e legamentose)
Problematica fasciale
Rapporti anatomici con altri organi (problematica organica)
Problematica alta (può essere la causa di disfunzione di inspirazione dello stomaco, poiché mantiene lo
stomaco basso e non lo fa risalire in inspirazione)
Problematica bassa (addominale) o ad un arto che può trattenere lo stomaco in basso, e quindi lo stomaco
rimane in disfunzione di inspirazione

Disfunzione di Esp dello stomaco


Durante un tempo espiratorio, in cui lo stomaco dovrebbe fare una rotazione antioraria, posteriorizzarsi e
salire, se si blocca nei movimenti opposti per gli stessi motivi visti poco prima, si ha una disfunzione di Esp
ALTA (discorso vagale).

Nella pratica possiamo trovare:


A) Disfunzioni di globalità dello stomaco in Esp e in INsp;
B) Disfunzioni singole riguardanti ogni singolo legamento: li andremo a reperire, a testare e a valutare se
c’è elasticità o meno e poi a trattarli.
Quindi il trattamento in genere sui legamenti viene fatto con dei RECOIL, ma ciò non esclude che possa
anche essere fatto mediante tecniche funzionali.
Quando si parla di disfunzione di un organo si deve considerare se c’è una disfunzione meccanica di strut-
tura legamentosa o propria dell’organo.
Nel viscerale si preferisce lavorare di più mediante una tecnica funzionale, basata appunto sulla respirazione,
soprattutto se dobbiamo lavorare sulla GLOBALITA’ dell’organo; però ciò non esclude che uno stomaco o un
fegato possano essere trattati con tecnica meccanica diretta, non agendo sulla respirazione.
Per usare il recoill (tecnica meccanica diretta, ci devono essere delle condizioni:
- il Pz lo deve permettere, poiché è una tecnica forte diretta.
- il legamento deve essere in disfunzione meccanica e di struttura

NB: il recoill NON VA FATTO in caso di Pz neurovegetativo, spasmato, vagotonico.

Nella tecnica funzionale si utilizza la respirazione, si seguono prettamente le fasce, aggravando la disfun-
zione, fino a quando si raggiunge il cosiddetto punto neutro; dopodiché si riaccompagna fino a quando ci
sarà un riequilibrio inspiratorio ed espiratorio.
Quindi lo stomaco potrà essere trattato o da un punto di vista meccanico (mediante recoill) o funzionale; lo
stesso vale per i legamenti.

Poi andremo a valutare i 2 punti fissi dello stomaco (cardias > K7; 7 cartilagine condrosternale; piloro > lo
troviamo in una linea passante tra K9/K9, xifoide–ombelico, circa a metà centro dx).
Questi 2 sfinteri possono essere trattati con dei recoill o delle tecniche funzionali.

Sintomi riferiti o diretti di una problematica funzionale legata allo stomaco


1. livello dorsale: D6/D9 (medio dorsale) >> n. grande splancnico ortosimpatico
2. cervicalgia o cervicobrachialgia sin (dolore alla spalla sin) > collegam. con ipocondrio sin e aorta D4 D5
Attenzione: dobbiamo escludere un problema neurologico, quindi chiedere al Pz se ha avuto traumi, se ha
torcicollo o altro.
La conferma o smentita ci sarà data dalla palpazione o percussione, dal test di mobilità dello stomaco e dal
test di inibizione tra stomaco e parte interessata (per diagnosi differenziale).
Dobbiamo fare anche diagnosi differenziale tra un problema cardiaco e un problema di reflusso.
3. dolore costale basso (k7/k9).
4. OM in disfunzione
5. dolori epigastrici associati al dolore all’ipocondrio sin
6. colorito visus nel passaggio da supino a in piedi
7. diaframma
48
SEGNI CLINICI ASSOCIATI SPECIFICI DELL’ORGANO
1. acidità e reflusso
2. pesantezza e dispepsia (alterazione della digestione)
3. pirosi
4. grosse eruttazioni e aerofagia
5. ipersalivazione e scialorrea
6. gonfiori post prandiali
7. disfagia
8. fame d’aria
9. rigurgiti
10. nausea>>>> per collegamento con vago
11. senso di pienezza
12. emicrania,vertigine, dizzines
13.sensazione caldo-freddo (sudorazioni fredde)
14. sintomi pseudo-anginosi

3 sem

Pratica Stomaco
Lo stomaco è un viscere che si localizza a livello dell’epigastrio e dell’ipocondrio sin con proiezione della
porzione superiore dell’organo a livello del V spazio intercostale, dove c’è il limite tra la grande tuberosità
dello stomaco e la cupola diaframmatica sin.
NB! Quando si chiede il repere teorico di un organo questo repere è per così dire matematico, mentre il
repere pratico è diverso per ciascun Pz in relazione 1. alla sua costituzione, 2. al grado di riempimento
dell’organo, 3. alle disfunzioni globali che l’organo può presentare (es. ptosi dello stomaco).
49
Quindi il repere teorico può non corrispondere al repere pratico.

Reperimento dello stomaco


Poiché nella zona toraco-addominale abbiamo diversi organi con struttura interna diversa (es. polmoni con-
tenenti aria, diaframma a struttura muscolare e stomaco vuoto) per il reperimento dello stomaco si procede
mediante percussione. Mediante questa metodica infatti sarà possibile, a seconda del suono percepito,
stabilire con quale viscere si è in relazione; es. il polmone darà il tipico “suono chiaro polmonare”.
NB: poiché vicino a questi organi ci sono altre strutture che verranno prese in considerazione nei prossimi
anni, come la pleura, per ora è importante apprezzare le differenze grossolane.

Reperimento margine superiore dello stomaco


1. Per effettuare le percussione si parte da una zona in cui penso possa esserci la struttura che sto cercando:
perciò individuo il repere teorico dello stomaco. Per reperire il margine superiore dell’organo ci si posiziona
a livello della clavicola e scendendo verso il basso si procede al reperimento del V spazio intercostale (zona
in cui teoricamente si trova la proiezione dello stomaco). Nella maggior parte dei Pz il V spazio intercostale
corrisponde all’altezza del capezzolo.
2. Con l’articolazione interfalangea intermedia del dito medio della mano craniale ci si pone a livello del V
spazio intercostale (avendo cura di aderire bene al torace e di non rimanere superficiali a livello della cute),
mentre con il 2 dito della mano caudale (eventualmente rinforzato dal 3 dito) si procede alla percussione av-
endo cura di non partire da troppo in alto perché il dito deve essere rigido venendo usato a mo’ di martello).
La percussione va effettuata sulla interfalangea intermedia, perché sulla distale o prossimale siamo meno
solidi. Quindi andrò a percuotere a livello del V spazio intercostale.
3. In questo modo ho individuato il limite superiore dello stomaco in quel Pz. Distingueremo dall’alto verso
il basso il polmone (suono chiaro polmonare), il diaframma e poi lo stomaco (suono vuoto)

Repere margine sup dello stomaco mediante percussione sull’interfalangea media con II - III dito
4. Si può procedere con la percussione anche sui margini
laterale e mediale in modo da definire correttamente la
posizione dello stomaco rispetto alla milza ed al fegato.

Repere margine laterale dello stomaco rispetto alla milza

50
Reperimento margine inferiore dello stomaco
Per reperire il margine inferiore dello stomaco (cioè la
grande curvatura dell’organo), che confina con il colon
trasverso, si può procedere in due modi:

1. Con la mano caudale disposta a taglio si procede dalla

1
fossa iliaca verso l’alto sino ad imbattersi in uno scalino:
questo è il limite tra colon trasverso e stomaco.

2. Ci si pone con la mano caudale a livello ombelicale, mentre con la mano craniale pos-
ta sulla griglia costale si danno come degli shock sul torace in modo da spingere i liq-
uidi ed i gas presenti nel fondo dello stomaco verso la mano caudale (onda idroaerea).
Con la mano caudale
sul margine inferiore
dello stomaco si per-
cepirà l’arrivo di questa
onda idroaerea, in caso
contrario si dovrà salire
con la mano caudale
un poco più in alto sino
a raggiungere il mar-
gine inf dello stomaco.
2
Test di pressione
NB 1: è un tipo di test che deve essere eseguito su tutti i visceri che si intende esaminare al fine di ricercare
una sensazione manuale di densità (termine non proprio corretto dal punto di vista fisico).
NB 2: nei test di densità non ci sono modificazioni legate alla respirazione. Se la disfunzione è vera non cam-
bierà mai, indifferentemente se si sarà a stomaco vuoto o pieno, seduto o disteso ecc…
Dopo avere effettuato il test di pressione sui 9 quadranti dell’addome (con eventuali test di bilanciamento)
supponiamo di avere trovato una maggiore densità in ipocondrio sinistro. Qui sono presenti diversi organi
quali parte del fegato, stomaco, milza, angolo colico sin. Cosa è che mi fa discriminare il viscere che mi inter-
essa? Il test di pressione selettivo su quel viscere.
Il test di pressione sullo stomaco pur essendo molto simile al test di pressione sul diaframma ha una intenzi-
onalità ed una proiezione diverse.
Il test di pressione sullo stomaco può essere effettuato in due modi; più che in due modi in due tempi, quin-
di si fanno entrambi (es: se fosse il fondo a essere più “denso” penserei più a un legamento gastro-frenico;
se fosse più la parte bassa penserei magari alla relazione col colon ecc):

1.Test di pressione addominale_ 2 TEMPI


Ci si posiziona nello stesso modo del test di pressione per la cupola diaframmatica sin, con la differenza che
la mano non è a livello sottocostale, ma maggiormente in zona addominale e la proiezione di spinta non
arriva al V spazio intercostale, ma è proprio la sensazione del viscere che si ha sotto la mano, quindi non si
deve superare nulla (es. il diaframma)
Test di pressione addominale Test di press 2.Test di pressione sopracostale
sopracostale Si pone la mano sulla griglia costale, si
superano le coste e si va a sentire se sotto
si percepisce il duro.

51
mano > test mano (più bassa) >
sul diaframma test sullo stomaco

Repere e test di cardias e piloro


Sono rispettivamente punto di partenza e di arrivo dello stomaco.
(attenzione: a livello di K4, V spazio intercostale, è dove c’è il limite
tra il diaframma e la grossa tuberosità dello stomaco, o fondo dello
stomaco)
Il punto teorico del cardias si localizza sulla 7° cartilagine con-
drosternale sin, più o meno 2 dita dal margine lat dello sterno.
(Dragonetti parla di 6° cartilagine per reperire cardias)

La VII cartilagine è quella che dalla


xifoide sentiamo più orizzontale.
Se non riusciamo a distinguerla
così le contiamo.
Il cardias non è una porzione
palpabile per cui andrò a posizion-
armi col pisiforme nella zona di re-
pere teorica e comincerò a cercare
in una direzione dietro-fuori una
densificazione del tessuto
(il cardias è uno sfintere quindi
sicuramente sento qualcosa che
è più densificato rispetto al resto
dello stomaco).

Ora che l’ho reperito lo testo. Effet-


tuo un test di pressione andando
verso dietro-fuori: valuto se è
duro o morbido.

Cardias e piloro sono sempre duri, infatti li troviamo perché sono zone densificate. Come stabilisco se è in
disfunzione con il test di pressione se già di se è più duro del resto? Solo con la pratica, dove imparerò qual è
la durezza fisiologica e riuscirò a distinguere quella disfunzionale, la durezza più dura del normale.
Per fare il trattamento sul cardias effettuerò un recoil. Cercherò sui vari piani dello spazio dove si accumula
più tensione, e inoltre valuteremo se la tensione aumenta in inspiro o in espiro. Il recoil averrà secondo
l’accumulo di questa maggiore tensione (simile al trattamento dei muscoli digastrici) (vedi meglio spie-
gazione recoil più avanti). La tensione che accumulo in un piano la mantengo sempre nei piani successivi,
finendo con una tensione per ogni piano più la tensione respiratoria; e poi farò il recoil su questa tensione.

52
direzione recoil per cardias

Stesso discorso per il piloro:


devo trovare una zona densifi-
cata, e la sua disfunzione sarà
una durezza più dura della sua
durezza normale.
K8 K8 Per reperire il piloro (l’abbiamo
già visto le prime lezioni) indi-
viduo xifoide e ombelico, e poi
individuo la metà di una linea
tesa tra questi due punti. Rep-
erisco poi K8, traccio tra K8-K8
la linea transpilorica: la zona
tra questa linea e la metà della
linea tesa tra xifoide e ombelico
(è a dx) è la zona pilorica. In questa
zona pilorica vado a fare una
palpazione. La prof lo fa col dito
medio o con l’indice, rinforzato
con l’altra mano.

Vado a fare una palpazione secondo l’orientamento del piloro. Il piloro è su un piano para-frontale:
nell’andare a palparlo sentiremo come una moneta (perchè siamo su un piano quasi frontale); quindi an-
diamo a cercare una monetina più dura.
Questa è comunque la zona teorica del piloro, che dovrò andare a ricercare a partire da qui.
53
Quando è molto spasmato è più facile da sentire e palpare, anche perché il Pz ha dolore.
Una volta reperito vado a fare un test di pressione nello stesso modo: vado più in profondità e sento se è
duro o morbido. Se ci è difficile perché l’addome è molto teso possiamo far piegare le gambe al Pz (se sento
battere l’aorta faccio il test velocemente per non infastidire il Pz).
Se è molto spasmato possiamo procedere in vari modi:
1. o restiamo in appoggio aspettando anche che il Pz rilasci la tensione preventiva al dolore, e piano piano
cerchiamo di entrare (anche se su tanti Pz non riusciremo ad entrare perché si creeranno una protezione
elevata)
2. se non si riesce ad entrare andremo a verificare la zona D6-D8, che è zona di innervazione del piloro,
per cui andrei a controllare quelle vertebre e se sono in disfunzione agirei prima su queste. Il n. grande
splancnico (D4-D8) è la catena latero-vertebrale, per cui mi porta il piloro in ortosimpatico, per cui molto
spasmato; vado allora a controllare quelle vertebre.
Giusto a scopo informativo- posso utilizzare anche delle tecniche inibitorie: tengo una mano sul piloro e
con l’altra vado sulle vertebre D6-D8 e vedo se il piloro si rilassa.
Se lavoro in funzionale, faccio accentuare la respirazione al Pz, e vado ad aggravare la disfunzione (in
espirazione o inspirazione: se la tensione aumenta in espirazione, io andrò ad aggravare in espirazione e in
inspirazione mantengo) fino ad arrivare ad un punto neutro dove non sentirò quasi più nulla. Là aspetterò
che la fascia riparta in correzione e quando avremmo questa sensazione la accompagneremo fino alla cor-
rezione. Dopodiché ritestiamo e vediamo se la tensione si è attenuata.
Utilizzando il recoil, come già detto, vado a ricercare la maggior tensione nei tre piani dello spazio (senza
interessarmi della respirazione) e mantengo queste tensioni. Da ultimo faccio respirare il Pz e sento in quale
delle due fasi si accumula ancora più tensione, e dove sentirò più tensione andrò ad effettuare il recoil, ossia
o in inspirazione o in espirazione.

Test di mobilità dello stomaco


Ricorda che in:
fase INsp lo stomaco va avanti e soprattutto scende facendo una rotazione in senso orario accartocciandosi
un poco su se stesso perché la grande tuberosità avanza mentre la parte bassa viene trattenuta un poco
indietro dal piloro e da tutte le strutture vascolari.
fase Esp lo stomaco sale, si posteriorizza e fa una rotazione antioraria.
Per effettuare il test di mobilità dello stomaco ci si posiziona con
le mani nella stessa posizione del test di pressione e cioè con la
mano craniale sopracostale e con la mano caudale a livello della
porzione addominale dello stomaco.
Ci si mette in ascolto di inspiro ed espiro per conoscere i tempi
di induzione del Pz nei quali si andrà ad effettuare il test. Quindi:
in un tempo INsp si porta verso il basso e si effettua una rotazi-
one in senso orario dell’organo;
nel tempo espiratorio successivo si aspetta il ritorno del viscere,

in un tempo Esp si porta lo stomaco in alto in direzione antioraria per poi ritornare nella posizione di
partenza.
A questo punto si valuta se c’è un parametro dei due che è in restrizione di mobilità e lo si denomina nel
senso della maggiore ampiezza.
Es.1: uno stomaco che scende ed avanza bene in un tempo inspiratorio e che non sale in un tempo espirato-
rio è uno stomaco in disfunzione di inspirazione.
Es.2: uno stomaco che sale ed indietreggia in un tempo espiratorio e che non scende ed avanza in un tempo
inspiratorio è uno stomaco in disfunzione di espirazione.

In questi test testiamo lo stomaco nella globalità, ma possiamo anche testare i singoli parametri in maniera
meccanica, ossia torsione, scivolamenti sul piano omentale, apertura e chiusura della grande e piccola curva.
La posizione è sempre la stessa del test classico e non spostiamo mai le mani durante questi singoli test.

54
Faremo:
torsione oraria e antioraria
(scorrimento dei fasci longitu-
dinali dello stomaco)

scivolamento
interno ed est (in
questo modo tester-
emo indirettamente
anche rispettiva-
mente il legamento
gastro-splenico e il
legamento piccolo
epiplon)

apertura apertura della


della grande piccola curva
curva

scivolamento inferiore (testo indirettamente il gastro-frenico)


scivolamento superiore (testo indirettamente il gastro-colico)
accartocciamenti:

Questi test ci danno un’ idea del blocco peritoneale che abbiamo e perciò ci aiutano nella valutazione e nel
trattamento.
Se sento ad esempio delle restrizioni nella apertura della piccola curva, magari mi vado a testare il piccolo
epiplon; se sento delle restrizioni nell’apertura della grande curva penso più al gastro-splenico, al gastro-
colico (a una catena che scende non a una catena che sale). Se ho teso il gastro-frenico penso a qualcosa che
si è organizzato verso l’alto. Questi sono principi che vedremo nella clinica.

Correzione delle disfunzioni dello stomaco


Le disfunzioni dello stomaco possono essere di due tipi:
1. Disfunzioni in INspirazione
2. Disfunzioni in Espirazione

55
1. Correzione delle disfunzioni di stomaco in INsp (tecnica funzionale INDIRETTA)
Le mani sono posizionate come nel test di mobilità. Lavorando su più atti respiratori si procede in aggrava-
mento portando in:
INsp lo stomaco in basso, avanti ed in rotazione oraria,
Esp si mantiene.
Si procede in questo modo fino a che non si può aggravare più, allora
si aspetta la risposta tessutale ed in un tempo espiratorio si porta lo
stomaco in alto, dietro ed in rotazione antioraria (la correzione può
richiedere anche più atti espiratori e quindi in inspirazione si mantiene
e pian piano si porta in correzione durante espirazione). Può anche darsi
che abbiamo fatto talmente bene l’aggravamento o che il Pz ha una
buona risposta tissutale che riusciamo a correggere in un solo tempo.
Alla fine ci si mette di nuovo in ascolto e si effettua un nuovo test di
mobilità per valutare se la correzione è andata a buon fine.

2. Correzione delle disfunzioni di stomaco in Esp (con tecnica funzionale INDIRETTA)


Le mani sono posizionate come nel test di mobilità. Lavorando su più
atti respiratori si procede in aggravamento portando in:
- Esp lo stomaco alto, dietro ed in rotazione antioraria
- INsp si mantiene.
Si procede in questo modo fino a che non si riesce più ad aggravare,
allora si aspetta la risposta tessutale ed in un tempo inspiratorio si
porta lo stomaco in basso, avanti ed in rotazione oraria (la correzione
può richiedere più atti respiratori e quindi in espirazione si mantiene).
Alla fine ci si mette di nuovo in ascolto e si effettua un nuovo test di
mobilità per valutare se la correzione è andata a buon fine.

Test sui legamenti dello stomaco


Attenzione: quando tratto i legamenti tratto comunque anche l’organo: i legamenti sono l’aggancio strut-
turale dell’organo; sull’organo lavoro la mobilità, e sono su un livello più profondo. Lavorando i legamenti
comunque si potrà lavorare indirettamente sulla mobilità dell’organo e viceversa. Non è possibile che un Pz
abbia una disfunzione di mobilità profonda senza avere una disfunzione dei legamenti, ma forse è possibile
che abbia una disfunzione dei legamenti senza una disfunzione di mobilità, perché è più superficiale: il pro-
fondo è passato per il superficiale, ma il superficiale può non arrivare al profondo.
I legamenti sono pliche di peritoneo che collegano lo stomaco a ciò che lo circonda; in particolare lo stoma-
co presenta 4 legamenti: gastro-frenico, gastro-splenico, gastro-colico e piccolo epiploon.
I test che facciamo sui legamenti sono dei test di allungamento: vado a valutare se e come il legamento si
lascia allungare: devo percepire quanto si lascia allungare, e se ci sono zone di restrizione (poca disponibilità
al mio tentativo di allungamento).

Test sul legamento GASTRO-FRENICO


È un legamento che connette il margine superiore dello stomaco con la cupola diaframmatica sin.
Innanzitutto si reperisce il diaframma ed il margine inferiore dello stomaco attraverso la percussione vista
precedentemente. Con la mano craniale messa di taglio (bordo radiale) si fa punto fisso sul diaframma (per-
ché è il punto che voglio fissare per poi mettere in allungamento il legamento), mentre con la mano caudale
si avvolge lo stomaco sia nella zona addominale che in quella costale.

56
Mano craniale, fa da punto fisso (X) sul
diaframma
Mano caudale, effettua un allungamen-
to del leg avendo l’accortezza di super-
are la griglia costale per arrivare a con-
tattare bene lo stomaco. L’importante
è superare la griglia costale sia manual-
mente che intenzionalmente ed ef-
fettuare la trazione sul viscere così da
allungare il leg.
L’allungamento avviene in direzione basso (soprattutto) ed un poco indentro, con la mano caudale.
Si dovrà sentire che l’allungamento del leg arriva fino alla mano craniale che funge da punto fisso.
Il test è considerato valido, ben effettuato, quando l’allungamento arriva sulla mano craniale. È solo a questo
punto che ci si potrà domandare: “come arriva questo allungamento sulla mano punto fisso? Si lascia allun-
gare oppure presenta resistenze?”

Test di allungamento sul legamento GASTRO-SPLENICO


È un legamento che connette lo stomaco con la
milza.
Innanzitutto è necessario reperire la loggia splenica
mediante la percussione (sentirò un suono pieno).
Con la mano craniale si è sulla loggia splenica, men-
tre la mano caudale è sullo stomaco
Mano craniale (milza), fa da punto fisso
mano caudale, effettua il test di allungamento
portando lo stomaco in direzione basso-dentro verso
la linea mediana.
Da notare l’orientamento della mano sullo stomaco com’è differente rispetto al test sul gastro-frenico, per-
ché cambia orientamento
Si sente come la trazione arriva sulla mano che fa punto fisso e si valuta.

Test di allungamento sul legamento GASTRO-COLICO


Abbiamo visto che c’è un limite tra il margine inferiore dello stomaco e il colon trasverso, tra i due c’è una
plica peritoneale che li collega che poi diventa grande omento. Questa plica peritoneale ha una certa amp-
iezza, perché tutto il margine inferiore dello stomaco è collegato al colon trasverso.
Poiché quindi il legamento ha una certa estensione in lunghezza lo si va a testare in più punti (latero-lat-
erale) con le dita di entrambe le mani posizionate tra i due organi (la prof.ssa dice che si potrebbero usare
anche le mani disposte a taglio, ma si è meno sensibili).

57
Si entra all’interno del legamento con entrambe le mani, e si al- altro metodo ma alla
prof non piace
lontanano le mani. Oppure si apre la plica peritoneale in modo da
testare l’allungamento facendo punto fisso sul versante colico e
poi anche su quello dello stomaco per valutare in caso di restriz-
ione, quale sia maggiormente in tensione

Test di allungamento del PICCOLO EPIPLOON


Questo legamento si estende dall’ilo epatico e dalla fossetta
cistica allo stomaco, duodeno ed al piloro (avendo come
proiezione K9-K10). Presenta due fasci: orizzontale e ver-
ticale (quello verticale anche detto cistico-duodenale così
definito proprio perché si inserisce sull’ultimo tratto dello
stomaco, sul piloro e sul I tratto del duodeno).
È una struttura abbastanza profonda pertanto inizialmente
si dispongono le mani una sullo stomaco e una sul fegato
(come quando si testano i muscoli digastrici): la mano sul fe-
gato dovrà essere in proiezione dell’ilo e della fossetta cistica
Posizione di partenza
Si entra con entrambe le mani: chiudo un pò le mani ed
entro, cosi vado un po’ in profondità; da qui si aspetta che
il Pz si rilassi e che i tessuti mollino e riesco ad arrivare ad
una profondità sufficiente per testare il legamento. Do-
podichè, avendo raggiunto una certa profondità si blocca
il fegato e per il:
fascio orizzontale si porta lo stomaco in fuori
fascio verticale: si porta lo stomaco in basso-dentro.

Si cerca di percepire la risposta tessutale sulla mano


che funge da punto fisso (fegato).

NB: in osteopatia si cerca sempre la restrizione di mo-


bilità e poi la si denomina nel senso della maggiore
ampiezza.

Correzione delle tensioni tessutali dei legamenti dello stomaco


Parliamo di tensioni tissutali non di disfunzioni (non mi interessa la lassità ma la restrizione)
Quando si trattano i legamenti si sta trattando in maniera indiretta l’organo perché si lavora il peritoneo che
è l’aggancio strutturale dell’organo: in sostanza si lavora l’organo su di un piano strutturale. Invece quando
si tratta l’organo si lavora sulla mobilità, sul motore dell’organo stesso: ci si trova su di un piano più profondo
rispetto a quello dei legamenti.
È vero però che lavorando i legamenti si lavora indirettamente la mobilità e lavorando la mobilità si agisce
anche sui legamenti.
È possibile
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che un individuo abbia una disfunzione di mobilità alla quale si assocerà sicuramente una ten-
sione sui legamenti. Al contrario una tensione dei legamenti non necessariamente si associa ad una disfun-
zione di mobilità dell’organo, essendo questa più profonda rispetto al piano legamentoso che è più superfi-
ciale.
NB. in ambito viscerale si utilizzano le stesse tecniche di correzione utilizzate nel cranio (tecniche funzionali
58
dirette ed indirette, tecniche meccaniche di allungamento) alle quali si deve aggiungere il recoil. All’atto
pratico però verranno maggiormente utilizzati il recoil e le tecniche funzionali indirette; le altre metodiche
precedentemente menzionate rappresentano una possibilità di trattamento in più per il Pz.

Tecnica funzionale indiretta: è quella in cui in presenza di una disfunzione in eccesso di tensione di un
legamento, con una mano si fa punto fisso mentre con l’altra si tendono ad avvicinare i capi del legamento
andando nel senso dell’aggravamento della disfunzione; si attendono i tempi di risposta della struttura e
quando si percepisce che il tessuto cede o mi spinge verso la correzione con la mano che fa punto fisso si
mantiene, mentre con l’altra mano si allunga nel senso della correzione. In questo caso si utilizzano i tempi
respiratori per lavorare sulla disfunzione. Lavorare quindi in respirazione, presuppone conoscere la fisiologia
di quegli organi tra cui il legamento è teso per capire il movimento che effettua l’organo e quindi il tempo su
cui lavorare.

Tecnica funzionale diretta: prevede anch’essa un lavoro con l’ausilio della respirazione: quindi in un tempo
inspiratorio una mano fa punto fisso mentre l’altra allunga il legamento. In un tempo espiratorio invece si
mantiene con entrambe le mani l’allungamento raggiunto. Si procede così sino a che non si è raggiunto il
massimo allungamento (punto neutro) e la struttura vuole ritornare, e io accompagnerò questo ritorno.

Tecnica meccanica diretta in allungamento: si posizionano entrambe le mani sui capi del legamento in
“disfunzione” e si “tira” nel senso che si provvede all’allungamento del legamento, si “molla” un poco, si valuta
come il legamento risponde a queste mobilizzazioni ed eventualmente lo si lavora ulteriormente.

Recoil: si ricercano dapprima tutte le possibilità in cui il tessuto diventa più duro mediante un “impilamento”
delle densità. Successivamente si chiede un inspiro ed un respiro per valutare in quale delle due fasi dell’atto
respiratorio la densità del tessuto aumenta, quindi si esegue la tecnica all’inizio del tempo respiratorio in cui
il tessuto diventa ancora più duro. La direzione del recoil la dà la direzione dell’impilamento delle den-
sità e la direzione anatomica della struttura.

Recoil
Cosa è un recoil?
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una tecnica diretta di tipo fasciale che va contro la barriera tessutale (infatti nel recoil si fa un test di den-
sità, fasciale e non un test di mobilità come nel thrust). Poiché si tende ad andare contro il duro per liberarlo
quando si esegue un recoil (su di un legamento o su di un punto specifico come uno sfintere) l’intenzione
deve essere quella di andare contro la proiezione della struttura. Pertanto il recoil eseguito su di un lega-
mento in allungamento sarà in allungamento, mentre quello eseguito su di uno sfintere sarà puntiforme.
Nell’eseguire un recoil si cercheranno tutte le possibilità in cui il tessuto diventa più duro (è un impilamento
delle densità del tessuto); una volta raggiunto il massimo punto di densità si chiede un inspiro ed un espiro
per valutare in quale delle due fasi respiratorie aumenta la densità del tessuto e poi si esegue la tecnica
all’inizio del tempo respiratorio in cui il tessuto diventa ancora più duro.
Quando si esegue un recoil visivamente si ha l’impressione che nel togliere le mani l’energia venga spinta
fuori, in realtà è diretta verso dentro contro la densità tessutale (la barriera tessutale). Es. cestino della
carta del CERDO: eseguendo il recoil il cestino si apre perché la spinta dell’Osteopata è diretta dentro in
quanto si va contro la barriera tessutale. Nel rebound invece il cestino non si apre perché la spinta va verso
l’Osteopata, portando così l’energia fuori dal Pz. Il rebound nel viscerale lo useremo pochissimo.
NB! Rispettando i limiti di esecuzione della tecnica ciascuno deve trovare un proprio modo di eseguire il
recoil.
La direzione del recoil ce la dà l’impilamento delle densità e la direzione dell’organo

1. Correzione tensioni a livello del leg gastro-frenico


Ci si posiziona come nel test avendo una mano che fa punto fisso e l’altra mano che invece prepara il recoil.
Da notare che mentre il test di allungamento si eseguiva solo con una mano, il recoil di correzione viene ef-
fettuato con entrambe le mani.

59
La preparazione del recoil avviene impilando tutti i parametri affinchè il legamento diventi sempre più
denso. Pertanto mettendo un leggero allungamento (perché il legamento diventi più denso) si cercano nei
vari piani dello spazio le zone in cui il legamento presenta maggiore densità e le si impilano: rotazione oraria
ed antioraria, flessione ed estensione, rotazione anteriore e posteriore. A questo punto avendo un tessuto
molto denso sotto le mani si chiede al Pz una inspirazione ed una espirazione per valutare in quale delle due
fasi respiratorie il tessuto si fa più denso.
Valutati tutti i parametri disfunzionali,
l’Osteopata effettua il recoil
all’inizio della fase respiratoria
in cui si era percepita una mag-
direzione recoil: giore densità tessutale.
quella del leg
Il recoil viene eseguito nella
direzione anatomica del lega-
mento con l’intento di andare
all’interno del tessuto del Pz. La
manovra deve essere di piccola
ampiezza e ad alta velocità.
2. Correzione tensioni a livello del legamento gastro-splenico
Si effettua un punto fisso con la mano che si trova localizzata a livello della loggia splenica (K8-K9).
Successivamente, con la mano craniale sullo stomaco, si “carica” il recoil impilando tutti i parametri af-
finchè il legamento diventi più denso: si parte allungando leggermente il legamento e si cercano nei
vari piani dello spazio le zone in cui esso presenta la maggiore densità e le si impilano: rotazione oraria
ed antioraria, rotazione anteriore e posteriore, flessione ed estensione, inspirazione ed espirazione.

A questo punto
quando si ha una
densità sotto le
dir mani, all’inizio della
ezi fase respiratoria in
on
e re cui aumenta la den-
coi
l sità, si esegue il re-
coil a 2 mani e nella
direzione anatomica
del legamento.
Seconda la professoressa Dragonetti, nel recoil su gastro-frenico e gastro-splenico, tendenzialmente la
60
mano craniale è fissa, ma nulla toglie di farla con entrambe le mani (la Menichelli le utilizza entrambe); men-
tre nel gastro-colico e piccolo epiploon si può fare con entrambe le mani.

3. Correzione tensioni a livello del legamento gastro-colico: (secondo Dragonetti)


Reperiamo la porzione inferiore dello stomaco (con onda idroaerea), e subito al di sotto ci sarà la parte su-
periore del colon trasverso. Ci posizioniamo con le 4 dita, mano craniale sul bordo inferiore stomaco e mano
caudale sul bordo superiore colon.
Se non riusciamo ad entrare bene
facciamo flettere le gambe al Pz
Posso valutare se la tensione è più
verso la parte superiore del colon
trasverso o se è più verso la parte
inferiore dello stomaco. Se la ten-
sione è più verso il colon trasverso,
sarà la mano sullo stomaco a fare
punto fisso, mentre la mano sul
colon preparerà il recoil
Ricerco il maggior accumulo di tensione nei tre piani dello spazio e poi con la respirazione, ed effettuo il
recoil mantenendo questa tensione e nella fase respiratoria che crea più tensione.
La Dragonetti dice che la direzione del recoil è in base alla maggior tensione, mentre la Menichelli lo fa in
direzione del legamento
In queste tecniche in genere la risposta è immediata, in caso non lo fosse, o la tecnica non è stata eseguita
correttamente o la disfunzione è mantenuta da qualcos’altro.

4. Correzione tensioni a livello del leg piccolo epiploon (o piccolo omento o leg epato-duodenale) >
secondo Dragonetti
Il principio è sempre lo stesso con le mani disposte come nel test
P.S. La Dragonetti parla del test e lo spiega (come sempre) in modo diverso dalla Menichelli. La Menichelli
testa il fascio verticale portando stomaco basso dentro mentre la Dragonetti lo porta basso-fuori…mah!!!

Ptosi dello stomaco: test e correzione


La ptosi dello stomaco è una discesa dell’organo verso l’intestino a causa di una perdita dei suoi collegamen-
ti a seguito di:
1. Iperlassità legamentosa con conseguente perdita di contatto con il diaframma;
2. Problematiche a livello del piccolo bacino che trazionano lo stomaco verso il basso;
3. Problematiche alte dal diaframma in sù, sino ad arrivare al cranio

Si distinguono ptosi di vari gradi:


I grado: l’organo mantiene ancora contatti con il diaframma pertanto un trattamento potrà sicuramente
dare dei benefici.
II grado: lo stomaco ha perso contatto con il diaframma e con gli organi vicini; a questo punto la finalità del
trattamento sarà quella di rinformare i tessuti e di riorganizzare le fasce: sostanzialmente non si migliora
l’organicità dell’organo ma se ne migliora la funzionalità.

Prima di iniziare qualsiasi trattamento sarà necessario:


1. Aver valutato lo stato degli altri organi e delle strutture intorno allo stomaco e lo stomaco stesso.
2. Avere individuato l’organo mediante dei test di localizzazione e di pressione, che permetteranno di capire
se ci si trova realmente di fronte ad una ptosi (in caso di ptosi i punti di repere non saranno più rispettati).
3. Gli elementi che faranno propendere per il fatto di essere di fronte ad una ptosi dello stomaco saranno lo
stato dei legamenti, la mobilità dell’organo e la sintomatologia lamentata dal Pz (attenzione, ricordiamo che
nel longilineo troverò uno stomaco allungato, che ci potrebbe erroneamente far pensare a ptosi).
La finalità del trattamento sarà quella di rinformare i tessuti (e non quella di riportare l’organo nella corretta
posizione, peraltro non attuabile in alcun modo).

61
1 2
Test di mobilità
Può essere effettuato solo con il Pz in posizione seduta, men-
tre l’Osteopata sarà posizionato alle sue spalle con le mani
poste a livello della griglia costale in modo da agganciare
bene lo stomaco e di portarlo il più possibile verso l’alto.
Posso farlo in due modi in base all’altezza del Pz.
Si chiederà al Pz una inspirazione (durante la quale si manter-
ranno organo e tessuti) ed alla fine della fase espiratoria si
rilascerà velocemente l’organo in modo da dare una reazione
peritoneale.
In presenza di una condizione di ptosi importante il Pz lamenterà dolore. Il dolore sarà provocato dal fatto
che si vuole riportare l’organo verso l’alto, mentre per la patologia da cui è affetto esso ha tendenza ad an-
dare verso il basso.
Questo test sarà fatto in ultima analisi dopo aver valutato tutte le componenti dello stomaco

Trattamento della ptosi da supino


Si reperisce lo stomaco mediante percussione. La mano craniale è posizionata sulla griglia costale in modo
da mantenerla in apertura per vari atti respiratori, mentre la mano caudale partendo dal basso provvede ad
agganciare bene lo stomaco.
La mano caudale sarà quella attiva: nel tempo inspiratorio non compie
nulla, mentre nella fase di apnea inspiratoria (circa 3 secondi) farà delle
vibrazioni per rinformare il tessuto ed infine nella fase finale della espi-
razione cercherà di guadagnare un poco verso la correzione. Successiva-
mente si aspetta che il tessuto riparta da solo (quindi in teoria ci sarebbe
un apnea espiratoria del Pz), essendo questa una tecnica di rinformazi-
one, per poi procedere di nuovo con la tecnica.
L’efficacia del trattamento sarà valutabile nel tempo in base alle sensazi-
oni sintomatologiche del Pz eseguendo prima dei trattamenti dei test di
mobilità dell’organo.
NB. il trattamento delle ptosi dello stomaco può essere effettuato anche in posizione seduta.

4 sem_Esofago. Anatomia
L’esofago è un canale di transito con un calibro non uniforme visto che nel suo decorso presenta 3 restringi-
menti.
Unisce l’ipofaringe al cardias: questo spiega perché nella valutazione osteopatica di quest’organo sarà nec-
essario effettuare dei test sia sullo stomaco che sul pavimento della bocca, sulla faringe, sulla laringe e sul
compartimento fasciale di questa zona.
Ha una lunghezza di circa 25 cm, quindi attraversa la regione cervicale, il torace e l’addome.

Ha la funzione di:
1. Trasportare il bolo alimentare allo stomaco;
2. Impedire che sostanze irritanti arrivino dallo stomaco (es. se si ingeriscono sostanze irritanti queste at-
traverso onde peristaltiche inverse vengono vomitate).
3. Impedire il reflusso di sostanze gastriche acidi dallo stomaco verso l’esofago;
4. Proteggere le vie aeree superiori dall’acidità gastrica.

L’estremità superiore dell’esofago si trova nel collo all’altezza di C6. In realtà da un punto di vista funzionale
l’esofago cervicale parte da C3 proprio per le relazioni fasciali che esistono. Esso discende nel torace, at-
traversa il diaframma passando attraverso lo iato esofageo e si porta in addome. Pertanto in relazione alle
strutture che attraversa potrà essere distinto in:

62
1.esofago cervicale
2. esofago toracico
3. esofago addominale
Questa suddivisione è puramente anatomica
perchè il condotto esofageo è unico, però ciò
consente di effettuare delle relazioni anato- C6
miche, vascolari, nervose, oltre alla possibilità
di effettuare dei test.
Nel suo decorso l’esofago presenta delle
curvature sul:
-piano sagittale (1) D4
-piano frontale (2), più importanti
Infatti all’inizio dell’esofago toracico a livello
di C6 l’esofago scende addossato alla col-
onna di cui segue la concavità anteriore, poi D7
si discosta dalla colonna descrivendo una
curvatura a concavità anteriore sul piano
sagittale per entrare in addome. Questo as-
petto anatomico riveste interesse soprattutto
D10
per l’esecuzione dei test dato che sul piano
frontale:
- a livello di D4-D5 devia verso dx per la pre-
senza del bronco di sin e dell’arco aortico;

Come detto nell’esofago sono presenti 3 restringimenti:


1. cricoideo (faringoesofageo): a livello del margine infe-
restringimento riore della cartilagine cricoide. Corrisponde all’inizio del
cricoideo tubo esofageo. Proiezione vertebrale C6
2. aortico: nella zona in cui entra in rapporto con l’arco
aortico ed il bronco di sin g dove c’è una deviazione
segmento
cricoaortico verso dx. Proiezione vertebrale D4-D5.
3. diaframmatico: il punto in cui l’esofago entra
nell’orifizio esofageo del diaframma: proiezione verte-
brale D10 g iato esofageo.
restringimento
broncoaortico NB: i restringimenti hanno, tra gli altri, la funzione di
regolare la velocità di progressione del bolo alimentare
(soprattutto il restringimento diaframmatico).
I reperi delle 3 porzioni dell’esofago sono:
1. esofago cervicale (C3-C7): tra osso ioide e C6-C7g
segmento comprende tutta la loggia viscerale del collo. Lo ioide ha
broncodiaframmatico proiezione su C3
2. esofago toracico (C7-D9/D10): passa davanti al piano
vascolare per arrivare a livello dello iato esofageo. NB: lo
iato esofageo vertebrale è a livello di D10, mentre lo iato
restringimento esofageo toracico è la cartilagine condrosternale di sin di
diaframmatico K6
3. esofago addominale: tra D9-D10 ed il cardiasgquindi
segmento
sottodiaframmatico si estende dallo iato esofageo al cardiasgk6-K7.
È lungo circa 2-3 cm.

NB: stiamo parlando di proiezioni in quanto l’esofago passa tra i pilastri e quindi si trova in profondità.
Inoltre l’esofago tra D5-D10 è in stretto contatto con il pericardio: ciò giustifica il confondimento di alcuni
sintomi (soprattutto quelli dell’ernia iatale) con quelli di origine cardiaca.

63
a. carotide comune m. lungo del collo
m. scaleno anteriore parte cervicale dell’esofago
n. frenico nn. laringei ricorrenti
m. scaleno posteriore condotto toracico
pl. brachiale v. giugulare int (sezionata)
a. succlavia v. succlavia (sezionata)
v. anonima (o tronco venoso
tronco tiro-cervicale brachio-cefalico) di sin (sez.)
n. vago (X) a. toracica int (o mammaria int)
1° costa (sezion.) (sez.)n. frenico (sezionato)
a. anonima a. carotide comune
(o tronco arterioso
brachiocefalico) a. succlavia
trachea n. vago (X)
arco nn. laringeo
dell’aorta ricorrente sin
v. azygos
bronco primario biforcazione
dx della trachea
bronco pleura
epiarteriale costale
parte toracica (margine di sez.)
dell’esofago bronco
plesso
esofageo primario sin
pleura aorta
medistinica toracica
(margine di sez.)
tronco pleura mediastinica
vagale ant. (margine di sez.)
v. cava inf pericardio
(sezionata) (margine di sez.)
diaframma
diaframma pleura
vv. epatiche diaframmatica
(sezionate) parte addominale
dell’esofago
v. cava
inferiore stomaco
pilastro dx
del diaframma
aa.
freniche
inferiori
pilastro sin del diaframma
a. celiaca
aorta addominale

64
denti incisivi
0

m. costrittore
orofaringe inf della faringe

epiglottide cartilagine tiroidea

recesso piriforme cartilagine cricoidea


m. crico-faringeo
restringimento cartilagine tiroidea (parte del m.
crico-faringeo costrittore
cartilagine cricoidea inf della faringe)
trachea
16 m. crico-faringeo esofago
aorta
lunghezza media i cm

restringimento sterno
aortico trachea
23 aorta
cuore entro
il pericardio
bronco
primario sin

diaframma

sfintere diaframma
esofageo
38 inferiore

40 parte cardiaca fondo dello stomaco


dello stomaco

Esofago Cervicale
Si trova davanti ai corpi vertebrali (è prevertebrale, pertanto è un viscere profondo avendo davanti a se le vie
aeree), nella loggia viscerale del collo tra l’osso ioide e C7.
NB: il collo presenta una loggia viscerale e due logge vascolari laterali.
È in relazione con le vertebre tramite lo spazio retroviscerale di Hencke e con le cartilagini tiroidea e
cricoidea: tale spazio consente lo scorrimento tra esofago e vertebre e di conseguenza la progressione del
bolo alimentare all’interno dell’esofago.
Ha una relazione diretta con:
la lingua
un piano fasciale medio e profondo fino alla base del cranio (poiché la faringe è in relazione con il tubercolo
65
faringeogcorrelazioni disfunzionali);
il mediastino post
faringe e laringe
la trachea che tramite i fasci connettivali si unisce all’esofago e lo stabilizza
la tiroide (sia la ghiandola che la cartilagine)
Ha relazioni vascolari con:
arterie carotidi comuni
vene giugulari
Ha relazioni nervose con:
nn. vaghi (che sono satelliti dell’esofago scendendovi agganciati)
nn. frenici (dx›sin)

66
trompe

m. eleva-
tore del
velo

m. costrit-
tore SUP

m. costrit-
tore MED
m. stilo glosso
m. stilo faringeo m. palato
glosso
m. costrit- sillon amigdalo- m. palato
tore INF glosso faringeo
forame ceco
vallecule
m. crico- pli. faringo
faringeo base della lingua
epiglottica
seno piriforme
piano dei
costrittori

67
m. costrittore sup della faringe
radice della lingua
epiglottide
m. costrittore medio della faringe
m. palato-faringeo mm.longitudinali
m. stilo-faringeo della faringe
membrana tiro-joidea
adito laringeo
cartilagine tiroidea (corno sup)
piega faringo-epiglottica
ramo int del n. laringeo sup
ed a. e v. laringee sup
m. aritenoideo obliquo
m. aritenoideo trasverso
cartilagine tiroidea
m. crico-aritenoideo post
m. costrittore inf della faringe
aponevrosi faringea (margine di sez)
zona di muscolatura sparsa
m. crico-faringeo (parte del
m. costrittore inf della faringe)
cartilagine cricoidea (faccia post)
piano tendineo della muscolatura
longitudinale dell’esofago
muscolatura circolare dell’esofago
tonaca mucosa e tela sottomucosa dell’esofago
muscolatura circolare nell’area a V (del Laimer)
n. laringeo ricorrente dx

vista posteriormente muscolatura longitudinale dell’esofago


con la faringe aperta
e la tonaca mucosa
asportata

finestra aperta nella muscolatura longitudinale


che mostra lo strato di muscolatura circolare

68
69
Aponeurosi
Cervicale
Profonda

Esofago Toracico
È la porzione di esofago che si estende tra C7-D10.
Contrae rapporti con:
1. Trachea
2. Bronchi
3. Atrio destro
4. Pleura poiché passando nel mediastino posteriore non solo avrà relazioni con il pericardio, ma lateral-
mente anche con le pleure.
Ha rapporti vascolari con:
1. Arco aortico
2. Aorta discendente
3. Dotto toracico
4. Vena azigos
5. Nervo laringeo ricorrente (questo rapporto va tenuto in considerazione quando si fa riferimento alla sin-
tomatologia dell’esofago)
70
Esofago Addominale
Si estende da D9-10 al cardias.
È stabilizzato indietro da un mesoesofageo (cioè una stabilizzazione verso la parete post dell’addome). È un
setto connettivale che dal peritoneo diaframmatico e dal peritoneo parietale post va all’esofago.
NB: va ricordato che dal peritoneo parietale ant si passa al peritoneo diaframmatico e da questo al
peritoneo parietale post. Dal peritoneo diaframmatico parte un setto connettivale (il meso) che si fissa
all’esofagog è un aggancio peritoneale alla parete (in realtà non collega l’esofago ad un viscere, bensì
l’esofago al peritoneo diaframmatico).
Il mesoesofageo è la continuazione del legamento triangolare sin e continua verso il basso con il legamento
gastrofrenico. Infatti dal peritoneo diaframmatico si formano il legamento gastrofrenico ed il legamento
triangolare sin del fegato (dal lobo sin del fegato al diaframma): pertanto c’è una relazione fasciale tra tutti
questi legamenti e l’esofago.

71
a. inter-
a. inter- cost dx
cost sin
esofago trachea

vena
polm dx

V.C.I.

72
muscolatura longitudinale dell’esofago
mucosa
esofagea muscolatura circolare dell’esofago
tela mucosa
ispessimento graduale della muscolatura
leg. freno-esofageo (foglietto ascendente o sup)

fascia sopradiaframmatica
diaframma diaframma

fascia sottodiaframmatica
(o trasversale)
leg. freno-esofageo
(foglietto discendente)
anello adiposo
sottoiatale peritoneo
incisura cardiaca
linea a zigzag:
giunzione delle
mucose esofagea
e gastrica

cardia muscolatura longitudinale


dell’esofago (sezionata)
muscolatura circolare dell’esofago
pieghe (mostrata qui come una spirale)
gastriche
incisura cardiaca
fondo dello
stomaco

collare di Helvezio

strato muscolatura circolare,


medio, dellostomaco

strato muscolatura obliquo, interno, dello


stomaco (che forma un bendaggio)

strato muscolatura longitudinale,


esterno, dello stomaco (sezionato)

Lo iato esofageo
Ha una forma ovalare; è largo 3 cm e spesso 2 cm.
Si trova in proiezione di D9-10.
È formato dall’incrocio dei pilastri principali del diaframma.

Gli sfinteri esofagei


L’esofago presenta 2 sfinteri. In realtà non si tratta di sfinteri veri e propri bensì di un insieme di elementi che
formano lo sfintere:
- superiore detto “UES” (Upper Esophag Sfinter)
73
- inferiore detto LES (Lower Esophag Sfinter)
1. Sfintere esofageo superiore UES:
è rappresentato anatomicamente dalle seguenti strutture:
- muscolo cricofaringeo
- m. costrittore inf della faringe
- fibre muscolari circolari (leggermente densificate, cioè più presenti rispetto al resto del tubo).
Questa conformazione giustifica il fatto che nell’andare ad effettuare un test sull’esofago si porta più in alto
(C3).
2. Sfintere esofageo inferiore LES:
è un’unità funzionale complessa formata da strutture muscolari e fasciali che concorrono alla sua funzione
di sfintere.
Ha una funzione di:
- passaggio del bolo alimentare
- impedire il reflusso gastroesofageo
- permettere il vomito e l’eruttazioneg funzione di protezione dalle sostanze irritanti
È sito
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in zona epigastrica con uno iato che collega la cavità toracica a quella addominale. È������������������
�������������������
una zona di pres-
sioni importanti. È composto da un ispessimento di 2-3 cm di fibre muscolari dell’esofago dette da Laimere
vestibolo esofageo.
La zona sita al di sopra del vestibolo esofageo è detta ampolla epifrenica. Essa ha lo scopo di rallentare il
passaggio del bolo alimentare, pertanto rallentando il passaggio del bolo dall’esofago allo stomaco può es-
sere considerata a tutti gli effetti uno sfintere.
NB: il piloro assolve alla stessa funzione, infatti lo sfintere deve:
- consentire il passaggio del bolo
- impedire il reflusso gastroesofageo del bolo
- regolare il transito del bolo, infatti se lo stomaco è pieno ne ritarda il passaggio.
I legamenti frenoesofagei sup ed inf sono strutture fibroconnettivali dette anche membrane di Laimere
e di Bertelli; si tratta di strutture che fissano l’esofago all’orifizio iatale. La denominazione superiore ed inferi-
ore è riferita all’ancoraggio dello iato esofageo al di sopra ed al di sotto del diaframma.
I muscoli di Juvara (dal diaframma verso l’alto) e di Rouget (dal diaframma verso il basso) sono formazioni
muscolari che si estendono dall’esofago al diaframma e che stabilizzano l’esofago allo iato esofageo at-
traverso un ancoraggio meno stabile rispetto ai legamenti frenoesofagei superiore e d inferiore.
L’angolo di His è posizionato tra l’esofago e la grande tuberosità dello stomaco. Per essere efficace deve
rispettare certi limiti.
Laccio di Allison: è una espansione muscolare del pilastro di destra del diaframma che va ad agganciare
circondandolo il giunto gastroesofageo (cioè il complesso esofago-cardias ed inizio dello stomaco).
Valvola di Gubaroff: non è una vera e propria valvola bensì un ispessimento della mucosa a livello del
giunto.
L’alta pressione a livello del giunto.
La giusta pressione addominale rispetto a quella toracica: nel torace c’è una pressione di - 5 cm H2O, mentre
in addome la pressione è pari a +5-10 cm H2O. Questa differenza di pressione insieme alla componente di
aspirazione-compressione del diaframma consente all’intero complesso di funzionare in maniera adeguata.
Pertanto in presenza di patologie polmonari, pericardiche, di interventi chirurgici addominali si ha una alter-
azione dei normali valori pressori che porta ad uno squilibrio dei sistemi di contenzione con conseguenteg
squilibrio degli sfinteri, ptosi.
NB: la differenza di pressione tra addome e torace è quella che permette di mantenere in sede tutto il
sistema gastrointestinale e non solo.

74
Innervazione
Data la sua lunghezza l’esofago presenterà una innervazione a livello cervicale, toracico ed addominale.
In particolare:
1. Parasimpatico: innerva tramite i nervi vaghi dx e sin.
2. Ortosimpatico: innerva a livello:
- cervicale: tramite i gangli cervicali
- dorsale: tramite i nervi grande e piccolo splancnico D4-8 (in realtà il piccolo splancnico arriva a D12: da
D4-8 è la componente che si riferisce all’esofago)
Oltre alla pratica nel viscerale è fondamentale conoscere i sintomi per poterne avere giovamento con l’anamnesi.
Bisogna conoscere alla perfezione innervazione e vascolarizzazione per poter fare i collegamenti somatoviscerali
e viscerosomatici. In questo senso è utile realizzare delle tabelle con i sintomi, l’innervazione e la vascolarizzazi-
one.

75
variazioni

tronco vagale
tronchi vagali ant singolo che tronchi vagali
anteriori si divide appena posteriori
multipli sopra il diaframma multipli

costituzione alta
di un tronco vagale costituzione bassa
singolo di un tronco vagale
singolo

muscolatura longitudinale
tessuto collageno ed elastico intermuscolare
muscolatura circolare
plesso mioenterico (del Auerbach)
plesso sottomucoso (del Meissner)
tela sottomucosa

innervazione intrinseca
(schema)

76
visti ganglio superiore (o giugulare) del n. vago
anteriormente ganglio cervicale sup del tronco del simpatico
ganglio inferiore (o nodoso) del n. vago
esofago ramo faringeo del n. vago
n. vago (X)
nn. laringei n. laringeo superiore
ricorrenti parte cervicale del tronco del simpatico
ganglio cervicale medio del tronco del simpatico
n. laringeo nn. cardiaci cervicali del simpatico e del n. vago
ricorrente dx
ganglio vertebrale della parte cervicale del tronco del simpatico
ansa succlavia ansa succlavia
ramo per l’esofago e n. ricorrente
del ganglio cervico-toracico (o stellato)
ganglio cervico-toracico
(o stellato)
3° nervo n. laringeo visti
intercostale ricorrente sin posteriormente
rami nn. cardiaci toracici
comunicanti del n. vago e
grigio e bianco del simpatico
3° ganglio pl.cardiaco
toracico del plessi polmonari
tronco del plesso esofageo ant
simpatico
parte toracica r. del tronco del simpatico,
del tronco del n. grande splancnico
del simpatico toracico e del pl. aortico
n. grande per il pl. esofageo
splancnico
toracico dx n. grande splancnico
toracico sin plesso
tronco vagale ant esofageo
fibre simpatiche post
lungo l’a. frenica r. vagale per il plesso epatico
inferiore di sin tramite il piccolo omento
r. vagale ant principale
r. del tronco per la piccola curvatura
vagale post per dello stomaco
il pl. celiaco r. vagale per il fondo e tronco
il corpo dello stomaco vagale post
n. grandi
splancnici
toracici
fibre simpatiche r. vagale per il
lungo il ramo plesso celiaco
dell’a. gastrica r. vagale post
sin (o coronaria r. vagale per la piccola
dello stomaco) per la per curvatura dello
pl. e gangli la parte stomaco
celiaci cardiaca ed il
fondo dello
stomaco

77
Vascolarizzazione Arteriosa
Così come per l’innervazione, anche la vascolarizzazione dell’esofago sarà diversa a seconda del tratto che si
considera. Pertanto procedendo dall’alto verso il basso si avrà:
Esofago cervicale: aa. tiroidee inferiori gloggia vascolare.
Esofago toracico: aa. brachiale, intercostali e collaterali dell’aorta toracica.
Esofago addominale: aa. freniche inferiore e gastrica sin

r. esofageo
dell’a. tiroidea inf r. esofageo
dell’a. tiroidea inf
a. carotide tronco tiro-cervicale
comune
a. succlavia
a. succlavia
a. vertebrale
a. toracica int (o mammaria int)
a. carotide comune
a. anonima (o tronco arterioso brachio-cefalico)
trachea
arco dell’aorta
3° arteria intercostale post dx
a. bronchiale dx
a. bronchiale sup sin
r. esofageo dell’ a. bronchiale dx
a. bronchiale inf sin e suo r. esofageo
aorta toracica
aa. aortiche dell’esofago

parte
toracica
dell’esofago

diaframma

variazioni frequenti: rr. esofagei


possono originare dall’a. frenica
stomaco inf sin e/o dall’a. celiaca. Rr. per
r. esofageo la parte addominale possono
a. gastrica sin (o coronaria anche venire dall’a. lienale (o
dello stomaco) splenica) o dalle aa. gastriche
a. freniche inf a. celiaca brevi
a. epatica comune (sezionata) a. lienale (o splenica) (sezionata)

78
Vascolarizzazione Venosa
L’esofago cervicale e toracico è drenato dal plesso periesofageo, che è tributario della v. cava superiore at-
traverso le vv. tiroidee inferiori, le vv. freniche, le vv. brachiali, le vv. pericardiche e la v. azigos.
L’esofago addominale è drenato dalla v. gastrica sin tributaria della v. porta (come tutto il sistema diger-
ente).
v. tiroidea inf v. tiroidea inf
v. giugulare int v. giugulare int

v. giugulare est

v. succlavia
condotto
v. vertebrale toracico
v. anonima v. succlavia
(o tronco venoso v. anonima
brachio-cefalico) dx (o tronco venoso
brachio-
cefalico) sin
v. cava sup v. intercostale
v. intercostale suprema sin
suprema dx plesso
periesofageo
esofago vena emiazygos
accessoria
6° v. intercostale dx vv. satelliti
del n. vago
v. azygos
congiunzione delle
vv. emiazygos e azygos
vena
v. cava inf emiazygos pl. venoso sottomucoso
(sezionata) v. frenica inf sin
diaframma vv. gastriche brevi
fegato

vv. epatiche

v. cava inf

v.
lienale
v. porta (o splenica)
v. surrenale
sin
v. renale dx v. renale
v. gastrica sin sin
v. gastro-epiploica
(o coronaria delo stomaco) (o gastro-omentale) sin
v. gastrica dx (o pilorica) v. mesenterica inf
v. mesenterica sup
rr. esofagei della v. gastrica sin (o v. gastro-epiploica (o gastro-omentale) dx
coronaria delo stomaco)

79
linfonodi cervicali
laterali profondi
(o giugulari interni)

condotto toracico

linfonodi
tracheali
(o paratracheali)
linfonodi
mediastinici
post linfonodi
parietali
linfonodi linfonodi post
tracheo-bronchiali intercostali

linfonodi diaframmatici

linfonodi gastrici di sin


(o cardiaci dello stomaco)

linfonodi retrocardiaci
e sottocardiaci

linfonodi celiaci

Sintomatologia
Alcuni sintomi si sovrappongono a quelli dello stomaco e dell’ernia iatale. Ciò giustifica il fatto di dover fare
delle domande più specifiche per stabilire quale sia il sistema/organo interessato.
I sintomi più comuni di patologie esofagee sono rappresentati da:
Dolore retrosternale
Dolore mediodorsale per l’innervazione ortosimpatica (chiedi a Franci)
Dolore epigastrico per la localizzazione anatomica e le proiezioni della porzione addominale dell’esofago
Rigurgito, disfagia, odinofagia (dolore all’ingestione di cibo), reflusso, pirosi (bruciore epigastrico e ret-
rosternale quando è associato a reflusso)
Tosse secca e stizzosa per l’irritazione della mucosa a seguito di RGE vista la contiguità anatomica esistente
tra la mucosa delle vie digerenti e quella delle vie aeree.
80
Otiti, riniti e sinusiti croniche
Disfonia ed afonia legate all’innervazione da parte del n. laringeo ricorrente.

Esofago ed emozioni
L’esofago rappresenta la nostra capacità di accogliere il bolo alimentare, pertanto avere problemi a livello
di quest’organo è indicativo della difficoltà che si ha ad accettare o recepire le situazioni difficili che la vita
propone.
Sensazione di avere qualcosa bloccato all’entrata dell’esofago: si ha difficoltà a ricevere il cibo che portiamo
alla bocca e da questo tutte le cose buone che la vita ci offre, di ciò che ci fa bene. Ad es. Pz anoressiche
spesso hanno problematiche esofagee. Ricordiamo infatti che la nutrizione, l’assorbimento e l’evacuazione
(=sistema gastrointestinale) sono strettamente connessi alle condizioni emotive.
Dolore all’esofago: può essere legato ad una situazione che si ritiene ingiusta e che non si riesce ad accettare
oppure ad una situazione in cui ci si sente presi per il collo.
Es. l’esofagite è espressione di una situazione che si ritiene ingiusta e che non si è riusciti a mandare giù.
Es. cancro dello stomaco: è espressione del fatto che ci si sente presi per il collo e non si intravede una via di
uscita.
Quando si cerca un’emozione legata ad un organo bisogna cercare la funzione di quel distretto: es. lo
stomaco è una sacca in cui si rumina gnon ho ancora ben chiare le mie emozioni; es. arti inferiori g
deambulazione=progredire, es. arti superiori= lavoro.

Disfunzioni osteopatiche
Note a margine:
1. Normalmente l’esofago è fisso ed è lo iato diaframmatico che si mobilizza intorno all’esofagog ciò vuol
dire che non si eseguiranno dei test di mobilità, ma di densità e di tensione. La difficoltà risiede nel valutare
il grado di profondità, le giuste proiezioni e la direzione corretta
2. La progressione del bolo alimentare è data da un meccanismo volontario ed involontario.
3. L’onda peristaltica è stimolata dal passaggio del cibo (=stimolo meccanico), ma anche dalla vista, dal
gusto, dall’olfatto (così come accade per lo stomaco).

Reperi dell’esofago cervicale


Sono rappresentati da:
1. osso ioide: si trova subito al di sotto della branca orizzontale della mandibola. Pertanto lo si riesce a pal-
pare ed a testare tenendo in conto che le corna dello ioide si trovano a livello di gonion: da qui con due dita
si ricerca una consistenza di tipo osseo. A questo punto si fa deglutire il Pz e ciò che sfugge al di sotto delle
dita è proprio l’osso ioide. Oppure quando si fa il test delle cartilagini del collo ci si pone con le dita oltre
che sulle cartilagini cricoidea e tiroidea anche sull’osso ioide; a questo punto spostandosi un poco di lato si
riesce a repere tutto l’osso e non solo il corpo.
2. Proiezione di C6-C7 subito al di sopra della fossetta sternale. Reperita la fossetta ci si mette lateralmente
alle vie aeree e medialmente rispetto agli SCOM.

Reperi dell’esofago toracico


Sono rappresentati da:
1. Manubrio sternale
2. Iato esofageo: posto a livello della 6° cartilagine condrosternale sinistra a 2 dita dal margine laterale dello
sterno. Si può effettuare una percussione per capire la variazione di suono.

Reperi dell’esofago addominale


Sono rappresentati da:
1. Iato esofageo
2. Cardias: posto a livello della 7° cartilagine condrosternale di sin

Premesse
Ci sono disfunzioni dell’esofago che coinvolgono i singoli tratti di quest’organo.
Possono essere provocate da:
81
1. Primarie: infiammazioni locali, accollamenti fasciali
2. Secondarie: disfunzioni vertebrali, costali e/o craniche che stimolano il sistema neurovegetativo.

Test e trattamento delle disfunzioni dell’esofago

Test di Rebound (per la loggia mediastinica)


Non è un test specifico per lo sterno pur venendo eseguito sull’esofago, è un test della loggia mediastinica.
Consente di avere 2 informazioni relativamente alla disfunzione e cioè se c’è una prevalenza:
- strutturale
- viscerale
Ci si posiziona con le mani sovrapposte oppure no sullo sterno a seconda delle dimensioni del Pz.
Si procede in due tempi:
1. Si comprime lo sterno verso dietro (cioè verso il lettino).
Si può così apprezzare se c’è una resistenza iniziale alla com-
pressione indicativa del fatto che si è difronte ad una prob-
lematica di tipo strutturaleg si procederà quindi a testare lo
sterno, le coste, le cartilagini costali, le vertebre dorsali.
2. Quando si è nella fase di rilascio se si percepisce che
c’è una difficoltà, una resistenza da parte del tessuto a
tornare indietro (a seguire il ritorno)g si penserà ad una
componemte a responsabilità viscerale che trattiene verso
l’interno.
NB: come detto non è un test selettivo per l’esofago perché una positività alla componente viscerale sta ad
indicare che potrebbe esserci il coinvolgimento di uno qualunque dei visceri sia del mediastino anteriore
che posteriore, cioè cuore, polmoni, bronchi, trachea od esofago toracico. Rappresenta un buon punto di
partenza per approcciare il torace.
Attenzione: il test di Rebaund è diverso dalla correzione con tecnica Rebaund.

Test della loggia viscerale e vascolare


NB: anche questo non è un test specifico perché si testa tutto il complesso viscerale del collo e cioè pavi-
mento della bocca, lingua, cartilagini cricoidee, cartilagine tiroidea, osso ioide, esofago, ghiandola tiroide.
Pertanto con le conoscenze acquisite fino aI III anno di osteopatia in presenza di una loggia viscerale del
collo positiva si è in grado di discriminare a che livello può essere il problema: esofago cervicale, osso ioide,
pavimento della bocca, lingua, cartilagini cricoidea e tiroidea, etc.

A. Test della loggia viscerale


È un test meccanico di allungamento che prevede la capacità di sapere testare in allungamento la loggia vis-
cerale, comprensiva delle fasce media e profonda per riuscire a percepire come queste strutture si lasciano
allungare.
L’ Osteopata si trova alla testa del Pz, seduto o in piedi.
Con una mano prende contatto a livello della “V men-
toniera”, mentre con l’altra si posiziona a livello dello
sterno. È fondamentale che l’osteopata con la mano
posta sullo sterno prenda contatto con le strutture,
inglobando bene le fasce media e profonda in una
sorta di ingaggio di queste strutture, evitando così di
rimanere superficiale.
Con la mano posta sullo sterno deprime un poco i tes-
suti sino a che non sente arrivare la trazione sulla
mano posta sulla “V” mentoniera (NB: se necessario si può estendere un poco il capo del Pz): a questo punto
si procede con il test di allungamento come a portare lo sterno verso i piedi del Pz. In questo modo si per-
cepisce quanto le fasce si lascino allungare.

82
Trattamento della loggia viscerale
Stessa posizione del test. Si procede
mediante tecnica meccanica diretta
in allungamento mettendosi sempre
e comunque in ascolto dei tessuti del
Pz. Quando si percepisce il cedimento
dei tessuti si allunga ulteriormente
su più tempi sino a che il tessuto non
vuole più allungarsi ed anzi torna in
una condizione di neutralità.
B. Test delle logge vascolari
Queste strutture si trovano lateralmente alla loggia viscerale.
Il test viene eseguito bilateralmente senza comunque ricercare un confronto tra le due strutture.
Si fa ruotare leggermente il capo del Pz prendendo punto fisso con le dita di una mano a livello di gonion
lungo tutta la branca orizzontale della mandibola.
L’altra mano viene posta a livello della spalla corrispondente
al lato in esame con il pollice posizionato a livello della spina
della scapola, l’indice a livello della clavicola ed il medio a liv-
ello di K1. Un tale posizionamento è giustificato dal fatto che
questa è la zona inserzionale della fascia.
Facendo punto fisso sulla mandibola si procede ad effettu-
are un test di allungamento sulla loggia vascolare del collo
portando la spalla verso il basso. In questo modo si valuta se la
zona si lascia allungare e la qualità di questo allungamento.
NB: questi test di approccio generale e specifico
sull’esofago vanno integrati con quelli fasciali sulla bocca.

Trattamento delle logge vascolari


Nella stessa posizione del test si procede medi-
ante tecnica meccanica diretta in allungamento
mettendosi sempre e comunque in ascolto dei
tessuti del Pz. Quando si percepisce il cedimento
dei tessuti si allunga ulteriormente su più tempi
sino a che il tessuto non vuole più allungarsi ed
anzi torna in una condizione di neutralità.
Attenzione: sui 3 tratti dell’esofago il trattamento
delle disfunzioni avviene mediante recoil (tecnica
meccanica diretta contro la barriera tessutale in tutte le direzioni dello spazio e nelle fasi respiratorie dove
questa densificazione aumenta. Infine si esegue il recoil nel tempo respiratorio in cui si è avvertita una mag-
giore densificazione). Le posizioni in cui si esegue il recoil sono le stesse di quelle del test.

C. Test di allungamento dell’esofago cervicale


È un test di allungamento tessutale specifico.
La difficoltà di questo test è nel reperimento della struttura e
nell’immaginare di trovarsi su questa zona almeno con l’intenzione.
Con la mano craniale ci si pone in contatto con l’osso ioide al di sotto di
gonion. Reperita la consistenza dell’osso si invita il Pz a deglutire: ciò che si
sente sfuggire al di sotto delle mani è l’osso ioide, pertanto lo si blocca e lo si
utilizza come punto fisso.
Con l’altra mano ci si posiziona più in basso a livello della fossetta giugulare,
internamente agli SCOM e later alle vie aeree (che si trovano centralmente).

83
È necessario entrare andando indietro quanto
possibile ed aprire le dita per non comprimere
troppo le vie aeree. Poi si deve superare un
poco con le mani, un poco con l’intenzione le
vie aeree per arrivare ad una struttura che sia
prevertebrale quale è appunto l’esofago.
A questo punto contattato l’esofago si fa punto
fisso sull’osso ioide e con l’altra mano si al-
lunga in direzione dell’asse longitudinale
dell’esofago. La trazione deve essere percepita
sull’osso ioide: questa è la condizione indispensabile per essere certi di trovarsi sull’esofago cervicale. NB: la
trachea è molto più fissa rispetto all’esofago nello spazio retro faringeo.

Trattamento delle disfunzioni dell’esofago cervicale


Le mani posizionate come nel test. Mentre la mano craniale
fa punto fisso sull’osso ioide quella caudale effettua prima
un allungamento lungo l’asse dell’esofago ed impila il tes-
suto nelle direzioni dello spazio (flessione-estensione, R dx-
sin, inclinazione dx-sin) e negli atti respiratori (inspirazione
ed espirazione) mantenendo il parametro in cui il tessuto
diventa duro.
Una volta impilati tutti i parametri si chiede un atto respirato-
rio e si va ad eseguire il recoil a 2 mani nell’atto respiratorio
dove il tessuto offriva più resistenza lungo l’asse longitudi-
nale dell’esofago.
NB: i test e la preparazione del recoil sono con una mano
punto fisso ed una punto mobile, mentre l’esecuzione del
recoil è a 2 mani. Questa è la tecnica di recoil più difficile per
la presenza della mandibola.

D. Test di allungamento dell’esofago toracico


Anche in questo caso si tratta di un test tessutale.
L’esofago toracico si estende dal manubrio sternale (C5-C6) allo iato esofageo (cartilagine condrosternale
sinistra di K6). Per avere conferma di trovarsi sull’estremità inferiore di questa struttura si potrà anche perc-
uotere con relativo cambio di suono rispetto alla cupola diaframmatica.
La mano craniale, che funge da punto fisso, si posiziona a livello del manubrio sternale, mentre la mano
caudale si trova a livello dello iato esofageo. La cosa difficile sarà il raggiungimento del livello vista la collo-
cazione dell’esofago nel mediastino posteriore.
Con le mani in posizione e l’osteopata posto lateralmente al Pz si effettua una depressione dei tessuti per
superare le coste e la porzione cardiaca in modo da riuscire ad entrare in contatto con l’esofago. L’operatore
ricercherà una congruenza tra la mano craniale e quella caudale così da essere certo di trovarsi lungo l’asse
dell’esofago toracico.
A questo punto l’osteopata si sposta leggermente con il corpo ed i piedi in modo da effettuare un allunga-
mento dell’esofago verso il piede sin del Pz, cioè lungo l’asse dell’esofago. Questo allungamento verrà per-
cepito a livello della mano craniale che funge da punto fisso.

84
repere dell’esofago toracico: mani osteopata posizionato test di allungam
in direzione dell’asse
dell’esofago toracico
Trattamento dell’esofago toracico
Valgono le stesse cose dette per l’esofago cervicale, ma qui la direzione del recoil è lungo l’asse dell’esofago
toracico (cioè piede sinistro del Pz).

Ricerca delle zone di recoil per una


densificazione del disfunzione
tessuto e loro impila- dell’esofago
mento sui piani dello toracico
spazio

E. Test di allungamento dell’esofago addominale


Si tratta sempre di un allungamento tessutale.
La difficoltà, anche in questo caso, sarà quella di riuscire a reperire la struttura da testare visto il suo posiz-
ionamento.
L’Osteopata si pone con i pollici della mano craniale e caudale rispettivamente sulle cartilagini condraster-
nali sinistre di K6 (iato esofageo) e K7 (zona del processo xifoideo-cardias).
L’Osteopata cerca di entrare nei tessuti sotto le coste e sotto la xifoide indirizzandosi verso la spalla sin del
Pz. Se si avverte un poco di tensione si può chiedere al Pz di piegare le ginocchia ed eventualmente si può
“trazionare medialmente” la gabbia toracica.
Quando si percepisce di essere arrivati in una zona più dura, orientata verso la spalla del Pz, si blocca il pol-
lice della mano craniale e si allunga con quello della mano caudale verso il basso lungo l’asse dell’esofago.
NB: quello che si sta testando è la risposta tessutale dell’esofago addominale all’allungamento (nella proiezi-
one della struttura dell’esofago).

85
Posizionamento Test di allungamento
delle mani per dell’esofago addomi-
eseguire il test nale: punto fisso con
di allungamento il pollice della mano
dell’esofago ad- sin, punto mobile con
dominale il pollice della mano
destra.

Trattamento dell’esofago addominale


Valgono le stesse cose dette per l’esofago cervicale e toracico, ma la direzione del recoil è lungo l’asse
dell’esofago addominale e cioè in apertura.

Ricerca delle zone di Trattamento della dis-


densificazione del funzione dell’esofago
tessuto e loro impila- addominale mediante
mento sui piani dello recoil.
spazio.

Ernia iatale
Si definisce con questo termine una patologia caratterizzata dal passaggio intermittente o permanente di
parte dell’esofago addominale o del fondo dello stomaco nella cavità toracica.
La “linea Z”, visibile all’esame endoscopico, rappresenta il limite di riferimento per stabilire se ci si trova in
presenza di un’ernia iatale: infatti quando il fondo dello stomaco risale di circa 1 cm al di sopra di questa
linea si è in presenza di un’ernia iatale.
Una ulteriore evidenza di presenza di ernia iatale è rappresentata dalla differenza di mucosa: mentre quella
dell’esofago è argentea quella dello stomaco è più rossa per la maggiore vascolarizzazione di questo organo.
A livello dello iato esofageo è presente il LES, che risulta essere formato dai pilastri principali e rinforzato da
muscoli (Juvara superiore e Roger inferiore) e da legamenti (Laimer e Bertelli). La sua funzione è quella
di consentire il transito del bolo alimentare dall’esofago nello stomaco mediante chiusura ed apertura in
modo da evitare il reflusso dei succhi gastrici in esofago. Se il LES non è integro si indebolisce e favorisce
l’insorgenza dell’ernia iatale.
Esistono due tipi di ernia iatale:
1. ernia da scivolamento: nella quale solo una parte dell’esofago addominale risale in cavità toracica. È
quella più frequente, maggiormente nei soggetti obesi. È������������������������������������������������
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dovuta al fatto che la pressione addominale su-
pera quella diaframmatica e lo stomaco tende ad essere spinto verso l’alto, nel mediastino, attraverso lo iato
diaframmatico. Non è necessariamente una condizione permanente poiché parte dello stomaco interessato
si sposta spesso su e giù in base alla pressione esistente in addome: uno sforzo, un colpo di tosse, il solleva-
mento delle gambe in posizione sdraiata o qualunque contrazione dei muscoli addominali possono facili-
tare il fenomeno, che quindi, in certi casi, può essere reversibile (questo avviene più facilmente in persone
che congenitamente hanno i tessuti collagenosi più deboli, e pertanto oppongono una minore resistenza.
86
In questi soggetti sono più frequenti emorroidi, ernia inguinale e ptosi renale). La risalita rispetto alla linea
“Z” è di circa 1 cm. Questo tipo di ernia può essere trattato osteopaticamente.
2. Ernia da rotolamento o paraesofagea: consiste in una rotazione dello stomaco lungo la grande curva-
tura, in modo tale che la parte superiore della stessa erni attraverso lo iato esofageo. È meno frequente di
quella da scivolamento, ma è più temibile perché la giunzione gastro-esofagea rimane nella sua posizione
naturale e l’erniazione del fondo dello stomaco porta alla sua compressione tra la parte dello iato e l’esofago.
Può talvolta derivare da un’ intervento chirurgico correttivo di un’ernia iatale da scivolamento. La risalita del
fondo dello stomaco rispetto alla linea “Z” è di circa 2 cm.
NB: l’ernia in entrambi i casi, può creare uno strozzamento della mucosa, un’iperemia (infiammazione lo-
cale) reattiva e la sclerosi dei tessuti (perché la mucosa diventa più fragile). Una diminuzione della vascolariz-
zazione e la successiva fragilità della mucosa gastrica, locale e generalizzata, può evolvere in un’alterazione
del circolo con possibilità di varici esofagee oppure varici interne all’ernia stessa. Da un punto di vista funzi-
onale, la tasca formatosi diminuisce il transito alimentare.
Le cause responsabili di un indebolimento del LES sono di tipo:
1. Meccanico: cioè dovute a disfunzioni a carico del diaframma o di altre strutture limitrofe al LES, quindi si
parla di strutture e fasce.
2. Disturbo neurovegetativo: spesso i neonati presentano RGE per problematiche del nervo vago di dx e di
sin. Una disfunzione a livello della OM (per parto cesareo, posizioni in utero etc.) può essere responsabile di
questo sfiancamento del LESg vanno controllati OM, diaframma, etc.
3. Aumento della pressione intraddominale: donne in gravidanza, obesità, alimentazione incongrua in Pz
predisposti. Infatti un’ alimentazione ricca di grassi aumenta la pressione intraddominale, mentre sostanze
irritanti quali droghe, alcool, caffè, cioccolata, fumo, spezie e cibi piccanti contribuiscono all’insorgenza della
sintomatologia.
4. Problemi ormonali: soprattutto in donne in gravidanza (progesterone), specialmente negli ultimi mesi
(per la notevole presenza del sistema parasimpatico, cioè del nervo vago), problemi tiroidei, stress emotivi
(perché a livello del cardias è presente il plesso solare che risente molto della componente emotiva).
5. Interventi chirurgici che trazionano verso il basso le strutture del LES.
6. Problematiche che trazionano verso l’alto le strutture che compongono il LES (es. diaframma, asse
aponeurotico centrale, etc.)

Sintomi dell’ernia iatale


1. Reflusso gastrico con risalita di cibo in gola
2. Sensazione di acidità
3. Tosse secca perché il nervo vago si divide in nervo laringeo ricorrente, che se stimolato dà problemi sulla
deglutizione e sull’apparato respiratorio. Attenzione a non confondere i sintomi dell’ernia iatale con quelli
cardiaci (una differenza eclatante è che il cambiamento di posizione in paziente con reflusso permette di
migliorare la sintomatologia; nel Pz infartuato questo non accade anzi è presente pallore in volto).
4. Riniti, sinusiti per la risalita del cibo acido
5. Dolore in zona epigastrica
6. Dolore retrosternale
7. Dolore mediodorsale con irradiazione al braccio sinistro
8. Eruttazione
9. Singhiozzo per stimolazione del nervo

Complicanze dell’ernia iatale


1. Varici esofagee: a causa della rottura della mucosa, che diventa fragile.
2. Problematiche cardiache: aritmie cardiache se l’ernia non è stata trattata.
3. Problematiche tiroidee: legate alla vascolarizzazione

Test di valutazione dell’ernia iatale


Oltre ai sintomi per essere sicuri di trovarsi in presenza di un’ernia iatale si può far bere dell’acqua al Pz;
questa dovrebbe arrivare nello stomaco in 7-8 secondi, se impiega più tempo c’è il sospetto di trovarsi di-
fronte ad un Pz con ernia iatale.

87
Trattamento osteopatico
1. Valutazione della xifoide
Si effettua per valutare se questa struttura è dolente oppure no, se è densa oppure no, se si è spostata op-
pure no.
Qualora si abbia difficoltà ad entrare con i pollici a livello del processo xifoideo sarà opportuno trattare i
muscoli digastrici (mediante recoil, ponsage, allungamento oppure allontanamento delle cupole), il dia-
framma etc.
Si può provare ad agganciarla con le dita e a mobilizzarla. Se la xifoide è molto tesa la si può trattare con
delle mobilizzazioni. Se è spostata si può provare a trazionarla per riportarla nella posizione corretta.

test di reperimento del processo Test di reperimento del processo xifoideo


xifoideo (1° modalità) (2° modalità)

test di valutazione del grado di trattamento di una disfunzione del


densità del processo xifoideo processo xifoideo
2. Test del legamento gastroesofageo
La mano craniale fa punto fisso a livello di K5, mentre la mano caudale (mobile) si trova con il pollice al di
sotto della griglia costale nella zona dell’esofago addominale.
Si effettuerà con la mano caudale una trazione verso basso-fuori in direzione del piede sin del Pz per apprez-
zare il grado di allungamento del legamento.
Se il legamento è teso si può provare a normalizzarlo facendo punto fisso con la mano craniale, mentre con
la mano caudale si vanno ad impilare le tensioni nei vari piani dello spazio (flessione-estensione, rotazione
dx-sin, inclinazione dx-sin) e con gli atti respiratori (inspirazione-espirazione) per poi effettuare il recoil nella
fase respiratoria dove era presente maggiore tensione, sempre lungo la direzione del legamento.

test di allungamento del ricerca delle zone di densificazione recoil di una disfunzione del
legamento gastro-esofageo del legamento gastroesofageo e loro legamento gastroesofageo
impilamento sui piani dello spazio
88
3. Trattamento dell’ernia iatale
Si tratta di tecniche di reinformazione tissutale che devono essere precedute dal trattamento degli organi
limitrofi (es. stomaco, diaframma, pleure, legamenti, etc. in particolare si potrà evidenziare un maggior
coinvolgimento a livello dei pilastri e della cupola diaframmatica di sinistra a causa della localizzazione
dell’organo coinvolto). Al termine del trattamento si dovrà ritestare lo stomaco per valutare se esso si trova
in sede oppure no.
Il trattamento può essere effettuato in posizione supina oppure in posizione seduta (in quest’ultimo caso si
è maggiormente facilitati dalla presenza della pressione addominale).

1. Posizione supina
Essendo una tecnica di reinformazione tissutale è opportuno ragionare sulla fisiologia dello stomaco e sui
suoi movimenti durante gli atti respiratori.
Ci si posiziona con la mano craniale a livello di C3 (sede di partenza dell’esofago cervicale) sostenendo tutto
il capo del paziente. Se questo è troppo grande si può prendere contatto con C3 mediante pollice ed indice.
La mano caudale è con il pollice a livello dell’esofago sotto la griglia costale, mentre con le altre dita è sopra
la griglia costale. NB qualora ci si trovi in difficoltà con il pollice, si può posizionare il tallone della mano,
l’importante è rimanere al giusto livello.
Dopo avere ricercato con la mano craniale il giusto livello (=barriera tissutale) in più tempi inspiratori si gua-
dagna con una spinta verso il basso della mano caudale e contemporaneamente si porta in flessione il capo
e quindi l’esofago cervicale a livello del quale arriva la trazione dovuta alla spinta verso il basso. Nei tempi
espiratori si mantiene con entrambe le mani.
Il procedimento viene ripetuto più volte sino a che non si percepisce che non si riesce a guadagnare oltre
con nessuna delle due mani. A questo punto in un tempo inspiratorio, mantenendo a “mò di punto fisso”
con la mano caudale, si riporta in estensione l’esofago cervicale per poi fare ruotare il capo verso dx nella
fase espiratoria. In questo modo si è mantenuto lo stomaco nella corretta posizione, mentre il diaframma
risale.

posizione di partenza per il tratta- in più tempi inspiratori si gua- posizione finale del trattamento
mento dell’ernia iatale (si dà al capo dagna verso il basso nella zona dell’ernia iatale (fase espiratoria)
una leggera flessione in modo da dello stomaco, mentre si porta in
poter meglio reperire C3) accorciamento l’esofago
mediante la flessione del capo
2. Posizione seduta
L’Osteopata si posiziona alle spalle del Pz, che si trova seduto con i piedi fuori dal lettino, e ne aggancia lo
stomaco o passando con entrambe le mani sotto il cavo ascellare del Pz oppure passandovi con una mano
soltanto mentre l’altra passa sopra la spalla del Pz per arrivare in zona stomaco.
Su più tempi inspiratori si chiede al Pz una leggera flessione del tronco in avanti e lo si accompagna in
questa posizione, mentre con le mani si traziona lo stomaco verso il basso e fuori. Nei tempi espiratori si
mantiene la posizione. Quando ci si rende conto che non ci sono più margini di guadagno in un successivo
tempo inspiratorio si chiede al Pz di raddrizzare il tronco, mentre con le mani si mantiene lo stomaco in po-
sizione, e nella fase espiratoria si chiede una rotazione del capo verso dx.
La posizione iniziale delle mani dell’osteopata facilita la trazione dello stomaco verso basso-fuori in quanto
egli ha già agganciato tutto l’organo.

89
posizione iniziale posizione iniziale
del trattamento del trattamento
dell’ernia iatale dell’ernia iatale
(1° modalità) (2° modalità)

durante più posizione di posizione finale


fasi inspirato- raddrizzamento nel trattamento
rie si fa flettere del tronco del Pz dell’ernia iatale
il tronco al Pz nel trattamento (fase espiratoria)
e contempo- dell’ernia iatale
raneamente (fase inspiratoria)
si guadagna
trazionando
lo stomaco
basso-fuori

Stomaco ipertonico
Si definisce stomaco ipertonico una condizione patologica in cui lo stomaco di piccole dimensione è rimasto
posizionato sotto la cupola diaframmatica sin.
In genere è presente in Pz con disturbi neurovegetativi o che presentano disturbi psico-emozionali (es. de-
pressione, etc.).
Il trattamento osteopatico è sempre di tipo reinformazionale, pertanto viene eseguito con tecnica fasciale
solo dopo avere reinformato le strutture limitrofe.
L’Osteoapata è seduto al fianco del Pz e posiziona una mano posteriormente a livello del fegato (in modo
da agire sul legamento gastroepatico-piccolo epiploon), mentre con l’altra mano si posiziona a livello dello
stomaco (in modo da agire sul legamento gastro-frenico che è quello maggiormente coinvolto in caso di
stomaco ipertonico perché è trazionato verso l’alto).
Essendo una tecnica fasciale ci si mette in ascolto delle fasce e si spinge ancora di più lo stomaco verso la
cupola diaframmatica di sin fino a che si percepisce che la fascia non è più in grado di andare in questa
direzione, ma anzi vuole tornare verso il basso ed allora la si accompagna. Volendo lavorare con la respirazi-
one in più tempi espiratori si andrà ad impattare ancora di più lo stomaco verso il diaframma sino a che non
si riesce più ad andare e quindi nei successivi tempi inspiratori si aiuta lo stomaco a scendere (rimanendo
fermi durante gli atti espiratori). La mano posizionata posteriormente nella fase di correzione inspiratoria è
come se fosse posizionata sulla loggia epatica e trazionasse il fegato verso l’alto, mentre lo stomaco va verso
il basso, avanti e dentro.
La tecnica termina quando si percepisce un certo equilibrio sia in fase INsp che Esp.
Attenzione: se si lavora con la respirazione ci si può aiutare con le mani, mentre quanto si decide di lavorare
con il ritmo cranio sacrale le mani non si muoveranno. La scelta di una tecnica rispetto ad un’altra dipende
dalla concentrazione dell’Osteopata, dal Pz, dalle problematiche riscontrate e dal tempo che si ha a disposiz-
ione. In quest’ultimo caso è chiaro che la tecnica basata sul ritmo cranio sacrale richiede più tempo (anche
15 minuti).
NB: la tecnica scolastica prevede il posizionamento delle mani su fegato post e stomaco ant, in realtà le
mani potrebbero anche essere posizionate entrambe anteriormente, una sullo stomaco e l’altra in apertura
sulla cupola diaframmatica (e di conseguenza in questa posizione sarà anche sul leg. piccolo epiploon).

90
Fase espiratoria:
si va ad aggravare
l’impattamento
dello stomaco
verso il diaframma

posizione di uno stomaco ipertonico (pic- posizione di partenza nel tratta-


colo e risalito verso l’alto) mento di uno stomaco ipertonico

Fase inspiratoria: Altra modalità di approccio al trattamento dello


si porta lo stomaco verso basso-avanti-dentro stomaco ipertonico.
Anno 4 sem 1

Il Fegato
Premesse: quando comprendiamo il senso di una struttura, la sua funzione, è impossibile dimenticarne
l’anatomia. È necessario dare un senso pratico alle nostre conoscenze.

Anatomia
Il fegato è un organo molto importante dal punto di vista meccanico per l’organismo in quanto ha un peso
variabile da 1,5 a 2,5 kg quando è carico di sangue (vi passa all’incirca 1-1,5 litri di sangue al minuto): quindi il
peso del fegato, tramite le relazioni fasciali, ha un impatto notevole sull’organismo. Infatti seppur stabilizzato
dai ripiegamenti peritoneali, incide sugli stessi e sugli organi adiacenti come lo stomaco, l’esofago, il quadrato
colico e naturalmente il diaframma. Influenza inoltre il sistema parietale, vertebre e costole e, in maniera im-
portante, la SSB alla quale è collegato tramite la catena fasciale cervicotoracica che arriva al diaframma.
È una grande ghiandola di origine endodermica lunga 28 cm., larga 12 cm. ed alta tra i 5-12 cm.
Volume e peso dipendono dalle sue condizioni circolatorie, infatti lo stato di replezione epatica è fondamen-
tale per mantenere una corretta pressione intracavitaria (uno dei fattori di mantenimento della sua posiz-
ione).
È posizionato a livello dell’ipocondrio dx, dell’epigastrio e di parte dell’ipocondrio sin, più o meno a livello
della linea emiclaveare a livello della 6° cartilagine condrosternale di sin.
Il margine anteriore è sottocostale e sottodiaframmatico e normalmente non deborda dalla griglia costale
(quindi è completamente sottocostale), se non a livello xifoideo. Ciò nonostante il suo parenchima è palpa-
bile a livello del suo margine antero-inferiore (Il prof. Manzo dice che nel sospetto di una condizione di “situs
inversus” il fegato è dirimente proprio perché è palpabile).
La porzione epigastrica del fegato che deborda dalla griglia costale si trova nello spazio di Labbè: un trian-
golo che unisce la 10° costa di dx all’8° costa di sin.

91
piano
piano medioinguinale transpilorico

diaframma

fegato
coperto dal
diaframma,
dalla pleura e
dal polmone
(suono non
ottuso alla
percussione) diaframma
fegato
coperto dal
diaframma e
dalla pleura
(suono fegato
ottuso alla coperto dal
percussione) diaframma,
fegato coperto dalla pleura e
dal diaframma dal polmone
(suono ottuso (suono non
alla percussione ottuso alla
o risonanza percussione)
intestinale) fegato coperto
dal diaframma
cistifellea e dalla pleura
(suono ottuso
fegato alla percussione)

fegato
coperto dal
diaframma, fegato coperto
dalla pleura e dal diaframma
dal polmone e dalla pleura
(suono non (suono ottuso cistifellea
diaframma ottuso alla alla percussione)
margine inf del fegato
percussione)

Il fegato, per le sue competenze funzionali, può essere considerato una ghiandola a secrezione esocrina
perché produce bile, che si riversa nel duodeno. Ma è anche una ghiandola endocrina a secrezione interna
non perché secerne ormoni, ma perché riversa nel sangue numerosi elaborati (glucosio, proteine, lipopro-
teine). Infatti le sostanze assorbite ed immesse nel sangue a livello del tratto intestinale giungono al fegato
attraverso la vena porta; questa via circolatoria, che dall’intestino conduce al fegato, costituisce la circolazione
enteroepatica mediante la quale i glucidi, i lipidi, i protidi e molte altre sostanze sono elaborate, assorbite,
accumulate o trasformate dal fegato stesso. In sostanza l’organo ha una funzione metabolica, vascolare e se-
cretoria (= endocrina ed esocrina).
Si divide in 4 lobi anatomici: lobo dx, lobo sin, lobo caudato (posteriore) e lobo quadrato (anteriore, dove è
alloggiata la vescicola biliare). La suddivisione in lobi è data dai solchi.
Funzionalmente è suddiviso in 8 lobi, ciascuno dei quali è servito da ramificazioni di a. epatica, v. porta e dotto
biliare; il tutto è avvolto in un tessuto connettivo di supporto. Sono pertanto un’unità funzionale.
92
Al di sotto del rivestimento peritoneale viscerale il fegato è ricoperto da uno strato di connettivo collagene
con qualche fibra elastica detto capsula di Petrequin. In esso decorrono vasi, linfatici e nervi. La capsula di
Petrequin è fibrosa e strettamente connessa al parenchima sottostante nel quale si addentra con setti robusti
detti colonne di Glisson. La capsula fibrosa e le placche di Glisson sono innervate dal n. frenico (C3-C5).

a. epatica propria, aorta margine dell’incisione


ramo sin addominale del piccolo omento
a. epatica propria, v. cava a. gastrica
ramo dx inferiore sin
fegato stomaco

cistifellea milza

a. cistica
margine
dell’incisione
del leg. epato-
duodenale
a. epatica
propria
v. porta

tronco
celiaco
a. epatica
comune
dotto
coledoco
a. gastrica
dx
a. pancreatico-
duodenale
superiore
posteriore
a. gastro-
duodenale
flessura
colica dx

duodeno a. gastro- a. lienale a. gastro-


epiploica dx epiploica sin
a. pancreaticoduodenale pancreas grande
superiore-anteriore omento
Rapporti anatomici
Sono importanti per la sua funzione.

Faccia diaframmatica
È limitata anteriormente ed in basso dal margine antero-posteriore della riflessione del peritoneo che forma
il foglietto superiore del legamento coronario. Su tale faccia si trova il solco sagittale superiore: è qui che le
lamine del peritoneo si sdoppiano e vanno a rivestire il fegato da un lato e dall’altro. Questa è la zona di inser-
zione del leg. falciforme, che poi si sdoppia e va a formare il leg. coronario del fegato.
La faccia diaframmatica di sin è meno estesa di quella di dx, così come il lobo sin è meno esteso del dx.
Presenta la depressione cardiaca, cioè una zona dove poggia il centro frenico e dove quindi si trova il pericar-
dio: ciò spiega la relazione diretta che esiste tra tendine centrale e fegato.

93
Faccia viscerale
È percorsa da 2 solchi: sagittale dx e sinistro e da un solco trasverso che corrisponde all’ilo. Questi solchi divi-
dono il fegato nei 4 lobi anatomici. L’ilo è sito tra il lobo quadrato e caudato: è il punto di ingresso e di uscita
dei vasi e dei dotti. Inoltre a tale livello si inserisce il leg. epatogastrico.
Il solco sagittale dx è suddiviso in due zone: ant e post. Quella ant accoglie la fossetta cistica, in cui riposano la
vescicola biliare ed il dotto cistico, mentre quella posteriore accoglie la vena cava inferiore. Queste due zone
sono divise dal tubercolo caudato.
Il solco trasverso, cioè l’ilo del fegato, è più vicino al margine posteriore ed accoglie il peduncolo epatico
costituito da: rami di divisione della vena porta, dell’arteria epatica ed i dotti epatici di destra e sinistra (che
formeranno il dotto coledoco), vasi linfatici, rami nervosi del plesso epatico e del plesso biliare (=neuroveg-
etativo).
Presenta numerose impronte create dai visceri con cui viene in rapporto: stomaco a sin (di cui ricopre a sinis-
tra la piccola curvatura), esofago addominale, rene e surrene, colon.

Faccia posteriore
Concava in senso trasversale, larga e stretta, sottile a sinistra fino a diventare un vero e proprio margine, è
ricoperta solo da peritoneo.
Si trova sotto l’arcata costale (K9-K12) e si appoggia alla zona vertebrale D9-D12.
È in rapporto con il diaframma tramite il quale comunica con gli organi che si trovano nella cavità toracica:
- a dx con la base del polmone ed il seno costodiaframmatico posteriore;
- a sin con la pleura, parte del polmone di sinistra, con il pericardio e con l’apice del cuore.
Leggermente a sin, nella parte mediana, presenta una profonda incisura perché tramite l’interposizione di
strutture prenderà contatto con le vertebre da D9 a D11 (adattandosi alla forma vertebrale di questa zona). In
questo tratto la faccia posteriore del fegato entra in contatto con le formazioni che attraversano il diaframma:
vena cava inferiore, aorta, esofago e nervi vaghi.

Margine anteroinferiore
È palpabile, sottile e tagliente. Presenta due incisure.
È sede del legamento falciforme, dal cui margine libero origina il legamento rotondo che, a sua volta, inseren-
dosi sulla parte posteriore della linea alba, giunge fino all’ombelico. Da qui un setto connettivale denominato
uraco si spinge fino alla faccia superiore della vescica. Esiste così una relazione fasciale, seppur debole, tra
fegato e vescica. NB: il leg. rotondo origina da una obliterazione della vena ombelicale alla nascita.
Il margine anteriore è in rapporto con K8-K9 sulla linea emiclaveare, attraversa l’epigastrio ed arriva a K6-K7 a
sinistra.

Margine posterosuperiore
A dx della vena cava inferiore presenta l’impronta surrenalica.
A sin è formato dall’estremità posteriore del lobo caudato.

Mezzi di fissità
Il fegato mantiene la posizione nella sua loggia sottodiaframmatica grazie ai legamenti formati dalla rifles-
sione del peritoneo parietale e viscerale, che lo relazionano alla parete e ad altri visceri (es. colon ed angolo
colico, stomaco tramite il piccolo epiploon). Inoltre è fissato alla parete posteriore dell’addome dalle sue con-
nessioni vascolari con la vena cava e da un tessuto connettivo disposto tra fegato e diaframma.
I legamenti che in osteopatia si vanno a trattare sono: coronale, triangolare destro e sinistro, falciforme, ro-
tondo, uraco e piccolo epiploon. Pertanto per es. andando a trattare il fascio verticale del piccolo epiploon si
avranno ripercussioni sulle strutture in esso contenute: arteria epatica, vena porta e dotto coledoco.
Esistono però anche altri legamenti: epatosurrenale, epatorenale, epatocolico. Essi però non assumono un
grande interesse nella mobilità dell’organo (=movimento dell’organo rispetto al diaframma).

Legamento coronario
È il vero legamento sospensore dell’organo.
Si trova a livello della faccia posterosuperiore dell’organo e consente la bascula dell’organo.
È costituito da due foglietti: superiore ed inferiore. Il superiore è suddiviso in due parti e presenta un margine
94
libero a destra, la cosiddetta zona libera, estesa 4-5 cm, dove l’organo è privo di qualsiasi rivestimento lega-
mentoso.

Legamenti triangolari
In numero di due, dx e sin, derivano dall’accollamento dei 2 foglietti, che compongono il leg. coronario, in
corrispondenza delle estremità dx e sin.
Entrambi connettono il fegato al diaframma. Inoltre il sin si continua con il mesoesofago e con il leg. gastrof-
renico. Pertanto il fegato e lo stomaco possono influire sulla competenza del LES e sulla fisiologia dell’esofago
e del diaframma, generando una sintomatologia riflessa di tipo gastrico.
Tra le due lamine che costituiscono i legamento sono alloggiati vasi linfatici e vene epatiche accessorie (>
interesse osteopatico).
Limitano i movimenti di inclinazione su di un piano frontale del lobo dx e sin (bascula laterale).

Legamento falciforme
Disposto sagittalmente limita la bascula anteriore del fegato.

Legamento rotondo
Mette in relazione il fegato con la linea alba e, tramite l’uraco, il fegato con la faccia superiore della vescica.

Piccolo epiploon
Si compone di due fasci:
- epatogastrico: si estende dalla piccola curvatura dello stomaco all’ilo epatico. Contiene al suo interno vasi
linfatici e nervosi, tra cui il n. gastroepatico (ramo del vago anteriore)
- epatoduodenale: va dall’ilo epatico all’antro pilorico, al piloro ed al 1° duodeno. Al suo interno decorrono
arteria epatica, vena porta e dotto coledoco.

Vena cava inferiore


È intimamente legata al fegato, passando nella sua faccia posteriore attraverso il solco omonimo, e sicura-
mente è uno dei più importanti mezzi di sospensione e di stabilizzazione del fegato. È fissata dalle aderenze
peritoneali, dal suo orifizio diaframmatico e dalle vene epatiche che sboccano al suo interno.

Vascolarizzazione
Il sangue raggiunge il fegato attraverso 2 correnti ematiche (a. epatica e vena porta) e lo lascia seguendo
un’unica corrente (vene epatiche).
Arteria epatica: origina dal tronco celiaco a livello di D12 e forma le collaterali arteria gastrica di dx ed arte-
ria epatoduodenale. Poi in prossimità dell’ilo emetterà le arterie epatiche dx e sin che si distribuiranno alla
porzione dx e sin del parenchima epatico. Ciascuna di queste suddivisioni dà origine ad esili rami destinati
all’irrorazione dei vasi maggiori stessi, ma anche all’irrorazione delle vie biliari e della capsula. Ma soprattutto
continuano nelle arteriole interlobulari che decorrono negli spazi portali e poi si gettano nei sinusoidi epatici
(=sono i capillari del fegato).
Vena porta: origina posteriormente alla testa del pancreas dall’incontro della vena mesenterica superiore e
della vena lienale (che a sua volta riceve la vena mesenterica inferiore). In prossimità dell’ilo si divide in un
tronco destro ed uno sinistro, da cui poi si formeranno i rami interlobulari e perilobulari.
Nota bene: esistono delle vene accessorie con lo stesso significato della vena porta; esse affluiscono diret-
tamente al fegato senza unirsi al tronco principale portale (es. vene cistiche, vene del legamento falciforme,
vene paraombelicali e vene del piccolo epiploon).
Vene epatiche: l’unità funzionale presenta una vena centrolobulare, che è centrale rispetto all’unità funzion-
ale del parenchima epatico. Le vene centrolobulari formano le vene sottolobulari, che a loro volta vanno a
formare le vene epatiche dx e sin, che si gettano poi nella vena cava inferiore.
NB: il sistema portale ed il sistema della vena cava inferiore hanno delle anastomosi e questo rappresenta un
importante collegamento da tenere presente quando si è in presenza di ipertensione portale perché si pos-
sono avere sintomi specifici quali:
1. Varici esofagee per le anastomosi tra sistema portale e vene esofagee.
2. Caput medusae (=capillari periombelicali) per le anastomosi del sistema portale con le vene della parete
95
addominale.
3. Emorroidi per le anastomosi a livello rettale superiore.

Sistema linfatico
I vasi linfatici non si rinvengono all’interno dei lobuli, bensì più avanti negli spazi portali. Essi seguono il de-
corso dei vasi sanguiferi e delle vie biliari per scaricarsi nei vari linfonodi oppure seguire il decorso delle vene
epatiche per superare il diaframma e giungere ai linfonodi sovradiaframmatici.

Innervazione
I nervi del fegato formano un plesso anteriore ed un plesso posteriore.
Il plesso epatico ant è costituito dal nervo gastroepatico (proveniente dal nervo vago di sin), che circonda
l’arteria epatica comune. Successivamente dà dei tronchi che seguono il decorso dell’arteria epatica.
Il plesso epatico post è costituito dai rami del n. vago di dx e dai tronchi che originano dal plesso celiaco e
dal ganglio semilunare.
In conclusione: - parasimpatico: vago destro e sinistro
- ortosimpatico: catena laterovertebrale D7-D9
- capsula di Petrequin e colonne di Glisson: nervo frenico C3-C5.

FISIOLOGIA del Fegato


Il fegato svolge un ruolo molto importante nel metabolismo di molte sostanze ed ha anche funzioni biosintet-
iche. In questo è favorito dal posizionamento anatomico (infatti è il primo organo che riceve il sangue refluo
del sistema portale arricchito di tutti i principi nutritivi quali aminoacidi, acidi grassi, monosaccaridi, che ven-
gono dal sistema intestinale) oltre che dalla sua struttura architettonica.
Si discute ancora quale sia l’unità funzionale del fegato; due sono le ipotesi al vaglio:
1. Lobulo epatico: esagonale con al centro la vena centrolobulare, mentre ai lati dell’esagono si trova una
struttura costituita dall’unione di un vaso portale terminale, una arteria epatica terminale ed un dotto biliare
terminale. Vena portale ed arteria epatica terminale drenano entrambe verso la vena centrolobulare (che di-
venterà poi vena epatica).
2. Acino epatico: è una unità funzionale di forma ovale presente all’interno del lobulo epatico. Alle estrem-
ità dell’acino ci sono le vene epatiche terminali, mentre i poli presentano una unità funzionale costituita
dalla vena portale terminale, dall’arteria epatica terminale e da un canalicolo biliare terminale. All’interno
dell’acino ci sono zone più vicine e zone più lontane rispetto al centro portale: la distanza di una zona rispetto
all’altra condiziona la funzione di diverse zone dell’acino. Al contrario il lobulo da una funzione più globale
del parenchima epatico.
Nel fegato i principi nutritivi son captati, metabolizzati e poi ridistribuiti attraverso il sistema delle vene epat-
iche.
Svolge anche un ruolo nela detossificazione ed escrezione di sostanze che gli arrivano tramite la vena porta
o l’arteria epatica (es. dalla cute e dal sistema respiratorio arrivano al fegato farmaci, coloranti, conservanti e
pesticidi.
Sintetizza proteine plasmatiche ed attraverso la bile provvede all’escrezione di sostanze come colesterolo,
pigmenti biliari e farmaci. Quindi ha un ruolo anche di escrezione.
Il fegato è costituito da 4 tipi di cellule:
1. Epatocita: ha funzione biosintetica e metabolica. Infatti il compito fondamentale del fegato è quello di
garantire in ogni momento un ottimale rifornimento di materiale energetico a tutti gli organi. Questo tipo di
funzione è principalmente sotto il controllo endocrino di ormoni pancreatici, surrenalici e tiroidei.
2. Cellule endoteliali: rivestono i capillari che ricevono il sangue sia dall’arteria epatica sia dalla vena porta
(=sinusoidi).
3. Cellule di Kupffer: presenti a livello delle pareti dei sinusoidi. Sono dei macrofagi, pertanto sono deputate
alla captazione ed alla distruzione di materiale corpuscolare (batteri, virus, eritrociti lesionati).
4. Cellule stellate: si localizzano nello strato subendoteliale (che separa l’epatocita dai sinusoidi). Hanno fun-
zione di deposito di grasso, lipidi e vitamina A.

Metabolismo dei carboidrati fonte di energia


Il fegato garantisce la biodisponibilità di glucosio e pertanto regola i valori della glicemia perché ha la capac-
96
ità di accumulare carboidrati sotto forma di glicogeno.
È inoltre in grado di sintetizzare il glucosio ex novo partendo da tutti i prodotti del metabolismo ossidativo
provenienti dal tenue (es. le proteine degradate in aminoacidi che vengono utilizzati per sintetizzare il gluco-
sio). Questo avviene nei sg. che sono a digiuno prolungato o durante l’esercizio fisico prolungato quando le
riserve di glucosio sono state bruciate.
Metabolismo proteico
Il fegato ha la capacità di sintesi proteica a partire da aminoacidi in parte di origine intestinale tramite il sitema
portale ed in parte dal metabolismo intraepatico attraverso la transaminazione. Tutto ciò si realizza grazie al
fatto che nel fegato avvengono reazioni mediate da enzimi (le transaminasi), che oltre che degradare amino-
acidi servono anche per la biosintesi intraepatica.
È responsabile della sintesi di molte proteine plasmatiche tra cui la transferrina, che è coinvolta nel trasporto
del ferro.
Il fegato sintetizza anche molti elementi proteici che fanno parte della catena della coagulazione. I macrofagi
sono deputati alla captazione, inattivazione e degradazione dei fattori proteici presenti nel plasma.

Metabolismo dei lipidi


Acidi grassi e lipoproteine sono presenti nel plasma e captate dagli epatociti.
1. Acidi grassi: rappresentano una fonte di energia per il fegato e per tutto l’organismo in generale, questo
perché a livello mitocondriale l’ossidazione degli acidi grassi ad H2O ed anidride carbonica garantisce la pro-
duzione di adenosintrifosfato ATP (che verrà utilizzato come fonte di energia). Inoltre il glucosio in eccesso
può essere convertito in acidi grassi ed accumulato nel tessuto adiposo.
2. Lipoproteine: sono presenti in 5 classi sulla base della loro densità: VLDL (bassa densità), LDL (intermedia),
IDL (lipoproteine), HDL (alta).
Le LDL ed HDL sono deputate al trasporto del colesterolo dal fegato agli altri organi. Quindi appare evidente
il ruolo epatico nella regolazione della colesterolemia.

Funzione di deposito
Il fegato è sede di deposito di:
- Ferro sotto forma di ferritina
- Vitamine liposolubili (es. A) e di alcune idrosolubili (es. B12 utilizzata per il trasporto del ferro)
- Vitamina D è invece trasformata nel fegato in una struttura più utilizzabile e convertita poi ulteriormente a
livello renale.
NB: il fatto che un organo come il fegato sia sede di deposito di così tante sostanze vuol dire che quando si
prende in cura un Pz ci si occupa delle carenze delle sostanze, ma anche del loro accumulo (es Pz macrobi-
otico, mangiatore di frullati di carote morto per cirrosi epatica).

Funzione endocrina
Nel feto le cellule di Kupffer sono le principali responsabili della produzione di eritropoietina (EPO), che fa-
vorisce la produzione di globuli rossi.
Nell’adulto questo ruolo è svolto dal rene, ma il fegato mantiene il 10% di questa funzione.
Il fegato potenzia la produzione di ormoni (per es. nel fegato il T4 viene trasformato in T3, cioè nella forma più
attiva).
Assieme al rene il fegato provvede alla rimozione dal circolo degli ormoni peptidici ed al loro catabolismo.

Emopoiesi
Nel feto il fegato partecipa alla produzione degli elementi corpuscolati del sangue. Da adulto ciò non accade,
ma è essenziale che ci sia una buona funzionalità epatica per assicurare il giusto apporto di ferro, acido folico
e vitamina B12, i quali vengono forniti al midollo osseo per la produzione di globuli rossi.

La bile
Gli epatociti producono dai 6 agli 800 ml di bile giornalieri.
La bile è composta da acqua, sali biliari, bilirubina, colesterolo, acidi grassi, lecitina ed elettroliti.
I sali biliari sono sintetizzati nel fegato.
La bile prodotta dal fegato entra nei canalicoli biliari, arriva ai dotti biliari terminali per poi confluire nei dotti
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maggiori sino ad arrivare ai 2 dotti epatici: il dotto epatico comune ed il dotto cistico, che si uniscono a for-
mare il coledoco.
Il coledoco si svuota nella papilla duodenale maggiore, sfintere di Oddi e 2° duodeno.
La bile viene secreta continuamente in funzione di stimoli NVG e biochimici. La secrezione è indotta dalla sti-
molazione vagale, ma esistono anche sostanze che ne stimolano la produzione oltre a sostanze che inducono
la contrazione della cistifellea.
Ruolo della bile è quello di emulsionare i lipidi, cioè li trasforma in goccioline piccole facilitando così la diges-
tione dei grassi.

RIEPILOGO
1. Metabolismo proteico:
- Deaminazione degli aminoacidi;
- Formazione di proteine plasmatiche (albumina, globulina, protrombina);
- Fattori della coagulazione;

2. Metabolismo lipidico:
- Ossidazione degli acidi grassi;
- Sintesi di trigliceridi e di fosfolipidi
- Sintesi di colesterolo e di sali biliari

3. Metabolismo glucidico:
- Gluconeogenesi;
- Glicogenolisi;
- Conversione di fruttosio e galattosio in glucosio
NB: questi processi contribuiscono al corretto mantenimento della glicemia.
Conclusioni: Still afferma che “il fegato sembra essere un laboratorio chimico della natura, che riceve le oppor-
tune quantità e qualità, le rielabora dando vita a sostanze dure e molli, le quali andranno a costruire qualsiasi
organo, ghiandola, muscolo, vena, arteria, cellula e nervo…”.

Approccio osteopatico al fegato


Ispezione
Con il Pz in statica eretta si provvede alla valutazione visiva della zona dove è al-
loggiato il fegato alla ricerca di reticoli venosi, cicatrici eritemi. Inoltre si valuta il
colorito delle mucose del Pz (Pz itterici hanno colorito giallognolo), l’alito ed even-
tuale cattivo odore (tipico quest’ultimo delle grosse patologie del fegato).
Si ispezionerà la zona dell’ipocondrio dx, epigastrio, ipocondrio sin e la regione
posterolaterale dx (l’organo si estende da D9-D12 gK12).
Ricordiamo che:
- il lobo dx si estende dal 4° spazio intercostale sino alla fine della griglia cos-
tale, con il margine antero-inferiore che generalmente non deborda (lo può fare
in caso di ptosi dell’organo o di sua congestione perché in questo caso pieno di
sangue; pertanto all’atto della percussione sarà opportuno iniziare a ricercare
l’organo a partire da K3).

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- il lobo sin si estende dalla cartilagine condrosternale
di K6 sino poco al di sotto del processo xifoideo (è più
piccolo del dx e va a coprire la piccola curvatura dello
stomaco).

veduta laterale veduta post


Percussione
Viene eseguita con il Pz in decubito supino. Il fegato darà un suono pieno poiché il suo parenchima è pieno di
sangue (al contrario del polmone che da un suono chiaro).
L’Osteopata si pone con le mani a piatto sul torace del Pz e tramite i pollici di entrambe le mani inizia a scen-
dere alla ricerca del 4° spazio intercostale. A questo punto inizia la percussione alla ricerca dei limiti del bordo
superiore del lobo dx. Poi sempre rimanendo in contatto con le dita si sposta alla ricerca del limite del bordo
superiore del lobo sin a livello di k6 (sulla linea emiclaveare).
Il margine posterolaterale dell’organo va ricercato a livello della linea emiascellare di dx o con il Pz supino e la
mano dx posta dietro la schiena oppure con il Pz posto in decubito laterale sin.
Il margine antero-inferiore del fegato può essere valutato mediante la palpazione con le dita di entrambe
le mani: ciò che si ricerca è la consistenza dura o molle del parenchima epatico. Generalmente non deborda
dalla griglia costale.

lobo sin
lobo dx epigastrio

margine
post-laterale

margine laterale

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Test di valutazione del margine antero inferiore del fegato nella sua lunghezza

NB: il test qualitativo di Glenard viene utilizzato per valutare qualitativamente il margine antero-inferiore
del fegato. Il Pz si trova in decubito supino con la mano dx dietro la schiena. L’Osteopata si pone con la mano
craniale sulla griglia costale avendo il pollice sotto di essa. Con la mano caudale invece si posiziona al di sotto
dell’ombelico. Durante l’INsp del Pz l’osteopata con la mano caudale va a compattare il pacchetto intestinale
in direzione dell’ilo epatico. In questo modo il fegato andrà ad effettuare una bascula anteriore, una incli-
nazione destra ed una rotazione antioraria verso sinistra: così facendo il margine antero-inferiore dell’organo
andrà a “cadere” proprio sul pollice della mano craniale dell’osteopata, che potrà valutarne la forma e la con-
sistenza (dura=patologia infettiva, assottigliato=epatomegalia, molle=steatosi, bozzoluto=cirrotico). Qualora
l’osteopata abbia qualche difficoltà può fare effettuare al Pz una apnea INsp durante la quale il margine ante-
ro-inferiore sarà ben apprezzabile.

Test di Glenard per la valutazione del


margine antero-inferiore del fegato
durante la fase inspiratoria

Test di resistenza o di pressione


Può essere eseguito con due modalità:
1. Costale: con la mano dx o sin che prende appog-
Test Costale
gio sulla griglia costale. con mano sin
2. Addominale/sottocostale: con la mano dx in ap-
poggio come per il test di pressione della cupola dx.
L’intenzione, una volta depressi i tessuti, è quella di ar-
rivare sino al 4° spazio intercostale.
La finalità del test è quella di valutare la consistenza
dell’organo: duro o morbido.
NB: per sapere se si sta testando la cupola dx oppure il
fegato ciò che è importante è l’intenzione.

100
Test Costale
Test Sottocostale
4° spazio

mano dx

Test costale di pressione o resistenza Test sottocostale di pressione o resistenza del


del fegato: variante con la mano dx fegato: importante sono l’intenzione di testare
il fegato e l’inclinazione del braccio in direzione
del 4° spazio intercostale
Test di mobilità e tecniche correttive per disfunzioni in inspiro ed espiro
Dopo avere reperito il fegato si prende contatto, tramite le mani, con l’organo in modo da materializzarlo il
più possibile. Pertanto la mano dx prenderà contatto con il margine antero-inferiore (o con la sua proiezione
in modo da sentirne bene la discesa) e con il lobo sin. Con la mano sin invece prenderà contatto in modo da
materializzare il lobo dx.
NB: esiste un’altra posizione delle mani per effettuare il test di mobilità, la cosa fondamentale anche in
questo caso sarà quella di riuscire a materializzare la forma dell’organo.
Tenendo conto che in inspiro il fegato scende effettuando una bascula ant, oltre che un’inclinazione a dxed
una rotazione antioraria a sin, l’Osteopata indurrà il movimento fisiologico dell’organo portandolo in basso, in
bascula anteriore, in inclinazione dx ed in rotazione antioraria a sin per poi ritornare alla posizione di partenza.
In una successiva fase espiratoria l’osteopata effettuerà una rotazione oraria ed una bascula posteriore
valutando quanto l’organo si lascia riportare nella posizione di risalita.
Alla fine si valuterà se esiste una netta restrizione di mobilità denominando la disfunzione nel senso della
maggiore ampiezza.
NB: 1. La difficoltà del test risiede nel superare il piano costale duro e mettersi in contatto con il tessuto molle
del fegato.
2. I test possono essere eseguiti meccanicamente seguendo il tessuto oppure seguendo i tempi respiratori
diaframmatici.

Test di mobilità del fegato: Test di mobilità del fegato:


1° possibilità di esecuzione 2° modalità di esecuzione
Riduzione di una disfunzione in INspiro
Ci si dispone con le mani nella stessa posizione di esecuzione del test.
A questo punto si può procedere in due modi.
- Tecnica funzionale INdiretta: su più tempi inspiratori si va ad aggravare la disfunzione portando l’organo
in basso, in bascula ant, in inclinazione dx ed in rotazione antioraria a sin fino a che il tessuto si rilassa e si fa
correggere! (grazie ad una informazione corticale di rilassamento).
- Tecnica funzionale DIRETTA: su più tempi Esp si va a portare il fegato in rotazione oraria ed in bascula
post.
101
Riduzione di una disfunzione in Espiro
Ci si pone con le mani nella stessa posizione di esecuzione del test.
A questo punto si può procedere in due modi:
1. Tecnica funzionale INdiretta: su più tempi espiratori si va a portare il fegato in rotazione oraria ed in bas-
cula posteriore fino a che il tessuto si rilassa e si fa correggere! (grazie ad una informazione corticale di rilas-
samento).
2. Tecnica funzionale DIRETTA: su più tempi inspiratori si va a portare il fegato in basso, in bascula anteriore,
inclinazione dx ed in rotazione antioraria sin.

Test sui legamenti epatici e tecniche correttive


Il fegato è avvolto e tenuto in sede da un unico fascio che origina posteriormente dal peritoneo e dal quale
ha origine il legamento coronario. Da questo poi originano in sequenza i legamenti triangolari dx e sin, il leg
falciforme, il leg rotondo e l’uraco. C’è poi il piccolo epiploon con i suoi fasci orizzontale e verticale.

1. Legamento coronario
Test la mano craniale fa punto fisso su K4 (a livello del 4° spazio intercostale) mentre la mano caudale si di-
spone, perpendicolarmente alla mano craniale, in appoggio sul lobo dx e nella direzione del legamento.
La mano caudale effettua una trazione nella direzione del legamento così da allungarlo (si percepirà
l’allungamento a livello della mano craniale): se non si ha subito una risposta vuol dire che non ci sono disfun-
zioni, se invece si percepisce una resistenza immediata ci sono disfunzioni.
Il ruolo del legamento coronario è quello di:
- consentire la bascula anteriore dell’organo
- fungere da asse di mobilità dell’organo

Per la correzione dopo avere localizzato il margine superiore del fegato, con la mano craniale si va a materi-
alizzare il legamento e la sua direzione e con la mano caudale ci si dispone perpendicolarmente molto vicino
alla zona inserzionale del legamento, così da riuscire a trattarlo al meglio. Si possono utilizzare due tecniche:
diretta e recoil.
1. Tecnica diretta di allungamento: dove la mano craniale fa punto fisso e quella caudale allunga il lega-
mento. Si attende che il legamento ceda e si procede ad allungare in maniera progressiva.

Test di allungamento e di correzione diretta sul legamento coronario:


1° e 2° modalità di posizionamento

102
2. Tecnica con recoil: superato il margine costale si al-
lunga un poco il legamento per poi caricare il recoil in
tutte le direzioni dello spazio. Si valuta se c’è maggior
tensione in fase inspiratoria od espiratoria, dopo di che
sulla fase respiratoria dove c’è maggior tensione si effet-
tua il recoil lungo la direzione del legamento.

Tecnica correttiva con recoil sul legamento coronale

2. Legamento triangolare sin


Test > con il bordo cubitale della mano sin si fa punto fisso a livello di K6-linea emiascellare e si effettua un
allungamento nella direzione del legamento (avendo la mano dx a contatto con il lobo dx).
Per la correzione si può utilizzare una tecnica diretta di allungamento nella direzione dello stesso oppure
una tecnica mediante recoil. La posizione delle mani sarà la stessa utilizzata per il test.

Test di allungamento e di correzione diretta sul legamento triangolare sin

Tecnica di correzione con recoil


del leg. triangolare sin

3. Legamento triangolare dx
Questo legamento ha una proiezione posterolaterale a livello di K4.
Test > si pone la mano sin (con una presa police-indice oppure con il bordo cubitale) a livello di K4 sul margine
posterolaterale, mentre la mano dx è a contatto con il lobo dx. Con la mano caudale si effettua un allunga-
mento in direzione basso e verso sin.
Per la correzione si può utilizzare una tecnica diretta di allungamento nella direzione dello stesso oppure
una tecnica mediante recoil. La posizione delle mani sarà la stessa utilizzata per il test.

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Test di allungamento e tecnica correttiva diretta sul legamento triangolare dx
(3 modalità di presa)
4. Legamento falciforme
Il compito di questo legamento è di tenere la bascula posteriore, pertanto se si
percepisce una maggiore tensione nella parte inferiore è ipotizzabile una disfun-
zione di bascula anteriore.
Test > ci si pone con la mano destra a circa 2 dita dallo sterno e si esegue un test
a tampone con il bordo cubitale. Ci si può aiutare anche con l’altra mano per
rinforzare l’appoggio. Si valuta il legamento in tutta la sua lunghezza: porzione
superiore ed inferiore.
Per la correzione si può utilizzare una tecnica diretta di allungamento nella dir-
ezione dello stesso oppure una tecnica mediante recoil . La posizione delle mani
sarà la stessa utilizzata per il test.

5. Legamento rotondo
Test > il pollice della mano craniale prende punto fisso a livello dell’ilo epatico sotto il margine costale, mentre
con il pollice della mano caudale si effettua un allungamento in direzione dell’ombelico.
NB. Testando con i pollici si è più selettivi sulla struttura, altrimenti ci si può mettere con le dita della mano
craniale a livello dell’ilo epatico, mentre con l’eminenza tenar ed ipotenar della mano caudale ci si dispone
sull’inserzione distale.
Per la correzione si può utilizzare una tecnica diretta di allungamento nella direzione dello stesso oppure
una tecnica mediante recoil. La posizione delle mani sarà la stessa utilizzata per il test.

Test di allungamento e tecnica correttiva diretta sul legamento rotondo (3 modalità di presa)
6. Uraco
Questo legamento si estende dall’ombelico (a livello di L3) sino al di sopra della sinfisi pubica, in prossimità del
margine superiore della vescica (2° fossetta).
Test > si fa punto fisso con il pollice della mano craniale mentre con il pollice della mano caudale si effettua
un allungamento verso il basso. In realtà l’allungamento può anche essere fatto a coppia con entrambi i pollici
oppure si può agire in accorciamento. Se è presente una disfunzione di questo legamento si può ipotizzare
104
una problematica a livello del fegato e/o della vescica.
Per la correzione si può utilizzare una tecnica diretta di allungamento nella direzione dello stesso oppure
una tecnica mediante recoil. La posizione delle mani sarà la stessa utilizzata per il test.

Test di allungamento e di correzione Test di accorciamento sull’uraco


sull’uraco

Test e tecniche di correzione delle bascule


Il test delle bascule può essere eseguito meccanicamente oppure mediante l’ausilio della respirazione dia-
frammatica.
Test > viene eseguito con il Pz in posizione seduta con l’Osteopata posto alle sue spalle con le mani disposte
ad agganciare il fegato: per essere sicuri di avere agganciato l’organo si fa flettere il tronco al Pz e poi lo si fa
riportare in posizione di neutralità. In questo modo si tiene bene agganciato l’organo con le dita di entrambe
le mani.
A. Meccanicamente
bascula ANT: avendo agganciato bene il fegato l’Osteopata porta con le mani meccanicamente in avanti il
fegato e nel contempo con il petto fa flettere il tronco al Pz, per poi tornare nella posizione di neutralità. Si
agisce sul legamento coronario. È la bascula più fisiologica.
bascula POST: avendo agganciato bene il fegato fa estendere leggermente il tronco del Pz e nel contempo
con le mani porta meccanicamente indietro l’organo per poi tornare ad un punto neutro. Si agisce sul lega-
mento falciforme. È una disfunzione che si verifica a seguito di traumi sull’organo.
bascula LAT dx: avendo agganciato bene il fegato fa inclinare il Pz verso dx e porta meccanicamente con le
mani l’organo a dx per poi ritornare al punto neutro. Si agisce sui legamenti coronario e triangolare sin.
bascula LAT sin: avendo agganciato bene il fegato fa inclinare il Pz verso sin e porta con le mani meccanica-
mente il fegato verso sin per poi ritornare al punto neutro. Si agisce sui legamenti coronario e triangolare dx.
B. Con ausilio della respirazione
INspiro: si testano la bascula anteriore e laterale dx.
Espiro: si testano la bascula posteriore e laterale sin.
Per le correzioni delle disfunzioni di bascula: il Pz è in posizione seduta e l’Osteopata è alle sue spalle e tiene
nella mano dx il lobo dx e nella mano sin il lobo sin del fegato.
La correzione può essere effettuata con due modalità:

Tecnica funzionale indiretta


Bascule ANT e LAT dx: si aggrava la disfunzione in più tempi INsp fino a che non si percepisce che il tessuto
si rilascia e si corregge in Esp.
Bascule POST e LAT sin: invece si aggrava la disfunzione in più tempi Esp fino a che non si percepisce che il
tessuto si rilascia e si corregge in INsp.

Tecnica funzionale diretta


Bascule ANT e LAT dx: su più tempi Esp si porta l’organo in posteriorità;
Bascule POST e LAT sin: su più tempi INsp si porta l’organo in anteriorità.

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Test di bascula ant del fegato Test di bascula post del fegato
ATTENZIONE!
Si ricorda che per il trat-
tamento delle disfunzioni
di inspiro ed espiro, così
come per quello delle bas-
cule (anteriore, posteriore,
laterale destra e sinistra) si
potrà lavorare seguendo
la respirazione diafram-
matica oppure il ritmo
intrinseco dei tessuti.

Test di bascula lat dx del fegato Test di bascula lat sin del fegato

sem 2_Approccio emodinamico al fegato


Quali sono le situazioni in cui il fegato può essere congestionato?
1. Steatosi epatica (le varici infatti sono una conseguenza di congestione epatica e non una causa).
2. Stasi portale ad origine da qualsiasi organo sottodiaframmatico.
3. Disfunzioni del diaframma (anche se a dire il vero esso è più spesso una vittima).
4. Patologie cardiache (es. cardiopatie) o cuore osteopatico, cioè disfunzionale: esse drenando in atrio destro
creano problematiche di rallentamento nel drenaggio venoso.
5. Patologie polmonari e disfunzioni polmonari.
6. Sistema gastrointestinale tramite drenaggio per mezzo della vena porta.
7. Abitudini alimentari (es. grassi, alcool).
8. Patologie epatiche.
9. Disfunzioni di organo di origine psicoemozionale (che non si risolvono con il trattamento classico osteopa-
tico).
10. In generale tutte le patologie degli organi emuntori possono creare una stasi a livello epatico.
NB: tutte queste condizioni elencate rappresentano delle controindicazioni relative al protocollo emodi-
namico del fegato. Sono invece controindicazioni assolute: patologie epatiche, cardiache (+++) compresa
l’ipertensione, polmonari ed autoimmuni.

Protocollo
Quando è opportuno applicare questo tipo di protocollo? Dipende essenzialmente da due fattori:
1. la necessità di dare un rilancio energetico al Pz
2. l’esperienza dell’operatore
Infatti quando si sono trattate le disfunzioni degli organi emuntori (benderelle del diaframma, fegato, milza,
pancreas, apparato gastroenterico), compresa la componente legamentosa, si è già effettuato un rilancio
emodinamico.
Inoltre il Pz non sempre riesce a tollerare questo tipo di trattamento, così come invece tollera la correzione
delle disfunzioni osteopatiche. Questo accade perché si tratta di un lavoro che mette in fatica, sotto sforzo
106
l’organismo. Pertanto i Pz che hanno problemi di circolazione sono già energeticamente affaticati, soprattutto
a livello epatico perché il fegato è un viscere che funzionalmente assolve a compiti molto impegnativi (es.
distribuisce macromolecole di glucosio a tutte le cellule).

Di fronte a Pz di questo tipo è piuttosto opportuno:


1. risolvere le disfunzioni
2. mettere il Pz a dieta nel senso di ridurre l’apporto calorico, senza andare ad eliminare completamente i
grassi perché altrimenti si peggiorerebbe la situazione
3. fare bere molto il Pz, consigliargli di fare passeggiate all’aria aperta, fare bagni turchi per iniziare ad elimin-
are in maniera graduale
4. al termine di queste fasi, se il Pz è pronto si può applicare il protocollo.
NB: si tratta di un tipo di lavoro che nuoce a chi è fisicamente in forma.

Modalità di esecuzione del protocollo emodinamico sul fegato


La finalità del circuito emodinamico è quella di eliminare il sangue “sporco” dal fegato e richiamare sangue
“pulito” (entrambi vanno a finire in atrio dx). In questo modo si rilancerà tutto il sistema venoso e di conseg-
uenza anche il sistema linfatico.
Prima di iniziare il protocollo è necessario:
1. testare e trattare, se è presente una disfunzione, il piccolo epiploon, in particolare il fascio verticale al cui
interno si trovano arteria epatica, vena porta e dotto coledoco. In questo modo si libererà la circolazione del
fegato e si agirà sulla produzione della bile
2. testare e trattare, se è presente una disfunzione, lo sfintere di Oddi in modo da migliorare l’evacuazione
biliare
3. testare e trattare, se è presente una disfunzione, le benderelle diaframmatiche (si procede superando con
l’appoggio anteriore di una mano il piano costale in modo da ricercare ed entrare in contatto con la struttura
che si intende testare, la benderella appunto, ricercando la risposta del repere anatomico sull’altra mano.
Solo a questo punto si effettuerà un test con direzione alto-fuori per la benderella arciforme ed in fuori per la
benderella obliqua).
Ora che si sono liberate le vie di fuga (arteria epatica e vena porta) si può preparare il mediastino, in partico-
lare l’atrio dx, a ricevere il sangue.
Il circuito emodinamico inizia con una tecnica che si chiama Thoracic Pump (nel neurovegetativo essa viene
utilizzata per preparare alcuni drenaggi linfatici).
1. Pz supino con le mani agganciate alla cintura dell’osteopata o ad un asciugamano che questo tiene intorno
alla vita. L’osteopata si sbilancia leggermente indietro così da pretensionare il torace del Pz con i suoi glutei.
2. L’Osteopata prende appoggio sullo sterno del Pz con entrambe le mani ed in INsp blocca la salita dello
sterno, mentre in Esp porta lo sterno verso il basso ed effettua delle vibrazioni. La manovra viene ripetuta
diverse volte e di quando in quando si può effettuare un richiamo del torace e, di conseguenza, di sangue in
atrio dx all’inizio dell’INsp senza staccare le mani da esso (a mò di rebound). Il numero di ripetizioni di questa
fase del protocollo varia a seconda del Pz che si ha difronte: per un Pz giovane si può ripetere spesso, mentre
per un Pz anziano si deve fare attenzione.
3. Ora che l’atrio dx è pronto a ricevere il sangue si può effettuare una tecnica di svuotamento epatico per
rimuovere il sangue “sporco” dal fegato. Pertanto ci si posiziona con entrambe le mani sul fegato con una
presa uguale a quella utilizzata per effettuare il test di mobilità. In questo modo l’organo va a “spremersi come
una spugna” tra le mani dell’osteopata ed il diaframma. Durante l’INsp si blocca l’espansione della griglia cos-
tale e si blocca la discesa del fegato; in questo modo il diaframma scendendo schiaccia il fegato (che è impos-
sibilitato a scendere perché si trova tra le mani dell’osteopata). Durante l’Esp l’Osteopata aumenta ancora di
più la pressione sul fegato e va a chiudere la griglia costale. La sequenza viene ripetuta più volte in relazione
a quanto si intende essere potenti con questa tecnica.
4. Si ripete nuovamente la fase di thoracic Pump.
5. A questo punto si deve effettuare una tecnica di riempimento del fegato mediante una iniziale pressione
e poi una depressione per far si che il sangue venga richiamato nell’organo. Pertanto con le mani poste come
nel test di mobilità del fegato durante l’ispirazione si blocca la discesa dell’organo e si tiene chiusa la griglia
costale. In espiro si richiama con entrambe le mani senza che queste si distacchino dalla superficie toraco- ad-
dominale (=rebound di contatto).
107
6. Si effettua di nuovo una thoracic Pump così da essere sicuri che il sangue torni al cuore. E’ fondamentale
che il protocollo termini con questo tipo di manovra. Per assicurare un adeguato ritorno di sangue al cuore.
7. Da ultimo per effettuare un rilancio globale dell’organismo si può effettuare la tecnica sul 4° ventricolo per
rilanciare i liquidi sul piano globale.
NB: durante l’esecuzione del protocollo è necessario tenere sempre sotto controllo il polso del Pz e se ciò non
è possibile si valuta il riflesso giugulare in modo da evitare complicanze quali reazioni vagali.

posizione di partenza per esecuzi- thoracic pump posizione per effettuare sia la manovra
one del protocollo del circuito di “spremitura del fegato” che quella di
emodinamico del fegato: preten- riempimento del viscere.
zionamento del torace.

Sfintere di Oddi: repere e trattamento


Lo sfintere di Oddi si localizza nella parete mediale-posteriore della seconda porzione del quadrato duode-
nale, molto vicino alla testa del pancreas, pertanto in una zona retroperitoneale.
Per reperirlo ci si pone con due dita al lato dx dell’ombelico e due dita in alto, esternamente al retto dell’addome
e medialmente rispetto al colon ascendente (le dita devono essere proporzionate a quelle del Pz pertanto nel
caso non sia così si utilizzano quelle del Pz inoltre se l’indice dovesse essere più corto del medio va equiparato
a quest’ultimo così da avere un corretto reperaggio).
A questo punto si procede “entrando” perpendicolarmente in addome, scansando le anse intestinali del tenue,
che hanno consistenza molle, sino ad arrivare in retroperitoneo, dove la struttura diventa più dura. Ci si ori-
enta a 45° in direzione della parete mediale della seconda porzione del duodeno alla ricerca di una zona più
densa perché si tratta di una sfintere.
NB: nel penetrare all’interno dell’addome con una mano può risultare utile posizionare l’altra mano dietro la
colonna in modo da avere un punto di riferimento. Inoltre se il Pz offre un poco di resistenza gli si può chie-
dere di piegare le gambe a 90°.
Una volta reperito lo sfintere si può procedere a testarlo ed eventualmente a trattarlo mediante recoil, pon-
sagè o vibrazioni se si ritiene che sia in disfunzione. È importante ricordare che il repere ed il test sullo sfintere
vanno effettuati in due tempi distinti.
NB1. Quando si è testato lo sfintere di Oddi bisogna chiedersi se la sua maggiore consistenza sia dovuta ad una
condizione fisiologica della struttura (che in quanto sfintere è sempre più consistente) oppure si è realmente
di fronte ad una problematica di tipo osteopatico. La pratica ci aiuterà a discernere tra le due situazioni.
NB2. Quando si cerca di reperire, testare e trattare una struttura bisogna sempre visualizzarla mentalmente.

108
repere dello sfintere di Oddi
sem 3_La colecisti
Premesse
La colecisti e le vie biliari sono molto importanti per l’emulsione e la digestione dei grassi. Inoltre per il corretto
funzionamento delle vie biliari è necessario che ci sia un corretto funzionamento nella motricità di varie strut-
ture: infatti tutte le attivazioni enzimatiche, tutti i riflessi, tutto il rilassamento degli sfinteri, tutta l’attivazione
della muscolatura liscia sono in relazione con una corretta motricità ed una coordinazione di questi organi.
Quindi quello che crea una disfunzione di questo sistema è spesso una cattiva coordinazione della funzione.
Questo, in conclusione, vuol dire che ci deve essere una corretta coordinazione della motricità tra fegato,
stomaco, duodeno, tenue, vescicola biliare e pancreas perché tutto funzioni in maniera adeguata alla di-
gestione. Pertanto se nella pratica clinica si è relativamente veloci tecnicamente, in realtà è necessaria una
valutazione accurata del Pz.

Anatomia
La vescicola biliare (vb) è un organo cavo, piriforme, lungo circa 10 cm.
È addossata alla faccia inferiore del fegato ed è stabilizzata dal peritoneo in modo da essere alloggiata in zona
detta “fossetta cistica”
Il repere della colecisti è a livello dell’estremità anteriore della cartilagine costale dx di K9-K10, mentre la
proiezione vertebrale è a livello delle trasverse di L2-L4: questo è in relazione a dove viene reperito il fe-
gato ed a quanto questo deborda dalla griglia costale (anche quando il Pz è sdraiato il fondo della colecisti
è reperibile tra la 9° e10° cartilagine costale, comunque sarà la palpazione a dirci in modo più preciso dove
l’organo è ubicato).
Il suo grande asse si dirige in basso-avanti-fuori: ciò vuol dire che le vie biliari si trovano indietro rispetto al
fondo della colecisti (l’asse è importante nell’esecuzione dei test di pressione e delle tecniche sul fondo, sul
corpo e sulle vie biliari: sarà fondamentale ricordare l’orientamento di queste strutture).

109
Dal basso verso l’alto si distinguono
tre strutture:
1. fondo
2. corpo
3. collo: è il punto dove la colecisti
inizia a divenire più stretta diminuen-
do il suo volume perché poi diventa
dotto cistico.
4. dotto cistico: unendosi al dotto
epatico diventa dotto coledoco.
NB: nella realtà anatomica esistono
tante variazioni di conformazioni del
dotto coledoco. Questo può interes-
sarci relativamente perché quale che
sia l’aspetto anatomico per trattare
osteopaticamente il coledoco si an-
drà a lavorare sempre il fascio verti-
cale del piccolo epiploon.

Il piccolo epiploon viene anche denominato cistico-duodenale perché dal piloro, stomaco e 1° duodeno
(Du 1) va verso l’ilo epatico proprio a livello della fossetta cistica: pertanto il coledoco dalla vescicola biliare
arriva direttamente in duodeno.
Il coledoco attraversa la tonaca musco-
lare di Du 2 e sbocca in un piccolo ser-
batoio, l’ampolla di Vater. L’ampolla
va a formare sulla superficie interna del
duodeno (cioè all’interno della mucosa)
una sporgenza detta papilla duodenale
maggiore. A questo livello ci troviamo sul
margine posteromediale di Du 2, ma in
realtà il repere dello sfintere di Oddi viene
effettuato dal margine lat di Du 2. Infatti
sul margine mediale c’è la testa del pan-
creas ed a questo livello il repere sarebbe
troppo complesso. Invece passando lat-
eralmente ai retti dell’addome (2 dita di
lato e 2 dita sopra ombelico), scendendo
perpendicolarmente e poi portandosi a
45° verso l’interno è possibile reperire lo
sfintere di Oddi.

110
Du 2 pancreas

percorso delle dita (dietro Du 2) per raggiungere lo sfintere di Oddi

A livello della papilla di Vater si ha un ispessim-


ento sia della tonaca muscolare del duodeno
che delle fibre muscolari circolari dei dotti: si
forma così lo sfintere di Oddi.
Nel medesimo punto di arrivo del coledoco
sbocca anche il dotto pancreatico principale
detto dotto di Wirsung.
L’altro dotto pancreatico accessorio, detto
dotto di Santorini, arriva sempre sul margine
post-mediale del 2° duodeno, ma un poco più in alto aprendosi nello papilla duodenale minore.
NB: anche a livello dei dotti possono essere presenti delle variazioni anatomiche, ma a livello pratico ciò che
ci interessa è la localizzazione dello sfintere di Oddi (e quindi del 2° duodeno), che verrà acquisito come punto
di riferimento.

Rapporti anatomici
Variano in funzione degli spostamenti della colecisti e del suo grado di riempimento oltre che dal volume del
fegato.
Il fondo corrisponde alla faccia ant-inf del fegato e poggia sopra la massa intestinale.
Il corpo della colecisti è sito nella fossetta cistica o direttamente adeso al fegato o tramite interposizione del
mesocolecistico: quindi c’è un qualcosa che la stabilizza al fegato. La vescicola biliare inoltre è in rapporto con
il Du 1 e con il colon trasverso. In conclusione la colecisti contrae rapporti anatomici con fegato, Du 1 e colon
trasverso.
Come detto precedentemente il collo della colecisti continua con il dotto cistico, che unendosi al dotto epa-
tico comune forma il dotto coledoco. Il coledoco scende verso il basso e l’interno passando dietro la Du 1 e la
testa del pancreas davanti alla fascia di Treitz.
La fascia di Treitz è un tessuto fasciale che passa dietro il quadro pancreatico e davanti vi passa il peritoneo
parietale posteriore: quindi rappresenta in sostanza la fascia prepancreatica. A questo livello il coledoco passa
sotto il pancreas creando una doccia e raggiunge la parte post-int di Du 2.

Legamenti sospensori
Sono rappresentati da:
1. peritoneo viscerale del fegato: che si solleva e fissa anteriormente la cistifellea alla fossetta cistica del
fegato. Pertanto la mobilità della cistifellea è strettamente connessa a quella del fegato
2. mesocolecisti: fissa la cistifellea al fegato
3. piccolo epiploon

Innervazione
È data da:
1. ortoS: mediante il n. grande splancnico D7-D9.
2. paraS: mediante il n. vago di sin (es. disfunzioni di clavicola sin possono determinare disfunzioni a questo
livello).
111
3. n. frenico di dx: rappresenta il sistema propriocettivo della colecisti. La relazione della colecisti con C3-
C5 giustifica cervicalgie dx e sin e cervicobrachialgia dx.

Vascolarizzazione
La vescicola biliare e le vie biliari sono irrorate dall’arteria cistica, ramo dell’a. epatica, quindi è a carico del
tronco celiaco.
Il drenaggio venoso è ad opera delle vene cistiche, che sono tributarie della vena porta (così come tutto il
sistema gastrointestinale) per poi tornare al fegato.

112
peritoneo v. cava vv. aorta
parietale inferiore epatiche esofago addominale
diaframma milza

lobo dx
del fegato ghiandola
dotto surrenale
epatico sin sin
dotto tronco
epatico dx celiaco
dotto epatico a. lienale
comune
dotto a. epatica
cistico comune
a. epatica coda del
propria pancreas
cistifellea flessura
dotto colica sin
coledoco corpo del
flessura dx pancreas
del colon rene sin
dotto coledoco,
sbocco a livello digiuno
della papilla colon
duodenale discendente
maggiore

colon duodeno, dotto testa del duodeno, a. e v. mesenteriche


ascendente parte pancreatico pancreas parte superiori
discendente principale ascendente

113
Fisiologia
La bile secreta dagli epatociti è convogliata nei dotti interlobulari, nelle due radici del dotto epatico e da
questo nel coledoco. Da qui defluisce in Du 2.
Lo scorrere della bile verso il duodeno è data da un perfetto sincronismo sfinteriale: quando lo sfintere è
chiuso la bile va nella cistifellea e si accumula. Pertanto la vescicola biliare assolve a due funzioni:
1. Serbatoio della bile: infatti quando lo sfintere è chiuso la bile, sotto precisi stimoli, viene secreta dagli
epatociti e si accumula nella cistifellea. Quest’ultima ha una capacità di contenere bile pari a circa 60 ml (per
un totale di circa 600-800 ml al giorno). Il suo riempimento avviene grazie alle differenze di pressione ed al
rilassamento delle fibre muscolari: questo perché se lo sfintere di Oddi è chiuso l’evacuazione biliare da parte
del fegato trova una pressione, dovuta appunto a questa chiusura, che la convoglia verso la colecisti. Questo
presuppone anche la coordinazione con le fibre muscolari lisce della vescicola biliare. Infatti esse devono es-
sere rilassate per poter portare bile all’interno del serbatoio.
2. Concentrare la bile: tale concentrazione è di circa 10 volte ed avviene mediante l’assorbimento di acqua
ed elettroliti.
NB: si vive bene anche senza vescicola biliare perché la bile arriva comunque in Du 2, ma è molto diluita. Per-
tanto l’efficacia della digestione sarà molto ridotta soprattutto a carico dei lipidi.
La presenza di grasso nell’intestino provoca la secrezione enterica di colecistochinina (CCK), che entrata nel
circolo stimola la secrezione epatica di bile e la contrazione della cistifellea (es. se si mangia un panetto di bur-
ro una volta che questo dallo stomaco arriva in Du 2 stimola la secrezione di CCK, che da una parte induce gli
epatociti a secernere bile, mentre dall’altra stimola la vescicola biliare a contrarsi con conseguente peristalsi
duodenale e rilasciamento dello sfintere di Oddi, che si apre facendo defluire la bile in duodeno. Contempo-
raneamente a ciò si ha un rilasciamento degli enzimi pancreatici.
La bile in eccesso viene poi riassorbita a livello intestinale ed in parte viene riportata nel fegato tramite il
sistema portale, mentre tutti i prodotti di escrezione biliare vengono eliminati in parte attraverso le feci ed in
parte tramite le urine. Questo è avvalorato dal fatto che i cataboliti della bilirubina danno il colore alle feci. In
presenza di un problema biliare infatti le feci cambiano colore.

Vescicola biliare ed emozioni


I disturbi delle vie biliari riguardano le inquietudini (=divenire biliosi).
Collera mista a rancore: la colecisti è un serbatoio e concentra, non è rabbia estemporanea. Es. essere verde
dalla rabbia.
Collera e colecisti hanno la stessa origini semantica.
I calcoli biliari nascono da giudizi troppo duri su se stessi o su chi ci sta intorno o sulla vita.

Fisiologia osteopatica
La colecisti è fissata alla faccia inferiore del fegato e quindi non ha una mobilità propria. Questo fa si che dal
punto di vista osteopatico si debbano escludere i test di mobilità. Al contrario sarà possibile eseguire:
test di pressione in relazione all’asse della vescicola biliare
test tissutali in relazione al coledoco (piccolo epiploon)
valutazione di disfunzioni di tipo coordinatorio

Disfunzioni osteopatiche
Sono legate prevalentemente a turbe NVG, ormonali (legate al corretto rilascio degli ormoni locali) e psico-
motori, che provocano:
discinesia: problemi di evacuazione della bile legati ad attività della muscolatura liscia (NVG).
distonia: problematiche di tipo sfinteriale e dei dotti.
dissinergia: mancata coordinazione tra vescicola biliare, sfintere di Oddi e dotto coledoco.

Sintomatologia e segni clinici


1. Dolore in ipocondrio dx ed in epigastrio: il dolore locale è dato soprattutto dall’irritazione, flogosi o spasmo
della colecisti e dei dotti.
2. Dolore dorsale D7-D9 e costale basso K7-K12 prevalentemente a dx: il dolore viscerale viaggia attraverso il
nervo grande splancnico gcatena laterovertebrale tra D6-D8.
3. Cervicalgia (C3-C5) dx e sin e cervicobrachialgia (nn. frenico e vago): il dolore somatico derivante dal perito-
114
neo anteriore che ricopre le vie biliari, il fegato e la colecisti viaggia attraverso il n. frenico di dx.
4. Dolore alla spalla dx (punto di Schmidt, angolare della scapola): il peritoneo post manda informazioni do-
lorifiche attraverso i nn. intercostali di dx da D7 a D12.
5. Segni gastrointestinali quali diarrea, gonfiori, nausea bocca amara e digestione lenta
NB: in presenta di sintomi vanno testati tutti i 9 quadranti perché un sintomo è espressione di una possibile
disfunzione di tutti gli organi che condizionano quella funzione.

Pratica sulla cistifellea


Palpazione della VB.
L’Osteopata si pone alla dx del Pz, che si trova in posizione supina.
Il reperimento viene effettuato a livello delle cartilagini costale di K9-K10, o a partire dalla xifoide sternale
(ricordando che K7 è la 1° costa orizzontale) oppure dalle costole fluttuanti.
NB: chi ha una certa esperienza può anche reperire la VB con la mano di taglio che dalla xifoide arriva a fer-
marsi proprio a livello della cartilagine costale di K9-K10.
Una volta reperita la vescicola biliare l’Osteopata può provvedere alla sua palpazione in 2 modi:
1. Stando di fronte al Pz con i pollici in appoggio va a ricercare una piccola formazione sferica (simile ad una
testa d’uovo). Se il Pz non permette all’Osteopata di entrare, quest’ultimo può chiudere un poco la griglia
costale per arrivare a palpare la colecisti.
2. Dando le spalle al Pz l’Osteopata si pone con le dita delle mani a livello di K9-K10 ed inizia a palpare ent-
rando sotto la griglia costale alla ricerca di una formazione ovalare simile ad una testa d’uovo.
NB: in entrambi i casi si può chiedere al Pz un accenno di inspirazione quel tanto che serve per anteriorizzarla
e riuscire a palparla meglio. Non si deve eccedere nella inspirazione perché altrimenti il fegato scende troppo
e si impatta tutto il tessuto. Quello che si percepisce è una rotondità, soprattutto se la cistifellea è vuota.
In una palpazione non si cerca la densità, ma si studia la localizzazione dell’organo e soprattutto la forma per
capire se c’è fisiologicità della struttura oppure si può essere di fronte a qualcosa di patologico.
Conclusioni: la palpazione in osteopatia consiste nell’approccio alla struttura e nella ricerca del repere per
poter eventualmente fare diagnosi di esclusione.
Repere della co-
lecisti a livello
delle cartilagini
costali di K9-K10
Repere della cole-
cisti con mano a
“taglio” sul bordo
costale

K9-K10
Sede di localizzazione della colecisti
a livello della cartilagine costale di K9-K10

115
Palpazione della Palpazione della
colecisti colecisti
1° modalità 2° modalità

Punti riflessi vescicolari


Non sono punti diagnostici per l’Osteopata in quanto la decisione di trattare la vescicola biliare viene effet-
tuata sulla base del test di pressione. Possono però essere importanti quando c’è una anamnesi che orienta
verso problematiche di vescicola biliare e quando i test vescicolari sono positivi.
La positività dei punti riflessi è data da:
- dolorabilità
- la diversa qualità tessutale
1. Punto di Schmidt: corrisponde all’angolare della scapola dx (spesso il Pz viene a visita indicando questo
come punto doloroso).
2. Punto di Bud: corrisponde al margine inferiore della scapola dx.
3. Punto vescicolare: è posto a livello della cartilagine costale di K8.
4. Punto di Binet: è sito a livello della estremità della cartilagine costale di K9.
5. Test di Murphy: è un test medico e non osteopatico, quindi può essere considerato come un test di esclu-
sione. Serve a stabilire se a livello della VB è già presente una irritazione del peritoneo. La positività a questo
test è data da un dolore acuto trafittivo, essendo già presente una irritazione peritoneale locale.
Viene eseguito in relazione alla presenza di sintomi ed alla positività della vescicola biliare.
Può essere eseguito in due modi.
1. Il Pz è in posizione supina e l’osteopata gli dà le spalle. Ponendo le dita a livello della cartilagine costale di
K9-K10 (repere della VB) effettua una pressione mentre il Pz effettua una inspirazione lieve ed alza il capo.
2. Il Pz è supino e l’osteopata è di fronte a lui. Prendendo appoggio con il pisiforme della mano destra a
livello della VB effettua una pressione in questa zona mentre il Pz inspira ed alza il capo. Questa modalità di
esecuzione del test è più pratica dal punto di vista osteopatico rispetto alla precedente perché ci si trova già
in posizione per eseguire il test di pressione.
NB: in INsp il diaframma scende e con la compressione esercitata dall’Osteopata la vescicola biliare viene
schiacciata tra il diaframma e la mano, pertanto se il Pz ha un’irritazione vescicolare egli percepisce un dolore
acuto trafittivo.

Schmidt

Bud
116
Punto vescicolare

Binet

Punto vescicolare a livello della Punto di Binet a livello dell’estremità


cartilagine costale di K8 della cartilagine di K9

Murphy
1 2

Test di Murphy: 1° modalità con Test di Murphy: 2° modalità con INsp


INsp e sollevamento del capo e sollevamento del capo
Test di pressione
Premesse: si andrà ad effettuare un test di pressione sulla VB dopo avere effettuato un test sui 9 quadranti ed
avere riscontrato una positività in ipocondrio dx. A questo punto si testerà il fegato e poi la VB.
Il test di pressione sul fegato verrà effet-
tuato con le eminenze tenar ed ipotenar
della mano dx.
Prendendo appoggio con il pisiforme della
mano dx si effettuerà un test di pressione
sulla VB in direzione del fondo della cole-
cisti con direzione alto-dietro-dentro. La
scelta di un appoggio solo con il pisiforme
è dato dal fatto che si cerca di essere il più
selettivi possibile.

Test di pressione sulla VB in direzione


del fondo dell’organo mediante il pisi-
forme per essere selettivi
In presenza di un test di pressione e di un test di Murphy positivi si andrà ad effettuare un trattamento, ma
con accortezza proprio perché il Murphy è indicativo del fatto che è presente una irritazione della v.b. (questa
regola vale per qualsiasi approccio di tipo osteopatico).

Test di risalita
È un test tissutale, più qualitativo che quantitativo, della loggia vescicolare.
È positivo tutte le volte che c’è un Murphy positivo, perché è espressione di una irritazione della VB, maggior-
mente con problematiche a livello del fondo e con stasi vescicolare.
117
Ci si posiziona con il pisiforme della mano
dx sulla loggia vescicolare proprio sotto il
margine costale, senza prendere un cred-
ito di pelle. La modalità di esecuzione è la
stessa del test di pressione, ciò che cambia
è l’intenzione, la finalità (circoscrive uno
spazio percettivo). La spinta viene effettuata
esclusivamente verso l’alto.

Test di risalita della VB con direzione ver-


so l’alto: è identico al test di pressione,
ciò che cambia è l’intenzione

Test di chiusura dell’angolo


È indicativo della chiusura dell’angolo e quindi della
“qualità” di quella zona.
Test di chiusura dell’angolo mediante Un angolo è importante perché la sua disfunzione tis-
pronazione (ulnarizzazione) della mano. sutale locale altera i processi di evacuazione con conseg-
uente stasi biliare.
Una volta posta la mano a livello della VB, per chiudere
l’angolo, si prona la mano e si fa una ulnarizzazione della
stessa.
NB: la manovra viene eseguita direttamente dopo avere
effettuato il test di risalita, ma prima è necessario “mollare
un poco la presa”.

Test di stiramento dei dotti


È indicativo della qualità tissutale della zona dei
dotti, che hanno un percorso verso il basso in dir-
ezione del 2° duodeno.
Lo si fa direttamente dopo avere eseguito il test di
chiusura dell’angolo, però prima è necessario mol-
lare un poco la presa.
Si deve apprezzare lo stiramento dei tessuti.
NB: la positività di un test rispetto ad un altro andrà
ad indirizzare il tipo di trattam osteopatico. Es1gcon
un test di risalita positivo si è in presenza di una stasi
quindi sarà bene effettuare uno svuotamento. Es 2
gun test di chiusura dell’angolo positivo richiederà
l’apertura dello stesso.
Es 3 gin presenza di un test di stiramento positivo si lavorerà sulla qualità del percorso dei dotti biliari.

Conclusioni: in Osteopatia i test indirizzano sul tipo di trattamento da eseguire.

118
Tecniche di riduzione delle disfunzioni vescicolari
1. Tecnica diretta di svuotamento della VB.
Si esegue in caso di positività al test di risalita del fondo.
Questa tecnica non va eseguita in caso di test di Murphy positivo
perché si rischierebbe di aggravare lo stato dell’infiammazione.
La si fa in presenza di una dolenzia al test di Murphy quando si
ipotizza la presenza di sabbia nella VB e si vuole far fare una colica
al Pz per eliminarla. Tutto ciò però richiede una notevole consape-
volezza osteopatica.
Il Pz è seduto mentre l’osteopata è alle sue spalle e si va a reperire la
VB. L’appoggio delle dita è sottocostale, ma non così ampio come
nel fegato. Come detto, le dita sono in appoggio sul fondo della VB:
si procede ad un lavoro di svuotamento con direzione alto-dietro-
dentro.
La sensazione che si deve percepire è quella di svuotare prima il fondo, poi il corpo ed infine il collo in modo
da favorire l’evacuazione biliare dal fondo ai dotti. Quando si ritiene di avere terminato si rilascia delicata-
mente la presa sottocostale.
NB: l’intensità dello svuotamento dipende da quello che si intende fare, è tutto in relazione all’ascolto tes-
sutale.

2. Tecnica di apertura dell’angolo


Si esegue in presenza di un test di chiusura dell’angolo positivo.
Con una mano si farà punto fisso sull’Oddi per creare una apertura dell’angolo, mentre l’altra mano sarà po-
sizionata a livello della VB. La finalità è quella di sfruttare la risalita della VB e l’inclinazione del tronco del Pz
per aprire l’angolo.
Innanzitutto si procede al repere dello sfintere di Oddi passando attraverso i retti dell’addome e le anse del
tenue, facendo rilassare il Pz perché si deve scendere in profondità. Dopo di che andando a 45° in dentro si va
alla ricerca della parete mediale di Du 2, dove si trova l’Oddi.
Questa manovra viene eseguita a Pz
seduto con l’Osteopata che si trova alle
sue spalle e va a reperire l’Oddi o con la
mano dx o con quella sin, a seconda di
come si trova più comodo.
L’altra mano prende appoggio sulla VB.
A questo punto in un tempo Esp (per-
chè è necessario che il diaframma sal-
ga) l’Osteopata va in alto con la mano
posta sulla VB per favorirne la risalita e
chiede al Pz una inclinazione del tron-
co a sin, in modo da aprire l’angolo.
Nell’eseguire questa tecnica la mano
che si trova sull’Oddi rimane a fissarlo.
Tecnica di apertura dell’angolo: Tecnica di apertura dell’angolo:
1° modalità 2° modalità
3. Tecnica di stiramento
Si esegue in presenza di una positività al test di stiramento dei dotti.
La si può eseguire con due modalità.
1. Avendo la medesima posizione utilizzata per la tecnica di apertura dell’angolo con una mano sull’Oddi ed
una sulla VB, in un tempo Esp l’osteopata porterà in alto la VB e contemporaneamente con l’altra stirerà il
dotto. In questo caso però non si chiede al Pz una inclinazione del tronco.
2. Pz supino, l’Osteopata reperisce l’Oddi con la mano dx, mentre con la mano sin sostiene la VB. In un tempo
Esp, facendo punto fisso sull’Oddi si fa risalire con l’altra mano la colecisti.
NB: la prof.ssa Menichelli preferisce eseguire la tecnica di riduzione da supino perché (lei) stabilisce una
migliore empatia con il Pz, tuttavia la manovra da seduto permette di lavorare in condizioni di gravità natu-
rali.
119
Tecnica di stiramento dei dotti: Tecnica di stiramento dei dotti: 2° modalità con Pz supino
1° modalità
sem 4_Il duodeno
Premesse
Il quadro duodenale è la 1° porzione dell’intestino tenue.
È una struttura ben protetta e nascosta in profondità nell’addome perché ha un grande interesse biochimico
ed emodinamico.
Dallo stomaco, passando attraverso il piloro, arrivano nel duodeno il chimo e le macromolecole: tutte queste
sostanze vengono trasformate in micromolecole a livello di Du 2 ad opera della bile e dei succhi pancreatici.
In questo modo queste sostanze possono essere digerite ed assorbite.
La sosta ed il transito delle sostanze all’interno di tutto il tubo gastrointestinale devono avvenire in tempi pre-
cisi. Questi variano in relazione al volume ed alla composizione delle sostanze ingerite: es. una mela richiede
minor transito rispetto a sostanze più voluminose.
Intolleranze ed allergie possono essere ricondotte a disfunzioni del duodeno oltre che dello stomaco, fegato,
vescicola biliare e pancreas.
Generalmente viene studiato separatamente dall’intestino mesenteriale (digiuno ed ileo) perché:
1. è una parte molto fissa del tenue, al contrario del digiuno e dell’ileo che sono parti mobili
2. ha una funzione di digestione, mentre il tenue svolge soprattutto funzioni di assorbimento.

Anatomia
Il duodeno si estende dal piloro all’angolo duodenodigiunale per una lunghezza di circa 30 cm ed un calibro
di circa 47 mm.
Ha come proiezioni vertebrali:
- la trasversa dx di L1 (repere per il piloro);
- angolo duodenodigiunale a livello della trasversa sin di L2.
Ha la forma di un anello aperto a sin.
È applicato alla parete post dell’addome tramite il peritoneo parietale post detto fascia prepancreatica (fac-
cia ant del duodeno). Dietro al quadrato duodenopancreatico invece c’è la fascia di Treitz. Pertanto è come
se il duodeno si trovasse dentro ad un sacchetto. È posto in profondità.
Riceve lo sbocco dei dotti biliari e pancreatici stabilendo così una relazione molto forte con fegato, vescicola
biliare e pancreas.

120
Viene diviso in 4 porzioni anatomiche:
Du 1: è breve e mobile. È diretto alto-dietro
-fuori verso la trasversa dx di D12 arrivando
sotto il lobo quadrato del fegato, dove lascia la
sua impronta.
Du 2: procede in basso a dx della colonna ver-
tebrale fino ad L2-L3 contornando la testa del
pancreas.
NB: per l’esame il repere di riferimento è L3.
Du 3: decorre trasversalmente da dx a sin pas-
sando a ponte a livello dell’ombelico, incro-
ciando la vena cava inferiore e l’aorta.
Du 4: sale obliquamente sul lato sin della col-
onna vertebrale fino alla trasversa sin di L2
per continuarsi con l’intestino mesenteriale (=
digiuno+ileo).
Il colon trasverso “taglia” in due porzioni il
duodeno ed il pancreas pertanto si potranno
individuare per questi organi una porzione
sovramesocolica ed una porzione sotto me-
socolica. Questa suddivisione è importante
soprattutto a livello di innervazione. La radice
del mesentere origina a livello dell’angolo
duodenodigiunale, attraversa il duodeno ed
arriva alla valvola ileocecale.
Pertanto sul quadrato duodenale saranno presenti due impronte: il mesocolon trasverso e la radice del mes-
entere.
La superficie mediale, interna, del duodeno presenta una zona detta papilla duodenale maggiore (di Vater):
si tratta di un rilievo conico della mucosa, sede dello sbocco del coledoco e del dotto pancreatico maggiore
di Wirsung.

La localizzazione della superficie interna di Du 2 a livello della papilla di Vater, e quindi dello sfintere di Oddi,
giustifica il fatto che nel reperire questo sfintere sia necessario scansare le anse intestinali e poi andare a 45°
alla ricerca dello sfintere (siamo in una zona profonda retroperitoneale).
Nella papilla duodenale minore sbocca invece il dotto pancreatico minore (dotto accessorio di Santorini):
essa si trova posizionata più in alto e più dietro rispetto alla papilla di Vater.
121
Il dotto di Wirsung origina a livello della coda del pancreas e, giunto a livello della testa, emette 2 dotti, il
principale e l’accessorio.
NB: possono esistere diverse varianti anatomiche dei dotti pancreatici, ma questo dal punto di vista osteopa-
tico ha poca importanza.
Inoltre palpare e sentire l’organo sono due cose diverse. Infatti dire che si sta palpando un organo non è
corretto: è meglio dire che si è sulle proiezioni anatomiche dell’organo che si sta esaminando.
vena porta testa del pancreas ghiandola surrenale sin
a. e v. mesenteriche sup rene sin
a. epatica propria mesocolon trasverso e
condotto coledoco a. celiaca suoi margini di sezione
a. lienale colon trasverso (sez)
margine libero dx del piccolo (o splenica)
omento (leg. epatoduodenale) flessura sin
(o splenica)
fegato (sezionato) del colon
ghiandola
surrenale dx
piloro

rene dx
mesocolon
trasverso e
suoi margini
di sezione
flessura dx
(o epatica)
del colon
colon
trasverso
(sezionato)

colon
ascendente

m. grande
psoas

parte sup (o 1°) colon discendente


parte discend (o 2°) piega e fossa duodenali inf
duodeno
parte orizz (o 3°) flessura duodeno-digiunale e digiuno
(sezionati)
parte ascend (o 4°) a. mesenterica inf
radice del mesentere (margini di sezione) aorta addominale
v. cava inferiore

122
v. porta a. epatica propria
a. gastro-duodenale
condotto coledoco
a. gastrica di dx (o pilorica)
margine libero dx del piccolo a. epatica comune
omento (leg. epatoduodenale) orifizio pilorico
flessura superiore condotto coledoco
parte superiore (o 1°) condotto pancreatico
(o ampolla, o bulbo accessorio
duodenale) (tonaca (del Santorini)
mucosa liscia) condotto pancreatico
flessura principale
discendente (2°) (del Wirsung)
papilla duodenale
minore (incostante) flessura
duodeno-digiunale
pieghe circolari digiuno
(del Kerchring)
papilla duodenale
maggiore (del Vater)
piega longitudinale
parte ascendente (o 4°)
testa del pancreas
flessura inferiore a. e v. mesenteriche superiori

parte orizzontale (o 3°)

strato muscolare longitudinale,


esterno (con aperta una finestra)

strato muscolare longitudinale,


interno (con aperta una finestra)
strati della parete
tela sottomucosa con le ghiandole duodenale
duodenali (del Brunner)

123
124
Rapporti anatomici
Du 1 è in rapporto con il lobo
quadrato del fegato, con vesci-
cola biliare, testa del pancreas,
arteria epatica e vena porta.
Du 2 è in rapporto con la testa
del pancreas, anse intestinali
del tenue, rene-surrene ed in-
izio di uretere destri.
Du 3 è in rapporto con le anse
del tenue, con la porzione in-
feriore del rene sin (poiché ar-
riva a livello della trasversa sin
di L2).
La testa del pancreas è conte-
nuta nel quadro duodenale.
La porzione terminale della
coda è in relazione con lo
stomaco grazie alla retrocavità
degli epiploon (che gli si ap-
plica sopra).
La coda del pancreas è in rap-
porto con l’ilo della milza. Qui
esiste una plica peritoneale detta leg pancreaticolienale che li solidarizza. Ciò sta a significare che quando si
va a reperire il pancreas è necessario essere molto precisi nei punti di repere teorici del pancreas, piloro, sfin-
tere di Oddi e della milza (quest’ultima indica dove arriva il duodeno e come si orienta, generalmente obliquo
a 30°).

125
Flessura/angolo
duodenodigiunale
È un angolo che si forma
tra l’ultima porzione del
duodeno e l’inizio del di-
giuno. Si trova a 3-4 cm a
sin della linea mediana a
livello della trasversa sin
di L2. In termini di repere
anatomico è il corrispettivo
dell’Oddi, infatti si trova a
2 dita all’esterno e 2 dita in
alto all’ombelico.
È applicato alla parete post
dell’addome tramite il peri-
toneo parietale post (fascia
prepancreatica) ed è fis-
sato al diaframma tramite il
muscolo di Treitz.

Muscolo di Treitz
Può anche assumere la denominazione di legamento
anche se è raro.
È composto da 2 ventri muscolari:
1. il principale prende origine dai pilastri del diaframma
e dall’orifizio aortico
2. il fascio accessorio origina dal margine dx
dell’orifizio esofageo del diaframma.
I due fasci muscolari si uniscono in un unico tendine
che va sul margine sup della flessura/angolo duode-
nodigiunale.
In base a quando sinora detto l’angolo duodenodigiu-
nale è una struttura stabile grazie al peritoneo parietale
post (che lo applica alla parete) e al m. di Treitz (che lo
stabilizza al diaframma ed agli orifizi diaframmatici).

126
sacchetto

Mezzi di fissità
Il duodeno è una zona molto fissa che viene mantenuta in posizione da vari elementi, quali:
1. pressione intracavitaria (toracica, addominale e pelvica; esse devono essere tra loro in equilibrio).
2. piloro (dove si aggancia il legamento cisticoduodenale).
3. Oddi (dove arriva lo sbocco dei dotti).
4. angolo duodenodigiunale.
5. mesocolon trasverso e radice del mesentere.
6. leg colicoduodenale (= fascio verticale del piccolo epiploon) e m. di Treitz.
7. vasi e nervi.
8. peritoneo (con la fascia prepancreatica avanti ed il muscolo di Treitz dietro a formare un sacchetto).
9. dotto coledoco.

127
128
129
Vascolarizzazione arteriosa
È ad opera delle:
1. A. pancreaticoduodenale superiore (ant e post): provengono dall’a. gastroduodenale pertanto sono dei
collaterali dell’a. epatica gtronco celiaco.
2. A. pancreaticoduodenale inferiore (ant e post): sono rami dell’a. mesenterica superiore.
In conclusione: la vascolarizzazione arteriosa è ad opera delle aa. epatica e mesenterica sup.

130
Vascolarizzazione venosa
La vascolarizzazione venosa è ad opera delle:
1. v. pancreaticoduodenale dx: sbocca direttamente nella v. porta.
2. v. pancreaticoduodenale inferiore dx: sbocca nella v. mesenterica sup gv. porta.
In conclusione: tutto drena nel sistema portale (in maniera diretta od indiretta).

131
aa. freniche inferiori di dx e sin a. gastrica sin (o coronaria dello stomaco)
(che originano da un tronco comune) ramo esofageo dell’a. gastrica sin
(o coronaria dello stomaco)
a. celiaca a. lienale (o splenica)
a. epatica comune ramo ricorrente
dell’a. frenica
a. gastrica di dx inferiore di sin
(o pilorica) per l’esofago
a. epatica propria a. gastro-epiploica
(o gastro-omentale)
a. sopraduodenale sin
a. gastriche
a. gastro-epiploica brevi
(o gastro-omentale)
dx

a. gastro-
duodenale
a. pancreatico-
duodenale
supero-anteriore
a. pancreatico-
duodenale supero-
posteriore

a. gastro-epiploica (o
gastro-omentale) di sin
a. della coda del pancreas
(in parte in trasparenza)
a. grande pancreatica
a. pancreatica inferiore
(o trasversa) (in trasparenza)
a. pancreatica dorsale
(o superiore)
a. colica media (sezionata)
a. pancreatico-
duodenale a. mesenterica superiore
supero-anteriore
a. pancreatico-
duodenale
infero-posteriore
(in trasparenza)
a. pancreatico-duodenale
infero-anteriore viste con lo stomaco
ribaltato verso l ‘alto
a. pancreatico-duodenale inferiore (o comune)

132
a. epatica intermedia a. epatica di sin aa. freniche inferiori di dx e sin
(qui originate da un
a. epatica propria v. porta tronco comune)
a. epatica a. celiaca
a. epatica di dx
comune
a. cistica a. addominale
a. gastrica
sinistra a. gastriche
cistifellea (o coronaria brevi
dello
stomaco)

tringolo
cistico
(del Calot)
condotto cistico

condotto epatico
condotto coledoco
a. gastrica di dx
(o pilorica)
a. a. gastro-epiploica (o
sopraduodenale gastro-omentale) di sin
a. gastro- a. della coda del pancreas
duodenale
a. grande pancreatica
a. lienale (o splenica)
a. pancreatica dorsale
(o superiore)
a. pancreatica inferiore
(o trasversa)
ramo anastomotico

a. pancreatico- a. colica media (sezionata)


duodenale supero-pos-
teriore (in trasparenza) a. mesenterica sup
a. pancreatico-duodenale a. pancreatico-duodenale inferiore (o comune)
supero-anteriore
a. pancreatico-duodenale infero-posteriore
a. gastro-epiploica (o
gastro-omentale) di dx a. pancreatico-duodenale infero-anteriore

133
duodeno e testa del pancreas ribaltati a sin

condotto coledoco

a. gastro-duodenale

a. pancreatico-duodenale
supero-posteriore
a. pancreatico-duodenale
supero-anteriore
(in trasparenza)
a. mesenterica sup
a. pancreatico-duodenale inferiore
(o comune)
a. pancreatico-duodenale
infero-posteriore
a. pancreatico-duodenale
infero-anteriore
(parzialmente in trasparenza)

a. celiaca a. epatica propria


a. lienale (o splenica) a. epatica comune
a. sopraduodenale
a. gastro-duodenale
(parz in trasparenza)
a. pancreatico-duodenale
supero-posteriore
condotto coledoco
a. gastro-epiploica (o
gastro-omentale) di dx
a. grande pancreatica (in trasparenza, sezionata)
a. pancreatico-duodenale
a. pancreatica inferiore supero-anteriore
(o trasversa) (in trasparenza)
a. pancreatica dorsale ramo anastomotico
(o superiore) a. pancreatico-duodenale
infero-posteriore
a. mesenterica sup a. pancreatico-duodenale
infero-anteriore (in trasparenza)
a. pancreatico-duodenale
inferiore (o comune) viste posteriormente

134
vv. epatiche v. cava inferiore a. gastrica sinistra (o coronaria dello
v. porta stomaco) e v. tributaria esofagea
v. pancreatico- vv.
duodenale gastriche
supero- brevi
posteriore
v. gastrica
di dx
(o pilorica)
v.
prepilorica
v. pancreatico-
duodenale
supero-
anteriore
v. gastro-
epiploica (o gastro-
omentale) di dx a. gastro-
epiploica
v. pancreatico- (o gastro-
duodenale omentale)
infero- di sin
posteriore
v. pancreatico-
duodenale
infero-
anteriore a. gastrica sinistra
v. colica media (sezionata) (o coronaria dello stomaco)
v. lienale
v. mesenterica sup (o splenica)
vv.
gastriche
v. porta brevi
v. gastrica di dx (o pilorica)
v. pancreatico-duodenale
supero-posteriore
v. mesenterica sup
v. gastro-epiploica (o v. della coda
gastro-omentale) di dx del pancreas
v. pancreatico-duodenale v. gastro-epiploica
supero-anteriore (o gastro-omentale) di sin
v. tributaria del colon trasverso
v. grande pancreatica
v. pancreatico-duodenale
infero-anteriore v. mesenterica inf
v. pancreatico-duodenale v. colica media (sezionata)
infero-posteriore
Innervazione
C’è una doppia componente:
1. ORTOsimpatico: - porzione sovramesocolica è innervata dal grande splancnico D6-D9.
- porzione sottomesocolica è innervata dal piccolo splancnico D9-D12.
2. PARAsimpatico: - vago dx e sin gparacraniale.

135
aa. e plessi frenici inferiori di dx e sin ramo epatico del tronco vagale ant
foglietti anteriori e post del piccolo omento tronco vagale ant
ramo del plesso epatico per il cardia ramo celiaco del tronco vagale post
tramite il piccolo omento
ramo celiaco del tronco vagale ant
n. grande splancnico
toracico di dx a. e plesso gastrici di sin
(o coronari dello stomaco)

ramo
vagale
dal
plesso
epatico
al piloro
plesso epatico
a. e plesso
gastrici di dx

ramo gastrico ant


principale del
tronco vagale ant
n. grande splancnico
toracico di sin
n. piccolo splancnico
toracico di sin
a. e plesso lienali (o splenici)
gangli e plesso celiaci
plesso sulle aa. gastro-
epiploiche (o gastro-omentali)
a. e plesso mesenterici sup
plesso sull’a. pancreatico-duodenale
inferiore
plesso sulla prima a. digiunale
plesso sulle aa. pancreatico-
duodenali supero-ant ed
infero-ant (il plesso sulle aa.
pancreatico-duodenali post non
è qui visibile)

136
plesso sulle aa. gastro- ramo gastrico post principale del tronco vagale post
epiploiche (o gastro-omentali) ramo epatico del tronco vagale ant che segue
plesso epatico il piccolo omento
a. e plesso ramo del plesso epatico che segue
gastrici di dx il piccolo omento
a. e plesso frenici inferiori di dx
(o pilorici) tronco vagale post
ramo celiaco del tronco vagale post
ramo celiaco del tronco vagale ant
a. e plesso gastrici di sin
(o coronari dello stomaco)
a. e plesso frenici inferiori di sin
gangli e plesso celiaci
nn. splancnici toracici
grande, piccolo e minimo
ganglio reno-aortici
a. e plesso frenici (o splenici)

n. frenico di dx
nn. splancnici
toracici ganglio frenico
di dx ramo del plesso frenico inf di dx
grande, per il cardia dello stomaco
piccolo, a. e plesso frenici inferiori
minimo di dx e sin
tronco vagale ant
tronco vagale post
visti con lo
stomaco
ribaltato
verso
l’alto
plesso sulle
aa. pancreatico-
duodenali supero-ant
ed infero-ant ramo celiaci dei
nn. splancnici tronchi vagali
plesso sulle aa. gastro-duodenale toracici ant e post
plesso sulle aa. pancreatico- grande, piccolo,
minimo a. e plesso gastrici
duodenali supero-post di sin (o coronari
ed infero-post gangli celiaci
dello stomaco)
ganglio e plesso mesenterici sup ganglio reno- nn. splancnici
aortico di dx toracici di sin
ganglio e plesso mesenterici sup ganglio reno-
aortico di sin

137
6�����������������
° ganglio toraci- 6° ganglio toracico
co del tronco del del tronco del
simpatico di dx simpatico di sin
7° n. inter- plesso esofageo
costale di dx
rami comunicanti n. grande splancnico
grigio toracico di sin
bianco
ganglio spinale, plesso aortico
radice ant 9° ganglio toracico
del n. spinale del tronco del
n. grande simpatico di sin
splancnico
toracico di dx tronco vagale post
n. piccolo e ramo celiaco
splancnico tronco vagale ant
toracico di dx e suo ramo celiaco
gangli celiaci
a. gastrica sinistra
n. splancnico (o coronaria dello stomaco)
toracico minimo a. celiaca
(incostante)
aa. epatiche a. lienale
comune, (o splenica)
propria aa.
ganglio gastriche
mesenterico brevi
sup
gangli
reno-aortici
a. gastrica di dx
(o pilorica)
a. renale di dx
a. gastro-duodenale
aa. pancreatico- aa. gastro-
duodenali epiploiche
supero-posteriore e (o gastro-
supero-anteriore omentali)
a. di sin e dx
mesenterica
superiore
aa. pancreatico- fibre ortosimpatiche
duodenali pregangliari
infero- postgangliari
posteriore e fibre parasimpatiche
infero-anteriore pregangliari
postgangliari
fibre afferenti
Fisiologia
L’acido cloridrico e le sostanze contenute nel chimo stimolano la secrezione di secretina e colecistochinina
(CCK) da parte del duodeno (sono ormoni locali). Questi ormoni a loro volta stimolano la secrezione di:
- bicarbonato (per tamponare l’acidità)
- enzimi pancreatici
La CCK: - stimola la secrezione di enzimi per la digestione dei grassi e delle proteine;
- inibisce la secrezione e la motilità dello stomaco facendo si che il contenuto intestinale abbia il
tempo di essere digerito ed assorbito.
Il bicarbonato prodotto dal duodeno eleva il ph per assicurare il funzionamento degli enzimi pancreatici e
tamponare l’acidità gastrica.
138
Gli enzimi pancreatici agiscono sulle grosse molecole con azione proteolitica, amidolitica e lipolitica.
La presenza di chimo duodenale stimola la secrezione enterica di pancreozimina, che arriva per via ematica al
pancreas e ciò provoca la liberazione di enzimi digestivi (amilasi, lipasi, tripsina, peptidasi e nucleasi).
In genere gli enzimi pancreatici sono prodotti in forma inattiva e vengono attivati nel duodeno da altri enzimi
(es. il tripsinogeno, tramite l’enzima enterochinasi, diventa tripsina).
La gastrina stimola fortemente la produzione di acido cloridrico e la secrezione pancreatica di bicarbonato,
di CCK, di secretina ed enterochinasi. Inoltre aumenta il tono del LES. Quindi già quando lo stomaco inizia a
produrre acido cloridrico attiva la gastrina, stimola la produzione di enzimi pancreatici per la stimolazione del
pancreas.
Inoltre la presenza di grasso nel chimo duodenale farà rilasciare lo sfintere di Oddi e contrarre la colecisti in
modo tale che la bile si riversi nel duodeno.
La bile emulsionando i grassi in goccioline facilita la digestione a livello dell’intestino.
In conclusione stomaco, duodeno, pancreas e complesso epatico vescicolare sono uniti fortemente da un
punto di vista funzionale oltre che anatomico. Il tutto però necessita di un corretto apporto artero-venoso e
di un corretto funzionamento del NVG tra gli organi.
Infatti tutte le discinesie sfinteriali o le disfunzioni duodenali, pancreatiche e della vescicola biliare sono alla
base di quadri come i malassorbimenti, le allergie e le intolleranze alimentari.

Fisiologia osteopatica
Arteria e vena mesenterica sup passano dentro il quadro duodenopancreatico e sotto la testa del pancreas.
Pertanto rappresentano l’asse di mobilità del duodeno durante le fasi di INsp ed Esp del diaframma.
duodeno scende
in INsp } ruota in senso antiorario
si inclina a dx
In sostanza compie gli stessi movimenti del fegato in INsp. Inoltre globalmente la “C” duodenale si chiude
intorno al peduncolo artero-venoso scendendo e ruotando intorno all’arteria ed alla vena mesenterica sup.
NB: il peduncolo artero-venoso della mesenterica sup diventa asse di rotazione per il quadrato duodenale
e per l’intestino mesenteriale, ma i due sistemi durante il movimento del diaframma invertono i movimenti.
Questo permette la tutela dall’eccessivo stiramento vascolare ed enfatizza la dinamica vascolare.

Sintomatologia e segni clinici


Dolore epigastrico
Dolore dorsale medio e dorsolombare per l’innervazione orto da D6-D12
Gonfiori epigastrici
Duodeniti (in questo caso si è difronte ad una disfunzione che è divenuta patologia quindi non si è più in
ambito osteopatico.
Ulcere duodenali
Intolleranze alimentari
Cattiva gestione degli zuccheri e dei grassi

Duodeno emozionale
Il duodeno è la prima parte del tenue e rappresenta la nostra capacità di digerire ed assorbire e poi di lasciare
andare le emozioni.
Le emozioni legate al tenue riguardano ciò che non riusciamo ad accettare, a cui ci ribelliamo, che ci “rodono”
dentro. Es ulcere duodenali rappresentano una situazione inaccettabile che continuiamo a dover vivere. Sono
emozioni profonde, più fisse, esistenziali.
La funzione che si è andata ad alterare dà il binario emozionale del Pz.

Pratica sul duodeno (Anno 5 sem 1)


Premesse:
quando si testa e si tratta una struttura è sempre necessario prima reperirla e poi testarla, anche se le mani
rimangono nella stessa posizione (cioè non si spostano).
Test
Per testare il quadro duodenodigiunale è necessario reperirlo. I punti di repere sono rappresentati da: piloro,
139
sfintere di Oddi ed angolo duodenodigiunale.
1. Piloro:
è una zona compresa tra la metà della linea
xifo-ombelicale ed una linea passante per
le cartilagini di K8 (=linea transpilorica).
Corrisponde all’incirca ad L1. Può essere leg-
germente spostato verso dx.

2. Sfintere di Oddi:
si reperisce (non si può fare un test senza aver primo reperito la struttura) ponendo 2 dita fuori e 2 dita in alto
rispetto all’ombelico.
La mano craniale è post e non supera le spinose del tratto vertebrale interessato (D12-L3): essa serve a com-
pattare le strutture.
La mano caudale si posiziona con 2 dita nella zona individuata e si spinge posteriormente sino ad arrivare
alla zona retroperitoneale. A questo punto si orienta a 45° in direzione dietro-dentro alla ricerca di un “duro
anatomico” (e non osteopatico) proprio dello sfintere. Infatti si tratta di una palpazione, di un reperaggio e
NON di un test.
Per eseguire il test (dopo aver fatto il repere) si procede a palpare lo sfintere nello stesso modo e si giudica se
è duro (resistenza tessutale) oppure no, cioè se c’è una disfunzione oppure no.
Le mani sono posizionate sul margine laterale del 2° duodeno.
NB: per aiutarci nella valutazione quando si fa il repere si potrebbe parlare di “duro anatomico”, mentre quan-
do si fa il test si può parlare di “resistenza tessutale”, come il test di pressione. Una volta individuata una
disfunzione la si può trattare con: recoil, vibrazioni, ponsage ed induzioni fasciali.
NB: sugli sfinteri e sulle zone strutturali puntiformi i recoil si eseguono con i pollici sovrapposti.
Nelle zone dove si vanno ad effettuare degli allungamenti il recoil viene effettuato a 2 mani: es. anche sul
cranio si effettuano dei test di pressione.

Repere anatomico Test di pressione Posizionamento delle mani sul


dello sfintere di Oddi sullo sfintere di Oddi margine laterale del 2° duodeno
3. Angolo duodenodigiunale:
repere > ci si posiziona al lato dell’ombelico (sul margine sin dell’addome) con due dita in fuori e due dita in
alto con orientamento a 45° verso l’interno (cioè verso la colonna vertebrale). Attenzione a non sentire i mm.
retti dell’addome: infatti è necessario andare oltre la parete muscolare, scendere e sentire un “duro organico”
perché si tratta di un angolo.
A livello dell’angolo duodenodigiunale c’è la radice del mesentere ed il muscolo di Treitz.
Test > una volta reperito l’angolo duodenodigiunale lo si testa alla ricerca di una “resistenza tessutale”.
In presenza di una disfunzione la si può trattare con ponsage, vibrazioni o recoil con i 2 pollici (perché è un an-
golo, quindi una zona puntiforme e non un leg) in direzione del repere anatomico e caricando tutti i parametri
nello spazio. Il recoil non ha l’obbiettivo di allungare l’angolo ma un’azione di rilasciamento puntiforme.

140
Repere anatomico Test di pressione sull’angolo Trattamento delll’angolo duodenodi-
dell’angolo duodenodigiunale duodenodigiunale giunale mediante recoil

4. Muscolo di Treitz:
ha una proiezione postero-anteriore con una componente verso l’esterno.
Ha 2 ventri muscolari che partono dallo iato aortico ed esofageo (con delle espansioni sui pilastri del dia-
framma) per unirsi in un unico tendine che si inserisce a livello dell’angolo duodenodigiunale.
Lo si può reperire, testare e trattare
Test
Mano caudale, ha 4 dita posizionate a livello dell’angolo duodenodigiunale
Mano craniale, il pollice è a livello della proiezione dello iato esofageo, e cioè a livello della cartilagine con-
drosternale di K6.
Il repere viene fatto con due mani, non in termini di allungamento per testare, ma per capire quando le due
mani si ritrovano. Una volta trovato, tramite la congruenza delle mani nella direzione della struttura, lo si va a
testare andando ad allungarlo.
Trattamento
In caso si trovi una disfunzione si può utilizzare per correggerla la tecnica meccanica diretta in allungamen-
to > mano craniale, fa punto fisso (usando l’organo più pesante); mano caudale, fa punto mobile (per l’organo
più leggero). Si allunga in direzione basso-fuori-dietro. In realtà quando si acquisisce praticità si potranno
usare entrambe le mani come punto mobile.Per la correzione va bene anche il recoil, no il ponsage.
Repere del muscolo di Treitz Proiezione dello iato esofageo Trattamento in allungamento
nel test sul m. di Treitz del m. di Treitz

Test di pressione sul duodeno


Deve essere effettuato in presenza di una positività dei 9 quadranti a livello del mesogastrio: tale positività
non deve presentarsi all’inizio del test (a questo livello superficiale il tenue/mesentere è morbido), ma an-
dando più in profondità, a livello del quadrato duodenale appunto.
A questo punto si può testare sia pancreas che duodeno e decidere quale delle due strutture è più interes-
sante da testare.
Il test sul duodeno deve materializzare il quadro duodenale pertanto la mano sarà tra piloro, Oddi, ang duo-
denodigiunale:
piloro (Du1): eminenza tenar;
sfintere di Oddi (Du 2): eminenza tenar ed ipotenar;
linea ombelicale (Du 3): mignolo, cioè con il bordo ulnare della mano.
ang duodenodigiunale (Du 4): sotto le artic interfalangee

141
NB: se sono duodeno sono quadro pertanto bi-
sogna stare sia a livello che in direzione (mano
parallela ad una linea che passa per le creste iliache;
se la mano testasse il pancreas sarebbe inclinata di
30° verso la coda del pancreas/milza); la mano cra-
niale è sita post senza superare le spinose.
In presenza di una positività tessutale sul duodeno,
così come si è fatto per il pancreas, si può fare un
test a tampone sulle singole porzioni. In questo
modo si è facilitati nella progressione dei test: infat-
ti in presenza di un Du 2 positivo si andrà a testare
l’Oddi e non l’angolo duodenodigiunale. duodeno pancreas
NB: nei neonati non si esegue il test dei 9 Qu

Test di
pressione
Test dei 9 globale sul
quadranti. duodeno
Positività in Test di pressione
mesogastrio sul 1° duodeno

Test di pressione
sul 4° duodeno

Test di pressione Test di pressione


sul 2° duodeno sul 3° duodeno
Test di allungamento delle singole porzioni del quadro duodenale
Trovandosi su delle proiezioni bisogna valutare ciò che si percepisce a livello di quella sezione con il test di
allungamento.
Du1: può essere la porzione più difficile perché dal piloro si
proietta in dietro-alto verso il fegato a livello della trasversa
dx di D12.
I punti di riferimento saranno l’ilo epatico ed il piloro (è
simile alla 2° modalità per testare il fascio verticale del pic-
colo epiploon, ma è diverso perché nel 1° caso si cerca
l’allungamento di un legamento, in questo 2° caso si cerca
l’allungamento di un tubo, pertanto la sensazione manuale
sarà diversa). Con le mani si deve percepire la congruità tra le
mani con direzione basso-dietro-dentro.

142
Du 2: si estende dalla fine di Du 1 (trasversa dx di D12)
all’ombelico.
È necessario scendere più in profondità rispetto a Du1
perché è necessario essere retroperitoneali. Si pro-
cederà ad un allungamento tessutale verticale di tut-
to il tubo e si valuterà come questa zona risponderà
all’allungamento. In conclusione: prima si scende a liv-
ello e poi si procede all’allungamento.

Du 3: ci si pone alla fine di Du 2 ed ai lati


dell’ombelico (perché di fatto Du 3 lo scavalca).
Poi si scende in profondità per raggiungere il liv-
ello e quindi si allunga con entrambi i pollici.

Du 4: ci si posiziona con il dito medio della mano


caudale su Du3, mentre con le dita della mano crani-
ale si è sull’angolo duodenodigiunale.
Una volta raggiunto il livello si procede
all’allungamento di Du 4.

NB: in presenza di una disfunzione in allungamento su uno dei 4 tratti si procede con tecnica meccanica
diretta di allungamento, recoil, etc.
Le tecniche sono relativamente semplici, ma è importante reperire la struttura.
Test di apertura degli angoli
Gli angoli sono delle zone dove più facilmente
si può creare una disfunzione. L’angolo più dif-
ficile è quello tra Du 1-Du 2.

1. Angolo tra D1-D2: avendo trovato in prece-


denza Du 1 e Du 2 ci si pone con le dita interna-
mente e si scende in profondità ponendosi così
sulla proiezione. Si va a cercare qualcosa che si
faccia aprire con entrambe le mani.

143
2. Angolo tra Du 2-Du 3: trovati Du 2 e Du 3 ci si di-
spone con le dita internamente sul margine interno.
Poi si scende in profondità e si va ad aprire.

3. Angolo tra Du 3-Du 4: ci si dispone con i pollici sul margine interno tra Du 3 e Du 4 e si va a testare la pos-
sibilità dell’angolo di aprirsi. L’Osteopata è alla dx del Pz.

Un’altra possibilità è quella di mettersi ai piedi del Pz e stando con le dita sul margine interno di Du 3 e Du 4
si va ad aprire l’angolo.
Apertura di angolo tra Du 3 e Apertura di angolo tra Du 3 e
Du 4 (1° possibilità) Du 4 (2° possibilità)

NB: se non si apre l’angolo duodenodigiunale, si fanno altre cose come per es lavorare sul m. di Treitz. Nel
caso in cui ci sia un angolo in disfunzione che non si lascia aprire si può effettuare una tecnica meccanica
diretta di apertura dell’angolo.

Test di mobilità del duodeno


Ci si pone come nel test di pressione sul duodeno e cioè con:
- la mano caudale a materializzare il quadro duodenodigiunale
- la mano craniale a livello di D12-L3 per poter raggiungere il livello
In un tempo INsp il duodeno avanza-rotazione antioraria-si chiude un poco, strizzando il peduncolo vas-
colare. In un tempo Esp il duodeno indietreggia-rotazione oraria-si apre un poco.
In un tempo INsp ci si mette in ascolto e si induce un movimento inspiratorio e si valuta quanto l’organo si
faccia portare.
In un tempo Esp ci si mette in ascolto e si induce un movimento espiratorio e si valuta quanto l’organo si
lascia portare.

144
Alla fine si valutano i due parametri e se c’è una disfunzione la si
denomina nel senso della maggiore ampiezza. Es. disfunzione in
inspiro: mi metto in ascolto e su più tempi di inspiro aggravo la
disfunzione, mentre nei tempi di espiro mantengo sino a che non si
percepisce che i tessuti cedono, si ammorbidiscono.
A questo punto:
1. se accompagno verso la correzione si tratta di una tecnica combi-
nata (indiretta in un primo tempo e poi diretta verso la correzione)
2. se seguo senza fare niente e ritorno; quindi ci si rimette in ascolto
per capire se le due fasi si sono riequilibrate ed eventualmente
ritesto, si tratta di una tecnica funzionale di esagerazione.

La prof.ssa Menichelli preferisce utilizzare le tecniche di esagerazione.


NB: si possono utilizzare entrambe le tecniche a patto che se ne conosca la differenza.
Utilizzare una tecnica correttiva piuttosto che un’altra dipende dal tipo di tessuto sul quale si lavora Es. il re-
coil può essere utilizzato perché ci sono dei recettori di Pacini o paciniformi, che rispondono alle vibrazione,
ai campi pressori.
Possiamo fare una tecnica funzionale di esagerazione perché è a questo livello che sulle disfunzioni globali
c’è un riequilibrio sottocorticale che manda un’informazione di un certo tipo.

Ricapitolando:
i termini funzionale o meccanico definiscono se si va ad agire sul motore (come nella funzionale) oppure
no (come nella meccanica).
I termini diretta ed indiretta stanno a significare che si va nel senso della correzione (come nella diretta)
oppure verso la disfunzione (come la indiretta).
Il termine combinata mette insieme prima la indiretta e poi la diretta.
L’esagerazione è una tecnica funzionale indiretta.
La tecnica funzionale diretta va nel senso della correzione.
Test sul fascio verticale Legamento epatoduodenale
del leg epatoduodenale Oltre che con il metodo classico lo si può reperire e testare anche
in un altro modo e cioè in una modalità più selettiva con il pollice
della mano craniale a livello dell’ilo epatico e con le 4 dita della
mano caudale a livello del piloro, dove il legamento si inserisce. A
questo punto si effettua un allungamento meccanico diretto e si
valuta la risposta del tessuto.
NB: scegliere una modalità piuttosto che un’ altra dipende da ciò
che si sta facendo e da come ci si trova meglio in un posiziona-
mento piuttosto che in un altro.
Ricordiamo che il fascio verticale va dall’antro pilorico al
piloro e a Du1.
Pratica duodeno_Dragonetti
Test di inibizione sul duodeno
È una metodica che ci permette di discriminare,
dopo avere eseguito i test ed avere trovato delle
disfunzioni, se tali disfunzioni sono maggiormente
a carico di:
a) colonna vertebrale tra D12-L3 (anche L4 se c’è
iniziale ptosi dell’organo);
b) grande e piccolo splancnico (D6-D9 e D9-D12);
c) viscere duodenale;
In conclusione questo test ci permette di discrim-
inare se la disfunzione è più di origine meccanico-
vertebrale o viscerale.

145
Esecuzione del test
Mano craniale > si posizionano i polpastrelli a livello delle
spinose delle vertebre interessate,
mano caudale > si risale dal pacchetto intestinale sino al
duodeno. Se è difficile inglobare nella mano caudale tutto
l’addome del Pz si possono fare piegare le gambe.
Se prima del test si era in presenza di una densità/resistenza
su una delle vertebre interessate (D12-L3) e, inibendo il duo-
deno, la resistenza sotto i polpastrelli si modifica, il viscere è
responsabile della densità sulle vertebre.
Lo stesso procedimento può essere utilizzato in presenza di una disfunzione del quadro duodenale/disfunzi-
one del neurovegetativo (D6-D12): in questo caso la vertebra interessata non è una sola, sono di più.
1. Pz sul bordo del lettino ed Osteopata alla sua dx.
2. L’Osteopata è con la mano craniale a livello delle
spinose tra D12-L3, mentre con la mano caudale va
ad inglobare, “scivolando”, il pacchetto intestinale
sino a poco al di sotto dell’ombelico.
3. A questo punto a livello duodenale si esercita una
spinta verso l’alto con la mano caudale (la spinta mano caudale > la prof
deve arrivare fino a raggiungere il livello vertebrale usa due mani per far mano craniale >
interessato), mentre con la mano craniale si valuta ciò vedere meglio quello polpastrelli sulle
che accade a livello vertebrale. che si deve fare vertebre
Nel caso in esame, Pz Fabio, l’Osteopata non avvertiva nulla a livello vertebrale, ma una volta indotta
l’inibizione a livello duodenale è aumentata la resistenza vertebrale: pertanto il problema è meccanico/strut-
turale.
Conclusioni: Test di inibizione sul duodeno da seduto
a) se la resistenza vertebrale si modifica spingendo sul pac-
chetto intestino-duodenale la priorità è sul duodeno.
b) se la resistenza non si modifica dopo una spinta sul duo-
deno la priorità è sulla colonna vertebrale.

NB: il test può essere eseguito:


anche con il Pz seduto
anche su una singola porzione duodenale.

Il pancreas _Premesse
Definito dai vecchi anatomisti come la grande ghiandola salivare dell’addome.
Il quadro duodenopancreatico è una struttura nascosta, profonda e quindi molto protetta; ciò avvalora la sua
importanza biochimca, enzimatica, endocrina ed immunitaria.
Anatomia
È lungo circa 16-20 cm., alto 3-4 cm. e spesso 2-3 cm.
Pesa circa 50-130 grammi: questa ampia variabilità è data da sesso, età e peso del Pz; infatti nell’uomo il vol-
ume del pancreas è maggiore rispetto a quello della donna. Dai 50 anni in poi tende a diminuire poiché va in-
contro ad atrofia senile, tanto è vero che con il trascorrere dell’età è più facile l’insorgenza del diabete senile.
È una ghiandola tubulo acinosa a secrezione sierosa. Il tessuto ghiandolare è costituito per il 99% da secrezi-
oni esocrine e per l’1% da secrezioni endocrine.
È posto trasversalmente rispetto al piano dell’orizzontale di circa 30%, pertanto per trovare l’inclinazione teor-
ica del pancreas sarà necessario reperire la loggia splenica in quanto la coda dell’organo arriva lì.
Passa a ponte nella zona compresa tra D12-L3.
Per reperire l’organo sarà necessario individuare il quadro duodenopancreatico tra piloro, sfintere di Oddi ed
146
angolo duodeno digiunale: queste 3 strutture accolgono la testa del pancreas. Mentre orientandosi in alto a
sin si individuerà l’asse dell’organo (poiché la coda arriva lì).

Anatomicamente si distinguono 4 porzioni:


1. testa: è accolta nel quadro duodenale. Presenta una faccia ant (che guarda la fascia prepancreatica), una
faccia post (che guarda la fascia di Treitz) ed una faccia lat dx (che aderisce al duodeno).
2. istmo: posto tra testa e corpo.
3. corpo: si trova a livello L1-L2. Davanti è in rapporto con la retrocavità degli epiploon, essendo ricoperto
dallo stomaco. Dietro ci sono l’aorta, l’arteria e la vena mesenterica sup.
4. coda: si mette in rapporto con l’ilo della milza. È completamente extraperitoneale pertanto è ricoperta da
peritoneo parietale post. Dietro c’è il rene sin.

147
v. cava inferiore aorta a. celiaca a. lienale (o splenica)
stomaco (sezionato)
v. porta
milza
a. epatica propria
condotto coledoco
margine libero dx
del piccolo omento
ghiandola surrenale
duodeno
rene dx
(retroperitoneale)
flessura dx
impianto del (o splenica)
mesocolon del colon
trasverso

flessura dx
(o epatica)
del colon

colon trasverso
(sezionato)
colon trasverso rene sin
(sezionato) (retroperitoneale)
impianto del
mesocolon trasverso
v. mesenterica inf
(retroperitoneale)
a. e v. coliche medie digiuno (sezionato)
a. e v. mesenteriche sup flessura duodeno-digiunale
processo uncinato (o lingula) del pancreas radice del mesentere

148
condotto pancreatico accessorio anastomosi fra i condotti incrociamento dei condotti
(del Santorini) doppio

doppio incrociamento nessuna comunicazione condotto pancreatico principale


dei condotti fra i condotti (del Wirsung) doppio

assenza del
condotto
pancreatico
tortuosità accessorio
dei condotti (del Santorini)

149
Mezzi di fissità
Assieme al quadro duodenale, il pancreas è uno degli organi più fissi della cavità addominale.
Il peritoneo parietale posteriore lo ricopre anteriormente mantenendolo aderente alla parete posteriore.
La testa dell’organo aderisce all’interno del quadro duodenale ed è fissata al 2° duodeno tramite i dotti escre-
tori (Wirsung e coledoco).
La porzione più mobile dell’organo è pertanto la coda, anche se è fissata alla milza tramite il leg. pancreatico
lienale.

Dotti escretori
I condotti interlobari sboccano nel dotto di Wirsung, che attraversa tutto il pancreas e sbocca nel 2° duodeno
a livello dell’ampolla di Vater assieme al coledoco.
Il dotto accessorio di Santorini sbocca, attraverso la papilla duodenale minore, sempre nel 2° duodeno poco
più in alto dell’ampolla di Vater.
NB.
1. il coledoco passa dietro tra il pancreas e la fascia di Treitz, fa una doccia nel pancreas e poi sbuca in Du 2;
2. lo sfintere di Oddi si forma dalle fibre muscolari della parete di Du 2 e dalle fibre muscolari della parete dei
dotti.

Vascolarizzazione arteriosa

}
epatica
È data dalle arterie lienale
mesenterica sup
Questa triplice vascolarizzazione è dovuta al fatto che c’è una porzione sovramesocolica di pancreas che vi-
ene irrorata da due arterie (epatica e lienale), mentre la porzione sottomesocolica è irrorata da un’arteria (la
mesenterica sup). Inoltre questa ricca vascolarizzazione è indicativa del fatto che si tratta di un organo con
funzioni molto importanti.
NB:
1. dall’a. epatica deriva l’a. gastroduodenale e da questa l’a. pancreatico duodenale sup.
2. dall’a. mesenterica sup derivano i rami dell’a. pancreaticoduodenale inf.
150
Vascolarizzazione venosa
Avviene per mezzo della v. pancreaticoduodenale sup, nei suoi rami dorsale e ventrale, tributari della v.
porta.

Innervazione
Ortosimpatica: - nervo piccolo splancnico D8-D10
- plesso celiaco
Parasimpatico: - n. vago dx (in prevalenza).

Fisiologia
La fisiologia del pancreas è in relazione con quella di altri organi impegnati nella digestione quali fegato,
stomaco, vescicola biliare, duodeno ed ileo (digiuno e mesentere).
L’essere umano secerne nelle 24 ore circa 1000-1500 ml di succo pancreatico, costituito come detto per il 98%
da H2O e per il rimanente 2% da elettroliti ed enzimi.

1. Pancreas esocrino:
Le secrezioni esocrine sono sotto il controllo del n. vago e di 3 ormoni: secretina, gastrina e CCK (colecisto-
chinina).
La distensione dello stomaco ad opera del chimo acido, che poi arriva nel duodeno, stimola la secrezione di
ormoni locali che arrivano al pancreas per via ematica e stimolano a loro volta la produzione enzimatica.
Gli enzimi prodotti dal pancreas esocrino sono:
g glicolitici
- lipolitici
151
- protolitici (prodotti sempre in forma inattiva es. tripsinogeno viene attivato a tripsina nel duodeno)
g per la scissione degli acidi nucleici (desossiribonucleasi, ribonucleasi)
Per gli amidi il pancreas secerne amilasi
Per i lipidi il pancreas secerne lipasi (scinde i trigliceridi in 1 monogliceridi e 2 acidi grassi)
Per le proteine il pancreas secerne tripsina (a partire dal tripsinogeno), chimotripsina (a partire dal chimo-
tripsinogeno) e carbossipeptidasi (dalla procarbossipeptidasi).
Inoltre negli acini del pancreas è prodotto un inibitore della tripsina in modo da impedirne l’autodigestione.

2. Pancreas endocrino
È costituito dalle isole di Langerhans, piccole formazioni che si trovano all’interno dei lobuli pancreatici. Esse
si distinguono in 4 tipi di cellule epiteliali:
- cellule α: producono glucagone che:
1. promuove nel fegato la glicogenesi aumentando così la glicemia ematica
2. stimola la neoglucogenesi dagli aminoacidi
3. aumenta la produzione di urea
- cellule β: secernono insulina, che ha un effetto ipoglicemizzante e quindi abbassa la glicemia
- cellule δ: secernono somatostatina, un ormone che inibisce la secrezione di insulina e glucagone da parte
del pancreas
- cellule pp: secernono l’ormone pp (peptide pancreatico).

152
vista anteriormente
linfonodi
gastrici di sin

linfonodi epatici

linfonodi linfonodi lienali (o splenici)


pilorici
linfonodi pancreatici sup
linfonodi celiaci
linfonodi mesenterici sup

linfonodi pancreatico-duodenali
linfonodo cistico
(del Calot)

v. porta
linfonodi celiaci
vista posteriormente
linfonodi epatici lungo
il condotto coledoco
linfonodi pancreatici sup e l’a. epatica propria
v. lienale (o splenica)
v. mesenterica inf
a. e v. mesenteriche
superiori
linfonodi pancreatico-
duodenali

linfonodi mesenterici sup

Sintomatologia
Il dolore pancreatico può essere causato da una distensione della capsula ghiandolare indotta da: edema,
distensione dei dotti, lesione della rete vascolare e nervosa, irritazione del plesso celiaco. Pertanto quando si
manifestano i sintomi si è già in patologia organica, ciò fa affermare che “il pancreas è un organo subdolo”.
Il dolore pancreatico è localizzato in epigastrio ed in ipocondrio sinistro (quest’ultimo sede della coda).
Il dolore può irradiarsi a livello di D8-L2 (si parla di “dolore a sbarra”) ed a volte anche alla scapola sinistra.

Segni clinici
153
Diabete e steatosi epatica (per alterazioni del metabolismo glucidico e lipidico).
Steatorrea (feci chiare, ipocromiche, argillose).
Turbe endocrine (per diminuita sintesi di ormoni ipofisari e tiroidei).
Prurito per il rilascio di sostanze tossiche e per la relazione con la vescicola biliare che provoca intasamento di
sostanze biliari.
Urine ipercromiche (gialle).
Disturbi del transito intestinale e difetto della digestione degli alimenti.
Aree di dolore pancreatico in presenza di patologia sono:
epigastrio con sconfinamento in mesogastrio (zona sopra ombelicale).
dolore a sbarra dorsolombare.

} }
Patologie organiche conclamate del pancreas

malformazioni congenite
cisti diabete mellito tipo I-II
1. Esocrino fibrosi cistica 2. Endocrino sindrome ipoglicemica
pancreatiti neoplasie
neoplasie

Fisiologia osteopatica
L’asse di mobilità del pancreas è rappresentato da arteria e vena mesenterica superiore (che passano dietro il
quadro duodenopancreatico sotto la testa del pancreas).
NB. È lo stesso asse di mobilità del duodeno, così come eguale è la vascolarizzazione tra i due organi.
Il pancreas nelle fasi di inspiro ed espiro subisce i movimenti degli organi adiacenti. Quindi la testa avrà influ-
enze diverse rispetto alla coda che è in relazione con la milza.
In INsp
la testa > avanza-scende-va a sin (viene globalmente in avanti).
la coda > scende-movimento di torsione verso dietro (va post perché è trattenuta indietro dalla milza me-
diante il leg pancreatico lienale).

In conclusione il movimento effettuato dal pancreas è di torsione funzionale sull’asse longitudinale. Forse
questo movimento, assieme alla chiusura della “C duodenale” è funzionalmente importante per le funzioni
esocrine ed endocrine. Fondamentalmente il pancreas “si strizza” sul piano longitudinale per favorire la secr-
ezione esocrina ed endocrina.

Pancreas emozionale
Il pancreas è un organo profondo anatomicamente e quindi anche emotivamente: è legato al nostro valore,
alla nostra gioia di vivere (è diverso dallo stomaco che è un organo che saggia la capacità di relazionarsi con
gli altri es. manager).
È l’organo dello zucchero senza il quale la cellula muore: quindi il pancreas “gestisce” le relazioni affettive.
È espressione della solitudine in una relazione affettiva che non nutre. Es. nel diabete c’è tanto zucchero in
corpo, ma la cellula non lo prende.
Paura nell’accogliere la gioia, il successo o di perderli.
Credere di non valere, svilire se stessi sono emozioni profonde, esprimono un valore umano.
NB. Se si pensa ad un organo ed al suo significato emozionale si riesce a comprendere bene sia il Pz che
l’organo.

Pratica osteopatica
Punti di repere:
Nell’approccio all’addome del Pz è necessario prima prendere contatto con la zona pancreatica (epigastrio,
mesogastrio ed ipocondrio sin). Se si avverte una resistenza potrebbe trattarsi di aria intestinale quindi è bene
rimanere un poco sulla zona, ma senza forzare, per non peggiorare la situazione, ma anzi far rilassare il Pz.
Per reperire la testa del pancreas occorre individuare il quadro duodenale attraverso 3 punti:
1. Piloro: posto a livello di L1, si trova in quella che viene identificata come zona pilorica. Questa è posta
154
all’intersezione tra una linea che va dalla xifoide all’ombelico ed una linea passante per K8-K8. La zona pilorica
è postata leggermente a destra.
2. Sfintere di Oddi: 2 dita di lato e 2 dita sopra all’ombelico a destra.
3. Angolo duodenodigiunale: 2 dita di lato e 2 dita sopra all’ombelico a sinistra sul lato opposto rispetto allo
sfintere di Oddi. Per il reperaggio è necessario porsi di fronte al Pz con le dita flesse in appoggio sulla zona
di repere. Si procede superando le anse intestinali di consistenza molle per arrivare ad individuare una zona
dura, di consistenza aumentata.
Per reperire la coda del pancreas è necessario individuare la loggia splenica.
Una volta reperite testa e coda del pancreas ci si pone con una mano in proiezione della testa e con l’altra a
livello della loggia splenica. Così facendo è possibile visualizzare l’orientamento dell’organo. A questo punto
è possibile eseguire il test di pressione.

angolo
duodeno
piloro sfintere digiunale
di Oddi

pancreas orientamento
(mano sin del pancreas
sulla loggia
splenica

Test di pressione globale ed a tampone


Una mano è posizionata posteriormente tra D12-L2 senza debordare oltre le spinose. Essa servirà a “compat-
tare” la zona durante l’esecuzione del test.
L’altra mano viene posta in proiezione dell’organo con le dita unite in modo da “diventare” pancreas essa
stessa. Qualora la mano debordi sulla griglia costale si potrà procedere in due modi:
1. Inglobare le coste nel test come se fossero un altro strato.
2. Palpare il margine sottocostale sin fino a percepire una zona di accesso per la milza, così da arrivare a livello
della coda del pancreas.
Nell’eseguire il test globale di pressione sulla proiezione del pancreas sarà necessario superare le anse intes-
tinali ed arrivare al peritoneo parietale posteriore così da percepire una zona di consistenza diversa rispetto
alle precedenti, più dura.

155
Se la zona attira l’interesse dell’osteopata si potrà cer-
care di capire se questa sensazione varia a livello della
testa, del corpo oppure della coda (“test di pressione Test di pressione
a tampone”). Questa modalità di esecuzione del test globale sul pancreas
permetterà di velocizzare i test successivi (se si è indi-
viduata una zona piuttosto che un’altra).
Le difficoltà nell’esecuzione del test sono rappresen-
tate da:
1. posizionarsi correttamente in proiezione dell’organo
2. andare in profondità per raggiungere la proiezione
dell’organo.
NB: il testare un organo non ha alcun tipo di controin-
dicazione.

test di pressione test di pressione


a tampone a tampone
sul pancreas: sul pancreas:
test della TESTA test del CORPO

test di pressione
a tampone
sul pancreas:
test del CODA

scorretto posizionamento
della mano sul pancreas
durante l’esecuzione dei test

Test della testa del pancreas


Con questo test si va a testare la zona dei dotti coledoco e pancreatico maggiore.
È un test tissutale pertanto si vuole capire come la zona che si sta trattando risponde all’allungamento tis-
sutale.
Si reperisce lo sfintere di Oddi (nel farlo mettere una mano dietro la schiena del Pz per compattare i tessuti)
e lo si fissa come punto fermo.
Con l’altra mano ci si posiziona sulla proiezione del pancreas.
Ora facendo punto fisso sullo sfintere di Oddi si porta il pancreas verso la loggia splenica lungo la direzione
dell’asse pancreatico.
La finalità del test sta nel percepire quello che avviene tra le mani dell’osteopata, quindi:
- se non si apprezza alcuna resistenza tessutale va tutto bene.
- se si fa fatica ad allungare il tessuto c’è qualcosa che andrà indagato.
In presenza di un test positivo si potrà effettuare la correzione mediante:
156
1. Tecnica funzionale indiretta (in aggravamento): avvicinando le mani tra loro si avvicinerà anche la zona
tessutale in disfunzione sino a che si percepisce che la fascia si rilascia ed a questo punto si procede ad al-
lungare.
2. Tecnica funzionale diretta: si allunga la zona tissutale in restrizione sino a che non si percepisce che il tes-
suto cede.
3. Recoil: la modalità di esecuzione della tecnica è quella utilizzata per lo sfintere di Oddi, quello che cambia è
la profondità perché la testa del pancreas è più profonda rispetto al 2° duodeno. Pertanto si impilano i param-
etri nei vari piani dello spazio, si valuta se c’è maggior resistenza in inspiro od in espiro e nella fase respiratoria
di maggior resistenza si effettua la tecnica correttiva.
4. Tecnica di Johns: nella zona in disfunzione si ricercano i punti che fanno meno male, più liberi, li si impilano
e mantengono per 90 secondi, poi si rilasciano.
5. Tecnica di Chaitow: si può andare indifferentemente verso la disfunzione o verso la correzione e si valuta
dove il tessuto si rilassa.

Test della testa


Test della testa del pancreas:
del pancreas direzione del test

Test sul legamento pancreatico lienale


È una struttura che relaziona la coda del pancreas
all’ilo della milza.
Una mano va a reperire la milza, l’altra la coda del
pancreas (qualora la mano dell’Osteopata fosse pic-
cola la si può posizionare su tutto il pancreas, even-
tualmente andando anche a sconfinare oltre la testa,
l’importante è che si sia sulla coda).
NB n° 1: la prof.ssa Dragonetti afferma che è indiffer-
ente posizionare la mano dx o sin a livello della loggia
splenica e del pancreas, quello che è fondamentale è
che esse si trovino sull’asse di mobilità dell’organo.
Lei dispone il palmo della mano in appoggio sulla
zona della coda del pancreas e non su
tutto l’organo come la Menichelli. Inoltre dalla posizione del test la mano che è posizionata sulla milza (con
il pollice posto sulla griglia costale) può dare dei piccoli “colpetti” a livello del pilastro sin in direzione avanti,
cioè verso l’ombelico, in modo da fare avanzare la milza e saggiare se si è in presenza di una resistenza. Da
questa posizione poi con il tallone dell’altra mano posizionato a livello della coda del pancreas si cerca di al-
lungare il legamento.
NB n°2: l’appoggio sulla coda del pancreas può essere effettuato anche con le dita della mano poste sotto
K10, dove c’è una zona di accesso per l’ilo della milza.

157
Una volta reperita la coda (andando in pro-
fondità sulla sua proiezione) si fa punto
fisso con la mano che è sulla milza, men-
tre con quella che è sulla coda si testa an-
dando in basso a dx, verso la linea mediana
rispettando l’asse dell’organo.
La finalità del test è quella di valutare quan-
to questa zona si faccia allungare.

test sul legamento pancreatico lienale:


direzione verso dietro
(dx e verso la linea mediana)

La correzione può essere effettuata mediante:


1. Tecnica funzionale indiretta (in aggravamento): avvicinando le mani tra loro si avvicinerà anche la zona
tessutale in disfunzione sino a che si percepisce che la fascia si lascia allungare ed a questo punto si procede
ad allungare.
2. Tecnica funzionale diretta: si allunga la zona tissutale in restrizione sino a che non si percepisce un ritorno
da parte del tessuto.
3. Recoil: si impilano i parametri disfunzionali nei tre piani dello spazio. Si valuta la fase respiratoria in cui c’è
maggiore resistenza e poi in quella fase respiratoria si effettua la tecnica allontanando le mani su di un piano
orizzontale.

Test di mobilità
È un test che permette di valutare il movimento del viscere rispetto a quello del diaframma.
Ricordiamo che sull’asse dell’arteria e della vena mesenterica superiore il viscere effettua un movimento in:
1. Insp: la testa va in basso, avanza ed inclina a sin, la coda scende ed effettua una torsione post.
2. Esp: la testa sale, indietreggia ed inclina a dx e la coda sale ed effettua una torsione ant.
La reale difficoltà del test risiede nella capacità di andare a reperire l’organo (la sua proiezione).
Una volta fatto ciò, con una mano posta posteriormente tra D12-L2 senza superare la linea delle spinose e
con l’altra sulla proiezione del pancreas, in un tempo di inspiro si induce il movimento che l’organo esegue in
inspiro e si valuta quanto si lasci portare in quella direzione.
Successivamente in un tempo di espiro si induce il movimento che
l’organo compie in espiro e si valuta quanto il viscere si lasci condurre in
quella direzione.
NB n°1: nell’ascolto dell’organo, per essere sicuri di trovarsi nella giusta
posizione, una volta che si è raggiunto il supposto livello di profondità si
possono dare dei colpetti con la mano posta dietro la colonna.
NB n°2: poiché, soprattutto all’inizio, può risultare difficile riuscire ad in-
durre il movimento dell’organo con una sola mano potrà essere utile fare
un test di mobilità prevalentemente solo sull’ascolto. Man mano che si
memorizza ciò che avviene si può provare ad indurre il movimento dato
che a quel punto la mano va da sola, nel senso che induce ciò che sente.

Test di mobilità del pancreas

Pratica sul pancreas: prof.ssa Dragonetti


Nella pratica osteopatica sul pancreas ciò che risulta essere difficoltoso è riuscire a reperire l’organo ed appr-
ezzarne la mobilità; quando si è in ascolto quello che si percepisce durante l’ascolto è la mobilità tissutale.
L’allenamento nella pratica viene effettuato nel riuscire a percepire e ad attraversare i vari piani anatomici. Se
si è ben concentrati si riesce in questo intento. Se ci dovessero essere delle problematiche relative all’organo,
queste verrebbero apprezzate come una variazione di consistenza tissutale.
158
Il pancreas va valutato di più dal punto di vista dei dolori riferiti e della sintomatologia piuttosto che della
mobilità. Es un Pz con un tumore del pancreas si presenterà con un dolore a “sbarra” medio dorsale a sin in
regione epigastrica (e costale sin) senza irradiazione e con una sensazione di respiro mozzato. La zona pre-
senterà una restrizione di mobilità.
Ricordiamo che a livello del quadro duodeno pancreatico la testa del pancreas si trova più profonda rispetto
al 2° duodeno.
Nella valutazione e nel trattamento di un organo è necessario tenere sempre presente l’importanza
dell’innervazione (ortosimpatica e parasimpatica) e della vascolarizzazione, soprattutto quella a monte del
viscere. Inoltre viste le relazioni esistenti tra stomaco, duodeno, fegato, vescicola biliare e pancreas si potranno
avere, in presenza di una disfunzione del viscere, degli effetti positivi di tipo indiretto sul pancreas andando a
lavorare gli altri organi.
Il test di pressione a tampone permette innanzitutto di prendere contatto con l’addome del Pz e poi di valu-
tare le varie sezioni del quadro duodeno pancreatico.
Il test di mobilità viene effettuato quando, bypassando anche la respirazione del Pz, si è raggiunta la profon-
dità della zona.
Nell’eseguire sia i test che soprattutto le tecniche sarà necessario prestare molta attenzione ad eventuali reazi-
oni di tipo vagale presentate dal Pz.

Revisione fegato

Percussione
Inizio la percussione a partire dal 4° spazio intercostale di dx mettendo la mano nella direzione dell’orientamento
delle coste, nello spazio intercostale, percuotendo andiamo alla ricerca del perimetro del fegato che come
sappiamo può variare da soggetto a soggetto, e lo percepiamo attraverso il cambio di suono, cerchiamo i
margini superiori dx (4° spazio intercostale) e sin (a livello della linea emiclavicolare a livello del 5° spazio in-
tercostale), verificando quindi dove il lobo sin del fegato arriva in ipocondrio, poi vado alla ricerca del margine
antero-inferiore, sentendo se deborda oltre la griglia costale in basso (normalmente non deborda la gabbia
toracica se non a livello epigastrico).

Test di Glenard
È un ulteriore modo di palpare il margine antero-inferiore del fegato. A differenza del test di Murphy che è
positivo quando c’è dolore il test di Glenard non è positivo né negativo, serve solo a palpare il fegato, poi se
nella palpazione il Pz sente dolore ne teniamo conto ma non cerchiamo il dolore, non è positivo al dolore,
perché potrebbe non avere dolore ed avere un problema al fegato, la mano dx del Pz va sotto la griglia costale
perché questo ci permette di palpare ancora meglio perchè così il fegato si anteriorizza, poi in una inspirazi-
one non forzata chiediamo una fase di apnea di qualche secondo così abbiamo tempo per palpare meglio,
non facciamo sollevare la testa come nel Murphy altrimenti mettiamo tensione sull’addome e non ci aiuta
nella palpazione, al contrario dovremmo far rilassare l’addome.

Test globali sul fegato


Test di pressione
Può essere considerato come quello d’ingresso, e non dobbiamo definirlo né costale né sottocostale o ad-
dominale, ma unificando un linguaggio comune a tutti gli osteopati che sia comprensibile a tutti lo chia-
miamo semplicemente test di pressione sul fegato, che poi lo eseguiamo in due fasi una sopracostale (mano
nella direzione in cui si è reperito il lobo sin del fegato, che non necessariamente è verso la spalla sin) e una
addominale (mano sul margine ant-inf con direzione in alto e un pò a dx verso la spalla dx) pressandoci sopra
per sentire e cercare le resistenze questo è un altro discorso, ma lo definiamo solo di pressione.

Test di mobilità
Posiziono la mano sin costale e la dx addominale, il fegato durante l’INsp scende, fa una bascula ant e una
rotazione antioraria, mentre durante l’Esp compie una risalita, una bascula post e una rotazione in senso
orario, quindi per fare il test di mobilità posiziono le mani e mi metto in ascolto (senza comprimere), succes-
sivamente nel tempo di inspiro induco nei suoi parametri poi aspetto l’espiro in cui ritorno, aspetto così la
seconda fase in cui inspira e aspetto, e poi in espiro induco nei suoi parametri, e successivamente valuto se
159
esiste una delle due fasi in cui è presente una restrizione tessutale in una delle due direzioni e definisco la
disfunzione nel senso della maggiore ampiezza. Le disfunzioni possono essere in inspiro o espiro, posso usare
tecniche di correzione funzionale (in cui si usa la respirazione) d’aggravamento, anche se ora hanno cambiato
la definizione e si usa dire di esagerazione. Ad es in una tecnica in inspiro, parto dall’ascolto e poi durante un
tempo di inspiro induco, accentuo l’escursione inspiratoria del fegato, aggravo la disfunzione fino a quando
il tessuto molla e torna verso la correzione perché la finalità di una tecnica di aggravamento a livello neuro-
logico è di mandare un’informazione sottocorticale di rilassamento e quindi il tessuto molla, e poi si segue il
ritorno, si conclude con l’ascolto e test per verificare se la tecnica ha avuto un’efficacia, qualora percepisco che
ci sia bisogno di altro, su un ascolto tessutale posso fare un rilancio ma non è una cosa standard.
Come regola teorica è preferibile correggere sui visceri con tecniche indirette perché la dirette sui visceri
possono essere dolorose per gli stimoli nocicettivi. Nelle disfunzioni del peritoneo, quindi legamenti, meso,
invece si possono usare le tecniche dirette perché ci sono i corpuscoli di Pacini che rispondono bene alle vi-
brazioni e ai cambi di pressioni meccaniche, e quindi sul peritoneo funzione bene il recoil, tecniche dirette in
allungamento, sulla mobilità di un viscere è molto simile al cranio, quando si è liberata la periferia e si ha una
disfunzione di mobilità e quindi si vuole ridare un’informazione neurologica in quella direzione nella maggior
parte dei casi si è visto che funziona meglio una tecnica indiretta, come sul cranio. Non è detto che non si
possano fare tecniche dirette, però per il tipo di informazione neurologica che si vuol dare funzionano meglio
le indirette, sulla mobilità cioè su una disfunzione globale, mentre sulla periferia, sul peritoneo funzionano
meglio le dirette, perché vai a dare delle stimolazioni vibratorie e dei cambi pressori, e vai a stimolare questi
recettori che sono molto presenti in peritoneo, pleura, pericardio, (le tre sierose del nostro organismo).

Test e trattamento sui legamenti


Ad es sul legamento coronale, eseguo un test in allungamento meccanico diretto perché non usiamo la respi-
razione per testare e si fa un allungamento diretto, mano craniale a livello del 4° spazio intercostale facendo
punto fisso e l’altra sulla linea emiclaveare, 1° modalità) vado in allungamento testando la risposta del lega-
mento, oppure metto la mano caudale sulla griglia costale entrando in contatto con l’organo bypassando le
costole e l’altra fa sempre punto fisso sul 4° spazio intercostale e si testa sempre in direzione del legamento, se
trovo una disfunzione eseguo una tecnica meccanica diretta, quindi senza ascoltare la respirazione produco
l’allungamento del legamento fin quando non molla, rispettando i tessuti, avrò alla fine una qualità tessutale
migliore, oppure effettuo un recoil, impilando tutte le resistenze tessutali nei vari piani dello spazio, e siccome
il recoil è una tecnica fasciale su una barriera tessutale e il parametro fondamentale è la resistenza, significa
che mentre effettuiamo la tecnica non dobbiamo chiederci dove và o dove non và, ma dobbiamo chiederci
solo dove è più duro e dove è più morbido, poi se le cose coincidono è una cosa sul piano teorico ma su quello
pratico non dobbiamo proprio pensarci, la resistenza tessutale che è una saturazione di energia la percepisco
come duro, la caratteristiche di un recoil fatto bene sono piccola ampiezza alta velocità.

Test e trattamento delle bascule


Durante la fase di inspiro testo con la mano una bascula anteriore durante l’espiro una bascula posteriore pos-
so aiutarmi con la flessione del tronco nel 1° caso o l’estensione nel 2° ma sono sempre le mani che testano,
poi in inspiro testo la bascula laterale dx in espiro una bascula laterale sin, le posso testare anche meccanica-
mente senza respirazione, le riduciamo se siamo sul respiro facendo una tecnica funzionale di aggravamento
o esagerazione, ad esempio bascula laterale dx in tecnica funzionale d’esagerazione, in inspiro esagero la
disfunzione, in espiro mantengo, esagero fino a quando arrivo ad un punto in cui non riesco più a farlo ed
aspetto il rilassamento tessutale che porta verso la correzione, e nel tempo espiratorio accompagno verso la
correzione, oppure la si può ridurre con delle tecniche meccaniche dirette o indirette.

160
sem 5

La milza è un organo di origine mesodermica molto vasco-


larizzato, che riceve sangue dall’arteria lienale (diramazione
del tronco celiaco) e scarica sangue venoso nel circolo por-
tale tramite la vena lienale.
Il repere anatomico è localizzato al margine più esterno
dell’ipocondrio sinistro (quindi nel test dei 9 quadranti si
avrà interesse a testare la milza quando si riscontrerà una
positività in ipocondrio sin) con
proiezione costale K8/K9-K12 a livello della linea ascel-
lare.
La proiezione vertebrale è a livello D10-D12.

Pesa tra i 100-200 gr., ha un volume di 250 ml, è larga 6-8 cm., è lunga 10-12 cm ed è spessa 3-4 cm. ha forma
ovoidale, colore rosso scuro e consistenza molle (essendo molle, sottocostale e postero-esterna è poco palpa-
bile: quando lo diviene questo è indice di patogenicità).
L’asse della milza è orientato in basso-avanti-fuori e materializza l’asse di mobilità della 10° costa.
Le sue dimensioni ed il suo peso variano in funzione della quantità di sangue che l’organo contiene: infatti
uno dei suoi ruoli è quello di gestire il quantitativo di sangue presente in quel momento (fa da deposito ema-
tico).
È contornata da una capsula fibrosa di tessuto
connettivo compatto (un pò come la capsula di
Glisson del fegato) che si insinua nel parenchima
(la milza è un organo parenchimale come fegato
e reni, non cavo) con setti che seguono il decorso
dei vasi.
Poiché la milza è un organo intraperitoneale,
al di sopra della capsula connettivale si trova il
peritoneo viscerale (o sieroso).
La milza presenta all’interno del suo parenchima
2 sezioni molto specializzate: la polpa rossa e la
polpa bianca, differenziabili sul piano anatomico
e funzionale. La polpa rossa può essere consid-
erata come una sezione ad alta capacità discrimi-
nativa per le cellule ematiche circolanti:
in sostanza la milza è in grado di riconoscere soprattutto a livello degli eritrociti tutte le cellule danneggiate,
vecchie, anormali e di eliminarle. La polpa bianca è organizzata in ammassi linfocitari organizzati intorno alle
diramazioni dell’arteria lienale, pertanto svolge una funzione immunitaria.
È un organo molto protetto dal punto di vista anatomico e ciò aiuta anche dal punto di vista funzionale.

Relazioni anatomiche
È un organo che stabilisce contatti con:
- coste
- diaframma, tramite l’interposizione del peritoneo, essendo un organo sottodiaframmatico. Inoltre tramite
un legamento c’è una relazione tra milza e diaframma.
- stomaco, in particolare con la grande curvatura.
- pancreas, anche tramite il collegamento con il legamento pancreatico lienale
161
- angolo colico sin
- mesocolon trasverso
- rene sin, in particolare con il polo superiore e quindi anche con il surrene sin.

Riassumendo:
- sopra e di lato gcoste ed emidiaframma sin
- all’interno gstomaco e pancreas
- dietro e sotto grene e surrene sin
- sotto gangolo colico sin

162
Presenta due facce, tre margini e due es-
tremità.
Faccia diaframmatica > convessa, si model-
la sul diaframma attraverso l’interposizione
di peritoneo tra milza e parete costale, seno
costo-frenico (alla percussione dà un ru-
more differente tra milza e polmone), cavità
pleurica e polmone. Da ricordare, soprattut-
to durante la percussione, che sopra il dia-
framma c’è il polmone e che la pleura non
si ferma al V spazio itercostale (repere della
cupola diaframmatica sin) ma si espande in-
sieme al diaframma arrivando fino a K11-K
12. Dobbiamo ricordarlo quando percuotia-
mo, perché possiamo sentire delle “stranez-
ze di timbro”. Capitava la stessa cosa con la
percussione sul fegato: si poteva sentire, in
pieno fegato, un punto tutto vuoto.
163
Che cos’è? L’angolo colico dx, la pleura che scende oltre il IV spazio intercostale.

Faccia viscerale > concava, è divisa dal margine interno in due facce:
1. faccia anteriore o gastrica
In rapporto con la parte post e verticale dello stomaco, guarda avanti-dentro. L’ilo della milza la divide in varie
parti: una parte retroilare > in rapporto con la borsa omentale tramite l’interposizione del leg pancreatico-
lienale, e in una parte preilare > in rapporto in alto con il fondo dello stomaco e in basso-fuori con l’angolo
colico sin (soprattutto con stomaco vuoto o colon pieno)

2. faccia post o renale


In rapporto intimo, separata da un doppio foglietto peritoneale, con la parte sup della faccia anteriore di rene
e surrene sin (organi extraperitoneali).
Estremità post > è l’apice della milza, diretto alto-dentro.
Estremità ant > è rivolta basso-avanti-fuori, riposa su coda del pancreas e angolo colico sin tramite la faccia
colica, che è la parte inf della faccia ant.

Margini
1. Superiore: è dentellato per l’impronta lasciata dalle coste.
2. Inferiore: è liscio e separa la faccia diaframmatica dalla faccia renale.
3. Interno: collega l’estremità posteriore ed anteriore separando la faccia viscerale in una porzione gastrica ed
in una porzione renale
NB: tra il margine interno e la faccia gastrica c’è l’ilo della milza.

164
Legamenti sospensori 4. Lienomesocolico:
I più importanti sono 4: freno-lienale, gastrolienale, pancreaticolienale e è una plica perito-
lieno-mesocolico, ma c’è anche un leg tra il rene e la milza (non lo faremo neale che collega
nel programma, come non abbiamo fatto il leg epato-renale). l’estremità inferiore
1. Frenolienale: collega la faccia superiore della milza al peritoneo parietale della milza al me-
diaframmatico. socolon trasverso. È
2. Gastrolienale: va dall’ilo della milza alla grande curva dello stomaco. anche denominato
3. Pancreaticolienale: va dalla coda del pancreas all’ilo della milza. come leg. colico
splenico.

5. Substentaculum lien-
is: la milza è adagiata su di
un’amaca fibrosa costituita da
una espansione del leg freno-
colico sin, che si estende dal-
la cupola diaframmatica sin
all’angolo colico sin (K8-K9).

165
Vascolarizzazione
1. Arteriosa:
dal tronco celiaco
origina l’a. lienale,
che passa dietro
stomaco e pan-
creas, nella borsa
omentale (proi-
ezione vertebrale
D12-L1).

2. Venosa: è as-
sicurata dalla v.
lienale, che si
getta nella v. porta.
Questo è uno dei
motivi per cui la
milza viene inserita
nel circuito emodi-
namico del fegato.
NB: esiste un collegamento anastomotico tra vena lienale e vena renale sin. Ma poiché sulla v. renale sin
confluiscono la v. spermatica sin e la v. ovarica sin, quando si ha una condizione di ipertensione portale si
potranno avere dei sintomi come emorroidi, varici esofagee, circolo periombelicale ed anche problematiche
sulla v. renale sin e quindi sulla v. spermatica od ovarica di sin. Il che significa che in presenza di una iperten-
sione portale si potrà avere anche un varicocele od una cisti ovarica sin (per le relazioni vascolari esistenti).

Innervazione
1. Ortosimpatico: plesso celiaco D7-D9. Pertanto in presenza di una disfunzione vertebrale dorsale è pos-
sibile fare dei test di inibizione per valutare l’origine della problematica (viscerale o strutturale).
2. Parasimpatico: n. vago sin.

166
a. epatica propria, a. epatica propria, a. gastrica
ramo dx ramo sin sin aorta
a. epatica addominale
comune tronco
celiaco
a. lienale

a. gastrica
post
a. gastriche
brevi

a. epatica
propria

a. gastro-
epiploica
sin
a. sopra- a. della coda
duodenale del pancreas
(incostante)
a. pancreatico- rr. pancreatici
duodenale a. grande
sup post pancreatica
a. pancreatico- a. pancreatica
duodenale inf
sup ant
r. duodenale

radice del
a. pancreatico- v. mesente- a. mesente- a. pancreatica mesocolon
duodenale inf, rica sup rica sup dorsale trasverso
ramo post
a. pancreatico- a. pancreatico- a. pancreatica inf
duodenale inf, duodenale inf
ramo ant

167
a. a. grande a.
gastrica pancreatica gastrica
sin int a. epatica propria
a. epatica comune a. della
coda del a. gastroduodenale
a. gastroduodenale pancreas
a. pancreatico- a. grande a. pancreatico-
duodenale pancreatica a. pancreatica
a. pancreatica inferiore duodenale
superiore post inferiore a. pancreatica sup post
a. pancreatico- a. pancreatica dorsale a. pancreatico-
duodenale dorsale a. mesenterica duodenale
superiore ant sup sup ant
a. pancreatico- a. pancreatico- a. pancreatico-
duodenale inferiore, duodenale inferiore, duodenale inferiore,
ramo ant ramo ant ramo post

168
169
170
Fisiologia della milza
La milza è un organo che ha funzioni ematologiche, circolatorie ed immunitarie. Quindi conoscendone la
funzione si potranno comprendere gli effetti del lavoro osteopatico su questo organo.
All’interno della milza sono presenti i fagociti che inglobano e demoliscono i globuli rossi scartati, danneg-
giati ed anormali, causando la liberazione di emoglobina.
I fagociti della milza inoltre filtrano e rimuovono batteri ed altre sostanze estranee che entrano nel circolo
ematico g Reazione immunitaria immediata.
I fagociti splenici in realtà poi interagiscono con i linfociti dando inizio ad una vera e propria risposta immu-
nitaria.
La milza serve da deposito per il sangue e soprattutto per le piastrine.

Fisiologia osteopatica
In INsp la milza scende, avanza e si orizzontalizza sul suo asse diretto basso-avanti-fuori.
In Esp la milza sale, indietreggia e si verticalizza sul suo asse diretto basso-avanti-fuori.
La mobilità della milza in termini quantitativi dipende dagli organi attigui, in particolare dallo stomaco. Infatti
171
per es. dopo un pranzo di matrimonio lo stomaco è stracolmo e ciò riduce la mobilità della milza. La stessa
cosa accade in presenza di un angolo colico sin gonfio.
In conclusioni il grado di mobilità della milza dipende sia dalla sua replezione che da quello degli organi at-
tigui.

Lavoro osteopatico sulla milza


Possiamo trattare la milza in due modi:
1. Meccanicistico: si valuteranno tutti gli aspetti di relazione con gli organi contigui, quali Angolo colico sin,
colon trasverso, stomaco, diaframma, coste e rene sin.
2. Emodinamico: si valuteranno tutte le zone che hanno relazione vascolare con la milza e cioè cuore, zona
mediastinica, diaframma, fegato, v. cava, complesso duodeno-pancreatico, piccolo epiploon.
Questo tipo di approccio (meccanico-emodinamico) non lo si stabilisce a priori, a tavolino, bensì se andando
a testare si trovano delle disfunzioni a livello del mediastino, cuore, benderelle diaframmatiche, milza, piccolo
epiploon si può ipotizzare una compromissione di tipo emodinamico. Invece se si trovano disfunzioni a livello
dei legamenti pancreaticolienale e freno-lienale si può ipotizzare una compromissione di tipo meccanico.
Quindi l’approccio lavorativo osteopatico all’organo dipende dal tipo di disfunzione che si trova nel test. Co-
munque le due cose non si escludono a vicenda nel senso che se per es. si trattano i legamenti è chiaro che si
avranno ripercussioni anche a livello emodinamico.

Disfunzioni osteopatiche
Disfunzione dei legamenti sospensori e stabilizzatori.

Sintomatologia e segni clinici


Dolore al fianco sin (sfumato).
Segni clinici generali legati al sistema immunitario, emodinamico e vascolare (es. quando si corre può far male
la milza perché è coinvolto il sistema sospensore dell’organo piuttosto che la milza in sé e per sé).
In seguito ad un trauma si può avere un’emorragia ed una fissurazione. I segni clinici saranno: pallore, astenia,
ipotensione, tachicardia, dolore e contratture addominali. Però in presenza di una fissurazione, di un’emorragia
lenta che dura ore o giorni i sintomi saranno sfumati g è importante da ricordare in Pz che hanno subito
traumatismi e di cui non si riescono a specificare i sintomi.

Patologia della milza


1. Splenomegalia: cioè ingrossamento dell’organo, che da un punto di vista della diagnosi differenziale è sem-
pre qualcosa che va indagato (è opportuno fare una consulenza medica).
2. Malattie della polpa bianca: danno sintomi specifici quali iperplasia follicolare reattiva, linfomi maligni, leu-
cemia linfatica cronica e prolinfocitica.
3. Malattie della polpa rossa: danno sintomi specifici quali leucemia, cisti, amartomi, infezioni, congestioni,
neoplasie vascolari primitive.
4. Tumori metastatici

Valutazione emozionale
La milza è l’organo che rappresenta il nostro fallimento o la nostra vittoria nei rapporti con gli altri.
È un organo profondo, immunitario, quindi il rapporto con gli altri è molto profondo a differenza di quella che
accadeva con lo stomaco. Si tratta di rapporti significativi e non superficiali, familiari, di amore etc.
È un organo energetico g è un organo di accumulo di sangue, di investimento di energie in un progetto, in
una relazione, in un ruolo in cui non si è avuto successo (es. il bimbo che sente la mamma dire che avrebbe
voluto una femminuccia).

Valutazione osteopatica
Prevede: -repere anatomico
-palpazione sottocostale ed addominale
-percussione
-test di densità
-test dei legamenti
172
Non c’è un vero e proprio test di mobilità della milza, ma può essere utile eseguirlo come esercitazione prat-
ica.
gangli celiaci
a cui fanno capo i plessi secondari del plesso celiaco:
- pl. epatico fegato, cistifellea
- pl. gastrico sin stomaco
- pl. lienale milza
- pl. pancreatico pancreas, duodeno
ganglio mesenterico sup
a cui fa capo:
- pl. mesenterico sup pancreas (solo testa), duodeno,
(parte del pl. celiaco) digiuno, ileo, cieco, colon fino
alla flessura sin del colon, ovaio

ganglio renoaortiaco
plesso a cui fanno capo:
inter-
mesenterico - pl. surrenale (parte del pl. celiaco) ghiandola surrenale
- pl. renale (parte del pl. celiaco) rene, uretere (porzione
vicina al rene)
pl. uteroovarico/spermatico ovaio, testicolo
(parte del pl. celiaco)

ganglio mesenterico inf a cui fa capo:


- pl. mesenterico inf colon (distale rispetto alla flessura
(parte del pl. celiaco) sin del colon), retto (piano sup)

pl. ipogastrico sup (parte del pl. ipogastrico)


- rami diretti a uretere e uretere, epididimo, testicolo,
organi genitali ovaio
pl. ipogastrico inf (pelvico) (parte del pl. ipogastrico)
con gangli pelvici a cui fanno capo:
- plessi emorroidali retto (piano centrale e inf)
medio e inf
- pl. prostatico prostata, vescichetta seminale e
bulbouretrale, dotto eiaculatore,
pene, uretra
- pl. deferenziale dotto deferente, epididimo
- pl. uterovaginale utero, tuba uterina, vagina, ovaio
- pl. vescicale vescica urinaria
- pl. ureterico uretere

Pratica
osteopatica g
Percussione
Va effettuata con
il dito iperesteso
e che sia bene in
contatto con la
zona da percuotere
altrimenti non si
percepisce nulla. Ci
si posiziona a livello
della loggia splen-
ica (linea emiascel- Modalità di percussione con dito iperesteso Percussione della milza lungo la linea
e bene a contatto con la superficie emiascellare (K8/K11)
lare K8/K11) da esaminare
173
e si procede alla percessione apprezzando le differenze con le strutture vicine, quali polmone e stomaco. Se
si ha difficoltà perché l’organo del Pz è posto posteriormente alla linea emiascellare si può far posizionare il
Pz di fianco.
Palpazione g
Una volta individuata la loggia splenica si procede alla palpazi-
one con la speranza di non sentirla perché altrimenti ci si trova
difronte ad una condizione patologica, per la quale bisogna
inviare il Pz dal medico.
Percorrendo il margine sottocostale ad un certo punto si sente
un vuoto: a questo livello posizionando entrambi i pollici in
direzione di dove si è individuata la loggia splenica, si può pro-
vare a palparla. Nel caso non si riesca ad entrare si può far flet-
tere le gambe al Pz oppure chiudere la griglia costale.
NB: in caso di difficoltà con la palpazione della milza si può
cambiare lato e procedere come si è fatto per il fegato e per la
Palpazione della milza in direzione di dove vescicola biliare ponendo le dita sotto il margine costale.
si è reperito l’organo
Test di pressione
Test di pressione costale
della milza Si dispone la mano dx
a livello della loggia
splenica, dove si è rep-
erita la milza. A questo
punto, dopo avere in-
globato le coste si può
procedere con il test di
Attenzione perché pressione della milza
se non si supera il con direzione dentro.
piano costale si tes- Test di pressione addom della milza:
tano le coste! appoggio puntiforme con il pisiforme
NB: il test di pressione può essere fatto anche a livello addominale. Pertanto ci si posiziona a livello addomi-
nale nella zona di palpazione della milza (che è la zona di accesso alla loggia splenica) e si indirizza il test di
pressione in direzione di dove si è reperita la loggia splenica con la percussione. L’appoggio sulla milza non
avverrà a mano piena, ma con il pisiforme per essere il più selettivi possibile.
Conclusioni: così come per gli altri organi che abbiamo visto anche per la milza si effettua un test di pressione
addominale ed un test di pressione sottocostale.

Test dei legamenti


1. Legamento Gastro-
lienale
La mano sin fa punto fisso
sulla milza mentre la mano
dx va a prendere lo stomaco
inglobando anche il piano
costale, materializzando la
direzione del legamento.
Prima del test bisogna fare
una ricerca del legamento
comprimendo e muoven-
Test del legamento gastro-lienale: Test sul legamento gastro-lienale: dosi sui vari piani dello
1° modalità agganciando 2° modalità agganciando “solo” la spazio.
tutto lo stomaco grande curva dello stomaco
NB: un altro modo per testare il legamento gastrolienale può essere quello di agganciare la grande curva
dello stomaco invece che tutto l’organo.

174
2. Legamento Pancreatico-lienale
Non è necessario reperire tutto il pancreas, può essere sufficiente reperire
anche solo la coda del pancreas. Pertanto con la mano sin si è sulla loggia
splenica mentre con la mano dx si entra nello spazio dove si è fatta la pal-
pazione (dove c’è un accesso per la loggia splenica).
La mano è indirizzata verso la loggia splenica: scendendo a livello il più
possibile si va alla ricerca della coda del pancreas, per cui trazionando si
sente la trazione sulla mano che fa punto fisso sulla loggia splenica.

3. Legamento freno-lienale
Si procede a reperire il diaframma e lo si blocca con la
mano sin avendo cura di superare il livello costale.
Con la mano dx si è a livello della loggia splenica, anche
qui avendo cura di superare il livello costale.
A questo punto facendo punto fisso sul diaframma si porta
la milza in basso-fuori (è questa la vera difficoltà del test)
e si apprezza l’allungamento del legamento a livello della
mano posta sul diaframma, che funge da punto fisso.

4. Legamento lieno-mesocolico
Il leg. è posto sull’angolo colico e su tutto il mesocolon.
Una mano è posta sulla loggia splenica, mentre l’altra è sul
colon discendente. In realtà non si riesce a contattare diret-
tamente il mesocolon perché il trova molto internamente a
livello di K8/k9: pertanto indirettamente si prenderà l’angolo
colico per portarlo in giù.
Con la mano craniale si è sulla milza, mentre con la mano cau-
dale si reperisce il colon andando a “scansare” opportunamente
le anse intestinali. Facendo punto fisso sulla loggia splenica si
va a trazionare con l’altra mano il colon verso il basso.

NB: la cosa fondamentale nell’eseguire tutti questi test sarà quella di andare a reperire il legamento in maniera
corretta, ricercandolo sui vari piano dello spazio. Il test poi sarà facile da eseguire.

Circuito emodinamico della milza e del fegato


Il lavoro sul circuito emodinamico del fegato e della milza deve essere preceduto da un lavoro su piccolo epi-
ploon, benderelle del diaframma, sfintere di Oddi (perché svuotando la bile si va a rilanciare anche il sistema
biliare) a patto che nel testare queste strutture si sia trovato qualcosa di disfunzionale a loro carico, altrimenti
si va ad eseguire direttamente il lavoro sul fegato e sulla milza.
NB: si inizia e si chiude il circuito con la thoracic pump in modo da preparare il cuore a ricevere il flusso di
sangue proveniente da fegato e milza così che il cuore poi possa rilanciare tutto il sistema.
1. Thoracic pump: si deve liberare il sangue dal mediastino per essere sicuri che il cuore sia in grado di rice-
vere il sangue che si vuole fargli arrivare. Quindi l’Osteopata si pone alle spalle del Pz, le cui mani agganciano i
fianchi dell’operatore. L’Osteopata è con una gamba in avanti e con una gambe indietro, mentre con le mani è
in appoggio sul torace del Pz e lo pretensiona. In inspirazione blocca lo sterno, mentre in espiro vibra e scende
(affonda nel torace del Pz): si ripete la sequenza ed ogni tanto quando il Pz inspira l’Osteopata richiama con le
mani che sono in appoggio sullo sterno. Questo tipo di lavoro può essere fatto in maniera più o meno ener-
gica a seconda del Pz che si ha di fronte.
2. Svuotamento del fegato
175
3. Thoracic pump
4. Svuotamento della milza: durante l’inspiro l’Osteopata con la mano caudale blocca la discesa dell’organo
mentre con la mano craniale ostacola l’apertura della griglia costale. In questo modo il diaframma scende e
la milza viene schiacciata tra la mano caudale, le coste ed il diaframma. In fase espiratoria si mantiene. Il tutto
viene eseguito fino a che non si è soddisfatti dello svuotamento del tessuto. In sostanza lo svuotamento della
milza avviene perché l’organo si auto svuota tra la mano dell’Osteopata ed il diaframma.
5. Thoracic pump
6. Riempimento del fegato
7. Thoracic pump
8. Riempimento della milza: in fase di inspiro si deve creare una iperpressione, mentre in espiro si sfrutta la
risalita del diaframma per rilasciare le mani e creare una depressione che richiami sangue nell’organo. Si può
“richiamare” ad ogni espiro oppure dopo qualche atto respiratorio in relazione a come si sente che il tessuto
risponde.
9.Thoracic Pump
Conclusioni: come detto il circuito emodinamico inizia e finisce con la thoracic pump. Nel caso in cui si stia
trattando un Pz che non presenti problematiche particolari oppure non si abbia molto tempo a disposizione
si può procedere con questa sequenza:
1. Thoracic pump
2. Svuotamento fegato
3. Svuotamento milza
4. Thoracic pump
5. Riempimento fegato
6. Riempimento milza
7. Thoracic pump

Recoil
Il recoil è una tecnica diretta che va contro la barriera tessutale e che sfrutta:
1. La variazione rapida di pressione
2. La vibrazione a livello tessutale
In questo modo è possibile attivare:
1. corpuscoli di PACINI e paciniformi (sono quei recettori che registrano e rispondono rapidamente alle
variazioni rapide di pressione ed alle vibrazioni. Pertanto sono stimolati in tutte quelle situazioni che sfrut-
tano questa condizione es. thrust, infatti questa tecnica presenta caratteristiche simili al recoil). Sono presenti
nel fuso tendineo delle giunzioni muscolo-tendinee, nelle capsule articolari, nei legamenti spinali, nei fasci
muscolari e soprattutto nel peritoneo, nel pericardio e nella pleura. Per questo motivo trovano valida ap-
plicazione in ambito viscerale.
2. terminazioni libere

Fasi della tecnica


1. Appoggio: deve essere molto preciso.
2. Ricerca dei parametri: cioè delle caratteristiche del tessuto, la resistenza, la direzione, il livello anatomico.
3. Barriera tessutale: quello che si cerca è la barriera tessutale sia con l’intenzione che con l’attenzione, ovve-
ro la barriera dove il tessuto diventa più duro. In questo caso è un ovvio che la barriera tessutale corrisponda
alla barriera motoria. Ovvero quando cerco dove è più duro, sarà dove non va: le due cose corrispondono.
Però per una pulizia tecnica quando si fa un recoil non si sente dove va e dove non va, ma sento dove è più
duro e dove è più morbido. In sostanza quando si effettua un recoil si va alla ricerca della barriera tessutale e
non di quella motrice anche se le due cose corrispondono.
4. Impulso veloce e piccola ampiezza: così come avviene nel thrust.
5. Direzione precisissima: è paragonabile ad una tecnica chirurgica, infatti se non è preciso è vuoto. Per
questo le direzioni sono importanti.
6. Rilascio veloce: nell’ambito dei parametri ricercati che crea la vibrazione a livello tessutale, andando ad
attivare i corpuscoli di Pacini.
Il recoil può essere applicato a tutte le zone di saturazione di energia (=densità, ossia ciò che viene percepito
come il duro del tessuto, quindi corrisponde ad una disfunzione osteopatica), quali ossa, visceri, fasce (= lega-
176
menti etc.), vasi, muscoli, nervi. Inoltre ha anche una azione sull’ultrastruttura (livello atomico e subatomico).

Livelli del recoil


Pur studiandone i primi 3 livelli in realtà il recoil può essere eseguito su 6 livelli diversi.
1. Resistenza tessutale: cioè si trova una zona dura e li si fa il recoil (es. ho mal di testa in un punto e li eseguo
il recoil).
2. Resistenza tessutale: nelle tre direzioni dello spazio attraverso l’impilamento delle resistenze.
3. Fase di inspirazione del Pz (aumento della resistenza=il Pz ha trattenuto e deve eliminare). Fase ana-
bolica.
Fase di espirazione del Pz (aumento della resistenza= il Pz ha eliminato e deve immettere). Fase catabolica. Si
sceglierà il tempo respiratorio che aumenta ulteriormente la resistenza: pertanto ha una valenza metabolica.
4. Apnea: si sceglierà il tempo di apnea inspiratoria od espiratoria in cui la resistenza va ad aumentare, sempre
mantenendo i livelli di resistenza acquisiti in precedenza.
5. Apnea + si richiede al Pz di visualizzare un’esperienza negativa: si va di più sul somatoemozionale.
6. Verbalizzazione di un’esperienza negativa.
NB: Chauffour dice che il 1°-2° livello hanno una valenza strutturale, il 3°- 4° livello hanno una valenza meta-
bolica, mentre il 5°- 6° livello hanno una valenza somatoemozionale.
Attenzione: La disfunzione va ricercata, coccolata e vanno trovati tutti i modi per trattarla. La tecnica è solo la
teoria: all’interno della teoria ricerco la strada. È necessario molto allenamento.

Anno 5 sem 1

Intestino Tenue Mesenteriale_Generalità


Esso segue il duodeno, porzione più o meno fissa dell’intestino tenue mesenteriale; è formato da digiuno e
ileo. È lungo circa 2,75 metri nel vivo; mentre circa 6 nel cadavere. Presenta un diametro di circa 4 cm.
S’ inserisce sul peritoneo parietale post mediante la radice del mesentere (che è un meso).
La velocità di svuotamento del tenue è tra le 2 e le 4 h, ovvero un tempo di svuotamento intermedio tra
stomaco e crasso.
Lo stomaco ha una velocità di svuotamento maggiore, mentre l’intestino crasso ha una velocità di svuota-
mento minore (a livello intermedio c’è il tempo di svuotamento dell’intestino tenue mesenteriale).

L’intestino tenue crea una grande quantità di anse, all’incirca 15-16, con tutte le possibilità di variazione da
individuo ad individuo.
Queste sono disposte più orizzontalmente nel digiuno (dove quindi il transito del bolo è più orizzontale), e più
verticalmente nell’ileo (dove il transito del bolo è più verticale e va secondo la forza peso dall’alto in basso).
Il digiuno e l’ileo sono molto mobili e come detto prima sono fissati al peritoneo parietale post mediante la
radice del mesentere.
Proprio per l’orientamento della radice del mesentere, tutte queste anse sono situate a mò di matassa più sul
lato sin dell’addome. Il cieco e il colon ascendente sono non sempre coperti dalle anse intestinali, mentre il
colon sigmoideo e il colon discendente sono quasi sempre coperti dalle anse del tenue: quindi la massa del
tenue è così situata in misura maggiore sul lato sin dell’addome e della pelvi, questo perché, come dice la “teo-
ria per cui l’organismo non ama il vuoto”, le anse tendono a riempire e ad occupare lo spazio lasciato libero
dagli altri visceri meglio fissati alla parete addominale.
Non esiste una netta delimitazione anatomica tra digiuno e ileo: si intende all’incirca per digiuno il 40% pros-
simale e per ileo il 60% distale.
Il tenue continua nell’intestino crasso a livello della valvola ileo cecale. Questa parte dell’intestino tenue si
dice mesenteriale perché è compresa nello spessore del margine libero di una plica peritoneale (è una plica
che raggiunge tutte le anse intestinali e le ingloba), che si distacca dalla parete post dell’addome raggiun-
gendo con il suo margine anteriore il canale intestinale.

177
La radice del mesentere è molto lassa, e quindi la stabilizzazione di tutto l’intestino dipende:
- dal quadro colico
- dal diaframma toraco-addominale
- dal diaframma pelvico e
- dai muscoli addominali
- nonché dalla pressione addominale. In caso di pleuriti, enfisema polmonare, asma … si può avere un prob-
lema pressorio con le altre cavità.

Normalmente il transito intestinale duodeno-digiunale dura circa 3 h e ½. Generalmente i tempi di percorrenza


sono più funzionali rispetto a quello che deve avvenire, cioè alla giusta tempistica in cui le cose vanno assor-
bite, assimilate ed elaborate. Qualunque organo può subire dei cambiamenti in relazione all’assorbimento.

Uno dei fattori che può portare ad un rallentamento del transito intestinale o ad una sua accelerazione può
essere dato da: aderenze tissutali tra anse ed esiti di processi infiammatori, chirurgici, ipertono e/o ip-
otono a livello delle singole anse (disfunzioni di tipo neurovegetativo) con alterazione della digestione e
dell’assorbimento.
RAPPORTI ANATOMICI dell’intestino tenue
1. A sin copre il colon discendente quasi interamente
178
2. A dx lascia libero il colon ascendente e il cieco (solo a volte li ricopre)

Posteriormente è in relazione con:


1. Parete addominale post
2. Quadro duodeno pancreatico
3. Aorta addominale
4. Vena cava inf
5. Organi retro peritoneali (reni e ureteri)
6. Organi sottoperitoneali (organi del piccolo bacino)

Anteriormente
È coperto dal grande omento, che dalla grande curva dello stomaco copre tutto lo stomaco, va sul trasverso
e copre tutto l’addome, arrivando a livello della sinfisi pubica.
Superiormente
1. Colon trasverso
2. Mesocolon trasverso
3. Angoli colici

Inferiormente
Si mette in rapporto con gli organi del piccolo bacino che normalmente ricevono però solo in parte il peso del
tenue che si scarica a livello delle fosse iliache (anche se in realtà non dovrebbero ricevere forze pressorie).
Nell’uomo le anse possono colmare gli spazi tra colon pelvico e retto posteriormente; e la vescica urinaria
anteriormente.
Nella donna spesso le anse scendono fino al punto più declive della cavità pelvica, cioè nel cul de sac di Doug-
las, tra la parete post uterina e vaginale, e la parete anteriore del retto.
In caso di ptosi del tenue, la discesa di alcune anse in questi recessi peritoneali può provocare disfunzioni,
dolore locale e riferito, o segni clinici a livello urogenitale.
La Parete intestinale
Tutto il tubo digerente, parete
intestinale del tenue inclusa, pre-
senta 4 TONACHE:
Mucosa
Sottomucosa
Muscolare
Sierosa

TONACA MUCOSA: presenta 3 car-


atteristiche formazioni
Ricchissima di pliche trasversali
all’asse maggiore del tenue (sono le
pieghe circolari o valvole
conniventi di Kerkring)
Piena di sporgenze digitiformi dette
villi intestinali: i villi sono estrof-
lessioni digitiformi della mucosa e
sede della mucosa
dove avverrà l’assorbimento; essi aumentano la superficie di contatto con gli alimenti ampliando appunto
la superficie assorbente degli enterociti intestinali (60-80 mq).
Il villo è occupato all’interno da una fitta rete capillare artero-venosa e linfatica rappresentata da una arteriola
e da una venula, che assicura l’apporto arterioso ed il drenaggio dei liquidi assorbiti
Al centro l’asse dei villi è occupato da un vaso linfatico detto vaso chilifero centrale o vaso latteo, che
fa capo ad una rete capillare linfatica, deputata al drenaggio dei grassi alimentari, emulsionati dagli acidi
biliari.
179
Alla base dei villi sboccano numerose ghiandole intestinali (cripte di Liebekuhn), incaricate di secernere
enzimi proteolitici e antibatterici.
I microvilli dell’apice del villo contengono molti enzimi per la digestione degli alimenti

La tonaca mucosa del tenue presenta anche dei noduli linfatici sparsi nel digiuno e aggregati nell’ileo a
formare le placche di Peyer: formazione di aggregati linfatici che conferiscono all’intestino una forte fun-
zione e componente di tipo immunitario.

TONACA SOTTOMUCOSA
Contiene vasi e noduli linfatici
Contiene il plesso nervoso sottomucoso di Meissner

TONACA MUSCOLARE
Presenta uno strato muscolare esterno longitudinale
Inoltre uno strato muscolare interno circolare
Tra i 2 strati muscolari si trova il plesso nervoso mioenterico di Auerbach

Tutta la regolazione della motricità è assicurata da questo sistema autonomo e le modificazioni avvengono
attraverso il sistema ortosimpatico e parasimpatico, sotto influenze umorali e ormonali locali e sistemiche.

TONACA SIEROSA
Mesentere o Tonaca Mesenteriale: è lamina sierosa che si inserisce sull’intestino tenue

180
Il Mesentere e la sua radice
Il mesentere è una lamina sierosa che si presenta come un ampio ventaglio ripiegato che si inserisce
sull’intestino tenue, lungo una linea detta margine mesenteriale dell’intestino.
La radice del mesentere collega il mesentere alla parete post dell’addome (struttura a ventaglio)
La radice del mesentere si estende avendo una proiezione post dall’angolo duodeno-digiunale alla valvola
ileo cecale (dopo aver percorso un pezzetto su Du 4 e un pezzetto su Du 3): all’incirca la sua proiezione va
dalla trasversa sin di L2 (corrisponde alla proiezione dell’angolo duodeno-digiunale) alla trasversa dx di
L5 estendendosi spesso sopra l’articolazione sacroiliaca dx, con una lunghezza variabile da 15 a 20 cm.
Si appoggia sulla 4 porzione duodenale (Du 4), passando sopra l’aorta addominale, la vena cava e i vasi lin-
fatici primitivi.
Dentro la radice del mesentere passano:
- aa. e vv. mesenteriche superiori
- le componenti parasimpatiche e ortosimpatiche intestinali
- pacchetto linfonodale deputato all’assorbimento intestinale di linfa

181
Grande Epiploon
È una plica peritoneale a doppio
foglietto che parte dalla grande
curvatura dello stomaco e scende
più o meno in basso, nella cavità
addominale, adagiandosi sul colon
trasverso e formando il leg gastro-
colico. Ha la forma di un grande
grembiule e si espande sopra il pac-
chetto intestinale raggiungendo
talvolta la sinfisi pubica.
Nel grande omento dell’adulto si ac-
cumula grasso che ha una grande
importanza nella difesa del perito-
neo contro le infezioni linfonodali
e in qualità di protezione termica
dell’intestino tenue.
Quindi è ricco di linfonodi e grasso.
È ricco inoltre di granulazioni che ci
danno l’idea, spesso, di uno stato
tossico del Pz.

Vascolarizzazione e Drenaggio Venoso


L’intestino tenue mesenteriale riceve sangue dall’arteria mesenterica sup da cui si hanno le aa. digiunali
ed ileali.
Esse decorrono nel mesentere e all’interno delle pliche peritoneali per poi passare attraverso le anse.
Tutte le vene si drenano nella vena mesenterica sup (che rappresenta una delle radici della VENA PORTA).
Tale vena è importante per il drenaggio dell’intestino tenue, e dunque anche del fegato, ed entra a far parte
del circuito emodinamico.
Una cosa interessante da un punto di vista clinico è vedere come una ptosi intestinale possa avere
ripercussioni a livello renale. All’interno della radice del mesentere passa, infatti, l’a. mesenterica sup che
a sua volta scorre sopra la vena renale sin. In caso di ptosi e quindi di conseguente stiramento dell’a.
182
mesenterica sup si può creare un deficit di drenaggio della vena renale con ripercussioni sulla emodinamica
locale e a distanza, a livello dell’ovaio sin o del testicolo sin.
Ricorda: dietro il piccolo epiploon passano: arteria epatica, vena porta e dotto coledoco.
Il drenaggio avviene a livello sottodiaframmatico, anche se solo in parte.

Innervazione
OrtoS: plesso mesenterico superiore (n. piccolo splancnico) D9-D12
I nn. splancnici entrati nella parete intestinale formano il plesso sottomucoso di Meissner ed il plesso nervoso
mioenterico di Auerbach.
ParaS: n. vago sin (dal colon discendente parliamo di paraS parasacrale).

Motilità dell’intestino TENUE


Quando si osserva l’intestino tenue con mezzi radioscopici, si vede il contenuto andare avanti e indietro, senza
che si noti una vera progressione verso il colon (movimenti di andata e di ritorno).
Questi sono i movimenti di segmentazione a carico del SNV.
Questi movimenti dividono, rimescolano e portano a contatto il chimo con il lume intestinale.

Motricità osteopatica = Motilità Medica (PERISTALSI)


Quello che fa procedere il chimo verso il colon è la differenza di frequenza delle segmentazioni.
Nel duodeno abbiamo una frequenza di 12 contrazioni /minuto; nella parte terminale dell’ileo abbiamo una
183
frequenza di 9 contrazioni al minuto. Questo fa progredire anche se lentamente il chimo verso il colon.
Nell’uomo l’attività contrattile del tenue è regolata anche dai seguenti riflessi, detti riflessi entero-enterici
che regolano, normalmente, la motricità intestinale:
Gastroileale > lo svuotamento gastrico aumenta l’attività del tenue
Ileogastrico > la distensione dell’ileo rallenta lo svuotamento gastrico
Entero-enterico > una dilatazione o irritazione o lesione di un segmento intestinale blocca l’attività intesti-
nale

Tutti questi riflessi sembrano mediati dalla innervazione esterna del viscere.

RX intestino tenue

FISIOLOGIA biochimica
I processi di digestione e di assorbimento del
cibo e dell’acqua si svolgono pressoché quasi
interamente nell’intestino tenue, che degrada le
macromolecole complesse in molecole più sem-
plici, che vengono facilmente assorbite.
Nel corso di una giornata, il soggetto adulto me-
dio ingerisce circa 800 gr di cibo solido e circa
1200 ml di acqua, ma ciò rappresenta una parte
del complessivo materiale che quotidianamente
giunge nel tratto gastrointestinale.
Ai circa 2000 ml di cibo e bevande ingeriti van-
no aggiunti circa 7000 ml di liquido proveniente
dalle ghiandole salivari, dallo stomaco, dal pan-
creas, dal fegato e dal tratto intestinale.
Di questo volume, che complessivamente am-

monta a 9000 ml, solo circa 500 ml raggiungono l’intestino crasso nel corso di una giornata, in quanto il 90
% di esso viene assorbito attraverso le pareti dell’intestino tenue.
L’intestino tenue mesenteriale secreta enzimi quali:
Lattasi - Lipasi - Maltasi - Peptidasi - Sucrasi
assicurando l’assimilazione di glucidi, lipidi, proteine, vitam A, B2, B5, B12, C, D, E, H, K, calcio, ferro, potassio,
sodio, e folati.

L’assorbimento si effettua a livello delle villosità e, normalmente la maggior parte del contenuto dell’intestino
tenue viene assorbita al momento in cui il chimo raggiunge la porzione intermedia del digiuno.
I prodotti assorbiti attraversano la via sanguigna del sistema portale arrivando al fegato o, attraverso il sistema
linfatico, entrano direttamente in circolo.
La mucosa intestinale è in contatto diretto e continuo con gli elementi provenienti dall’esterno.
La sua protezione è data dall’epitelio stesso che si rinnova velocemente, dalla flora intestinale, dalla motricità
intestinale, dalle secrezioni intestinali e dal muco prodotto.
L’intestino è il maggior organo linfoide dell’organismo. Produce linfociti, plasmociti e IgA, limitando così
la proliferazione microbica e impedendo il passaggio di antigeni specifici, germi e batteri, verso altri sistemi.
Esistono a tale scopo degli ammassi di cellule linfonodali chiamati placche di Peyer e dei follicoli linfonodali
dove avviene il riconoscimento degli antigeni e la conseguente risposta immunitaria.
La motricità intestinale permette il rimescolamento e la propulsione del contenuto intestinale tramite movi-
menti ritmici di segmentazione e peristaltismo.
L’attività peristaltica dell’intestino tenue consente il rimescolamento e la propulsione del contenuto verso
l’estremità distale, prevenendo l’eccessiva crescita delle specie batteriche normalmente presenti e l’eventuale
impianto di germi patogeni che riescono ad oltrepassare il “ filtro” gastrico.

184
Fisiologia osteopatica _Mobilità intestinale
La mobilità intestinale mesenteriale dipende dal diaframma, ma incidono sulla sua fisiologia:
la tonicità della muscolatura addominale e perineale
il quadro colico che lo circonda

Durante l’INsp globalmente l’intestino tenue: scende-avanza-si espande allargandosi verso l’esterno;
Effettua una rotazione esterna delle sue anse che come detto prima tendono a riempire e a collocarsi in ogni
spazio lasciato libero.

L’asse di movimento del tenue può essere materializzato dall’a. mesenterica sup.

Durante l’Esp avviene l’esatto contrario.


Le disfunzioni osteopatiche possono essere globali, come la ptosi intestinale e la stasi circolatoria second-
aria, o possiamo avere la presenza di spasmi o gonfiori locali a causa di una ipertonia, una dilatazione o un
accollamento a livello delle singole anse.
Nella ptosi si possono formare aderenze tra l’intestino tenue, il peritoneo parietale post, le porzioni attigue
del quadro colico e gli organi del piccolo bacino come il retto, la vescica o l’utero.
La nostra azione sarà quella di ripristinare il corretto feedback tra le varie porzioni dell’apparato gastrointesti-
nale agendo direttamente sull’ileo, sul digiuno o sulle strutture anatomiche (anse intestinali) a loro funzional-
mente correlate come lo stomaco ed il piloro.

Sintomatologia
Dolore lombare L2/L4
Dolore dorsale basso D9/D12 dovuto a disfunzione ortosimpatica
Dolore addominale e sotto ombelicale per localizzazione anatomica, poiché la maggior parte delle anse si
localizza lì:
- nevralgia crurale e genito-crurale
- cefalea (emodinamica e neurogena)
- stasi (aa. inferiori e piccolo bacino) a causa di uno squilibrio pressorio
- distensione addominale (gas): attenzione alla iperproduzione di gas e la velocità a livello del viscere
- coliche addominali
- perdita di peso (poiché il tenue serve alla assimilazione; è dovuta a malassorbimento)
- anemia per deficit di assorbimento, o segni tetanici per ipocalcemia (caratterizzati da spasmi della muscola-
tura striata)
- edemi o dolori ossei e crampiformi per un malassorbimento proteico e del calcio
- ulcere, ippocratismo digitale, leuconichia (patologia che colpisce le unghie, rendendole a chiazze biancastre
per carenza vitaminica), eruzioni cutanee, dermatite.

Emozioni legate al TENUE


L’intestino rappresenta la nostra capacità di assorbire e di lasciarsi andare
Le emozioni legate al tenue riguardano situazioni che non accettiamo, rifiutiamo, che ci circondano dentro.
È uno dei bersagli emozionali per eccellenza
È connesso al cervello in modo molto forte e sottile
Le corrispondenze emotive accompagnano gli eccessi (costipazione e diarrea)
La sensibilità emotiva dell’intestino è in genere più forte nella donna, anche se negli ultimi anni si è modifi-
cata.

La “persona intestino“ presenta:


parametri di costipazione emotiva e diarrea emotiva
forte bisogno di sicurezza e protezione
grande bisogno di parlare per essere approvati
grande fedeltà
molto pulizia e molto ordine sia personale che oggettivo
metodico
185
rigido
ipocondriaco
generoso
ostinato

Dice A.T STILL “……….. i fluidi scorrono naturalmente nell’intestino ….. senza la cui provvidenziale concez-
ione, il Dio della natura si sarebbe dimostrato incompetente nel predisporre l’organismo ad affrontare la
battaglia della vita”

PRATICA_Valutazione osteopatica
Repere anatomico del punto di McBurney, della valvola ileocecale e della radice del mesentere
Osteopata alla dx del Pz.
Tra l’ombelico e la SIAS di dx si reperisce una linea retta obliqua.
Alla sua metà si reperisce la proiezione della valvola ileocecale, più precisamente nel suo terzo esterno si
reperisce la proiezione della appendice vermiforme e dei linfonodi iliaci, denominato anche punto diagnos-
tico di McBurney.
Una sua dolorabilità al rimbalzo nel segno di Blumberg può far pensare ad una appendicite o ad una infiam-
mazione del peritoneo parietale o cecale.
La radice del mesentere si dispone, in proiezione, tra l’angolo duodenodigiunale (proiezione della trasversa
sin di L2) e la valvola ileocecale (proiezione della trasversa dx di L5).

TEST della valvola ileocecale


È un
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test che permette di valutare se vi è un accollamento tra intestino tenue e ceco, oppure una invaginazi-
one della valvola ileo-cecale.
La valvola è una fessura orizzontale posta nella parte postero-mediale del ceco. È costituita da plicature
della mucosa e da fibre muscolari circolari che, normalmente, si chiudono dopo il passaggio dell’onda peri-
staltica.
Ha una notevole importanza in quanto impedisce il rigurgito di contenuto cecale, prevenendo la contami-
nazione dell’ileo da parte della flora batterica del crasso. Se però rimane beante, significa che parte del con-
tenuto cecale può refluire a livello intestinale, creando fenomeni di sensibilizzazione della mucosa e spasmi
locali. Se parte del cibo o parte della flora batterica intestinale risalgono si può creare il fenomeno delle coli-
che appendicolari.
Nel reperimento della valvola ileocecale abbiamo 2 possibilità:
1 possibilità:
è opportuno scendere con i polpastrelli delle dita da avanti verso dietro, e percepire in profondità il margine
interno del cieco;
dopo aver apprezzato tale margine, è opportuno cercare con i polpastrelli delle dita una struttura che ab-
bia delle caratteristiche anatomiche di una valvolina e sicuramente si apprezzerà una parte cecale un po’ più
dura.
2 possibilità:
Osteopata alla dx del Pz
mano sin: posizionata punto fisso sul punto teorico della valvola ileocecale, mediante i polpastrelli delle dita,
andando a percepire se sono sul margine interno del cieco, lo faccio scendendo con entrambe le mani;
mano dx: posizionata sul tenue con tenar/ipotenar aperta (leggermente sotto l’ombelico);
azione: la mano dx effettua un distacco tra cieco e tenue con trazione globale in direzione dietro-fuori
(verso sin) rispetto alla linea mediana.

Poiché la valvola ileocecale è un’invaginazione del tenue all’interno del cieco, se vado a scollare il tratto tra
tenue e cieco, sentirò un punto in cui l’ileo si scolla meno dal cieco, poiché lì entra.
Se effettuando una trazione, si stacca meno, significa che lì su quel punto sono sulla valvola ileocecale.
La palpazione è fondamentale: mi metto poi sul margine interno del cieco con mano punto fisso e poi con
l’altra mano sul tenue cercando di fare un distacco tra cieco e tenue, valutando se le anse si lasciano spostare
o meno.
Si porta con la mano dx (mobile) l’intestino verso l’ ombelico e si deve sentire il punto in cui il cieco si invagina
186
nella valvola ileocecale.

Segue poi una palpazione della pancia; la prof.ssa Menichelli fa vedere come si effettua una palpazione della
pancia, di tutte le anse intestinali, a 2 mani sovrapposte:
durante la palpazione ci si deve domandare se a sin le anse coprono completamente il colon discendente e il
colon sigmoideo;
palpare e vedere se c’è qualche ansa più dura;
poi sentire il cieco e il colon ascendente e palpiamo cercando di sentire la forma, se presenta spasmi o meno:
è così che si sente se c’ è disfunzione o meno.

PRATICA_Intestino mesenteriale
Premesse
Si procede innanzitutto ad una palpazione globale dell’intestino
mesenteriale a 2 mani alla ricerca di eventuali zone aderenziali.

Repere dell’angolo duodenodigiunale


Ci si pone con due dita lateralmente a sin dell’ombelico e due dita
al di sopra dello stesso. A questo punto si procede in profondità con
orientamento obliquo a 45° in direzione alto-dietro-dentro.

Repere della valvola ileocecale


Si può procedere in vari modi:
1. ci si pone a metà della linea che unisce ombelico e SIAS
2. ci si posiziona sul margine interno del colon ascendente
arrivando li dove il tenue si invagina nel cieco (cioè a metà
tra ombelico e SIAS)

Repere della valvola


ileocecale: 1° e 2° modalità

3. ci si posiziona sul margine interno del cieco, al


suo inizio, e facendo punto fisso a questo livello
con la mano sin, si può procedere a staccare con
la mano dx l’ileo dal cieco. È molto probabile che
si sia sulla zona ileocecale quando si percepisce
una maggiore resistenza a “distaccare” nell’atto
della trazione: ciò vuol dire che a questo livello
c’è una maggiore aderenza tra le strutture.
3° modalità

Repere della radice del mesentere


Sapendo dove si trovano l’angolo duodenodigiunale e la valvola ileocecale si conoscono inizio e fine della
radice del mesentere.
Il suo orientamento è obliquo da sin-alto verso dx-basso.
Per reperirla e testarla ci si dispone con le due mani (pollici) a livello dei due punti di repere sopra descritti
e si andrà in profondità (infatti la radice del mesentere corrisponde all’aggancio di tutte le anse del tenue al
peritoneo parietale post, pertanto è un meso). Si può entrare con i pollici o con i medi oppure con il pollice
della mano sin sull’angolo duodenodigiunale e con il pollice della mano dx sulla valvola ileocecale.
Una volta superata la zona molle del peritoneo ed arrivati su di una zona più dura si cerca tra i suddetti 2
punti una corrispondenza tra le due dita: cioè se si esercita una trazione con una mano si deve trovare una
corrispondenza sull’altra mano.
187
Repere della radice del 2° modalità
mesentere: 1° modalità

Test di allungamento ed accorciamento


Una volta trovata la radice del mesentere può iniziare il test in allungamento e ritorno e poi un test di accor-
ciamento e ritorno (Menichelli usa la posizione della 2° modalità).
Test analitico delle anse
Cioè quello che si è fatto con il test di “ingresso” globale
sulle anse del tenue può essere eseguito in maniera più
analitica per capire se per es. tra un’ansa e l’altra ci sono
degli accollamenti, se le anse sono spasmate oppure
dilatate.
Quindi si sta effettuando una valutazione analitica del
viscere in relazione alle connessioni con i plessi e con le
risposte locali che quel viscere può dare.

Test di invaginamento della valvola ileocecale


La modalità di esecuzione del test è la stessa utiliz-
zata per testare la valvola e cioè:
mano sin > è con le dita sul margine interno del cieco
a livello della valvola ileocecale (dove l’ileo si inva-
gina nel cieco)
mano dx > con il pollice va a prendere l’ileo e cioè il
pacchetto mesenteriale.
A questo punto lì dove c’è più adesione si provvede a
staccare l’ileo dal cieco (quest’ultimo è un punto fisso).
NB: quello che cambia rispetto al test è il pensiero, cioè si valuta “qualitativamente” come una struttura
si relaziona con l’altra, cioè come queste due strutture si lasciano allontanare (in maniera qualitativamente
sufficiente oppure insufficiente). Se l’allontanamento è qualitativamente insufficiente c’è una disfunzione e
quindi si applicherà la tecnica correttiva.

Test di mobilità
Si sta facendo una valutazione globale del quadro mesenteriale (al contrario di quanto accadeva nel test
analitico): volendo fare un paragone è come fare un test della base del cranio: all’interno di questo test
globale si può avere l’impressione che tutto il tenue sia in restrizione di mobilità in una direzione, ma si può
anche avere l’impressione che sia solo un punto ad essere in disfunzione e che questo va a condizionare la
mobilità dell’organo.

188
In INsp il mesentere scende-avanza-effet-
tua una RE delle anse-si espande verso
l’esterno. In Esp avviene il movimento inverso.
L’esecuzione del test si articola in più fasi.
Innanzitutto il quadro colico deve rimanere
all’esterno delle mani dell’Osteopata. Le mani
dell’osteopata sono parallele all’interno del Test di mobilità: si lascia
quadro colico ed in appoggio sul tenue. “fuori” il quadro colico

1. Ci si mette in ascolto (infatti l’ascolto ci dice dove dobbiamo


andare e l’ampiezza del movimento del viscere in quel mo-
mento) per capire quanto la struttura si lascia portare in una
certa direzione, come lo fa e la qualità del movimento. Per es: ci si
mette in ascolto ed in un tempo di INsp si induce il movimento di
INsp (cioè si accompagna la struttura in basso-avanti-RE-fuori e
si valuta quanto il mesentere si lascia portare in quella direzione).
2. Ci si rimette di nuovo in ascolto ed in un tempo di Esp si
induce il movimento di Esp (cioè si accompagna la struttura in
alto-dietro RI-dentro e si valuta quanto il mesentere si lascia por-
tare in quella direzione).
3. Si comparano le due fasi e si denomina una eventuale disfunzi-
one nel senso della maggiore ampiezza.

NB: la prof.ssa dice di “fregarsene” della disfunzione nel senso della maggiore ampiezza poiché quello che
si deve ricercare è la restrizione di mobilità. Ed inoltre quello che si percepisce durante un ascolto ci dà la
tecnica ovvero ci indica la strada da seguire per la correzione.

Tecniche correttive di disfunzioni del mesentere


Conoscendo i test sarà relativamente semplice effettuare le tecniche correttive delle varie disfunzioni.

1. Correzione di disfunzione in INsp:


può essere ridotta sia in tecnica funzionale (diretta od indiretta) che
in tecnica meccanica (diretta od indiretta).
Es. funzionale indiretta: in più tempi inspiratori si aggrava la disfun-
zione sino a che il tessuto si rilassa e lo si segue verso la correzione.
2. Correzione di disfunzione di invaginazione della valvola ileo-
cecale:
può essere trattata mediante tecnica in allungamento meccanico
diretto oppure mediante recoil.

189
3. Trattamento analitico delle anse:
Es: un Pz può presentarsi con un’ansa piccola, spasmata, che risulta
accollata rispetto alle anse vicine. In questo caso si procede medi-
ante un allungamento meccanico diretto: si apre, si aspetta, si cerca
di sentire dove la resistenza è più forte. Ci si ferma su quel punto e
si aspetta il cedimento del tessuto. A questo punto, quando il tes-
suto “molla” si allunga ancora un poco. Se l’accollamento tende a
spostarsi lo si segue e lo si allunga nuovamente sino a che non si è
sufficientemente soddisfatti del risultato tessutale ottenuto, cioè il
tessuto si deve essere ammorbidito.
Qualora si trovi un punto specifico si può effettuare un ponsage od
un recoil.
Nel caso in cui l’ansa non si fosse fatta allungare, la si può trattare
con tecnica di allungamento meccanico diretto. Se invece l’ansa
non si è fatta accorciare la si può accorciare con tecnica di accorciamento meccanico diretto.
NB: quello che le mani vanno a fare in termini di trattamento dipenderà dall’ascolto tessutale e dai test che
si effettuano. Quindi se i test sono fatti bene si comprende cosa si deve fare nel trattamento. Es.: se al test
di mobilità del tenue si trova una disfunzione in inspiro non si eseguirà un recoil, ma un trattamento con
tecnica funzionale o meccanica.
4. Trattamento della valvola ileocecale
Essendo la valvola ileocecale uno sfintere una sua disfunzione potrà essere trattata con ponsage, recoil,
vibrazioni oppure se il test di invaginazione è positivo si potrà effettuare un allungamento.
NB 1: neurovegetativo e viscerale vanno sempre integrati.
NB 2: il recoil di 3° grado si esegue con i pollici posti sulla valvola, poi si ricercano le zone di resistenza sui
vari piani dello spazio e quindi si valuta se la disfunzione si aggrava di più in fase di INsp oppure di Esp.
Infine si effettua il recoil nella fase respiratoria che ha presentato una maggiore resistenza, sempre e comu-
nque nella direzione della valvola ileocecale.
NB 3: i diverticoli possono presentarsi come zone di resistenza, zone infiammatorie con segno di peritonite.
In questi casi, in linea generale, il recoil può essere effettuato, non è controindicato.

Manovra dinamogenica sul tenue


Va ad agire su tutto il pacchetto del tenue.
La si può utilizzare inserendola nel circuito dinamogenico per es. per rilanciare l’emodinamica: chiaramente
prima di eseguirla sarà necessario lavorare le benderelle, lo sfintere di Oddi, il piccolo epiploon, il fegato,
la milza. Oppure può essere utilizzata anche per reinformare tutto il tenue, ad es dopo avere lavorato sulle
ptosi del tenue o su quelle degli organi del piccolo bacino.
NB: nell’eseguire la manovra dinamogenica su fegato, milza ed intestino tenue se si ha poco tempo per
lavorare si può anche eliminare la thoracic pump.
Il Pz è in posizione supina con le gambe
flesse perchè in questo modo si riesce a
sentire meglio il limite inf del tenue.

190
l’Osteopata si dispone di lato e cranialmente al una volta agganciato il margine inferiore del
Pz e con una mano va a reperire tutto il pacchet- tenue l’Osteopata entra in profondità cercando
to intestinale per poi agganciarlo con entrambe di arrivare il più posteriormente possibile con le
le mani. mani.
A questo punto si può procedere in vari modi:
1. se si vuole reinformare il tenue verso l’alto durante l’INsp si mantiene, mentre durante l’Esp, quando il
tenue risale verso l’alto, lo si porta verso l’alto. In sostanza si va ad eseguire una manovra di reinformazione
verso l’alto.
2. se invece si è percepito che si è di fronte ad un accol-
lamento, dalla stessa posizione si può entrare più in pro-
fondità ed avviare una manovra di scollamento rispetto
al piano post, arrivando sino alla radice del mesentere,
verso la quale naturalmente è necessario orientarsi.
3. se invece si vuole effettuare una vera e propria manovra
dinamogenica con l’Osteopata disposto di lato e cranial-
mente al Pz durante l’Esp si porta il tenue verso l’alto men-
tre durante l’INsp lo si molla. In questo modo si lavora sulla
dinamica perchè la finalità dell’Osteopata è quella di rilan-
ciare i fluidi e non di scollare.

sem 2_Colon
È compreso tra lo sfintere ileocecale e quello anale.
È lungo circa 2 metri, quindi occuperà più quadranti addominali (cieco in fossa iliaca dx, colon ascendente
in fianco dx, angolo colico dx in ipocondrio dx, colon trasverso in mesogastrio vicino all’ombelico, angolo
colico sin in ipocondrio sin, colon discendente in fianco sin, colon iliaco in fossa iliaca sin, colon sigmoideo e
retto in ipogastrio). Questo da un lato è negativo perché, essendo una struttura variamente distribuita, se ne
perde il quadro di insieme; dall’altro lato è un vantaggio perché se al test dei 9 Qu si trova una positività di
colon si saprà quale distretto è interessato sulla base del quadrante positivo. Es 1: la positività di fossa iliaca
dx ci dirà che è interessata la porzione cecale. Es 2: quando si trova una positività di ipogastrio bisognerà
pensare al retto senza però escludere un eventuale interessamento di vescica, utero o prostata, infatti in
osteopatia i programmi vanno integrati.
Premesso che l’addome è occupato per la maggior parte dalle anse del tenue, in esso il cieco ed il colon
ascendente rappresentano le porzioni più libere: infatti le anse del tenue coprono il colon discendente, il

191
colon iliaco e quello sigmoideo. Il retto invece
è post e scende sotto il piccolo bacino quindi
sotto il peritoneo inf. Quindi in sostanza la
porzione di colon palpabile è rappresentata dal
cieco e dal colon ascendente: è da queste zone
che si inizia la pratica con la palpazione poiché
in questo modo si può avere anche un termine
di paragone.
NB Le anse del tenue si trovano generalmente
sotto il colon trasverso.
Il lume del colon ha un diametro variabile dagli
8 cm della porzione ascendente ai 3 cm del
sigma e del retto.

Esternamente presenta delle gibbosità date dalla


presenza di 3 benderelle fibrose dette tenie del
colon: ciò può essere interessante dal punto di
vista palpatorio per distinguere se si è sul colon
oppure sul tenue.
Come tutto il tubo gastrointestinale presenta 4
tuniche: mucosa con funzione di assorbimento,
sottomucosa, muscolare e sierosa. Da ricordare
che la sottomucosa e la muscolare presentano al
loro interno i plessi neurovegetativi di Meissner
ed Auerbach.

Cieco
È la porzione iniziale del
colon, lungo circa 6-7 cm, si
trova in fossa iliaca dx.
È sulla proiezione di S2-S4 e
ciò è da tenere presente in
relazione alla sintomatologia.
In fossa iliaca dx è necessario
distinguere tra disfunzioni
di tenue e di cieco mediante
test di inibizione.
È diretto basso-avanti-
dentro: ciò è importante
quando si effettuano i test
(es. test di allungamento, che
andrà effettuato lungo l’asse
della struttura).
Anteriormente è in relazi-
one con la parete addomi-
nale ed a volte anche con le
anse del tenue, se queste si
insinuano.

Posteriormente è in relazione con la fascia iliaca, lo psoas ed il tenue (che occupa gli spazi vuoti). L’interesse
della relazione tra psoas e cieco può essere utile in caso di Pz con condizioni di attivazione dello psoas (es.
shift laterale, anca in RE, iliaco post) in cui la positività non è di bacino bensì di cieco. Pertanto se non si
elimina la disfunzione del cieco è inutile trattare lo psoas.
192
Il cieco è fissato alla parete post grazie al meso del colon ascendente (fascia di Toldt) ed è stabilizzato da pli-
che peritoneali: quando è presente la fascia di Toldt il cieco è a contatto con i reni, pertanto esiste un legame
stretto tra cieco e rene.

Legamenti del cieco


Sono rappresentati da:
1. leg parietociecale esterno: va dalla faccia esterna del cieco alla fascia iliaca fino alla SIAS. Pertanto rap-
presenta un legame anatomico diretto dell’organo con la struttura
2. leg parietociecale interno: va dall’appendice verso il leg largo e l’ovaio. Questo suo orientamento
può dare una spiegazione riguardo al fatto che alcune sintomatologie ovariche sono confuse
con problemi appendicolari e viceversa.
NB: l’ovaio in fossa iliaca si trova a metà del leg inguinale.

Appendice vermiforme
È un’appendice cilindrica di 8-10 cm ed è collegata al peritoneo
parietale post da un mesoappendicolare, pertanto la sua posiz-
ione dipenderà dall’inserzione del mesentere. Ecco perché ci pos-
sono essere varie localizzazioni dell’appendicite in base alla sua
organizzazione embrionale.
NB: i passaggi vascolari sono delle zone di repere stabili.

193
Colon ascendente
Lungo circa 12-15 cm.
È localizzato nel fianco dx estendendosi dalla fossa iliaca dx all’angolo colico dx.
Si relaziona:
anteriormente con la parete addominale o con il tenue.
posteriormente con il m. iliaco, il quadrato dei lombi, il rene dx ed il surrene (con quest’ultimo si possono
creare relazioni ormonali disfunzionali).
In conclusione contratture dello psoas e/o del quadrato dei lombi possono dare una positività di colon as-
cendente, ma è vero anche il contrario.
Nella maggior parte dei casi colon ascendente e discendente sono applicati alla parete post senza mediazi-
oni del peritoneo. Quando invece c’è la fascia di Toldt si parla di mesocolon ascendente e discendente.

Angolo colico dx
Arriva sotto il fegato dove lascia anche un’impronta: è proprio la presenza del fegato a posizionarlo più su-
perficialmente e più in basso del sin, oltre che più avanti. Si trova all’estremità esterna dell’ipocondrio dx.
Il repere dell’angolo colico dx è l’estremità anteriore di K10-K11, mentre per l’angolo colico sin, che è più
post, ci si posiziona sulla linea emiascellare ed un poco più in alto ed indietro (K8-K9).
194
È sospeso al diaframma da una plica peritoneale detta leg frenocolico dx. Esiste anche un leg epatocolico
dx che collega il fegato all’angolo colico dx (ma non lo si testa).

Colon trasverso
Si estende dall’angolo colico dx al sin passando per l’ombelico, cioè a livello di L3: infatti da dx va basso e
dentro fino a livello ombelicale L3 per risalire fino all’angolo colico sin. È lungo circa 50 cm.
È stabilizzato dal mesocolon trasverso, il quale si inserisce sulla fascia prepancreatica (la taglia in due
parti) davanti al quadro duodeno pancreatico.
Divide la regione sottodiaframmatica in sovra e sotto meso-
colica: non si tratta solo di una divisione anatomica, ma anche
di una divisione funzionale, infatti tutta la regione sovrameso-
colica è tutta tronco celiaco, quella sottomesocolica è di per-
tinenza delle mesenteriche).
Nel testare il leg gastrocolico ci si posiziona tra lo stomaco ed
il margine superiore del colon trasverso: pertanto ci si dovrà
posizionare sulla fossetta sup presente a questo livello perché
quella inf corrisponde al margine interno del colon trasverso
(che sarà a contatto con le anse intestinali).

Mesocolon trasverso che taglia la fascia prepancre-


atica e stabilizza il colon trasverso

Angolo colico sin


È posto profondamente nell’ipocondrio sin, sotto stomaco e
milza. Pertanto andrà cercato sulla linea emiascellare a livello di
K8-K9.
È sospeso al diaframma dal leg colicofrenico sin.

Legamento colicofrenico sin (linea emiascellare)

Colon discendente
Dall’angolo colico sin scende sul fianco sin verso la cresta iliaca. È ricoperto dalle anse del digiuno.
Come il colon ascendente o è applicato direttamente alla parete post oppure c’è la fascia di Toldt.

Colon ileopelvico
Si estende dalla parte finale del colon discendente, percorre la fossa iliaca sin poi va verso la linea mediana,
dove ruotando in alto-dietro a livello di S3 diventa colon retto. Pertanto il retto inizia a livello di S3.
Misura circa 35-40 cm.
Si divide in due porzioni:
- colon iliaco che occupa la fossa iliaca sin.
- colon pelvico che occupa il piccolo bacino (ipogastrio).
è stabilizzato dal mesocolon sigmoideo che consta di due radici:
1. primitiva: va dalla biforcazione aortica L4 (margine inferiore dell’ombelico) ad S3
2. secondaria: va dalla biforcazione aortica L3 al margine interno dello psoas.
NB: entrambe le radici sono l’aggancio del peritoneo ileopelvico al peritoneo parietale post.
Le radici sono importanti perché danno passaggio all’ a. mesenterica inf: quindi quando si trattano queste
strutture bisogna tenerne conto. Il termine radice vuol dire che è l’impianto della struttura sul peritoneo. Es.:
se si rimuove un albero rimane l’impronta delle radici.

Legamenti del colon ileopelvico


Sono rappresentati da:
195
1. leg colico pelvico o parietocolico esterno: collega il margine esterno del colon iliaco alla fascia iliaca
sino alla SIAS.
NB: non c’è un leg parietocolico interno perché ci sono le radici primitiva e secondaria che fissano e fanno
arrivare i vasi.

196
Radice primitiva e secondaria del mesocolon sigmoideo

Retto
Rappresenta la parte terminale dell’intestino crasso.
Va da S3 allo sfintere anale.
È verticale e mediano.
È lungo circa 15 cm.
È situato nella regione post del piccolo bacino in posizione sottoperitoneale.
NB: nel maschio il test si effettua nel 2° spazio, cioè quello tra la vescica ed il retto, mentre il 1° spazio è
quello tra sinfisi pubica e vescica. Nella femmina il test si effettua nel 3° spazio, cioè quello compreso tra
utero, vagina e retto, mentre il 1° spazio è quello tra sinfisi pubica e vescica ed il 2° spazio è quello tra vescica
ed utero.
È in rapporto:
anteriormente con la vescica e la prostata nell’uomo, utero e vagina nella donna.
posteriormente con l’ultimo ganglio simpatico sacrale, il tronco simpatico coccigeo e con il IV e V nervo
sacrale.

Localizzazione per il test sul retto nell’uomo e nella donna


197
Innervazione
Ortosimpatico:
Cieco, colon ascendente ed emitrasverso dx Emitrasverso sin, colon discendente, sigma
sono innervati dai nervi: e retto sono innervati dai nervi:
1. grande splancnico D6-D11 1. piccolo splancnico
2. plesso celiaco 2. plesso celiaco
3. plesso mesenterico sup.
Quindi l’innervazione segue la vascolarizzazione infatti: il 1° tratto, quello della mesenterica sup è corre-
lato con il n. grande splancnico, mentre il 2° tratto, quello della mesenterica inf, è correlato con il n. piccolo
splancnico.
Parasimpatico
È composta da:
1. N. vago dx.
2. Parasacrale (S2-S4 nervi erettori di Eckart).
I centri della defecazione sono situati a livello lombare L2-L4 ed a livello sacrale S2-S3.

198
Vascolarizzazione
Arteriosa
È ad opera di:
1. mesenterica sup: per cieco, colon ascendente ed emicolon trasverso dx
2. mesenterica inf: per emicolon trasverso sin, colon discendente, colon ileopelvico e retto.

Venosa
Globalmente il colon è drenato dalle vene mesenteriche sup ed inf.
Il retto è drenato dal plesso emorroidale diviso in ascendente (tributario del sistema portale) e tras-
versale (tributario della vena iliaca e della vena cava inf ). Quindi un sovraccarico portale può dare una
sintomatologia di tipo emorroidale.

Fisiologia
L’intestino crasso non ha prettamente una funzione digestiva. Il suo ruolo è principalmente quello di:
assorbire l’acqua (ma anche i farmaci) nella metà prossimale
deposito di feci nella metà distale
produzione di muco, potassio e ione bicarbonato
Il crasso contiene al suo interno un’importante flora batterica (macrobioti umani) che serve come:
1. effetto barriera agli agenti patogeni.
2. fermentazione di glucidi e cellulosa
3. putrefazione di residui proteici } con emissione di gas

4. sintetizzare proteine quali k, B1, B2, B12 (queste proteine vengono prodotte anche in altre zone.
Es.1: la vitamina B12, prodotta a livello di stomaco, duodeno e tenue, va ad incidere sull’ematocrito, sulle
anemie. Quindi le anemie possono essere messe in relazione con tanti organi quali stomaco, duodeno,
tenue e cieco.
Es. 2: la vitamina K è presente a livello di fegato, tenue, crasso: pertanto c’è una interrelazione che porta alla
sua funzione.
NB: nella stitichezza cronica c’è una proliferazione batterica con aumento dei processi di fermentazione e
putrefazione, che giustificano la comparsa di gonfiore e meteorismo addominale.
Il colon presenta movimenti peristaltici non propulsivi (per il rimescolamento delle sostanze e per il riassor-
bimento efficace dell’acqua) e movimenti propulsivi (per consentire al materiale di essere eliminato).
Il retto è normalmente vuoto ed il suo riempimento e dilatazione danno inizio alla defecazione.

Fisiologia osteopatica
Il quadro colico subisce nei suoi vari tratti, in maniera diversa, l’influenza del diaframma.
I due angoli colici dipendono dal diaframma mentre la parte inf è influenzata dal pavimento pelvico (as-
sieme ad utero, vescica e prostata).
Poiché ogni sezione del colon si muoverà in relazione alle strutture che ha vicino si distingueranno:
INsp
Gli angoli colici scendono-avanzano-si avvicinano tra loro verso la linea mediana, solo durante una
inspirazione forzata hanno la tendenza ad allontanarsi perché le coste si allargano e c’è il legamento freno-
colico che li traziona e li porta fuori.
Il colon trasverso scende-avanza-si sposta un poco verso sin poiché il legamento frenocolico è più indietro
e più in alto.
Il colon ascendente e discendente scendono-avanzano e, tirati indietro dalla fascia di Toldt, compiono
una RE: quindi la loro faccia anteriore guarda verso l’esterno. Così facendo tendono ad essere attirati verso
l’interno.
In conclusione globalmente mentre il mesentere (=tenue) si espande, il quadro colico si chiude un poco: il
tutto assicura un riequilibrio di pressioni ed aiuta la funzione del sistema vascolare.
Il cieco scende-avanza-si inclina a dx (per la sua posizione anatomica in fossa iliaca) e compie una rotazi-
one interna.
Il sigma scende.
Il retto scende-si verticalizza (tanto è vero che quando si è in difficoltà per andare in bagno si prende aria e
si spinge in apnea INsp così il retto si verticalizza facilitando l’evacuazione).
199
Quindi in conclusione globalmente il quadro colico scende-avanza-si inclina un poco a sin-si chiude verso la
linea mediana facendo una rotazione oraria.
Gli assi d movimento (i punti fulcro) del quadro colico sono:
1. valvola ileocecale
2. arteria mesenterica sup
3. arteria mesenterica inf

Disfunzioni osteopatiche
Sono classificate in:
1. legamentose
2. segmentarie
3. di mobilità: si eseguono i test di mobilità sui vari segmenti. Il test di mobilità sul retto è difficile poiché
questa struttura è lontana dal diaframma: quello che si percepisce sarebbe una relazione con il diaframma
pelvico. Pertanto nel caso del retto si fa più che altro un test tessutale.
Le disfunzioni legamentose possono essere dovute ad aderenze o fibrotizzazioni delle pliche peritoneali
o infiammazioni locali o esiti di chirurgia addominale (es. esiti di appendicectomia). Per questo motivo le
disfunzioni si localizzano con maggiore facilità dove c’è un’alterazione della motricità intestinale ed una stasi
con proliferazione di microrganismi della flora intestinale.

Sintomatologia e segni clinici


1. Dolori diretti
Cieco:
- dolori in fossa iliaca dx, piega inguinale, sacroiliaca dx (proiezione S3) ed anca dx per contrattura del m.
psoas di dx.
- segno di Blumberg positivo nel punto di Mc Burney è già indicativo di una irritazione notevole, pertanto
quando è presente è un segno di emergenza.
- dolori testicolari o alle grandi labbra (n. genitocrurale) o dolore all’interno del ginocchio (n. otturatorio) o
dolore alla faccia ant della coscia (n. crurale/femorale).
Colon ascendente e discendente:
- dolore al fianco dx e sin
- dolore a barra sottodiaframmatico (in caso di interessamento del colon trasverso)
- contrattura del quadrato dei lombi
- dolore dorsale e costale basso in innervazione neurovegetativa
Colon ileopelvico e retto (sintomi come per il cieco):
- dolore in fossa iliaca sin, zona sovrapubica, piega inguinale sin, sacroiliaca sin ed anca sin per contrattura
dello psoas di sin
- dolore parte interna di coscia e di ginocchio
NB: il dolore è inteso anche come bruciore, dolore puntiforme, fitte che vanno e vengono. Per quanto
riguarda il plesso lombare possono aversi anche nevralgie legate al territorio di innervazione.

2. Sintomi clinici a distanza


- distensione e dolore addominale > per fermentazione e putrefazione.
- meteorismo >per fermentazione e putrefazione
- stipsi o diarrea e disidratazione > perché il colon gestisce il riassorbimento dell’acqua
- disidratazione, pelle secca labbra screpolate > perché il colon gestisce il riassorbimento dell’acqua
- edemi > perché il colon gestisce il riassorbimento dell’acqua
- colite
- cistite per il passaggio transmurale di batteri
- riniti, sinusiti croniche perché la mucosa è unica, pertanto la mucosa del naso è deputata ad espellere ciò
che non viene fatto altrove
- lombalgie
- malessere generale perché non si riescono ad eliminare le sostanze tossiche
- tenesmo (cioè spasmo con mancata evacuazione)
- sensazione di cattivo svuotamento
200
Colon emozionale
Quale è il binario emotivo che può dare una disfunzione di colon? Come per gli altri organi studiati sarà nec-
essario pensare alla funzione.
1. Stipsi: è il tenersi aggrappati a convinzioni che ci danno sicurezza, è il non riuscire ad eliminare le cose
che non ci servono. Es.: molti Pz “colon” affermano che la loro vita è una “merda”, di essere nella “merda”.
È anche collegata al trattenersi ed al chiedere a se stessi di essere perfetti per la paura di non essere accet-
tati, amati o di essere abbandonati.
2. Diarrea: è la capacità di andare di più, è una emozione che entra, ma che si manda via perché non la si
vuole tenere. È il rifiuto troppo rapido di un’idea o di una situazione in cui ci sentiamo prigionieri. È il rifiuto
di un ruolo.
È anche il rifiuto doloroso di un ricordo che scatena la diarrea quando entriamo in risonanza con esso.
(l’effetto di risonanza è una condizione molto studiata in problematiche quali quella dell’asma dove per es.
un bimbo di 2 anni si sente dire dalla mamma alcune cose spiacevoli. A questo punto parte un neurotras-
mettitore che attiva un recettore cui si lega. Dopodichè il neurotrasmettitore viene eliminato, ma il recettore
rimane “nascosto”, però non a livello corticale. Un giorno a 44 anni quel bimbo oramai adulto entra in una
pasticceria, sente un odore particolare che riattiva il neurotrasmettitore che si lega a quel famoso recettore
ed alla persona viene una allergia.
3. Appendicite: è una difesa dall’autorità > è tipica degli adolescenti. È una forma di contrasto dall’autorità.
4. Coliche: sono legate ad una condizione di stress e tormento. Es.: i bimbi si rilassano dopo un periodo di
coliche perché le mamme anche” prendono le misure” con questa nuova realtà che le responsabilizza.

Valutazione osteopatica
1. Test di densità
2. Test di allungamento delle singole porzioni
3. Test di apertura degli angoli
4. Test dei legamenti
5. Test di mobilità

sem 3_Colon
È composto da varie sezioni:
1. cieco in fossa iliaca dx
2. colon ascendente in fianco dx
3. angolo colico dx sotto il fegato e dietro al margine anteriore di K10.
4. colon trasverso passa a livello dell’ombelico
5. angolo colico sin, è più alto e più posteriore del dx pertanto ci troviamo a livello di K8-K9.
6. colon discendente in fianco sin
7. colon iliaco in fossa iliaca sin
8. colon sigmoideo, risale, fa una curva, va verso dietro ed a livello di S3, dove c’è il peritoneo posteriore
diventa sotto peritoneale ed a livello di S3 diventa colon retto.
Per reperire il colon si procede come segue:
1. si palpa l’addome, perchè la palpazione assieme alla sintomatologia ed agli esami strumentali, permette
di formulare una diagnosi differenziale (es. pulsazioni anomale, masse etc.).

201
2. si palpa con
repere del margine interno due mani alla
del colon ascendente ricerca del mar-
repere del margine
interno del cieco gine interno del
cieco e del colon
ascendente.

3. per il colon trasverso il margine superiore


dovrebbe essere li dove si è effettuato il test
per il leg gastro-colico, e cioè a livello om-
repere del margine superiore belicale. NB: se il trasverso è molto gonfio lo
del colon trasverso
si reperisce meglio.

4. gli angoli colici non sono palpabili pertanto se ne fa il repere andando nella loro proiezione.

202
5. per il colon 6. per il colon
discendente iliaco ci si
si procede alla dispone in
palpazione fossa ili-
disponendo aca sin e dal
i pollici sul margine
margine inter- esterno si
no, mentre le procede alla
altre dita sono palpazione
sul margine del margine
esterno. interno.

NB: durante la palpazione si valuta anche la forma e l’orientamento della struttura.


Per avere il giusto repere di dove inizia il colon è neces-
sario reperire la valvola ileocecale che segna la fine del
tenue e l’inizio del colon con il cieco. Pertanto ci si pone
a metà della linea tra ombelico e SIAS di dx e si ricerca
la zona di resistenza. Infatti si tratta di una valvola, cioè
di una invaginazione dell’ileo nel cieco. Poi ci si pone sul
margine interno del cieco e quindi si procede a “sentire”
con le mani dove si avverte una maggiore aderenza e li
si procede a staccare le due strutture.
Un altro modo per ricercare la valvola ileocecale è quello di ricercare il margine interno del colon ascen-
dente andando da sin a dx; quindi dall’angolo colico dx si scende verso il basso lungo il margine interno del
colon ascendente. Qui si cade in un punto che corrisponde alla valvola ileocecale (si può fare una contro-
prova rifacendo la palpazione oppure il repere della valvola ileocecale).
Avendo il margine in-
terno del cieco e del colon
ascendente e risalendo
verso l’alto si arriva ad un
punto che è la proiezione
dell’angolo colico dx. Natu-
ralmente prima è meglio
contare le coste partendo
dal processo xifoideo ed
arrivare a K10.
repere della proiezione dell’angolo colico dx
Per l’angolo colico sin, sapendo che il colon discendente non è perfettamente diritto, ma scende un poco
obliquo, si andrà alla ricerca del margine interno sia del colon iliaco che del colon discendente. A questo
punto si risale arrivando in un punto che corrisponde alla proiezione dell’angolo colico di sin. Anche in
questo caso sarà necessario procedere al reperimento della struttura partendo dal processo xifoideo per ar-
rivare a K8-K9.

203
repere della proiezione dell’angolo colico sin
Poi dal basso si
procede a re-
perire il solco
dell’ombelico
ed il solco
del leg gas-
trocolico (al
di sotto di
Per reperire il colon trasverso si quest’ultimo
hanno come riferimento i due passa il colon
angoli colici, dx e sin. trasverso).

repere del colon trasverso

Per avere una maggiore sicurezza di essere sul colon trasverso e sul colon in generale si può procedere alla
percussione di fegato (=pieno), tenue (=vuoto) e colon (=vuoto, ma diverso rispetto al tenue) e stomaco
(=vuoto ancora diverso).

fegato

tenue
colon

204
Per il repere del colon retto nelle donne ci si
posiziona nello spazio sopra la sinfisi pubi-
ca. In realtà sopra la sinfisi pubica si trovano
due solchi, il secondo è quello per arrivare
a palpare e testare il retto (il 1° è quello tra
vescica ed utero). Nel maschio c’è un unico
solco sovrapubico dove il trova il retto.

1° fossetta 2° fossetta

Test di pressione
del colon
Non si approccia
mai un viscere con
il test di pressione,
bensì con la pal-
pazione e con il
repere perchè si
deve essere sicuri
che l’organo, di cui
ci si vuole occupare,
test di pressione del colon
sia posizionato lì.
test di pressione del cieco ascendente
Si testano i vari tratti del colon nei vari
quadranti anatomici nei quali li si è recepi-
ti ricordando che:
1. per il trasverso si testa l’emitrasverso di
dx e di sin.

test di pressione test di pressione


dell’emitrasverso di dx dell’emitrasverso di sin
2. il retto è positivo quando lo è l’ipogastrio, ma qui la positività può dipendere anche da altri organi del pic-
colo bacino (il livello e la direzione della resistenza tessutale danno già una indicazione se si tratta di colon o
di altro).
NB: in questo modo con il test di pressione selettivo sulle varie zone del colon si avrà anche una maggiore
rapidità di esecuzione dei test e dei trattamenti della zona individuata.

test di pressione del test di pressione test di pressione


colon discendente del colon iliaco del colon retto

205
Test di allungamento delle
varie porzioni del colon
È possibile eseguire degli al-
lungamenti meccanici sulle
singole porzioni ed in caso di
disfunzioni trattarle con una
tecnica di allungamento mecca-
nico diretto. Si può fare anche un
recoil invece di un allungamento
meccanico diretto quando il Pz
manifesta fastidio (anche perchè
test di allungamento test di allungamento
il colon è spesso dolente). del cieco del colon ascendente

test di allungamento test di allungamento test di allungamento


dell’emitrasverso dx dell’emitrasverso sin del colon discendente
Per il test sul
retto il Pz è
supino con
le gambe
flesse mentre
l’Osteopata si
dispone con
le dita delle
mani come
nel test del leg
test di allungamento gastrocolico e
del colon iliaco test di allungamento del colon retto
va in profondità sino ad arrivare in una zona di mag-
giore resistenza (qualora si senta il battito dei vasi ci si
sposta leggermente). A questo punto ci si orienta a 45°
verso la faccia anteriore del sacro per andare in direzione
del retto e, mentre con la mano caudale si bloccano gli
organi del piccolo bacino, con la mano craniale si esegue
un allungamento meccanico diretto verso dietro e si
valuta se si fa allungare. In caso di restrizione di mobilità
test di si procede verso la correzione con una tecnica di al-
allungamento lungamento meccanico diretto o con un recoil.
del colon retto
Test di apertura degli angoli
Dal punto di vista osteopatico gli angoli hanno molta importanza perchè una problematica a questo livello
avrà ripercussioni sulle zone limitrofe.

206
Ci si pone con i pollici
delle mani in proiezione
degli angoli (in realtà
si può lavorare sia con
entrambe le mani che
singolarmente) e durante
un tempo di Esp, quando
il diaframma sale, si pos-
sono aprire entrambi gli
test di apertura degli test di apertura degli angoli, inoltre in questo
angoli colici (globale) angoli (singolarmente) modo si va a tirare su
anche il trasverso.
Però è necessario fare at-
tenzione perchè il trasverso
è dotato di un mesocolon,
quindi se lo si vuole tirare
su ci si posiziona con i
pollici sotto il trasverso e
si chiede al Pz di prendere
aria ed in una fase di Esp
lo si porta su in più fasi
respiratorie. Meglio ancora
test di risalita del se l’Osteopata si dispone
trasverso: 1° modalità 2° modalità cranialmente al Pz.
Questa metodica può essere utile come trattamento finale nelle ptosi del piccolo bacino, nel trattamento
delle quali è utile anche “tirare su” il tenue oltre che il trasverso. Oppure la si può utilizzare nello scollamento
del mesocolon trasverso.
NB: nel test di apertura degli angoli è necessario tenere conto dell’orientamento degli angoli. In Esp per
aprire l’angolo colico dx si esegue una leggera supinazione con la mano dx. Stessa cosa per l’angolo colico
sin, tenendo conto dell’orientamento dell’angolo.
In presenza di una disfunzione si esegue subito il trattamento di riduzione.

Test dei legamenti


Per poter procedere con il test dei legamenti si dovrà passare per i reperi del colon e cioè:
1. margine interno, esterno, superiore ed inferiore del cieco;
2. margine interno ed esterno del colon ascendente;
3. angolo colico dx e sin;
4. margine interno ed esterno del colon discendente;
5. margine interno ed esterno del colon iliaco;
6. la 2° fossetta a livello pubico (la 1° nell’uomo) è sede del colon retto;
si conferma quanto trovato mediante la percussione. In questo modo sarà più facile effettuare il test di pres-
sione.
1. Legamento parieto cecale ESTERNO
Per reperirlo è necessario individuare il margine esterno del cieco
e la fossa iliaca.
Mano craniale è sulla cresta iliaca e fa punto fisso
mano caudale fa da punto mobile sul cieco (in realtà si può fare
con entrambe le mani).
Ci si pone con le mani alla ricerca della congruenza tra di esse e
si testa se c’è una resistenza tessutale. Nel caso in esame è pre-
sente una resistenza tessutale pertanto avendo utilizzato un test
in allungamento meccanico diretto si potrà procedere con una
tecnica correttiva in allungamento meccanico diretto oppure con
un recoil.
207
2. Legamento parieto cecale INTERNO
Pz supino ed osteopata al suo fianco dx.
Mano esterna ci si pone sul margine interno del cieco
mano interna si è in proiezione dell’angolo duodenodigiunale e
cioè verso la radice del mesentere.
Si procede con il test di allungamento meccanico diretto ricer-
cando la congruenza tra le mani: in presenza di una resistenza
si procede con l’allungamento meccanico diretto (ad una o due
mani) oppure si esegue un recoil nella direzione del legamento.

3. Legamento appendico-ovarico
NB: da alcuni è descritto come un legamento, da altri invece è considerato come un accollamento del peri-
toneo verso il peritoneo ed il leg ovarico. Che sia un legamento od un accollamento non importa: si pro-
cede testando se è presente una resistenza ed in caso di positività la si tratta. Tra queste due strutture esiste
una relazione sintomatologica.

repere dell’ovaio

margine inferiore del cieco

È necessario reperire la proiezione dell’ovaio pertanto si reperiscono il tubercolo pubico e la SIAS: a metà
di questa linea c’è la proiezione dell’ovaio. In più si può andare a palpare l’osso iliaco dove è presente una
cresta, la “linea innominata”, quando si sente la cresta in profondità c’è la proiezione dell’ovaio (se si sente
l’arteria ci si sposta più lateralmente): in sostanza si è a metà del leg inguinale, ma si entra da sopra.
Una volta reperita la proiezione dell’ovaio con la mano craniale si va a reperire il margine inf del cieco (dove
c’è l’appendice).

leg. appendico-ovarico leg. appendico-ovarico:


(test di allungamento) trattamento con recoil
Per testare il legamento si procede ad un allungamento meccanico diretto. Poiché nel caso in esame si rep-
erisce una resistenza si può procedere con un recoil ed in un secondo momento con una tecnica correttiva
di allungamento meccanico diretto.

4. Legamento frenico-colico dx
La proiezione teorica è il margine inferiore di k10 (perchè questo legamento è subito sotto il fegato e poi
prende rapporto con il diaframma).

208
punto di relazione diafr.
angolo colico dx
leg frenico-colico dx

L’altro punto di repere è la proiezione dell’angolo colico di dx, che si andrà a reperire risalendo lungo il mar-
gine interno del colon ascendente.
Con l’eminenza tenar ed ipotenar della mano esterna ci si pone a livello della relazione tra diaframma ed
angolo colico. Con l’eminenza tenar ed ipotenar della mano interna si aggancia tutto il colon ascendente av-
endo cura di scostare le anse intestinali. A questo punto si cerca di sentire dove arriva la trazione sulla mano
esterna che funge da punto fisso.
Quando si percepisce di essere sul legamento si effettua un test in allungamento meccanico diretto e se si
sente una resistenza si effettua una tecnica correttiva in modalità di allungamento meccanico diretto o me-
diante recoil nella direzione del legamento.
NB: è necessario essere ben posizionati perchè se si è scomodi non si è in grado di sentire.

5. Legamento colico frenico di sin


L’angolo colico sin è più alto e più post rispetto al dx, quindi è conveniente reperire la milza.
NB: l’angolo colico sin è sotto la milza.
Mano craniale, ci si posiziona sulla proiezione della milza
mano caudale, si aggancia il colon discendente e l’emicolon trasverso di sin. Bloccando con la mano craniale
diaframma e milza si traziona con la mano caudale verso il basso ricercando la congruenza del legamento
tra le mani (soprattutto sulla mano craniale).
In presenza
di una retrazi-
one di mobil-
ità si effettua
una tecnica
di allunga-
mento mec-
canico diretto
oppure un
recoil nella
leg colico frenico sin: milza, Test di allungamento direzione del
colon disc. e trasverso. e trattamento legamento.

6. Legamento parieto-colico esterno


È il corrispettivo del parieto-cecale esterno.

209
Mano crani-
ale, si blocca
la fossa iliaca;
mano caudale,
si prende il
margine interno
del colon iliaco.
A questo punto,
tenendo bloc-
blocco della repere del colon test di allungamento del cata la fossa
fossa iliaca iliaco interno leg. parieto colico esterno iliaca si testa in
allungamento
meccanico diretto il 7. Mesocolon
legamento ed in caso sigmoideo
di resistenza lo si trat- Ha due direzi-
ta con la medesima
Mesocolon oni di inserzi-
tecnica o mediante
sigmoideo: one:
recoil nella direzione porzione 1. orizzontale
del legamento. orizzontale che va verso il
La presa può essere margine int del
effettuata in vari colon iliaco.
modo l’importante 2. verticale
variante è essere nella giusta del mesocolon
direzione. iliaco.
Mano caudale, si prende il margine
interno del colon iliaco e lo si fissa,
mano craniale, ci si pone a livello
dell’ombelico (=punto di repere),
come posizione è più o meno
dove l’aorta si biforca nelle arterie
iliache. A questo punto andando
in profondità ci si sposta piano
piano con entrambe alla ricerca
repere margine int mano craniale a livello delle fibre che si possono andare
colon iliaco dell’ombelico ad allungare prima percorrendo
tutta la porzione orizzontale del
mesocolon iliaco e poi
la porzione verticale,
arrivando nel solco del
retto come proiezione: è
proprio in questo punto
che si scende e si pro-
cede ad allungare.
NB: è un test che ricorda
test di allungamento ricerca delle porzioni quello dell’uraco, ma è
del mesocolon orizzontale e verticale più profondo perchè si
sigmoideo devono superare le anse
intestinali e mentre
per l’uraco si andava sul pube, qui si va sulla fossetta del retto perchè è necessario contattare il colon
quando esso diventa sigmoideo.
NB: il test di allungamento può essere eseguito tutto insieme o un pezzetto per volta.
Inoltre, ai fini dell’esecuzione del test, è molto importante eseguire i test a vuoto per poi capire quando si
percepisce una sensazione di “pieno” ed allora si è veramente sulla struttura che si vuole testare.

210
porzione verticale

Test di mobilità
È un test che viene eseguito dopo la palpazione e/o dopo un test di pressione pertanto già si conosce quale
può essere la zona che ci interessa.
È un test che viene eseguito sulle singole
porzioni:
1. Cieco: una volta reperito ci si mette in
ascolto ed in un tempo di Insp si induce il test di mobilità del cieco
movimento fisiologico di discesa, RI e di incli-
nazione da dx verso sin.
Quindi in un tempo di Esp si induce il mo-
vimento fisiologico opposto cioè, salita, RE
ed inclinazione da sin verso dx. Alla fine
si valuta quanto il cieco si lascia trasportare
qualitativamente nelle due direzioni.

211
NB: la medesima cosa può essere effettuata con-
temporaneamente sul cieco e sul colon iliaco test di mobilità del
(perchè entrambi effettuano gli stessi movimenti
cieco e del colon iliaco
nelle fasi di INsp ed Esp andando solo ad invertire le
inclinazioni).

2. Colon ascendente e discendente: si reperisce il margine interno del colon ascendente e discendente las-
ciando fuori il tenue. Ci si mette in ascolto ed in un tempo di Insp entrambe le strutture scendono verso il
basso, effettuano una RE e si avvicinano alla linea mediana. Successivamente si valuta quanto si lasciano
portare in quella direzione.
Poi in un tempo di Esp le due strutture effettuano un movimento opposto e si valuta quanto si lasciano por-
tare in quella direzione.
test di mobilità colon ascendente e discendente: Alla fine si
1° e 2° modalità paragonano i
due movimenti
e si valuta se si
è in presenza di
una disfunzione
(che poi verrà
trattata).

3. Colon trasverso: conosciuta la posizione del


colon trasverso dalla palpazione e dal test di pres-
test di mobilità colon trasverso sione si posizionano le mani nelle proiezioni degli
emitrasversi di dx e di sin e ci si mette in ascolto.
Durante un tempo di Insp il colon trasverso
scende, si anteriorizza e va un poco verso sin.
Quindi si valuta quanto si fa trasportare in quella
direzione.
Durante un tempo di Esp il colon trasverso sale,
si posteriorizza e va un poco verso dx. Quindi si
valuta quanto si lascia trasportare in quella direzi-
one.
Alla fine si paragonano le due situazioni ed eventualmente, se c’è, si denomina una disfunzione nel senso
della maggiore ampiezza e la si tratta.
4. Colon retto: il test di mobilità non viene eseguito; infatti in un tempo di Insp il colon retto si verticalizza
e scende un poco eseguendo un movimento che è più in relazione con il pavimento pelvico. Pertanto sul
retto si ha più interesse ad eseguire un test tessutale. Es per Pz con emorroidi si lavora non solo sul retto, ma
anche sul fegato (se c’è una restrizione anche secondaria sul retto si tratta in allungamento).

NB: per tutti i tratti del colon in presenza di una disfunzione la si può ridurre con
1. tecnica funzionale (in relazione al tipo di Pz che si ha di fronte)
2. tecnica meccanica (in relazione al tipo di Pz che si ha di fronte)
Oppure si possono trattare prima i legamenti e poi ridurre la disfunzione.

212
Scollamenti
Sono diversi dalle aderenze.
Possono essere eseguiti sia sul colon che sul tenue.
1. Colon: a livello del colon le zone più soggette ad essere scollate sono quelle del colon ascendente e dis-
cendente perchè sono le più stabili.
Nell’eseguire il test di mobilità non si percepisce per es. un vero e proprio blocco, ma una cattiva qualità del
movimento, si ha un accollamento globale nei confronti del quale sarebbe più efficacie uno scollamento
piuttosto che una tecnica funzionale indiretta per restituirgli una libertà meccanica.
La tecnica si esegue con il Pz in decubito laterale opposto rispetto al lato da trattare. Si individua il margine
interno del colon ascendente, si aggancia la porzione di colon e si entra in profondità sganciandolo dalla
fascia di Toldt in tutte le direzioni (es. rotazione interna, esterna, etc) oppure lo si può scollare rispetto al
tenue, al cieco. Pertanto in questi ultimi due casi si spostano le mani. Dove si percepisce un accollamento si
può eseguire anche un recoil.
NB: per aiutarsi ad entrare si possono anche far piegare le gambe. La fascia di Toldt, fatta per stabilizzare, è
più facile che vada ad accollarsi piuttosto che rilasciarsi. La funzione, quindi, (=nel caso specifico il tenere)
può diventare patologia (=accollamento).

repere margine int del colon


ascendente scollamento colon ascendente
scollamento del
colon ascendente

scollamento
colon ascendente
rispetto al tenue

scollamento del
colon rispetto al
tenue e trattamento
mediante recoil

213
scollamento del
colon ascendente
rispetto alla parete
posteriore ed alla
fascia di Toldt
2. Tenue: Pz supino con l’Osteopata alle sue spalle. La presa è molto simile alla manovra dinamogenica: si
aggancia il tenue con entrambe le mani e si entra in profondità entrando in tutte le direzioni. Si può lavorare
anche con il Pz in decubito laterale: nel caso in cui si lavori sul fianco sin si può arrivare fino alla radice del
mesentere (pertanto questo può essere un lavoro di approccio alla radice del mesentere).
Controindicazioni: dolore e patologie.

scollamento del tenue anche .........

......rispetto al colon (varie modalità)


scollamento el tenue: tecnica da Nota a margine della prof.ssa Menichelli: come si
NON eseguire agli esami lavora in osteopatia? È necessario studiare in maniera
metodica, ma bisogna avere un approccio più legato
alle esigenze del Pz e del tessuto.

214
sem 5_Apparato urinario
L’apparato urinario svolge nel suo complesso una funzione emuntoria essendo deputato ad allontanare dal
circolo sanguigno e riversare all’esterno prodotti del metabolismo, in particolare, i prodotti azotati dati dalla
degradazione delle sostanze proteiche.
Inoltre rappresenta la via di eliminazione di molti ioni (sodio, potassio, fosfati) e dell’acqua. Pertanto è un
organo che interviene nella regolazione del Ph, dell’equilibrio idrosalino e della pressione sanguigna.
L’apparato urinario è formato da 2 reni a cui fanno seguito le vie urinarie. I reni sono:
deputati alla formazione dell’urina
hanno una funzione endocrina (secernendo renina, eritropoietina e prostaglandine): quindi en-
trano in relazione con altri organi.

Anatomia
I reni sono organi extraperitoneali circondati da una capsula adiposa e posti ai lati della colonna vertebrale,
a livello della cerniera dorso-lombare e delle fosse lombari, dietro al peritoneo parietale post; per questo
motivo non sono inseriti nel test dei 9 quadranti, ma in un test specifico (si apprezza bene in proiezione sag-
ittale). Hanno quindi una relazione molto importante con la colonna vertebrale, le coste e le creste iliache.
Il rene può essere palpato sia per via anteriore che per via posteriore. Mentre in passato si prediligeva la via
post perché il tragitto è più breve (ma le masse muscolari sono più marcate), oggi si preferisce un approc-
cio per via ant dove, pur essendo il tragitto più ampio le strutture da attraversare (anse intestinali) sono più
mobili.
Il rene è palpabile solo quando è ingrandito: esso appare come una massa liscia.
Rispetto al rachide la zona renale si estende dal margine inferiore di D11 al margine superiore di L3. il rene
dx è più basso del sin di circa 2 cm per il rapporto che contrae con il fegato. In termini di repere ci troviamo a
livello della zona ombelicale, ma ponendosi leggermente più in basso per la palpazione del rene dx.
Anteriormente la cartilagine di K9 è un buon punto di riferimento per la palpazione dei poli superiori.
L1 è un buon riferimento per il bacinetto renale e per la pelvi renale perché i vasi renali, in particolare l’a.
renale, esce dall’aorta subito sotto l’a. mesenterica sup. Quindi a livello di L1 si trovano bacinetto, pelvi, arte-
ria e vena renale (=ilo).
È un organo difficile da reperire e da trattare, ma di notevole importanza da un punto di vista strutturale per
la sua relazione con il sistema parietale.
È importante per l’alta frequenza di disfunzioni cui va incontro.
Infine è molto importante anche da un punto di vista emodinamico perché al suo interno passa circa il 21%
della gittata cardiaca: quindi svolge un lavoro energetico molto importante nella filtrazione del sangue, oltre
a gestire la buona circolazione dei liquidi corporei.
Ha la forma di un fagiolo lungo circa 12 cm, largo 6 cm e spesso 3 cm, di un colore rosso bruno e con un
peso di circa 150 gr.
Presenta una faccia ant convessa, una faccia post, un polo superiore (11° spazio intercostale a dx e
K11 a sin) ed un polo inferiore (a livello di L3), un margine laterale convesso ed un margine mediale con-
cavo a livello del quale si trova l’ilo renale (con arteria, vena ed uretere andando dall’alto verso il basso e dal
davanti verso dietro).
L’asse del rene è obliquo basso-avanti-fuori quindi “sposa” il decorso del m. psoas che funge da binario nei
movimenti fisiologici durante la respirazione (per es. alcuni fanno reperire il rene partendo dal reperaggio
dello psoas).
Ciascun rene è avvolto da una capsula adiposa ed è contenuto in una loggia fibrosa detta “loggia renale”
delimitata da una fascia connettivale. Quest’ultima rappresenta una differenziazione del tessuto connettivo
retro peritoneale: la fascia trasversalis, che in vicinanza del rene costituisce la fascia renale (quindi è una
continuazione della fascia trasversalis).
In corrispondenza del margine laterale del rene la fascia renale si sdoppia in due foglietti:
1. ant o prerenale: è assai più sottile di quella post ed è quasi interamente coperta dal peritoneo pari-
etale post (=fascia di Told; infatti la fascia di Told, che fissa il colon alla parete parietale post, va a rinforzare
la fascia prerenale: quindi in sostanza contribuisce alla stabilizzazione del rene) e prosegue congiungendosi
al davanti della colonna e dei grossi vasi prevertebrali con il foglietto controlaterale. In conclusione i due
foglietti anteriori dei due reni sono in continuità tra di loro.
215
2. post o postrenale: è più spesso e resistente di quello ant. Passa dietro al rene aderendo parzialmente
alla fascia dei mm. quadrato dei lombi e psoas e va a fissarsi alla superficie laterale dei corpi vertebrali e dei
dischi intersomatici corrispondenti. Anche in questo caso i due foglietti posteriori dei due reni sono in con-
nessione tra loro andandosi a fissare ai lati delle vertebre: pertanto c’è una relazione strutturale diretta
molto importante tra rene e colonna vertebrale.
NB: superiormente i due foglietti ant e post si riuniscono al di sopra della ghiandola surrenale e si fissano
al diaframma attraverso un legamento (si tratta di un legame connettivale molto forte). In basso, invece, i
due foglietti rimangono distinti: quindi ogni loggia renale è chiusa lateralmente e superiormente, invece è
aperta inferiormente e comunica con la controlaterale medialmente.
NB 2: a prescindere dall’anatomia comunque clinicamente il rene ha una facilità ad andare verso il basso.
Oltre alla fascia renale il rene è mantenuto in sede dal peduncolo vascolare (questo però da un punto di
vista medico e non osteopatico), dalla positività della pressione addominale e dalle connessioni con gli
altri organi vicini.
NB: un rene basso che ha una buona mobilità è meno problematico di un rene normoposizionato, ma che
ha perso la sua mobilità.

Rapporti anatomici
I rapporti anatomici del rene, mediati dalla capsula adiposa e dalla fascia renale, sono uguali per entrambi i
lati posteriormente, mentre sono diversi tra dx e sin anteriormente.
1. anteriormente: dx sin
lobo dx del fegato (dove c’è un impronta faccia viscerale della milza (con relativa
del rene), impronta renale),
angolo colico dx, coda del pancreas,
Du 2 ed anse intestinali borsa omentale (che divide il rene dallo
stomaco)
angolo duodenodigiunale
1. posteriormente: colonna vertebrale da D12 a L2 (D11-L3 a dx)
K11-K12: il rapporto con K11 è più forte a sin perché il rene dx è più basso. Ciò nonos-
tante c’è l’impronta della costa anche sul rene dx
diaframma
m. psoas, fascia iliaca e m. quadrato dei lombi
NB: posteriormente la palpazione del rene è resa più difficile dalla presenza delle masse muscolari. Fa eccez-
ione l’angolo costo-vertebrale, che rappresenta un punto di debolezza del m. trasverso dell’addome e del
m. quadrato dei lombi. Questa condizione rende un poco più facile l’accesso al polo sup del rene. L’angolo
costo-vertebrale è un punto riflesso di dolorabilità del rene ed è a questo livello che si esegue la manovra di
Giordano.

}
3. internamente: c’è il passaggio della catena laterovertebrale.
1. esternamente: c’è il passaggio di:
XII n. intercostale
n. ileoipogastrico giustificano quadri patologici in Pz con problemi renali
n. femorocutaneo
n. genitocrurale

Il polo sup di ciascun rene è ricoperto dalla rispettiva ghiandola surrenale che si spinge anche sul margine
mediale e sulla faccia anteriore. Questo rapporto anatomico molto stretto giustifica anche le disfunzioni
renali legate allo stress.
Il polo inf dista dalla cresta iliaca rispettivamente 3 cm a dx (circa 2 dita e mezzo) e 5 cm a sin (circa 3 dita).

Conformazione interna
Il rene è rivestito da una capsula fibrosa data da una membrana connettivale dalla cui superficie interna
si dipartono esili tralci (in cui passano vasi e nervi), che si addentrano brevemente nel parenchima renale
(similitudine con il fegato).
All’esame in sezione frontale si distinguono due zone:
1. corticale: di colorito giallastro, rappresenta la superficie dell’organo, ma si spinge anche tra le piramidi
216
con le colonne del Bertin
2. midollare: di colorito rossastro e di aspetto striato è organizzata in 8-18 formazioni coniche dette pirami-
di renali di Malpighi, che con la loro base periferica continuano nella sostanza corticale, mentre con il loro
apice sporgono con le papille renali nel seno renale. L’estremità libera delle papille (=area cribrosa) presenta
15-30 forellini (forami papillari) che corrispondono allo sbocco dei dotti papillari.
Il rene è formato da un parenchima e da uno stroma, entrambi importanti. Il parenchima è costituito da un
insieme di unità funzionali: i nefroni. Lo stroma è di natura connettivale e contiene vasi sanguigni, linfatici e
le terminazioni nervose.
Il parenchima è costituito dai nefroni ai quali è legata la funzione uropoietica (=produrre urina) e da un
sistema di dotti escretori che convogliano l’urina verso l’apice delle piramidi renali e quindi nei calici.
I nefroni sono in numero di circa 1 milione per ogni rene. Il nefrone è costituito da un corpuscolo renale (di
Malpighi) e da un tubulo renale. Inoltre si distinguono nefroni corticali (85%) e nefroni iuxtamidollari, situati
vicino alla midollare.
I tubuli renali lunghi iniziano a fondo cieco e dopo un decorso complicato terminano nel sistema dei dotti
escretori. L’estremità distale dei tubuli si dispone come un calice intorno ad un gomitolo di capillari. Il calice
prende il nome di capsula di Bowmann, mentre il gomitolo vascolare prende il nome di glomerulo. Cap-
sula e glomerulo formano insieme il corpuscolo renale.
Il tubulo presenta una prima parte detta tubulo convoluto prossimale poi una parte ad ansa detta ansa
di Henle e poi una porzione detta tubulo convoluto distale ed infine assume un andamento rettilineo
diventando dotto collettore.
I sottili dotti collettori si uniscono tra loro a formare dotti più ampi ed infine sboccano in una ampia cavità
centrale della pelvi renale, situata alla base di ciascun rene (sull’ilo).
La pelvi renale continua con l’uretere, che sbocca nella vescica.

Il glomerulo
Il sangue entra nel rene con l’a. renale (che nasce subito al di sotto dell’a. mesenterica sup a livello di
L1) che, penetrando nel parenchima renale dell’organo si suddivide in rami sempre più piccoli.
Ciascuna piccola arteria emette una arteriola afferente che forma un batuffolo di capillari: il glomerulo è av-
volto dalla parete epiteliale che forma la capsula di Bowmann.
I capillari glomerulari riescono a formare capillari venosi, si ricostituiscono a formare una arteriola efferente,
che formerà una serie di capillari peritubulari intorno al tubulo restando intimamente in connessione con
questo. Infine si riuniscono a formare i capillari venosi con cui il sangue lascia il rene.
L’intimo rapporto esistente tra il tubulo ed i capillari peritubulari permette il passaggio di materiali tra il
plasma ed il sangue nelle due direzioni.
In conclusione:
dal tubulo ai capillari avviene il riassorbimento
dai capillari al tubulo avviene la secrezione
Innervazione
È sia ortosimpatica che parasimpatica.
1. Ortosimpatico: tramite i nn. grande e piccolo splancnico: D10-L1 rene, D8-D11 surrene
2. Parasimpatico: tramite il n. vago dx dopo avere fatto sinapsi con il plesso celiaco ed il mesenterico sup.
NB: secondo alcuni testi il rene non ha una innervazione vagale.

Vascolarizzazione
Le aa. renali dx e sin sono rami dell’aorta addominale che nascono subito sotto all’a. mesenterica sup, cioè a
livello di L1.
Le vene renali drenano in vena cava inf.
NB: una particolarità è che mentre le vene testicolari, spermatica ed ovarica di dx drenano direttamente
in vena cava inf, quelle di sin drenano nella vena renale sin: ne consegue che se c’è una difficoltà di drenag-
gio a livello della vena renale sin si avranno probabilmente delle problematiche a livello della sfera sessuale
es. varicocele, dolore alle grandi labbra, impotenze.
La vena renale sin è attraversata sopra a ponte dall’a. mesenterica sup, pertanto in caso di ptosi di utero o di
tenue si avrà una trazione dell’a. mesenterica sup con conseguente problematica della vena renale sin ed a
seguire problematiche della sfera sessuale.
217
Fisiologia
La formazione di urina inizia con la filtrazione del sangue che, quasi completamente privato della sua com-
ponente proteica, attraversa le pareti dei capillari per entrare nella capsula di Bowmann.
L’urina iniziale e quella finale sono molto diverse tra loro a causa o per merito della filtrazione. Infatti l’urina
è profondamente diversa dal filtrato glomerulare perché questo, mano a mano che scorre nel tubulo viene
modificato nella sua composizione: tale modificazione avviene ad opera del riassorbimento e della filtrazi-
one.
NB: la permeabilità delle ultime porzioni dei tubuli è sotto il controllo fisiologico dell’ormone ADH (vaso-
pressina o antidiuretico) prodotto a livello dell’ipotalamo. In assenza di questo ormone la permeabilità
dei tubuli all’acqua è assai bassa e questo fa si che l’acqua diventi incapace di seguire il sodio e resti nel
tubulo per essere escreta: ne consegue la formazione di notevoli quantità di urina.
La corteccia surrenale produce un ormone, l’aldosterone, che stimola in modo specifico il riassorbimento
del sodio da parte dei tubuli distali (ed indirettamente dell’acqua). La secrezione dell’aldosterone è control-
lata da riflessi che coinvolgono i reni. Infatti:
1. le cellule specializzate della tunica intima delle arteriole interrenali sintetizzano e secernono nel sangue
una proteina detta renina, che fa si che dall’angiotensinogeno si distacchi un piccolo polipeptide,
l’angiotensina.
2. l’angiotensina è un potente stimolatore della secrezione di aldosterone surrenale.
3. l’angiotensinogeno è sintetizzato dal fegato, ma si trova sempre nel circolo ematico.
In conclusione c’è una stretta relazione tra ipotalamo, ipofisi, rene e surrene.
Cosa fa la renina?
è uno stimolatore dei nervi simpatici renali
diminuisce il volume del liquido extracellulare
riduce la quota di sodio corporeo
Nell’uomo il volume medio di liquido filtrato nella capsula di Bowmann è di circa 180 litri al giorno. Se
nell’uomo somo presenti circa 3 litri di plasma, questo vuol dire che tale volume viene filtrato dai reni circa
60 volte al giorno. Questa capacità di trattare il plasma spiega le funzioni di escrezione fondamentale di
questo organo: quindi c’è un grande lavoro svolto da questo organo e quindi un grande dispendio ener-
getico.

La secrezione di ADH e PTH


L’ADH viene prodotto da una serie di neuroni ipotalamici che con i loro assoni terminano nell’ipofisi post e
da qui viene liberato nel sangue (asse ipotalamo-ipofisi).
Le cellule ipotalamiche per poter secernere l’ADH ricevono input da numerosi barocettori vascolari, in
particolare da un gruppo di questi localizzati a livello dell’atrio sin (infatti l’atrio sin detiene il polso della
situazione della pressione sanguigna). Quindi in caso di:
1. aumento di pressione atriale i recettori venendo stimolati inducono, tramite le vie ascendenti
all’ipotalamo, una inibizione della produzione di ADH.
2. diminuzione della pressione atriale i recettori inviano segnali all’ipotalamo per incrementare la sintesi e la
liberazione di ADH.
In conclusione c’è una stretta relazione tra cuore e rene. Ma quando nell’anamnesi si trovano sintomi
renali è necessario pensare anche alle relazione con cuore, fegato, milza, duodeno, colon, fascia di Told, col-
onna vertebrale, tenue, organi genitali ed asse ormonale.
Inoltre il PTH (ormone ipercalcemizzante), secreto dalle paratiroidi e sotto il controllo diretto della concen-
trazione di calcio nel liquido extracellulare che bagna le cellule di queste ghiandole, aumenta il riassor-
bimento tubulare di calcio e ne diminuisce l’escrezione urinaria.
Quindi questa relazione può spiegare anche la sintomatologia di tipo crampiforme.

Sintomatologia
Dolore dorsale ed intercostale basso: per il SNV, il 12° n. intercostale e le relazioni con le coste.
Dolore lombare per l’aggancio della fascia retro renale sulla colonna lombare.
Dolore cervicale basso per la relazione embriologica e fasciale diretta.
Nevralgia del 12° n. intercostale, n. addomino-genitale, n. genito-crurale, n. femoro-cutaneo, n. crurale
218
e n. otturatorio. Ne consegue irradiazione ai genitali esterni, alla faccia laterale della coscia, alla faccia ant
della coscia ed alla regione mediale del ginocchio.
Contrattura bilaterale dei mm. psoas e/o quadrato dei lombi.
Prurito agli arti per accumulo di tossine provenienti dalla degradazione dei prodotti azotati (> arti inferiori:
caviglie).
Edema e gonfiore a mani ed AAII e sottopalpebrale perché c’è una cattiva gestione dei liquidi.
Sete ed oliguria per cattiva gestione dei liquidi.
Infezioni genitali per la vicinanza con intestino o per il ristagno vescicale.
Congestione pelvica.
Astenia perché la filtrazione richiede molta energia.
Ipertensione arteriosa perché è legato alla regolazione della pressione arteriosa assieme al cuore.

Fisiologia osteopatica
Mobilità renale: il rene si muove attorno ad un asse obliquo diretto basso-avanti-fuori seguendo il binario
del m. psoas.
In INsp il rene scende di 2-3 cm, si allontana dalla linea mediana, si anteriorizza e realizza una RE (la faccia
anteriore guarda verso l’esterno). A fine Insp fa una piccola RI per allungamento del peduncolo vascolare.
Questo è interessante perché nelle ptosi mediche patologiche il rene va in RI indotta dal peduncolo vasco-
lare.
Da un punto di vista osteopatico il rene dx è più in relazione con il fegato, il quadro colico ed il duodeno,
quindi ha un interesse più metabolico-digestivo. Il rene sin invece, ha più relazione con la sfera urogeni-
tale grazie alle sue relazioni vascolari con milza, ovaio ed organi genitali (per le sue relazioni vascolari).

Palpazione
Per palpare il rene ci sono due vie di accesso:
1. via anteriore: la più utilizzata. Si devono attraversare circa 1,5 cm di parete muscolare e 10 cm di organi
molli.
2. via posteriore: attraverso la parete muscolo-scheletrica spessa circa 8 cm mediante la via di accesso for-
nita dall’angolo costo vertebrale a livello di L1.

Ptosi renale
È una patologia molto frequente, soprattutto tra le donne. Infatti secondo Barral il 25% delle donne dopo i
50 anni ha una ptosi renale e con maggiore frequenza a carico del rene dx.
Ptosi renali gravi a volte danno meno sintomi di quelle lievi (un po’ come le disfunzioni di caviglia).
Le ptosi osteopatiche sono disfunzioni osteopatiche e possono non corrispondere alle ptosi di tipo medico.
Forse solo la ptosi di 3° grado corrisponde ad una ptosi medica.
Come accennato le ptosi più frequenti sono quelle a carico del rene dx: questo accade a causa della relazi-
one che esso ha con fegato, cieco e colon ascendente. Una appendicectomia può causare un’aderenza al
peritoneo parietale post e laterale. Anche il colon ascendente perde la sua mobilità. Il rene è strettamente
collegato alla fascia di Told: questo fa si che ci sia una sua trazione verso il basso. Inoltre il rene dx è in relazi-
one con il fegato. Il fegato dipende per sostegno e mobilità dal diaframma. Il diaframma per funzionare
bene ha bisogno di una adeguata plasticità pleurale. Disturbi polmonari fanno perdere al diaframma il suo
normale tono e così il fegato va in disfunzione ed il rene viene spinto dall’alto verso il basso con conseg-
uente ptosi. Per es con una di disfunzione di costa la possibilità di espansione della cavità pleurica è limitata
e questa condiziona la mobilità del diaframma. Anche una isterectomia può far si che il tenue ed il colon si
spostino verso il basso per prendere il posto dell’utero: questo comporta una trazione meccanica del rene
verso il basso.
Il rene sin è collegato al dx dalla fascia renale, ma non va in ptosi velocemente, infatti può scendere in basso
nel corso degli anni. Inoltre le cicatrici del colon sono meno frequenti.

219
Confronto tra rene dx e sin
dx sin
È più “digestivo”, cioè è più legato alle funzioni È più legato a alle funzioni urogenitali.
metaboliche vista la relazione con fegato, duodeno Non si relaziona al sistema digerente se non per uno
e colon. spasmo della flessura duodenodigiunale che il Pz
La ptosi del rene dx è maggiormente correlata al riferisce come un mal di stomaco.
fegato ed al colon ed aumenterà i sintomi intestinali Può dare problemi all’ovaio ed al testicolo.
a causa degli spasmi riflessi e delle irritazioni mec- È connesso alle disfunzioni della sfera sessuale (forse
caniche dirette. Il Pz potrà lamentare dolore al cieco in relazione al sistema circolatorio).
simile a quello dell’appendice. Ha una forte componente emotiva pertanto si può
trovare una disfunzione di rene sin in presenza di
notevoli condizioni di stress, ma più che una disfunzi-
one è espressione di un adattamento fisiologico.
Valutazione emozionale
Cosa è il rene sul piano emotivo in relazione a ciò che si è detto dal punto di vista anatomo-fisiologico?
1. eliminazione-emunzione.
2. è un organo profondo retroperitoneale quindi recherà con sé emozioni profonde
3. è un organo che richiede un grande dispendio energetico (filtra circa 180 litri di sangue al giorno);
l’energia profonda, quella di riserva che ci aiuta ad uscire dalle grandi difficoltà fisiche ed emotive
4. è legato anatomicamente alle ghiandole surrenali e quindi allo stress: si libera adrenalina in condizioni di
allarme, di fuga, di sopravvivenza
5. è legato ad emozioni profonde, vitali ed a tutto ciò che mette in pericolo la sopravvivenza: traumi gravi,
dimagrimenti rapidi, paura esistenziale profonda ed ancestrale della morte
6. paura reattiva che viene provocata da un evento vissuto con connotazione negativa
7. forte insicurezza, la persona non si sente mai al sicuro
8. paura dell’abbandono, rabbia profonda nascosta dentro ciascuno di noi: è un organo legato ai legami
familiari profondi
9. bisogno di superare se stessi
10. pessimismo e stanchezza come slancio e brio a seconda che si sia in aumentata o ridotta attività renale
11. alcune forme depressive possono essere correlate a problemi renali
12. ci sono poi differenze emozionali tra il rene dx e quello sin: il dx è legato alla rabbia per le connessioni
con il fegato e la colecisti, ma è una rabbia profonda, covata all’interno. Il sin è legato alla sfera urogenitale
quindi è legato alla genitorialità ed al rapporto genitori-figli.

Pratica
I reperi teorici della zona renale sono:
1. D11-D12/L3 posteriormente
2. K9 anteriormente (dove si trova il polo superiore)
3. pelvi renale a livello di L1
4. polo inferiore a livello di L3 (zona ombelicale)
5. il rene dx è più basso del sin che si trova a livello dell’angolo duodenodigiunale.

220
Palpazione
Ci si posiziona leggermente
al di sotto dell’ombelico, tra il
margine laterale di Du 2 ed il
colon ascendente come zona
di proiezione.
La mano sin è posta posterior-
mente tra la 12° costa, la cresta
iliaca e la colonna lombare in
modo da anteriorizzare il rene
quando si va ad effettuare la
palpazione così da avere un
migliore accesso al polo inf.

Con la mano dx si inizia ad entrare in profondità superando il piano peritoneale ed orientandosi sul binario
dello psoas per poi risalire leggermente, mentre contemporaneamente con la mano post si cerca di anteri-
orizzare. Si scende in profondità per palpare, ma a meno che non ci sia una problematica il rene difficilmente
sarà facilmente palpabile. Si dovrà ricercare una consistenza liscia ed una forma che ricordi il polo inf di uno
“pseudo fagiolo”.

mano sin mano dx


Per il rene sin ci si pone a sin e si reperisce l’angolo duodenodigiunale con direzione dentro-dietro (verso il
margine mediale dell’addome). Poi ci si dispone leggermente di lato rispetto all’angolo duodenodigiunale
(pertanto si è più alti rispetto a quanto fatto per il rene dx) e con la mano dx disposta posteriormente tra
la 12° costa, la cresta iliaca e la colonna vertebrale lombare si anteriorizza il rene in modo da facilitarne la
palpazione anteriormente.
NB: la palpazione della loggia renale deve essere preceduta da una palpazione più grossolana dell’addome
in modo da escludere masse e quanto altro non sia fisiologico.
la prof cambia mano
perché ha iniziato
mani
corrette

repere dell’angolo direzione dentro-dietro


duodeno digiunale
il test a dx del Pz
Test di pressione
Mano disposta anteriormente come visto per il reperimento con tenar ed ipotenar a livello del polo inf del
rene. Si va a sentire la resistenza tessutale della loggia renale nella direzione del rene dx e sin.

221
rene sin

La difficoltà del test di pressione è il suo inserimento nell’ambito del test dei 9 quadranti, infatti si possono
avere varie zone renali.
Es 1: se si sta testando ipocondrio sin e non è stomaco, né milza, né angolo colico, si deve pensare che a liv-
ello di tenar-ipotenar molto posteriormente c’è una parte del polo sup del rene. Quindi a questo punto vale
la pena inserire un test sul rene.
Es 2: se si ha positivo un fianco sin alla palpazione dell’addome, ma la sensazione di resistenza è maggiore a
livello mediale, in zona tenar allora vale la pena inserire un test sul rene.
Es 3: se al test di pressione dei 9 quadranti ho un mesogastrio positivo che non è superficiale, non è duo-
deno, né pancreas allora si deve valutare se possa essere rene.
Es 4: se al test di pressione dei 9 quadranti si ha una fossa iliaca positiva e testando i vari visceri non si per-
cepisce nulla allora ci si può mettere nella posizione del rene.
NB: se si è nella giusta direzione del rene si ha una sensazione di pieno.
Il test di pressione dei 9 quadranti precede la palpazione perché in questo modo vado a valutare solo ciò
che ha attirato l’attenzione della mano dell’osteopata.

222
Test di mobilità
Si parla di mobilità del rene in termini di ptosi. In realtà non c’è concordanza tra ptosi medica ed osteopatica.
Infatti per i medici la ptosi vuol dire perdita della posizione del rene mentre per l’osteopata è una perdita di
movimento. La ptosi di 3° grado è in realtà già una ptosi di posizione, infatti nel repere si può trovare un rene
più basso rispetto a quello che ci si sarebbe aspettato.

INsp > scende, si allontana dalla linea Esp > sale, si avvicina alla linea
mediana, si anteriorizza e fa una RE mediana, si posteriorizza e fa una RI
Ptosi di 1°: se si inizia con un test di pressione come ingresso il problema non si pone perché avendo già
testato e bilanciato si è sicuri che il problema sia proprio lì. Allora ci si pone sul livello della mobilità e si sente
che in Insp il rene scende un poco di più rispetto a quanto dovrebbe fare un rene normale, ma comunque
risale anche.
Ptosi di 2°: è un rene che in INsp scende, si allontana dalla linea mediana e si anteriorizza. Durante l’espiro
ha una netta disfunzione di mobilità in quella direzione di risalita verso la linea mediana.
Ptosi di 3°: è un rene che in INsp scende oltre la capacità del peduncolo vascolare che, a questo punto, lo
traziona all’interno facendo fare una RI e perdendo il binario dello psoas. Pertanto al test di pressione il rene
è già più basso. Al test di motilità in INsp scende, ma fa una RI e va verso la linea mediana; in Esp ha una
netta restrizione a tornare verso la posizione iniziale.
NB: pertanto al test di mobilità l’unico dubbio può essere con la ptosi di 1°, gli altri due tipi di ptosi danno
informazioni molto chiare.

Manovra di Giordano
È una manovra medica, diagnostica. È una percussione sull’angolo costo-vertebrale, mettendo una mano
come interposizione per attutire il colpo, in modo da creare una vibrazione.
Il test è positivo al dolore: pertanto si può considerare già la presenza di una componente di irritazione delle
fasce e quindi il trattamento richiederà cautela, oppure in presenza di altri sintomi, sarà bene inviare il Pz dal
medico per gli appositi approfondimenti del caso.

223
Angolo costo-vertebrale o “punto di Guyon”
È un punto riflesso del rene (che abbiamo già visto per i
pilastri del diaframma e per il riflesso vescicolare).
Ci si posiziona con il pollice e si effettua una compressione
con direzione avanti-dentro verso il polo sup del rene (con
i pilastri si andava più verso la vertebra, mentre con la vesci-
cola biliare si va più in avanti ed un poco in alto).
È positivo al dolore, ma per essere indicativo di problem-
atica renale devono esserci altri elementi positivi: es test
di pressione, test di mobilità. È un punto di accesso della
fascia retrorenale.

Lavoro sulle fasce


Fascia postrenale
1° modalità: Pz in decubito
laterale con le gambe flesse. Si
posiziona il pollice della mano
caudale a livello dell’angolo
costo-vertebrale ed il gomito sul
gluteo, mentre con l’altra mano si
prende il Pz.

L’intento è quello di andare a lavorare nell’angolo costo-vertebrale ed andare a creare un rilassamento a


questo livello. Si può lavorare o prima con la leva sup e poi quella inf, o viceversa, o con entrambe andando
a cercare gli srotolamenti che consentono di entrare più facilmente nell’angolo costo-vertebrale e creare un
rilassamento tessutale.

mano craniale_presa 1 mano craniale__presa 2

Si può agire con la


vibrazione, con lo
srotolamento, in
dondolio con il Pz.
Importante è entrare
in risonanza” con il
Pz il più possibile in
modo da riuscire ad
“ammorbidire” il tes-
suto.

224
mano craniale__presa 1

gambe__simil chiusura
in chiave

mano craniale__presa 2

f è riduttivo lavorare solo con il dito invece che con tutto il


corpo del Pz

2° modalità: Pz in decubito prono. L’Osteopata è con il pollice della mano esterna sull’angolo costo-
vertebrale, mentre con l’altra mano prende l’AI corrispondente del Pz, ed effettua una compressione fino
all’angolo costo-vertebrale. Ora ci sono varie possibilità:
a. srotolamento fasciale
dell’AI mantenendo il
punto fisso sull’angolo
costo-vertebrale,
b. vibrazione utilizzando
l’AI mantenendo il punto
fisso sull’angolo costo
vertebrale. NB: bisogna
entrare in risonanza con
il Pz per poter scegliere la vibrazione a lui più idonea (lat-lat oppure alto-basso). Quando è corretta si
deve sentire solo fluidità senza resistenza.

225
3° modalità: Pz in
decubito supino con
il pugno della mano
posizionato a livello
dell’angolo costo-
vertebrale del lato
corrispondente.

L’Osteopata prende l’AI del Pz, flette il ginocchio, esegue una RE dell’anca e riporta l’arto in basso fuori dal
lettino oppure disteso sul lettino.

NB: in questo modo si effettua una specie di srotolamento dell’angolo costo-vertebrale (o meglio della fas-
cia renale).
4° modalità: il Pz è seduto e la tecnica da es-
eguire è la stessa di quella utilizzata per lo sro-
tolamento dei muscoli paravertebrali (= pilastri)
con direzione avanti-alto-dentro. presa 1 presa 2

226
Fascia Prerenale
Il Pz è in decubito supino.
L’Osteopata si posiziona con la
mano esterna sul rene, mentre
con la mano interna aggancia l’AI
da sotto il ginocchio. Dopo avere
effettuato una compressione dell’AI
fino al rene si può procedere in due
modi:
1° modalità: srotolamento dell’AI
2° modalità: vibrazione. È importante trovare la direzione e la frequenza di vi-
brazione.

Riduzione delle disfunzioni renali


Ptosi di 1° grado
È una condizione in cui il rene scende un poco di più del
normale, ma comunque risale.
Si può procedere con una tecnica:
1. diretta basata sulla respirazione per re-informare il
rene verso alto-dentro e RI. L’Osteopata si posiziona sul
rene così come farebbe per un test di mobilità o di pres-
sione. Quindi si mette in ascolto e
quando il Pz INsp non fa scendere il rene, mentre
quando il Pz Esp lo porta verso alto-dentro e RI
sull’asse del rene. Si ripete fino a che si percepisce che
il tessuto ha avuto una soddisfacente re-informazione
tessutale
2. recoil: eseguito sul polo inf (tecnica descritta sul libro di Pagliaro, ma non chiesta agli esami).
Ptosi di 2° grado
È una condizione in cui il rene ha una netta discesa, RE ed allontanamento dalla linea mediana. Si può pro-
cedere alla correzione di questa disfunzione anche in questo caso con una tecnica:
diretta basata sulla respirazione (=inspiro ed espiro): per re-informare il rene verso alto-dentro e RI.
L’Osteopata si posiziona come per il test di pressione o di mobilità. Poi si mette in ascolto ed in INsp non fa
227
scendere il rene, mentre in Esp con una certa “intenzionalità” porta il rene alto-dentro-RI, il tutto eseguito in
più tempi respiratori.
Ptosi di 3° grado
È una condizione più difficile nella quale si deve re-informare il rene a tornare verso alto-dentro-RI verso la
linea mediana. In realtà il rene è già andato in ptosi di 3° grado in RI. Quindi all’inizio l’Osteopata deve dare
l’informazione di RE ed allontanamento dalla linea mediana re-informando il contatto tra il rene ed il suo
binario: rimettendoli in sintonia.
Si procede così:
all’inizio si è già reperito il rene più in basso e più vicino alla linea mediana. A questo punto si fa l’ascolto
mettendo la mano più in basso rispetto alle ptosi di 1° e 2° grado e si procede come segue:
1. si esteriorizza meccanicamente il rene portandolo in RE e si mantiene questa posizione per tutta la durata
della manovra
2. si chiede al Pz una lieve contrazione isometrica dell’anca contro il braccio dell’Osteopata, mentre
quest’ultimo mantiene il rene in RE
3. si chiede poi al Pz di INsp e l’Osteopata non fa scendere il rene. Nell’Esp invece l’Osteopata porta il rene in
alto. Si può aggiungere durante un’apnea INsp una vibrazione per informare ulteriormente
contrazione
isometrica
dell’anca con- in Esp
tro il braccio in INsp l’Osteopata
dell’Osteopata l’Osteopata non porta il rene
rene in RE ed al- fa scendere in alto
lontanamento dalla il rene
linea mediana

4. si può terminare la manovra


di re-informazione distenden- attivazione
do l’AI e sollevando il capo così dell’addome
la parte ant dell’addome aiuta alzando la testa
a riposizionare e mantenere il distensione dell’AI
rene nella posizione corretta.

Uretere
È un condotto muscolo-membranoso retro peritoneale lungo circa 27-30 cm, che dal bacinetto renale (L1)
scendendo antero-lateralmente alla colonna vertebrale (L3-L5) con decorso obliquo in basso-dentro (da-
vanti alle ali sacrali) ed arriva a livello della porzione post-sup della vescica.
Presenta 3 restringimenti anatomici, che si formano quando l’uretere entra in relazione con le strutture lim-
itrofe. Sono detti punti ureterali e sono profondi perché l’uretere è retroperitoneale:
superiore: a livello del bacinetto renale
medio
inferiore
Sono strutture retro peritoneali che riposano sulla fascia iliaca e dello psoas, incrociando in alto il n. geni-
to-femorale ed il n. femoro-cutaneo.

228
L’uretere dx è in relazione con L’uretere sin è in relazione con
Du 2 l’angolo duodenodigiunale
le anse intestinali le anse del tenue
l’ileo terminale il colon iliaco
l’a. iliaca esterna la vena cava inf
i vasi ovarici e testicolari. l’a. iliaca primitiva
i vasi spermatici ed ovarici di sin.
Relazioni
Uomo: è in relazione con l’a. otturatoria, il m. otturatore int e l’elevatore dell’ano.
Donna: è in relazione con l’ovaio, che lo ricopre ed aderisce al leg largo prima di giungere a livello viscerale.
In basso entra in relazione con i nn. genito-crurali ed otturatorio.
NB: in entrambi i lati l’uretere è in contatto con il retto.
La progressione dell’urina, dall’uretere verso la vescica, avviene non in maniera passiva, ma attiva, attraverso
la contrazione della muscolatura spiraliforme dell’uretere che favorisce una progressione a getto dell’urina
verso la vescica.

Vascolarizzazione
Gli ureteri sono vascolarizzati da:
rami dell’a. renale
a. iliaca primitiva
a. ovarica/testicolare
a. utero-ovarica
sistema venoso ipogastrico

Innervazione
Ortosimpatica: D10-D12
Parasimpatica: craniale con n. vago (dx >sin) attraverso il plesso celiaco e renale
sacrale

Sintomi
Sono caratterizzati da dolori:
ant > sulla parete addominale
post > a livello dei mm. psoas, quadrato dei lombi e zona lombo-sacrale
pube e testicoli, piega inguinale gn. genito-crurale
anca e ginocchio gn. otturatorio

Reperi
Si parte dalla proiezione del bacinetto renale (L1) fino all’arrivo dell’uretere sul margine post-sup della
vescica (sovrapubico), antero-lateralmente rispetto alle vertebre.
Osteopaticamente la valutazione dell’uretere viene fatta analizzando, come in medicina, i punti ureterali
(che in medicina sono diagnostici).
1. Sup: a circa 7 cm dall’ilo renale. Si
trova a livello ombelicale lateralmente
al margine esterno dei mm. retti
dell’addome.

229
2. Inf: sovrapubico. Si è a livello dei tubercoli pubici, un
poco lateralmente.

3. Med: si trova a metà strada tra il


punto ureterale sup ed inf.

Test di pressione
Pz supino. L’Osteopata
è sul lato dx e posiz-
iona i 2 pollici lat ai retti
dell’addome andando
molto post (verso il let-
tino) al fine di percepire
un’eventuale resistenza
tessutale a livello dei
direzione_verso
punti ureterali sup e me- dietro
dio. Per il punto ureterale
inf si scende anche un po’ punto ureterale sup_test di pressione
meno.

punto ureterale inf_test di pressione_verso


dietro ma meno che gli altri due

punto ureterale med_


test di pressione_
verso dietro

230
In caso di riscontro di più punti posi-
tivi si fa un test di bilanciamento. Se
le positività sono vicine tra loro per
es. superiore e medio di dx si può fare
un test di allungamento meccanico
diretto.

Trattamento
punto ureterale sup punto ureterale med Si può procedere in vari modi:
1. se la positività è di un solo punto si
può fare:
recoil
srotolamento dell’AI: avendo un
punto ureterale inf punto ureterale inf punto fisso sul punto ureterale di
interesse con la presa a pinza e man-
tenendo la compressione

srotolamento dell’AI

vibrazioni
ponsage
2. se la positività è di due punti
consecutivi sullo stesso lato, dopo
aver fatto un test di allungamento
meccanico diretto, si procede con
una tecnica di allungamento
meccanico diretto.
Controindicazioni: in linea di
massima la prof.ssa dice che lei
comunque tratta, però cambia la
tecnica di allungamento modalità di approccio, rispettan-
recoil meccanico diretto do la mobilità tessutale.
Anno 6 sem 1

Il cuore_ Richiami di embriologia


il sistema cardiovascolare è di origine mesodermica ed è il primo apparato funzionante;
il primitivo tubo cardiaco presenta onde di contrazione peristaltiche a partire dal 22° giorno dopo la 4 set-
timana, circa, di vita intrauterina.
Il sangue circola nell’embrione e viene inviato alla placenta e al sacco vitellino.
All’inizio è un ammasso di cellule embrionali speciali che va a costituire la parte toracica, ed in cui si differen-
231
zieranno 2 tubi cardiaci primitivi che si arrotolano tra loro e vanno ad occupare la parte centrale mediastinica,
strizzandosi tra loro; questo perché devono formare tessuto specifico e non specifico costituendo la parte
interna del cuore con atrii e ventricoli. È così che si predispongono al centro del mediastino.
Durante la 4°-5° settimana di vita intrauterina: il tubo cardiaco si strizza e si divide nelle 4 camere con il
circolo sistemico a sin e quello polmonare a dx, facendo partire l’impulso alla contrazione.
La circolazione polmonare è molto ridotta in ragione degli scambi gassosi a livello della placenta mentre le vie
aeree sono occupate dal fluido amniotico.
Ad ogni sistole segue una diastole.
La circolazione si divide in piccola e grande circolazi-
one: tramite il sistema delle vene cave il sangue viene
portato in atrio dx, da qui passa nel ventricolo dx, poi
tramite la arteria polmonare si dirige nei polmoni, per
andare ad ossigenarsi (piccola circolazione).
Dai polmoni tramite il sistema delle 4 vene polmo-
nari il sangue ossigenato torna all’atrio sin del cuore
e da qui si porta poi al ventricolo sin.
Dal ventricolo sin tramite l’aorta viene inviato in circolo
(grande circolazione).
Il sangue bypassa i polmoni non funzionanti attraverso
due deviazioni temporanee:
la prima è situata tra i due atrii (forame ovale)
la seconda è situata tra il tronco polmonare e l’arco aor-
tico (dotto arterioso).
Il sistema circolatorio fetale si trasforma in adulto con il primo atto respiratorio.
Nella vita intrauterina le camere atriali comunicano tra loro tramite il foro di Botallo, foro che in teoria si
dovrebbe obliterare alla nascita del soggetto.
In caso di mancata obliterazione siamo di fronte ad una patologia del forame ovale o ad un soffio cardiaco,
presente spesso nel 1 anno di vita, ma non si esclude che sia presente anche dopo.
Ha inizio così la 1 circolazione polmonare e la 1 circolazione sistemica dove in condizioni normali fisiologiche
non c’è più comunicazione tra atrio sin e atrio dx.
Tra atrio dx e ventricolo dx, tra atrio sin e ventricolo sin, così come tra ventricolo dx e arteria polmonare, e tra
ventricolo sin ed aorta ci sono le valvole: esse servono a mantenere il flusso ematico unidirezionale.
Il cuore è l’organo centrale dell’apparato circolatorio.
È situato nella cavità toracica tra i due polmoni in uno spazio denominato MEDIASTINO.
È alloggiato nella depressione del polmone sin detta fossa cardiaca. Ha forma di cono tronco.
La base è rivolta in alto-dietro-dx: essa comunica con i grandi vasi cioè la vena cava superiore, il tronco
polmonare e l’aorta disposta al centro.
L’apice è diretto in avanti-basso-sin. Il suo asse maggiore è obliquo in avanti-basso-sin poiché il pe-
duncolo vascolare è più spostato verso dietro rispetto all’apice cardiaco. Lo racchiude in avanti la parete ant
del torace (sterno e cartilagini costali dalla 3° alla 6°).
Riposa con la sua faccia post-inf sul diaframma che lo separa dai visceri addominali.
Superiormente continua con i grossi vasi che formano il peduncolo del cuore e sono da dx a sin: vena cava
superiore, aorta e tronco polmonare.
Il cuore è contenuto in un sacco fibrosieroso il pericardio (foglietto di tessuto connett fibroso che avvolge
il cuore e che lo fissa al diaframma isolandolo al contempo dagli organi vicini) che ha un’azione protettiva.
Il pericardio in alto si estende a rivestire il primo tratto dei grossi vasi.
Ha un foglietto parietale e uno viscerale: tra i 2 foglietti c’è la presenza del liquido pericardico
Attenzione alle pericarditi da streptococco (esami clinici da fare: TAS (titolo antistreptolisinico); VES;
PCR; globuli bianchi).
Pesa tra i 280 e 340 gr nel maschio e tra i 230 e i 280 gr nella femmina.
Il volume del cuore varia in relazione al sesso, età, attività sportiva praticata, conformazione fisica del Pz.
È paragonabile al pugno del Pz

232
Rapporti anatomici
Faccia ant o sternale: è in rapporto con la superficie posteriore del corpo dello sterno e con le cartilagini dalla
3° alla 6°
Il margine ottuso è in rapporto tramite la pleura mediastinica con la faccia mediale del polmone sin che lo
accoglie in una depressione detta FOSSA CARDIACA
Nella faccia sup del cuore si ha lo sbocco dei vasi
Nella faccia inf abbiamo il rapporto con il diaframma. Essa riposa, infatti, sul centro tendineo del diaframma
tramite il quale ha rapporti con: lobo sin del fegato in avanti e con il fondo dello stomaco a sin.
La faccia post è in rapporto con: trachea, stomaco, vene azygos, polmone dx, esofago, aorta e nn. vaghi,
colonna vertebrale.
La base ha rapporti, a dx, tramite la pleura mediastinica con la faccia mediale del polmone dx;
a sin contrae rapporti con l’esofago e il vago di sin
L’apice del cuore si volge avanti-sin: ha rapporti con la parete ant del torace mediato dal margine ant del
polmone sin. Sul torace l’apice del cuore corrisponde al 5° spazio intercostale a sin a circa 6 cm dalla linea
mediosternale ovvero 1 cm all’interno della linea emiclaveare sin.

Aia cardiaca
Sul torace l’aia cardiaca ha una forma quadrilatera.
Margine dx: linea che parte dal margine superiore della 3° cartilagine costale dx 1-2 cm dal margine dello
sterno e giunge fino alla 6° cartilagine costale dx
La valvola aortica e la tricuspide la andremo a sentire rispettivamente tra il 2° e il 5° spazio intercostale dx
(o 6 cartilagine costale dx); le valvole le troviamo abbastanza mediali, quindi seguono le proiezioni dei vasi;
poi dipende molto dalla corporatura del soggetto.
Le valvole polmonari le testiamo a livello della 2 cartilagine costale sin laddove c’è anche lo sbocco dei grandi
vasi; a livello del 5° spazio intercostale sin ausculteremo la mitralica e l’itto della punta (capacità dell’apice del
cuore di sbattere contro la gabbia toracica).
Il margine inf dell’aia cardiaca è dato da una linea che unisce l’estremità del margine dx di K6 all’apice del
cuore situato in proiezione del 5° spazio intercostale sin.
Questa linea passa per l’articolazione xifo-sternale.
Il margine sin: è rappresentato da una linea che partendo dall’apice del cuore si porta in alto e medialmente
raggiunge un punto situato al 2° spazio intercostale sin situato ad 1 o 2 cm dal margine dello sterno.

Struttura del cuore


Le pareti del cuore sono formate per la maggior parte da tessuto muscolare striato detto miocardio comune.
233
Nelle compagini del miocardio comune si trovano formazioni muscolari specializzate che formano il sistema
di conduzione del cuore e sono dette miocardio specifico.
Il miocardio comune si dispone in fasci che si inseriscono su uno scheletro fibroso detto scheletro del cuore.
A questo stesso si attaccano i lembi valvolari.
Le pareti del cuore sono rivestite esternamente dal foglietto viscerale del pericardio detto epicardio,
Internamente le pareti sono rivestite da endocardio.

Configurazione esterna
il solco atrio-ventricolare o coronario a decorso trasversale divide la porzione atriale da quella ventricolare.
Questo solco è visibile in tutta la sua estensione sulla faccia post-inf mentre sulla faccia ant è nascosto in parte
dalle origini del tronco polmonare e dall’aorta.
Solco interatriale: a decorso longitudinale si estende dal solco coronario alla cupola atriale e separa l’atrio
destro da quello sin.
2 solchi longitudinali ant e post (o solchi interventricolari) si estendono dal solco coronario all’apice del
cuore e dividono i 2 ventricoli.

Configurazione interna
Il cuore è un organo cavo suddiviso in due metà indipendenti. Ogni metà comprende due cavità: quella sup è
detta atrio e quella inf è il ventricolo.
Ciascun atrio comunica con il ventricolo sottostante attraverso l’orifizio atrioventricolare.
Invece i due atri e i due ventricoli sono separati da sepimenti di differente spessore e costituzione, i sopracitati
setti interatriale ed interventricolare.

I 2 orifizi atrio-ventricolari dx e sin sono provvisti di valvole cuspidali che permettono il passaggio del sangue
dall’atrio al ventricolo e si oppongono al reflusso (valvole unidirezionali).
La base del cuore presenta inoltre l’origine delle rispettive arterie (aorta e tronco polmonare) con le
quali comunicano attraverso due orifizi muniti di valvole semilunari.
Queste permettono il passaggio del sangue dai ventricoli verso i due tronchi arteriosi e ne impediscono il
reflusso.

Atrio dx
Sbocchi vene cave: vena cava inf: valvola di Eustachio
Sbocco del seno coronario: valvola di Tebesio
Orifizio atrioventricolare: valvola tricuspide

Ventricolo dx
Orifizio polmonare: ha contorno circolare e apparato valvolare costituito da tre valvole semilunari (anteri-
ore, dx e sin). Le valvole semilunari sono pieghe membranose a forma di nido di rondine

Atrio sin
Minor volume e maggior spessori delle pareti rispetto all’atrio dx.
4 vene polmonari (2 per lato) si aprono nella parete post-sup dell’atrio. I 4 orifizi sono privi di valvole.
Orifizio atrioventricolare: valvola bicuspide o mitrale

Ventricolo sin
Capacità di circa 180 ml
Orifizio atrioventricolare sin o mitralico: con la valvola mitrale o bicuspide
Orifizio aortico con valvole semilunari aortiche
Le superfici interne dei ventricoli presentano dei rilievi muscolari
detti trabecole carnee, che sporgono nelle cavità ventricolari
Le trabecole carnee sono di 3 ordini
Quelle di 3° ordine aderiscono completamente alla parete del ventricolo
Quelle di 2° ordine sono fissate alla parete solo con le loro estremità
Quelle di 3° ordine sono i muscoli papillari e dalla loro sommità originano le corde tendinee che si fissano al
234
margine libero delle cuspidi valvolari

Atrio dx Atrio sin


orifizio atrioventricolare dx > valvola tricuspide orifizio atrioventricolare sin o mitralico > valvola
orifizio per la vena cava inf > valvola di Eustachio mitrale o bicuspide
orifizio per il seno coronario > valvola di Tebesio 4 orifizi per le vene polmonari > privi di valvole

Ventricolo dx Ventricolo sin


Orifizio polmonare > 3 valvole semilunari orifizio aortico > valvole semilunari aortiche
Pericardio
È un sacco fibrosieroso che contiene il cuore ed il tratto iniziale dei grossi vasi
Vi si considera: parte esterna o p. fibroso e parte interna o p. sieroso
Il pericardio fibroso si presenta come una lamina di connettivo denso che in basso aderisce al diaframma e si
estende a formare tratti fibrosi che lo uniscono agli organi vicini.
Questi tratti costituiscono i legamenti del pericardio
Il pericardio è in relazione funzionale con: ipocondrio; leg gastro-frenico; leg triangolare di sin del fegato (pos-
sibilità di fare una relazione con la catena fasciale crociata che si porta sulla zona dx del Pz); leg freno-colico
sin; milza; angolo colico sin.

Legamenti del pericardio


1) sterno-pericardici
2) vertebro-pericardici
3) freno-pericardici

Leg sterno-pericardici
Sono quelli che andremo a testare: si estendono dallo sterno al pericardio
Leg sup: si estende dalla parte ant e sup del pericardio alla faccia post del manubrio sternale (quindi il peri-
cardio ha un grosso prolungamento verso l’alto formando il leg sternopericardico sup). Esso ha un grosso
contatto con i grandi vasi
Leg inf detto anche xifo-pericardico: si estende dalla porzione ant-inf del pericardio alla base del processo
xifoideo.
Clinica: se troviamo in tensione i leg sterno-pericardici dobbiamo pensare che oltre ad esserci una problem-
atica cardiaca interna, c’è di sicuro anche una problematica disfunzionale legata ad una scorretta fisiologia del
cuore.
Pensiamo alla lamina tiro-pericardica quando abbiamo un Pz che lamenta dolore allo ioide, alla mandibola,
mm. sottoioidei.
Spesso un dolore al rachide cervicale può essere causato da una tensione al pavimento della bocca, una
problematica disfunzionale della loggia viscerale del collo e delle strutture in essa contenute, ATM.
Se troviamo una disfunzione sui leg sterno-pericardici e freno-pericardici, attenzione, poiché ci potrebbe
essere una disfunzione di struttura oltre che una disfunzione cardiaca.
Pensiamo inoltre al massiccio facciale, alla loggia viscerale del collo e alla loggia vascolare.
Se troviamo tensione sulla lamina tiro-pericardica, e sui leg sterno-pericardici sicuramente da un punto di
vista osteopatico li andiamo a testare, ed oltre a pensare che ci può essere dietro ciò una problematica di tipo
cardiaco (che in tal caso si manifesta con dolore allo ioide e alla mandibola e sottoioidei), sicuramente ci può
essere anche una problematica di tipo disfunzionale e quindi di interesse osteopatico.
Se troviamo disfunzioni legamentose più sui leg sterno-pericardici e sui freno-pericardici ci può essere una
disfunzione a livello cardiaco e di struttura su questi legamenti.
Se in una clinica trovo positivo al test il leg sterno-pericardico sup con la loggia viscerale del collo, posso
eseguire il test di inibizione e discriminare la causa della problematica se è alta o bassa.
Tenere sempre presente tutto il discorso fatto riguardo l’aponeurosi media e superficiale.
Sempre a livello clinico bisogna tenere presente che ci può essere un Pz che viene con dei sintomi che si
discostano da quelli tipici di un infarto: es dolore che sale e si irradia fino al ramo mandibolare e magari non
presenta dolore toracico; questo avviene per una continuità fasciale.
235
Il leg freno-pericardico lo metteremo in relazione con l’ipocondrio sin, quindi con stomaco, esofago; ma c’è
una relazione importante anche con il leg triangolare di sin del fegato
.
mandibola
mm. sottoioidei
ioide

leg sterno-pericardici > lamina tiro-pericardica


leg sterno-pericardici + lamina tiro-pericardica > problema cardiaco, ioide,
mandibola e mm. sottoioidei
leg sterno-pericardici + freno-pericardici > disf cardiaca
disf di struttura > massiccio facciale,
loggia viscerale e vascolare del collo
leg freno-pericardici > ipocondrio sin, stomaco, esofago,
leg triangolare sin del fegato

dolore al rachide cervicale> pavimento della bocca, loggia


viscerale del collo + visceri
ATM
Leg vertebropericardici
Dalla fascia cervicale profonda
fino a D4 D5 vanno ad inserirsi
nel pericardio lateralmente
ai grossi vasi, sulla faccia an-
teriore dei corpi vertebrali in
rapporto con il legamento
longitudinale anteriore. Ciò è
importante poiché ci indica
il rapporto con il tubercolo
faringeo a livello dell’apofisi
basilare dell’occipite.

1) Porzione superficiale (le-


gamenti vertebropericardici
superficiali): origine più verti-
cale da C6-C7 arriva alla parte
superiore e posteriore del
pericardio; essi sospendono
verticalmente il cuore.
2) Porzione profon-
da (leg vertebroperi-
cardici profondi) più
orizzontale va da C7
/D 1 fino a D4 e
prende rapporto con trachea, esofago fino ai peduncoli polmonari.

Se troviamo una tensione di questi legamenti a che cosa pensiamo?


Ai leg vertebro-pericardici profondi. Infatti, i leg vertebro-pericardici profondi per continuità fasciale entrano
in contatto con cuore ma anche con il cranio, tramite il rapporto con il tubercolo faringeo (asse aponeurotico
centrale): se ad es abbiamo un cranio in disfunzione di estensione potremo trovare tensione su questi lega-
menti. Quindi in collegamento a ciò pensiamo alle varie disfunzioni di volume.
È opportuno controllare i mm. pterigoidei e il velo palatino per quanto concerne il rapporto con i leg verte-
236
bropericardici superficiali

Leg freno-pericardici
Sono brevi tratti fibrosi che rafforzano l’aderenza del pericardio fibroso al diaframma
Si distinguono in:
Anteriore
Laterale dx e sin
Vanno dal diaframma (5° spazio intercostale) al margine inf del pericardio (cuore)
Clinica: quando troviamo i freno pericardici tesi possiamo pensare o ad una disfunzione osteopatica o prob-
lematica di fegato, di stomaco o dei mm. intercostali.

Richiami generali
Nell’apparato circolatorio si considerano due sezioni:
Grande circolazione o circolazione generale
Piccola circolazione o circolazione polmonare
GRANDE circolazione:
Ventricolo sin-aorta-vasi capillari-venule-sistema delle vene cave-atrio dx–ventricolo dx
PICCOLA circolazione:
Ventricolo dx-tronco polmonare-arterie polmonari-polmoni-4 vene polmonari-atrio sin-ventricolo sin.

Fisiologia: attività elettrica


La contrazione del muscolo cardiaco come ogni altro muscolo è scatenata dalla depolarizzazione delle sue
cellule tramite il pacemaker detto NSA, Nodo Seno Atriale, (localizzato a livello dell’atrio dx del cuore)
Le masse ventricolari devono contrarsi simultaneamente affinchè l’azione di pompaggio risulti efficiente
Inoltre serve coordinazione tra contrazione degli atri e del rispettivo ventricolo
Tale coordinazione è resa possibile da due fattori:
1) le giunzioni discontinue che permettono il propagarsi dell’impulso da una fibra all’altra e cosi da un punto
a tutto il cuore
2) il sistema di conduzione del cuore
Alcune aree del cuore possiedono autoritmicità ovvero hanno la capacità di eccitarsi spontaneamente in
modo ritmico.
La zona dotata di ritmicità intrinseca a più alta frequenza è data da un ammasso di cellule miocardiche
specializzate presenti nella parete dell’atrio destro in prossimità dello sbocco della vena cava sup.
Questo ammasso è chiamato nodo senoatriale (NSA): le cellule del nodo seno atriale prendono contatto
con le fibre miocardiche dell’atrio dx così l’ onda di eccitamento si diffonde a tutto l’atrio e tramite le fibre
specializzate anche all’atrio sin quasi simultaneamente, così la contrazione dei 2 atrii risulta praticamente
simultanea.

Alla base dell’atrio dx assai vicino al setto interventricolare l’onda di eccitamento incontra un altro ammasso
cellulare specializzato: il nodo atrio ventricolare (NAV)
l’impulso viaggia rapidamente lungo le fibre miocardiche specializzate che scendono in basso lungo il setto
interventricolare (fascio di His con le sue due branche)
Da qui si sparpagliano in mezzo alla maggior parte del miocardio ventricolare dx e sin costituendo la rete di
Purkinje
Infine prendono contatto con le fibre miocardiche comuni attraverso le quali l’impulso si diffonde da cellula
a cellula nel restante miocardio
Tutto questo permette una perfetta coordinazione
Si ricordi che in qualunque membrana eccitabile il potenziale di azione è seguito da un periodo durante il
quale la membrana resta completamente insensibile ad uno stimolo (periodo refrattario assoluto)
Nel muscolo cardiaco questo periodo refrattario dura quasi quanto la contrazione (250 msec) per cui non può
essere eccitato in tempo valido per produrre una sommazione di contrazioni.
Questo permette di evitare una prolungata contrazione del muscolo cardiaco che farebbe cessare il pompag-
gio con conseguente morte dell’individuo.
237
Attività meccanica del cuore
Un fluido scorre sempre da una zona di maggior pressione ad una di minore
La pressione che fa scorrere il sangue è generata dalla contrazione cardiaca
Le valvole indirizzano il flusso ematico
Sistole è il nome che viene dato per indicare la fase di contrazione ventricolare
Diastole significa rilasciamento ventricolare
Partiamo per capire la meccanica dalla fase finale della diastole
Per comodità parliamo della parte sin del cuore tenendo presente che ciò che avviene a dx è qualitativamente
identico
L’atrio e il ventricolo sin sono rilasciati (la pres. atriale è solo leggermente più alta di quella ventricolare
perché il sangue sta iniziando a defluire nell’atrio dalle vene polmonari).
Le valvole AV sono aperte ed il sangue sta passando dall’atrio al ventricolo (il ventricolo riceve sangue
dall’atrio durante tutta la diastole e non solo quando l’atrio si contrae)
La valvola aortica è chiusa perché la pres. aortica è maggiore di quella ventricolare
Lentamente la pressione aortica scende perché il sangue sta lasciando le arterie.
La pressione ventricolare aumenta perché il sangue sta ancora entrando dall’atrio
Nell’ultimo istante della diastole in NSA emette il suo impulso e l’atrio si depolarizza, si contrae e aggiunge un
ultimo quantitativo di sangue al ventricolo
Il sangue contenuto nel ventricolo poco prima della sistole è detto volume telediastolico
L’onda di depolarizzazione investe il ventricolo e ne scatena la contrazione
Il ventricolo comprime il sangue in lui contenuto e la press aumenta bruscamente
Quasi subito supera la press atriale e fa chiudere la valvola AV.
Per un breve periodo la pres aortica continua ad essere maggiore di quella ventricolare poi la press ventrico-
lare la supera, allora la valvola aortica si apre ed ha luogo l’eiezione ventricolare.
Al termine della contrazione il muscolo ventricolare si rilassa rapidamente quindi la pres.ventricolare scende
subito sotto quella aortica e la valvola semilunare si chiude tuttavia la pres.ventricolare rimane più alta di
quella atriale e la valvola AV resta chiusa ancora per un po’.
La pres.ventricolare scende al di sotto dell’atriale, la valvola AV si apre ed inizia il riempimento ventricolare
Volume di sangue pompato da ciascun ventricolo in un minuto: gettata cardiaca (5 litri minuto fino ai 20\25
litri in esercizio fisico)
Sangue eiettato da ciascun ventricolo durante ciascun battito: volume di scarica
Numero di battiti al minuto: frequenza cardiaca

Toni cardiaci
I fenomeni meccanici che avvengono nel cuore si accompagnano a vibrazioni meccaniche che si possono
ascoltare sul torace
Se ne distinguono 4 ma in condizioni normali solo 2 sono udibili
Il loro ascolto permette di accertare la normalità di parametri funzionali

Primo tono
Inizio sistole ventricolare
Chiusura e messa in tensione delle valvole mitrale e tricuspide
Apertura delle valvole semilunari polmonare e aortica con rumore del sangue che batte sulle pareti delle
arterie

Secondo tono
Fine dell’eiezione sistolica con chiusura delle valvole semilunari aortica e polmonare

Terzo tono
Diastole ventricolare nella quale il ventricolo si riempie di sangue
in condizioni fisiologiche non è ascoltabile

238
Quarto tono
Sistole atriale che completa il riempimento ventricolare
In condizioni fisiologiche non è ascoltabile

Proiezione sul torace delle valvole


Orifizio polmonare: margine sup 3° cart costale sin
Orifizio aortico: al di sotto e un po’ a dx rispetto a quello polmonare

Orifizio AV dx o tricuspidale: 5° spazio intercostale di dx


Orifizio AV sin o mitralico: si proietta sul 3° spazio intercostale a sin ma l’ascoltazione si fa sull’apice del
cuore
La scarica ritmica del NSA si produce spontaneamente senza nessun influsso nervoso ed ormonale
Tuttavia essa è sottoposta all’influenza costante di ormoni e nervi
Numerose fibre sia para che ortosimpatiche terminano nel NSA e in altre sedi del sistema di conduzione

Innervazione
Le fibre paraS sono contenute nei nn. vaghi. La loro attività rallenta la frequenza cardiaca
Le fibre ortoS (sono rappresentate dai nn. cardiaci):
n. cardiaco sup dal ganglio cervicale sup
n. cardiaco medio dal ganglio cervicale medio
n.cardiaco inferiore dal ganglio stellato
nn. toracici cardiaci (C6-C7-T1 e da T2 –T5 cioè dal 2° al 5° ganglio toracico)
Tutti i nn. cardiaci del vago e dell’orto si portano al plesso cardiaco
Questo è situato in corrispondenza della base del cuore davanti alla biforcazione tracheale sotto e dietro
l’arco aortico
Sistema di conduzione cardiaco: NSA pacemaker situato sull’atrio dx del cuore > NAV > fascio di His > fibre
del Purkinij

Vascolarizzazione
Le arterie che si distribuiscono al cuore sono le coronarie (coronaria sin e coronaria dx): unici rami dell’aorta
ascendente
Le vene cardiache sono tributarie del seno coronario che sbocca direttamente in atrio dx

Sintomi riferiti:
Dispnea da sforzo
Edema periferico (soprattutto agli arti inferiori e alle mani)
Dolore addominale (per distensione epatica)
Nicturia
Perdita di peso
Pallore
Sudorazione, extrasistole, ortopnea, tosse, vertigini, palpitazioni, sincope, rumori cardiaci

Segni e dolori riferiti (collegamenti medico -osteopatici in anamnesi):


Dolore toracico
Dolore retrosternale con senso di oppressione che non migliora a riposo, ma migliora leggermente in posiz-
ione seduta e in avanti
Cervicalgia in C4-C5-C6 con irradiazione alla mascella e mandibola bilaterale e braccio sin
Dorsalgie medie D1-D4
Dolore intercostale (K2-K5 sin)

Psicosomatica
La capacità di esprimere ed articolare le parole dipende dal cuore
Emozione, gioia, se il cuore è sano abbiamo uno spirito sereno e gioioso (le fissazioni sul pericardio si fissano
dopo una certa età, con la maturità)
239
Visione pessimistica della vita e sovraccarico
Gioia in modo esagerato e sovraccarico
Origine del sentimento maturo, pieno, radiante, cioè gioia che sfocia in senso di ansia e insonnia
Amore non contraccambiato che può diventare patologia cardiaca
Tristezza

Approccio osteopatico al cuore


Auscultazione
Punti di repere dell’aia cardiaca
Test di resistenza: grande asse materializzato dal setto interatriale e interventricolare
Tests sui legamenti (frenopericardici, sternopericardici, vertebropericardici)
Test di mobilità in relazione alla sistole
Trattamento

Fisiologia osteopatica
Il cuore intorno al suo asse di mobilità (diretto basso-sin e leggermente avanti poiché il peduncolo vascolare
si trova leggermente più post rispetto all’apice), durante la sistole, effettua una rotazione verso sin, si inclina
a dx e si orizzontalizza.
Durante la diastole: effettua una rotazione verso dx, si inclina a sin e si verticalizza.
NB. Non è un test di mobilità in relazione al diaframma, per come è inteso in osteopatia in ambito viscerale,
ma è un test sul cuore in relazione al movimento di sistole cardiaca.
Non facciamo un test di mobilità sul cuore, ma faremo un test sull’amplificazione del battito e un test sul mo-
vimento sistolico cardiaco.

Pratica
Ricerca dei parametri anatomici
Il margine sup del cuore con i grossi peduncoli vascolari, ricoperti da pericardio, si trovano dietro il manubrio
sternale. La presenza del peduncolo vascolare e del pericardio vanno tenute presenti durante la percussione
che pertanto può arrivare sino al 1° spazio intercostale.
Il margine dx va dal margine superiore della 3° cartilagine costale sino alla 6° cartilagine costale.
Il margine inf va dalla 6° cartilagine costale di dx al 5° spazio intercostale di sin.
Il margine sin va dal 5° al 2° spazio intercostale di sin.
6° cartilagine Pertanto partendo dal margine interno della clavicola si
5° spazio ricercano i seguenti punti:
3° spazio intercostale a dx
2° spazio intercostale a sin
3° spazio 6° cartilagine condrosternale a dx e
5° spazio intercostale a sin.
2° spazio

240
Al di sotto dell’aia cardiaca si
percussione
trova il diaframma con il
centro frenico.
a
amm
diafr

Durante la percussione è necessario


tener conto che ci sono delle zone
di sovrapposizione tra aia cardiaca
e pleura, soprattutto sul margine sin
del cuore, essendo quest’ultimo allog-
giato in una depressione del polmone
sin detta fossa cardiaca. Quindi du-
rante la percussione sentiremo dei
cambiamenti di tono.
Il margine dx e sin del cuore hanno un
orientamento obliquo: pertanto l’asse
cardiaco sarà diretto basso-avanti
(avanti perché il peduncolo vascolare è posto più indietro rispetto all’asse
del cuore). L’asse cardiaco è quello che determinerà tutto il lavoro sul cuore
(test, mobilità, trattamento etc).

NB: il cuore corrisponde al pugno sin del Pz.

D e te r m i n a z i -
one dell’asse
cardiaco
Per determinare
l’asse cardiaco ci
si può posizion-
are ai piedi o di
fianco al Pz,

241
ma la posizione scolastica di ricerca dell’asse cardiaco prevede il posiz-
ionamento dell’Osteopata alla testa del Pz.
All’interno del cuore ci sono dei sepimenti che dividono l’organo in 4 cam-
ere e che hanno una consistenza diversa dal muscolo cardiaco. Pertanto la
sensazione che si dovrà percepire è quella di un setto sul piano sagittale
che va a determinare l’asse cardiaco: in sostanza si stanno ricercando i
setti interatriale ed interventricolare. Ci si posiziona con la mano dx chiusa
sull’aia cardiaca e si inizia a ricercare l’asse cardiaco rammentando che si
potranno trovare dei cuori più orizzontali o verticali in relazione a tutta
una serie di fattori quali costituzione, restrizioni fasciali che hanno deter-
minato quel tipo di orientamento. La ricerca avviene da davanti verso
dietro, cioè verso il lettino dove giace il Pz e non si va in basso.
Una volta trovato sull’asse si va ad effettuare un test di pressione.
NB 1. Ai fini osteopatici se al test di rebound c’è stata una positività viscerale si procede con il test di pres-
sione sull’esofago e sul cuore e poi si fa il bilanciamento per capire quale dei 2 organi è in disfunzione.
Successivamente si inseriranno anche polmoni, bronchi, trachea. Alla fine verrà fuori una situazione simile a
quella dei 9 quadranti dell’addome

test di pressione
test di rebaund test di pressione sull’esofago sul cuore
NB 2. non ci si posiziona proprio sul manubrio sternale, ma leggermente più in basso perché l’aia cardiaca è
un poco più in basso. L’importante è provare più e più volte.

Test di pressione sul cuore


È un test delicato perché per arrivare al cuore è sufficiente passare la regione costale (al contrario dell’esofago
che è più profondo): infatti superato il piano costale si viene a contatto con il piano viscerale e solo allora si
può andare a ricercare l’asse cardiaco.
È errato fare È errato
una trazio- mettersi
ne verso il con le mani
basso (piedi sul manu-
del Pz) brio ster-
nale

Ascolto del cuore


Può essere eseguito una volta reperito l’asse cardiaco in quella stessa posizione. Sappiamo infatti che l’itto
della punta può essere percepito a livello del 5° spazio intercostale sin. Se invece il battito cardiaco
viene percepito su tutta la mano si possono ipotizzare delle restrizioni fasciali a livello del mediastino, che
quindi potrebbero riguardare il cuore. Quindi si può avere un’idea di quello che avviene durante il movimento
di sistole, ma che non va considerato come un test di mobilità in senso osteopatico. Ci da solo l’idea di ciò che
242
avviene nel cuore durante la sistole.
In sostanza si può fare un ascolto sia per ciò che riguarda la forza della frequenza cardiaca e della risultante
che in condizioni normali dovrebbe essere a livello del 5° spazio intercostale di sin, sia del suo movimento di
inclinazione dx e rotazione sin (orizzontalizzandosi) e quindi valutare la libertà con la quale questo
movimento si realizza. NON è un test di mobilità osteopatico del cuore rispetto al diaframma.

Legamenti del cuore


1. Freno mano craniale
pericardico si posiziona
mano caudale sull’asse car-
prende contatto diaco, entra,
con il diafram- supera il pia-
ma dopo averlo no costale e
reperito con la ricerca il lega-
percussione, mento tramite
la congruenza
tra le mani.

Quando lo si trova si effettua un test in allungamento meccanico diretto e si valuta se si lascia allungare op-
pure no (come si lascia allungare e non quanto si lascia allungare).
Avendo provato tante volte si riesce a capire anche quale porzione del lega-
mento è coinvolta. La tecnica di correzione si farà su quella porzione.
Questo legamento si relaziona meccanicamente con l’ipocondrio sin tramite il
leg gastro-frenico, con il colon, milza, il leg triangolare sin del fegato e quindi la
possibilità di fare una relazione eventualm con una catena fasciale che si porta
sulla zona dx del Pz (incrocio).

2. Sternopericardico sup
S’inserisce sul margine post del manubrio sternale per andare fino
alla porzione ant-sup del sacco pericardico.
Mano craniale, il dito medio si posiziona all’interno della fossetta
giugulare, mentre il dito indice è sul manubrio dello sterno (ma
ricorda che l’inserzione del leg è sul margine post del manubrio
sternale).

Mano caudale, si posiziona a livello dell’asse cardiaco.


Una volta superato il piano costale ed arrivato al livello del viscere si cerca
la congruenza tra le mani e si testa in allungamento meccanico diretto in
direzione dell’asse cardiaco (cioè basso–sin).

243
3. Sternopericardico inf
S’inserisce sul margine post della
xifoide per arrivare alla porzione
……..
Mano caudale, il dito indice (o medio)
si posiziona all’interno della xifoide È errato
in appoggio, in ascolto senza aggan- mettersi
ciarla con l’intenzione di prenderla. davanti
Il pollice si posiziona sulla xifoide (ri- alla xifoide
cordando che l’inserzione è sul mar-
gine posteriore della xifoide).

Mano craniale, è a livello dell’asse cardiaco.


Una volta superato il piano costale ed essere arrivati a livello del
viscere si cerca la congruenza tra le mani e si testa in allungamen-
to meccanico diretto in direzione alto-dx, ma sempre facendo at-
tenzione che ci sia congruenza tra le mani.
NB: per l’esecuzione dei test una mano fa punto fisso ed una mano
fa punto mobile (quando si è acquisita una certa manualità si pos-
sono effettuare i test anche con entrambe le mani).
Es di collegamenti:
- sternopericardico infgmesogastriogipocondrio dx e sin.
- sternopericardico supgloggia visceraleglamina tiropericardi-
cagpavimento bocca e ioidegmassiccio facciale.
4. Vertebropericardico superficiale
Va da C6-C7 sino alla porzione post-sup del sacco pericardico.
Il Pz è con la testa fuori dal lettino sostenuta dall’Osteopata, che si può aiutare
con il torace e la spalla sin a stabilizzarla.

L’’Osteopata posiziona indice e me-


dio della mano sin sulle trasverse
di C6-C7 (quindi la spinosa rimane
compresa tra le dita), mentre con
l’avambraccio sostiene il capo del
Pz e con il bicipite lo stabilizza an-
cora di più. In questo modo si deve
fare attenzione a non mandare il
capo del Pz in flessione, pertanto
se necessario....... non flettere
il capo del Pz

244
la testa del Pz può
sporgere un poco di
più fuori dal lettino.
L’altra mano è sull’asse
cardiaco.

A questo punto avendo raggiunto il piano profondo l’Osteopata effet-


tua un allungamento meccanico diretto verso basso-sin. Il raggiungi-
mento della congruenza tra le mani dell’osteopata si tradurrà in un in-
cassamento della testa del Pz e non in una sua estensione.

NB: all’inizio del test l’Osteopata deve rettilineizzare un poco la testa del Pz per
togliere una parte della lordosi cervicale.

5. Vertebro-pericardici piano profondo


S’inseriscono sulla faccia anteriore dei corpi vertebrali.
La mano dell’osteopata ha la stessa posizione di quando si eseguono
le DOG, cioè con la spinosa al centro e le trasverse sulle interfalangee
tra C4-C7. L’altra mano, dopo avere passato il piano costale si posiz-
iona a livello dell’asse cardiaco.

A questo punto, ricor-


dando che i legamenti si
trovano sospesi su di un
piano verticale, ma anche
sagittale, si tiene ferma
la mano che è sull’asse
cardiaco, mentre l’altra
mano effettua delle ro-
tazioni.

245
In caso di libertà dei lega-
menti nel ruotare le vertebre
anche il cuore segue il mo-
vimento. In caso contrario
c’è una restrizione tessutale
del vertebro pericardico a
livello del piano profondo.

La testa del Pz può stare


a. sul lettino (in tal caso l’Osteopata deve orientare diversamente il polso) oppure
b. sull’avambraccio dell’Osteopata come nel test dei leg vertebro-pericard superf
presa come nel test dei
leg vertebro-pericard
superf

orientamento del testa del Pz


polso funzionale a
g sul lettino

All’inizio è importante compattare entrambe le mani per mettere


in comunicazione le vertebre e la zona cardiaca: si percepisce che
si è raggiunto lo scopo perché le mani tra di loro “comunicano”.
Attenzione a non comprimere troppo altrimenti si rischia di
accorciare il leg.

Nell’immagine sotto Menichelli fa vedere il macromovimento di quello che si dovrebbe indurre e percepire
con le mani.

246
Test delle 4 camere
Dopo avere eseguito il test di pressione globale sul cuore si può effettuare un test delle 4 camere (è un test
che assomiglia molto a quello eseguito sul duodeno o sul pancreas per discriminare se una eventuale disfun-
zione è più a carico della testa, del corpo o della coda). Non si tratta di un test di bilanciamento.
Questo test ci permette di sapere se:
c’è una relazione più con la porzione legamentosa superiore od inferiore del pericardio e quindi si potrà an-
dare a testare un legamento piuttosto che un altro. In questo modo si velocizzano i test.
In una clinica il riscontro di una disfunzione di fegato e di una positività di cuore dx ci può indirizzare su una
certa idea clinicag per giustificare i sintomi.

Trattamento delle disfunzioni legamentose


Le disfunzioni dei legamenti possono essere trattate con:
1. allungamento meccanico diretto
2. recoil nella direzione del legamento

recoil sul leg sterno-pericardico inf

recoil su leg vertebro- NB: per i legamenti vertebro-pericardici superficiali si mol-


pericardici superficiali lano le dita di entrambe le mani.
La mano sulle cervicali tiene salda la testa e lascia solo la
presa sulle vertebre

recoil su leg vertebro-pericardici profondi I leg vertebro-


pericardici
profondi si
trattano con
tecnica di al-
lungamento
meccanico
diretto asso-
ciandovi delle
rotazioni, op-
pure si può ag-
gravare la dis-
funzione (perché si lavora su di un piano profondo).
NB: la potenza del recoil è direttamente proporzionale a quanto questo è leggero.

247
sem 3

Polmoni e trachea_Introduzione
La maggior parte delle cellule del corpo umano ricavano la più grande quota di energia da reazioni chimiche,
che comportano l’uso di ossigeno.
Inoltre le cellule devono poter eliminare il principale prodotto terminale di queste ossidazioni: l’anidride car-
bonica.
Nell’uomo i sistemi specializzati deputati agli scambi gassosi sono i polmoni.
La gabbia toracica ha una apparente rigidità datale dalle strutture ossee che la compongono (sterno, coste,
vertebre), ma di contro c’è una grande capacità articolare datale dalle cartilagini condrosternali e condrocos-
tali. Da questa capacità di flessibilità e di adattamento articolare dipende la maggior parte del buon funzi-
onamento della gabbia toracica stessa (andare a valutare sterno, angolo di Louis, cartilagini condrosternali e
condroacostali, tubercoli, coste e vertebre cervicali e dorsali). Pertanto migliorando la mobilità articolare delle
strutture che la compongono automaticamente si sta dando ai visceri della cavità toracica la possibilità di
espletare il loro lavoro in modo efficace: in questa ottica cambia anche l’approccio alla tecnica strutturale.

Embriologia
Il parenchima polmonare ha un’origine ectodermica.
Le vie aeree hanno origine mesodermica.
NB: in osteopatia esiste un approccio embriologico ai visceri, ma la Menichelli ha detto che non verrà affron-
tato.

Trachea e bronchi
La trachea è un canale impari e mediano che fa seguito alla laringe e nel torace si biforca in un bronco dx e
sin a livello della 4°-5° vertebra toracica. Questo repere è importante perché a questo livello, che corrisponde
all’angolo di Louis viene eseguito un test sulla biforcazione bronchiale.
Dai bronchi principali derivano i:
bronchi secondari
bronchi segmentari
bronchi lobulari
bronchioli terminali
bronchioli respiratori (acini)
Queste strutture vanno degradando come calibro perché servono tratti sempre più piccoli di parenchima
polmonare.

Anatomia
I polmoni sono gli organi dove avvengono gli scambi gassosi tra aria e sangue.
In numero di due sono contenuti nella cavità toracica nelle logge pleuropolmonari. Quindi sono rivestiti da
una membrana sierosa.
Sono separati da una spazio mediano che è delimitato dalla colonna vertebrale e dallo sterno. Questo spazio
è detto mediastino.
Le logge pleuropolmonari sono delimitate
lateralmente > dalle coste e da mm. intercostali,
medialmente > dal mediastino
inferiormente > dal diaframma
superiormente > dai vasi succlavi, dal plesso brachiale e dallo scaleno ant.
Nell’adulto medio il diametro verticale max è di 25/26 cm, il diametro sagittale alla base è di 16 cm ed il di-
ametro trasverso è di 10/11 cm. il peso è molto variabile in relazione a sesso, età etc. per es. nel maschio è di
circa 620/680 gr.
Il polmone ha forma conica, una base a faccia diaframmatica, un apice che guarda lo stretto toracico superiore
ed una faccia laterale o costo vertebrale.
1. Base: è in rapporto con le coste e gli spazi intercostali e indietro con le parti laterali dei corpi delle vertebre
toraciche. La porzione avvolta dalla pleura è in contatto con la fascia endotoracica per mezzo di uno strato
sottosieroso lasso.
248
2. Faccia mediale: corrisponde al mediastino. Nel mezzo circa della sua altezza presenta un’area infossata,
l’ilo. Qui penetrano i bronchi ed i nervi ed entrano ed escono i vasi. A livello dell’ilo ha luogo la riflessione
della pleura viscerale in quella parietale (come il peritoneo). Al di sotto dell’ilo i due foglietti sierosi che corri-
spondono al passaggio tra pleura mediastinica e viscerale si prolungano inferiormente verso il diaframma
formando i leg triangolari del polmone: pertanto questi rappresentano uno sdoppiamento della pleura
parietale e viscerale (non si effettuano test su questi legamenti).
3. Apice: è tutta la parte che si trova sopra il margine sup della 2° costa (in Pz con patologie polmonari l’apice
diventa palpabile). Entra in rapporto con a. succlavia, a. toracica interna, ganglio cervicale inf (o stellato) e ra-
dice inf del plesso brachiale. I rapporti che contrae l’apice condizionano anche una serie di sintomatologie di
tipo vascolare o neurovegetativo, neurologico (es. cervicobrachialgie in relazione con disfunzioni della cupola
pleurica).
La superficie del polmone è percorsa da scissure che si approfondano fino all’ilo dividendo l’organo in lobi
e consentendo lo scivolamento dei lobi l’uno sull’altro. Quindi è molto importante che queste scissure siano
libere. Es in caso di scissuriti e di processi infiammatori polmonari ci sono spesso esiti come restrizioni a livello
delle scissure (un po’ quello che accade a livello del cranio con le suture). E poi a livello delle scissure la pleura
è doppia (di un lobo e dell’altro): pertanto a questo livello c’è un quantitativo di sierosa maggiore rispetto al
singolo lobo.
A dx le scissure sono 2 perché il polmone è diviso in 3 lobi. A sinistra la scissura è 1 perché il polmone è diviso
in 2 lobi.
NB: i polmoni hanno poi delle divisioni funzionali in relazione al servizio dei bronchi. Questo però a livello
osteopatico non interessa.

Polmone dx:
è diviso in 3 lobi: superiore, medio ed inferiore.
La scissura principale od obliqua: origina dalla parte superiore dell’ilo e si porta in basso-avanti per rag-
giungere la base. Comincia in alto e dietro a livello della 3° articolazione costo-vertebrale, passa sulla linea
emiascellare, sulla 5° costa e termina in avanti a livello della 6° articolazione condro-sternale. In conclusione
si estende dall’alto in basso e da dietro in avanti.
La scissura secondaria od orizzontale si stacca da quella principale sulla faccia laterale a livello della 4° costa
e termina all’ilo. Si stacca dalla scissura obliqua a livello della 4° costa lateralmente ed arriva avanti a livello
della 3° articolazione condrosternale. In conclusione si estende dal basso in alto e da dietro in avanti.

Polmone sin:
è presente una sola scissura, corrispondente alla scissura obliqua del polmone dx, che divide il polmone sin
in due lobi: superiore ed inferiore.
Tale scissura è molto obliqua e va sempre dall’alto verso il basso e da dietro in avanti, dalla 4° articolazione
costo vertebrale alla 6° articolazione condrosternale incrociando la 5° costa (quindi segue lo stesso percorso
della dx).

Vascolarizzazione
1. Polmone
Nel polmone esistono due sistemi vascolari:
a) sistema funzionale costituito dai vasi polmonari (della piccola circolazione) e
b) sistema nutritizio, quello dei vasi bronchiali, che fanno parte della grande circolazione. Tra i due sistemi
esistono delle anastomosi.
I 2 rami dell’arteria polmonare (dx e sin) entrano nel polmone a livello dell’ilo e si ramificano fino a dare una
rete capillare contenuta negli alveoli.
Dalla rete capillare perialveolare si costituiscono le venule e man mano le vene polmonari (2 per ciascun pol-
mone). Queste escono dall’ilo per portarsi nell’atrio sin del cuore (=inizio della grande circolazione).

2. Bronchi
Le arterie bronchiali originano dall’aorta toracica in numero di 3 rami, di cui 2 per il polmone sin ed 1 per il
polmone dx.
Le arterie bronchiali si ramificano sino ad arrivare ai lobuli e formare una rete capillare in comunicazione con
249
il sistema dell’arteria polmonare (connessa con l’aorta toracica).
I capillare del sistema bronchiale si riuniscono in vene.
Le vene che provengono dai bronchi più sottili sfociano nelle vene polmonari. Le vene che invece proven-
gono dai bronchi più grossi si aprono nelle vene bronchiali. Le vene bronchiali si riuniscono in 1 o 2 tronchi
che uscendo dall’ilo in genere si immettono nell’azigos e nell’emiazigos.

Innervazione
L’innervazione ortosimpatica e parasimpatica è soprattutto di tipo bronchiale.
ParaS: tramite i nervi vaghi. Ha azione broncocostrittrice e vasodilatatrice.
OrtoS: tramite i primi 5 gangli toracici per il polmone. Ha azione broncodilatatrice e vasocostrittrice.

Organizzazione interna
Il polmone è diviso in lobi.
Ciascun lobo comprende centinaia di unità indipendenti che sono i lobuli, individuati da sottili linee corri-
spondenti al connettivo interstiziale che individua aree poligonali.
Ogni loblo è formato da 10/15 unità dette acini cui fanno capo le ramificazioni dei bronchi intrapolmonari.
Per riassumere:
i lobi sono forniti da bronchi principali e le varie zone dai lobi secondari
i lobuli sono forniti dai bronchi lobulari
i bronchioli terminali provvedono alla ventilazione degli acini
in ogni acino il bronchiolo terminale dà origine a due bronchioli respiratori che presentano nel loro decorso
delle estroflessiooni emisferiche dette alveoli
l’epitelio alveolare è semplice ed appiattito
gli alveoli polmonari sono la sede degli scambi gassosi.

Pleure
Sono membrane sierose che avvolgono separatamente ciascun polmone. Vi si distinguono un foglietto vis-
cerale ed uno parietale.
Le pleure di dx e sin pur trovandosi in contatto tra loro dietro lo sterno sono indipendenti l’una dall’altra.
1. parietale: è disteso sulle pareti delle logge pleuropolmonari. È in continuità con la fascia endotoracica.
Può essere suddivisa in: costale, diaframmatica e mediastinica. Tale distinzione è correlata ai rapporti ana-
tomici.
Pleura costale:
è quella che giustifica il trattamento strutturale perché c’è un rapporto strutturale diretto. Infatti si estende
dalla faccia post dello sterno fino alla faccia laterale dei corpi vertebrali. Si applica alle coste tramite la fascia
endotoracica.
In alto ricopre l’apice del polmone (è detta anche cupola pleurica). Prende rapporto con i vasi succlavi, scaleno
anteriore, ganglio cervicale inferiore. In conclusione si evince che se c’è un rapporto così stretto della pleura
costale alla componente strutturale è ovvio che in presenza per esempio di una disfunzione costale o verte-
brale anche la pleura subisce questa restrizione. È ovvio anche il contrario e cioè che in presenza di un pro-
cesso infiammatorio con la presenza già di problematiche pleuriche che possono già avere una componente
biochimica (quindi con una modificazione del tessuto) oppure in presenza di una disfunzione osteopatica
senza modificazioni biochimiche del tessuto si troveranno sia problematiche pleuriche che strutturali. Quindi
il problema sarà decidere quale tra la pleura e la struttura è prioritaria.
La cupola pleurica risale 2 o 3 cm al di sopra della 1° costa giungendo con la sua parte più alta circa a metà del
corpo di C7 quindi l’apice del polmone rimane a livello della 2° costa, ma tutta la componente pleurica risale
a metà di C7.
È rinforzata e fissata allo scheletro da fasci fibrosi e muscolari che formano il sistema sospensore della cu-
pola. Questo sistema è costituito dai seguenti legamenti:
a) leg vertebro pleurici: vanno dal margine ant del corpo vertebrale di C6-C7-D1 alla parte mediale della
cupola pleurica. Fanno parte della fascia cervicale profonda.
b) leg costo pleurici: si estendono tra il collo di K1 e la parete laterale della cupola.
c) leg trasverso pleurici: si estendono dal tubercolo ant della trasversa di C7 alla cupola pleurica mandando
espansioni al margine mediale di K1, vicino all’inserzione dello scaleno ant (ha una forte relazione con gli
250
scaleni anteriori).
Pleura mediastinica:
è una membrana sottile e trasparente tesa tra lo sterno e la colonna vertebrale
delimita il mediastino
a livello del peduncolo polmonare le pareti ant e post della lamina si incontrano formando una piega: il leg
polmonare
è intimamente unita al pericardio per mezzo di connettivo denso
prende rapporto con l’arco aortico e posteriormente con l’esofago
continuando nella pleura costale da origine al seno costo-mediastinico.
Pleura diaframmatica:
si estende sulla faccia superiore delle pareti laterali del diaframma aderendo intimamente ad esso
medialmente continua nella pleura mediastinica e lateralmente in quella costo-vertebrale
continuando nella pleura costale a livello dell’angolo tra diaframma e parete da origine ad uno spazio virtuale
che il polmone occupa parzialmente quando aumenta il volume nell’INsp: il seno costo diaframmatico
le proiezioni sono:
avanti 6° cartilagine costale
basso-fuori 7° spazio intercostale linea emiascellare
dietro margine superiore di D12.

2. viscerale: riveste la superficie dell’organo, continua a livello dell’ilo nel foglietto parietale e pertanto il
polmone viene ad essere circondato da uno spazio chiuso detto cavità pleurale (=come la cavità peritoneale).
È una membrana sottile e trasparente che riveste intimamente il polmone e si porta profondamente nelle
scissure interlobari fino alla vicinanza dell’ilo. All’ilo la pleura riveste per un breve tratto il peduncolo polmo-
nare e continua nella parete mediastinica della pleura parietale (=come nel cuore).

Fisiologia
Per respirazione si intendono 2 cose:
1. reazione metabolica dell’ossigeno con i carboidrati e con le altre molecole organiche.
2. scambio di gas tra le cellule dell’organismo e l’ambiente esterno ed è il concetto che interessa quando
parliamo di polmone.
Gli acini costituiscono la vera sede in cui avvengono gli scambi gassosi all’interno dei polmoni.
Tra i tubi contenenti aria e i vasi sanguigni dei polmoni sono interposti grandi quantitativi di tessuto connet-
tivo elastico che svolge un ruolo importante nel respiro.
I polmoni però sono privi di muscolatura quindi sono da considerare dei contenitori elastici passivi e
l’espansione è data dai vari fattori in primis il diaframma.
Gli alveoli sono minute cavità sacculari, le cui parti sono costituite da una vasta rete di fibre elastiche tappez-
zate da un sottile strato di epitelio.
Il sangue che si trova in un capillare polmonare è separato dall’aria contenuta nell’alveolo solo da una barriera
estremamente sottile.
La vastità dell’area e la sottigliezza della barriera permettono il rapido scambio di O2 e di CO2.

1. Processo respiratorio
Scambio di aria tra atmosfera ed alveoli: l’aria entra ed esce dai polmoni continuamente. L’intera fase è detta
ventilazione e si effettua per il flusso massimo.
Scambio di ossigeno ed anidride carbonica tra alveoli e capillari polmonari: avviene per diffusione.
Trasporto di ossigeno ed anidride carbonica del sangue.

2. Pressione intrapleurica
Normalmente i polmoni sono distesi all’interno del torace intatto e la responsabilità di tale distensione è di
una forza data dalla pressione subatmosferica vigente nel liquido pleurico (subatmosferica significa inferiore
alla pressione dell’aria atmosferica).
Se si perfora la parete toracica l’aria atmosferica si precipita nello spazio intrapleurico così la differenza di
pressione viene annullata e il polmone collassa. La presenza di aria nello spazio intrapleurico è detta pneu-
motorace.
251
3. Inspirazione
Alla fine dell’Esp i mm. respiratori sono rilassati e non vi è flusso di aria.
La pressione intrapleurica è subatmosferica.
La pressione intraalveolare è uguale a quella atmosferica perché l’alveolo è collegato all’ambiente esterno.
L’inspiro ha inizio per contrazione del diaframma e degli intercostali: queste strutture sono lo starter
dell’inspiro.
NB: il diaframma è l’equilibratore delle pressioni della cavità perciò se ho una disfunzione di utero che cambia
la pressione dell’ipogastrio e quindi della zona pelvica ne consegue che cambia anche la pressione diafram-
matica ed il diaframma si adatterà a questi cambiamenti. Pertanto ne conseguiranno problemi in cavità to-
racica.
In conclusione: si avrà sempre una disfunzione pelvica, addominale e toracica su quasi tutti i Pz. Il problema è
da dove partire: questo è possibile tramite i test. Es: un Pz ha da un mese grossi problemi polmonari, ma i test
danno positività pelvica. Se non si risolve prima il problema pelvico quello polmonare tornerà sempre. Quindi
devo cercare quale è la disfunzione che ha determinato il disequilibrio tra i diaframmi e trattarla.
La contrazione del diaframma e degli intercostali aumenta i volumi della gabbia toracica. Questo aumento
di volume della parete fa diventare ancora più sub atmosferica la pressione intrapleurica. Questa fa aumen-
tare la differenza di pressione tra spazio intraalveolare ed intrapleurico: questo fa espandere il polmone.
Quando il polmone si espande fa aumentare anche il volume degli alveoli e per questo la pressione vigente
all’interno di questi scende velocemente ad un valore inferiore a quella atmosferica il che provoca un flusso
massivo dell’aria all’interno degli alveoli.
L’aria viene letteralmente succhiata dai polmoni quando si espandono. Lo starter del processo inspiratorio
sono diaframma, intercostali e la modificazione della gabbia toracica. Questo ci fa capire ancora di più quanto
sia importante che al suo interno non ci siano restrizioni di altri parametri: es un’articolare bloccata se non
compensata da un adeguato adattamento della gabbia toracica andrà a ridurre la capacità di inspiro dei pol-
moni.

4. Espirazione
Allorchè cessa la contrazione dei muscoli inspiratori, i tessuti riacquistano la loro primitiva dimensione perché
non esiste più la forza che li mantiene in stiramento.
L’area alveolare viene compressa e così la sua pressione supera quella atmosferica e per questo defluisce
dagli alveoli. L’espirazione quindi è un fenomeno passivo che dipende in massima parte dalla cessazione
dell’attività dei muscoli.
Il volume d’aria che entra ed esce dai polmoni in un singolo respiro è detto volume corrente ed è dell’ordine
di 500 ml.

5. Controllo del respiro


Il controllo della muscolatura respiratoria avviene ad opera delle seguenti strutture:
n. frenico
nn. intercostali
5 gangli toracici
n. vago.
Questo è da tenere in considerazione in presenza di problemi cervicali C3-C5 e costali.
Il controllo centrale è ad opera dei neuroni i cui corpi cellulari si trovano nel bulbo e questo fa si che gli impulsi
diretti ai muscoli respiratori aumentino e diminuiscano alternativamente in base alle esigenze.

Polmone ed osteopatia
1. Mobilità del polmone
Durante l’inspiro il polmone effettua una RE del parenchima su:
un asse verticale > per i lobi sup
un asse obliquo > per i lobi inf
il lobo medio del polmone dx è insieme agli inf
da notare che l’espansione polmonare è massima in avanti per i lobi sup e lateralmente per quelli inf.
L’asse obliquo materializza l’orientamento dei bronchi principali. Bisogna tenere conto che il bronco sin è
meno obliquo del dx (attenzione domanda di esame!!!) in realtà dipende dal punto di riferimento.
252
Tutto questo movimento rispetto all’asse è fatto in modo che il mediastino non si muova per mantenere il
cuore fisso nella sua sede poiché è un punto di stabilizzazione.

2. Polmone ed emotività
I polmoni sono legati alla vita, al bisogno di spazio e di libertà (dammi aria, mi stai opprimendo), ma anche al
bisogno di scambio in maniera profonda.
Malattie come polmoniti e broncopolmoniti sono legate ad uno scoraggiamento profondo in cui non si ha
più voglia di vivere o si ha paura di perdere la vita. Quindi il polmone è profondamente legato alla vita (senza
polmoni non si vive), al bisogno di sopravvivenza.
Per scoraggiamento profondo si intende che il Pz polmone esprime, tramite dei binari di patologia polmo-
nare, tutta una serie di problematiche che riguardano la parte depressiva che non è contingente, ma è legato
alla sopravvivenza (in stati depressivi veri ci sono problemi di polmone; le metastasi più frequenti sono quelle
al polmone > paura di morire).
NB: il torace è la sede di più alta produzione di dopamina; e come sappiamo dopamina e serotonina sono
coinvolte nella depressione.
I bronchi sono legati alla capacità di prendere spazio vitale, ma in modalità più superficiale. Es: l’asma è una
patologia più bronchiale.
Il polmone è un organo legato allo sviluppo di energia perciò o va in eccesso oppure in forte difetto. Anche il
rene è un organo della depressione perché prima resiste e poi si esaurisce. Con il surrene è un organo legato
allo stress.

Pratica
La pleura è in stretta relazione con la fascia endotoracica, le articolazioni condrosternali e condrocostali, le ver-
tebre cervicali e dorsali, l’angolo di Louis, le coste, i muscoli intercostali, lo sterno, le clavicole, l’articolazione
sternocostoclaveare.
La pleura arriva ad interessare tutte le vertebre e le coste perché scende molto. Per questo motivo è necessa-
rio andare a rivedere tutte le tecniche strutturali sul torace e le tecniche fasciali che in maniera indiretta vanno
a lavorare sulla parte alta del torace (cavo ascellare, sottoscapolare, piccolo e grande pettorale, succlavio, le-
gamenti conoide, trapezoide ed acromion clavicolare): infatti liberano bene le parti alte della pleura.

1. Reperi e test_Test sulla cupola pleurica


La cupola pleurica si trova in corrispondenza del triangolo sup; è una porzione abbastanza centrale, non
troppo anteriore, infatti, provando a mettere le mani nella zona ant vicino al collo si riesce a percepire il bat-
titio: questa non è sicuramente zona di cupola proprio perché si sente il passaggio dei vasi.
Quindi, la cupola, da un punto di vista anatomico, sia trova un po’ più in alto e un po’ più indietro rispetto alla
zona dove si percepisce il battito dei vasi.
Quindi, per fare un test sulla cupola ci si posiz-
iona con le 2 mani parallele tra loro a piatto nella
zona del triangolo sup, un po’ in alto e un po’ in-
dietro, e ci si mette non sul muscolo, ma nella
zona molle subito davanti al m. trapezio, lon-
tano dal pacchetto vasculo-nervoso, laddove
c’è il foro. In questa posizione si effettua un test di
pressione dall’alto in basso (solo con l’appoggio
di 2°-3°- 4° e 5° dito, mentre il pollice si trova ai
lati del collo).

Repere dell’asse dei lobi sup del polmone


I lobi polmonari terminano dove si è reperito il diaframma e cioè a livello del 5° spazio intercostale sin. At-
tenzione poiché in questa zona c’è l’incisura cardiaca, che si è in grado di reperire, è opportuno dunque fare
una percussione per distinguere il cuore dai polmoni. Pertanto i test sul polmone verranno effettuati tutti a
livello del 5° spazio intercostale, al di sopra del diaframma.
Questo repere ci permette di fare il test di pressione dei lobi sup e inf.
253
Per fare un test sui lobi sup devo reperire
l’ asse sup: lo si reperisce più o meno a liv-
ello della linea emiclaveare. Si mettono
entrambe le mani sulla linea emiclaveare,
parallele allo sterno ed il test di pressione
lo si esegue facendo pressione da davanti a
dietro, in direzione appunto ant-post (verso
il lettino).

Repere dell’asse dei lobi inf del polmone


Per fare un test sui lobi inf del polmone, si deve prima reperire l’asse bronchiale.
Repere dell’asse bronchiale: con indice/medio della mano sin, partendo dalla incisura giugulare, si scivola
verso il basso e si finisce a livello dell’angolo di Louis. Sapendo che il lobo sin è meno obliquo del lobo dx, ci
si posiziona con il bordo cubitale delle mani alla ricerca dei bronchi stando 3 dita a sin 2 dita a dx dallo sterno.
Si percepisce una sensazione di “duro” all’interno del parenchima polmonare.

ricerca dell’asse dei lobi inf test sui lobi inf

Dopo aver reperito l’asse bronchiale si sostituisce il bordo cubitale delle mani con le mani stesse disposte
obliquamente mediante bordo ulnare in direzione dell’asse a livello dell’angolo di Louis e con i tenar verso
l’esterno. In questa posizione, rimanendo sempre al di sopra del diaframma, si effettua un test di pressione dei
lobi inf con direzione da avanti a dietro (verso il lettino) alla ricerca di una sensazione di “duro”, che corrisponde
appunto all’asse bronchiale. All’interno del parenchima all’inizio non si sente niente, finchè ad un certo punto
se ci si proietta bene, si finisce a livello dei bronchi. NB: si può utilizzare, partendo dal repere dell’angolo di
Louis, la tecnica dello sfioramento ed arrivare a reperire i bronchi (personalmente ve la sconsiglio perché
Manzo mi ci ha bocciato all’esame di tecniche di viscerale).

Quindi riassumendo si deve procedere in questo modo:


test di pressione sulle cupole
test di pressione sui lobi superiori
test di pressione sull’asse bronchiale

In una clinica può capitare di:


fare il test dei 9 quadranti > selezionare 1 quadrante o più di 1 quadrante
test di rebound sullo sterno e vedere se è positivo al viscerale o meno
test sull’esofago
test sul cuore e pericardio
test sul polmone
discriminare e trattare

NB. La prof Menichelli ha spiegato anche i bronchioli che non sono in programma, ma molto gentilmente ci
ha fatto vedere i tests di approccio per agevolarci alle cliniche.

254
Trachea
È suddivisa in un tratto cervicale ed un tratto toracico.
1. Tratto cervicale
Mano craniale: con presa pollice-indice ci si po-
siziona a livello della cartilagine cricoidea del-
la laringe, in proiezione di C5-C6 (la si reperisce
con lo sfioramento pollice-indice partendo
dall’osso ioide, cartilagine tiroidea e cricoidea
dall’alto verso il basso).
Mano caudale: indice-medio con i polpastrelli
ci si posiziona a livello della incisura giugulare,
e si esegue un test in allungamento meccanico
diretto dall’alto verso il basso. La mano caudale
appunto esegue un test in allungamento mec-
canico diretto ed in presenza di una disfunzione >�������������������������������������������������������
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tecnica in allungamento meccanico diretto o eventual-
mente un recoil.

2. Tratto toracico
Mano craniale: fa presa con indice/medio
sulla incisura giugulare (bordo sup).
Mano caudale: si pone sull’angolo di Louis
proiezione post D4-D5.
La stessa cosa si può fare cambiando presa,
mettendo le mani con il bordo ulnare nelle
stesse posizioni.
Si procede con un test in allungamento mec-
canico diretto ed in presenza di una disfun-
zione > tecnica in allungamento meccanico
diretto o eventualmente un recoil.

Bronchi
Ci si posiziona in proiezione corrispondente all’asse bronchiale e con il bordo cubitale della mano ad una
distanza di 3 dita a sin e 2 dita a dx rispetto allo sterno si esegue un test dall’avanti all’indietro, in direzione
ant-post per entrambi i bronchi.
Una volta selezionato quello positivo, si esegue un test di allungamento meccanico diretto ed in presenza di
una disfunzione si effettua una tecnica in allungamento meccanico diretto o eventualmente un recoil.

Premesse
Arriviamo a fare un test sulla trachea nel momento in cui troviamo positiva la loggia viscerale del collo.
Dobbiamo testare come visceri, in modo selettivo: trachea, esofago, cartilagini laringee, ioide etc. Arrivo an-
che a testare la porzione toracica e i bronchi principali quando ho un rebound positivo per il viscere e devo
distinguere tra esofago toracico, cuore, polmone, trachea toracica e bronchi.
Osteopata solitamente alla dx del Pz (anche se per il torace
si può stare tranquillamente alla sin del Pz). test e trattamento_
trachea cervicale
Test della trachea_porzione cervicale:
mano craniale: si posiziona in proiezione della cartilagine
cricoidea della laringe
mano caudale: si posiziona in proiezione della incisura giu-
gulare
Eseguo così un test in allungamento meccanico diretto della
trachea porzione cervicale, e come trattamento un tratta-
mento in allungamento meccanico diretto o un recoil.

255
test e trattamento_ Test della trachea_porzione toracica:
trachea toracica mano caudale: reperisce l’angolo di Louis e ci si posiziona
con indice e medio
mano craniale: reperisce l’angolo superiore dello sterno e
ci si posiziona con indice e medio.
Supera il piano dello sterno strutturale, entra sulla porzione
dello sterno ed esercita un test in allungamento meccanico
diretto ed eventualmente un trattamento in allungamento
meccanico diretto o un recoil.

Repere e test bronchi:


Si reperisce l’asse bronchiale sotto l’angolo di Louis e ci si proi-
etta o mettendo le mani con i bordi ulnari obliqui tra loro op-
test di pressione
sui bronchi pure il repere del bronco può essere fatto mediante un test con
le mani pollice mano dx e polpastrelli mano sin perpendicolari
tra loro.
Per posizionarci correttamente nel repere del bronco, bisogna
tenere conto che, a partire dallo sterno, dobbiamo considerare
tre dita a sin dello sterno stesso ed un paio di dita a dx. Quindi
mi raccomando mani vicine tra loro durante il test.
Azione: tecnica in allungamento meccanico diretto o recoil
sempre nella direzione del bronco.
test di allungamento e trattamento dei bronchi
trattamento dei bronchi mediante recoil

Test di pressione sul polmone


1. Test di pressione sulla porzione apicale: mani direttamente poste bilateralmente a piatto sullo stretto to-
racico superiore con le interfalangee poste sui bordi delle clavicole.
2. Test dei lobi sup: test sulla emiclaveare in direzione ant-post
3. Test dei lobi inf: si posizionano le mani a piatto e in obliquo tra loro a livello di K4-K6, a livello dell’asse bron-
chiale. È possibile anche debordare con le mani. Posso anche spingermi in direzione dell’aia cardiaca con le
mie mani, ma il cuore non lo sento se sono proiettata bene.
NB: qualora trovassi una o più zone positive ai miei test, posso bilanciarle facendo dei test di bilanciamento.

256
test di mobilità_ Test di mobilità dei lobi SUP
lobi sup del polmone Se per es. nel bilanciamento esce fuori un lobo superiore del pol-
(1° tecnica) mone dx, posso fare il test di mobilità in contemporanea a sin e a dx
sapendo tuttavia che la disfunzione è sul lato dx.
Pertanto mi metto sull’asse, faccio un test di mobilità del polmone
sull’asse, mi metto in ascolto della frequenza e della ampiezza e
all’interno di questa frequenza e di questa ampiezza comincio ad in-
durre e a valutare l’espansione in RE del polmone in INsp, ed in Esp
la retrazione e la RI del polmone. Utilizzo quindi i tempi respiratori
che mi occorrono per effettuare questa valutazione. Nella eventual-
ità che io percepisca una netta restrizione di mobilità in una direzi-
one o di INsp o di Esp, definisco la disfunzione sempre nel senso
test di mobilità_ della maggiore ampiezza. Posso anche effettuare un test solo da un
lobo sup dx del lato, naturalmente dal lato che mi interessa con entrambe le mani
polmone (2° tecnica)
una ant e una post.

Test di mobilità dei lobi INF


Osteopata alla dx del Pz si posiziona in direzione dell’asse
bronchiale con le due mani in obliquo tra loro.
Si mette in ascolto: durante l’INsp percepisce sull’asse la
rotazione esterna dei lobi inferiori, viceversa durante l’Esp
valuta quanto e come questi lobi si lasciano portare in RI e
se sente una restrizione di mobilità denomina questa nel
senso della maggiore ampiezza.

Test dei lobi INF_donna


basta spostare la mammella

Supponiamo che alla valutazione l’Osteopata trovi un lobo che ha difficoltà alla RI, quindi è una disfunzione
di RE, posso applicare come tecniche di riduzione: una tecnica diretta, una tecnica indiretta, una tecnica fun-
zionale diretta e una indiretta (in INsp ed in Esp).
Es: disfunzione del lobo sup del polmone dx in INsp: mi metto con una mano post ed una ant in direzione
dell’asse (entrambe dallo stesso lato) e con una tecnica funz indiretta durante un tempo di INsp esagero il
movimento di RE e mantengo la RE, mentre durante la fase di Esp mantengo tale rotazione. Faccio questo
su più atti respiratori e, quando il tessuto cede posso andare a seguire la correzione spontanea del tessuto o
257
viceversa fare una tecnica combinata ed indurre il viscere aiutando la correzione in RI.
in INsp esagero la RE quando i tessuti mollano oppure vado in RI anche con
in Esp vado in RI l’aiuto della spalla

Altra modalità più efficace: posso utilizzare il braccio del Pz, prendendolo con la mano esterna (nel caso del
nostro es la mano sin), e mantenendo la mano interna (mano dx) come punto fisso in proiezione del lobo su-
periore del polmone, sia per indurre una RE sia per indurre una RI. Faccio ciò sia quando voglio andare contro
restrizione che secondo restrizione.

in INsp aggravo la RE alla fine in Esp correggo in RI

Es: voglio fare una tecnica diretta di un


polmone in RE e lo voglio portare in RI;
su più tempi di Esp me lo porto in RI,
mantenendo le mani come detto sopra
e portando il braccio in Add.

Tecnica di riduzione di una RE mediante


uso del braccio del Pz

Con le mani viceversa posso usare la rotazione dell’arto superiore sia per l’esagerazione, portandolo appunto
in RE e sia per la correzione portandolo in Add.
La cosa importante è di non fare semplicemente la RE e la RI, ma vado tramite l’arto a percepire il grado di abd
258
e Add, e vedo le varie possibilità di aiuto dell’arto superiore con la mano esterna, mentre mantengo fissa la
mano interna in prossimità dei lobi sup.
Per un polmone in disfunzione di RE:
in INsp porto il polmone in RE, aiutandomi con il braccio in RE e abd, in Esp mantengo (così su più INsp)
Fin quando sento che il tessuto molla, fuori aria, ed è qui che aumento la RI, correggo e add il braccio del Pz.
Quindi l’arto non è sempre mosso a caso, ma è fondamentale la ricerca delle componenti che mi permettono
di esagerare o di correggere quello che ho deciso su questo lobo.
NB: La correzione la posso fare o in un unico tempo o su più tempi respiratori sempre sull’asse bronchiale.
Per ridurre una disfunzione del lobo inf:
mi posiziono con la mano interna a livello del lobo inf in direzione dell’asse bronchiale, mentre la mano es-
terna prende l’arto e lo muove o in add/RI o in abd/RE a seconda della disfunzione considerata.

NB: se devo lavorare per correggere una disf del polmone di sin, posso mettermi alla sin del Pz
Approccio al trattamento del lobo INF in una donna
L’unica differenza è che prima di prendere appoggio con la mano interna sul torace, si sposta la mammella
verso l’esterno, si supera il piano costale e si prende appoggio sul polmone in proiezione di questo.

Procedimento metodologico di approccio al viscere:


Repere
Test di press
Legamenti
Mobilità

Quando ho positivo al bilanciamento l’apice del polmone, posso testare la cupola pleurica ed i legamenti.

Cupola pleurica
Dobbiamo sentire quale legamento della cupola pleurica è maggiormente responsabile di tale positività.
Si fa un trattamento per i legamenti che mira a defibrotizzare questi ultimi, e che, proprio perché è una tec-
nica diretta ha molte controindicazioni, poiché mette il Pz in posizioni simili al trattam per le cervicali (data la
relazione molto forte tra cupole e struttura).

1. Possibilità di approccio globale alla cupola pleurica


È una tecnica indiretta, non è contro la resistenza, ma
sfrutta la possibilità di appoggio verso la resistenza tis-
sutale e va invece verso l’ammorbidimento della zona che
voglio trattare.
Pz su un fianco, opposto a quello da trattare, in decubito
laterale. Il braccio superiore del Pz è in appoggio sul letti-
no con il polso flesso, perché la zona dello stretto toracico
superiore rimanga morbida e rilassata.
Mano caudale, è in proiezione della cupola pleurica; è la
mano che fa punto fisso a livello dello stretto toracico sup;

mano craniale, la metto a livello della scapola ed è quella attiva che va ad ammorbidire: quindi la scapola è il
timone della mia tecnica, muovendo la scapola io seguirò i movimenti che mi permettono di ammorbidire la
zona della cupola pleurica, non vado verso il duro, ma verso la zona più morbida.
Con la mano caudale mi posiziono non direttamente nel pacchetto vasculo-nervoso dello stretto toracico
superiore, ma nella zona dove abbiamo fatto il test di pressione un po’ più indietro e un po’ più in dentro ris-
petto ad esso, muovo la scapola e muovendola sarà quest’ultima che mi dice la direzione che devo seguire e
le direzioni in cui posso ammorbidire.
Questo è il trattamento globale della cupola pleurica ed è un ausilio per essa; cerco il morbido.
Riassumendo: punto fisso sulla cupola (dove la mano non si muove!!!) ed è la mano della scapola che orienta
il movimento; vado alla ricerca del morbido. La tecnica finisce quando ho un sufficiente grado di soddisfazi-
one di ammorbidimento tissutale rispetto alla condizione da cui sono partita.
259
Test dei legamenti
NB: intanto bisogna dire che
se ho fatto il test di pressione,
so già che ho sicuramente
un apice di competenza. Nel
nostro Pz in esame, facciamo
conto che ho trovato positivo
un apice, quindi ho già il lato
Test di INsp ed Esp
della cupola pleurica, es: cu- delle cupole per valutare
pola sin. disfunzioni presenti
Faccio una valutazione in
INsp ed in Esp: chiedo al Pz di
prendere aria e buttare fuori
aria; la disfunzione trovata è
in INsp cioè va bene in INsp e
non torna in Esp.

A questo punto voglio inibire il leg trasverso–pleurico,


quindi lo devo accorciare e per far ciò devo far fare al Pz una
inclinazione dove ingaggio C7.
Pz seduto
Osteopata dietro Pz
Mano caudale blocca C7
Mano craniale inclina la testa del Pz dallo stesso lato del leg
in questione per accorciarlo; eseguo il test facendo dapprima
prendere aria al Pz e buttare fuori. Migliora un po’ e quindi dico
che il leg trasverso pleurico è coinvolto nel mantenimento della
disfunz

Voglio inibire il leg vertebro–pleurico


Pz seduto
Osteopata dietro Pz
Mano caudale in corrispondenza del tratto C6-C7-D1, quindi è necessario
ingaggiare fino a D1. Pertanto:
mano caudale fa presa su C6-C7-D1
Mano craniale inclina il capo dallo stesso lato e ruoto omolateralmente
al legamento interessato e lo accorcio; a questo punto richiedo al Pz INsp
ed Esp e valuto così se c’è un cambiamento o un miglioramento rispetto
al mio test di partenza.

260
Se voglio inibire il leg costo-pleurico
Pz seduto
Osteopata dietro Pz
Mano caudale posizionata su D1
Mano craniale si posiziona su capo del Pz: bisogna arrivare ad ingaggiare
D1 e interiorizzare il collo della K1, quindi inclina capo dallo stesso lato ma
ruota capo dal lato opposto (controlateralmente)
si chiede al Pz di prendere aria e di espirare e valuto il miglioramento o meno
rispetto al test iniziale.
Quindi facendo un test di inibizione capisco dove è la priorità.

Tecniche sui legamenti


Le tecniche mirano a defibrotizzare i legament, i visti come strutture elastiche; sono tecniche dirette.
Devo mettere in tensione i legamenti e quindi faccio sicuramente i movimenti opposti a quelli che causano
l’inibizione.
Per lavorare sul leg trasverso pleurico sin:
Pz supino
Osteopata alla testa del Pz
mano dx caudale va in appoggio di C7 posta orizzontalmente contattando bene la spinosa contattata con la
metacarpofalangea
mano sin craniale prende il capo del Pz e lo inclina a dx;
l’Osteopata con la sua mano dx fa la sua tecnica di defibrotizzazione dando informazioni toniche, e con la
mano sin posta sul capo mantiene la tensione e non molleggia.
trattamento
leg trasverso
pleurico

modalità di presa o contatto

Per lavorare il leg costo-pleurico sin: (come detto prima è


l’unico che ha una R controlaterale).
Mano dx scende di un livello su D1, fa punto fisso su D1, dove
si posiziona come prima con mano a piatto per orizzontale.
Mano sin prende il capo del Pz inclina a dx e ruota a sin.
Mano dx fa tecnica di defibrotizzazione dando informazioni
toniche, mentre mano sin mette in tensione il capo.

261
Per trattare il leg vertebro-pleurico:
Mano caudale dx fa una presa un po’ ampia tra C6 e D1 a
livello vertebrale.
Mano sin, posizionata sul capo, inclina a dx e ruota a dx
(quindi dallo stesso lato), finchè non ingaggio tutta la
zona.
Mano dx defibrotizza senza molleggiare in modo molto
diretto, mentre la mano sin mantiene la messa in ten-
sione.

Durata delle tecniche


Faccio le tecniche di defibrotizzazione finchè non sento che il tessuto è come se mollasse e la tecnica termina.
Infatti in Pz con problemi all‘inizio c’è una resistenza forte, poi man mano sentirò che i miei tessuti mollano
e la capacità elastica di questa zona aumenta e si termina quando si è sufficientemente contenti di quello
che si sente, cioè della percezione che si ha sotto le mani. Si possono anche associare le varie tecniche se c’è
l’esigenza e se il Pz lo permette.
Spesso si fanno più tecniche in una zona quando si trovano più elementi disfunzionali.

sem 4

Le scissure polmonari
Cosa sono le scissure polmonari?
Ve ne sono 2 a dx (piccola scissura orizzontale e grande scissura obliqua) ed 1 a sin (grande scissura obli-
qua). Sono zone di separazione tra i lobi polmonari, dove c’è un’invaginazione del connettivo pleurico viscer-
ale che riveste i polmoni.
Hanno una valenza osteopatica perché possono essere sede di restrizione di mobilità a seguito di processi
infiammatori del polmone (es. pleuriti, polmoniti, etc.). in questi casi è possibile che rimangano degli esiti
nonostante il processo principale sia guarito. In questo caso a livello della scissura si avrà una scissurite (infi-
ammazione della scissura) con possibile presenza di liquido (evidente all’esame radiografico come una linea
radioopaca).
Questa condizione giustificherà la possibilità di disfunzioni a livello delle scissure, ma anche una riduzione
della capacità vitale del polmone e soprattutto è possibile che una pleurite od una polmonite si rendano
manifeste solo tramite una scissurite.
Quindi il lavoro osteopatico svolge un ruolo importate a fronte di una sintomatologia protratta nel tempo
e sfumata (es. segni di infiammazione, febbricola, tosse, dolore: questo può essere presente sulla zona della
scissura oppure a livello costale, dove passa la scissura o dolori riferiti di origine fasciale (cervicobrachialgia,
problematiche di arto superiore come epicondilite ed epitrocleite, dorsalgie in corrispondenza dei polmoni,
sterno da K1-K6).
Lo scorrimento della pleura che riveste i polmoni e le scissure consente l’espansione dei polmoni.
Decorso delle scissure: partono anteriormente dall’ilo polmonare a livello dello spazio condrocostale di k6-k7
e si dirigono lateralmente.
1. La grande scissura obliqua di dx e sin dallo spazio intercostale di K5-K6 si porta post su K5 fino ad arrivare
a D3.
2. La piccola scissura orizzontale di dx ant-lateralmente si protende a livello di K4, mentre post anch’essa si
porta a livello di D3.

262
Pratica sulle scissure
Le scissure possono essere valutate sia con il Pz in decubito seduto che
laterale.
Pz seduto
Per la piccola scissura orizzontale di dx si può partire post a livello di D3
oppure ant a livello dello spazio intercostale K3-K4. Si segue tutto il de-
corso della 4° costa sino ad arrivare a livello del cavo ascellare. Quindi ap-
4° spazio poggiandosi con la metacarpofalangea del 2° dito si effettua un test con
intercostale direzione verso basso (cioè a livello del 4° spazio intercostale) cercando di
superare i piani tessutali sino a sentire la resistenza offerta dalla scissura.
L’altra mano è poggiata sulla spalla omolaterale, mentre il gomito è sulla
spalla controlaterale. Entrambe hanno funzione di stabilizzare. Attenzi-
one alla resistenza offerta dal piano costale durante il test di pressione.
Test di pressione sulla piccola scissura orizzontale di dx
Per la grande scissura obliqua di sin e di dx ci si dispone a livello della 5°
costa e più precisamente a livello del 5° spazio intercostale. Le mani sono
disposte più obliquamente in direzione dell’ilo polmonare. Come descrit-
to per la scissura orizzontale, si deprimono i tessuti e superata una prima
resistenza offerta dalla costa si va alla ricerca di una densità scissurale. La 5° spazio
mano ed il gomito controlaterali fanno da stabilizzatori rispettivamente a intercostale
livello della spalla omolaterale e di quella controlaterale.

Test sulla grande scissura obliqua di dx

Pz in decubito laterale
Si possono utilizzare 3 approcci:
1. L’osteopata si pone con le mani a ponte sulla scissura:
per essere sicuri di essere a livello si blocca il lobo medio del
polmone destro e quando il Pz respira l’altro lobo dovrebbe
espandersi (test meccanico).

2. Sempre con 3. Sempre con le mani


le mani nella nella medesima posizione
medesima po- in un tempo di INsp si ef-
sizione si può fettua una pressione con la
effettuare un mano craniale in direzione
test di com- avanti-dentro. Nell’Esp se
pressione con c’è dolore e il movimento si
la mano craniale blocca vuol dire che la scis-
(test pressorio). sura è interessata. La mano
caudale fa da punto fisso sul lobo inf.

263
Trattamento
Può avvenire in varie modalità:
1. Meccanica: con le mani a ponte sulla scissura l’Osteopata effettua mec-
canicamente senza l’ausilio della respirazione una sorta di avvitamento e
svitamento. Lo si fa varie volte in un senso e poi nell’altro oppure se si sente
una resistenza si rimane lì e quando il tessuto si ammorbidisce si va nel
senso opposto.

2. Respiratoria: è una tecnica funzionale indiretta, pertanto con le mani sempre


nella stessa posizione in un tempo espiratorio la mano craniale aggrava in direzi-
one avanti-dentro, mentre la mano caudale fa punto fisso. In un tempo di INsp si
mantiene. Il tutto viene ripetuto alcune volte sino a che non si percepisce un am-
morbidimento dei tessuti ed a questo punto si esegue un recoil.
NB: per la scissura orizzontale si procede nello stesso modo, ciò che varia è la po-
sizione orizzontale a ponte sulla scissura.

3. Tecnica di Jones: l’Osteopata è seduto di fianco al Pz. Con le mani si pone a


ponte sulla scissura. Si chiede al Pz di piegare le gambe e di muoverle a dx ed
a sin e si valuta in quale posizione la scissura si ammorbidisce e si rimane in
quella posizione per 90 secondi. In questo modo si mette in confort il tessuto
(è simile al lavoro che si esegue sui pilastri).
NB: la scelta di una tecnica piuttosto che un’altra dipende dal Pz, dal suo mo-
mento fisiologico etc. Generalmente le tecniche meccaniche sono molto ef-
ficaci nel trattamento delle scissure. Devono essere precedute da un lavoro di
liberazione delle strutture limitrofe.

Lavoro sulle relazioni viscerali

Diaframma
Inserzione periferica sulle coste basse faccia interna e cartilagini costali dalla 7°
Faccia post-inf della xifoide e parte bassa sterno (qui formano scissure di Larrey per il passaggio dell’a. mam-
maria interna, che è un ramo della succlavia)
I pilastri interni hanno fibre che si confondono con il leg vertebrale comune ant (cranio_coccige)
Pilastro dx > faccia ant corpi vertebrali L2-L4 e dischi
Pilastro sin > faccia ant corpi vertebrali L2-L3 (influenza di trazioni asimmetriche sulle vertebre creano NSR e
tramite il legamento longitudinale fino al sacro)
Creano orifizi aortico e esofageo > aorta, esofago, vena cava
I pilastri esterni creano arcate:
1. arcata psoas parte lat corpo di L2–trasversa di L1
2. arcata quadrato dei lombi trasversa di L1-apice di K12
3. arcata del trasverso o Sennac apice K12 faccia inf di K11
Centro frenico coste e sterno per l’inserzione dei digastrici
leg freno-pericardici > relazione con il cuore e con la pleura
leg coronale, leg falciforme e leg triangolari > fegato
leg freno-colico > angoli colici
264
leg gastro-frenico > stomaco
leg freno-lienale > milza
mesoesofageo > esofago addominale
muscolo di Treitz > duodeno e tenue
leg freno-surrenalico > rene

Relazioni dirette di innervazione


C3-C5 > n. frenico dx e sin > n. frenico dx e orifizio della vena cava, n. frenico sin e fogliola sin)
i nn. frenici innervano pleura costale e pericardio
grande vena azygos
dotto toracico
ghiandola surrenale
vena cava e peritoneo diaframmatico
capsula di Petrequin e Glisson
passaggio del vago
nn. grande e piccolo splancnico
m. costrittore
inf della faringe
Esofago_D4-D8_vaghi cartilagine tiroidea
aponeurosi muscolare > ioide
diaframma cartilagine cricoidea
spazio di Hencke > relazione con le vertebre
cervicali m. crico-faringeo
sistema fasciale medio e profondo > relazione (parte del m.
con la base del cranio (occipite) tubercolo
costrittore
inf della faringe)
faringeo
esofago_tratto toracico > relazione con la trachea
trachea fino a D4, pericardio, faccia post del
esofago
cuore e pleura
loggia vascolare: carotide, giugulare aorta
arterie tiroidee > tiroide e paratiroide
stomaco sterno
rapporti vascolari con aorta e dotto toracico
rapporto con i vaghi
n. frenico
n. laringeo ricorrente cuore entro
ci sono fibre muscolari e connettivo che media il pericardio
queste relazioni
mesoesofageo (esofago_addominale) >
relazione con il diaframma
mesoesofageo + peritoneo diaframmatico >
leg triangolare sin del fegato
mm. cricofaringeo e costrittore inf (formano il diaframma
UES) > relazione con la faringe
i leg freno-esofagei inf prolungano il leg gastro-
frenico e il triangolare di sin
relazioni neurovegetative con i vaghi (decorso
del vago)
gangli cervicali sup e inf (vertebre)
D4-D8 (vertebre e coste)

265
Stomaco_D4-D8_vaghi
Relazione con il diaframma e quindi le ultime 6 coste pancreas (dietro)
Tramite il diaframma > cuore e pleura rene e surrene
esofago innervazione D4 D8 > relazione con vertebre e
fegato coste corrispondenti
duodeno cardias D4 D5
colon trasverso piloro D6 D8
milza
a. epatica propria, aorta margine dell’incisione
ramo sin addominale del piccolo omento
a. epatica propria, v. cava a. gastrica
ramo dx inferiore sin
fegato stomaco

cistifellea milza

a. cistica
margine
dell’incisione
del leg. epato-
duodenale
a. epatica
propria
v. porta

tronco
celiaco
a. epatica
comune
dotto
coledoco
a. gastrica
dx
a. pancreatico-
duodenale
superiore
posteriore
a. gastro-
duodenale
flessura
colica dx

duodeno a. gastro- a. lienale a. gastro-


epiploica dx epiploica sin
a. pancreaticoduodenale pancreas grande
superiore-anteriore omento

Fegato_D7-D9_vaghi
rapporti con le coste da K9 a K12
vertebre si appoggia tra D9 e D12
diaframma
Tramite il diaframma polmone pleura e il lobo sinistro con cuore pericardio
leg rotondo > relaz con il peritoneo anteriore linea mediana e
uraco > relazione con la vescica
esofago (impronta esofagea)
266
piccolo epiplon > stomaco
flessura colica di dx
impronta renale (surrene)
ricordare leg epato-renale, epato-surrenale e epato-colico (non studiati)
rapporto con la vena cava fissata da aderenze peritoneali
relazione emodinamica con gli organi del sistema portale (milza, tenue, cuore?)
vescicola biliare
C3 C5 > n. frenico, che dona filuzzi per i mm. succlavio, ipoglosso, accessorio
relazioni biochimiche

Vescicola biliare (VB)_ D7-D9_vago sin


mesocolecisti > fegato dotto coledoco > relazione con duodeno
duodeno nella parte inf del collo della VB arriva il piccolo epiploon
colon trasverso il leg cistico-duodeno- n. frenico, cervicali
colico va dalla faccia inf della VB al duo- coste K9 K10
deno, flessura colica di dx.

Duodeno_D6-D12_vaghi
leg cistico-duodenale > fegato e vescicola biliare mesocolon trasverso > relazione con la borsa omentale
stomaco leg duodeno-renale > relazione con faccia ant rene dx,
testa del pancreas Du2
colon trasverso e anse del tenue leg epato-duodenale continua il fascio orizz del piccolo
rene dx, surrene epiploon, quindi relazione con lo stomaco
muscolo di Treitz > diaframma
radice del mesentere
radice del mesocolon trasverso
peritoneo v. cava vv. aorta
parietale inferiore epatiche esofago addominale
diaframma milza

lobo dx
del fegato ghiandola
dotto surrenale
epatico sin sin
dotto tronco
epatico dx celiaco
dotto epatico a. lienale
comune
dotto a. epatica
cistico comune
a. epatica coda del
propria pancreas
cistifellea flessura
dotto colica sin
coledoco corpo del
flessura dx pancreas
del colon rene sin
dotto coledoco,
sbocco a livello digiuno
della papilla colon
duodenale discendente
maggiore

colon duodeno, dotto testa del duodeno, a. e v. mesenteriche


ascendente parte pancreatico pancreas parte superiori
discendente principale ascendente
267
Pancreas_D8-D10_vago dx
duodeno F di Treitz
davanti > inserzione parietale del mesoco- >v. cava, L pancr-lienale
lon trasverso (una tensione del trasverso corpo L2-L3, >milza
può dare una trazione su pancreas, duode- diafr aa. mesenteriche
no e tramite il coledoco sulla VB)
dietro > impronta del coledoco coledoco
dietro > piano vascolare delle aa. mesent Du
fascia di Treitz > rapporti con la vena cava,
rene+sur sin
il corpo di L2 L3, diaframma erso
retrocavità degli epiploon > stomaco trasv
olon
a sin > relazione con il rene sin e surrene mesoc R degli epiploon
leg pancreatico-lienale > milza > stomaco

Milza_ D7-D9_vago sin


coste dal K8 a K12
leg freno-lienale > diaframma a sin
pancreas
stomaco
angolo colico
relazione con il sistema portale (ricordare la relazione vascolare con il rene sin per anastomosi tra vena lienale
e vena renale sin)

268
Intestino mesenteriale _ D9-D12_vago sin
con il colon ascendente e discendente
dietro > con il peritoneo post
sopra > relazione con il trasverso
Inferiormente grande relazione con gli organi del piccolo bacino
Relazione meccanica diretta tra angolo duodeno-digiunale (diaframma) e valvola ileocecale (ricordiamo che
il ceco è fissato alla fascia iliaca con il leg parieto-cecale esterno)
Ricordiamo che l’a. mesenterica sup passa a ponte sull’a. renale sin relazione meccanica sul peduncolo vasco-
lare in caso di trazione sulla radice)
riflesso gastro-ileale > relazione riflessa con lo stomaco (attivazione della peristalsi dello stomaco stimola
l’ileo e l’apertura della vic
riflesso digiuno-gastrico > la distensione di un segmento intestinale inibisce la peristalsi dei segmenti addia-
centi
Quadro colico_D6-D11 (dx)_D9-L2 (sin)_vago dx e para sacrale
anse intestinali
leg parieto-cecale est > relazione con l’ala iliaca a dx
leg parieto-colico est >in relazione con l’ala iliaca sin
leg parieto colico int > il ceco è in continuità con la radice del mesentere
leg appendico-ovarico > relazione con l’ovaio dx
colon ascendente > relazione forte con la faccia ant del rene
leg epato colico > relazione tra angolo colico dx e il fegato
milza
leg freno-colico dx e sin > diaframma
leg freno-colico sin > continuità fasciale diretta in alto con il gastro-colico, dietro con il mesocolon trasverso e
in basso diventa fascia di Toldt
leg tubo-colico sin > tra mesocolon pelvico e tuba uterina
retto (uomo) > tramite l’aponeurosi prostato-peritoneale è in rapporto con la vescica e la prostata
retto (donna) > utero e vagina
lateralmente > è in rapporto con colon, vescichette seminali, uretere
para sacrale S2 S4 + nn. erettori d’Eckard
centri defecazione L2-L4 e S2-S3

Rene_D10-L1 (surrene D8-D11) _vago dx


tramite connettivo > surrene
colonna D12 L2 la lamina posteriore della fascia renale raggiunge il corpo vertebrale lateralmente e dischi
Aderisce alle fasce del quadrato dei lombi e psoas
K11 K12
leg frenico-surrenale > lo sospende al diaframma
leg epato-renale dx
davanti > quadro duodeno pancreatico
uretere > vescica
bacino > tramite la fascia iliaca
m. psoas > relazione con anca e arto inferiore
stomaco > relazione indiretta
fascia di Toldt > relazione++ con il colon a dx e a sin, o senza il foglietto ant aderisce intimamente al questa
vago

Uretere_D10-12_vago dx (plesso celiaco e renale) e para sacrale


sotto il peritoneo riposano sulla fascia iliaca e sullo psoas
a dx > Du2, anse
a sin > con angolo duodeno digiunale e anse
nella donna > in relazione con l’ovaio, aderisce al leg largo prima di giungere in vescica
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retto
vago dx, plesso celiaco e renale, sacrale.
mm. otturatore interno e elevatore dell’ano

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