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TENSEGRITÀ

L’ingegneria biomedica ha voluto dimostrare come le strutture anatomiche del


nostro corpo svolgessero la loro funzione, per cui, nell’arco del tempo, degli
architetti ed ingegneri i quali appunto studiano le correlazioni umane da un punto
di vista molecolare, hanno voluto dimostrare come le strutture anatomiche
potessero svolgere la propria funzione da sole:
Si è visto come il legamento nucale posteriore, da solo (ed anche con l’attivazione
dei muscoli del capo) non fosse in grado di sostenere il peso del cranio. Un altro
esempio era stato effettuato su un sollevatore di pesi, il quale appunto doveva
alzare 200 kg attraverso uno squat, e si era osservato come la forza necessaria per
sollevare 200kg dovesse essere 1600 newton, mentre in realtà, il sollevatore di
pesi, eroga circa 400 newton per sollevate 200kg ed allora bisogna capire dove
prenda quegli altri 1200 newton per sollevare il peso…
Col seguirsi degli anni, un famoso architetto Bukminster Fuller diede un importante
contributo all’ingegneria biomedica, in quanto potette constatare che
esistono delle figure geometriche a livello molecolare, le quali
presentano una composizione particolare, ovvero sono presenti nella
stessa struttura, appunto strutture tubulari in compressione e tiranti in
tensione, denominando questo tipo di struttura, tensegrità.
(alternanza di strutture in tensione, con strutture in compressione).
Queste strutture partono da una forma semplice, il triangolo, il
quale viene ripetuto molte volte, andando a formare delle strutture
complesse, definite strutture geodediche (quindi delle forme sferiche, come
ad esempio l’icosaedro, quindi delle strutture tonde, ma costituite da
triangoli) le quali sono molto leggere ed allo stesso tempo resistenti,
deformabili ma autostabilizzanti (cioè che se messe in una certa
posizione riescono a trovare un equilibrio). Per
cui, la parte più elementare (quindi il triangolo)
di queste figure complesse, è interconnessa a
tutti gli altri triangoli.

(((per cui, questi sistemi tensegrili sono composti da strutture in compressione e


strutture in tensione, sono defromabili, ma allo stesso tempo hanno la capacità
di autoregolarsi)))
questi sistemi hanno una struttura gerarchica, ovvero vanno dal micro al macro,
ma entrambi i sistemi sono interconnessi tra di loro ma allo stesso tempo
indipendenti

sono strutture omnidirezionali, ovvero queste strutture si adeguano all’ambiente,


si ammortizzano e si autoregolano (questo concetto si avvicina molto al corpo
umano, in quanto il corpo si adatta, ma non si rompe)

raggiunge una grossa stabilità, con un numero di massa molto basso

(come nel caso della ginnasta che riesce ad essere molto elastica, ma allo stesso
tempo è molto forte)

Elementi di tensione continua con forze centripete che si alternano ad elementi in


compressione discontinua con forze centrifughe

(questo ci leva dall’impiccio di determinare come funzionano alcune strutture


muscolari)
Sono strutture tonde
costituite da triangoli

Come legamenti, muscoli


ed osso

Come ad esempio il polmone: il gas


interno fa da struttura in tensione,
mentre la parete fa da struttura integra

Quando viene meno la pressione interna, il polmone


collassa, e lo stesso avviene quando viene meno la
struttura integra e quindi il polmone collassa

Quindi visto quanto detto precedentemente, il


nostro corpo può essere visto
orientativamente (anche se non
effettivamente come descritto in foto) e
quindi può essere rappresentato come una
struttura composta da tiranti e puntoni. Per
cui è come se avessimo un maglioncino, in
quanto, se tiriamo da un lato,
obbligatoriamente avremo anche una risposta
da un’altra parte del corpo.
COME VIENE VISTA LA NOSTRA
COLONNA VERTEBRALE NEL
CONCETTO TENSEGRILE (((credo
che possa essere ipotizzata come
visione macromolecolare della
tensegrità)

Visione micromolecolare della


tensegrità (nello specifico,
questa è la conformazione
della membrana
extracellulare, in cui è possibile
osservare in maniera molto
chiara la presenza del modello
tensegrile, ovvero la presenza
di pilastri e tiranti)

Per cui una volta ritrovati a livello molecolare la stessa strutturazione del modello
tensegrile (ovvero pilastri e tiranti) si è iniziato a parlare di biotensegrità.
Continuando questi studi, si
è visto come a livello
cellulare, vi sia una struttura
particolarmente
importante, la quale
appunto rispecchia in
maniera importante il
modello della biotensegrità,
ovvero questo elemento è il
citoscheletro, il quale è
composto appunto da:
microtubuli (i quali sono in compressione) e microfilamenti e filamenti (i quali
appunto sono in tensione)

Per cui è intuitivo come questa


struttura sia molto utile alle
cellule, soprattutto ai globuli
rossi, i quali appunto devono
adattare la loro dimensione per
passare nei vasi sempre più
piccoli, senza perdere la loro
funzionalità
La matrice extracellulare è strutturata grossomodo come un insieme di tiranti e di
strutture in tensione
In questo esperimento, gli scienziati hanno ablato (eliminato) una parte di
microtubulo e visto cosa accadeva nei 30 secondi successivi, durante i quali si è
visto che i due capi del microtubulo ablato, si allontanano. Questo è servito a
certificare che all’interno della cellula (e quindi a livello dei microtubuli) vi sia uno
stato di compressione.
PRINCIPI FONDAMENTALI DELL’OSTEOPATIA

Per cui il nostro lavoro sarà quello di interpretare una disfunzione fasciale
all’interno del contesto globale del corpo del paziente.
Il fasciale osteopatico è unico, perché si contestualizza all’interno di una filosofia
osteopatica promossa dal Dott. Andrew Tailor Still.
I PRINCIPI FONDAMENTALI CHE CARATTERIZZANO L’OSTEOPATIA

La prima fra tutte è:


1) L’UNICITÀ
L’unicità ovvero il corpo lavora all’unisolo (quindi il corpo
lavora tutto insieme e non a settori). Il nostro comrpo
funziona come una macchina (dove vi erano dei tubi idraulici
che collegavano e faqcevano scorrere fluidi all’interno di
questi. E se la macchina con tutti i suoi componenti erano in
perfetto equilibrio allora la macchina funzionava bene.
Per cui grazie a ciò riusciamo a spiegare come
L’organizzazione spaziale del nostro corpo abbia con le sue
parti tutta una serie di collegamenti:
- Ad esempio collegamenti fasciali, questo è il motivo per il quale riusciamo a
collegare una disfunzione dell’astragalo ad una problematica lombare, oppure una
disfunzione iliaca ad una problematica di spalla), in quanto vi sono delle strutture
miofasciali che collegano l’iliaco alla spalla e quindi delle catene che collegano la
tibio tarsica alla funzionalità della lombare e che ci permette di spiegare delle
continuità, ma non solo, ovvero abbiamo anche dei collegamenti puramente →
- Vascolari ovvero strutture vascolari che passano in determinate parti del corpo in
cui possono esserci degli ostacli, come per esempio delle tensioni oppure dei
blocchi di mobilità delle articolazioni. Questo per esempio, potrebbe impedire il
buon drenaggio e la buona vascolarizzazione di un tessuto.

Allora Still analizzando il corpo vide che il corpo era tutto un insieme unico, ma lo
definì e quindi lo divise in 3 parti: ovvero la carrozzeria (ovvero tutto l’apparato
muscolo scheletrico) che Still definì come “la materia” (ovvero siamo strutturati da
un involucro). Tutta questa materia (quindi il sistema muscolo scheletrico) per
muoversi ha bisogno di benzina, per cui il nostro corpo ricava energia per produrre
il movimento da tutto il sistema viscerale digestivo definendo questo sistema
digestivo come il motore dell’auto; infine definì come conduttore , colui che dirige
l’auto, il quale appunto è rappresentato dal sistema nervoso centrele e periferico
e vegetativo (i quali appunto ci consentono di controllare e regolare sia il sistema
muscolo scheletrico, che il sistema viscerale). Quindi il conduttore è quella stuttura
pensante e che governa (e quindi che fa funzionare le altre strutture).

Tutte e tre queste strutture sono relazionate tra di loro. Noi come osteopati
agiremo tramite la carrozzeria del nostro paziente (in quanto è l’unico accesso che
abbiamo) quindi agiamo tramite la pelle, e quindi tramite la pelle creiamo qualche
tipo di risposta (risposte viscerali, tissutali ecc) che ci permetterà di relazionarci
con il sistema nervoso, con il motore e con la carrozzeria. Quando uno di questi tre
sistemi presenta una problematica, questa problematica può ripercuotersi sugli
altri due sistemi.

((( per cui Still ci insegna come il corpo umano deve essere visto nella sua globalità
e che allo stesso tempo, il corpo può essere suddiviso in 3 parti, ovvero:
- La carrozzeria, la quale appunto risulta essere il sistema muscolo scheletrico
- Il motore, il quale appunto risulta essere il sistema viscerale (il quale appunto è il
sistema che ci consente di ottenere l’energia utile al movimento del sistema
muscolo scheletrico)
- Il conducente, il quale è rappresentato dal sistema nervoso centrale/periferico e
dal sistema nervoso autonomo <e quindi sistema cranio-sacrale> (i quali appunto
ci consentono di controllare e regolare sia il sistema muscolo scheletrico, che il
sistema viscerale). Quindi il conduttore è quella stuttura pensante e che governa (e
quindi che fa funzionare le altre strutture).

Tutti e tre i sistemi sono in relazione tra di loro e nel caso in cui, uno dei tre sistemi
presenta una problemematica, questa può ripercuotersi sugli altri due sistemi
restanti) )))
2) LA STRUTTURA GOVERNA LA FUNZIONE
Vuol dire che se una faccetta articolare è fatta in una precisa maniera
(ovvero presenta una certa concavità, un certo orientamento ecc)
vorrà dire che quell’articolazione potrà effettuare solo un certo tipo di
movimento. quindi la funzione è dettata da come è strutturata
l’anatomia (quindi la fisiologia agisce in relazione a come è strutturata
l’anatomia).

LA FUNZIONE GOVERNA LA STRUTTURA


Col tempo altri allievi di Still hanno osservato come non sempre l’anatomia governa
la funzione, ma anche come LA FUNZIONE GOVERNA LA STRUTTURA, ovvero come
l’anatomia si plasma su una funzione (un esempio può essere dato dal bambino che
nelle tappe evolutive, va da una posizione quadrupedica a quella in cui si mette in
piedi <bipedica> andando così a plasmare l’articolazione e quindi andando a creare
un modello anatomico funzionale all’attività che deve svolgere.
(((quindi l’esigenza del bambino di mettersi in piedi, comporterà che:
nel caso del gattonamento, e quindi della posizione quadrupedica era presente
un’anatomia della sacro-iliaca, atta a svolgere la funzione di gattonamento,
mentre, nel momento in cui vi è il passaggio del bambino dalla posizione
quadrupedica a quella bidedica <quindi in piedi> allora l’articolazione sacro-iliaca
sarà sottoposta ad un’altra funzione <ovvero quella dettata dalla stazione eretta e
quindi la posizione bipedica> e quindi l’anatomia dell’articolazione sacro-iliaca si
modifica in relazione alla funzione, quindi l’anatomia si modifica in relazione alla
funzione e quindi la funzione governa la struttura.
Quindi nel caso dell’articolazione sacro iliaca, la nuova funzione dettata dal fatto
che il bambino si posiziona in posizione bidedica, comporterà una modificazione
dell’anatomia dell’articolazione sacro iliaca andando così a creare un modello
anatomico funzionale all’attività che deve svolgere (quindi si modifica in una certa
maniera per consentire una specifica funzione).

Quindi in questo caso, l’anatomia si modifica in relazione alla funzione eseguita


andando così a plasmare l’articolazione, andando quindi a creare un modello
anatomico funzionale all’attività che deve svolgere. )))
- Esempio dell’artrosi
L’artrosi è una degenerazione della cartilagine articolare, e viene a formarsi
fondamentalmente nel momento in cui sull’articolazione agiscono delle forze errate, che la
portano a lavorare in maniera errata. Per cui fondamentalmente l’artrosi è una disfunzione
funzionale della cartilagine articolare, esempio:
Se a livello dell’articolazione coxo-femorale agiscono delle forze (ad esempio compressioni
o trazioni) dettate da disfunzioni muscolari, queste disfunzioni faranno lavorare in maniera
errata la testa del femore, la quale ad esempio lavorando maggiormente sulla parte
superiore dell’articolazione coxo-femorale, comporterà un’artrosi superiore. Per cui
possiamo dire che se noi normalizziamo le disfunzioni muscolari che portano la testa
femorale a lavorare in maniera errata, potremmo avere una regressione dell’artrosi e
quindi una normalizzazione dell’articolazione coxo-femorale (e quindi della funzione
dell’anca).

La modificazione delle articolazioni è dettata dalla legge di Wolf il quale dice che:
La legge di Wolf dice che un corpo reagisce e si deforma in relazione agli stimoli a cui è
soggetto.

- Esempio sulle calcificazioni della spalla

L’esempio dell’anca può essere anche riproposto a livello della spalla, ovvero:
se la spalla è soggetta ad un carico anomalo (dettato sempre da disfunzioni muscolari-
fasciali ecc) , inizierà a sviluppare certe calcificazioni (quindi il tendine non assolve più una
funzione puramente muscolare, ma inizia ad indurirsi ed a crearsi una condizione molto più
fibrosa (a causa del deposito di sali di calcio).
La calcificazione è un processo assolutamente reversibile
3) IL RUOLO DELL’ARTERIA E’ SUPREMO
Un’altra regola importante è quella dell’arteria
ovvero:
Se tutti i tubicini e quindi tutte le strutture
fluidiche sono libere e quindi hanno la
possibilità di poter fare circolare il sangue (e
quindi portare così nutrimento ed ossigeno ai
tessuti) il tessuto ritornava a funzionare in
maniera corretta.
Still partecipò alla guerra di secessione
(americana) e vide che nei soggetti feriti agli arti inferiori, prima che l’arto inferiore
andasse in cancrena (e quindi in necrosi) se veniva immobilizzato l’arto inferiore
(tra dei paletti di legno) e venivano liberate-aperte alcune vie vascolari (quindi a
seguito di un ragionamento meccanico/anatomico venivano rese pervie queste vie
vascolari) le gambe riprendevano a funzionare (((ed addirittura si poteva evitare
l’amputazione dell’arto del soggetto ferito))).

Per cui noi lavoriamo


Noi liberiamo le strutture articolari, liberiamo le fasce, daremo degli imput dal
punto di vista neurologico perché vogliamo avere delle risposte (e quindi ottenere
delle risposte) dal punto di vista vascolare.

Col tempo questa visione si è evoluta, infatti ormai oggi si va a stimolare il sistema
neuro-vascolare (quindi neurovegetativo).
4) IL MOVIMENTO E’ VITA

Andremo ad utilizzare delle manovre strutturali-


fasciali per promuovere il movimento, perché se
c’è movimento, abbiamo l’autouarigione.
Quindi se c’è movimento, il corpo ha tutte le capacità biochimiche per potersi
guarire, questo perché il corpo funziona su dei principi di base (che non sono solo
Osteopatici, ma anche generali) che sono:

L’equilibrio
Noi per poter vivere una vita sociale e di relazione dobbiamo avere gli
occhi su di un sistema parallelo (ovvero noi dobbiamo avere una linea
visiva che deve stare su di un piano orizzontale).
(((Per cui il corpo si adatta in ogni maniera pur di mantenere
l’orizzontalità dello sguardo, in quanto il nostro sistema vestibolare
non riesce a svolgere compiti di relazione se il nostro sistema visivo non si trova su
di un asse orizzontale))).

Per cui, questo tipo di equilibrio (quello riguardante l’orizzontalizzazione dello


sguardo) lo deve ottenere anche in una situazione di →
→ Confort e quindi di non dolore (il corpo odia il dolore). Nel momento
in cui è presente un dolore, il corpo risponde in due maniere:
da un lato cercherà di torcere tutto il possibile (e quindi di organizzarsi
in termini spaziali e tissutali) per far sì che quel dolore non suoni più
(((quindi è come se il corpo andasse a chiudere il luogo in cui è presente
il dolore)))

dall’altro lato, cercherà di adottare dei meccanismi che permettano di avere un


visus corretto (e quindi l’orizzontalizzazione dello sguardo), e proprio questi
meccanismi noi li chiamiamo ADATTAMENTI. Esempio: se prendo una storta e mi
lacero i tessuti, avrò dolore alla caviglia causato dalla distorsione, per cui, durante
la camminata, per non aver dolore, camminerò nella maniera tale che non abbia il
dolore alla caviglia, magari utilizzando una deambulazione claudicante (questo è
l’adattamento che il corpo attua per non aver dolore) ma è anche vero, che per
mantenere questo adattamento, il corpo ha un consumo maggiore di energia →
→ Risparmio energetico
Quindi il corpo per mantenere una postura (quindi un adattamento che
sia funzionale al corpo <quindi che non mi faccia sentire dolore ed allo
stesso tempo che mi faccia tenere gli occhi orizzontali>) creerà un
notevole dispendio di energia

Alcuni biologi hanno esaminato che in un sistema perfetto (nel quale appunto non
vi sono stimoli nocivi, controproducenti) hanno analizzato quanto potrebbe essere
la vita al momento dell’unione di uno spermatozoo con un ovulo e quanto potrebbe
essere l’impotenza di vita umana. Pare che il periodo di gestazione levi l’impotenza
fra i 30 e 40 anni (((la registrazione era tagliata per cui non è scritta tutta la
spiegazione))). Oggi si stima che la vita media dell’uomo sia per l’uomo intorno ai
77 anni di vita, mentre per le donne qualche anno di vita in più.
COSA FA L’OSTEOPATIA ODIERNA → nella prima parte vi sarà la spiegazione di ciò che fanno
i Medici, mentre nella seconda parte vi sarà la spiegazione di ciò che fa l’Osteopata

In questo schema è rappresentato sono rappresentati due assi:


- un asse verticale il quale rappresenta la qualità energetica massima
che un individuo può avere (la quale ovviamente non è quantificabile
attraverso dimostrazioni scientifiche)
- un asse orizzontale che rappresenta gli anni

Già quando nasciamo abbiamo un timer biologico, il quale appunto corrisponde al


degrado biologico. Per cui sappiamo che le nostre cellule arrivano fino ad un certo
punto
MODELLO IDEALE
Poniamo il caso che Lucia sia un esemplare di femmina posto in un ambiente
perfetto, ovvero un clima perfetto, si nutre di frutta e verdura biologica, l’aria è
pulita ed al momento della nascita (è nata da un concepimento in cui i genitori si
amavano molto, quindi una situazione ottimale) per cui Lucia alla nascita ha un
livello energetico molto alto ed ha un corredo genetico molto alto.
Per cui Lucia alla nascita avrà un buon potenziale di vita (asse orizzontale) ed un
livello energetico molto alto (asse verticale).
Per cui Lucia cresce ed incontra sempre sull’isola Francesco, il quale anch’esso ha
un corredo genetico perfetto, come quello di Lucia (quindi hanno esettamente le
stesse caratteristiche, e quindi entrambi hanno un buon potenziale di vita (asse
orizzontale) ed un livello energetico molto alto (asse verticale).

Lucia e Francesco si innamorano e Lucia entra in cinta. Durante il periodo di


gravidanza Francesco abbandona lucia per andare con un'altra donna ed allora
L’utero in preda ad uno stato alterato relativo (in quanto lucia passa le sue giornate
piangendo) si contrae, apportando così minor apporto di nutrimento al feto
presente nel grembo di Lucia.

Gliulia
Gliulia

Però Lucia si fa forte e porta avanti la gravidanza con il


massimo amore verso sua figlia, ma alla nascita, la
bambina avrà un valore energetico inferiore rispetto a
prima (causato dal periodo che Lucia ha attraversato con
il divorzio di Francesco). (((la figlia nata si chiama Giulia)

Lucia ama sua Giulia e la lascia libera di correre sulla spiaggia, e nel
giocare sulla spiaggia, la figlia di Lucia cade su un sasso e si rompe Gliulia
la gamba. Per cui la bambina ha subito un primo trauma ed a
seguito della gessatura ecc la bambina torna a camminare, ma non
tornerà a camminare come prima (quindi non camminerà bene
come prima) per cui la sua anzianità incomincerà a scendere .

La bambina continua la sua vita, ed una volta arrivata alle


medie la bambina subisce degli atti di bullismo, e magari Gliulia
inizia ad uscirle il primo seno (per cui si vergogna e tenderà
ad adottare delle posture in chiusura (chiusura anteriore)
per cui la bambina inizierà ad avere un atteggiamento
posturale in chiusura anteriore (((per cui al trauma della
caviglia, si andranno a sommare questi del bullismo e della
crescita del seno, per cui ))). Per cui la sua qualità di vita
inizia ancora a scendere.
Gliulia

Arrivata a 18 anni Giulia chiede ai genitori la macchina e


loro gliela comprano. Per cui le comprano una C1 e lei va in
giro con la sua nuova macchina, ma essendo ancora
inesperta, fa un incidente, il quale gli causa un colpo di
frusta. Viene portata in ospedale ed i medici la salvano.
Quindi a causa dell’incidente, perde un ulteriore vitalità

Arrivata all’età di 21 anni Giulia incontra il suo amore


(Sergio) con cui si sposa e resta in cinta). Ed alla fine del Gliulia
periodo di gestazione, Giulia avrà il suo parto (per cui
andremo ad aggiungere al grafico avrà il trauma del parto).
Durante il parto di Giulia, le cose non vanno benissimo, per
cui i medici sono costretti a fare il cesareo.
Per cui la sua vitalità continua ulteriormente a scendere

Giulia cresce, diventa grande va a lavorare in un


supermercato dove batte la merce alla cassa tutto il
giorno, per cui ha degli atteggiamenti posturali errati.
Gluilia diventa anziana ed arriva ai 90 anni ed il timer
biologico dice stop, per cui il corpo si lascia andare, per cui
il fegato non funziona più bene, ed anche i reni iniziano a
dare problemi e muore.

Durante la sua vita, Giulia ha incontrato dei medici, i quali le hanno permesso di
sopravvivere ed arrivare al compimento del suo naturale andamento biologico (il
quale appunto prevedeva come età media per la donna 90 anni)

QUESTO E’ CIO’ CHE FANNO I MEDICI. QUINDI L’OPERATO DEL MEDICO TI CONSENTE
DI SOPRAVVIVERE, CONSENTENDOTI DI CONTINUARE A VIVERE (E QUINDI
CONSENTENDO AL TIMER BIOLOGICO DI ARRIVARE A COMPIMENTO
COSA FA INVECE L’OSTEOPATA

Nel momento in cui si è fratturata la gamba Giulia (da piccolina), Lucia decide di
portare Giulia dall’osteopata. Per cui l’osteopata lavora sulle cicatrici, riequilibria le
tensioni ecc e come risultato finale abbiamo che, rispetto al solo intervento
chirurgico del medico (il quale si salva la vita a Giulia sistemandole la caviglia)
abbiamo UN MINOR DISPENDIO ENERGETICO. Per cui quello che (a seguito
dell’intervento) sarebbe stato un abbassamento dell’energia, risulterà meno
dispendioso da un punto di vista energetico. Quindi L’osteopata cerca di ripristinare
un equilibrio, in maniera tale che il paziente riesca a sopportare meglio (con
confort) le lesioni che possiede (interventi chirurgici ecc), con un guadagno sul
punto di vista del risparmio energetico

GIULIA DURANTE LA SUA VITA (frattura


della caviglia, postura in chiusura
causata dal problema emotivo
scatenato da un problema emotivo
dettato dal bullismo, colpo di frusta,
periodo della gravidanza, cesareo,
dolori vari presenti durante l’anzianità)
E’ RICORSA ALL’OSTEOPATA NELLE
VARIE FASI DELLA SUA VITA E
L’OSTEOPATA HA RIEQUILIBRATO IL
SUO CORPO A SEGUITO DEI VARI
TRAUMI SUBITO, PER CUI FACENDO CIO’ GIULIA HA OTTENUTO UN MINOR
DISPENDIO DI ENERGIE (GRAZIE AI TRATTAMENTI OSTEOPATICI, I QUALI APPUNTO
HANNO RIEQUILIBRATI IL CORPO ED I TESSUTI DURANTE LE FASI CRITICHE DI
GIULIA, OVVERO DOPO GLI INCIDENTI, LE FRATTURE ECC) E QUINDI
RIEQUILIBRANDO LE STRUTTURE (ovvero la caviglia funziona meglio, le aderenze
del cesareo vengono eliminate ecc) SI HA UN GUADAGNO DELLA QUALITA’
ENERGETICA (RISPETTO AD AVER SUBITO IL TRAUMA E AL NON ESSERE ANDATA
DALL’OSTEOPATA). PER CUI L’OSTEOPATA RIEQUILIBRANDO I TESSUTI, HA
CONSENTITO UN GUADAGNO DELLA QUALITA’ ENERGETICA DELL’INDIVIDUO.

PER CUI L’INDIVIDUO SI FERMERA’ UGUALMENTE NEL MOMENTO IN CUI IL TIMER


BIOLOGICO SUONA, MA AVRA’ TRASCORSO LA SUA VITA CON UNA QUANTITA’
ENERGETICA NETTAMENTE PIU’ ALTA E QUINDI CON UNA QUALITA’ DELLA VITA
MAGGIORE.
PER CUI L’OSTEOPATA A GIULIA HA CONSENTITO DI AVERE PIU’ VITALITA’ (((E
QUINDI SULLA QUALITA’ DELLA VITA)))

“La medicina da più anni alla vita (ha permesso al soggetto di arrivare al suo timer
biologico), mentre l’osteopatia da più vita agli anni”

LA MEDICINA OSTEOPATICA E’ NATA COME MEDICINA, INFATTI IL DOTT. STILL (IL


QUALE ERA ANCHE MEDICO) TRATTAVA LE PATOLOGIE, QUINDI TRATTAVA I
MALATI DI TIFO, LE DISSENTERIE, LE PROBLEMATICHE DI FEBBRE (QUINDI TUTTO
CIO’ CHE RIGUARDA L’AMBITO MEDICO) LE TRATTAVA SOLO ATTRAVERSO UN
APROCCIO CHIRURGICO OPPURE OSTEOPATICO.
ANCORA OGGI NEGLI STATI UNITI, L’OSTEOPATIA FA PARTE DI UN PERCORSO DI
MEDICINA, DOVE INVECE DI UTILIZZARE I FARMACI, SI UTILIZZANO LE
MANIPOLAZIONI <L’AMERICA è L’UNICO STATO IN CUI SONO STATI APERTI DEGLI
OSPEDALI OSTEOPATICI).
EMBRIOLOGIA

I tre foglietti parietali sono:


l’Ectoderma (il quale appunto andrà a formare il sistema nervoso e tutti gli annessi
cutanei (come i denti)
Endoderma formerà tutta la parete interna dell’apparato digestivo
Mesoderma il quale andrà a formare tutto il sistema connettivale (dalla struttura
più densa come l’osso, fino a diminuire la sua densità diventando cartilagine,
legamento, tendine, muscolo, fasce, fino ad arrivare alla sua forma più liquida,
ovvero il sangue)

Questo ci spiega come per esempio, alcune situazioni di sanguinamento, ovvero


se ho un accumulo di edema a livello della caviglia ed il corpo non riesce più a
drenarlo perché ad esempio l’astragalo non si muove bene, allora l’edema che
permane li per più tempo (ad esempio per due anni) cambia la sua consistenza
diventando e quindi avvicinandosi alla cartilagine.

SINTESI DELLE PRIME LEZIONI AL VIDEO 0508


PIANI ANATOMICI

Per fascia noi intendiamo tutto il tessuto connettivo, ovvero tutte quelle strutture
che collegano diverse parti anatomiche fra di loro. La fascia viene divisa in :

Fascia ad indirizzo superficiale (per quanto riguarda i muscoli superficiali del


corpo)

Fascia ad indirizzo medio (che ha una valenza sia muscolare che viscerale)

Fascia ad indirizzo profondo che ha una valenza sia dal punto di vista muscolare
che dal punto di vista viscerale <quindi molto vicino all’asse centrale del corpo>.
Inoltre sempre nel piano profondo viene inserito lo studio della dura madre (ma
verrà trattato nella parte che riguarda il craniosacrale)
LA PELLE
La pelle è composta principalmente da 3 strati i quali dal più
esterno al più profondo sono: epidermite, derma, ipoderma

Epidermite
L’epidermite a sua volta è costituito da 7 strati i quali dal più
profondo al più superficiale sono: tessuto basale/lamellare (in
cui si fabbricano le cellule dell’epidermite). L’ultimo strato
(ovvero lo strato corneo è composto da pelle morta) insieme
agli altri 7 strati impiegano 7 anni per rinnovarsi
completamente.
DERMA
Il quale è una struttura che è sede di passaggio tra l’epidermide e l’ipoderma, ma
inoltre è sede di passaggio importante, in quanto è sede di passaggi vascolari
importanti
IPODERMA
È costituito esclusivamente da tessuto adiposo. Una parte di questo ipoderma,
viene definito come fascia superficialis (le quale è una sorte di muta da subacqueo)
che ci permette di svolgere delle funzioni fondamentali per il nostro organismo,
ovvero : è una grossa fonte di regolazione della temperatura(il grasso fa da
isolante), è un dissipatore di zuccheri (in caso di ipoglicemia) e serve come
passaggio di traspirazione tra tessuti interni e tessuti esterni.

ATTRAVERSO LA MANO, DOBBIAMO PERCEPIRE LE INFORMAZIONI CHE IL CORPO


CI INVIA, E SUCCESSIVAMENTE, NOI DIAMO DEGLI STIMOLI (CHE SERVIRANNO A
STIMOLARE LA NORMALIZZAZIONE DELLA STRUTTURA
BREVE RIEPILOGO DI QUANTO DETTO NELLA PRIMA LEZIONE

I principi dell’Osteopatia:
1) UNICITA’- GLOBALITA’ DEL CORPO (VISIONE OLISTICA DEL CORPO): Il corpo viene
come un’unica unità, e quindi nella sua globalità (quindi come una serie di parti
unite tra di loro). Il sistema di unione principe è il sistema connettivo (quindi le varie
parti sono collegate tra loro attraverso il sistema connettivo e quindi le fasce). (vedi
dopo →)
2) IL RUOLO DELL’ARTERIA- E’ SUPREMO: la vascolarizzazione ha un ruolo supremo
(quindi se una struttura ha il corretto apporto di sangue arterioso e venoso, i tessuti
funzionano correttamente), ma questo modello nel tempo si è evoluto, diventando
sistema neuro-vascolare, in quanto il sistema vegetativo innerva e regola i vasi
sanguigni.
3) LA STRUTTURA GOVERNA LA FUNZIONE: Relazione stretta tra struttura (ad una
certa struttura anatomica deve corrispondere una certa funzionalità ed anche una
certa fisiologia), quindi la funzione (ad esempio di un’articolazione) è dettata da
come è strutturata l’anatomia (quindi la fisiologia agisce in relazione a come è
strutturata l’anatomia).
4) LA FUNZIONE GOVERNA LA STRUTTURA: la struttura anatomica si plasma in base
alla fisiologia (esempio dell’artrosi)
5) LA VITA E’ QUESTIONE DI MOVIMENTO(quindi il movimento è vita): Se tutte le
strutture corporee si muovono correttamente, allora il corpo ha la possibilità di
autoguarirsi. Mentre dove c’è una restrizione di mobilità, inizia a crearsi il
presupposto per la malattia (perché si bloccano i flussi sanguigni, le informazioni)
quindi il sistema non è più in grado di mantenere in maniera confortevole (e con
un alto rispermio energetico), una situazione di equilibrio. Se noi riusciamo a
togliere le restrizioni di mobilità, il corpo ha tutti i presupposti per poter
autoguarirsi.

CONCETTI OSTEOPATICI
L’Osteopata lavora per aumentare la qualità della vita delle persone.
Anche se Still aveva una visione olistica del corpo, decise di dividerla in:
- Movimento (per movimento di intende l’impalcatura del nostro corpo, quindi
l’osteos) al quale noi approcciamo per poter dare un’informazione al corpo.
- Materia (i visceri lavorano come centrale biochimica per la produzione di energia)
- Spirito (Per Still ciò era dato dalla religione) alcuni lo definiscono come le
emozioni, altri come sistema cranio-sacrale altri come sistema neurovegetativo
(per noi è il sistema nervoso autonomo, il quale è colui che comanda il corpo)
Queste tre strutture sono in compartecipazione per mantenere la salute del nostro
paziente. Oggi, la spiegazione a come queste strutture siano in relazione, ci viene
data dall’embriologia, e quindi dallo sviluppo embriologico che è tripartito ovvero
dal fatto che a livello embriologico noi siamo divisi in tre foglietti, i quali generano
tessuti con strutture differenti (quindi le nostre cellule possono differenziarsi
all’interno di quello che è la loro matrice originale, ad esempio il mesoderma può
differenziarsi da sangue ad osso, a seconda del quantitativo di densità che
raggiunge, ma apparterrà sempre a quel tipo di matrice embriologica, ovvero il
mesoderma).

Quello che andremo ad analizzare sono i piani delle aponevrosi, ovvero


discuteremo ed analizzeremo la distribuzione della fascia superficiale, media e
profonda intesa come disposizione spaziale del nostro corpo, dal fuori al dentro
(quindi dalla più esterna alla più interna)
Di seguito è spiegato perché il corpo deve essere visto nella sua globalità. E quindi da qui la visione Olistica del
corpo.

SPIEGAZIONE SCIENTIFICA DEL MOTIVO PER IL QUALE IL CORPO DEVE ESSERE VISTO
NELLA SUA GLOBALITA’ E QUINDI IL CONCETTO DI OLISTICO. (BIOTENSEGRITA’)

TENSEGRITA’
Il corpo viene visto nella sua globalità, e come abbiamo visto precedentemente, il
nostro corpo può essere visto come una struttura tensegrile, la quale parte dal
micro (quindi a livello della singola cellula) ed arriva al macro (come ad esempio
l’osso). Nello specifico:
spiegazione della struttura tensegrile
1) composizione della struttura tensegrile
La struttura tensegrile è costituita da componenti/elementi rigidi (elementi
strutturali rigidi che corrispondono alle forze di compressione <<<quindi
dovrebbero essere le forze di compressione, quindi visti come i pilastri>>>) e da
componenti/elementi flessibili (elementi di connessione flessibili che
corrispondono alle forze di tensione <<<e quindi dovrebbero essere le forze di
trazione, quindi i tiranti>>>). Per cui una struttura tensegrile è come
un’impalcatura, costituita da un’alternanza di strutture, ovvero, abbiamo
all’interno di questa impalcatura, strutture che lavorano in compressione (pilastri)
e strutture che lavorano in trazione (tiranti) <ed i puntoni che
sono il collegamento tra i due>.

(quindi la struttura tensegrile è costituita da un’alternaza di


strutture che lavorano in compressione ed in tensione)
2) Formazione delle strutture tensegrili
La formazione della struttura tensegrile (e quindi la formazione di
questa impalcatura) è data dall’unione di più strutture base
(strutture elementari), che nel caso della struttura tensegrile
corrisponde alla forma del triangolo (per cui, il triangolo è l’elemento
base che costituisce l’impalcatura, per cui l’unione di più triangoli
porterà alla formazione di strutture complesse <vedi dopo>), il quale
si unisce ad altri triangoli, andando a formare strutture complesse
definite strutture geodetiche. Le figure geodetiche (sono delle
strutture tonde, ma costituite da triangoli <come ad esempio l’icosaedro>) ed
hanno delle caratteristiche particolari, ovvero: sono molto leggere ed allo stesso
tempo resistenti, deformabili ma allo stesso tempo autostabilizzanti (ovvero, se
messe in una certa posizione riescono a trovare un equilibrio). Nelle figure
geodetiche quindi, la parte più elementare di queste (quindi il triangolo), è
interconnessa a tutti gli altri triangoli.
(((per cui, i sistemi tensegrili sono composti dall’alternanza di strutture che
lavorano in compressione a strutture che lavorano in tensione <quindi secondo me
in trazione> le quali appunto sono strutture leggere, ma molto resistenti, che
possono deformarsi ma allo stesso tempo hanno la capacità di autoregolarsi
<quindi si adeguano all’ambiente>))) questi sistemi vanno dal micro al macro,
quindi sono interconnessi tra loro, ma allo stesso tempo indipendenti
BIOTENSEGRITA’
Il modello tensegrile lo troviamo anche a livello del corpo umano, dove prende il
nome di biotensegrità. Più precisamente il modello tensegrile lo ritroviamo in tutto
il corpo, dalle micro strutture come la cellula (ad esempio a livello della membrana
cellulare, del citoscheletro ecc) alle strutture sempre più grandi come i tessuti, gli
organi ecc, fino ad arrivare a formare le macro strutture come l’osso.

Membrana extracellulare

Una struttura che rispecchia in maniera importante


il modello della biotensegrità, è il citoscheletro il
quale appunto è composto da:

- Microtubuli (i quali sono in compressione)


- Microfilamenti e filamenti (i quali appunto sono in
tensione)

Per cui è intuitivo come questa strutturazione tensegrile sia molto utile alle cellule,
ma soprattutto ad esempio ai globuli rossi, i quali appunto devono adattare la loro
dimensione per passare nei vasi sempre più piccoli, senza perdere la loro
funzionalità.
sintesi

Quindi a livello cellulare, sono presenti vari elementi che presentano una
composizione tensegrile, una in particolare il citoscheletro. La continuità del
sistema biotensegrile (con tutte le altre cellule, tessuti organi ecc del nostro corpo),
lo abbiamo grazie alla continuità data dai tessuti connettivi (quindi attraverso la
fascia),in quanto, la cellula grazie al ruolo del citoscheletro, è in continuità con
l’ambiente extracellulare (grazie ai ponti di integrina) ed in base al tipo di tessuto
che stiamo analizzando (sangue, legamenti, tendini, ossa), possiamo trovare una
differente tipologia di matrice extracellulare (quindi più o meno ricca di collagene
e proteoglicani). I tessuti connettivi originano a livello embriologico dal mesoderma
e sono una famiglia molto ampia, infatti il tessuto connettivo va dalla sua
componente più liquida come il sangue alla sua componente più solida come l’osso
(ovviamente avranno delle proprietà diverse in relazione al loro ambiente
extracellulare <quindi più o meno collagene e proteoglicani ed elastina>). Quindi la
fascia (essendo un tessuto connettivo) è in continuità con le singole cellule e
successivamente una con tutto il corpo. Quindi la fascia mette in comunicazione le
varie cellule e successivamente tutto il corpo (come un maglioncino).
RUOLO DEL CITOSCHELETRO (da scrivere successivamente)
TRATTAMENTO DELLA FASCIA → COME ATTRAVERSO LA MANIPOLAZIONE,
POSSIAMO AVERE UNA MODIFICAZIONE DELL’ANATOMIA DELLA CELLULA E
QUINDI DALLO STIMOLO MECCANICO (ATTRAVERSO LA FASCIA) A QUELLO
BIOCHIMICO INTRACELLULARE (MECCANOTRASDUZIONE). Quindi come uno
stimolo meccanico esterno, può stimolare delle reazioni biochimiche intracellulare
e quindi consentire una modificazione anatomica della cellula (relazione tra
citoscheletro ed integrine ed il processo di trasduzione meccanica).
La continuità del sistema tensegrile (e quindi la continuità data dalla fascia) lo
abbiamo attraverso il collegamento che si ha tra citoscheletro ed integrine, le quali
appunto, mettono in comunicazione il citoscheletro (ambiente intracellulare) alla
matrice extracellulare(ambiente extracellulare).
L’impalcatura tridimensionale delle cellule è in continuità con la matrice
extracellulare, attraverso la quale viene messa in comunicazione una cellula con
un’altra cellula e così via.
Fino ad ora abbiamo detto che l’anatomia governa la fisiologia (Esempio: una
faccetta articolare disposta nello spazio in una certa maniera, di conseguenza
consentirà un preciso movimento da parte dell’articolazione) e che un
cambiamento della fisiologia, può modificare l’anatomia, ma la domanda è la
seguente: come può uno stimolo esterno (come il tocco della mano) generare delle
risposte di tipo organiche?? (quindi, ad esempio, come a seguito della sistemazione
di un’articolazione-tessuto, quel tessuto generi un cambiamento di tipo anatomico.

Il Professore prima di dare la risposta ha fatto vari esempi


Esempio del taglio (e quindi della cicatrice)
Il nostro corpo, per esempio, nel caso di una cicatrice, e quindi a seguito di un taglio,
emette delle risposte da parte del tessuto connettivo, della pelle ecc che
reagiscono appunto ad uno stimolo di origine traumatico (il taglio), con delle
reazioni di tipo biochimico, ovvero il sistema nervoso locale manda un’allerta al
corpo che reagisce buttando sangue contenente le piastrine (le quali generano un
primo tampone) e successivamente avviene il processo infiammatorio (il quale è
fisiologico) il quale crea una maggiore porosità da parte delle arteriole vicino la
ferita, le quali appunto porteranno maggior nutrimento (e quindi l’inizio della fase
di cicatrizzazione). Inoltre, i tessuti fasciali contengono all’interno delle miofibrille
(quindi della fibrina che però presenta una componente che agisce in maniera
lineare, andando così ad avvicinare i capi muscolari, e quindi effettuando la
chiusura della ferita.

Esperimento
Gli scienziati hanno pensato che ciò che può generare una risposta anatomica è
proprio una risposta di tipo biochimico. Per dimostrare ciò,(e quindi per capire se
questa nozione fosse fondata, ovvero se lo stimolo chimico portasse ad una
risposta di tipo anatomico) è stato effettuato un esperimento, ovvero: E’ stato
preso del tessuto epiteliale (il quale è stato messo in provetta) a cui è stato
somministrato l’ormone della crescita. Di seguito i vari casi:
1) Nel primo caso, alla prima cellula è stato somministrato l’ormone della
crescita (quindi lasciando invariata la struttura) si è visto che la cellula andava
a dividersi (quindi facendo nascere una nuova cellula <condizione
fisiologica>). Quindi sottoposto ad uno stimolo chimico → la cellula
reagisce duplicandosi.

2) Nel secondo caso, la cellula è stata costretta, ovvero hanno racchiuso la sua
forma (((credo che intenda che l’anno bloccata, quindi non le hanno dato la
possibilità di espandersi))) e successivamente le è stato somministrato
l’ormone della crescita. Quindi la cellula, in questa precisa condizione (quindi
di costrizione-compressa) a seguito dello stimolo ormonale, (non ha
trovato la capacità di esprimersi perché compressa) ha risposto →
andando in apoptosi.

3) Nel terzo caso, la cellula è stata stirata (quindi è stata modificata la sua
forma-dimensione, da sferica ad allungata.) e successivamente è stato
somministrato lo stimolo ormonale. La cellula ha risposto diventando
un’altra cellula, → ovvero tessuto vascolare.

Per cui, gli scienziati pensavano che dato che nel secondo caso la cellula era andata
in apoptosi perché era in una condizione di costrizione, nel terzo caso (dato che
non era stata costretta, ma semplicemente allungata) a seguito della
somministrazione dell’ormone della crescita, avrebbe effettuato la duplicazione
cellulare (e quindi che si sarebbe duplicata), invece nel terzo caso il risultato
dell’esperimento ha dato come esito che la cellula epiteliare, a seguito dello stimolo
ormonale, anziché moltiplicarsi e crescere, ha creato quello che si chiama
differenziazione, ovvero è diventata un’altra cellula (e quindi in questo caso) e
quindi è diventata tessuto vascolare. Per cui, a seguito della modificazione della
forma della cellula, si è modificata anche al sua funzione. Per cui se io do uno
stimolo di crescita a fronte di un cambio di forma, si creano delle risposte a livello
del nucleo della cellula, con un cambio anche della funzione della cellula stessa.
Per cui gli scienziati hanno cercato di capire com’è possibile che esista una certa
comunicazione tra materiale extracellulare e cellula e la risposta arriva proprio dal
mondo della cosmentica, in quanto una ricerca è stata fatta sull’acido ialuronico
(questo acido è presenta a livello della membrana extracellulare) permetteva sia
una ridistribuzione dei liquidi, ma creava anche una reazione a livello cellulare.
Allora per capire come funzionava questa cosa, gli scienziati hanno indagato ed
hanno scoperto che esistono alcune proteine di membrana che (non solo fanno da
carrier tra zuccheri extra ed intra cellulari, e che consentono il passaggio di sostanze
da fuori a dentro) ma hanno scoperto che vi sono alcune proteine che hanno una
stretta relazione con la struttura intracellulare del citoscheletro (quindi si è
scoperto che il citoscheletro non è solo un agglomerato di filamenti interni, oltre
ad essere una figura articolata (in quanto svolge uno schema ben preciso di
supporto della cellula) ma comunica con alcune proteine di membrana e tra queste
proteine di membrana, spicca in particolare l’integrina, (quindi il citoscheletro
<quindi sistema intracellulare>, tramite l’intergrina, ha comunicazione strette con
il materiale extracellulare) quindi vuol dire che c’è una comunicazione strutturale
tra il citoscheletro e l’ambiente extracellulare (grazie alla proteina integrina).
Queste proteine non si attivano molto facilmente ,ovvero non metto in
comunicazione la struttura in maniera continua, altrimenti sarebbe molto facile per
la cellula andare a morire in maniera velocemente, invece hanno necessità di avere
un’attivazione modulata e secondo certe linee di forza ben precise. Queste linee di
forza se applicate in maniera corretta sulle integrine, queste reagiscono,
traducendo uno stimolo di tipo meccanico esterno (derivante dalla matrice
extracellulare) e stimolano a livello intracellulare una risposta chimica (ovvero una
risposta che attiva dei composti che si chiamano cicline, le quali aiutano e stimolano
la mitosi, attivano delle strutture intranucleari che si chiamano TATA BOX
<composto dalla ripetizione di alcuni acidi nucleici presenti all’interno del DNA> ed
una volta attivati questi tata box, loro, a loro volta attivano delle macro reazioni
cellulari. QUINDI QUESTO MECCANISMO PRENDE IL NOME DI TRASDUZIONE
MECCANICA (OVVERO UNO STIMOLO MECCANICO EXTRACELLULARE VIENE
TRADOTTO CON UNO STIMOLO CHIMICO INTRACELLULARE.
Prima pensavamo che il nucleo, la membrana cellulare, il tessuto connettivo
fossero strutture del tutto separate, mentre grazie agli studi di oggi viene
rappresentato meglio con questo schema, ovvero la struttura extracellulare è in
stretta comunicazione con la cellula (struttura intracellulare).

Quindi, queste integrine che sono collegate con le strutture di collagene (ed anche
tutte le strutture presenti nella matrice extracellulare) sono in relazione strutturale,
e generano reazioni chimiche intracellulari (Come ad esempio la replicazione cellulare)
QUALI SONO I TEMPI DI ATTIVAZIONE DEL TATA BOX? E QUINDI QUANTO TEMPO
DEVE TRASCORREE PRIMA CHE SI ABBIA EFFETTIVAMENTE UNA MODIFICAZIONE
DELL’ANATOMIA DELLA CELLULA A SEGUITO DEL TRATTAMENTO?
Quando facciamo la valutazione del nostro paziente e riscontriamo una maggiore
densità, proprio quella maggiore densità è un cambio della struttura (quindi una
ischemia locale, una differenziazione d’afflusso di sangue e di densità del tessuto
connettivale locale) intendiamo che quella è una zona di lesione Osteopatica. Dopo
aver trattato quella zona di maggior densità, diciamo al paziente di tornare dopo 3
settimane (perché l’osteopata pensa che le 3 settimane siano un tempo
ragionevolmente lungo ma preciso per il quale il corpo abbia il tempo di rimettersi
in equilibrio a seguito degli stimoli dati (trattamento Osteopatico) e quindi
autoguarirsi. Le basi scientifiche che stanno alla base di questo pensiero (ovvero
rivedere il paziente dopo 3 settimane)quali sono? quello che noi possiamo dire è
che: dato che noi sappiamo che esiste la possibilità di interagire con un
cambiamento della cellula, quanto tempo ci mette una cellula a reagire se
sottoposta a stimolo?
I tempi di reazione sono molto più brevi, in quanto vanno dalle 48 alle 72 ore,
ovvero i tre-quattro giorni successivi al trattamento, in cui si può pensare di aver
attivato un processo infiammatorio, un’attivazione cellulare e quindi
successivamente la rinascita (anche se, una volta poggiata una mano a livello della
zona di massima densità del paziente, la zona di massima densità, cambia
immediatamente <ovvero diminuisce la massima densità>) quindi il cambiamento
immediato di quella densità, non è dettato dal cambiamento cellulare (la
spiegazione viene data nella domanda successiva). Quindi noi nel nostro concetto
Osteopatico possiamo pensare che tramite il concetto di tensegrità, ovvero dove le
strutture sono connesse tra di loro, e quindi dal micro al macro sono connesse per
cercare di mantenere stabile una struttura, per cui noi possiamo pensare di attivare
uno stimolo che vada ad utilizzare il tessuto connettivo, che vada quindi ad
indirizzarsi successivamente alla matrice extracellulare, che vada successivamente
a mettersi in connessione con le cellule in disfunzione e che chieda a queste cellule
un cambiamento (quindi di ripristinarsi, e quindi di tornare in fisiologia) ed i tempi
di attivazione di questo sistema è di 3/4 giorni <quindi, questo è il tempo di
attivazione cellulare di questo sistema> (infatti dopo 3/4 giorni, normalmente il
paziente ci chiama dicendoci che sta meglio<questo vuol dire che le cose stanno
andandno secondo le nostre aspettative>).
COSA PERMETTE UN CAMBIAMENTO IMMEDIATO DELLA DENSITA’ SUL TESSUTO
CHE ABBIAMO LAVORATO???
Ovvero, quando effettuiamo un thrust, cosa cambia immediatamente?
Sicuramente vi sono delle risposte di tipo neurologico, ma inoltre vi sono anche
altre risposte, tipo:
MOTIVO PER IL QUALE LA FASCIA E’ SEDE DI LESIONE-DISFUNZIONE OSTEOPATICA
a fronte-seguito di una pressione adeguata, e di uno stimolo adeguato, all’interno
della cellula si sviluppa calcio (il calcio viene utilizzato normalmente nel tessuto
connettivo per creare la mobilità del tessuto connettivo <quindi la contrazione
avviene per mezzo del calcio>) e secondariamente servirà l’ATP (adenosin
trifosfato) per andare a ripristinare la giusta dimensione dei sistemi di contrazione
(((quindi credo intenda che l’ATP riporti alla condizione neutra le fibre per poi
potersi ricontrarsi nuovamente))). Quindi se c’è del calcio che si attiva con la giusta
pressione, si può pensare che (noi attraverso l’intenzione di arrivare (((quindi credo
intenda di lavorare quella cellula))) a quella cellula, possiamo già iniziare a creare
qualche tipo di contrattilità del tessuto connettivo. (vedi dopo queste due slide per
continuare a seguire il concetto)
Nello specifico:
è molto importante trattare il tessuto connettivo, in quanto, gli scienziati hanno
fatto una breve analisi di quelle che sono le capacità contrattili del tessuto
connettivo del muscolo quadrato dei lombi, psoas ed erettori di colonna.
Normalmente questi muscoli hanno la capacità di attivazione di 8 newton (8
newton non sono in grado neanche di sostenere una vertebra). Però succede che 8
newton di capacità contrattile sono sufficienti ad attivare i circuiti alpha e gamma
(i quali appunto sono i sistemi che regolano la contrazione) quindi sapere che una
cellula, sottoposta ad un determinato tipo di stimolo (((credo intenda quello
meccanico, ovvero la pressione effettuata con la mano))) può attivarsi rilasciando
calcio, e quindi può avere una funzione contrattile (((e quindi può contrarsi))), e
quindi se rimane contratta può attivare i sistemi alpha e gamma, vuol dire che il
tessuto connettivo può diventare lui stesso
causa di una lesione osteopatica (questo sta
ancora di più alla base della valorizzazione del
nostro lavoro sul tessuto connettivo).
GLICOSAMINOGLICANI (GAGs)

Quello che sicuramente possiamo dire è la funzione dei glicosaminoglicani GAGs, le


quali appunto sono delle glicoproteine presenti a livello della matrice extracellulare
che hanno la capacità di richiamare acqua (i glicosaminoglicani hanno la capacità di
assorbire sodio e quindi hanno la capacità di modulare l’acqua). Per valutare la
quantità di acqua extracellulare è possibile effettuare una bioimpedenziometria (la
bioimpedenziometria è un buono strumento per andare a valutare in maniera
abbastanza certa, il quantitativo di acqua presente a livello extracellulare <rispetto
a quello intracellulare>). Se si riscontra più acqua a livello extracellulare, vorrà dire
che, probabilmente, quest’acqua è stata estratta dalle cellule, per cui si è
maggiormente in uno stato infiammatorio.
Quindi quando attraverso le nostre mani noi effettuiamo delle tecniche è quello di
creare una ridistribuzione dei liquidi, e quindi un ritorno di acqua dalla matrice
extracellulare alla cellula, con la relativa conseguenza che si riduce l’infiammazione
locale in maniera immediata (questo fenomeno prende il nome di FENOMENO DI
CRIPPING) <ovvero vuol dire fare passare una soluzione da GEL (il quale è una
soluzione con una maggiore densità d’acqua) ad una soluzione definita SOL (la
quale appunto è una soluzione più distribuita) e proprio questa variazione crea in
maniera immediata a livello sensitivo una variazione della densità
Per cui questo spiega come subito dopo aver effettuato un thrust (dove noi
immediatamente miglioriamo la vascolarizzazione e la distribuzione dei liquidi)
abbiamo nell’immediata, alla nostra palpazione una variazione della denstià.
In ultimo, c’è da sapere che (questo esempio che sto per fare è uno studio che deve
essere ancora sperimentato) ovvero che essendo la cellula una struttura
elettromagnetica, (quindi cambiando la forma di un sistema elettromagnetico,
cambio anche la direzione sui campi).
12:34 video 0514

PER CUI, MOLTI STUDIOSI OSTEOPATI ASSERISCONO CHE LA ZONA DI


TRATTAMENTO DELL’OSTEOPATA RISIEDE NELLA MATRICE EXTRACELLULARE
(quindi nello spazio tra la cellula ed il mondo esterno)
Per cui

Quindi, attraverso il nostro tocco (e quindi attraverso lo stimolo meccanico) far si


che la nostra forza si indirizzi a quel tessuto e che la nostra forza vada sulle cellule
di quel tessuto che sono infiammate per dargli e quindi dare un’informazione di
tipo meccanico e che questa possa reagire, dando un inizio di processo di
cambiamento è qualcosa che richiede
E quindi pensare che il tocco osteopatico possa passare dalla pelle al tessuto
connettivale (quindi tramite il tessuto connettivale) (<il quale è costituito in forma
tensegrile e comunicativo tra la cellula e l’esterno e quindi metterci in relazione con
la cellula e dare un’informazione in quel punto. Questo meccanismo possiamo
tradurlo con due termini:
1 l’intenzione (ovvero la voglia di dare lo stimolo in quel preciso tessuto)
2 AMORE (indica la volontà di voler dare qualcosa al nostro paziente, ovvero aiuto)

QUINDI NOI DOBBIAMO ASCOLTARE I NOSTRI PAZIENTE, E SUCCESSIVAMENTE


DOBBIAMO METTERCI L’INTENZIONE PER ARRIVARE DOVE NOI VOGLIAMO, ED
UTILIZZANDO GLI ATTREZZI GIUSTI RIUSCIREMO A TROVARE CiO’ CHE Può AIUTARE
IL NOSTRO PAZIENTE(ATTREZZO SERRATURA).

Per intenzione vuol dire essere NEUTRI verso il paziente (ad esempio un paziente
che non voglio trattare) e verso la problematica del nostro paziente. Quando
pratichiamo sul paziente il nostro cervello non deve essere più nella fase di
ragionamento, bensì dovrà andare nella fase di ascolto e le nostre mani devono
diventare mani pensanti, ovvero mani che ragionano da sole (quindi mani che
sentono e che fanno <quindi agiscono> secondo il loro sentire <e quindi secondo
ciò che hanno sentito>).
QUINDI CON I PAZIENTI OCCORRE:
ATTENZIONE
ASCOLTO
INTENZIONE
ESSERE NEUTRI

La risultante di queste parole da l’empatia, ovvero farsi carico della persona, quindi
ti ascolto e ti do la mia professionalità, e cerco di aiutarti, altrimenti ti posso dare
solo il mio conforto (questo non vuol dire diventare le stampelle dei problemi
emozionali o dei disturbi delle persone, però è un modo di rapportarsi al paziente
diverso (rispetto ad altre discipline). Il prof crede che sia impossibile non rimanere
coinvolti nel rapporto con il paziente.
(((
COME SECODO ME BISOGNEREBBE VEDERE IL PAZIENTE
Per cui secondo me non bisogna avere pregiudizi sul paziente (quindi ad esempio
partire prevenuti, come nel caso in cui ad esempio arriva un paziente che non voglio
trattare, oppure ad esempio dire prima di aver visitato il paziente che questo
paziente avrà sicuramente un iliaco anteriore <quindi partire con un preconcetto
come quello di dire che ha un iliaco anteriore>).
Successivamente bisogna ascoltare il paziente, per cui direi che bisogna essere
empatici e quindi farsi carico della persona (quindi ascoltarla e darle la mia
professionalità <quindi cercare di aiutarla>, ma se non possiamo aiutarla, possiamo
dare del conforto al paziente (ma questo ovviamente non vuol dire diventare le
stampelle dei problemi emozionali o dei disturbi delle persone).

Quindi bisogna essere neutri (quindi non bisogna partire con pregiudizi) ed allo
stesso tempo empatici (quindi se ad esempio il paziente ha un problema al
ginocchio cercare di capirlo ed ovviamente dobbiamo utilizzare la nostra
professionalità per aiutarlo a stare bene, ma se non possiamo aiutarlo, dobbiamo
cercare di essere di conforto per lui e magari cercare di dare qualche buon consiglio
<ma allo stesso tempo, non dobbiamo essere la stampella dei problemi dei nostri
pazienti>), quindi nel momento in cui facciamo l’anamnesi, dobbiamo attivare il
cervello, e quindi effettuare il ragionamento Osteopatico, facendo tutti i
collegamenti anatomici e la raccolta dei segni clinici, e questo viene mantenuto nel
momento in cui facciamo i test (in quanto confrontiamo ciò che abbiamo
effettivamente trovato, con i segni clinici e le problematiche riferite dal paziente).
Arrivati nel momento della pratica, (quindi quando pratichiamo sul paziente) il
nostro cervello non deve essere più nella fase di ragionamento (quindi dobbiamo
spegnere il cervello e far lavorare la mano), bensì dovrà andare nella fase di ascolto,
mentre le nostre mani devono diventare mani pensanti, ovvero mani che
ragionano da sole (quindi mani che sentono e che fanno <quindi agiscono>
secondo il loro sentire <e quindi secondo ciò che hanno sentito>).
)))
(((

RIEPILOGO → PER IL VERO RIEPILOGO ASCOLTA LA REGISTRAZIONE “SPIEGAZIONE


DELLA FAQSCIA CON TUTTI I PRINCIPI OSTEOPATICI ANNESSI”.

Introduzione
I tessuti connettivi derivano tutti dal Mesoderma. La famiglia dei tessuti connettivi,
è molto ampia e va dalla forma più fluida come il sangue alla forma più densa come
l’osso.
1) il corpo viene visto nella sua globalità, in quanto a livello del corpo umano, vi
sono delle strutture tensegrili, le quali appunto vanno dal micro al macro e si
trovano in intima continuità. A livello cellulare e più nello specifico a livello del
citoscheletro (quindi a livello intracellulare) le strutture tensegrili si trovano in
continuità attraverso il collegamento che si ha con attraverso i ponti di integrina, le
quali appunto collegano l’ambiente intracellulare alla matrice extracellulare, a
livello della quale troviamo altre sostanze, come fibre di collagene, elastina,
proteoglicani, liquido interstiziale (ambiente extracellulare). I tessuti connettivi
originano dal mesenchima e vanno dal sangue (elemento meno denso) all’osso
(elemento più denso). La differenziazione di queste strutture, è data dalla diversa
composizione della matrice extracellulare (nell’osso ad esempio è presente mento
elastina, mentre nel legamento è presente più elastina). Quindi dal citoscheletro
(micro) all’osso (macro) abbiamo una continuità fasciale, motivo per il quale, se vi
è una retrazione in qualsiasi parte del corpo, allora automaticamente avremo una
modificazione in qualche altra parte del corpo (come l’esempio della trazione
effettuata a livello di un maglione).

2) la fascia (e quindi il tessuto connettivo) è una struttura contrattile, per cui


essendo una struttura contrattile, è luogo di lesione osteopatica. Questo può
essere definito perché, secondo alcuni studi effettuati sul tessuto connettivo del
quadrato dei lombi, psoas si è possibile osservare come la fascia di questi muscoli
generi 8 Newton, i quali appunto sono in grado di generare un’attivazione del
sistema alpha e gamma. Inoltre attraverso la pressione effettuata con la nostra
mano, viene rilasciato calcio, il quale è il principale elemento utile alla contrazione
del sistema connettivo.
3) Quando troviamo una zona densa, vorrà dire che in quel preciso punto avremo
una zona in cui, vi è uno scarso apporto sanguigno (quindi delle piccole ischemie),
???ed inoltre avremo un addensamento della matrice extracellulare???. Per cui a
seguito della nostra manipolazione avremo, possiamo avere due effetti:
- a seguito del nostro thrust oppure della nostra pressione, abbiamo un’attivazione
di alcune proteine presenti a livello della matrice extracellulare, definite
glicosamminoglicani, le quali appunto hanno la proprietà di assorbire il sodio (e
quindi di richiamare l’acqua). Per cui a seguito della manipolazione, vengono
attivate queste proteine che effettuando così una ridistribuzione di acqua dalla
matrice extracellulare alla cellula (togliendo l’infiammazione) e quindi, più
precisamente consentendo il passaggio da Gel a Sol. Quindi effettuando la
ridistribuzione dei liquidi, si ha una riduzione della densità

- noi, attraverso la nostra pressione induciamo uno stimolo meccanico, che passa
tutti i tessuti fino ad arrivare, attraverso il tessuto connettivo (quindi la fascia) a
livello della matrice extracellulare, dove appunto questo stimolo meccanico, se
dato con una certa intensità, viene diretto attraverso le fibre di collagene, a delle
proteine di membrana, definite integrine, le quale appunto una volta attivate,
attuano la trasduzione del segnale meccanico in segnale chimico
(meccanotrasduzione), biochimico perché, le integrine, sono direttamente
collegate al citoscheletro, per cui vengono attivate delle proteine, le quali appunto
andranno dentro il nucleo, per andare ad attivare i sistemi di trascrizione (definiti
TATA BOX). Quindi questi sistemi vanno ad attivare i TATA BOX i quali appunto
attuano la trascrizione, e quindi andando a modificare l’anatomia della cellulare.
Per cui se una cellula non sta funzionando correttamente, il trattamento fasciale,
sa uno stimolo alla cellula, la quale elabora lo stimolo e si autoguarisce (quindi
ritorna in fisiologia). Normalmente a seguito della manipolazione, pressione-
trattamento, questi sistemi impiegano circa 48/72 ore (motivo per il quale, dopo
circa due/tre giorni dal trattamento, il paziente inizia a stare meglio).

)))
TECNICHE FASCIALI

l’esecuzione delle tecniche fasciali avviene secondo due vie:


TECNICHE DIRETTE (ovvero andare contro la lesione, per ottenere un guadagno di
tipo fisiologico <e quindi non un guadagno anatomico>)

TECNICHE INDIRETTE (o anche definite


tecniche funzionali saranno a favore di
lesione)

Sul grafico è indicata un’articolazione con delle


limitanti dal punto di vista anatomico (alle quali
noi non ci avviciniamo perché rappresenta un
pericolo) oltre il quale c’è la possibilità di creare
dei danni come lussazioni, rotture ecc.
In Osteopatia si considera che vi sia un range
anatomico ed un range fisiologico (ovvero
quanto i miei tessuti <come ad esempio
capsule, legamenti, muscoli ecc> mi
permettono di fare (il quale appunto si
presenta ridotto rispetto al range anatomico)
infatti quersta è definita come una limitante
fisiologica. Esempio: se noi effettuiamo
un’abduzione del braccio, avremo un range
fisiologico, ma se noi sediamo il nostro soggetto, possiamo tranquillamente
arrivare al range anatomico, ed una volta arrivato
a questo punto, risulta chiaro come anche un
semplice colpetto potrebbe fare lussare la spalla.

quando troviamo una lesione osteopatica, questo


range fisiologico è ulteriormente alterato (quindi
da un lato ad esempio funziona bene, mentre
dall’altro lato è ulteriormente ridotto, ed è proprio
qui che risiede la disfunzione Osteopatica (ovvero
questa si trova tra il range disfunzionale e quello
fisiologico).
posteriorità anteriorità Quindi, se prendiamo come esempio l’astragalo, ed
effettuiamo il test di mobilità, possiamo dire che
questo astragalo va bene in posteriorità, ma non in
anteriorità. Per cui la lesione Osteopatica comporta un
minor range di mobilità. Noi attraverso le tecniche
fasciali possiamo normalizzare la disfunzione e
ricostituire una normale fisiologia.

Quindi nelle tecniche dirette, arriviamo fino al limite del range disfunzionale e
successivamente effettuiamo un thrust per riportare quell’astragalo a normalizzarsi
e quindi ricostituire la normale fisiologia. Prima di effettuare il thrust è possibile
effettuare delle tecniche fasciali, in maniera tale che si diminuisca maggiormente il
range disfunzionale (così attraverso il thrust dobbiamo effettuare un minor
spostamento per raggiungere il range fisiologico del paziente). N el caso in cui
invece di si voglia effettuare prima il thrust senza prima aver effettuato le tecniche
fasciali, allora possiamo (dopo aver effettuato il thrust le tecniche fasciali per
recuperare tutto il range fisiologico del paziente).

Mentre nelle tecniche indirette andremo a favore di lesione e successivamente


aspetteremo lo Still point (quindi quando il tessuto non vuole stare più in
disfunzione, ma vuole dirigersi verso la fisiologia e quindi autoguarirsi).
Da vedere se lasciare qui o se inserire nella parte
che riguarda il test di pressione
TEST DI PRESSIONE
I test di pressione è un test che si basa su punti pivot ragionati (quindi punti pivot
utilizzati secondo il ragionamento osteopatico <e quindi punti selezionati secondo
il ragionamento osteopatico>) e nel momento in cui riscontriamo una positività al
test, vorrà dire che tutta quella sezione presenta un disturbo. Per cui, dopo aver
effettuato il test di pressione dobbiamo avere una singola risposta dal test, e quindi
o positiva (quindi il punto che abbiamo testato è un punto molto denso) o negativa
(il punto che abbiamo testato non presenta una densità apprezzabile e quindi non
presenta densità).
Dopo aver individuato tutte le zone dense, si effettuerà un bilanciamento per
andare a scegliere l’area maggiormente densa. Ovviamente il bilanciamento dovrà
essere fatto su tutti e tre i livello corporei, quindi a livello strutturale, viscerale e
craniosacrale. Per cui una volta individuata l’area maggiormente densa andiamo a
testarla e trattarla. E solo dopo aver effettuato la correzione andiamo a rieffettuera
il test di mobilità e successivamente il test di pressione (se al test di pressione la
densità è cambiata, allora l’obiettivo sarà raggiunto, altrimenti bisognerà andare a
valutare meglio nuovamente il tutto, quindi magari quella zona non era l’area di
maggiore densità, oppure la tecnica di normalizzazione non è stata effettuata in
maniera corretta <e quindi poco efficace>). E successivamente si vanno a valutare
le zone di densità secondarie (che abbiamo trovato durante il bilanciamento) ed
andiamo nuovamente ad effettuare il test di pressione (nel caso in cui la densità è
diminuita-variata, allora vorrà dire che il corpo ha iniziato il suo processo di
autoguarigione, altrimenti possiamo testare e trattare questa zona).

QUESTO TRATTAMENTO VIENE DEFINITO TRATTAMENTO MINIMALISTA (quindi si


fa il minimo a livello del trattamento per far si che il corpo solo lo stimolo correttivo
che occorre per la lesione primaria, tutto il resto si sistema automaticamente da
solo). Il Professore effettua massimo tre trattamenti e se vede che non vi sono dei
cambiamenti (ovvero se il paziente non sta meglio) allora non lo tratta più, perché
magari quello non è un paziente Osteopatico, ma ha bisogno di uno specialista.

Le problematiche somato emozionali possono essere trattate nel momento in


cui vi è la compromissione del sistema neurovegetativo, mentre se il problema è
di tipo psichico, allora dobbiamo mandare il paziente dallo specialista (psicologo,
neuropsichiatra ecc)
LE TECNICHE CHE UTILIZZIAMO IN OSTEOPATIA SONO: TECNICHE DIRETTE, INDIRETTE E LE SEMI-DIRETTE

TECNICHE SEMI-DIRETTE
- BLT
SIDERAZIONE

la storia della siderazione nasce grazie ad un farmacista che aveva appreso da un


aggiusta ossa di campagna questa tecnica e trattava i pazienti nel retrobottega
della farmacia, effettuando delle siderazioni dalla testa ai piedi.
Queste vibrazioni vengono fatte su tendini o su ventri muscolari. P. Chouffour ed E.
Prat, hanno scoperto che con la giusta tensione e con la giusta velocità vibrazionale,
può avvenire una stimolazione dei fusi neuromuscolare, ma in particolare la
stimolazione degli organi tendinei del Golgi. Questi due ricercatori hanno
constatato che il tensionamento legato ad una vibrazione ad alta velocità, genera
una variazione significativa a livello elettromiografico.
Inoltre, si è scoperto che quando un muscolo è pre-tensionato e messo in carico, le
vibrazioni funzionano ancora meglio, in quanto occorre meno forza tensionale
(meno forza per mettere in tensione il tendine o il muscolo ad esempio) e meno
forza di esecuzione.
Quindi la siderazione è una manovra diretta e contro barriera, che viene utilizzata
su tendini e ventri muscolari, andandoli a mettere in tensione e successivamente a
seguito della vibrazione effettuata attraverso la siderazione, andremo a stimolare
gli organi tendinei del Golgi (principalmente) ed anche i fusi neuromuscolari.

La stimolazione degli organi tendinei del Golgi sono alla base di alcune manovre
miofasciali.
ZONE DI TENSIONE TISSUTALE (((il professore ha spiegato questa parte subito dopo la spiegazione del
recoil, ma secondo me si è confuso ed andava inserita qui)))

(((a livello del corpo possiamo trovare due tipologie di tensioni tissutali, ovvero:)))
- Zona calda, gonfia e dolente ((Come drenare quella zona, partendo da vie più
lontane e man mano avvicinandoci, capendo come drenare la zona acuta).
L’approccio ad un evento acuto quindi sarà piuttosto cauto
- Zona fredda, rigida e fibrotica (tecniche un po' più importanti per cercare di creare
uniperemia (quindi un apporto di liquidi) ed una defibrotizzare dei tessuti.
RECOIL

introduzione
È una manovra inventata da Palmer (il quale è un allievo diretto di Still), il quale è
il fondatore della chiropratica.
Il recoil è una manovra veloce, diretta e contro barriera che ha come principio l’alta
velocità e la precisa localizzazione della zona tensionale. I chiropratici utilizzano il
recoil a livello osseo, mentre noi Osteopati lo utilizziamo a livello tissutale.
L’applicazione viene effettuata a livello puntiforme ed è molto semplice applicare
queste manovra quando si ha un punto di appoggio, occorre quindi geolocalizzare
con estrema attenzione la zona di tessuto estremamente densa, si effettuerà una
messa in tensione nei piani dello spazio e successivamente verrà effettuata la
vibrazione rapida e veloce (la vibrazione sarà longitudinale al gesto che voglio fare,
e serve ad abbattere una certa barriera tissutale).
Il recoil ha una buona efficacia su piccole strutture capsulari, ed in strutture molto
dense come l’osso, ed appunto utilizziamo la tecnica di recoil per cercare di creare
uno stimolo ematico locale.

POSSIBILE SPIEGAZIONE DAL PUNTO DI VISTA NEUROLOGICO di cosa accade durante


l’esecuzione e dopo l’esecuzione della tecnica recoil.

Prendendo come riferimento le vie ascendenti e discendenti (del sistema nervoso)


possiamo dire che:
Esistono dei sistemi che vengono definite vie lemniscali le quali appunto tramite le
vie del Burdach, analizzano il tatto fine, il dolore rapido, la sensibilità
proprioconscente; ed inoltre abbiamo anche le vie extrameniscali, i quali appunto
determinano la temperatura, dolore, tatto proteopatico.
Nel nostro corpo vi sono delle aree (aree molto ristrette) in disfunzione
Osteopatica, dove il dolore tissutale è tale che il nostro corpo di fronte ad un
segnale continuo, spegne le vie recettoriali, e quindi è come se le vie ascendenti
venissero “tappate” (questa zona viene definita zona buia). Per cui in queste piccole
e precise zone (zone buie), il dolore tissutale è tale che il nostro corpo di fronte a
questo segnale continuo, risponde tappando le vie ascendenti, ovvero il corpo
spegne le vie recettoriali in quel preciso punto. Quando noi andiamo ad effettuare
un recoil su queste zone buie, è come se riaccendessimo la luce in quella zona in
cui c’era il buio (per cui a seguito del recoil) →→ per cui, per vie discendenti, il
corpo vedendo riaccendersi una sensazione (in una zona che precedentemente
risulta tappata da un punto di vista sensitivo) avvia in via discendente (tramite una
zona che viene definita inibitoria facilitatoria, ovvero la zona definita 4s <la quale
si trova a livello corticale>) avvia uno stimolo di tipo facilitatorio.
QUESTA è UNA POSSIBILE SPIEGAZIONE DAL PUNTO DI VISTA NEUROLOGICO
UNWINDING
Mentre dal punto di vista tissutale faremo delle manovre definita UNWINDING le
quali appunto sono delle manovre di srotolamento e quindi di ristrutturazione di
quelle che sono le dinamiche fasciali (dal punto di vista macro e micro) cercando di
ripristinare le strutture tissutali nei piani dello spazio.

PONSAGE
La tecnica di ponsage non ha grosse spiegazioni dal punto di vista scientifico, ma
funzionano molto bene. La manovra di ponsage frutta il prncipio che abbiamo
spiegato sopra, ovvero il FENOMENO DI CRIPPING (ovvero il passaggio da liquido
gel <struttura più compatta e densa> ad una struttura più distribuita, ovvero dove
i liquidi sono maggiormente distribuiti <vedi sopra per i dettagli>, quindi agisce con
un effetto di ridistribuzione dei liquidi extracellulari ottenendo così un ottimo
effetto locale.
Le tecniche indirette normalmente seguono queste tempistiche:
- hanno un modellamento tissutale verso la maggiore ampiezza.
- si cerca un punto di bilanciamento tissutale tensionale legamentoso.
- si aspetta il momento di quiete (ovvero il momento in cui il tessuto si zittisce)
- e poi avverrà il rilancio
INZIO DELLA PARTE PRATICA

TRATTAMENTO: MODELLO MINIMALISTA spiegazione del modello minimalista al


minuto 6 del video 0520
Quindi effettueremo i test di pressione su dei punti specifici che vengono definiti
punti pivot e nel caso della positività del test di pressione su uno di questi punti, il
Prof ci spiegherà quali strutture andare ad analizzare. Successivamente
effettueremo il test di bilanciamento.
Inizieremo a scannerizzare il nostro paziente partendo dai piedi (ma solo dal punto
di vista procedurale).
Vari punti di pressione:
- sotto astragalica Il primo punto che andiamo ad analizzare per
quanto riguarda la struttura del piede, sarà la sotto astragalica
(ovvero la faccetta articolare inferiore dell’astragalo con il
calcagno (e quindi la faccetta articolare superiore del calcagno).
Per cui andremo nella proiezione di questa articolazione ed effettueremo un test
di pressione a questo livello (su questo punto) andando a valutare così ad esempio
se il lato destro è maggiormente denso rispetto al sinistro. Effettuiamo il test a
livello della sotto astragalica perché le forze discendenti della tibia trovano come
punto di dissipazione delle forze, la zona del seno del tarso , per cui, questa zona
presenta il primo punto in cui le forze verticali (discendenti provenienti dalla tibia)
diventano poi (quindi vengono trasmette e quindi vengono dissipate):
- orizzontali (per andare verso il calcagno, e quindi vengono dissipate dal calcagno
i 3/6 della forza proveniente dalla tibia)
- frontali (per andare verso la coppia scafoide e cuboide, e quindi dissipano verso il
1° metatarso i 2/6 della forza proveniente dalla tibia; verso il 5° metatarso 1/6 della
forza proveniente dalla tibia )
Quindi se c’è un problema di distribuzione delle forze, (in quanto è presente una
lesione ad esempio alla coppia scafoide-cuboide, oppure al calcagno, oppure
all’astragalo, oppure all’ articolazione astragalo peroneale, alle falangi, ai
cuneiformi) troveremo una risultante a livello in cui queste forze si congiungono,
ovvero a livello della sotto astragalica. Quindi se la sotto astragalica è positiva al
test di pressione, possiamo pensare che in quel piede è presente una disfunzione
osteopatica (per
osteopatica) percui
cuipossiamo dire che il dobbiamo
successivamente piede presenta una disfunzione
analizzare le varie ossa che
compongono il piede (secondo un ordine logico) e le fasce.
FASCIALE DELL’ARTO INFERIORE

FASCE DEL PIEDE

Le fasce del piede possono essere divise sia da un


punto di vista topografico sia sulla loro localizzazione
nei piani dello spazio (quindi avanti e dietro).

FASCIA SUPERFICIALE

FASCIA PLANTARE SUPERFICIALE


Ha una forma piramidale, con la base che si
confonde a livello delle teste metadarsali. Ha un
colorito perlaceo. Arriva ad inserirsi a livello del
calcagno a livello della tuberosità posteriore del
calcagno, ed è in continuità con l’aponevrosi del
tendine d’achille.
La fascia plantare superficiale è sita in maniera
più profonda rispetto al pandicolo adiposo
(((cuscinetto adiposo))) presente a livello della
fascia plantare (in questa zona troviamo una
notevole presenza di grasso, il quale appunto
assolve il compito sia come ammortizzatore, che
come isolante)
La fascia plantare circonda i muscoli superficiali
del piede come: il muscolo flessore lungo delle dita, il muscolo flessore prorpio
lungo dell’alluce, successivamente prosegue sulla gamba rivestendo il tibiale
posteriore, il tricipite della sura (il tricipite della sura è composto dai muscoli
gemelli ed il muscolo soleo).
Quindi
La fascia plantare superficiale, si trova subito al di sopra del pacchetto
adiposo localizza a livello della faccia plantare del piede. La fascia
plantare superficiale ha una forma piramidale, in cui la base di questa
piramide si confonde a livello delle teste dei metatarsi, mentre l’apice
della piramide va ad inserirsi a livello della tuberosità posteriore del
calcagno, e continua (quindi è in continuità) con l’aponeurosi del
tendine d’Achille. La fascia plantare superficiale circonda i muscoli
superficiali del piede, i quali sono: il muscolo flessore lungo delle dita,
il muscolo flessore proprio lungo dell’alluce, successivamente
prosegue sulla gamba rivestendo il muscolo tibiale posteriore, il
tricipite della sura (il tricipite della sura è composto dai muscoli
gemelli ed il muscolo soleo). (((secondo me a livello plantare, la fascia
riveste le guaine dei tendini dei muscoli e poi tramite la sua continuità
con le altre fasce, anche i ventri muscolari dei muscoli della gamba))).
FASCIA SUPERFICIALE DORSALE
Quindi dorsalmente al piede troviamo la fascia
superficiale dorsale che a differenza di quella
plantare, riveste le guaine dei tendini dei muscoli:
muscolo estensori lunghi delle dita (o anche definito
muscolo estensore comune delle dita), il muscolo
estensore lungo dell’alluce, il muscolo tibiale
anteriore e trova la sua continuità sul retinacolo (il
quale è una struttura anulare che avvolge le nostre
caviglie) il quale ha una forma a “V doppia”.
La faccia superficiale dorsale, nel suo bordo laterale
e nel suo bordo mediale trova la sua continuità con
la fascia plantare superficiale (per cui si creerà una
continuità sulla componente superficiale dorsale e la
componente superficiale plantare) e proprio a
questo livello, rivestiranno i muscoli abduttori del 5°
dito ed il muscolo adduttore del 1° dito.
Ovviamente queste fasce saranno in comunicazione con le fasce della gamba, della
coscia ecc
FASCIA PROFONDA

FASCIA PROFONDA PLANTARE


Riveste la parte profonda del piede. Quindi a livello
plantare rivestirà il margine inferiore dei muscoli
profondi del piede, e quindi i muscoli adduttori propri
delle 5 dita, i muscoli lombricali, la carne quadrata del
silvio (è un muscolo che serve ad indirizzare meglio le
linee di forza dei muscoli flessori plantari lunghi), i
muscoli flessori brevi delle 5 dita, il muscolo flessore
breve dell’alluce, il muscolo abduttore del 1° dito (e
quindi credo intenda dell’alluce).

FASCIA PROFONDA DORSALE


riveste il margine superiore ???degli stessi muscoli della fascia profonda
plantare???.

Inoltre la fascia profonda rivestirà anche il passaggio dell’arteria pedidia e dei nervi
che a questo livello sono una diramazione dello sciatico
TECNICHE

Prima di andare ad effettuare la palpazione della fascia plantare, bisognerà mettere


il piede del nostro paziente in una posizione neutra, ma se troviamo un piede molto
extraruotato, dobbiamo prenderlo e portarlo più su di un piano verticale (e quindi
sagittale).
Se ad esempio dovessimo avere la positività del test di pressione sul piede destro
del paziente, allora ovviamente andremo a valutare il piede destro.
PALPAZIONE
Per cui effettuiamo la palpazione di tutta la parte inferiore
del piede, attraverso l’effettuazione di pressioni, utili
appunto a valutare la presenza di densità a
livello/all’interno della fascia plantare superficiale. La zona
di densità, può presentarsi in due maniere:
- ovvero attraverso l’individuazione di zone maggiormente
dense
- oppure possiamo avvertire delle zone (piccole regioni), in
cui la densità è a forma di chicco di riso.

TECNICA DI PONSAGE
Viene utilizzata nel caso in cui troviamo una struttura-zona
maggiormente densa e particolarmente concentrata. Per cui
poniamo in nostri pollici uno sull’altro ed andiamo ad effettuare
delle circunduzioni (costanti e continue), contro la zona più
densa fin quando la densità sotto le dita non scompare. Le
circumduzioni devono essere progressive, ovvero iniziando in
maniera superficiale e lentamente si va sempre maggiormente
contro la lesione (quindi si inizia in maniera superficiale e
progressivamente si va sempre maggiormente <quindi credo in
profondità> sulla massima densità. Lo scopo di questa tecnica è
quello di richiamare sangue nel punto in cui vi è la massima
densità.
questa tecnica viene utilizzava
sulla fascia superficiale plantare
TECNICA A TAGLIO
La tecnica a taglio prevede il lavoro con il pollice a
martello. Bisogna prendere contatto con il
polpastrello e non con l’unghia. La tecnica prevede
un lento passaggio in senso longitudinale rispetto
all’andamento delle fasce. Questa manovra viene
effettuata sulla fascia superficiale e quindi avrà
effetto su tutto ciò che riveste (come i muscoli
flessori).
questa tecnica viene utilizzava
sulla fascia superficiale plantare

TECNICA DI SIDERAZIONE
Inizialmente possiamo fare un piccolo test ovvero
muoviamo il tessuto medialmente (quindi verso la linea
sagittale del corpo) ed esternamente, ed andiamo a
valutare dove questa struttura fa fatica a muoversi. Ad
esempio, se le fasce fanno più fatica a medializzarsi
(quindi ad andare medialmente) rispetto al lateralizzarsi.
Per eseguire la tecnica, dobbiamo mettere in tensione la
zona in cui abbiamo trovato la restrizione di movimento,
quindi con una mano muoviamo il piede fino a trovare la
posizione in cui la zona che vogliamo trattare venga
messa in tensione, e successivamente la sideriamo
(quindi la facciamo vibrare ad alta velocità) in maniera
trasversale rispetto al senso delle fibre (ed in questo caso
la siderazione avviene in senso mediale perché le fibre
facevano fatica a medializzarsi). La siderazione può essere
effettuata con il dito oppure con la nocca.

Quando sideriamo, si crea un arco riflesso neurologico (ovvero le


fibre alpha e le gamma si mettono in relazione <grazie alla manovra
veloce e vibratoria> per cui il rilascio del muscolo è immediato.
Analisi del piede del paziente
Se il paziente presenta una maggiore densità sulla parte esterna del piede destro, allora possiamo
iniziare a pensare che vi sia maggiore tensione sull’arco esterno rispetto all’arco mediale (e che quindi
‘abduttore del 5° dito sia maggiormente teso <quindi che stia lavorando maggiormente>) e che quindi
il paziente molto probabilmente presenti un appoggio verso l’esterno (((quindi che durante la
deambulazione, appoggi maggiormente la parte esterna del piede))) e quindi un appoggio
tendenzialmente cavo. Infatti osservando il piede è possibile notare come l’appoggio sul primo dito è
veramente scarso (infatti non è presente il colore del callo, mentre incomincia ad esserci qualcosina
tra il 2° ed il 3° dito<ma sempre minima> mentre sul b ordo esterno del 5° dito è presente una forte
callosità). Inoltre ha anche uno scarso appoggio sul calcagno (in quanto il colore della pelle è rosa
chiaro, lo stesso colore dei piedini dei bambini che ancora non appoggiano il piede per camminare.
Per cui possiamo dedurre che il nostro paziente ha un appoggio esterno e tendenzialmente in punta
dei piedi (come se si stesse aggrappando davanti, <<<quindi nella deambulazione il piede si aggrappa
al terreno>>>)
Quindi anche solo osservando, possiamo dedurre che l’appoggio del piede non è molto fisiologico

Osservando il paziente possiamo anche notare un maggiore valgismo del ginocchio destro
Siderazione a livello della fascia superficiale dorsale
ovviamente la tecnica di siderazione può essere
effettuata sia sulla fascia superficiale plantare che sulla
fascia superficiale dorsale. A livello dorsale del piede, la
fascia va a rivestire come un manicotto i tendini dei
muscoli estensori (e quindi la fascia segue <e quindi
riveste> la guaina dei tendini dei muscoli estensori), per
cui possiamo andare sul singolo tendine ed effettuare
delle traslazioni (in senso mediale ed in senso
trasversale). Se troviamo ad esempio (come nel caso in
foto) un tendine che si lascia traslare medialmente e fa
fatica a traslare lateralmente, allora con una mano
impalmeremo il piede cercando la posizione in cui vi è la
messa in tensione del tendine da trattare, mentre con
l’altra si effettuerà una siderazione in senso trasversale
rispetto al tendine.
Retinacolo dei muscoli estensori

Il retinacolo è una struttura fasciale superficiale con


forma di “V doppia” che chiude tipo un anello la
parte perimalleolare. Partendo in senso cranio-
caudale la parte più craniale (((primo fascio))) ha un
andamento che è sovramalleolare dall’esterno verso
l’interno, poi successivamente (((secondo fascio)))
andrà dall’interno verso l’esterno, andandosi ad
inserire sotto il malleolo esterno (quindi va dal
malleolo interno a quello esterno), (((terzo fascio)))
dal malleolo esterno tornerà a livello del malleolo
interno ed infine (((quarto fascio))) andrà a ricoprire
la guaina dell’estensore del 1° dito (((quindi va dalla
parte mediale alla parte esterna ricoprendo la guaina
del 1° dito))).

Per cui se il retinacolo non scorre rispetto alle guaine dei tendini, allora bisognerà trattarlo.
La manovra sarà una manovra a
taglio, quindi longitudinale alle
fibre, in cui seguiremo
l’andamento delle fibre del
retinacolo (((e quindi i vari fasci)))
Così facendo andremo a
disingaggiare (e quindi liberare)
una eventuale fibrotizzazione
rispetto alle guaine
dell’estensore (((quindi nel caso
in cui vi dovesse essere una
fibrotizzazione del retinacolo <il
quale ovviamente avvolge le
guaine dei muscoli estensori> possiamo utilizzare la
tecnica a taglio per liberare il retinacolo.))) il
retinacolo deve essere trattato ogni volta che vi è una lesione oppure un
traumatismo della tibio astragalica, oppure nei casi di distorsione di caviglia in
inversione (((anche se io credo che sia possibile utilizzarlo anche per le eversioni)))
dove avvengono dei traumatismi importanti per quanto riguarda la struttura
compartimentale della capsula che della struttura prorpia dei peronieri, dei
legamenti.
retinacoli dei tendini dei muscoli flessori (o anche definiti LEGAMENTI ANULARI)

Retinacoli dei muscoli flessori (LEGAMENTO ANULARE INTERNO)


I retinacoli dei tendini dei muscoli flessori, sono delle espansioni fasciali presenti a
livello del malleolo interno, le quali partono dal bordo inferiore del malleolo e
vanno ad inserirsi sulla parte mediale del calcagno. Al di sotto del retinacolo,
passano il tendine del muscolo flessore proprio dell’alluce, il tendine del muscolo
flessore comune (((delle dita ipotizzo, il quale viene anche definito credo flessore
lungo delle dita))) ed il tendine del muscolo tibiale posteriore, inoltre, oltre questi
muscoli, passano anche l’arteria tibiale ed il nervo tibiale (il quale provvede
all’innervazione della faccia mediale ed inferiore del piede).

Sindrome del tunnel tarsale


Il retinacolo dei tendini dei muscoli flessori, assomiglia molto al tunnel carpale,
infatti come esiste la sindrome del tunnel carpale, a questo livello abbiamo la
sindrome del tunnel tarsale, il quale da una sintomatologia del tutto simile a quella
del tunnel carpale:
- (dal punto di vista neurologico), quindi formicolio a livello della parte infero-
mediale del piede, oppure plantare
- (dal punto di vista vascolare), provocherà un intorpidimento del piede, e quindi
sensazione di aghi o piede freddo
- (dal punto di vista biomeccanico), essendoci una mancanza di scorrimento di tutti
i tendini dei muscoli flessori, in relazione a come viene bloccato il tendine (in
condizione di lassità oppure in condizione di contrazione), possiamo avere degli
effetti diverse:
1) se vi è un blocco del tendine nella condizione di accorciamento (quindi di
maggiore contrazione) il paziente presenterà un piede cavo
2) mentre se vi è un blocco del tendine nella condizione di allungamento allora il
paziente potrà avere una caduta della volta plantare media (((e quindi un piattismo
del piede ipotizzo)))
Proprio al di sotto del retinacolo dei muscoli flessori, abbiamo il Sustem taculum
tali (il quale è un’escrescenza ossea presente sul bordo mediale del calcagno) al di
sotto del quale appunto avremo la continuazione del passaggio dei tendini dei
muscoli sopra citati (((quindi il (((tendine))) del muscolo flessore proprio dell’alluce,
medialmente al flessore proprio passa il (((tendine))) del muscolo flessore comune
(((delle dita, ipotizzo))), mentre al di sopra di questi, passa il tendine del muscolo
tibiale posteriore. Il motivo per cui vi è questa precisa disposizione dei tendini, è
data per mantenere la volta plantare in quanto: questa distribuzione dei tendini
(((e quindi il posizionamento del muscolo flessore proprio dell’alluce al di sotto del
flessore comune delle dita e del tibiale posteriore))) è data dal fatto che l’ultimo
movimento che si attua durante il movimento di flessione plantare è dato
dall’alluce (((e quindi il flessore proprio dell’alluce))), il quale appunto è l’ultimo
muscolo ad essere messo in tensione (in eccentrico) (((e quindi attraverso la sua
tensione mantiene la volta plantare))) (((e sostiene il calcagno)))

(((
Quindi il professore dice che è l’ultimo muscolo che viene messo in tensione (((e
quindi in allungamento secondo me))) durante la flessione plantare del piede ,
mentre secondo me è l’ultimo muscolo che si contrare durante la flessione dorsale
(durante la camminata) in quanto da la propulsione, e quindi contraendosi
mantiene la volta plantare.
)))
Retinacoli dei muscoli peronieri (LEGAMENTO ANULARE ESTERNO)

esternamenta abbiamo il retinacolo superiore ed inferiore dei muscoli peronieri


(((anche se il Professore ci ha detto che in realtà è un’unica strtuttura))). Questa
struttura tiene in sede (al di sotto del processo malleolare del perone) il tendine
del muscolo peroniero breve ed il tendine del muscolo peroniero lungo

Può capitare che a seguito di traumatismi, urti ecc che queste strutture perdano
di tensionamento (((quindi ad esempio una lassità del retinacolo))), e che quindi
si crea una sublussazioni di questi tendini ((( quindi una lassità del retinacolo
può portare ad una sublussazione di questi tendini))) → (quindi se a livello
palpatorio sentiamo un movimento anomalo del tendine, sappiamo che
potrebbe essere questa patologia < questa problematica può essere riscontrata
anche a livello del capo lungo del bicipite>)
Se vi è una sublussazione dei tendine, allora abbiamo la possibilità di ridurla (((e
quindi normalizzarla))) portando in sede il tendine (e sperando che la
cicatrizzazione lo contenga), mentre se vi è una lussazione non è possibile
ridurlo (((e quindi normalizzarlo))) in maniera definitiva.

Nel caso di fibrosi (oppure un eccesso di tensionamento <<<come ad esempio nelle


distorsioni>>>) si può creare una mancanza di scorrimento da parte di questi
tendini e delle strutture vascolari nella regione mediale, mentre esclusivamente di
scorrimento tendineo nella regione esterna.
Quando trattare i retinacoli?

I retinacoli vengono trattati quando siamo in presenza di una fibrosi oppure di una
restrizione di mobilità della componente mediale o laterale.
Componente laterale
Nella componente laterale, la presenza di una restrizione di mobilità, oppure di una
fibrosi, può essere causata da un trauma di inversione della tibio-tarsica (((e quindi
trauma di distorsione di inversione della caviglia))). La distorsione di inversione di
caviglia si riscontra frequentemente nei soggetti sportivi (per esempio le giocatrici
di pallavolo che dopo aver effettuato il muro, cadono sul piede del compagno
causandosi una distorsione di inversione di caviglia).
anche un accumulo di traumi di inversione (come ad esempio nelle donne che
portano i tacchi, oppure ad esempio quando passeggiando per strada si inciampa
nel marciapiede <i quali appunto non sono dei traumi gravi, però l’accumularsi nel
tempo di questi traumi non gravi, producono nel tempo delle situazioni similari a
quelle di un trauma sportivo>)
((( quindi il trauma di distorsione di inversione causa delle lesioni alla componente
esterne (quindi ai retinacoli)

Componente mediale
Il retinacolo mediale invece può essere lesionato a seguito di una distorsione di
eversione del piede, e quindi a seguito di una distorsione di eversione, possiamo
avere una fibrosi del retinacolo dei muscoli flessori.
Le distorsioni di eversione si riscontrano anche a livello sportivo (per esempio nei
calciatori o nei giocatori di basket oppure nei rugbisti, che mentre corrono
effettuano dei cambi di direzione, dove appunto il piede rimane fermo ed il resto
del corpo ruota) (oppure ancora nei runner che corrono su terreni disconnessi, i
quali appunto, creano dei microtraaumi a livello della caviglia, i quali appunto
successivamente generano delle fibrosi)
In sintesi…
Quindi a seguito di traumi acuti (come ad esempio le distorsioni),<oppure anche
un accumulo di traumi non gravi, subiti nel tempo>, questi (((traumi))) possono
causare una lesione di queste strutture (quindi dei retinacoli), le quali
(((lesioni))), a seguito del processo di riparazione perdono di elasticità (((quindi
credo che si riferisca al fatto che a seguito del processo infiammatorio, vi sia un
accumulo di calcio, il quale porta ad una minore elasticità oppure ad una
fibrosi))). Oppure a seguito di traumi indiretti, come contusioni, colpi

inoltre
(((quindi l’accumularsi <nel tempo> di questi traumi non gravi, possono produrre
<nel tempo> delle situazioni molto simili a quelle di un trauma sportivo)))

La componente interna (quindi i retinacoli dei muscoli flessori) si lesiona a


seguito di una distorsione in eversione del piede. (inoltre si può lesionare a
seguito di traumi lievi accumulati nel tempo).

La componente esterna (quindi i retinacoli dei muscoli peronieri) si lesiona a


seguito di una distorsione in inversione del piede. (inoltre si può lesionare a
seguito di traumi lievi accumulati nel tempo).
Esecuzione della tecnica sul legamento anulare mediale (dei muscoli flessori)

Quindi a seguito di una positività della sotto astragalica ed ad una positività alla
palpazione dell’area mediale del piede (quindi zona densa a livello del retinacolo
mediale) andiamo ad effettuare la tecnica di normalizzazione.
Posizioniamo il paziente in decubito laterale. Se abbiamo un cuscino, lo poniamo al
di sotto del malleolo laterale del paziente
(il quale si troverebbe a contatto con il
lettino), ma se non lo abbiamo andiamo a
posizionare la nostra mano (in maniera
tale che non si facci amale) e quindi con la
colonna del pollice andremo a bloccare la
componente interna ed inferiore del
malleolo,

mentre con l’altra mano andiamo ad impalmare il


calcagno.

Per cui faremo punto fisso con la mano a livello del


malleolo, mentre con la mano a livello del calcagno,
andremo ad effettuare un’apertura della struttura
legamentosa.
Esecuzione della tecnica sul legamento anulare laterale (dei muscoli peronieri)
In questo caso, andremo a porre un cuscino in mezzo alle ginocchia del paziente.
Con la colonna del pollice andremo a contattare il margine inferiore del malleolo
laterale, mentre con l’altra mano andremo a contattare il margine laterale del
calcano.
Esecuzione della tecnica
Anche in questo caso effettueremo un’apertura di questo spazio.
IlIlpaziente
pazientesi si presenta
presenta in studio da noi
in studio da riferendoci che ha
noi riferendoci avuto
che un traumatismo
ha avuto alla caviglia,
un traumatismo alla
ecaviglia,
che presenta un dolore a livello della zona dei retinacoli degli
e che presenta un dolore a livello della zona dei retinacoli degli estensori, per cui, estensori,
fondamentalmente
fondamentalmente leleproblematiche
problematichepossono
possonoessere
esseredididue
duetipi:
tipi:
edema della spongiosa
ooil ilretinacolo si è fibrotizzato oppure se il paziente presenta un due/tre
dolore elettivo
sedute)a presenta
livello del
Ilretinacolo
paziente sisipresenta
è fibrotizzato oppure
in studio da noise il paziente
riferendoci che(dopo
ha avuto un traumatismo alla
seno
ancora del tarso oppure
un dolore a livello calcaneare profondo, il paziente ha probabilmente un edema
caviglia, e cheelettivo
presenta a livello del seno
un dolore del tarso
a livello dellaoppure
zona deia livello calcaneare
retinacoli profondo,
degli estensori,
della spongiosa.
vorràfondamentalmente
dire che probabilmente il paziente ha un edema della
le problematiche possono essere di spongiosa.
due tipi:
o il retinacolo si è fibrotizzato oppure se il paziente presenta un dolore elettivo a
Da prendere in considerazione questa
livello del seno del tarso oppure a livello calcaneare profondo, il paziente ha
probabilmente un edema della spongiosa.

Edema Il paziente si presenta in studio da noi riferendoci che ha avuto un traumatismo alla
della spongiosa
caviglia, e che presenta un dolore profondo, specificatamente al collo dell’astragalo
Il paziente
(quindi si presenta
un doloreinelettivo
studio daversonoi riferendoci
il seno delche ha avuto
tarso o verso un la
traumatismo alla caviglia,
testa dell’astragalo)
e cheoppure
presenta un dolore
dolore elettivoprofondo,
a livello specificatamente
calcaneare profondo, al collo dell’astragalo
inoltre, (quindiè un
oltre al dolore
dolore elettivo un
associato verso il senofunzionale,
disturbo del tarso oovvero
verso lail testa
pazientedell’astragalo) oppure dolore
ha dolore durante elettivo
l’accosciata
a livello
(quindicalcaneare
quandoprofondo,
flette il inoltre,
piede per oltre al dolore
sedersi). Perè associato un disturboilfunzionale,
cui noi effettuiamo nostro
ovverotrattamento, ma se il paziente, dopo la seconda o terza seduta ci riferisce chesedersi).
il paziente ha dolore durante l’accosciata (quindi quando flette il piede per non
Per cui noi effettuiamo il nostro trattamento, ma se il paziente,
è cambiato niente (quindi persiste sia il dolore che il disturbo funzionale) allora dopo la seconda o terza
seduta ci riferisce
possiamo che non
pensare che èil cambiato niente (quindi
paziente presenti l’edemapersiste sia il dolore che il disturbo
della spongiosa.
funzionale) allora possiamo pensare che il paziente presenti l’edema della spongiosa.
L’edema della spongiosa, è un ematoma intraosseo, il quale appunto si
L’edema della spongiosa,
presenta/verifica è un ematoma
a seguito intraosseo, ilimportante
di un traumatismo quale appunto (come si presenta/verifica
una distorsione a
seguito
ad di un traumatismo
esempio). L’edema della importante
spongiosa(come una distorsione
si forma ad esempio).
perché: a seguito L’edema della
di un traumatismo
spongiosa si forma
importante, la perché:
forza cineticaa seguito di un anziché
prodotta, traumatismo importante,
dissiparsi a livelloladei forza cinetica
muscoli,
prodotta,
tendini anziché dissiparsi
e legamenti a livelloappunto
(causando dei muscoli, tendini
la rottura di ecapsula
legamenti (causando
e legamenti appunto la
e strutture
rottura di capsula
muscolari, oppure - legamenti e strutture
distacchi parcellari muscolari, dei
dell’inserzione oppure distacchi
peronieri oppure parcellari
del
dell’inserzione dei peronieri oppure ancora del legamento
legamento astragalo peroniero anteriore <quindi le forze si dissipano rompendo astragaloperoniero anteriore
<quindi le forze
alcuni si dissipano
di queste elementi> rompendo alcuni di(equeste
va a dissiparsi quindielementi>
a riversarsi le causando
forze vanno a dissiparsi
la lesione)
(e quindi a riversarsi
a livello causando
della parte spongiosala lesione) a livello
dell’osso, ovverodella la parte
parte spongiosa dell’osso,
interna dell’osso ovvero la
creando,
partecreando
interna dell’osso
così un creando
ematoma cosìintraosseo.
un ematoma intraosseo.
L’edema L’edema
della spongiosadella può
spongiosa
esserepuò
essere diagnosticata
diagnosticata solo
solo attraverso
attraverso la la risonanza
risonanza magnetica. L’edema della spongiosa non
magnetica.
è trattabile Osteopaticamente. Ha una tempistica di guarigione che va da 3 mesi ad un anno.
Ed anche dopo che è guarito, il paziente al piede leso, non avrà più la stessa funzionalità
(quindi sarà meno funzionale rispetto all’altra caviglia

Quindi in questo caso (edema della spongiosa) la forza cinetica si scarica (attraverso il
sistema tensegrile) sulle strutture che lavorano in compressione, causando edemi o
fratture. (esempio:se cadiamo con il braccio a terra, in base a dove le forze di dirigono,
possiamo avere o una lussazione oppure una frattura)
TECNICHE SULLA FASCIA PROFONDA

Per andare a lavorare sulla fascia profonda plan tare,


dobbiamo cavizzare il piede del paziente (così per poter
entrare in profondità)

E successivamente andare a testare il piede effettuando


del le pressioni con il pollice a livello della fascia
profonda plantare. (ovviamente per lavorare sulla fascia
profonda dobbiamo utilizzare una pressione maggiore
rispetto a quella che utilizzevamo per la fascia
superficiale)

Nel momento in cui troviamo un punto di maggior


ponsage
densità, stabilizziamo il piede del nostro paziente
(effettuando un contatto, quindi poggiandolo su di noi)
e successivamente andiamo ad effettuare un ponsage.

Tecnica a taglio
Sulla fascia profonda plantare,
funziona molto bene il ponsage,
però è possibile effettuare
anche una tecnica a taglio (le
sideerazioni si possono
effettuare, ma data la
profondità di localizzazione delle densità, si preferisce usare
altre tecniche.

A seguito delle manovre, possiamo avere una sudorazione del


piede ed un arrossamento del piede, il quale appunto sta che
abbiamo ipervascolarizzato l’area.
TECNICA DI SROTOLAMENTO DEL PIEDE

trazione
Un’altra cosa che possiamo fare per valutare il
compressione
piede del nostro paziente è appunto quella di
comprimere il piede e di trazionarlo, andando a
valutare dove il piede non vuole andare (quindi
se il piede accetta maggiormente la
compressione, ma non vuole andare in
distrazione, oppure viceversa, ovvero è un piede
che si lascia trazionare/allungare, ma che non
vuole farsi comprimere). (se il piede ha difficoltà
a farsi comprimere rispetto al farsi trazionare,
molto probabilmente è più in difficoltà la
componente articolare del piede <questa cosa
non l’ha spiegata per come si deve>)

Una volta stabilita la disfunzione (ad esempio il piede si lascia


trazionare, ma non si lascia comprimere) allora possiamo
andare ad effettuare la tecnica di srotolamento del piede: per
prima cosa, dato che il piede del nostro paziente non voleva
essere compresso, allora noi dobbiamo lavorare in
compressione, per cui dobbiamo effettuare una compressione
del piede quindi bisognerà effettuare una spinta dal calcagno
verso l’avampiede e contemporaneamente una spinta
dall’avampiede verso il calcagno. Una volta effettuata la
compressione, dobbiamo muovere il piede del nostro paziente
in tutti i piani dello spazio e se avvertiamo dei movimenti o dei
punti in cui il piede non vuole farsi mobilizzare, allora lo ci
fermiamo in quel punto ed aspettiamo che le fasce si
riorganizzino.
Questo è un buon trattamento per concludere il lavoro fatto (fatto
precedentemente come siderazioni , ponsage ecc ) sulle fasce plantari.
FASCITE PLANTARE
La fascite plantare è un’infiammazione della fascia plantare, la quale si può presentare su tutte
l’asse del piede, inoltre può anche presentarsi con delle irradiazioni a livello dei metatarsi
(prendendo il nome di metatarsalgia). Se la fascite plantare diventa cronica o recidivante, il corpo
(a seguito dei processi infiammatori) rilascia (e quindi deposita) dei sedimenti di calcio, i quali, a
seguito delle varie infiammazioni, porterà ad una calcificazione portando così nel caso della fascite,
alla formazione dello sperone calcaneare (((credo che intenda spina calcaneare, la quale appunto
si forma proprio a livello dell’inserzione della fascia plantare))), oppure ad una entesite del tendine
achilleo (quindi la calcificazione del tendine d’Achille a livello della sua inserzione sul calcagno) con
la formazione di una spina diretta in senso craniale.
Causa della fascite
Spesso la fascite plantare è causata da una retrazione della catena posteriore (in quanto essendo
le fasce in continuità, succede che una retrazione della catena posteriore, si ripercuote sulla fascia
plantare, causandone una retrazione), per cui nel paziente che presenta la fascite plantare, per
prima cosa dobbiamo capire cosa ha portato ad una retrazione delle catena posteriore e
normalizzarlo, successivamente si andrà a ripristinare a livello fasciale il piede.
Tramite il nostro trattamento avremo un miglioramento della vascolarizzazione, miglioramento
nell’innervazione, e miglioramento (e quindi ripristino della dinamica del piede) della dinamica del
piede (grazie al lavoro effettuato sulla fascia). Inoltre se abbiamo eliminato la causa che ha portato
alla formazione dello sperone calcaneare, questo potrà regredire.
(Possiamo anche consigliare al paziente di fare ozonoterapia oppure fare una riprogrammazione
della catena posteriore, oppure fare le onde d’urto depotenziate)

Spiegazione del motivo per il quale si formano le calcificazioni


Entesite del tendine achilleo
A seguito dei processi infiammatori, il corpo rilascia (e quindi deposita) dei sedimenti di calcio, i
quali, a seguito delle varie infiammazioni, porterà ad una calcificazione. Nel caso del tendine
d’Achille (a seguito delle infiammazioni croniche o recidive), vi è il deposito di calcio a livello
dell’inserzione tendinea, con la conseguente formazione di una spina diretta in senso craniale.
ALLUCE VALGO
L’alluce valgo è causato dall’accorciamento del muscolo estensore che, quando
raggiunge livelli importanti (quindi quando è molto accorciato) causa una rotazione
verso l’interno, una estensione (l’estensione del primo dito può presentarsi sia
mandando l’alluce al di sotto del secondo dito, che al di sopra del secondo dito) ed
una abduzione, facendo sublussare così le due ossa sesamoidi.
Nei pazienti che presentano un alluce valgo patologico (quindi importante) è
possibile osservare un’importante lussazione dei sesamoidi, un’importante edema
per quanto riguarda la testa del primo meta con la prima falange, vi è
un’importante deviazione dell’asse del primo dito purtroppo non possiamo fare
granchè, mentre sui pazienti che presentano un alluce valgo ancora fisiologico o
congenito, si può effettuare una manovra di siderazione sulla struttura tendinea.

Esecuzione della tecnica


Per eseguire la tecnica, dobbiamo invertire i parametri che
causano l’alluce valgo, quindi: Siccome il primo dito tende
un po’ a lussare, allora attueremo una trazione sul suo asse
longitudinale (la trazione viene effettuata spostando il
nostro baricentro verso dietro), successivamente andremo
a fare una adduzione, una rotazione verso l’esterno ed una
flessione (già solo l’impostazione di questi parametri porta
ad un’importante allungamento del tendine),
successivamente andiamo ad effettuare una siderazione
del tendine.
TIBIA

TEST DI PRESSIONE SULLA TIBIA


La tibia ha una forma arcuata e noi andremo ad
effettuare una pressione nel vertice di questo arco
per saggiare la plasticità della tibita. Se il test
risulta positivo, vorrà dire che vi sarà una
disfunzione osteopatica, o alivello
dell’articolazione astragalo peroneale (quindi nella
parte inferiore del perone) oppure
nell’articolazione tibio peroneale (quindi nella
parte superior del perone) oppure potrebbe
essere una disfunzione a carico della membrana
interossea, oppure una disfunzione proveniente da una restrizione di movimento
da parte dei muscoli presenti a livello della gamba, una mancata elasticità del
perone, oppure un trauma/addensaento osseo a livello tibiale.

Esecuzione del test


Individuiamo la zona centrale della tibia ed effettuiamo una
pressione antero posteriore. Se abbiamo una positività alla
pressione allora andremo a valutare in ordine: la membrana
interossea, successivamente le lesioni intraossee sulla tibia,
successivamente la componente muscolare che si inserisce
a livello della tibia ed infine il perone.
MEMBRANAINTEROSSEA
MEMBRANA INTEROSSEA
La membrana interossea fa parte della fascia profonda. è una struttura
estremamente rigida (simile alla plastica dura come sensazione sotto le mani)
presenta della fibre che hanno una direzione in basso, in fuori e dietro (in quanto il
perone è collocato leggermente in posteriorità rispetto alla tibia) quindi le fibre
della membrana interossea vanno prevalentemente dall’alto al basso, dal davanti
al dietro e da dentro a fuori. Inoltre queste fibre si incrociano con altre fibre la cui
direzione è l’opposta di quella appena descritta, per cui queste fibre saranno dal
basso all’alto, da dietro verso l’avanti e da fuori verso dentro. L’incrocio di queste
fibre, fa si che nascano alcuni forami, di cui due molto importanti:

- un foro superiore prevede (nella maggior parte dei casi, in quanto vi


possono essere delle grosse variabili anatomiche) quindi prevede il
passaggio di sicuro (quindi anche se ci sono molte variabili anatomiche,
ma siamo certi che all’interno del foro passi l’arteria tibiale) dell’arteria
tibiale (la quale irrora tutta la faccia anteriore della gamba). Inoltre
secondo alcuni anatomisti ci passa un ramo dello sciatico

- un foro inferiore prevede il passaggio sicuro (quindi certamente passa)


la vena peroneale (la quale drena tutto il compartimento esterno
malleolare (quindi parte esterna della tibio tarsica). Inoltre secondo alcuni
anatomisti ci passa un ramo dell’arteria peroneale.
Il paziente presenta una distorsione di inversione di caviglia (quindi distorsione di 1° o 2° grado,
ovvero senza frattura ossea) con gonfiore perimalleolare esterno, dovuto allo stiramento-
sfilacciamento della componente legamentosa (ed in particolare, se la distorsione di inversione è
lieve, si può lesionare il legamento peroneo astragalico anteriore, nel caso in cui la distorsione sia
di maggiore entità, allora <oltre al peroneo astragalico anteriore> si potrebbe rompere/lesionare
anche il peroneo astragalico medio, mentre nei casi gravi di distorsione di inversione di caviglia, si
può rompere/sfilaccia anche il peroneo astragalico posteriore <normalmente questo avviene in
una distorsione di 2°-3° grado).

Inoltre, se il paziente presenta un gonfiore o un versamento anche nella regione mediale (((della
caviglia suppongo))) dobbiamo sospettare che vi sia una rottura della capsula articolare (quindi
possiamo sospettare di una rottura della capsula articolare, quando il paziente presenta un
gonfiore o un versamento anche nella parte mediale (((della caviglia suppongo))).

- Inoltre, se dopo aver trattato parecchie volte la caviglia del paizente (oltre ad aver consigliato al
paziente di fare tecar terapia, laser terapia e la rieducazione su tavoletta) e dopo due mesi il
paziente continua ad avere dolore, quindi permane un dolore ed una limitazione funzionale alla
caviglia (soprattutto in flessione dorsale del piede) allora dobbiamo pensare che vi sia un edema
della spongiosa (((vedi pagine precedenti in cui è spiegato in maniera dettagliata))).

- Mentre (((se dopo aver trattato il paziente))) il paziente dovesse presentare ancora un dolore al
collo dell’astragalo, allora il problema è causato da una fibrosi dei retinacoli (per cui bisognerà
andare a trattare i retinacoli <vedi pagine precedenti le tecniche>.
- Mentre se permane il gonfiore perimalleolare, si potrà effettuare un buon lavoro di
riarmonizzazione della membrana interossea (quindi dobbiamo lavorare la membrana interossea),
la quale porterà numerosi vantaggi, tra cui:
- aumenta il drenaggio (quindi aumenta il drenaggio della componente esterna perimalleolare <in
quanto se a monte i fori della membrana interossea sono chiusi, allora effettuando il lavoro sulla
membrana, andremo a liberare questi fori consentendo un drenaggio della zona perimalleolare>)

- aumenta la riuscita di una correzzione in thrust a livello dell’articolazione tibio peroneale


(superiormente), ma soprattutto dell’articolazione astragalo peroneale (inferiormente)

- abbiamo un miglioramento della componente neurovascolare (quindi un miglioramento


dell’informazione <neurologica> e dell’irrorazione)

- A seguito del trauma (come ad esempio la distorsione di inversione di caviglia) le inserzioni


muscolari sono state sollecitate in allungamento, per cui i muscoli risultano insatabili e deboli (per
cui l’instabilità e presente perché le inserzioni muscolari sono state sollecitate in allungamento) e
siccome alcuni muscoli trovano origne a livello della membrana interossea, risulterà chiaro come
un lavoro di riequilibrio della membrana interossea, porterà ad una riamonizzazione dei muscoli
che si inseriscono a questo livello.
A livello della gamba la fascia superficiale si occupa di rivestire tutti i muscoli
presenti a livello della gamba, mentre la fascia profonda è data dalla membrana
interossea.
Test della membrana interossea
Palpazione con accesso anteriore
Pieghiamo la gamba del nostro
paziente e ci sediamo con la nostra
natica sul suo piede (in maniera tale
da fissare la gamba).
Successivamente andiamo ad
individuare la cresta tibiale (((che
credo sia la parte tagliente della
tibia))) e successivamente andiamo
a spostare il muscolo tibiale
anteriore per poter entrare in
profondità a livello della proiezione
della membrana (la membrana è
molto profonda). per cui
effettueremo la palpazione di tutta
la membrana, andando ad
individuare le aree più dense.
(((Quindi per palpare la membrana interossea, dobbiamo porci
esternamente alla cresta della tibia, poi successivamente
spostiamo il muscolo tibiale anteriore verso l’esterno e così
possiamo penetrare in profondità, sulla proiezione della
membrana)))

Per cui effettueremo la palpazione di tutta la membrana


andando ad individuare la zona di massima densità.

La palpazione viene effettuata fino al tubercolo di Jerby

Tubercolo di Jerby
Palpazione con accesso posteriore
Andiamo con i nostri polpastrelli a deprimere i tessuti (in particolare i
gemelli ed il soleo) ci posizioniamo in mezzo tra i due muscoli (((credo
che intenda i muscoli gemelli))) ed eserciteremo una forza che va verso
l’avanti e leggermente verso il fuori (in quanto la membrana interossea
si trova in mezzo tra tibia e perone (((ed è leggermente lateralizzata,
infatti il Prof ci fa vedere come la membrana si trovi in mezzo tra le sue
mani))).

Per cui effettueremo la palpazione di tutta la


membrana andando ad individuare la zona di
massima densità.
Trattamento della membrana interossea
Una volta individuata la massima densità a livello della membrana interossea, è
possibile utilizzare varie tecniche per lavorarla:

- tecnica globale (tecnica a taglio)


è possibile posizionarci a livello della membrana interossea sia con
il dito a taglio, che con la nocca. Si effettuerà un movimento a taglio,
in maniera molto lenta, su tutta la lunghezza della membrana.

- Ponsage
Possiamo effettuare un ponsage sia attraverso un accesso
anteriore, che attraverso un accesso posteriore (anche se
questo è leggermente più doloroso per il paziente).
Durante il ponsage (per salvaguardare le articolazioni)
conviene sempre utilizzare le due dita in contrappoggio.
- tecnica riarmonizzante dei tessuti

Per eseguire questa manovra, dobbiamo porre la


colonna del pollice a livello del bordo esterno della cresta tibiale,
mentre il resto della mano impugna la tibia posteriormente,
andando a porre le dita a livello delle linea medina dei due
gemelli effettuando appunto un contrappoggio posteriore

mentre l’altra mano viene posizionata come la


precedente, solo che la colonna del pollice si
troverà a livello del perone, e la restante parte
della mano (come per la precedente) si
posizionerà a livello della linea mediale dei
gemelli effettuando appunto un contrappoggio
posteriore.

In questa maniera, la mano destra può


mobilizzare (e quindi gestire) la membrana
interossea per quanto riguarda la componente tibiale, mentre la mano sinistra può
mobilizzare (e quindi gestire) la membrana interossea per quanto riguarda la
componente peroneale. Per cui una volta individuato il punto di maggiore densità
ed aver posizionato le mani, andiamo ad effettuare un movimento lemniscale,
quindi andremo a mobilizzare nei vari piani dello spazio, e nel momento in cui
troviamo una maggiore densità (((e quindi una resistenza del tessuto))) si mantiene
la posizione, fin quando i tessuti si lasciano andare e poi successivamente
riprendiamo ad effettuare il movimento lemniscale.
A seguito della tecnica/manovra, è possibile osservare <soprattutto nelle donne e meno negli
uomini> (((nel punto in cui abbiamo effettuato l’appoggio con i pollici))) una depressione, la quale
viene definita segno della fovea. Se questo segno della fovea (((e quindi questa
depressione/impronta) si riassorbe nel giro di 15/30 secondi allora siamo nella fisiologia, mentre se
questo segno è ancora presente dai 40 secondi fino al minuto allora il nostro paziente presenta una
forte ritenzione idrica ed un inizio di edema linfatico, mentre se il segno permane dopo il minuto e
mezzo (90 secondi) siamo di fronte ad un problema di ritardo venoso.
Ovviamente è chiaro che se stiamo “un’ora” con la pressione in quel punto, il segno non può sparire in pochi secondi
Tibia, componente ossea

Tecnica
Tecnicadidirecoil
recoilsulle
sullelesioni
lesioniintraossee
intraosseedella
dellatibia
tibia

Il recoil è una tecnica diretta (quindi contro barriera). È una manovra veloce, che
ha come risultanza quella di provocare una vibrazione longitudinale con un effetto
similare a quello del cane della pistola (mentre nella siderazione si faceva vibrare il
tendine <come un elastico> in maniera trasversale rispetto alle sue fibre, nel recoil
si ha un effetto simile a quello che ha il cane della pistola, ovvero ).
Noi eseguiremo il recoil sulle lesioni intraossee (e nel caso della tibia, lo eseguiremo
sulle lesioni intraossee presenti sulla cresta tibiale <vedi dopo la spiegazione del
recoil per vedere il test sulla tibia>)

Prima di effettuare la tecnica recoil, il prof spiega cosa sono le lesioni intraossee e quali sono
le teorie neurologiche che stanno alla base del recoil.

Lesioni intraossee
Le lesioni intraossee sono delle zone di riorganizzazione trabecolare, che si originano a causa
di:
- o di un problema di mal distribuzione del carico
- oppure a seguito di un trauma diretto (molto più frequentemente)
Le lesioni intraossee si presentano come delle zone maggiormente dense (a livello osseo
ovviamente). (((queste lesioni intraossee possono essere trattare attraverso il recoil)))

Recoil
Zone di utilizzo del recoil
Noi utilizzeremo il recoil sia per le lesioni intraossee (quindi a livello osseo) che nei punti di
inserzione tendinee/legamentose a livello dell’osseo (((quindi proprio nei punti in cui il
tendine si inserisce a livello dell’osso))), mentre non lo utilizzeremo a livello dei tessuti
puramente molli (in quanto è difficile trovare un punto di aggancio) come ad esempio a
livello dei ventri muscolari (quindi è sconsigliato effettuarlo a livello dei ventri muscolari).
Spiegazione neurologica del recoil (e del tender point)
Il recoil non ha spiegazione dal punto di vista scientifico(quindi non ha supporti scientifici),
ma è possibile dare solo una spiegazione di tipo neurologico, ovvero:
la spiegazione viene data dalle vie afferenti ed efferenti che trovano come risultanza sia le
vie lemniscali (principalmente) sia le vie extrameniscali (secondariamente), trovano la
risultanza in un apporto di un’informazione in un’area corporea dove in quel momento il
paziente non ha coscienza di una problematica locale. Normalmente il paziente (in una
lesione intraossea oppure in una zona a spot <ovvero zona in cui troviamo la densità e dove
successivamente decidiamo di fare il recoil> non ha coscienza di aver dolore (((quindi nelle
zone in cui vi è una densità importante o una lesione intraossea, il paziente non ha dolore in
quella zona, o comunque non ha coscienza di aver dolore))) e proprio quell’area prende il
nome di tender point (ovvero un punto con un cambiamento della sensibilità).
Quindi il tender point è un’area del nostro corpo con un cambio della sensibilità e
normalmente (quindi nella maggior parte dei casi) è di natura non cosciente per il paziente
(quindi il paziente non verrà da noi in studio per quel dolore riferito a questa zona) ed inoltre,
quest’area potrebbe trovarsi lontano rispetto alla sintomatologia che presenta il paziente.
Il tender point è una zona estremamente piccola dal punto di vista della geolocalizzazione,
dove è presente una densità, questa potrebbe essere dolorosa per il paziente, per cui il corpo
di fronte al dolore attua un sistema (per non avere dolore appunto) quindi neurologicamente
isola il dolore (ed ovviamente questo non vuol dire che questo punto non continui a creare
delle interferenze neurologiche) creando una zona di buio. Se noi in questa zona di buio
(creato dal corpo) accendiamo una lampadina (quindi accendiamo la luce in quel punto)
facciamo tornare cosciente un’area che il corpo aveva zittito.
(((la premessa è che: se viene eliminata la causa per la quale si era formata la lesione
intraossea <come ad esempio una mal distribuzione del carico>, possiamo andare a trattare
la lesione intraossea e quindi dare un’informazione alla lesione intraossea. Questa
informazione se ben data (utilizzando ad esempio il recoil, quindi andando ad accendere una
lampadine in quella zona buia), viene elaborata dal corpo (sistema nervoso) che
(effettivamente vede che quell’area densa, non presenta più il dolore continuo, quindi ) invia
un segnale di tipo inibitorio facilitatorio (proveniente dalla zona 4s della zona corticale) che
spenge e l’area di dolore.
Quindi se ad esempio quella lesione intraossea era data da una problematica di distribuzione
del carico (mal distribuzione del carico derivante da una disfunzione viscerale ad esempio) e
noi trattiamo il paziente, quindi eliminiamo la causa della mal distribuzione del carico, allora
successivamente possiamo andare a trattare la lesione intraossea, per cui: se noi in questa
zona di buio diamo (quindi a livello della lesione intraossea e quindi del tender point) diamo
un’informazione che (se ben data) viene elaborata dal corpo (il corpo capisce che non vi è più
la necessità di mantenere quella zona densa, e quindi quella zona non da più fastidio) per cui
il corpo rilascia un segnale di tipo inibitorio facilitatorio (proveniente dalla zona 4s della zona
corticale) e spegne l’area di dolore. Vedi dopo per la spiegazione logica
(((
Quando effettuiamo una palpazione ed individuiamo una zona di massima densità, ad
esempio a livello osseo, (quindi una lesione intraossea in questo caso) oppure in una zona
spot (ovvero un’altra zona in cui troviamo la massima densità), dobbiamo pensare che
quella zona presenta un cambiamento/alterazione della sensibilità e che quella zona viene
definita tender point. Il tender point è una piccola zona in cui il cervello ha attuato un
cambiamento della sensibilità (questo avviene perché quel preciso punto, causa un dolore
continuo al cervello, per cui questo <il cervello> attraverso le vie ascendenti e discendenti,
attua attraverso le vie lemniscali (maggiormente) ed extralemniscali (secondariamente)
un’inibizione della sensibilità di quel punto doloroso <appunto per non avere dolore> quindi
la spegne/rende buia quella zona). Normalmente il tender point non è un punto che provoca
dolore al paziente (((ad esempio nella sua vita quotidiana))), quindi non è di natura
cosciente per il paziente, ovvero il paziente non verrà in studio da noi dicendoci che ha
dolore nella zona di massima densità (zona di massima densità che potrebbe essere una
lesione intraossea, oppure una zona spot), però allo stesso tempo, questo è un punto che
se viene stimolato (come ad esempio con una pressione), può causare parecchio dolore.
Inoltre, quest’area (tender point) potrebbe trovarsi lontana rispetto alla sintomatologia che
presenta il paziente (((quindi ad esempio una lesione intraossea al livello della tibia <quindi
un tender point a livello della tibia> può causare una sintomatologia alla gabbia toracica))).

La premessa è che: se viene eliminata la causa per la quale si era formata la lesione
intraossea (come ad esempio una mal distribuzione del carico), possiamo andare a trattare
la lesione intraossea e quindi dare un’informazione alla lesione intraossea. Questa
informazione se ben data (utilizzando ad esempio il recoil, quindi andando ad accendere
una lampadine in quella zona buia), viene elaborata dal corpo (sistema nervoso) che
(effettivamente vede che quell’area densa, non presenta più il dolore continuo, quindi )
invia un segnale di tipo inibitorio facilitatorio (proveniente dalla zona 4s della zona corticale)
che spenge l’area di dolore.
)))

Di seguito la stessa spiegazione, scritta in maniera


diversa (MA CONVIENE LEGGERLE ENTRAMBE)
(((
Se in una zona del corpo, si crea una problematica (zona di massima densità), questa inizierà
a creare un dolore continuo. Il cervello per evitare di avvertire continuamente questo dolore
continuo, inibisce la sensazione dolorifica di quel preciso punto (quindi crea
un’alterazione/modificazione della sensibilità di quel preciso punto) creando così una zona
buia. Questa zona viene definita tender point e corrisponde appunto alla zona in cui
riscontriamo la maggior densità (la quale può essere localizzata a livello osseo <e quindi
definita lesione intraossea>, oppure può essere localizzata a livello di un'altra parte del
corpo <e quindi definita zona spot>.
La zona di maggior densità, normalmente, non è una zona in cui il paziente avverte dolore,
per cui “normalmente” il paziente non si presenta in studio dicendo che presenta un dolore
nella zona di massima densità, anche se comunque quest’area maggiormente densa, se
stimolata, comporta un notevole dolore.
Se per esempio la lesione intraossea è provocata da una errata distribuzione del carico
causata a sua volta da una disfunzione viscerale, risulterà chiaro come prima di andare a
lavorare la lesione intraossea, occorrerà eliminare la causa che ha portato la formazione
della lesione intraossea e quindi l’errata distribuzione del carico (per cui dobbiamo
normalizzare la disfunzione viscerale). Una volta normalizzata la disfunzione viscerale (e
quindi una volta eliminata la causa) possiamo andare trattare la lesione intraossea. La
lesione intraossea può essere trattata con il recoil, il quale non fa altro che riaccendere la
luce in quella zona in cui il sistema nervoso avevo spento la luce (per evitare il dolore
continuo) a seguito del recoil, verrà lanciata un’informazione che viene direzionata al
sistema nervoso centrale, il quale elabora l’informazione (ovvero valuta che non è più
presente il dolore che era riferito alla scorretta distribuzione del carico) e manda attraverso
la zona corticale 4s un segnale di tipo inibitorio facilitatorio che normalizzerà la lesione
intraossea.
)))

Se sbagliamo ad eseguire il recoil (perché per esempio ci mettiamo molta forza), e


quindi se siamo molto aggressivi nella messa in tensione e provochiamo dolore al
paziente, allora il corpo manderà uno stimolo contrario, ovvero aumenterà il dolore
in quella zona e quindi andrà ad aumentare la lesione intraossea (per cui arrivati a
quel punto non possiamo più trattare il paziente in quella seduta, e dobbiamo
aspettare che passino almeno 48/72 ore prima di ritrattarlo nuovamente
SPIEGAZIONE DEL TRIGGER POINT (punto grilletto e quindi punto di attivazione)
Il trigger point si evidenzia con un piccolo chicco di riso o qualcosa di simile. Il trigger
point deve essere stimolato per generare una risposta in qualche altra parte del
corpo. I trigger pont possono essere dimentsionati nei riflessi di chatman (i quali
sono localizzati a livello della colonna), i riflessi di bennet (era un chiropratico che
scopri che stimolando in maniera specifica i vari punti craniometrici si avevano delle
risposte neurovascolari in precise parti del corpo).
TEST DI PLASTICITA’ SULLA TIBIA (per individuare una lesione
intraossea)
(dopo aver effettuato il test di pressione sulla tibia, il quale ci avrà dato
esito positivo, andiamo a valutare la membrana interossea e se anche
quella non presenta alcuna problematica, andiamo a valutare la tibia
ricercando una lesione intraossea). Per individuare una lesione
intraossea, dobbiamo effettuare un test di plasticità della tibia a livello
della cresta tibiale, ovvero (((poniamo i pollici adiacenti ed andiamo ad
effettuare una spinta con i pollici lungo tutte l’asse della cresta tibiale))).
Una volta individuata una zona di maggior densità (lesione intraossea)

ESECUZIONE DELLA TENCNICA RECOIL (per le piccole zone di densità)


Effettuiamo un punto di contatto con un polpastrello, mentre l’altra mano
effettuerà un contrappoggio a livello dell’unghia della prima mano che abbiamo
posizionato. Le mani stanno aperte a farfalla (le mani aperte ci serviranno a
visualizzare i vari piani dello spazio che dobbiamo testare ed accumulare come
tensione)
Quindi per prima cosa andiamo a posizionate le dita sulla zona da trattare (zona
densa) stando attenti ad essere precisamente sul tessuto che dobbiamo trattare.
Successivamente andiamo a muovere le mani nei vari piani dello spazio andando a
ricercare il movimento (per ogni piano dello spazio) che mi porterà ad un aumento
della densità sotto le nostre dita, quindi: facciamo il movimento sul piano para-
sagittale ed andiamo a creare un punto perno nel movimento che mi aumenta la
densità sotto le dita (e manteniamo) successivamente andiamo a fare lo stesso sul
piano para-frontale, e sul piano para-orizzontale. Una volta impostati i parametri
effettuiamo un rilascio rapido (il quale provocherà una vibrazione longitudinale)
(quindi una volta impostati i tre parametri sui tre piani dello spazio, si effettuerà
semplicemente un rilascio veloce delle dita <attraverso un movimento a stantuffo>.
Quando la tecnica è eseguita correttamente viene (e quindi viene rilasciata una
buona vibrazione longitudinale) è possibile udire un suono definito dai romani
“schizza” ovvero il rumore che fa l’unghia quando sbatte contro l’altra. La tecnica
deve essere ripetuta 2-3 volte
MANOVRA AD INDUZIONE SULLA COMPONENTE OSSEA (utilizzabile in caso di
densità ossee maggiormente estese <o lesioni intraossee maggiormente estese>)
Quando riscontriamo una zona di densità (a livello osseo) maggiormente estesa,
allora possiamo effettuare una manovra ad induzione. Quindi dopo aver effettuato
il test di pressione ed aver individuato un’area maggiormente densa (un’area più
estesa) possiamo lavorare questa zona effettuando una pressione antero
posteriore fino ad essere proprio a livello osseo (quindi non è una pressione
importante) e successivamente andiamo a mobilizzare il tessuto osseo nei vari piani
dello spazio. Se durante la mobilizzazione riscontriamo che il tessuto osseo non
vuole farsi mobilizzare in alcuni piani dello spazio (e quindi in alcuni movimenti)
allora manteniamo la posizione (quindi dove non vuole andare lo mando e lo
mantengo) ed aspettiamo che i tessuti si riorganizzano e solo successivamente
continueremo la mobilizzazione sui piani dello spazio.
SIDERAZIONE sulla componente muscolare della tibia
Normalmente, la siderazione a livello della tibia, vengono effettuate maggiormente
ai muscoli gemelli (in quanto, la maggior parte delle retrazioni a livello della fascia
plantare, le quali appunto generano conseguentemente fasciti, spine calcaneari,
entesiti del tendine achilleo, sono dettate quasi sempre da una retrazione delle
fasce presenti a livello della catena posteriore (quindi gemelli, bicipite femorale),
mentre (((dei muscoli della componente anteriore e laterale))) si vanno a siderare
solo il tibiale anteriore ed i muscoli peronieri, quando questi (tibiale anteriore e
peronieri) sono in spasmo.

Palpazione ed esecuzione della tecnica


Per cui effettuiamo una palpazione dei muscoli gemelli (((con entrambe le mani)))
ed andiamo a valutare se vi sono delle densità. Nel
momento in cui andiamo ad individuare una
densità, eseguiamo una siderazione (ovvero
agganciamo il ventre muscolare e lo facciamo
vibrare trazionandolo, e quindi non utilizzando la
nocca oppure il singolo dito) e siccome il paziente è
sul lettino (quindi la gamba è in scarico) allora
bisognerà mettere un po’ in più di forza per
ingaggiare il ventre ( quindi le siderazioni sui gemelli funzionano molto bene
quando il paziente è in piedi <e quindi in carico>).
La tecnica viene rieseguita fin quando la componente la densità non scompare.
Siccome quello che andiamo ad effettuare è un riflesso (quindi lo stimolo arriva a
livello del midollo e torno a livell o della densità, < la siderazione è più veloce del
rocil in quanto la siderazione attua un riflesso che arriva al midollo e torna, mentre
il recoil deve arrivare a livello della corteccia>) il tempo che occorre tra una
siderazione e l’altra è veramente minimo.

Siderazione sui peronieri Siderazione sul tibiale anteriore


Perone

posiziono la testa della perone (parte prossimale del


perone) tra tenar ed ipotenar di una mano, mentre a
livello dell’altra mano posizioniamo tra tenar ed
ipotenar il malleolo (parte distale del perone). I gomiti
devono essere in asse con la fibula (quindi devono
essere come una prosecuzione della fibula). Quindi
attuiamo inizialmente una compressione e
successivamente andiamo a valutare la fibula sui vari
piani dello spazio, quindi andremo a verificare:
- Se il perone si alza (effettuando una spinta con entrambe le
mani verso l’alto)
Traslazione superiore
- se il perone si abbassa
- rotazione esterna
- Rotazione interna
- Torsione in entrambi i sensi Traslazione inferiore

Dove avvertiamo che non vuole andare, la portiamo (sempre


mantenendo la compressione) e manteniamo la posizione fin
quando il perone non si lascia andare (quindi si libera). Questa
è un’ottima tecnica da utilizzare dopo un eventuale thrust a
livello della testa o del malleolo del perone (ovvero se
trastiamo ed a seguito del trust sentiamo che va
Rotazione esterna
meglio, ma abbiamo la sensazione che vi sia
ancora una compattezza delle faccette articolari, allora
possiamo effettuare questa tecnica per riequilibrarla, in
quanto ci sono molte situazioni in cui il perone fa fatica a
ritrovare la sua fisiologia<perché magari ha subito un trauma
importante, oppure perché presenta delle fibrosi importanti).
La tibia ha il ruolo di trasferire la forza dall’alto al basso, mentre il perone Rotazione interna
svolge un ruolo di sistema adattativo di orientamento del piede rispetto
alla coscia.

torsione torsione
In sintesi… tabella riassuntiva

Effettuiamo il test di pressione sull’articolazione a livello della parte centrale della


tibia. Se il test risulta positivo allora dobbiamo andare a valutare:

1) la MEMBRANA INTEROSSEA
Test → palpazione anteriore e posteriore. Effettuiamo una palpazione di tutta la
membrana andando ad individuare i punti di maggior densità
Trattamento → tecnica globale ; ponsage ; tecnica riarmonizzante

2) LESIONI INTRAOSSEE SULLA TIBIA


Test → Per valutare se vi sono delle lesioni intraossee a livello della tibia possiamo
effetuare due test:
A. un test di pressione antero posteriore (simile uguale al test di pressione sulla
tibia, solo che lo effettuiamo su tutta la sua lunghezza)

B. oppure possiamo fare un test di plasticità della tibia


trattamento → nel caso in cui dovessimo individuare delle lesioni intraossee di
piccole dimensioni, allora possiamo effettuare un recoil, mentre se troviamo delle
lesioni intraossee più grandi (quindi delle aree di densità maggiore a livello osseo)
allora possiamo effettuare la manovra ad induzione.

3) LA COMPONENTE MUSCOLARE
Test → palpazione dei muscoli gemelli, muscolo tibiale anteriore, muscoli peronieri
Trattamento → siderazione dei muscoli sopra citati

4) IL PERONE
Test → test del perone nei vari piani dello spazio
Trattamento → srotolamento fasciale (movimento lemniscale perone)
GINOCCHIO

RIPASSO DELL’ANATOMIA E
DELLLA FISIOLOGIA DEL
GINOCCHIO (parte posteriore)
tutte le volte che vi sono dei
traumatismi al ginocchio, entrano
in azione il muscolo plantare ed il
muscolo popliteo, per cui ogni
volta che vi è un traumatismo al
ginocchio dobbiamo trattare
questi due muscoli. La sua azione
è prevalentemente flessoria
quindi effettua i primi gradi di
flessione del ginocchio. A livello
del cavo popliteo abbiamo il
passaggio neurovascolare di il
nervo popliteo (il quale deriva dal
nervo sciatico) l’arteria poplitea e la vena poplitea ed inoltre abbiamo i passaggi
linfatici.
TEST DI PRESSIONE

Per effettuare il test di pressione dobbiamo


porci a ridosso dell’interlinea articolare che vi
è tra il femore e la tibia (ma ovviamente sulla
porzione della tibia). Quindi tra il condilo
femorale e la tibia, troviamo uno spazio, il
quale appunto è l’interlinea articolare, per cui
noi dobbiamo porre la nostra mano al di sotto
dell’interlinea articolare.

Esecuzione del test


Effettuiamo una spinta antero posteriore e valutiamo quale tra le due ginocchia
presenta la maggiore densità.
Di solito lo si aggancia in questo modo
Approccio al muscolo popliteo

il muscolo popliteo ha un andamento da fuori a dentro e


dall’alto verso il basso (quindi ha un andamento diagonale).
Lo agganceremo con la mano esterna (la quale deve essere
posizionata in questa maniera) ed effettuo la palpazione.
Per palpare il muscolo popliteo
dobbiamo ricordare che questo, palpazione
parte proprio al di sopra della testa
della fibula (a questo livello arriva
anche il muscolo bicipite femorale e
del muscolo gastroecnemio, per cui
per evitare di inglobarli, dobbiamo
cercare di porci più medialmente
rispetto al loro passaggio (((quindi
più medialmente rispetto la testa
della fibula))) <oppure dobbiamo
passare il tendine del
gastroecnemio ed andare verso
l’avanti>). Una volta arrivati a livello del muscolo popliteo,
effettuiamo una palpazione di questo ed andiamo a valutare
se vi sono delle zone di maggiore densità. Quando il muscolo
popliteo è fibroso, il tendine si sente molto bene, per cui lo
andremo a lavorare attraverso la siderazione, mentre
quando non è presente la fibrosi, e non è presente questa
densità (a livello del popliteo
ovviamente) ed inoltre il ginocchio siderazione
riesce a stendersi bene (((senza
mantenere un piccolo grado di flessione))) allora vuol dire
che non dobbiamo trattare il muscolo popliteo).
Per cui una volta individuata l’area di maggiore densità a
livello del muscolo popliteo (((quindi andremo a valutare
il muscolo popliteo lungo tutto il suo ventre ed
individueremo l’area di maggior densità))), effettuiamo
una siderazione.
LOSANGA DEL POPLITEO
Per osservare la losanga del popliteo
occorre far posizionare il paziente in
posizione prona e successivamente
chiediamo di effettuare una flessione
della gamba contro resistenza (in questa
maniera si evidenzierà la losanga del
popliteo). All’interno di quest’area è
possibile anche sentire il polso dell’arteria
poplitea, abbiamo il passaggio del nervo
popliteo e la vena poplitea, per cui quando faremo le pressioni,
dobbiamo stare attenti a non insultare queste strutture (((quindi
dobbiamo semplicemente fare una pressione graduale per evitare di
irritare la zona))).

Per effettuare una palpazione di questa


palpazione
zona, (((quindi dentro la losanga poplitea)))
poiano il piede del nostro paziente a livello
del nostro cavo sottoascellare e
successivamente, attraverso il movimento
del nostro corpo in anteriorità, facciamo
effettuare un movimento di flessione della
gamba del nostro paziente, in maniera tale
da detendere i tessuti e poter così entrare
all’interno della losanga poplitea e valutare
se vi sono delle zone di densità. Quando durante la pressione percepiamo una
struttura maggiormente rigida, vorrà dire che siamo arrivati a livello della
proiezione della capsula articolare (margine posteriore della capsula). Per cui una
volta arrivati a livello della capsula, effettuiamo la sua palpazione ed in base a dove
rileviamo la sua massima densità oppure una sua fibrosità, possiamo pensare al
tipo di strutture che sono in lesione (come ad esempio il tendine del semi
membranoso oppure se la fibrosi è più laterale, possiamo pensare alle espansioni
del legamento collaterale esterno.
ponsage
Per cui una volta individuata una zona di
densità, possiamo andare ad effettuare un
ponsage (quindi mantenendo il piede in
posizione di palpazione, possiamo
effettuare questo ponsage) fin quando
sentiamo che la densità-fibrosi, si rilascia.

Nei ginocchi post traumatici, a livello della losanga poplitea, è possibile trovare una pallina colma di
liquido, quella è una cisti di beker. La cisti di beker si forma perché il ginocchio traumatizzato, è
infiammato e viene produce più liquido e proprio questo liquido trova spazio in una delle borse
posteriori del ginocchio (quindi si è creato uno sfaldamento capsulare ed il liquido ha trovato quella
strada per uscire) (vi sono 12 borse a livello del ginocchio tra anteriori e posteriori). Nel momento in
cui è presente una cisti di Beker si potrà effettuare un trattamento di rivascolarizzazione (anche
perché la sinovia non si drena a livello vascolare, in quanto la sinovia viene prodotta all’interno della
capsula articolare, quindi o aspettiamo che il corpo la riassorba, oppure deve essere aspirata).
RIPASSO DELL’ANATOMIA E
DELLLA FISIOLOGIA DEL
GINOCCHIO (parte anteriore)
Menischi

test
posizionamento del paziente
poniamo il nostro paziente seduto a bordo lettino, mentre noi ci posizioniamo
seduti di fronte a lui. Solleviamo di poco (in direzione del tetto) la gamba del nostro
paziente e la agganciamo a pinza (quindi la chiudiamo a pinza tra le nostre gambe),
in maniera tale da non lasciare a risposo il ginocchio del nostro paziente, ma
appunto per lasciarlo leggermente sollevato (((quindi leggermente verso il tetto))).
Quindi noi portiamo verso il tetto il ginocchio del nostro paziente e
successivamente lo blocchiamo a pinza tra ne nostre gambe, in maniera tale che la
gamba (((non sia totalmente in scarico e quindi a riposo) ma allo stesso tempo, una
volta agganciato (il ginocchio) la paziente deve rilassarsi il ginocchio (((e quindi
mettere a riposo la muscolatura del ginocchio, in maniera tale che non abbia
tensioni muscolari))).

posizionamento delle dita


Per posizionare le dita, dobbiamo inizialmente localizzare l’interlinea articolare (tra
femore e tibia) e successivamente dobbiamo porre le mani a “C” in maniera tale
che possiamo posizionare i nostri indici posteriormente (e più precisamente a
livello della proiezione dei corni posteriori) ed i pollici anteriormente (e più
precisamente a livello della proiezione dei corni anteriori). Nello specifico:
dita anteriori (i pollici)
i pollici vengono posizionati ai lati del tendine rotuleo (e del tendine rotuleo)

dita posteriori (gli indici)


- per individuare il corno posteriore del menisco laterale, dobbiamo essere sulla
proiezione mediale rispetto all’arrivo del tendine del bicipite femorale ((( quindi
dobbiamo individuare il tendine del bicipite femorale e porci medialmente
???rispetto la sua inserzione???)))
- per individuare il corno posteriore del menisco mediale, dobbiamo farci guidare
(((quindi credo intenda seguire))) il muscolo semi membranoso e poi portarci più
lateralmente (quindi verso l’esterno del ginocchio) ((( rispetto al tendine del semi
membranoso credo???)))
Test
Il test consiste nella mobilizzazione viscoelastica dei menischi. Per cui andremo ad
indurre una posteriorizzazione dei menischi ed una anteriorizazione dei menischi
(ovviamente le induzioni di anteriorizzazione e di posteriorizzazione devono essere
effettuate su entrambi i menischi contemporaneamente). Quindi andremo a
valutare se uno dei due menischi pone maggiore resistenza a questa induzione
visco elastica (((quindi dove sentiamo che il menisco non vuole farsi mobilizzare, lo
blocchiamo li fin quando vi è un rilasciamento tissutale))).

Esempio di disfunzione
Se ad esempio il corno anteriore del menisco mediale non
si lascia posteriorizzare, allora possiamo pensare che: ha
difficoltà a strecciarsi (quindi allungarsi) la componente
inserzionale prossima (((quindi credo che intenda vicina)))
all’inserzione del legamento L.C.A. (in quanto sono molto
vicine alle inserzioni) che il corno anteriore del menisco
mediale. (((quindi credo che il professore intenda dire che
vi sia una difficoltà a strecciarsi della parte più anteriore
del legamento crociato anteriore <<<in quanto sono
molto vicini>>>, che del corno anteriore del menisco
interno)))

Ovviamente questo non è un riposizionamento come quando lo effettuiamo con la


manovra balistica (((quindi credo intenda con una tecnica diretta sui menischi per
riposizionarli))) ma è un’ottima tecnica preparatoria prima di eseguire quella
balistica (o viceversa)
CONTROINDICAZIONE AL TRATTAMENTO FASCIALE

Esistono poche controindicazioni alle tecniche fasciali, tra queste abbiamo:


- qualsiasi patologia a carattere dermatologico (quindi presenza di funghi,
problematiche virali, ferite, tagli)
- strappi muscolari, stiramenti muscolari)
- infezioni
- se il paziente presenta febbre
- patologie importanti a carico dell’apparato vascolare (tomboflebite, trombosi venose)
<per esempio davanti ad una patologia importante vascolare è meglio utilizzare delle
tecniche strutturali>
Se per esempio vi è un paziente che ha subito recentemente un intervento di protesi
d’anca (e quindi prende i farmaci per la coagulazione, quindi anticoagulanti ecc) se noi
andiamo a fare una tecnica fasciale come lo srotolamento ad esempio, possiamo fare
partire un trombo.
MOBILIZZAZIONE FASCIALE GINOCCHIO (movimenti fini tra tibia e femore)
Posizionamento delle mani
Dobbiamo posizionare le mani in maniera tale da
formare una losanga, all’interno della quale poniamo la
rotula del nostro paziente (((quindi poggiamo le mani
ponendo al centro la rotula del paziente))).
Successivamente dobbiamo posizionare le mani a “C” e
quindi dobbiamo porre:

mano craniale
l’indice viene posto a livello del condilo mediale del femore, mentre il pollice viene
posto a livello del condilo mediale del femore

mano caudale
impugna la tibia (viene posta quindi proprio sotto il piatto tibiale)

Una volta posizionate le mani, dobbiamo stare attenti a lasciare libera l’interlinea
articolare.

esecuzione del test


- per cui effettueremo una compressione ed una trazione
- una rotazione interna ed una rotazione esterna (della tibia)
- scivolamento interno e scivolamento esterno (della tibia)
- anteriorità della tibia (effettuando una spinta antero-posteriore sul femore) ed
una anteriorità della tibia (effettuando una spinta antero-posteriore sulla tibia)
- abduzione ed adduzione
TEST

compressione trazione

Rotazione interna Rotazione esterna

Scivolamento interno
Scivolamento esterno

Anteriorità della tibia posteriorità della tibia

Effettuiamo questi test e troviamo il parametro disfunzionale. Per cui sentiamo dove non vuole andare lo porto e
poi lo mantengo, fin quando non avviene il rimaneggiamento tissutale. Questa tecnica è molto anche quando il
ginocchio è una lesione secondaria

abduzione adduzione
COME IL PROFESSORE LAVORA IN STUDIO
Quindi effettua i test pressori, successivamente bilancia le aree maggiormente
dense che ha trovato e cerca di selezionarne 2-3 aree (quindi quelle
maggiormente dense) e poi va a lavorare su quella maggiormente densa.
Il prof generalemente fa un test di pressione e poi testa la parte strutturale, ed
una volta individuata la disfunzione osteopatica strutturale, in base al paziente
che ha davanti, si crea un piano di trattamento, ovvero, una volta trovata la
disfunzione cerca di capire se il paziente ha bisogno prima un trattamento
fasciale preparatorio e poi il thrust oppure se ha bisogno prima del thrust e poi
eventualmente del fasciale (ovvero effettua il thrust e poi lo ritesta, e nel
momento in cui il test di mobilità non lo convince appieno, allora effettua anche
il trattamento fasciale)
CANALE DI HUNTER

(((il canale di Hunter o anche definito canale degli


adduttori, è un canale fibroso localizzato nella parte
infero-mediale della coscia e decorre in senso
longitudinale. Il canale di Hunter è delimitato
medialmente dal muscolo adduttore lungo – e dal grande
adduttore, mentre lateralmente dal muscolo vasto
mediale, mentre proprio al di sopra di questo canale
troviamo il muscolo sartorio. Inoltre il canale di
Hunter lo si può intendere come un collegamento
tra il triangolo di scarpa <più precisamente l’apice
della piramide> e la fossa poplitea
<o anche detta losanga poplitea>)))

Il canale di hunter è un passaggio


fasciale che fa da ponte al passare di
due strutture neurovascolari ovvero
il nervo safeno e l’arteria femorale
superficiale (queste due strutture
sono deputate ad irrorare ed innervare (da un punto di vista
sensitivo) la faccia mediale del ginocchio, della patella e la faccia
inferiore (quindi il tendine rotuleo). (vedi dopo tabella caso clinico)
Individuazione del canale di Hunter
Per individuare il canale di hunter dobbiamo
chiedere al paziente di contrarre il muscolo
sarto rio (((???in maniera tale da porre
successivamente le nostre dita a livello del
muscolo sartorio e del vasto mediale???))).
Successivamente dobbiamo porre le mani a
livello del canale di Hunter ed aprirlo.

Trattamento
Per eseguire la tecnica (e quindi per aprire il canale di Hunter) possiamo posizionare
le mani in maniera differente:

possiamo porci in questa maniera

Oppure possiamo porci in quest’altra maniera, ovvero


utilizzando la colonna del pollice (il Professore
preferisce questa). Per cui andiamo a posizionare la
colonna del pollice della mano esterna a livello del
muscolo sartorio, mentre la colonna del pollice della
mano interna a livello del muscolo adduttore. Per cui
andiamo ad aprire il canale di Hunter lungo tutta la sua
lunghezza, a quale va da qui a qui.

Apertura del canale di Hunter

Attraverso questa tecnica diamo elasticità a questa zona,


migliorando così il passaggio vascolare e neurologico
Palpazione della bandeletta lungo tutta la sua lunghezza

BANDELETTA

TEST
Andiamo ad effettuare una palpazione della bandeletta,
andando a ricercare una zona di maggiore densità, su
tutta la sua lunghezza.

ponsage Nel momento in cui troviamo una zona di


maggior densità, effettuiamo un ponsage su di
essa. l’osteopata si pone dal lato della
bandeletta da trattare.

Mentre se riscontriamo una piccola area di


siderazione
densità, o percepiamo un’area di densità a
forma di chicco di riso (come quelle che si
possono riscontrare sulla fascia plantare)
possiamo anche effettuare una siderazione.

Queste manovre hanno un effetto immediato sull’algia del paziente (quindi sul dolore del
paziente), per cui se si presenta da noi un paziente che fa sport, e che presenta dolore oppure
infiammazione della bandeletta, con queste manovre, in breve tempo (in maniera quasi istantanea)
riportate il tendine (e quindi la bandeleta) in uno stato sotto infiammatorio (quindi ad una
regressione dell’infiammazione)
Bandeletta e canale di hunter, in che casi trattarli?
Ci sono delle sintomatologie sulla faccia mediale del ginocchio oppure ad un’irradiazione
sull’interlinea mediale del ginocchio (dove appunto i cui sintomi sono simili ad un problema
meniscale), ma che invece sono scatenate dall’irritazione di queste strutture (vedi dopo)
Quando queste strutture (bandeletta e canale di hunter) sono sottoposte a tensione (come ad
esempio una fibrosi del sartorio, oppure delle lesioni dirette a questo livello, oppure ancora
delle restrizioni di mobilità di quest’area) provocano dei sintomi (quindi provocano una
sintomatologia) sulla faccia/regione mediale del ginocchio oppure ancora provocano
un’irradiazione sull’interlinea mediale del ginocchio. Questa sintomatologia (quindi questi
sintomi) sono simili a quelli di un problema meniscale. Per cui noi andremo ad effettuare i nostri
test come il grenning test (il quale ci risulterà negativo), il mack marley (il quale ci risulterà
negativo), ed il test di pressione (il quale ci risulterà negativo), allora tutto ciò ci porterà a
pensare che questa sintomatologia non derivi da un problema meniscale (in quanto tutti i test
erano negativi), per cui possiamo formulare due ipotesi:
1) O vi sono dei problemi cartilaginei (anche se il paziente dovrebbe presenterebbe anche altri
sintomi oltre a quelli citati sopra)
2) Oppure, se (((il ginocchio))) non presenta particolare gonfiore ma solo una sintomatologia di
tipo algico, allora possiamo pensare che vi sia una struttura neurologia che sta andando ad
intaccare questa zona, per cui dobbiamo risalire a monte per valutare tutti i punti in cui
potrebbero esserci delle situazioni in cui i fasci nervosi sono irritati (quindi andare a vedere il
canale di hunter, il triangolo di scarpa, e la regione lombare.)

(((Per cui vi sono delle sintomatologie sulla faccia mediale del ginocchio oppure ad
un’irradiazione sull’interlinea mediale del ginocchio (dove appunto i cui sintomi sono simili ad
un problema meniscale) ma questi sintomi sono provocati da una tensione/irritazione/fibrosi
di queste strutture(ovvero triangolo di scarpa, canale di hunter e bandeletta).)))
Informazioni sulla bandeletta (relazione tra bandeletta e problematiche ascendenti)
Spesso gli sportivi che praticano sport come triathlon, iron man, runners, maratoneti ecc a causa
del lavoro estremo che attuano attraverso la corsa, hanno spesso infiammazioni alla bandeletta,
per cui se trattiamo questa al paziente, lui starà subito meglio e così fidelizziamo anche il
paziente.
Nella maggior parte dei casi, le cause che provocano problemi alle bandelette, sono
problematiche che sono in via ascendente (((quindi che provengono da problematiche di tipo
ascendenti))) (((quindi la problematica di tipo ascendente causa problemi alla bandeletta))). La
spiegazione è la seguente:
le linee esterne sono vie ascendenti <quindi le linee di forza ascendenti sono quelle indicate con
il numero (2)> mentre la maggior parte delle linee interne mentre le linee interne sono
discendenti <quindi le linee di forza discendenti sono quelle indicate con il numero (1)>. Per cui
(il prof dice di prendere con le “pinze” questa teoria):

3)Rinforzo
del grande
trocantere

- La maggior parte dei disturbi sulla regione adduttoria (((e quindi riferite alla regione mediale
della coscia))) quasi sempre derivano da problematica di tipo discendenti (come ad esempio una
disfunzione viscerale).
Per cui la prima cosa da chiedere ad un paziente che presenta un problema di tipo esterno
(((regione esterna))) è se ha cambiato recentemente le calzature, oppure se è successo qualcosa
durante la competizione (come ad esempio un cambio di appoggio che gli ha causato
un’instabilità)

- Mentre la maggior parte dei disturbi sulla regione abduttoria (((e quindi riferite alla regione
laterale della coscia))) quasi sempre derivano da problematica di tipo ascendenti (come ad
esempio un cattivo appoggio o (((una disfunzione))).
TABELLA RIASSUNTIVA
Effettuiamo il test di pressione proprio sotto l’interlinea del piatto tibiale. Se il test
risulta positivo allora dobbiamo andare a valutare:

1) la MUSCOLO POPLITEO
Test → palpazione ed individuazione di zone di massima densità
Trattamento → siderazione

2) LOSANGA DEL POPLITEO (LOSANGA POPLITEA)


Test → palpazione ed indiiduazione della massima densità (((quindi valutazione
della parte posteriore della capsula articolare e dei tendini che passano a livello
della losanga)))
trattamento → pondage sulla capsula articolare

3) MENISCHI
Test → posizionamento mani a “C” e successiva mobilizzazione dei menischi in
anteriorità e posteriorità
Trattamento → Tecnica diretta (dove non va, lo porto ed aspetto il
rimaneggiamento tissutale)

4) RAPPORTO FASCIALE TRA TIBIA E FEMORE(MOVIMENTI FINI


TRA TIBIA E FEMORE)
Test → posizionare le mani a “C” rispettivamente su femore e tibia e
successivamente eseguire = Compressione-trazione , rotazione interna-rotazione
esterna , scivolamento interno-scivolamento esterno , anteriorità-posteriorità
(della tibia) , abduzione-adduzzione
Trattamento → srotolamento fasciale (movimento lemniscale perone)

5) CANALE DI HUNTER
Test → individuazione del canale nella parte infero mediale della coscia (tra grande
adduttore e vasto mediale
Trattamento → apertura del canale di Hunter

6) BANDELETTA
Test → palpazione della bandeletta lungo tutta la sua lunghezza
Trattamento → ponsage , siderazione
ANCA

TEST DI PRESSIONE SULL’ANCA (articolazione coxo-femorale)


Effettuiamo un test di pressione a livello
dell’anca (e quindi dell’articolazione coxo-
femorale). l’articolazione coxo-femorale si
trova molto al di sotto delle SIAS. (((Per
avere un riferimento, possiamo basarci sul
grande trocantere))).
Ovviamente se abbiamo una positività,
dobbiamo bilanciarla con le altre trovate
precedentemente (((il professore dice di
bilanciare le due positività che si trovano distanti, come per esempio anca e sotto-
astragalica)))
TRIANGOLO DI SCARPA

Il trinagolo di scarpa è uno spazio anatomico


attraverso il quale passano tutte le funzioni
principali della coscia anteriore, in quanto
consente il passaggio dal punto di vista linfatico,
venoso, arterioso e neurologico (per cui noi tratteremo
il triangolo di scarpa per migliorare il passaggio
vascolare a livello della gamba). Il triangolo di scarpa è
delimitato

Composizione ed individuazione del triangolo di


scarpa
Il triangolo di scapa è delimitato:
- Lateralmente dal muscolo sartorio. Per individuarlo
chiediamo al paziente di flettere l’anca e di effettuare una
sua extarotazione (portando il ginocchio verso il tetto)

- Medialmente dal muscolo grande adduttore. Per


individuarlo possiamo chiedere al paziente di
effettuare una spinta del ginocchio (verso l’interno)
contro la nostra mano.
- superiormente abbiamo il legamento inguinale,
il quale va dalla SIAS alla tuberosità del pube. Il
legamento inguinale è una struttura fasciforme e
per palparlo possiamo far scorrere le mani in
questa zona.

- Nella profondità del triangolo troviamo il muscolo pettineo

Per esser certi di essere proprio a livello del triangolo di


scarpa, possiamo andare a ricercare il polso dell’arteria
femorale. Una volta individuato il polso dell’arteria
possiamo pensare che su di essa vi passi una linea
immaginaria (in questo caso, il Professore ha posto la
penna a livello dell’arteria femorale ) ai lati della quale vi
passa:
- esternamente all’arteria femorale (((e quindi alla linea
delineata dalla penna in figura))) passa il nervo femorale
- medialmente all’arteria femorale passa la vena
femorale ed il passaggio linfatico (con tutta una stazione
di linfonodi, inoltre proprio a quest’altezza c’è un
linfonodo sentinella <per cui se durante la palpazione,
appunto palpiamo i linfonodi, dobbiamo ricordarci di non schiacciarli>).
Esecuzione della tecnica
Una volta individuato il triangolo di scarpa, possiamo effettuare
la tecnica, ovvero, andremo ad aprire questo triangolo, per cui:
Per aprire questo triangolo andremo ad allungare l’adduttore
rispetto al sartorio, il sartorio rispetto al legamento inguinale, ed
il legamento inguinale rispetto all’adduttore.

Chiediamo al paziente di abdurre ed extraruotare la gamba (e già in questa maniera


è possibile individuarlo visivamente)
Per cui posizioniamo la mano interna a livello del margine
esterno del grande adduttore, mentre la mano esterna è
posizionata a livello del margine interno del sartorio. Per
cui andiamo ad aprire questa zona. Se troviamo dei punti
in cui avvertiamo maggiore resistenza, manteniamo fin
quando vi è il rilasciamento tissutale.

successivamente posizioniamo la mano interna a livello


del margine esterno del grande adduttore, mentre la
mano esterna è posizionata a livello del legamento
inginale. Ed anche qui andiamo ad aprire questo spazio.

successivamente poniamo la mano interna a


livello del legamento inguinale e la mano
esterna a livello del sartorio, ed anche in
questo caso apriamo questa zona.

Quando effettuiamo tecniche vicino agli organi genitali, dobbiamo ricordarci di non posizionare mai le dita in
direzione degli organi genitali, inoltre non bisogna andare a guardare gli organi genitali, inoltre bisogna rendere
partecipe il paziente di quello che si sta facendo (come ad esempio dire che stiamo andando ad allungare dei
muscoli che si trovano in quella zona). Quando dobbiamo trattare la paziente, chiediamo di svestirsi, ma nel caso
in cui la paziente dovesse lasciare una calzamaglia o un pantaloncino, allora lavoriamo sopra quei vestiti che lei
ha mantenuto (quindi non chiedere alla paziente di togliere un vestito che lei non vuole togliere).
TECNICA DI UNWINDING (tecnica di srotolamento)
La tecnica di unwinding (e quindi di srotolamento fasciale) viene utilizza per
concludere il trattamento sull’arto inferiore. questa tecnica può essere utilizzata su
tutte le articolazioni, in quanto, In base a dove direzioniamo le nostra forze durante
l’esecuzione della tecnica, possiamo lavorare articolazioni diverse.

delle volte, questa tecnica può essere anche risolutrice di problematiche legate
alle articolazioni (in quanto è anche una manovra anche articolatoria).
A volte può essere risolutrice rispetto ad alcune problematiche che non
regredivano

Esecuzione della tecnica


L’unwinding prevede un’azione in compressione sul punto che vogliamo trattare
(((quindi credo intenda all’articolazione che vogliamo trattare))) come ad esempio
la sotto-astragalica, il ginocchio oppure la coxo femorale e quindi consiste nel far
esplorare al paziente attraverso l’arto inferiore tutti i piani dello spazio possibili (((
per cui muoveremo l’arto inferiore in tutti i possibili piani dello spazio e quindi
faremo esplorare a quell’articolazione tutti i piani possibili, cercando di farla
muovere al limite dell’articolarità))) tutto ciò ci permetterà di arrivare nel punto di
tensionamento (che sarebbe la zona in cui il movimento fa fatica a fruire <quindi
ad andare>) ed una volta arrivato in quel punto, lo manteniamo ed aspettiamo
(quindi guadagnamo) e successivamente continueremo il movimento nei piani
dello spazio per poi tornare nuovamente al punto dove avevamo riscontrato la
tensione e vedere se è migliorato (se non è migliorato manteniamo nuovamente
ed aspettiamo che si rilasci). (in questa maniera liberiamo le tensioni fasciali muscolari)
Se ad esempio facciamo un lavoro sull’anca, possiamo valutare inizialmente la
mobilità articolare
Per cui, andremo ad effettuare una spinta con
la mano caudale, mentre la mano distale viene
poggiata sulla faccia esterna del ginocchio per
controllare il movimento.

Per cui mobilizzeremo l’anca su tutti i piani possibili. Di seguito come il Professore
fa il lavoro sull’anca

2
1

L’anca lavora bene in compressione durante la manovra di unwinding (per cui


spingiamo con la mano caudale mentre la mano craniale da la direzione)

4 3
5 6

7
8

10
9
11
12
Lo stesso possiamo fare a livello dell’articolazione Lo stesso possiamo fare a livello dell’articolazione
sottoastragalica del ginocchio

Questa manovra risolve spesso problemi tipo: Problematiche alla borsa


trocanterica , dei dolori non ben definiti a livello femorale, alcune pubalgie

DA INSERIRE TABELLA
RIASSUNTIVA
DELL’ANCA
BACINO
introduzione
il bacino è un punto di passaggio tra la parte superiore e la parte inferiore, per cui
è un punto di passaggio e di dissipazione di forze (forze verticali =ascendenti e
discendenti ; forze orizzontali = attraverso il pavimento pelvico <quindi le forze
orizzontali dissipano a livello del pavimento pelvico, il quale appunto è anche detto
perineo>). A questo livello abbiamo da analizzare l’articolazione ileo sacrale,
verificare la funzione del sacro, del pube, la coxo femorale ???ed L5-S1???.
Il bacino è diviso in due strutture, ovvero il grande bacino ed il piccolo bacino:
il piccolo bacino (a questo livello abbiamo dei passaggi vascolari importanti come
???l’arteria iliaca interna???, abbiamo un passaggio linfatico importante; nei
maschi abbiamo la prostata e la vescica, mentre nella donna abbiamo, dall’avanti
al dietro, vescica, utero, vagina e retto).
Il grande bacino invece contiene il peritoneo (quindi tutte le componenti viscerali
intraperitoneali)

Per cui a livello del bacino andremo a trattare: la


membrana otturatoria, il legamento inguinale
(recoil), il pube (con una tecnica ad induzione) ed
andremo a liberare posteriormente tutte le
componenti più importanti legamentose (con
recoil oppure ponsage) e la valutazione della
linea innominata → (la linea innominata, viene
definita anche linea arcuata, la quale va dal
cambio delle due faccette auricolari, segue la
linea aspra dell’iliaco, poi segue la linea aspra
interna (((del pube))), la branca pubica, fino ad
arrivare a livello della tuberosità del pube ed è
una struttura circolare a “C”. inoltre la linea innominata serve per valutare
l’elasticità del bacino).

Inoltre dobbiamo ricordare che il bacino fa parte dell’unità


funzionale dell’arto inferiore, mentre il sacro fa parte dell’unità
funzionale della colonna vertebrale

Quindi possiamo definire come lesione ileo sacrale = una lesione


locale o ascendente

Mentre la lesione sacro iliaca = una lesione locale o discendente


Test di pressione sul bacino
Andiamo a reperire le SIAS e ci poniamo al di sopra (spesso troveremo dei bacini
asimmetrici <quindi torsioni di bacino posizionali> (((però questo non ci deve far
partire prevenuti sull’ipotetica disfunzione, bensì dobbiamo prima testare e poi
denominare la disfunzione)))> però questo è un fattore che non dobbiamo tenere
in considerazione, noi dobbiamo basarci solo sulla densità.

Per cui con una mano facciamo punto fisso a livello di una sacro iliaca, mentre l’altra
mano effettua il test di pressione (e poi viceversa).

Quindi noi per effettuare il test dobbiamo bilanciare il nostro peso corporeo sul
lettino, per cui il nostro corpo si poggia (lateralmente) al lettino, in maniera tale
che noi non ci buttiamo con tutto il peso del nostro corpo sul paziente, altrimenti
blocchiamo tutto (per cui non sarà possibile testare). Per cui noi dobbiamo
trasferire il peso del corpo, attraverso le gambe (((ed il bacino))) sul lettino (((quindi
lateralmente al lettino, quindi poggiarci lateralmente al lettino))), in maniera tale
che le mani sono libere di sentire
Test di pressione sul pube

Per effettuare la palpazione del pube, utilizziamo la parte


esterna del quinto dito fino ad arrivare a livello del bordo
superiore della branca pubica, e successivamente poniamo
il pollice e l’indice dell’altra mano sempre a livello del bordo
superiore della branca pubica (e già da questa posizione
possiamo iniziare a farci un’idea per quanto riguarda il
posizionamento del pube (((ad esempio branca pubica di
destra in superiorità, e la branca pubica di sinistra bassa
<ovviamente questo è solo un riferimento indicativo, in
quanto per sapere quale delle due è in lesione bisogna
effettuare il test di pressione e successivamente il test di
mobilità> ))).
Successivamente sostituiamo le due dita, con il tenar ed
ipotenar dell’altra mano, in maniera da porci con tenar ed
ipotenar sulla bordo superiore della branca pubica (((in
questa maniera le nostre dita non saranno rivolte verso i
genitali del nostro paziente <e quindi non siamo
invadenti>))). Attraverso questo posizionamento non
siamo invasivi ed allo stesso tempo eleganti. Da questa
posizione dobbiamo raddrizzare il nostro busto, così
automaticamente il nostro tenar ed ipotenar si
porteranno a livello della faccia anteriore della branca
pubica e successivamente effettuiamo una pressione antero posteriore. Se il test è
positivo alle pressione, allora attraverso una bascula della mano (quindi inclinando
la mano prima a destra e poi a sinistra) andiamo ad effettuare un test di pressione
prima sulla branca pubica di destra e successivamente su quella di sinistra andando
a valutare quali tra le due risulta positiva (e quindi è maggiormente densa).
Quindi effettuiamo un test di pressione a livello della coxo femorale, poi a livello
del bacino, successivamente sulla sinfisi pubica ed infine andiamo a sentire le parti
lombari basse (((quindi credo che intenda L4 – L5))). IN QUESTA MANIERA
ABBIAMO UN QUADRO COMPLETO (((e quindi un’idea globale del funzionamento
del bacino del paziente))) DEL BACINO.
Il pube, per quanto concerne il discorso delle forze ascendenti o discendenti, risulterà essere
misto.
La pubalgia
Il problema delle pubalgie è che
La pubalgia è invalidante, ha origine che sono tra le più svariate e produce anche effetti
svariati che poi possono prendere il nome di pubalgia, in quanto per pubalgia rientrano
anche: le affezzioni/infiammazioni dell’inserzione del retto dell’addome,
dell’adduttore (a volte vengono riconosciute anche quelle dello psoas, disestesie
dell’area pubica, delle volte hanno un effetto esterocettivo sullo scroto (e quindi in
questo caso bisogna valutare se è provocato da una componente neurologica
proveniente dalla lombare <tipo una disfunzione lombare, oppure vedere se lo psoas
sta intrappolando il nervo, oppure ancora i visceri>),
inoltre dobbiamo verificare che non vi sia un problema locale al muscolo addutore (in
quanto vi sono degli sport che sono predisponenti alle problematiche adduttorie
<come ad esempio ci sono dei calciatori che per i tipi di calzature sviluppano facilmente
problemi adduttori>) può essere un problema del nervo otturatorio.

E tutto ciò a livello locale

PER CUI SE è UN PUBE CHE è PRIMARIO, EFFETTUO LA SUA DECOATTAZIONE E TESTO

Spesso nelle pubalgie si tratta il foro otturatorio


LEGAMENTO INGUINALE

individuazione e palpazione
il legamento inguinale va dalla SIAS alla branca pubica.
Quindi andremo a posizionare le mani in questa zona e
durante la palpazione dovremmo sentire una struttura
nastriforme. Per cui effettuiamo una palpazione di tutto il
legamento andando ad evidenziare se vi sono delle zone di
maggiore densità.

area densa puntiforme → tecnica recoil


Se alla palpazione individuiamo una zona di maggior
recoil
densità molto puntiforme allora possiamo effettuare una
tecnica di recoil. In questo caso, dopo aver ricercato nei
piani dello spazio i movimenti che rendono ancora più
denso il punto che abbiamo localizzato, dobbiamo andare
a chiedere al paziente un’inspirazione ed una espirazione,
in maniera tale da valutare quale tra i due atti, aggrava
ulteriormente la densità del punto che abbiamo localizzato,
per cui se la disfunzione (e quindi il punto di densità)
peggiora durante l’inspirazione (e quindi diventa
maggiormente denso durante l’espirazione) allora
dobbiamo chiedere un’apnea dell’atto respiratorio che ci
aggrava ancora di più la sensazione che abbiamo sotto le mani

Dal bacino in su, per l’esecuzione della tecnica di recoil, oltre alla ricerca dei movimenti sui piani dello spazio,
i quali appunto vanno ad aggravare e quindi aumentare la densità che abbiamo sotto le dita, andremo ad
utilizzare, come parametro aggravante anche l’atto respiratorio, in quanto:

A livello dell’arto inferiore le dinamica le strutture diaframmatica non entravano in gioco in maniera molto
importante (((quindi diciamo che nell’arto inferiore le dinamiche diaframmatiche sono meno influenti, quindi
durante il recoil, non utilizziamo la respirazione per aggravare la densità))), mentre dal bacino in su, il
diaframma conta molto per quanto riguarda le dinamiche pressorie (in quanto durante l’atto inspiratorio il
diaframma scende (((comprime i visceri))) e quindi porta una spinta verso il basso).

(((Quindi dal bacino in su gli atti respiratori del diaframma (e quindi la dinamica del diaframma) può peggiorare
o migliorare quella densità (e quindi migliorarla o peggiorarla durante la discesa o salita del diaframma), per
cui dopo aver ricercato l’aumento della massima densità sui vari piani dello spazio, utilizziamo la respirazione
per aggravare (e quindi aumentare) ulteriormente la densità che abbiamo sotto le dita, quindi se ad esempio
la densità aumenta durante l’inspirazione, allora chiediamo al paziente un’apnea inspiratoria, durante la quale
appunto, andremo ad effettuare il recoil.)))
Area molto vasta, legamento fibroso → tecnica recoil con le mani
Quando troviamo un-area molto vasta come il legamento tutto indurito, oppure il
legamento tutto fibroso, allora andiamo ad effettu
Posizionamento delle mani
Mano destra A livello della SIAS

Mano sinistra A livello della tuberosità


della branca pubica (la mano guarda
molto verso l’esterno, in questa maniera)
Mentre i gomiti materializzano l’asse
legamentoso
Questa tecnica possiamo utilizzarla a
seguito di una correzione di iliaco oppure
di pube (in quanto il legamento inguinale
collega le due strutture)
Poniamo il pisiforme della mano destra e la posizioniamo
a livello della SIAS mentre con il tenar della mano sinistra
andiamo a livello della branca pubica. Successivamente
andiamo a mettere in tensione (((quindi andiamo a
mettere in tensione cercando di distanziare le mani
(((quindi come se volessimo cercare di allungare il
legamento))) successivamente andiamo a ricercare nei
piani dello spazio, la situazione che ci permette di metterlo
ancora maggiormente in tensione (e quindi cerchiamo di
vedere qual è il piano di passaggio, che aggrava la
situazione e che quindi aumenta la tensione (((e quindi
allungamento))) del legamento. Successivamente
vediamo quale atto respiratorio lo mette
ulteriormente in tensione. Per cui una volta che
abbiamo portato alla massima tensione il legamento,
lo rilasciamo velocemente.

Sul legamento non possiamo fare la siderazione?


La siderazione agisce sul sistema miotatico. Il sistema
miotatico è presente nei muscoli e nei tendini, motivo
Il prof per eseguire la tecnica rilascia
per il quale sui legamenti non si può fare. le mani velocemente verso il tetto
Tecnica di induzione sul pube (a livello delle densità ossee e quindi delle lesioni
intraossee)
faremo una pressione a livello del pube (nei vari piani dello spazio) ed una volta
individuata la maggior densità, la seguiamo e dove sentiamo che vi è una rigidità
(credo nel mobilizzarla nei piani dello spazio) allora manteniamo fin quando questa
densità non diminuisce.

Quindi se a seguito del test riscontriamo che


c’è una positività del pube, allora possiamo
prima effettuare la tecnica che
decoattazzione del pube e successivamente
se la densità permane, allora possiamo
pensare che vi sia una lesione intraossea, in
quanto, a questo livello (quindi a livello del
pube) le forze ascendenti e discendenti
trovano nella cintura anteriore un grosso sfogo dal punto di vista funzionale (per
cui è facile trovare delle micro lesioni intraossee), per cui effettueremo una
pressione a livello del pube ed una volta individuata la maggior densità, la seguiamo
(quindi sentiamo dove i tessuti ci portano <i tessuti ci portano sempre verso la
lesione>) ed una volta che siamo sulla lesione, ci fermiamo li ed aspettiamo che la
rigidità diminuisca.

(((anche se il professore successivamente ha detto che fa una mobilizazzione della


lesione intraossea nei vari piani dello spazio e valuta dove il tessuto non si lascia
mobilizzare, e quindi dove non si lascia mobilizzare, mantiene la posizione (quindi
lo blocca dove il tessuto non si lascia mobilizzare e quindi dove non vuole andare)
fin quando non avviene il rimaneggiamento tissutale, ovvero fin quando la densità
non diminuisce.))) QUINDI LA MANO ASCOLTA E CONTEMPORANEAMENTE FA.

Durante la tecnica il paziente può avere dolore, in quanto (((il pube))) è molto
collegata con la sfera genitale

Un problema di questo tipo (e quindi di lesione intraossea a livello del pube) si può
rilevare sia negli uomini che nelle donne, fondamentalmente sui ragazzi (ma
soprattutto nei ragazzi sportivi) è causata da una situazione di compressione
(appunto dettata da stimoli meccanici), mentre nelle ragazze può essere causata ad
esempio da un parto traumatico, oppure causato da problemi uro-ginecologici
(quindi più legati alla sfera genitale emotiva).
Tecnica sulla linea innominata

La linea innominata (o linea arcuata) è una linea che va dal cambio di linee delle
auricole, fino alla branca pubica (è come se disegnasse una “C”), per cui noi
andremo a testare questa “C” per valutare che sia mobile (quindi andremo a testare
la plasticità di questa struttura ossea).
Test e trattamento
Posizionamento delle mani
la mano posteriore in proiezione
della sacro iliaca <per porci a
livello della sacro iliaca, andiamo
a localizzare SIPS (((e ci poniamo
a livello delle basi sacrali)))> ,
mentre la mano anteriore viene
posta a livello della branca
pubica.

Per cui eseguiremo una pressione in convergenza (quindi una pressione antero-
posteriore con entrambi le mani) e nel momento in cui (durante la pressione
antero-posteriore) riscontriamo una densità, fermiamo la compressione ed
andiamo ad effettuare dei movimenti lemniscali nei vari piani dello spazio, andando
a valutare se questa struttura si muove bene ed eventualmente mobilizzandola
dove abbiamo la restrizione di mobilità.
Per cui, possiamo effettuare una compressione
(convergente con entrambe le mani) iniziale per
andare a valutare la plasticità della linea
innominata, e durante questa compressione se
riscontriamo una zona di maggiore densità, non
continuiamo a comprimere, ed andiamo a
valutare la mobilità d quella densità eni vari piani
dello spazio attraverso l’effettuazione di
movimenti lemniscali e dove avvertiamo che vi è
una restrizione di mobilità, la induciamo.
Tecnica sulla membrana otturatoria

Prima di effettuare la tecnica, spieghiamo al


paziente cosa stiamo per andare a trattare
come lo andiamo a trattare e perché lo
andiamo a trattare. Per individuare il foro
otturatorio, utilizzeremo come guida il
tendine del muscolo grande adduttore. Il
trattamento del nervo otturatorio con il suo
forame è difficile ad accedersi direttamente, in quanto, proprio in mezzo, abbiamo
l’inserzione del grande adduttore che divide (orientativamente) in due il foro
otturatorio. Il consiglio del Professore è quello di avere un accesso inferiore e poi
dirigersi verso l’alto ed il dentro.
Per cui una nostra limitante sarà la branca ascendente dell’ischio (lo consideriamo
come un muro, in quanto oltre la branca arriviamo a livello dei genitali della
paziente)
Per cui facciamo contrarre il muscolo
adduttore per avere la linea da seguire (per cui
palperemo tutta la linea del ventre muscolare,
fino ad arrivare a livello dell’inserzione del
tendine, ed arrivati a questo punto, andiamo
alla ricerca della struttura ossea (e quindi la
branca ascendente dell’ischio), per cui, più sto
attaccato al tendine e più sono sicuro di
rimanere sulla struttura ossea, e quindi a contatto con la struttura ossea. Arrivati a
questo punto mi dirigo verso la parte esterna dell’osso e do una spinta per verso il
dentro e verso l’alto. Una volta individuata la membrana, utilizzo la gamba del
paziente portandola in leggera adduzione, in maniera tale da detendere il muscolo
adduttore, mentre la mano che si trova a livello della membrana otturatoria
effettua un ponsage verso l’alto e verso il dentro. La manovra si conclude quando
vi è una riduzione della tensione della membrana otturatoria.

Un altro modo per arrivare a livello del foro otturatorio è


quello di reperire l’ischio e di dirigersi verso l’alto.
sul piano anatomico dobbiamo seguire questa
linea, ovvero quella del grande adduttore. Per
evidenziare questa linea, (e quindi il grande
adduttore) possiamo chiedere alla paziente di
effettuare una contrazione contro la resistenza
della nostra mano ed andiamo a seguire il ventre
muscolare, fno ad arrivare alla zona tendinea del
muscolo.

da questo punto in poi


inizia il tendine del
muscolo

Per cui seguo il tendine


fino ad arrivare a livello
della struttura ossea.
Successivamente quindi mi porro
internamente rispetto al muro
osseo per arrivare a livello della
membrana otturatoria. Per cui
porterò la gamba della nostra
paziente in leggera adduzione, in
maniera tale da detendere i
tessuti e ed entrare ancora di più a
livello della membrana ott
uratoria. Arrivati a questo punto,
dirigiamo la nostra mano verso l’alto e leggermente
verso il dentro (ed ovviamente anche verso il dietro).
Una volta individuata la zona di maggiore densità,
effettuiamo un ponsage. Normalmente, se vi è una
forte tensione, sentiremo una membrana dura

Normalmente il trattamento non è molto doloroso, tranne quando non troviamo


una fibrosi, oppure in casi di situazioni acuto di stress al muscolo adduttore (ed ad
esempio, proprio nel caso in cui il paziente presenti uno stato acuto del muscolo
adduttore, possiamo trattarlo attraverso le siderazioni .
Test di pressione sull’osso sacro

lo scopo del test è quello di creare una pressione dal dietro all’avanti, in direzione
delle faccette dell’articolazione sacro iliaca. Per are il test posizioneremo il braccio
craniale quasi parallelo alla colonna, mentre il braccio caudale sarà leggermente
più perpendicolare.
Posizionamento delle mani
Per posizionare le mani a livello del
sacro, dobbiamo seguire le creste
iliache ed arrivare fino a livello delle
SIPS, per cui, dalle SIPS, ci poniamo
leggermente inferiormente ed
internamente, così da arrivare a livello
dei solchi (nella profondità del
solco abbiamo l’emibase <le
emibasi non sono palpabili>)
arrivati a questo punto,
posizioniamo la mano craniale e
sopra di questa la mano
caudale, la quale appunto si
troverà con tenar ed ipotenar a livello delle AIL.

Esecuzione del test


Per eseguire il test, dobbiamo porci in appiombo
(cravatta osteopatica) sopra l’osso sacro del nostro
paziente ed effettuiamo una pressione postero
anteriore. Se riscontriamo un’importante densità,
allora il test risulterà positivo. Inoltre possiamo
andare a valutare (spostando leggermente il vettore
di spinta verso l’emibase di destra e poi quella di
sinistra) quale delle due emibasi è più densa.
Ovviamente attraverso il test pressorio, possiamo dire che in quella struttura è
presente una disfunzione, ma per definire la disfunzione, dobbiamo effettuare i
test di mobilità. A seguito del test di pressione, possiamo farci anche un’idea su che
tipo di disfunzione abbia il nostro sacro, in relazione a quello che abbiamo sentito
durante il test di pressione, ovvero:
1) Se durante il test abbiamo la sensazione di una densità forte, immediata al tatto
(e quindi alla compressione) possiamo pensare che la lesione sia sul piano
strutturale.

2) Se durante il test abbiamo la sensazione di un sacro (che ovviamente è denso) e


che durante la pressione sprofonda e che a seguito del rilascio della nostra
pressione è come se ritornasse (((nella sua posizione neutra))) molto lentamente,
allora possiamo pensare che vi sia qualche viscere del piccolo bacino che lo
trattiene (e quindi che lo tira) anteriormente (ovvero qualcosa che si trova sull’asse
sacro-retto-utero-vescico-pubico (nella donna, mentre nell’uomo ovviamente non
vi è l’utero) le quali appunto sono delle lamine che mettono in comunicazione
queste strutture viscerali del piccolo bacino, e quindi uno di questi organi è
disfunzionale e sta trattenendo il sacro in avanti. (Nell’uomo può essere
maggiormente la prostata oppure la vescica oppure il retto.)

3) Un’altra sensazione che possiamo trovare è che abbiamo un sacro che è denso e
che abbiamo la sensazione che fluttui come un tappo di sughero sull’acqua (ovvero
non mi dà la sensazione né di una durezza immediata durante la pressione, né di
un rilascio rallentato (((ovvero è una via di mezzo tra le due sensazioni spiegate
precedentemente))) quindi questa sensazione potrebbe essere dettata da una
problematica cranio sacrale.

4) Una sensazione di durezza anomala ad un certo livello del sacro, quindi una
lesione intraossea del sacro (da non confondere con una anteriorizzazione del
coccige, il quale appunto anteriorizzandosi provoca un angolo acuto che potrebbe
trarci in inganno. Normalmente le lesioni intraossee a livello del sacro si sviluppano
in età intrauterina oppure sono causati da traumi diretti oppure
Legamenti del sacro

- sacro iliaci posteriori


(possiamo raggiungerli)
- legamenti ileo lombari (tra
le rasverse di L4-L5) che
presentano due asci
- abbiamo il legamento
assile, il quale è tutto un
compartimento (infatti
viene chiamato
compartimento assile) il
quale è un insieme di legamenti che si intrecciano e vanno ad unire la componente
verticale dell’iliaco con il sacro (ed all’interno di questi fasci legamentosi, abbiamo
anche il legamento ileo sacrale (il quale collega S2 con il sacro come linea) (questa
linea è la linea di movimento del sacro)
- inferiormente abbiamo dalle AIL la partenza di due legamenti, ovvero il sacro
tuberoso (il quale va dall’AIL alla tuberosità ischiatica ed è anche quello che si sente
meglio alla palpazione) ed il sacro spinoso (il quale va dall’AIL alla spina ischiatica,
e questo legamento è più difficile da palpare in quanto c’è la massa glutea ed inoltre
è molto profondo)

Quindi se attraverso il test di pressione abbiamo avuto una positività del sacro, e
nello specifico una positività a destra, allora ci poniamo in maniera controlaterale
al paziente, per andare a trattare i legamenti del lato destro. Quindi a seguito della
positività del test di pressione, facciamo i test di mobilità, denominiamo la
disfunzione sacrale, normalizziamo la lesione e successivamente andiamo ad
allentare la tensione dei legamenti sacrali (in maniera tale da liberare il sacro da
quelle che sono le tensioni legamentose) quindi andremo alla ricerca della densità
a livello di questi legamenti e quando le troviamo (queste densità) andremo ad
effetuare una tecnica molto forte (ovvero il ponsage con il gomito) per cui
dobbiamo prestare molta attenzione a non essere eccessivamente aggressivi (la
tecnica è molto efficace ma dobbiamo stare attenti a non essere troppo aggressivi).
In questa maniera si apre la faccetta sacro iliaca (((durante la
Legamenti assili rotazione esterna)))
per cui, una volta individuata la zona di
massima densità (quindi in questo caso a
livello dei legamenti assili) vado ad
appoggiare il gomito ed utilizziamo la forza
di gravità per imprimere la pressione a
questo livello (quindi utilizziamo il peso del
nostro corpo per effettuare il ponsage,
ricordando che il peso del nostro corpo,
deve essere scaricato attraverso le gambe
e sul il lettino <quindi sulla parte laterale
del lettino> in maniera tale che se mi
Rotazione esterna
solleva dagli appoggi che ho sul paziente,
non cado su di esso), inoltre per rendere
più efficace la tecnica, possiamo
agganciare il piede del nostro paziente ed
usiamo questo per imprimere una
intrarotazione dell’anca oppure una
extrarotazione dell’anca, andando a
vedere in quale dei due movimenti, la
densità sotto il gomito aumenta. (((quindi
durante la rotazione esterna la faccetta
sacro iliaca dovrebbe aprirsi, mentre Rotazione interna

durante la rotazione interna chiudersi)))

Inoltre, dato che siamo in questa posizione, nulla ci vieta di trattare il piriforme (il
quale va dal margine interno del sacro al bordo superiore del gande troncantere)
anche può esserci una continuità di tensione tra i legamenti ed il piriforme (o
comunque in generale i rotatori d’anca) ed anche in questo caso, andiamo alla
ricerca della zona di maggior densità e facciamo un ponsage.

I legamenti assili vengono trattati controlateralmente

In questa tecnica non utilizziamo i nostri pollici perché potremmo farci male alle
dita (ed avere anche tendinosi, oppure sublussazione/lussazione)
Legamenti ileo lombari

Quindi una volta individuata la trasversa di L4 (che si trova in asse


con la cresta iliaca) e quella di L5 (((sappiamo che i legamenti ileo
lombari vanno dalla trasversa di L4 alla cresta iliaca
e dalla trasversa di L5 alla cresta iliaca))).

Quindi lo spazio che


dobbiamo lavorare si trova tra
i legamenti e la cresta iliace,
ovvero qui

per cui (come per la tecnica precedente) posizioniamo il gomito nello spazio
compreso tra le trasverse e la cresta iliaca, mentre con l’altra mano afferriamo il
piede del nostro paziente andando a ricercare il movimento che porta ad un
aumento della densità e successivamente effettuiamo un ponsage.

(questa tecnica rispetto alla precedente potrebbe risultare più dolorosa)


I legamenti ileo-lombari vengono trattati controlateralmente
Legamento sacro tuberoso
Per individuare il legamento sacro tuberoso,
dobbiamo porci nello spazio compreso tra il l’AIL e
la tuberosità ischiatica. Una volta individuato il
legamento, (come anche per le tecniche
precedenti) utilizziamo l’intrarotazione ed
extrarotazione dell’anca per valutare quale tra i
due movimenti aumenti la densità. Per il
trattamento del legamento sacro tuberoso non
utilizziamo il gomito (in quanto risulta poco elegante), bensì andremo ad utilizzare
il nostro pollice.

Il legamento sacro tuberoso viene trattato controlateralmente


Tecnica sulla lesione intraossea del sacro (oppure da utilizzare quando
ci sembra che il sacro manchi di elasticità, quindi estremamente rigido)

Quando troviamo una lesione intraossea a livello del sacro, possiamo normalizzarla
attraverso due tecniche
- il recoil (quindi utilizzeremo sia i piani nello spazio, che la respirazione)

- rebaund è una tecnica che può essere utilizzata solo nelle strutture
tendenzialmente cifotiche o leggermente arcuate (((quindi convesse secondo me)))
(fondamentalmente il rebaund viene utilizzato sul sacro e sullo sterno).
Rebaund
Posizionamento delle mani
una mano va posizionata sulle emibaasi sacrali, mentre l’altra a
livello delle AIL. Nel caso in cui dovessimo trovare dei sacri
piccolini, allora possiamo mettere le mani anche in questa
maniera

esecuzione della tecnica


Il rebaund è una manovra che consiste nel portare la struttura cifotica/arcuata (((e
quindi sempre secondo me convessa))) in compressione massima a livello tissutale
(quindi bisogna andare ad addensare al massimo la struttura ossea), quindi
effettuiamo una compressione utile ad addensare al massimo l’osso sacro (e quindi
ad aumentare la densità a livello dell’osso sacro e quindi a livello della zona di
massima densità dell’osso sacro, ovvero la lesione intraossea). Successivamente
andiamo a ricercare nei piani dello spazio il punto di passaggio (((e quindi il
movimento o combinazioni di movimenti))) che ci porterà ad avere un ulteriore
aumento della densità
(((quindi ricerchiamo nei
piani dello spazio, il
movimento che ci consente
maggiormente di effettuare
questo addensamento della
struttura ossea e quindi il
movimento che va ad
aumentare la densità della lesione intraossea del tessuto osseo))).
Successivamente andiamo a chiedere un atto respiratorio durante il quale: durante
l’atto inspiratorio avrò una resistenza maggiore, mentre durante l’espirazione
(l’espirazione permette di rilasciare le componenti cifotiche e quindi) avremo la
possibilità di addensare ulteriormente il tessuto osseo (e quindi aumentare
ulteriormente la densità a livello del punto di massima densità, e quindi della
lesione intraossea) e proprio all’inizio della seguente inspirazione, rilascio andare
velocemente.

l’effetto del rebaund è una sorta di risucchio energetico (quindi comprimiamo al


massimo queste energie e successivamente le facciamo uscire velocemente)
(per cui darà un effetto neurologico – propriocettivo – vascolare – aumenta le
capacità drenanti del tessuto). Quindi ridiamo elasticità ad un tessuto che è
estremamente duro. Quindi la tecnica di rebaund va molto bene sia su sacri
molto densi, che su sacri che presentano lesioni intraossee

Quindi a differenza del recoil, non spingiamo sulla lesione, bensì la mettiamo in
compressione e durante l’inizio della inspirazione, rilasciamo velocemente.
Questo crea un effetto di riverbero nella struttura ossea.

Quindi il rebaund
Va molto bene nei traumatismi sacrali, per problematiche di ossificazione ossea
(dovute alla crescita), nelle lesioni intraossea lesioni intraossee uterine
Test di bilanciamento tra sacro e iliaco

Se abbiamo una positività al test di pressione a livello


della sacro-iliaca di sinistra e successivamente andando ad
effettuare un test di pressione del sacro riscontriamo una
positività anche in questo (ad esempio a sinistra) allora
dobbiamo bilanciarli per vedere quale tra i due è primario,
per cui per bilanciarli dobbiamo porre il pisiforme di una
mano a livello della emibase sacrale (di sinistra); mentre il
pisiforme dell’altra mano viene posizionato a livello della
SIPS, in maniera tale da poter bilanciare le due strutture e
vedere quali delle due è maggiormente densa.

Il test qualitativo quindi basterà testare se c’è densità di scorrimento a livello


della sacro iliaca (con pertinenza iliaca, in quanto stiamo testando il sacro)
oppure se il sacro si muove sull’iliaco.

Prima di effettuare un lavoro sul bacino, è utile togliere le distonie muscolari


che provengono da: quadrato dei lombi, retto del femore, bicipite femorale e
psoas.
TABELLA RIASSUNTIVA
Effettuiamo il test di pressione sul bacino (quindi sull’iliaco), sul pube e
successivamente sul sacro. Per cui una volta ottenuta la positività al test, andiamo
ad effettuare un bilanciare tra le tre componenti. In caso di positività al test su
bacino, oppure sul pube oppure sul sacro dobbiamo andare a valutare:

1) LEGAMENTO INGUINALE
Test → palpazione ed individuazione di zone di massima densità
Trattamento →
1) area densa puntiforme utilzziamo il recoil (utilizzando i piani nello spazio e
respirazione)
2) area densa vasta (legamento fibbroso) utilizziamo il recoil con le mani
(utilizzando i piani nello spazio e respirazione)

2) TECNICA DI INDUZIONE SUL PUBE (LESIONI INTRAOSSEE)


Test → individuazione di una lesione intraossea a livello del pube
trattamento →
1) tecnica di decoattazione del pube (se la densità persiste→)
2) tecnica di induzione ossea sulla lesione intraossea (seguire a livello fasciale la
disfunzione)

3) LINEA INNOMINATA
Test → compressione in convergenza sulla linea innominata (forma di “C”) per
valutarne la plasticità
Trattamento → (((tecnica di induzione ossea → quindi compressione
convergente)))

4) MEMBRANA OTTURATORIA
Test → valutazione della membrana otturatoria (nel caso di sintomi da intrappolamento
del nervo otturatorio)
Trattamento → tecnica di ponsage
5) LEGAMENTI ASSILI (sacro)
Test → palpazione ed individuazione della zona di maggior densità
Trattamento → ponsage con il gomito

6)LEGAMENTI ILEO LOMBARI (sacro)


Test → palpazione ed individuazione della zona di maggior densità
Trattamento → ponsage con il gomito

7) LEGAMENTO SACRO TUBEROSO (sacro)


Test → palpazione ed individuazione della zona di maggior densità
Trattamento → ponsage con il dito

8) LESIONE INTRAOSSEA (sacro)


Test → palpazione ed individuazione della zona di maggior densità oppure osso
sacro estremamente rigido (quindi che manca di elasticità)
Trattamento →
1) Recoil (utilizzando sia i piani nello spazio, che la respirazione)
2) Rebaund (massimo addensamento della lesione attraverso la mobilizzazione nei
vari piani dello spazio e successivamente durante l’atto espiratorio rilasciare
velocemente)
LOMBARE E TORACE
(((muscoli che concorrono al funzionamento del tratto lombare)))

Il muscolo psoas origina dal margine esterno dei corpi vertebrali e sui dischi e
si congiunge con il muscolo iliaco andando ad inserirsi a livello del piccolo
trocantere (((quindi presenta due origini, una a livello dei corpi vertebrali,
mentre l’altra a livello dei dischi vertebrali))). Lo psoas flette quando lavora
nella catena cinetica aperta (quindi quando il piede è staccato/svincolato dal
terreno) effettua la flessione dell’anca, mentre se la catena cinetica è chiusa
(quindi quando il piede è in appoggio sul terreno) aumenta la lordosi lombare

Il muscolo quadrato di lombi si inserisce sulle trasverse lombari, sul margine


inferiore di K12 e sul margine superiore della cresta iliaca (quindi abbiamo tre
direzione dei fasci) un fascio verticale e due fasci obliqui: uno (((obliquo))) va
dalle trasverse alla cresta iliaca e dalle trasverse al margine inferiore di K12
mentre il fascio verticale va dal margine inferiore di K12 al margine superiore
della cresta iliaca. Il quadrato dei lombi attraverso la sua contrazione inclina ed
estende (ha anche u na piccola componente rotatoria).
(quindi lo psoas ed il quadrato dei lombi estendono la colonna) mentre
anteriormente il muscolo retto dell’addome flette la colonna (ed inoltre
contribuiscono anche i muscoli del trasverso e gli obliqui).

Altre strutture muscolari che concorrono in maniera indiretta al


funzionamento della colonna lombare sono: il muscolo gran dorsale, in
quanto questo si inserisce sul sacro (e l’aponeurosi anche sulla parte superiore
delle creste iliache) e si inserisce a livello dell’omero (quindi mettiamo in
relazione bacino ed arto superiore) e statisticamente ha anche un buona
percentuale di inserzione sul bordo inferiore della scapola.
Esempio di un paziente che presenta i muscoli tensori della fascia lata
Biomeccanica muscolare
Se abbiamo uno spasmo bilaterale del tensore della fascia lata (su di una catena
cinetica chiusa) produrrà una rotazione anteriore degli iliaci, quindi il bacino
tenderà ad avanzare (((quindi sarà proiettato in avanti))) e di conseguenza (alla
rotazione anteriore dell’iliaco) avremo un’apertura del grande bacino ed una
chiusura del piccolo bacino ed allo stesso tempo porterà il rachide lombare in una
condizione di iperlordosi
Punto di vista fasciale
Dal punto di vista fasciale a livello lombare abbiamo diversi compartimenti, i quali
vanno dal superficiale come ad esempio la fascia toraco addominale, la quale
appunto si è evoluta nel tempo (passando da una posizione quadrupedica ad una
posizione bipedica) passando da una struttura muscolare a una struttura
puramente di sostegno (infatti anche il suo colore e la sua struttura è cambiata)
infatti è diventata una struttura puramente connettivale di sostegno, la quale si
trova a livello superficiale e si inserisce sul margine inferiore della cifosi dorsale e
va successivamente ad inserirsi a livello del margine superiore del sacro.
Abbiamo un compartimento fasciale che circonda gli
erettori , un compartimento fasciale per il quadrato
dei lombi ed un compartimento per lo psoas. Quindi
tutte queste strutture sono tutte divise tra di loro
(((in compartimenti))), perché appunto devo poter
scorrere (((e quindi scivolare))) tra di loro. Nella foto
a fianco possiamo vedere una buona
rappresentazione delle strutture compartimentali e
delle relazioni che hanno rispetto alla struttura del
margine inferiore costale. Nei passaggi, ovvero tra
queste scissure, abbiamo sia passaggi neurologici
che vascolari.
Sulla lombare abbiamo un’altra struttura che va a relazionarsi con il torace, ovvero
i pilastri del diaframma(le quali sono delle strutture miotendinee e si vanno ad
inserire in forma asimmetrica) i quali intrecciati fra di loro, formano degli iati
(quindi dei fori) all’interno dei quali passano l’arteria femorale ed il passaggio
linfatico (in uno di questi fori), mentre nell’altro passerà l’esofago (quindi è lo iato
esofageo). Queste poi vanno a dissipare come fasci su diverse foglioline presenti a
livello del centro frenico

nella foto a fianco, possiamo vedere alcune


strutture come il piccolo dentato, che interagiscono
con il tratto lombare e che servono a mantenere le
strutture muscolari adiacenti alla struttura lombare.
Test di pressione sul rachide lombare

Il paziente deve essere posto in posizione prona, con la testa all’interno del buco
presente a livello del lettino, oppure con la fronte posta a livello delle mani (per
tenere il capo diritto), oppure in alternativa possiamo mettere le mani a livello de
fianchi e porre un cuscino a livello della fronte.
Il test di pressione si effettuerà a livello delle spinose,
quindi, per effettuare il test poniamo il tallone della
nostra mano a livello di 2/3 processi spinosi
(contemporaneamente, quindi effettueremo una
palpazione a macro gruppi) ed effettueremo una
pressione postero anteriore su tutto il rachide
lombare. una volta individuata una zona in cui le
spinose sono più maggiormente dense, allora
andiamo a valutarle singolarmente quel gruppo di
spinose andando ad individuare quella che è
maggiormente densa.
esempio
Quindi se ad esempio troviamo come vertebra
maggiormente densa L1, possiamo dire quindi che la
disfunzione sarà tra L1 ed L2 (quindi tra le faccette
articolari inferiori di L1 e le faccette articolari superiori di L2).
Successivamente andiamo a valutare se vi è un disallineamento delle spinose (così
iniziamo a farci un’idea del tipo di disfunzione che potrebbe esserci, quindi andiamo
a valutare l’allineamento di L1 rispetto L2): nel caso le spinose siano allineate, allora
possiamo pensare che la vertebra sia o in disfunzione di flessione bilaterale oppure
di una estensione bilaterale. Per cui arrivati a questo punto, facciamo respirare la
nostra paziente (durante il tempo inspiratorio le faccette si devono aprire, mentre
durante l’espirazione le faccette si devono chiudere) nel caso in cui le faccette
durante l’espirazione si chiudono e durante l’inspirazione non si aprono, allora
abbiamo una disfunzione di estensione bilaterale.
Per correggere la lesione, faremo due thrust, prima sulla faccetta di destra e
successivamente su quella di sinistra (quindi andiamo ad aprire <mettere in
divergenza> dove vi è il blocco di estensione <convergenza>.
Altro esempio
Se avessimo trovato un’asimmetria della spinosa sovrastante rispetto a quella
sottostante, allora potevamo avere altre tre tipologie di disfunzioni, o una FRS o
una ERS oppure un blocco bilaterale.
- se la spinosa sovrastante è deviata a destra, possiamo avere una delle tre
disfunzioni descritte sopra (quindi o un FRS sinistra oppure una ERS sinistra oppure
una disfunzione bilaterale)
Disfunzione bilaterale = Sarà una disfunzione bilaterale se durante l’inspirazione e
l’espirazione, non cambia niente (quindi non si normalizza in nessuno dei due casi)
FRS sinistra = Se durante l’inspirazione si normalizza allora avremo una FRS sinistra
(((questo perché, se la faccetta di destra è bloccata in F, vorrà dire che durante la
inspirazione, la faccetta di destra si trova già in flessione, mentre la faccetta di
sinistra, non essendo in disfunzione, ha la possibilità di andare in flessione, per cui
la spinosa della vertebra si riallinea e quindi la vertebra si normalizza, mentre
durante l’espirazione la faccetta di destra <essendo bloccata in flessione> non può
andare in estensione, mentre la faccetta di sinistra può andare in estensione, per
cui la spinosa devia ancora maggiormente verso destra)))
ERS sinistra = Se durante l’espirazione si normalizza allora avremo una ERS sinistra
((( valutazione e test di una disfunzione lombare (riepilogo)
1) Quindi facciamo un test di pressione sul tratto lombare <di 2-3 spinose contemporaneamente>
e successivamente andiamo ad individuare la zona maggiormente densa. 2) A livello della zona
maggiormente densa, andiamo ad effettuare una pressione sulle singole vertebre per
discriminare, quale tra quelle sia maggiormente densa. Una volta individuata la vertebra che
presenta la massima densità, possiamo dire che la problematica è localizzata tra la vertebra in
disfunzione (quindi quella che presenta la maggior densità) e quella sottostante (quindi la
disfunzione è localizzata tra le faccette articolari inferiori della vertebra che presenta la maggior
densità <quindi definita vertebra sprastante> e le faccete articolari superiori della vertebra
sottostante. 3) Successivamente andiamo a valutare il posizionamento del processo spinoso della
vertebra soprastante rispetto a quella sottostante (così da farci una prima idea su quella che
potrebbe essere la disfunzione che presenta quella vertebra), per cui:
- Se la spinosa della vertebra in disfunzione (e quindi della vertebra soprastante) è in linea rispetto
alla sottostante, allora la vertebra potrebbe essere in disfunzione di flessione bilaterale oppure di
estensione bilaterale.
- Se la spinosa della vertebra in disfunzione (e quindi della vertebra soprastante) è deviata a destra
rispetto alla sottostante, allora la vertebra potrebbe essere in disfunzione di FRS sinistra , oppure
di ERS sinistra, oppure una disfunzione bilaterale (e quindi una disfunzione combinata).

4) Successivamente, per andare a denominare la disfunzione, andiamo a chiedere al paziente di


effettuare un atto respiratorio, durante il quale andremo a valutare:
<<<durante l‘atto inspiratorio il paziente (che si trova in posizione prona) aumenta il volume
dell’addome (quindi gonfia la pancia) e siccome l’addome è a contatto con il lettino, questa
anziché gonfiarsi anteriormente, spinge posteriormente, andando così a ridurre la lordosi lombare
per cui le vertebre del tratto lombare andranno in flessione (divergenza), mentre durante
l’espirazione, le vertebre andranno in estensione (convergenza) >>>
Per cui a seguito del test respiratorio possiamo denominare la disfunzione:
Disfunzione bilaterale = Sarà una disfunzione bilaterale se durante l’inspirazione e l’espirazione,
non cambia niente (quindi non si normalizza in nessuno dei due casi)
FRS sinistra = Se durante l’inspirazione si normalizza allora avremo una FRS sinistra (((questo
perché, se la faccetta di destra è bloccata in F, vorrà dire che durante la inspirazione, la faccetta
di destra si trova già in flessione, mentre la faccetta di sinistra, non essendo in disfunzione, ha la
possibilità di andare in flessione, per cui la spinosa della vertebra si riallinea e quindi la vertebra
si normalizza, mentre durante l’espirazione la faccetta di destra <essendo bloccata in flessione>
non può andare in estensione, mentre la faccetta di sinistra può andare in estensione, per cui la
spinosa devia ancora maggiormente verso destra)))
ERS sinistra = Se durante l’espirazione si normalizza allora avremo una ERS sinistra )))
Informazioni sul quadrato dei lombi e strutture limitrofe
Facendo estendere leggermente il paziente, è possibile osservare l’inserzione
della fascia toraco lombare, poi possiamo osservare gli erettori di colonna, il gran
dorsale, il bordo superiore della cresta iliaca, le SIPS, il bordo inferiore delle 12a
costa, ed i processi trasversi delle vertebre lombari (((credo che sia L2 - L3 - L4,
in quanto la trasversa di L5 è meno palpabile o comunque si trova più
inferiormente))).
A questo livello possiamo osservare anche l’orientamento dei fasci del quadrato
dei lombi, ovvero:
- dal margine inferiore di K12 al margine superiore della cresta iliaca (attraverso
la contrazione di questo fascio abbiamo l’effettuazione del movimento di
inclinazione omolaterale)
- dai processi trasversi al bordo inferiore di K12 effettuano principalmente
un’estensione e parzialmente (((quindi in piccola parte l’inclinazione e la
rotazione))). (((quindi promuovono l’estensione perché le coste sono direzionate
verso l’avanti, mentre i processi trasversi si trovano posteriormente rispetto alla
12esima costa, per cui contraendosi portano la 12 esima costa verso il basso e
verso dietro e quindi attuano un’estensione.)))
- dalle trasverse al bordo superiore della cresta iliaca (attraverso questi fasci si
effettuerà in parte la chiusura (((credo che intenda inclinazione
))) , in parte l’estensione ed in parte la rotazione.
TECNICHE DA UTILIZZARE PRIMA DEL THRUST (a livello lombare)

Quindi una volta effettuato il test di pressione di tutto il rachide lombare


(effettuando la pressione di 2-3 spinose alla volta <in contemporanea>)
ed aver individuato una zona in cui abbiamo la massima densità,
andiamo a testare a livello pressorio, qual è la vertebra che è
maggiormente densa (quindi la vertebra che presenta la massima
densità) <come esempio prendiamo la vertebra L2>. successivamente andiamo a
denominare la disfunzione, ma prima di effettuare la correzione attraverso un
thrust, mi accerto che le regioni (((anche se io direi le strutture))) che possono
instaurare questa disfunzione, siano meno influenzanti possibile (quindi andremo
a ridurre le densità/tensioni che stanno intorno alla disfunzione vertebrale <quindi
ad L2> le quali appunto mantengono la vertebra in disfunzione), per cui andremo a
trattare:
- Un’eventuale restrizione della fascia toraco lombare
- Un eventuale restrizione degli estensori
- Ed effettueremo anche un allungamento del quadrato dei lombi

(((Quindi possiamo fare un lavoro fasciale preparatorio sulle strutture (come la


fascia toraco-lomabre, gli erettori di colonna, quadrato dei lombi) che possono
infuluenzare o mantenere la vertebra in disfunzione.)))
Tecnica di allungamento della fascia toraco-lombare

Posizionamento delle mani


Dobbiamo posizionare il tallone della mano craniale a livello delle emibasi (di
entrambe le emibasi) ed il tallone della mano caudale poco al di sopra
dell’inserzione della fascia toraco lombare (quindi più o meno a livello del passaggio
che si ha tra la lordosi e la cifosi)

Esecuzione della tecnica


Questa manovra si effettua attraverso l’utilizzo di poca
forza, ma gran un ottimo posizionamento del corpo,
ovvero una volta posizionate le mani, non dovremmo
utilizzare le braccia per eseguire la tecnica (altrimenti ci
stanchiamo), bensì basterà scendere con le gambe in
maniera tale che attraverso la discesa delle nostre
gambe, noi scendiamo con il nostro corpo ed
automaticamente andremo al allungare la fascia toraco-
dorsale. Per cui allunghiamo la fascia toraco lombare e
manteniamo la posizione fin quando sentiamo che questa
si rilascia. Il lavoro deve essere eseguito in maniera
graduale e lenta.
Nel caso in cui il paziente presenti un’iperlordosi
importante, allora possiamo mettere un cuscino a
livello del ventre del paziente (in maniera tale che si
diminuisca la lordosi lombare).

Discopatia acuta

Se ad esempio siamo di fronte ad una discopatia acuta (dove appunto non possiamo agire attraverso l’utilizzo di una tecnica
strutturale) possiamo effettuare questa tecnica, la quale ci aiuterà molto, questo perché molto probabilmente il paziente
presenterà delle importanti fibrosi (((a livello della fascia toraco lombare suppongo))), inoltre questi pazienti trovano molto
beneficio nel lavorare in flessione (((quindi credo che per flessione intenda una flessione del tronco con conseguente inversione
della curva lombare e allungamento della regione posteriore e quindi della fascia toraco lombare))). Quindi il lavoro di
allungamento della fascia toraco lomabre è ottimo nei pazienti con discopatia acuta. Il lavoro deve essere effettuato in maniera
graduale e lenta

Il Professore, quando lavora nelle discopatie acute, non tratta mai il quadrato dei lombi, in quanto quello è un compenso che il
corpo attua per non avere dolore (preferisce andare ad allungare la fascia toraco lombare e dare agio alle spinose) ma non va a
togliere i compensi che servono in quel momento alla colonna per non sentire dolore. Il rischio maggiore che possiamo avere
nelle discopatie acute è che il paziente si presenti con un forte spasmo (oppure forte tensione) al quadrato dei lombi e che
appunto vi possa essere la tentazione di andare subito a normalizzarlo, ma la risultante potrebbe essere che il paziente in un
primo momento abbia del beneficio e poi a distanza di brevissimo tempo ci richiami dicendo che presenta un dolore maggiore
rispetto al precedente. Quindi se è presente una discopatia acuta, bisogna lasciare la tensione a livello del quadrato dei lombi.
Tecnica di allungamento sugli erettori di colonna

la tecnica è molto simile alla precedente, solo che in questo caso andremo a
palpare entrambi gli erettori di colonna e successivamente, dopo aver riscontrato
la maggior densità a livello di un erettore di colonna, si effettua la tecnica di
allungamento, come per la fascia toraco lombare.
per cui effettuiamo una palpazione degli erettori e valutiamo quello che presenta
la maggior densità.
posizionamento delle mani
una volta individuato lìerettore di colonna che
presenta la maggior densità, allora poniamo il
tallone della mano craniale a lato della SIPS (((dal
lato che dobbiamo trattare ovviamente))) che
vogliamo trattare, mentre il tallone della mano
caudale inproiezione della prima mano
(((ovviamente a livello degli erettori di colonna))).
Esecuzione della tecnica
Come per la precedente tecnica bisogna andare,
attraverso la discesa delle gambe, ad allungare gli
erettori di colonna e manteniamo la posizione fin
quando sentiamo che gli erettori si rilasciano.

Variante
Possiamo effettuare anche un ponsage a livello della massima densità a livello degli
erettori di colonna.
Tecnica di allungamento sui tre fasci del muscolo quadrato dei lombi (paziente prono)

Per quanto riguarda il quadrato dei lombi, andremo ad allungare ognuno dei singoli
asci che lo compongono.
Fascio verticale
Posizioniamo la mano craniale a livello del bordo superiore della cresta
iliaca, mentre la mano caudale viene posizionata a livello del bordo
inferiore di K12. Come per le precedenti tecniche, andiamo ad allungare il
fascio verticale.

Fascio obliquo (dalla trasversa a K12)


Poniamo l’indice sul bordo inferiore di K12, mentre la colonna del
pollice andrà a bloccare le trasverse (quindi con questa mano
facciamo punto fisso), mentre con la mano caudale andiamo ad
afferrare la SIAS e successivamente andiamo ad effettuare (((una
trazione del bacino verso di noi (quindi portiamo la SIAS verso di
noi) ed andiamo ad allungare questi fasci.

Fascio obliquo (dalla trasversa alla cresta iliaca)


In questo caso la tecnica leggermente più complicata. Quindi poniamo la
mano caudale (la quale farà punto fisso) a livello del bacino e la colonna
del pollice (sempre della mano caudale) a livello delle trasverse (((credo
che intenda l’indice a livello della cresta iliaca e la colonna del pollice a
livello delle trasverse))), mentre con la mano craniale andiamo ad
agganciare e sollevare l’emitorace (per rendere la tecnica più
confortevole possiamo mettere un cuscino appoggiato sulle coste).
(((Quindi con una mano blocchiamo la cresta iliaca e le trasverse mentre
con l’altra andiamo a sollevare l’emitorace)))
Utilizzare la tecnica di allungamento del quadrato die lombi in caso di Discopatia acuta? NO
In caso di discopatia acuta, possiamo effettuare la tecnica di allungamento della fascia toraco
lombare, ma non dobbiamo effettuare la normalizzazione al quadrato dei lombi, questo perché:
Il Professore, quando lavora nelle discopatie acute, non tratta mai il quadrato dei lombi, in quanto
quello è un compenso che il corpo attua per non avere dolore (preferisce andare ad allungare la
fascia toraco lombare e dare agio alle spinose) ma non va a togliere i compensi che servono in quel
momento alla colonna per non sentire dolore. Il rischio maggiore che possiamo avere nelle discopatie
acute è che il paziente si presenti con un forte spasmo (oppure forte tensione) al quadrato dei lombi
e che appunto vi possa essere la tentazione di andare subito a normalizzarlo, ma la risultante
potrebbe essere che il paziente in un primo momento abbia del beneficio e poi a distanza di
brevissimo tempo ci richiami dicendo che presenta un dolore maggiore rispetto al precedente.
Quindi se è presente una discopatia acuta, bisogna lasciare la tensione a livello del quadrato dei
lombi.

Utilizzare la tecnica di allungamento del quadrato die lombi in caso di Ernia intraforaminaria? NO
Se il paziente si presenta con un dolore lombare ed una sintomatologia irradiata (((quindi con
un’irradiazione all’arto inferiore))), allora molto probabilmente c’è (((un’ernia))) intraforaminale, per
cui occorrono più indagini per accertarsi di ciò, inoltre, in questi casi, non conviene effettuare un
trattamento del quadrato dei lombi (quindi un allungamento del quadrato dei lombi) in quanto già è
presente un budge che va verso la posteriorità, e noi con la tecnica sul quadrato dei lombi andremo
ulteriormente ad aprire lo spazio posteriore tra una vertebra e l’altra (((quindi daremo la possibilità
all’ernia di fuoriuscire ulteriormente ed andare ad aggravare la compressione sulla radice nervosa)))

Utilizzare la tecnica di allungamento del quadrato die lombi in caso di Lombosciatalgia muscolo
tensiva? SI
Nel caso di una lombalgia muscolotensiva (definita lombalgia miogena o miotensiva) (((ovvero una
lombalgia scatenata dalla contrattura muscolare oppure tensione muscolare a questo livello))) il
paziente presenterà una sintomatologia riferita ad una contrattura muscolare oppure ad una
tensione muscolare, allora il lavoro effettuato (((sui muscoli del tratto lombare, come ad esempio sul
quadrato dei lombi ecc))) a questo livello è ottimale.
Variante con paziente supino per l’allungamento del muscolo quadrato dei lombi

In questa manovra, a seconda del tipo di rotazione che imprimeremo, oppure a


seconda del tipo di orientamento che daremo agli arti inferiori, coinvolgerà,
prevalentemente i fasci verticali, oppure i fasci obliqui.

Allungamento delle fibre verticali (del quadrato dei lombi di sinistra, ma anche
inevitabilmente parte del muscolo trasverso dell’addome e dell’obliquo
dell’addome)
Posizionamento delle mani
Una mano viene posizionata a livello delle gambe,
mentre l’altra a livello del torace.
Andiamo ad agganciare le gambe della nostra
paziente e le trazioniamo verso di noi, cercando di
mantenere il più possibile le gambe della nostra
paziente vicino al lettino (più le gambe della nostra
paziente sono in asse con il lettino, <<<quindi sono
vicine al lettino>>> e maggiormente stiamo
andando ad allungare i fasci verticali del quadrato
dei lombi), mentre l’altra mano fa punto fisso a
livello del torace (((quindi parte anteriore ed
inferiore del torace sembrerebbe))).
Esecuzione della tecnica
Quindi andiamo a portare le gambe della nostra paziente verso di noi (mantenendo
le più possibile vicino al lettino), mentre con la mano sul torace facciamo punto
fisso. Per cui andiamo ad allungare il quadrato dei lombi di sinistra.

Per non distruggerci la schiena, dobbiamo poggiare la nostra gamba al lettino ed


usare quel piede come piede perno, inoltre basterà spostare il peso del nostro
corpo verso dietro (((quindi posteriormente))) per trazionare le gambe verso di
noi.
Allungamento delle fibre oblique (del quadrato dei lombi di sinistra)
(((
Per allungare la fibre oblique poniamo
sempre una mano che effettua punto
fisso a livello del torace, mentre l’altra
mano prende le gambe della nostra
paziente a livello del cavo popliteo e le
(((traziona verso dietro e verso l’alto)))

)))

Stessa tecnica, però vista da


un’altra angolazione
MUSCOLO PSOAS

palpazione del muscolo psoas Per palpare lo psoas dobbiamo andare in profondità

Per individuare il muscolo psoas, dobbiamo prendere come riferimento l’ombelico


del nostro paziente e la SIAS ed è proprio all’interno di questo spazio che andiamo
ad effettuare la palpazione e quindi anche l’individuazione del muscolo psoas.
Quindi per palpare lo psoas dobbiamo porci a metà di quest’area (quindi a metà di
una linea immaginaria che va dall’ombelico alla SIAS))) ed effettuare la palpazione.
Lo psoas presenta una grande variabilità individuale nella sua collocazione, (((quindi credo intenda dire che varia da
soggetto in soggetto la collocazione dello psoas))). L’area compresa tra l’ombelico e la SIAS è un’area in cui oltre
allo psoas sono presenti anche l’appendice vermiforme, il cieco, una parte del colon ascendete, inoltre possiamo
trovare una parte di intestino tenue (il quale può essere estremamente gonfio e pieno d’aria <questo soprattutto nei
pazienti che soffrono di meteorismo>). Queste regioni possono essere confuse con lo psoas, per cui per discriminare
lo psoas dobbiamo per forza fargli effettuare una contrazione. Per cui facciamo effettuare una contrazione
mantenendo la nostra palpazione su quello che pensiamo sia lo psoas e se a seguito della contrazione, non avvertiamo
un cambiamento di questa struttura che stiamo palpando allora vorrà dire che: o stiamo palpando un viscere, oppure
che abbiamo bisogno di un nuovo angolo di lavoro per rilevare la sua contrazione. (VEDI DOPO)
Per individuare lo psoas (((e quindi per
effettuarne una miglior palpazione))), possiamo
chiedere alla paziente di effettuare una
flessione dell’anca (((quindi con la gamba
tesa))), mentre l’altra mano è posizionata a
metà tra l’ombelico e la SIAS (((io credo che a
questo livello abbiamo il passaggio da ventre
muscolare a tendine, anche se il professore
palpando la paziente ha detto che era sul
tendine))). In base al paziente, possiamo
avvertire subito (((quindi nei primi gradi di
movimento della flessione dell’anca la contrazione del muscolo psoas))) la
contrazione dello psoas, mentre in altri pazienti occorrerà fargli effettuare una
flessione di anca quasi completa (((e quindi dobbiamo fargli portare l’anca quasi al
massimo della flessione di anca))).

Inoltre il Professore dice che per farlo contrarre maggiormente,


possiamo (((portare la gamba della nostra paziente in abduzione
ed extrarotazione ed ovviamente di chiederle di mantenere la
flessione di anca))) , (((quindi poniamo noi la gamba della nostra
paziente in abduzione ed extrarotazione e successivamente
chiediamo alla nostra paziente di mantenere la flessione
dell’anca)))
Un altro modo per individuare lo psoas è quello di piegare
entrambe le gambe del paziente e successivamente
effettuare una flessione dell’anca in cui vogliamo
individuare lo psoas, successivamente chiediamo al
paziente di mantenere l’anca in flessione ed andiamo a
valutare la contrazione dello psoas. (quindi nel momento in
cui abbiamo chiesto al paziente di mantenere la gamba in
sospensione, abbiamo avvertito la contrazione del muscolo.
Una volta individuato lo psoas facciamo abbassare la gamba
controlaterale ed andiamo a flettere ulteriormente quella
dal lato dello psoas da trattare attraverso un posnage →

Tecnica di ponsage
Una volta individuato il tendine dello psoas,
andiamo a flettere la gamba della nostra paziente
(per detendere la componente muscolare del retto
dell’addome e la componente dei visceri) ed
andiamo ad effettuare un ponsage sul ventre
muscolare.

Tecnica di allungamento dello psoas


Per eseguire la tecnica, andiamo ad
effettuare un contrappoggio con il nostro bacino nella zona sopra il sacro.
Successivamente con la mano craniale andiamo a bloccare la cresta iliaca (((il
Professore dice che andiamo a reperire sia l’inserzione dell’iliaco che dello psoas
per cui io credo che intenda che attraverso il contrappoggio effettuato al disopra
del sacro (e quindi punto fisso) e con il punto fisso effettuato a livello della cresta
iliaca, andiamo a bloccare l’inserzione prossimale, in maniera tale che attraverso il
movimento effettuato sulla gamba, si possa avere un allungamento del muscolo
ileopsoas))), mentre con l’altra mano possiamo avere due tipologie di
posizionamenti, ovvero in base a se vogliamo allungare esclusivamente lo psoas
oppure allungare lo psoas ed anche il retto del femore:
- Tecnica di allungamento del quadricipite (principalmente) e dello Psoas
(secondariamente).

Quindi attraverso l’esecuzione di questa tecnica, andremo per prima cosa ad


allungare il muscolo quadricipite (ed in particolare il retto del femore) e
successivamente il muscolo psoas.

Posizionamento delle mani


Una mano (((aggancia la parte inferiore del femore, mentre il gomito porta la
gamba in flessione))) mentre con l’altra mano manteniamo con medio, anulare e
mignolo il tendine dello psoas, mentre con pollice e indice ancoro la cresta iliaca
(facciamo punto fisso a livello della cresta iliaca). Per eseguire la tecnica dobbiamo
fare punto fisso con la mano a livello della cresta iliaca, mentre con l’altra mano
effettuiamo una estensione di anca <<<quindi portiamo il ginocchio della nostra
paziente verso di noi>>> mentre con il gomito induciamo una flessione della
gamba. Manteniamo la posizione fin quando non
abbiamo un rilascio del muscolo. (vedi dopo per la
spiegazione dettagliata)

Esecuzione della tecnica


Con questa tecnica portiamo in allungamento la gamba (((quindi effettuiamo una
flessione della gamba ed una estensione dell’anca fino ad arrivare al massimo
allungamento e successivamente possiamo effettuare una MET (prima sul retto del
femore e successivamente sullo psoas, quindi) quindi andiamo a chiedere al
paziente di effettuare una estensione della gamba contro resistenza <quindi una
contrazione del quadricipite contro resistenza> per circa 3 secondi,
successivamente, (quindi nel rilasciamento post isometrico) andiamo ad
aumentare l’allungamento del retto del femore ricercando successivamente la
barriera motrice del retto del femore (effettuando una flessione della gamba) ed
una volta che abbiamo normalizzato (allungato) il retto del femore, andiamo ad
allungare i flessori dell’anca ed in particolare lo psoas, quindi anche in questo caso
possiamo effettuare una MET andando a chiedere una flessione d’anca contro
resistenza e nel rilassamento post isometrico, andiamo ulteriormente ad allungare
i muscoli flessori dell’anca (andando a ricercare un’altra barriera motrice). (((per
cui abbiamo allungato il quadricipite ed in particolar modo il retto del femore e
dopo aver allungato il quadricipite, continuando ad effettuare l’allungamento e
successivamente andiamo ad allungare il muscolo psoas (portando l’anca in
estensione))).

Per cui grazie all’esecuzione di questa tecnica, possiamo effettuare


(principalmente) un lavoro di allungamento del quadricipite (ed in maniera
particolare sul retto del femore) e sul muscolo psoas (secondariamente).

Quindi effettuiamo inizialmente un lavoro di allungamento del quadricipite e


successivamente dello psoas.

In sintesi
Quindi in sintesi, portiamo al punto di massimo allungamento la gamba e la coscia
e manteniamo la posizione fin quando si muscoli si rilasciano, ma se vogliamo
rendere maggiormente efficace l’allungamento, possiamo fare una MET per andare
ad allungare i muscoli della gamba e successivamente andiamo ad allungare lo
psoas.
Nel caso in cui il paziente dovesse presentare un quadricipite troppo teso, allora
possiamo effettuare una variante, la quale è la tecnica seguente:
- tecnica di allungamento dello Psoas (principalmente) e dei flessori d’anca

La tecnica è identica alla precedente, solo che in questo caso andremo ad allungare
principalmente il muscolo psoas e successivamente i flessori dell’anca.
Quindi posizioniamo sempre una mano che
effettua punto fisso a livello della cresta iliaca
(manteniamo con medio, anulare e mignolo il
tendine dello psoas, mentre con pollice e indice
ancoro la cresta iliaca in maniera tale che
questa non posa compensare), mentre l’altra
mano aggancia la parte inferiore dalla coscia.
Per cui la mano posta a livello della coscia farà
effettuare una estensione all’anca della nostra
paziente (((fino ad arrivare alla massima
tensione))) e successivamente aspettiamo il
rilasciamento tissutale (quindi in questa
maniera andiamo ad allungare in maniera pura la componente dei flessori d’anca,
quindi andiamo a lavorare soprattutto sullo psoas, ma anche in parte sul muscolo
pettineo, ed anche in minima parte anche sul retto del femore).

Mentre se vogliamo effettuare un


allungamento ancora più specifico/mirato
dello psoas (((e quindi più efficace sullo psoas
))) possiamo porre l’arto del nostro paziente in
intrarotazione.
Quindi diamo estensione dell’anca ed
intrarotazione ed aspettiamo un rilasciamento
tissutale

Questo è molto utile nel caso di pubalgie oppure di dolori irradiati nella regione
mediale.
Barriera viscoelastica e barriera motrice → utilizzo della barriera viscoelastica nei pazienti
dotati di grande allungamento muscolare (come per le ginnaste e le ballerine)
Noi possiamo lavorare sia su di un limite puramente muscolare, oppure possiamo agire sulla
componente viscoelastica. Il Professore ci insegna questa differenziazione perché se in studio
dovesse presentarsi una ginnasta, oppure una ballerina (le quali appunto hanno una
componente muscolare molto allungata) ovviamente non possiamo andare ad utilizzare le
barriere muscolari per andare ad effettuare un lavoro in MET (in quanto hanno una muscolatura
abbastanza allungata) bensì dobbiamo lavorare dal punto di vista visco elastico e quindi fasciale
puro, ovvero:
Limite puramente muscolare
Se il paziente è supino sul lettino e noi tiriamo verso il tetto la sua gamba tesa, possiamo tirare
la gamba, fin quando vediamo che questa spezza il movimento (a livello del ginocchio), e proprio
il momento in cui viene spezzato il movimento della gamba, corrisponde al limite puramente
muscolare (quindi il massimo allungamento che le fibre muscolari possono sopportare). Se
vogliamo lavorare su questo muscolo, utilizzando appunto una tecnica ad energia muscolare
(quindi una MET) per andare ad allungare appunto i muscoli ischiocrurali, (e quindi lavorare sul
muscolo da un punto di vista puramente muscolare), allora portiamo l’arto del paziente fino ad
arrivare a livello del limite muscolare (e quindi al punto di massimo allungamento delle fibre, e
quindi nel momento in cui viene spezzato il movimento della gamba a livello del ginocchio e
quindi spezzata la catena muscolare) ed andare a porci a livello di questa barriera, chiedendo
una contrazione contro resistenza (quindi chiediamo al paziente di estendere l’anca e di flettere
la gamba) e successivamente nel rilasciamento post isometrico andiamo ad allungare
ulteriormente le fibre muscolari dei muscoli ischio crurali ricercando quindi una nuova barriera
muscolare. Quando lavoriamo sul limite muscolare, andiamo a lavorare sul limite delle fibre e
quindi della capacità che hanno di estendersi.

Linea della gamba che si spezza a causa della barriera muscolare Tecnica in MET a livello della barriera muscolare
Limite viscoelastico (fasciale)
Eseguendo sempre lo stesso movimento dell’arto inferiore del nostro paziente, possiamo
andare anche a valutare la barriera viscoelastica (e quindi la barriera fasciale) la quale appunto,
a differenza di quella muscolare, si può presentare a qualsiasi livello del rom articolare, in quanto
questa è data dalle restrizioni fasciali. La barriera viscoelastica la riscontriamo nel momento in
cui, durante l’induzione del movimento di flessione di anca (quindi mentre portiamo il piede del
nostro paziente verso il tetto) riscontriamo una prima resistenza del movimento, quindi durante
l’induzione del movimento di flessione di anca appena riscontriamo una prima resistenza al
movimento di flessione di anca, siamo arrivati a livello della barriera viscoelastica e quindi alla
barriera fasciale (((inoltre a quanto dice il professore, la barriera viscoelastica può essere
riscontrata sia attraverso la prima restrizione di movimento durante la flessione dell’anca, che
dal primo movimento che si avverte a livello della SIAS <cresta iliaca>, ovvero, se posizioniamo
una mano a livello della cresta iliaca (mentre ovviamente l’altra induce una flessione dell’anca),
il primo movimento che avvertiamo a livello della cresta iliaca, corrisponde alla barriera
viscoelastica. Se vogliamo lavorare a livello viscoelastico, dobbiamo indurre il movimento
dell’anca fino ad arrivare a livello della barriera viscoelastica e successivamente possiamo
lavorarla in varie maniere, ovvero:
possiamo effettuare dei movimenti lemniscali, oppure possiamo lavorarla facendo delle piccole
circonferenze, oppure piccole vibrazioni oppure ancora possiamo lavorarla effettuando delle
piccole compressioni, ovviamente fin quando avremo un rilascio di questa barriera viscoelastica
e quindi noi successivamente andiamo a ricercare la successiva barriera viscoelastica. Quindi in
questa maniera andremo a reidratare la fascia.

Barriera viscoelastica

Ovviamente la tecnica viscoelastica


può essere utilizzata anche nella
tecnica precedente, e quindi sullo
psoas
Spesso noi sottovalutiamo la grandezza e l’importanza del muscolo psoas
Lo psoas è un muscolo che ha un calibro importante, ed occupa un notevole spazio nella
loggia addominale. È un muscolo molto forte e tonico, basti pensare al ruolo che svolge nella
statica. Infatti è un muscolo che troviamo spesso contratto, spesso va trattato e spesso è
una vittima (in quanto essendo un muscolo molto grosso e di passaggio tonico posturale, di
movimento perché è un flessore d’anca) spesso riceve le influenze degli organi adiacenti (in
particolare il cieco, il colon ascendente, il colon discendente ed il sigma, e del rene <in
quanto lo psoas è il binario d scorrimento del rene durante la respirazione), riceve l’influenza
delle dinamiche del passo e della situazione tonico posturale del torace. Quindi da qui
possiamo capire come sia un punto di passaggio importante, inoltre inserendosi attraverso
i suoi due capi a livello dei corpi e dei dischi intervertebrali delle vertebre lombari, se lo
psoas è in spasmo, può determinare si una rotazione vertebrale, ma anche un cattivo assetto
del disco, il quale inizia a lavorare male, in quanto subisce un effetto torsivo <sottoposto dal
tensionamento delle fibre>.
Inoltre lo psoas è attraversato dal nervo genito femorale (il quale è un nervo esclusivamente
sensitivo e che innerva lo scroto e le grandi labbra e del margine inguinale), per cui se lo
psoas va in spasmo può dare anche una pseudo pubalgia
La pubalgia è un termine estremamente generico per indicare una problematica nell’area
del pube. La pubalgia può derivare da una sindrome degli adduttori, del retto dell’addome,
può essere un dolore pubico, può essere una problematica di innervazione dettata da uno
spasmo dello psoas<quindi dolore causato da un impincment nervoso>, potrebbe essere un
problema della membrana otturatoria, potrebbe essere un problema del triangolo di scarpa,
potrebbe essere un problema viscerale riflesso, potrebbe essere un’ernia inguinale.
Quindi quando si presenta un paziente con la pubalgia è difficile capire da cosa questa sia
scatenata, inoltre il paziente si presenta in studio con una situazione di forte distonia, dove
appunto hanno dei muscoli estremamene infiammati, i quali appunto hanno lavorato molto
in eccentrico <e quindi sono molto sensibili>, e magari dall’altro lato è presente un muscolo
debole <che deve essere tonificato> (per cui magari il paziente dovrà fare il recupero di
quella che è la giusta tonicità muscolare tra retto dell’addome, adduttori, retto femorale e
flessori di coscia ed allo stesso tempo efettuare un lavoro osteopatico per cercare di
eliminare la causa del problema <e quindi che scatena la pubalgia> se mai ce ne fosse una,
perché se sono più le problematiche che si stratificano (((e che quindi si sommano)))
bisognerà andare a pulire di volta in volta, per esempio andare a liberare la membrana
otturatoria, capire perché un emi addutore <quindi l’adduttore di un solo lato> ha lavorato
maggiormente in eccentrico, potrebbe essere un problema ti appoggio. QUINDI GIA’
ESEGUENDO UN SEMPLICE TFI e TFS possiamo andare a valutare se vi sia una problematica
ascendente oppure discendente, oppure una problematica puramente locale (anche perché
il TFI e TFS non esclude che sia una problematica locale)
ALTRE TECNICHE AD ENERGIA MUSCOLARE (che non sono quindi fasciali,
quindi non fanno parte del programma di fasciale) SULLO PSOAS

il professore dice che questa tecnica non la usa perché è


difficile da far eseguire al paziente.
Con la nostra gamba andiamo ad agganciare il piede ed
a effetuare una leggera intrarotazione della gamba del
paziente, mentre l’altra mano va a livello del ginocchio
controlaterale. Per cui si chiede una contrazione contro
resistenza di entrambi gli arti, ovvero una estensione
della gamba che si trova fuor i dal lettino ed una spinta
del ginocchio controlaterale in senso caudale (((quindi
credo che intenda una estensione dell’anca))) e nel
rilasciamento post isometrico si cerca una nouva
barriera muscolare.

Variante
Facciamo sedere il paziente ai piedi del lettino, in maniera tale che, da questa
posizione possiamo andare a lavorare (e quindi allungare) il retto dell’addome, lo
psoas, il retto femorale, gli adduttori (se il paziente fatica a manterne la posizione,
andiamo a porre un cuscino sotto la testa (in quanto il paziente non può restare
con la testa in estensione), e se non riesce a mantenere la curva lombare, poniamo
anche lì un cuscino che segua la curva lombare (((quindi un semicerchio))). Per cui
possiamo lavorare sul paziente andando ad allungare una volta lo psoas ed una
volta gli adduttori e poi facciamo allunghiamo lo psoas e successivamente gli
adduttori attraverso delle
tecniche in MET quindi
chiediamo delle contrazion
contro resistenza e nel
rilasciamento post contrazione
isometrica andiamo a ricercare
la nuova barriera motrice e
quindi allungarla.
TABELLA RIASSUNTIVA
Effettuiamo il test di pressione sul rachide lombare ed andremo ad individuare una
zona maggiormente densa. Successivamente andiamo nella zona maggiormente
densa ed andiamo a valutare quale tra quelle vertebre è quella maggiormente densa.
Prima di utilizzare una tecnica in thrust, possiamo fare un lavoro preparatorio sulle
strutture che possono influenzare o mantenere la vertebra in disfunzione:

1) FASCIA TORACO LOMBARE


Test →
Trattamento → mano craniale a livello delle emibasi, la mano caudale poco sopra
il passaggio tra il tratto lombare e dorsale. Effettuare l’allungamento della fascia
toraco lombare.

2) ERETTORI DI COLONNA
Test → palpazione di entrambi gli erettori di colonna ed individuazione del più
denso
trattamento →
1) Il tallone della mano craniale viene posto a lato della SIPS, mentre la mano
caudale a livello dell’erettore di colonna da trattare ((((orientativamente nel
passaggio tra il tratto lombare e dorsale)))
2) ponsage con il gomito a livello della massima densità dell’erettore di colonna

3) QUADRATO DEI LOMBI


Test →
Trattamento →
1) tecniche di allungamento dei vari fasci del muscolo quadrato dei lombi (verticale
ed obliqui) con paziente prono
2) tecniche di allungamento dei vari fasci del muscolo quadrato dei lombi (verticale
ed obliqui) con paziente supino.

5) ILEO PSOAS
Test → palpazione ed individuazione della zona di maggior densità
Trattamento →
1) ponsage con il dito
2) allungamento esclusivamente del muscolo psoas ; oppure allungamento del
muscolo quadricipite e successivamente dello psoas
TORACE

A livello del torace, possiamo evidenziare il muscolo dentato


posteriore superiore ed inferiore, i quali appunto fungono da
puleggia ai muscoli erettori di colonna

Anche in questo caso, effettueremo delle tecniche a livello degli


erettori di colonna (toraco cervicali) e del muscolo trapezio, in
maniera tale da allenatare le tensioni che questi muscoli attuano a
livello della rachide dorsale, (e quindi delle tensioni a livello della
regione posteriore del torace). Questo ci consentirà di effettuare dei thrust più
efficaci, con minore intensità (quindi utilizzerem meno forza).

Test di pressione sulle vertebre toraciche


Nel caso in cui il nostro paziente dovesse presentare
un’imponente muscolatura (come ad esempio un
bodybuilder) diventa complicato tenerlo in apertura di
torace (((e quindi credo intenda con le scapole
abdotte))), per cui se abbiamo il foro per la testa sul
nostro lettino gli facciamo porre la testa al suo
interno, mentre se invece nel lettino non è presente il
foro, gli facciamo ruotare la testa verso un lato
(posizionandolo in questa maniera, avremo agio nel
reperire i punti di repere). Quindi andremo ad indagare dal tratto toraco-lombare,
fino al passaggio di T1 -T2. Quindi, come per il tratto lombare, andiamo ad
effettuare delle pressioni (a livello del tratto toracico) con il tallone della nostra
mano, a livello delle spinose (includendo 2 – 3 spinose per pressione). Una volta
individuata la zona di maggior densità, andiamo ad effettuare un test pressori sulle
singole vertebre che abbiamo ritrovato all’interno di quella zona di massima
densità, e quindi andremo a vedere quale tra queste è maggiormente densa.
Successivamente andremo a vedere l’allineamento delle spinose e lo spazio che vi
è tra le vertebre (lo stesso procedimento che abbiamo attuato sul rachide lombare
viene attuato per il rachide toracico).
Se ad esempio troviamo una disfunzione a livello del rachide dorsale alto, prima di
effettuare una tecnica in thrust, possiamo utilizzare delle tecniche preparatorie, le
Per effettuare una tecnica di allungamento sul muscolo trapezio, dobbiamo
quali ci consentiranno di allungare la componente muscolare (come ad esempio il
muscolo trapezio). Per cui effettueremo una palpazione della muscolatura e
successivamente in base al muscolo che abbiamo trovato, effettuiamo la tecnica di
allungamento (vedi dopo →)
Tecnica di allungamento del trapezio

Effettuando una palpazione, andremo a valutare la zona in cui i muscoli ci


sembrano più tesi (((e quindi secondo me si va a palpare la zona in cui i muscoli
sono più densi))). Una volta individuata una zona di massima densità (oppure di
ipertono) possiamo effettuare:

Tecnica di allungamento miofasciale puro del trapezio

Quindi disporremo le mani in maniera tale che


la zona di massima densità si trovi nel mezzo
delle nostre mani. Per cui porremo la mano
craniale al di sotto della densità, mentre la
mano caudale al di sopra della densità, ed
arrivati a questo punto, effettueremo un
allungamento di queste fibre muscolari ed
aspettiamo il rilascio viscoelastico.

Tecnica di siderazione sul trapezio

Una volta individuata la zona di maggiore


densità, possiamo anche effettuare delle
siderazioni.
Se abbiamo il paziente seduto, le siderazioni a
livello della zona toracica alta, risultano
particolarmente efficaci.
Tecnica di allungamento del gran dorsale

siderazione del gran dorsale


una volta individuata la zona di massima densità a
livello del dorsale, andiamo ad effettuare una
siderazione
TABELLA RIASSUNTIVA
Effettuiamo il test di pressione sul rachide dorsale ed andremo ad individuare una
zona maggiormente densa. Successivamente andiamo nella zona maggiormente
densa ed andiamo a valutare quale tra quelle vertebre è quella maggiormente densa.
Prima di utilizzare una tecnica in thrust, possiamo fare un lavoro preparatorio sulle
strutture che possono influenzare o mantenere la vertebra in disfunzione:

1) MUSCOLO TRAPEZIO
Test → Palpazione ed individuazione delle zone di maggior densià
Trattamento →
1) allungamento miofasciale – poniamo la zona di massima densità tra la mano
craniale e la mano caudale ed andiamo ad effettuare un allungamento di questa
zona, dopodichè aspetimo un rilasciamento fasciale.
2) siderazione a livello della massima densità

2) MUSCOLO GRAN DORSALE


Test → Palpazione ed individuazione delle zone di maggior densià
trattamento → siderazione a livello della massima densità
ARTO SUPERIORE
Introduzione
La spalla è composta da 5 articolazioni, di cui alcune vere ed alcune false. Si
definiscono articolazioni vere, quelle che posseggono una capsula articolare, un
piano di scivolamento faccettario, mentre quelle false svolgono il ruolo di
articolazione, ma non hanno né capsula, né piano di scivolamento faccettario. le
articolazioni vere della spalla sono l’articolazione gleno-omerale, sterno-claveale,
acromion – claveale, mentre le articolazioni false, sono false dal punto di vista
antomico, ma vere da un punto di vista fisiologico, queste articolazioni sono quindi
dei piani di scorrimento e sono l’articolazione scapolo toracica e la sotto deltoidea
L’articolazione scapolo toracica
L’articolazione scapolo toracica svolge una vera funzione fisiologica articolatoria,
ma è un’articolazione falsa, in quanto non presenta capsula, non ha sinovia e non
vi sono faccette articolari di scorrimento. L’articolazione scapolo toracica (quindi la
scapola) è un osso sesamoide, in quanto aumenta il braccio di leva di tutti i muscoli
che compiono dei lavori rotazionali sulla spalla, per cui la scapolo toracica viene
definita come il motore della spalla.

Nel momento in cui un paziente si presenta in studio per una problematica


all’articolazione gleno-omerale (come ad esempio sovraspinato infiammato ecc)
dobbiamo andare a valutare la scapola.

A livello del piano di scorrimento dell’articolazione scapolo-toracica abbiamo una


borsa. A questo livello sono presenti due piani, ovvero un piano viene definito
toraco-serrato (2) (lo piano toraco-serrato è lo spazio compreso tra il torace ed il
punto di inserzione <e quindi di allungamento???> delle fibre muscolari del gran
dentato e come per tutti i piani di scorrimento
avrà in mezzo una borsa) ed un altro piano che
viene definito omo-serrato (1) (Il piano omo-
serrato è lo spazio compreso tra il margine
anteriore della scapola con il gran dentato;
questo piano di scorrimento, come tutti i piani di
scorrimento avrà in mezzo una borsa).

Quindi è un’unica articolazione (viene


considerata falsa dal punto di vista anatomico,
ma vera dal punto di vista fisiologico) anche se i
piani di scorrimento sono due (ovvero il toraco-
serrato e l’omo-serrato).
Nello spazio tra torace e gran dentato (quindi toraco serrato è presente una
borsa), mentre nello spazio tra faccia anteriore della scapola e faccia posteriore
del gran dentato (spazio omo serrato) abbiamo un’altra borsa. Nel momento in
cui queste borse si infiammano, si ha una limitazione di scorrimento (vedi dopo
caso clinico)
L’articolazione sotto-deltoidea
L’articolazione sotto deltoidea è un’articolazione
falsa dal punto di vista anatomico (in quanto non
vi sono strutture articolari) però presenta una
borsa ed un piano di scorrimento fra il margine
inferiore (quindi la parte più interna del muscolo
deltoide) ed il margine superiore del muscolo
sovraspinato (ed interposta sta queste due
strutture abbiamo la borsa
sotto deltoidea)

La borsite
Tutte le borse che si trovano interposte nei vari piani di scorrimento, sono soggette ad
infiammazione <quindi borsiti>. Queste infiammazioni possono derivare o dall’attrito,
oppure da una infiammazione, nello specifico:
- Dall’attrito (quindi infiammazioni causate dallo scorrimento <in quanto la borsa si
surriscalda, si deteriora ed allora il corpo ci butta su l’acqua (((quindi attua
l’infiammazione))), e piccoli detriti di sangue ovvero crea l’edema>. Quindi infiammandosi
la borsa, riduce il piano di scorrimento tra le due superfici.
- Da un’infezione come per esempio un’infezione da stafilococco → esempio: se il paziente
ha avuto una faringite (con episodi di febbre) oppure ha effettuato un intervento dentario
e dopo 15 giorni si presenta da noi in studio con una spalla bloccata, senza alcuna ragione,
(((allora possiamo pensare che questo paziente abbia un’infiammazione della borsa
causata da un batterio))) per cui la cura giusta per questo paziente potrebbe essere
l’antibiotico. Normalmente una situazione batteria viene caratterizzata dalla presenza di
febbre (quindi il paziente presenta la febbre, oppure ha avuto un trascorso di febbre)
quindi ad esempio ha avuto una faringite con febbre e dopo 15 giorni viene da noi in studio
perché gli si è bloccata la spalla (oppure con il gomito gonfio e bloccato) e noi durante la
valutazione riscontriamo che (((la zona interessata))) presenta i segni tipici
dell’infiammazione (((i quali sono: calore della parte infiammata, arrossamento,
tumefazione, dolore, alterazione funzionale <calor, rubor, tumor, dolor, functio laesa>)))
quindi presentano ad esempio le articolazioni gonfie, calde.
(VEDI DOPO PER LA SPIEGAZIONE IN SINTESI)

In sintesi… ((( Per cui se il paziente ha avuto una faringite, oppure ha subito un intervento
dentario ed a seguito di ciò ha avuto la febbre (((o comunque durante quei 15 giorni))) e si
presenta da noi in studio con una spalla bloccata (oppure con un gomito bloccato) senza
alcuna ragione (((quindi senza aver fatto niente di che))) ed inoltre durante la nostra
valutazione constatiamo che la spalla presenta i classici segni dell’infiammazione (calore
della parte infiammata, arrossamento, tumefazione, dolore, alterazione funzionale) allora
possiamo pensare che il batterio stafilococco, sia migrato nella borsa e che l’abbia
infiammata (quindi scatenato una borsite) la quale appunto, va a diminuisce la possibilità
di scorrimento dei piani tra i quali questa si trova, (((causando così un blocco della spalla))).
Per cui il nostro compito sarà quello di consigliare al paziente di farsi visitare dal suo
medico, il quale dovrebbe prescrivergli l’antibiotico. Se la condizione di infiammazione
della borsa permane nel tempo, causa delle forti fibrosi della borsa. )))

Raffreddore dell’anca
Molto diffuse sono anche il cosiddetto “raffreddore dell’anca” (in quanto un raffreddore
oppure un’infezione batterica 15 gg prima ed arriva da noi in studio con la trocanterite
acuta e la zona si presenta calda, gonfia, ematosa, per cui si consiglia di fare cura
antibiotica)
Per cui, il motore della spalla è la scapola, per cui nei problemi della spalla
dobbiamo sempre andare a valutare la scapola. La guida della scapola è la calvicola,
la quale rappresenta la guida della spalla nello spazio ed il fattor epiù rilevante
riguardante l’articolazione sterno claveale è data dal fatto che è l’unica relazione
dell’arto superiore con il tronco (quindi l’unico punto di aggancio della spalla sul
torace) (((quindi abbiamo una struttura appendicolare appesa all’articolazione
sterno calveare, e questo ci comporterebbe ad avere frequentemente problemi alla
spalla <essendo l’unica relazione l’articolazione sterno calveare> ma siccome il
corpo lavora come una struttura tensegrile, questo non succede))).
La clavicola

La clavicola è molto importante, in quanto:


1) La clavicola rappresenta la guida della spalla, e rappresenta
un punto importante delle inserzione delle fasce (fascia
media e superficiale a livello cervicale),
2) punto di inserzioni muscolari importanti come il
succlavio, scom, deltoide, il grande pettorale, i fasci
superiori del trapezio.

3) La clavicola rappresenta il muro anteriore dello stretto toracico


superiore (diaframma falso dal punto di vista anatomico, ma vero dal
punto di vista fisiologico). Lo stretto toracico superiore rappresenta un
punto di snodo importante per i vasi ed i nervi che vanno ed arrivano dal
cranio (il in risalita: plesso cervicale, l’arteria carotidea, ; in discesa e
quindi uscita il IX – X – XI, il nervo frenico la vena giugulare), inoltre
abbiamo il passaggio del plesso brachiale, la vascolarizzazione dell’arto
superiore (quindi arteria succlavia e vena succlavia), inoltre abbiamo il
passaggio dell’arteria mammaria superficiale (o anche detta esterna) che va ad
irrorare le ghiandole mammarie, poi scende e superficialmente va ad irrorare
(agganciandosi all’arteria iliaca anche una parte di componente uterina) inoltre
rappresenta un passaggio importante linfatico.
QUINDI LO STRETTO TORACICO SUPERIORE RISULTA ESSERE MOLTO IMPORTANTE.
A livello della clavicola abbiamo:
Quindi l’articolazione sterno claveare è una
toroide (presenta una forma molto paricolare,
in quanto consente solamente alcuni limitati
movimenti, ed ovviamente i movimenti sono
dettati dalla forma della faccetta articolare), la
quale presenta un menisco interposto tra le
due superfici articolari, inoltre sono presenti il
legamento sterno calivolare, interclavicolare
ed il legamento tra clavicola e prima costa, inoltre a livello della clavicola abbiamo
il muscolo succlavio, il quale risulta essere un muscolo falso dal punto di vista
motorio, in quanto perché in realtà la sua funzione è più da ammortizzatore ed
armonizzatore nelle tensioni tra prima costa e clavicola.
A livello dell’articolazione
gleno omerale, possiamo
vedere la borsa sotto
deltoidea, la quale appunto si
trova interposta tra la faccia
inferiore del deltoide e la faccia
superiore del sovraspinoso. La
borsa a 90° si introflette
completamente sotto
l’acromion e quindi scompare.
Dal punto di vista palpatorio, se fino ad ora avevamo a che fare con strutture
relativamente più in “compressione” (dove potevamo usare delle spinte
leggermente più significative), sulla spalla l’azione palpatoria, soprattutto
nell’utilizzo dei test di pressione, questi dovranno essere molto delicati e fini (il
rischio è quello che durante l’esecuzione del test di pressione, andiamo a
stirare/trazionare in maniera eccessiva le strutture e che perdiamo moltissime
informazioni.

Esistono delle catene disfunzionali che (è vero che clinicamente, prevalentemente


le catene sono discendenti), pero se vi sono ad esempio dei traumi, come le cadute
a braccio teso, cadute sul fianco, le quali traumatizzano fortemente l’arto superiore
creando appunto delle catene disfunzionali ascendenti che hanno origine ad
esempio da una mancata funzionalità del gomito, e danno delle ripercussioni che
arrivano alla spalla, alle cervicali (quindi il paziente si presenta da noi per una
sintomatologia cervico brachiale, ma ad esempio l’origine di questa può essere
causata da un malfunzionamento del gomito). Quindi i test saranno molto più fini
e leggeri e quindi anche le manovre saranno più fini e leggeri, in quanto l’arto è
sospeso.
Quando si presenta un paziente per un problema alla spalla, è un pochino
complicato per noi, in quanto la spalla è un’articolazione ipermobile (e per noi è
complicato risolvere il problema delle ipermobilità). Quindi se si presenta un
paziente in studio con problematiche alla spalla, dobbiamo prendere in
considerazione la scapola, i rapporti con il tratto cervicale (per quanto riguarda
l’innervazione e la vascolarizzazione), lo stretto toracico (quindi K1 e K2 e calvicola)
“STILL DICEVA CHE K1 E K2 E LA CLAVICOLA VANNO SEMPRE ISPEZIONATE”
PARTE RIFERITA ALLA CLAVICOLA (uso questa divisione per dividere le tecniche)

Test di pressione sull’articolazione sterno claveare

Dato che la struttura su cui dobbiamo fare il test


pressorio è una struttura appesa, dobbiamo
effettuare una pressione molto lieve. Per
identificare l’articolazione sterno claveare,
andiamo ad individuare la forchetta sternale ed i
tendini del muscolo SCOM (((in quanto
l’articolazione dovrebbe trovarsi tra i due
tendini))), inoltre sentiremo la componente
tondeggiante della testa della
clavicola, e quindi sappiamo
che questo spazio è lo spazio
articolatorio (ed è qui che
posizioneremo la mano per il test)

Il test di pressione possiamo effettuarlo in due posizioni differenti:


- Ponendoci alla destra del nostro paziente (come per tutti gli altri test)
Per cui andiamo a porre una parte del tallone della mano
(la parte più interna del tallone della mano, quindi il
nostro Tenar) nella proiezione dell’articolazione sterno
claveare e la mano sarà in direzione alto e fuori (per
evitare di portarle in direzione della gola del paziente).
Per cui andiamo ad effettuare una lievissima pressione
antero-posteriore ed andiamo a discriminare, qual è il
lato maggiormente denso.

- Ponendoci alla testa del nostro paziente


L’esecuzione del test è come il precedente,
solo che in questo caso ci poniamo alla testa
del paziente.

La positività del test mi può fare pensare che vi sia


una interazione dello stretto toracico superiore
(((anche se credo intendesse alterazione dello
stretto toracico superiore))).
Quindi una volta identificata la massima densità, andiamo ad effettuare il test di
mobilità sulla clavicola (superiorità, anteriorità e posteriorità) e successivamente,
una volta denominata la disfunzione, possiamo effettuare la tecnica di correzione
in thrust, oppure, se vogliamo agevolare la correzione possiamo andare ad
effettuare delle tecniche fasciali (((preparatorie alle tecniche in thrust))). (vedi
dopo).

Tecnica di recoil sulla parte capsulare dell’articolazione sterno claveale

Se riscontriamo una densità al livello della sterno claveare possiamo effettuare un


lavoro di “rilascio” della parte capsulare, ovvero:
Se riteniamo che la parte più densa è relativa alla testa
(quindi la componente puramente faccettaria),
possiamo andare ad effettuare un recoil (((attraverso
la ricerca della maggiore densità nei piani dello spazio
e l’apnea respiratoria che addensa maggiormente la
disfunzione))) a livello della parte tissutale della
capsula (ovviamente eseguendo questa tecnica
avremo effettuo anche sui legamenti interclaveali, e
sul legamento sterno claveale, ma fondamentalmente
lavoriamo molto sulla viscosità della capsula).
Tecnica di ponsage sul muscolo succlavio

Il muscolo succlavio (fa da relè) e da


ammortizzatore della nostra clavicola.
Andremo a reperire il muscolo e
successivamente effettueremo un
ponsage. Se troviamo un muscolo
fibrotico, dobbiamo continuare ad
effettuare il ponsage e quindi dedicargli un
po' di tempo ed aspettare che si
defibrbrotizzi.

Succlavio fibrotico

Spesso il muscolo succlavio molto fibrotico si trova nelle spalle traumatiche (quindi spalle che hanno subito un
trauma, come ad esempio una lussazione della spalla) come ad esempio una lussazione della spalla.

Perché il succlavio dopo una lussazione di spalla va in spasmo? Il succlavio va in spasmo perché il suo corpo sta
cercando di proteggere (((la spalla))) limitando il movimento (((per cui il succlavio si fibrotizza e si blocca))).

Il paziente durante la manovra d ponsage può avvertire anche delle piccole scosse (ad esempio dietro
l’orecchio, acufene ??? dolore dietro il braccio, dolore retrosternale, sudorazione fredda???) in quanto vuol
dire che il ponsage sta prendendo a retroso il plesso cervicale (non è un problema e si può continuare con il
ponsage). Questi segni li abbiamo perché durante il ponsage a livello del succlavio andiamo a stimolare il
passaggio del frenico(posteriore), del vago, ed inoltre siamo in proiezione del ganglio cervicale superiore
(quindi del ganglio stellato, il quale può dare dei riflessi trofici dell’arto superiore, quindi può sentire anche un
restringimento della componente vascolare periferica).

Quindi, liberando/normalizzando il succlavio abbiamo innumerevoli miglioramenti nel breve termine, come ad
esempio la respirazione, miglioramento della vascolarizzazione dell’arto superiore <Quindi normalizzando il
muscolo succlavio miglioriamo il funzionamento di tutto quello che passa tra al di sotto della clavicola (((quindi
nella pinza tra clavicola e prima costa)))>.

Spesso le coliche da calcolosi della coliciste danno una sintomatologia affine alle sindromi pre infartuali (i quali
sintomi dovrebbero essere dolore dietro il braccio, dolore retrosternale, sudorazione fredda) in quanto le vie
afferenti sono simili (infatti i pazienti vengono portati prima in cardiologia e se il tracciato risulta negativo, li
portano in medicina interna e da li vanno ad indagare ed a trovare i calcoli). Anche le problematiche di ulcere
gastrice danno una sintomatologia simile
Variante tecnica di ponsage sul muscolo succlavio (Accesso sottopettorale del succlavio)

(((per eseguire questa tecnica, credo che


dobbiamo seguire il margine del pettorale ed
entrarci dentro <ovviamente andremo a
deprimere la componente del piccolo
pettorale per arrivare al muscolo succlavio>)))
Quindi (((direziono la mano verso il succlavio)))
vado anteriormente al margine di K1 e risalgo,
in questa maniera siamo proprio sul muscolo
succlavio. Per cui una volta trovata una zona
rigida (((a livello del succlavio))) andiamo ad
effettuare un ponsage.

precauzioni
In questa tecnica dobbiamo stare molto attenti a
non schiacciare i linfonodi (se troviamo delle aree
tondeggianti rossastre, infiammate e dolenti, Esecuzione tecnica
allora dobbiamo evitare di toccarle)

Siccome le donne si depilano i peli sotto le ascelle,


è molto più probabile trovare delle aree linfatiche
(((suppongo che intenda i linfonodi)))
(((???infiammate???)))

Esecuzione tecnica
CONOIDE E TRAPEZOIDE

Il conoide ed il trapezoide sono localizzati nella parte


infero esterna della clavicola ed hanno un
orientamento come una pistola (anche se sarà difficile
identificare i due fasci), inoltre avremo anche un fascio
trasverso che crea un forame di passaggio il quale è un
punto di arrivo per il muscolo
omoioideo e per il nervo circonflesso
(((credo per il passaggio del nervo e
l’arrivo del muscolo))), Per cui
andando a defibrotizzare questa zona
daremo un imput anche a queste
strutture.
Quindi dobbiamo essere molto precisi nell’individuare la coracoide, quindi ci
posizioniamo sull’acromion e scendiamo anteriormente, fino a palpare la
coracoide. (((dobbiamo essere sicuri di essere a livello della coracoide e non della
gleno omerale (((e quindi andare a discriminare la coracoide dalla gleno omerale))),
in quanto la gleno omerale ovviamente ha una mobilità maggiore. La coracoide,
soprattutto nei pazienti che tendono ad avere un atteggiamento chiuso ed
anteposto delle spalle <<<quindi una chiusura anteriore >>> può risultare
particolarmente dolorosa (su di essa si inserisce il capo lungo del bicipite brachiale
ed il piccolo pettorale <<<se troviamo il piccolo pettorale fibrotizzato, possiamo
fare dei ponsage oppure delle siderazioni per defibrotizzare il muscolo>>>).
Quindi nello spazio compreso tra la coracoide ed il margine inferiore della clavicola
abbiamo i legamenti trapezoide (lateralmente) e conoide (medialmente) ed inoltre
troviamo anche la proiezione del legamento trasverso.
Siderazione del legamento conoide e trapezoide

Quindi nello spazio compreso tra la coracoide ed il margine inferiore della clavicola
abbiamo i legamenti trapezoide (lateralmente) e conoide (medialmente) ed inoltre
troviamo anche la proie zione del legamento trasverso.

Siderazione con paziente seduto

Se alla palpazione individuiamo uno dei due legamenti più


denso, allora andiamo ad effettuare una siderazione.

Siderazione con paziente supino

La siderazione creerà un rilascio della


struttura legamentosa, con
conseguente aumento della
vascolarizzazione, aumento
dell’innervazione (nello specifico
della componente propriocettiva
propria della testa dell’omero) ed
inoltre potrebbe favorire il passaggio
dell’omoioideo

Il trapezoide si trova più distalmente e


più anteriormente, mentre Il conoide
si trova più internamente e
posteriormente (fonte arto superiore)
PARTE RIFERITA ALLA SCAPOLA (uso questa divisione per dividere le tecniche)

ANATOMIA DELLA SCAPOLA


Ogni volta che c’è una disfunzione alla sterno claveare oppure alla gleno omerale,
bisognerà andare a valutare e successivamente trattare la scapola.

Sulla scapola faremo un trattamento miofasciale per tutto ciò che riguarda la
muscolatura (quindi siderazioni specifiche su delle inserzioni tendinee precise)
vedremo uno srotolamento globale della scapola (attraverso una presa globale
della scapola) ed il trattamento del piano omo-serrato e toraco-serrato.

La scapola ha una relazione sia con l’asse longitudinale della colonna che con i
meccanismi rotazionali dell’omero.

Esaminazione dei punti di repere dei muscoli della spalla.


La scapola ha due facce, una anteriore ed una posteriore, presenta un angolo
inferiore ed una spina orizzontale (la quale divide una regione sovraspinosa da una
sottospinosa.
- Nella regione mediale della scapola sono presenti trapezio (il Professore dice che
si inserisce anche il trapezio, ma sul prometheus non mi risulta) e romboidi. Sono
piuttosto superficiali e si inseriscono nel bordo mediale della scapola.
- nell’angolo inferiore della scapola troviamo in maniera incostante l’inserzione del
gran dorsale

- nel bordo laterale della scapola abbiamo: il grande ed il piccolo rotondo, il capo
del tricipite ed il muscolo trapezio.
- a livello della faccia posteriore abbiamo il muscolo sottospinoso o infraspinato ,
il muscolo sovraspinato, l’inserzione del trapezio.
- a livello dell’angolo supero interno abbiamo l’inserzione dell’angolare della
scapola (o anche detto elevatore della scapola) e l’inserzione dell’omoioideo
- sul bordo mediale ed anteriore della scapola abbiamo l’inserzione del muscolo
gran dentato
- a livello della faccia anteriore della scapola è presente il muscolo sottoscapolare
(si palpa bypassando il muscolo gran dorsale e dirigendoci verso la faccia anteriore
della scapola)
- inserzione del piccolo pettorale sulla coracoide

- Sul bordo inferiore della spina della scapola il muscolo deltoide

- Sul bordo superiore della spina della scapola abbiamo l’inserzione del muscolo
trapezio.
Questi muscoli contribuiscono a far ruotare l’omero, ma se (((facciamo punto
fisso a livello dell’omero))) faranno effettuare dei movimenti alla scapola:

deprimono la scapola (quindi portano verso il basso la scapola)


i fasci inferiori del trapezio la deprimono innalzeranno la scapola
il gran dorsale

innalzano la scapola
i fasci superiori del trapezio
l’elevatore della scapola

adduzione
i romboidi

abduzione
il pettorale
il gran dentato tiene accollata la scapola al torace

intrarotazione
piccolo e grande rotondo
Siderazione dei muscoli che si inseriscono sulla scapola

andiamo a reperire il bordo mediale della scapola e successivamente andiamo ad


effettuare con il nostro busto una piccola pressione in maniera tale da fare sporgere
leggermente il bordo mediale della scapola (((e quindi rendere più palpabile il
bordo mediale della scapola))).
SIDERAZIONE ROMBOIDI
Per cui andremo ad effettuare una palpazione e
prima del bordo mediale della scapola e
successivamente degli altri per andare a valutare la
muscolatura che si inserisce, per cui andremo a
palpare l’inserzione dei romboidi, dell’elevatore
della scapola, del gran dorsale (qualora questo si
inserisca), grande e piccolo rotondo e
successivamente del muscolo sovraspinoso. Per
cui andremo a palpare le inserzioni muscolari di
questi muscoli ed andremo successivamente SIDERAZIONE ELEVATORE DELLA SCAPOLA
ad effettuare (singolarmente per ogni
muscolo) l’individuzione della zona di
massima densità e successivamente la
siderazione. (((la siderazione il Professore la
effettua portando velocemente le dita verso
l’esterno)))

SIDERAZIONE GRAN DORSALE

SIDERAZIONE PICCOLO E GRANDE ROTONDO

SIDERAZIONE SOVRASPINOSO

SIDERAZIONE GRAN DENTATO


Ponsage dei muscoli che si inseriscono sulla scapola

Gran dentato
Per effettuare il ponsage del muscolo sottoscapolare,
dobbiamo effettuare una pressione con il nostro busto a
livello della spalla della nostra paziente, in maniera tale
che si renda più sporgente il bordo mediale della scapola

successivamente dobbiamo entrare in profondità con


le nostre mani ed andare a palpare il punto in cui
sentiamo la massima densità ed una volta individuato
questo punto, andiamo ad effettuare un ponsage
(((anche se sembra che il Professore non facesse un
ponsage solo a livello del muscolo, ma facesse delle
ponsage
circonduzioni anche della scapola
contemporaneamente))).

SIDERAZIONE
Oppure in alternativa possiamo effettuare anche una
siderazione
Sottoscapolare
Per andare ad effettuare un ponsage a livello del
muscolo sottoscapolare, dobbiamo prendere l’arto
superiore della nostra paziente ed agganciare il suo
gomito al nostro ed effettuare una piccola trazione
verso l’alto della spalla (quindi una piccola
decoattazione della spalla) in maniera tale da creare
il rilievo del gran dorsale (e quindi mettere il gran
dorsale maggiormente in risalto) in maniera tale da
poter entrare con la colonna del pollice (bypassando
il gran dorsale) per arrivare appunto a livello del
muscolo sottoscapolare.

Una volta essere arrivato a livello del


sottoscapolare, facciamo riposare il braccio della
paziente ed andiamo ad eseguire un ponsage.
Inoltre per aumentare l’effetto del ponsage
possiamo mobilizzare il braccio della nostra
paziente in senso craniale oppure in senso
caudale (quindi lo spostiamo superiormente Vista da dietro
oppure inferiormente) andando a valutare quale
tra i due movimenti va ad aumentare la densità
del muscolo sottoscapolare

Vista da sopra

Mobilizzazione in senso caudale Mobilizzazione in senso craniale


Tecnica di scollamento della scapola

posizionamento delle mani ed esecuzione della tecnica


La mano caudale entra con la colonna del pollice in
profondità fino ad arrivare al muscolo sottoscapolare
(come per la tecnica di ponsage sul sottoscapolare) mentre
con il resto della mano andiamo ad agganciare l’angolo
inferiore della scapola.
E successivamente posiamo il braccio
della nostra paziente.

Con il pollice della mano craniale vado ad agganciare


la coracoide (processo coracoideo), mentre con le
restanti falangi, vado sul margine postero inferiore
della spina della scapola (((quindi al di sotto della
spina della scapola))). In questa maniera abbiamo in
mano tutta la scapola

Ed a questo punto andiamo a mobilizzare la scapola


su tutti i piani dello spazio, andando a verificare
dove questa faccia più fatica ad andare. Quando
troviamo dove fa fatica ad andare, manteniamo la
posizione fin quando non avviene un rilasciamento
tissutale.

Questa tecnica favorisce la mobilità della scapola, la vascolarizzazione dell’arto


superiore, un miglioramento per quanto riguarda le inserzioni delle strutture
muscolari (((quindi un miglioramento delle inserzioni muscolari)))
Se abbiamo una scapola accollata al torace (in cui quindi
non riusciamo ad entrare aldi sotto del margine mediale
della scapola) allora vorrà dire che vi è uno spasmo del
muscolo gran dentato. Per cui in questi casi per riuscire
ad entrare in maniera ottimale , dobbiamo fare
principalmente uno scollamento del dentato e
secondariamente possiamo porre il braccio del paziente
in intrarotazione.
Lo scollamento della spalla va utilizzata:

Questa tecnica va utilizzata ogni volta che abbiamo una positività della sterno
claveare, e quando è positiva la gleno omerale. Nei lavori post chirurgici (dopo circa
un mese/ un mese e mezzo di lavoro post fisioterapico), oppure nei pazienti in cui
il dolore è riferito in regione capo lungo del bicipite oppure nella regione del
sovraspinoso,
oppure nei casi in cui abbiamo una scapola che
presenta dei limiti funzionali, i quali appunto
comportano dolore → normalmente il dolore
funzionale alla scapola si avverte dai 90/95° ai
120/130° (quindi quando il paziente presenta un
dolore che si presenta dai 90° di abduzione in poi, le
prolematiche possono essere fondamentalmente
due, ovvero o una borsite, oppure un mal funzionamento della
scapola e quindi lo scorrimento del deltoide rispetto al sovraspinato non è ottimale,
per cui andando a liberare la scapola, possiamo pensare di andare a migliorare il
funzionamento della gleno omerale)
- Va molto bene nelle spalle congelate, quindi ad esempio nei casi di capsulite
adesiva (ovviamente noi non riusciamo ad intervenire sulla capsula in quanto è
estremamente rigida, ma interveniamo sul drenaggio , quindi andiamo appunto a
drenare i cool the sack presenti a livello della gleno omerale) (((Anche se Cosimo ci
lavora)))
MIGLIORAMENTI CHE ABBIAMO UTILIZZANDO QUESTA TECNICA
- miglioriamo la funzionalità della colonna per quanto riguarda la parte toracica
- inoltre miglioreremo anche il funzionamento della parte cervicale, per via del
miglioramento del trapezio.
- miglioriamo anche la dinamica dello stretto toracico superiore

NON CONVIENE UTILIZZARLO SU PAZIENTI CHE PRESENTANO PROTESI, TRAUMI


MUSCOLARI IMPORTANTI RECENTI
Lavoro sui piani toraco serrato e omo serrato

Il lavoro è molto fine. Dobbiamo creare una compressione sulla scapola sul piano
postero anteriore e sentire la sua capacità di scorrere rispetto al gran dentato, e
successivamente aumenteremo la pressione andando ad inglobale/ingaggiare
anche il gran dentato per andare a vedere come scorre rispetto alla regione toracica
questo ci permetterà di vascolarizzare, ma soprattutto di idratare la borsa e di
creare un miglior scorrimento dei piani.
Il paziente (in teoria) dovrebbe restare in questa posizione,
quindi mettendo la testa dentro il buco del lettino, se non è
presente il buco nel lettino, allora gli facciamo girare la testa.

Omo serrato (N1 nell’immagine)


Appoggiamo i gomiti sul lettino e le mani a piatto sul bordo
posteriore delle scapole (((in pratica, il Professore pone il
pollice a livello del bordo mediale della scapola “circa”,
mentre l’indice si trova circa a livello dell’angolo inferiore
della scapola”circa”))) ed eseguiamo una leggera
compressione postero anteriore (((passando i vari strati
tissutali,e quindi cute - sottocute - fascia ed una volta
arrivati a livello dell’osso <e quindi a livello della scapola>
non comprimiamo più, ed andiamo a testare la mobilità
della scapola rispetto al gran dentato))) e successivamente facciamo effettuare alla
scapola dei movimenti lemniscali per andare appunto a valutare la dinamica della
scapola rispetto al gran dentato (((e quindi lo spazio omo serrato))). Quando
riscontriamo una restrizione del movimento lemniscale in uno dei piani dello
spazio, manteniamo la posizione ed aspettiamo
che i tessuti si rilassino.
Toraco serrato (N2 nell’immagine)
Successivamente andiamo ad effettuare nuovamente
una compressione ma in questo caso la nostra
compressione postero anteriore deve inglobare scapola
e gran dentato, per andare a verificare appunto come
queste si muovano rispetto al torace. Quando
riscontriamo una restrizione del movimento lemniscale
in uno dei piani dello spazio, manteniamo la posizione
ed aspettiamo che i tessuti si rilassino. Nel momento in
cui abbiamo una restrizione di mobilità allora possiamo
pensare che vi sia un’infiammazione della borsa, oppure una restrizione di mobilità
appunto del gran dentato rispetto alla struttura toracica (e quindi ciò comporterà
una scapola maggiormente adesa al torace). Quindi in questi casi conviene prima
scollare il gran dentato e successivamente andare ad effettuare la tecnica sullo
spazio toraco serrato e quindi attraverso questa tecnica andare a reidratare la
borsa.
In quali casi possiamo riscontrare una scapola alata?
Se un bambino, nell’arco di età che va dai 7-8 anni ed i 13-14 anni si presentano una grossa
componente di extraruotazione delle scapole (((quindi scapola alata))) allora possiamo
pensare che abbia possa avere una lassità legamentosa, e quindi delle scapole alate (quindi
le scapole alate sono dettate da una lassità legamentosa). Per verificare se il bambino
presenti una lassità legamentosa (((generale))) andremo a guardare l’allungamento del
mignolo e del pollice.
Se il viso del paziente è piuttosto allungato e le braccia piuttosto lunghe, il paziente
potrebbe avere la sindrome di Marfan, la quale comporta geniticamente una lassità su tutto
il tessuto connettivo. Questa patologia presenta dei gradi (((e quindi il grado della lassità
credo))). La problematica maggiore è che il tessuto connettivo va dal sangue all’osso, e
quindi una di quelle strutture che possono diventare estremamente lasse, sono le strutture
di sostegno (e tra quelle strutture di sostegno che possono creare maggiore problemi, sono
le strutture di sostegno dei grandi vasi, quindi i pazienti possono crearsi una decoattazione
dell’aorta <quindi un ripiegamento dell’aorta> con grossissimi problemi per quanto
l’aspetto vascolare). Se ad esempio su questi pazienti facciamo un thrust in lombar roll,
possiamo creare una dissezione dell’aorta addominale. Per cui con questi pazienti bisogna
stare molto attenti.
Se si presenta un paziente che va dai dai 30 ai 45-50 anni e si presenta solo con una scapola
alata, allora possiamo pensare che vi sia una problematica di tipo neurologico (tra le
problematiche neurologiche possiamo avere una problematica del plesso brachiale ad
esempio, ma inoltre se il paziente si presenta con una spalla alta ed un deltoide abbastanza
appiattito <<<con il gradino ad esempio tra acromion e omero>>> potrebbe essere una algo
distrofia ed è una patologia importante dal punto di vista neurovegetativo, in quanto
attacca le fibre trofiche.
La scapola alata può essere causata dalla rottura oppure dall’ablazione del nervo toracico
lungo, a causa di un trauma. Una lesione del nervo toracico lungo induce anche una
problematica a livello respiratorio, in quanto il nervo toracico lungo va ad innervare il
muscolo gran dentato (il quale appunto collabora all’atto respiratorio). (Inoltre, Quindi
anche indirettamente patologie polmonari possono indirettamente creare problematiche
al muscolo gran dentato)

Oppure per via infettiva, quindi il battere oppure un virus (ad esempio l’erpes) può migrare
ed infettare (quindi intaccare il nervo toracico lungo ) e dare una momentania e transitoria
deficienza del nervo toracico lungo (ovviamente questa situazione è accompagnata da
febbre nei giorni precedenti) (questa è una controindicazione assoluta al trattamento).
Test di pressione sulla gleno omerale

il test di pressione ci permette di definire se l’articolazione gleno omerale è in


disfunzione o meno.
Il test viene effettuato su due tempi, ma il test è
unico (ed ovviamente andremo a valutare la spalla
alla fine del secondo tempo). Quindi a causa del
particolare orientamento della gleno omerale,
andremo prima a mettere in compressione
(leggera) la gleno omerale e successivamente
andremo a trazionarla in senso caudale. Nel primo
tempo, la compressione deve essere minima in
quanto deve essere tale da permetterci di arrivare
esclusivamente a livello della gleno omerale e non oltre (altrimenti con la nostra
pressione arriveremmo a livello di strutture come la clavicola ecc di cui non ci
importa testare). Dal lato in cui avvertiamo la maggior densità abbiamo una
positività al test di pressione.

Una volta individuata la gleno omerale positiva al test di pressione, andremo ad


effettuare i test di mobilità sulla gleno omerale per andare così a denominare la
disfunzione. sicuramente quando abbiamo una positività della gleno omerale
possiamo effettuare dei lavori a livello del piccolo pettorale e del succlavio per
liberare la spalla (e quindi la gleno omerale), ma quando abbiamo una positività
netta della gleno omerale, possiamo utilizzare alcune tecniche per andare a
migliorare la sotto deltoidea ed inoltre utilizzare un protocollo di sblocco
(protocollo di Spenser, il quale è un osteopata americano).
Scollamento della sotto deltoidea

Trattiamo la sotto deltoidea perché il deltoide fa da


mantello alla borsa, la quale può creare un minimo di
frizione tra il passaggio e quindi lo scorrimento del
deltoide rispetto al passaggio del muscolo
sovraspinato.

Siccome la spalla vive di un meccanismo ambiguo, in


quanto la spalla è l’articolazione con il più alto grado
di mobilità, ma allo stesso tempo vi sono degli angoli
che la mettono in crisi per via del fatto che,
nonostante sia ben fatta, noi fondamentalmente
deriviamo dal nostro essere quadrupedi, per cui il
fatto di stare molto con i gomiti sollevati (quindi con
un angolo superiore ai 90°) implica una piccola
riduzione di apporto sanguigno per quanto riguarda
la parte intracapsulare ((( successivamente il Prof
continua dicendo: “e quindi questa borsa può
andare in contro ad infiammazioni e quindi creare
resistenza al passaggio del sovraspinato” per cui io
credo che con il suo precedente discorso volesse far
intendere che questo minor apporto sanguigno
intracapsulare può portare eventualmente ad
un’irritazione/infiammazione della borsa e quindi
creare una resistenza nello scorrimento che vi è tra
deltoide e sovraspinato))).
Infiammazione della borsa sub acromiale (o anche detta borsite)
Il dolore della borsa sub acromiale si presenta intorno ai 90° , è un dolore pungente
ed è molto riferito in regione articolare. La borsa sub acromiale “quasi” migliora
normalmente a seguito di un po’ di movimento (non sopra i 90°) il quale riesce a
drenare il gonfiore e migliora con l’utilizzo del ghiaccio (((perché appunto vi è uno
stato infiammatorio))).

Lesione o sfilacciamento del muscolo sovraspinoso


Mentre in una rottura di 1° - 2° oppure in uno sfilacciamento del sovraspinoso il
dolore prosegue verso la V deltoidea ed è molto dolente di notte (in quanto quando
dorme sulla spalla con la lesione gli fa male, emntre se dorme sulla spalla sana, il
braccio leso che si trova in corrispondenza del tetto, cade e quindi crea dolore, per
cui spesso si consiglia a questi pazienti di dormire sulla spalla opposta alla
lesione e di porre sotto il braccio in lesione un cuscino tra il braccio ed il
torace). Se ad un paziente che presenta una lesione del sovraspinoso
chiediamo di fare un test attivo e quindi di portare il braccio (((in abduzione
e quindi verso il tetto))) il paziente si inclinerà dal lato opposto alle lesione
(((e solleverà il braccio attraverso muscoli come il trapezio)))
Quindi possiamo fare una differenziazione tra il dolore causato dalla borsa sub
acromiale ed una rottura di 1° - 2° o dello sfilacciamento del sovraspinoso, in
quanto, normalmente nelle lesioni del sovraspinoso, il dolore prosegue verso la V
deltoidea ed è molto dolente di notte, mentre nell’infiammazione della borsa sub
acromiale, questa “quasi” migliora normalmente a seguito di un po’ di movimento
(non sopra i 90°) il quale riesce a drenare il gonfiore e migliora con l’utilizzo del
ghiaccio.

Se oltre la borsa, lo stato infiammatorio degenera, ed arriva a creare un essudato,


il quale va a riempire il cool the sack della capsula (il quale è un recesso). Se si
riempie anche quello di essudato, l’essudato si riorganizza (e quindi in base ai tempi
di riorganizzazione dell’essudato) diventando fibrotico. Il riempimento del recesso
da parte dell’essudato, comporta un’ipomobilità (qundi non si riesce a sollevare la
spalla oltre i 90°), dolore, gonfiore e questo può degenerare in una patologia che
viene definita spalla congelata (spalla congelata e capsulite adesiva sono la stessa
cosa). Delle volte l’essudato diventa così fibrotico che non è possibile forare la
capsula la capsula (in questi casi il chirurgo opera n artroscopia).
Test per discriminare un conflitto sub acromiale da una borsite
Poniamo il gomito del paziente a 90° ed effettuiamo una compressione verso la
gleno omerale. Questo test si utilizza per discriminare il conflitto sub acromiale da
una patologia della borsa (((ma il professore non ce l’ha fatto vedere né spiegato))).

La borsite è una controindicazione relativa al trattamento fin quando non degenera


in capsulite adesiva (o anche detta spalla congelata). (il professore nel tempo ha
imparato a basarsi molto sul livello ed il grado e la tipologia di movimento che
genera il dolore e la sintomatologia). Il professore in studio attua questa
metodologia: se il paziente riesce a sollevare il braccio sopra i 90°, senza avere una
forte assistenza del trapezio, allora il problema è ancora osteopatico.

Discriminazione del dolore in relazione ai gradi di movimento della spalla


Fino a 90° svolge la funzione solamente l’articolazione gleno omerale (quindi se il
dolore del paziente si presenta in questo rom, allora sappiamo che è un paziente
anche osteopatico e che ha una problematica legata alla mobilità) mentre se il
problema subentra dai 90° ai 110-120° allora sappiamo che è una problematica
globale del contesto spalla (quindi di tutte e 5 le articolazioni della spalla), se invece
il paziente presenta dolore solo negli ultimi 10° di ROM allora dobbiamo andare a
valutare il rapporto tra spalla e torace (quindi sicuramente la sterno claveare, la
cervicale, il torace)

La differenza tra un test attivo ed uno passivo ci indica se il problema è più capsulo
legamentoso oppure un problema di tipo muscolare. Se nell’esecuzione del test
passivo il paziente non ha dolore, allora abbiamo fatto buona parte della nostra
indagine differenziale (per cui possiamo sospettare che vi sia una problematica
riferita maggiormente ad un problematica di tipo muscolare, per cui andremo ad
effettuare i test per verificare quale sia il muscolo che risulta problematico)
Lo scollamento della sotto deltoidea si può effettuare sia con il paziente seduto che
con il paziente supino.
Paziente supino
Per eseguire la tecnica, dobbiamo andare ad
agganciare il margine anteriore ed il margine
posteriore del deltoide, cercando di entrare
dentro la componente del deltoide. Per cui
andremo a porre il braccio del nostro paziente
sotto il nostro e successivamente entriamo con
entrambe le mani, cercando di farle congiungere.

Se non riusciamo ad entrare perché il paziente ha


un deltoide abbastanza importante, allora
lasciamo il braccio del paziente appoggiato sul
lettino e ci concentriamo nel penetrare con
entrambe le mani.

Con pazienti che presentano un importante


deltoide conviene effettuare la tecnica da
seduto. Anche in questo caso possiamo porre la
mano del nostro paziente sotto il nostro cavo
ascellare, mentre le mani vanno posizionate a
livello del bordo anteriore e bordo posteriore del
deltoide. Per cui possiamo far effettuare al
braccio del nostro paziente (posto sotto il nostro
cavo ascellare) movimenti di adduzione e di
abduzione, e simultaneamente continuiamo a
penetrare con le nostre dita (come se volessimo
farle toccare)

Il movimento di intrarotazione ed extrarotazione della spalla tende a


creare una iperossigenazione, in quanto vi è un aumento dell’apporto di
sangue. Quindi facendo effettuare al paziente delle intra ed
extrarotazioni della spalla (3x10 ad esempio) utilizzando elastici a bassa
intensità, con un piccolo spessore sotto il gomito, vi è un aumento della
vascolarizzazione (((della spalla credo))).
Centratura della testa omerale rispetto alla glena (Micro srotolamento
dell’omero rispetto alla glena)

Poniamo un tallone della mano sulla faccia


anteriore dell’omero, mentre il tallone
dell’altra mano sulla faccia posteriore
dell’omero (((quindi andiamo ad inglobale
l’omero tra i talloni delle nostre mani))).
Effettuiamo una piccola compressione e
poi cerchiamo di scollare l’omero dalla
glena. Successivamente cerchiamo di
riorganizzare gli spazi ed i contenuti su di
un piano puramente fasciale (quindi
effettueremo delle piccole spinte verso il dietro <facendo anche intraruotare la
testa omerale>, verso l’avanti) quindi andiamo a visionare tutti i piani dello spazio
e di creare un micro srotolamento dell’omero rispetto alla glena. Questa è una
centratura della testa omerale rispetto alla glena (i movimenti fisiologici prevedono
che ci sia una extrarotazione dell’omero durante la sua antepulsione ed una sua
intrarotazione durante la sua retropulsione).
(((Quindi in pratica effettuiamo uno srotolamento della tesa omerale rispetto la
glena, quindi facendogli effettuare tutti i <<<micro movimenti credo>>> sui piani
dello spazio <<<e durante lo srotolamento induciamo i movimenti che l’omero
esercita nella sua fisiologia, come adduzione, abduzione, intrarotazione ed
extrarotazione <<<???e successivamente andiamo ad effettuare dei movimenti del
braccio come adduzione, abduzione, intrarotazione ed extrarotazione, ANCHE SE
NON CREDO CHE QUESTA PARTE FACCIA PARTE DELLA TECNICA???>>>.)))

UNA VOLTA EFFETTUATA LA CENTRATURA DELLA TESTA OMERALE, POSSIAMO


EFFETTUARE UN PICCOLO PROTOCOLLO PER LA SPALLA CHE PROVIENE DAGLI STATI
UNITI
Protocollo americano sulla spalla

Il paziente viene posizionato in decubito laterale e molto vicino a noi, con l’altra
mano poggiata sotto la guancia. Il protocollo prevede diverse fasi (dalla prima alla
sesta fase, possiamo mischiarle come vogliamo, ma l’importante è che la fase 7 sia
l’ultima della sequenza):

pollice blocca il processo coracoideo Le restanti dita bloccano la scapola


Con la mano craniale andiamo a fissare
la componente di scapola e della gleno
omerale (quindi poniamo il pollice a
livello del processo coracoideo, mentre
le altre dita della mano vanno a
bloccare la scapola) , mentre con l’altra
mano muoverò (partendo
dall’avambraccio) l’omero del paziente.
Possiamo utilizzare due modalità di intervento, ovvero: una in
TEM (in cui la faremo agire attivamente) ed una sul ritmo
fasciale (mentre in quelle fasciali, <le quali appunto lavorano
più su piano viscoelastico> effettueremo maggiormente
un’induzione).
Quindi nella TEM cercherò la barriera motrice (del movimento
che mi interessa e gli chiedo una contrazione contro resistenza
(quindi di effettuare il movimento opposto a quello che
abbiamo impostato, per esempio se abbiamo impostato il parametro di estensione,
il paziente dovrà effettuare una contrazione contro resistenza in flessione <e quindi
dovrà spingere il gomito verso l’avanti>), mentre a livello fasciale (quindi sul RITMO
FASCIALE) andremo a cercare la barriere viscoelastica (quindi effettuiamo il
movimento di estensione fin quando non avvertiamo la prima barriera di resistenza
<la quale dovrebbe corrispondere al primo movimento che effettua la gleno
omerale> e dobbiamo restare in quella posizione fin quando non sentiamo che vi è
un rilasciamento dei tessuti)
1 FASE ➔ ESTENSIONE
Blocchiamo la gleno omerale ed induciamo una estensione della spalla
Esecuzione della tecnica con la modalità ad INDUZIONE (FASCIALE)
Portiamo il braccio del nostro paziente in estensione, fin quando non
sentiamo che parte anche la gleno omerale (quindi che si muove
anche la gleno omerale) ed allora non continuiamo ad estendere ed
aspettiamo che i tessuti si rilascino ed una volta che questi si sono
rilasciati, guadagnamo nuovamente fino a nuova barriera (quindi
estendiamo nuovamente fin quando sentiamo nuovamente che la
gleno omerale si muove). Questo viene effettuato 2-3 volte (quindi
su due-tre barriere motrici fin quando otteniamo un graduale
incremento del movimento di estensione)

Esecuzione della tecnica con la modalità TEM


Effettuiamo una estensione della spalla fino al limite (quindi
arriviamo a limite della barriera muscolare) e chiediamo al
paziente di effettuare una contrazione contro resistenza per
3 secondi (e quindi di portare il braccio verso di noi) nei 3
secondi successivi alla contrazione isometrica non facciamo
niente, ed a seguito di questi andiamo a ricercare la nuova
barriera muscolare.
2 FASE ➔ FLESSIONE
Blocchiamo la gleno omerale ed induciamo una flessione della spalla
Esecuzione della tecnica con la modalità ad INDUZIONE (FASCIALE)

Visione laterale

Visione posteriore

Esecuzione della tecnica con la modalità TEM


Effettuiamo una flessione della spalla fino al limite (quindi arriviamo a limite della
barriera muscolare) e chiediamo al paziente di effettuare una contrazione contro
resistenza per 3 secondi (e quindi di portare il gomito verso i suoi piedi) nei 3
secondi successivi alla contrazione isometrica non facciamo niente, ed a seguito di
questi andiamo a ricercare la nuova barriera muscolare.
3 FASE ➔ CIRCUMDUZIONI CON COMPRESSIONE

Blocchiamo la gleno omerale, portiamo la spalla a 90°, successivamente


effettuiamo una piccola compressione (quindi una piccola spinta in direzione
dell’omero <quindi verso la glena>) ed effettuiamo dei piccoli movimenti di
circumduzione.

Le circumduzioni vengono effettuate senza utilizzare la modalità ad induzione e


tem
4 FASE ➔ CIRCUMDUZIONI CON TRAZIONE

Blocchiamo la gleno omerale, portiamo la spalla a 90°, successivamente


effettuiamo una trazione ed effettuiamo dei piccoli movimenti di circumduzione.
5 FASE ➔ ABDUZIONE

Blocchiamo la gleno omerale ed induciamo un’ABDuzione della spalla.


In questo caso possiamo eseguire la tecnica sia in TEM che attraverso l’INDUZIONE
FASCIALE (ovviamente

Esecuzione della tecnica con la modalità TEM


Effettuiamo una ABDuzione della spalla fino al raggiungimento della barriera
muscolare e successivamente chiediamo al paziente di effettuare una contrazione
contro resistenza per 3 secondi (e quindi di portare il gomito verso il terreno) nei 3
secondi successivi alla contrazione isometrica non facciamo niente, ed a seguito di
questi andiamo a ricercare la nuova barriera muscolare.
6 FASE ➔ ROTAZIONE INTERNA

Blocchiamo la gleno omerale ed induciamo una intrarotazione della spalla.


In questo caso possiamo eseguire la tecnica sia in TEM che attraverso l’INDUZIONE
FASCIALE (ovviamente

Esecuzione della tecnica con la modalità TEM


Poniamo il braccio del paziente in intrarotazione e chiediamo al paziente di
effettuare una contrazione contro resistenza per 3 secondi (e quindi spingere il
gomito verso la nostra mano) nei 3 secondi successivi alla contrazione isometrica
non facciamo niente, ed a seguito di questi andiamo a ricercare la nuova barriera
muscolare (quindi aumentando l’intrarotazione) .
1

7 FASE ➔ POMPAGGIO

L’ultima fase del protocollo prevede la fase di


pompaggio dell’articolazione. Questo
ipervascolarizza l’articolazione, muove su tutti i
piani (in maniera controllata) la gleno omerale.
(((il Professore non dice precisamente che
movimento effettua, ma a quanto pare effettua
una trazione dell’omero verso di lui (1) poi traziona
l’omero verso l’alto (2) e poi successivamente lo
riporta nuovamente nella parte posteriore della 2
glena (3) <quindi in senso dorsale rispetto alla
paziente) per poi ripartire nuovamente dal punto
(1)
QUESTO E’ un protocollo studiato per un dolore
aspecifico della spalla (non traumatico e dove non
c’è nessuna rottura tendinea o legamentosa).
Questa tecnica è molto utile anche nei pazienti che
presentano dei dolori aspecifici, o per quei pazienti
a cui mancano sempre dei gradi di mobilità
(((quindi credo che si riferisca a quei pazienti a cui
manchino proprio gli ultimi gradi di mobilità del 3
ROM e che ovviamente presentano dolore negli
ultimi gradi di mobilità))).

In pratica questo protocollo attua un reiquilibrio


sotto il punto di vista fasciale della gleno omerale
(ed inoltre se eseguito in forma attiva <quindi se
durante l’esecuzione del protocollo prediligiamo
l’esecuzione delle tecniche in TEM si crea anche
una sorta di riequilibratizzazione dei muscoli (((e
quindi una normalizzazione della muscolatura))) in quanto
andiamo ad utilizzare il principio dell’innervazione reciproca
Riepilogo di tutte le fasi
Cavo ascellare

Andremo a capire perché trattare il cavo ascellare. Il cavo ascellare rappresenta un


punto di passaggio (quindi una zona anatomica di passaggio) tra lo stretto toracico
e l’arto superiore. Al suo interno passa l’arteria ascellare (((che va verso la parte
distale dell’arto superiore))), la vena ascellare (((la quale proviene dalla parte
distale dell’arto superiore))) ed i rami finali del plesso brachiale.
Interessi osteopatici
Noi interagendo con quest’area e quindi cercando
di aprire questi spazi (è un lavoro simile a quello
effettuato a livello del triangolo di scarpa) per
andare a guadagnare (e quindi avere un
miglioramento):
- Sul nervo toracico lungo (il quale innerverà il gran
dentato <per cui l’utilizzo di questa tecnica è
ottimale nei casi in cui abbiamo dei pazienti che
presentano delle pseudo scapole alate>
- 1) Miglioramento dell’irrorazione, ovvero migliora l’apporto di sangue solo per
una parte dell’arto superiore (in quanto l’arteria ascellare costituisce una parte del
circolo (((arterioso))) dell’arto superiore (ma abbastanza sostanzioso, in quanto il
maggior apporto di sangue proviene proprio da questa arteria). 2) miglioramento
del drenaggio. 3) Miglioramento dell’innervazione dell’arto superiore (anche in
questo caso non in maniera completa, in quanto sappiamo che prima del cavo
ascellare abbiamo il nervo circonflesso, e la separazione con il nervo radiale) (((
quindi credo che intenda che alcune nervi, come il circonflesso ed il nervo radiale
non passino all’interno del cavo ascellare, per cui quando effettuiamo la tecnica di
apertura del cavo ascellare, abbiamo un miglioramenti di tutti i nervi che passano
all’interno del cavo ascellare, tranne questi perché non ci passano))).
- (((questa parte è un po' confusionaria, per cui da prendere con le pinze))) →
inoltre abbiamo una relazione anatomica tra la fascia profonda dell’arto superiore
(la quale passa appunto all’interno del cavo ascellare) e la fascia prevertebrale
cervicale (((la quale dovrebbe essere la fascia superficiale))), in quanto (((la fascia
superficiale))) il gran pettorale ed il piccolo sono costituiti da fascia superficiale la
quale continua nell’arto superiore (inoltre <<<la fascia superficiale continua >>>
dall’acromion a livello del quale abbiamo un punto di inserzione tramite il trapezio
abbiamo una continuità sul deltoide, sul bicipite brachiale, coracobrachiale ed il
tricipite, e continua con tutti i muscoli dell’avambraccio e poi con i muscoli
superficiali della mano <esclusi i muscoli interossei e lombricali ed i palmari
profondi>. Quindi abbiamo un’interazione con la fascia pre vertebrale cervicale, ma
anche con tutto il complesso della fascia superficiale. Quindi abbiamo una
continuità dal punto di vista fasciale su terminazioni lunghe (e quindi su strutture
lunghe) in quanto abbiamo la fascia superficiale che lavora sulle lunghe distanze,
ovvero ad esempio mette in comunicazione la mano con l’ATM oppure la mastoide)
e poi abbiamo una componente più profonda (quindi la fascia profonda, la quale
permette appunto il passaggio della componente neurologico-vascolare
“profonda”, nella regione dell’avambraccio, nella zona mediale del braccio, nel
cavo ascellare, nello stretto toracico superiore ed inoltre (((continua))) con la parte
più profonda della regione cervicale.
(((quindi secondo me il Professore intende che a livello del cavo ascellare ci sono
anche delle relazioni anatomiche (e quindi dei collegamenti anatomici) tra la fascia
superficiale e la fascia profonda))). Per cui effettuano un lavoro sul cavo ascellare,
avremo anche un miglioramento tra il collegamento tra la fascia profonda e quella
superficiale.
Il cavo ascellare viene trattato attraverso due modalità:
in entrambe le tecniche il paziente è posto in posizione supina sul lettino, ma in una
tecnica utilizzeremo una piccola adduzione del braccio per andare ad aprire gli spazi
del cavo ascellare, mentre nell’altra modalità andremo a sfruttare l’abduzione (e
quindi la completa apertura). Ovviamente la tecnica dove utilizziamo la completa
apertura, ci consentirà di avere una forza maggiore (((e quindi secondo me
un’apertura del cavo ascellare maggiore e quindi più efficace))), ma bisognerà
andare a vedere se la mobilità del paziente ce lo consente.

Quando esaminiamo il cavo ascellare, dobbiamo stare molto


attenti alla presenza di linfonodi (quindi se sentiamo delle piccole
palline dolorose,<sono dolorose perché sono rigonfiate> non
dobbiamo toccarle) queste possono essere maggiormente
frequenti nella donna (((quindi i linfonodi infiammati possono
essere maggiormente presenti nella donna))), in quanto a causa
della depilazione, oppure tramite l’apporto linfatico al seno, si
creano più facilmente dei linfonodi ingrossati (in questi casi la
tecnica si esegue ugualmente stando attenti a non schiacchiare i linfonodi)
Limitanti – delimitazione del cavo ascellare:
per cui, all’interno del cavo ascellare abbiamo un piccolo forame dove passano le
strutture vascolo nervose (((che abbiamo descritto sotto))), inoltre c’è un raf con
una zona appendicolare all’interno della fascia ascellare.
Costituzione del cavo ascellare: abbiamo
medialmente il gran dentato, posteriormente il
gran dorsale anteriormente il grande ed il piccolo
pettorale e superiormente il tricipite (noi questi
spazi li dobbiamo aprire) per far spazio alle
strutture vascolo nervose.

- Anteriormente abbiamo il gran pettorale e più


in profondità abbiamo il piccolo pettorale
- Posteriormente abbiamo il grand dorsale
- Medialmente il gran dentato (((se chiediamo una inspirazione importante è
possibile vedere le coste che risalgono in senso craniale a seguito della contrazione
del gran dentato))).
- Poi abbiamo il passaggio del tricipite che arriva a chiudere il tetto
- Ed in mezzo al cavo ascellare passa il nervo toracico lungo (il quale poi va ad
innervare il muscolo gran dentato <infatti nel disegno si vedono pure le
diramazioni>)
Esecuzione della tecnica
Tecnica con adduzione della spalla
Questa tecnica la utilizziamo nel momento in cui il
Vista dall’alto
paziente non riesce a portare la spalla a 90° e che quindi
presenta delle difficoltà nella mobilità (perché magari
ha subito dei traumatismi ecc). Per cui con la colonna
del pollice di una mano vado ad agganciare il gran
dorsale, mentre con la colonna del pollice dell’altra
mano andiamo ad agganciare il grande pettorale (((il
Professore dice grande e piccolo pettorale))) ed
andiamo ad aprire il cavo ascellare. Ovviamente Vista laterale
l’apertura maggiore l’avremo tra il gran dorsale ed il
pettorale (grande e piccolo pettorale), se posso con i
pollici, cerco di andare verso il capo del tricipite.

Vista laterale
Tecnica con abduzione della spalla
Questa tecnica possiamo eseguirla
attraverso due modalità:
- Con l’arto superiore del nostro
paziente agganciato con il nostro
cavo ascellare (quindi lo
agganciamo con l’ascella), mentre le
colonne dei nostri pollici vanno
posizionati uno a livello del gran
dorsale ed uno a livello del gran
pettorale (grande e piccolo
pettorale). Successivamente
andiamo ad aprire il cavo ascellare
(al Professore piace particolarmente
questa tecnica perché mentre apre
in maniera importante il cavo
ascellare, va anche a fare una piccola
mobilizzazione dell’omero))).
(((Per cui andremo ad aprire il cavo ascellare sia nella parte più mediale che nella
parte più distale)))

- Oppure agganciamo il pollice del nostro paziente al nostro jeans (buco per far
passare la cintura) in questa maniera avremo le nostre braccia libere per andare ad
aprire il cavo ascellare del nostro paziente, mentre attraverso il movimento di
rotazione del nostro bacino
effettuiamo una
mobilizzazione dell’omero e
trazionamento dell’omero
Setto intermuscolare del braccio

introduzione
La componente vascolo nervosa (quindi quella che fuoriesce dal cavo ascellare)
prosegue a livello del braccio, a livello del setto che si crea tra il muscolo bicipite
ed il tricipite. Per avere conferma di
essere proprio a livello del setto
intramuscolare, possiamo penetrare con
una mano a livello di questo spazio e
sentire le pulsazioni dell’arteria brachiale
(quindi se sentiamo le pulsazioni
dell’arteria brachiale, allora abbiamo la
conferma di essere a livello del setto
intramuscolare).

La tecnica consiste nell’andare ad aprire


questo spazio per migliorare il passaggio
degli elementi vascolo nervosi che vi
passano al suo interno, come l’arteria
brachiale, la vena basilica ed i rami finali
del plesso brachiale (nello specifico il
nervo ulnare ed il nervo mediano
(((ovviamente questa componente
vascolo nervosa viaggia all’interno della
fascia profonda del braccio))).
Il nervo ulnare continua a scendere per arrivare a livello della
mano dove passa all’interno del canale di Guyon per andare
ad innervare parte del 4° ed il 5° dito, il nervo mediano si
medializza a livello del braccio, passa sotto il muscolo
pronatore, scende, passa all’interno del tunnel carpale per
andare ad innervare la maggior parte della regione palmare
1° - 2° - 3° e metà del 4° dito, Il nervo radiale va ad innervare
una parte della regione palmare del primo dito, ma
soprattutto il 2° dito.)
Le componenti radicolari, si sovrappongono a livello
dell’avambraccio, (((per cui credo che il Professore intenda
che siccome c’è una sovrapposizione delle fibre, quindi ci
saranno delle sinapsi con le altre fibre nervose di altri nervi,
possiamo essere certi che alcuni nervi innervano
sicuramente delle specifiche parti ed ora il Professore le
spiega))) per cui possiamo essere sicuri che il nervo radiale
va ad innervare la componente posteriore dell’indice, il
nervo mediano va sicuramente ad innervare la componente
palmare del 3° e della metà del 4° dito, il nervo ulnare va
sicuramente ad innervare la faccia mediale della mano.

Dal punto di vista radicolare avremo una componente di C6


sul pollice, una componente di C7 sul medio, ed una
componente di C8 sul quinto.

Per cui andando a trattare il setto intermuscolare andremo a


trattare da un punto di vista nervoso, l’innervazione quindi di
buona parte della mano
(e quindi della
sensibilità della mano).
Aggancio i due capi

Esecuzione della tecnica


(come per il trattamento del canale di Hunter, anche a
livello del setto intermuscolare andiamo a trattare il
passaggio) per cui andremo ad agganciare i due capi
(((con la colonna del pollice))) e successivamente
andiamo ad aprire lo spazio tra questi due (stando attenti
a non comprimere la componente arteriosa).
Per cui andiamo ad aprire questo spazio e se durante Apro lo spazio tra i due capi
l’apertura di questo spazio troviamo delle zone
maggiormente dense (quindi delle zone più rigide, che
non vogliono aprirsi <nel senso che il canale non si lascia
aprire>) andiamo ad aprirle (((quindi manteniamo il
parametro di apertura fin quando non sentiamo un
rilasciamento tissutale))).

Il setto intermuscolare va aperto da qui a qui


Test di pressione sul gomito

Per effettuare il test andiamo a formare una “C” con


la nostra mano, la quale guarda verso l’avanti. Per
cui con la nostra mano passiamo la paletta omerale
(la paletta omerale è costituita da epicondilo
<laterale> ed epitroclea <mediale> quindi,
passiamo la paletta omerale ed andiamo ad ancorarci su ulna e radio). Quindi ci
poniamo subito al di sotto degli epicondili (quindi epicondilo ed epitroclea) e ci
posizioniamo a livello di ulna e radio <a livello del capitello radiale (lateralmente)
ed ad una parte dell’ulna (medialmente)> ed effettuiamo una piccola trazione (((in
maniera tale che questa minima trazione sia riferita solo ad ulna e radio, in quanto,
se andiamo ad effettuare una trazione più importante, il nostro test non sarà più
localizzato a livello di ulna e radio <e quindi del gomito>, bensì arriverà alla spalla
ecc))).Quindi andiamo a valutare quanto si fanno trazionare verso il basso. Il lato
che si lascia trazionare meno verso il basso (e che quindi oppone maggiore
resistenza alla trazione verso i piedi del paziente) è il gomito in cui vi è maggiore
densità (e quindi ci darà la positività al test).

(((Quindi poniamo la mano a “C” rivolta anteriormente ed andiamo a passare la


paletta omerale <quindi passiamo l’epicondilo e l’epitroclea> e ci posizioniamo e
successivamente ad agganciarci a livello di ulna e radio <più precisamente a livello
del capitello radiale (lateralmente) ed ad una parte dell’ulna (medialmente)>.
Successivamente andiamo ad effettuare una piccola trazione <in maniera tale che
sia riferita solo al gomito> attraverso la quale andremo a valutare quale tra i due
lati oppone maggiore resistenza alla trazione in senso caudale, la quale appunto
corrisponderà alla zona di maggiore densità)))
Se abbiamo una positività al test di pressione sul gomito, dobbiamo andare a
trattare:
La membrana interossea, (nel caso di epicondilite <problematica riferita ai muscoli
estensori del carpo> ed epitrocleite <problematica riferita ai muscoli adduttori>
faremo dei lavori piuttosto sintomatici <vedi dopo>), ed il trattamento del
pronatore quadrato, piccola manovra di srotolamento del gomito.
Mentre l’apertura del setto intermuscolare viene effettuata tutte le volte che
abbiamo una positività di spalla e gomito .
Ripasso anatomico sul gomito

Il gomito ha un’articolazione importante a


troclea avvitata, per cui ci fa effettuare dei
movimenti spontanei (ad esempio la mela che
ho preso dall’albero, la porto in bocca) per cui
avremo durante l’estensione una pronazione
(con l’apertura dell’interlinea interna) e
durante la flessione una supinazione (con
l’apertura dell’interlinea esterna) questi sono
dei movimenti spontanei fisiologici dell’ulna,
inoltre l’ulna fa anche l’ADD e l’ABD, mentre il
radio di occuperà prevalentemente della
prono supinazione (in quanto si arrotola
intorno all’ulna). A livello del radio abbiamo
due legamenti importanti, ovvero il
legamento anulare del capitello radiale, ed il
legamento quadrato di Debussè (questo è un
altro importante stabilizzatore del radio
rispetto all’ulna, perché proprio a livello
prossimale abbiamo una maggiore mobilità
del radio rispetto all’ulna). Inoltre abbiamo
una componente fasciale di legame tra la
componente articolare e la membrana
interossea, la quale è molto profonda, la quale
prende il nome di corda di “weith brait???” o
anche definita corda obliqua (((ed inoltre a
livello della membrana abbiamo dei forami di
passaggio???)))
Srotolamento del gomito

Per cui lavoriamo in compressione,


ovvero attuiamo una pressione in senso
longitudinale rispetto alle ossa e
mantenendo questa compressione,
effettuiamo dei movimenti nei vari piani
dello spazio (e contemporaneamente
effettueremo anche delle rotazioni delle
rotazioni dell’avambraccio <quindi delle
prono supinazioni dell’avambraccio>

Alcune volte questi piccoli srotolamenti


riescono a risolvere situazione di
dinamica articolare limitata.
Una delle situazioni che spesso capita a livello del gomito sono delle situazioni di
infiammazione tendinee (causate da uno spasmo muscolare). Normalmente a
livello del gomito, vi sono tre grosse patologie (e queste patologie, a seconda
della loro ???località??? possono sfociare in altre situazioni patologiche).
Epicondilite (o anche definito gomito del tennista) Video 00012
L’epicondilite è la più diffusa. L’epicondilite è un’infiammazione dell’epicondilo
(l’epicondilo è un’eminenza ossea sulla quale si inserisce il muscolo estensore del
carpo). In questo caso abbiamo un’irritazione con uno spasmo del tragitto
dell’estensore del carpo, ed un dolore localizzato a livello della zona epicondilare.
La positività alla patologia viene data dalla digito pressione sulla regione
epicondilare.

Le cause (che scatenano l’epicondilite)


Le cause che generano l’epicondilite possono essere:
- per ragioni sportive
Il paziente è una tennista che sta facendo in maniera errata il “rovescio”, utilizzando
molta forza nella flessione e nell’estensione, per cui l’impatto con la pallina fa
lavorare in eccentrico la componente estensoria

- per esempio per ragioni domestiche


Ovvero una casalinga che utilizza il cacciavite, oppure una casalinga che va a potare
gli alberi (e quindi l’utilizzo delle forbici) quindi proprio il meccanismo di chiusura
della forbice per tagliare le siepi, può generare un’infiammazione epicondilare

Quindi nel caso di epicondilite andiamo a lavorare sulla componente estensoria,


sulla membrana interossea.
tecniche da utilizzare
Su questa problematica si lavora attraverso l’effettuazione di siderazioni e
ponsage su tutta la componente estensoria.

(((La siderazione viene effettuata inducendo con una mano la rotazione esterna
del braccio, mentre con l’altra mano andiamo ad agganciare <<<il muscolo
estensore del carpo, ma il Professore non se dobbiamo siderare un estensore in
particolare (dato che gli estensori che si inseriscono a livello dell’epicondilo sono
vari,ovvero estensore radiale lungo del carpo oppure l’estensore ulnare del
carpo ma io credo lui intenda l’estensore radiale del carpo) oppure se si deve
andare a siderare tutta la componente degli estensori >>>

Quindi andiamo a siderare dall’epicondilo fino a questo punto.

Esecuzione della tecnica (dalla parte più prossimale a quella più distale)

Oppure possiamo effettuare anche una


tecnica a taglio sulla componente degli
estensori (da qui a qui)

Vista dall’alto
Epitrocleite (o anche chiamata sindrome del golfista)
Come per l’epicondilo laterale, anche nella regione mediale può avvenire
l’infiammazione della regione trocleare, causata appunto da un’infiammazione dei
muscoli adduttori. Questa infiammazione si scatena nel momento in cui si ha una
errata impugnatura della mazza da golf (l’epitrocleite avviene perché vi è
un’infiammazione delle componente adduttoria, e questa infiammazione avviene
perché: quando il golfista ha un’impugnatura errata della mazza da golf, accade che
nel momento in cui viene dato il colpo alla pallina <<<a causa della del
contracolpo>>> vi è un eccessivo lavoro in eccentrico della componente adduttoria
<a causa appunto della scorretta impugnatura>, la quale si irrita ed infiamma,
causando così l’epitrocleite.)
Per cui l’impatto con la pallina, causa un eccessivo lavoro eccentrico della
componente adduttoria, la quale si infiamma, causando l’epitrocleite.

Lavoro da effettuare
Per lavorare sull’epitrocleite, possiamo
effettuare delle siderazioni o dei ponsage
sulla componente adduttoria. Anche in
questo caso
(come per l’epicondilite) dobbiamo
effetture un movimento a coppia, in
maniera tale che con una mano facciamo
effettuare una rotazione esterna
all’avambraccio della nostra paziente,
mentre con la mano che è posta a livello
della muscolatura, effettuiamo una
rotazione interna (in maniera tale da
siderare il ventre muscolare)
Questa infiammazione epitrocleare può diventare ancora più importante nel
momento in cui il paziente presenta anche un importante valgismo del gomito (in
quanto può interessare il passaggio canalare del nervo ulnare, il quale viene
compresso e quindi va a creare una sintomatologia a distanza (quindi delle
disestesie sulle ultime due dita). Per valutare se vi è anche un pinzamento del nervo
ulnare, esiste un test che è simile al fanel, il quale, attraverso la percussione con il
martelletto (((credo a livello dell’epitroclea))) si va a valutare se vi è un
un’irradiazione su tutto il suo tragitto , il test risulterà positivo.
Nel caso in cui il paziente presenti appunto questo valgismo
importante del gomito, possiamo andare a lavorare
effettuando dei thrust per cercare di aprire l’interlinea esterna
e quindi andare a riarmonizzare il gomito ed inoltre a questo
dobbiamo aggiungere la defibrotizzazione della componente
adduttoria.

Se vi è una perdita di forza, ed un’importante sintomatologia algica o parestesica


dobbiamo invitare il paziente ad effettuare una visita ortopedica.
Quindi se abbiamo una positività al test sopra citato ed il paziente presenta una
sintomatologia netta solamente di quest’area (((quindi della regione
dell’avambraccio))), dobbiamo demandare il paziente all’ortopedico.
Pronatore quadrato

il pronatore quadrato può generare un falso tunnel


carpale. Il muscolo pronatore quadrato si trova in
maniera trasversale, ed il nervo mediano passa
proprio sotto l’arco del pronatore (ed in caso di
fibrotizzazione del muscolo pronatore
quadrato, avviene appunto una compressione,
e la sintomatologia è molto simile a quella del
tunnel carpale).
(((per il falso tunnel carpale, causato da una
fibrotizzazione del muscolo pronatore
quadrato, <<<non c’è un test reale a seguito del
quale possiamo avere una positività>>>, ma
saranno i sintomi del paziente <<<??? ad
indirizzarci???>>>, ma si va per esclusione)))

Il pronatore quadrato credo corrisponda al


pronatore rotondo

Il professore quando si presenta un paziente che ha il tunnel carpale (oppure uno


pseudo tunnel carpale) va sempre a vedere il pronatore quadrato, in quanto,
comunque un riequilibrio muscolare non può che fare bene al paziente, per cui fa
la valutazione del pronatore quadrato (il quale si trova molto in profondità), e se lo
trova fibrotico, lo defibbrotizza effettuando delle siderazioni.
Membrana interossea

Il test della membrana interossea può essere effettuato sia sulla


anteriore che su quella posteriore. Per cui effettuiamo una
palpazione della membrana interossea ed una volta identificata
una zona di maggior densità, si lavora attraverso un ponsage.

Oppure possiamo utilizzare le colonne del pollice


per andare ad effettuare una mobilizzazione tra le
due ossa (((quindi sembra una specie di
srotolamento))). Anche in questo caso, dove
riscontriamo un punto di maggior densità,
manteniamo la posizione ed aspettiamo un
rimaneggiamento tissutale (quindi un rilasciamento
tissutale)
Test di pressione sulla mano

Effettuiamo una presa a “C” o anche definita


“ad anello” rivolta verso la posteriorità (quindi
in direzione del lettino). Per cui ci posizioniamo
sotto ulna e radio ed andiamo ad agganciare.
Successivamente (come per il test sul gomito)
effettuiamo una lieve trazione in senso caudale
attraverso la quale andremo a valutare quale
tra i due lati oppone maggiore resistenza alla
trazione in senso caudale, la quale appunto
corrisponderà alla zona di maggiore densità.
Nel caso di positività del test possiamo fare:
Tecnica globale sulle due filiere

Nel caso di una problematica alle due filiere, possiamo


effettuare una manovra globale. La manovra consiste
nel porre il nostro tenar ed ipotenar in maniera
perpendicolare al tenar ed ipotenar della mano della
nostra paziente, e successivamente andiamo ad
agganciarci. Nella parte posteriore della mano della
nostra paziente dobbiamo porre la nostra mano in proiezione delle due filiere
(((non è chiaro se questa mano dobbiamo posizionarla in parte su radio-ulna ed una
parte sulla filiera <quindi ad esempio ipotenar a livello di ulna e radio, mentre il
tenar lo posizioniamo a livello della filiera>, oppure se tenar ed ipotenar devono
essere posizionati direttamente sulla filiera, ???anche se il Professore ha detto che
non è molto settoriale, quindi credo che intenda che magari non è proprio
posizionato sopra le due filiere???))).
Per cui successivamente andiamo ad unire le nostre mani
e successivamente andiamo ad effettuare una piccola
compressione. Successivamente andiamo a chiedere alla
paziente di effettuare un’apertura ed una chiusura della
mano e poi successivamente di lasciare la mano molle, ed
a questo punto, effettuiamo una piccola trazione (verso
il tetto) ed andiamo ad effettuare dei movimenti sui vari
piani dello spazio andando così a mobilizzare (srotolare)
le due filiere (((anche se in questo caso, non uno
srotolamento molto ampio su tutti i piani dello spazio,
simile a quello dell’anca))). Questa tecnica di
srotolamento delle due filiere, è molto utile nel caso in cui
le due filiere non siano ben allineate oppure nel caso in
cui oppure ci sia un problema di ABD o ADD di una delle
due filiere, in quanto ci permette di guadagnare gradi di
mobilità.

L’apertura e la chiusura della mano


serve a disimbricare le due filiere
(infatti spesso a seguito dell’apertura
e chiusura della mano, si sente un
rilascio delle filiere)
2
1

5
Pseudo tunnel carpale

Per andare a valutare se siamo


davanti ad un paziente che
presenta un vero tunnel carpale
oppure uno pseudo tunnel carpale
dobbiamo fare i seguenti test:

- Test di Phalen
Per valutare se vi è il tunnel carpale andiamo ad effettuare il test
di Phalen, il quale prevede che la paziente posizioni le mani a
preghiera e che le comprima. Il test risulta positivo nel
momento in cui compaiono spasmo, dolore e parestesie entro
60 (anche se normalmente compaiono entro 30 secondi).
(Quando effettuiamo il Phalen, poniamo la mano in estensione
e quindi automaticamente si va a chiudere il canale del tunnel
carpale, per cui se è presente la sindrome del tunnel carpale, allora entro 60
secondi la paziente potrà presentare spasmo, dolore e parestesie)

- Phalen inverso
Il test di Phalen inverso ha lo stesso scopo del
precedente, ovvero andare a valutare la presenza di della
sindrome del tunnel carpale. A differenza del Phalen
classico, nel Phalen inverso poniamo la faccia dorsale
delle mani in compressione tra di loro (in questa maniera
portiamo il tunnel carpale in chiusura e compressione,
per cui se effettivamente c’è una sindrome del tunnel
carpale il paziente presenterà gli stessi sintomi sopra citati).

- Test di Tinel
Mentre il test di Tinel prevede l’utilizzo del martelletto, ovvero
se a seguito della percussione vengono scatenati i segni clinici
del tunnel carpale, allora il test è positivo
Controindicazione al trattamento
Se il paziente si presenta in studio da noi per un tunnel carpale e alla valutazione
riscontriamo che presenta una perdita del tono muscolare del tenar, allora il
paziente viene mandato subito dall’ortopedico (per non fargli perdere tempo), in
quanto vi è già un disturbo del trofismo muscolare.

Perché si presentano gli pseudo tunnel carpale?


Lo pseudo tunnel carpale può presentarsi a causa di:
- A causa di una sindrome del pronatore quadrato
- A seguito di una imbibizione periferica (ovvero un assorbimento e quindi
accumulo di liquidi a livello periferico, la quale in questo caso comporta una
compressione a livello del tunnel carpale). Questa imbibizione periferica può essere
causata ad esempio dalla fase di gravidanza, oppure a seguito della menopausa (a
causa del calo estrogenico), oppure ancora l’utilizzo per un lungo tempo di farmaci
cortisonici, oppure patologie renali, oppure patologie cardiache.

(((da vedere se bisogna inserire altro inerente il passaggio del nervo mediano e
quindi i punti e le strutture dove può restare pinzato)))
Quindi
Nel caso di uno pseudo tunnel carpale (quindi dove abbiamo solo un formicolio
generalizzato alla mano, o gonfiore o dolore a livello della mano), oppure di un
tunnel carpale ai primi stadi (quindi gradi) possiamo andare ad utilizzare le seguenti
tecniche

Punti di repere importanti


Qua in mezzo abbiamo una componente legamentosa da trattare (molto simile al
legamento anulare) (((i quale dovrebbe essere il legamento trasverso del carpo))).
Per trattare questo legamento possiamo eseguire la tecnica in attraverso due
modalità:
Tecnica che aiuta a distendere i tessuti fibrotizzati (quindi il legamento)
Andiamo a porre il pollice della nostra paziente tra il nostro
1
mignolo ed anulare (quindi effettuiamo questo aggancio).
Successivamente andiamo ad estendere il polso della
nostra paziente e successivamente andremo ad agganciare
con un pollice le ossa pisiforme e scafoide, mentre con
l’altro pollice andiamo ad agganciare trapezio e trapezoide
(quindi in sintesi andiamo a porci a livello del legamento) e
2
successivamente andiamo ad aprire questo legamento
(questa tecnica serve a distendere i tessuti fibrotizzati).

(((quindi in pratica ci poniamo a livello del


legamento e lo andiamo ad aprire)))
Tecnica emodinamica (iper stimolazione in iperemia)
Oppure possiamo utilizzare una tecnica emodinamica importante, la quale per
l’esecuzione prevede due tempi:
- Primo tempo
Nel primo tempo della tecnica andremo a cerchiamo di far convergere verso il
centro (((credo che intenda il centro del polso e quindi del tunnel carpale))) i liquidi.

1 2

3
4

(((il Professore non dice precisamene i 5


movimenti che effettua, pero sembra che
spinga i liquidi verso il centro attraverso
vari direzionamenti, tipo dalle eminenze
verso il centro, dalla parte distale
dell’avambraccio verso il centro, dai lati
verso il centro ecc
- Secondo tempo
Riporteremo i liquidi verso l’esterno. quindi riportiamo i liquidi verso l’esterno
(quindi in maniera centrifuga) nella con gli stessi direzionamenti che abbiamo
utilizzato nel primo tempo (solo che ovviamente mobilizziamo i liquidi verso
l’esterno). Quindi a seguito di questa iper stimolazione in iperemia, il risultato sarà
che dopo qualche minuto in cui facciamo questo lavoro ???la cute si arrossa???.
Questa tecnica nel caso di una situazione congestizia di imbibizione, è ottima
perché riesce a scaricare (((quindi credo intenda drenare))) questi liquidi. Di solito
se è uno pseudo tunnel carpale dettato dall’imbibizione, la sintomatologia
regredisce quasi immediatamente (nel senso che al termine della nostra seduta
Osteopatica, se andiamo a rieffettuare i test di sensibilità e questi sono cambiati
rispetto a quelli iniziali <<<quindi credo che intenda che migliorano>>>), mentre se
è un vero tunnel carpale, la sintomatologia può migliorare, ma la sensibilità rimane
alterata.
Ovviamente quando si presenta un paziente con la sindrome del tunnel carpale,
bisogna andare ad inquadrarlo in un contesto globale (((e quindi capire cosa lo
abbia scatenato))) quindi andremo a valutare le vertebre cervicali, le vertebre
dorsali, la scapola, la dinamica del torace. (quindi andremo ad effettuare un
trattamento globale, in quanto se ad esempio andiamo a trattare la scapola,
sicuramente devo andare a vedere poi il gran dorsale e automaticamente andare a
vedere l’iliaco ecc <quindi noi andremo ad effettuare i test di pressione per andare
a valutare le zone maggiormente dense e quindi da trattare> inoltre SI FA UN
RAGIONAMENTO DI ORIGINE OSTEOPATICA STILLIANA PURA DI APERTURA DEI
CANALE IDRAULICI E DEI PASSAGGI NEUROLOGICI <quindi come andare a
migliorare la sintomatologia in maniera più ampia> <questo è il classico
trattamento inglese, ovvero si va a pensare: cosa c’è che mi condiziona questo?
(((ipotizzo che ciò che voleva farci intendere il Professore è: quindi ad esempio cosa
mi condizione l’esordio di un tunnel carpale? Ed allora si vanno a liberare tutti quelli
che possono essere la causa della sindrome del tunnel carpale, e successivamente
si vanno a migliorare tutti i passaggi vascolari e neurologici che possono avere a che
fare con quella problematica <ad esempio il tunnel carpale> ed in più si va a rendere
dinamica la colonna. Questo è come viene impostato il trattamento Osteopatico in
inghilterra e quindi il trattamento Osteopatico Inglese.)))
Trattamento della componente muscolare palmare Il Professore lo spiega più nello
specifico nella pagina successiva
(dopo il canale di Guyon)

Nel caso di sovrauilizzo meccanico, possiamo effettuare dei trattamenti di apertura


(((del tratto palmare))), oppure una tecnica a taglio (le quali vanno effettuate dalla
periferia verso il centro <e quindi vero il braccio> a livello palmare. (la tecnica a
taglio può essere effettuata singolarmente oppure con entrambe le mani, ad
esempio a livello del Tenar ed Ipotenar)

Oppure, nel caso di dolori al Tenar, possiamo effettuare anche qui delle tecniche a
taglio <<<il Professore effettua una tecnica a taglio sul tenar, a livello della faccia
palmare, mentre nella faccia dorsale sembrava che facesse una specie di
posange>>>

(((Il trattamento a quanto pare viene effettuato a livello dei muscoli intraossei ed i
flessori delle falangi)))

Rizzo artrosi
Nel caso in cui il paziente dovesse riscontare dolori a livello del tenar (((credo
più precisamente a livello della faccia dorsale))) non dobbiamo confondere il
dolore al tenar con una patologia trapezio metacarpale, definita anche
rizzoartrosi. Quindi tra trapezio e metacarpo la quale genera un’artrosi con
calcificazione articolare degenerativa (la quale ovviamente non è di nostra
competenza) Se riscontriamo un dolore a livello della faccia dorsale della mano
Canale di Guyon

il canale di Guyon presente il passaggio


del nervo ulnare, quindi da una
parestesia , disestesia e perdita di forza
al 5° dito e metà del 4° dito.
Patologie della fascia palmare

Il trattamento è quello che abbiamo visto qualche pagina sopra, il quale viene
effettuato a livello dei muscoli intraossei ed i flessori delle falangi, inoltre a questo
livello possiamo riscontrare anche una patologia degenerativa definita morbo di
Dupuytren (vedi dopo)

Morbo di Dupuytren
il morbo di Dupuytren è una patologia degenerativa della fascia palmare della mano, la
quale è una retrazione della fascia, la quale, a lungo andare, può portare ad una
retrazione delle dita. A seconda della gravità di questa patologia, sarà possibile
intervenire sulla fascia palmare nei primi stadi attraverso delle infiltrazioni
sottocutanee, altrimenti la competenza è dell’ortopedico della mano, il quale effettua
normalmente due tipologie di operazioni (una in cui va a tagliare una parte della fascia
palmare, mentre un’altra in cui vanno ad inserire una sorta di liquido viscoso che fa
rilasciare la fascia palmare e vanno ad ingessare la mano in apertura e dopo circa 10
giorni levano il gesso e la mano torna più o meno alla fisiologia).

Morbo di De Quervain
Il morbo di De Quervain consiste nell’irritazione dell’ABDuttore (del pollice) e
dell’estensore del pollice (quindi interessa prevalentemente l’arto radiale della mano)
<<< su internet ho trovato che sono precisamente l’abduttore breve del pollice e
l’estensore breve del pollice>>>. Il test di positività è quello di Finkelstein.
Controindicazioni al trattamento Osteopatico

Inoltre (((prima di effettuare il trattamento Osteopatico))) vi sono anche una serie


di patologie che saranno da prendere in seria considerazione durante la fase
anamnestica come:
(Le più importanti) Quindi dobbiamo prendere in considerazione una serie di
fratture (le quali ovviamente saranno controindicazioni al trattamento
Osteopatico) come:
- Fratture di Colles

- Frattura del capitello radiale

- Fratture di Hill Sachs

- Frattura di Bankart

In base alla tipologia di trauma (di solito è un trauma in caduta, con braccio esteso
sulla componente radiale e se la forza di dinamica delle), queste fratture possono
essere una consequenziale all’altra <<<quindi si può avere anche solo una di queste
fratture, però, in relazione all’impatto, queste fratture possono avvenire
simultaneamente VEDI DOPO>>>

Quindi se il paziente cade e sbatte contro il terreno con il braccio teso, in relazione
a dove la forza cinetica prodotta dalla caduta andrà a scaricarsi, potrà andare a
causare una di queste fratture, oppure addirittura causarle in maniera
consequenziale, ovvero: in relazione all’intensità dell’impatto (ed anche
ovviamente anche in relazione alle caratteristiche anatomiche del soggetto)
possiamo avere una singola frattura (quindi una di queste fratture citate sopra),
oppure se l’impatto con il terreno è stato molto importante queste fratture
possono essere consequenziali (ovvero si attuano tutte conseguentemente, quindi
dalla parte più distale a quella prossimale per esempio).

Nella parte seguente, ho preso buona parte delle immagini da internet, inoltre per quanto riguarda la
frattura di Hill Sachs e di Bankart, ho scritto quello che diceva il Professore, ed inoltre ho aggiunto
delle informazioni che ho reperito.
Se la componente dinamica delle forze (forza cinetica) provocate dall’impatto con
il suolo va ad agire:
1) Sullo scafoide, possiamo avere la frattura dello scafoide <la frattura dello
scafoide è un caso molto particolare, in quanto lo scafoide possiede
un’irrorazione sanguigna retrogada>

2) Sulla parte distale del radio, allora abbiamo la rottura della stiloide del radio <e
quindi abbiamo la frattura di Colles>;
3) Sulla parte prossimale del radio,
possiamo avere la frantumazione del
capitello radiale <quindi la Frattura del
capitello radiale>;

4) Sulla testa omerale, possiamo


avere la frattura di Hill Sachs <la
quale prevede la frattura ad
accetta della componente
postero superiore della testa
dell’omero>. (((cercando su
internet ho visto che
normalmente questa lesione avviene nel
momento in cui abbiamo una lussazione
anteriore o antero/inferiore dell’omero
<oppure delle sublussazioni frequenti>,
durante la quale, la testa omerale e più
precisamente la parte postero supero laterale
della testa omerale, subisce una compressione
causata con l’impatto con il margine antero
inferiore della glena omerale. (((quindi a causa
di una lussazione anteriore o antero/inferiore,
la testa omerale <posta in extrarotazione>
subisce una frattura da compressione
precisamente nella sua parte postero
superiore, procurata appunto dalla
compressione che la testa omerale attua
sul margine antero inferiore della glena))).

Anche se il Professore nelle slide indica la parte


antero superiore della glena (forse perché aveva
riportato un altro esempio rispetto a quello che
ho preso io.
5) Inoltre, la forza cinetica causata dalla caduta (quindi provocata dall’impatto con
il suolo) può portare ad una sublussazione della testa dell’omero e nel momento
in cui l’omero si riposiziona (quindi l’omero fuoriesce dalla glena a causa della forza
cinetica e nel momento in cui rientra nella glena) la testa omerale urta conto la
scapola (((più precisamente a livello della parte antero inferiore della glena)))
causandone così una frattura la quale viene definita Frattura di Bankart <la quale
è una rottura del cercine e della glena della scapola>. (((a quanto pare la lesione di
Hill sachs e la lesione di Bankart sono spesso associate, quindi il paziente presenterà
una frattura nella parte postero superiore dell’omero e della scapola)))
(((cercando su internet ho visto che nei pazienti
che hanno subito un trauma di lussazione
anteriore della testa omerale, è presente anche la
lesione o frattura di Bankart, ovvero un
distaccamento del labbro glenoideo antero
inferiore e delle volte a quanto pare, si ha anche
una conseguente frattura della parte inserzionale
del labbro glenoideo (quindi una frattura della
parte ossea su cui si inserisce il labbro). Per cui se a
seguito di una lussazione anteriore, le strutture
anatomiche lese (come il labbro glenoideo,
legamenti ecc) non guariscono totalmente, il
paziente nei movimenti di abduzione ed
extrarotazione avere nuovamente delle lussazioni o
sublussazioni, e quindi vorrà dire che vi è una
instabilità anteriore (a seguito della quale bisogna
intervenire chirurgicamente).
<quindi se le strutture anatomiche non guariscono
completamente, possiamo avere un’instabilità
anteriore, e quindi la possibilità che il paziente
durante i movimenti di abduzione ed
extrarotazione possa lussare nuovamente la
spalla>
Nei bambini, invece, nel momento in cui si fa fare
“l’altalena” si crea una sublussazione postero esterna
del capitello radiale. Il bambino si presenta con
l’avambraccio pronato e flesso (quindi gomito retratto e
pronato). La manovra correttiva è di competenza
ortopedica. E siccome le articolazioni nei bambini sono
molto lasse, normalmente dopo il riposizionamento si
ricostituisce tutto.

L’arto superiore con il tratto cervicale ha un’interazione continua (((per cui ne


pazienti che presentano problematiche al tratto cervicale bisogna andare a
controllare l’arto superiore))).
Srotolamento arto superiore

Se dopo aver individuato la zona di maggior densità (a livello dell’arto superiore),


dopo averla testato (quindi aver eseguito il test di mobilità di quella zona) e dopo
aver normalizzato la disfunzione, la zona che inizialmente abbiamo trovato densa,
presenta ancora la densità, allora possiamo effettuare uno srotolamento dell’arto
superiore (il quale è uguale a quello dell’arto inferiore) a livello della zona in cui
abbiamo la densità, in questo caso la tecnica di srotolamento viene eseguita a
livello del gomito. Lo srotolamento può essere effettuato sia con paziente supino
che con paziente seduto ai piedi del lettino.
Per vedere come effettuare lo srotolamento, vedere video 32 e 33 (1 novembre 2019)
RACHIDE CERVICALE
Introduzione

DENOMINAZIONE DELLE FASCE


Il Professore ha detto che in questo momento non conviene andare ad acquistare
dei libri sulla fascia, in quanto ogni autore ha un orientamento differente e quindi
denominazione differenti della fascia (per esempio i libri di Luigi stecco e famiglia
hanno un orientamento molto fisioterapico, se prendiamo il Paoletti ha un’altra
denominazione fasciale) per cui conviene seguire ciò che ci spiega lui il quale è
molto didattico <poi una volta usciti dalla scuola la potremmo “chiamare come
vogliamo” > (((quindi io studierò ovviamente quello che il Professore spiega e
successivamente andrò ad effettuare degli studi sui libri sulla fascia))). Quindi noi
andiamo ad utilizzare un approccio che è molto scolastico, ovvero:
La fascia si divide in fascia superficiale (la quale riveste solamente i muscoli
superficiali), fascia media (è mista, ovvero riveste parzialmente ed alcuni organi
oppure alcuni muscoli che sono presenti in una situazione mediana ; la fascia media
la ritroviamo esclusivamente nella regione cervicale e nel piccolo bacino) e fascia
profonda (riveste muscoli e visceri e vasi in maniera profonda).
Spiegazione fasciale del tratto cervicale

La suddivisione fasciale a livello cervicale è complessa, in quanto oltre ad avere la


presenza di tutte e tre le tipologie di fasce (superficiale, media e profonda),il
problema principale è che hanno dei ruoli misti tra di loro ed è molto complessa la
distribuzione perché è complicato visualizzarli (rispetto ad altre regioni corporee in
cui la visualizzazione risulta più semplice).
(Anche se questo ha poco a che fare con la
denominazione delle fasce) Da un punto di
vista dell’orientamento spaziale (quindi
come orientamento tridimensionale) la
regione della gola si divide in regione
sovraioidea e sottoioidea, questo avviene
perché l’osso ioide è l’unico osso presente
nella regione anteriore della gola (tutto il
resto è cartilagine, visceri, muscoli, vasi,
nervi, processi linfatici, ghiandole).
Dal punto di vista della denominazione delle
fasce abbiamo (e quindi le fasce cervicali si dividono in):

FASCIA SUPERFICIALE ad indirizzo muscolare


- fascia superficiale ad indirizzo muscolare → la fascia superficiale trova inserzione
sulla branca ascendente ed orizzontale della mandibola, riveste il massetere,
scende inferiormente e riveste i muscoli sovra ioidei (i quali sono il genoioideo, il
miloioideo, stiloioideo, e muscolo digastrico), per poi andare ad inserirsi a livello
della porzione superiore dell’osso ioide.
(((quindi la fascia superficiale ha un punto di ancoraggio <quindi di inserzione> a
livello della branca ascendente ed orizzontale della mandibola, per poi scendere
verso il basso e rivestire il massetere e tutti i muscoli sovraioidei <i quali sono 4> e
poi si inserisce sulla porzione superiore dell’osso ioide. Quindi andrà a rivestire
esclusivamente muscoli))).
- dalla branca ascendente della mandibola, continua sull’osso temporale, circonda
il meato acustico esterno, arriva sulla mastoide e va a rivestire lo SCOM, continua
la sua inserzione posteriore sul terzo medio della squama dell’occipite e riveste il
muscolo trapezio (quindi scende verso il basso per rivestire tutto il trapezio), quindi

<a livello della squama del temporale, abbiamo la fascia epicranica propria del cranio, la quale è
una struttura che non c’entra con la spiegazione della fascia superficiale, ovvero è un altro
argomento, anche se ovviamente le due strutture fasciali sono in continuità>
la fascia superficiale scende dalla squama dell’occipite, riveste il muscolo trapezio
(l’unione dei due emi trapezi formerà un raf mediano posteriore) e
successivamente si va ad inserire a livello della spina della scapola, fino ad arrivare
all’acromion e successivamente dall’acromion si porta anteriormente andando a
ricoprire la regione anteriore della clavicola (quindi la fascia superficiale riveste e
delimita i bordi dello stretto toracico, quindi trova inserzione sulla spina della
scapola, sull’acromion e sul margine anteriore della clavicola). Dall’acromion la
fascia superficiale riveste il deltoide ecc diventando fascia superficiale dell’arto
superiore. Dalla regione della clavicola la fascia superficiale continua andando a
rivestire il grande ed il piccolo pettorale. Quindi la fascia superficiale riveste
MUSCOLI prevalentemente superficiali (SCOM trapezio, muscoli sovraioidei).

- poi la fascia superficiale di ogni emilato del collo, si unisce in un raf mediano <Il
raf è una struttura pseudotendinea che congiunge i due emilati>, il quale continua
poi su tutto l’asse centrale del torace per poi arrivare a livello addominale dove
prosegue con la linea alba (quindi andrà a rivestire il retto dell’addome, gli obliqui
ed il muscolo trasverso), mentre posteriormente rivestirà il quadrato dei lombi, e
gli erettori della colonna (((da valutare quando spiega la fascia profonda)))per poi
andare a congiungersi in un raf mediano posteriore che segue la linea del
legamento posteriore della colonna vertebrale e delle spinose <quindi del
legamento epispinoso>. Successivamente si andrà ad inserire sulle creste iliache
ed anteriormente sul pube, per poi seguire la branca ascendente dell’osso
ischiatico e continuerà negli adduttori, nel quadricipite (anteriormente) tensore
della fascia lata (lateralmente) e nel grande gluteo (posteriormente), poi si
inserisce su una parte della testa del perone, per poi continuare con i muscoli
superficiali della gamba rivestendo il tibiale anteriore, tibiale posteriore,
gastroecnemio, soleo ecc , poi scenderà sul piede ed andrà a rivestire tutti i muscoli
superficiali del piede. A livello del piede la fascia superficiale si dividerà in fascia
dorsale e fascia plantare (andando a rivestire i vari tendini dei muscoli sopra citati).
La fascia dorsale e la fascia plantare si incontrano lateralmente al piede (quindi crea
una congiunzione con la fascia plantare la quale ha una forma piramidale e che va
a confondere le sue fibre a livello delle teste dei metatarsi e quindi andrà a rivestire
tutti i muscoli superficiali del piede).
Quindi dobbiamo immaginare (((la fascia))) come una struttura tubulare che
presenta tante inserzioni su strutture mobili (come scapola, anca, iliaci, il rachide).
Quando parliamo di fascia superficiale, parliamo appunto di una struttura che
riveste i bordi del nostro corpo da un punto di vista muscolare.
IN SINTESI (DA METTERE NEL RAGIONAMENTO LOGICO)

(((QUINDI LA FASCIA SUPERFICIALE

LA FASCIA SUPERFICIALE HA
INSERZIONE A LIVELLO DELLA
BRANCA VERTICALE (o ascendente) ED
ORIZZONTALE DELLA MANDIBOLA, ED A QUESTO
LIVELLO RIVESTE IL MUSCOLO MASSETERE,
SUCCES SIVAMENTE CONTINUA INFERIORMENTE
(E QUINDI RIVESTE) ANDANDO A RIVESTIRE I
MUSCOLI SOVRAIOIDEI (I QUALI APPUNTO SONO
IL MUSCOLO GENIOIOIDEO, MUSCOLO
MILOIOIDEO, MUSCOLO STILOIOIDEO ED IL
MUSCOLO DIGASTRICO) PER POI ANDARE AD
INSERIRSI A LIVELLO DELLA PORZIONE SUPERIORE
DELL’OSSO IOIDE.
DALLA BRANCA ASCENDENTE DELLA MANDIBOLA,
CONTINUA SULL’OSSO TEMPORALE, <LA SQUAMA DEL
TEMPORALE E LA SQUAMA DELL’OCCIPITE SONO RIVESTITE DALLA
FASCIA EPICRANICA (((LA QUALE APPUNTO E’ LA FASCIA PROPRIA
DEL CRANIO, INOLTRE LA FASCIA EPICRANICA E’ IN CONTINUITA’
CON LA FASCIA SUPERFICIALE ANCHE SE QUESTA VERRA’
SPIEGHATA QUANDO FAREMO LE FASCE DEL CRANIO)))>,
CIRCONDA IL MEATO ACUSTICO ESTERNO, SUCCESSIVAMENTE
ARRIVA SULLA MASTOIDE E VA A RIVESTIRE IL MUSCOLO SCOM,
PROSEGUE LA SUA INSERZIONE POSTERIORE A LIVELLO DEL TERZO
MEDIO DELLA SQUAMA DELL’OCCIPITE ANDANDO
SUCCESSIVAMENTE A RIVESTIRE IL MUSCOLO
TRAPEZIO (QUINDI SCENDE VERSO IL BASSO
ANDANDO A RIVESTIRE TUTTO IL TRAPEZIO E
L’UNIONE TRA I DUE EMI-TRAPEZI FORMERA’ UN RAF
MEDIANO POSTERIORE), SUCCESSIVAMENTE VA AD
INSERIRSI A LIVELLO DELLA SPINA DELLA SCAPOLA
(per poi portarsi sull’acromion), DELL’ACROMION (per
poi portarsi sul margine anteriore della clavicola) E SUL
MARGINE-REGIONE ANTERIORE DELLA CLAVICOLA
(quindi la fascia superficiale riveste e delimita i bordi
dello stretto toracico).
DALL’ACROMION LA FASCIA SUPERFICIALE CONTINUA
A LIVELLO DEL MUSCOLO DELTOIDE E
SUCCESSIVAMENTE CONTINUA ((SU TUTTI I MUSCOLI
SUPERFICIALI DELL’ARTO SUPERIORE))) DIVENENDO
FASCIA SUPERFICAILE DELL’ARTO SUPERIORE, MENTRE
DALLA REGIONE CLAVICOLARE, LA FASCIA
SUPERFICIALE SCENDE IN SENSO CAUDALE ANDANDO
A RIVESTIRE IL MUSCOLO GRANDE PETTORALE E
PICCOLO PETTORALE. LA FASCIA SUPERFICIALE DI OGNI
EMILATO SI UNISCE ANDANDO A FORMARE UN RAF
MEDIANO ANTERIORE, IL QUALE A LIVELLO TORACICO
AVVIENE DIRETTAMENTE SULLO STERNO (QUINDI LE
FIBRE SI FONDONO SULLA STRUTTURA OSSEA) E
SUCCESSIVAMENTE CONTINUA IN SENSO CAUDALE
CON LA LINEA ALBA ANDANDO A RIVESTIRE COSI’ I
MUSCOLI RETTO DELL’ADDOME, GLI OBLIQUI ED IL
MUSCOLO TRASVERSO (LA FASCIA SUPERFICIALE DAL
MUSCOLO TRASVERSO, CONTINUA POSTERIORMENTE
COME UN MANICOTTO, ANDANDO A RIVESTIRE IL
MUSCOLO QUADRATO DEI LOMBI ED I MUSCOLI
ERETTORI DI COLONNA <<<da verificare i muscoli
erettori di colonna in quanto questi dovrebbero
appartenere alla fascia profonda>>> ANDANDO POI AD
UNIRSI IN UN RAF MEDIANO POSTERIORE A LIVELLO
DEL LEGAMENTO SOVRAPINOSO), PER POI ANDARE AD
INSERIRSI SULLE CRESTE ILIACHE ED ANTERIORMENTE
SUL PUBE, PER POI SEGUIRE LA BRANCA ASCENDENTE
DELL’OSSO ISCHIATICO ED APPUNTO DALL’OSSO
ISCHIATICO CONTINUARE NEGLI ADDUTTORI
(MEDIALMENTE), NEL QUADRICIPITE
(ANTERIORMENTE) TENSORE DELLA FASCIA LATA
(LATERALMENTE) E NEL GRANDE GLUTEO
(POSTERIORMENTE), E POI SUCCESSIVAMENTE ANDRA’
AD INSERIRSI SU UNA PARTE DELLA TESTA DEL
PERONE, PER POI CONTINUARE CON I MUSCOLI
SUPERFICIALI DELLA GAMBA RIVESTENDO IL TIBIALE
ANTERIORE, TIBIALE POSTERIORE, GASTROECNEMIO,
SOLEO ECC (QUINDI TUTTI I MUSCOLI SUPERFICIALI
DELLA GAMBA) , POI SCENDERÀ SUL PIEDE ED ANDRÀ A
RIVESTIRE TUTTI I MUSCOLI SUPERFICIALI DEL PIEDE.

A LIVELLO DEL PIEDE LA FASCIA SUPERFICIALE SI


DIVIDERÀ IN FASCIA DORSALE E FASCIA PLANTARE
(ANDANDO A RIVESTIRE I VARI TENDINI DEI MUSCOLI
SOPRA CITATI). LA FASCIA DORSALE E LA FASCIA
PLANTARE SI INCONTRANO LATERALMENTE AL PIEDE
(QUINDI CREA UNA CONGIUNZIONE CON LA FASCIA
PLANTARE LA QUALE HA UNA FORMA PIRAMIDALE E
CHE VA A CONFONDERE LE SUE FIBRE A LIVELLO
DELLE TESTE DEI METATARSI E QUINDI ANDRÀ A
RIVESTIRE TUTTI I MUSCOLI SUPERFICIALI DEL PIEDE).
16:00

Il prof dice che tutti i muscoli (((sovraioidei))) fanno raf


sull’osso ioide e poi sulla mandibola proprio perché servono
ad aprire la mandibola. Infatti →

Il muscolo digastrico avendo doppio ventre, con la sua


contrazione abbassa la mandibola e quindi aprono la
mandibola

Il muscolo stiloioideo, attraverso la sua contrazione


abbassa anch’esso la mandibola e quindi apre la bocca.

Mentre il muscolo genioioideo, muscolo miloioideo,


rappresentano il pavimento buccale.
LA FASCIA MEDIA

La fascia media si divide in fascia media ad indirizzo muscolare e fascia media ad


indirizzo viscerale, nello specifico:
- La fascia media ad indirizzo muscolare riveste i
muscoli sottoioidei, quindi la fascia media parte
dal margine inferiore dell’osso ioide (quindi
prende inserzione nella porzione inferiore
dell’osso ioide) e va a rivestire i muscoli sterno
ioideo (questo è molto superficiale, una volta
sezionato questo muscolo, proprio al di sotto ci
troviamo→), sterno tiroideo, tiro ioideo, omo
ioideo (prende inserzione sul margine postero
inferiore dell’osso ioide <il quale ha una forma a
ferro di cavallo> e va ad inserirsi sul margine
supero interno della scapola, quasi vicino al
muscolo elevatore della scapola <infatti nelle
dissezioni si fa fatica a distinguerli
anatomicamente>). Quindi una volta rivestiti i
muscoli sopra citati, va ad inserirsi a livello del
margine posteriore della clavicola.
Quindi se vi è una tensione della fascia superficiale,
la clavicola verrà trazionata in rotazione anteriore,
mentre se vi è una tensione della fascia media, la
clavicola andrà <prevalentemente> in rotazione
posteriore. (((quindi fondamentalmente se
abbiamo una tensione della fascia superficiale
riferita allo SCOM allora la clavicola non andrà in
rotazione anteriore, bensì in rotazione posteriore,
per cui la rotazione anteriore o posteriore della
clavicola, si avrà in relazione al muscolo che è in
tensione <per quanto concerne la fascia
superficiale>.)))

L’osso ioide funge da “capo tasto” e quindi fungerà da


strumento che farà da relè tensionale (e quindi si
adatterà alle tensioni che arrivano dalla funzionalità
mandibolare e dalla funzionalità dello stretto toracico
<in quanto siccome le fasce si incontrano a livello
dell’osso ioide, ne condizioneranno la mobilità>
<successivamente faremo un test sull’osso ioide per valutare se le tensioni a livello
dell’osso ioide sono maggiormente ascendenti, discendenti, oppure traslatorie, in
maniera tale da orientare il nostro trattamento>)

- La fascia media ad indirizzo viscerale (questa è un


po’ più complicata, in quanto i vari autori dicono
cose differenti, anche se pare che l’unica cosa che
trovi concordi i vari autori è che la tiroide sia
rivestita dalla fascia media e parzialmente (questa
fascia media ad indirizzo viscerale riveste anche)
riveste la regione-porzione anteriore della trachea
e della laringe.
quindi dal margine inferiore dell’osso ioide la fascia
media ad indirizzo viscerale, si porta inferiormente
andando a rivestire la parte anteriore della laringe
e della trachea, inoltre va a rivestire la ghiandola
tiroidea (la ghiandola tiroidea si trova a bordo della
cartilagine cricoidea della trachea, inoltre, in parte
la ghiandola tiroidea sarà nascosta dal manubrio
dello sterno). Una volta rivestite queste
strutture, sempre da queste, la fascia media ad
indirizzo viscerale (si dirige in senso caudale) va a
formare la lamina o anche detta legamento tiro-
pericardico, il quale appunto va ad inserirsi a
livello del pericardio (questa struttura si andrà a
congiungere con la componente viscerale della
fascia profonda, diventando un tutt’uno)
(da qui risulta chiaro come un problema
pericardico può ripercuotersi sulla tiroide e
viceversa)
IN SINTESI (DA METTERE NEL RAGIONAMENTO LOGICO)
(((QUINDI LA FASCIA MEDIA

LA FASCIA MEDIA SI DIVIDE IN FASCIA MEDIA AD INDIRIZZO MUSCOLARE E FASCIA


MEDIA AD INDIRIZZO VISCERALE, NELLO SPECIFICO:
- LA FASCIA MEDIA AD INDIRIZZO MUSCOLARE PARTE DAL MARGINE INFERIORE
DELL’OSSO IOIDE E SI DIRIGE IN SENSO CAUDALE ANDANDO A RIVESTIRE I
MUSCOLI STERNO IOIDEO, STERNO TIROIDEO, TIRO IOIDEO, OMO IOIDEO.
SUCCESSIVAMENTE (UNA VOLTA RIVESTITI I MUSCOLI SOPRA CITATI), VA AD
INSERIRSI A LIVELLO DEL MARGINE POSTERIORE DELLA CLAVICOLA.

QUINDI SE VI È UNA TENSIONE DELLA FASCIA SUPERFICIALE, LA CLAVICOLA


VERRÀ TRAZIONATA IN ROTAZIONE ANTERIORE, MENTRE SE VI È UNA TENSIONE
DELLA FASCIA MEDIA, LA CLAVICOLA ANDRÀ <PREVALENTEMENTE> IN
ROTAZIONE POSTERIORE.
(((IN RELAZIONE A DOVE ABBIAMO LA TENSIONE DEL MUSCOLO, POSSIAMO
AVERE UNA ROTAZIONE ANTERIORE O POSTERIORE DELLA CLAVICOLA, IN
QUANTO, AD ESEMPIO SE ABBIAMO UNA TENSIONE A LIVELLO DELLO SCOM <E
QUINDI UNA TENSIONE A LIVELLO DELLA FASCIA SUPERFICIALE> LA CLAVICOLA
NON ANDRA’ IN ROTAZIONE ANTERIORE <COME IL PROFESSORE HA DETTO
PRECEDENTEMENTE> BENSI’ EFFETTUERA’ UNA ROTAZIONE POSTERIORE. PER
CUI LA ROTAZIONE ANTERIORE O POSTERIORE DELLA CLAVICOLA, SI AVRÀ IN
RELAZIONE AL MUSCOLO CHE È IN TENSIONE <PER QUANTO CONCERNE LA
FASCIA SUPERFICIALE>.)))
- LA FASCIA MEDIA AD INDIRIZZO VISCERALE (QUESTA È UN PO’ PIÙ COMPLICATA,
IN QUANTO I VARI AUTORI DICONO COSE DIFFERENTI, PERO’ L’UNICA COSA SU CUI
SONO D’ACCORDO E’ CHE LA FASCIA MEDIA AD INDIRIZZO VISCERALE RIVESTE LA
TIROIDE E PARZIALMENTE RIVESTE ANCHE LA REGIONE-PORZIONE ANTERIORE
DELLA TRACHEA E DELLA LARINGE.
QUINDI DAL MARGINE INFERIORE DELL’OSSO IOIDE LA FASCIA MEDIA AD
INDIRIZZO VISCERALE, SI PORTA INFERIORMENTE ANDANDO A RIVESTIRE LA PARTE
ANTERIORE DELLA LARINGE E DELLA TRACHEA, E SUCCESSIVAMENTE VA A
RIVESTIRE LA GHIANDOLA TIROIDEA (LA GHIANDOLA TIROIDEA SI TROVA A BORDO
DELLA CARTILAGINE CRICOIDEA DELLA TRACHEA). UNA VOLTA RIVESTITE QUESTE
STRUTTURE, (PROPRIO DA QUESTE STRUTTURE) LA FASCIA MEDIA AD INDIRIZZO
VISCERALE, SI DIRIGE IN SENSO CAUDALE ANDANDO SUCCESSIVAMENTE AD UNIRSI
CON LA FASCIA PROFONDA (AD INDIRIZZO VISCERALE) PER FORMARE COSI’ IL
LEGAMENTO TIRO-PERICARDICO, IL QUALE APPUNTO VA AD INSERIRSI A LIVELLO
DEL PERICARDIO.
(DA QUI RISULTA CHIARO COME UN PROBLEMA PERICARDICO PUÒ RIPERCUOTERSI
SULLA TIROIDE E VICEVERSA)
FASCIA PROFONDA
La fascia profonda ha due indirizzi, uno muscolare ed uno viscerale, nello specifico:
- fascia profonda ad indirizzo viscerale

tubercolo faringeo La fascia profonda ad indirizzo viscerale ha inserzione sul ,


sul margine inferiore della
rocca petrosa, e sulle apofisi pterigoidee (questo
perché andrà a riveste i muscoli che compongono la
faringe <<<quindi la fascia profonda ad indirizzo
viscerale andrà a riveste i muscoli che compongono
la faringe perché, come anche per l’esofago, queste
strutture anche se sono strutture muscolari,
vengono definiti come organi>>>).

La fascia profonda ad indirizzo viscerale continua avvolgendo la laringe (la quale è


Quindi la fascia profonda ad indirizzo viscerale si inserisce sul tubercolo faringeo,
sul margine inferiore della rocca petrosa e sulle apofisi pterigoidee, perché
proprio a questo livello abbiamo la faringe (((ed appunto da qui riveste i muscoli
della faringe))) la quale si divide in tre porzioni (la naso-faringe , la oro-faringe e
la laringo-faringe <o anche detta faringe – laringe>). La porzione più alta è
definito velo del palato (quindi la fascia profonda ad indirizzo viscerale andrà a
rivestire tutta la componente molle del palato come il peristaffilino, pterigoideo
laterale, pterigoideo mediale <quindi tutti i fattori della deglutizione alta, anche
se secondo me voleva dire i muscoli e non fattori>, quindi la fascia trova
inserzione su muscoli che servono alla deglutizione, e successivamente seguirà i
muscoli costrittori della faringe, l’elevatore della laringe (quindi sono tutti i
muscoli che compongono l’orofaringe e che servono fondamentalmente all’atto
deglutitorio).

la porzione dedicata alla fonetica), continua rivestendo il resto della porzione


tracheale, continua rivestendo l’esofago (il quale è in continuità con la faringe, la
parte che riferita alla deglutizione <e quindi i muscoli dell’esofago>),
successivamente si unisce alla parte viscerale di fascia media, forma il legamento
tiro-pericardico e scende longitudinalmente per sostenere il pericardio.
Quindi riveste la loggia viscerale del collo
Quindi la componente viscerale della fascia profonda riveste: l’organo della faringe
(che si divide in naso faringe, orofaringe e faringe-laringe <che rappresenta il punto
di giunzione tra la componente ioidea, la componente superiore della cartilagine
tiroidea e poi diventerà laringe (la quale durante l’atto deglutitorio, viene portata
in senso craniale per andare a poggiare a livello dell’epiglottide <andando così a
chiudere le vie respiratorie>), quindi la fascia profonda ad indirizzo viscerale riveste
l’esofago, ed a questo livello scende in senso caudale andandosi ad unire alla fascia
media ad indirizzo viscerale formando il legamento tiro-pericardico.

- fascia profonda ad indirizzo muscolare detta anche fascia prevertebrale


La fascia prevertebrale riveste prevalentemente strutture muscolari, in particol are
nella regione anteriore dei corpi vertebrali (quindi da C0 – C1) inizia a rivestire il
muscolo lungo del collo, i muscoli retti anteriori, che vanno ad inserirsi nel margine
anteriore del corpo di T4, riveste anche lo splenio, gli
obliqui, i muscoli epispinali <quindi anche i trasverso
spinosi ecc ovvero tutti quei muscoli che consentono i
micromovimenti della colonna>, tutti i muscoli
vertebrali (quindi la fascia profonda ad indirizzo
muscolare riveste tipo un manicotto, tutti i muscoli
prossimi alla colonna vertebrale (sia anteriormente che
posteriormente)
Quindi posteriormente sui muscoli sopra citati, mentre
anteriormente arriva fino a T4 in quanto oltre T4 non
troviamo altri muscoli che svolgono la funzione di
erettori della colonna anteriormente, per cui la fascia
profonda ad indirizzo muscolare a livello di T4
continuerà nel legamento longitudinale anteriore.
La fascia prevertebrale dirigendosi in senso caudale (e
quindi nel ricoprire questi muscoli), lascia (((emette)))
alcune periferiche (((quindi credo che intenda delle espansioni periferiche))),
ovvero dalla fascia prevertebrale nasce una componente periferica che riveste la
loggia vascolare (la quale loggia vascolare è un manicotto che separa alcune
importanti strutture dalle regioni circostanti, inoltre la loggia vascolare si trova
all’interno del passaggio dello scaleno <dove è apprezzabile il battito carotideo>)
All’interno della loggia vascolare abbiamo la carotide comune, la vena giugulare, e
riveste le componenti neurologiche (e quindi il passaggio) del nervo vago e del
nervo frenico. Questo manicoto continuerà a livello dei grandi vasi presenti a
livello del passaggio toraco cervicale, rivestendo la linea innominata, e l’arco
aortico.
Un’altra espansione della fascia prevertebrale va a rivestire i muscoli scaleno
anteriore e posteriore (e quando è presente anche il medio). Questa struttura crea
un altro manicotto che va verso lo stretto toracico e quindi conterrà anche il plesso
brachiale , l’arteria succlavia <la quale si trova all’interno tra lo scaleno anteriore
ed il posteriore> anteriormente allo scaleno anteriore abbiamo la vena succlavia.
Quindi riveste queste strutture, poi continua nello stretto toracico passando
posteriormente alla clavicola, si immette nel cavo ascellare diventando fascia
profonda del cavo ascellare, la quale rivestirà la continuità dei vasi sopra citati,
diventano arteria ascellare, vena ascellare, rami finali del plesso brachiale; inoltre
una parte di questa fascia profonda continua nella regione intermedia del braccio
rivestendo il nervo mediano, il nervo ulnare, l’arteria brachiale, la vena basilica; poi
si continuerà nell’avambraccio rivestendo i rami finali del nervo mediano, i passaggi
del nervo ulnare, il passaggio profondo dell’arteria brachiale e dell’arteria radiale,
le quali arrivano e poi entreranno nella fascia profonda della mano rivestendo i
passaggi neurologici e vascolari della mano ed i muscoli profondi lombricali. 11:28

QUINDI IN SINTESI
La fascia prevertebrale (quindi la fascia profonda ad indirizzo muscolare) rivesti i
muscoli propri della colonna (anteriormente fino a T4 mentre posteriormente tutti
i piccoli muscoli che ci permettono di effettuare i piccoli movimenti della colonna
<quindi tutti i muscoli profondi della regione del collo>). La fascia prevertebrale
scendi in senso caudale diventando legamento longitudinale anteriore
(anteriormente) mentre posteriormente continua con i muscoli propri della
colonna. La fascia prevertebrale emette delle espansioni che andranno a formare
la loggia vascolare e la loggia viscerale. La loggia vascolare circonda la carotide
comune, la vena giugulare, il nervo vago ed il nervo frenico, mentre la loggia
viscerale è rappresentata dalla fascia profonda ad indirizzo viscerale dei visceri del
collo.
La fascia profonda ad indirizzo muscolare (a livello di C3 - C4 – C5 – C6) o anche
definita prevertebrale si divide, e poi circonda anche gli scaleni e ciò che sta vicino
agli scaleni (come il plesso brachiale, la succlavia, vena e arteria) poi continuerà nel
cavo ascellare per creare una continuità con la fascia del braccio e
dell’avambraccio; mentre a livello di C7 abbiamo continua nei legamenti sospensori
del polmone (degli apici polmonari) ovvero circonderà i legamenti costo pleurici,
trasverso pleurici, e vertebro pleurici, successivamente continua rivestendo il
polmone e quindi diventando la componente parietale della pleura.

Quindi la fascia prevertebrale avrà un indirizzo muscolare( ovvero per i muscoli


propri della colonna e per quelli anteriori), avrà un indirizzo che poi diventerà
vascolo nervoso per quanto riguarda gli scaleni (ed ha una continuità con l’arto
superiore), ha una continuità per quanto riguarda i grandi vasi (giugulare, carotide,
vago e nervo frenico), ed ha una continuità con i polmoni per quanto riguarda gli
apici polmonari

Inoltre esiste una continuità tra la fascia prevertebrale e la loggia viscerale (((la che
si dirigono in maniera orizzontale e si chiamano lamine di Charpy le quali appunto
congiungono la loggia vascolare alla loggia viscerale del collo)))

Inoltre tra la fascia profonda ad indirizzo viscerale (ovvero quella che circonda
l’esofago) e la fascia prevertebrale, ovvero abbiamo uno spazio di scivolamento tra
la fascia profonda ad indirizzo viscerale e la fascia profonda ad indirizzo muscolare
(e quindi la fascia prevertebrale) il quale viene definito spazio retro viscerale di
Henke (se la sezione viene effettuata dal dietro all’anvanti) oppure spazio pre
vertebrale se la sezione viene effettuata da davanti a dietro.
IN SINTESI (DA METTERE NEL RAGIONAMENTO LOGICO)
(((QUINDI LA FASCIA PROFONDA

LA FASCIA PROFONDA HA DUE INDIRIZZI, UNO MUSCOLARE (o anche definito fasci


prevertebrale) ED UNO VISCERALE.
- LA FASCIA PROFONDA AD INDIRIZZO VISCERALE (LA FASCIA
PROFONDA AD INDIRIZZO VISCERALE, A LIVELLO CERVICALE
RIVESTE LA LOGGIA VISCERALE DEL COLLO, QUINDI ) SI INSERISCE
(((QUINDI ORIGINA))) SUL TUBERCOLO FARINGEO, SUL MARGINE
INFERIORE DELLA ROCCA PETROSA, E SULLE APOFISI
PTERIGOIDEE, QUESTO AVVIENE PERCHÉ, PROPRIO A
QUESTO LIVELLO ABBIAMO LA LOCALIZZAZIONE DELLA
FARINGE (LA FARINGE SI DIVIDE IN TRE PARTI, OVVERO
LA NASO-FARINGE , LA ORO-FARINGE E LA LARINGO-
FARINGE) INFATTI → LA FASCIA PROFONDA AD
INDIRIZZO VISCERALE ANDRÀ A RIVESTIRE I MUSCOLI
CHE COMPONGONO LA FARINGE E CHE (((QUINDI)))
SERVONO PER L’ATTO DEGLUTITORIO (COME AD
ESEMPIO IL MUSCOLO PERISTAFFILINO, PTERIGOIDEO
LATERALE, PTERIGOIDEO MEDIALE E
SUCCESSIVAMENTE ANDRÀ A RICOPRIRE I MUSCOLI
COSTRITTORI DELLA FARINGE (((SUPERIORE, MEDIO
ED INFERIORE))), E L’ELEVATORE DELLA LARINGE (LA
LARINGE DURANTE L’ATTO DEGLUTITORIO,
LA VIENE PORTATA IN SENSO CRANIALE PER
FARINGE ANDARE A POGGIARE A LIVELLO
SERVE
PER
DELL’EPIGLOTTIDE <ANDANDO COSÌ A
L’ATTO CHIUDERE LE VIE RESPIRATORIE>) <QUINDI
DEGLUTI ANDRA’ A RIVESTIRE I MUSCOLI CHE
TORIO, EFFETTUANO L’ATTO DEGLUTITORIO>.
MENTRE
LA QUINDI LA FASCIA PROFONDA AD INDIRIZZO
LARINGE VISCERALE ANDRÀ A RIVESTIRE I MUSCOLI
SERVE PERCHÉ, LA FARINGE, COME ANCHE
PER LA
L’ESOFAGO, SONO DELLE STRUTTURE
FONAZIO
NE MUSCOLARI, MA VENGONO
CONSIDERATE/DEFINITE COME ORGANI.
SUCCESSIVAMENTE LA FASCIA PROFONDA
AD INDIRIZZO VISCERALE PROSEGUE
AVVOLGENDO LA LARINGE E CONTINUA
AVVOLGENDO IL RESTO DELLA PORZIONE
TRACHEALE E SUCCESSIVAMENTE
CONTINUA ANDANDO A RIVESTIRE
L’ESOFAGO. SUCCESSIVAMENTE SI
UNISCE ALLA FASCIA MEDIA AD INDIRIZZO
VISCERALE FORMANDO COSÌ IL
LEGAMENTO TIRO-PERICARDICO (il quale
scende longitudinalmente per andare a
sostenere il pericardio).
LA LOGGIA VISCERALE E’ IN CONTINUITA’ FASCIALE CON LA
FASCIA PROFONDA AD INDIRIZZO MUSCOLARE
ATTRAVERSO LE LAMINE DI CHARPY
Dalla fascia profonda ad indirizzo muscolare partono le espansioni, le
quali andranno ad avvolgere la loggia vascolare del collo, il plesso
brachiale e l’apice del polmone

- FASCIA PROFONDA AD INDIRIZZO MUSCOLARE DETTA ANCHE FASCIA


PREVERTEBRALE. LA FASCIA PREVERTEBRALE A SUA VOLTA SI DIVIDE IN UNA AD
INDIRIZZO PROPRIAMENTE MUSCOLARE ED UNA AD INDIRIZZO VASCOLARE.

- FASCIA PREVERTEBRALE AD INDIRIZZO PROPRIAMENTE MUSCOLARE


LA FASCIA PREVERTEBRALE (PARTENDO DA C0 - C1) RIVESTE TIPO UN MANICOTTO,
TUTTI I MUSCOLI PROSSIMI ALLA COLONNA VERTEBRALE (SIA ANTERIORMENTE
CHE POSTERIORMENTE), E NEL DIRIGERSI VERSO IL BASSO (A LIVELLO DI C3 - C4 -
C5 - C6) EMETTE DELLE ESPANSIONI CHE ANDRANNO A FORMARE LA LOGGIA
VASCOLARE. QUINDI NELLO SPECIFICO:
QUINDI PARTENDO DA C0 - C1 LA FASCIA PROFONDA AD
INDIRIZZO MUSCOLARE (QUINDI LA FASCIA
PREVERTEBRALE, NELLA REGIONE ANTERIORE DEL COLLO
E PRECISAMENTE PARTENDO DALLA PORZIONE
ANTERIORE DEI CORPI VERTEBRALI DI C0 - C1) INIZIA A
RIVESTIRE IL MUSCOLO LUNGO DEL COLLO, I MUSCOLI
RETTI ANTERIORI (I QUALI VANNO AD INSERIRSI
<<<FINO>>> AL MARGINE ANTERIORE DEL CORPO DI T4),
MENTRE (NELLA REGIONE POSTERIORE DEL COLLO)
RIVESTE LO SPLENIO, GLI OBLIQUI, I MUSCOLI
EPISPINALI, TRASVERSO SPINOSI ECC (OVVERO TUTTI
QUEI MUSCOLI CHE CONSENTONO I MICROMOVIMENTI
DELLA COLONNA).
(LA FASCIA PROFONDA AD INDIRIZZO MUSCOLARE (O ANCHE
DETTA PREVERTEBRALE) ANTERIORMENTE SI ESTENDE FINO A T4
<<<IN QUANTO OLTRE T4 NON TROVIAMO ALTRI MUSCOLI
<COME AD ESEMPIO I RETTI ANTERIORI> CHE SVOLGONO LA
FUNZIONE DI MANTENERE ERETTA LA COLONNA>>> PER POI
CONTINUARE OLTRE T4 CON IL LEGAMENTO LONGITUDINALE
ANTERIORE, MENTRE POSTERIORMENTE CONTINUA A RIVESTE
TUTTI I PICCOLI MUSCOLI CHE CI PERMETTONO DI EFFETTUARE I
PICCOLI MOVIMENTI DELLA COLONNA (((COME I TRASVERSO
SPINOSI, INTERSPINOSI ECC)))
<QUINDI TUTTI I MUSCOLI PROFONDI DELLA REGIONE DEL
COLLO>);
QUINDI LA FASCIA PROFONDA AD INDIRIZZO MUSCOLARE (E QUINDI LA FASCIA
PREVERTEBRALE) RIVESTE TIPO UN MANICOTTO TUTTI I MUSCOLI PROSSIMI ALLA
COLONNA VERTEBRALE <E QUINDI TUTTI I MUSCOLI PROFONDI DELLA REGIONE
DEL COLLO>, E NELLO SPECIFICO ANTERIORMENTE IL MUSCOLO LUNGO DEL
COLLO ED I MUSCOLI RETTI ANTERIORI, FINO AL MARGINE ANTERIORE DEL
CORPO DI T4 (CHE SAREBBE FIN DOVE QUESTI MUSCOLI SI INSERISCONO E
QUINDI FINO ALLA LORO INSERZIONE SU T4) E DA T4 IN POI (SICCOME DA T4 IN
POI NON ABBIAMO ALTRI MUSCOLI LOCALIZZATI NELLA PARTE ANTERIORE DELLA
COLONNA) LA FASCIA PROFONDA AD INDIRIZZO MUSCOLARE CONTINUERÀ NEL
LEGAMENTO LONGITUDINALE ANTERIORE DELLE VERTEBRE.
- FASCIA PREVERTEBRALE AD INDIRIZZO VASCOLARE
LA FASCIA PREVERTEBRALE (((DOPO AVER RICOPERTO QUESTI MUSCOLI, NEL
PROSEGUIRE LA SUA DISCESA IN SENSO CAUDALE, <???A LIVELLO DI C3 - C4 - C5 -
C6 <DOVREBBE ESSERE A QUESTO LIVELLO ANCHE SE IL PROFESSORE LA NOMINA
SUCCESSIVAMENTE???>))) EMETTE DELLE ESPANSIONI (LE QUALI APPUNTO
SARANNO VASCOLO NERVOSE), OVVERO:

1) UN’ESPANSIONE ANDRA’ A RIVESTIRE LA LOGGIA


VASCOLARE DEL COLLO (LA QUALE SI TROVA ALL’INTERNO
DEL PASSAGGIO DELLO SCALENO E QUINDI PIÙ
PRECISAMENTE DOV’È APPREZZABILE IL BATTITO
CAROTIDEO), OVVERO ANDRA’ A CIRCONDARE LA CAROTIDE
COMUNE, LA VENA GIUGULARE, IL NERVO VAGO ED IL
NERVO FRENICO PER POI PROSEGUIRE IN SENSO CAUDALE
ANDANDO A RIVESTIRE I GROSSI VASI PRESENTI A LIVELLO
DEL PASSAGGIO TORACO CERVICALE, RIVESTENDO
APPUNTO LA LINEA INNOMINATA, E L’ARCO AORTICO.

(((quindi questa espansione ha una continuità con la struttura toracica per


quanto riguarda i grandi vasi)))

2) MENTRE (A LIVELLO DI C3 - C4 - C5 - C6) EMETTE


UN’ALTRA ESPANSIONE CHE ANDRA’ A RIVESTIREI I
MUSCOLI SCALENI (ANTERIORE E POSTERIORE E
QUANDO È PRESENTE ANCHE IL MEDIO) E TUTTO CIO’
CHE GLI STA ATTORNO, OVVERO ANDRA’ A RIVESTIRE
COME UN MANICOTTO IL PLESSO BRACHIALE ,
L’ARTERIA SUCCLAVIA <LA QUALE SI TROVA TRA LO
SCALENO ANTERIORE ED IL POSTERIORE> E LA VENA
SUCCLAVIA <LA QUALE SI TROVA ANTERIORMENTE
ALLO SCALENO ANTERIORE>. SUCCESSIVAMENTE
QUESTO MANICOTTO CONTINUA NELLO STRETTO
TORACICO PASSANDO POSTERIORMENTE ALLA
CLAVICOLA, POI SI IMMETTE NEL CAVO ASCELLARE
DIVENTANDO FASCIA PROFONDA DEL CAVO ASCELLARE,
LA QUALE RIVESTIRÀ LA CONTINUITÀ DEI VASI SOPRA
CITATI, I QUALI DIVENTERANNO ARTERIA ASCELLARE,
VENA ASCELLARE, RAMI FINALI DEL PLESSO BRACHIALE; INOLTRE
UNA PARTE DI QUESTA FASCIA PROFONDA CONTINUA NELLA
REGIONE INTERMEDIA DEL BRACCIO RIVESTENDO IL NERVO
MEDIANO, IL NERVO ULNARE, L’ARTERIA BRACHIALE, LA VENA
BASILICA; POI SI CONTINUERÀ NELL’AVAMBRACCIO RIVESTENDO
I RAMI FINALI DEL NERVO MEDIANO, I PASSAGGI DEL NERVO
ULNARE, IL PASSAGGIO PROFONDO DELL’ARTERIA BRACHIALE E
DELL’ARTERIA RADIALE, LE QUALI ARRIVANO E POI ENTRERANNO
NELLA FASCIA PROFONDA DELLA MANO RIVESTENDO I PASSAGGI
NEUROLOGICI E VASCOLARI DELLA MANO ED I MUSCOLI
PROFONDI LOMBRICALI.

(((quindi questa espansione parte dagli scaleni ed ha una


continuità con l’arto superiore)))
3) INOLTRE, UN’ALTRA ESPANSIONE VIENE DATA A LIVELLO DI
C7 LA QUALE APPUNTO CONTINUA NEI LEGAMENTI
SOSPENSORI DEL POLMONE (E QUINDI I LEGAMENTI
SOSPENSORI DEGLI APICI POLMONARI) DOVE CIRCONDERÀ I
LEGAMENTI COSTO PLEURICI, TRASVERSO PLEURICI, E
VERTEBRO PLEURICI, E SUCCESSIVAMENTE CONTINUA
ANDANDO A RIVESTIRE IL POLMONE (E QUINDI DIVENTANDO
LA COMPONENTE PARIETALE DELLA PLEURA)
(((quindi questa espansione ha una continuità con i polmoni, per quanto riguarda
gli apici polmonari)))

INOLTRE ESISTE UNA CONTINUITÀ TRA LA FASCIA PREVERTEBRALE E LA LOGGIA


VISCERALE (((SONO DELLE LAMINE CHE SI DIRIGONO IN MANIERA ORIZZONTALE E
SI CHIAMANO LAMINE DI CHARPY LE QUALI APPUNTO CONGIUNGONO LA LOGGIA
VASCOLARE ALLA LOGGIA VISCERALE DEL COLLO)))

INOLTRE TRA LA FASCIA PROFONDA AD INDIRIZZO VISCERALE (OVVERO QUELLA


CHE CIRCONDA L’ESOFAGO) E LA FASCIA PREVERTEBRALE, OVVERO ABBIAMO
UNO SPAZIO DI SCIVOLAMENTO TRA LA FASCIA PROFONDA AD INDIRIZZO
VISCERALE E LA FASCIA PROFONDA AD INDIRIZZO MUSCOLARE (E QUINDI LA
FASCIA PREVERTEBRALE) IL QUALE VIENE DEFINITO SPAZIO RETRO VISCERALE
DI HENKE (SE LA SEZIONE VIENE EFFETTUATA DAL DIETRO ALL’AVANTI) OPPURE
SPAZIO PRE VERTEBRALE (SE LA SEZIONE VIENE EFFETTUATA DA DAVANTI A
DIETRO).

(inoltre, la fascia profonda ad indirizzo muscolare <quindi la fascia prevertebrale>


, accolla i gangli ortosimpatici alle vertebre, ed ha rapporti con i forami della
colonna, dai quali fuoriescono le radici nervose)
QUINDI QUANDO SIAMO DI FRONTE AD UNA DISFUNZIONE DI UNA VERTEBRA
CERVICALE, (ADESSO POSSIAMO CAPIRE QUANTI PASSAGGI VI SIANO E QUANTI
FATTORI POSSANO INTERVENIRE), IN QUANTO POTREBBE ESSERE UNA
DISFUNZIONE MANDIBOLARE, UNA PROBLEMATICA CARDIACA, UN PROBLEMA
AL POLMONE, UN PROBLEMA ALLA SCAPOLA O ALLA ROTAZIONE DEL BRACCIO.
INFATTI PROPRIO A LIVELLO CERVICALE (PE QUANTO QUESTA SIA IMPORTANTE
DA MANIPOLARE, SARÀ IMPORTANTE CAPIRE COME MAI IL RACHIDE CERVICALE
CON UN’IPERLORDOSI MOBILE, VADA INCONTRO AD UNA DISFUNZIONE DI
MOBILITÀ).
(QUESTO AVVIENE PERCHÉ A LIVELLO DELLA LORDOSI SI INSERISCONO VASI,
MUSCOLI, ORGANI AL SUO DAVANTI)

Quindi in sintesi
La fascia prevertebrale (quindi la fascia profonda ad indirizzo muscolare) rivesti
i muscoli propri della colonna (anteriormente fino a t4 mentre posteriormente
tutti i piccoli muscoli che ci permettono di effettuare i piccoli movimenti della
colonna <quindi tutti i muscoli profondi della regione del collo>). la fascia
prevertebrale scendi in senso caudale diventando legamento longitudinale
anteriore (anteriormente) mentre posteriormente continua con i muscoli propri
della colonna. la fascia prevertebrale emette delle espansioni che andranno a
formare la loggia vascolare e la loggia viscerale. la loggia vascolare circonda la
carotide comune, la vena giugulare, il nervo vago ed il nervo frenico, mentre la
loggia viscerale è rappresentata dalla fascia profonda ad indirizzo viscerale dei
visceri del collo.
la fascia profonda ad indirizzo muscolare (a livello di c3 - c4 – c5 – c6) o anche
definita prevertebrale si divide emanando delle espansioni, una va a rivestire la
loggia vascolare del collo per poi arrivare fino alla linea innominata e all’arco
dell’aorta, mentre un’altra espansione circonda come un manicotto gli scaleni e
tutto ciò che sta vicino agli scaleni (come il plesso brachiale, la succlavia, vena e
arteria) per poi continuare nel cavo ascellare per creare una continuità con la
fascia del braccio e dell’avambraccio. mentre a livello di c7 vi è un’altra
espansione della fascia profonda, la quale continua nei legamenti sospensori del
polmone (degli apici polmonari) ovvero va a circondare i legamenti costo
pleurici, trasverso pleurici, e vertebro pleurici, e successivamente continua
andando a rivestire il polmone e quindi diventando la componente parietale
della pleura.
La lingua

sistema fasciale deglutitorio


iniziamo a studiare il sistema deglutitorio da
un punto di vista fasciale iniziando più da
lontano e quindi dalla lingua. Una parte dei
muscoli della lingua li abbiamo studiati sopra
(ovvero quei muscoli che costituiscono i
muscoli sovraioidei). Nel totale la lingua è
costituita da 17 muscoli.
Quindi adesso andremo a capire l’interesso
Osteopatico della lingua ed il suo trattamento.
La lingua è un meccanismo importante che noi
possediamo e che svolge diverse funzioni:
- una funzione di tipo deglutitivo (quindi serve ad ingerire il bolo alimentare).
- serve per la fonetica
- ed ha un importante ruolo propriocettivo

Quando svolge il ruolo di deglutizione assume determinate posizioni ed effettua


determinati movimenti al fine di non fare fuoriuscire il materiale dalla bocca.
Normalmente, nella deglutizione si va ad appoggiare la punta della lingua dietro la
papilla anteriore (((credo che intenda lo spot palatino))) e successivamente avendo
una forma di cucchiaio con una concavità posteriore, manda la deglutizione nella
parte della orofaringe e successivamente tramite la contrazione dell’esofago il cibo
viene spinto nello stomaco. QUESTA MODALITA’ DI EFFETTUARE LA DEGLUTIZIONE,
MATURA NEGLI ANNI, infatti quando si è neonati non abbiamo una deglutizione di
questo genere, ma abbiamo una deglutizione per suzione (la quale è
completamente diversa) <quindi noi quando nasciamo abbiamo un apparato
deglutitivo immaturo.
Gli interessi
Gli interessi che abbiamo noi è che questo tipo di deglutizione (la quale si chiama
deglutizione infantile), si sviluppa perché la suzione dal capezzolo non è una
deglutizione, ma avviene perché la lingua del bambino si appoggia ad una concavità
superiore, schiaccia il capezzolo sulla papilla superiore ed effettua un “effetto
vacuum, quindi di vuoto” (quindi spremendo il capezzolo ed effettuando un effetto
vacuum esce il latte). Il vantaggio di questa tipologia di suzione è che aiuta il vomere
a spingere contro i due palatini ed apre il palato duro (((quindi attraverso questa
spinta si apre il palato duro))), inoltre aiuta l’allineamento della tromba di Eustachio
(che nei bambini è piuttosto <<<orizzontale>>>, e quindi non fisiologica per
l’espulsione del muco) ed inoltre aprendo la struttura del palato molle, aiuta il
drenaggio della nasofaringe (quindi la parte interna delle cavità nasali). questo
meccanismo deglutitivo, nel momento in cui si smette di utilizzare il capezzolo e si
incomincia ad introdurre cibi diversi <all’età di circa 5-6 mesi> cambia (quindi ci
sarà una fase di transizione, ma successivamente il bambino impara ad adoperare
la deglutizione adulta). La deglutizione diviene matura (e quindi completa) in base
all’evoluzione del bambino attorno all’età di 5-6 anni (e quindi la deglutizione
matura non prevede più l’utilizzo del muscolo buccinatore, come sistema di
suzione, ma prevede un maggiore utilizzo da parte della laringe (((anche se credo
intendesse faringe))) per assorbire i cibi (quindi vi sarà una risalita della laringe
verso l’alto, una contrattura dell’esofago) per cui gli schemi motori della lingua
cambiano e man mano il bambino smette di utilizzare come deglutizione la suzione
ed utilizza la suzione adulta.
Può capitare che per svariate ragioni, questo processo di maturazione della
deglutizione non avvenga (o comunque che avvenga in parte, e quindi che non sia
del tutto completo/maturo) però ci sono tanti fattori che possono rendere
l’evoluzione della deglutizione non adulta (((e quindi che non consentono la
maturazione della deglutizione))) e quindi si avrà una deglutizione atipica (questa
tipologia di deglutizione è una via di mezzo tra una suzione e un’ingestione) e
questo ovviamente risulterà essere poco fisiologico perché noi ingeriamo cibi solidi
(i quali necessitano di un intervento maggiore da parte dei sistemi di deglutizioni),
ma allo stesso tempo abbiamo un sistema buccale che non permette questa
operatività, e quindi l’incongruenza di questi fattori genera dei compensi, ovvero
(siccome il paziente deve utilizzare in maniera importante la sua faringe laringe e
siccome non utilizza bene la lingua, il corpo per poter far fronte a questo utilizzerà
(ovviamente a seconda della immaturità della deglutizione) ancora i muscoli
masseteri ed i muscoli buccinatori per effettuare la deglutizione (e siccome il corpo
è estremamente pigro e va in risparmio energetico, un adulto con deglutizione
infantile, per poter effettuare la deglutizione di cibi solidi, dovrà anteporre il capo
<e siccome il corpo si stufa ogni volta anteporre il capo per accorciare lo spazio di
deglutizione ììì in quanto non funziona la lingua ììì, arrivato ad un certo punto
stabilizza il capo in anteriorità)

Le cause
Le cause che possono portare ad una deglutizione atipica (((infantile/immatura
dovrebbero essere sinonimi della deglutizione atipica))) per esempio:
- Una causa è l’uso eccessivo del ciuccio (quindi il bambino porta per troppo tempo
il ciuccio, ha uno spazio interincisivo accentuato e quindi continua ad appoggiare la
lingua come sul capezzolo, e quindi questo non permette una buona maturazione)
- un’altra causa potrebbe essere uno scarso periodi di allattamento al seno
materno (in quanto il ciuccio non riproduce il capezzolo materno, per quanto sia
simile, non è la stessa cosa del capezzolo)
- la maggior parte delle volte quando vi sono problemi legati alimentazione del
bambino, ovvero:
fondamentalmente è l’utilizzo del biberon, in quanto, quando la mamma non
produce abbastanza latte e quindi appena i pediatri vedono un abbassamento del
peso del bambino danno fanno dare subito ai genitori i biberon (oppure se la madre
non produce proprio latte, e quindi si deve dare il biberon al bambino), oppure
impossibilità da parte del bimbo, in quanto non presenta una buona mobilità della
lingua (il meccanismo che sta alla base del biberon è diverso rispetto al seno
materno, in quanto dal biberon il latte esce senza che il bambino debba fare lo
sforzo di premere con la lingua (quindi il latte fluisce in maniera libera senza lo
sforzo del bambino) e questo impedisce lo sviluppo.
Un'altra condizione che ne impedisce lo sviluppo è quando il bambino mette il dito
in bocca
Un’altra situazione potrebbe essere riniti ricorrenti da bambino, le quali
costringono il bambino a non poter respirare con il naso, ma a respirare
costantemente con la bocca (quindi questo comporterà una difficoltà a sviluppare
una buona deglutizione.
Un’altra situazione è il palato ogivale (quando i bambini nascono con il palato
ogivale)
QUINDI QUESTO CI FA CAPIRE L’IMPORTANZA DELL’OSTEOPATA SOPRATTUTTO NEI
PRIMI MESI DI VITA, NEL CORREGGERE LE DISFUNZIONI AFISIOLOGICHE (COME
STRAIN LATERALE E STRAIN VERTICALE, LA DISFUNZIONE DI TORSIONE E QUELLA DI
SIDE BANDING ROTATION)

Un paziente con una deglutizione atipica verrà da noi in studio per cervico
brachialgia, emicrania, disfunzioni all’ATM, sinusiti,
IN SINTESI…
ALLA NASCITA, IL NEONATO PRESENTA UN APPARATO DEGLUTITIVO IMMATURO,
INFATTI IL NEONATO NON PRESENTA UNA DEGLUTIZIONE, BENSI’ UNA SUZIONE.
PER EFFETTUARE LA SUZIONE, LA LINGUA DEL BAMBINO SI APPOGGIA AD UNA
CONCAVITÀ SUPERIORE, SCHIACCIA IL CAPEZZOLO SULLA PAPILLA SUPERIORE DEL
PALATO ED EFFETTUA UN “EFFETTO VACUUM, QUINDI DI VUOTO” FACENDO
FUORIUSCIRE IL LATTE. INOLTRE PER EFFETTUARE LA SUZIONE, IL NEONATO
UTILIZZA IL MUSCOLO BUCCINATORE. ALL’ETA’ DI 5-6 MESI, NEL MOMENTO IN CUI
IL BAMBINO INIZIA A MANGIARE ALTRI CIBI (E QUINDI NON SI ATTACCA PIU’ SOLO
AL CAPEZZOLO), IL BAMBINO INIZIERA’ A MATURARE LA DEGLUTIZIONE DA
ADULTO (QUINDI CI SARA’ UNA FASE DI TRANSITO IN CUI SI PASSERA’ DALLA
SUZIONE <UTILIZZATA DURANTE L’ALLATTAMENTO AL SENO> ALLA DEGLUTAZIONE
ADULTA <UTILIZZATA NEL MOMENTO IN CUI AL BAMBINO VENGONO DATI CIBI
DIVERSI “PIU’ SOLIDI”>. LA DEGLUTIZIONE MATURA DEL TUTTO (E QUINDI VIENE
DEFINITA DEGLUTIZIONE MATURA O ADULTA) ATTORNO ALL’ETA’ DI 5 – 6 ANNI.
PER CUI LA DEGLUTIZIONE MATURA NON PREVEDERA’ PIU’ L’UTILIZZO DEL
MUSCOLO BUCCINATORE (IL QUALE ERA UTILIZZATO NEL SISTEMA DELLA
SUZIONE), MA PREVEDE UN MAGGIORE UTILIZZO DELLA LARINGE (QUINDI VI SARÀ
UNA RISALITA DELLA LARINGE VERSO L’ALTO, ED UNA CONTRAZIONE
DELL’ESOFAGO). PER CUI GLI SCHEMI MOTORI DELLA LINGUA CAMBIANO E MAN
MANO IL BAMBINO SMETTERA’ DI UTILIZZARE COME DEGLUTIZIONE LA SUZIONE
ED INIZIERA’ AD UTILIZZARE LA DEGLUTIZIONE ADULTA.

PUÒ CAPITARE CHE, A CAUSA DI SVARIATE RAGIONI (E QUINDI A CAUSA DI VARIE


PROBLEMATICHE), CHE NON VI SIA UNA COMPLETA MATURAZIONE DELLA
DEGLUTIZIONE (QUINDI PUÒ NON ESSERE COMPLETAMENTE MATURA, OPPURE
PUÒ ESSERE MATURA SOLO IN PARTE) E CHE QUINDI NON CONSENTONO
L’EVOLUZIONE E QUINDI LA MATURAZIONE DELLA DEGLUTIZIONE (i motivi che non
consentono una completa maturazione della deglutizione sono: l’uso eccessivo del
ciuccio, scarso periodi di allattamento al seno materno, l’uso del biberon sia a
causa di problematiche riguardante la lingua del bambino che problematiche
riguardanti la poca produzione di latte da parte della mamma>, mette il dito in
bocca, riniti ricorrenti, palato ogivale. VEDI DOPO PER I DETTAGLI). SE NON VI È LA
MATURAZIONE DELLA DEGLUTIZIONE ALLORA SI AVRÀ UNA DEGLUTIZIONE
ATIPICA (LA QUALE APPUNTO È UNA VIA DI MEZZO TRA UNA SUZIONE E
UN’INGESTIONE) E QUESTO OVVIAMENTE RISULTERÀ ESSERE POCO FISIOLOGICO
PERCHÉ NOI INGERIAMO CIBI SOLIDI (I QUALI NECESSITANO DI UN INTERVENTO
MAGGIORE DA PARTE DEI SISTEMI DI DEGLUTIZIONE <<<COME FARINGE, E
LARINGE SUPPONGO>>>) MA ALLO STESSO TEMPO ABBIAMO UN SISTEMA
BUCCALE CHE NON PERMETTE QUESTA OPERATIVITÀ, E QUINDI L’INCONGRUENZA
DI QUESTI FATTORI GENERA DEI COMPENSI, OVVERO, SICCOME IL PAZIENTE NON
RIESCE AD UTILIZZARE BENE LA LINGUA, LA FARINGE E LA LARINGE, SUCCEDERE
CHE, A SECONDA DELL’IMMATURITÀ DELLA DEGLUTIZIONE (QUINDI IN BASE AL
GRADO DI IMMATURITA’ DELLA DEGLUTIZIONE), IL CORPO ANDRA’ AD UTILIZZARE
ANCORA I MUSCOLI MASSETERI E BUCCINATORI (I QUALI SONO I MUSCOLI
UTILIZZATI PER LA SUZIONE) PER EFFETTUARE LA DEGLUTIZIONE. PER CUI, UN
ADULTO CHE PRESENTA UNA DEGLUTIZIONE ATIPICA O INFANTILE PER POTER
EFFETTUARE LA DEGLUTIZIONE DI CIBI SOLIDI, DOVRà ANTEPORRE IL CAPO (SI
ANTEPONE IL CAPO PER ACCORCIARE LO SPAZIO DI DEGLUTIZIONE <<<CREDO
INTENDA LO SPAZIO CHE VI è DALLA BOCCA ALLA OROFARINGE>>>, IN QUANTO LA
LINGUA NON FUNZIONA BENE <<<E QUINDI SECONDO ME CHE NON VEICOLA BENE
IL CIBO VERSO LA ORORFARINGE>>>) E SICCOME IL CORPO FUNZIONA A
RISPARMIO ENERGETICO, IL PAZIENTE (((CON IL TEMPO))) NON PORTERà Più AD
OGNI DEGLUTIZIONE IL CAPPO IN ANTERIORITà, BENSì LO STABILIZZERà IN
ANTERIORITà (((QUINDI SECONDO ME INSTAURERà UN COMPENSO, OVVERO
UN’ANTEPULSIONE DEL CAPO))).

LE CAUSE NEL DETTAGLIO


Le cause che possono portare ad una deglutizione atipica (((infantile/immatura
dovrebbero essere sinonimi della deglutizione atipica))) per esempio:
- Una causa è l’uso eccessivo del ciuccio (quindi il bambino porta per troppo tempo
il ciuccio, ha uno spazio interincisivo accentuato e quindi continua ad appoggiare la
lingua come sul capezzolo, e quindi questo non permette una buona maturazione)
- un’altra causa potrebbe essere uno scarso periodi di allattamento al seno
materno (in quanto il ciuccio non riproduce il capezzolo materno, per quanto sia
simile, non è la stessa cosa del capezzolo)
- la maggior parte delle volte (((il bambino/adulto ha una deglutizione immatura
quando))) vi sono problemi legati alimentazione del bambino, ovvero:
fondamentalmente è l’utilizzo del biberon, in quanto, quando la mamma non
produce abbastanza latte e quindi appena i pediatri vedono un abbassamento del
peso del bambino fanno dare subito ai genitori i biberon (oppure se la madre non
produce proprio latte, e quindi si deve dare il biberon al bambino), oppure
impossibilità da parte del bimbo, in quanto non presenta una buona mobilità della
lingua (il meccanismo che sta alla base del biberon è diverso rispetto al seno
materno, in quanto dal biberon il latte esce senza che il bambino debba fare lo
sforzo di premere con la lingua (quindi il latte fluisce in maniera libera senza lo
sforzo del bambino) e questo impedisce lo sviluppo.

- Un'altra condizione che ne impedisce lo sviluppo è quando il bambino mette il


dito in bocca
- Un’altra situazione potrebbe essere riniti ricorrenti da bambino, le quali
costringono il bambino a non poter respirare con il naso, ma a respirare
costantemente con la bocca (quindi questo comporterà una difficoltà a sviluppare
una buona deglutizione).
- Un’altra situazione è il palato ogivale (quando i bambini nascono con il palato
ogivale)
Un’altra problematica che causa deglutizione atipica (sulla quale si può intervenire
solo con l’intervento chirurgico) è il frenulo corto.

QUINDI QUESTO CI FA CAPIRE L’IMPORTANZA DELL’OSTEOPATA SOPRATTUTTO NEI


PRIMI MESI DI VITA, NEL CORREGGERE LE DISFUNZIONI AFISIOLOGICHE (COME
STRAIN LATERALE E STRAIN VERTICALE, LA DISFUNZIONE DI TORSIONE E QUELLA DI
SIDE BANDING ROTATION)
I segni clinici che presentano i pazienti che hanno una deglutizione
atipica/immatura sono:
- Antepulsione del capo
- Spazio tra gli incisivi superiori ed inferiori = è uno spazio che si viene
a formare tra gli incisivi inferiori e quelli superiori (questo spazio si
forma perché la lingua va a poggiarsi e quindi a spingere su questi
quattro denti <ovvero tra gli incisivi superiori ed inferiori> (((ho trovato
quest’immagine su internet e credo rappresenti quello che diceva il
Professore)))
- Mandibola sviluppata in senso latero laterale = un altro segno clinico è appunto
una mandibola che si sviluppa in senso latero laterale, in quanto avrà sempre
bisogno dei muscoli buccinatori e dei muscoli masseteri <e quindi avrà una
masticazione piuttosto importante>. In questo caso si può vedere sia visivamente
che andando a palpare se vi è un’ipertrofia del muscolo massetere e buccinatore.
- la “S” sibilante

PER CUI UN PAZIENTE CHE PRESENTA UNA deglutizione atipica verrà da noi in
studio per cervico brachialgia, emicrania, disfunzioni all’ATM, sinusiti.

Per cui se si presenta in studio un paziente con una cervico brachialgia, e


durante l’esame obiettivo andiamo a riscontrare i segni clinici sopra elencati,
possiamo fare un paio di test per andare a valutare se vi sia una deglutizione
atipica. (ovviamente in questi casi, conviene collaborare con un logopedista,
il quale aiuterà il paziente a recuperare la propriocettività e il buon utilizzo
della lingua)

Ovviamente correggere un problema di deglutizione in un bambino è


relativamente più semplice rispetto al correggerlo nell’adulto. Il problema della
deglutizione non regredisce da solo, bensì bisognerà andare a correggerlo.
TEST PER VALUTARE SE VI E’ IL FRENULO CORTO

Per valutare se vi è il frenulo corto, chiediamo al paziente di mettere due


dita (in senso verticale) dentro la bocca e di toccare con la lingua il palato
duro. Se il paziente non riesce a toccare il palato duro, allora il paziente ha
il frenulo corto. (per essere in fisiologia, il paziente deve effettuare il test
con tre dita in bocca)

Inizialmente andiamo a far effettuare una


deglutizione al paziente mentre noi lo osserviamo di
profilo per vedere se effettua l’antepulsione del capo
e se appunto durante la deglutizione vi è la
contrazione dei muscoli massetere e buccinatore (se
il paziente attua la deglutizione utilizzando questi
muscoli, allora durante l’atto deglutitorio vedremo
che il paziente è come se durante la deglutizione
mandasse un bacino). Mentre il soggetto sano, non
utilizzerà questi muscoli, bensì solo la faringe e la
laringe.
Successivamente effettuiamo il test, ovvero
mettiamo il paziente seduto con la schiena dritta e
successivamente poniamo il capo del
nostro paziente in retropulsione <<<anche se il Professore ha detto in
retroversione>>> (((ed il collo neutro o leggermente flesso))) in quanto,
portando il capo in retropulsione, andiamo a mettere sotto stress il
sistema deglutitorio, e successivamente andiamo a prendere con le
nostre dita il labbro inferiore del nostro paziente e gli chiediamo una
deglutizione. In fisiologia, durante la deglutizione “matura”, si deve
utilizzare solo la faringe e la laringe, mentre se vi è una deglutizione
atipica il paziente utilizzerà i muscoli buccinatore e massetere. Per cui se
durante la deglutizione il paziente tende ad anteporre il capo o tende a
richiamare il labbro in posteriorità, allora vorrà dire che il paziente
presenta una deglutizione atipica.

In questi pazienti (alla palpazione) troviamo una laringe molto fissata (quindi
dura) ed un apparato stomatogantico in difficoltà.
Lavori propriocettivi da far effettuare al paziente a casa (e quindi esercizi da far
effettuare al paziente a casa nel caso abbia una deglutizione atipica).

1) Quello che noi abbiamo fatto effettuare come test, il paziente lo dovrebbe
riproporre a casa come allenamento, ovvero: il paziente si deve porre davanti allo
specchio (in maniera tale da poter vedere che non richiama il labbro <<<in
posteriorità>>> e che non manda il capo in anteriorità) deve effettuare una
retroversione del capo (((e quindi secodo me una retropulsione del capo))) e deve
andare a pinzarsi una piccola porzione di labbro e successivamente deve deglutire
(quindi deve concentrarsi nel deglutire).
Quindi… il paziente deve effettuare una retropulsione/retroversione del capo e
successivamente deve pinzarsi il labbro inferiore e davanti allo specchio e deve
deglutire stando attendo a non portare durante la deglutizione il capo in anteriorità
e a non richiamare il labbro (quindi mandarlo in posteriorità)

2) Con il capo in neutralità, diciamo al paziente di mettere la lingua (proprio un


pezzettino di lingua) tra incisivi superiori ed inferiori e effettuare delle deglutizioni.
Man mano che il paziente riesce sempre meglio a deglutire (quindi nel tempo)
diciamo al paziente di effettuare una piccola retropulsione del capo e sempre
mantenendo la lingua tra gli incisivi superiori ed inferiori, effettuare delle
deglutizioni e man mano che il paziente riesce a deglutire sempre meglio, si va ad
aumentare la retropulsione/retroversione del capo fin a quando il paziente non
riuscirà con la massima retroversione del capo (quindi appoggiando testa e schiene
perfettamente al muro) ed effettuando sempre delle deglutizioni.
Quindi… Chiediamo al paziente di poggiare le spalle e la testa al muro (entrambi
perfettamente appoggiati) e di (((posizionarsi possibilmente))) davanti ad uno
specchio. Per cui inizialmente il paziente manterrà il capo neutro ed andrà a porre
tra incisivi superiori ed inferiori (inizialmente) un piccolo pezzotto di lingua ed
effettua una deglutizione (questo viene effettuato ovviamente più volte al giorno
<<<fin quando al paziente non risulterà “semplice” effettuare la deglutizione, e
quindi effettuarla senza l’utilizzo della lingua>>>. Successivamente (((quindi
quando il paziente riesce a deglutire tranquillamente con la lingua bloccata tra gli
incisivi))) si andrà ad aumentare la quantità di lingua che viene pinzata (((quindi si
andrà a pinzare una quantità maggiore di lingua e non solo un piccolo pezzettino)))
ed ovviamente a questo andremo a modificare anche la posizione del capo,
aumentando progressivamente anche la retroversione/retropulsione del capo.
Quindi il paziente dovrà arrivare a mettere il capo totalmente in retropulsione ed
una (((quantità sempre maggiore))) di lingua tra gli incisivi.
(((credo che questo sistema serva ad utilizzare sempre di meno la lingua durante la
deglutizione e simultaneamente andare ad attivare sempre maggiormente <e
quindi utilizzare> la faringe e laringe)))

GLI ESERCIZI SEGUENTI ME LI HA INSEGNATI LO GNATOLOGO


3) Il paziente deve contare con la lingua i denti dell’arcata superiore ed inferiore,
ovvero: il paziente si pone davanti allo specchio e con la bocca aperta passa la
lingua sulla parte esterna del dente (andando a contare i denti), contando prima
un’arcata e poi l’altra. (da ripetere la mattina e la sera rifacendo il giro dei denti 2/3
volte)

4) Uscire la lingua al massimo e dirigerla verso il basso e a destra (per 10/15


secondi) e quindi inclinata verso il basso ed a destra e successivamente verso il
basso ed a sinistra (sempre per 10/15 secondi). (da ripetere sempre la mattina e la
sera)

5) Posizionare la lingua sullo spot linguale ed andare ad effettuare degli “sciocchi”


(effettuare 10/15 schiocchi la mattina e la sera).

PER EFFETTUARE UN BUON LAVORO SU UN PAZIENTE CHE PRESENTA UNA


DEGLUTIZIONE ATIPICA (((OLTRE CHE OVVIAMENTE REINFORMARE LA LINGUA
ATTRAVERSO LE TECNICHE, GLI ESERCIZI CHE IL PAZIENTE DOVRA’ EFFETTUARE A
CASA, ED IL LAVORO SVOLTO IN COLLABORAZIONE CON LA LOGOPEDISTA)))
POSSIAMO ANDARE QUINDI LIBERAZIONE DELLA MOBILITA’ DELLA LARINGE, DELLA
STRUTTURA TORACICA, SULL’ATM)))
Tecniche sulla lingua

I lavori che possiamo effettuare sulla lingua sono dei lavori di stretching della
lingua.
Andiamo a prendere una garza (meglio
utilizzare una garza e non un pezzetto di
carta, in quanto la carta resta attaccata
alla lingua) e chiediamo alla paziente di
tirare fuori un pezzettino di lingua ed
andiamo a prenderlo con la garza (((e
chiediamo al paziente di rilassarsi e di non
ritirare la lingua verso dietro))). Per prima
cosa andiamo a testare la estroflessione
della lingua effettuando una trazione verso l’avanti <verso il tetto> (e quindi una
trazione in senso postero anteriore) ed andiamo a valutare se vi sia un lato più duro
rispetto all’altro (((ovvero un lato maggiormente “retratto” cioè che oppone
resistenza alla trazione rispetto al controlaterale))).

successivamente andiamo a ruotare


la lingua prima in un lato ed
effettuiamo una trazione, e
successivamente facciamo lo stesso
dall’altro lato, ad esempio: ruotiamo
la lingua a sinistra ed effettuiamo
una trazione (mantenendo la
rotazione) e valutiamo la sua
resistenza (oltre che capacità di
ruotare a sinistra); successivamente
andiamo a d effettuare lo stesso dal
lato destro
(((Nel caso di Silvia, vi era una resistenza nella in generale della lingua durante la
trazione postero anteriore, ma soprattutto della parte destra della lingua, mentre
nella valutazione della rotazione, la lingua ruotava maggiormente a destra e vi era
una resistenza durante la trazione (mentre si manteneva la lingua ruotata a destra).
Per cui in questo caso portiamo la lingua in rotazione destra ed effettuiamo la
trazione e manteniamo la posizione, inoltre andiamo a chiedere al paziente di
effettuare una retropulsione/retroversione del capo (vedi dopo il perché si fa
effettuare una retropulsione del capo), in questa maniera stiamo strecciando (e
quindi andremo ad allungare) i muscoli sovra ioidei, ma soprattutto i muscoli della
radice della lingua)))

Quindi oltre ad insegnare gli esercizi propriocettivi (quelli descritti


precedentemente al paziente) noi attraverso l’esecuzione di questa tecnica,
andiamo ad agire da un punto di vista biomeccanico smuovendo (((e quindi
liberando secondo me))) le tensioni che riflettono posteriormente (((e quindi a
livello della parte posteriore della lingua e quindi a livello della radice della lingua)))
a livello laringeo.

Si effettua una retroversione del capo (e quindi una retropulsione del capo, la
quale appunto comporta un annullamento della lordosi lombare, e questo si
attua perché) perché in questa maniera si va a strecciare la componente laringea
(quindi effettuando la retropulsione del capo, la tiriamo posteriormente e verso
il basso, mentre con la trazione che effettuiamo proprio sulla lingua, la tiriamo
anteriormente).

Si può effettuare anche sui bambini, ma normalmente si effettua sui bambini


sopra ai 10 anni di età perché sono poco collaborativi.
OSSO IOIDE

PRIMA DI EFFETTUARE IL TEST SULL’OSSO IOIDE EFFETTUIAMO L’OSSERVAZIONE


DEL COLLO.
Durante l’osservazione del collo, possiamo individuare diversi reperi anatomici
come:
1) I tendini inserzionali dello SCOM (per
osservare il muscolo scom, quando il
paziente è posizionato in posizione
supina, andiamo a chiedere al paziente
di sollevare la testa dal lettino, ed in
questa maniera sarà evidente il muscolo
scom). Questi sono i due capi dello
SCOM

2) la struttura sotto mandibola (ovvero branca orizzontale e branca verticale della


mandibola<sede di inserzione della fascia superficiale, la quale segue i muscoli
sovraioidei per andare ad inserirsi sul margine superiore dell’osso ioide>)

3) osso ioide

4) cartilagine tiroidea (cartilagine navicolare) la quale si trova subito sotto l’osso


ioide (nelle donne questa è poco sviluppata, per cui la cartilagine tiroidea, poi
seguirà il profilo della trachea).

5) cartilagine cricoidea

6) lo stretto toracico superiore (il quale è composto dal bordo posteriore della
clavicola (la quale è punto di inserzione della fascia media), il margine anteriore del
trapezio, medialmente dal rachide cervicale.
7) loggia viscerale e loggia vascolare del collo
INDIVIDUAZIONE DELL’OSSO IOIDE
Partendo dalla trachea effettuiamo la nostra
palpazione in senso craniale, ed andremo ad
individuare la cartilagine cricoidea, la cartilagine
tiroidea con la sua struttura navicolare ed
arrivato a questo punto, saliamo di un livello
(((e quindi subito sopra la cartilagine
tiroidea))) e subito sopra questo troviamo un
interspazio che si trova tra cartilagine tiroidea
ed osso ioide, e quindi poco sopra la
cartilagine tiroidea siamo a livello dell’osso
ioide.
L’osso ioide ha una forma a “C” come un se
fosse un ferro di cavallo con la sua concavità
posteriore.

TEST
Posizionamento delle mani
Per cui, una volta individuato l’osso
ioide, andiamo ad agganciarlo
(dobbiamo stare attenti a non stringere
troppo l’osso ioide del nostro paziente,
altrimenti possiamo scatenargli dei
riflessi muscolari, inoltre d obbiamo
cercare di fare attenzione a non essere
poggiati su strutture linfo-ghiandolari)
e successivamente andiamo a porre
l’altra mano sull’osso frontale (andando a bloccarlo). Per cui avremo una mano che
agganciare il margine superiore dell’osso ioide mentre l’altra mano blocca il
frontale. Da questa posizione andremo a valutare la traslazione superiore,
traslazione inferiore e traslazione latero dell’osso ioide (per cui andremo ad
indagare la porzione sovraioidea, sottoioidea e le lamine di Charpy)
Esecuzione del test

Traslazione inferiore = Per cui con la mano


posta a livello del frontale andiamo a fare punto
fisso, mentre con la mano che aggancia il
margine superiore dell’osso ioide andremo ad
effettuare una trazione verso il basso andando
a valutare qualitativamente se l’osso ioide si fa trazionare verso il basso (e quindi
in senso caudale) (quindi andremo ad effettuare un test qualitativo per valutare
qualitativamente se l’osso ioide si fa trazionare in senso caudale)

Traslazione superiore = Successivamente


(((dopo aver riposizionato l’osso ioide nel suo
punto neutro))) andiamo a porci sul margine
inferiore dell’osso ioide per poi andare a
trazionarlo vero l’alto (quindi in senso craniale)
ed andare anche in questo caso a valutare
qualitativamente se l’osso ioide si lascia
trazionare in senso craniale

Traslazione latero-laterale = le mani restano


sempre una sul frontale ed una sull’osso ioide ed
andiamo ad effettuare delle traslazioni latero
laterali.

(quindi andiamo a dividere in quattro quadranti la parte di collo in cui vi è l’osso


ioide, ovvero una parte sovraioidea, una sottoioidea, un emilato destro ed un
emilato sinistro)

Ovviamente essendo dei test qualitativi, non dobbiamo aspettarci che vi sia una grande
quantità di movimento (((secondo me in questo caso il test qualitativo indaga la qualità di
movimento, quindi bisogna valutare la qualità del movimento dell’osso ioide durante la
trazione verso il basso e verso l’alto <e quindi come si fa trazionare, ovvero se è limpido e
fluido il trazionamento [quindi se si fa trazionare tranquillamente] , oppure se si avverte subito
una resistenza al trazionamento [come una resistenza immediata al trazionamento]>)))
Le disfunzioni che possiamo individuare sono:
1) CASO. Se l’osso ioide se effettuiamo una trazione verso il basso e l’osso ioide,
qualitativamente viene poco verso il basso, mentre durante la trazione verso l’alto
sale bene ed inoltre trasla bene in senso latero laterale, allora la responsabilità è
dei muscoli sovra ioidei, i quali trattengono l’osso ioide, non facendolo scendere
(quindi prevalentemente è una problematica della fascia superficiale)
2) CASO. Se l’osso ioide si fa trazionare in senso caudale, ma fa fatica a risalire,
inoltre trasla bene in senso latero laterale, allora la responsabilità è dei muscoli
sottoioidei e quindi della fascia media
3) CASO. Se l’osso ioide fa fatica a scendere e fa fatica a traslare a destra, allora
vorrà dire che la responsabilità è dei muscoli sovra ioidei, ma prevalentemente ci
sarà anche una responsabilità del lato sinistro (quindi saranno implicate le lamine
di Charpy e la parte prevalentemente sinistra, quindi sottomandibolare di sinistra,
ATM di sinistra <e quindi tutta questa sfera>)
4) CASO. Se l’osso ioide scende, ma non sale (quindi l’osso ioide si fa traslare in
senso caudale, fa fatica a risalire) ed inoltre fa fatica a traslare a destra, vorrà dire
che c’è una responsabilità della muscolatura sottoioidea, ma prevalentemente del
lato sinistro (quindi andremo a cercare nello stretto toracico superiore di sinistra e
le lamine di scharpy>. (((quindi secondo me vul dire che dobbiamo ricercare la
problematica principale a livello del lato sinistro del collo, subito al di sotto dell’osso
ioide, come ad esempio lostretto toracico superiore, ed inoltre si andranno a
valutare le lamine di charpy di sinistra)))
5) CASO. Se l’osso ioide scende e sale bene, ma fa fatica solamente a traslare a
destra, allora vorrà dire che vi è una disfunzione delle lamine di Charpy e quindi
dell’accollamento tra la componente di loggia vascolare rispetto a quella viscerale,
senza aver implicato una disfunzione dei muscoli sovraioidei e sottoioidei.
(((quindi le lamine di Charpy sono delle lamine orizzontali che accollano la loggia
vascolare con la loggia viscerale. In questo caso quindi vi sarà una disfunzione delle
lamine di Charpy senza senza aver interessato <e quindi mandato in disfunzione> i
muscoli sovraioidei ed i muscoli sottoioidei)))
Tecniche di correzione

Tecniche sui muscoli sovraioidei


Tecniche da utilizzare quando, al test l’osso ioide sale ma non scende

Se al test abbiamo riscontrato che l’osso ioide si fa traslare verso l’alto, ma fa fatica
a scendere (quindi l’osso ioide sale ma non scende), allora vorrà dire che dobbiamo
andare a trattare tutta la componente muscolare sovraioidea (principalmente
andremo a lavorare sul muscolo milo ioideo ed sul muscolo genioideo i quali
appunto sono i muscoli più facilmente reperibili) e successivamente tratteremo
tutta la componente mandibolare (la quale appunto è sede di inserzione di questa
fascia <<<e che quindi i muscoli sovraioidei si vanno ad inserire sulla mandibola,
per questo la tratteremo, credo intenda questo.>>> (((e quindi lavoreremo sulla
fascia superficiale))).

- Tecnica di Ponsage. Per cui andiamo a porci a


livello della zona sottomandibolare ed
effettuiamo la palpazione andandno ad
individuare la zona di maggior/massima densità,
ed una volta individuata andiamo ad effettuare
un ponsage.

- Tecnica di siderazione. Se invece troviamo una


densità a livello dell’area inserzionale (quindi
nella zona di inserzione a livello della mandibola)
allora possiamo effettuare delle siderazioni (((le
siderazioni vengono effettuate perpendicolari al
ventre, quindi verso l’esterno))) fin quando la
parte muscolare si rilascia.
- Lesione intraossea a livello della mandibola. Quindi andiamo a palpare la
mandibola (e quindi la parte ossea) e se troviamo un’area maggiormente densa a
livello osseo (quindi l’osso è più duro) vuol die che vi è una lesione intraossea.
Quindi andiamo a palpare e nel caso in cui dovessimo riscontrare una lesione ossea
(ovvero l’osso può essere maggiormente duro) ci andiamo a lavorare (vedi dopo).
La lesione intraossea può avvenire per diverse ragioni, come per esempio dei
problemi legati alle compressioni masticatorie, ci possono essere problemi di
otturazioni, di capsule, problemi di occlusione, oppure problemi derivanti dalla
muscolatura, oppure di patologie odontoiatriche risolte ma che magari hanno
lasciato degli stralci legati alla mandibola per cui l’osso si riorganizza, oppure ancora
magari il suo assetto masticatorio trova su quell’asse (ad esempio a livello del
canino) trova una maggiore compressione.
Quindi nel momento in cui troviamo una
lesione intraossea (((poniamo le dita a ridosso
della lesione intraossea e))) mettiamo in
compressione l’osso ed effettuiamo dei
movimenti lemniscali per cercare di renderlo
più plastico.

(((quindi se troviamo una lesione intraossea, effettuiamo una compressione dell’osso <nella
parte in cui abbiamo riscontrato la lesione intraossea> ed effettuiamo dei movimenti
lemniscali, e quindi uno srotolamento fasciale, in maniera tale da cercare di rendere più
plastica <e quindi più morbida questo punto>)))

- Tecnica da utilizzare se vi è una densità


bilaterale (e quindi globale sui muscoli
sovraioidei). Se invece riscontriamo tutta
l’area (((densa))) (((quindi in maniera
bilaterale, e quindi globalmente i muscoli
sovraioidei densi))) allora possiamo
agganciare e trazionare in senso craniale
((( ed aspettiamo che questi si rilascino))).

(((inoltre il Professore nell’eseguire questa tecnica, <quasi alla fine della tecnica> e quindi
mantenendo la trazione, ha effettuato dei movimenti con il capo, credo per ricercare la
posizione in cui fossero maggiormente densi/tesi, in maniera tale da allungarli))).
- Tecnica di allungamento globale della fascia superficiale.
Per effettuare l’allungamento della
fascia superficiale (((la quale appunto
riveste i muscoli sovraioidei)))
dobbiamo porre una mano che andrà
ad agganciare la “V mentoniera”,
mentre l’altra viene posizionata sul
margine superiore dell’osso ioide. Per
cui con la mano posta a livello della V
mentoniera, andiamo ad effet tuare
una trazione in senso craniale (quindi
una trazione verso l’alto).

Normalmente le problematiche che derivano dal cranio, dalla mandibola e dalle prime
vertebre cervicali scaricano le loro forze a livello dei muscoli sovraioidei (((e quindi io
credo che il Professore intenda che sono le strutture anatomiche precedentemente
citate, possano scaricare le tensioni <e quindi creare dei problemi> ai muscoli
sovraioidei. Quindi le forze proveninti da cranio, mandibola e prime vertebre cervicale,
si vanno a scaricare a livello dei muscoli sovraioidei))). (((da capire per bene questo
concetto che non è molto chiaro))).

CONTROINDICAZIONI AL TRATTAMENTO DEI MUSCOLI SOVRAIOIDEI


Non effettueremo il trattamento dei muscoli sovraioidei se il paziente presenta:

- Linfonodi ingrossati (tipo se il paziente ha le un’infezione alle parotidi ed ha i linfonodi


ingrossati, conviene evitare di effettuare queste tecniche)
- Scialolitiasi (è una problematica molto comune. Quando si trovano dei micronoduli
molto duri e densi, sono delle calcolosi delle vie salivari. Ed in qeusto caso non effettuiamo
la tecnica
- Esofagiti
- Varici esofagee
- Diverticoli
- Importanti patologie tiroidee
Tecniche da utilizzare quando, al test l’osso ioide sale ma non scende, e trasla solo da un
lato
Se al test abbiamo riscontrato che l’osso ioide si fa traslare verso l’alto, ma fa fatica
a scendere (quindi l’osso ioide sale ma non scende), inoltre nell’effettuare le
traslazioni latero laterali l’osso ioide trasla solo da un lato mentre dall’altro no
(quindi ad esempio trasla a sinistra ma non a destra) allora vorrà dire che dobbiamo
andare a trattare la componente muscolare sovraioidea (con le tecniche che
abbiamo precedentemente visto) ed inoltre dobbiamo andare a trattare il muscolo
digastrico di sinistra, il quale sta mantenendo l’osso ioide traslato a sinistra
(((quindi credo che questo sia contratto, per cui fa traslare a sinistra l’osso ioide))).
(il muscolo stiloioideo ci interessa relativamente<quindi ci interessa poco>, in
quanto il muscolo stiloioideo solleva solamente l’osso ioide)

Quindi l’osso ioide si fa trazionare verso l’alto ma non in basso,


inoltre si fa traslare a sinistra ma non a destra, per cui in questo
caso andremo a trattare i muscoli sovraioidei (con le tecniche
precedentemente citate) ed il muscolo digastrico di sinistra (il
quale mantiene l’osso ioide traslato a sinistra). Quindi dobbiamo
trattare i muscoli sovraioidei ed il muscolo digastrico di sinistra.

Per cui, dopo aver effettuato la tecnica sui muscoli sovraioidei, andiamo ad effettuare la tecnica sul muscolo digastrico
Per cui per allungare il muscolo digastrico di
sinistra, dobbiamo far effettuare al capo del
nostro paziente una inclinazione
controlaterale rispetto al lato in cui il muscolo
digastrico è contratto (e quindi rispetto al lato
in cui l’osso ioide si lascia traslare
lateralmente) quindi una inclinazione a destra
ed una rotazione omolaterale rispetto al lato
in cui il muscolo digastrico è contratto (quindi
una rotazione a sinistra) inoltre, per aumentare l’allungamento daremo anche un
piccolo parametro di estensione del capo. Per cui il capo del nostro paziente sarà
inclinato a destra e ruotato a sinistra.
(((SI EFFETTUA UNA INCLINAZIONE CONTROLATERALE ED UNA ROTAZIONE
OMOLATERALE PER PORTARE AL MASSIMO ALLUNGAMENTO IL MUSCOLO
DIGASTRICO)))
Esecuzione della tecnica (tecnica diretta – contro barriera)
Per cui per eseguire la tecnica, andiamo con una mano ad agganciare parte
inferiore della branca orizzontale della mandibola (a livello della quale abbiamo
l’area di inserzione del digastrico), mentre con l’altra mano andiamo ad agganciare
l’osso ioide.
Per cui una volta agganciata la parte inferiore della mandibola, effettuiamo
l’inclinazione a destra (quindi controlaterale rispetto al muscolo digastrico da
trattare), la rotazione a sinistra (quindi omolaterale rispetto al muscolo digastrico
da trattare) ed una piccola estensione (in maniera tale da aprire maggiormente
anche i muscoli sovraioidei) facendo poggiare il capo del nostro paziente sul nostro
avambraccio, mentre con l’altra mano facciamo traslare l’osso ioide verso destra e
leggermente verso il basso (quindi orientativamente in direzione della spalla del
paziente) <<<mentre la mano sulla mandibola
traziona verso sinistra e l’alto>>>.

(((attraverso questa tecnica tendiamo


<lentamente> ad aprire lo spazio che vi è tra
l’osso ioide e la mandibola, per cui con una mano
faremo effettuare una traslazione verso destra
all’osso ioide, mentre con l’altra mano posta a
livello della mandibola, andremo ad effettuare
una trazione<<<verso l’alto e verso sinistra>>>)))

(Questa tecnica favorisce anche quelle situazioni


in cui vi sono delle problematiche sull’ATM,
ovvero: il muscolo massetere e temporale durante la masticazione
attuano/effettuano la chiusura della bocca, mentre i muscoli digastrici aprono la
bocca durante la masticazione, per cui, se c’è uno spasmo del muscolo digastrico,
questo tenderà a non far chiudere completamente la bocca durante l’atto
masticatorio, e quindi tenderà a mantenere leggermente la bocca aperta e
traslata.)
Tecniche sui muscoli sottoioidei
Tecniche da utilizzare quando, al test l’osso ioide scende ma non sale

Se al test abbiamo riscontrato che l’osso ioide si fa traslare verso il basso, ma fa


fatica a salire (quindi l’osso ioide scende ma non sale), allora vorrà dire che
dobbiamo andare a trattare tutta la componente muscolare sottoioidea (e quindi
la fascia media)

Vista frontale

Quindi con una mano andiamo a fissare il margine


inferiore dell’osso ioide, mentre con l’altra mano
andiamo a poggiare il tallone della mano a livello della
forchetta sternale. ((( quindi per allungare la
muscolatura sottoioidea, dovremmo effettuare una
spinta a livello della forchetta sternale))). Quindi
andiamo ad allungare la componente dei muscoli
sottoioidei (come lo sterno tiroideo, sterno ioidei, tiro
ioideo). Quindi lavoriamo sulla fascia media ad indirizzo
muscolare.
Vista laterale

Normalmente le problematiche che derivano dal torace, e dalla parte intratoracica,


scaricano le tensioni a livello dei muscoli sotto ioidei.
Quindi le tensioni provenienti dal torace, dalla parte intratoracica (((credo che
intenda i visceri intratoracici))) vanno a scaricarsi e quindi a manifestarsi tramite i
muscoli sottoioidei (((e quindi vanno a creare problemi ai muscoli sottoioidei))).
Tecniche da utilizzare quando, al test l’osso ioide scende ma non sale, e trasla solo da un
lato

Se al test abbiamo riscontrato che l’osso ioide si fa traslare verso il basso, ma fa


fatica a salire (quindi l’osso ioide scende ma non sale), inoltre nell’effettuare le
traslazioni latero laterali l’osso ioide trasla solo da un lato mentre dall’altro no
(quindi ad esempio trasla a destra ma non a sinistra) allora vorrà dire che oltre ad
andare a trattare la componente muscolare sottoioidea (con la tecnica che
abbiamo precedentemente visto) dobbiamo trattare anche il muscolo omoioideo,
il quale sta mantenendo l’osso ioide traslato a destra (((quindi credo che questo sia
contratto, per cui fa traslare a destra l’osso ioide))).

il muscolo omoioideo si
inserisce sulla porzione
supero interna della
scapola ed arriva sul
margine posteriore
dell’osso ioide

Quindi l’osso ioide si fa trazionare verso il basso ma non verso l’alto, inoltre si fa
traslare a destra, ma non a sinistra, per cui in questo caso andremo a trattare i
muscoli sottoioidei (con la tecnica precedentemente citata) ed il muscolo
omoioideo di destra (il quale mantiene l’osso ioide traslato a destra) <quindi l’osso
ioide sarà basso e traslato a destra>. Quindi dobbiamo trattare i muscoli sottoioidei
ed il muscolo omoioideo di destra.

Il paziente potrebbe avere anche dolore alla spalla destra, o semplicemente un


fastidio nella deglutizione
Per cui per trattare il muscolo omoioideo di destra (((e quindi per allungare il
muscolo omoioideo di destra))), dobbiamo far effettuare al capo del nostro
paziente una rotazione controlaterale rispetto al lato in cui il muscolo omoioideo è
contratto (e quindi rispetto al lato in cui l’osso ioide si lascia traslare lateralmente)
quindi una rotazione a sinistra, ed andiamo a posare il capo della nostra paziente
sul nostro avambraccio, mentre la mano (dello stesso arto superiore) va a bloccare
la scapola (a spingere la scapola verso il basso, quindi impediamo alla scapola di
risalire), in questa maniera abbiamo messo in tensione il muscolo omoioideo,
mentre con l’altra mano andiamo ad agganciare l’osso ioide, inoltre per aumentare
l’allungamento daremo anche un piccolo parametro di flessione. Per cui il capo del
nostro paziente sarà ruotato a sinistra, leggermente flesso e posto sul nostro
avambraccio, mentre la mano va a bloccare la scapola.

Esecuzione della tecnica


Per cui per eseguire la tecnica, andiamo a ruotare a
sinistra del nostro paziente (((e lo poggiamo sul
nostro avambraccio))) ed a dare una leggera
flessione, e con la mano andiamo a bloccare la
risalita della scapola. Per cui mentre con una mano
andiamo ad agganciare l’osso ioide e lo facciamo
traslare a sinistra e leggermente verso l’alto (anche
se non è molto semplice, per cui conviene effettuare
solo la traslazione laterale), con l’altra mano (la quale
è posta a livello della scapola) effettuiamo una
piccola spinte verso il basso (e quindi in senso
caudale) in maniera tale che non consentiamo alla
scapola di salire in senso craniale.
Tecniche sulle lamine di Charpy

Tecniche da utilizzare quando, al test l’osso ioide sale e scende bene, ma trasla solo da un
lato
Tecniche sulle lamine di Charpy
Le lamine di Charpy, si trovano medialmente rispetto al passaggio dello SCOM (per
cui andremo ad individuare la pulsatilità della carotide comune <la quale ci darà la
percezione della localizzazione della loggia vascolare> e quindi ci porteremo
medialmente rispetto alla loggia ed andremo ad aprire questo spazio (così
potremmo correggere l’eventuale tensione di queste lamine).
Se al test l’osso ioide si fa traslare verso l’alto e verso il basso, ma non si fa traslare
in senso latero laterale (ad esempio si fa traslare a destra, ma non a sinistra) allora
vorrà dire che andremo a trattare esclusivamente le lamine di Charpy. (quindi in
questo caso abbiamo solo una problematica di traslazione pura).

Quindi… con una mano andiamo a bloccare l’osso frontale, mentre con l’altra mano
vado ad agganciare l’osso ioide e andiamo a traslarlo lentamente verso sinistra
(tecnica diretta) e cerchiamo di percepire se queste lamine si fanno correggere. Se
non otteniamo il miglioramento sperato attraverso la tecnica diretta, allora
andiamo ad effettuare una tecnica più incisiva (e quindi andando ad aprire le
lamine di Charpy, ovvero separare la loggia vascolare dalla loggia viscerale <questa
tecnica è sempre più efficace rispetto alla singola traslazione<tecnica precedente>,
in quanto a livello delle lamine di Charpy, vi possono essere delle aderenze fasciali),
per cui:

Tecnica di apertura delle lamine di Charpy

la tecnica consiste nel separare la


loggia vascolare, da quella
viscerale. Per individuare la logia
vascolare, andiamo a chiedere al
paziente di sollevare il capo dal
lettino, in questa maniera
possiamo evidenziare il muscolo
SCOM (((e quindi anche i suoi capi inserzionali))).
Successivamente ci poniamo
medialmente rispetto allo
SCOM andando a ricercare il
battito, ed una volta rilevato,
vorrà dire che siamo a livello
(e quindi al di sopra) della
loggia vascolare (se vi è un
battito importante il paziente
potrebbe soffrire di
ipertensione).

Mani poste sulla loggia vascolare

Arrivati a questo punto, ci


poniamo medialmente alla
loggia vascolare (quindi
ritroveremo la carotide
lateralmente rispetto ai
polpastrelli) andandola ad
arpionare, mentre con l’altra
mano, andremo ad
agganciare la loggia viscerale.
Per cui eseguiremo la tecnica
cercando di separare la logia
vascolare da quella viscerale.

Inoltre, se vogliamo essere maggiormente incisivi, possiamo andare a posizionarci


in questa maniera. Per cui
dobbiamo lentamente andare
in profondità (quindi in senso
antero posteriore)

Liberare la componente vascolare dalla


viscerale permette di migliorare la
mobilità posteriore del cranio
(((secondo me del rachide cervicale)))
Tecnica più potente
LOGGIA VISCERALE DEL COLLO

La loggia viscerale del collo contiene faringe, laringe, trachea, esofago, tiroide.
MANOVRA GLOBALE SULLA LOGGIA VISCERALE DEL COLLO (manovra di
allungamento della loggia viscerale del collo)
Attraverso l’effettuazione della manovra globale
sulla loggia viscerale del collo, andiamo ad
allungare la faringe, laringe, trachea, esofago,
tiroide (quindi tutta la fascia profonda ad indirizzo
viscerale e la fascia media ad indirizzo viscerale).

Posizionamento delle mani


Quindi portiamo il capo del nostro paziente leggermente in estensione e
successivamente con una mano andiamo ad agganciare attraverso una presa a “V”
mentoniera, la mandibola della nostra paziente, mentre con l’altra mano ci
poniamo in proiezioni del legamento tiro-pericardico (per cui per essere a livello
del legamento tiro-pericardico, dobbiamo porci poco al di sotto della forchetta
sternale).
Esecuzione della tecnica
Per eseguire la tecnica, andremo ad allungare con entrambe la loggia viscerale del
collo, per cui la mano posta a livello della mandibola deve effettuare una trazione
(in senso craniale), mentre la mano a livello dello sterno deve effettuare una spinta
(in senso caudale). Continuiamo la tecnica fin quando sentiamo che sia la
componente cervicale che la componente toracica guadagna (((quindi abbiamo una
un rilasciamento))).

Sensazione della Mano…


Quindi, se durante l’esecuzione della tecnica di allungamento, sentiamo (quindi la
mano sente che) la tensione è maggiormente centrale allora possiamo ipotizzare
che vi sia una tensione a livello della via respiratoria (((quindi ad esempio trachea
ecc))) <<<e quindi una problematica a livello delle vie respiratorie>>>, mentre se
sentiamo (e quindi la mano sente che) la tensione tende ad andare verso lo
stomaco, allora possiamo pensare che vi sia una tensione a livello dell’esofago <<<e
quindi una problematica a livello dell’esofago, come ad esempio di reflusso>>>.
TECNICA SULLO SPAZIO PRE VERTEBRALE (o anche detto retro viscerale di Henke)
<o anche detta tecnica di srotolamento>
Introduzione alla tecnica
Questa tecnica consiste nell’andare a mobilizzare lo spazio retroviscerale di Henke
o anche definito spazio pre vertebrale (il quale si trova tra la fascia profonda ad
indirizzo viscerale e la fascia profonda ad indirizzo muscolare). Nello specifico:
Adesso andiamo ad agganciare lo spazio (retroviscerale di Henkeche o spazio pre
vertebrale) il quale si trova tra la fascia profonda ad indirizzo viscerale e la fascia
profonda ad indirizzo muscolare (quindi lo spazio che vi è tra la porzione posteriore
dell’esofago, e la porzione anteriore dei corpi vertebrali <anche se a livello
cervicale, anteriormente ai corpi vertebrali abbiamo il muscolo lunghissimo ed il
muscolo retto anteriore del collo, i quali si estendono fino a T4>) ed andiamo ad
effettuare uno scivolamento (((mobilizzazione))) di questi due piani.
Per cui, andremo ad effettuare una mobilizzazione delle strutture fasciali, quindi
tra fascia profonda ad indirizzo viscerale (la quale ricopre la parte posteriore
dell’esofago) e la fascia profonda ad indirizzo muscolare (ovvero la fascia pre
vertebrale) andando a creare uno scivolamento, e quindi una mobilizzazione fra
questi due piani.
Esecuzione della tecnica
Per eseguire la tecnica, occorre o avere un lettino in cui è possibile abbattere la
parte della testata (quindi la parte in cui poggia la testa) oppure dobbiamo porre il
capo del nostro paziente al di fuori del lettino. Quindi con una mano andiamo a
manovrare il capo del nostro paziente (effettuando così una mobilizzazione <nei
vari piani dello spazio> del rachide cervicale), mentre l’altra mano fa un lavoro
indipendente, ovvero lavora e sente (ovvero mobilizzerà la loggia viscerale del collo
su tutti i piani, e contemporaneamente sente dove vi sono le densità).

Posizionamento delle mani


Con una mano andiamo ad impalmare il capo del nostro
paziente, per cui, per gestire la testa della nostra
paziente dobbiamo far finta di avere in mano un pallone
da rugby, (((per cui poggiamo la testa della nostra
paziente debba essere poggiata sul nostro bacino-
ventre))) ed effettuiamo una mobilizzazione del collo in
tutti i piani dello spazio.

Mentre con l’altra mano andiamo ad impalmare la più


grande porzione di loggia viscerale possibile ed iniziamo
ad effettuare uno srotolamento, ed una volta
individuata una densità, ci fermiamo ed aspettiamo che
questa si rilasci.
1 2 3

4 5

18
Riepilogo logico della tecnica
Quindi, con una mano effettuiamo la mobilizzazione della testa (e quindi del
rachide cervicale) nei vari piani dello spazio (andando a ricercare le restrizioni di
mobilità), mentre con l’altra mano cerchiamo di agganciare la più grande porzione
possibile di loggia viscerale, (cercando di entrare il più possibile in profondità, fino
ad essere nella proiezione dei corpi vertebrali delle vertebre cervicali) ed
effettuiamo una mobilizzazione della loggia viscerale del collo. Quindi, andiamo a
mobilizzare entrambe le parti e nel momento in cui, con la mano che aggancia la
loggia viscerale riscontriamo una densità, ci fermiamo in quella posizione ed
aspettiamo che si rilasci (e successivamente continuiamo la mobilizzazione).
(((quindi secondo me, la nostra intenzione deve essere concentrata esclusivamente
sullo spazio retroviscerale di Henke, e quindi sulle tensioni che si possono creare
tra la regione posteriore dell’esofago e la regione anteriore dei corpi vertebrali. Per
cui: secondo me, durante la mobilizzazione, una volta individuata la densità con la
mano che impalma la loggia viscerale del collo, dobbiamo andare a mobilizzare il
capo del paziente facendo in modo che la densità che avevamo individuato a livello
della loggia viscerale aumenti <quindi aumenta la densità> e quindi ci fermiamo in
quella posizione fin quando non sentiamo che la densità si rilascia. Una volta che la
densità si è rilacsiata, continuiamo la mobilizzazione.)))
QUESTA TECNICA È OTTIMA SUI PAZIENTI CHE HANNO SUBITO UN WIPLASH
Questa tecnica è molto potente e proprio per questo motivo presenta delle
controindicazioni, ovvero:

Controindicazioni al trattamento
- Paziente con delle ernie discali
- Stenosi dell’arteria vertebrale
- Tutte le tipologie di vertigini (parossistiche benigne, oggettive o soggettive)
- Se il paziente presenta delle artrosi degli uncus possiamo effettuare la tecnica con dei
gradi minori di mobilità del rachide cervicale.
- Qualsiasi patologia vascolare del collo
- Instailità vertebrali (e postumi di operazioni di instabilità vertebrale)
- Morbo di Marfan (in quanto vi è una decoattazione dell’aorta)
WIPLASH
Il paziente che ha subito un colpo di frusta, ha una situazione un po' particolare, ovvero, ha subito un
forte stiramento delle fasce ed a seguito di questo stiramento si possono creare delle micro aderenze
(anche traumatiche) su questo piano di scorrimento (((quindi credo che intenda a livello dello spazio
retroviscerale di Henke))). QUINDI ATTRAVERSO L’ESECUZIONE DELLA TECNICA SULLO SPAZIO RETRO
VISCERALE DI HENKE RIUSCIAMO A LIBERARE DELLE FORTISSIME TENSIONI ANTERIORI DEL COLLO CHE SI
RIPERCUOTONO POI POSTERIORMENTE.
Quindi questa tecnica è ottima sui pazienti
Quadro generale del paziente che ha subito un Wyplash che hanno subito un wiplash
La sintomalogia che presenta il paziente a seguito di un trauma da Wyplash, è quasi sempre legata ad
una forte tensione (con grossi spasmi) al trapezio, allo SCOM ed agli scaleni, quindi vi è un grosso blocco
della sezione superiore del torace, con dei riflessi che possono andare anche nella regione
intrascapolare. (((Il paziente diventa più problematico, quando vi è))) la comparsa di vertigini (quindi in
questo caso dobbiamo stare attenti alla tipologia di vertigine che può presentare il paziente)
Trattamento
Per cui inizialmente (dopo l’anamnesi e l’esaminazione clinica) iniziamo a fare i primi trattamenti in
maniera soft (magari liberando con delle tecniche in dog la componente toracica), ed attraverso
l’effettuazione di manovre fasciali sul torace (e quindi lasciando stare <<<momentaneamente>>> il tratto
cervicale). IN CASO DI TRAUMA DA WYPLASH NON BISOGNA ASSOLUTAMENTE ANDARE AD ALLUNGARE
IL MUSCOLO TRAPEZIO (altrimenti il paziente sta peggio, in quanto questo è un compenso che attua il
corpo), PIUTTOSTO BISOGNA ANDARE A LAVORARE SU ALTRI CONTESTI DI ALLUNGAMENTO < Per cui è
bene lavorare sulle strutture periferiche> (((vedi dopo))).
Strutture disfunzionali
Normalmente nel trauma da Wiplash le strutture che vanno maggiormente in disfunzione e che quindi
devono essere trattate sono: Il torace = si effettua l’apertura del torace (in quanto vi può esserci un
trauma da cintura di sicurezza) ; Sterno = in quanto vi possono essere delle problematiche sullo sterno ;
Fegato = Un’altra struttura che va spesso in disfunzione è il fegato, in quanto è una sacca piena di sangue
che (((nel colpo di frusta))) si muove e stira le strutture legamentose, andando a creare dei problemi ;
Sacro = si lavora molto sul sacro <perché la trazione causata dal colpo di frusta, si manifesta
biomeccanicamente fino al sacro> quindi bisognerà liberare la sacroiliaca ; ATM = Un altro organo da
testare è l’ATM, in quanto questa durante gli stress postero laterali va a traslare e quindi stira la
muscolatura ; (alla 2-3 seduta), se vi è una disfunzione cervicale si effettua un thrust.
Come si comporta il Professore con un paziente che ha subito un Wiplash
Il Professore quando vi è un paziente con un Wyplash e quindi con un trauma da incidente, non tratta
mai la muscolatura posteriore. Inoltre, la cosa più difficile da liberare è la giunzione cervico toracica
(quindi K1, clavicola) la quale è più soggetta a stress (in quanto questi pazienti hanno dolore, per cui,
posizionare il paziente prono per effettuare una tecnica mento-perno può essere difficoltoso, in quanto
il paziente non tollera le rotazioni. NEL CASO DI UN PAZIENTE IN ACUTO, SARA’ DIFFICILE ANDARE A
LIBERARE UNA CERVICALE ALTA)
STRETTO TORACICO SUPERIORE

Lo stretto toracico superiore è considerato un diaframma virtuale


(quindi falso), ma vero dal punto di vista fisiologico. Questo
permette di agire su un diaframma, il quale farà da dissipatore tra
cervicale e torace, in quanto, appunto permette di dissipare in
maniera orizzontale, alcune tensioni dinamiche legate alle forze
ascendenti e discendenti tra cervicale e torace (((quindi le forze
ascendenti e discendenti vengono dissipate a livello dello stretto
toracico superiore))), ed inoltre è un punto di relè tra la struttura
cervicale e l’apice polmonare.
Delimitazione dello stretto toracico superiore
Lo stretto toracico superiore
ha la forma di un triangolo,
con un vertice che ricade
sull’acromion, e quindi
presenta due lati, il lato
anteriore è delimitato dal
bordo posteriore della
clavicola, mentre il lato
posteriore del triangolo è
delimitato dal muro anteriore del trapezio,
mentre la base (la quale si trova medialmente)
corrisponde al bordo esterno dei corpi vertebrali
(((ed a questo livello dei corpi vertebrali,
dovremmo trovare la loggia vascolare del collo,
anche se non si capisce bene quello che dice)))
<<<inoltre, internamente al triangolo, vicino alla
base, troviamo gli scaleni, lo SCOM >>> per cui nel
momento in cui andiamo ad effettuare l’apertura
dello stretto toracico superiore possiamo avere
un effetto direttamente sulla loggia vascolare del
collo (la loggia vascolare del collo comprende il
passaggio della vena giugulare, dell’arteria
carotidea, del nervo vago e del nervo frenico).
Inoltre, in fondo/profondità (e quindi subito
dopo lo SCOM e gli scaleni <<< per cui sempre
vicino ai corpi vertebrali> vediamo la proiezione
di K1; abbiamo il passaggio dei due scaleni (La
vena succlavia si trova anteriormente allo
scaleno anteriore, mentre l’arteria succlavia si
trova tra lo scaleno anteriore e lo scaleno
posteriore <effettuando la palpazione è
possibile ascoltare il battito dell’arteria
succlavia> (((quindi se poggiamo le dita e
sentiamo le pulsazioni, vorrà dire che
siamo sull’arteria succlavia))); (((ed
insieme all’arteria succlavia, dovrebbe
passare anche il plesso brachiale))).
PRECEDENTEMENTE IL PROFESSORE AVEVA DETTO QUESTO SULLO STRETTO TORACICO
SUPERIORE
La clavicola rappresenta il muro anteriore dello stretto toracico superiore (diaframma
falso dal punto di vista anatomico, ma vero dal punto di vista fisiologico). Lo stretto
toracico superiore rappresenta un punto di snodo importante per i vasi ed i nervi che
vanno ed arrivano dal cranio (il in risalita: plesso cervicale, l’arteria carotidea, ; in
discesa e quindi uscita il IX – X – XI, il nervo frenico la vena giugulare), inoltre abbiamo
il passaggio del plesso brachiale, la vascolarizzazione dell’arto superiore (quindi arteria
succlavia e vena succlavia), inoltre abbiamo il passaggio dell’arteria mammaria
superficiale (o anche detta esterna) che va ad irrorare le ghiandole mammarie, poi
scende e superficialmente va ad irrorare (agganciandosi all’arteria iliaca anche una parte
di componente uterina) inoltre rappresenta un passaggio importante linfatico.

Quindi…

Delimitazione dello stretto toracico superiore


- Il bordo anteriore è delimitato dal bordo posteriore della clavicola
- Il bordo posteriore è delimitato dal muro anteriore del trapezio (quindi dalla parte
anteriore delle fibre del trapezio)
- l’apice/(vertice) del triangolo è dato dall’acromion
- la base del triangolo è composta dal bordo laterale dei corpi vertebrali, inoltre sempre a
questo livello avremo il passaggio dello SCOM e degli scaleni (anteriore e posteriore).

All’interno dello stretto toracico abbiamo il passaggio della vena succlavia (la quale si trova
anteriormente allo scaleno anteriore), l’arteria succlavia (la quale si trova tra lo scaleno
anteriore e lo scaleno posteriore <quando durante la palpazione dello stretto toracico
superiore avvertiamo le pulsazioni, allora vorrà dire che siamo sopra l’arteria succlavia>), il
plesso brachiale.
TECNICA DI APERTURA DELLO STRETTO TORACICO SUPERIORE

Come abbiamo fatto per il triangolo di


scarpa, andremo ad aprire lo stretto
toracico superiore in tutti i suoi lati. Per
aprire lo stretto toracico superiore
possiamo utilizzare due tecniche, una
che va ad aprire lato per lato lo stretto
toracico, ed una che globale che
(((attraverso il posizionamento della mano))) ci consente di
aprire lo stretto toracico superiore
Questa tecnica è utile anche come tecnica preparatoria ad un Thrust cervicale
(come ad esempio una mentoperno).

Tecnica di apertura (lato per lato)


- APERTURA/ALLUNGAMENTO DELLA PORZIONE POSTERIORE DEL TRIANGOLO
Posizionamento delle mani
Per effettuare l’apertura della parte posteriore del triangolo (la
quale corrisponde al muro anteriore del trapezio), con una mano
andiamo ad agganciare (attraverso una presa ad artiglio) la
componente anteriore del trapezio (quindi il muro anteriore del
trapezio), mentre con l’altra mano andiamo ad impalmare il capo
del nostro paziente.

Esecuzione della tecnica


Quindi con la mano posta a livello del muro anteriore del
trapezio andiamo a fare punto fisso, mentre con la mano
posta a livello del capo, andiamo ad effettuare una
flessione del capo (portando la testa del nostro paziente
in avanti <e quindi effettuando una flessione del capo>),e
quindi, attraverso la flessione del capo andremo ad
allungare la porzione posteriore del triangolo che
costituisce lo stretto toracico superiore.
- APERTURA/ALLUNGAMENTO DELLA PORZIONE ANTERIORE DEL TRIANGOLO
Posizionamento delle mani
Per effettuare l’apertura della parte anteriore del triangolo (la quale
corrisponde al bordo posteriore della clavicola), andiamo a porre la colonna
del pollice a livello del bordo posteriore della clavicola, mentre con l’altra
mano andiamo ad impalmare il capo del nostro paziente.
Esecuzione della tecnica
Quindi con la colonna del pollice della mano andiamo
a fare punto fisso a livello del bordo posteriore della
clavicola, mentre con la mano posta a livello del capo,
andiamo ad effettuare una estensione del capo,
andando così ad allungare questa parte, quindi,
attraverso l’estensione del capo andremo ad allungare
la porzione anteriore del triangolo che costituisce lo
stretto toracico superiore.

- APERTURA/ALLUNGAMENTO DELLA BASE DEL TRIANGOLO


Posizionamento delle mani
Per effettuare l’apertura della base del triangolo (la quale corrisponde alla
porzione laterale dei corpi vertebrali), andiamo a porre una mano a livello
dell’apice del triangolo (e quindi la poniamo a livello dell’acromion) mentre
l’altra mano la poniamo a livello del capo.
Esecuzione della tecnica
Per effettuare l’apertura della base del triangolo,
dobbiamo fare punto fisso a livello dell’apice del triangolo
(quindi del vertice del triangolo, il quale corrisponde
all’acromion) per cui andremo a fare punto fisso a livello
dell’acromion, mentre con la mano posta a livello del capo,
andiamo ad indurre un’inclinazione laterale.
Tecnica globale di apertura

Posizionamento delle mani


Utilizzando la tecnica globale, andiamo a porre (il posizionamento
delle dita lo decidiamo noi in base alla morfologia del paziente) l’indice
a livello del muro anteriore del trapezio, ed il medio a livello della
porzione posteriore della clavicola, mentre il palmo della mano lo
andremo ad appoggiare sull’acromion. Mentre l’altra mano è posta sul
capo.
Oppure possiamo porre il pollice (((credo sia la colonna del pollice))) a
livello del muro anteriore del trapezio e l’indice a livello della porzione
posteriore della clavicola, mentre il palmo della mano lo andremo ad
appoggiare sull’acromion. Mentre l’altra mano è posta sul capo.

Esecuzione della tecnica


Per cui una volta posizionate le dita, chiediamo al paziente di rilassarsi (((ed
andiamo a poggiare il paziente sul nostro tronco))) ed iniziamo la tecnica, quindi
andiamo ad allungare la parte posteriore del triangolo (quindi il muro anteriore del
trapezio) facendo punto fisso a livello della parte posteriore del triangolo (quindi a
livello del muro anteriore del trapezio) ed effettuando una flessione del capo, poi
(senza spostare le dita posizionate a livello dello stretto toracico superiore)
andiamo ad allungare la base del triangolo, facendo punto fisso sull’acromion ed
effettuando un’inclinazione laterale del capo, poi (senza spostare le dita
posizionate a livello dello stretto toracico superiore) facciamo punto fisso sulla
parte anteriore del triangolo (quindi a livello del bordo posteriore della clavicola) e
facciamo effettuare un’estensione del capo. (((dove riscontriamo maggior tensione
fasciale, manteniamo ed aspettiamo il rilasciamento tissutale))).
Le dita restano sempre posizionate a livello dello stretto toracico superiore, mentre
con l’altra mano andiamo ad indurre al capo del nostro paziente i movimenti di
flessione, inclinazione laterale ed estensione. Per cui, le dita poste a livello dello
stretto toracico (ovviamente in base a quale parte del triangolo stiamo aprendo)
fanno punto fisso, mentre con la mano a livello del capo induciamo i vari movimenti
per aprire le singole parti dello stretto toracico. (se per esempio passando
dall’apertura della base <quindi dal movimento di inclinazione laterale>,
all’apertura della parte anteriore del triangolo <quindi dal movimento di
inclinazione laterale al movimento di estensione del capo> sentiamo che la
tensione si manifesta a livello del dito posto sul bordo posteriore della clavicola,
allora manteniamo la posizione (quindi manteniamo l’allungamento) ed
aspettiamo che avvenga il rilasciamento tissutale. Una volta eseguita la tecnica,
riportiamo il capo del nostro paziente in posizione neutra.

(((Secondo me bisogna posizionare le dita a livello dello stretto toracico e successivamente


effettuiamo i vari movimenti del capo, in maniera tale da aprire tutte le parti dello stretto
toracico (e quindi andiamo ad aprire tutto lo stretto toracico). Inoltre, se durante l’apertura
delle singole parti dello stretto toracico sentiamo che vi sono delle maggiori tensioni, ad
esempio:
Se durante l’estensione del capo del nostro paziente riscontriamo che ad una precisa
quantità di estensione del capo, percepiamo a livello delle dita che sono poste a livello dello
stretto toracico superiore, una maggiore tensione (quindi per esempio in una parte precisa
dell’estensione del capo, oppure ad esempio se la tensione si manifesta non nell’estensione
pura, ma con il capo esteso, ma leggermente inclinato <come quando effettuiamo
l’apertura della base del triangolo>) allora manteniamo la posizione ed aspettiamo il
rilasciamento tissutale. Quindi andiamo selettivamente ad allungare/aprire ogni singola
parte dello stretto toracico superiore, ma nel momento in cui, durante l’apertura di una di
queste parti riscontriamo una maggiore tensione (che avvertiremo a livello delle dita poste
sullo stretto toracico superiore) manteniamo la posizione ed aspettiamo il rilasciamento
tissutale)))
Quindi portando la testa in flessione andremo ad allungare la parte posteriore di
questo triangolo (la parte posteriore del triangolo corrisponde al muro anteriore
del trapezio), mentre portando la testa in estensione andremo ad allungare la
parte anteriore di questo triangolo (la parte posteriore del triangolo corrisponde
al bordo posteriore della clavicola), mentre per trattare la base di questo
triangolo (la base del triangolo corrisponde alla porzione laterale dei corpi
vertebrali) dobbiamo bloccare il vertice del triangolo (quindi l’acromion) ed
effettuare un’inclinazione con il capo (inclinazione dal lato opposto al triangolo
che stiamo trattando).
Tecnica per migliorare ulteriormente il
funzionamento dello stretto toracico superiore
Tecniche di siderazione (dei muscoli del collo)
(da effettuare dopo l’apertura dello stretto
toracico)

Se dopo aver effettuato l’apertura dello stretto toracico superiore, vogliamo dare
uno stimolo maggiore (e quindi migliorarlo ulteriormente <quindi ancora meglio>),
possiamo andare ad effettuare delle siderazioni a livello del trapezio, degli scaleni
e dello SCOM.
Per cui effettuiamo la palpazione di questi muscoli e se riscontriamo delle aree di
maggior densità (quindi a livello del trapezio, degli scaleni e dello SCOM) andremo
ad effettuare delle siderazioni (ovviamente per andare a mettere in tensione i vari
muscoli, andremo ad utilizzare il capo del nostro paziente), e quindi andremo a far
effettuare al capo del nostro paziente quei movimenti che ci consentono di
mettere in tensione (((e quindi a tendere, e quindi allungare))) i muscoli che
vogliamo siderare. Per cui una volta messi in tensione, andiamo ad agganciare il
punto di massima densità che abbiamo riscontrato a livello di questi muscoli e
successivamente andiamo a farli vibrare (quindi a siderare) (((sempre in maniera
perpendicolare rispetto al ventre muscolare))) <ovviamente la siderazione può
essere effettuata lungo tutto il muscolo, ovvero dal ventre, fino all’aerea
inserzionale>.
Per effettuare le siderazioni dei muscoli trapezio, degli scaleni e dello SCOM
facciamo posizionare il paziente suduto, in quanto la posizione da seduto, provoca
un pretensionamento dei muscoli, per cui risulterà più semplice arrivare alla
barriera, per poi effettuare la siderazione (da sdraiato sarà più complicato andare
a reperire gli scaleni ed il trapezio).
Con queste tecnica, in maniera rapida (e quindi in breve tempo) si riescono a
detendere questi muscoli.

(((quindi le siderazioni a livello di questi muscoli, ci permette un miglior


funzionamento dello stretto toracico superiore, quindi se dopo aver effettuato
l’apertura dello stretto toracico superiore, vogliamo dare uno stimolo in più, per
migliorare ulteriormente il funzionamento dello stretto toracico superiore,
andiamo ad effettuare le tecniche di siderazione a livello delle aree dense che
riscontriamo a livello dei muscoli scaleni, trapezio e SCOM e successivamente
andiamo a rivalutare nuovamente lo stretto toracico superiore))).
Siderazione sul trapezio

Siderazione sugli scaleni


per andare a siderare gli scaleni, andiamo sulle
proiezioni laterali dei corpi vertebrali, ma
soprattutto delle trasverse delle vertebre di C3 –
C4 – C5 (per lo scaleno anteriore) mentre a livello
delle trasverse di C2 – C3 – C4 – C5 cervicali
(((secondo me dobbiamo andare maggiormente
sulle trasverse delle vertebre cervicali))).

Siderazione sullo SCOM


Se ci sono delle zone di maggior densità a livello dello SCOM (inizialmente
chiediamo al paziente di spingere contro la nostra mano, il
suo capo, in maniera tale da evidenziare lo SCOM), andiamo
a mettere in tensione lo
SCOM e successivamente
andiamo ad effettuare la
siderazione sul punto di
maggior densità.

Il Professore ha ripetuto la tecnica due volta, quindi ci sono le due foto


dell’esecuzione della tecnica
Tecniche di allungamento della muscolatura del rachide cervicale (tecniche che
possono essere utilizzate come tecniche preparatorie al thrust cervicale)

Se abbiamo riscontrato una disfunzione vertebrale cervicale e vogliamo effettuare


una tecnica in thrust, possiamo (prima di effettuare la tecnica in thrust), eseguire
delle tecniche preparatorie:
Tecnica di allungamento per il muscolo trapezio
che questa tecnica ci consentirà di andare ad
allungare tutto il compartimento posteriore del collo
(rachide cervicale). Quindi con una mano andiamo ad
agganciare la spalla controlaterale (e lo stesso viene
effettuato con l’altra mano) ed effettuiamo un
allungamento globale del trapezio. E manteniamo la
posizione fin quando non avviene un allungamento
muscolare (e quindi un rilasciamento del trapezio).
(((quindi credo che con le mani poste a livello
delle spalle andiamo ad abbassare
leggermente le spalle, in maniera tale da
allungare il trapezio,e quindi manteniamo la
posizione fin quando non vi è un rilasciamento
del trapezio)))
La tecnica è la stessa, ma vista da angolazioni diverse

Tecnica di softiscion su tutti i muscoli laterali del triangolo dello stretto toracico
superiore (questa tecnica viene fatta spesso anche in Inghilterra)
Per eseguire la tecnica l’Osteopata si pone dal lato controlaterale al lato che vuole
trattare. Successivamente si posiziona una mano sulla fronte, mentre l’altra a livello
della parte posteriore del collo. Per cui effettueremo dei movimenti postero
anteriori, con la mano posta a livello del collo (((è come se si facesse una
siderazione globale del compartimento postero laterale del collo))) mentre
contemporaneamente la mano posta a livello della fronte, effettuerà delle spinte
antero posteriori, in maniera tale da accompagnare il movimento dell’altra mano,
e successivamente si ripete continuamente, fin quando sentiamo che la struttura
inizia a lasciarsi andare (e quindi a rilasciarsi) andiamo ad effettuare la tecnica in
thrust.

Quindi questa tecnica ci


consente di allentare le
tensioni, prima di andare ad
effettuare un thrust cervicale.
(((Secondo me la tecnica di softiscion viene utilizzata come tecnica di rilassamento (e quindi di
detensione del rachide cervicale che va da C3/4 fino a C7). Quindi viene utilizzata come tecnica
preparatoria ad un Thrust cervicale che va da C3/4 fino a C7. )))

Tecnica sui muscoli sub occipitali


Se dobbiamo agire sui muscoli del tratto cervicale alto,
quindi a livello di C1 – C2 – C3, andiamo a mettere le mani
a coppa, con le dita flesse e ferme, in maniera tale da fare
una detensione dei muscoli sotto-occipitali. La manovra
è piuttosto lunga come durata (ovvero dai 3/4 minuti)
per cui dobbiamo metterci comodi (((quindi con gli
avambracci ben poggiati sul lettino))). Quindi
andiamo a mettere in tensione le dita,
andando ad allontanare l’occipite dai nostri
palmi delle mani, ed aspettiamo che, grazie
alla gravità, il cranio del nostro paziente,
lentamente scenda fino ad appoggiarsi sulle
nostre mani. Quindi quando l’occipite arriva
a contatto con le mani, allora vorrà dire che i
muscoli sottoccipitali si sono detesi.

(((quindi <<<dobbiamo porre le nostre mani subito al di sotto dell’occipite>>>


successivamente andiamo a mettere in tensione le dita ed aspettiamo che il peso
di gravità, porti il cranio del nostro paziente a poggiarsi sulle nostre mani. Per cui,
una volta che il cranio poggia sulle nostre mani, vorrà dire che i muscoli
suboccipitali si sono detesi.)))

(((mentre la tecnica sui muscoli suboccipitali, serve appunto per andare a


detendere i muscoli suboccipitali. <<<e probabilmente viene utilizzata come
tecnica preparatoria ad una tecnica in Thrust sulle vertebre che vanno da C1
a C3 )))
DIAFRAMMA DIAFRAMMA
INTRODUZIONE
Il diaframma è quel punto di relè (di passaggio)
di tutti e tre le grosse macrofunzioni del nostro
organismo, ovvero è il punto d’incontro tra
movimento, materia e spirito, infatti, noi nel
diaframma (in maniera globale) troviamo tutte e
tre queste realtà, infatti troviamo un diaframma
strutturale (dato dai pilastri, i quali sono
strettamente connessi alla colonna), poi
troviamo due cupole, le quali sono strettamente
connesse con il movimento viscerale (((quindi un
diaframma viscerale))), ed infine abbiamo il
centro frenico, il quale è connesso tramite l’asse aponeurotico centrale (ovvero
quella linea centrale di fascia profonda che collegano il tubercolo faringeo con il
centro frenico) con il cranio e quindi con il ritmo cranio sacrale, e quindi spirito.
Quindi abbiamo un punto di congiunzione tra le tre realtà, per cui il diaframma in
realtà non è né solamente strutturale, né solamente viscerale, né solamente
craniosacrale, ma è quindi un punto d’incontro (((tra queste tre realtà))). Inoltre il
diaframma è la prima struttura che si presenta su un piano prettamente orizzontale
(tutte le strutture che troviamo sul piano orizzontale sono dei dissipatori di forze,
quindi sono dei tamponi delle vie ascendenti e discendenti), e quindi queste
strutture orizzontali sono soggette a tensioni che provengono dall’alto (((forze
discendenti))) e dal basso (((forze ascendenti))).
Anche il diaframma sarà soggetto ad un test di pressione, e quindi testeremo in
maniera separata, il centro frenico, le cupole ed i pilastri ed all’interno di queste
realtà faremo una gerarchia di densità e andremo a valutare:
- Se i pilastri sono primari disfunzionali (rispetto alle altre due funzioni), allora
possiamo dire che probabilmente il paziente avrà più una problematica su un asse
strutturale
- Se il paziente presenta come primaria una cupola (rispetto alle altre due funzioni),
allora possiamo dire che il paziente avrà più una problematica su un asse viscerale
(e quindi una problematica pressoria, viscerale, emodinamica)

- Se la disfunzione (((primaria))) è sul centro frenico (rispetto alle altre due funzioni)
allora possiamo pensare che vi sia qualcosa sull’asse centrale che non funziona
bene, quindi una problematica a livello dell’asse craniosacrale.

QUINDI QUESTA È UN’OTTIMA VIA DI INTERPRETAZIONE DEL NOSTRO PAZIENTE


(((anatomia)))
Il diaframma è diviso in tre strutture, ovvero: Nel
diaframma abbiamo una componente centrale
tendinea, una struttura muscolare (ovvero la cupola),
ed una struttura di aggancio che incrocia e forma due
orifizi (quindi, i pilastri vanno a formare due orifizi,
uno per il passaggio esofageo ed uno per il passaggio
aortico) <inoltre, posteriormente al passaggio
dell’aorta, abbiamo anche il passaggio dei dotti
linfatici>.
Il centro frenico è costituito da tre fogliolette (come un
trifoglio) con delle bandelette che organizzano (creano) degli
orifizi: la bandeletta semicricolare superiore, che va dalla
foglioletta di destra a quella anteriore, passando dietro della
vena cava, mentre l’arciforme, va dalla foglioletta di destra a
quella sinistra ed è piuttosto inferiore (queste due quindi
creano i due bordi dell’orifizio).
I pilastri sono asimmetrici (quindi generalmente creano una
NSR denominata come fisiologica <in quanto noi non siamo
simmetrici>) e questa sua differenza di inserzione (fino a L3
– L4 per il pilastro di destra ; mentre è un po' più superiore
l’inserzione del pilastro di sinistra <<<L3 dovrebbe
essere>>> genera una inclinazione con rotazione
controlaterale. I pilastri formano delle arcate lateralmente,
le quali sono le componenti del legamento arcuato (quella
di Lanre???) e sono delle scissure in cui passano lo psoas ed
il quadrato dei lombi, mentre l’ultima arcata laterale fa
punto di aggancio per il muscolo trasverso (inoltre a livello
di quest’ultima arcata <<<non lo dice precisamente
ma sembra che passi a livello di quest’ultima
arcata>>>, passa l’arteria mammaria interna).
Le cupole sono prettamente muscolari. Quando si
effettua un atto inspiratorio, gli organi scendono. Dal
punto di vista della vascolarizzazione e
dell’innervazione, il diaframma è innervato dal nervo
frenico, mentre dal punto di vista della
vascolarizzazione è irrorato dall’arteria
diaframmatica inferiore (la quale è una pima
collaterale dell’aorta addominale) e dall’arteria
diaframmatica superiore (La quale è l’ultima
collaterale che viene emessa/emanata dall’aorta
toracica).

I muscoli che vanno ad inserirsi nel bordo


sottocostale, prendono il nome di digastrici (in
quanto assomigliano a delle piccole digitazioni) e
questi muscoli digastrici rappresentano il punto di
aggancio sul sistema costale e permettono
l’allargamento del sistema costale, poi il diaframma
scende, si appoggia sui visceri e provoca
l’allargamento. A livello della scissura superiore,
ovvero dove si inseriscono i digastrici, quindi tra
l’arcata costale ed il corpo dello sterno, passa
lateralmente l’arteria mammaria esterna (((quindi
tra l’inserzione a livello costale, l’arcata costale e lo
sterno, si forma una scissura, la quale appunto
consentirà il passaggio <passa lateralmente allo
sterno> l’arteria mammaria esterna)))
Il drenaggio del diaframma è dato dalla vena
diaframmatica, la quale si immette nella vena cava
inferiore (e successivamente la vena cava inferiore passerà
dall’orifizio della vena cava, per poi rimettersi insieme alla
vena cava superiore nell’atrio di destra)
((( Spiegazione dell’irrorazione dell’arteria mammaria interna
L’arteria mammaria interna o anche definita arteria toracica interna, origina
dall’arteria succlavia e si dirige verso il basso ed una volta arrivata nella parte bassa
del torace (a livello della 6 cartilagine costale, passa nella scissura superiore <quindi
questa scissura (e quindi questo spazio) si forma tra l’inserzione dei muscoli
digastrici, l’arcata costale e lo sterno> per poi emettere dei rami collaterali, tra cui
l’arteria epigastrica superiore, la quale prosegue a livello addominale fino a livello
ombelicale, dove va ad anastomizzarsi con l’arteria epigastrica inferiore (la quale
invece deriva dall’arteria iliaca esterna). Per cui, l’arteria toracica interna,
attraverso l’arteria epigastrica superiore collega il sistema dell’arteria succlavia a
quello dell’arteria iliaca esterna). Mentre l’arteria mammaria esterna (o anche
detta toracica laterale) deriva dall’arteria ascellare.
Il Professore dice che l’arteria mammaria esterna (o arteria epigastrica è la stessa
cosa) scende e va a gettarsi a livello dell’arteria iliaca interna, e questo sarà un
apporto sanguigno in più (quindi ormonale in più) che darà più sangue agli organi
genitali (questo soprattutto nella donna acquisisce una valenza per quanto riguarda
il trasporto ormonale, oltre all’irrorazione doppia [uterino / ovarica] che arriva
dall’arteria ovarica e dall’arteria uterina)
COMUNQUE DA CONTROLLARE SUL LIBRO )))
TEST DI PRESSIONE SUL DIAFRAMMA

Sul diaframma possiamo effettuare tanti lavori, come la tecnica di ponsage che
viene effettuata in prossimità dell’inserzione dei muscoli digastrici a livello
dell’arcata costale, (faremo degli stiramenti muscolari per far funzionare meglio la
cupola), effettueremo delle manovre di allungamento dei pilastri, faremo una
manovra combinata utilizzando la Jackson per aprire i pilastri e delle tecniche sulle
bandelette. Per capire se dobbiamo trattare il centro frenico, oppure le cupole,
oppure i pilastri, dobbiamo andare ad effettuare i test di pressione.

TEST DI PRESSIONE (DENSITA’) SUL CENTRO FRENICO


Gambe semiflesse, e busto leggermente
sollevato (per cui andiamo a sollevare lo
schienale del nostro lettino), in maniera tale
da detendere al massimo il retto
dell’addome. Successivamente ci
posizioniamo paralleli alle sias del nostro
paziente (in questa maniera siamo stabili ed
in asse rispetto ai punti da testare), inoltre. Il
centro frenico è localizzato circa a 45° verso
l’alto ed il dietro, per cui partendo dalla fine del processo xifoideo, scendiamo
(quindi andiamo a porci nella regione epigastrica) ed andiamo a porre il nostro
avambraccio a 45° rispetto all’addome del paziente (quindi il nostro avambraccio
materializzerà l’asse di 45°) ed andiamo ad effettuare una pressione verso l’alto e
verso il dietro (((andiamo ad imprimere una lieve pressione, per cui l’appoggio è
molto superficiale))).
TEST DI PRESSIONE (DENSITA’) SULLE CUPOLE
Per andare a testare le cupole, basterà andare a variare l’angolo dell’avambraccio,
ovvero dirigendo l’avambraccio verso la spalla sinistra andremo a testare la cupola
di sinistra, mentre se andremo a dirigere l’avambraccio verso la spalla destra,
andremo a testare la cupola di destra.
(l’appoggio è molto superficiale).

In questa maniera abbiamo testato il centro frenico e


le due cupole, per cui abbiamo valutato quale tra
queste tre strutture sia maggiormente densa.
TEST SUI PILASTRI (DENSITA’)
Per andare a testare i pilastri (((la tecnica
è uguale a quella che utilizziamo in
viscerale))) andiamo a porre le nostre
mani (con le dita aperte) a livello
dell’inserzione dei pilastri (quindi da L1
fino a L3/4) e successivamente andiamo
ad effettuare una trazione postero
anteriore (quindi in direzione del tetto)
andando a valutare quali tra i due ci da la
sensazione di maggiore densità e quindi
la positività del pilastro.

Arrivato a questo punto andiamo a bilanciare le densità trovate a livello del


diaframma, per cui se ad esempio abbiamo riscontrato una cupola sinistra
maggiormente densa ed un pilastro a sinistra maggiormente denso, andremo a
bilanciarli, per capire quali tra i due sia maggiormente denso (se maggior densità la
riscontriamo a livello della cupola, allora la problematica è di tipo viscerale, mentre
se la maggiore densità la riscontriamo a livello dei pilastri, allora la problematica è
di tipo strutturale). Quindi se la disfunzione è sul pilastro (e quindi è una via
prevalentemente strutturale/meccanica) vorrà dire che andremo ad agire in
maniera strutturale.
TECNICA CORRETTIVA SUL CENTRO FRENICO

Se a seguito del test e del bilanciamento, abbiamo riscontrato che è positivo il


centro frenico, allora andremo ad eseguire una tecnica specifica sulle fogliolette.

RIQUADRO UTILE PER RIPASSARE LE FOGLIOLE E QUINDI LE BANDELETTE


Le fogliolette sono tre, sono disposte una anteriormente, una a sinistra ed una a
destra (come se fossero un trifoglio). L’unione di queste fogliolette, porta alla
formazione di due bandelette:
- Bandeletta anteriore
La bandeletta anteriore va dalla fogliola destra alla fogliola
sinistra e va a costituire la parte anteriore del foro della
vena cava inferiore. (((Viene definita anche bandeletta
semicircolare inferiore, in quanto è localizzata
inferiormente rispetto alla bandeletta posteriore (la quale
si trova proprio al di sopra). (((Inoltre la bandeletta
anteriore viene definita anche bandeletta arciforme credo
perché abbia la forma <e quindi assomigli ad un> arco)))
VISTA SUPERIORE

- Bandeletta posteriore
La bandeletta posteriore va dalla fogliola di destra alla VISTA SUPERIORE
fogliola anteriore e va a costituire la parte posteriore del
foro della vena cava inferiore. (((quindi la bandeletta
posteriore, ha un andamento obliquo verso l’avanti ed il
fuori a sinistra, in quanto parte dalla parte postero esterna
della fogliola di destra e si dirige verso l’avanti ed il fuori
verso la fogliola anteriore <<<quindi ha un andamento
obliquo verso l’avanti ed il fuori a sinistra>>>))). (viene
definita anche bandeletta semicircolare superiore, in
quanto è localizzata superiormente rispetto alla
bandeletta anteriore <quindi la bandeletta posteriore
ricopre la bandeletta anteriore>)
QUINDI, IN BASE ALLA BANDELETTA CHE VOGLIAMO TRATTARE, ANDREMO A
POSIZIONARE LE MANI IN MANIERA DIFFERENTE:

(quando abbiamo fatto il test di


pressione sul centro frenico abbiamo
impostato un’inclinazione di 45°, ma
sappiamo che il centro frenico è
internamente, quindi profondo)
(((dovrebbe essere a questo livello)))

TECNICA DI ALLUNGAMENTO DELLA BANDELETTA POSTERIORE (e quindi tecnica


di allungamento della foglioletta di destra e della foglioletta anteriore)
Ci mettiamo sempre in appoggio al lettino
(((quindi appoggiamo il nostro bacino ed arti
inferiori alla parte laterale del lettino))) e con il
busto diritto, per avere la stabilità. Poniamo una
mano nella parte posteriore del torace destro del
nostro paziente (quindi una mano viene posta
dietro la foglioletta destra), mentre l’altra mano
verrà posta in proiezione del centro frenico e
l’indice della mano determinerà la linea della mia
spinta. Per cui andremo ad aprire le due
fogliolette (ovviamente dato che il test sul centro
frenico è risultato positivo, allora vorrà dire che
quando cercheremo di aprire le due fogliolette,
avvertiremo una resistenza<<<data da una o da
entrambe le fogliolette>>>). Questo favorirà il
passaggio della vena cava inferiore
La mano sia anteriormente che posteriormente
deve essere messa in proiezione del centro frenico
(((quindi a livello del centro frenico))). DA VEDERE
ANCHE LE SBOBINATURE DI VISCERALE
TECNICA DI ALLUNGAMENTO DELLA BANDELETTA ANTERIORE (e quindi tecnica di
allungamento della foglioletta di destra e della foglioletta di sinistra)
Ci poniamo con una mano a livello della
proiezione della foglioletta di destra ed una mano
a livello della proiezione della foglioletta di
sinistra. Ci poniamo con il busto diritto ed i gomiti
che vanno in fuori, successivamente,
agganciando la componente posteriore dell’arco
costale andiamo a trazionare verso il fuori (e
quindi verso l’esterno) con entrambe le mani.
Tecnica sui digastrici (e quindi sulle cupole, in quanto i muscoli digastrici
costituiscono le cupole)

Se a seguito del test e del bilanciamento, abbiamo riscontrato che è positiva la


cupola di destra, allora andremo a trattare i muscoli digastrici della cupola di destra
i quali si trovano subito al di sotto dell’arcata costale.

Come fare a capire se siamo sui muscoli digastrici?

Il muscolo digastrico è molto superficiale, e si


trova subito al di sotto dell’arcata costale, per
cui siamo sicuri di essere a livello dei muscoli
digastrici (e non a livello di altre strutture)
quando riscontriamo la densità subito al di
sotto dell’arcata costale. Se invece la densità
la riscontriamo:

Se invece la densità la riscontriamo a livello di una


asse un pochino più diagonale, allora saremo
sull’asse della coleciste.

Inoltre i muscoli digastrici non possono essere


confusi neanche con il fegato, in quanto il fegato
ha un bordo molto più interno e profondo.
Per normalizzare i muscoli digastrici (((e quindi le cupole))) abbiamo varie tecniche:
Tecnica di ponsage
La palpazione viene
Il paziente con gambe flesse e tronco leggermente eseguita da qui
sollevato, così da detendere la parete addominale.
Per cui andiamo ad effettuare una palpazione
(((partendo diciamo dalla parte più vicina al centro
frenico fino ad arrivare a livello di K11 circa)))
andando a valutare se vi sono dei punti di maggior
densità, ed una volta individuata l’area
maggiormente densa (((quindi una parte della A qui
cupola maggiormente densa e quindi la parte in
cui i muscoli digastrici sono maggiormente densi)))
ed andiamo ad effettuare un ponsage (il ponsage
può essere effettuato con i pollici in
contrappoggio <ovvero uno sull’altro> oppure
mettendo i pollici uno vicino l’altro) che va verso
l’alto ed il fuori (quindi in direzione della spalla) ed
aspettiamo che i digastrici si liberino (quindi che si rilascino).
Tecnica di trazionamento dell’arcata costale.
Andiamo ad agganciare l’arcata costale ed andiamo
a lavorare andando ad aprire l’arcata costale
(((quindi andiamo ad agganciare l’arcata costale ed
andiamo a lavorare andando ad aprire l’arcata
costale andando a trazionarla))). Per cui durante
l’inspirazione seguiamo ed apriamo la griglia
costale, mentre durante l’espirazione cerchiamo di
entrare maggiormente con le dita in profondità.

Ragionamento che il Professore si fa sul diaframma


Il diaframma è un organo tampone, per cui vuol dire che il diaframma sta tamponando diverse
forze in salita ed in discesa, per cui se abbiamo una positività ad una cupola (((e quindi ai muscoli
digastrici))) allora vorrà dire che il diaframma (((e nello specifico quella cupola))) è in sovraccarico,
per cui noi dobbiamo cercare di capire per quale ragione il diaframma è in sovraccarico.
Questo è il ragionamento che si deve fare tutte le vote che si tratta un sistema orizzontale
(((quindi una struttura orizzontale come ad esempio))) come il tentorio, la mandibola, lo stretto
toracico superiore, il diaframma ed il diaframma perineale.
Tecnica di apertura cupole/costale (molto incisiva) con paziente seduto (da usare
quando riscontriamo dei muscoli digastrici che non si rilasciano/fanno scollare o
dove abbiamo delle gabbie toraciche molto chiuse)
Questa tecnica è molto incisiva e viene utilizzata nei pazienti in cui vi è difficoltà a
scollare le componenti digitali (((e quindi i muscoli digastrici))) o dove abbiamo
delle strutture costali piuttosto chiuse (o estremamente rigide) che fanno fatica ad
aprirsi (((come quando ad esempio troviamo una cupola in inspirazione alta, in cui
le coste dal lato della cupola in disfunzione sono chiuse))), mentre non dobbiamo
usarla dove troviamo la gabbia toracica aperta (((come quando troviamo una
cupola in disfunzione di inspirazione bassa))).

Posizionamento del paziente


Poniamo il paziente a bordo del lettino, il più
possibile, inoltre possiamo porre un rullo al di
sotto delle ginocchia per rendere più
confortevole la posizione della paziente.
Prendiamo come esempio una cupola destra
come lato. Se il paziente non ha fastidio alla
spalla e lo sopporta, allora poniamo la mano del
nostro paziente sulla testa (sul vertex ).

Posizionamento delle mani


Successivamente scegliamo se conviene
mettere le nostre mani passandole da sotto
oppure da sopra (((secondo me conviene
effettuare la presa da sopra, perché ti
consente di aprire/allungare
maggiormente)))
Esecuzione della tecnica (sulla cupola di destra)
Per facciamo posizionare il paziente a bordo lettino, mettiamo un rullo al di sotto
delle ginocchia del nostro paziente (((in maniera tale che possa rilassare la zona del
bacino ed il tratto lombare))), successivamente andiamo ad agganciare o da sopra
la parte di cupola interessata ed andiamo a chiedere al nostro paziente di rilassarsi,
in facendolo appoggiare su di noi. Per cui una volta posizionato il paziente andremo
ad utilizzare il nostro bacino per spingere il
tratto lombare e toracico basso della nostra
paziente, ed inoltre andremo ad inclinare il
tronco dal lato opposto alla cupola in
disfunzione, in questa maniera andiamo a
ricercare la posizione che ci consente di aprire
maggiormente (((e quindi allungare))) la cupola
di destra. Una volta individuata la posizione che
ci consente di aprire maggiormente, andiamo a
chiedere al paziente una inspirazione (durante la
quale andiamo ad aprire l’emitorace <e quindi la
griglia costale> in cui abbiamo la cupola in
disfunzione, quindi l’emitorace destro) mentre
durante l’espirazione lasciamo tornare in
posizione la griglia costale, mentre noi entriamo
in profondità con le dita, e successivamente,
all’inspirazione successiva andiamo ad aprire
ulteriormente (quindi andiamo ad aprire
maggiormente rispetto all’inspirazione precedente) l’emitorace e quindi la griglia
costale.

È una tecnica molto incisiva perché intanto si lavora contro la gravità, possiamo
utilizzare l’inclinazione del tronco per effettuare l’apertura dell’emitorace (e quindi
della cupola in disfunzione) e ci consente di aprire moltissimo le strutture costali
che sono particolarmente chiuse ed estremamente rigide (((credo che intenda
come quando ad esempio abbiamo una inspirazione alta))), ma non su quelle
strutture costali aperte.
((( Quindi…
Questa tecnica viene utilizzata quando abbiamo una cupola (in disfunzione), in cui i
muscoli digastrici fanno fatica a rilasciarsi/allungarsi, inoltre la utilizziamo anche
quando troviamo quelle gabbie toraciche (arcate costali) particolarmente chiuse e
rigidi che fanno fatica ad aprirsi (come quando vi è una cupola in inspirazione alta).
Questa tecnica è molto incisiva, in quanto andiamo ad utilizzare l’inclinazione del
tronco ed il braccio del nostro paziente (posto dietro la testa) per andare ad aprire e
quindi andare ad allungare i muscoli digastrici che sono particolarmente densi e che
non si rilasciano.
Una volta posizionata la paziente a bordo lettino, poniamo un rotolo sotto le
ginocchia, così da non provocare tensione a livello del bacino e del tratto lombare, in
maniera tale che la paziente si possa rilassare, per cui la paziente si rilassa e si poggia
su di noi. Successivamente dobbiamo andare a trovare quella posizione che ci
consenta di allungare maggiormente la cupola (e quindi i muscoli digastrici che sono
particolarmente tesi) e quindi quella posizione che ci consenta di essere precisamente
su quei muscoli digastrici particolarmente densi, per andare appunto ad allungarli, e
quindi, per far ciò andiamo ad effettuare una spinta con il nostro bacino sul tratto
lombare della paziente (così da estenderlo) ed inoltre andremo ad inclinare il tronco
della nostra paziente per andare a ricercare la posizione in cui ci consenta di essere
precisamente a livello di quei muscoli digastrici particolarmente densi, andando così
ad allungarli.
Per cui una volta trovata la posizione che ci consente di essere precisamente su quei
muscoli digastrici particolarmente densi, andiamo a chiedere al paziente una
inspirazione durante la quale andiamo ad aprire maggiormente la gabbia toracica
(questo ci consentirà di andare ad allungare ulteriormente i muscoli digastrici, in
quanto questi si vanno ad inserire a livello delle coste, per cui se durante l’inspirazione
andiamo ad aumentare l’apertura del torace, adiamo ad allungare questi muscoli
digastrici), mentre durante l’espirazione facciamo ritornare la gabbia toracica in
posizione e contemporaneamente noi entriamo con le nostre dita in profondità.
All’inspirazione successiva andiamo ad aprire la gabbia toracica ma in maniera
maggiore rispetto a quella precedente (andando così ad allungare
ulteriormente/maggiormente i muscoli digastrici) mentre durante la fase espiratoria
entriamo ancora più in profondità con le dita. Continuiamo con la tecnica, fin quando
sentiamo che i muscoli digastrici si sono rilasciati/allungati e quindi sono meno densi.
)))
Tecnica di correzione sui pilastri
Facciamo posizionare la paziente prona sul lettino, con le mani sotto la fronte,
oppure in posizione di sfinge cercando di guardare leggermente verso l’alto (se
riesce a stare è meglio la posizione di sfinge, ma se le crea fastidio il collo <il quale
deve essere tenuto come se guardasse leggermente verso l’alto>, allora le facciamo
poggiare la fronte sopra le mani). Una mano viene posta a livello delle (((ultime)))
vertebre lombari (la tecnica è simile a quella effettuata per la fascia toraco lombare,
solo che in questo caso la mano craniale non si trova a livello delle basi sacrali, bensì
a livello delle vertebre lombari) mentre l’altra mano va posizionata (((credo vada
posizionata al di sopra della cerniera toraco lombare, quindi subito al di sopra di
D12))). Per cui andiamo ad aprire questo spazio, andando ad effettuare una spinta
verso l’alto della mano caudale (((anche se secondo me può essere fatta con
entrambe le mani, in quanto nel video il Professore effettua la tecnica con
entrambe le mani))).
(((la tecnica è molto simile a quella fatta in viscerale, per cui conviene andare a
vedere anche quella)))
Tecnica di Jackson su psoas e pilastro controlaterale disfunzionali
La tecnica Jackson viene utilizzata per trattare due strutture muscolari (a livello
fasciale) contemporaneamente e nello specifico una difsunzione dello psoas e del
pilastro controlaterale. Nello specifico: Se il paziente ha una pseudorotazione di
bacino dettata da una restrizione dello psoas, e che
questo quindi abbia portato da un lato l’iliaco (dal lato
dello psoas in disfunzione) in posteriorità, mentre dal
lato opposto l’iliaco in anteriorità (quindi ciò
determinerà una torsione del bacino) inoltre, di
conseguenza vi sarà una NSR lombare (compensativa)
la quale sarà detta sia sicuramente da un
accorciamento dettato dallo psoas, ma anche una
variazione della tensione del pilastro del diaframma (in
quanto esiste una continuità fasciale tra psoas ed i
pilastri <<<anche se non capisco il nesso, in quanto qui
la disfunzione è dello psoas e del pilastro
controlaterale, non dell’omolaterale, a meno che la
continuità fasciale si possa verificare anche con il
pilastro controlaterale>>>).

Esempio : Psoas di destra disfunzionale (quindi teso/accorciato)


Nel momento in cui abbiamo lo psoas di destra in disfunzione
ovvero accorciato (((anche se il professore dice anche teso))) vorrà
dire che il paziente si presenterà con l’iliaco destro posteriore,
un’inclinazione a destra (in quanto lo psoas di destra è accorciato)
ed una rotazione del busto controlaterale. Quindi avremo una
disfunzione dello psoad di destra ed una disfunzione del pilastro
controlaterale.
(quindi il paziente si presenta in studio con uno scift del bacino)

Prima di effettuare la correzione, andiamo a posizionare il paziente


nella sua posizione disfunzionale (((ovvero come si dovrebbe
presentare il paziente a seguito di una tensione allo psoas destro)))
Posizionamento del paziente in maniera disfunzionale
Per cui per andare a correggere contemporaneamente queste due disfunzioni,
andiamo a porre il paziente nella posizione disfunzionale, ovvero: il nostro paziente
presenta un iliaco in rotazione posteriore a destra ed un iliaco anteriore a sinistra,
per cui per porre l’iliaco destro in rotazione posteriore, andiamo posizionare l’arto
inferiore destro al di sopra dell’arto inferiore sinistro <<<quindi il piede destro sul
piede sinistro>>>), mentre per porre l’iliaco sinistro in rotazione anteriore, lasciamo
l’arto inferiore sinistro poggiato sul lettino. Inoltre essendo accorciato lo psoas di
destra, avremo una inclinazione del corpo
dal lato destro (quindi sia la parte inerente
gli arti inferiori che il tronco devono essere
inclinati a destra <<<come se fosse una
banana inclinata a destra> >> ed inoltre a
questa inclinazione avremo associata una
rotazione controlaterale e quindi una
rotazione del tronco a sinistra.

Posizionamento del paziente in corre zione


Se vogliamo effettuare una manovra unica per risolvere queste due
problematiche/disfunzioni, dobbiamo andare ad invertire i parametri (parametri
disfunzionali) per cui porremo l’iliaco di destra in rotazione anteriore (poggiandolo
sul lettino) mentre l’iliaco di sinistra in rotazione posteriore (per cui porremo l’arto
inferiore sinistro sopra quello di destra <<<ovvero metteremo il piede sinistro sopra
quello destro>>>), successivamente posizioniamo il paziente in inclinazione a
sinistra e rotazione destra (in questa maniera stiamo allungando lo psoas di destra,
mentre durante l’esecuzione della tecnica e quindi nel momento della rotazione a
destra, andiamo ad
allungare il pilastro
di sinistra, vedi
dopo).
Esecuzione della tecnica

(Per eseguire la tecnica, l’osteopata si pone dal lato dello psoas in disfunzione). Una
volta posizionato il paziente con i parametri invertiti, chiediamo al paziente di porre
le mani dietro la testa. Successivamente andiamo a fare punto fisso a livello della
cresta iliaca/SIAS mentre con l’altra mano andiamo ad agganciare La scapola ed
andiamo ad effettuare una trazione facendo effettuare una rotazione a destra al
tronco del paziente (((come se volessimo portare la spalla a guardare dal bordo del
lettino))), in questa maniera (ovvero attraverso l’inclinazione, ma soprattutto
attraverso la rotazione) andiamo ad allungare una buona parte dei fasci che
costituiscono il pilastro sinistro (mentre un’altra piccola parte del pilastro
<<<quindi una piccola quantità di fasci>>> non riusciamo ad allungarla perché ha
un andamento diverso dettato dalla cifosi).
(((La tecnica viene eseguita con l’intensione di andare a stirare/allungare lo psoas
di destra ed il pilastro di sinistra, quindi viene eseguita in maniera relativamente
lenta)))

2
RIPASSO LOGICO SUL MUSCOLO PSOAS

Il muscolo psoas ha due capi di origine: un capo origina dai processi


trasversi delle vertebre lombari, mentre l’altro capo origina dalla faccia
laterale dei corpi vertebrali e dal disco compreso tra due vertebre
adiacenti (contigue) che vanno da D12 a L4 (anche se il Kapandji riporta
che origina dalla dodicesima vertebra toracica e da tutte le vertebre
lombari). Questi due capi si uniscono e si dirigono in basso ed in fuori,
successivamente vanno ad unirsi al muscolo iliaco per poi andare ad
inserirsi a livello del piccolo trocantere.

Contrazione dello psoas


(((
Ho unito ciò che ho trovato sul Kapandji e sul Prometheus, inoltre ho inserito quello
che penso io sullo psoas e quindi cosa succede quando si contrae)
- Quando fa punto fisso sul femore ed effettua la contrazione: (((con la sua
contrazione bilaterale))) flette la colonna lombare rispetto al bacino ed inoltre
contemporaneamente attua una iperlordosi lombare. Mentre (((se si contrae
unilateralmente))) attua una inclinazione dal lato in cui si è contrae ed una
rotazione controlaterale (rispetto al lato in cui si contrae) del tronco.
- Facendo punto fisso sul rachide lombare, attua una flessione della coscia sul
bacino, una adduzione ed una extrarotazione della coscia.
)))

PILASTRI DEL DIAFRAMMA


I pilastri del diaframma, se sono contratti, dovrebbero causare una ipolordosi
lombare, in quanto, i pilastri del diaframma si trovano anteriormente ai corpi
vertebrali lombari, per cui se si contraggono, dovrebbero avvicinare i loro punti
distali, per cui se i punti distali si avvicinano dovrebbero causare una ipolordosi
lombare, oppure una iperlordosi lombare?
TEST SULL’ASSE APONEUROTICO CENTRALE (CENTRO FRENICO)

Introduzione
Il test viene effettuato prendendo in considerazione il centro frenico ed andando a
valutare così l’asse aponeuroitico centrale. Quando non riusciamo a capire quando
è una disfunzione sovradiaframmatica o sottodiaframmatica, e qual’è lo schema
maggiormente in disfunzione (((ovvero il sistema strutturale, il sistema viscerale o
il sistema craniosacrale))), questo test ci permette di/(ci aiuta ad) avere un’idea
dello stato del paziente.

Nel test dell’asse aponeurotico centrale, si cerca di percepire il movimento del


centro frenico rispetto agli elementi fissi. Normalmente il centro frenico sale e
scende, per cui in base a quanto scende ed a quanto sale, daremo un giudizio li
dove è collocata la disfunzione. Quindi se il centro frenico scende, ma fa fatica a
risalire vorrà dire che c’è qualcosa sotto che lo trattiene, mentre se sale e non
scende, allora vorrà dire che c’è qualcosa sopra che lo trattiene (in linea di
massima).

Normalmente la tecnica viene effettuata utilizzando come punto di mobilità il


centro frenico, e come punto fisso l’occipite. Sulla base di questo andremo ad
effettuare tre test per andare a testare i tre sistemi diversi ovvero:
Il sistema ectodermico <struttura>, il sistema mesodermico <visceri>, ed il sistema
endodermico <sistema autonomo o sistema craniosacrale>.
SPIEGAZIONE DELL’ASSE APONEUROTICO CENTRALE (e quindi della fascia profonda ad
indirizzo viscerale ed a indirizzo muscolare) (per poi capire il test)
Fascia profonda ad indirizzo viscerale
Siccome la fascia pro fonda che ha sede (quindi si inserisce) sul tubercolo faringeo,
sul margine inferiore della rocca petrosa e sulle apofisi pterigoidee (pterigoidi), e
successivamente va a rivestire la faringe (quindi andrà a rivestire i muscoli che
servono per l’atto deglutitorio come ad esempio il muscolo peristaffilino,
pterigoideo laterale, pterigoideo mediale e successivamente andrà a ricoprire i
muscoli costrittori della faringe (((superiore, medio ed inferiore))), e l’elevatore
della laringe), successivamente va a rivestire la laringe, e prosegue andando a
rivestire la trachea ed esofago, successivamente si unisce alla fascia media ad
indirizzo viscerale andando a formare così il legamento tiro-pericardico (il quale
scende longitudinalmente per andare a sostenere il pericardio), successivamente
riveste il pericardio e successivamente si andrà ad appoggiare sul centro frenico
attraverso il legamento freno-pericardico

Fascia profonda ad indirizzo muscolare

Una delle espansioni (e quindi una parte,) della fascia profonda ad indirizzo
muscolare (la quale appunto parte dalla struttura cervicale superiore), scende (ed
a livello di C7) rivestendo (e quindi diventando) i legamenti sospensori dei polmoni
(e quindi i legamenti sospensori degli apici polmonari, i quali sono il legamenti costo
pleurici, trasverso pleurici, e vertebro pleurici) e successivamente continuerà
andando a rivestire il polmone, il quale si appoggia sulle cupole del diaframma e
proprio a questo livello abbiamo degli sdoppiamenti della fascia. Questi
sdoppiamenti continuano poi con le strutture di rivestimento parietale della
struttura peritoneale (andando a costituire i legamenti triangolari i legamenti di
Rouviere i legamenti che sospendono lo stomaco, ed il fegato (((come il
legamento coronale))) poi successivamente continua, andando a rivestire tutti gli
organi viscerali (successivamente vedremo in che modo l’embriologia crea la
struttura peritoneale) ed una volta arrivato a livello dell’intestino tenue, la fascia si
invagina (((quindi si accolla))) e poi si sdoppia nuovamente, per poi andare a
ricoprire gli organi del piccolo bacino, e successivamente (((dopo aver ricorperto
gli organi del piccolo bacino))) gli organi del piccolo bacino poi si chiudono con la
fine di un centro tendineo che è il centro tendineo del perineo (((quindi questa
fascia che avvolge gli organi del piccolo bacino poi successivamente si va ad
accollare andando a formare un tendine che si inserirà a livello del centro tendineo
del perineo))). (((riepilogo logico sulla parte inerente la fascia profonda ad indirizzo
muscolare)))
Mentre la fascia profonda ad indirizzo muscolare… La fascia profonda ad indirizzo
muscolare (la quale origina dalla struttura cervicale superiore) presenta varie
espansioni (secondo le mie sbobinature sono tre espansioni), ed una di queste
espansioni (ovvero l’ultima espansione, la quale avviene a livello di C7) prosegue
andando a rivestire i legamenti sospensori dei polmoni (e quindi i legamenti
sospensori degli apici polmonari, i quali sono il legamenti costo pleurici, trasverso
pleurici, e vertebro pleurici) e successivamente continua andando a rivestire il
polmone, il quale si appoggia sulle cupole del diaframma e proprio a questo livello
abbiamo degli sdoppiamenti della fascia.
(((A questo punto non si capisce se gli sdoppiamenti continuano poi con le strutture di
rivestimento parietale della struttura peritoneale, oppure se il polmone una volta
appoggiato sulle cupole del diaframma attua degli sdoppiamenti che avvolgono precise
strutture, mentre la fascia dal polmone continua andando a costituire le strutture di
rivestimento parietale della struttura peritoneale, anche se io credo che la prima
opzione sia quella giusta, infatti il ragionamento logico continua con quella opzione
→)))
Questi sdoppiamenti continuano poi con le strutture di rivestimento parietale della
struttura peritoneale (((quindi dovrebbe essere il peritoneo parietale))) andando a
costituire i legamenti triangolari i legamenti di Rouviere i legamenti che sospendono
lo stomaco, ed il fegato (((come ad esempio il legamento coronale))) poi
successivamente continua, andando a rivestire tutti gli organi viscerali
(successivamente vedremo in che modo l’embriologia crea la struttura peritoneale) ed
una volta arrivato a livello dell’intestino tenue, la fascia si invagina (((quindi si accolla
suppongo andando verso l’interno))) e poi si sdoppia nuovamente, per poi andare a
ricoprire gli organi del piccolo bacino, e successivamente (((dopo aver ricoperto gli
organi del piccolo bacino))) la fascia che ricopre gli organi del piccolo bacino si unisce
(((quindi è come se si chiudesse questo sacco))) andando a formare il centro tendineo
del perineo. (((quindi secondo me la fascia che avvolge gli organi del piccolo bacino
<dopo aver rivestito gli organi del piccolo bacino> si unisce andando a formare un
tendine, il quale andrà ad inserirsi a livello del centro tendineo del perineo))).

Quindi vi sono una serie di sacche tra di loro comunicanti, ovvero abbiamo una loggia
viscerale del collo, una loggia toracica (in cui abbiamo il mediastino ed i polmoni) (((dai
polmoni →))) poi abbiamo uno sdoppiamento che crea una serie di sacche a livello
peritoneale, e poi un altro sdoppiamento a livello del piccolo bacino (il quale andrà a
formare una serie di setti per gli organi del piccolo bacino. Quindi è chiaro come vi
sia/c’è una certa continuità dal punto di vista fasciale/connettivale. Questa struttura
viene definita asse aponeurotico centrale.
(((correlazione tra centro asse aponeurotico centrale e ipofisi))) collegamento tra
sistema autonomo ed asse aponeurotico centrale
La fascia profonda trova inserzione sul tubercolo faringeo (ed inoltre a livello del
bordo inferiore della rocca pretrosa e delle pterigoidi), e proprio al di sopra del
tubercolo faringeo ed a fianco della SSB (è una sincondrosi che presenta una
plasticità) troviamo la sella turcica, con la presenza dell’ipofisi, ( da qui in poi non si
capisce cosa dica il Professore???quindi si esercita una sua convessità e quindi una
sua diminuzione??? Anche se io penso che intenda che durante il movimento di
flessione ed estensione si attua una tensione a livello della tenda del cervelletto) e
questo fa si che la tenda del cervelletto (essendo anaelastica), comprima l’ipofisi, e
quindi ad ogni ritmo ci sia una compressione ipofisaria ed un rilascio ormonale, e
quindi questo determina i nostri ritmi. Quindi se questo ritmo è elevato, avremo un
rilascio importante/maggiore di ormoni (((quindi aumento del rilascio ormonale)))
e quindi saremo in ortosimpatico tonia, mentre se il ritmo rallenta, anche il rilascio
ormonale rallenta (((per cui credo che intenda che siamo in parasimpatico tonia))),
inoltre, al di sopra dell’ipofisi abbiamo il passaggio del canale verso l’adenoipofisi,
il quale è un canale vuoto (((che dovrebbe essere l’unico posto vuoto nel nostro
corpo, mentre tutto il resto è pieno))).

(((Secondo me il professore ci ha detto queste cose, così da farci comprendere


come il movimento cranio sacrale possa influenzare il sistema autonomo (un
aumento del ritmo porta ad una ipersimpaticotonia, mentre una diminuizione del
ritmo ad una iposimpaticotonia), ed allo stesso tempo, il sistema cranio sacrale è
correlato (e quindi influenzato) al sistema fasciale attraverso l’asse aponevrotico
centrale, e quindi tutto ciò che si trova dentro questo asse. Inoltre, ovviamente
oltre all’asse aponevrotico centrale, abbiamo anche il sistema duramerico il quale
collega l’occipite al sacro). )))
ESECUZIONE DEL TEST

Posizionamento delle mani


Noi ci poniamo alla testa della nostra paziente ed andiamo a posizionare una mano
a livello dell’occipite (questa mano farà punto fisso a livello dell’occipite, in quanto
a livello occipitale e nello specifico a livello dell’apofisi basilare, abbiamo il
tubercolo faringeo, il quale è sede di inserzione dell’asse aponeurotico centrale),
mentre l’altra mano la poniamo a livello del centro frenico (l’appoggio è molto
leggero, il Professore dice che bisogna solo esserci). Per cui una volta posizionate
le mani, andiamo ad esaminare tutti e tre i sistemi (Il sistema ectodermico o anche
detto il sistema della materia <quindi la struttura>, il sistema mesodermico
<visceri>, ed il sistema endodermico <sistema autonomo o sistema craniosacrale>).
Esecuzione del test

- PRIMO TEMPO, SISTEMA DELLA MATERIA → STRUTTURALE


In un primo tempo andremo ad esaminare il sistema della materia (quindi il sistema
puramente strutturale), per cui durante il momento dell’inspirazione (quindi
durante l’inspirazione del nostro paziente) con la mano posta a livello del centro
frenico andiamo ad indurre (il centro frenico) verso il basso, mentre durante il
movimento di espirazione (quindi durante l’espirazione) andiamo ad indurre (il
centro frenico) verso l’alto. (((quindi andiamo ad indurre il centro frenico verso il
basso <<<credo attraverso una piccola spinta>>> e successivamente verso l’alto
<<<credo attraverso una piccola trazione>>>))). Per cui andiamo a valutare la
dinamica del centro frenico nel potersi abbassare e nel poter tornare su (ed
ovviamente noi andiamo a memorizzare questa informazione).

Nel caso della nostra paziente, il centro frenico ha più facilità a scendere che a
salire.

Induzione del centro frenico verso Induzione del centro frenico verso
il basso durante l’atto inspiratorio l’alto durante l’atto espiratorio

(((quindi per eseguire il primo tempo del test, durante l’inspirazione induciamo il
centro frenico verso il basso, mentre durante l’espirazione induciamo il centro
frenico verso l’alto ed ovviamente andiamo a valutare se si muove bene in entrambi
i sensi oppure se ad esempio scende bene, ma ha difficoltà a salire e viceversa e
memorizziamo quanto sentito)))
- SECONDO TEMPO, SISTEMA DEL MOVIEMENTO → VISCERALE
Nel secondo tempo andiamo a valutare il sistema del movimento (e quindi
ectoderma)(quindi il movimento viscerale) andandoci a basare sul ritmo
respiratorio, per cui andiamo a valutare su di un tempo inspiratorio, quanto scende
(il centro frenico) e su di un tempo espiratorio quanto sale (il centro frenico). (((il
centro frenico, fisiologicamente, durante l’atto inspiratorio scende, mentre
durante espiratorio sale)))
Nel caso della nostra paziente, il centro frenico tende maggiormente a scendere
che a salire (molto di più rispetto al tempo meccanico precedentemente testato,
per cui vorrà dire che c’è qualcosa che lo tira verso il basso).

Nel secondo tempo del test dobbiamo solo ascoltare il movimento


che effettua il centro frenico durante l’inspirazione e l’espirazione.

(((quindi per eseguire il secondo tempo del test, dobbiamo solo ascoltare i
movimenti che effettua il centro frenico durante gli atti respiratori, ricordando che,
in fisiologia, il centro frenico durante l’inspirazione si abbassa, mentre durante
l’espirazione si alza. Quindi andremo a sentire se si muove bene in entrambi i sensi
oppure se ad esempio scende bene, ma ha difficoltà a salire e viceversa e quindi
memorizziamo quanto sentito)))
- TERZO TEMPO, SISTEMA ………………… → CRANIO SACRALE / SISTEMA AUTONOMO

Nel terzo tempo andiamo a valutare il ritmo cranio sacrale. La mano in questo caso
sta ferma e sente. Quindi dobbiamo prima ascoltare con la mano posta a livello
dell’occipite il ritmo cranio sacrale della nostra paziente, e poi una volta percepito
il ritmo cranio sacrale a livello della mano posta a livello dell’occipite, dobbiamo
cercare di percepire la proiezione del ritmo cranio sacrale a livello della mano posta
sul centro frenico. (((Nella fisiologia))) Durante l’atto inspiratorio a livello cranio
sacrale (quindi durante il movimento di flessione craniale), il centro frenico sale,
mentre durante il movimento di estensione craniale il centro frenico scende.
Nel caso della nostra paziente qui risiedeva la disfunzione più importante tra i tre
sistemi, in quanto il centro frenico non sale proprio.
Nel terzo tempo del test dobbiamo solo ascoltare il movimento cranio sacrale che si proietta
a livello del centro frenico (quindi flessione ed estensione craniale)

La problematica del sistema nervoso autonomo (e quindi un suo squilibrio <quindi aumento dell’orto
o del para>) lo facciamo rientrare all’interno del sistema cranio sacrale, in quanto, lo squilibrio (del
sistema autonomo) avviene principalmente (e quindi è dettato) dalla dinamica dei liquidi cefalo
rachidiani (e quindi dalle fluttuazioni cerebrali). le fluttuazioni cerebrali aumentano o diminuiscono
(quando aumentano dovrebbero aumentare il tono orto, mentre quando diminuiscono dovrebbero
aumentare il tono para) a seconda del tempo di riassorbimento dei ventricoli.

(((quindi per eseguire il terzo tempo del test, dobbiamo ascoltare prima il
movimento cranio sacrale a livello dell’occipite e successivamente andiamo a
sentire la proiezione del ritmo cranio sacrale a livello del centro frenico (e quindi
a sentire il ritmo cranio sacrale e quindi a livello del centro frenico, ricordando
che durante la flessione craniale, il centro frenico si alza <sale>, mentre durante
l’estensione craniale, il centro frenico si abbassa <scende>). )))
Interpretazione del test
Quindi nel caso della nostra paziente, in tutti e tre i casi abbiamo un centro frenico
che scende bene in tutti e tre i sistemi, ma che non risale in nessuno dei tre sistemi,
per cui questo ci può portare a pensare che vi sia qualcosa (((quindi qualche
problematica/disfunzione))) al di sotto del diaframma, allora qual è il principale
protagonista di questa disfunzione?, c’è sicuramente una componente strutturale,
c’è sicuramente anche una componente viscerale, ma la problematica principale
risiede a livello craniosacrale e la struttura cranio sacrale che si trova al di sotto del
diaframma è il sacro (per cui avremo una responsabilità cranio sacrale inferiore).
inoltre, ALL’INTERNO DELLA PROBLEMATICA CRANIOSACRALE CI FACCIAMO
RIENTRARE ANCHE LE PROBLEMATICHE DEL SISTEMA AUTONOMO IN QUANTO
minuto 15
I VARI RISULTATI CHE POSSIAMO OTTENERE DAL TEST
(((la disfunzione viene denominata nel senso della maggiore mobilità, per cui
effettuando i tre tempi del test, andremo a valutare quale tra i tre sistemi è
primario, ad esempio:
Per cui per capire quale tra i tre sistemi è primario, andremo ad effettuare il test
nei suoi tre tempi: se a livello strutturale il centro frenico sale, ma non scende
(andremo a memorizzare questa escursione) ; a livello viscerale sale, ma non
scende (già possiamo iniziare a valutare quale tra i due sistemi sia prioritario,
rispetto l’altro, ovvero se ad esempio il centro frenico sale (maggiormente o come
il sistema precedente) ma scende meno rispetto al precedente ; successivamente
andiamo ad effettuare il test a livello cranio sacrale in cui il centro frenico sale
(quanto gli altri sistemi o più per esempio) ma scende ancora meno rispetto agli
altri sistemi, per cui arrivati a questo punto, il sistema cranio sacrale sarà il sistema
primario in disfunzione, in quanto rispetto agli altri due sistemi, il centro frenico
sale (come in tutti gli altri) ma scende ancora meno rispetto agli altri due sistemi.
(((quindi una volta eseguiti i tre tempi del test andiamo a valutare quale tra questi
tre test sia primario e quindi quale sistema sia primario rispetto agli altri due))):
Primarietà sistema cranio sacrale

1) Problematica sopra diaframmatica


Se durante il test meccanico, il centro frenico non scende, ma sale
Se durante il test respiratorio, il centro frenico non scende, ma sale
E se durante il test cranio sacrale, il centro frenico non scende, ma sale
allora la responsabilità è sopra diaframmatica (per cui il problema sarà legato al
ritmo craniosacrale del cranio e quindi dobbiamo andare a ricercare una
disfunzione nel cranio <per cui dobbiamo andare a fare i test sul cranio> (quindi
una disfunzione neurovegetativa, con una disfunzione craniosacrale). (quindi la
primarietà di questo sistema lo abbiamo nel momento in cui abbiamo una
disfunzione cranio sacrale oppure una disfunzione neurovegetativa)
(((Quindi la responsabilità è del sistema cranio sacrale e più precisamente la
lesione/disfunzione è localizzata a livello sopra diaframmatico, per cui dobbiamo
andare a valutare tutte le strutture cranio sacrali che si trovano al di sopra del
diaframma, ed in questo caso, le uniche strutture cranio sacrali localizzate al di
sopra del diaframma, sono il cranio, per cui vorrà dire che la disfunzione è
localizzata a livello del cranio, per cui dobbiamo andare ad effettuare i test sul
cranio <sulla SSB principalmente>.)))
2) Problematica sotto diaframmatica
Se invece il centro frenico scende, ma non sale, allora la responsabilità è del sistema
cranio sacrale e più precisamente la lesione/disfunzione è localizzata a livello sotto
diaframmatico, per cui dobbiamo andare a valutare tutte le strutture cranio sacrali
che si trovano al di sotto del diaframma, ed in questo caso, le uniche strutture
cranio sacrali localizzate al di sotto del diaframma, sono l’osso sacro, quindi
dobbiamo andare ad effettuare i test sull’osso sacro.
(((Quindi la responsabilità è del sistema cranio sacrale e più precisamente la
lesione/disfunzione è localizzata a livello sotto diaframmatico, per cui dobbiamo
andare a valutare tutte le strutture cranio sacrali che si trovano al di sotto del
diaframma, ed in questo caso, le uniche strutture cranio sacrali localizzate al di
sotto del diaframma, sono l’osso sacro, per cui vorrà dire che la disfunzione è
localizzata a livello dell’osso sacro, per cui dobbiamo andare ad effettuare i test sul
sacro.)))
Primarietà sistema viscerale
1) Problematica sopradiaframmatica
Se il sistema strutturale ed il sistema cranio sacrale vanno bene, e riscontriamo
invece che il sistema più disfunzionale è quello del movimento (Still lo definiva
piano del movimento) (quindi il viscerale), in quanto durante la respirazione il
centro frenico sale, ma non scende, allora vorrà dire che la responsabilità sarà di
una disfunzione viscerale sopradiaframmatica (quindi attraverso i test di pressione
andremo alla ricerca di un viscere localizzato nel torace, come il mediastino, il
cuore, i polmoni, ed i visceri della gola, Il quale sta causando una disfunzione).
(((Quindi la responsabilità è del sistema viscerale e più precisamente la
lesione/disfunzione è localizzata a livello sopra diaframmatico, per cui andremo a
valutare tutti i visceri che si trovano al di sopra del diaframma, ovvero tutti i visceri
della cavità toracica e del collo (come il mediastino, il cuore, i polmoni, ed i visceri
della gola). Quindi c’è uno di questi visceri che traziona il centro frenico verso
l’alto)))

2) Problematica sottodiaframmatica
Se il sistema strutturale ed il sistema cranio sacrale vanno bene, e riscontriamo
invece che il sistema più disfunzionale è quello del movimento (quindi il viscerale),
in quanto durante la respirazione il centro frenico scende, ma non sale, allora vorrà
dire che la responsabilità sarà di una disfunzione viscerale sottodiaframmatica
(quindi attraverso i test di pressione andremo alla ricerca di un viscere all’interno
della cavità addominale o del piccolo bacino che ci sta causando una disfunzione)
(((Quindi la responsabilità è del sistema viscerale e più precisamente la
lesione/disfunzione è localizzata a livello sotto diaframmatico, per cui andremo a
valutare tutti i visceri che si trovano al di sotto del diaframma, ovvero tutti i visceri
della cavità addominale e del piccolo bacino. Per cui andremo a fare i test di
pressione a livello dei visceri della cavità addominale e del piccolo bacino. Quindi il
centro frenico è trazionato verso il basso, in quanto c’è un viscere in disfunzione
che traziona il centro frenico vero il basso.)))
(LE CUPOLE DEL DIAFRAMMA APPARTENGONO ALLA PARTE VISCERALE.)
Primarietà sistema strutturale
1) Problematica sopra diaframmatica
Se riscontriamo che il sistema più disfunzionale è quello strutturale (quindi la
materia del nostro paziente), e quindi se a livello meccanico, il centro frenico sale,
ma non scende, allora abbiamo una responsabilità biomeccanica di tutte le
strutture sopradiaframmatiche (quindi dobbiamo andare a valutare <dal punto di
vista biomeccanico> dalle inserzioni diaframmatiche (quindi dai pilastri) in su,
quindi le vertebre toraciche (((credo anche le coste))), le vertebre cervicali e gli arti
superiori.
(((Quindi la responsabilità è del sistema strutturale e più precisamente la
lesione/disfunzione è localizzata a livello sopra diaframmatico, per cui andremo a
valutare tutte le strutture biomeccaniche che si trovano al di sopra del diaframma,
come i pilastri, le vertebre toraciche, le coste, le vertebre cervicali e gli arti
superiori)))

2) Problematica sotto diaframmatica


Se riscontriamo che il sistema più disfunzionale è quello strutturale (quindi la
materia del nostro paziente), quindi vorrà dire che li risiede la sua disfunzione, per
cui se durante il test meccanico il centro frenico scende, ma fa fatica a risalire, allora
abbiamo una responsabilità biomeccanica di tutte le strutture
sottodiaframmatiche (quindi dal punto di inserzione posteriore del diaframma <e
quindi partendo dai pilastri>, quindi da li in poi è tutto un problema articolatorio
vertebrale, pilastri, vertebre lombari, ed una porzione delle vertebre toraciche,
sacro, sacroiliache, ed arti inferiori, oppure una disfunzione di natura muscolare
che riguarda la parte strutturale della persona.
(((Quindi la responsabilità è del sistema strutturale e più precisamente la
lesione/disfunzione è localizzata a livello sotto diaframmatico, per cui andremo a
valutare tutte le strutture biomeccaniche che si trovano al di sotto del diaframma,
come i pilastri, le vertebre lombari, una porzione delle vertebre toraciche (quindi
le vertebre dorsali basse), il sacro (quindi le sacroiliache), gli arti inferiori, ed inoltre
una disfunzione di natura muscolare che riguarda la parte strutturale della
persona.)))
TABELLA RIASSUNTIVA DEL TEST E DEI SUOI RISULTATI

➢ Priorità cranio sacrale


1) Il centro frenico sale, ma non scende → problematica sopradiaframmatica (la
disfunzione sarà localizzata a livello del cranio, per cui bisognerà andare a valutare e
quindi testare il cranio).

2) Il centro frenico scende, ma non sale → problematica sottodiaframmatica (la


disfunzione sarà localizzata a livello dell’osso sacro.

➢ Priorità viscerale
1) Il centro frenico sale, ma non scende → problematica sopradiaframmatica (la
disfunzione sarà localizzata a livello di: mediastino, cuore, polmoni, visceri della gola).

2) Il centro frenico scende, ma non sale → problematica sottodiaframmatica (la


disfunzione sarà localizzata a livello di un viscere della cavità addominale oppure un
viscere del piccolo bacino)

➢ Priorità strutturale
1) Il centro frenico sale, ma non scende → problematica sopradiaframmatica (la
disfunzione sarà localizzata a livello di: pilastri, vertebre toraciche, coste, vertebre
cervicali, arti superiori)

2) Il centro frenico scende, ma non sale → problematica sottodiaframmatica (la


disfunzione sarà localizzata a livello di: ultime vertebre toraciche (vertebre dorsali basse),
vertebre lombari, sacro (sacroiliache), arti inferiori, inoltre anche una disfunzione di
natura muscolare che riguarda la parte strutturale della persona.
Quindi questo test…
Se un paziente ha per esempio varie disfunzioni, di varia entità, ad esempio: una
disfunzione del sacro da un punto di vista cranio sacrale, una disfunzione viscerale
di un paio di organi, una vertebra cervicale, la caviglia, la spalla, e non sappiamo da
dove iniziare ed appunto non sappiamo cosa sia responsabile di cosa, in quanto non
vi e’ una causa effettiva (come ad esempio una caduta e dalla quale sono iniziati i
problemi del paziente), per cui facciamo questo test che ci dice che tra tutte quelle
disfunzioni, quella che le sta dando maggior fastidio è proprio (quella che
riscontriamo primaria nel test).

Quando conviene usare questo test?


domanda: conviene partire direttamente con questo test, oppure conviene farlo
alla fine? il professore risponde che lui non inizia mai con questo test, in quanto lui
fa sempre prima tutta la batteria di test di pressione (in quanto nella maggior parte
dei casi in 5/10 minuti si testa tutto il corpo e si definiscono due o tre aree
maggiormente dense e si riesce anche a definire anche le lesioni <quindi è molto
rapido>, mentre il professore utilizza il test sull’asse aponeurotico centrale quando
ci sono moltissime disfunzioni e lui non riesce a capire da dove iniziare a partire (in
quanto il paziente presenta molte problematiche nel corpo, tipo dolore al
ginocchio, dolore all’anca, dolore alla schiena, dolore alla spalla, cefalea, dolore al
gomito).
VALUTAZIONE DEL RESPIRO DEL NOSTRO PAZIENTE
Possiamo avere pazienti che hanno una respirazione molto antero posteriore e
questo durante il secondo tempo del test (ovvero sul sistema viscerale) diventa
molto forviante (quindi che ci può indurre a sbagliare).
L’osservazione del ritmo respiratorio (quindi in termini osservazionali) (e quindi
in questo caso specifico il respiro antero posteriore), ci porta/induce già a capire
che il respiro è estremamente alterato (in quanto il nostro paziente non utilizza
le cupole) in quanto non apre il costato.

➢ Respiro antero posteriore


Quando c’è un respiro molto antero posteriore, vuol dire che le cupole non
stanno lavorando (infatti non vi è un’apertura antero posteriore del costato),
mentre sta lavorando molto il centro frenico (rispetto al resto
). Quindi con il respiro antero posteriore sarà molto implicato il sistema
craniosacrale.

➢ Respiro supero inferiore


Quando il paziente ha un respiro molto alto basso (quindi supero/inferiore
<<<quindi su di un asse verticale>>>) allora vuol dire che stanno lavorando
fortemente i pilastri.

➢ Respiro latero laterale


Mentre quando vediamo quei respiri molto latero laterali, allora è piuttosto
implicato il sistema viscerale.
Per effettuare un buon ascolto cranico, bisogna essere concentrati, ma non
assopiti, bisogna avere i piedi ben piantati a terra e la schiena diritta e gli occhi
aperti.

Per effettuare l’ascolto cranio sacrale sul centro frenico, dobbiamo utilizzare tutta
la mano, in quanto i recettori sono fortemente distribuiti.

La disfunzione principale la definiamo a sensazione, ovvero quello che sentiamo


come primario

SBOBINATURE FATTE FINO AL GIORNO 19/01/2020 (3° ANNO)


RIFLESSIONI PERSONALI

L’Osteopata valuta il corpo nella sua globalità:


- La lettura iniziale del corpo, viene effettuata attraverso la valutazione della
postura del paziente (e quindi la posizione del suo corpo nello spazio). Effettuiamo
la valutazione della postura, per andare a vedere come si presenta il corpo del
nostro paziente nello spazio. A seguito di questa visione, è possibile effettuare
qualche ragionamento anatomico – logico per andare a capire come quel corpo sia
strutturato(e quindi andare a vedere tutto il corpo sui tre piani dello spazio e
valutare appunto dalla testa ai piedi, come è organizzato). Per cui a seguito della
valutazione posturale, ci siamo fatti delle idee riguardo alle aree del corpo che
magari in quel momento stanno soffrendo maggiormente o che si trovano in
disfunzione ed i vari adattamenti (e quindi anche i compensi) che il corpo attua
(come ad esempio a seguito di disfunzioni, come il posizionamento del rachide
cervicali per mantenere l’orizzontalità dello sguardo) per consentire la vita al corpo.

Una disfunzione, causa nel corpo un adattamento, con conseguente aumento del dispendio di
energia ( mentre il corpo lavora sempre cercando il risparmio energetico, ovvero cerca sempre il
modo migliore per posizionarsi, cercando di spendere meno energie possibili).

Per cui noi lavorando a livello della massima densità del paziente, correggendo la disfunzione, e
successivamente, il corpo del nostro paziente potrà tornare ad avere un miglior equilibrio e quindi
un minor dispendio energetico.

- Ma la vera valutazione del corpo, si effettua attraverso la palpazione del paziente,


quindi la MANO andrà così a valutare quali zone presentino l’alterazione del
tessuto. Una volta individuate tutte le aree con alterazione del tessuto, si bilanciano
per andare ad evidenziare l’area maggiormente alterata (che normalmente
corrisponde all’area maggiormente densa e quindi dura del corpo).
Successivamente si andrà a denominare la disfunzione presente nell’area di
massima alterazione tissutale. Dopo la correzione della disfunzione ( e quindi dopo
la fine del trattamento si andrà a valutare nuovamente il paziente nei vari piani
dello spazio (e quindi a livello posturale) per valutare come il corpo si sia modificato
a seguito del nostro intervento manipolativo.
Quindi osserviamo il paziente a livello posturale per vedere come il corpo si
presenta e si sta adattando. Attraverso la valutazione posturale ci facciamo un’idea
delle varie zone di sofferenza (zona dove presumibilmente vi è la disfunzione
primaria) ma questa resta solo un’ipotesi, in quanto, solo attraverso la palpazione
abbiamo la possibilità di individuare e valutare le strutture che sono effettivamente
in disfunzione (e quindi testarle e normalizzarle). La normalizzazione della/e
strutture in disfunzione, porterà ad una modificazione della postura (((la quale è
influenzata sia da fattori intrinseci che estrinseci???))) la quale porterà il soggetto
a migliorare il suo baricentro e quindi al consentire al corpo di consumare meno
energia (con conseguente aumento della qualità della vita).

Tensegrità
Essendo il corpo un tutt’uno, è chiaro come anche una piccola disfunzione a livello
vertebrale, possa ripercuotersi su tutto il corpo stesso e quindi creare dei problemi
non solo nel luogo in cui vi è effettivamente la disfunzione, ma anche in territori
molto distanti da essa. Questo avviene perché secondo il concetto di tensegrità,
abbiamo delle impalcature tridimensionali che consentono di avere sostegno e
malleabilità a tutte le strutture biologiche del corpo, andando dal micro al macro.
Per cui vedendo il corpo come un’intera struttura tensegrile, risulta chiaro come
una disfunzione vertebrale possa ripercuotersi a livello di tutto il corpo.
Per cui io suppongo che tutte queste strutture tensegrili che parto dal micro (ad
esempio il citoscheletro della cellula) le quali successivamente sommandosi tra di
loro vanno a formare delle macro strutture tensegrili (come ad esempio l’osso)
siano messe in collegamento attraverso la fascia (motivo per il quale, se traziono
in un punto ben preciso, posso avere una risposta su tutto il resto del corpo)

Per cui una volta trovata una disfunzione di una struttura (ad esempio un organo
come il fegato) bisogneà pensare che la problematica può essere riferita con segni
clinici diretti all’organo stesso (come ad esempio congestione venosa, linfedemi,
cattiva digestione, problematiche epatiche) che con segni clinici riferiti, ovvero
riferiti a tutto quello che ha a che fare con quell’organo, e quindi bisognerà
valutare:
quindi ad esempio una problematica al fegato →
dove è posizionato l’organo (dolore locale, ovvero dove è posizionato l’organo)
i contatti che l’organo presenta con le altre strutture anatomiche (stomaco,
flessura colica destra, duodeno, rene, ghiandola surrenale destra, costole)
problematiche riferite all’innervazione (dal punto di vista sensitivo nervo frenico,
del punto di vista neurovegetativo grande splancnico)
dal punto di vista fasciale

IN RELAZIONE AL SEGNO CLINICO CHE PRESENTA IL PAZIENTE, bisogna capire


appunto quel segno clinico a quale struttura appartiene (sia in maniera diretta
<quindi un organo preciso ad esempio> che in maniera indiretta <e quindi un segno
clinico dato da un altro organo (fisiologico) che è a contatto con l’organo che
effettivamente è in disfunzione, quindi nel caso del fegato come organo primario
possiamo avere problematiche legate al duodeno, al rene destro, al colon.

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