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- Aumento dell’uso degli antibiotici (soprattutto nei pz fragili) determina un aumento delle
specie rare o antibiotico-resistenti a causa dell’uso di profilassi che crea disbiosi e facilita
questi microrganismi.
Tutto ciò ha reso necessaria la creazione di modelli e percorsi da seguire per ridurre il più possibile
le infezioni eliminabili. A Modena è stato stabilito un comitato di sorveglianza attiva che ricerca i
patogeni più significativi e screena i pz più a rischio di sviluppo di I.O.
Gli obiettivi del Comitato di Controllo delle infezioni sono:
- Definire la strategia di lotta contro le infezioni in ambito assistenziale a seconda del reparto
e della categoria dei pz
- Verifica l’efficacia e la validità dei programmi di sorveglianza
- Cura la formazione culturale e tecnica del personale in materia
- Coordina diversi progetti
- Fa report per controllare la situazione delle I.O.
In 5 anni a Modena è stato abbattuto l’uso degli antibiotici e la diffusione di batteri resistenti, con
meno malati e morti e il risparmio di 1,3 milioni di euro di spese totali.
Le infezioni sono provocate da m.o. sentinella detti alert MO (es. MRSA, S. Pyogenes, S.
Pneumoniae, Enterococchi, C. Difficile, Gram- carbapenemasi resistenti, H. Influenzae, P.
Aeruginosa) ma la lista continua a espandersi (Acinetobacter Baumanni) e il loro rilievo
epidemiologico è dovuto al fatto che:
- Causano infezioni gravi
- Sono facilmente trasmissibili (focolai epidemici)
- Sono multi-farmaco resistenti (fallimento terapeutico)
- Spesso sono endemici e tendono a resistere in ospedali, RS, case di cura
Possono causare infezioni
- Endogene (auto-infezioni) quando il pz ha già un agente colonizzante o che causava
infezioni localizzate che dopo l’intervento causa una sepsi
- Esogene
o crociate (tra due pazienti o tra personale e paziente)
o ambientali (aria, polvere, endoscopi, detergenti, ventilatori,..)
Le vie di trasmissione sono:
- contatto tra fonte e ospite recettivo (si deve lavorare sul comportamento delle persone)
es. Stafilococchi della pelle, delle mucose, delle pliche, Enterococchi, Pseudomonas
- acqua WATER-BORNE (es. Legionella e Pseudomonas che ristagnano dove c’è acqua)
- aria AIR-BORNE (da secrezioni umane o dal movimento)
es. Legionelle, Micobatteri, Influenza, Streptococco, Coronavirus
- prodotti biologici BLOOD-BORNE (da fluidi biologici, sangue, emoderivati, organi
trapiantati)
- alimenti
- disinfettanti usati in diverse stanze
Fonti di trasmissione:
- umana
- ambientale
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FONTE COLONIZZATA: il pz è
portatore asintomatico di infezione (E.
Coli, Pseudomonas, S. Aureus) per
lunghissimo tempo e perciò ne sono
fonte a lungo termine.
Gli ESBL determinano farmaco resistenti e facilmente sono trasmissibili tra specie patogene molto
diverse tra di loro.
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Da slide
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GRAM POSITIVI
STAPHYLOCOCCUS AUREUS MRSA
Gram + che ha acquisito la resistenza
alla meticillina.
I suoi fattori di virulenza sono:
- proteasi
- catalasi
- coagulasi
- DNAasi
- Tossine
Causa tossinfezioni fino allo shock
tossico e alla cute ustionata dei
bambini. Produce con estrema facilità
biofilm sui cateteri, sulle valvole
cardiache, sulle ustioni. La resistenza
è contro tutte le penicilline, le
cefalosporine e i carbapenemi,
chinolonici, macrolidi e amminoglicosidi: si restringe così la possibilità terapeutica.
Il Portogallo, l’Italia, la Romania e la Grecia hanno visto un aumento significativo dal 2015 dei
ceppi MRSA, mentre nel resto dell’Europa il trend è in discesa. Il problema da noi è importante.
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GRAM NEGATIVI
ENTEROBATTERI ESBL+ (beta-lattamasi a spettro esteso)
Gram – di cui fanno parte E.Coli, Klebsiella, Serratia, Proteus, Enterobacter.
Essi sono la prima causa di infezioni ospedaliere soprattutto del distretto urinario (UTI) e si
ritrovano anche in molte infezioni acquisite in comunità. Sono molto abbondanti nelle mucose dei
pazienti e nel personale e quindi è facile che se sottoposti alla pressione antibiotica compaiano i
ceppi antibiotico resistenti, cioè i beta-lattamasi a spettro esteso. Resistono infatti a penicilline
senza inibitori, cefalosporine, talvolta fluorochinoloni, trimetoprim+sulfametossazolo e
amminoglicosidi.
In Italia la situazione è stazionaria, ma peggiore del resto dell’Europa. La situazione rimane
allarmante.
KLEBSIELLA PNEUMONIAE
È il patogeno MDR più comune in
Italia e in Europa. Si osserva per
fortuna un leggero calo dal 2015
grazie all’educazione sanitaria del
personale ospedaliero, del territorio e
delle lungodegenze. La Grecia è
messa molto male.
La resistenza è dovuta alla
produzione di carbapenemasi e oggi
sono in aumento anche i ceppi detti
XDR (extended-drug resistance).
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PSEUDOMONAS AERUGINOSA
Gram – con resistenza intrinseca a
penicilline e carbapenemi, sia
intrinseca che acquisita tramite
plasmidi (carbapenemasi, modifiche
della parete e espressione di porine).
In molti casi è resistente anche a
fluorochinoloni e amminoglicosidi. Si
può usare ancora la colistina (ancora
per poco).
L’Europa orientale ha prevalenza
elevata di questi ceppi, il resto va
meglio e l’Italia si trova nel mezzo,
con un calo negli ultimi 5 anni grazie
alla sensibilizzazione.
ACINETOBACTER BAUMANNII
Gram– emergente in ospedale. Molto
temuto perché persiste nell’ambiente
per mesi (su superfici, strumenti e
suppellettili). Acquisisce e trasmette
facilmente resistenza a carbapenemi
tramite coniugazione di
carbapenemasi di classe diverse. È
sensibile alla colistina, ancora per
poco.
In Europa tutti i paesi sud e orientali
fino alla Lapponia sono flagellati dai
ceppi che sono per l’80% MDR,
compresa l’Italia.
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CLOSTRIDIUM DIFFICILE
Gram + anaerobio, sporigeno,
refrattario al trattamento di detersione
e disinfezione.
Patogeno ospedaliero molto temuto
per l’elevata diffusibilità perché se non
si interviene rapidamente è facile che
causi focolai. Si localizza nell’intestino
e si riattiva a causa della disbiosi per
trattamento antibiotico protratto. Le
sue tossine A e B agiscono a livello
della trasmissione di segnali
intercellulari che determinano
apoptosi con disfunzione cellulare. Si
determina un danno tissutale
importante con diarrea sino alla colite
pseudomembranosa (alta letalità).
La patologia è stata combattuta con la somministrazione di m.o. commensali benefici.
LEGIONELLA
Gram – presente nell’acqua, agente
eziologico di piccoli focolai epidemici nelle
RSA. Facile è fare screening ricercando
l’antigene urinario e anticipare così il
trattamento antibiotico rispetto all’esame
definitivo dell’espettorato e del
broncolavaggio.
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VIRUS
- Virus influenzale e parainfluenzale, respiratorio sinciziale, soprattutto in ambito pediatrico,
trasmissibili per via aerea
- Virus epatitici e HIV
- Virus herpetici che riemergono come infezioni endogene
- Citomegalovirus nel trapiantato e nei neonati
Come si possono ridurre le problematiche? 1/3 delle infezioni è legata a errori modificabili.
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L’eziologia è multifattoriale:
- Caratteristiche del paziente (non modificabili)
o Età, gli over 65 anni hanno il doppio della probabilità di ammalarsi dei più giovani
gli over 85 hanno un rischio 5 volte maggiore
o Deficit immunitari (radioterapia, leucemia, trapiantati)
o Gravità della malattia di base (il rischio aumenta di 3 volte)
- Invasività della procedura
o Catetere ha invasività importante e su di esso aderiscono S. Aureus e Coagulasi
negativo, Candida, grazie alla produzione di biofilm che rende il catetere refrattario
a qualsiasi trattamento e detersione. Talvolta siamo costretti a rimuovere il
dispositivo per eliminare la carica microbica. Dobbiamo puntare a usare nuovi
materiali meno adesivi (Teflon) o utilizzare additivi che rendano le superfici meno
adatte alla formazione del biofilm.
- Origine dei ceppi
o Reservoir, esiste un vettore (pz colonizzato, ambiente non sanificato, personale
infetto) che è fonte di infezione. Bisogna riconoscerlo per bloccare il focolaio.
o Mutazioni, che compaiono per inappropriato uso dell’antibiotico. Bisogna studiare
come è stato gestito il paziente e il reparto.
Per cercare di gestire e delimitare le infezioni correlate con l’assistenza è importante agire su più
fronti:
• sorvegliare/ controllare queste infezioni, come emergono e quindi fare una “fotografia” dei
diversi reparti, ambulatori e contesti in modo da impostare misure preventive che possano
ridurre al massimo il rischio di entrare a contatto con l’agente infettivo o, eventualmente, se il
contagio avviene bisogna controllarne l’impatto attraverso una diagnosi rapida e l’individuazione
di una terapia il più mirato e ristretta possibile nello spettro d’azione.
• formare personale dedicato al trattamento dei pazienti, soprattutto nelle aree critiche di terapia
intensiva e chirurgica (es: la neonatologia, la terapia intensiva neonatale e generale, il centro
oncologico…).
• Formalizzare protocolli di sorveglianza attiva, ovvero di screening costante, con personale
dedicato, linee guida e flussi informativi molto attivi che si muovano in tempo reale per permettere
il costante monitoraggio, censimento, gestione e blocco delle infezioni nei diversi presidi.
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− Sterilizzazione: procedura che permette di rimuovere o uccidere TUTTI i m.o. presenti. Può
essere fatta con mezzi fisici (calore/autoclave, radiazioni, filtrazione) o con mezzi chimici
(formaldeide, ossido di etilene, alcoli…).
− Disinfezione: procedura che permette di rimuovere o uccidere la maggior parte, MA NON
TUTTI, i m.o. presenti. Vengono impiegati fenoli, alogeni, alcoli, aldeidi… Ovvero diversi
disinfettanti che possono essere più o meno tossici e più o meno efficaci.
Ricordiamo anche che, dal punto di vista sanitario, abbiamo:
− oggetti critici: che entrano a contatto con tessuti del corpo abitualmente sterili (lame, bisturi,
cateteri che entrano nel circolo ematico…);
− oggetti semicritici: a contatto con mucose indenni (abbassa-lingua, porta-impronte
odontoiatrici…).
Su questi oggetti (critici e semicritici) dovremo usare disinfettanti ad alto livello di efficacia, come
glutaraldeide e acido paracetico;
− oggetti non critici: a contatto con la cute integra (poltrone, barelle, letti…).
Possiamo usare in questo caso disinfettanti con un livello intermedio di efficacia, che non
agiscono sulle spore, ma sono efficaci contro diversi batteri, miceti e virus, come ad esempio gli
alcoli, i cloroderivati e altre sostanze a base di iodio.
− oggetti a rischio trascurabile: con assenza di contatto diretto con il paziente (superfici
nell’ambiente, pavimento…).
Per oggetti non critici e a rischio trascurabile sono adatti anche disinfettanti a basso livello di
efficacia (non efficaci contro spore, mycobacterium t. e virus, ma attivi contro la maggior parte
dei batteri allo stato vegetativo).
Caratteristiche che devono avere i disinfettanti
possibile, i m.o. residenti sulla cute delle mani, con l’utilizzo di guanti o adeguato lavaggio
(antisettico, con soluzione a base alcolica, chirurgico…) a seconda dal contesto.
È importante anche effettuare un corretto lavaggio delle mani ed evitare di indossare anelli, smalto
o unghie finte.
Molto spesso, purtroppo, la cura nel lavaggio delle mani e nel ricambio dei guanti non sono
sufficientemente rispettati e il fattore di rischio principale per la mancata adesione ai protocolli è
l’avere un elevato carico lavorativo, quindi la mancanza di tempo o il non considerare la pratica
rilevante.
In sintesi è bene ricordare che qualunque manovra, anche la più banale, può comportare lo
spostamento di microorganismi infettivi da una superfice a un paziente, da un paziente a un altro o
da una stanza all’altra, creando potenzialmente dei problemi anche estremamente gravi. Per questa
ragione in ogni contesto (ambulatorio, reparto, lungodegenza, casa di riposo, ecc…) sono presenti
delle linee guida specifiche per il comportamento degli operatori, dei promemoria e degli schemi sul
posto di lavoro ed è importante effettuare anche la raccolta di osservazioni e feedback atti a
segnalare in modo tempestivo le modifiche necessarie per limitare al massimo i comportamenti
scorretti.
Anche per attività basiche come la
misurazione della pressione
sanguigna, del polso arterioso
radiale, toccare una tracheostomia
o disintubare bisogna tener conto
delle centinaia se non migliaia di
microorganismi presenti sulle mani
degli operatori se non
adeguatamente sanificate.
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microbica permette di distinguere, in base al grado di omologia, gli episodi sporadici dai cluster o di
individuare eventuali serbatoi e fonti di contagio.
A seconda del tipo di infezione si faranno diversi prelievi biologici e diverse indagini per lo screening
dei pazienti colonizzati:
− Test colturali con terreni selettivi
− Test immuno-enzimatici
− Test molecolari come le PCR per screening anche multi-target o la ricerca rapida dei geni
che codificano per l’antibiotico resistenza
Questo consente in modo molto rapido di fornire al clinico di riferimento delle informazioni importanti
sul germe presente e il suo profilo di farmaco-resistenza.
Nello screening dei pazienti colonizzati, in
laboratorio, si fa anche il test di positività al
meropenem che, nell’esame colturale di un
campione di un GRAM-, permette di stabilire se
è o meno sensibile al meropenem e quindi se è
negativo o positivo alla produzione di
carbapenemasi. La negatività del test è
valutata in base alla presenza di un eventuale
alone di inibizione (di diametro ≥ 22mm).
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I pazienti colonizzati si possono anche saggiare ad esempio con un Lateral Flow ImmunoAssay
(LFIA), ovvero un test microscopico immuno-enzimatico (che qualcuno chiama “saponetta” per via
dell’aspetto) che prevede la deposizione del campione biologico da indagare su una micro-
membrana di cellulosa. Tale membrana si caratterizza per la presenza di anticorpi contro i vari
enzimi mediatori dell’antibiotico-resistenza e consente di individuare l’eventuale formazione di
complessi antigene-anticorpo tramite la comparsa o meno di “bande” legate alla positività o
negatività ai vari enzimi. È un test molto rapido che si realizza in appena 15 minuti ed estremamente
sensibile (100%), utile quindi come test fenotipico per rilevare la presenza dei 5 principali tipi di
Enterobacteriaceae carbapenemasi produttrici (NDM, KPC, VIM, IMP e OXA-48).
4. STEWARDSHIP ANTIBIOTICA
È un procedimento ormai in uso in tutti gli ospedali di un certo livello in tutto il mondo per contrastare
l’uso inappropriato degli antibiotici.
Si tratta essenzialmente di un team di infettivologi che lavorano insieme al microbiologo nei vari
reparti per cercare di ottimizzare l’uso degli antibiotici in modo da ridurre l’insorgenza di farmaco-
resistenza, diminuire gli effetti collaterali e ottimizzare i costi; ma soprattutto selezionare il farmaco
giusto al momento giusto.
Tutto ciò può essere effettuato con…
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− Strategia diretta: in certi ospedali, ad esempio, è solo l’infettivologo che può prescrivere certi
antibiotici verso determinati patogeni (soprattutto quelli che vengono acquisiti a livello
ospedaliero).
− Strategia indiretta: ci sono team che, attraverso degli audit, condividono i casi clinici più
importanti in modo da concordare linee-guida condivise e scelte terapeutiche giorno per giorno.
Questa strategia più “morbida” si basa sulla collaborazione tra lo specialista infettivologo, il
microbiologo che fornisce il dato tecnico e il clinico di riferimento.
Ovviamente queste strategie funzionano meglio quando c’è una buona conoscenza
dell’epidemiologia locale delle infezioni correlate con l’assistenza perché, come abbiamo visto
all’inizio di questa lezione, i patogeni coinvolti in queste malattie sono diversi; ovviamente GRAM+,
GRAM-, virus e funghi, però in genere la stessa specie tende a circolare in ospedale in uno stesso
reparto (germi sentinella). Questa conoscenza dei germi più comuni consente, in situazioni di
emergenza, di muoversi in modo empirico nella terapia, avendo una minor possibilità di incorrere in
errori.
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− TEST DI DIFFUSIONE SU AGAR (SU PIASTRA): usati come test di conferma (E-test, Kirby-
Bauer);
− SISTEMI AUTOMATIZZATI: rapidi ed economici, usati in routine (Vitek2, Phoenix) che danno
direttamente dati quali la MIC (l’interpretazione) ed eventuali meccanismi di resistenza.
DEFINIZIONI IMPORTANTI
• MIC: (Minima Concentrazione Inibente) è la concentrazione più bassa di un antibiotico capace
di inibire un particolare microorganismo in vitro. Si tratta pertanto di un dato di laboratorio
fondamentale, che va però interpretato in base ai valori di riferimento internazionali (cut-off
epidemiologico e break-point clinico) per trovare un’applicazione clinica che consenta di gestire
il paziente di conseguenza.
• CUT-OFF EPIDEMIOLOGICO (Ecoff): valore soglia di MIC (quindi altro dato di laboratorio che
fa riferimento alla concentrazione minima inibente in vitro) che si ottiene aggregando migliaia di
dati di MIC osservati su tanti isolati clinici di quella specie di m.o. in quell’area (per esempio in
Emilia Romagna/ in Italia/ in Europa). Ci consente di interpretare il risultato di MIC che otteniamo
dal nostro antibiogramma, separando i m.o. senza meccanismi di resistenza (wild type=S) da
quelli che hanno acquisito resistenza (non wild-type=R) tramite meccanismi di coniugazione,
trasposoni, trasformazione, ecc...
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Il fatto di usare un antibiotico per cui il m.o. risulta sensibile ci dice che avremo un successo
terapeutico; se invece la MIC dell’isolato clinico è al di sopra del valore di break-point clinico,
vuol dire che abbiamo a che fare con un ceppo resistente a quel determinato antibiotico per cui
il protocollo terapeutico sarà un fallimento. Il terzo caso possibile è quello della categoria
intermedia, che ha creato non pochi problemi interpretativi.
Questi cut-off epidemiologici e break-point clinici vengono stabiliti per ogni microorganismo e
antibiotico e continuamente rivisti e aggiornati da enti internazionali quali l’EUCAST (European
Committee on Antimicrobial Susceptibility Testing) e l’CLSI (Clinical and Laboratory Standards
Institute); il primo europeo e il secondo americano.
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tale microrganismo, nei confronti del farmaco analizzato, si mostra sensibile ma, essendo al di sopra
del cut-off epidemiologico, c’è la probabilità che possa scivolare verso la farmacoresistenza.
La distribuzione della farmacoresistenza può essere descritta come una serie di cerchi concentrici
dove, dall’esterno verso l’interno, troviamo batteri non resistenti (Not MDR), multrifarmacoresistenti
(MDR), estesamente farmacoresistenti (XDR) e panfarmacoresistenti (PDR). Si può notare che solo
una minoranza degli isolati clinici che andiamo a gestire è interessato dal problema della
farmacoresistenza, ma bisogna tenere in conto che questi cerchi tendono ad espandersi in modo
concentrico dall’interno, pertanto è necessaria un’attenta stewardship antibiotica per evitare
l’incremento delle resistenze che porterebbe ad avere un numero sempre maggiore di ceppi
difficilmente gestibili farmacologicamente.
Un concetto che vale la pena approfondire è il significato di intermedio. Fino a un paio di anni fa
(nel periodo 2002-2018), il significato di intermedio era di “effetto terapeutico incerto, ma non è
escluso che l’infezione possa essere trattata efficacemente in distretti corporei in cui il farmaco tende
a raggiungere concentrazioni alte, ovvero è attivamente concentrato, o comunque è utilizzabile ad
alti dosaggi”.
Purtroppo però, questa situazione intermedia/ “zona cuscinetto”, ha creato dubbi nella gestione dei
farmaci ricadenti in questa categoria e spinto molti clinici ad utilizzare preferenzialmente o
esclusivamente molecole con risultato “S” (sensibile), quindi con maggior probabilità di successo
terapeutico. Il problema è che così facendo la tendenza è stata quella di impiegare farmaci ad ampio
spettro, piuttosto che magari molecole con risultato “I” (intermedio), ma a spettro più ristretto, pratica
che è in contrasto con le indicazioni che tutti i comitati nazionali e internazionali forniscono negli
ultimi anni in merito alla gestione del problema dell’antibioticoresistenza.
Dal 2019 si è deciso quindi, a livello mondiale, di rivedere la definizione e interpretazione della zona
“I” (pur mantenendo sempre le lettere S, I e R), ovvero cambiando il termine “intermedio” con
“sensibile ad aumentata esposizione”. Sembra una sfumatura irrilevante, ma ciò ha permesso di
recuperare una serie di farmaci che, per esperienza del clinico e per le loro proprietà
farmacocinetiche, potevano essere utilizzate per trattare infezioni di particolari siti anatomici. Quindi
da “effetto incerto” si passa alla consapevolezza che un determinato farmaco può essere utilizzato
contro quello specifico m.o. per trattare delle infezioni in siti anatomici in cui quel farmaco viene
accumulato e/o concentrato, riscontrando un’alta probabilità di successo.
Negli ospedali Policlinico di Modena e NOCSAE di Baggiovara si è scelto addirittura di refertare la
categoria con la dicitura “ES” (invece che “I”) per accelerare e facilitare l’acquisizione, da parte dei
clinici, del nuovo concetto di “sensibile ad aumentata esposizione”.
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Biofilm e antibiogramma
Alcuni microrganismi sono molto temuti perché in vivo nel paziente e su matrici abiotiche o tissutali
sono in grado di produrre biofilm. In
particolare, i microrganismi possiamo
ritrovarli in una:
• Forma planctonica, cioè che
fluttuano liberamente nei fluidi biologici;
• Forma sessile, ovvero m.o. che
producono biofilm e restano
tenacemente adesi e aggregati tra loro
su una superficie abiotica (come un
dispositivo medico) o biotica (come le
mucose).
Il biofilm lo possiamo riscontrare in
tantissime situazioni: sui denti, sulle
gengive, sulla lingua, sulle valvole
cardiache, su protesi articolari, sugli stent, sui cateteri, negli alveoli polmonari dei pazienti con
particolari patologie come la fibrosi cistica ecc…
Nell’immagine possiamo vedere le fasi di formazione del biofilm: arriva la forma planctonica libera,
che si attacca aderendo dapprima in modo reversibile e poi irreversibile alla superficie; quindi
comincia a replicarsi e i vari m.o. cominciano ad aggregarsi e agganciarsi anche tra loro in una
comunità microbica stabile che si ricopre di zuccheri principalmente, ma anche acidi nucleici e
piccole molecole frutto del metabolismo del m.o. stesso. Da questa comunità sessile, con il tempo,
si staccheranno poi cellule figlie che vanno a disperdersi e a dare focolai infettivi in altri distretti.
Il problema serio è che il microrganismo organizzato in biofilm può essere svariate volte più
resistente rispetto alla sua forma libera nei fluidi grazie alla matrice polisaccaridica che si “cuce
attorno” e che gli conferisce minor suscettibilità agli stressogeni esterni, compresi i farmaci.
Tutte le volte che un clinico ha a che fare con una patologia legata ad un biofilm (su un catetere o
su una valvola cardiaca) deve quindi tenere presente che l’antibiogramma è svolto solo sulle forme
planctoniche, pertanto i valori di MIC ottenuti (sulla forma planctonica) potrebbero non rispecchiare
efficacemente il quadro clinico, ma essere ben più elevati (anche centinaia di volte più alti).
Oggi si tende a dire che addirittura il 70% delle infezioni che diventano severe nell’ospite potrebbero
essere legate a forme non planctoniche, ma sessili dei m.o. Quindi presto potremmo dover rivedere
molto di quello che conosciamo riguardo all’interpretazione dell’antibiogramma, a MIC, Ecoff e BP
perché in vivo, nel paziente, la storia si fa molto più complessa anche a causa della resistenza al
trattamento antibiotico conferita dalla formazione di biofilm.
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