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Microbiologia clinica, lezione 2 Prof.

Blasi Burani, Ghelfi, Luppino

LE INFEZIONI OSPEDALIERE (I.O.) O


INFEZIONI CORRELATE ALL’ASSISTENZA
(I.C.A.)
Sono un problema estremamente importante poiché qualunque attività assistenziale porta con sé il
rischio di trasmettere infezioni.
Le infezioni ospedaliere o nosocomiali (in inglese H.A.I. hospital acquired infections) sono
quelle infezioni che insorgono durante il ricovero in ospedale o subito dopo le dimissioni e che non
sono manifeste clinicamente né in incubazione all’ingresso.
Col tempo la letteratura ha modificato il termine in infezioni correlate all’assistenza sanitaria,
perché le interazioni col paziente sono cambiate e c’era necessità di ampliare la definizione a tutti
gli altri contesti di interazione del paziente col personale sanitario anche fuori dall’ospedale. Sono
tutti gli eventi infettivi correlati all’assistenza del paziente (ospedali, case di cura, RSA, assistenza
domiciliare e ambulatoriale). Si pensi ai malati cronici e allettati, con piaghe da decubito o per
diabete.
Non solo il paziente ma anche il personale sanitario e ausiliario può contrarre queste infezioni.
I.O. e I.C.A. sono tra i principali indicatori di qualità dell’assistenza sanitaria. Tanto più la loro
frequenza è bassa tanto più si può parlare di alta qualità del presidio sanitario o del nosocomio.
Spesso si attribuiscono ad errori nelle pratiche assistenziali la maggior parte dei quali prevenibili.
Negli ultimi anni si è fatto moltissimo in questo senso anche a Modena.
Inizialmente le infezioni ospedaliere erano quelle acquisite durante il ricovero (comparse dopo 48
dal ricovero o entro 48 dalla dimissione: periodo indicativo che non riflette il periodo di incubazione
differente delle varie infezioni). Circa 1/3 delle infezioni si potrebbero evitare modificando le
procedure di assistenza e interazione tra personale e pazienti. Vi sono una serie di
raccomandazioni del CDC e l’ECDC (europeo) che definiscono le modalità e le linee guida per
l’adeguata gestione dei pz.
Il 5-10% dei pz ospedalizzati possono sviluppare queste infezioni.
Il 90% delle infezioni sono endemiche, ovvero i patogeni che le causano sono già all’interno
dell’ospedale, il 6% si sviluppa in cluster e il 4% provoca epidemie.
Il rischio di contrarre una I.O. è legato:
➔ alla suscettibilità dell’ospite (condizioni di salute del pz)
➔ alla trasmissibilità dell’agente patogeno (la facilità di contagiare altri)
Esiste un Comitato ospedaliero di Controllo delle Infezioni, cioè un team multidisciplinare che
cerca di contrastare la diffusione delle I.O.
Queste infezioni sono in costante espansione (negli ultimi 30 anni si è visto un aumento
significativo) per:
- Aumentato numero di pz suscettibili, più anziani, fragili, ripetutamente trattati e
costantemente controllati
- Piu manovre effettuate, indagini più sofisticate
- Aumento del numero di persone coinvolte nel trattamento delle persone (personale
multidisciplinare, caregivers, oss,..)

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- Aumento dell’uso degli antibiotici (soprattutto nei pz fragili) determina un aumento delle
specie rare o antibiotico-resistenti a causa dell’uso di profilassi che crea disbiosi e facilita
questi microrganismi.
Tutto ciò ha reso necessaria la creazione di modelli e percorsi da seguire per ridurre il più possibile
le infezioni eliminabili. A Modena è stato stabilito un comitato di sorveglianza attiva che ricerca i
patogeni più significativi e screena i pz più a rischio di sviluppo di I.O.
Gli obiettivi del Comitato di Controllo delle infezioni sono:
- Definire la strategia di lotta contro le infezioni in ambito assistenziale a seconda del reparto
e della categoria dei pz
- Verifica l’efficacia e la validità dei programmi di sorveglianza
- Cura la formazione culturale e tecnica del personale in materia
- Coordina diversi progetti
- Fa report per controllare la situazione delle I.O.
In 5 anni a Modena è stato abbattuto l’uso degli antibiotici e la diffusione di batteri resistenti, con
meno malati e morti e il risparmio di 1,3 milioni di euro di spese totali.
Le infezioni sono provocate da m.o. sentinella detti alert MO (es. MRSA, S. Pyogenes, S.
Pneumoniae, Enterococchi, C. Difficile, Gram- carbapenemasi resistenti, H. Influenzae, P.
Aeruginosa) ma la lista continua a espandersi (Acinetobacter Baumanni) e il loro rilievo
epidemiologico è dovuto al fatto che:
- Causano infezioni gravi
- Sono facilmente trasmissibili (focolai epidemici)
- Sono multi-farmaco resistenti (fallimento terapeutico)
- Spesso sono endemici e tendono a resistere in ospedali, RS, case di cura
Possono causare infezioni
- Endogene (auto-infezioni) quando il pz ha già un agente colonizzante o che causava
infezioni localizzate che dopo l’intervento causa una sepsi
- Esogene
o crociate (tra due pazienti o tra personale e paziente)
o ambientali (aria, polvere, endoscopi, detergenti, ventilatori,..)
Le vie di trasmissione sono:
- contatto tra fonte e ospite recettivo (si deve lavorare sul comportamento delle persone)
es. Stafilococchi della pelle, delle mucose, delle pliche, Enterococchi, Pseudomonas
- acqua WATER-BORNE (es. Legionella e Pseudomonas che ristagnano dove c’è acqua)
- aria AIR-BORNE (da secrezioni umane o dal movimento)
es. Legionelle, Micobatteri, Influenza, Streptococco, Coronavirus
- prodotti biologici BLOOD-BORNE (da fluidi biologici, sangue, emoderivati, organi
trapiantati)
- alimenti
- disinfettanti usati in diverse stanze
Fonti di trasmissione:
- umana
- ambientale

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FONTE INFETTA: i soggetti sono


infettivi solo per un periodo limitato, che
può iniziare già nel periodo di
incubazione o meno e protrarsi anche
dopo la guarigione clinica a seconda
del tipo di m.o. (epatite A e B, morbillo,
varicella, influenza, TBC, salmonella)1.

FONTE COLONIZZATA: il pz è
portatore asintomatico di infezione (E.
Coli, Pseudomonas, S. Aureus) per
lunghissimo tempo e perciò ne sono
fonte a lungo termine.

Fattori predisponenti dell’ospite:


- età molto anziana
- immunodepressione
- malattie sottostanti
- traumi occasionali (ustioni)
- interventi chirurgici ricostruttivi, demolitivi, salvavita o estetici
Come sono distribuite queste I.O.?
o 35-40% nelle vie urinarie perché capitano nell’anziano cateterizzato, richiesto quasi
sempre.
o 20% nelle ferite chirurgiche dipendenti dal tipo di ferita e dalla durata dell’intervento
o 15% nell’apparato respiratorio in chi ha già problemi del tipo
o 4-8% nel sangue, batteriemie che possono evolvere in sepsi e shock settico con alta letalità
I principali agenti eziologici sono elencati nella slide e verranno tutti ripresi.

Gli ESBL determinano farmaco resistenti e facilmente sono trasmissibili tra specie patogene molto
diverse tra di loro.

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Da slide
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GRAM POSITIVI
STAPHYLOCOCCUS AUREUS MRSA
Gram + che ha acquisito la resistenza
alla meticillina.
I suoi fattori di virulenza sono:
- proteasi
- catalasi
- coagulasi
- DNAasi
- Tossine
Causa tossinfezioni fino allo shock
tossico e alla cute ustionata dei
bambini. Produce con estrema facilità
biofilm sui cateteri, sulle valvole
cardiache, sulle ustioni. La resistenza
è contro tutte le penicilline, le
cefalosporine e i carbapenemi,
chinolonici, macrolidi e amminoglicosidi: si restringe così la possibilità terapeutica.
Il Portogallo, l’Italia, la Romania e la Grecia hanno visto un aumento significativo dal 2015 dei
ceppi MRSA, mentre nel resto dell’Europa il trend è in discesa. Il problema da noi è importante.

STAFILOCOCCHI COAGULASI NEGATIVI


Gram + ospedalieri emergenti e multi-
resistenti. Produce molto biofilm su
cateteri venosi, vescicali, su protesi
endocardiche e articolari. La sua
meticillino-resistenza si associa a quella
a chinolonici, macrolidi, lincosamidi e
amminoglicosidi. Inoltre, sono sempre
più frequenti i ceppi di S. Epidermidis
resistenti anche alla teicoplanina (una
delle ultime armi che ci rimanevano).
A volte riscontrare casi di emocoltura
positivi per S. Epidermidis solo in 1 set
(un solo catetere periferico, ad esempio,
e non quello centrale) può essere dovuto
a una contaminazione della coltura e
non ad una infezione disseminata.

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ENTEROCOCCUS FAECIUM VRE


(vancomicina resistente)
Gram + associato alla produzione di
biofilm su cateteri. Produce beta-
lattamasi che determinano resistenza alle
penicilline (anche associate agli inibitori
delle beta-lattamasi), cefalosporine e
carbapenemi.
La resistenza alla vancomicina
8glicopeptide) è stata associata a diversi
geni vanA, vanB e vanC.
In Italia anche questi ceppi sono
aumentati in 5 anni dall’11% al 21%.

GRAM NEGATIVI
ENTEROBATTERI ESBL+ (beta-lattamasi a spettro esteso)
Gram – di cui fanno parte E.Coli, Klebsiella, Serratia, Proteus, Enterobacter.
Essi sono la prima causa di infezioni ospedaliere soprattutto del distretto urinario (UTI) e si
ritrovano anche in molte infezioni acquisite in comunità. Sono molto abbondanti nelle mucose dei
pazienti e nel personale e quindi è facile che se sottoposti alla pressione antibiotica compaiano i
ceppi antibiotico resistenti, cioè i beta-lattamasi a spettro esteso. Resistono infatti a penicilline
senza inibitori, cefalosporine, talvolta fluorochinoloni, trimetoprim+sulfametossazolo e
amminoglicosidi.
In Italia la situazione è stazionaria, ma peggiore del resto dell’Europa. La situazione rimane
allarmante.

KLEBSIELLA PNEUMONIAE
È il patogeno MDR più comune in
Italia e in Europa. Si osserva per
fortuna un leggero calo dal 2015
grazie all’educazione sanitaria del
personale ospedaliero, del territorio e
delle lungodegenze. La Grecia è
messa molto male.
La resistenza è dovuta alla
produzione di carbapenemasi e oggi
sono in aumento anche i ceppi detti
XDR (extended-drug resistance).

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PSEUDOMONAS AERUGINOSA
Gram – con resistenza intrinseca a
penicilline e carbapenemi, sia
intrinseca che acquisita tramite
plasmidi (carbapenemasi, modifiche
della parete e espressione di porine).
In molti casi è resistente anche a
fluorochinoloni e amminoglicosidi. Si
può usare ancora la colistina (ancora
per poco).
L’Europa orientale ha prevalenza
elevata di questi ceppi, il resto va
meglio e l’Italia si trova nel mezzo,
con un calo negli ultimi 5 anni grazie
alla sensibilizzazione.

ACINETOBACTER BAUMANNII
Gram– emergente in ospedale. Molto
temuto perché persiste nell’ambiente
per mesi (su superfici, strumenti e
suppellettili). Acquisisce e trasmette
facilmente resistenza a carbapenemi
tramite coniugazione di
carbapenemasi di classe diverse. È
sensibile alla colistina, ancora per
poco.
In Europa tutti i paesi sud e orientali
fino alla Lapponia sono flagellati dai
ceppi che sono per l’80% MDR,
compresa l’Italia.

ALTRI BATTERI GRAM- MDR


Causano patologie rare ma molto temute perché colpiscono forti immunodepressi.
- BURKHOLDERIA CEPACIA: causa infezioni respiratorio con outcome negativo soprattutto
in chi ha fibrosi cistica.
- STENOTROPHOMONAS MALTOPHILA: infezioni invasive, sepsi, in pz lungamente
ospedalizzati. Batterio ossidasi +, MDR, capace di acquisire per coniugazione resistenza
anche da batteri filogeneticamente molto lontani.

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CLOSTRIDIUM DIFFICILE
Gram + anaerobio, sporigeno,
refrattario al trattamento di detersione
e disinfezione.
Patogeno ospedaliero molto temuto
per l’elevata diffusibilità perché se non
si interviene rapidamente è facile che
causi focolai. Si localizza nell’intestino
e si riattiva a causa della disbiosi per
trattamento antibiotico protratto. Le
sue tossine A e B agiscono a livello
della trasmissione di segnali
intercellulari che determinano
apoptosi con disfunzione cellulare. Si
determina un danno tissutale
importante con diarrea sino alla colite
pseudomembranosa (alta letalità).
La patologia è stata combattuta con la somministrazione di m.o. commensali benefici.

LEGIONELLA
Gram – presente nell’acqua, agente
eziologico di piccoli focolai epidemici nelle
RSA. Facile è fare screening ricercando
l’antigene urinario e anticipare così il
trattamento antibiotico rispetto all’esame
definitivo dell’espettorato e del
broncolavaggio.

IL RUOLO DEI MICETI NELLE I.O.


Altri patogeni che hanno particolare rilevo nelle infezioni nosocomiali sono i miceti pluricellulari
filamentosi, soprattutto ambientali che però in condizioni di scarsa igiene o lavori di ristrutturazioni
possono circolare largamente.
ASPERGILLUS
Fumigatus e Terreus sono agenti eziologici di polmoniti acute e aspergillosi polmonare invasiva.
CANDIDA
Le infezioni sono sia esogene che endogene, per l’elevata presenza del patogeno nelle mucose.

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Causa micosi opportunistiche, soprattutto la Albicans, seguita da Glabrata, Krusei e Parapsilosis


(in aumento). Sono forti produttrici di biofilm sui CVC e resistenti agli azoli, utilizzati a scopo
profilattico (soprattutto la Glabrata).
PNEUMOCISTIS JIROVECII
Causa la polmonite interstiziale severa
nell’immunodepresso, problema
importante con sintomi che possono
comparire dopo molto tempo e quadro
clinico difficilmente diagnosticabile,
poiché non coltivabile, ma diagnosticato
solo tramite la ricerca degli antigeni e
dell’acido nucleico tramite PCR (che
riesce a identificare i vari genotipi che
possono avere diverso peso).
CRYPTOCOCCUS NEOFORMANS
Da 15 anni con la HAART è di difficile
riscontro.

VIRUS
- Virus influenzale e parainfluenzale, respiratorio sinciziale, soprattutto in ambito pediatrico,
trasmissibili per via aerea
- Virus epatitici e HIV
- Virus herpetici che riemergono come infezioni endogene
- Citomegalovirus nel trapiantato e nei neonati

IMPATTO DELLE I.C.A.


Sono generalmente patologie infettive a grosso impatto, che colpiscono pz anziani e lungodegenti,
che hanno evoluzione severa che prolunga i tempi di degenza con rischio di sviluppare ulteriori
infezioni e aumento dei costi di assistenza. Sono spesso necessarie terapie specifiche aggiuntive
alla patologia di base, aumentandone gli effetti collaterali. L’impatto sul paziente è anche relativo al
suo diventare fonte aggiuntiva di infezione, e ciò complica la gestione del reparto e dell’unità
operativa contaminati.

Come si possono ridurre le problematiche? 1/3 delle infezioni è legata a errori modificabili.

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L’eziologia è multifattoriale:
- Caratteristiche del paziente (non modificabili)
o Età, gli over 65 anni hanno il doppio della probabilità di ammalarsi dei più giovani
gli over 85 hanno un rischio 5 volte maggiore
o Deficit immunitari (radioterapia, leucemia, trapiantati)
o Gravità della malattia di base (il rischio aumenta di 3 volte)
- Invasività della procedura
o Catetere ha invasività importante e su di esso aderiscono S. Aureus e Coagulasi
negativo, Candida, grazie alla produzione di biofilm che rende il catetere refrattario
a qualsiasi trattamento e detersione. Talvolta siamo costretti a rimuovere il
dispositivo per eliminare la carica microbica. Dobbiamo puntare a usare nuovi
materiali meno adesivi (Teflon) o utilizzare additivi che rendano le superfici meno
adatte alla formazione del biofilm.
- Origine dei ceppi
o Reservoir, esiste un vettore (pz colonizzato, ambiente non sanificato, personale
infetto) che è fonte di infezione. Bisogna riconoscerlo per bloccare il focolaio.
o Mutazioni, che compaiono per inappropriato uso dell’antibiotico. Bisogna studiare
come è stato gestito il paziente e il reparto.
Per cercare di gestire e delimitare le infezioni correlate con l’assistenza è importante agire su più
fronti:
• sorvegliare/ controllare queste infezioni, come emergono e quindi fare una “fotografia” dei
diversi reparti, ambulatori e contesti in modo da impostare misure preventive che possano
ridurre al massimo il rischio di entrare a contatto con l’agente infettivo o, eventualmente, se il
contagio avviene bisogna controllarne l’impatto attraverso una diagnosi rapida e l’individuazione
di una terapia il più mirato e ristretta possibile nello spettro d’azione.
• formare personale dedicato al trattamento dei pazienti, soprattutto nelle aree critiche di terapia
intensiva e chirurgica (es: la neonatologia, la terapia intensiva neonatale e generale, il centro
oncologico…).
• Formalizzare protocolli di sorveglianza attiva, ovvero di screening costante, con personale
dedicato, linee guida e flussi informativi molto attivi che si muovano in tempo reale per permettere
il costante monitoraggio, censimento, gestione e blocco delle infezioni nei diversi presidi.

CONTENIMENTO DELLE INFEZIONI CORRELATE ALL’ASSISTENZA


Da un punto di vista sanitario, quello che si può materialmente effettuare per contenere le infezioni
correlate con l’assistenza è:
1. La bonifica di strumenti e ambienti;
2. La sensibilizzazione degli operatori sanitari all’adottare comportamenti atti ad evitare le
infezioni crociate (tra diversi pazienti / tra pazienti e sanitari); come il lavaggio delle mani e
l’isolamento da contatto;
3. L’individuazione precoce dei pazienti colonizzati/infetti;
4. La stewardship antibiotica (team e linee guida) per ridurre l’antibiotico-resistenza;
5. Se possibile il trattamento e “decontaminazione” del paziente attraverso non solo opportuni
trattamenti antibiotici, ma anche vaccinazione/immunostimolazione.
1. BONIFICA DI STRUMENTI E AMBIENTI
Ricordiamo dall’igiene che è diverso parlare di sterilizzazione o di disinfezione e che non bisogna
mai confondere un prodotto disinfettante con un detergente o uno sterilizzante.

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− Sterilizzazione: procedura che permette di rimuovere o uccidere TUTTI i m.o. presenti. Può
essere fatta con mezzi fisici (calore/autoclave, radiazioni, filtrazione) o con mezzi chimici
(formaldeide, ossido di etilene, alcoli…).
− Disinfezione: procedura che permette di rimuovere o uccidere la maggior parte, MA NON
TUTTI, i m.o. presenti. Vengono impiegati fenoli, alogeni, alcoli, aldeidi… Ovvero diversi
disinfettanti che possono essere più o meno tossici e più o meno efficaci.
Ricordiamo anche che, dal punto di vista sanitario, abbiamo:
− oggetti critici: che entrano a contatto con tessuti del corpo abitualmente sterili (lame, bisturi,
cateteri che entrano nel circolo ematico…);
− oggetti semicritici: a contatto con mucose indenni (abbassa-lingua, porta-impronte
odontoiatrici…).
Su questi oggetti (critici e semicritici) dovremo usare disinfettanti ad alto livello di efficacia, come
glutaraldeide e acido paracetico;
− oggetti non critici: a contatto con la cute integra (poltrone, barelle, letti…).
Possiamo usare in questo caso disinfettanti con un livello intermedio di efficacia, che non
agiscono sulle spore, ma sono efficaci contro diversi batteri, miceti e virus, come ad esempio gli
alcoli, i cloroderivati e altre sostanze a base di iodio.
− oggetti a rischio trascurabile: con assenza di contatto diretto con il paziente (superfici
nell’ambiente, pavimento…).
Per oggetti non critici e a rischio trascurabile sono adatti anche disinfettanti a basso livello di
efficacia (non efficaci contro spore, mycobacterium t. e virus, ma attivi contro la maggior parte
dei batteri allo stato vegetativo).
Caratteristiche che devono avere i disinfettanti

2. SENSIBILIZZAZIONE DEGLI OPERATORI SANITARI: LAVAGGIO MANI e USO GUANTI


Le mani hanno un ruolo cruciale da un punto di vista microbiologico, basti pensare che l’impronta
della mano di una persona normalissima su un terreno da coltura produce migliaia di colonie
batteriche se non correttamente disinfettata. Si tratta sostanzialmente di microrganismi ambientali
commensali, assolutamente non significativi per un ospite immunocompetente, ma di rilievo se
vanno a interagire con pazienti particolarmente fragili.
Le mani poi, se contaminate, diventano veicolo di trasmissione crociata, potendo trasmettere
microorganismi da un paziente ad un altro o alle superfici in prossimità di questi. È quindi un dovere
dell’operatore sanitario avere cura di eliminare rapidamente i contaminanti transitori e, per quanto
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possibile, i m.o. residenti sulla cute delle mani, con l’utilizzo di guanti o adeguato lavaggio
(antisettico, con soluzione a base alcolica, chirurgico…) a seconda dal contesto.

È importante anche effettuare un corretto lavaggio delle mani ed evitare di indossare anelli, smalto
o unghie finte.
Molto spesso, purtroppo, la cura nel lavaggio delle mani e nel ricambio dei guanti non sono
sufficientemente rispettati e il fattore di rischio principale per la mancata adesione ai protocolli è
l’avere un elevato carico lavorativo, quindi la mancanza di tempo o il non considerare la pratica
rilevante.
In sintesi è bene ricordare che qualunque manovra, anche la più banale, può comportare lo
spostamento di microorganismi infettivi da una superfice a un paziente, da un paziente a un altro o
da una stanza all’altra, creando potenzialmente dei problemi anche estremamente gravi. Per questa
ragione in ogni contesto (ambulatorio, reparto, lungodegenza, casa di riposo, ecc…) sono presenti
delle linee guida specifiche per il comportamento degli operatori, dei promemoria e degli schemi sul
posto di lavoro ed è importante effettuare anche la raccolta di osservazioni e feedback atti a
segnalare in modo tempestivo le modifiche necessarie per limitare al massimo i comportamenti
scorretti.
Anche per attività basiche come la
misurazione della pressione
sanguigna, del polso arterioso
radiale, toccare una tracheostomia
o disintubare bisogna tener conto
delle centinaia se non migliaia di
microorganismi presenti sulle mani
degli operatori se non
adeguatamente sanificate.

3. INDIVIDUAZIONE DEI PAZIENTI COLONIZZATI-INFETTI


Quando si verifica un’infezione un aspetto importantissimo è l’individuazione tempestiva dei
pazienti colonizzati o infetti e l’identificazione precoce dell’agente eziologico responsabile e del suo
profilo di antibiotico-resistenza attraverso il saggio dell’antibiogramma.
Altra informazione importante nell’ambito delle infezioni correlate all’assistenza è data dalla
tipizzazione a scopo epidemiologico dei diversi ceppi / isolati clinici che vengono ad esempio
identificati nei diversi siti anatomici di uno stesso paziente o in pazienti diversi di uno stesso reparto
o in pazienti che hanno condiviso un ambiente (come un ambulatorio) o una manovra sanitaria
particolare. La tipizzazione e comparazione fenotipica e molecolare dei ceppi di una stessa specie

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microbica permette di distinguere, in base al grado di omologia, gli episodi sporadici dai cluster o di
individuare eventuali serbatoi e fonti di contagio.
A seconda del tipo di infezione si faranno diversi prelievi biologici e diverse indagini per lo screening
dei pazienti colonizzati:
− Test colturali con terreni selettivi
− Test immuno-enzimatici
− Test molecolari come le PCR per screening anche multi-target o la ricerca rapida dei geni
che codificano per l’antibiotico resistenza
Questo consente in modo molto rapido di fornire al clinico di riferimento delle informazioni importanti
sul germe presente e il suo profilo di farmaco-resistenza.
Nello screening dei pazienti colonizzati, in
laboratorio, si fa anche il test di positività al
meropenem che, nell’esame colturale di un
campione di un GRAM-, permette di stabilire se
è o meno sensibile al meropenem e quindi se è
negativo o positivo alla produzione di
carbapenemasi. La negatività del test è
valutata in base alla presenza di un eventuale
alone di inibizione (di diametro ≥ 22mm).

In caso di positività al test si procede la


tipizzazione fenotipica in laboratorio dei batteri
carbapenemasi produttori, tramite un test
chiamato test della sinergia (tipo il test
dell’antibiogramma). Il microrganismo viene
piastrato in superficie (per crescere richiede
circa 18 ore), poi vengono aggiunti i dischetti di
meropenem sia singolo che addizionato con
acido dipicolinico o con ampicillina o con acido
boronico. A seconda o meno delle sinergie,
possiamo quindi stabilire di che classe è la
carbapenemasi prodotta dal batterio, dando
informazione al clinico sul tipo di
farmacoresistenza riscontrabile in quell’isolato
clinico.
Nell’esempio sopra possiamo vedere che dal test di sinergia risulta essere presente un m.o.
carbapenemasi produttore di classe B.
Le tipizzazioni molecolari, invece, le facciamo con:
− RFLP: analisi del polimorfismo (=diversa lunghezza) in frammenti di restrizione con uso di sonda
marcata;
− PFGE: analisi elettroforetica del DNA su gel in presenza di un campo elettrico pulsato;
− AP-PCR: analisi dei prodotti del legame casuale del primer (amplificazione random con primer
arbitrari);
− NGS: sequenziamento genico, permette di identificare la sequenza di porzioni o anche dell’intero
genoma.
Si tratta di diverse modalità per effettuare lo studio del genoma che, come microbiologi, utilizziamo
per stabilire il grado di similitudine e quindi l’omologia genetica (in percentuale) tra diversi isolati
clinici. Vedere isolati clinici con profili genetici identici (in base alle bande che compaiono) consente

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di stabilire che essi abbiano una stessa


origine, quindi che vi sia un cluster epidemico
se provengono da pazienti diversi.
Nell’esempio a destra, gli isolati clinici A, B e
C hanno la stessa origine, quindi c’è un
cluster epidemico se sono tre pz diversi. In
base alle bande che compaiono a seconda
delle diverse metodologie che utilizziamo,
noi possiamo stabilire se l’omologia è del
70,80,90,100%.

I pazienti colonizzati si possono anche saggiare ad esempio con un Lateral Flow ImmunoAssay
(LFIA), ovvero un test microscopico immuno-enzimatico (che qualcuno chiama “saponetta” per via
dell’aspetto) che prevede la deposizione del campione biologico da indagare su una micro-
membrana di cellulosa. Tale membrana si caratterizza per la presenza di anticorpi contro i vari
enzimi mediatori dell’antibiotico-resistenza e consente di individuare l’eventuale formazione di
complessi antigene-anticorpo tramite la comparsa o meno di “bande” legate alla positività o
negatività ai vari enzimi. È un test molto rapido che si realizza in appena 15 minuti ed estremamente
sensibile (100%), utile quindi come test fenotipico per rilevare la presenza dei 5 principali tipi di
Enterobacteriaceae carbapenemasi produttrici (NDM, KPC, VIM, IMP e OXA-48).

4. STEWARDSHIP ANTIBIOTICA
È un procedimento ormai in uso in tutti gli ospedali di un certo livello in tutto il mondo per contrastare
l’uso inappropriato degli antibiotici.
Si tratta essenzialmente di un team di infettivologi che lavorano insieme al microbiologo nei vari
reparti per cercare di ottimizzare l’uso degli antibiotici in modo da ridurre l’insorgenza di farmaco-
resistenza, diminuire gli effetti collaterali e ottimizzare i costi; ma soprattutto selezionare il farmaco
giusto al momento giusto.
Tutto ciò può essere effettuato con…

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− Strategia diretta: in certi ospedali, ad esempio, è solo l’infettivologo che può prescrivere certi
antibiotici verso determinati patogeni (soprattutto quelli che vengono acquisiti a livello
ospedaliero).
− Strategia indiretta: ci sono team che, attraverso degli audit, condividono i casi clinici più
importanti in modo da concordare linee-guida condivise e scelte terapeutiche giorno per giorno.
Questa strategia più “morbida” si basa sulla collaborazione tra lo specialista infettivologo, il
microbiologo che fornisce il dato tecnico e il clinico di riferimento.
Ovviamente queste strategie funzionano meglio quando c’è una buona conoscenza
dell’epidemiologia locale delle infezioni correlate con l’assistenza perché, come abbiamo visto
all’inizio di questa lezione, i patogeni coinvolti in queste malattie sono diversi; ovviamente GRAM+,
GRAM-, virus e funghi, però in genere la stessa specie tende a circolare in ospedale in uno stesso
reparto (germi sentinella). Questa conoscenza dei germi più comuni consente, in situazioni di
emergenza, di muoversi in modo empirico nella terapia, avendo una minor possibilità di incorrere in
errori.

5. AUMENTARE LA RESISTENZA DELL’OSPITE


È importante fare una profilassi sui
pazienti che, per la loro malattia di base o
per ragioni legate alla necessità di lunghi
periodi di ospedalizzazione, sono più a
rischio di sviluppare infezioni correlate
all’assistenza.
Si agirà quindi per cercare di ottenere un
aumento dell’immunità specifica del
paziente, tramite vaccini (contro lo
pneumococco, anti-influenzale, anti
epatite B, anti varicella zoster…) oppure
immunoglobuline e monoclonali, ovvero
trattamenti mirati per cercare di
profilassare il paziente e ridurre al
massimo la sua suscettibilità alle ICA.

SIGNIFICATO E INTERPRETAZIONE DELL’ANTIBIOGRAMMA


L’antibiogramma deve essere fatto sempre e obbligatoriamente per tutti i patogeni sentinella e tutti i
patogeni che emergono da casi clinici importanti o critici o difficili. I motivi sono essenzialmente 2:
1. Dare una guida al clinico per selezionare il farmaco giusto, al fine di garantire l’efficacia del
trattamento, gestire bene il paziente e ridurre l’uso di antibiotici ad ampio spettro (in favore di
farmaci più mirati) per ridurre al minimo gli effetti collaterali e la pressione selettiva sui m.o. che
potrebbe facilitare l’insorgenza di resistenze; nonché per ottimizzare i costi.
2. Conoscere e aggiornare la situazione epidemiologica locale costantemente, in virtù della
possibilità di comparsa di nuovi patogeni “importati” da altri contesti nel reparto o della possibilità
di sviluppo di farmacoresistenze.
MODALITÀ DI ESECUZIONE DELL’ANTIBIOGRAMMA
− MICRO-DILUIZIONE: gold-standard, molto elaborata e complessa, viene usata solo per i casi
più importanti nei centri di riferimento e dà informazioni preziose;

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− TEST DI DIFFUSIONE SU AGAR (SU PIASTRA): usati come test di conferma (E-test, Kirby-
Bauer);
− SISTEMI AUTOMATIZZATI: rapidi ed economici, usati in routine (Vitek2, Phoenix) che danno
direttamente dati quali la MIC (l’interpretazione) ed eventuali meccanismi di resistenza.
DEFINIZIONI IMPORTANTI
• MIC: (Minima Concentrazione Inibente) è la concentrazione più bassa di un antibiotico capace
di inibire un particolare microorganismo in vitro. Si tratta pertanto di un dato di laboratorio
fondamentale, che va però interpretato in base ai valori di riferimento internazionali (cut-off
epidemiologico e break-point clinico) per trovare un’applicazione clinica che consenta di gestire
il paziente di conseguenza.
• CUT-OFF EPIDEMIOLOGICO (Ecoff): valore soglia di MIC (quindi altro dato di laboratorio che
fa riferimento alla concentrazione minima inibente in vitro) che si ottiene aggregando migliaia di
dati di MIC osservati su tanti isolati clinici di quella specie di m.o. in quell’area (per esempio in
Emilia Romagna/ in Italia/ in Europa). Ci consente di interpretare il risultato di MIC che otteniamo
dal nostro antibiogramma, separando i m.o. senza meccanismi di resistenza (wild type=S) da
quelli che hanno acquisito resistenza (non wild-type=R) tramite meccanismi di coniugazione,
trasposoni, trasformazione, ecc...

• BREAK-POINT CLINICI: valori di riferimento (numerici) che possiamo estrapolare combinando


dati microbiologici, clinici e farmacologici (di farmacocinetica, di farmacodinamica, l’outcome che
si osserva nei pazienti trattati a particolari dosi di particolari farmaci, ecc…). Permettono di
classificare il m.o. in base al suo antibiogramma in 2 o 3 categorie interpretative:
o Se ho 1 solo Break-point potrò definire il mio m.o. come: SENSIBILE (S) o RESISTENTE
(R) ad un determinato antibiotico;

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o Se ho 2 Break-point le categorie diventano 3: SENSIBILE (S), INTERMEDIO (I),


RESISTENTE (R).

Il fatto di usare un antibiotico per cui il m.o. risulta sensibile ci dice che avremo un successo
terapeutico; se invece la MIC dell’isolato clinico è al di sopra del valore di break-point clinico,
vuol dire che abbiamo a che fare con un ceppo resistente a quel determinato antibiotico per cui
il protocollo terapeutico sarà un fallimento. Il terzo caso possibile è quello della categoria
intermedia, che ha creato non pochi problemi interpretativi.
Questi cut-off epidemiologici e break-point clinici vengono stabiliti per ogni microorganismo e
antibiotico e continuamente rivisti e aggiornati da enti internazionali quali l’EUCAST (European
Committee on Antimicrobial Susceptibility Testing) e l’CLSI (Clinical and Laboratory Standards
Institute); il primo europeo e il secondo americano.

A fianco possiamo vedere un esempio di


antibiogramma, in cui è stato indagato un
problema di infezione urinaria. La carica
batterica è risultata elevata (sopra al
milione di CFU= Colony Forming Unit per
ml) ed è stato identificato come m.o.
responsabile una Klebsiella.
Nell’antibiogramma ci sono una serie di
valori di MIC e parallelamente una
colonna con una serie di “R”. Il valore di
MIC è dato dal test di laboratorio (Vitek2).

L’immagine sottostante illustra un


esempio di caso complesso in cui
abbiamo un isolato clinico con una MIC
superiore al cut-off epidemiologico, che riflette la presenza di meccanismi di resistenza. Allo stesso
tempo, la MIC è inferiore al primo break-point (Ecoff<MIC<1°break-point). Nel referto si dirà che

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tale microrganismo, nei confronti del farmaco analizzato, si mostra sensibile ma, essendo al di sopra
del cut-off epidemiologico, c’è la probabilità che possa scivolare verso la farmacoresistenza.

La distribuzione della farmacoresistenza può essere descritta come una serie di cerchi concentrici
dove, dall’esterno verso l’interno, troviamo batteri non resistenti (Not MDR), multrifarmacoresistenti
(MDR), estesamente farmacoresistenti (XDR) e panfarmacoresistenti (PDR). Si può notare che solo
una minoranza degli isolati clinici che andiamo a gestire è interessato dal problema della
farmacoresistenza, ma bisogna tenere in conto che questi cerchi tendono ad espandersi in modo
concentrico dall’interno, pertanto è necessaria un’attenta stewardship antibiotica per evitare
l’incremento delle resistenze che porterebbe ad avere un numero sempre maggiore di ceppi
difficilmente gestibili farmacologicamente.
Un concetto che vale la pena approfondire è il significato di intermedio. Fino a un paio di anni fa
(nel periodo 2002-2018), il significato di intermedio era di “effetto terapeutico incerto, ma non è
escluso che l’infezione possa essere trattata efficacemente in distretti corporei in cui il farmaco tende
a raggiungere concentrazioni alte, ovvero è attivamente concentrato, o comunque è utilizzabile ad
alti dosaggi”.
Purtroppo però, questa situazione intermedia/ “zona cuscinetto”, ha creato dubbi nella gestione dei
farmaci ricadenti in questa categoria e spinto molti clinici ad utilizzare preferenzialmente o
esclusivamente molecole con risultato “S” (sensibile), quindi con maggior probabilità di successo
terapeutico. Il problema è che così facendo la tendenza è stata quella di impiegare farmaci ad ampio
spettro, piuttosto che magari molecole con risultato “I” (intermedio), ma a spettro più ristretto, pratica
che è in contrasto con le indicazioni che tutti i comitati nazionali e internazionali forniscono negli
ultimi anni in merito alla gestione del problema dell’antibioticoresistenza.
Dal 2019 si è deciso quindi, a livello mondiale, di rivedere la definizione e interpretazione della zona
“I” (pur mantenendo sempre le lettere S, I e R), ovvero cambiando il termine “intermedio” con
“sensibile ad aumentata esposizione”. Sembra una sfumatura irrilevante, ma ciò ha permesso di
recuperare una serie di farmaci che, per esperienza del clinico e per le loro proprietà
farmacocinetiche, potevano essere utilizzate per trattare infezioni di particolari siti anatomici. Quindi
da “effetto incerto” si passa alla consapevolezza che un determinato farmaco può essere utilizzato
contro quello specifico m.o. per trattare delle infezioni in siti anatomici in cui quel farmaco viene
accumulato e/o concentrato, riscontrando un’alta probabilità di successo.
Negli ospedali Policlinico di Modena e NOCSAE di Baggiovara si è scelto addirittura di refertare la
categoria con la dicitura “ES” (invece che “I”) per accelerare e facilitare l’acquisizione, da parte dei
clinici, del nuovo concetto di “sensibile ad aumentata esposizione”.
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Biofilm e antibiogramma
Alcuni microrganismi sono molto temuti perché in vivo nel paziente e su matrici abiotiche o tissutali
sono in grado di produrre biofilm. In
particolare, i microrganismi possiamo
ritrovarli in una:
• Forma planctonica, cioè che
fluttuano liberamente nei fluidi biologici;
• Forma sessile, ovvero m.o. che
producono biofilm e restano
tenacemente adesi e aggregati tra loro
su una superficie abiotica (come un
dispositivo medico) o biotica (come le
mucose).
Il biofilm lo possiamo riscontrare in
tantissime situazioni: sui denti, sulle
gengive, sulla lingua, sulle valvole
cardiache, su protesi articolari, sugli stent, sui cateteri, negli alveoli polmonari dei pazienti con
particolari patologie come la fibrosi cistica ecc…
Nell’immagine possiamo vedere le fasi di formazione del biofilm: arriva la forma planctonica libera,
che si attacca aderendo dapprima in modo reversibile e poi irreversibile alla superficie; quindi
comincia a replicarsi e i vari m.o. cominciano ad aggregarsi e agganciarsi anche tra loro in una
comunità microbica stabile che si ricopre di zuccheri principalmente, ma anche acidi nucleici e
piccole molecole frutto del metabolismo del m.o. stesso. Da questa comunità sessile, con il tempo,
si staccheranno poi cellule figlie che vanno a disperdersi e a dare focolai infettivi in altri distretti.
Il problema serio è che il microrganismo organizzato in biofilm può essere svariate volte più
resistente rispetto alla sua forma libera nei fluidi grazie alla matrice polisaccaridica che si “cuce
attorno” e che gli conferisce minor suscettibilità agli stressogeni esterni, compresi i farmaci.
Tutte le volte che un clinico ha a che fare con una patologia legata ad un biofilm (su un catetere o
su una valvola cardiaca) deve quindi tenere presente che l’antibiogramma è svolto solo sulle forme
planctoniche, pertanto i valori di MIC ottenuti (sulla forma planctonica) potrebbero non rispecchiare
efficacemente il quadro clinico, ma essere ben più elevati (anche centinaia di volte più alti).
Oggi si tende a dire che addirittura il 70% delle infezioni che diventano severe nell’ospite potrebbero
essere legate a forme non planctoniche, ma sessili dei m.o. Quindi presto potremmo dover rivedere
molto di quello che conosciamo riguardo all’interpretazione dell’antibiogramma, a MIC, Ecoff e BP
perché in vivo, nel paziente, la storia si fa molto più complessa anche a causa della resistenza al
trattamento antibiotico conferita dalla formazione di biofilm.

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