(come nel caso della ginnasta che riesce ad essere molto elastica, ma allo stesso
tempo è molto forte)
Per cui una volta ritrovati a livello molecolare la stessa strutturazione del modello
tensegrile (ovvero pilastri e tiranti) si è iniziato a parlare di biotensegrità.
Continuando questi studi, si
è visto come a livello
cellulare, vi sia una struttura
particolarmente
importante, la quale
appunto rispecchia in
maniera importante il
modello della biotensegrità,
ovvero questo elemento è il
citoscheletro, il quale è
composto appunto da:
microtubuli (i quali sono in compressione) e microfilamenti e filamenti (i quali
appunto sono in tensione)
Per cui il nostro lavoro sarà quello di interpretare una disfunzione fasciale
all’interno del contesto globale del corpo del paziente.
Il fasciale osteopatico è unico, perché si contestualizza all’interno di una filosofia
osteopatica promossa dal Dott. Andrew Tailor Still.
I PRINCIPI FONDAMENTALI CHE CARATTERIZZANO L’OSTEOPATIA
Allora Still analizzando il corpo vide che il corpo era tutto un insieme unico, ma lo
definì e quindi lo divise in 3 parti: ovvero la carrozzeria (ovvero tutto l’apparato
muscolo scheletrico) che Still definì come “la materia” (ovvero siamo strutturati da
un involucro). Tutta questa materia (quindi il sistema muscolo scheletrico) per
muoversi ha bisogno di benzina, per cui il nostro corpo ricava energia per produrre
il movimento da tutto il sistema viscerale digestivo definendo questo sistema
digestivo come il motore dell’auto; infine definì come conduttore , colui che dirige
l’auto, il quale appunto è rappresentato dal sistema nervoso centrele e periferico
e vegetativo (i quali appunto ci consentono di controllare e regolare sia il sistema
muscolo scheletrico, che il sistema viscerale). Quindi il conduttore è quella stuttura
pensante e che governa (e quindi che fa funzionare le altre strutture).
Tutte e tre queste strutture sono relazionate tra di loro. Noi come osteopati
agiremo tramite la carrozzeria del nostro paziente (in quanto è l’unico accesso che
abbiamo) quindi agiamo tramite la pelle, e quindi tramite la pelle creiamo qualche
tipo di risposta (risposte viscerali, tissutali ecc) che ci permetterà di relazionarci
con il sistema nervoso, con il motore e con la carrozzeria. Quando uno di questi tre
sistemi presenta una problematica, questa problematica può ripercuotersi sugli
altri due sistemi.
((( per cui Still ci insegna come il corpo umano deve essere visto nella sua globalità
e che allo stesso tempo, il corpo può essere suddiviso in 3 parti, ovvero:
- La carrozzeria, la quale appunto risulta essere il sistema muscolo scheletrico
- Il motore, il quale appunto risulta essere il sistema viscerale (il quale appunto è il
sistema che ci consente di ottenere l’energia utile al movimento del sistema
muscolo scheletrico)
- Il conducente, il quale è rappresentato dal sistema nervoso centrale/periferico e
dal sistema nervoso autonomo <e quindi sistema cranio-sacrale> (i quali appunto
ci consentono di controllare e regolare sia il sistema muscolo scheletrico, che il
sistema viscerale). Quindi il conduttore è quella stuttura pensante e che governa (e
quindi che fa funzionare le altre strutture).
Tutti e tre i sistemi sono in relazione tra di loro e nel caso in cui, uno dei tre sistemi
presenta una problemematica, questa può ripercuotersi sugli altri due sistemi
restanti) )))
2) LA STRUTTURA GOVERNA LA FUNZIONE
Vuol dire che se una faccetta articolare è fatta in una precisa maniera
(ovvero presenta una certa concavità, un certo orientamento ecc)
vorrà dire che quell’articolazione potrà effettuare solo un certo tipo di
movimento. quindi la funzione è dettata da come è strutturata
l’anatomia (quindi la fisiologia agisce in relazione a come è strutturata
l’anatomia).
La modificazione delle articolazioni è dettata dalla legge di Wolf il quale dice che:
La legge di Wolf dice che un corpo reagisce e si deforma in relazione agli stimoli a cui è
soggetto.
L’esempio dell’anca può essere anche riproposto a livello della spalla, ovvero:
se la spalla è soggetta ad un carico anomalo (dettato sempre da disfunzioni muscolari-
fasciali ecc) , inizierà a sviluppare certe calcificazioni (quindi il tendine non assolve più una
funzione puramente muscolare, ma inizia ad indurirsi ed a crearsi una condizione molto più
fibrosa (a causa del deposito di sali di calcio).
La calcificazione è un processo assolutamente reversibile
3) IL RUOLO DELL’ARTERIA E’ SUPREMO
Un’altra regola importante è quella dell’arteria
ovvero:
Se tutti i tubicini e quindi tutte le strutture
fluidiche sono libere e quindi hanno la
possibilità di poter fare circolare il sangue (e
quindi portare così nutrimento ed ossigeno ai
tessuti) il tessuto ritornava a funzionare in
maniera corretta.
Still partecipò alla guerra di secessione
(americana) e vide che nei soggetti feriti agli arti inferiori, prima che l’arto inferiore
andasse in cancrena (e quindi in necrosi) se veniva immobilizzato l’arto inferiore
(tra dei paletti di legno) e venivano liberate-aperte alcune vie vascolari (quindi a
seguito di un ragionamento meccanico/anatomico venivano rese pervie queste vie
vascolari) le gambe riprendevano a funzionare (((ed addirittura si poteva evitare
l’amputazione dell’arto del soggetto ferito))).
Col tempo questa visione si è evoluta, infatti ormai oggi si va a stimolare il sistema
neuro-vascolare (quindi neurovegetativo).
4) IL MOVIMENTO E’ VITA
L’equilibrio
Noi per poter vivere una vita sociale e di relazione dobbiamo avere gli
occhi su di un sistema parallelo (ovvero noi dobbiamo avere una linea
visiva che deve stare su di un piano orizzontale).
(((Per cui il corpo si adatta in ogni maniera pur di mantenere
l’orizzontalità dello sguardo, in quanto il nostro sistema vestibolare
non riesce a svolgere compiti di relazione se il nostro sistema visivo non si trova su
di un asse orizzontale))).
Alcuni biologi hanno esaminato che in un sistema perfetto (nel quale appunto non
vi sono stimoli nocivi, controproducenti) hanno analizzato quanto potrebbe essere
la vita al momento dell’unione di uno spermatozoo con un ovulo e quanto potrebbe
essere l’impotenza di vita umana. Pare che il periodo di gestazione levi l’impotenza
fra i 30 e 40 anni (((la registrazione era tagliata per cui non è scritta tutta la
spiegazione))). Oggi si stima che la vita media dell’uomo sia per l’uomo intorno ai
77 anni di vita, mentre per le donne qualche anno di vita in più.
COSA FA L’OSTEOPATIA ODIERNA → nella prima parte vi sarà la spiegazione di ciò che fanno
i Medici, mentre nella seconda parte vi sarà la spiegazione di ciò che fa l’Osteopata
Gliulia
Gliulia
Lucia ama sua Giulia e la lascia libera di correre sulla spiaggia, e nel
giocare sulla spiaggia, la figlia di Lucia cade su un sasso e si rompe Gliulia
la gamba. Per cui la bambina ha subito un primo trauma ed a
seguito della gessatura ecc la bambina torna a camminare, ma non
tornerà a camminare come prima (quindi non camminerà bene
come prima) per cui la sua anzianità incomincerà a scendere .
Durante la sua vita, Giulia ha incontrato dei medici, i quali le hanno permesso di
sopravvivere ed arrivare al compimento del suo naturale andamento biologico (il
quale appunto prevedeva come età media per la donna 90 anni)
QUESTO E’ CIO’ CHE FANNO I MEDICI. QUINDI L’OPERATO DEL MEDICO TI CONSENTE
DI SOPRAVVIVERE, CONSENTENDOTI DI CONTINUARE A VIVERE (E QUINDI
CONSENTENDO AL TIMER BIOLOGICO DI ARRIVARE A COMPIMENTO
COSA FA INVECE L’OSTEOPATA
Nel momento in cui si è fratturata la gamba Giulia (da piccolina), Lucia decide di
portare Giulia dall’osteopata. Per cui l’osteopata lavora sulle cicatrici, riequilibria le
tensioni ecc e come risultato finale abbiamo che, rispetto al solo intervento
chirurgico del medico (il quale si salva la vita a Giulia sistemandole la caviglia)
abbiamo UN MINOR DISPENDIO ENERGETICO. Per cui quello che (a seguito
dell’intervento) sarebbe stato un abbassamento dell’energia, risulterà meno
dispendioso da un punto di vista energetico. Quindi L’osteopata cerca di ripristinare
un equilibrio, in maniera tale che il paziente riesca a sopportare meglio (con
confort) le lesioni che possiede (interventi chirurgici ecc), con un guadagno sul
punto di vista del risparmio energetico
“La medicina da più anni alla vita (ha permesso al soggetto di arrivare al suo timer
biologico), mentre l’osteopatia da più vita agli anni”
Per fascia noi intendiamo tutto il tessuto connettivo, ovvero tutte quelle strutture
che collegano diverse parti anatomiche fra di loro. La fascia viene divisa in :
Fascia ad indirizzo medio (che ha una valenza sia muscolare che viscerale)
Fascia ad indirizzo profondo che ha una valenza sia dal punto di vista muscolare
che dal punto di vista viscerale <quindi molto vicino all’asse centrale del corpo>.
Inoltre sempre nel piano profondo viene inserito lo studio della dura madre (ma
verrà trattato nella parte che riguarda il craniosacrale)
LA PELLE
La pelle è composta principalmente da 3 strati i quali dal più
esterno al più profondo sono: epidermite, derma, ipoderma
Epidermite
L’epidermite a sua volta è costituito da 7 strati i quali dal più
profondo al più superficiale sono: tessuto basale/lamellare (in
cui si fabbricano le cellule dell’epidermite). L’ultimo strato
(ovvero lo strato corneo è composto da pelle morta) insieme
agli altri 7 strati impiegano 7 anni per rinnovarsi
completamente.
DERMA
Il quale è una struttura che è sede di passaggio tra l’epidermide e l’ipoderma, ma
inoltre è sede di passaggio importante, in quanto è sede di passaggi vascolari
importanti
IPODERMA
È costituito esclusivamente da tessuto adiposo. Una parte di questo ipoderma,
viene definito come fascia superficialis (le quale è una sorte di muta da subacqueo)
che ci permette di svolgere delle funzioni fondamentali per il nostro organismo,
ovvero : è una grossa fonte di regolazione della temperatura(il grasso fa da
isolante), è un dissipatore di zuccheri (in caso di ipoglicemia) e serve come
passaggio di traspirazione tra tessuti interni e tessuti esterni.
I principi dell’Osteopatia:
1) UNICITA’- GLOBALITA’ DEL CORPO (VISIONE OLISTICA DEL CORPO): Il corpo viene
come un’unica unità, e quindi nella sua globalità (quindi come una serie di parti
unite tra di loro). Il sistema di unione principe è il sistema connettivo (quindi le varie
parti sono collegate tra loro attraverso il sistema connettivo e quindi le fasce). (vedi
dopo →)
2) IL RUOLO DELL’ARTERIA- E’ SUPREMO: la vascolarizzazione ha un ruolo supremo
(quindi se una struttura ha il corretto apporto di sangue arterioso e venoso, i tessuti
funzionano correttamente), ma questo modello nel tempo si è evoluto, diventando
sistema neuro-vascolare, in quanto il sistema vegetativo innerva e regola i vasi
sanguigni.
3) LA STRUTTURA GOVERNA LA FUNZIONE: Relazione stretta tra struttura (ad una
certa struttura anatomica deve corrispondere una certa funzionalità ed anche una
certa fisiologia), quindi la funzione (ad esempio di un’articolazione) è dettata da
come è strutturata l’anatomia (quindi la fisiologia agisce in relazione a come è
strutturata l’anatomia).
4) LA FUNZIONE GOVERNA LA STRUTTURA: la struttura anatomica si plasma in base
alla fisiologia (esempio dell’artrosi)
5) LA VITA E’ QUESTIONE DI MOVIMENTO(quindi il movimento è vita): Se tutte le
strutture corporee si muovono correttamente, allora il corpo ha la possibilità di
autoguarirsi. Mentre dove c’è una restrizione di mobilità, inizia a crearsi il
presupposto per la malattia (perché si bloccano i flussi sanguigni, le informazioni)
quindi il sistema non è più in grado di mantenere in maniera confortevole (e con
un alto rispermio energetico), una situazione di equilibrio. Se noi riusciamo a
togliere le restrizioni di mobilità, il corpo ha tutti i presupposti per poter
autoguarirsi.
CONCETTI OSTEOPATICI
L’Osteopata lavora per aumentare la qualità della vita delle persone.
Anche se Still aveva una visione olistica del corpo, decise di dividerla in:
- Movimento (per movimento di intende l’impalcatura del nostro corpo, quindi
l’osteos) al quale noi approcciamo per poter dare un’informazione al corpo.
- Materia (i visceri lavorano come centrale biochimica per la produzione di energia)
- Spirito (Per Still ciò era dato dalla religione) alcuni lo definiscono come le
emozioni, altri come sistema cranio-sacrale altri come sistema neurovegetativo
(per noi è il sistema nervoso autonomo, il quale è colui che comanda il corpo)
Queste tre strutture sono in compartecipazione per mantenere la salute del nostro
paziente. Oggi, la spiegazione a come queste strutture siano in relazione, ci viene
data dall’embriologia, e quindi dallo sviluppo embriologico che è tripartito ovvero
dal fatto che a livello embriologico noi siamo divisi in tre foglietti, i quali generano
tessuti con strutture differenti (quindi le nostre cellule possono differenziarsi
all’interno di quello che è la loro matrice originale, ad esempio il mesoderma può
differenziarsi da sangue ad osso, a seconda del quantitativo di densità che
raggiunge, ma apparterrà sempre a quel tipo di matrice embriologica, ovvero il
mesoderma).
SPIEGAZIONE SCIENTIFICA DEL MOTIVO PER IL QUALE IL CORPO DEVE ESSERE VISTO
NELLA SUA GLOBALITA’ E QUINDI IL CONCETTO DI OLISTICO. (BIOTENSEGRITA’)
TENSEGRITA’
Il corpo viene visto nella sua globalità, e come abbiamo visto precedentemente, il
nostro corpo può essere visto come una struttura tensegrile, la quale parte dal
micro (quindi a livello della singola cellula) ed arriva al macro (come ad esempio
l’osso). Nello specifico:
spiegazione della struttura tensegrile
1) composizione della struttura tensegrile
La struttura tensegrile è costituita da componenti/elementi rigidi (elementi
strutturali rigidi che corrispondono alle forze di compressione <<<quindi
dovrebbero essere le forze di compressione, quindi visti come i pilastri>>>) e da
componenti/elementi flessibili (elementi di connessione flessibili che
corrispondono alle forze di tensione <<<e quindi dovrebbero essere le forze di
trazione, quindi i tiranti>>>). Per cui una struttura tensegrile è come
un’impalcatura, costituita da un’alternanza di strutture, ovvero, abbiamo
all’interno di questa impalcatura, strutture che lavorano in compressione (pilastri)
e strutture che lavorano in trazione (tiranti) <ed i puntoni che
sono il collegamento tra i due>.
Membrana extracellulare
Per cui è intuitivo come questa strutturazione tensegrile sia molto utile alle cellule,
ma soprattutto ad esempio ai globuli rossi, i quali appunto devono adattare la loro
dimensione per passare nei vasi sempre più piccoli, senza perdere la loro
funzionalità.
sintesi
Quindi a livello cellulare, sono presenti vari elementi che presentano una
composizione tensegrile, una in particolare il citoscheletro. La continuità del
sistema biotensegrile (con tutte le altre cellule, tessuti organi ecc del nostro corpo),
lo abbiamo grazie alla continuità data dai tessuti connettivi (quindi attraverso la
fascia),in quanto, la cellula grazie al ruolo del citoscheletro, è in continuità con
l’ambiente extracellulare (grazie ai ponti di integrina) ed in base al tipo di tessuto
che stiamo analizzando (sangue, legamenti, tendini, ossa), possiamo trovare una
differente tipologia di matrice extracellulare (quindi più o meno ricca di collagene
e proteoglicani). I tessuti connettivi originano a livello embriologico dal mesoderma
e sono una famiglia molto ampia, infatti il tessuto connettivo va dalla sua
componente più liquida come il sangue alla sua componente più solida come l’osso
(ovviamente avranno delle proprietà diverse in relazione al loro ambiente
extracellulare <quindi più o meno collagene e proteoglicani ed elastina>). Quindi la
fascia (essendo un tessuto connettivo) è in continuità con le singole cellule e
successivamente una con tutto il corpo. Quindi la fascia mette in comunicazione le
varie cellule e successivamente tutto il corpo (come un maglioncino).
RUOLO DEL CITOSCHELETRO (da scrivere successivamente)
TRATTAMENTO DELLA FASCIA → COME ATTRAVERSO LA MANIPOLAZIONE,
POSSIAMO AVERE UNA MODIFICAZIONE DELL’ANATOMIA DELLA CELLULA E
QUINDI DALLO STIMOLO MECCANICO (ATTRAVERSO LA FASCIA) A QUELLO
BIOCHIMICO INTRACELLULARE (MECCANOTRASDUZIONE). Quindi come uno
stimolo meccanico esterno, può stimolare delle reazioni biochimiche intracellulare
e quindi consentire una modificazione anatomica della cellula (relazione tra
citoscheletro ed integrine ed il processo di trasduzione meccanica).
La continuità del sistema tensegrile (e quindi la continuità data dalla fascia) lo
abbiamo attraverso il collegamento che si ha tra citoscheletro ed integrine, le quali
appunto, mettono in comunicazione il citoscheletro (ambiente intracellulare) alla
matrice extracellulare(ambiente extracellulare).
L’impalcatura tridimensionale delle cellule è in continuità con la matrice
extracellulare, attraverso la quale viene messa in comunicazione una cellula con
un’altra cellula e così via.
Fino ad ora abbiamo detto che l’anatomia governa la fisiologia (Esempio: una
faccetta articolare disposta nello spazio in una certa maniera, di conseguenza
consentirà un preciso movimento da parte dell’articolazione) e che un
cambiamento della fisiologia, può modificare l’anatomia, ma la domanda è la
seguente: come può uno stimolo esterno (come il tocco della mano) generare delle
risposte di tipo organiche?? (quindi, ad esempio, come a seguito della sistemazione
di un’articolazione-tessuto, quel tessuto generi un cambiamento di tipo anatomico.
Esperimento
Gli scienziati hanno pensato che ciò che può generare una risposta anatomica è
proprio una risposta di tipo biochimico. Per dimostrare ciò,(e quindi per capire se
questa nozione fosse fondata, ovvero se lo stimolo chimico portasse ad una
risposta di tipo anatomico) è stato effettuato un esperimento, ovvero: E’ stato
preso del tessuto epiteliale (il quale è stato messo in provetta) a cui è stato
somministrato l’ormone della crescita. Di seguito i vari casi:
1) Nel primo caso, alla prima cellula è stato somministrato l’ormone della
crescita (quindi lasciando invariata la struttura) si è visto che la cellula andava
a dividersi (quindi facendo nascere una nuova cellula <condizione
fisiologica>). Quindi sottoposto ad uno stimolo chimico → la cellula
reagisce duplicandosi.
2) Nel secondo caso, la cellula è stata costretta, ovvero hanno racchiuso la sua
forma (((credo che intenda che l’anno bloccata, quindi non le hanno dato la
possibilità di espandersi))) e successivamente le è stato somministrato
l’ormone della crescita. Quindi la cellula, in questa precisa condizione (quindi
di costrizione-compressa) a seguito dello stimolo ormonale, (non ha
trovato la capacità di esprimersi perché compressa) ha risposto →
andando in apoptosi.
3) Nel terzo caso, la cellula è stata stirata (quindi è stata modificata la sua
forma-dimensione, da sferica ad allungata.) e successivamente è stato
somministrato lo stimolo ormonale. La cellula ha risposto diventando
un’altra cellula, → ovvero tessuto vascolare.
Per cui, gli scienziati pensavano che dato che nel secondo caso la cellula era andata
in apoptosi perché era in una condizione di costrizione, nel terzo caso (dato che
non era stata costretta, ma semplicemente allungata) a seguito della
somministrazione dell’ormone della crescita, avrebbe effettuato la duplicazione
cellulare (e quindi che si sarebbe duplicata), invece nel terzo caso il risultato
dell’esperimento ha dato come esito che la cellula epiteliare, a seguito dello stimolo
ormonale, anziché moltiplicarsi e crescere, ha creato quello che si chiama
differenziazione, ovvero è diventata un’altra cellula (e quindi in questo caso) e
quindi è diventata tessuto vascolare. Per cui, a seguito della modificazione della
forma della cellula, si è modificata anche al sua funzione. Per cui se io do uno
stimolo di crescita a fronte di un cambio di forma, si creano delle risposte a livello
del nucleo della cellula, con un cambio anche della funzione della cellula stessa.
Per cui gli scienziati hanno cercato di capire com’è possibile che esista una certa
comunicazione tra materiale extracellulare e cellula e la risposta arriva proprio dal
mondo della cosmentica, in quanto una ricerca è stata fatta sull’acido ialuronico
(questo acido è presenta a livello della membrana extracellulare) permetteva sia
una ridistribuzione dei liquidi, ma creava anche una reazione a livello cellulare.
Allora per capire come funzionava questa cosa, gli scienziati hanno indagato ed
hanno scoperto che esistono alcune proteine di membrana che (non solo fanno da
carrier tra zuccheri extra ed intra cellulari, e che consentono il passaggio di sostanze
da fuori a dentro) ma hanno scoperto che vi sono alcune proteine che hanno una
stretta relazione con la struttura intracellulare del citoscheletro (quindi si è
scoperto che il citoscheletro non è solo un agglomerato di filamenti interni, oltre
ad essere una figura articolata (in quanto svolge uno schema ben preciso di
supporto della cellula) ma comunica con alcune proteine di membrana e tra queste
proteine di membrana, spicca in particolare l’integrina, (quindi il citoscheletro
<quindi sistema intracellulare>, tramite l’intergrina, ha comunicazione strette con
il materiale extracellulare) quindi vuol dire che c’è una comunicazione strutturale
tra il citoscheletro e l’ambiente extracellulare (grazie alla proteina integrina).
Queste proteine non si attivano molto facilmente ,ovvero non metto in
comunicazione la struttura in maniera continua, altrimenti sarebbe molto facile per
la cellula andare a morire in maniera velocemente, invece hanno necessità di avere
un’attivazione modulata e secondo certe linee di forza ben precise. Queste linee di
forza se applicate in maniera corretta sulle integrine, queste reagiscono,
traducendo uno stimolo di tipo meccanico esterno (derivante dalla matrice
extracellulare) e stimolano a livello intracellulare una risposta chimica (ovvero una
risposta che attiva dei composti che si chiamano cicline, le quali aiutano e stimolano
la mitosi, attivano delle strutture intranucleari che si chiamano TATA BOX
<composto dalla ripetizione di alcuni acidi nucleici presenti all’interno del DNA> ed
una volta attivati questi tata box, loro, a loro volta attivano delle macro reazioni
cellulari. QUINDI QUESTO MECCANISMO PRENDE IL NOME DI TRASDUZIONE
MECCANICA (OVVERO UNO STIMOLO MECCANICO EXTRACELLULARE VIENE
TRADOTTO CON UNO STIMOLO CHIMICO INTRACELLULARE.
Prima pensavamo che il nucleo, la membrana cellulare, il tessuto connettivo
fossero strutture del tutto separate, mentre grazie agli studi di oggi viene
rappresentato meglio con questo schema, ovvero la struttura extracellulare è in
stretta comunicazione con la cellula (struttura intracellulare).
Quindi, queste integrine che sono collegate con le strutture di collagene (ed anche
tutte le strutture presenti nella matrice extracellulare) sono in relazione strutturale,
e generano reazioni chimiche intracellulari (Come ad esempio la replicazione cellulare)
QUALI SONO I TEMPI DI ATTIVAZIONE DEL TATA BOX? E QUINDI QUANTO TEMPO
DEVE TRASCORREE PRIMA CHE SI ABBIA EFFETTIVAMENTE UNA MODIFICAZIONE
DELL’ANATOMIA DELLA CELLULA A SEGUITO DEL TRATTAMENTO?
Quando facciamo la valutazione del nostro paziente e riscontriamo una maggiore
densità, proprio quella maggiore densità è un cambio della struttura (quindi una
ischemia locale, una differenziazione d’afflusso di sangue e di densità del tessuto
connettivale locale) intendiamo che quella è una zona di lesione Osteopatica. Dopo
aver trattato quella zona di maggior densità, diciamo al paziente di tornare dopo 3
settimane (perché l’osteopata pensa che le 3 settimane siano un tempo
ragionevolmente lungo ma preciso per il quale il corpo abbia il tempo di rimettersi
in equilibrio a seguito degli stimoli dati (trattamento Osteopatico) e quindi
autoguarirsi. Le basi scientifiche che stanno alla base di questo pensiero (ovvero
rivedere il paziente dopo 3 settimane)quali sono? quello che noi possiamo dire è
che: dato che noi sappiamo che esiste la possibilità di interagire con un
cambiamento della cellula, quanto tempo ci mette una cellula a reagire se
sottoposta a stimolo?
I tempi di reazione sono molto più brevi, in quanto vanno dalle 48 alle 72 ore,
ovvero i tre-quattro giorni successivi al trattamento, in cui si può pensare di aver
attivato un processo infiammatorio, un’attivazione cellulare e quindi
successivamente la rinascita (anche se, una volta poggiata una mano a livello della
zona di massima densità del paziente, la zona di massima densità, cambia
immediatamente <ovvero diminuisce la massima densità>) quindi il cambiamento
immediato di quella densità, non è dettato dal cambiamento cellulare (la
spiegazione viene data nella domanda successiva). Quindi noi nel nostro concetto
Osteopatico possiamo pensare che tramite il concetto di tensegrità, ovvero dove le
strutture sono connesse tra di loro, e quindi dal micro al macro sono connesse per
cercare di mantenere stabile una struttura, per cui noi possiamo pensare di attivare
uno stimolo che vada ad utilizzare il tessuto connettivo, che vada quindi ad
indirizzarsi successivamente alla matrice extracellulare, che vada successivamente
a mettersi in connessione con le cellule in disfunzione e che chieda a queste cellule
un cambiamento (quindi di ripristinarsi, e quindi di tornare in fisiologia) ed i tempi
di attivazione di questo sistema è di 3/4 giorni <quindi, questo è il tempo di
attivazione cellulare di questo sistema> (infatti dopo 3/4 giorni, normalmente il
paziente ci chiama dicendoci che sta meglio<questo vuol dire che le cose stanno
andandno secondo le nostre aspettative>).
COSA PERMETTE UN CAMBIAMENTO IMMEDIATO DELLA DENSITA’ SUL TESSUTO
CHE ABBIAMO LAVORATO???
Ovvero, quando effettuiamo un thrust, cosa cambia immediatamente?
Sicuramente vi sono delle risposte di tipo neurologico, ma inoltre vi sono anche
altre risposte, tipo:
MOTIVO PER IL QUALE LA FASCIA E’ SEDE DI LESIONE-DISFUNZIONE OSTEOPATICA
a fronte-seguito di una pressione adeguata, e di uno stimolo adeguato, all’interno
della cellula si sviluppa calcio (il calcio viene utilizzato normalmente nel tessuto
connettivo per creare la mobilità del tessuto connettivo <quindi la contrazione
avviene per mezzo del calcio>) e secondariamente servirà l’ATP (adenosin
trifosfato) per andare a ripristinare la giusta dimensione dei sistemi di contrazione
(((quindi credo intenda che l’ATP riporti alla condizione neutra le fibre per poi
potersi ricontrarsi nuovamente))). Quindi se c’è del calcio che si attiva con la giusta
pressione, si può pensare che (noi attraverso l’intenzione di arrivare (((quindi credo
intenda di lavorare quella cellula))) a quella cellula, possiamo già iniziare a creare
qualche tipo di contrattilità del tessuto connettivo. (vedi dopo queste due slide per
continuare a seguire il concetto)
Nello specifico:
è molto importante trattare il tessuto connettivo, in quanto, gli scienziati hanno
fatto una breve analisi di quelle che sono le capacità contrattili del tessuto
connettivo del muscolo quadrato dei lombi, psoas ed erettori di colonna.
Normalmente questi muscoli hanno la capacità di attivazione di 8 newton (8
newton non sono in grado neanche di sostenere una vertebra). Però succede che 8
newton di capacità contrattile sono sufficienti ad attivare i circuiti alpha e gamma
(i quali appunto sono i sistemi che regolano la contrazione) quindi sapere che una
cellula, sottoposta ad un determinato tipo di stimolo (((credo intenda quello
meccanico, ovvero la pressione effettuata con la mano))) può attivarsi rilasciando
calcio, e quindi può avere una funzione contrattile (((e quindi può contrarsi))), e
quindi se rimane contratta può attivare i sistemi alpha e gamma, vuol dire che il
tessuto connettivo può diventare lui stesso
causa di una lesione osteopatica (questo sta
ancora di più alla base della valorizzazione del
nostro lavoro sul tessuto connettivo).
GLICOSAMINOGLICANI (GAGs)
Per intenzione vuol dire essere NEUTRI verso il paziente (ad esempio un paziente
che non voglio trattare) e verso la problematica del nostro paziente. Quando
pratichiamo sul paziente il nostro cervello non deve essere più nella fase di
ragionamento, bensì dovrà andare nella fase di ascolto e le nostre mani devono
diventare mani pensanti, ovvero mani che ragionano da sole (quindi mani che
sentono e che fanno <quindi agiscono> secondo il loro sentire <e quindi secondo
ciò che hanno sentito>).
QUINDI CON I PAZIENTI OCCORRE:
ATTENZIONE
ASCOLTO
INTENZIONE
ESSERE NEUTRI
La risultante di queste parole da l’empatia, ovvero farsi carico della persona, quindi
ti ascolto e ti do la mia professionalità, e cerco di aiutarti, altrimenti ti posso dare
solo il mio conforto (questo non vuol dire diventare le stampelle dei problemi
emozionali o dei disturbi delle persone, però è un modo di rapportarsi al paziente
diverso (rispetto ad altre discipline). Il prof crede che sia impossibile non rimanere
coinvolti nel rapporto con il paziente.
(((
COME SECODO ME BISOGNEREBBE VEDERE IL PAZIENTE
Per cui secondo me non bisogna avere pregiudizi sul paziente (quindi ad esempio
partire prevenuti, come nel caso in cui ad esempio arriva un paziente che non voglio
trattare, oppure ad esempio dire prima di aver visitato il paziente che questo
paziente avrà sicuramente un iliaco anteriore <quindi partire con un preconcetto
come quello di dire che ha un iliaco anteriore>).
Successivamente bisogna ascoltare il paziente, per cui direi che bisogna essere
empatici e quindi farsi carico della persona (quindi ascoltarla e darle la mia
professionalità <quindi cercare di aiutarla>, ma se non possiamo aiutarla, possiamo
dare del conforto al paziente (ma questo ovviamente non vuol dire diventare le
stampelle dei problemi emozionali o dei disturbi delle persone).
Quindi bisogna essere neutri (quindi non bisogna partire con pregiudizi) ed allo
stesso tempo empatici (quindi se ad esempio il paziente ha un problema al
ginocchio cercare di capirlo ed ovviamente dobbiamo utilizzare la nostra
professionalità per aiutarlo a stare bene, ma se non possiamo aiutarlo, dobbiamo
cercare di essere di conforto per lui e magari cercare di dare qualche buon consiglio
<ma allo stesso tempo, non dobbiamo essere la stampella dei problemi dei nostri
pazienti>), quindi nel momento in cui facciamo l’anamnesi, dobbiamo attivare il
cervello, e quindi effettuare il ragionamento Osteopatico, facendo tutti i
collegamenti anatomici e la raccolta dei segni clinici, e questo viene mantenuto nel
momento in cui facciamo i test (in quanto confrontiamo ciò che abbiamo
effettivamente trovato, con i segni clinici e le problematiche riferite dal paziente).
Arrivati nel momento della pratica, (quindi quando pratichiamo sul paziente) il
nostro cervello non deve essere più nella fase di ragionamento (quindi dobbiamo
spegnere il cervello e far lavorare la mano), bensì dovrà andare nella fase di ascolto,
mentre le nostre mani devono diventare mani pensanti, ovvero mani che
ragionano da sole (quindi mani che sentono e che fanno <quindi agiscono>
secondo il loro sentire <e quindi secondo ciò che hanno sentito>).
)))
(((
Introduzione
I tessuti connettivi derivano tutti dal Mesoderma. La famiglia dei tessuti connettivi,
è molto ampia e va dalla forma più fluida come il sangue alla forma più densa come
l’osso.
1) il corpo viene visto nella sua globalità, in quanto a livello del corpo umano, vi
sono delle strutture tensegrili, le quali appunto vanno dal micro al macro e si
trovano in intima continuità. A livello cellulare e più nello specifico a livello del
citoscheletro (quindi a livello intracellulare) le strutture tensegrili si trovano in
continuità attraverso il collegamento che si ha con attraverso i ponti di integrina, le
quali appunto collegano l’ambiente intracellulare alla matrice extracellulare, a
livello della quale troviamo altre sostanze, come fibre di collagene, elastina,
proteoglicani, liquido interstiziale (ambiente extracellulare). I tessuti connettivi
originano dal mesenchima e vanno dal sangue (elemento meno denso) all’osso
(elemento più denso). La differenziazione di queste strutture, è data dalla diversa
composizione della matrice extracellulare (nell’osso ad esempio è presente mento
elastina, mentre nel legamento è presente più elastina). Quindi dal citoscheletro
(micro) all’osso (macro) abbiamo una continuità fasciale, motivo per il quale, se vi
è una retrazione in qualsiasi parte del corpo, allora automaticamente avremo una
modificazione in qualche altra parte del corpo (come l’esempio della trazione
effettuata a livello di un maglione).
- noi, attraverso la nostra pressione induciamo uno stimolo meccanico, che passa
tutti i tessuti fino ad arrivare, attraverso il tessuto connettivo (quindi la fascia) a
livello della matrice extracellulare, dove appunto questo stimolo meccanico, se
dato con una certa intensità, viene diretto attraverso le fibre di collagene, a delle
proteine di membrana, definite integrine, le quale appunto una volta attivate,
attuano la trasduzione del segnale meccanico in segnale chimico
(meccanotrasduzione), biochimico perché, le integrine, sono direttamente
collegate al citoscheletro, per cui vengono attivate delle proteine, le quali appunto
andranno dentro il nucleo, per andare ad attivare i sistemi di trascrizione (definiti
TATA BOX). Quindi questi sistemi vanno ad attivare i TATA BOX i quali appunto
attuano la trascrizione, e quindi andando a modificare l’anatomia della cellulare.
Per cui se una cellula non sta funzionando correttamente, il trattamento fasciale,
sa uno stimolo alla cellula, la quale elabora lo stimolo e si autoguarisce (quindi
ritorna in fisiologia). Normalmente a seguito della manipolazione, pressione-
trattamento, questi sistemi impiegano circa 48/72 ore (motivo per il quale, dopo
circa due/tre giorni dal trattamento, il paziente inizia a stare meglio).
)))
TECNICHE FASCIALI
Quindi nelle tecniche dirette, arriviamo fino al limite del range disfunzionale e
successivamente effettuiamo un thrust per riportare quell’astragalo a normalizzarsi
e quindi ricostituire la normale fisiologia. Prima di effettuare il thrust è possibile
effettuare delle tecniche fasciali, in maniera tale che si diminuisca maggiormente il
range disfunzionale (così attraverso il thrust dobbiamo effettuare un minor
spostamento per raggiungere il range fisiologico del paziente). N el caso in cui
invece di si voglia effettuare prima il thrust senza prima aver effettuato le tecniche
fasciali, allora possiamo (dopo aver effettuato il thrust le tecniche fasciali per
recuperare tutto il range fisiologico del paziente).
TECNICHE SEMI-DIRETTE
- BLT
SIDERAZIONE
La stimolazione degli organi tendinei del Golgi sono alla base di alcune manovre
miofasciali.
ZONE DI TENSIONE TISSUTALE (((il professore ha spiegato questa parte subito dopo la spiegazione del
recoil, ma secondo me si è confuso ed andava inserita qui)))
(((a livello del corpo possiamo trovare due tipologie di tensioni tissutali, ovvero:)))
- Zona calda, gonfia e dolente ((Come drenare quella zona, partendo da vie più
lontane e man mano avvicinandoci, capendo come drenare la zona acuta).
L’approccio ad un evento acuto quindi sarà piuttosto cauto
- Zona fredda, rigida e fibrotica (tecniche un po' più importanti per cercare di creare
uniperemia (quindi un apporto di liquidi) ed una defibrotizzare dei tessuti.
RECOIL
introduzione
È una manovra inventata da Palmer (il quale è un allievo diretto di Still), il quale è
il fondatore della chiropratica.
Il recoil è una manovra veloce, diretta e contro barriera che ha come principio l’alta
velocità e la precisa localizzazione della zona tensionale. I chiropratici utilizzano il
recoil a livello osseo, mentre noi Osteopati lo utilizziamo a livello tissutale.
L’applicazione viene effettuata a livello puntiforme ed è molto semplice applicare
queste manovra quando si ha un punto di appoggio, occorre quindi geolocalizzare
con estrema attenzione la zona di tessuto estremamente densa, si effettuerà una
messa in tensione nei piani dello spazio e successivamente verrà effettuata la
vibrazione rapida e veloce (la vibrazione sarà longitudinale al gesto che voglio fare,
e serve ad abbattere una certa barriera tissutale).
Il recoil ha una buona efficacia su piccole strutture capsulari, ed in strutture molto
dense come l’osso, ed appunto utilizziamo la tecnica di recoil per cercare di creare
uno stimolo ematico locale.
PONSAGE
La tecnica di ponsage non ha grosse spiegazioni dal punto di vista scientifico, ma
funzionano molto bene. La manovra di ponsage frutta il prncipio che abbiamo
spiegato sopra, ovvero il FENOMENO DI CRIPPING (ovvero il passaggio da liquido
gel <struttura più compatta e densa> ad una struttura più distribuita, ovvero dove
i liquidi sono maggiormente distribuiti <vedi sopra per i dettagli>, quindi agisce con
un effetto di ridistribuzione dei liquidi extracellulari ottenendo così un ottimo
effetto locale.
Le tecniche indirette normalmente seguono queste tempistiche:
- hanno un modellamento tissutale verso la maggiore ampiezza.
- si cerca un punto di bilanciamento tissutale tensionale legamentoso.
- si aspetta il momento di quiete (ovvero il momento in cui il tessuto si zittisce)
- e poi avverrà il rilancio
INZIO DELLA PARTE PRATICA
FASCIA SUPERFICIALE
Inoltre la fascia profonda rivestirà anche il passaggio dell’arteria pedidia e dei nervi
che a questo livello sono una diramazione dello sciatico
TECNICHE
TECNICA DI PONSAGE
Viene utilizzata nel caso in cui troviamo una struttura-zona
maggiormente densa e particolarmente concentrata. Per cui
poniamo in nostri pollici uno sull’altro ed andiamo ad effettuare
delle circunduzioni (costanti e continue), contro la zona più
densa fin quando la densità sotto le dita non scompare. Le
circumduzioni devono essere progressive, ovvero iniziando in
maniera superficiale e lentamente si va sempre maggiormente
contro la lesione (quindi si inizia in maniera superficiale e
progressivamente si va sempre maggiormente <quindi credo in
profondità> sulla massima densità. Lo scopo di questa tecnica è
quello di richiamare sangue nel punto in cui vi è la massima
densità.
questa tecnica viene utilizzava
sulla fascia superficiale plantare
TECNICA A TAGLIO
La tecnica a taglio prevede il lavoro con il pollice a
martello. Bisogna prendere contatto con il
polpastrello e non con l’unghia. La tecnica prevede
un lento passaggio in senso longitudinale rispetto
all’andamento delle fasce. Questa manovra viene
effettuata sulla fascia superficiale e quindi avrà
effetto su tutto ciò che riveste (come i muscoli
flessori).
questa tecnica viene utilizzava
sulla fascia superficiale plantare
TECNICA DI SIDERAZIONE
Inizialmente possiamo fare un piccolo test ovvero
muoviamo il tessuto medialmente (quindi verso la linea
sagittale del corpo) ed esternamente, ed andiamo a
valutare dove questa struttura fa fatica a muoversi. Ad
esempio, se le fasce fanno più fatica a medializzarsi
(quindi ad andare medialmente) rispetto al lateralizzarsi.
Per eseguire la tecnica, dobbiamo mettere in tensione la
zona in cui abbiamo trovato la restrizione di movimento,
quindi con una mano muoviamo il piede fino a trovare la
posizione in cui la zona che vogliamo trattare venga
messa in tensione, e successivamente la sideriamo
(quindi la facciamo vibrare ad alta velocità) in maniera
trasversale rispetto al senso delle fibre (ed in questo caso
la siderazione avviene in senso mediale perché le fibre
facevano fatica a medializzarsi). La siderazione può essere
effettuata con il dito oppure con la nocca.
Osservando il paziente possiamo anche notare un maggiore valgismo del ginocchio destro
Siderazione a livello della fascia superficiale dorsale
ovviamente la tecnica di siderazione può essere
effettuata sia sulla fascia superficiale plantare che sulla
fascia superficiale dorsale. A livello dorsale del piede, la
fascia va a rivestire come un manicotto i tendini dei
muscoli estensori (e quindi la fascia segue <e quindi
riveste> la guaina dei tendini dei muscoli estensori), per
cui possiamo andare sul singolo tendine ed effettuare
delle traslazioni (in senso mediale ed in senso
trasversale). Se troviamo ad esempio (come nel caso in
foto) un tendine che si lascia traslare medialmente e fa
fatica a traslare lateralmente, allora con una mano
impalmeremo il piede cercando la posizione in cui vi è la
messa in tensione del tendine da trattare, mentre con
l’altra si effettuerà una siderazione in senso trasversale
rispetto al tendine.
Retinacolo dei muscoli estensori
Per cui se il retinacolo non scorre rispetto alle guaine dei tendini, allora bisognerà trattarlo.
La manovra sarà una manovra a
taglio, quindi longitudinale alle
fibre, in cui seguiremo
l’andamento delle fibre del
retinacolo (((e quindi i vari fasci)))
Così facendo andremo a
disingaggiare (e quindi liberare)
una eventuale fibrotizzazione
rispetto alle guaine
dell’estensore (((quindi nel caso
in cui vi dovesse essere una
fibrotizzazione del retinacolo <il
quale ovviamente avvolge le
guaine dei muscoli estensori> possiamo utilizzare la
tecnica a taglio per liberare il retinacolo.))) il
retinacolo deve essere trattato ogni volta che vi è una lesione oppure un
traumatismo della tibio astragalica, oppure nei casi di distorsione di caviglia in
inversione (((anche se io credo che sia possibile utilizzarlo anche per le eversioni)))
dove avvengono dei traumatismi importanti per quanto riguarda la struttura
compartimentale della capsula che della struttura prorpia dei peronieri, dei
legamenti.
retinacoli dei tendini dei muscoli flessori (o anche definiti LEGAMENTI ANULARI)
(((
Quindi il professore dice che è l’ultimo muscolo che viene messo in tensione (((e
quindi in allungamento secondo me))) durante la flessione plantare del piede ,
mentre secondo me è l’ultimo muscolo che si contrare durante la flessione dorsale
(durante la camminata) in quanto da la propulsione, e quindi contraendosi
mantiene la volta plantare.
)))
Retinacoli dei muscoli peronieri (LEGAMENTO ANULARE ESTERNO)
Può capitare che a seguito di traumatismi, urti ecc che queste strutture perdano
di tensionamento (((quindi ad esempio una lassità del retinacolo))), e che quindi
si crea una sublussazioni di questi tendini ((( quindi una lassità del retinacolo
può portare ad una sublussazione di questi tendini))) → (quindi se a livello
palpatorio sentiamo un movimento anomalo del tendine, sappiamo che
potrebbe essere questa patologia < questa problematica può essere riscontrata
anche a livello del capo lungo del bicipite>)
Se vi è una sublussazione dei tendine, allora abbiamo la possibilità di ridurla (((e
quindi normalizzarla))) portando in sede il tendine (e sperando che la
cicatrizzazione lo contenga), mentre se vi è una lussazione non è possibile
ridurlo (((e quindi normalizzarlo))) in maniera definitiva.
I retinacoli vengono trattati quando siamo in presenza di una fibrosi oppure di una
restrizione di mobilità della componente mediale o laterale.
Componente laterale
Nella componente laterale, la presenza di una restrizione di mobilità, oppure di una
fibrosi, può essere causata da un trauma di inversione della tibio-tarsica (((e quindi
trauma di distorsione di inversione della caviglia))). La distorsione di inversione di
caviglia si riscontra frequentemente nei soggetti sportivi (per esempio le giocatrici
di pallavolo che dopo aver effettuato il muro, cadono sul piede del compagno
causandosi una distorsione di inversione di caviglia).
anche un accumulo di traumi di inversione (come ad esempio nelle donne che
portano i tacchi, oppure ad esempio quando passeggiando per strada si inciampa
nel marciapiede <i quali appunto non sono dei traumi gravi, però l’accumularsi nel
tempo di questi traumi non gravi, producono nel tempo delle situazioni similari a
quelle di un trauma sportivo>)
((( quindi il trauma di distorsione di inversione causa delle lesioni alla componente
esterne (quindi ai retinacoli)
Componente mediale
Il retinacolo mediale invece può essere lesionato a seguito di una distorsione di
eversione del piede, e quindi a seguito di una distorsione di eversione, possiamo
avere una fibrosi del retinacolo dei muscoli flessori.
Le distorsioni di eversione si riscontrano anche a livello sportivo (per esempio nei
calciatori o nei giocatori di basket oppure nei rugbisti, che mentre corrono
effettuano dei cambi di direzione, dove appunto il piede rimane fermo ed il resto
del corpo ruota) (oppure ancora nei runner che corrono su terreni disconnessi, i
quali appunto, creano dei microtraaumi a livello della caviglia, i quali appunto
successivamente generano delle fibrosi)
In sintesi…
Quindi a seguito di traumi acuti (come ad esempio le distorsioni),<oppure anche
un accumulo di traumi non gravi, subiti nel tempo>, questi (((traumi))) possono
causare una lesione di queste strutture (quindi dei retinacoli), le quali
(((lesioni))), a seguito del processo di riparazione perdono di elasticità (((quindi
credo che si riferisca al fatto che a seguito del processo infiammatorio, vi sia un
accumulo di calcio, il quale porta ad una minore elasticità oppure ad una
fibrosi))). Oppure a seguito di traumi indiretti, come contusioni, colpi
inoltre
(((quindi l’accumularsi <nel tempo> di questi traumi non gravi, possono produrre
<nel tempo> delle situazioni molto simili a quelle di un trauma sportivo)))
Quindi a seguito di una positività della sotto astragalica ed ad una positività alla
palpazione dell’area mediale del piede (quindi zona densa a livello del retinacolo
mediale) andiamo ad effettuare la tecnica di normalizzazione.
Posizioniamo il paziente in decubito laterale. Se abbiamo un cuscino, lo poniamo al
di sotto del malleolo laterale del paziente
(il quale si troverebbe a contatto con il
lettino), ma se non lo abbiamo andiamo a
posizionare la nostra mano (in maniera
tale che non si facci amale) e quindi con la
colonna del pollice andremo a bloccare la
componente interna ed inferiore del
malleolo,
Edema Il paziente si presenta in studio da noi riferendoci che ha avuto un traumatismo alla
della spongiosa
caviglia, e che presenta un dolore profondo, specificatamente al collo dell’astragalo
Il paziente
(quindi si presenta
un doloreinelettivo
studio daversonoi riferendoci
il seno delche ha avuto
tarso o verso un la
traumatismo alla caviglia,
testa dell’astragalo)
e cheoppure
presenta un dolore
dolore elettivoprofondo,
a livello specificatamente
calcaneare profondo, al collo dell’astragalo
inoltre, (quindiè un
oltre al dolore
dolore elettivo un
associato verso il senofunzionale,
disturbo del tarso oovvero
verso lail testa
pazientedell’astragalo) oppure dolore
ha dolore durante elettivo
l’accosciata
a livello
(quindicalcaneare
quandoprofondo,
flette il inoltre,
piede per oltre al dolore
sedersi). Perè associato un disturboilfunzionale,
cui noi effettuiamo nostro
ovverotrattamento, ma se il paziente, dopo la seconda o terza seduta ci riferisce chesedersi).
il paziente ha dolore durante l’accosciata (quindi quando flette il piede per non
Per cui noi effettuiamo il nostro trattamento, ma se il paziente,
è cambiato niente (quindi persiste sia il dolore che il disturbo funzionale) allora dopo la seconda o terza
seduta ci riferisce
possiamo che non
pensare che èil cambiato niente (quindi
paziente presenti l’edemapersiste sia il dolore che il disturbo
della spongiosa.
funzionale) allora possiamo pensare che il paziente presenti l’edema della spongiosa.
L’edema della spongiosa, è un ematoma intraosseo, il quale appunto si
L’edema della spongiosa,
presenta/verifica è un ematoma
a seguito intraosseo, ilimportante
di un traumatismo quale appunto (come si presenta/verifica
una distorsione a
seguito
ad di un traumatismo
esempio). L’edema della importante
spongiosa(come una distorsione
si forma ad esempio).
perché: a seguito L’edema della
di un traumatismo
spongiosa si forma
importante, la perché:
forza cineticaa seguito di un anziché
prodotta, traumatismo importante,
dissiparsi a livelloladei forza cinetica
muscoli,
prodotta,
tendini anziché dissiparsi
e legamenti a livelloappunto
(causando dei muscoli, tendini
la rottura di ecapsula
legamenti (causando
e legamenti appunto la
e strutture
rottura di capsula
muscolari, oppure - legamenti e strutture
distacchi parcellari muscolari, dei
dell’inserzione oppure distacchi
peronieri oppure parcellari
del
dell’inserzione dei peronieri oppure ancora del legamento
legamento astragalo peroniero anteriore <quindi le forze si dissipano rompendo astragaloperoniero anteriore
<quindi le forze
alcuni si dissipano
di queste elementi> rompendo alcuni di(equeste
va a dissiparsi quindielementi>
a riversarsi le causando
forze vanno a dissiparsi
la lesione)
(e quindi a riversarsi
a livello causando
della parte spongiosala lesione) a livello
dell’osso, ovverodella la parte
parte spongiosa dell’osso,
interna dell’osso ovvero la
creando,
partecreando
interna dell’osso
così un creando
ematoma cosìintraosseo.
un ematoma intraosseo.
L’edema L’edema
della spongiosadella può
spongiosa
esserepuò
essere diagnosticata
diagnosticata solo
solo attraverso
attraverso la la risonanza
risonanza magnetica. L’edema della spongiosa non
magnetica.
è trattabile Osteopaticamente. Ha una tempistica di guarigione che va da 3 mesi ad un anno.
Ed anche dopo che è guarito, il paziente al piede leso, non avrà più la stessa funzionalità
(quindi sarà meno funzionale rispetto all’altra caviglia
Quindi in questo caso (edema della spongiosa) la forza cinetica si scarica (attraverso il
sistema tensegrile) sulle strutture che lavorano in compressione, causando edemi o
fratture. (esempio:se cadiamo con il braccio a terra, in base a dove le forze di dirigono,
possiamo avere o una lussazione oppure una frattura)
TECNICHE SULLA FASCIA PROFONDA
Tecnica a taglio
Sulla fascia profonda plantare,
funziona molto bene il ponsage,
però è possibile effettuare
anche una tecnica a taglio (le
sideerazioni si possono
effettuare, ma data la
profondità di localizzazione delle densità, si preferisce usare
altre tecniche.
trazione
Un’altra cosa che possiamo fare per valutare il
compressione
piede del nostro paziente è appunto quella di
comprimere il piede e di trazionarlo, andando a
valutare dove il piede non vuole andare (quindi
se il piede accetta maggiormente la
compressione, ma non vuole andare in
distrazione, oppure viceversa, ovvero è un piede
che si lascia trazionare/allungare, ma che non
vuole farsi comprimere). (se il piede ha difficoltà
a farsi comprimere rispetto al farsi trazionare,
molto probabilmente è più in difficoltà la
componente articolare del piede <questa cosa
non l’ha spiegata per come si deve>)
Inoltre, se il paziente presenta un gonfiore o un versamento anche nella regione mediale (((della
caviglia suppongo))) dobbiamo sospettare che vi sia una rottura della capsula articolare (quindi
possiamo sospettare di una rottura della capsula articolare, quando il paziente presenta un
gonfiore o un versamento anche nella parte mediale (((della caviglia suppongo))).
- Inoltre, se dopo aver trattato parecchie volte la caviglia del paizente (oltre ad aver consigliato al
paziente di fare tecar terapia, laser terapia e la rieducazione su tavoletta) e dopo due mesi il
paziente continua ad avere dolore, quindi permane un dolore ed una limitazione funzionale alla
caviglia (soprattutto in flessione dorsale del piede) allora dobbiamo pensare che vi sia un edema
della spongiosa (((vedi pagine precedenti in cui è spiegato in maniera dettagliata))).
- Mentre (((se dopo aver trattato il paziente))) il paziente dovesse presentare ancora un dolore al
collo dell’astragalo, allora il problema è causato da una fibrosi dei retinacoli (per cui bisognerà
andare a trattare i retinacoli <vedi pagine precedenti le tecniche>.
- Mentre se permane il gonfiore perimalleolare, si potrà effettuare un buon lavoro di
riarmonizzazione della membrana interossea (quindi dobbiamo lavorare la membrana interossea),
la quale porterà numerosi vantaggi, tra cui:
- aumenta il drenaggio (quindi aumenta il drenaggio della componente esterna perimalleolare <in
quanto se a monte i fori della membrana interossea sono chiusi, allora effettuando il lavoro sulla
membrana, andremo a liberare questi fori consentendo un drenaggio della zona perimalleolare>)
Tubercolo di Jerby
Palpazione con accesso posteriore
Andiamo con i nostri polpastrelli a deprimere i tessuti (in particolare i
gemelli ed il soleo) ci posizioniamo in mezzo tra i due muscoli (((credo
che intenda i muscoli gemelli))) ed eserciteremo una forza che va verso
l’avanti e leggermente verso il fuori (in quanto la membrana interossea
si trova in mezzo tra tibia e perone (((ed è leggermente lateralizzata,
infatti il Prof ci fa vedere come la membrana si trovi in mezzo tra le sue
mani))).
- Ponsage
Possiamo effettuare un ponsage sia attraverso un accesso
anteriore, che attraverso un accesso posteriore (anche se
questo è leggermente più doloroso per il paziente).
Durante il ponsage (per salvaguardare le articolazioni)
conviene sempre utilizzare le due dita in contrappoggio.
- tecnica riarmonizzante dei tessuti
Tecnica
Tecnicadidirecoil
recoilsulle
sullelesioni
lesioniintraossee
intraosseedella
dellatibia
tibia
Il recoil è una tecnica diretta (quindi contro barriera). È una manovra veloce, che
ha come risultanza quella di provocare una vibrazione longitudinale con un effetto
similare a quello del cane della pistola (mentre nella siderazione si faceva vibrare il
tendine <come un elastico> in maniera trasversale rispetto alle sue fibre, nel recoil
si ha un effetto simile a quello che ha il cane della pistola, ovvero ).
Noi eseguiremo il recoil sulle lesioni intraossee (e nel caso della tibia, lo eseguiremo
sulle lesioni intraossee presenti sulla cresta tibiale <vedi dopo la spiegazione del
recoil per vedere il test sulla tibia>)
Prima di effettuare la tecnica recoil, il prof spiega cosa sono le lesioni intraossee e quali sono
le teorie neurologiche che stanno alla base del recoil.
Lesioni intraossee
Le lesioni intraossee sono delle zone di riorganizzazione trabecolare, che si originano a causa
di:
- o di un problema di mal distribuzione del carico
- oppure a seguito di un trauma diretto (molto più frequentemente)
Le lesioni intraossee si presentano come delle zone maggiormente dense (a livello osseo
ovviamente). (((queste lesioni intraossee possono essere trattare attraverso il recoil)))
Recoil
Zone di utilizzo del recoil
Noi utilizzeremo il recoil sia per le lesioni intraossee (quindi a livello osseo) che nei punti di
inserzione tendinee/legamentose a livello dell’osseo (((quindi proprio nei punti in cui il
tendine si inserisce a livello dell’osso))), mentre non lo utilizzeremo a livello dei tessuti
puramente molli (in quanto è difficile trovare un punto di aggancio) come ad esempio a
livello dei ventri muscolari (quindi è sconsigliato effettuarlo a livello dei ventri muscolari).
Spiegazione neurologica del recoil (e del tender point)
Il recoil non ha spiegazione dal punto di vista scientifico(quindi non ha supporti scientifici),
ma è possibile dare solo una spiegazione di tipo neurologico, ovvero:
la spiegazione viene data dalle vie afferenti ed efferenti che trovano come risultanza sia le
vie lemniscali (principalmente) sia le vie extrameniscali (secondariamente), trovano la
risultanza in un apporto di un’informazione in un’area corporea dove in quel momento il
paziente non ha coscienza di una problematica locale. Normalmente il paziente (in una
lesione intraossea oppure in una zona a spot <ovvero zona in cui troviamo la densità e dove
successivamente decidiamo di fare il recoil> non ha coscienza di aver dolore (((quindi nelle
zone in cui vi è una densità importante o una lesione intraossea, il paziente non ha dolore in
quella zona, o comunque non ha coscienza di aver dolore))) e proprio quell’area prende il
nome di tender point (ovvero un punto con un cambiamento della sensibilità).
Quindi il tender point è un’area del nostro corpo con un cambio della sensibilità e
normalmente (quindi nella maggior parte dei casi) è di natura non cosciente per il paziente
(quindi il paziente non verrà da noi in studio per quel dolore riferito a questa zona) ed inoltre,
quest’area potrebbe trovarsi lontano rispetto alla sintomatologia che presenta il paziente.
Il tender point è una zona estremamente piccola dal punto di vista della geolocalizzazione,
dove è presente una densità, questa potrebbe essere dolorosa per il paziente, per cui il corpo
di fronte al dolore attua un sistema (per non avere dolore appunto) quindi neurologicamente
isola il dolore (ed ovviamente questo non vuol dire che questo punto non continui a creare
delle interferenze neurologiche) creando una zona di buio. Se noi in questa zona di buio
(creato dal corpo) accendiamo una lampadina (quindi accendiamo la luce in quel punto)
facciamo tornare cosciente un’area che il corpo aveva zittito.
(((la premessa è che: se viene eliminata la causa per la quale si era formata la lesione
intraossea <come ad esempio una mal distribuzione del carico>, possiamo andare a trattare
la lesione intraossea e quindi dare un’informazione alla lesione intraossea. Questa
informazione se ben data (utilizzando ad esempio il recoil, quindi andando ad accendere una
lampadine in quella zona buia), viene elaborata dal corpo (sistema nervoso) che
(effettivamente vede che quell’area densa, non presenta più il dolore continuo, quindi ) invia
un segnale di tipo inibitorio facilitatorio (proveniente dalla zona 4s della zona corticale) che
spenge e l’area di dolore.
Quindi se ad esempio quella lesione intraossea era data da una problematica di distribuzione
del carico (mal distribuzione del carico derivante da una disfunzione viscerale ad esempio) e
noi trattiamo il paziente, quindi eliminiamo la causa della mal distribuzione del carico, allora
successivamente possiamo andare a trattare la lesione intraossea, per cui: se noi in questa
zona di buio diamo (quindi a livello della lesione intraossea e quindi del tender point) diamo
un’informazione che (se ben data) viene elaborata dal corpo (il corpo capisce che non vi è più
la necessità di mantenere quella zona densa, e quindi quella zona non da più fastidio) per cui
il corpo rilascia un segnale di tipo inibitorio facilitatorio (proveniente dalla zona 4s della zona
corticale) e spegne l’area di dolore. Vedi dopo per la spiegazione logica
(((
Quando effettuiamo una palpazione ed individuiamo una zona di massima densità, ad
esempio a livello osseo, (quindi una lesione intraossea in questo caso) oppure in una zona
spot (ovvero un’altra zona in cui troviamo la massima densità), dobbiamo pensare che
quella zona presenta un cambiamento/alterazione della sensibilità e che quella zona viene
definita tender point. Il tender point è una piccola zona in cui il cervello ha attuato un
cambiamento della sensibilità (questo avviene perché quel preciso punto, causa un dolore
continuo al cervello, per cui questo <il cervello> attraverso le vie ascendenti e discendenti,
attua attraverso le vie lemniscali (maggiormente) ed extralemniscali (secondariamente)
un’inibizione della sensibilità di quel punto doloroso <appunto per non avere dolore> quindi
la spegne/rende buia quella zona). Normalmente il tender point non è un punto che provoca
dolore al paziente (((ad esempio nella sua vita quotidiana))), quindi non è di natura
cosciente per il paziente, ovvero il paziente non verrà in studio da noi dicendoci che ha
dolore nella zona di massima densità (zona di massima densità che potrebbe essere una
lesione intraossea, oppure una zona spot), però allo stesso tempo, questo è un punto che
se viene stimolato (come ad esempio con una pressione), può causare parecchio dolore.
Inoltre, quest’area (tender point) potrebbe trovarsi lontana rispetto alla sintomatologia che
presenta il paziente (((quindi ad esempio una lesione intraossea al livello della tibia <quindi
un tender point a livello della tibia> può causare una sintomatologia alla gabbia toracica))).
La premessa è che: se viene eliminata la causa per la quale si era formata la lesione
intraossea (come ad esempio una mal distribuzione del carico), possiamo andare a trattare
la lesione intraossea e quindi dare un’informazione alla lesione intraossea. Questa
informazione se ben data (utilizzando ad esempio il recoil, quindi andando ad accendere
una lampadine in quella zona buia), viene elaborata dal corpo (sistema nervoso) che
(effettivamente vede che quell’area densa, non presenta più il dolore continuo, quindi )
invia un segnale di tipo inibitorio facilitatorio (proveniente dalla zona 4s della zona corticale)
che spenge l’area di dolore.
)))
torsione torsione
In sintesi… tabella riassuntiva
1) la MEMBRANA INTEROSSEA
Test → palpazione anteriore e posteriore. Effettuiamo una palpazione di tutta la
membrana andando ad individuare i punti di maggior densità
Trattamento → tecnica globale ; ponsage ; tecnica riarmonizzante
3) LA COMPONENTE MUSCOLARE
Test → palpazione dei muscoli gemelli, muscolo tibiale anteriore, muscoli peronieri
Trattamento → siderazione dei muscoli sopra citati
4) IL PERONE
Test → test del perone nei vari piani dello spazio
Trattamento → srotolamento fasciale (movimento lemniscale perone)
GINOCCHIO
RIPASSO DELL’ANATOMIA E
DELLLA FISIOLOGIA DEL
GINOCCHIO (parte posteriore)
tutte le volte che vi sono dei
traumatismi al ginocchio, entrano
in azione il muscolo plantare ed il
muscolo popliteo, per cui ogni
volta che vi è un traumatismo al
ginocchio dobbiamo trattare
questi due muscoli. La sua azione
è prevalentemente flessoria
quindi effettua i primi gradi di
flessione del ginocchio. A livello
del cavo popliteo abbiamo il
passaggio neurovascolare di il
nervo popliteo (il quale deriva dal
nervo sciatico) l’arteria poplitea e la vena poplitea ed inoltre abbiamo i passaggi
linfatici.
TEST DI PRESSIONE
Nei ginocchi post traumatici, a livello della losanga poplitea, è possibile trovare una pallina colma di
liquido, quella è una cisti di beker. La cisti di beker si forma perché il ginocchio traumatizzato, è
infiammato e viene produce più liquido e proprio questo liquido trova spazio in una delle borse
posteriori del ginocchio (quindi si è creato uno sfaldamento capsulare ed il liquido ha trovato quella
strada per uscire) (vi sono 12 borse a livello del ginocchio tra anteriori e posteriori). Nel momento in
cui è presente una cisti di Beker si potrà effettuare un trattamento di rivascolarizzazione (anche
perché la sinovia non si drena a livello vascolare, in quanto la sinovia viene prodotta all’interno della
capsula articolare, quindi o aspettiamo che il corpo la riassorba, oppure deve essere aspirata).
RIPASSO DELL’ANATOMIA E
DELLLA FISIOLOGIA DEL
GINOCCHIO (parte anteriore)
Menischi
test
posizionamento del paziente
poniamo il nostro paziente seduto a bordo lettino, mentre noi ci posizioniamo
seduti di fronte a lui. Solleviamo di poco (in direzione del tetto) la gamba del nostro
paziente e la agganciamo a pinza (quindi la chiudiamo a pinza tra le nostre gambe),
in maniera tale da non lasciare a risposo il ginocchio del nostro paziente, ma
appunto per lasciarlo leggermente sollevato (((quindi leggermente verso il tetto))).
Quindi noi portiamo verso il tetto il ginocchio del nostro paziente e
successivamente lo blocchiamo a pinza tra ne nostre gambe, in maniera tale che la
gamba (((non sia totalmente in scarico e quindi a riposo) ma allo stesso tempo, una
volta agganciato (il ginocchio) la paziente deve rilassarsi il ginocchio (((e quindi
mettere a riposo la muscolatura del ginocchio, in maniera tale che non abbia
tensioni muscolari))).
Esempio di disfunzione
Se ad esempio il corno anteriore del menisco mediale non
si lascia posteriorizzare, allora possiamo pensare che: ha
difficoltà a strecciarsi (quindi allungarsi) la componente
inserzionale prossima (((quindi credo che intenda vicina)))
all’inserzione del legamento L.C.A. (in quanto sono molto
vicine alle inserzioni) che il corno anteriore del menisco
mediale. (((quindi credo che il professore intenda dire che
vi sia una difficoltà a strecciarsi della parte più anteriore
del legamento crociato anteriore <<<in quanto sono
molto vicini>>>, che del corno anteriore del menisco
interno)))
mano craniale
l’indice viene posto a livello del condilo mediale del femore, mentre il pollice viene
posto a livello del condilo mediale del femore
mano caudale
impugna la tibia (viene posta quindi proprio sotto il piatto tibiale)
Una volta posizionate le mani, dobbiamo stare attenti a lasciare libera l’interlinea
articolare.
compressione trazione
Scivolamento interno
Scivolamento esterno
Effettuiamo questi test e troviamo il parametro disfunzionale. Per cui sentiamo dove non vuole andare lo porto e
poi lo mantengo, fin quando non avviene il rimaneggiamento tissutale. Questa tecnica è molto anche quando il
ginocchio è una lesione secondaria
abduzione adduzione
COME IL PROFESSORE LAVORA IN STUDIO
Quindi effettua i test pressori, successivamente bilancia le aree maggiormente
dense che ha trovato e cerca di selezionarne 2-3 aree (quindi quelle
maggiormente dense) e poi va a lavorare su quella maggiormente densa.
Il prof generalemente fa un test di pressione e poi testa la parte strutturale, ed
una volta individuata la disfunzione osteopatica strutturale, in base al paziente
che ha davanti, si crea un piano di trattamento, ovvero, una volta trovata la
disfunzione cerca di capire se il paziente ha bisogno prima un trattamento
fasciale preparatorio e poi il thrust oppure se ha bisogno prima del thrust e poi
eventualmente del fasciale (ovvero effettua il thrust e poi lo ritesta, e nel
momento in cui il test di mobilità non lo convince appieno, allora effettua anche
il trattamento fasciale)
CANALE DI HUNTER
Trattamento
Per eseguire la tecnica (e quindi per aprire il canale di Hunter) possiamo posizionare
le mani in maniera differente:
BANDELETTA
TEST
Andiamo ad effettuare una palpazione della bandeletta,
andando a ricercare una zona di maggiore densità, su
tutta la sua lunghezza.
Queste manovre hanno un effetto immediato sull’algia del paziente (quindi sul dolore del
paziente), per cui se si presenta da noi un paziente che fa sport, e che presenta dolore oppure
infiammazione della bandeletta, con queste manovre, in breve tempo (in maniera quasi istantanea)
riportate il tendine (e quindi la bandeleta) in uno stato sotto infiammatorio (quindi ad una
regressione dell’infiammazione)
Bandeletta e canale di hunter, in che casi trattarli?
Ci sono delle sintomatologie sulla faccia mediale del ginocchio oppure ad un’irradiazione
sull’interlinea mediale del ginocchio (dove appunto i cui sintomi sono simili ad un problema
meniscale), ma che invece sono scatenate dall’irritazione di queste strutture (vedi dopo)
Quando queste strutture (bandeletta e canale di hunter) sono sottoposte a tensione (come ad
esempio una fibrosi del sartorio, oppure delle lesioni dirette a questo livello, oppure ancora
delle restrizioni di mobilità di quest’area) provocano dei sintomi (quindi provocano una
sintomatologia) sulla faccia/regione mediale del ginocchio oppure ancora provocano
un’irradiazione sull’interlinea mediale del ginocchio. Questa sintomatologia (quindi questi
sintomi) sono simili a quelli di un problema meniscale. Per cui noi andremo ad effettuare i nostri
test come il grenning test (il quale ci risulterà negativo), il mack marley (il quale ci risulterà
negativo), ed il test di pressione (il quale ci risulterà negativo), allora tutto ciò ci porterà a
pensare che questa sintomatologia non derivi da un problema meniscale (in quanto tutti i test
erano negativi), per cui possiamo formulare due ipotesi:
1) O vi sono dei problemi cartilaginei (anche se il paziente dovrebbe presenterebbe anche altri
sintomi oltre a quelli citati sopra)
2) Oppure, se (((il ginocchio))) non presenta particolare gonfiore ma solo una sintomatologia di
tipo algico, allora possiamo pensare che vi sia una struttura neurologia che sta andando ad
intaccare questa zona, per cui dobbiamo risalire a monte per valutare tutti i punti in cui
potrebbero esserci delle situazioni in cui i fasci nervosi sono irritati (quindi andare a vedere il
canale di hunter, il triangolo di scarpa, e la regione lombare.)
(((Per cui vi sono delle sintomatologie sulla faccia mediale del ginocchio oppure ad
un’irradiazione sull’interlinea mediale del ginocchio (dove appunto i cui sintomi sono simili ad
un problema meniscale) ma questi sintomi sono provocati da una tensione/irritazione/fibrosi
di queste strutture(ovvero triangolo di scarpa, canale di hunter e bandeletta).)))
Informazioni sulla bandeletta (relazione tra bandeletta e problematiche ascendenti)
Spesso gli sportivi che praticano sport come triathlon, iron man, runners, maratoneti ecc a causa
del lavoro estremo che attuano attraverso la corsa, hanno spesso infiammazioni alla bandeletta,
per cui se trattiamo questa al paziente, lui starà subito meglio e così fidelizziamo anche il
paziente.
Nella maggior parte dei casi, le cause che provocano problemi alle bandelette, sono
problematiche che sono in via ascendente (((quindi che provengono da problematiche di tipo
ascendenti))) (((quindi la problematica di tipo ascendente causa problemi alla bandeletta))). La
spiegazione è la seguente:
le linee esterne sono vie ascendenti <quindi le linee di forza ascendenti sono quelle indicate con
il numero (2)> mentre la maggior parte delle linee interne mentre le linee interne sono
discendenti <quindi le linee di forza discendenti sono quelle indicate con il numero (1)>. Per cui
(il prof dice di prendere con le “pinze” questa teoria):
3)Rinforzo
del grande
trocantere
- La maggior parte dei disturbi sulla regione adduttoria (((e quindi riferite alla regione mediale
della coscia))) quasi sempre derivano da problematica di tipo discendenti (come ad esempio una
disfunzione viscerale).
Per cui la prima cosa da chiedere ad un paziente che presenta un problema di tipo esterno
(((regione esterna))) è se ha cambiato recentemente le calzature, oppure se è successo qualcosa
durante la competizione (come ad esempio un cambio di appoggio che gli ha causato
un’instabilità)
- Mentre la maggior parte dei disturbi sulla regione abduttoria (((e quindi riferite alla regione
laterale della coscia))) quasi sempre derivano da problematica di tipo ascendenti (come ad
esempio un cattivo appoggio o (((una disfunzione))).
TABELLA RIASSUNTIVA
Effettuiamo il test di pressione proprio sotto l’interlinea del piatto tibiale. Se il test
risulta positivo allora dobbiamo andare a valutare:
1) la MUSCOLO POPLITEO
Test → palpazione ed individuazione di zone di massima densità
Trattamento → siderazione
3) MENISCHI
Test → posizionamento mani a “C” e successiva mobilizzazione dei menischi in
anteriorità e posteriorità
Trattamento → Tecnica diretta (dove non va, lo porto ed aspetto il
rimaneggiamento tissutale)
5) CANALE DI HUNTER
Test → individuazione del canale nella parte infero mediale della coscia (tra grande
adduttore e vasto mediale
Trattamento → apertura del canale di Hunter
6) BANDELETTA
Test → palpazione della bandeletta lungo tutta la sua lunghezza
Trattamento → ponsage , siderazione
ANCA
Quando effettuiamo tecniche vicino agli organi genitali, dobbiamo ricordarci di non posizionare mai le dita in
direzione degli organi genitali, inoltre non bisogna andare a guardare gli organi genitali, inoltre bisogna rendere
partecipe il paziente di quello che si sta facendo (come ad esempio dire che stiamo andando ad allungare dei
muscoli che si trovano in quella zona). Quando dobbiamo trattare la paziente, chiediamo di svestirsi, ma nel caso
in cui la paziente dovesse lasciare una calzamaglia o un pantaloncino, allora lavoriamo sopra quei vestiti che lei
ha mantenuto (quindi non chiedere alla paziente di togliere un vestito che lei non vuole togliere).
TECNICA DI UNWINDING (tecnica di srotolamento)
La tecnica di unwinding (e quindi di srotolamento fasciale) viene utilizza per
concludere il trattamento sull’arto inferiore. questa tecnica può essere utilizzata su
tutte le articolazioni, in quanto, In base a dove direzioniamo le nostra forze durante
l’esecuzione della tecnica, possiamo lavorare articolazioni diverse.
delle volte, questa tecnica può essere anche risolutrice di problematiche legate
alle articolazioni (in quanto è anche una manovra anche articolatoria).
A volte può essere risolutrice rispetto ad alcune problematiche che non
regredivano
Per cui mobilizzeremo l’anca su tutti i piani possibili. Di seguito come il Professore
fa il lavoro sull’anca
2
1
4 3
5 6
7
8
10
9
11
12
Lo stesso possiamo fare a livello dell’articolazione Lo stesso possiamo fare a livello dell’articolazione
sottoastragalica del ginocchio
DA INSERIRE TABELLA
RIASSUNTIVA
DELL’ANCA
BACINO
introduzione
il bacino è un punto di passaggio tra la parte superiore e la parte inferiore, per cui
è un punto di passaggio e di dissipazione di forze (forze verticali =ascendenti e
discendenti ; forze orizzontali = attraverso il pavimento pelvico <quindi le forze
orizzontali dissipano a livello del pavimento pelvico, il quale appunto è anche detto
perineo>). A questo livello abbiamo da analizzare l’articolazione ileo sacrale,
verificare la funzione del sacro, del pube, la coxo femorale ???ed L5-S1???.
Il bacino è diviso in due strutture, ovvero il grande bacino ed il piccolo bacino:
il piccolo bacino (a questo livello abbiamo dei passaggi vascolari importanti come
???l’arteria iliaca interna???, abbiamo un passaggio linfatico importante; nei
maschi abbiamo la prostata e la vescica, mentre nella donna abbiamo, dall’avanti
al dietro, vescica, utero, vagina e retto).
Il grande bacino invece contiene il peritoneo (quindi tutte le componenti viscerali
intraperitoneali)
Per cui con una mano facciamo punto fisso a livello di una sacro iliaca, mentre l’altra
mano effettua il test di pressione (e poi viceversa).
Quindi noi per effettuare il test dobbiamo bilanciare il nostro peso corporeo sul
lettino, per cui il nostro corpo si poggia (lateralmente) al lettino, in maniera tale
che noi non ci buttiamo con tutto il peso del nostro corpo sul paziente, altrimenti
blocchiamo tutto (per cui non sarà possibile testare). Per cui noi dobbiamo
trasferire il peso del corpo, attraverso le gambe (((ed il bacino))) sul lettino (((quindi
lateralmente al lettino, quindi poggiarci lateralmente al lettino))), in maniera tale
che le mani sono libere di sentire
Test di pressione sul pube
individuazione e palpazione
il legamento inguinale va dalla SIAS alla branca pubica.
Quindi andremo a posizionare le mani in questa zona e
durante la palpazione dovremmo sentire una struttura
nastriforme. Per cui effettuiamo una palpazione di tutto il
legamento andando ad evidenziare se vi sono delle zone di
maggiore densità.
Dal bacino in su, per l’esecuzione della tecnica di recoil, oltre alla ricerca dei movimenti sui piani dello spazio,
i quali appunto vanno ad aggravare e quindi aumentare la densità che abbiamo sotto le dita, andremo ad
utilizzare, come parametro aggravante anche l’atto respiratorio, in quanto:
A livello dell’arto inferiore le dinamica le strutture diaframmatica non entravano in gioco in maniera molto
importante (((quindi diciamo che nell’arto inferiore le dinamiche diaframmatiche sono meno influenti, quindi
durante il recoil, non utilizziamo la respirazione per aggravare la densità))), mentre dal bacino in su, il
diaframma conta molto per quanto riguarda le dinamiche pressorie (in quanto durante l’atto inspiratorio il
diaframma scende (((comprime i visceri))) e quindi porta una spinta verso il basso).
(((Quindi dal bacino in su gli atti respiratori del diaframma (e quindi la dinamica del diaframma) può peggiorare
o migliorare quella densità (e quindi migliorarla o peggiorarla durante la discesa o salita del diaframma), per
cui dopo aver ricercato l’aumento della massima densità sui vari piani dello spazio, utilizziamo la respirazione
per aggravare (e quindi aumentare) ulteriormente la densità che abbiamo sotto le dita, quindi se ad esempio
la densità aumenta durante l’inspirazione, allora chiediamo al paziente un’apnea inspiratoria, durante la quale
appunto, andremo ad effettuare il recoil.)))
Area molto vasta, legamento fibroso → tecnica recoil con le mani
Quando troviamo un-area molto vasta come il legamento tutto indurito, oppure il
legamento tutto fibroso, allora andiamo ad effettu
Posizionamento delle mani
Mano destra A livello della SIAS
Durante la tecnica il paziente può avere dolore, in quanto (((il pube))) è molto
collegata con la sfera genitale
Un problema di questo tipo (e quindi di lesione intraossea a livello del pube) si può
rilevare sia negli uomini che nelle donne, fondamentalmente sui ragazzi (ma
soprattutto nei ragazzi sportivi) è causata da una situazione di compressione
(appunto dettata da stimoli meccanici), mentre nelle ragazze può essere causata ad
esempio da un parto traumatico, oppure causato da problemi uro-ginecologici
(quindi più legati alla sfera genitale emotiva).
Tecnica sulla linea innominata
La linea innominata (o linea arcuata) è una linea che va dal cambio di linee delle
auricole, fino alla branca pubica (è come se disegnasse una “C”), per cui noi
andremo a testare questa “C” per valutare che sia mobile (quindi andremo a testare
la plasticità di questa struttura ossea).
Test e trattamento
Posizionamento delle mani
la mano posteriore in proiezione
della sacro iliaca <per porci a
livello della sacro iliaca, andiamo
a localizzare SIPS (((e ci poniamo
a livello delle basi sacrali)))> ,
mentre la mano anteriore viene
posta a livello della branca
pubica.
Per cui eseguiremo una pressione in convergenza (quindi una pressione antero-
posteriore con entrambi le mani) e nel momento in cui (durante la pressione
antero-posteriore) riscontriamo una densità, fermiamo la compressione ed
andiamo ad effettuare dei movimenti lemniscali nei vari piani dello spazio, andando
a valutare se questa struttura si muove bene ed eventualmente mobilizzandola
dove abbiamo la restrizione di mobilità.
Per cui, possiamo effettuare una compressione
(convergente con entrambe le mani) iniziale per
andare a valutare la plasticità della linea
innominata, e durante questa compressione se
riscontriamo una zona di maggiore densità, non
continuiamo a comprimere, ed andiamo a
valutare la mobilità d quella densità eni vari piani
dello spazio attraverso l’effettuazione di
movimenti lemniscali e dove avvertiamo che vi è
una restrizione di mobilità, la induciamo.
Tecnica sulla membrana otturatoria
lo scopo del test è quello di creare una pressione dal dietro all’avanti, in direzione
delle faccette dell’articolazione sacro iliaca. Per are il test posizioneremo il braccio
craniale quasi parallelo alla colonna, mentre il braccio caudale sarà leggermente
più perpendicolare.
Posizionamento delle mani
Per posizionare le mani a livello del
sacro, dobbiamo seguire le creste
iliache ed arrivare fino a livello delle
SIPS, per cui, dalle SIPS, ci poniamo
leggermente inferiormente ed
internamente, così da arrivare a livello
dei solchi (nella profondità del
solco abbiamo l’emibase <le
emibasi non sono palpabili>)
arrivati a questo punto,
posizioniamo la mano craniale e
sopra di questa la mano
caudale, la quale appunto si
troverà con tenar ed ipotenar a livello delle AIL.
3) Un’altra sensazione che possiamo trovare è che abbiamo un sacro che è denso e
che abbiamo la sensazione che fluttui come un tappo di sughero sull’acqua (ovvero
non mi dà la sensazione né di una durezza immediata durante la pressione, né di
un rilascio rallentato (((ovvero è una via di mezzo tra le due sensazioni spiegate
precedentemente))) quindi questa sensazione potrebbe essere dettata da una
problematica cranio sacrale.
4) Una sensazione di durezza anomala ad un certo livello del sacro, quindi una
lesione intraossea del sacro (da non confondere con una anteriorizzazione del
coccige, il quale appunto anteriorizzandosi provoca un angolo acuto che potrebbe
trarci in inganno. Normalmente le lesioni intraossee a livello del sacro si sviluppano
in età intrauterina oppure sono causati da traumi diretti oppure
Legamenti del sacro
Quindi se attraverso il test di pressione abbiamo avuto una positività del sacro, e
nello specifico una positività a destra, allora ci poniamo in maniera controlaterale
al paziente, per andare a trattare i legamenti del lato destro. Quindi a seguito della
positività del test di pressione, facciamo i test di mobilità, denominiamo la
disfunzione sacrale, normalizziamo la lesione e successivamente andiamo ad
allentare la tensione dei legamenti sacrali (in maniera tale da liberare il sacro da
quelle che sono le tensioni legamentose) quindi andremo alla ricerca della densità
a livello di questi legamenti e quando le troviamo (queste densità) andremo ad
effetuare una tecnica molto forte (ovvero il ponsage con il gomito) per cui
dobbiamo prestare molta attenzione a non essere eccessivamente aggressivi (la
tecnica è molto efficace ma dobbiamo stare attenti a non essere troppo aggressivi).
In questa maniera si apre la faccetta sacro iliaca (((durante la
Legamenti assili rotazione esterna)))
per cui, una volta individuata la zona di
massima densità (quindi in questo caso a
livello dei legamenti assili) vado ad
appoggiare il gomito ed utilizziamo la forza
di gravità per imprimere la pressione a
questo livello (quindi utilizziamo il peso del
nostro corpo per effettuare il ponsage,
ricordando che il peso del nostro corpo,
deve essere scaricato attraverso le gambe
e sul il lettino <quindi sulla parte laterale
del lettino> in maniera tale che se mi
Rotazione esterna
solleva dagli appoggi che ho sul paziente,
non cado su di esso), inoltre per rendere
più efficace la tecnica, possiamo
agganciare il piede del nostro paziente ed
usiamo questo per imprimere una
intrarotazione dell’anca oppure una
extrarotazione dell’anca, andando a
vedere in quale dei due movimenti, la
densità sotto il gomito aumenta. (((quindi
durante la rotazione esterna la faccetta
sacro iliaca dovrebbe aprirsi, mentre Rotazione interna
Inoltre, dato che siamo in questa posizione, nulla ci vieta di trattare il piriforme (il
quale va dal margine interno del sacro al bordo superiore del gande troncantere)
anche può esserci una continuità di tensione tra i legamenti ed il piriforme (o
comunque in generale i rotatori d’anca) ed anche in questo caso, andiamo alla
ricerca della zona di maggior densità e facciamo un ponsage.
In questa tecnica non utilizziamo i nostri pollici perché potremmo farci male alle
dita (ed avere anche tendinosi, oppure sublussazione/lussazione)
Legamenti ileo lombari
per cui (come per la tecnica precedente) posizioniamo il gomito nello spazio
compreso tra le trasverse e la cresta iliaca, mentre con l’altra mano afferriamo il
piede del nostro paziente andando a ricercare il movimento che porta ad un
aumento della densità e successivamente effettuiamo un ponsage.
Quando troviamo una lesione intraossea a livello del sacro, possiamo normalizzarla
attraverso due tecniche
- il recoil (quindi utilizzeremo sia i piani nello spazio, che la respirazione)
- rebaund è una tecnica che può essere utilizzata solo nelle strutture
tendenzialmente cifotiche o leggermente arcuate (((quindi convesse secondo me)))
(fondamentalmente il rebaund viene utilizzato sul sacro e sullo sterno).
Rebaund
Posizionamento delle mani
una mano va posizionata sulle emibaasi sacrali, mentre l’altra a
livello delle AIL. Nel caso in cui dovessimo trovare dei sacri
piccolini, allora possiamo mettere le mani anche in questa
maniera
Quindi a differenza del recoil, non spingiamo sulla lesione, bensì la mettiamo in
compressione e durante l’inizio della inspirazione, rilasciamo velocemente.
Questo crea un effetto di riverbero nella struttura ossea.
Quindi il rebaund
Va molto bene nei traumatismi sacrali, per problematiche di ossificazione ossea
(dovute alla crescita), nelle lesioni intraossea lesioni intraossee uterine
Test di bilanciamento tra sacro e iliaco
1) LEGAMENTO INGUINALE
Test → palpazione ed individuazione di zone di massima densità
Trattamento →
1) area densa puntiforme utilzziamo il recoil (utilizzando i piani nello spazio e
respirazione)
2) area densa vasta (legamento fibbroso) utilizziamo il recoil con le mani
(utilizzando i piani nello spazio e respirazione)
3) LINEA INNOMINATA
Test → compressione in convergenza sulla linea innominata (forma di “C”) per
valutarne la plasticità
Trattamento → (((tecnica di induzione ossea → quindi compressione
convergente)))
4) MEMBRANA OTTURATORIA
Test → valutazione della membrana otturatoria (nel caso di sintomi da intrappolamento
del nervo otturatorio)
Trattamento → tecnica di ponsage
5) LEGAMENTI ASSILI (sacro)
Test → palpazione ed individuazione della zona di maggior densità
Trattamento → ponsage con il gomito
Il muscolo psoas origina dal margine esterno dei corpi vertebrali e sui dischi e
si congiunge con il muscolo iliaco andando ad inserirsi a livello del piccolo
trocantere (((quindi presenta due origini, una a livello dei corpi vertebrali,
mentre l’altra a livello dei dischi vertebrali))). Lo psoas flette quando lavora
nella catena cinetica aperta (quindi quando il piede è staccato/svincolato dal
terreno) effettua la flessione dell’anca, mentre se la catena cinetica è chiusa
(quindi quando il piede è in appoggio sul terreno) aumenta la lordosi lombare
Il paziente deve essere posto in posizione prona, con la testa all’interno del buco
presente a livello del lettino, oppure con la fronte posta a livello delle mani (per
tenere il capo diritto), oppure in alternativa possiamo mettere le mani a livello de
fianchi e porre un cuscino a livello della fronte.
Il test di pressione si effettuerà a livello delle spinose,
quindi, per effettuare il test poniamo il tallone della
nostra mano a livello di 2/3 processi spinosi
(contemporaneamente, quindi effettueremo una
palpazione a macro gruppi) ed effettueremo una
pressione postero anteriore su tutto il rachide
lombare. una volta individuata una zona in cui le
spinose sono più maggiormente dense, allora
andiamo a valutarle singolarmente quel gruppo di
spinose andando ad individuare quella che è
maggiormente densa.
esempio
Quindi se ad esempio troviamo come vertebra
maggiormente densa L1, possiamo dire quindi che la
disfunzione sarà tra L1 ed L2 (quindi tra le faccette
articolari inferiori di L1 e le faccette articolari superiori di L2).
Successivamente andiamo a valutare se vi è un disallineamento delle spinose (così
iniziamo a farci un’idea del tipo di disfunzione che potrebbe esserci, quindi andiamo
a valutare l’allineamento di L1 rispetto L2): nel caso le spinose siano allineate, allora
possiamo pensare che la vertebra sia o in disfunzione di flessione bilaterale oppure
di una estensione bilaterale. Per cui arrivati a questo punto, facciamo respirare la
nostra paziente (durante il tempo inspiratorio le faccette si devono aprire, mentre
durante l’espirazione le faccette si devono chiudere) nel caso in cui le faccette
durante l’espirazione si chiudono e durante l’inspirazione non si aprono, allora
abbiamo una disfunzione di estensione bilaterale.
Per correggere la lesione, faremo due thrust, prima sulla faccetta di destra e
successivamente su quella di sinistra (quindi andiamo ad aprire <mettere in
divergenza> dove vi è il blocco di estensione <convergenza>.
Altro esempio
Se avessimo trovato un’asimmetria della spinosa sovrastante rispetto a quella
sottostante, allora potevamo avere altre tre tipologie di disfunzioni, o una FRS o
una ERS oppure un blocco bilaterale.
- se la spinosa sovrastante è deviata a destra, possiamo avere una delle tre
disfunzioni descritte sopra (quindi o un FRS sinistra oppure una ERS sinistra oppure
una disfunzione bilaterale)
Disfunzione bilaterale = Sarà una disfunzione bilaterale se durante l’inspirazione e
l’espirazione, non cambia niente (quindi non si normalizza in nessuno dei due casi)
FRS sinistra = Se durante l’inspirazione si normalizza allora avremo una FRS sinistra
(((questo perché, se la faccetta di destra è bloccata in F, vorrà dire che durante la
inspirazione, la faccetta di destra si trova già in flessione, mentre la faccetta di
sinistra, non essendo in disfunzione, ha la possibilità di andare in flessione, per cui
la spinosa della vertebra si riallinea e quindi la vertebra si normalizza, mentre
durante l’espirazione la faccetta di destra <essendo bloccata in flessione> non può
andare in estensione, mentre la faccetta di sinistra può andare in estensione, per
cui la spinosa devia ancora maggiormente verso destra)))
ERS sinistra = Se durante l’espirazione si normalizza allora avremo una ERS sinistra
((( valutazione e test di una disfunzione lombare (riepilogo)
1) Quindi facciamo un test di pressione sul tratto lombare <di 2-3 spinose contemporaneamente>
e successivamente andiamo ad individuare la zona maggiormente densa. 2) A livello della zona
maggiormente densa, andiamo ad effettuare una pressione sulle singole vertebre per
discriminare, quale tra quelle sia maggiormente densa. Una volta individuata la vertebra che
presenta la massima densità, possiamo dire che la problematica è localizzata tra la vertebra in
disfunzione (quindi quella che presenta la maggior densità) e quella sottostante (quindi la
disfunzione è localizzata tra le faccette articolari inferiori della vertebra che presenta la maggior
densità <quindi definita vertebra sprastante> e le faccete articolari superiori della vertebra
sottostante. 3) Successivamente andiamo a valutare il posizionamento del processo spinoso della
vertebra soprastante rispetto a quella sottostante (così da farci una prima idea su quella che
potrebbe essere la disfunzione che presenta quella vertebra), per cui:
- Se la spinosa della vertebra in disfunzione (e quindi della vertebra soprastante) è in linea rispetto
alla sottostante, allora la vertebra potrebbe essere in disfunzione di flessione bilaterale oppure di
estensione bilaterale.
- Se la spinosa della vertebra in disfunzione (e quindi della vertebra soprastante) è deviata a destra
rispetto alla sottostante, allora la vertebra potrebbe essere in disfunzione di FRS sinistra , oppure
di ERS sinistra, oppure una disfunzione bilaterale (e quindi una disfunzione combinata).
Discopatia acuta
Se ad esempio siamo di fronte ad una discopatia acuta (dove appunto non possiamo agire attraverso l’utilizzo di una tecnica
strutturale) possiamo effettuare questa tecnica, la quale ci aiuterà molto, questo perché molto probabilmente il paziente
presenterà delle importanti fibrosi (((a livello della fascia toraco lombare suppongo))), inoltre questi pazienti trovano molto
beneficio nel lavorare in flessione (((quindi credo che per flessione intenda una flessione del tronco con conseguente inversione
della curva lombare e allungamento della regione posteriore e quindi della fascia toraco lombare))). Quindi il lavoro di
allungamento della fascia toraco lomabre è ottimo nei pazienti con discopatia acuta. Il lavoro deve essere effettuato in maniera
graduale e lenta
Il Professore, quando lavora nelle discopatie acute, non tratta mai il quadrato dei lombi, in quanto quello è un compenso che il
corpo attua per non avere dolore (preferisce andare ad allungare la fascia toraco lombare e dare agio alle spinose) ma non va a
togliere i compensi che servono in quel momento alla colonna per non sentire dolore. Il rischio maggiore che possiamo avere
nelle discopatie acute è che il paziente si presenti con un forte spasmo (oppure forte tensione) al quadrato dei lombi e che
appunto vi possa essere la tentazione di andare subito a normalizzarlo, ma la risultante potrebbe essere che il paziente in un
primo momento abbia del beneficio e poi a distanza di brevissimo tempo ci richiami dicendo che presenta un dolore maggiore
rispetto al precedente. Quindi se è presente una discopatia acuta, bisogna lasciare la tensione a livello del quadrato dei lombi.
Tecnica di allungamento sugli erettori di colonna
la tecnica è molto simile alla precedente, solo che in questo caso andremo a
palpare entrambi gli erettori di colonna e successivamente, dopo aver riscontrato
la maggior densità a livello di un erettore di colonna, si effettua la tecnica di
allungamento, come per la fascia toraco lombare.
per cui effettuiamo una palpazione degli erettori e valutiamo quello che presenta
la maggior densità.
posizionamento delle mani
una volta individuato lìerettore di colonna che
presenta la maggior densità, allora poniamo il
tallone della mano craniale a lato della SIPS (((dal
lato che dobbiamo trattare ovviamente))) che
vogliamo trattare, mentre il tallone della mano
caudale inproiezione della prima mano
(((ovviamente a livello degli erettori di colonna))).
Esecuzione della tecnica
Come per la precedente tecnica bisogna andare,
attraverso la discesa delle gambe, ad allungare gli
erettori di colonna e manteniamo la posizione fin
quando sentiamo che gli erettori si rilasciano.
Variante
Possiamo effettuare anche un ponsage a livello della massima densità a livello degli
erettori di colonna.
Tecnica di allungamento sui tre fasci del muscolo quadrato dei lombi (paziente prono)
Per quanto riguarda il quadrato dei lombi, andremo ad allungare ognuno dei singoli
asci che lo compongono.
Fascio verticale
Posizioniamo la mano craniale a livello del bordo superiore della cresta
iliaca, mentre la mano caudale viene posizionata a livello del bordo
inferiore di K12. Come per le precedenti tecniche, andiamo ad allungare il
fascio verticale.
Utilizzare la tecnica di allungamento del quadrato die lombi in caso di Ernia intraforaminaria? NO
Se il paziente si presenta con un dolore lombare ed una sintomatologia irradiata (((quindi con
un’irradiazione all’arto inferiore))), allora molto probabilmente c’è (((un’ernia))) intraforaminale, per
cui occorrono più indagini per accertarsi di ciò, inoltre, in questi casi, non conviene effettuare un
trattamento del quadrato dei lombi (quindi un allungamento del quadrato dei lombi) in quanto già è
presente un budge che va verso la posteriorità, e noi con la tecnica sul quadrato dei lombi andremo
ulteriormente ad aprire lo spazio posteriore tra una vertebra e l’altra (((quindi daremo la possibilità
all’ernia di fuoriuscire ulteriormente ed andare ad aggravare la compressione sulla radice nervosa)))
Utilizzare la tecnica di allungamento del quadrato die lombi in caso di Lombosciatalgia muscolo
tensiva? SI
Nel caso di una lombalgia muscolotensiva (definita lombalgia miogena o miotensiva) (((ovvero una
lombalgia scatenata dalla contrattura muscolare oppure tensione muscolare a questo livello))) il
paziente presenterà una sintomatologia riferita ad una contrattura muscolare oppure ad una
tensione muscolare, allora il lavoro effettuato (((sui muscoli del tratto lombare, come ad esempio sul
quadrato dei lombi ecc))) a questo livello è ottimale.
Variante con paziente supino per l’allungamento del muscolo quadrato dei lombi
Allungamento delle fibre verticali (del quadrato dei lombi di sinistra, ma anche
inevitabilmente parte del muscolo trasverso dell’addome e dell’obliquo
dell’addome)
Posizionamento delle mani
Una mano viene posizionata a livello delle gambe,
mentre l’altra a livello del torace.
Andiamo ad agganciare le gambe della nostra
paziente e le trazioniamo verso di noi, cercando di
mantenere il più possibile le gambe della nostra
paziente vicino al lettino (più le gambe della nostra
paziente sono in asse con il lettino, <<<quindi sono
vicine al lettino>>> e maggiormente stiamo
andando ad allungare i fasci verticali del quadrato
dei lombi), mentre l’altra mano fa punto fisso a
livello del torace (((quindi parte anteriore ed
inferiore del torace sembrerebbe))).
Esecuzione della tecnica
Quindi andiamo a portare le gambe della nostra paziente verso di noi (mantenendo
le più possibile vicino al lettino), mentre con la mano sul torace facciamo punto
fisso. Per cui andiamo ad allungare il quadrato dei lombi di sinistra.
)))
palpazione del muscolo psoas Per palpare lo psoas dobbiamo andare in profondità
Tecnica di ponsage
Una volta individuato il tendine dello psoas,
andiamo a flettere la gamba della nostra paziente
(per detendere la componente muscolare del retto
dell’addome e la componente dei visceri) ed
andiamo ad effettuare un ponsage sul ventre
muscolare.
In sintesi
Quindi in sintesi, portiamo al punto di massimo allungamento la gamba e la coscia
e manteniamo la posizione fin quando si muscoli si rilasciano, ma se vogliamo
rendere maggiormente efficace l’allungamento, possiamo fare una MET per andare
ad allungare i muscoli della gamba e successivamente andiamo ad allungare lo
psoas.
Nel caso in cui il paziente dovesse presentare un quadricipite troppo teso, allora
possiamo effettuare una variante, la quale è la tecnica seguente:
- tecnica di allungamento dello Psoas (principalmente) e dei flessori d’anca
La tecnica è identica alla precedente, solo che in questo caso andremo ad allungare
principalmente il muscolo psoas e successivamente i flessori dell’anca.
Quindi posizioniamo sempre una mano che
effettua punto fisso a livello della cresta iliaca
(manteniamo con medio, anulare e mignolo il
tendine dello psoas, mentre con pollice e indice
ancoro la cresta iliaca in maniera tale che
questa non posa compensare), mentre l’altra
mano aggancia la parte inferiore dalla coscia.
Per cui la mano posta a livello della coscia farà
effettuare una estensione all’anca della nostra
paziente (((fino ad arrivare alla massima
tensione))) e successivamente aspettiamo il
rilasciamento tissutale (quindi in questa
maniera andiamo ad allungare in maniera pura la componente dei flessori d’anca,
quindi andiamo a lavorare soprattutto sullo psoas, ma anche in parte sul muscolo
pettineo, ed anche in minima parte anche sul retto del femore).
Questo è molto utile nel caso di pubalgie oppure di dolori irradiati nella regione
mediale.
Barriera viscoelastica e barriera motrice → utilizzo della barriera viscoelastica nei pazienti
dotati di grande allungamento muscolare (come per le ginnaste e le ballerine)
Noi possiamo lavorare sia su di un limite puramente muscolare, oppure possiamo agire sulla
componente viscoelastica. Il Professore ci insegna questa differenziazione perché se in studio
dovesse presentarsi una ginnasta, oppure una ballerina (le quali appunto hanno una
componente muscolare molto allungata) ovviamente non possiamo andare ad utilizzare le
barriere muscolari per andare ad effettuare un lavoro in MET (in quanto hanno una muscolatura
abbastanza allungata) bensì dobbiamo lavorare dal punto di vista visco elastico e quindi fasciale
puro, ovvero:
Limite puramente muscolare
Se il paziente è supino sul lettino e noi tiriamo verso il tetto la sua gamba tesa, possiamo tirare
la gamba, fin quando vediamo che questa spezza il movimento (a livello del ginocchio), e proprio
il momento in cui viene spezzato il movimento della gamba, corrisponde al limite puramente
muscolare (quindi il massimo allungamento che le fibre muscolari possono sopportare). Se
vogliamo lavorare su questo muscolo, utilizzando appunto una tecnica ad energia muscolare
(quindi una MET) per andare ad allungare appunto i muscoli ischiocrurali, (e quindi lavorare sul
muscolo da un punto di vista puramente muscolare), allora portiamo l’arto del paziente fino ad
arrivare a livello del limite muscolare (e quindi al punto di massimo allungamento delle fibre, e
quindi nel momento in cui viene spezzato il movimento della gamba a livello del ginocchio e
quindi spezzata la catena muscolare) ed andare a porci a livello di questa barriera, chiedendo
una contrazione contro resistenza (quindi chiediamo al paziente di estendere l’anca e di flettere
la gamba) e successivamente nel rilasciamento post isometrico andiamo ad allungare
ulteriormente le fibre muscolari dei muscoli ischio crurali ricercando quindi una nuova barriera
muscolare. Quando lavoriamo sul limite muscolare, andiamo a lavorare sul limite delle fibre e
quindi della capacità che hanno di estendersi.
Linea della gamba che si spezza a causa della barriera muscolare Tecnica in MET a livello della barriera muscolare
Limite viscoelastico (fasciale)
Eseguendo sempre lo stesso movimento dell’arto inferiore del nostro paziente, possiamo
andare anche a valutare la barriera viscoelastica (e quindi la barriera fasciale) la quale appunto,
a differenza di quella muscolare, si può presentare a qualsiasi livello del rom articolare, in quanto
questa è data dalle restrizioni fasciali. La barriera viscoelastica la riscontriamo nel momento in
cui, durante l’induzione del movimento di flessione di anca (quindi mentre portiamo il piede del
nostro paziente verso il tetto) riscontriamo una prima resistenza del movimento, quindi durante
l’induzione del movimento di flessione di anca appena riscontriamo una prima resistenza al
movimento di flessione di anca, siamo arrivati a livello della barriera viscoelastica e quindi alla
barriera fasciale (((inoltre a quanto dice il professore, la barriera viscoelastica può essere
riscontrata sia attraverso la prima restrizione di movimento durante la flessione dell’anca, che
dal primo movimento che si avverte a livello della SIAS <cresta iliaca>, ovvero, se posizioniamo
una mano a livello della cresta iliaca (mentre ovviamente l’altra induce una flessione dell’anca),
il primo movimento che avvertiamo a livello della cresta iliaca, corrisponde alla barriera
viscoelastica. Se vogliamo lavorare a livello viscoelastico, dobbiamo indurre il movimento
dell’anca fino ad arrivare a livello della barriera viscoelastica e successivamente possiamo
lavorarla in varie maniere, ovvero:
possiamo effettuare dei movimenti lemniscali, oppure possiamo lavorarla facendo delle piccole
circonferenze, oppure piccole vibrazioni oppure ancora possiamo lavorarla effettuando delle
piccole compressioni, ovviamente fin quando avremo un rilascio di questa barriera viscoelastica
e quindi noi successivamente andiamo a ricercare la successiva barriera viscoelastica. Quindi in
questa maniera andremo a reidratare la fascia.
Barriera viscoelastica
Variante
Facciamo sedere il paziente ai piedi del lettino, in maniera tale che, da questa
posizione possiamo andare a lavorare (e quindi allungare) il retto dell’addome, lo
psoas, il retto femorale, gli adduttori (se il paziente fatica a manterne la posizione,
andiamo a porre un cuscino sotto la testa (in quanto il paziente non può restare
con la testa in estensione), e se non riesce a mantenere la curva lombare, poniamo
anche lì un cuscino che segua la curva lombare (((quindi un semicerchio))). Per cui
possiamo lavorare sul paziente andando ad allungare una volta lo psoas ed una
volta gli adduttori e poi facciamo allunghiamo lo psoas e successivamente gli
adduttori attraverso delle
tecniche in MET quindi
chiediamo delle contrazion
contro resistenza e nel
rilasciamento post contrazione
isometrica andiamo a ricercare
la nuova barriera motrice e
quindi allungarla.
TABELLA RIASSUNTIVA
Effettuiamo il test di pressione sul rachide lombare ed andremo ad individuare una
zona maggiormente densa. Successivamente andiamo nella zona maggiormente
densa ed andiamo a valutare quale tra quelle vertebre è quella maggiormente densa.
Prima di utilizzare una tecnica in thrust, possiamo fare un lavoro preparatorio sulle
strutture che possono influenzare o mantenere la vertebra in disfunzione:
2) ERETTORI DI COLONNA
Test → palpazione di entrambi gli erettori di colonna ed individuazione del più
denso
trattamento →
1) Il tallone della mano craniale viene posto a lato della SIPS, mentre la mano
caudale a livello dell’erettore di colonna da trattare ((((orientativamente nel
passaggio tra il tratto lombare e dorsale)))
2) ponsage con il gomito a livello della massima densità dell’erettore di colonna
5) ILEO PSOAS
Test → palpazione ed individuazione della zona di maggior densità
Trattamento →
1) ponsage con il dito
2) allungamento esclusivamente del muscolo psoas ; oppure allungamento del
muscolo quadricipite e successivamente dello psoas
TORACE
1) MUSCOLO TRAPEZIO
Test → Palpazione ed individuazione delle zone di maggior densià
Trattamento →
1) allungamento miofasciale – poniamo la zona di massima densità tra la mano
craniale e la mano caudale ed andiamo ad effettuare un allungamento di questa
zona, dopodichè aspetimo un rilasciamento fasciale.
2) siderazione a livello della massima densità
La borsite
Tutte le borse che si trovano interposte nei vari piani di scorrimento, sono soggette ad
infiammazione <quindi borsiti>. Queste infiammazioni possono derivare o dall’attrito,
oppure da una infiammazione, nello specifico:
- Dall’attrito (quindi infiammazioni causate dallo scorrimento <in quanto la borsa si
surriscalda, si deteriora ed allora il corpo ci butta su l’acqua (((quindi attua
l’infiammazione))), e piccoli detriti di sangue ovvero crea l’edema>. Quindi infiammandosi
la borsa, riduce il piano di scorrimento tra le due superfici.
- Da un’infezione come per esempio un’infezione da stafilococco → esempio: se il paziente
ha avuto una faringite (con episodi di febbre) oppure ha effettuato un intervento dentario
e dopo 15 giorni si presenta da noi in studio con una spalla bloccata, senza alcuna ragione,
(((allora possiamo pensare che questo paziente abbia un’infiammazione della borsa
causata da un batterio))) per cui la cura giusta per questo paziente potrebbe essere
l’antibiotico. Normalmente una situazione batteria viene caratterizzata dalla presenza di
febbre (quindi il paziente presenta la febbre, oppure ha avuto un trascorso di febbre)
quindi ad esempio ha avuto una faringite con febbre e dopo 15 giorni viene da noi in studio
perché gli si è bloccata la spalla (oppure con il gomito gonfio e bloccato) e noi durante la
valutazione riscontriamo che (((la zona interessata))) presenta i segni tipici
dell’infiammazione (((i quali sono: calore della parte infiammata, arrossamento,
tumefazione, dolore, alterazione funzionale <calor, rubor, tumor, dolor, functio laesa>)))
quindi presentano ad esempio le articolazioni gonfie, calde.
(VEDI DOPO PER LA SPIEGAZIONE IN SINTESI)
In sintesi… ((( Per cui se il paziente ha avuto una faringite, oppure ha subito un intervento
dentario ed a seguito di ciò ha avuto la febbre (((o comunque durante quei 15 giorni))) e si
presenta da noi in studio con una spalla bloccata (oppure con un gomito bloccato) senza
alcuna ragione (((quindi senza aver fatto niente di che))) ed inoltre durante la nostra
valutazione constatiamo che la spalla presenta i classici segni dell’infiammazione (calore
della parte infiammata, arrossamento, tumefazione, dolore, alterazione funzionale) allora
possiamo pensare che il batterio stafilococco, sia migrato nella borsa e che l’abbia
infiammata (quindi scatenato una borsite) la quale appunto, va a diminuisce la possibilità
di scorrimento dei piani tra i quali questa si trova, (((causando così un blocco della spalla))).
Per cui il nostro compito sarà quello di consigliare al paziente di farsi visitare dal suo
medico, il quale dovrebbe prescrivergli l’antibiotico. Se la condizione di infiammazione
della borsa permane nel tempo, causa delle forti fibrosi della borsa. )))
Raffreddore dell’anca
Molto diffuse sono anche il cosiddetto “raffreddore dell’anca” (in quanto un raffreddore
oppure un’infezione batterica 15 gg prima ed arriva da noi in studio con la trocanterite
acuta e la zona si presenta calda, gonfia, ematosa, per cui si consiglia di fare cura
antibiotica)
Per cui, il motore della spalla è la scapola, per cui nei problemi della spalla
dobbiamo sempre andare a valutare la scapola. La guida della scapola è la calvicola,
la quale rappresenta la guida della spalla nello spazio ed il fattor epiù rilevante
riguardante l’articolazione sterno claveale è data dal fatto che è l’unica relazione
dell’arto superiore con il tronco (quindi l’unico punto di aggancio della spalla sul
torace) (((quindi abbiamo una struttura appendicolare appesa all’articolazione
sterno calveare, e questo ci comporterebbe ad avere frequentemente problemi alla
spalla <essendo l’unica relazione l’articolazione sterno calveare> ma siccome il
corpo lavora come una struttura tensegrile, questo non succede))).
La clavicola
Succlavio fibrotico
Spesso il muscolo succlavio molto fibrotico si trova nelle spalle traumatiche (quindi spalle che hanno subito un
trauma, come ad esempio una lussazione della spalla) come ad esempio una lussazione della spalla.
Perché il succlavio dopo una lussazione di spalla va in spasmo? Il succlavio va in spasmo perché il suo corpo sta
cercando di proteggere (((la spalla))) limitando il movimento (((per cui il succlavio si fibrotizza e si blocca))).
Il paziente durante la manovra d ponsage può avvertire anche delle piccole scosse (ad esempio dietro
l’orecchio, acufene ??? dolore dietro il braccio, dolore retrosternale, sudorazione fredda???) in quanto vuol
dire che il ponsage sta prendendo a retroso il plesso cervicale (non è un problema e si può continuare con il
ponsage). Questi segni li abbiamo perché durante il ponsage a livello del succlavio andiamo a stimolare il
passaggio del frenico(posteriore), del vago, ed inoltre siamo in proiezione del ganglio cervicale superiore
(quindi del ganglio stellato, il quale può dare dei riflessi trofici dell’arto superiore, quindi può sentire anche un
restringimento della componente vascolare periferica).
Quindi, liberando/normalizzando il succlavio abbiamo innumerevoli miglioramenti nel breve termine, come ad
esempio la respirazione, miglioramento della vascolarizzazione dell’arto superiore <Quindi normalizzando il
muscolo succlavio miglioriamo il funzionamento di tutto quello che passa tra al di sotto della clavicola (((quindi
nella pinza tra clavicola e prima costa)))>.
Spesso le coliche da calcolosi della coliciste danno una sintomatologia affine alle sindromi pre infartuali (i quali
sintomi dovrebbero essere dolore dietro il braccio, dolore retrosternale, sudorazione fredda) in quanto le vie
afferenti sono simili (infatti i pazienti vengono portati prima in cardiologia e se il tracciato risulta negativo, li
portano in medicina interna e da li vanno ad indagare ed a trovare i calcoli). Anche le problematiche di ulcere
gastrice danno una sintomatologia simile
Variante tecnica di ponsage sul muscolo succlavio (Accesso sottopettorale del succlavio)
precauzioni
In questa tecnica dobbiamo stare molto attenti a
non schiacciare i linfonodi (se troviamo delle aree
tondeggianti rossastre, infiammate e dolenti, Esecuzione tecnica
allora dobbiamo evitare di toccarle)
Esecuzione tecnica
CONOIDE E TRAPEZOIDE
Quindi nello spazio compreso tra la coracoide ed il margine inferiore della clavicola
abbiamo i legamenti trapezoide (lateralmente) e conoide (medialmente) ed inoltre
troviamo anche la proie zione del legamento trasverso.
Sulla scapola faremo un trattamento miofasciale per tutto ciò che riguarda la
muscolatura (quindi siderazioni specifiche su delle inserzioni tendinee precise)
vedremo uno srotolamento globale della scapola (attraverso una presa globale
della scapola) ed il trattamento del piano omo-serrato e toraco-serrato.
La scapola ha una relazione sia con l’asse longitudinale della colonna che con i
meccanismi rotazionali dell’omero.
- nel bordo laterale della scapola abbiamo: il grande ed il piccolo rotondo, il capo
del tricipite ed il muscolo trapezio.
- a livello della faccia posteriore abbiamo il muscolo sottospinoso o infraspinato ,
il muscolo sovraspinato, l’inserzione del trapezio.
- a livello dell’angolo supero interno abbiamo l’inserzione dell’angolare della
scapola (o anche detto elevatore della scapola) e l’inserzione dell’omoioideo
- sul bordo mediale ed anteriore della scapola abbiamo l’inserzione del muscolo
gran dentato
- a livello della faccia anteriore della scapola è presente il muscolo sottoscapolare
(si palpa bypassando il muscolo gran dorsale e dirigendoci verso la faccia anteriore
della scapola)
- inserzione del piccolo pettorale sulla coracoide
- Sul bordo superiore della spina della scapola abbiamo l’inserzione del muscolo
trapezio.
Questi muscoli contribuiscono a far ruotare l’omero, ma se (((facciamo punto
fisso a livello dell’omero))) faranno effettuare dei movimenti alla scapola:
innalzano la scapola
i fasci superiori del trapezio
l’elevatore della scapola
adduzione
i romboidi
abduzione
il pettorale
il gran dentato tiene accollata la scapola al torace
intrarotazione
piccolo e grande rotondo
Siderazione dei muscoli che si inseriscono sulla scapola
SIDERAZIONE SOVRASPINOSO
Gran dentato
Per effettuare il ponsage del muscolo sottoscapolare,
dobbiamo effettuare una pressione con il nostro busto a
livello della spalla della nostra paziente, in maniera tale
che si renda più sporgente il bordo mediale della scapola
SIDERAZIONE
Oppure in alternativa possiamo effettuare anche una
siderazione
Sottoscapolare
Per andare ad effettuare un ponsage a livello del
muscolo sottoscapolare, dobbiamo prendere l’arto
superiore della nostra paziente ed agganciare il suo
gomito al nostro ed effettuare una piccola trazione
verso l’alto della spalla (quindi una piccola
decoattazione della spalla) in maniera tale da creare
il rilievo del gran dorsale (e quindi mettere il gran
dorsale maggiormente in risalto) in maniera tale da
poter entrare con la colonna del pollice (bypassando
il gran dorsale) per arrivare appunto a livello del
muscolo sottoscapolare.
Vista da sopra
Questa tecnica va utilizzata ogni volta che abbiamo una positività della sterno
claveare, e quando è positiva la gleno omerale. Nei lavori post chirurgici (dopo circa
un mese/ un mese e mezzo di lavoro post fisioterapico), oppure nei pazienti in cui
il dolore è riferito in regione capo lungo del bicipite oppure nella regione del
sovraspinoso,
oppure nei casi in cui abbiamo una scapola che
presenta dei limiti funzionali, i quali appunto
comportano dolore → normalmente il dolore
funzionale alla scapola si avverte dai 90/95° ai
120/130° (quindi quando il paziente presenta un
dolore che si presenta dai 90° di abduzione in poi, le
prolematiche possono essere fondamentalmente
due, ovvero o una borsite, oppure un mal funzionamento della
scapola e quindi lo scorrimento del deltoide rispetto al sovraspinato non è ottimale,
per cui andando a liberare la scapola, possiamo pensare di andare a migliorare il
funzionamento della gleno omerale)
- Va molto bene nelle spalle congelate, quindi ad esempio nei casi di capsulite
adesiva (ovviamente noi non riusciamo ad intervenire sulla capsula in quanto è
estremamente rigida, ma interveniamo sul drenaggio , quindi andiamo appunto a
drenare i cool the sack presenti a livello della gleno omerale) (((Anche se Cosimo ci
lavora)))
MIGLIORAMENTI CHE ABBIAMO UTILIZZANDO QUESTA TECNICA
- miglioriamo la funzionalità della colonna per quanto riguarda la parte toracica
- inoltre miglioreremo anche il funzionamento della parte cervicale, per via del
miglioramento del trapezio.
- miglioriamo anche la dinamica dello stretto toracico superiore
Il lavoro è molto fine. Dobbiamo creare una compressione sulla scapola sul piano
postero anteriore e sentire la sua capacità di scorrere rispetto al gran dentato, e
successivamente aumenteremo la pressione andando ad inglobale/ingaggiare
anche il gran dentato per andare a vedere come scorre rispetto alla regione toracica
questo ci permetterà di vascolarizzare, ma soprattutto di idratare la borsa e di
creare un miglior scorrimento dei piani.
Il paziente (in teoria) dovrebbe restare in questa posizione,
quindi mettendo la testa dentro il buco del lettino, se non è
presente il buco nel lettino, allora gli facciamo girare la testa.
Oppure per via infettiva, quindi il battere oppure un virus (ad esempio l’erpes) può migrare
ed infettare (quindi intaccare il nervo toracico lungo ) e dare una momentania e transitoria
deficienza del nervo toracico lungo (ovviamente questa situazione è accompagnata da
febbre nei giorni precedenti) (questa è una controindicazione assoluta al trattamento).
Test di pressione sulla gleno omerale
La differenza tra un test attivo ed uno passivo ci indica se il problema è più capsulo
legamentoso oppure un problema di tipo muscolare. Se nell’esecuzione del test
passivo il paziente non ha dolore, allora abbiamo fatto buona parte della nostra
indagine differenziale (per cui possiamo sospettare che vi sia una problematica
riferita maggiormente ad un problematica di tipo muscolare, per cui andremo ad
effettuare i test per verificare quale sia il muscolo che risulta problematico)
Lo scollamento della sotto deltoidea si può effettuare sia con il paziente seduto che
con il paziente supino.
Paziente supino
Per eseguire la tecnica, dobbiamo andare ad
agganciare il margine anteriore ed il margine
posteriore del deltoide, cercando di entrare
dentro la componente del deltoide. Per cui
andremo a porre il braccio del nostro paziente
sotto il nostro e successivamente entriamo con
entrambe le mani, cercando di farle congiungere.
Il paziente viene posizionato in decubito laterale e molto vicino a noi, con l’altra
mano poggiata sotto la guancia. Il protocollo prevede diverse fasi (dalla prima alla
sesta fase, possiamo mischiarle come vogliamo, ma l’importante è che la fase 7 sia
l’ultima della sequenza):
Visione laterale
Visione posteriore
7 FASE ➔ POMPAGGIO
Vista laterale
Tecnica con abduzione della spalla
Questa tecnica possiamo eseguirla
attraverso due modalità:
- Con l’arto superiore del nostro
paziente agganciato con il nostro
cavo ascellare (quindi lo
agganciamo con l’ascella), mentre le
colonne dei nostri pollici vanno
posizionati uno a livello del gran
dorsale ed uno a livello del gran
pettorale (grande e piccolo
pettorale). Successivamente
andiamo ad aprire il cavo ascellare
(al Professore piace particolarmente
questa tecnica perché mentre apre
in maniera importante il cavo
ascellare, va anche a fare una piccola
mobilizzazione dell’omero))).
(((Per cui andremo ad aprire il cavo ascellare sia nella parte più mediale che nella
parte più distale)))
- Oppure agganciamo il pollice del nostro paziente al nostro jeans (buco per far
passare la cintura) in questa maniera avremo le nostre braccia libere per andare ad
aprire il cavo ascellare del nostro paziente, mentre attraverso il movimento di
rotazione del nostro bacino
effettuiamo una
mobilizzazione dell’omero e
trazionamento dell’omero
Setto intermuscolare del braccio
introduzione
La componente vascolo nervosa (quindi quella che fuoriesce dal cavo ascellare)
prosegue a livello del braccio, a livello del setto che si crea tra il muscolo bicipite
ed il tricipite. Per avere conferma di
essere proprio a livello del setto
intramuscolare, possiamo penetrare con
una mano a livello di questo spazio e
sentire le pulsazioni dell’arteria brachiale
(quindi se sentiamo le pulsazioni
dell’arteria brachiale, allora abbiamo la
conferma di essere a livello del setto
intramuscolare).
(((La siderazione viene effettuata inducendo con una mano la rotazione esterna
del braccio, mentre con l’altra mano andiamo ad agganciare <<<il muscolo
estensore del carpo, ma il Professore non se dobbiamo siderare un estensore in
particolare (dato che gli estensori che si inseriscono a livello dell’epicondilo sono
vari,ovvero estensore radiale lungo del carpo oppure l’estensore ulnare del
carpo ma io credo lui intenda l’estensore radiale del carpo) oppure se si deve
andare a siderare tutta la componente degli estensori >>>
Esecuzione della tecnica (dalla parte più prossimale a quella più distale)
Vista dall’alto
Epitrocleite (o anche chiamata sindrome del golfista)
Come per l’epicondilo laterale, anche nella regione mediale può avvenire
l’infiammazione della regione trocleare, causata appunto da un’infiammazione dei
muscoli adduttori. Questa infiammazione si scatena nel momento in cui si ha una
errata impugnatura della mazza da golf (l’epitrocleite avviene perché vi è
un’infiammazione delle componente adduttoria, e questa infiammazione avviene
perché: quando il golfista ha un’impugnatura errata della mazza da golf, accade che
nel momento in cui viene dato il colpo alla pallina <<<a causa della del
contracolpo>>> vi è un eccessivo lavoro in eccentrico della componente adduttoria
<a causa appunto della scorretta impugnatura>, la quale si irrita ed infiamma,
causando così l’epitrocleite.)
Per cui l’impatto con la pallina, causa un eccessivo lavoro eccentrico della
componente adduttoria, la quale si infiamma, causando l’epitrocleite.
Lavoro da effettuare
Per lavorare sull’epitrocleite, possiamo
effettuare delle siderazioni o dei ponsage
sulla componente adduttoria. Anche in
questo caso
(come per l’epicondilite) dobbiamo
effetture un movimento a coppia, in
maniera tale che con una mano facciamo
effettuare una rotazione esterna
all’avambraccio della nostra paziente,
mentre con la mano che è posta a livello
della muscolatura, effettuiamo una
rotazione interna (in maniera tale da
siderare il ventre muscolare)
Questa infiammazione epitrocleare può diventare ancora più importante nel
momento in cui il paziente presenta anche un importante valgismo del gomito (in
quanto può interessare il passaggio canalare del nervo ulnare, il quale viene
compresso e quindi va a creare una sintomatologia a distanza (quindi delle
disestesie sulle ultime due dita). Per valutare se vi è anche un pinzamento del nervo
ulnare, esiste un test che è simile al fanel, il quale, attraverso la percussione con il
martelletto (((credo a livello dell’epitroclea))) si va a valutare se vi è un
un’irradiazione su tutto il suo tragitto , il test risulterà positivo.
Nel caso in cui il paziente presenti appunto questo valgismo
importante del gomito, possiamo andare a lavorare
effettuando dei thrust per cercare di aprire l’interlinea esterna
e quindi andare a riarmonizzare il gomito ed inoltre a questo
dobbiamo aggiungere la defibrotizzazione della componente
adduttoria.
5
Pseudo tunnel carpale
- Test di Phalen
Per valutare se vi è il tunnel carpale andiamo ad effettuare il test
di Phalen, il quale prevede che la paziente posizioni le mani a
preghiera e che le comprima. Il test risulta positivo nel
momento in cui compaiono spasmo, dolore e parestesie entro
60 (anche se normalmente compaiono entro 30 secondi).
(Quando effettuiamo il Phalen, poniamo la mano in estensione
e quindi automaticamente si va a chiudere il canale del tunnel
carpale, per cui se è presente la sindrome del tunnel carpale, allora entro 60
secondi la paziente potrà presentare spasmo, dolore e parestesie)
- Phalen inverso
Il test di Phalen inverso ha lo stesso scopo del
precedente, ovvero andare a valutare la presenza di della
sindrome del tunnel carpale. A differenza del Phalen
classico, nel Phalen inverso poniamo la faccia dorsale
delle mani in compressione tra di loro (in questa maniera
portiamo il tunnel carpale in chiusura e compressione,
per cui se effettivamente c’è una sindrome del tunnel
carpale il paziente presenterà gli stessi sintomi sopra citati).
- Test di Tinel
Mentre il test di Tinel prevede l’utilizzo del martelletto, ovvero
se a seguito della percussione vengono scatenati i segni clinici
del tunnel carpale, allora il test è positivo
Controindicazione al trattamento
Se il paziente si presenta in studio da noi per un tunnel carpale e alla valutazione
riscontriamo che presenta una perdita del tono muscolare del tenar, allora il
paziente viene mandato subito dall’ortopedico (per non fargli perdere tempo), in
quanto vi è già un disturbo del trofismo muscolare.
(((da vedere se bisogna inserire altro inerente il passaggio del nervo mediano e
quindi i punti e le strutture dove può restare pinzato)))
Quindi
Nel caso di uno pseudo tunnel carpale (quindi dove abbiamo solo un formicolio
generalizzato alla mano, o gonfiore o dolore a livello della mano), oppure di un
tunnel carpale ai primi stadi (quindi gradi) possiamo andare ad utilizzare le seguenti
tecniche
1 2
3
4
Oppure, nel caso di dolori al Tenar, possiamo effettuare anche qui delle tecniche a
taglio <<<il Professore effettua una tecnica a taglio sul tenar, a livello della faccia
palmare, mentre nella faccia dorsale sembrava che facesse una specie di
posange>>>
(((Il trattamento a quanto pare viene effettuato a livello dei muscoli intraossei ed i
flessori delle falangi)))
Rizzo artrosi
Nel caso in cui il paziente dovesse riscontare dolori a livello del tenar (((credo
più precisamente a livello della faccia dorsale))) non dobbiamo confondere il
dolore al tenar con una patologia trapezio metacarpale, definita anche
rizzoartrosi. Quindi tra trapezio e metacarpo la quale genera un’artrosi con
calcificazione articolare degenerativa (la quale ovviamente non è di nostra
competenza) Se riscontriamo un dolore a livello della faccia dorsale della mano
Canale di Guyon
Il trattamento è quello che abbiamo visto qualche pagina sopra, il quale viene
effettuato a livello dei muscoli intraossei ed i flessori delle falangi, inoltre a questo
livello possiamo riscontrare anche una patologia degenerativa definita morbo di
Dupuytren (vedi dopo)
Morbo di Dupuytren
il morbo di Dupuytren è una patologia degenerativa della fascia palmare della mano, la
quale è una retrazione della fascia, la quale, a lungo andare, può portare ad una
retrazione delle dita. A seconda della gravità di questa patologia, sarà possibile
intervenire sulla fascia palmare nei primi stadi attraverso delle infiltrazioni
sottocutanee, altrimenti la competenza è dell’ortopedico della mano, il quale effettua
normalmente due tipologie di operazioni (una in cui va a tagliare una parte della fascia
palmare, mentre un’altra in cui vanno ad inserire una sorta di liquido viscoso che fa
rilasciare la fascia palmare e vanno ad ingessare la mano in apertura e dopo circa 10
giorni levano il gesso e la mano torna più o meno alla fisiologia).
Morbo di De Quervain
Il morbo di De Quervain consiste nell’irritazione dell’ABDuttore (del pollice) e
dell’estensore del pollice (quindi interessa prevalentemente l’arto radiale della mano)
<<< su internet ho trovato che sono precisamente l’abduttore breve del pollice e
l’estensore breve del pollice>>>. Il test di positività è quello di Finkelstein.
Controindicazioni al trattamento Osteopatico
- Frattura di Bankart
In base alla tipologia di trauma (di solito è un trauma in caduta, con braccio esteso
sulla componente radiale e se la forza di dinamica delle), queste fratture possono
essere una consequenziale all’altra <<<quindi si può avere anche solo una di queste
fratture, però, in relazione all’impatto, queste fratture possono avvenire
simultaneamente VEDI DOPO>>>
Quindi se il paziente cade e sbatte contro il terreno con il braccio teso, in relazione
a dove la forza cinetica prodotta dalla caduta andrà a scaricarsi, potrà andare a
causare una di queste fratture, oppure addirittura causarle in maniera
consequenziale, ovvero: in relazione all’intensità dell’impatto (ed anche
ovviamente anche in relazione alle caratteristiche anatomiche del soggetto)
possiamo avere una singola frattura (quindi una di queste fratture citate sopra),
oppure se l’impatto con il terreno è stato molto importante queste fratture
possono essere consequenziali (ovvero si attuano tutte conseguentemente, quindi
dalla parte più distale a quella prossimale per esempio).
Nella parte seguente, ho preso buona parte delle immagini da internet, inoltre per quanto riguarda la
frattura di Hill Sachs e di Bankart, ho scritto quello che diceva il Professore, ed inoltre ho aggiunto
delle informazioni che ho reperito.
Se la componente dinamica delle forze (forza cinetica) provocate dall’impatto con
il suolo va ad agire:
1) Sullo scafoide, possiamo avere la frattura dello scafoide <la frattura dello
scafoide è un caso molto particolare, in quanto lo scafoide possiede
un’irrorazione sanguigna retrogada>
2) Sulla parte distale del radio, allora abbiamo la rottura della stiloide del radio <e
quindi abbiamo la frattura di Colles>;
3) Sulla parte prossimale del radio,
possiamo avere la frantumazione del
capitello radiale <quindi la Frattura del
capitello radiale>;
<a livello della squama del temporale, abbiamo la fascia epicranica propria del cranio, la quale è
una struttura che non c’entra con la spiegazione della fascia superficiale, ovvero è un altro
argomento, anche se ovviamente le due strutture fasciali sono in continuità>
la fascia superficiale scende dalla squama dell’occipite, riveste il muscolo trapezio
(l’unione dei due emi trapezi formerà un raf mediano posteriore) e
successivamente si va ad inserire a livello della spina della scapola, fino ad arrivare
all’acromion e successivamente dall’acromion si porta anteriormente andando a
ricoprire la regione anteriore della clavicola (quindi la fascia superficiale riveste e
delimita i bordi dello stretto toracico, quindi trova inserzione sulla spina della
scapola, sull’acromion e sul margine anteriore della clavicola). Dall’acromion la
fascia superficiale riveste il deltoide ecc diventando fascia superficiale dell’arto
superiore. Dalla regione della clavicola la fascia superficiale continua andando a
rivestire il grande ed il piccolo pettorale. Quindi la fascia superficiale riveste
MUSCOLI prevalentemente superficiali (SCOM trapezio, muscoli sovraioidei).
- poi la fascia superficiale di ogni emilato del collo, si unisce in un raf mediano <Il
raf è una struttura pseudotendinea che congiunge i due emilati>, il quale continua
poi su tutto l’asse centrale del torace per poi arrivare a livello addominale dove
prosegue con la linea alba (quindi andrà a rivestire il retto dell’addome, gli obliqui
ed il muscolo trasverso), mentre posteriormente rivestirà il quadrato dei lombi, e
gli erettori della colonna (((da valutare quando spiega la fascia profonda)))per poi
andare a congiungersi in un raf mediano posteriore che segue la linea del
legamento posteriore della colonna vertebrale e delle spinose <quindi del
legamento epispinoso>. Successivamente si andrà ad inserire sulle creste iliache
ed anteriormente sul pube, per poi seguire la branca ascendente dell’osso
ischiatico e continuerà negli adduttori, nel quadricipite (anteriormente) tensore
della fascia lata (lateralmente) e nel grande gluteo (posteriormente), poi si
inserisce su una parte della testa del perone, per poi continuare con i muscoli
superficiali della gamba rivestendo il tibiale anteriore, tibiale posteriore,
gastroecnemio, soleo ecc , poi scenderà sul piede ed andrà a rivestire tutti i muscoli
superficiali del piede. A livello del piede la fascia superficiale si dividerà in fascia
dorsale e fascia plantare (andando a rivestire i vari tendini dei muscoli sopra citati).
La fascia dorsale e la fascia plantare si incontrano lateralmente al piede (quindi crea
una congiunzione con la fascia plantare la quale ha una forma piramidale e che va
a confondere le sue fibre a livello delle teste dei metatarsi e quindi andrà a rivestire
tutti i muscoli superficiali del piede).
Quindi dobbiamo immaginare (((la fascia))) come una struttura tubulare che
presenta tante inserzioni su strutture mobili (come scapola, anca, iliaci, il rachide).
Quando parliamo di fascia superficiale, parliamo appunto di una struttura che
riveste i bordi del nostro corpo da un punto di vista muscolare.
IN SINTESI (DA METTERE NEL RAGIONAMENTO LOGICO)
LA FASCIA SUPERFICIALE HA
INSERZIONE A LIVELLO DELLA
BRANCA VERTICALE (o ascendente) ED
ORIZZONTALE DELLA MANDIBOLA, ED A QUESTO
LIVELLO RIVESTE IL MUSCOLO MASSETERE,
SUCCES SIVAMENTE CONTINUA INFERIORMENTE
(E QUINDI RIVESTE) ANDANDO A RIVESTIRE I
MUSCOLI SOVRAIOIDEI (I QUALI APPUNTO SONO
IL MUSCOLO GENIOIOIDEO, MUSCOLO
MILOIOIDEO, MUSCOLO STILOIOIDEO ED IL
MUSCOLO DIGASTRICO) PER POI ANDARE AD
INSERIRSI A LIVELLO DELLA PORZIONE SUPERIORE
DELL’OSSO IOIDE.
DALLA BRANCA ASCENDENTE DELLA MANDIBOLA,
CONTINUA SULL’OSSO TEMPORALE, <LA SQUAMA DEL
TEMPORALE E LA SQUAMA DELL’OCCIPITE SONO RIVESTITE DALLA
FASCIA EPICRANICA (((LA QUALE APPUNTO E’ LA FASCIA PROPRIA
DEL CRANIO, INOLTRE LA FASCIA EPICRANICA E’ IN CONTINUITA’
CON LA FASCIA SUPERFICIALE ANCHE SE QUESTA VERRA’
SPIEGHATA QUANDO FAREMO LE FASCE DEL CRANIO)))>,
CIRCONDA IL MEATO ACUSTICO ESTERNO, SUCCESSIVAMENTE
ARRIVA SULLA MASTOIDE E VA A RIVESTIRE IL MUSCOLO SCOM,
PROSEGUE LA SUA INSERZIONE POSTERIORE A LIVELLO DEL TERZO
MEDIO DELLA SQUAMA DELL’OCCIPITE ANDANDO
SUCCESSIVAMENTE A RIVESTIRE IL MUSCOLO
TRAPEZIO (QUINDI SCENDE VERSO IL BASSO
ANDANDO A RIVESTIRE TUTTO IL TRAPEZIO E
L’UNIONE TRA I DUE EMI-TRAPEZI FORMERA’ UN RAF
MEDIANO POSTERIORE), SUCCESSIVAMENTE VA AD
INSERIRSI A LIVELLO DELLA SPINA DELLA SCAPOLA
(per poi portarsi sull’acromion), DELL’ACROMION (per
poi portarsi sul margine anteriore della clavicola) E SUL
MARGINE-REGIONE ANTERIORE DELLA CLAVICOLA
(quindi la fascia superficiale riveste e delimita i bordi
dello stretto toracico).
DALL’ACROMION LA FASCIA SUPERFICIALE CONTINUA
A LIVELLO DEL MUSCOLO DELTOIDE E
SUCCESSIVAMENTE CONTINUA ((SU TUTTI I MUSCOLI
SUPERFICIALI DELL’ARTO SUPERIORE))) DIVENENDO
FASCIA SUPERFICAILE DELL’ARTO SUPERIORE, MENTRE
DALLA REGIONE CLAVICOLARE, LA FASCIA
SUPERFICIALE SCENDE IN SENSO CAUDALE ANDANDO
A RIVESTIRE IL MUSCOLO GRANDE PETTORALE E
PICCOLO PETTORALE. LA FASCIA SUPERFICIALE DI OGNI
EMILATO SI UNISCE ANDANDO A FORMARE UN RAF
MEDIANO ANTERIORE, IL QUALE A LIVELLO TORACICO
AVVIENE DIRETTAMENTE SULLO STERNO (QUINDI LE
FIBRE SI FONDONO SULLA STRUTTURA OSSEA) E
SUCCESSIVAMENTE CONTINUA IN SENSO CAUDALE
CON LA LINEA ALBA ANDANDO A RIVESTIRE COSI’ I
MUSCOLI RETTO DELL’ADDOME, GLI OBLIQUI ED IL
MUSCOLO TRASVERSO (LA FASCIA SUPERFICIALE DAL
MUSCOLO TRASVERSO, CONTINUA POSTERIORMENTE
COME UN MANICOTTO, ANDANDO A RIVESTIRE IL
MUSCOLO QUADRATO DEI LOMBI ED I MUSCOLI
ERETTORI DI COLONNA <<<da verificare i muscoli
erettori di colonna in quanto questi dovrebbero
appartenere alla fascia profonda>>> ANDANDO POI AD
UNIRSI IN UN RAF MEDIANO POSTERIORE A LIVELLO
DEL LEGAMENTO SOVRAPINOSO), PER POI ANDARE AD
INSERIRSI SULLE CRESTE ILIACHE ED ANTERIORMENTE
SUL PUBE, PER POI SEGUIRE LA BRANCA ASCENDENTE
DELL’OSSO ISCHIATICO ED APPUNTO DALL’OSSO
ISCHIATICO CONTINUARE NEGLI ADDUTTORI
(MEDIALMENTE), NEL QUADRICIPITE
(ANTERIORMENTE) TENSORE DELLA FASCIA LATA
(LATERALMENTE) E NEL GRANDE GLUTEO
(POSTERIORMENTE), E POI SUCCESSIVAMENTE ANDRA’
AD INSERIRSI SU UNA PARTE DELLA TESTA DEL
PERONE, PER POI CONTINUARE CON I MUSCOLI
SUPERFICIALI DELLA GAMBA RIVESTENDO IL TIBIALE
ANTERIORE, TIBIALE POSTERIORE, GASTROECNEMIO,
SOLEO ECC (QUINDI TUTTI I MUSCOLI SUPERFICIALI
DELLA GAMBA) , POI SCENDERÀ SUL PIEDE ED ANDRÀ A
RIVESTIRE TUTTI I MUSCOLI SUPERFICIALI DEL PIEDE.
QUINDI IN SINTESI
La fascia prevertebrale (quindi la fascia profonda ad indirizzo muscolare) rivesti i
muscoli propri della colonna (anteriormente fino a T4 mentre posteriormente tutti
i piccoli muscoli che ci permettono di effettuare i piccoli movimenti della colonna
<quindi tutti i muscoli profondi della regione del collo>). La fascia prevertebrale
scendi in senso caudale diventando legamento longitudinale anteriore
(anteriormente) mentre posteriormente continua con i muscoli propri della
colonna. La fascia prevertebrale emette delle espansioni che andranno a formare
la loggia vascolare e la loggia viscerale. La loggia vascolare circonda la carotide
comune, la vena giugulare, il nervo vago ed il nervo frenico, mentre la loggia
viscerale è rappresentata dalla fascia profonda ad indirizzo viscerale dei visceri del
collo.
La fascia profonda ad indirizzo muscolare (a livello di C3 - C4 – C5 – C6) o anche
definita prevertebrale si divide, e poi circonda anche gli scaleni e ciò che sta vicino
agli scaleni (come il plesso brachiale, la succlavia, vena e arteria) poi continuerà nel
cavo ascellare per creare una continuità con la fascia del braccio e
dell’avambraccio; mentre a livello di C7 abbiamo continua nei legamenti sospensori
del polmone (degli apici polmonari) ovvero circonderà i legamenti costo pleurici,
trasverso pleurici, e vertebro pleurici, successivamente continua rivestendo il
polmone e quindi diventando la componente parietale della pleura.
Inoltre esiste una continuità tra la fascia prevertebrale e la loggia viscerale (((la che
si dirigono in maniera orizzontale e si chiamano lamine di Charpy le quali appunto
congiungono la loggia vascolare alla loggia viscerale del collo)))
Inoltre tra la fascia profonda ad indirizzo viscerale (ovvero quella che circonda
l’esofago) e la fascia prevertebrale, ovvero abbiamo uno spazio di scivolamento tra
la fascia profonda ad indirizzo viscerale e la fascia profonda ad indirizzo muscolare
(e quindi la fascia prevertebrale) il quale viene definito spazio retro viscerale di
Henke (se la sezione viene effettuata dal dietro all’anvanti) oppure spazio pre
vertebrale se la sezione viene effettuata da davanti a dietro.
IN SINTESI (DA METTERE NEL RAGIONAMENTO LOGICO)
(((QUINDI LA FASCIA PROFONDA
Quindi in sintesi
La fascia prevertebrale (quindi la fascia profonda ad indirizzo muscolare) rivesti
i muscoli propri della colonna (anteriormente fino a t4 mentre posteriormente
tutti i piccoli muscoli che ci permettono di effettuare i piccoli movimenti della
colonna <quindi tutti i muscoli profondi della regione del collo>). la fascia
prevertebrale scendi in senso caudale diventando legamento longitudinale
anteriore (anteriormente) mentre posteriormente continua con i muscoli propri
della colonna. la fascia prevertebrale emette delle espansioni che andranno a
formare la loggia vascolare e la loggia viscerale. la loggia vascolare circonda la
carotide comune, la vena giugulare, il nervo vago ed il nervo frenico, mentre la
loggia viscerale è rappresentata dalla fascia profonda ad indirizzo viscerale dei
visceri del collo.
la fascia profonda ad indirizzo muscolare (a livello di c3 - c4 – c5 – c6) o anche
definita prevertebrale si divide emanando delle espansioni, una va a rivestire la
loggia vascolare del collo per poi arrivare fino alla linea innominata e all’arco
dell’aorta, mentre un’altra espansione circonda come un manicotto gli scaleni e
tutto ciò che sta vicino agli scaleni (come il plesso brachiale, la succlavia, vena e
arteria) per poi continuare nel cavo ascellare per creare una continuità con la
fascia del braccio e dell’avambraccio. mentre a livello di c7 vi è un’altra
espansione della fascia profonda, la quale continua nei legamenti sospensori del
polmone (degli apici polmonari) ovvero va a circondare i legamenti costo
pleurici, trasverso pleurici, e vertebro pleurici, e successivamente continua
andando a rivestire il polmone e quindi diventando la componente parietale
della pleura.
La lingua
Le cause
Le cause che possono portare ad una deglutizione atipica (((infantile/immatura
dovrebbero essere sinonimi della deglutizione atipica))) per esempio:
- Una causa è l’uso eccessivo del ciuccio (quindi il bambino porta per troppo tempo
il ciuccio, ha uno spazio interincisivo accentuato e quindi continua ad appoggiare la
lingua come sul capezzolo, e quindi questo non permette una buona maturazione)
- un’altra causa potrebbe essere uno scarso periodi di allattamento al seno
materno (in quanto il ciuccio non riproduce il capezzolo materno, per quanto sia
simile, non è la stessa cosa del capezzolo)
- la maggior parte delle volte quando vi sono problemi legati alimentazione del
bambino, ovvero:
fondamentalmente è l’utilizzo del biberon, in quanto, quando la mamma non
produce abbastanza latte e quindi appena i pediatri vedono un abbassamento del
peso del bambino danno fanno dare subito ai genitori i biberon (oppure se la madre
non produce proprio latte, e quindi si deve dare il biberon al bambino), oppure
impossibilità da parte del bimbo, in quanto non presenta una buona mobilità della
lingua (il meccanismo che sta alla base del biberon è diverso rispetto al seno
materno, in quanto dal biberon il latte esce senza che il bambino debba fare lo
sforzo di premere con la lingua (quindi il latte fluisce in maniera libera senza lo
sforzo del bambino) e questo impedisce lo sviluppo.
Un'altra condizione che ne impedisce lo sviluppo è quando il bambino mette il dito
in bocca
Un’altra situazione potrebbe essere riniti ricorrenti da bambino, le quali
costringono il bambino a non poter respirare con il naso, ma a respirare
costantemente con la bocca (quindi questo comporterà una difficoltà a sviluppare
una buona deglutizione.
Un’altra situazione è il palato ogivale (quando i bambini nascono con il palato
ogivale)
QUINDI QUESTO CI FA CAPIRE L’IMPORTANZA DELL’OSTEOPATA SOPRATTUTTO NEI
PRIMI MESI DI VITA, NEL CORREGGERE LE DISFUNZIONI AFISIOLOGICHE (COME
STRAIN LATERALE E STRAIN VERTICALE, LA DISFUNZIONE DI TORSIONE E QUELLA DI
SIDE BANDING ROTATION)
Un paziente con una deglutizione atipica verrà da noi in studio per cervico
brachialgia, emicrania, disfunzioni all’ATM, sinusiti,
IN SINTESI…
ALLA NASCITA, IL NEONATO PRESENTA UN APPARATO DEGLUTITIVO IMMATURO,
INFATTI IL NEONATO NON PRESENTA UNA DEGLUTIZIONE, BENSI’ UNA SUZIONE.
PER EFFETTUARE LA SUZIONE, LA LINGUA DEL BAMBINO SI APPOGGIA AD UNA
CONCAVITÀ SUPERIORE, SCHIACCIA IL CAPEZZOLO SULLA PAPILLA SUPERIORE DEL
PALATO ED EFFETTUA UN “EFFETTO VACUUM, QUINDI DI VUOTO” FACENDO
FUORIUSCIRE IL LATTE. INOLTRE PER EFFETTUARE LA SUZIONE, IL NEONATO
UTILIZZA IL MUSCOLO BUCCINATORE. ALL’ETA’ DI 5-6 MESI, NEL MOMENTO IN CUI
IL BAMBINO INIZIA A MANGIARE ALTRI CIBI (E QUINDI NON SI ATTACCA PIU’ SOLO
AL CAPEZZOLO), IL BAMBINO INIZIERA’ A MATURARE LA DEGLUTIZIONE DA
ADULTO (QUINDI CI SARA’ UNA FASE DI TRANSITO IN CUI SI PASSERA’ DALLA
SUZIONE <UTILIZZATA DURANTE L’ALLATTAMENTO AL SENO> ALLA DEGLUTAZIONE
ADULTA <UTILIZZATA NEL MOMENTO IN CUI AL BAMBINO VENGONO DATI CIBI
DIVERSI “PIU’ SOLIDI”>. LA DEGLUTIZIONE MATURA DEL TUTTO (E QUINDI VIENE
DEFINITA DEGLUTIZIONE MATURA O ADULTA) ATTORNO ALL’ETA’ DI 5 – 6 ANNI.
PER CUI LA DEGLUTIZIONE MATURA NON PREVEDERA’ PIU’ L’UTILIZZO DEL
MUSCOLO BUCCINATORE (IL QUALE ERA UTILIZZATO NEL SISTEMA DELLA
SUZIONE), MA PREVEDE UN MAGGIORE UTILIZZO DELLA LARINGE (QUINDI VI SARÀ
UNA RISALITA DELLA LARINGE VERSO L’ALTO, ED UNA CONTRAZIONE
DELL’ESOFAGO). PER CUI GLI SCHEMI MOTORI DELLA LINGUA CAMBIANO E MAN
MANO IL BAMBINO SMETTERA’ DI UTILIZZARE COME DEGLUTIZIONE LA SUZIONE
ED INIZIERA’ AD UTILIZZARE LA DEGLUTIZIONE ADULTA.
PER CUI UN PAZIENTE CHE PRESENTA UNA deglutizione atipica verrà da noi in
studio per cervico brachialgia, emicrania, disfunzioni all’ATM, sinusiti.
In questi pazienti (alla palpazione) troviamo una laringe molto fissata (quindi
dura) ed un apparato stomatogantico in difficoltà.
Lavori propriocettivi da far effettuare al paziente a casa (e quindi esercizi da far
effettuare al paziente a casa nel caso abbia una deglutizione atipica).
1) Quello che noi abbiamo fatto effettuare come test, il paziente lo dovrebbe
riproporre a casa come allenamento, ovvero: il paziente si deve porre davanti allo
specchio (in maniera tale da poter vedere che non richiama il labbro <<<in
posteriorità>>> e che non manda il capo in anteriorità) deve effettuare una
retroversione del capo (((e quindi secodo me una retropulsione del capo))) e deve
andare a pinzarsi una piccola porzione di labbro e successivamente deve deglutire
(quindi deve concentrarsi nel deglutire).
Quindi… il paziente deve effettuare una retropulsione/retroversione del capo e
successivamente deve pinzarsi il labbro inferiore e davanti allo specchio e deve
deglutire stando attendo a non portare durante la deglutizione il capo in anteriorità
e a non richiamare il labbro (quindi mandarlo in posteriorità)
I lavori che possiamo effettuare sulla lingua sono dei lavori di stretching della
lingua.
Andiamo a prendere una garza (meglio
utilizzare una garza e non un pezzetto di
carta, in quanto la carta resta attaccata
alla lingua) e chiediamo alla paziente di
tirare fuori un pezzettino di lingua ed
andiamo a prenderlo con la garza (((e
chiediamo al paziente di rilassarsi e di non
ritirare la lingua verso dietro))). Per prima
cosa andiamo a testare la estroflessione
della lingua effettuando una trazione verso l’avanti <verso il tetto> (e quindi una
trazione in senso postero anteriore) ed andiamo a valutare se vi sia un lato più duro
rispetto all’altro (((ovvero un lato maggiormente “retratto” cioè che oppone
resistenza alla trazione rispetto al controlaterale))).
Si effettua una retroversione del capo (e quindi una retropulsione del capo, la
quale appunto comporta un annullamento della lordosi lombare, e questo si
attua perché) perché in questa maniera si va a strecciare la componente laringea
(quindi effettuando la retropulsione del capo, la tiriamo posteriormente e verso
il basso, mentre con la trazione che effettuiamo proprio sulla lingua, la tiriamo
anteriormente).
3) osso ioide
5) cartilagine cricoidea
6) lo stretto toracico superiore (il quale è composto dal bordo posteriore della
clavicola (la quale è punto di inserzione della fascia media), il margine anteriore del
trapezio, medialmente dal rachide cervicale.
7) loggia viscerale e loggia vascolare del collo
INDIVIDUAZIONE DELL’OSSO IOIDE
Partendo dalla trachea effettuiamo la nostra
palpazione in senso craniale, ed andremo ad
individuare la cartilagine cricoidea, la cartilagine
tiroidea con la sua struttura navicolare ed
arrivato a questo punto, saliamo di un livello
(((e quindi subito sopra la cartilagine
tiroidea))) e subito sopra questo troviamo un
interspazio che si trova tra cartilagine tiroidea
ed osso ioide, e quindi poco sopra la
cartilagine tiroidea siamo a livello dell’osso
ioide.
L’osso ioide ha una forma a “C” come un se
fosse un ferro di cavallo con la sua concavità
posteriore.
TEST
Posizionamento delle mani
Per cui, una volta individuato l’osso
ioide, andiamo ad agganciarlo
(dobbiamo stare attenti a non stringere
troppo l’osso ioide del nostro paziente,
altrimenti possiamo scatenargli dei
riflessi muscolari, inoltre d obbiamo
cercare di fare attenzione a non essere
poggiati su strutture linfo-ghiandolari)
e successivamente andiamo a porre
l’altra mano sull’osso frontale (andando a bloccarlo). Per cui avremo una mano che
agganciare il margine superiore dell’osso ioide mentre l’altra mano blocca il
frontale. Da questa posizione andremo a valutare la traslazione superiore,
traslazione inferiore e traslazione latero dell’osso ioide (per cui andremo ad
indagare la porzione sovraioidea, sottoioidea e le lamine di Charpy)
Esecuzione del test
Ovviamente essendo dei test qualitativi, non dobbiamo aspettarci che vi sia una grande
quantità di movimento (((secondo me in questo caso il test qualitativo indaga la qualità di
movimento, quindi bisogna valutare la qualità del movimento dell’osso ioide durante la
trazione verso il basso e verso l’alto <e quindi come si fa trazionare, ovvero se è limpido e
fluido il trazionamento [quindi se si fa trazionare tranquillamente] , oppure se si avverte subito
una resistenza al trazionamento [come una resistenza immediata al trazionamento]>)))
Le disfunzioni che possiamo individuare sono:
1) CASO. Se l’osso ioide se effettuiamo una trazione verso il basso e l’osso ioide,
qualitativamente viene poco verso il basso, mentre durante la trazione verso l’alto
sale bene ed inoltre trasla bene in senso latero laterale, allora la responsabilità è
dei muscoli sovra ioidei, i quali trattengono l’osso ioide, non facendolo scendere
(quindi prevalentemente è una problematica della fascia superficiale)
2) CASO. Se l’osso ioide si fa trazionare in senso caudale, ma fa fatica a risalire,
inoltre trasla bene in senso latero laterale, allora la responsabilità è dei muscoli
sottoioidei e quindi della fascia media
3) CASO. Se l’osso ioide fa fatica a scendere e fa fatica a traslare a destra, allora
vorrà dire che la responsabilità è dei muscoli sovra ioidei, ma prevalentemente ci
sarà anche una responsabilità del lato sinistro (quindi saranno implicate le lamine
di Charpy e la parte prevalentemente sinistra, quindi sottomandibolare di sinistra,
ATM di sinistra <e quindi tutta questa sfera>)
4) CASO. Se l’osso ioide scende, ma non sale (quindi l’osso ioide si fa traslare in
senso caudale, fa fatica a risalire) ed inoltre fa fatica a traslare a destra, vorrà dire
che c’è una responsabilità della muscolatura sottoioidea, ma prevalentemente del
lato sinistro (quindi andremo a cercare nello stretto toracico superiore di sinistra e
le lamine di scharpy>. (((quindi secondo me vul dire che dobbiamo ricercare la
problematica principale a livello del lato sinistro del collo, subito al di sotto dell’osso
ioide, come ad esempio lostretto toracico superiore, ed inoltre si andranno a
valutare le lamine di charpy di sinistra)))
5) CASO. Se l’osso ioide scende e sale bene, ma fa fatica solamente a traslare a
destra, allora vorrà dire che vi è una disfunzione delle lamine di Charpy e quindi
dell’accollamento tra la componente di loggia vascolare rispetto a quella viscerale,
senza aver implicato una disfunzione dei muscoli sovraioidei e sottoioidei.
(((quindi le lamine di Charpy sono delle lamine orizzontali che accollano la loggia
vascolare con la loggia viscerale. In questo caso quindi vi sarà una disfunzione delle
lamine di Charpy senza senza aver interessato <e quindi mandato in disfunzione> i
muscoli sovraioidei ed i muscoli sottoioidei)))
Tecniche di correzione
Se al test abbiamo riscontrato che l’osso ioide si fa traslare verso l’alto, ma fa fatica
a scendere (quindi l’osso ioide sale ma non scende), allora vorrà dire che dobbiamo
andare a trattare tutta la componente muscolare sovraioidea (principalmente
andremo a lavorare sul muscolo milo ioideo ed sul muscolo genioideo i quali
appunto sono i muscoli più facilmente reperibili) e successivamente tratteremo
tutta la componente mandibolare (la quale appunto è sede di inserzione di questa
fascia <<<e che quindi i muscoli sovraioidei si vanno ad inserire sulla mandibola,
per questo la tratteremo, credo intenda questo.>>> (((e quindi lavoreremo sulla
fascia superficiale))).
(((quindi se troviamo una lesione intraossea, effettuiamo una compressione dell’osso <nella
parte in cui abbiamo riscontrato la lesione intraossea> ed effettuiamo dei movimenti
lemniscali, e quindi uno srotolamento fasciale, in maniera tale da cercare di rendere più
plastica <e quindi più morbida questo punto>)))
(((inoltre il Professore nell’eseguire questa tecnica, <quasi alla fine della tecnica> e quindi
mantenendo la trazione, ha effettuato dei movimenti con il capo, credo per ricercare la
posizione in cui fossero maggiormente densi/tesi, in maniera tale da allungarli))).
- Tecnica di allungamento globale della fascia superficiale.
Per effettuare l’allungamento della
fascia superficiale (((la quale appunto
riveste i muscoli sovraioidei)))
dobbiamo porre una mano che andrà
ad agganciare la “V mentoniera”,
mentre l’altra viene posizionata sul
margine superiore dell’osso ioide. Per
cui con la mano posta a livello della V
mentoniera, andiamo ad effet tuare
una trazione in senso craniale (quindi
una trazione verso l’alto).
Normalmente le problematiche che derivano dal cranio, dalla mandibola e dalle prime
vertebre cervicali scaricano le loro forze a livello dei muscoli sovraioidei (((e quindi io
credo che il Professore intenda che sono le strutture anatomiche precedentemente
citate, possano scaricare le tensioni <e quindi creare dei problemi> ai muscoli
sovraioidei. Quindi le forze proveninti da cranio, mandibola e prime vertebre cervicale,
si vanno a scaricare a livello dei muscoli sovraioidei))). (((da capire per bene questo
concetto che non è molto chiaro))).
Per cui, dopo aver effettuato la tecnica sui muscoli sovraioidei, andiamo ad effettuare la tecnica sul muscolo digastrico
Per cui per allungare il muscolo digastrico di
sinistra, dobbiamo far effettuare al capo del
nostro paziente una inclinazione
controlaterale rispetto al lato in cui il muscolo
digastrico è contratto (e quindi rispetto al lato
in cui l’osso ioide si lascia traslare
lateralmente) quindi una inclinazione a destra
ed una rotazione omolaterale rispetto al lato
in cui il muscolo digastrico è contratto (quindi
una rotazione a sinistra) inoltre, per aumentare l’allungamento daremo anche un
piccolo parametro di estensione del capo. Per cui il capo del nostro paziente sarà
inclinato a destra e ruotato a sinistra.
(((SI EFFETTUA UNA INCLINAZIONE CONTROLATERALE ED UNA ROTAZIONE
OMOLATERALE PER PORTARE AL MASSIMO ALLUNGAMENTO IL MUSCOLO
DIGASTRICO)))
Esecuzione della tecnica (tecnica diretta – contro barriera)
Per cui per eseguire la tecnica, andiamo con una mano ad agganciare parte
inferiore della branca orizzontale della mandibola (a livello della quale abbiamo
l’area di inserzione del digastrico), mentre con l’altra mano andiamo ad agganciare
l’osso ioide.
Per cui una volta agganciata la parte inferiore della mandibola, effettuiamo
l’inclinazione a destra (quindi controlaterale rispetto al muscolo digastrico da
trattare), la rotazione a sinistra (quindi omolaterale rispetto al muscolo digastrico
da trattare) ed una piccola estensione (in maniera tale da aprire maggiormente
anche i muscoli sovraioidei) facendo poggiare il capo del nostro paziente sul nostro
avambraccio, mentre con l’altra mano facciamo traslare l’osso ioide verso destra e
leggermente verso il basso (quindi orientativamente in direzione della spalla del
paziente) <<<mentre la mano sulla mandibola
traziona verso sinistra e l’alto>>>.
Vista frontale
il muscolo omoioideo si
inserisce sulla porzione
supero interna della
scapola ed arriva sul
margine posteriore
dell’osso ioide
Quindi l’osso ioide si fa trazionare verso il basso ma non verso l’alto, inoltre si fa
traslare a destra, ma non a sinistra, per cui in questo caso andremo a trattare i
muscoli sottoioidei (con la tecnica precedentemente citata) ed il muscolo
omoioideo di destra (il quale mantiene l’osso ioide traslato a destra) <quindi l’osso
ioide sarà basso e traslato a destra>. Quindi dobbiamo trattare i muscoli sottoioidei
ed il muscolo omoioideo di destra.
Tecniche da utilizzare quando, al test l’osso ioide sale e scende bene, ma trasla solo da un
lato
Tecniche sulle lamine di Charpy
Le lamine di Charpy, si trovano medialmente rispetto al passaggio dello SCOM (per
cui andremo ad individuare la pulsatilità della carotide comune <la quale ci darà la
percezione della localizzazione della loggia vascolare> e quindi ci porteremo
medialmente rispetto alla loggia ed andremo ad aprire questo spazio (così
potremmo correggere l’eventuale tensione di queste lamine).
Se al test l’osso ioide si fa traslare verso l’alto e verso il basso, ma non si fa traslare
in senso latero laterale (ad esempio si fa traslare a destra, ma non a sinistra) allora
vorrà dire che andremo a trattare esclusivamente le lamine di Charpy. (quindi in
questo caso abbiamo solo una problematica di traslazione pura).
Quindi… con una mano andiamo a bloccare l’osso frontale, mentre con l’altra mano
vado ad agganciare l’osso ioide e andiamo a traslarlo lentamente verso sinistra
(tecnica diretta) e cerchiamo di percepire se queste lamine si fanno correggere. Se
non otteniamo il miglioramento sperato attraverso la tecnica diretta, allora
andiamo ad effettuare una tecnica più incisiva (e quindi andando ad aprire le
lamine di Charpy, ovvero separare la loggia vascolare dalla loggia viscerale <questa
tecnica è sempre più efficace rispetto alla singola traslazione<tecnica precedente>,
in quanto a livello delle lamine di Charpy, vi possono essere delle aderenze fasciali),
per cui:
La loggia viscerale del collo contiene faringe, laringe, trachea, esofago, tiroide.
MANOVRA GLOBALE SULLA LOGGIA VISCERALE DEL COLLO (manovra di
allungamento della loggia viscerale del collo)
Attraverso l’effettuazione della manovra globale
sulla loggia viscerale del collo, andiamo ad
allungare la faringe, laringe, trachea, esofago,
tiroide (quindi tutta la fascia profonda ad indirizzo
viscerale e la fascia media ad indirizzo viscerale).
4 5
18
Riepilogo logico della tecnica
Quindi, con una mano effettuiamo la mobilizzazione della testa (e quindi del
rachide cervicale) nei vari piani dello spazio (andando a ricercare le restrizioni di
mobilità), mentre con l’altra mano cerchiamo di agganciare la più grande porzione
possibile di loggia viscerale, (cercando di entrare il più possibile in profondità, fino
ad essere nella proiezione dei corpi vertebrali delle vertebre cervicali) ed
effettuiamo una mobilizzazione della loggia viscerale del collo. Quindi, andiamo a
mobilizzare entrambe le parti e nel momento in cui, con la mano che aggancia la
loggia viscerale riscontriamo una densità, ci fermiamo in quella posizione ed
aspettiamo che si rilasci (e successivamente continuiamo la mobilizzazione).
(((quindi secondo me, la nostra intenzione deve essere concentrata esclusivamente
sullo spazio retroviscerale di Henke, e quindi sulle tensioni che si possono creare
tra la regione posteriore dell’esofago e la regione anteriore dei corpi vertebrali. Per
cui: secondo me, durante la mobilizzazione, una volta individuata la densità con la
mano che impalma la loggia viscerale del collo, dobbiamo andare a mobilizzare il
capo del paziente facendo in modo che la densità che avevamo individuato a livello
della loggia viscerale aumenti <quindi aumenta la densità> e quindi ci fermiamo in
quella posizione fin quando non sentiamo che la densità si rilascia. Una volta che la
densità si è rilacsiata, continuiamo la mobilizzazione.)))
QUESTA TECNICA È OTTIMA SUI PAZIENTI CHE HANNO SUBITO UN WIPLASH
Questa tecnica è molto potente e proprio per questo motivo presenta delle
controindicazioni, ovvero:
Controindicazioni al trattamento
- Paziente con delle ernie discali
- Stenosi dell’arteria vertebrale
- Tutte le tipologie di vertigini (parossistiche benigne, oggettive o soggettive)
- Se il paziente presenta delle artrosi degli uncus possiamo effettuare la tecnica con dei
gradi minori di mobilità del rachide cervicale.
- Qualsiasi patologia vascolare del collo
- Instailità vertebrali (e postumi di operazioni di instabilità vertebrale)
- Morbo di Marfan (in quanto vi è una decoattazione dell’aorta)
WIPLASH
Il paziente che ha subito un colpo di frusta, ha una situazione un po' particolare, ovvero, ha subito un
forte stiramento delle fasce ed a seguito di questo stiramento si possono creare delle micro aderenze
(anche traumatiche) su questo piano di scorrimento (((quindi credo che intenda a livello dello spazio
retroviscerale di Henke))). QUINDI ATTRAVERSO L’ESECUZIONE DELLA TECNICA SULLO SPAZIO RETRO
VISCERALE DI HENKE RIUSCIAMO A LIBERARE DELLE FORTISSIME TENSIONI ANTERIORI DEL COLLO CHE SI
RIPERCUOTONO POI POSTERIORMENTE.
Quindi questa tecnica è ottima sui pazienti
Quadro generale del paziente che ha subito un Wyplash che hanno subito un wiplash
La sintomalogia che presenta il paziente a seguito di un trauma da Wyplash, è quasi sempre legata ad
una forte tensione (con grossi spasmi) al trapezio, allo SCOM ed agli scaleni, quindi vi è un grosso blocco
della sezione superiore del torace, con dei riflessi che possono andare anche nella regione
intrascapolare. (((Il paziente diventa più problematico, quando vi è))) la comparsa di vertigini (quindi in
questo caso dobbiamo stare attenti alla tipologia di vertigine che può presentare il paziente)
Trattamento
Per cui inizialmente (dopo l’anamnesi e l’esaminazione clinica) iniziamo a fare i primi trattamenti in
maniera soft (magari liberando con delle tecniche in dog la componente toracica), ed attraverso
l’effettuazione di manovre fasciali sul torace (e quindi lasciando stare <<<momentaneamente>>> il tratto
cervicale). IN CASO DI TRAUMA DA WYPLASH NON BISOGNA ASSOLUTAMENTE ANDARE AD ALLUNGARE
IL MUSCOLO TRAPEZIO (altrimenti il paziente sta peggio, in quanto questo è un compenso che attua il
corpo), PIUTTOSTO BISOGNA ANDARE A LAVORARE SU ALTRI CONTESTI DI ALLUNGAMENTO < Per cui è
bene lavorare sulle strutture periferiche> (((vedi dopo))).
Strutture disfunzionali
Normalmente nel trauma da Wiplash le strutture che vanno maggiormente in disfunzione e che quindi
devono essere trattate sono: Il torace = si effettua l’apertura del torace (in quanto vi può esserci un
trauma da cintura di sicurezza) ; Sterno = in quanto vi possono essere delle problematiche sullo sterno ;
Fegato = Un’altra struttura che va spesso in disfunzione è il fegato, in quanto è una sacca piena di sangue
che (((nel colpo di frusta))) si muove e stira le strutture legamentose, andando a creare dei problemi ;
Sacro = si lavora molto sul sacro <perché la trazione causata dal colpo di frusta, si manifesta
biomeccanicamente fino al sacro> quindi bisognerà liberare la sacroiliaca ; ATM = Un altro organo da
testare è l’ATM, in quanto questa durante gli stress postero laterali va a traslare e quindi stira la
muscolatura ; (alla 2-3 seduta), se vi è una disfunzione cervicale si effettua un thrust.
Come si comporta il Professore con un paziente che ha subito un Wiplash
Il Professore quando vi è un paziente con un Wyplash e quindi con un trauma da incidente, non tratta
mai la muscolatura posteriore. Inoltre, la cosa più difficile da liberare è la giunzione cervico toracica
(quindi K1, clavicola) la quale è più soggetta a stress (in quanto questi pazienti hanno dolore, per cui,
posizionare il paziente prono per effettuare una tecnica mento-perno può essere difficoltoso, in quanto
il paziente non tollera le rotazioni. NEL CASO DI UN PAZIENTE IN ACUTO, SARA’ DIFFICILE ANDARE A
LIBERARE UNA CERVICALE ALTA)
STRETTO TORACICO SUPERIORE
Quindi…
All’interno dello stretto toracico abbiamo il passaggio della vena succlavia (la quale si trova
anteriormente allo scaleno anteriore), l’arteria succlavia (la quale si trova tra lo scaleno
anteriore e lo scaleno posteriore <quando durante la palpazione dello stretto toracico
superiore avvertiamo le pulsazioni, allora vorrà dire che siamo sopra l’arteria succlavia>), il
plesso brachiale.
TECNICA DI APERTURA DELLO STRETTO TORACICO SUPERIORE
Se dopo aver effettuato l’apertura dello stretto toracico superiore, vogliamo dare
uno stimolo maggiore (e quindi migliorarlo ulteriormente <quindi ancora meglio>),
possiamo andare ad effettuare delle siderazioni a livello del trapezio, degli scaleni
e dello SCOM.
Per cui effettuiamo la palpazione di questi muscoli e se riscontriamo delle aree di
maggior densità (quindi a livello del trapezio, degli scaleni e dello SCOM) andremo
ad effettuare delle siderazioni (ovviamente per andare a mettere in tensione i vari
muscoli, andremo ad utilizzare il capo del nostro paziente), e quindi andremo a far
effettuare al capo del nostro paziente quei movimenti che ci consentono di
mettere in tensione (((e quindi a tendere, e quindi allungare))) i muscoli che
vogliamo siderare. Per cui una volta messi in tensione, andiamo ad agganciare il
punto di massima densità che abbiamo riscontrato a livello di questi muscoli e
successivamente andiamo a farli vibrare (quindi a siderare) (((sempre in maniera
perpendicolare rispetto al ventre muscolare))) <ovviamente la siderazione può
essere effettuata lungo tutto il muscolo, ovvero dal ventre, fino all’aerea
inserzionale>.
Per effettuare le siderazioni dei muscoli trapezio, degli scaleni e dello SCOM
facciamo posizionare il paziente suduto, in quanto la posizione da seduto, provoca
un pretensionamento dei muscoli, per cui risulterà più semplice arrivare alla
barriera, per poi effettuare la siderazione (da sdraiato sarà più complicato andare
a reperire gli scaleni ed il trapezio).
Con queste tecnica, in maniera rapida (e quindi in breve tempo) si riescono a
detendere questi muscoli.
Tecnica di softiscion su tutti i muscoli laterali del triangolo dello stretto toracico
superiore (questa tecnica viene fatta spesso anche in Inghilterra)
Per eseguire la tecnica l’Osteopata si pone dal lato controlaterale al lato che vuole
trattare. Successivamente si posiziona una mano sulla fronte, mentre l’altra a livello
della parte posteriore del collo. Per cui effettueremo dei movimenti postero
anteriori, con la mano posta a livello del collo (((è come se si facesse una
siderazione globale del compartimento postero laterale del collo))) mentre
contemporaneamente la mano posta a livello della fronte, effettuerà delle spinte
antero posteriori, in maniera tale da accompagnare il movimento dell’altra mano,
e successivamente si ripete continuamente, fin quando sentiamo che la struttura
inizia a lasciarsi andare (e quindi a rilasciarsi) andiamo ad effettuare la tecnica in
thrust.
- Se la disfunzione (((primaria))) è sul centro frenico (rispetto alle altre due funzioni)
allora possiamo pensare che vi sia qualcosa sull’asse centrale che non funziona
bene, quindi una problematica a livello dell’asse craniosacrale.
Sul diaframma possiamo effettuare tanti lavori, come la tecnica di ponsage che
viene effettuata in prossimità dell’inserzione dei muscoli digastrici a livello
dell’arcata costale, (faremo degli stiramenti muscolari per far funzionare meglio la
cupola), effettueremo delle manovre di allungamento dei pilastri, faremo una
manovra combinata utilizzando la Jackson per aprire i pilastri e delle tecniche sulle
bandelette. Per capire se dobbiamo trattare il centro frenico, oppure le cupole,
oppure i pilastri, dobbiamo andare ad effettuare i test di pressione.
- Bandeletta posteriore
La bandeletta posteriore va dalla fogliola di destra alla VISTA SUPERIORE
fogliola anteriore e va a costituire la parte posteriore del
foro della vena cava inferiore. (((quindi la bandeletta
posteriore, ha un andamento obliquo verso l’avanti ed il
fuori a sinistra, in quanto parte dalla parte postero esterna
della fogliola di destra e si dirige verso l’avanti ed il fuori
verso la fogliola anteriore <<<quindi ha un andamento
obliquo verso l’avanti ed il fuori a sinistra>>>))). (viene
definita anche bandeletta semicircolare superiore, in
quanto è localizzata superiormente rispetto alla
bandeletta anteriore <quindi la bandeletta posteriore
ricopre la bandeletta anteriore>)
QUINDI, IN BASE ALLA BANDELETTA CHE VOGLIAMO TRATTARE, ANDREMO A
POSIZIONARE LE MANI IN MANIERA DIFFERENTE:
È una tecnica molto incisiva perché intanto si lavora contro la gravità, possiamo
utilizzare l’inclinazione del tronco per effettuare l’apertura dell’emitorace (e quindi
della cupola in disfunzione) e ci consente di aprire moltissimo le strutture costali
che sono particolarmente chiuse ed estremamente rigide (((credo che intenda
come quando ad esempio abbiamo una inspirazione alta))), ma non su quelle
strutture costali aperte.
((( Quindi…
Questa tecnica viene utilizzata quando abbiamo una cupola (in disfunzione), in cui i
muscoli digastrici fanno fatica a rilasciarsi/allungarsi, inoltre la utilizziamo anche
quando troviamo quelle gabbie toraciche (arcate costali) particolarmente chiuse e
rigidi che fanno fatica ad aprirsi (come quando vi è una cupola in inspirazione alta).
Questa tecnica è molto incisiva, in quanto andiamo ad utilizzare l’inclinazione del
tronco ed il braccio del nostro paziente (posto dietro la testa) per andare ad aprire e
quindi andare ad allungare i muscoli digastrici che sono particolarmente densi e che
non si rilasciano.
Una volta posizionata la paziente a bordo lettino, poniamo un rotolo sotto le
ginocchia, così da non provocare tensione a livello del bacino e del tratto lombare, in
maniera tale che la paziente si possa rilassare, per cui la paziente si rilassa e si poggia
su di noi. Successivamente dobbiamo andare a trovare quella posizione che ci
consenta di allungare maggiormente la cupola (e quindi i muscoli digastrici che sono
particolarmente tesi) e quindi quella posizione che ci consenta di essere precisamente
su quei muscoli digastrici particolarmente densi, per andare appunto ad allungarli, e
quindi, per far ciò andiamo ad effettuare una spinta con il nostro bacino sul tratto
lombare della paziente (così da estenderlo) ed inoltre andremo ad inclinare il tronco
della nostra paziente per andare a ricercare la posizione in cui ci consenta di essere
precisamente a livello di quei muscoli digastrici particolarmente densi, andando così
ad allungarli.
Per cui una volta trovata la posizione che ci consente di essere precisamente su quei
muscoli digastrici particolarmente densi, andiamo a chiedere al paziente una
inspirazione durante la quale andiamo ad aprire maggiormente la gabbia toracica
(questo ci consentirà di andare ad allungare ulteriormente i muscoli digastrici, in
quanto questi si vanno ad inserire a livello delle coste, per cui se durante l’inspirazione
andiamo ad aumentare l’apertura del torace, adiamo ad allungare questi muscoli
digastrici), mentre durante l’espirazione facciamo ritornare la gabbia toracica in
posizione e contemporaneamente noi entriamo con le nostre dita in profondità.
All’inspirazione successiva andiamo ad aprire la gabbia toracica ma in maniera
maggiore rispetto a quella precedente (andando così ad allungare
ulteriormente/maggiormente i muscoli digastrici) mentre durante la fase espiratoria
entriamo ancora più in profondità con le dita. Continuiamo con la tecnica, fin quando
sentiamo che i muscoli digastrici si sono rilasciati/allungati e quindi sono meno densi.
)))
Tecnica di correzione sui pilastri
Facciamo posizionare la paziente prona sul lettino, con le mani sotto la fronte,
oppure in posizione di sfinge cercando di guardare leggermente verso l’alto (se
riesce a stare è meglio la posizione di sfinge, ma se le crea fastidio il collo <il quale
deve essere tenuto come se guardasse leggermente verso l’alto>, allora le facciamo
poggiare la fronte sopra le mani). Una mano viene posta a livello delle (((ultime)))
vertebre lombari (la tecnica è simile a quella effettuata per la fascia toraco lombare,
solo che in questo caso la mano craniale non si trova a livello delle basi sacrali, bensì
a livello delle vertebre lombari) mentre l’altra mano va posizionata (((credo vada
posizionata al di sopra della cerniera toraco lombare, quindi subito al di sopra di
D12))). Per cui andiamo ad aprire questo spazio, andando ad effettuare una spinta
verso l’alto della mano caudale (((anche se secondo me può essere fatta con
entrambe le mani, in quanto nel video il Professore effettua la tecnica con
entrambe le mani))).
(((la tecnica è molto simile a quella fatta in viscerale, per cui conviene andare a
vedere anche quella)))
Tecnica di Jackson su psoas e pilastro controlaterale disfunzionali
La tecnica Jackson viene utilizzata per trattare due strutture muscolari (a livello
fasciale) contemporaneamente e nello specifico una difsunzione dello psoas e del
pilastro controlaterale. Nello specifico: Se il paziente ha una pseudorotazione di
bacino dettata da una restrizione dello psoas, e che
questo quindi abbia portato da un lato l’iliaco (dal lato
dello psoas in disfunzione) in posteriorità, mentre dal
lato opposto l’iliaco in anteriorità (quindi ciò
determinerà una torsione del bacino) inoltre, di
conseguenza vi sarà una NSR lombare (compensativa)
la quale sarà detta sia sicuramente da un
accorciamento dettato dallo psoas, ma anche una
variazione della tensione del pilastro del diaframma (in
quanto esiste una continuità fasciale tra psoas ed i
pilastri <<<anche se non capisco il nesso, in quanto qui
la disfunzione è dello psoas e del pilastro
controlaterale, non dell’omolaterale, a meno che la
continuità fasciale si possa verificare anche con il
pilastro controlaterale>>>).
(Per eseguire la tecnica, l’osteopata si pone dal lato dello psoas in disfunzione). Una
volta posizionato il paziente con i parametri invertiti, chiediamo al paziente di porre
le mani dietro la testa. Successivamente andiamo a fare punto fisso a livello della
cresta iliaca/SIAS mentre con l’altra mano andiamo ad agganciare La scapola ed
andiamo ad effettuare una trazione facendo effettuare una rotazione a destra al
tronco del paziente (((come se volessimo portare la spalla a guardare dal bordo del
lettino))), in questa maniera (ovvero attraverso l’inclinazione, ma soprattutto
attraverso la rotazione) andiamo ad allungare una buona parte dei fasci che
costituiscono il pilastro sinistro (mentre un’altra piccola parte del pilastro
<<<quindi una piccola quantità di fasci>>> non riusciamo ad allungarla perché ha
un andamento diverso dettato dalla cifosi).
(((La tecnica viene eseguita con l’intensione di andare a stirare/allungare lo psoas
di destra ed il pilastro di sinistra, quindi viene eseguita in maniera relativamente
lenta)))
2
RIPASSO LOGICO SUL MUSCOLO PSOAS
Introduzione
Il test viene effettuato prendendo in considerazione il centro frenico ed andando a
valutare così l’asse aponeuroitico centrale. Quando non riusciamo a capire quando
è una disfunzione sovradiaframmatica o sottodiaframmatica, e qual’è lo schema
maggiormente in disfunzione (((ovvero il sistema strutturale, il sistema viscerale o
il sistema craniosacrale))), questo test ci permette di/(ci aiuta ad) avere un’idea
dello stato del paziente.
Una delle espansioni (e quindi una parte,) della fascia profonda ad indirizzo
muscolare (la quale appunto parte dalla struttura cervicale superiore), scende (ed
a livello di C7) rivestendo (e quindi diventando) i legamenti sospensori dei polmoni
(e quindi i legamenti sospensori degli apici polmonari, i quali sono il legamenti costo
pleurici, trasverso pleurici, e vertebro pleurici) e successivamente continuerà
andando a rivestire il polmone, il quale si appoggia sulle cupole del diaframma e
proprio a questo livello abbiamo degli sdoppiamenti della fascia. Questi
sdoppiamenti continuano poi con le strutture di rivestimento parietale della
struttura peritoneale (andando a costituire i legamenti triangolari i legamenti di
Rouviere i legamenti che sospendono lo stomaco, ed il fegato (((come il
legamento coronale))) poi successivamente continua, andando a rivestire tutti gli
organi viscerali (successivamente vedremo in che modo l’embriologia crea la
struttura peritoneale) ed una volta arrivato a livello dell’intestino tenue, la fascia si
invagina (((quindi si accolla))) e poi si sdoppia nuovamente, per poi andare a
ricoprire gli organi del piccolo bacino, e successivamente (((dopo aver ricorperto
gli organi del piccolo bacino))) gli organi del piccolo bacino poi si chiudono con la
fine di un centro tendineo che è il centro tendineo del perineo (((quindi questa
fascia che avvolge gli organi del piccolo bacino poi successivamente si va ad
accollare andando a formare un tendine che si inserirà a livello del centro tendineo
del perineo))). (((riepilogo logico sulla parte inerente la fascia profonda ad indirizzo
muscolare)))
Mentre la fascia profonda ad indirizzo muscolare… La fascia profonda ad indirizzo
muscolare (la quale origina dalla struttura cervicale superiore) presenta varie
espansioni (secondo le mie sbobinature sono tre espansioni), ed una di queste
espansioni (ovvero l’ultima espansione, la quale avviene a livello di C7) prosegue
andando a rivestire i legamenti sospensori dei polmoni (e quindi i legamenti
sospensori degli apici polmonari, i quali sono il legamenti costo pleurici, trasverso
pleurici, e vertebro pleurici) e successivamente continua andando a rivestire il
polmone, il quale si appoggia sulle cupole del diaframma e proprio a questo livello
abbiamo degli sdoppiamenti della fascia.
(((A questo punto non si capisce se gli sdoppiamenti continuano poi con le strutture di
rivestimento parietale della struttura peritoneale, oppure se il polmone una volta
appoggiato sulle cupole del diaframma attua degli sdoppiamenti che avvolgono precise
strutture, mentre la fascia dal polmone continua andando a costituire le strutture di
rivestimento parietale della struttura peritoneale, anche se io credo che la prima
opzione sia quella giusta, infatti il ragionamento logico continua con quella opzione
→)))
Questi sdoppiamenti continuano poi con le strutture di rivestimento parietale della
struttura peritoneale (((quindi dovrebbe essere il peritoneo parietale))) andando a
costituire i legamenti triangolari i legamenti di Rouviere i legamenti che sospendono
lo stomaco, ed il fegato (((come ad esempio il legamento coronale))) poi
successivamente continua, andando a rivestire tutti gli organi viscerali
(successivamente vedremo in che modo l’embriologia crea la struttura peritoneale) ed
una volta arrivato a livello dell’intestino tenue, la fascia si invagina (((quindi si accolla
suppongo andando verso l’interno))) e poi si sdoppia nuovamente, per poi andare a
ricoprire gli organi del piccolo bacino, e successivamente (((dopo aver ricoperto gli
organi del piccolo bacino))) la fascia che ricopre gli organi del piccolo bacino si unisce
(((quindi è come se si chiudesse questo sacco))) andando a formare il centro tendineo
del perineo. (((quindi secondo me la fascia che avvolge gli organi del piccolo bacino
<dopo aver rivestito gli organi del piccolo bacino> si unisce andando a formare un
tendine, il quale andrà ad inserirsi a livello del centro tendineo del perineo))).
Quindi vi sono una serie di sacche tra di loro comunicanti, ovvero abbiamo una loggia
viscerale del collo, una loggia toracica (in cui abbiamo il mediastino ed i polmoni) (((dai
polmoni →))) poi abbiamo uno sdoppiamento che crea una serie di sacche a livello
peritoneale, e poi un altro sdoppiamento a livello del piccolo bacino (il quale andrà a
formare una serie di setti per gli organi del piccolo bacino. Quindi è chiaro come vi
sia/c’è una certa continuità dal punto di vista fasciale/connettivale. Questa struttura
viene definita asse aponeurotico centrale.
(((correlazione tra centro asse aponeurotico centrale e ipofisi))) collegamento tra
sistema autonomo ed asse aponeurotico centrale
La fascia profonda trova inserzione sul tubercolo faringeo (ed inoltre a livello del
bordo inferiore della rocca pretrosa e delle pterigoidi), e proprio al di sopra del
tubercolo faringeo ed a fianco della SSB (è una sincondrosi che presenta una
plasticità) troviamo la sella turcica, con la presenza dell’ipofisi, ( da qui in poi non si
capisce cosa dica il Professore???quindi si esercita una sua convessità e quindi una
sua diminuzione??? Anche se io penso che intenda che durante il movimento di
flessione ed estensione si attua una tensione a livello della tenda del cervelletto) e
questo fa si che la tenda del cervelletto (essendo anaelastica), comprima l’ipofisi, e
quindi ad ogni ritmo ci sia una compressione ipofisaria ed un rilascio ormonale, e
quindi questo determina i nostri ritmi. Quindi se questo ritmo è elevato, avremo un
rilascio importante/maggiore di ormoni (((quindi aumento del rilascio ormonale)))
e quindi saremo in ortosimpatico tonia, mentre se il ritmo rallenta, anche il rilascio
ormonale rallenta (((per cui credo che intenda che siamo in parasimpatico tonia))),
inoltre, al di sopra dell’ipofisi abbiamo il passaggio del canale verso l’adenoipofisi,
il quale è un canale vuoto (((che dovrebbe essere l’unico posto vuoto nel nostro
corpo, mentre tutto il resto è pieno))).
Nel caso della nostra paziente, il centro frenico ha più facilità a scendere che a
salire.
Induzione del centro frenico verso Induzione del centro frenico verso
il basso durante l’atto inspiratorio l’alto durante l’atto espiratorio
(((quindi per eseguire il primo tempo del test, durante l’inspirazione induciamo il
centro frenico verso il basso, mentre durante l’espirazione induciamo il centro
frenico verso l’alto ed ovviamente andiamo a valutare se si muove bene in entrambi
i sensi oppure se ad esempio scende bene, ma ha difficoltà a salire e viceversa e
memorizziamo quanto sentito)))
- SECONDO TEMPO, SISTEMA DEL MOVIEMENTO → VISCERALE
Nel secondo tempo andiamo a valutare il sistema del movimento (e quindi
ectoderma)(quindi il movimento viscerale) andandoci a basare sul ritmo
respiratorio, per cui andiamo a valutare su di un tempo inspiratorio, quanto scende
(il centro frenico) e su di un tempo espiratorio quanto sale (il centro frenico). (((il
centro frenico, fisiologicamente, durante l’atto inspiratorio scende, mentre
durante espiratorio sale)))
Nel caso della nostra paziente, il centro frenico tende maggiormente a scendere
che a salire (molto di più rispetto al tempo meccanico precedentemente testato,
per cui vorrà dire che c’è qualcosa che lo tira verso il basso).
(((quindi per eseguire il secondo tempo del test, dobbiamo solo ascoltare i
movimenti che effettua il centro frenico durante gli atti respiratori, ricordando che,
in fisiologia, il centro frenico durante l’inspirazione si abbassa, mentre durante
l’espirazione si alza. Quindi andremo a sentire se si muove bene in entrambi i sensi
oppure se ad esempio scende bene, ma ha difficoltà a salire e viceversa e quindi
memorizziamo quanto sentito)))
- TERZO TEMPO, SISTEMA ………………… → CRANIO SACRALE / SISTEMA AUTONOMO
Nel terzo tempo andiamo a valutare il ritmo cranio sacrale. La mano in questo caso
sta ferma e sente. Quindi dobbiamo prima ascoltare con la mano posta a livello
dell’occipite il ritmo cranio sacrale della nostra paziente, e poi una volta percepito
il ritmo cranio sacrale a livello della mano posta a livello dell’occipite, dobbiamo
cercare di percepire la proiezione del ritmo cranio sacrale a livello della mano posta
sul centro frenico. (((Nella fisiologia))) Durante l’atto inspiratorio a livello cranio
sacrale (quindi durante il movimento di flessione craniale), il centro frenico sale,
mentre durante il movimento di estensione craniale il centro frenico scende.
Nel caso della nostra paziente qui risiedeva la disfunzione più importante tra i tre
sistemi, in quanto il centro frenico non sale proprio.
Nel terzo tempo del test dobbiamo solo ascoltare il movimento cranio sacrale che si proietta
a livello del centro frenico (quindi flessione ed estensione craniale)
La problematica del sistema nervoso autonomo (e quindi un suo squilibrio <quindi aumento dell’orto
o del para>) lo facciamo rientrare all’interno del sistema cranio sacrale, in quanto, lo squilibrio (del
sistema autonomo) avviene principalmente (e quindi è dettato) dalla dinamica dei liquidi cefalo
rachidiani (e quindi dalle fluttuazioni cerebrali). le fluttuazioni cerebrali aumentano o diminuiscono
(quando aumentano dovrebbero aumentare il tono orto, mentre quando diminuiscono dovrebbero
aumentare il tono para) a seconda del tempo di riassorbimento dei ventricoli.
(((quindi per eseguire il terzo tempo del test, dobbiamo ascoltare prima il
movimento cranio sacrale a livello dell’occipite e successivamente andiamo a
sentire la proiezione del ritmo cranio sacrale a livello del centro frenico (e quindi
a sentire il ritmo cranio sacrale e quindi a livello del centro frenico, ricordando
che durante la flessione craniale, il centro frenico si alza <sale>, mentre durante
l’estensione craniale, il centro frenico si abbassa <scende>). )))
Interpretazione del test
Quindi nel caso della nostra paziente, in tutti e tre i casi abbiamo un centro frenico
che scende bene in tutti e tre i sistemi, ma che non risale in nessuno dei tre sistemi,
per cui questo ci può portare a pensare che vi sia qualcosa (((quindi qualche
problematica/disfunzione))) al di sotto del diaframma, allora qual è il principale
protagonista di questa disfunzione?, c’è sicuramente una componente strutturale,
c’è sicuramente anche una componente viscerale, ma la problematica principale
risiede a livello craniosacrale e la struttura cranio sacrale che si trova al di sotto del
diaframma è il sacro (per cui avremo una responsabilità cranio sacrale inferiore).
inoltre, ALL’INTERNO DELLA PROBLEMATICA CRANIOSACRALE CI FACCIAMO
RIENTRARE ANCHE LE PROBLEMATICHE DEL SISTEMA AUTONOMO IN QUANTO
minuto 15
I VARI RISULTATI CHE POSSIAMO OTTENERE DAL TEST
(((la disfunzione viene denominata nel senso della maggiore mobilità, per cui
effettuando i tre tempi del test, andremo a valutare quale tra i tre sistemi è
primario, ad esempio:
Per cui per capire quale tra i tre sistemi è primario, andremo ad effettuare il test
nei suoi tre tempi: se a livello strutturale il centro frenico sale, ma non scende
(andremo a memorizzare questa escursione) ; a livello viscerale sale, ma non
scende (già possiamo iniziare a valutare quale tra i due sistemi sia prioritario,
rispetto l’altro, ovvero se ad esempio il centro frenico sale (maggiormente o come
il sistema precedente) ma scende meno rispetto al precedente ; successivamente
andiamo ad effettuare il test a livello cranio sacrale in cui il centro frenico sale
(quanto gli altri sistemi o più per esempio) ma scende ancora meno rispetto agli
altri sistemi, per cui arrivati a questo punto, il sistema cranio sacrale sarà il sistema
primario in disfunzione, in quanto rispetto agli altri due sistemi, il centro frenico
sale (come in tutti gli altri) ma scende ancora meno rispetto agli altri due sistemi.
(((quindi una volta eseguiti i tre tempi del test andiamo a valutare quale tra questi
tre test sia primario e quindi quale sistema sia primario rispetto agli altri due))):
Primarietà sistema cranio sacrale
2) Problematica sottodiaframmatica
Se il sistema strutturale ed il sistema cranio sacrale vanno bene, e riscontriamo
invece che il sistema più disfunzionale è quello del movimento (quindi il viscerale),
in quanto durante la respirazione il centro frenico scende, ma non sale, allora vorrà
dire che la responsabilità sarà di una disfunzione viscerale sottodiaframmatica
(quindi attraverso i test di pressione andremo alla ricerca di un viscere all’interno
della cavità addominale o del piccolo bacino che ci sta causando una disfunzione)
(((Quindi la responsabilità è del sistema viscerale e più precisamente la
lesione/disfunzione è localizzata a livello sotto diaframmatico, per cui andremo a
valutare tutti i visceri che si trovano al di sotto del diaframma, ovvero tutti i visceri
della cavità addominale e del piccolo bacino. Per cui andremo a fare i test di
pressione a livello dei visceri della cavità addominale e del piccolo bacino. Quindi il
centro frenico è trazionato verso il basso, in quanto c’è un viscere in disfunzione
che traziona il centro frenico vero il basso.)))
(LE CUPOLE DEL DIAFRAMMA APPARTENGONO ALLA PARTE VISCERALE.)
Primarietà sistema strutturale
1) Problematica sopra diaframmatica
Se riscontriamo che il sistema più disfunzionale è quello strutturale (quindi la
materia del nostro paziente), e quindi se a livello meccanico, il centro frenico sale,
ma non scende, allora abbiamo una responsabilità biomeccanica di tutte le
strutture sopradiaframmatiche (quindi dobbiamo andare a valutare <dal punto di
vista biomeccanico> dalle inserzioni diaframmatiche (quindi dai pilastri) in su,
quindi le vertebre toraciche (((credo anche le coste))), le vertebre cervicali e gli arti
superiori.
(((Quindi la responsabilità è del sistema strutturale e più precisamente la
lesione/disfunzione è localizzata a livello sopra diaframmatico, per cui andremo a
valutare tutte le strutture biomeccaniche che si trovano al di sopra del diaframma,
come i pilastri, le vertebre toraciche, le coste, le vertebre cervicali e gli arti
superiori)))
➢ Priorità viscerale
1) Il centro frenico sale, ma non scende → problematica sopradiaframmatica (la
disfunzione sarà localizzata a livello di: mediastino, cuore, polmoni, visceri della gola).
➢ Priorità strutturale
1) Il centro frenico sale, ma non scende → problematica sopradiaframmatica (la
disfunzione sarà localizzata a livello di: pilastri, vertebre toraciche, coste, vertebre
cervicali, arti superiori)
Per effettuare l’ascolto cranio sacrale sul centro frenico, dobbiamo utilizzare tutta
la mano, in quanto i recettori sono fortemente distribuiti.
Una disfunzione, causa nel corpo un adattamento, con conseguente aumento del dispendio di
energia ( mentre il corpo lavora sempre cercando il risparmio energetico, ovvero cerca sempre il
modo migliore per posizionarsi, cercando di spendere meno energie possibili).
Per cui noi lavorando a livello della massima densità del paziente, correggendo la disfunzione, e
successivamente, il corpo del nostro paziente potrà tornare ad avere un miglior equilibrio e quindi
un minor dispendio energetico.
Tensegrità
Essendo il corpo un tutt’uno, è chiaro come anche una piccola disfunzione a livello
vertebrale, possa ripercuotersi su tutto il corpo stesso e quindi creare dei problemi
non solo nel luogo in cui vi è effettivamente la disfunzione, ma anche in territori
molto distanti da essa. Questo avviene perché secondo il concetto di tensegrità,
abbiamo delle impalcature tridimensionali che consentono di avere sostegno e
malleabilità a tutte le strutture biologiche del corpo, andando dal micro al macro.
Per cui vedendo il corpo come un’intera struttura tensegrile, risulta chiaro come
una disfunzione vertebrale possa ripercuotersi a livello di tutto il corpo.
Per cui io suppongo che tutte queste strutture tensegrili che parto dal micro (ad
esempio il citoscheletro della cellula) le quali successivamente sommandosi tra di
loro vanno a formare delle macro strutture tensegrili (come ad esempio l’osso)
siano messe in collegamento attraverso la fascia (motivo per il quale, se traziono
in un punto ben preciso, posso avere una risposta su tutto il resto del corpo)
Per cui una volta trovata una disfunzione di una struttura (ad esempio un organo
come il fegato) bisogneà pensare che la problematica può essere riferita con segni
clinici diretti all’organo stesso (come ad esempio congestione venosa, linfedemi,
cattiva digestione, problematiche epatiche) che con segni clinici riferiti, ovvero
riferiti a tutto quello che ha a che fare con quell’organo, e quindi bisognerà
valutare:
quindi ad esempio una problematica al fegato →
dove è posizionato l’organo (dolore locale, ovvero dove è posizionato l’organo)
i contatti che l’organo presenta con le altre strutture anatomiche (stomaco,
flessura colica destra, duodeno, rene, ghiandola surrenale destra, costole)
problematiche riferite all’innervazione (dal punto di vista sensitivo nervo frenico,
del punto di vista neurovegetativo grande splancnico)
dal punto di vista fasciale