Sei sulla pagina 1di 228

____________________

Malattie dell’apparato
locomotore
aa. 2021/2022
Prof. Gianfilippo Caggiari

____________________
INDICE

MALATTIE DELL’APPARATO LOCOMOTORE PAGINA

GENERALITÀ APPARATO LOCOMOTORE 1


PRINCIPI DI TRAUMATOLOGIA DELL’ARTO INFERIORE 7
FRATTURE DELL’ARTO INFERIORE 23
ARTROSI 43
FRATTURE DEL PILONE TIBIALE 52
FRATTURE DEL PIATTO TIBIALE 54
FRATTURE OMERALI 55
DISPLASIA CONGENITA DELL’ANCA 57
DISTACCHI EPIFISARI 64
LE FRATTURE DEL GOMITO 70
EPIFISIOLISI 78
IL POLITRAUMA 83
CASI CLINICI POLITRAUMA 93
OSTEONECROSI 99
MALATTIA DI KIEMBOCH 107
ERNIA DISCALE 111
FRATTURE RACHIDE DORSOLOMBARE 125
STENOSI CANALE VERTEBRALE 136
LE MALFORMAZIONI CONGENITE 139
PARALISI OSTETRICHE 159
OSTEOCONDROSI 166
SCOLIOSI 171
OSTEOPOROSI 174
OSTEITE DEFORMANTE O MORBO DI PAGET 185
PATOLOGIA LEGAMENTOSA DEL GINOCCHIO 194
MORBO DI DUPUYTREN 208
TUMORI DELLO SCHELETRO 214
MALATTIE DELL’APPARATO LOCOMOTORE – Lezione 1
03/05/2022
Sedda - Schimmenti

(Molte immagini a cui si fa riferimento non sono state fornite dal professore per preservare la privacy dei
pazienti)

APPARATO LOCOMOTORE: costituito dallo scheletro propriamente detto, da articolazioni,


muscoli, aponeurosi tendinee.
Scheletro appendicolare: arto superiore e inferiore.

ARTO SUPERIORE: omero, scapola, clavicola non si articolano direttamente col tronco, ma fanno in
modo che l’arto superiore abbia un range di movimento così ampio che l’articolazione della spalla
è predisposta a lussazioni, che però di solito non avvengono grazie alla complessità dei legamenti
che vanno a costituire la capsula e i muscoli della cuffia che fanno da manicotto intorno alla nostra
articolazione e ne impediscono la lussazione. L’articolazione coxofemorale è molto più profonda
rispetto alla glenomerale e quindi non va incontro a lussazione, almeno non quando la sua
superficie è quella naturale, quella ossea. Invece è più probabile nel paziente protesizzato.
CARATTERISTICHE DELLE OSSA: abbiamo sporgenze o rientranze che prendono diversi nomi, è
importante conoscere la nomenclatura. Ci sono spazi articolari e non articolari a seconda che
costituiscano o meno delle connessioni con altre ossa contigue.
Processi ossei: possiamo avere condili, tubercoli, testa, trocantere, spine, creste.

Per quanto riguarda il cingolo scapolare: costituisce l’articolazione dell’arto libero superiore e
quindi articolazione di clavicola e scapola che poi si articola con l’omero, che distalmente si
articola con ulna e radio e questi a loro volta con le ossa di carpo, metacarpo e poi falangi.
Clavicola e scapola sono presenti bilateralmente, non si articola con la colonna vertebrale, e non
presenta un’articolazione ventrale diretta. Ci sono particolarità anatomiche, forma di S, estremità

1
sternali si articolano con lo sterno, l’estremità acromiale con l’acromion, tende a dare stabilità alla
spalla.

Lato costale della scapola, si adagia sulle coste. Poi ha una faccia posteriore.
Oltre al quadro osseo, c’è la componente legamentosa. La profondità dell’anatomia ossea, della
glena e della testa omerale non è avvolgente, quindi delle insufficienze legamentose di questa
zona possono portare a lussazioni recidivanti oppure semplicemente favoriscono la lussazione
dopo dei traumi.
ARTICOLAZIONE SCAPOLOMERALE: abbiamo capsula, glena, con la superficie glenoidea della
scapola. Poi i muscoli della cuffia (sovraspinato, l’infraspinato, il sottoscapolare) ma non solo
questi stabilizzano la testa omerale, anche il capo lungo del bicipite brachiale. Il paziente con
lesione massiva di cuffia non ha dolore alla spalla, ma un dolore in sede bicipitale, questo perché il
capo lungo del bicipite passa a ponte sulla testa omerale e questo fa si che agisca da stabilizzatore,
un ruolo che non gli appartiene e per questo si infiamma e il pz avrà dolore alla sede di
infiammazione, non nella sede dove ormai i muscoli sono danneggiati e se la rottura è totale non
possono funzionare, di conseguenza il pz non ha dolore perché la contrazione non avviene in
maniera ottimale.

2
L’omero si articola con ulna e radio. Questi si articolano in modo stabile con l’omero a differenza
di quanto l’omero fa con la glena. OLECRANO: si articola con la troclea omerale, questa porzione
va nella fossa olecranica, mentre il processo coroideo dell’ulna va nella fossa coroidea.
OMERO: Testa, collo, distalmente ci sono troclea e condilo.
Immagine chirurgica scattata in sala operatoria: ci fa capire l’importanza dell’anatomia. La troclea
omerale è in una posizione sbagliata. Si usano viti e placche, mediale e laterale, che avvolgono e
stabilizzano la superficie omerale.

Immobilizzazione del gomito in seguito a fratture: è l’articolazione che reagisce peggio


all’immobilizzazione. Frattura del polso  c’è immobilità del gomito comunque, perché il gesso
che si applica in una frattura complessa di polso è un brachio-metacarpale, l’immobilità del gomito
crea rigidità in un gomito sano. Quando si fanno delle sintesi, dobbiamo cercare di mobilizzare
precocemente l’arto ma per fare questo dobbiamo essere sicuri della sintesi che abbiamo fatto.
Prossimalmente il radio si articolerà con l’omero attraverso la sua testa mentre distalmente con le
ossa del carpo. Distalmente il radio presenta il processo stiloideo.
L’ulna ha l’olecrano e il processo coronoideo prossimalmente, distalmente la testa col processo
stiloideo.
Le ossa del carpo si articolano col radio, vengono sottovalutate quando abbiamo traumi di polso
(fratture) a volte la radiografia è negativa per fratture e si pensa che sia tutto a posto. In realtà ci
sono parametri che servono per valutare le ossa del carpo, anche perché un’alterazione di queste
ossa può portare ad artrosi precoce. Un esempio è la lesione del legamento scafolunato (tra
scafoide e semilunare).
Normalmente quando il paziente fa una radiografia successiva a trauma, ci concentriamo sul radio
(dove è più comune trovare fratture), oppure sullo scafoide (se il pz cade in un certo modo si
frattura frequentemente), ma alcuni non prestano attenzione alla distanza tra scafoide e
semilunare: se il trauma non è abbastanza forte da fratturare l’osso, può comunque danneggiare il
legamento tra queste due ossa. All’inizio il pz avrà dolore che poi passerà, quindi pensiamo di aver
fatto una buona diagnosi e un buon trattamento. Ma col tempo questo porta a una migrazione
dello scafoide verso il basso e a una migrazione del semilunare verso il capitato  questo porta a
3
artrosi precoce. Un pz in circa 10 anni vedrà comunque evolvere la sua patologia, che inizialmente
poteva sembrare un trauma banale, in un’artrosi radiocarpica. Non bisogna focalizzarsi solo su ciò
che ci aspettiamo.
BACINO: Il femore si articola attraverso l’articolazione coxofemorale al bacino.
ARTICOLAZIONE DELLA CAVIGLIA: avremo il malleolo laterale del perone, malleolo mediale della
tibia, malleolo posteriore della tibia. I malleoli sono tre e stabilizzano la caviglia.
Ossa di tarso, metatarso e falangi. Le falangi sono due sul primo dito e tre sulle altre dita.
Durante l’embriogenesi l’osso dell’anca ha tre parti: ileo, ischio, pube. Poi si fondono e creano
l’alloggio per la testa femorale.
Immagine all’ Rx: visione chirurgica del paziente in sala operatoria per protesi di anca. Un pz che
effettua un accesso posterolaterale o posteriore va posizionato in decubito laterale. Se facciamo
questo intervento in accesso posterolaterale in decubito laterale, quando incidiamo cute e
sottocute, incidiamo la fascia e identifichiamo il gluteo medio, il piccolo gluteo sta sotto il medio.
Invece quando facciamo l’accesso laterale diretto, visualizziamo il piccolo gluteo e durante
l’intervento distacchiamo il piccolo gluteo dalla sua inserzione, che è sul grande trocantere.
Quando invece facciamo l’accesso posterolaterale, distacchiamo piriforme, gemello superiore,
gemello inferiore, otturatore esterno e una parte del quadrato femorale. In base a questo accesso
si notano alterazioni nel paziente che viene operato: i pazienti nei quali viene posizionata una
protesi d’anca con accesso posterolaterale hanno maggiore probabilità di lussazioni rispetto
all’accesso laterale diretto. Allora perché non fare a tutti l’accesso laterale diretto? Perché
nonostante noi alla fine riattacchiamo i muscoli chirurgicamente, c’è una cospicua percentuale di
casi in cui il piccolo gluteo anche se riattaccato non riesce ad avere la contenzione del bacino,
quindi il paziente quando cammina avrà un’emicaduta del bacino e questo è invalidante.
La via più diffusa quindi per il momento è la posterolaterale.
Importanza dell’anatomia dei tessuti molli: il nervo sciatico può essere danneggiato, usando alcuni
divaricatori rischiamo di effettuare stress su questo nervo causando un deficit motorio.
DIFFERENZE ANATOMICHE TRA PELVI FEMMINILE E MASCHILE: la femminile è meno profonda ma
più larga e durante la gestazione aumenta la sua mobilità e permette quindi anche dei movimenti
in cui aumenta l’ampiezza.
I muscoli che ci interessano nella protesi d’anca o comunque per interventi sul femore prossimale
e sul bacino hanno funzione non solo motoria, ma anche di contenzione die visceri.
IMMAGINE ALLA RISONANZA MAGNETICA: aumento del liquido intrarticolare e vediamo che c’è
una scala di grigi, non è il colore tipico, intenso, dell’osso. Questo è un edema osseo: o ha
un’osteonecrosi di femore oppure ha un’algodistrofia della testa femorale ecc.. Riconosciamo la
rotula, il femore distale, la tibia prossimale. Quello che si vede in nero è il legamento crociato
posteriore.
Altra immagine dell’articolazione della caviglia sempre all’RM: calcagno, astragalo, tibia.

4
FEMORE: ha una testa, il collo è la porzione più debole che lo caratterizza, perché il femore è
imponente e forte per questo ha tuberosità importanti (grande e piccolo trocantere), a questo
livello si inseriscono muscoli imponenti, come la muscolatura glutea o l’ileopsoas che si inserisce
sul piccolo trocantere.

MENISCO MEDIALE E LATERALE: agiscono da cuscinetti. 20-30 anni fa venivano totalmente rimossi
in seguito a danno del menisco in modo che il pz avesse beneficio fin da subito ma si è visto che
dato che queste porzioni fibrose agiscono da cuscinetti tra le superfici cartilaginee ritardano il
processo di artrosi, una loro rimozione precoce porterà l’articolazione a sviluppare una
condropatia con degenerazione cartilaginea e quindi artrosi precocemente.
Il legamento crociato anteriore va da laterale a mediale prossimo-distalmente mentre il posteriore
va da mediale a laterale prossimo-distalmente.
Però abbiamo detto che, pur essendo più stabile rispetto a quello della spalla, questa articolazione
va incontro soprattutto a fratture del collo e porzione intertrocanterica rispetto alla lussazione.
Questo tipo di fratture colpisce individui specifici, in base all’anatomia e alla patologia che questi
pazienti possono manifestare.

5
La rotula (o patella), è un osso sesamoide interposto all’interno del tendine del muscolo
quadricipitale ed è fondamentale per dissipare le forze presenti tra muscolo quadricipite e la sua
inserzione sulla tuberosità tibiale. I crociati si inseriscono sulle spine tibiali.
Tuberosità tibiale: su questa si inserisce il legamento rotuleo.
IL PERONE NON SI ARTICOLA CON IL FEMORE MA CON LA TIBIA. Distalmente si articola a formare
la caviglia in modo da tenerla stabile. Il perone distalmente ha delle superfici articolari. In passato
il perone veniva sintetizzato attraverso dei fili, un solo filo di solito, che si metteva all’interno del
canale in modo da preservarne la lunghezza, la rotazione e l’asse. Ma col tempo si è visto che
questo non bastava, anche perché ha una superficie articolare, quindi le fratture di perone non
devono essere trattate come fratture di ossa lunghe (quindi fratture diafisarie dove serve una
stabilità relativa), ma come delle fratture articolari. Le fratture di perone ora si sintetizzano con
delle placche perché la stabilità delle fratture del terzo distale di perone è fondamentale per avere
una caviglia stabile che possa mobilizzarsi più in fretta.
LESSICO IN ORTOPEDIA:
VALGO E VARO: il ginocchio valgo aumenta l’angolo. La caviglia valga: l’angolo va verso l’esterno.
PRONATO E SUPINATO: per il polso è più semplice, ma anche il piede può essere pronato o
supinato (supinato: guarda verso l’alto, verso l’interno). Importante nelle fratture del radio distale:
questo movimento ci dà l’idea della ripresa funzionale del paziente. Nelle fratture non molto
complesse trattate conservativamente anche con apparecchio gessato, il pz flette ed estende
abbastanza precocemente dopo la rimozione, invece la prono-supinazione avviene dopo e il fatto
che il paziente riesca a farlo è positivo.
FLESSIONE ED ESTENSIONE. ABDUZIONE E ADDUZIONE (adduzione: quando ci si avvicina alla linea
mediana). INTRAROTAZIONE ED EXTRAROTAZIONE. Nel piede torto troveremo diverse di queste
situazioni tutte insieme.

6
PRINCIPI DI TRAUMATOLOGIA DELL’ARTO INFERIORE
Di solito un evento meccanico provoca un danno anatomico, questo fa sì che ci sia una
discontinuità dell’osso. Ma dobbiamo pensare non solo alle ossa, anche alle articolazioni e ai
tessuti molli.
Distorsioni: di solito sono più frequenti quelle a carico della caviglia (il legamento peroneo-
astragalico anteriore è quello che si danneggia più spesso. Ma anche il legamento deltoideo della
caviglia va spesso incontro a lesioni che rendono la caviglia instabile).
SUBLUSSAZIONI E LUSSAZIONI: di solito della testa omerale.
Danno ai tessuti molli: può essere conseguente a un trauma, questo causa escoriazioni, ferite da
taglio, lacerocontuse, con perdita di sostanza. Il danno ai tessuti molli ad esempio in una ferita
penetrante potrà danneggiare i muscoli e le formazioni tendineo-legamentose, o nei casi peggiori
delle lesioni vascolari e nervose. In questi casi più gravi, sarà uno specialista vascolare a
intervenire, come quando arriva un politraumatizzato della strada, anche se c’è una frattura di
bacino è giusto dare una priorità alla patologia e se c’è un danno delle iliache interviene prima
l’anestesista e il chirurgo vascolare e poi l’ortopedico.
Il ruolo dell’ortopedico avviene in due step: uno step è quello in cui si stabilizza il bacino in modo
che gli altri specialisti possano lavorare al meglio e questo si fa con il fissatore esterno. Questo tipo
di fissatore esterno si posiziona in pochi minuti e non serve per la guarigione del paziente, ma
serve per stabilizzare il paziente e permette ai colleghi di salvargli la vita.
Vittorio Putti diceva che la frattura se trattata entro le 48h guarisce meglio ed è più facile da
trattare. Questo, applicato ai nostri giorni, si è riflesso in questo modo: gli ospedali vengono
valutati sulla percentuale di fratture di femore che vengono sintetizzate entro le 48h. Questo non
solo per il tasso di mortalità inferiore, ma anche perché in pronto soccorso il paziente trova
l’infermiere di triage e un collega del pronto soccorso che lo visita, farà le Rx e il radiologo referta,
poi interverrà l’ortopedico riconoscendo il tipo di frattura e se chirurgica il cardiologo dovrà fare
una consulenza e avvisare l’anestesista. Poi si effettua il ricovero e il giorno dopo o il giorno stesso
il paziente può essere operato grazie agli strumentisti della sala, ortopedici e anestesisti. E’ un
lavoro in team, ecco perché l’ospedale valuta in base al trattamento delle fratture.
Le fratture si classificano per traumi diretti e indiretti.
Immagini di radiografie: frattura sottocapitata del femore  non vediamo spicole, cioè porzioni
appuntite ossee: è un pz anziano che ha smesso di camminare, si lamentava e i parenti lo hanno
tenuto allettato per 2 mesi e in due mesi il collo si è riassorbito, ma sappiamo che lì deve esserci
un collo e quindi si riconosce che è una frattura vecchia.
Altra immagine di frattura traumatica nel terzo prossimale della diafisi femorale.

7
Fratture da microtraumi, da fatica: spesso in donne sovrappeso che iniziano a fare movimento,
ma le ossa non abituate a sopportare quel carico si fratturano.

Fratture patologiche: non sono solo le tumorali, dovute a tumori maligni, ma anche quelle dovute
a cisti ossee. Nel caso di questo pz con cisti ossea, la corticale è molto sottile, se fa un carico
maggiore del solito, un piccolo trauma frattura facilmente questa porzione di corticale. Possono
essere date da metastasi come in questo caso, si vedono metastasi osteolitiche (la densità
dell’osso è minore). (Trochite: dove si attacca il sovraspinato e infraspinato)

Fratture da osteoporosi: le più comuni. Le fratture del femore prossimale dell’anziano dovute a
osteoporosi rappresentano la maggior parte dei ricoveri.
Frattura basicervicale: nell’immagine anche il grande e il piccolo trocantere sono staccati.
Pensiamo all’anatomia, ai disegni: la testa, il cotile, il collo, l’interruzione della corticale (nero che
vediamo all’RX), il grande trocantere (interrotto, più scuro; con trabecole), il piccolo trocantere
(staccato). Pensate quindi che tutta la muscolatura glutea, che ha inserzione sul grande
trocantere, non avrà una zona di inserzione forte e la stessa cosa vale per l’ileopsoas che si articola
sul piccolo trocantere.

8
Queste sono delle lesioni secondarie che vediamo soprattutto in pazienti con mieloma o con
patologie ematologiche. Quindi vediamo come il normale colore, il normale aspetto che ci
aspetteremmo dal femore dovrebbe essere questo, invece vediamo come è completamente
sovvertito, ha perso completamente la sua struttura. Quindi è chiaro che se noi a questo paziente
diamo il carico, questo si frattura sicuramente. In più, se notiamo, qui si è già fratturato perché il
collo va oltre la corticale mediale. In questi casi mettiamo delle protesi oncologiche, quindi
andiamo a sostituire tutta la porzione di femore prossimale.
Se classifichiamo le fratture per meccanismo lesivo, le possiamo classificare per fratture che
avvengono in flessione, in torsione, in compressione e da strappo.

IMPORTANTISSIMO: questo tipo di rima, è una rima di tipo trasverso. Le fratture di femore, le
fratture di ossa lunghe, possono essere di tipo trasverso, obliquo o spiroide.

9
Questo viene influenzato dall’energia del trauma concentrata in una porzione ben definita. Una
frattura trasversa di tibia è comune vederla in un paziente che viene investito: il paraurti darà una
grande energia in un piccolo spazio → frattura trasversa. Una frattura spiroide invece è una
frattura per torsione, non serve una forza particolarmente evidente per creare questo tipo di
frattura. Ed è importante saperlo perché una forza che danneggia in maniera trasversa un osso
(come può essere una tibia o un femore) è chiaro che avrà anche agito a livello dei tessuti molli
creando un danno importante, cosa che invece non si manifesta nelle spiroidi. Questo ci aiuterà
poi a capire il timing di intervento sulle fratture in base anche a ciò che ci aspettiamo avvenga a
carico dei tessuti molli.

Le fratture per compressione sono frequenti e classiche soprattutto per le vertebre e a carico del
piatto tibiale.

10
E poi abbiamo le fratture da strappo: qui abbiamo per esempio il legamento rotuleo che ha
strappato la tuberosità tibiale. Questo tipo in particolare di frattura non è molto frequente, ma
questo tipo di lesioni avviene soprattutto nel giovane nel quale i legamenti sono così forti che
hanno la meglio sulla porzione ossea e ne causano un’avulsione. Questo può essere un esempio
del legamento deltoideo della caviglia che può fare un’avulsione sull’astragalo, oppure avulsioni
della base del quinto metatarso dove il legamento strappa la porzione ossea senza danneggiarsi. In
quei casi possiamo trattare sia conservativamente con immobilizzazione se il frammento non si è
allontanato molto, oppure a volte dobbiamo intervenire chirurgicamente.
Tornando alle fratture, possiamo classificarle anche, sulla base dell’integrità del mantello, in chiuse
e aperte (esposte) a seconda che ci sia un’esposizione o meno; a seconda della rima, possono
essere unifocali o bifocali, con terzo frammento, o multifocali (complesse o comminute).
L’osteoporosi aumenterà la comminuzione.

Immaginate un omero: e non diciamo omero a caso, perché fino a qualche tempo fa le fratture
dell’anziano erano le fratture del femore prossimale, le fratture del radio distale, le fratture

11
vertebrali. Ora nella classificazione ci sono anche le fratture dell’omero prossimale, perché sono
delle zone dove l’osteoporosi fa sì che in caso di trauma ci possa essere un più alto tasso di
frattura.
Tornando a quello che stavamo dicendo sulla comminuzione, immaginate un giovane che può
avere un omero costituito da ceramica ma pieno. Se questo paziente cade e ha un trauma, il
numero di frammenti sarà inferiore a un paziente che ha un omero di cristallo. Quindi
l’osteoporosi determina un aumento della comminuzione dei frammenti, della frattura.
Ritornando alla classificazione, dicevamo:

 Monorima, bifocale, terzo frammento a farfalla, frattura complessa o pluriframmentaria;


 Trasverse, oblique, spiroidi → decorso della rima;
 Complete o incomplete, a seconda che vengano intaccate entrambe le corticali o
solamente una corticale;
 Articolari o extra-articolari: sono più gravi le articolari. Immaginiamo un pezzo di legno
tagliato a metà. Se metto una placca a monte dei due monconi, non accade niente di
particolare; diverso è se ho un vaso in ceramica e devo ricostruire in maniera
perfettamente anatomica quella porzione articolare, perché in questo caso non è plausibile
un gradino a questo livello perché esiterebbe in un’artrosi precoce di ginocchio. Quindi è
fondamentale, quando effettuo una sintesi di frattura articolare, che ci sia una stabilità
assoluta. Nelle sintesi articolari è necessaria la ripresa anatomica totale, mentre invece
nelle fratture diafisarie extra-articolari non è necessario che la sintesi sia anatomica, basta
conservare l’asse, la lunghezza e la rotazione;
 Epifisarie, metafisarie e diafisarie, sulla base della sede;
 Composte e scomposte, a seconda del tipo di posizione che assumono i monconi
(trasversale, longitudinale, angolare, rotatoria)

Una cosa che il chirurgo deve sempre tenere a mente è la rotazione. Quando noi sintetizziamo una
frattura di questo tipo, mettiamo un chiodo endomidollare che passa attraverso il canale del
femore. Ma nonostante noi entriamo in maniera ottimale all’interno del femore, dobbiamo
sempre tenere a mente il posizionamento dei monconi, perché un paziente che mostra una
rotazione di questo tipo non è che poi, una volta che l’intervento è finito, con la fisioterapia può
raddrizzare il piede (il suo piede rimarrà perennemente in intrarotazione, questo paziente
inciamperà sul suo piede).
Classificazione AO: dà un chiaro indirizzo sul tipo di sintesi da effettuare e aiuta a comunicare con i
colleghi di altre nazionalità.

 Per segmento scheletrico: l’omero è il n°1, il radio e ulna sono il n°2, il femore è il n°3, la
tibia e il perone sono il n°4;
 Per sede anatomica: 1 prossimale, 2 diafisi, 3 distale;
 Tipologia della rima: A semplice, B a cuneo (con terzo frammento), C complessa;

Esempio: una frattura della diafisi omerale con rima semplice sarà 1-2-A.

12
(Poi ci sono anche dei sottogruppi, ma il prof dice che imparare solo queste prime parti va bene.)
La classificazione delle fratture diafisarie secondo la classificazione AO è un po’ più semplice
perché nelle porzioni articolari, ad esempio la 1-1-A-1 riguarda il distacco del trochite, la 1-1-A-2
riguarda la porzione inferiore al collo, la 1-1-A-3 riguarda una frattura del collo.

(Memorizzare la classificazione delle diafisarie.)


Le fratture le identifichiamo in base a dei segni di certezza e di probabilità. Se manualmente,
visitando il paziente, avverto una crepitazione o delle mobilità preternaturali, è chiaro che
quell’omero è fratturato, quindi è un segno di certezza. Mentre, dei segni di probabilità saranno
un arto atteggiato in difesa, una deformità, una tumefazione, un’ecchimosi, il dolore. Per esempio,
un tipo di lesione frequente dei bambini (dai 2 ai 4-5 anni) è la pronazione dolorosa. I genitori si
divertono a sollevare il bambino per i polsi per farlo divertire, finché non abbiamo una lussazione
del capitello radiale e quindi il bambino sarà portato da noi con il braccio immobile in posizione
pronata. Capire che non si tratta di una frattura e fare la manovra di riduzione.
Diagnosi clinica: importante fare l’anamnesi (capire il meccanismo traumatico), fare l’esame
obiettivo (valutazione polsi periferici, sensibilità e mobilità), escludere lesioni associate.
Diagnosi strumentale: nel momento in cui il paziente arriva da noi, faremo una RX standard in due
proiezioni (anteroposteriore e laterolaterale), una TC nelle fratture complesse e di bacino, una RM
per valutare i tessuti molli. Se temo qualche danno vascolare farò un’angiografia, se temo qualche
danno nervoso farò un’elettromiografia.
Il trattamento che posso adottare nei confronti di queste fratture può essere di tipo conservativo
(incruento) o di tipo chirurgico (cruento). A sua volta, quello di tipo cruento può essere a cielo
chiuso o a cielo aperto. Un altro tipo di sintesi è la fissazione esterna. Nel territorio regionale non è
frequentissima, ma comunque è utile capire che utilizzo si può fare della fissazione esterna e
sapere che importanza ha sia come metodo di stabilizzazione (nelle fratture di bacino, di caviglia,
di tibia, di femore, dove i tessuti molli non sono ottimali) sia come stabilizzazione stabile, da
tenere nel tempo, fino alla guarigione della frattura.
Prima per il paziente non troppo anziano si utilizzavano i tutori alla desault, i gessisti facevano
questo tipo di bendaggi. Ora li utilizziamo soprattutto nei pazienti anziani con alto rischio
operatorio per stabilizzare le fratture dell’omero; il problema è che il paziente deve tenere questo
tipo di contenzione (tutore a permanenza, non si può togliere neppure per fare la doccia) fino a 25
giorni.
13
Ci sono anche delle valve che possono essere messe solo per stabilizzare in maniera temporanea,
anche se ad oggi non vengono più utilizzate, sono un qualcosa di storico.

Trazioni: metodo di stabilizzazione temporanea che veniva utilizzato fino a poco tempo fa e che
ancora viene utilizzato in alcuni centri. Il paziente, che presenta per esempio una frattura di
omero, viene posizionato supino su un letto dedicato dove viene messo in trazione con questo
tipo di struttura (filo che passa per il suo olecrano – trazione transolecranica). Il paziente deve
rimanere a letto in questa posizione per circa 5-7 giorni. Oppure, trazione transcondiloidea di
femore; trazione transcalcaneale che usiamo nelle fratture di tibia (il paziente in tutti questi casi
rimane sempre allettato e questo implica che debba essere gestito dal personale infermieristico).
Per questo motivo, un trattamento che sta andando a sostituire la trazione è la fissazione esterna.
Le fratture del collo del femore sono le più frequenti, ma, ciononostante, sono presenti delle
insidie: piccolo trocantere, testa femorale, le viti sono fuori dalla testa e vanno sul cotile. In questo
caso si è spezzato il chiodo.

14
In quest’altro caso una vite non si è bloccata in sede del chiodo ed è entrata nella pelvi.
Porre attenzione quando i pazienti lamentano dolore e anche al tipo di sintesi che facciamo.
Formazione del callo osseo: necrosi → formazione di un ematoma → attivazione dei macrofagi →
rimozione dei detriti → chemiotassi → neoangiogenesi. Avremo una proliferazione cellulare e
vascolare con una successiva differenziazione.

15
Quindi una fase riparativa, nella quale abbiamo l’osso primario a fibre intrecciate con osso
lamellare che si va a localizzare prevalentemente in sede corticale e questo andrà a costituire in
questo caso un’osteogenesi di tipo indiretto, cioè la formazione del callo. Le fratture, in natura,
guariscono così.
Immagini al microscopio ottico ed elettronico di osso immaturo a fibre intrecciate, di osso
lamellare e poi la sua evoluzione in tessuto fibroso.

16
L’osteogenesi diretta invece richiede una stabilità di tipo assoluto, con una compressione stabile, e
non è presente in natura. Questo tipo di guarigione non sviluppa il callo. Abbiamo due porzioni
dello stesso osso separate e dei canali vascolari (Haversiani) che attraversano le due strutture.
Affinché questo avvenga, deve esserci un contatto perfetto tra i due frammenti e non ci deve
essere nessun movimento tra le due porzioni, altrimenti si andrebbe a creare un callo. Nel
momento in cui noi creiamo un costrutto di questo tipo, lo facciamo attraverso una placca o delle
viti interframmentarie. Facciamo in modo che non si formi il callo perché vogliamo che la nostra
frattura guarisca in questo modo. Se il nostro costrutto non si mostra adeguato, allora andremo
incontro ad una pseudoartrosi perché non potendo sviluppare il callo, i due frammenti non si
possono unire.
Immagini che ci fanno capire la differenza tra guarigione di tipo diretto e indiretto e stabilità di
tipo relativo e assoluto. L’osteogenesi diretta l’abbiamo con la stabilizzazione assoluta. Se
facciamo una stabilizzazione di tipo relativo, abbiamo un’osteogenesi indiretta.

Qua abbiamo un chiodo che passa all’interno di un canale femorale; il chiodo dà una stabilità
relativa che permette dei piccoli movimenti, permette il carico. Di conseguenza, si svilupperà il
callo. Il paziente starà bene e andrà a guarigione in questo modo.
In questo caso abbiamo una placca a ponte (caso limite) e anche lei ha sviluppato un certo grado
di callo.
Il fissatore esterno è la stabilizzazione relativa per eccellenza, perché permette più movimenti
rispetto a tutti gli altri.
Fattori che influenzano la guarigione:
- età;
- sede della frattura;
- contatto fra i monconi;
- periostio;
- vasi (se danneggiati, danno un ritardo di guarigione della frattura fino alle pseudoartrosi),
- immobilizzazione;

17
- infezione

Le fratture, se trattate con una sintesi adeguata, non devono essere immobilizzate o comunque
devono esserlo per il tempo più breve possibile. Una frattura pertrocanterica trattata con chiodo
endomidollare stabile, va in piedi subito. Nella pratica clinica lo si fa il giorno dopo perché si
aspetta la radiografia di controllo, però da subito si può dare il carico.
Complicanze generali:
- shock;
- embolia adiposa;
- tromboembolia;
- cistopieliti;
- broncopolmoniti;
- piaghe da decubito

Complicanze immediate:
- esposizione della frattura (soluzione di continuo con l’esterno; somministrare subito
terapia antibiotica, le linee guida attuali suggeriscono addirittura in ambulanza);
- associazione della frattura alla lussazione (nonostante la manovra di riduzione, è meglio
che al paziente venga fatta una radiografia);
- lesioni viscerali;
- lesioni tendinee;
- lesioni vascolari;
- lesioni nervose

Le complicanze locali immediate le classifichiamo a seconda della classificazione di Gustilo:


TIPO I → ferite di lunghezza < 1 cm
TIPO II → ferite di lunghezza > 1 cm, ma senza lesioni dei tessuti molli
TIPO III A → ferite ampie con buona copertura da parte dei tessuti molli e assenza di esteso danno
periostale
TIPO III B → ferita ampia con esposizione dei frammenti ossei ed esteso danno periostale (rischio
maggiore che la frattura non guarisca)
TIPO III C → ferita ampia con lesioni vascolari
Regola clinica: 3 L di soluzione fisiologica per ogni grado di Gustilo.
Caso di frattura associata alla lussazione: immaginiamo un paziente che lamenta dolore perché
pensa di essere lussato, cerchiamo di ridurlo, magari danneggiamo il circonflesso e gli diamo un
deficit del deltoide.

18
Caso di lesioni nervose: abbiamo due vertebre, a questo livello passa il midollo spinale, oppure
accade che il muro posteriore della vertebra protruda posteriormente e possono essere causati
dei danni al midollo. Altro esempio di lesione nervosa, immaginiamo il nervo radiale, che passa
posteriormente e poi si porta anteriormente. Una frattura in questa zona può danneggiarlo, ma
possiamo danneggiarlo anche noi perché il paziente magari viene con una frattura che non ha
danneggiato il nervo ma in sala operatoria la dobbiamo riportare in sede, la dobbiamo riallineare,
e questo fa sì che a volte si possa danneggiare il nervo. Questo ci fa riflettere sull’importanza del
fatto che questo tipo di fratture va stabilizzato precocemente. Se noi non stabilizziamo, quell’osso
continuerà a muoversi finché noi non lo sintetizziamo.

Questa è una frattura di bacino vista in 3D, immaginiamo le lesioni viscerali a quel livello,
considerando come viene interessata la piccola pelvi.

Queste sono delle lesioni vascolari, in questo caso viene fatta una ricanalizzazione.
19
Complicanze locali precoci:
- Sindrome di Volkmann, che avviene soprattutto nelle fratture
sovracondiloidee di omero. In questi casi, abbiamo una
retrazione ischemica con un atteggiamento in flessione del polso.
- Infezione del focolaio di frattura.

Le complicanze locali tardive possono essere:


- ritardo di consolidazione (nel caso in cui sia inferiore ai 6 mesi);
- pseudoartrosi (dopo i 6 mesi);
- vizi di consolidazione;
- necrosi ossea ischemica (presente soprattutto successivamente a fratture mediali di
femore);
- artrosi post-traumatiche (nel caso non venga ripristinata la superficie articolare);
- rigidità articolari (nel caso di immobilizzazione continuativa);
- sindrome di Sudek (in seguito a immobilizzazione prolungata, con una diminuzione della
densità ossea e un’immobilità anche volontaria del paziente dovuta alla sintomatologia
algica)

Un paziente con un ritardo di consolidazione a 4 mesi, che si lamenta della sua frattura e della
sintesi che non lo sta portando a guarigione, nel caso noi lo rioperassimo e l’intervento andasse
peggio, dobbiamo mettere tutto sul piatto della bilancia. Per le linee guida, fino a 6 mesi abbiamo
capacità di guarigione di quella frattura; dopo i 6 mesi, viene classificata come pseudoartrosi, non
guarirà per nessun motivo e noi dobbiamo reintervenire.
Qualche esempio di ritardi di consolidazione dove vediamo tessuto fibroso, non si è formato
nessun callo e questo fa sì che si abbia poi un fallimento della sintesi.

20
Nelle pseudoartrosi abbiamo la scomparsa della corticale, l’obliterazione del canale midollare, il
tessuto osseo che non appare particolarmente evidente, del tessuto fibrocartilagineo non
mineralizzato e dei condrociti ipertrofici. Abbiamo due tipi di pseudoartrosi: a zampa di elefante
(ipertrofica) e l’atrofica (le due porzioni ossee si sfiorano, ma vediamo proprio l’atrofia delle due
porzioni).
Complicanze locali:
- pseudoartrosi;
- necrosi asettica delle epifisi;
- vizi di consolidazione

Questa è la testa del femore: spesso accade che nelle


fratture mediali di femore, possiamo trattare queste
fratture in diversi modi in base all’età del paziente e alla
sua funzionalità (quanto il paziente utilizza le sue articolazioni,
quello che fa nella sua quotidianità). Possiamo posizionare
o tre viti, nel caso in cui la frattura sia particolarmente composta,
o posizionare un’endoprotesi o un’artroprotesi. Nel caso in cui
posizioniamo le tre viti, accade che nella porzione mediale del
collo passino delle arterie che vascolarizzano la testa. Nel caso in
cui la frattura sia particolarmente scomposta, si verifica una
decapitazione delle arterie cefaliche, e questo porta a distanza
di tempo ad un riassorbimento della testa con un’osteonecrosi e

21
quindi il paziente dovrà essere sottoposto ad un altro intervento in cui saremo costretti a
posizionare o un’endoprotesi o un’artroprotesi.
La crisi vascolare dell’epifisi è tanto più grave quanto più la frattura mediale è scomposta.
Elementi condizionanti fondamentali per le fratture sono:
- tipologia della frattura;
- stabilità della riduzione (più è stabile, prima lo mettiamo in piedi, più facciamo
velocemente la mobilitazione);
- metodo di fissazione (dobbiamo conoscere il costrutto che utilizziamo e in base a questo
sappiamo quanto rapidamente il paziente può tornare alle attività quotidiane).

22
MALATTIE DELL’APPARATO LOCOMOTORE – Lezione 2

05/05/2022

Canu - Corda

FRATTURE DELL’ARTO INFERIORE


È bene analizzare le fratture dell’arto inferiore sia da un punto di vista macroscopico, come si
presentano e come devono essere trattate, sia da un punto di vista microscopico, ovvero i principi
di guarigione delle fratture (anche se è un aspetto microscopico non visibile) , necessari per capire
la riabilitazione e la gestione del paziente che ci si trova di fronte.

FRATTURE FEMORE PROSSIMALE

Nell’ambito delle fratture del femore prossimale riconosciamo:


FRATTURE MEDIALI: delineate da una linea che non è altro che il punto di inserzione della capsula
articolare (fratture mediali alla capsula)
FRATTURE LATERALI: (fratture laterali alla capsula) si possono definire “peritrocanteriche”,
intertrocanteriche
Questa suddivisione è utile per riconoscere i pazienti che si presenterano alla nostra attenzione: il
paziente con una frattura mediale di femore avrà caratteristiche cliniche differenti da un pz con una
frattura laterale e ovviamente sarà diverso anche il trattamento.

Infatti nelle fratture laterali si utilizza una sintesi, cioè si cerca di riparare la frattura attraverso dei
mezzi di sintesi, di cui il più utilizzato al giorno d’oggi è il chiodo endomidollare, usato soprattutto per
le fratture pertrocanteriche. In passato, per questo tipo di fratture, si preferiva utilizzare un altro
mezzo di sintesi (con medesima funzione del chiodo endomidollare), ovvero una placca costituita
da una porzione cefalica e una porzione aderente alla superficie del femore; è un costrutto che
poteva funzionare in passato, ma dato che nelle ultime linee guida fondamentale importanza è data
ad una mobilizzazione precoce, si preferisce in questo tipo di fratture a posizionare un chiodo
endomidollare in modo tale, dopo l’intervento, da porre il paziente subito in piedi.
23
Le fratture mediali, per caratteristiche anatomiche proprie, non permettono l’uso di un mezzo di
sintesi per il trattamento: sarà quindi necessario sostituire l’articolazione; si può decidere, a seconda
del caso clinico, di posizionare una endoprotesi.

Da che cosa si riconosce un’endoprotesi: non è presente il cotile, questo perchè viene sostituita
solamente la porzione femorale, mentre la porzione cotiloidea viene lasciata integra senza necessità
di sostituzione da parte di un cotile di metallo. In passato questo tipo di protesi veniva catalogata
come protesi dell’anziano; al giorno d’oggi si tende a dare maggiore importanza alla valutazione
funzionale del paziente (pz di 70, 80, 90 anni che magari hanno una mobilità più attiva rispetto a pz
di 75 che per comorbidità hanno maggiore limitazione funzionale), quindi nel caso in cui il pz abbia
una spiccata attività sarà necessario sostituire anche la porzione del cotile.
Domanda frequente : “se si dovesse fratturare un pz giovane, con frattura scomposta sottocapitata,
ovvero sotto la testa del femore, si dovrebbe posizionare una endoprotesi o una artroprotesi?
Il pensiero più comune è che, essendo il pz giovane, sia necessario sostituire solo la porzione
femorale perché si presume che l’acetabolo sia in buone condizioni; in realtà questo non è del tutto
corretto, perché succede che il giovane, essendo funzionalmente molto attivo, avrà ,in questo modo,
una componente metallica che reagirà agli stress e sforzerà a livello osseo, quindi è chiaro che dopo
2/3 anni andrà incontro ad un intervento di revisione, in cui si farà il posizionamento di un’artroprotesi.
Quindi un pz giovane con frattura mediale scomposta mette sempre una artroprotesi, mai una
endoprotesi .

FRATTURE DIAFISARIE
Un altro tipo di fratture del femore è rappresentato dalle fratture diafisarie, le quali possono essere
causate da un trauma diretto o da un trauma indiretto.

24
TRAUMA DIRETTO: avviene soprattutto nel pz giovane, un esempio può esseere rappresentato dai
traumi per incidenti stradali, comunque definibili traumi ad alta energia. Una volta avvenuto il
trauma, il pz risponde al trauma stesso (che comporta la rottura di un osso) con delle complicanze
che possono essere sia generali come: shock, embolia adiposa, sia locali come: esposizione di
segmenti ossei, lesioni vascolari o nervose e se non adeguatamente mobilizzato rigidità del
ginocchio, pseudoartrosi in caso non ci sia una riparazione precoce della frattura oppure la sintesi
non sia adeguata. Non è infrequente l’interposizione muscolare tra i frammenti ossei che crea
difficoltà nella riduzione della frattura e nella successiva guarigione.
TRAUMA INDIRETTO: per flessione o per torsione
Esempio: nel cavo popliteo è localizzata un’ampia varietà di strutture nervose e vascolari, è chiaro
che una frattura di femore diafisaria distale possa danneggiarle, soprattutto quando avviene una
scomposizione posteriore. Quindi se un pz con questo tipo di frattura viene tenuto a letto senza
mobilizzazione precoce e senza riparazione della frattura stessa, si creeranno delle aderenze, delle
rigidità, anche per fratture molto meno gravi, per cui “l’immobilità è il nostro nemico più grande”. In
più si potrà avere formazione di un ematoma e questo creerà delle aderenze fibrose che renderanno
questa rigidità ancora più difficile da risolvere.
In questo tipo di fratture ,inoltre, è frequente l’interposizione di tessuto muscolare e questo giustifica
il fatto che l’intervento chirurgico debba essere fatto per via open. Quando si va a ridurre una frattura
infatti, si cerca sempre di farlo in maniera poco invasiva ,se possibile, ma se il pz ha interposizione
muscolare o ad esempio lesione del nervo radiale, agendo per via mini-invasiva si rischia molto di
più rispetto ad esporre quella porzione di osso, perché è chiaro che in questa situazione si renda
necessario andare ad identificare tutte le strutture coinvolte.

FRATTURE SOTTOTROCANTERICHE

Nelle fratture sottotrocanteriche abbiamo una rima che si porta dal femore prossimale e scende
diafisaria distalmente.

25
Le FRATTURE SOTTOTROCANTERICHE si definiscono tali quando si trovano a 2 cm dal piccolo
trocantere (importante perché il tipo di sintesi utilizzata dipende anche dalla estensione che va
distalmente, che giustifica l’utilizzo di un chiodo che si definisce “oblungo”, cioè percorre tutta la
lunghezza del femore, rispetto ad un chiodo corto che invece ha una lunghezza di circa 17 cm).
Tra le caratteristiche peculiari riconosciamo: la rima decorre subito distalmente al piccolo trocantere,
è trasversale o obliqua e non c’è interessamento del massiccio trocanterico.
Si nota quando la frattura è ancora “fresca”, ovvero, quando il pz si è appena fratturato, perché si
riconosce come le spicole ossee siano appuntite, mentre nel caso in cui il pz abbia una lesione
secondaria o sia stato tenuto a letto per molto tempo, si osserva un parziale riassorbimento dei
margini. Questa frattura non guarirà mai, se non trattata chirurgicamente.
Quando si valutano fratture sottotrocanteriche bisogna prestare attenzione, oltre all’interposizione
dei muscoli, anche alle posizioni che assumono le ossa fratturate, perché, è chiaro che la porzione
di osso prossimale del femore prossimale dove si inserisce la muscolatura (muscoli glutei, ileopsoas
ed extrarotatori) , tenderà a spostarsi in abduzione, flessione ed extrarotazione; mentre invece la
porzione distale (per azione dei muscoli quadricipite, flessori del ginocchio ed adduttori) si porterà
in alto e medialmente e sarà addotta perché trascinata dagli adduttori. Anche per questo motivo è
importante conoscere l’anatomia sia ossea che dei tessuti molli.
Analizzando la sintesi: in una frattura di questo tipo si opta per posizionare un chiodo endomidollare,
che è un chiodo in titanio, stabilizzato attraverso una vite cefalica (in alcuni casi si può mettere anche
una vite anti-rotazionale, ma di solito si posiziona solamente una vite cefalica) e distalmente
attraverso il posizionamento di viti distali. In qualche caso le viti distali apposte sono 2, anche se
normalmente nei chiodi corti si può mettere anche solo una vite, scegliendo se la sintesi debba avere
un configurazione di tipo statico o dinamico.
La sintesi STATICA dà più rigidità, quindi sono permessi micromovimenti più piccoli, mentre invece
optando per una sintesi DINAMICA si consentono al chiodo movimenti, ugualmente molto piccoli,
ma maggiori di quelli che si avrebbero con una sintesi statica, e che permettono ,allo stesso tempo,
una aumentata callogenesi, ovvero formazione del callo, e quindi una guarigione dell’osso più
precoce e migliore.

FRATTURE DEL TERZO MEDIO DELLA DIAFISI


Caratteristiche di queste fratture:
-rima trasversale, obliqua o spiroide
-a due o più frammenti
-semplice, bifocale, ecc
In questi casi, nella scelta del trattamento, non si potrà mai utilizzare un chiodo corto (non ci arriva),
ma si dovrà optare per un chiodo lungo.

26
Abbiamo parlato nella scorsa lezione della
differenza nella scomposizione delle
fratture, questa è ad longitudinem,
longitudinale, in accorciamento, un tipo di
frattura che in sala è più difficile da trattare,
perché bisogna immaginare la forza dei
muscoli del paziente che deve essere
stirata in modo da riallineare quell’osso.

Questa è una diafisaria pluriframmentata, in questi casi è chiaro


che non si possa fare una sintesi in assoluto, facendo saldare
ogni frammento, ma si dovrà optare per una sintesi relativa, cioè
con un chiodo, in cui si può intervenire dando un carico precoce,
così che la stimolazione del callo faccia in modo che la frattura
possa guarire al meglio.

Questo tipo di fratture non va trattato quindi con una placca a


stabilità assoluta, ma si può stabilizzare con un chiodo ad
esempio, con un fissatore esterno nel caso in cui sia esposta e
in questi casi si potrà andare incontro a guarigione. Disegno del
chiodo: si entra dalla fossetta prossimale del femore che si trova in corrispondenza medialmente del
grande trocantere, si inserisce il chiodo lungo, si fa arrivare fino distalmente al femore per poi
stabilizzarlo. Il pz con un costrutto di questo tipo può essere messo in piedi praticamente da subito
(non esiste tenerlo 30 giorni a letto). Dopo l’inserimento del chiodo possiamo valutare la guarigione
della frattura. Si potrà fare un controllo a 3 mesi: si vede che l’anatomia non è rispettata, ma sono
rispettati ASSE, ROTAZIONE e LUNGHEZZA, il pz può muovere l’arto e svolgere le normali attività
quotidiane senza problemi.
Quando si posiziona un chiodo in maniera statica, si può poi dinamizzare togliendo la vite statica.
Un tipo di chiodo utilizzabile è il chiodo retrogrado e non anterogrado, si interviene inserendo il
chiodo, ma invece di entrare dalla fossetta trocanterica, si fa una incisione a livello del legamento
rotuleo e da qui si inserisce il chiodo che viene poi stabilizzato con delle viti; il lavoro è lo stesso ma
anziché essere fatto in direzione prossimale-distale è fatto in direzione distale-prossimale, perché in
questo caso la frattura è distale e quindi la decisione del chirurgo si è portata in questo senso.
I FISSATORI ESTERNI sono indicati nelle fratture esposte e non solo; infatti, mentre in passato i
fissatori esterni erano indicati quasi esclusivamente per il trattamento di fratture esposte, ora si
possono utilizzare comunque per portare a guarigione la frattura. Per esempio un pz
politraumatizzato con fratture a carico di tibia o caviglia, che arriva all’attenzione del medico con una
esposizione, si stabilizza prima con un fissatore temporaneo e successivamente si può decidere se
stabilizzarlo con placche e viti, con dei chiodi, oppure con un fissatore esterno definitivo.

27
Prima abbiamo parlato di fratture per trauma diretto, ad alta energia che colpiscono prettamente il
pz giovane, ma possiamo avere anche traumi a bassa energia , i quali colpiscono invece
prevalentemente l’anziano osteoporotico, possono essere rappresentati da cadute accidentali e
portano allo sviluppo di fratture a rima semplice.
Classificazione AO di Muller (1970).
Questa include 3 gruppi principali con 3 gradi di complessità all’interno di ciascun gruppo.
Distinguiamo numericamente in base alla sede:
1= omero
2=ulna e radio
3=femore
4=tibia e perone;
1=prossimale 2=diafisario 3=distale;
L’associazione con le lettere viene usata per indicare gruppi,

 GRUPPO A= extrarticolari, meno gravi


 GRUPPO B= monocondiloidee, con una parte articolare, gravi ma meno di
 GRUPPO C= sovracondiloidee e intercondiloidee pluriframmentarie, le più gravi tra le 3.

Quindi cosa fare, quando si ha una porzione articolare danneggiata, è necessario ripristinarla dal
punto di vista anatomico, deve tornare come prima, altrimenti il paziente andrà precocemente
incontro ad artrosi o avrà rigidità articolare tanto da non poter muovere correttamente la sua
articolazione. Quando abbiamo una frattura diafisaria bisogna sempre ripristinare asse, lunghezza
e rotazione, prestando attenzione alla vascolarizzazione ematica, sia macroscopicamente (visibile
durante l’intervento) che microscopicamente, e quindi endostale e periostale e poi fare una sintesi
stabile. Fondamentali sono mobilizzazione e carico precoci.

28
TRATTAMENTO CONSERVATIVO
Il trattamento conservativo negli anni passati era molto più utilizzato, venivano fatti gessi funzionali,
gessi pelvi-podalici, a seguito dei quali il paziente rimaneva a letto per 90 giorni in attesa della
riparazione della frattura, con costi elevatissimi per il pz stesso(perdita del lavoro), per la società e
una aumentata rigidità. Immaginare una frattura di femore, trattata con un gesso, che richiede
immobilizzazione di qualsiasi articolazione dell’arto inferiore e che dopo 90 giorni ovviamente si
presenterà con un irrigidimento di tutti i legamenti articolari.
Il trattamento eseguito ora consiste invece in una fissazione esterna, con utilizzo di viti da fissazione
esterna o fische, oppure in una fissazione interna che può essere fatta sia a cielo chiuso sia a cielo
aperto ,ognuna delle quali presenta pro e contro.
Per la fissazione INTERNA si potrebbero utilizzare delle placche angolate, chiodi endomidollari,
chiodi retrogradi, placche a mini-invasività; esempio: caso clinico di pz con frattura pluriframmentaria
di femore in cui non c’è esposizione dell’osso perché altrimenti si sarebbe optato per un fissatore
esterno piuttosto che per un chiodo, si sarebbero portati a guarigione i tessuti molli e dopo si sarebbe
inserito il chiodo per stabilizzare la frattura.
Al giorno d’oggi un problema sempre più frequente è lo sviluppo di fratture periprotesiche
(problema che non sussisteva in passato perché le protesi non venivano posizionate come si fa ora).
Dopo una certa età il pz che richiede o vuole una funzionalità elevata o la ripresa della funzionalità
dopo lo sviluppo di una artrosi, va incontro a intervento con inserimento di protesi; ad un certo punto
però il pz, una volta anziano, cade e si frattura nel punto di minore resistenza, di solito localizzato
tra l’interfaccia osso-metallo o in sua corrispondenza; questo richiede il posizionamento di mezzi di
sintesi che passino a ponte tra la protesi e la frattura. Esempio: in questo caso è stata posizionata
una placca, si vede un errore di tecnica: guardare la vicinanza tra una placca che sale e l’altra placca,
se il pz cade si frattura qui perché ha una doppia interfaccia metallica con una parte ossea irrilevante
rispetto alle due placche che la circondano.
Le placche sono differenti a seconda del costrutto che si va a creare. Ci sono infatti placche a
compressione, in cui si vanno a comprimere i frammenti in modo da ripristinare la superficie
anatomica, oppure si possono mettere delle viti a stabilità angolare che anziché comprimere la
placca sulla frattura, si legano alla placca e questo fa sì che la placca possa creare una fissazione
interna. Quindi il tipo di costrutto sarà diverso a seconda di cosa si usa per sintetizzarlo.

MECCANISMI DI RIPARAZIONE OSSEA


Abbiamo due tipi essenziali di guarigione:

 GUARIGIONE DIRETTA O PRIMARIA


 GUARIGIONE INDIRETTA O SECONDARIA
In base alla sintesi che noi facciamo avremo una risposta diversa del callo.
Guarigione DIRETTA: quella che ci si aspetta da una placca che permette un’adesione perfetta dei
frammenti e in questo caso si avrà bisogno di una riduzione anatomica e di una fissazione stabile.
Questo può essere indotto attraverso due meccanismi: il contatto diretto o il gap healing .

 Guarigione diretta per contatto diretto:


- deve esserci un gap tra i frammenti inferiore a 0,01 mm
- Le tensioni frammentarie devono essere inferiori al 2%

29
- Il processo di ossificazione sarà intramembranoso e si realizza nelle fratture in cui è ristabilita
la continuità corticale
- Il callo corticale tardivo può essere visualizzato in RX dopo 3/4mesi, in realtà non si vede la
crescita del callo, non seguiamo la frattura con la crescita del callo come per le fratture che
guariscono per guarigione indiretta.
Ma come guariscono queste fratture?
Si creano dei cunei perforanti che presentano al loro apice degli osteoclasti, mentre
distalmente nella coda sono presenti degli osteoblasti. Avviene quindi un rimodellamento
continuo, nel quale si ha un riassorbimento all’apice e una rideposizione distalmente. Gli
apici dei cunei sono costituiti da osteoclasti che generano cavità 50-100 micron al giorno; tali
cavità vengono riempite dagli osteoblasti e si ha ripristino dei sistemi Haversiani con
disposizione assiale e infiltrazione anche dei vasi sanguigni che trasportano i precursori
osteoblastici. Perché questo possa avvenire ovviamente è necessario il contatto diretto. Gli
osteoni che ponteggiano la frattura maturano in seguito a rimodellamento diretto in osso
lamellare. La frattura guarisce senza formazione del callo periostale(che non serve se si deve
ripristinare una superficie anatomica come quella di un’articolazione).
 Guarigione diretta per gap healing: concetto un po’ più complesso rispetto alla sola
adesione tra due frammenti. Abbiamo per esempio la perdita di una porzione ossea,
viene quindi attivato come uno scivolamento, attraverso un costrutto, nel quale c’è un
trascinamento di un segmento osseo che rimodella in continuazione e fa sì che si crei
un nuovo segmento osseo nel corso del tempo; infatti differisce dalla guarigione per
contatto per il fatto che l’unione ossea e il rimodellamento haversiano non avvengano
simultaneamente, perché questo avverrà nel momento in cui raggiunge l’altro
segmento.

Guarigione INDIRETTA: è la più frequente, si ottiene attraverso una stabilità di tipo relativo,
con ossificazione encondrale, non richiede riduzione anatomica, non richiede stabilità
assoluta, è indotta da micromovimenti e dal carico (il carico non deve spaventare, ma anzi
deve spronare a permettere la mobilizzazione del paziente) perché il callo osseo viene
stimolato dal carico stesso. È tipica del trattamento conservativo, immaginiamo una frattura
di polso in cui veniva messo un gesso, l’articolazione era immobilizzata anche se erano
permessi dei movimenti, micromovimenti (sicuramente non come quelli di una placca), e
questo faceva in modo che si formasse un callo osseo.
Tra i metodi per ottenere una stabilità relativa si riconoscono: l’inchiodamento endomidollare,
il fissatore esterno, oppure una placca utilizzata come fissazione interna a ponte.
Si possono riconoscere durante la guarigione diverse fasi:
 Infiammazione
 Formazione del callo morbido
 Formazione del callo duro
 Rimodellamento

Nell’ambito della guarigione di una frattura è necessario andare a valutare anche i fattori
biologici, anche perché il callo, oltre ad interessare il tessuto osseo, interessa anche i tessuti
molli e il grado del callo è direttamente proporzionale all’energia cinetica applicata su quel
segmento osseo. Bisogna valutare l’età del paziente, quindi la qualità del periostio (nei
bambini le fratture all’avambraccio sono definite “a legno verde”, ovvero che essendo il
periostio giovane ed elastico riesce ad impedire la scomposizione della frattura).
Predisposizione maggiore in alcuni pz rispetto ad altri. Ci sono patologie che favoriscono le
cadute dei pazienti; alcool e fumo alterano l’osteogenesi, l’osteoporosi è un fattore di
pluriframmentarietà e di comminuzione delle fratture; i diversi tipi di traumi ai quali sono
sottoposti i pz; la localizzazione della frattura; le lesioni dei tessuti molli.

30
Perché è importante anche sapere dove agisce quella frattura?
Esempio: frattura del pilone tibiale: il terzo distale della gamba ha la vascolarizzazione
peggiore di tutto l’arto inferiore, quindi quando è presente una frattura con lesione dei tessuti
molli a questo livello e si va ad incidere la cute per riparare la frattura, si può andare incontro
spesso a mancata guarigione; quindi quando ci si trova di fronte a questo tipo di lesioni è
fondamentale valutare le giuste tempistiche, portare a guarigione i tessuti molli e solo
successivamente agire sulla frattura.

TEORIA DI PERREN DELLA DEFORMAZIONE RELATIVA


Secondo Perren l’osso ha una deformabilità del 2%, e quando si va a posizionare un costrutto
come una placca, tenendo quella deformabilità inferiore al 2%, allora si avrà una guarigione
di tipo diretto; mentre se si posiziona una sintesi che crea un movimento e permette una
deformazione del 5/10% , si avrà formazione del callo; se il movimento e quindi la
deformabilità è maggiore del 10% la frattura non andrà incontro a guarigione e si andrà
incontro invece a una pseudoartrosi. Quindi questo permette di vedere come l’ottenimento
di un buon risultato sia dato da un equilibrio molto instabile. Bisogna quindi prestare
attenzione al tipo di costrutto utilizzato, perché se si sbaglia la valutazione sia del mezzo di
sintesi, sia della tipologia di frattura, sia del trattamento, si rischia di andare incontro o a
pseudoartrosi o anche a ritardi di guarigione o altre complicazioni.
Quindi in sostanza quello che diceva Perren è questo: movimento interframmentario, tipo di
guarigione e tipo di callo.
 Chiodo endomidollare – si avrà un tipo di movimento interframmentario, tipo di
guarigione indiretta
 Placca a compressione – no movimento interframmentario, stabilità assoluta, tipo di
guarigione diretta
 Placca a stabilità angolare – permesso un movimento maggiore, tipo di guarigione
indiretta con formazione del callo
 Fissatore esterno – permette un maggior numero di movimenti rispetto a tutti gli altri
(si ricordi che si parla sempre di micromovimenti), tipo di guarigione indiretta e
formazione del callo.
Per quanto riguarda la stabilità assoluta questa può essere ottenuta anche tramite
posizionamento di una vite interframmentaria, senza utilizzare placche o chiodi. Nel caso in
cui con una vite (avviene spesso nel perone) si riuscissero ad unire, nel caso di una
monorima, i due frammenti perfettamente allineati, allora si potrebbe sintetizzare la frattura
con una vite. È vero anche che il chirurgo, pur ottenendo un buon risultato con la vite, mette
a protezione una placca, che sarà una placca a ponte, cioè avrà delle viti che si portano
prossimalmente e distalmente rispetto alla sua vite, che non hanno alcun ruolo nella
guarigione della frattura, ma servono solo a proteggere il costrutto ottenuto con la vite.

- Fratture semplici trattate con tecniche di fissazione a stabilità assoluta sono sottoposte a
forze deformanti limitate  guariscono per via DIRETTA
- Fratture complesse trattate con sintesi a stabilità relativa tollerano forza deformanti maggiori
 guariscono per via INDIRETTA

31
Usiamo la stabilità assoluta quando abbiamo una frattura articolare, mentre possiamo non utilizzarla
per fratture diafisarie dove abbiamo un gap inferiore a 2mm, in caso di osteotomie e in caso di
pseudoartrosi; in quest’ultimo caso dipende dalla zona interessata. Il terzo distale di tibia è la zona
a minor vascolarizzazione di tutta la gamba, quindi dobbiamo porre particolare attenzione a questa
zona quando abbiamo traumi, perciò posizioniamo un fissatore esterno temporaneo. Questo tipo di
frattura viene trattato a volte con una trazione transcalcaneare, questo fa si che il pz debba rimanere
allettato fino al trattamento dunque se abbiamo una frattura esposta non possiamo stabilizzarlo
precocemente quindi il pz dovrebbe rimanere allettato di conseguenza l’igiene del pz deve essere
eseguita dal personale per cui il pz non ha la propria privacy e non è autonomo per poter andare in
bagno e per questo si creano delle conseguenze psicologiche importanti. Invece quando noi usiamo
un fissatore esterno temporaneo, che richiede circa 15 min per posizionarlo, nel quale si inserisce
una vite trasncalcaneare e poi si mettono due viti sulla cresta tibiale, facilmente palpabile
medialmente in quanto si trova a 2mm al di sotto della cute. Il fissatore, oltre ad aiutarci a stabilizzare
la frattura, ci permette di effettuare altri esami diagnostici, come una TC, e poi possiamo mandare il
paziente a casa e dopo, in media, 9/10 giorni il pz ritorna da noi e così possiamo agire facendo la
sintesi permanente, naturalmente se abbiamo un problema dei tessuti.
Come possiamo vedere qua, il pz viene mandato a fare una TC con il fissatore dove la frattura viene
ridotta come lunghezza, quindi ci permette di avere un’immagine del mortaio però ovviamente le
fratture in questo modo non potrebbero guarire infatti bisogna ricordare che il fissatore esterno
temporaneo serve solo a stabilizzare la frattura prima dell’intervento di sintesi permanente.
Dopo il posizionamento del fissatore mandiamo il pz a casa, dopodichè il pz torna da noi con la pelle
che si è raggrinzita e quando è presente questo aspetto possiamo intervenire chirurgicamente, in
questo caso abbiamo messo una placca mediale di tibia e una placca di perone e in questo tipo di
sintesi abbiamo una placca a ponte, non è a compressione, in questo modo si ha una fissazione
interna ma a ponte poiché la placca non sta toccando l’osso, quindi sarà un tipo di costrutto che
porterà alla guarigione in via indiretta con il callo; immaginate di dover fare un’incisione di queste
proporzioni sulla tibia e sul perone con la cute edematosa che avevamo prima sicuramente avremmo
avuto dei ritardi nella guarigione anche una serie di problemi come un’infezione, a un’esposizione
dei mezzi di sintesi, quindi noi possiamo agire e intervenire quando la cute si presenta raggrinzita,
infatti dobbiamo valutare questa caratteristica perché quando il pz si frattura la cute è
particolarmente tesa e quindi, quando è raggrinzita, è un fattore di guarigione perché ci indica che
l’edema sottocutaneo e il danno dei tessuti molli è in via di risoluzione.

32
La stabilità della tibia con formazione del callo posso dare il carico precocemente, questo è
un chiodo endomidollare di tibia e quindi avrò un movimento controllato del focolaio di frattura e
questo permette di conservare la vascolarizzazione perché non vado ad incidere nella porzione dove
è presente la frattura mentre nelle placche posizionate a cielo aperto devo comunque incidere anche
la porzione interessata dalla frattura, consente di mantenere la riduzione e mantiene un livello critico
di tensione tra il 5%-10% e mi permette la guarigione attraverso la formazione del callo osseo. Quindi
quando mettiamo un chiodo endomidollare abbiamo una rigidezza del costrutto e questa dipende
sia dal tipo di chiodo che utilizziamo e dal suo diametro, anche perché i chiodi devono passare
all’interno del canale endomidollare quindi è chiaro che più questo è simile al diametro del canale
maggiore sarà la rigidità inoltre questa sarà maggiore in base al numero di viti che utilizzerò e alla
loro posizione. Il fissatore esterno invece bilancia la rigidità tra la vicinanza della frattura e la
vicinanza dei morsetti dal focolaio di frattura; le placche a ponte fanno si che si abbia una riduzione
di tipo indiretto e la placca deve avere una lunghezza almeno 3 volte il focolaio di frattura.
Questo è un fissatore esterno di tibia, questo per esempio è un fissatore permanente che porta a
guarigione della frattura e lo utilizziamo in caso in cui il gap sia superiore ai 2 mm.

33
Le placche a compressione agiscono con una compressione sull’osso, le viti interframmentarie
conferiscono una stabilità di tipo assoluto e poi abbiamo le placche di neutralizzazione che riducono
le forze di torsione o assiali, quelle che usiamo come protezione; poi le placche di supporto e le
placche a ponte.
I dogmi da tenere a mente sono: - le fratture diafisarie non necessitano di riduzione anatomica ma
di allineamento, lunghezza e controllo delle rotazioni;
- le fratture dell’avambraccio le dobbiamo trattare come fratture articolari quindi necessitano di
stabilità assoluta per conservare la prono- supinazione;
- nelle fratture semplici è minore la tolleranza ai piccoli movimenti perché le superfici di contatto sono
inferiori, quando ho tanti frammenti ho più superfici di contatto;
- se < 2%  stabilità assoluta;
- se > 2%  stabilità relativa.
Quindi riduzione anatomica delle superfici articolari, sintesi rigida dei frammenti articolari, asse,
lunghezza e rotazione ( stabilizzazione metafisaria) e una mobilizzazione precoce con rispetto dei
tessuti molli mi portano a una migliore guarigione.

FRATTURE DEL FEMORE PROSSIMALE


Qui abbiamo due immagini con le due fratture più frequenti che il traumatologo deve affrontare nella
sua quotidianità, che sono: le fratture pertrocanteriche (laterali) e le fratture sottocapitate (mediali).
Queste corrispondono al 30% di tutta l’attività chirurgica traumatologica; un articolo del 1994 diceva
che la mortalità a 1 anno andava dal 14% al 51%, cioè in alcuni ospedali 1 su 2 di pz con queste
fratture morivano entro 1 anno. La mortalità è migliorata con il passare del tempo perché se pz
vengono operati precocemente possiamo impedire l’allettamento di conseguenza metterli in piedi
più velocemente e quindi si abbassa il tasso di mortalità. Facendo un’analisi epidemiologica della
mortalità vediamo come il trattamento precoce abbai un ruolo fondamentale, quindi le
pertrocanteriche vanno trattate entro 48 ore (segno che si tratta di un ospedale efficiente). Ci sarà
il medico che stabilizza il pz da un punto di vista del dolore dopodichè faremo tutti gli esami
diagnostici di imaging e poi la medicina perioperatoria che riguarda gli anestesisti e i chirurghi, quindi
dalla presa in carico fino alla dimissione. In questi casi bisogna stare attenti perchè si dobbiamo
gestire il pz con urgenza ma non come emergenza, non è necessario precipitarsi in sala operatoria
perché c’è la possibilità di sbagliare per cui bisogna valutare attentamente il caso, fare un bleming
e sintetizzarlo; eseguire questo procedimento entro le 48 ore riduce il rischio di trombosi venose
profonde, embolia polmonare e quindi della morbillità e della mortalità. Quest’ultima aumenta negli
ospedali in cui questo tipo di frattura non viene trattata entro 48 ore, quindi viene descritto come un
evento avverso in un ambiente non preparato, cioè se la frattura non viene operata entro le 48 ore
perché l’ambiente non era preparato quindi il personale presente non è riuscito a ottimizzare i tempi
per la salute del pz, per questo è un ottimo indicatore di qualità del servizio ospedaliero.

34
Dobbiamo evitare le complicanze quindi ricostruire la superficie articolare per recuperare
l’allineamento assiale con degli obbiettivi che sono quelli di un buon recupero funzionale con un
carico senza dolore ed evitare assolutamente le infezioni e rispettare i problemi cutanei.
Le fratture extra-articolari le classificheremo con la classificazione AO.

CASI CLINICI
Questa è una frattura di tipo A extra-articolare e questo un fissatore esterno, in questo caso i tessuti
erano tesi quindi abbiamo messo il fissatore dopodichè abbiamo proceduto con la stabilizzazione
con placca di perone e placca di tibia e il pz ha ripreso una buona mobilità di caviglia, questo perché
non è stato immobilizzato.

Questo è un altro pz con una frattura pluri-frammentata della diafisi distale di tibia e anche qua
abbiamo messo un fissatore esterno permanente che porta a guarigione; vediamo che la sintesi non
è anatomica però il pz può ritornare alle sue attività quotidiane. Un altro caso in cui avevamo un
coinvolgimento anche della superficie articolare e abbiamo utilizzato delle placche.

35
Altro caso con pz di 38 anni con peso di 200kg con frattura di tibia quello che abbiamo fatto è stato
passare attraverso un accesso sovrarotuleo per posizionare il chiodo di tibia e la pz è stata messa
in piedi precocemente con flessione di ginocchio buona.

36
Altro pz con fissatore permanente di tibia e fa la riabilitazione con il fissatore indossato; molti fissatori
permettono l’inizio della riabilitazione quando sono ancora in posizione soprattutto quelli di gomito.
Questa è un frattura di femore distale con posizionamento di chiodo retrogrado, quando viene
posizionato un mezzo di sintesi c’è sempre il rischio di fare una perisintetica o periprotesica per cui
è fondamentale sempre vedere la fine del costrutto che andiamo ad impiantare.

Abbiamo parlato delle fratture di tipo B articolari parziali quindi ricostruzione articolare, riduzione
anatomica e sintesi interna in compressione, cioè sono delle fratture parziali, questo è il malleolo
posteriore, per esempio, questo è il malleolo laterale in questo caso la cute è tesa, fissatore esterno
temporaneo, alla TC notiamo che si era fratturato anche il malleolo mediale quindi aspettiamo la
guarigione con la riduzione dell’edema e inseriamo una placca di ferro e delle viti e il pz riprende la
sua mobilità.
La classificazione di Shatzker è fondamentale per riconoscere e trattare le fratture di tibia
prossimale; questa è la Shatzker I dove vediamo un distacco della porzione condiloidea laterale
della tibia; nella Shatzker II hanno un affondamento della superficie tibiale con frattura; nella
Shatzker III hanno lo stesso affondamento ma senza la frattura e quindi è più facilmente aggredibile
perché io posso risollevare il segmento andando a creare un tunnel da dentro la tibia a spingere sul
segmento affossato così da ripristinare la superficie articolare e poi posizioniamo delle viti per
stabilizzarlo.

Le fratture di tipo C sono le articolari complesse come in questo caso con frattura sia articolare che
metafisaria dobbiamo ridurre l’asse, lunghezza e rotazione ma anche da un punto di vista articolare
mettiamo una placca; questa è una frattura di perone con la superficie articolare della tibia intaccata,
aspettiamo che la cute si raggrinzisca dopo l’utilizzo del fissatore esterno e poi posizioniamo le

37
placche, immaginatevi di inserire questi costrutti in una cute sofferente, al 100% non si richiude
mentre in questo modo la cicatrice non è tanto male e si ha ripresa di funzionalità della caviglia.

FRATTURA DI FEMORE NELL’ANZIANO

Abbiamo parlato dell’importanza del trattamento precoce delle fratture del femore prossimale però
in alcuni casi è necessario utilizzare un chiodo, in altri una protesi e in altri 3 viti; accade perché le
fratture di femore, le più frequenti nell’anziano e che quindi potranno avere un esito peggiore in base
all’età, alle comorbidità presenti, al grado di vigilanza e attenzione del pz, lo dobbiamo trattare in
modo che il pz non sviluppi una demenza durante il ricovero. Quindi quello che dobbiamo fare è un
approccio con un timing inferiore alle 48 ore perché riduce la mortalità, un approccio geriatrico, quindi
con un clinico, riduce il rischio di delirium, riduce la durata del ricovero, migliora il recupero funzionale
e riduce le complicanze. Quindi bisogna ricoverare il pz e cerchiamo di trattarlo precocemente perciò
immediatamente attiviamo l’iter riabilitativo; è importante che il chirurgo sappia valutare la frattura
quindi è importante mirare alla mininvasività dell’intervento quindi si deve cercare di rispettare i
tessuti quando aggrediamo la frattura, fondamentale è anche la presenza di anestesisti specializzati,
cioè che si occupano di ortopedia.
Se suddividiamo il femore vediamo una porzione che è la testa, il collo, il massiccio trocanterico con
grande e piccolo trocantere ; ci sono delle zone con densità maggiore e a densità minore, questo
indicato con la D è il triangolo di Ward e si tratta di un punto di debolezza, si trova tra il fascio cefalico,
il fascio trocanterico e il fascio arciforme, quindi in questa porzione il collo è già debole ma anche la

38
sua superficie e il suo diametro è inferiore; nel pz osteoporotico questa porzione diventa ancora più
spugnosa.

In un frattura sottocapitata devo inserire una protesi perché la vascolarizzazione della testa del
femore è di tipo terminale garantita quasi tutta dall’arteria circonflessa mediale che attraverso le
epifisarie laterali porta il 75% della sua vascolarizzazione alla testa, quindi quando ho una frattura
mediale scomposta ho un altissimo rischio di decapitazione di questi vasi e sarò costretto a utilizzare
una protesi perché altrimenti quella testa andrà incontro ad un osteonecrosi; invece il restante 25%
è fornito dalle metafisarie inferiori ed è irrilevante il contributo dato dall’arteria del legamento rotondo.
Per via della vascolarizzazione terminale non sono presenti anastomosi quindi lo classifichiamo
come circolo terminale.

Le fratture dell’estremo prossimale del femore si manifestano con maggior frequenza nei pz con più
di 60 anni spesso con un trauma di modeste entità e solitamente le donne sono più colpite dovuta
all’osteoporosi. Il trauma può essere diretto che colpisce la faccia esterna della coscia o il pz che
cade e sbatte sulla regione trocanterica (traumi DIRETTI) oppure dei traumi per un’eccessiva
abduzione/valgizzazione o adduzione/varizzazione (traumi INDIRETTI). Quindi fratture mediali:
sottocapitate e transcervicali; fratture laterali: basicervicali e pertrocanteriche. Nel caso di una
sottocapitata immaginiamo i vasi che prima passavano medialmente è chiaro che se la frattura non
si scompone il vaso non viene danneggiato in maniera rilevante, diverso è se viene danneggiato per
questo motivo è nata la classificazione che ci aiuta a capire che tipo di intervento attuare nel caso
di fratture mediali composte o scomposte. Quando abbiamo questo tipo di fratture, sempre a causa
della muscolatura, abbiamo il frammento distale che si sposta all’esterno e in alto invece il
frammento prossimale che rimane fisso o ruota. Nella fratture mediali intracapsulari avremo il
distacco della testa del femore che rimarrà all’interno della capsula e l’ematoma sarà circoscritto e
39
all’interno anch’esso delle capsula, poi si creerà anche l’ematoma esterno ma inferiore a quello
interno; il movimento nelle mediali è controllato.

Nelle laterali che sono extra-capsulari l’ematoma esterno sarà molto più evidente e l’arto sarà
accorciato perché il femore non è contenuto da niente quindi può essere tirato verso l’alto e in più si
ha un’extrarotazione, data dal fatto che non essendo più contenuto dalla sua capsula l’arto cade per
gravità.

Tutto ciò nelle mediali non succede perchè, anche se è presente la frattura, la porzione prossimale
è contenuta nella capsula per cui è possibile un certo grado di extrarotazione ma non è accentuato
come nelle laterali quindi bisogna fare attenzione quando un anziano si lamenta di dolore al femore
prossimale anche se non mostra nessun ematoma importante o la classica extrarotazione. Questo
tipo di quadro può portare a delle complicanze come: broncopolmoniti, piaghe da decubito,
cistopieliti e nel peggiore dei casi a una trombosi venosa profonda e embolia polmonare; i problemi
locali sono le pseudoartrosi, la necrosi asettica delle epifisi infatti la crisi vascolare dell’epifisi è tanto
grave quanto più la frattura è mediale e quanto maggiore è il suo spostamento.
CLASSIFICAZIONE DI GARDEN: - nelle tipo 1 abbiamo una frattura incompleta e quindi i vasi sono
praticamente integri, molte volte questo tipo di frattura è anche ingranata quindi il pz ci carica il peso.
- Nelle tipo 2 vediamo che la frattura è completa ma si ha sempre il corretto posizionamento della
testa, quindi in queste due tipologie di fratture (1 e 2) posso sintetizzare la frattura, cioè tramite
l’utilizzo di 3 viti che si posizionano con tre fili guida e si mette prima un filo nella porzione più mediale
poi gli altri due fili lateralmente dopodichè avvito le viti, quindi ne avrò una più mediale e due nel
piano superiore e parallele tra loro; questo perché vanno a tenere la testa che ha una sezione tonda.
- Nelle tipo 3 è completa con testa ruotata in varo e si ha una decapitazione del vaso però essendo
una circolazione terminale mi aspetto la guarigione della testa.
- Nelle tipo 4 sempre completa e si ha uno scivolamento mediale della testa e quindi un danno;
dunque dobbiamo differenziare il trattamento di osteosintesi, endoprotesi e artroprotesi. (si riferisce
a un disegno) OSTEOSINTESI: Le viti le devo vedere come i chirurghi hanno messo il costrutto,
essendo le due viti parallele io devo vedere 2 viti avanti; in AP una vite e 2 viti che sono parallele,
nella proiezione assiale vedrò 3 viti che sono distribuite in questo modo. Questo tipo di costrutto
viene usato principalmente nei soggetti giovani con fratture di tipo 1 e 2 di Garden, perché se
pensiamo a un pz che fa una frattura sottocapitata se è giovane userò queste 3 viti perché svilupperà
40
un’artrosi più avanti nel tempo, se invece un pz anziano ha questo tipo di frattura anche se composta
ma presenta già un’artrosi grave posso pensare di mettere una protesi.

ENDOPROTESI: viene usata nei pz con bassa richiesta funzionale con fratture vicino all’epifisi di
tipo 3 e 4 di Garden; ARTROPROTESI: la mettiamo per fratture di tipo 3 e di tipo 4 di Garden con
un pz giovane ( 55/75 anni) ma con richieste funzionale importanti.
Quindi a differenza dell’endoprotesi vediamo che con l’artroprotesi abbiamo sostituito anche la parte
del cotile, quindi mettiamo una cupola di metallo nel cotile, con un’interfaccia, che può essere in
polietilene o ceramica, e infine la testina che può essere o in metallo o in ceramica. Abbiamo anche
protesi cementate e non cementate; quindi noi spingiamo la protesi che ha questo colletto, dove
incastriamo la testa in ceramica e poi questa si articolerà con il polietilene che si troverà nel cotile.
Invece le fratture laterali, quelle pertrocanteriche e intertrocanteriche, non vengono trattate con la
protesi ma con dei mezzi di sintesi come i chiodi endomidollari. La mortalità è alta infatti il 4,5% dei
pz fratturati muore dopo un mese dalla frattura, più siamo tempestivi con l’intervento e più
precocemente iniziano la riabilitazione minore sarà la mortalità. L’utilizzo dei chiodi endomidollari
avviene sia per le fratture pertrocanteriche che per le sottotrocanteriche anche per le
sopratrocanteriche ; importante per capire la classificazione delle fratture laterali è la classificazione
di Evans dove abbiamo le pertrocanteriche semplici, le pertrocanteriche con uno spostamento di 2
frammenti quelle dove abbiamo il distacco del grande trocantere, le tipo 4 dove abbiamo la
dislocazione in 3 parti dove è interessato anche il piccolo trocantere che sono più complicate dal
punto di vista chirurgico, nelle tipo 5 dove abbiamo la suddivisione in 4 frammenti.

41
Quindi è fondamentale l’approccio deve essere multidisciplinare in questi pz con una mobilizzazione
precoce e progressiva, spesso in questi pz durante il ricovero insorge il delirium per cui bisogna
incoraggiarlo; in letteratura è ormai consolidata l’idea di mobilizzare precocemente il pz e attuare
una riabilitazione immediata questo in base anche ai nuovi modelli di organizzazione che si stanno
migliorando, infatti prima i pz venivano tenuti allettati perché si pensava che i meccanismo di
guarigione fosse simile a quello per il quale andavano male le fratture mediali cioè si pensava solo
ai grandi vasi invece si è visto che la guarigione non avveniva al livello dei macro vasi ma che
avveniva con la formazione del callo e con la stabilità assoluta

42
MALATTIE DELL’APPARATO LOCOMOTORE – Lezione 3
10/05/2022
Floris - Scanu

ARTROSI
 Definizione
 Epidemiologia
 Quadro anatomopatologico
 Clinica (come si presenta il paziente, cosa manifesta)
 Diagnosi strumentale per identificare la patologia
 Trattamento.

DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA
L’artrosi è un’artropatia degenerativa e caratterizzata da alterazioni della cartilagine che poi via via
che avviene il peggioramento della stessa c’è un approfondimento delle lesioni fino ad arrivare
all’osso sub-condrale, bisogna ricordare che la cartilagine non è vascolarizzata quindi nel momento
in cui c’è danno a suo carico non possono susseguirsi quei processi di guarigione che permettono
alle lesioni di riparare tornando allo stato iniziale. Primariamente è una patologia degenerativa
cronica, cioè il paziente spesso va dal medico senza particolari alterazioni biomeccaniche. C’è una
grossa fetta della popolazione che manifesta un’artrosi idiopatica alla quale non sappiamo dare una
causa specifica in altri casi l’artrosi può essere secondaria cioè derivare da alterazioni
biomeccaniche, da un sovraccarico, da assunzione di sostanze, tutto questo pregiudica l’ambiente
articolare e determina che si vada incontro a una degenerazione cartilaginea più precoce. È molto
frequente, il sesso femminile è maggiormente colpito e di solito la troviamo in un’età superiore ai 40
anni. Quando il paziente manifesta già l’artrosi prima dei 40 anni probabilmente c’è un’alterazione
biomeccanica che fa si che delle superfici che normalmente non devono essere sotto carico lo siano
e questo porta a una degenerazione precoce.

QUADRO ANATOMO-PATOLOGICO
Nella degenerazione precoce cosa si vede? Quando noi vediamo un pz che lamenta un forte dolore
all’anca e questo non è per causa fratturativa o osteo-necrotica ma è ad esempio per artrosi
degenerativa che ormai si trascina da molto tempo noteremo delle alterazioni radiologiche
caratteristiche. Noteremo gli osteofiti sono delle formazioni ossee che si formano per ampliare la
superficie articolare, è come una reazione che il corpo adotta in
modo da permettere l’articolarità. In realtà non è una buona
soluzione perché si va a sostituire la superficie articolare con
una superficie ossea che non nasce naturalmente per
supportare un carico e permettere l’articolarità, creano soltanto
problemi.
I geodi sono delle alterazioni che radiograficamente e
visivamente si mostrano come una mancanza di sostanza. In
pratica quando si opera un paziente di questo tipo si notano
delle formazioni che possiamo definire come dei buchi a carico
della testa articolare del ginocchio o comunque delle alterazioni
delle fosse all'interno della superficie articolare e questo è
dovuto al carico e alla degenerazione degli strati sottostanti alla
cartilagine.
Nell’immagine, più in alto è presente un addensamento che
radiograficamente si mostra come un'area di sclerosi che appare biancastra rispetto al contorno
appunto perché c’è un addensamento della superficie ossea e poi una scomparsa della rima
articolare, interposto tra il cotile e la testa del femore normalmente c'è uno spazio articolare che in
questo caso non è presente. Nelle immagini in basso invece vediamo un’artrosi secondaria,
43
un’osteonecrosi. Si possono notare delle
differenze, mentre in alto la testa del femore
seppur degenerata ha comunque una testa
rotondeggiante in questa altra radiografia invece
c'è un appiattimento della testa quindi
verosimilmente questo paziente è andato
incontro a un’osteonecrosi della testa che è stata
curata, di solito si cura con clodronati, si toglie il
carico e magari il paziente ha preso degli
antidolorifici e ha continuato a camminarci su.
Subito dopo è stato bene però in breve tempo la superficie articolare alterata causa un’artrosi
precoce e quindi la si classifica come artrosi secondaria.
Le cause di artrosi primitiva sono l'invecchiamento, l’eredo familiarità, il peso, il sovraccarico
funzionale, i fattori ormonali e i fattori vascolari ma questi non colpiscono solamente l'articolazione
femoro-acetabolare ma possono colpire praticamente qualsiasi distretto del nostro corpo. I più
frequenti sono la colonna vertebrale, l'anca e il ginocchio ma anche l'articolazione radio-carpica
piuttosto che la trapezio-metacarpale. Per esempio, in Sardegna in una grossa fetta di popolazione
che svolge attività manuale si manifesta un’artrosi dell'articolazione trapezio-metacarpale perché
effettuando dei lavori manuali l'articolazione a sella lavora moltissimo e va
incontro a una degenerazione. In questa immagine si vede un'altra
osteonecrosi dell'anca mentre invece nell’immagine della colonna vertebrale
si vedono questi addensamenti posteriori
che non sono altro che un'artrosi delle
fascette articolari.
L'artrosi secondaria invece può dipendere
da fattori biomeccanici come delle deviazioni
assiali perché appunto abbiamo delle
posizioni di carico alterate rispetto a quello
per le quali quelle articolazioni sono state
prodotte, post traumatiche perché se si creano delle lesioni a livello
articolare, la superficie non è più uniforme e questo potrà andare incontro un’artrosi precoce, le
infezioni perché nel momento in cui ci sono dei batteri o miceti che agiscono a livello
dell'articolazione deteriorando la cartilagine questa andrà più velocemente incontro a condropatia.
E poi artrosi, i tumori, artropatia da cristalli come ad esempio la gotta perché abbiamo dei cristalli
che si depositano a livello articolare e l’attrito di questi cristalli con la superficie articolare ne causa
una precoce degenerazione e poi malformazioni varie.
Immagini di diverse articolazioni: a sinistra l'articolazione della caviglia quindi trachite-astragalo, poi
si vede un'articolazione del carpo che è andata incontro un’artrosi degenerativa, c’è un collasso tra
il radio e le filiere del carpo e poi un’artrosi gleno-omerale e si nota come la distanza tra l’acromion
e l'omero si è ridotta e poi è ridotta anche la distanza tra la glena e la testa omerale, ci sono anche
gli osteofiti.

44
In questa altra immagine si vede un gomito che sicuramente è stato
sottoposto a un trauma e ha reagito con una massiva artrosi poi
probabilmente è stato mobilizzato e in questo modo il paziente ha perso le
articolarità.
In queste radiografie vediamo le artrosi secondarie che possono
caratterizzare l'articolazione femoro-acetabolare. Nella radiografia di
sinistra l'anca di destra è di un paziente anche giovane con un valgismo
importante del collo e si vede come la testa è contenuta a livello
dell'acetabolo, se invece vediamo quella di sinistra si vede come lo spazio si è ridotto, la testa è
centrata in maniera sicuramente differente rispetto alla controlaterale e questo causa dei
sovraccarichi a livello sia acetabolare che della testa che portano a un’artrosi precoce. Oltre a queste
ci sono casi di coxa vara oppure di osteonecrosi della testa del femore come nella radiografia di
sinistra.

CLINICA E DIAGNOSI
Quando il paziente va dal medico e lamenta dolore non dirà che ha l'artrosi o gonartrosi ma lamenta
dolore all'anca o al ginocchio, ad esempio, il ginocchio è un'articolazione molto più superficiale
rispetto all'anca quindi ci aiuta molto di più da un punto di vista clinico anche da un punto di vista
osservazionale. Il paziente oltre a manifestare il dolore verrà con un ginocchio tumefatto che appare
gonfio con una limitazione funzionale e con una rigidità. Nei casi più gravi di artrosi ci sarà una
deformità in valgo e una deformità in varo, quando è consumato l’emipiatto mediale sarà varo
quando è consumato l’emipiatto laterale sarà valgo. Naturalmente avendo dolore il paziente tenterà
di poggiare il meno possibile sull'arto che gli fa male e quindi noteremo una zoppia di fuga in questi
pazienti. All'esame radiografico quindi noteremo una riduzione della rima articolare, una irregolarità
della superficie articolare, un addensamento dell'osso sub-condrale, un’osteoporosi perché
alterando il carico il paziente manifesterà osteoporosi locale, degli osteofiti e dei geodi.
Per quanto riguarda l'anatomia articolare, abbiamo parlato della superficie articolare,
superiormente è presente la cartilagine articolare che è quella che permette l’articolarità subito sotto
la cartilagine abbiamo l'osso sub-condrale. Quando il danno alla cartilagine è così massivo da
arrivare all'osso allora si è già andati incontrano artrosi dell'articolazione. Poi c'è la membrana
sinoviale che circonda l'ambiente articolare, la capsula articolare che si pone esternamente e poi le
strutture legamentose che servono a stabilizzare l’articolazione. Nell'immagine si vede come appare
un ginocchio durante un

45
intervento di protesi del ginocchio: si vede la porzione femorale con i condili, si vede la porzione
dove si articola la patella e si vede a livello artroscopico come con un palpatore la cartilagine appare
durante un intervento di artroscopia e c’è l’immagine di come appare dal punto di vista microscopico
con i suoi strati. Ci sono altre immagini di cartilagine articolare e di osso sub-condrale in cui si vede
come nell'osso sub-condrale sono presenti dei vasi mentre non sono presenti a livello della
cartilagine.
I condrociti rappresentano solamente il 2% del
volume di tutta la cartilagine mentre il loro numero
aumenta soprattutto nel soggetto immaturo.
Queste sono immagini di condrociti e si vede una
nicchia vuota cioè all'interno era presente un
condrocita che a causa delle sollecitazioni o dei
fattori ambientali che ne abbiano determinato la
morte rimane comunque disabitata. Le fibre
collagene e la matrice vanno a costituire la
maggior parte della cartilagine dove la cellularità è
molto poco
rappresentata. Questo ci
aiuta a capire
l'importanza del carico, è fondamentale quando un paziente va dal medico
con un’artrosi iniziale di ginocchio non spronarlo a stare fermo ma
effettuare una mobilizzazione dell'articolazione, magari se sovrappeso non
con corsa ma ad esempio con una cyclette, dove manteniamo il carico e
dove avviene la compressione sulla cartilagine e questo aiuta le proprietà
viscoelastiche della cartilagine a rimanere integra.
Questa è un’immagine di un femore visto di taglio dove si vede l’osso sub-
condrale con i suoi vasi la membrana sinoviale.

PATOGENESI
La formazione dell'artrosi non avviene da oggi a domani ma inizialmente si sviluppa una condropatia
poi in seguito ad alterazioni dell'ambiente, dovute ad esempio a delle collagenasi e delle metallo-
proteinasi accade che si crei un danno cartilagineo che non può essere riparato con matrice dello
stesso tipo e quindi via via il carico altera ancora di più la superficie articolare fino a portare a quadri
di artrosi conclamata.

ANATOMIA PATOLOGICA
 Cartilagine articolare
 Ossa sub-condrale
 Capsula articolare
 Membrana sinoviale.

Nelle slide si vedono immagini che rappresentano diverse fasi di danno della cartilagine e questa
(sotto) è l’immagine di un ginocchio che manifesta un’artrosi. Il paziente va dal medico lamentando
un dolore al ginocchio, radiograficamente si vede un quadro di consumo a livello articolare con
formazione di osteofiti e geodi e allora si decide di operare. Si fa una artrotomia e il quadro che ci
troviamo di fronte può essere questo dell'immagine. In questo caso se soltanto un condilo interessato
sarà un’artrosi mono compartimentale, mentre invece nel caso il ginocchio fosse colpito in tutta la
sua totalità allora ci troviamo di fronte a una tri compartimentale.

46
Queste sono immagini di colorazione di anatomia patologica che mostrano abrasioni delle superfici.
Questo, come abbiamo detto, è dovuto a un’iperpressione, una neo-osteogenesi indiretta e una
sclerosi che ci mostrano poi il quadro radiografico che abbiamo notato quindi osteofiti e sclerosi
ossea.

Immagini dei geodi: sono queste formazioni che si


vedono nelle foto, è come se le trabecole a questo
livello fossero danneggiate e si forma questa
formazione ma non solo, perché spesso possono
essere anche molto superficiali come l’immagine.

Immagini di osteofiti che si possono identificare


una volta che viene effettuata la tomia articolare.

Quando il paziente va dal medico, lui attraverso l'esame obiettivo, per esempio, effettuando un
ballottamento della rotula cioè una pressione sulla rotula e se c’è un ritorno elastico caratteristico
47
significa che è presente del liquido intra-articolare allora in quei casi si effettua un’artrocentesi e si
rimuove il liquido sinoviale in eccesso (in questo caso delle slide si è rimossa una siringa) dovuto
probabilmente all'infiammazione cronica.

GONARTROSI
Le articolazioni principalmente coinvolte sono il ginocchio, l'articolazione coxo-femorale e il rachide.
Questa è un’immagine in cui c'è una gonartrosi con ginocchia vare quindi l'artrosi sarà sul condilo
mediale. Mentre nel caso in cui il ginocchio sia valgo l'artrosi sarà sul compartimento laterale.
Naturalmente non sempre abbiamo una mono compartimentalità, di solito chi ha un'artrosi di grado
severo, molto severo, sul piatto laterale avrà un’artrosi anche sul
piatto mediale ma magari di un grado meno elevato.
Queste invece sono immagini intra operatorie con la rotula,
l’elettrobisturi che si utilizza e il condilo femorale consumato, si
nota come sia ridotta la rima e questo porta una limitazione
funzionale e una rigidità articolare.

DIAGNOSI
Cosa fare quando ci troviamo di fronte a un’artrosi del ginocchio? Esiste la classificazione di Ahlback
che aiuta molto nella diagnosi e permette di dividerla in cinque stadi:
Nello stadio I c’è la riduzione della rima articolare ma il ginocchio appare ancora integro, si nota un
po’ di sclerosi minima e un po’ di riduzione della rima.
Nel grado II c’è la scomparsa della rima articolare.
Nel grado III c’è una deformità ossea minima ma se stiamo attenti iniziamo a notare la sclerosi e la
formazione degli osteofiti.
Nelle deformità media (grado IV) la superficie articolare sarà ancora più ristretta, gli osteofiti saranno
ancora aumentati e nel grado V abbiamo una sublussazione della parte collaterale, è come se qui
trovasse un appoggio e quindi l'articolazione smette di trovare la propria articolarità sulla porzione
laterale del piatto (in questo caso).

Immagini in ordine dal grado I al V.


TRATTAMENTO
Che cosa fare? Si può dare riposo funzionale ma il paziente non può rimanere per sempre a riposo,
deve assolutamente perdere peso che è un fattore importantissimo, si può dare terapia medica cioè
antidolorifici e antinfiammatori che non servono a far migliorare il quadro di artrosi ma servono al
paziente a vivere la propria quotidianità. La terapia fisica consiste nel fare fisioterapia, per esempio,

48
una mobilizzazione attiva o passiva piuttosto che delle altre terapie fisiche che aiutino un’elasticità
legamentosa fino ad arrivare alla chirurgia. La chirurgia saranno le osteotomie, le protesi mono-
compartimentali o le artoprotesi totali. Le osteotomie non sono più molto frequenti come lo erano
in passato specialmente quelle di anca mentre quelle di ginocchio ancora soprattutto se il paziente
è giovane vengono effettuate. Le osteotomie avvengono così: in base al difetto che bisogna
correggere si possono effettuare delle osteotomie dove viene realizzata un'apertura interna che poi
viene stabilizzata con dei mezzi di sintesi oppure una sottrazione esterna dove togliamo una
porzione ossea, uniamo le due porzioni e dopodiché le fissiamo con dei mezzi di sintesi. Questo nel
caso di un ginocchio varo. In un ginocchio valgo bisogne fare il contrario perché vanno a correggere
una deformità.

Immagini radiografiche e una protesi


monocompartimentale.

Di solito quando un paziente nella maggior parte giovane arriva all’osservazione del medico con un
forte dolore, come in questo caso dove è presente un emipiatto mediale e il paziente manifestava
un certo varismo, ad esempio, un quarantacinquenne che ha giocato tutta la vita a calcio e quindi
ha consumato solo l’emipiatto mediale senza consumare la porzione laterale. Una delle possibilità
è mettere una protesi monocompartimentale cioè una protesi che vada a sostituire solamente il
condilo mediale (in questo caso) e l’emipiatto. Visivamente si è portati a pensare che mettere questa
protesi sia più semplice rispetto a mettere una protesi totale ma
in realtà così non è perché mentre quando viene fatta una
protesi totale si può decidere di vincolare la protesi cioè di
sostituire i legamenti, con una monocompartimentale i
legamenti devono essere integri cioè il paziente non deve avere
nessun problema al ginocchio dal punto di vista legamentoso.
Questo perché se si mette una protesi monocompartimentale in
un paziente che ha dei problemi legamentosi alle ginocchia
continuerà comunque a non poterlo articolare al meglio perché
non c’è nessun trattamento a carico dei legamenti. È diverso il
caso in cui un paziente, per esempio, va incontro a un’artrosi
per aver danneggiato da ragazzo entrambi i legamenti; allora si
posiziona una protesi totale e non avendo la contenzione dei
legamenti crociati esistono delle protesi che ci permettono di
sostituirli da un punto di vista funzionale. Questa invece è
un’Immagine di una protesi totale dove si sostituiscono entrambi
i condili femorali e il piatto tibiale.
COXARTROSI
CLINICA

49
Artrosi dell'anca: il paziente quando va dal medico non dice “mi fa male l'anca” o comunque lo dice
raramente, lamenta più un dolore inguinale. È un dolore che va sul gluteo. C'è un segno clinico “C
sign”: durante l'esame obiettivo si fa il segno della C e quindi si tocca sia a livello inguinale che
posteriore e nella maggior parte delle volte nella coxartrosi il C sign è positivo. Quindi può avere
dolore nella regione trocanterica e glutea, un'irradiazione alla coscia e al ginocchio e in questo caso
è fondamentale fare una diagnosi differenziale con una lombosciatalgia o una lombocruralgia, è un
paziente con zoppia di fuga e limitazione funzionale con rigidità articolare.

DIAGNOSI
Che cosa fare? Prima di tutto si fa una radiografia per vedere che cosa ha il paziente e capire a cosa
ci troviamo di fronte. Si può notare una migrazione supero laterale piuttosto che una migrazione
supero mediale oppure semplicemente una migrazione mediale o assiale.
Per l'artrosi non si va oltre, nei casi in cui si ha un’artrosi da osteonecrosi, se non siamo sicuri che
l’osteonecrosi sia passata si può effettuare anche una risonanza magnetica per vedere se
l'osteonecrosi è in atto oppure se è un reperto del passato, non trattata dal paziente.

TRATTAMENTO
Ora le osteotomie vengono veramente poco utilizzate e i pochi casi in cui vengono utilizzate sono
soprattutto nel paziente giovane. Le artroprotesi a conservazione del collo e della testa erano
un’innovazione che era stata presentata tanti anni fa, queste protesi avevano la peculiarità di avere
una grossa testa che si articolava con il cotile e nei quali non veniva praticamente sezionato il collo.
Quelle di questo tipo ora sono state ritirate dal mercato perché dava una metallosi quindi ora ci
troviamo molti pazienti che all'epoca erano giovani e oggi sono un po’ più anziani che hanno
impiantato queste protesi. Tuttavia, visto il concetto, è stato mantenuto per alcuni tipi di protesi quindi
ci sono comunque delle mini-protesi con uno stelo piccolo che permettono di salvaguardare una
porzione maggiore di femore prossimale.

Esempio di osteotomia: il paziente aveva


magari una displasia grave e allora si era
fatta l’osteotomia, in questo caso si era
messo in varo il collo e la testa in modo
da ricentrarlo perché il paziente era
troppo giovane per una protesi però poi
a lungo andare si forma una sclerosi,
degli osteofiti e va comunque incontro a
un’artrosi precoce ma magari questo
paziente ha guadagnato dieci anni senza
mettere una protesi.

La protesi che si impianta nei pazienti con artrosi è un


artroprotesi; in queste immagini si vede la porzione del cotile,
al suo interno ci sarà un'interfaccia in polietilene o in ceramica
e con questa si articolerà una testina che può essere in
ceramica, in oxinium o in cromo cobalto.

50
Queste sono immagini intraoperatorie: per fare il canale si usa
una raspa con la quale si fa il canale appunto per la protesi.
Quindi: si opera il paziente, si fa l'accesso per il femore e poi una
volta identificato il canale si
prendono delle raspe che
hanno una forma di stelo
femorale sempre crescenti
infatti c'è una parte molto
tagliente come una grattugia e
piano piano si amplia lo
spazio all'interno del canale
femorale fino a posizionare la
protesi definitiva che sarà
differente da questa. Si fanno
anche delle prove con delle
testine di prova di plastica per
poi impiantare la protesi definitiva che in questo caso è non
cementata e avrà un'interfaccia in idrossiapatite per aderire ancora
di più all'osso e osteo integrarsi.
In questa immagine si vede come appare la porzione prossimale:
qua ci sarà il cotile metallico, l'interfaccia in polietilene è quella
bianca e qua c’è la testina in ceramica.

Nelle slide ci sono altre immagini radiografiche. Una


particolarità che si può notare da questa radiografia è come
il paziente abbia in un femore, solamente in un acetabolo solo
il suo costrutto con cotile, testina e stelo nell'altro invece ci
sono delle viti (ci sono due fori paralleli quindi verosimilmente
ce ne sono due anche se sembra una). In realtà in questi casi
è fondamentale sapere per la mobilizzazione del paziente
che, in linea teorica, se vengono posizionate delle viti
significa che il cotile non ha aderito bene con il preschitt (?) e
quindi l'operatore ha deciso di mettere delle viti. Anche se
questo tipo di comportamento viene utilizzato anche in alcune
scuole italiane e internazionali in cui si prevede di posizionare per sicurezza una vite anche nei casi
in cui il preschitt sia ottimale ma se si notano delle viti bisogna sempre parlare con l'operatore e se
l'operatore siamo noi dobbiamo sapere che la letteratura dice di non mettere delle viti sempre che il
cotile non tenga.

ARTROSI DEL RACHIDE LOMBARE


Nell'artrosi del rachide si può notare un'ipertrofia delle faccette
articolari e un'ipertrofia dei legamenti gialli o un'instabilità dovuta per
esempio a una spondilolistesi, questi sono tutti i casi che possono
portare a una stenosi con lo sviluppo di una radicolopatia. Dal punto
di vista del trattamento in questo caso si effettua una decompressione
e una stabilizzazione del rachide lombare quindi si posizionano delle
viti peduncolari e in questo caso è stata messa anche una cage tra le
vertebre che viene messa per via anteriore.

FRATTURE DEL PILONE TIBIALE


51
Segmento 4 3 del corpo cioè la tibia distale.
Queste fratture rappresentano l’1% delle fratture dell’arto inferiore e il 7-10% delle fratture di tibia.
Vengono distinte in base alla classificazione A.O.
Durante uno degli ultimi consensus si è visto come queste fratture determinano una sofferenza dei
tessuti molli, quindi, è fondamentale quando ci sono delle fratture del terzo distale della tibia valutare
la compromissione dei tessuti molli. Poi bisogna sempre valutare segni di una sindrome
compartimentale perché avrebbe degli effetti devastanti non solo sulla frattura ma sul paziente in
toto e ancora è fondamentale stabilizzare questo tipo di fratture con un pontaggio articolare con
fissazione esterna. Sono fratture da compressione ad alta energia associate ad alte percentuali di
complicanze dei tessuti molli e quindi a risultati scadenti se non si trattano adeguatamente. Lo dice
l’American Academy of Orthopaedic surgeons che è la bibbia degli ortopedici.
Bisogna anche valutare i fattori legati al paziente perché questi hanno un ruolo predominante sulle
complicazioni che sono quelle che bisogna assolutamente evitare affinché il paziente possa ritornare
alla sua quotidianità, bisogna ricostruire la superficie articolare e recuperare l’allineamento assiale.
Quindi i goals sono: un buon recupero funzionale, il carico senza dolore, non permettere lo sviluppo
interno infezioni ed evitare problemi cutanei.
Il risultato finale dipende dall'energia del trauma, dalla compromissione dei tessuti molli e
dall'esperienza del chirurgo. Quindi si può posizionare una placca, ad esempio, per ripristinare la
superficie articolare, il problema è che quando si posiziona una placca bisogna effettuare
un’incisione che crea una soluzione di discontinuità e che può andare a danneggiare ancora di più i
vasi in una cute lesa aumentando il rischio di necrosi cutanea.
Il grado di danno dei tessuti è direttamente proporzionale all’energia cinetica applicata. Quindi se
abbiamo delle fratture particolarmente comminute a livello della tibia presumibilmente avremo danno
dei tessuti molli.
Non bisogna mai dimenticare che è la zona a minor vascolarizzazione della gamba e
possiamo notare come quando abbiamo sofferenza dei tessuti molli ci troviamo di fronte a
flittene: può essere sieroso, e non fa piacere vederle ma significa che il danno è superficiale,
mentre se è emorragico ci troviamo di fronte ad un problema più profondo.

Quando ci troviamo di fronte a questi quadri la gravità del trauma aumenta perché complicata da
lesioni dei tessuti molli; non dobbiamo avere fretta e optare per un trattamento precoce ma ciò che
è fondamentale è effettuare:
-trazione
-medicazione
-controllo del dolore.

52
La trazione veniva effettuata anni fa ( fino al 93?), ora deve essere sostituita dalla fissazione esterna.
Queste lesioni dei tessuti molli hanno un
nome e cognome, che noi diamo in base
ad una classificazione, la classificazione
di Tscherne, che valuta sia l’estensione
che coinvolgimento di strutture vascolari e
nervose. Quindi quando abbiamo lesioni di
un certo tipo, con cute non integra e
flittene, oltre alla frattura esposta
dobbiamo mettere un fissatore esterno
temporaneo (ricordando che le viti vanno
lontane dal punto di accesso altrimenti si fa
esposizione locale). Dopodichè si fa fare
una tac al pz per poter studiare al meglio la
frattura; la pelle raggrinzita rappresenta la
guarigione dei tessuti molli e quindi a quel
punto si può fare una sintesi interna
rispettosa anche dopo 10-15 gg. Il fissatore
richiede circa 10-15 minuti per il posizionamento, dopo di che il pz può andare in bagno da solo, fare
autonomamente la tac, se no dovrebbe andare in barella in trazione a fare la tac creando sofferenza
inutile al pz.
Si è visto che il posizionamento precoce di una placca qualora la cute non sia integra va dal 6 al
55% dei casi. Diversi autori in letteratura dicono che con un trattamento precoce abbiamo circa il
13% di infezione profonde che in alcuni casi evolvono in amputazione. Poi possiamo avere anche
osteomieliti che possono portare ad amputazione quindi non sottovalutare le fratture anche se
queste si trovano nella caviglia.
Nel caso in cui ci sia la necrosi vediamo come
c’è esposizione della sintesi quindi qui
bisogna di nuovo incidere la cute rimuovere i
mezzi di sintesi oltre a fare una terapia
antibiotica di supporto. Se la cute non è
integra le ferite che noi provochiamo
nell’intervento non guariranno
presumibilmente mai, bisogna prestare
attenzione al timing. Nel caso in cui abbiamo
una frattura di tibia dobbiamo valutare se
trattare o meno il perone e bisogna fare
attenzione a misure chirurgiche invasive per
non creare danni a livello cutaneo. Il fissatore
esterno ci aiuta anche per fare una
ligamentotaxis, per far si che anche i legamenti vengano trazionati e i frammenti vengano avvicinati.
In alcuni casi la ligamentotaxis si può fare anche a mano e si è visto che il risultato è uguale. La tac
serve sempre per chiarire il quadro radiografico, si possono poi sfruttare diversi accessi, esempio
mediale e laterale, ma anche posteriore.
Altro caso: fissatore esterno, rx, tc, trattamento, no placca ma fissatore esterno definitivo in alcuni
casi, ma il risultato è sempre lo stesso: fissatore esterno temporaneo e poi trattamento definitivo. Il
pz poi riprende anche articolarità, anche con fissatore esterno (anche se non è adatto per fratture
articolari), questo perché in questo caso il chirurgo è stato molto bravo e ha messo una vite
interframmentaria e quindi ha fatto guarire una porzione come frattura articolare e l’altra come se
fosse frattura diafisaria.

53
FRATTURE DEL PIATTO TIBIALE
Sono fratture prossimali, in questo caso abbiamo un interessamento articolare con interessamento
metafisario. Anche in questo caso è necessario valutare l’energia che ha interessato il trauma, quindi
ad aiutarci in questo c’è la classificazione di Shatzker, in base appunto al numero della
classificazione possiamo decidere il trattamento da attuare. Per quanto riguarda la sdr
compartimentale (che è un sanguinamento o comunque un danno dei tessuti molli tale da far
aumentare la pressione intrafasciale), bisogna fare una fasciotomia cosi facciamo si che l’ematoma
o comunque i tessuti sofferenti vengano drenati e che abbiamo una risoluzione della sdr; se questo
avviene troppo in ritardo anche se noi
liberiamo i nostri compartimenti si rischia
comunque l’amputazione dell’arto.
La classificazione di Shatzker varia a
seconda che sia interessato l’emipiatto
laterale, l’emipiatto laterale con affondamento
articolare, il tipo 3 solo affondamento
articolare, con il tipo 4 abbiamo
interessamento mediale e laterale, nel 5
mediale e laterale con estensione maggiore
dei condili e nel tipo 6 abbiamo
interessamento dell’emipiatto laterale e
l’estensione metafisaria. Il picco è tra i
giovani, questo perché essendo una regione
molto resistente per questo tipo di lesioni servono dei traumi ad alta energia. Ma essendo comunque
una zona abbastanza trabecolare sotto la cartilagine dell’articolazione il secondo picco lo abbiamo
dopo i 60 anni perché l’osteoporosi in questa zona gioca un ruolo predominante. Quando noi
trattiamo questo tipo di frattura è fondamentale valutare:
-la congruità articolare
-l’allineamento assiale
-la stabilità articolare
è quindi fondamentale il timing e management delle fratture e dei tessuti molli, infatti è importante
valutare i tessuti molli e valutare anche la stabilizzazione temporanea in vista del trattamento
permanente cosi da evitare complicanze come esposizione della placche. Fondamentale anche
considerare il planning, bisogna organizzarsi, viene dopo il processo elencato prima (corretta
diagnosi con rx, stabilizzazione temporanea, tac per confermare diagnosi, e dopo di che valutare
parametri ossei per fare sintesi adeguata con rispetto dei tessuti molli), in questo caso valutiamo i
diversi trattamenti possibili: placca con open reduction (incidere cute e posizionare la placca
esponendo l’osso); un fissatore temporaneo e poi placca; oppure riduzione chiusa e placca a
scivolamento (se è articolare questo non viene al meglio); oppure riduzione chiusa e fissatore
esterno (non nel caso di fratture articolare). Le flittene di regola non si toccano ma se il loro volume
è molto importante e si percepisce che da li a poco si romperanno bisogna drenarle sterilmente e
poi coprirle con una medicazione che da li non andrà toccata. Mettendo il fissatore esterno in attesa
della soluzione definitiva ci consente di non avere delle limitazioni se non a distanza (articolazione).
La fissazione è una procedura semplice ma molto importante anche per il risultato visivo del pz. Di
solito si danno 15 gradi di flessione per non dare una rigidità troppo marcata e le viti distali o in
generale le viti del fissatore esterno vanno lontane da dove andremo a posizionare la placca, anche
per questo è importante il planning perchè se io vado a posizionare un fissatore esterno male poi
pregiudico un’adeguata sintesi permanente. È stato dimostrato in letteratura che le infezioni a carico
delle viti del fissatore esterno avvengano a livello della cute superficiale, quindi quando ci rendiamo

54
conto che c’è un’infezione superficialmente o lo fate voi o chiedete ad un’infermiera che ha visto
questo tipo di sistema di effettuare un’adeguata disinfezione dei tramiti e così si abbassa il rischio di
infezione. Il messaggio da portare a casa è che dobbiamo agire valutando la condizione dei tessuti
molli, e se agiamo troppo precocemente possiamo fare dei danni e se agiamo con lesioni dei tessuti
molli andiamo incontro ad aumentata incidenza di infezioni sia profonde sia con una non adeguata
disinfezione ossea possiamo andare incontro a quadri di osteomieliti. Non dobbiamo avere fretta
con la chirurgia ma ritardarla fino a che i tessuti molli non sono stabili. Per effettuare la stabilizzazione
meglio utilizzare un fissatore esterno trans articolare. Un aiuto che può essere importante nelle ferite
della cute che non vogliono rimarginare è quello della VAC, un sistema che crea un ambiente
sottovuoto che crea ipossia locale e quindi favorisce riparazione con aumento di tessuto di
granulazione, ci aiuta nella guarigione delle ferite. Quando effettuiamo la fissazione temporanea
bisogna sia preparare il pz ma anche noi stessi dal punto di vista di imaging, di acquisizione degli
impianti, e in più nel caso in cui non siamo preparati per quell’intervento possiamo chiedere aiuto a
chirurghi più esperti, anche decentralizzando il pz.

FRATTURE OMERALI

Le fratture omerali sono differenti da quelle dell’arto inferiore perchè mentre queste ultime si cerca
di trattarle anche dal punto di vista chirurgico considerando che sono fratture articolari che devono
poi subire il carico del pz, per quanto riguarda quelle dell’omero in base al quadro del pz abbiamo
ottimi risultati anche con un trattamento conservativo. Le prossimali di omero rappresentano il 4-5%
di tutte le fratture e possiamo anche iniziare a classificarle tra quelle da osteoporosi. L’incidenza di
queste fratture è aumentata significativamente in entrambi i sessi ma ancora di più nei pz sopra i 65,
con questo tipo di fratture sia che siano fratture ad alta o bassa energia, soprattutto nei pz anziani,
anche con traumi lievi per via di osteopenia o osteoporosi, possiamo avere dei quadri di
comminuzione.
Anatomia omero: abbiamo la presenza della testa omerale, del trochite e del trochine che da
inserzione ai muscoli della cuffia quindi se non garantiamo un ripristino di queste tuberosità non
avremo un ripristino della cuffia e quindi della mobilità della spalla. Le fratture della parte prossimale
dell’omero su base osteoporotica sembrano essere ancora più complesse.
Esistono diverse classificazioni, la più famosa è
la classificazione di Neer, è la più semplice
perché le classifica per numero di parti: 2 parti
collo anatomico, 2 parti collo chirurgico, se 3
frammenti può essere interessata ad esempio
rima nel collo e rima nel trochite (quella di prima
solo nel collo). Abbiamo delle differenze sia nel
trattamento chirurgico che in quello conservativo
che sono legate all’età e all’energia del trauma
ma anche alla qualità ossea e scomposizione. Il
15% delle fratture sono scomposte, la testa
dovrebbe articolarsi normalmente con la glena.
Se non siamo sicuri con la rx possiamo fare un
esame più specifico, una tc. Le opzioni terapeutiche in frattura omero prossimale sono diverse, in
alcuni casi complicati da gestire (es: testa che scivolo affianco a diafisi). I trattamenti che possiamo
utilizzare sono vari, sono tutti validi, l’importante è fare una corretta diagnosi e un adeguato
trattamento. Se la frattura è a due frammenti è intuitivo il trattamento, se è a 2 frammenti posso
mettere chiodo omerale ma se 4 frammenti no, quindi magari lo usiamo per frattura del collo, cosi
fissiamo testa con diafisi. La placca si usa in tutte le fratture a 3 frammenti e nel paziente adeguato
ci riporta a ripresa funzionale precoce poichè se vi è il trochite possiamo avere ripresa funzionale
55
della muscolatura. Possiamo avere protesi parziali ma anche totali (o inversa). Queste due tipi di
protesi sono differenti rispetto a quelle dell’anca (che andava in base all’eta), quello che ci indica la
strada da seguire è la cuffia dei rotatori: se abbiamo un paziente che si frattura la testa omerale, in
quel caso se la cuffia è integra possiamo posizionare questa protesi (parziale), se invece la cuffia
dei rotatori è danneggiata o comunque compromessa hanno inventato questo tipo di protesi che è
la protesi inversa, funziona al contrario rispetto all’anatomia della spalla, nel senso che l’omero è
una spalla piena che si articola con una spalla vuota (la glena), questa anatomia viene messa al
contrario nella nostra protesi: abbiamo glena convessa ed omero concavo, questo fa si che ci
allontaniamo dal centro di rotazione originario della glena e ci portiamo più lateralmente quindi
questo fa si che il centro della rotazione della spalla non cada più in corrispondenza della cuffia dei
rotatori (che non funziona più) ma cada sotto il baricentro del deltoide quindi sia in abduzione che
adduzione il movimento della spalla sarà gestita dal deltoide. Quindi scegliamo inversa in questo
caso.
Diversi studi sono stati fatti per valutare trattamento conservativo o chirurgico. Qui il trattamento
conservativo, a differenza dell’arto inferiore, da buoni risultati, a discapito però della ripresa
funzionale, con una placca può essere mobilizzato rapidamente mentre un pz senza la placca viene
immobilizzato con l’arto in adduzione per 30 gg, il pz non può badare a se stesso e non può svolgere
la sua quotidianità, la chirurgia provoca meno dolore al pz e facilità attività quotidiana ma non c’è
evidenza sufficiente per dire che è meglio un trattamento di un altro, in USA ad esempio si fa di più
il conservativo perchè costa meno, quindi dietro alcune scelte possiamo avere scelte economiche
ma se ci serve una ripresa migliore di mobilità è meglio trattamento chirurgico, e con un trattamento
conservativo è possibile che si vada incontro a pseudoartrosi, è possibile anche con la chirurgia ma
diciamo che se le cose vengono fatte bene il pz guarisce, mentre se effettuiamo una stabilizzazione
e i frammenti non si toccano possiamo andare incontro a pseudoartrosi.
Alcuni esempi: dislocazione testa, placca nell’omero con viti a stabilità, con compressione trochite
su omero e pz giovane ha ripresto sua articolarità. Riduzione e posizionamento placche, soprattutto
in placche a 4 frammenti è fondamentale riduzione anatomica perché c’è un danno della testa. La
emiartoplastica ha dato dei risultati più scarsi rispetto a trattamento conservativo, questo è accaduto
perché il chirurgo magari non ha fatto un’accurata analisi e quindi ha fatto una emiartoplastica con
pz con danno di cuffia, e quindi anche se la protesi va bene il pz avrà un danno funzionale (meglio
conservativo qui).
Immagine intraoperatoria: chirurgo chiede al
tecnico di laboratorio di effettuare diverse rx per
quantificare il danno, accesso nel pettorale,
proiezione di taranto serve dal punto di vista
temporale per farci vedere testa in verticale così da
vedere se ci sono viti che sporgono. È
fondamentale quindi valutare se vale la pena
effettuare trattamento chirurgico, per capire se
migliorare la vita del paziente o se la peggioriamo,
nell’anziano può essere utile anche il trattamento
conservativo, invece nel giovane è preferibile la
chirurgia per migliore ripresa funzionale

56
MALATTIE DELL’APPARATO LOCOMOTORE – Lezione 4
12/05/2022
Carta – Boi

DISPLASIA CONGENITA DELL’ANCA - DISTACCHI EPIFISARI - LE FRATTURE DEL


GOMITO

DISPLASIA CONGENITA DELL’ANCA


È la malformazione osteoarticolare nel neonato più comune, le cui percentuali variano sulla base
della regione di appartenenza dell’individuo. In Italia si ha un’incidenza di 1/1000 dei neonati, mentre
nell’Europa stessa questi numeri variano considerevolmente (es. in Polonia, Repubblica Ceca e
Slovacchia abbiamo dei numeri nettamente superiori). Nonostante ci siano diverse teorie al riguardo,
il motivo di questa enorme variabilità tutt’oggi ancora non è chiaro, alcuni pensano sia dovuto ad un
fattore razziale (nella razza caucasica oscilla tra 0,7 e 2,5/1000, mentre la razza nera quasi non è
affetta). Verosimilmente si tratta di un vizio di formazione determinante un arresto dello sviluppo di
tutti i componenti dell’articolazione, specialmente dell’acetabolo.
Interessa soprattutto il sesso femminile rapporto F/M 6:1 e la razza caucasica. Presenta una certa
familiarità, quindi possiamo evidenziare un vizio genetico poiché i figli di soggetti affetti hanno un
rischio maggiore di manifestare la patologia (10% negli ascendenti diretti). Porta ad artrosi
secondaria entro la terza decade di vita se non trattata.
EZIOLOGIA
Ancora non è ben chiara ed è oggetto di discussione. Dipende da: il tipo di solidità ossea del pz
(infatti alcuni pz mostrano una concentrazione di fibroblasti maggiore) e da una eccessiva lassità
legamentosa che porterebbe il femore a poter migrare lateralmente e prossimalmente lussando dalla
sua cavità acetabolare. È necessario capire le varie fasi della lussazione del femore:
- Pre-lussazione: il femore attraverso delle manovre, può agevolmente entrare e uscire dalla
sede dove normalmente dovrebbe avere accesso senza possibilità di uscita
- Sub lussazione: positività a queste manovre
- Lussazione franca: alcune manovre che durante la sublussazione risultano positive sono in
questo caso negative poiché si sono instaurati dei meccanismi che impediscono al femore di
ritornare in sede.

All’ecografia, nella pre-


lussazione vediamo come il
tetto sia particolarmente
sfuggente.
Sub lussazione: attraverso
delle manovre il medico può
lussare il femore.

immagine riassuntiva 1: È necessaria una posizione concentrica della testa del femore
nell’acetabolo. Quando la testa non è correttamente posizionata con sublussazione, il
labbro può modificarsi e appiattirsi e l’acetabolo non cresce e non si modella correttamente
tanto da presentarsi poco profondo e con il tetto sfuggente.

57
Lussazione: I genitori del
neonato si rendono conto che
un arto è più corto dell’altro; in
questo contesto l’osso iliaco e
l’ala iliaca sono integri e la
testa sta appoggiando, non
modificando la morfologia
ossea. Oggi la lussazione
inveterata nel neonato è un
evento raro, dato che
l’ecografia è stata resa
immagine riassuntiva: Se la testa del femore si trova al di fuori dell’acetabolo (lussazione)
obbligatoria (in Italia no, ma è
superiormente e lateralmente, la capsula inferiore è stirata verso l’alto e la cavità
dell’acetabolo è vuota. I muscoli che circondano l’anca, specialmente gli adduttori, si fortemente raccomandata!)
contraggono impedendone l’abduzione

Come si forma il neo-cottile? Il femore si articola con la porzione iliaca del bacino, sarà però
accorciato, non sarà con la copertura e il pz non sarà in grado di abdurre l’arto e andrà incontro ad
artrosi precoce perché questa superficie non è adatta per poter sopportare l’articolarità della testa
femorale.
STADI EVOLUTIVI
1) Pre-lussazione
2) Sub-lussazione  Nucleo cefalico femorale ancora parzialmente in rapporto con l’acetabolo;
3) Lussazione  Nucleo cefalico femorale lateralizzato e risalito al di sopra del ciglio cotiloideo;
4) Lussazione inveterata  Produzione di un neo-cotile iliaco anteriore o posteriore. La cavità
acetabolare originaria verrà obliterata perché il legamento rotondo della testa femorale,
stirato dalle forze che hanno determinato la lussazione, si inspessisce provocando
l’obliterazione. Saranno impossibili le manovre di riduzione incruenta. Questo implica la
necessità di intervento chirurgico di accentuazione del bacino.
MANOVRE
Le manovre che ci permettono di capire che il femore è andare incontro a lussazione:

 Manovra di Barlow: consiste nel dislocare un’anca instabile. Come si effettua?


Stabilizzando la coscia del paziente, premendo il pollice medialmente e le dita lateralmente,
ed effettuiamo una pressione con lateralizzazione. Questo, adducendo anca, fa sì che il
femore sgusci fuori dal cotile che non lo accoglie come dovrebbe e ci fa rendere conto
dell’instabilità dell’anca. È praticato stabilizzando la pelvi con una mano e flettendo e
adducendo l’anca opposta applicando una forza posteriore. Ci si rende conto rapidamente
se l’anca è dislocabile, smettendo di esercitare una forza posteriore, l’anca ritornerà
spontaneamente al suo posto.
 Manovra di Ortolani: in cui la pozione delle mani è analoga ma esercitando una forza
contraria, con le anche flesse addotte e ginocchia flesse, questa volta eseguendo un
movimento di adduzione. Si prendono gli arti inferiori, mettendo il pollice lungo la faccia
interna della coscia e le altre dita lungo la faccia esterna della coscia, si esegue un
movimento di abduzione delle cosce esercitando contemporaneamente una pressione sulla
faccia esterna della coscia diretta medialmente verso l’alto. Con tale manovra se la testa del
femore è lussata essa rientra nella cavità acetabolare e tale rientro verrà avvertito come uno
scatto.
 Segno di Galeazzi: consiste nel fatto che il bambino avendo una differente localizzazione
della testa, ha una differente lunghezza delle ginocchia. I piedi del bambino supino vengono

58
appoggiati entrambi sul tavolo dell’esaminatore con le anche e le ginocchia flesse; verrà
evidenziato:
 Livello irregolare delle ginocchia
 Numero asimmetrico delle pieghe cutanee della coscia
 Apparente accorciamento di un arto

SEGNI CLINICI DI PROBABILITA’


Possono essere presenti o assenti, e anche se messi in evidenza non sempre ci danno una chiara
indicazione di una displasia congenita dell’anca (nome storico della patologia che oggi viene definita
displasia evolutiva dell’anca). Si è notato come l’intervento del medico e dei genitori che seguono le
indicazioni del medico, può far sì che la patologia non raggiunga gradi di gravità elevati, ma con
trattamento incruentemente si permette una vita normale.

 Asimmetria delle pliche cutanee


 Ipotrofia e lieve accorciamento dell’arto prelussato
 Tendenza all’extra rotazione dell’arto prelussato
 Lieve appiattimento della natica dell’arto prelussato
 Limitazione dell’abduzione dell’arto prelussato
 Segno dello stantuffo  Il femore normalmente ha sede nella cavità acetabolare, ma se
appoggiato nell’ala iliaca, può muoversi se si effettua una trazione su di esso.
 Segno di Trendelenburg  quando il pz poggia sull’arto sano il bacino rimane in sede. Mentre
quando il pz da appoggio mono podalico sull’arto interessato abbiamo una caduta dell’emi-
bacino controlaterale. Andatura anselina quando interessa entrambi i femori.

GRAVITA’

Forma lieve – media entità: è la forma che si osserva più frequentemente. Si avrà una ridotta
abduzione, ortolani negativo (perché sarà negativo? Perché è già in sede) e Barlow positivo (ci aiuta
a capire se il femore può lussarsi).
Forma grave: lussazione avvenuta in epoca prenatale. Si rileva ridotta abduzione e in caso di
lussazione monolaterale accorciamento dell’arto leso con asimmetria delle pliche cutanee. Nel
lattante di 3-4 mesi affetto da forma grave la manovra di Ortolani è negativa poiché la testa non è
ormai più riducibile (ormai la cavità è stata occupata).
DIAGNOSI
Come possiamo agire? Si è visto come il trattamento precoce è fondamentale per una ripresa del
pz e per avere dei risultati migliori. Si utilizza il metodo di Graft che consiste nell’ecografia.
Attraverso questa e dei suoi parametri riusciamo a capire se quel soggetto ha un maggior rischio di
sviluppare lussazione o se già abbiamo una lussazione in corso.
Dopo il sesto mese possiamo fare un esame diretto delle anche, ed è sufficiente una RX ant-post; Il
metodo di Chigot e di Ombredanne ci permettono di calcolare quei parametri per stabilire se è un
soggetto a rischio di lussazione o ha sta sviluppando quelle alterazioni morfologiche che porteranno
alla lussazione.
L’esame ecografico cosa mi permette di fare?
Permette di valutare con precisione
 La stabilità dell’anca
 Il grado di sviluppo acetabolare  l’acetabolo ha un certo gradi di copertura che permette
alla testa di rimane appoggiata nella sua cavità.

59
Angolo α: esprime il grado di maturazione ossea dell’acetabolo, cioè la copertura del tetto
acetabolare sulla testa del femore.
Angolo β: espressione dello sviluppo cartilagineo dell’acetabolo ed indica la capacità di copertura
della capsula sulla testa del femore.
Permette inoltre di identificare tutte le forme di displasia congenita dell’anca e rappresenta il mezzo
più idoneo per una diagnosi precoce e per un eventuale screening.

Da un punto di vista visivo vediamo


come:
Angolo alfa (angolo del tetto osseo):

 >60° normale
 43-59° displasia
 <43°: prelussazione o
lussazione

Esame radiologico
Viene eseguito per controllare la diagnosi ecografica (eseguita fin dalla nascita) o controllare il
trattamento ortopedico ed infine per la conferma della guarigione.
Difatti il nucleo di ossificazione della testa del femore non appare fino ai 3-7 mesi di età.
Le linee di misurazione vengono solitamente fatte per determinare la relazione della testa femorale
con l’acetabolo
In questo modo valutiamo la triade di Putti: consiste nella
valutazione dell’obliquità del tetto cotiloideo.
Nell’RX si può notare come a sin risulta essere più
orizzontale mentre a dx risulta essere più verticale, più
sfuggente e il femore avrà un rischio maggiore di portarsi
verticalmente.
Possiamo valutare una ritardata comparsa o ipoplasia del
nucleo cefalico femorale; in questo caso notiamo come sia
più piccolo rispetto al controlaterale.
Infine, abbiamo l’ipoplasia dell’emi-bacino.

60
Metodo di Chigot
Con questo metodo andiamo a valutare
l’inclinazione del tetto tracciando una linea
passante per il tetto. Se questa linea cade
nel forame otturatorio controlaterale allora
abbiamo un’adeguata copertura. Se la linea
passante per il tetto passa per il forame
otturatorio omolaterale siamo difronte ad un
quadro di lussazione. Se invece si trova tra i
due forami otturatori sarà incerto (non
abbiamo la certezza che ci sia o non ci sia
lussazione) ma comunque ci troviamo
davanti ad un quadro di displasia.
Metodo di Ombredanne
Possiamo valutare dopo la comparsa del
nucleo cefalico: ci aiuta attraverso delle
linee tangenti al contorno dell’ileo, sia una
linea perpendicolare alle precedenti
passanti per il punto più alto del tetto del
cotile.
Ci permette di valutare se l’anca sarà
normale oppure lussata/sublussata.
È chiaro che in questi ultimi due casi il
nucleo cefalico si troverà lateralizzato e
sopraelevato (come nell’rx precedente).

Valutazione della linea di Shenton od Ogiva di Shenton


Non è altro che il margine mediale del
femore che prosegue sul forame
otturatorio, una curva lineare. Se invece la
curva non è continua, appare irregolare, ci
troviamo in un quadro di
alterazionequadro di lussazione.

RX: a sinistra normale copertura del cotile, il nucleo


di accrescimento femorale, vediamo come l’ ogiva di
Shenton è continua mentre a dx l’ogiva non esiste, il
tetto acetabolare mancante; il femore è scivolato
all’esterno, lateralmente e prossimalmente e sta
prendendo contatto con il bacino.

61
Un quadro ancora più grave, finale è la
lussazione congenite inveterata. Il
bambino ha attraversato tutte le fasi senza
esser stato visitato da nessun medico, i
genitori non si sono rivolti ad uno
specialista. Il bambino ha sviluppato dei
femori ipoplasici (collo e femore poco
sviluppati, sottili ali iliache bacino
ipoplasico. Il bambino è lussato in quanto
vedendo il cotile, le teste sono risalite e
anteriorizzate; il bambino è lussato
lateralmente e le cavità acetabolari sono
disabitate).

TRATTAMENTO
Possiamo utilizzare dei divaricatori e ne esistono diversi tipi. Si va comunque per gradi.
Si utilizzano doppi pannoloni come divaricatori per fare in modo che si faccia un’abduzione delle
cosce per far centrare la testa del femore all’interno dell’acetabolo e quindi di consentire il normale
sviluppo.
Mutandina rigida che permette alle cosce di andare in abduzione
Divaricatori: diversi tipi. Attualmente nella slide presenti i più moderni.

Sublussazione – lussazione:
- Riduzione con trazione a cerotto (2-4 mesi)
- Immobilizzazione in apparecchio gessato in prima posizione di Paci Lorenz
- Applicazione di un tutore (Pavlik, Von Rosen, Milgran, Tübingen)
È fondamentale l’applicazione di questi tutori; in alcuni casi se la situazione risulta essere
particolarmente instabile (questo avveniva principalmente, ma tuttora possono essere usati in alcuni
centri) si usa un divaricatore ingessato nelle quale le anche vanno flesse e abdotte.

62
Prima veniva utilizzato il Pavlinj e Von-Rosen,
tutti avevano tutte la stessa funzione: flettere
le anche e abdurre.
Tutto questo per quanto riguarda le lussazioni
non inveterate, in cui possiamo utilizzare un
trattamento incruento. Ma nelle situazioni in cui
sono dislocati da tempo non si può fare
granché perché le cavità acetabolari sono
occupate e il trattamento che ci serve è di tipo
chirurgico, cruento. Sarebbe comunque da
evitare nei bambini.

Esistono una serie di interventi:


Tettoplastica in cui andiamo a ricreare la
copertura del tetto acetabolare attraverso delle
osteotomie del bacino, oppure possiamo fare
delle osteotomie (viste anche nel femore,
conseguentemente a lussazione si effettuano
anche nelle fratture, poco utilizzate ormai
nell’adulto) nel bambino per la lussazione
inveterata sono un ottimo trattamento perché
consentono di ricentrare la testa e il collo
femorale (il femore prossimale) nella cavità
acetabolare e permette miglior sviluppo e
centramento testa nella cavità.
COMPLICAZIONI:

 Necrosi avascolare della testa del


femore: bisogna ricordare che la circolazione
in questa sede è di tipo terminale, dunque
fragile; è ovvio che dopo la lussazione e i
trattamenti, c’è rischio di danneggiamento dei
vasi con occlusione  necrosi.

Tutto questo riguardava il neonato nelle prime fasi di vita ed era richiesto un trattamento precoce
per essere ottimale.

63
DISTACCHI EPIFISARI
Compaiono nel bambino in fase di crescita, il quale ancora ha le cartilagini di accrescimento che
permettono questo tipo di alterazione (impossibile nell’adulto perché non sono presenti queste
strutture). Avvengono per dei traumatismi delle cartilagini di accrescimento.
Possono essere classificate in cinque categorie secondo classificazione di Salter Harris:

Aspetto alla risonanza magnetica delle cartilagini di


accrescimento e anche con la radiologia

DISTACCO DI TIPO I

A) vediamo una tibia, e vediamo che si trova spostato


anteriormente.
B) testa omerale scivolata posteriormente.

64
Un distacco in tutta la sua lunghezza della cartilagine di coniugazione, ma in assenza di fratture. A
volte il distacco non è evidente, ma quando evidente abbiamo una totale dislocazione. È possibile
l’interposizione del periostio perché nel bambino è notevolmente rappresentato.
Osserviamo come c’è un vero scivolamento della cartilagine, senza fratture.
Trattamento
In questa RX evidenziamo il perone dislocato. Nel bambino utilizziamo delle vie meno cruenti
possibile per evitare di danneggiare la cartilagine di accrescimento. In questo caso sono stati inseriti
due fili di kirschner e un gesso.

Quando abbiamo questo genere di lesioni dobbiamo preoccuparci della vascolarizzazione. Se si ha


un distacco di questo tipo, con i condili femorali a livello del cavo popliteo, c’è rischio di
danneggiamento dei vasi poplitei, attenzionare quindi ogni qual volta si sospetti un distacco
epifisario.
Tra le poche urgenze non differibili ortopediche ci sono distacchi epifisari (o una lussazione di spalla).
I distacchi epifisari vanno trattati in tempo rapidi. Le altre urgenze hanno sempre tempi ristretti (es
48 h per le trocanteriche) ma differibili anche se di poco.
Le cartilagini di accrescimento maggiormente stanno lontano dalla loro sede, maggiore è il rischio
che vadano incontro a necrosi e maggiore il rischio che il bambino non possa sviluppare quella
porzione di arto.

Dopo 5 settimane, vengono rimossi i fili, tolta immobilizzazione e


sembra tornato alla situazione normale.

65
Distacco della porzione distale di
femore:
L’approccio terapeutico consiste nel
trazionare gli arti, mettere dei fili per
stabilizzare, immobilizzarlo
temporaneamente.
Nel giovane questo tipo di trattamento da
buoni risultati. È sempre importante durante
il counselling con i parenti evidenziare il
rischio che quella porzione, nonostante il
trattamento, può andare incontro a necrosi.

Da quello che ci mostrano le radiografie in rosso si evidenzia la


porzione di femore che ancora è appoggiata sulla cartilagine di
accrescimento (appartenente ad una persona ancora in fase di
accrescimento).

In questo caso abbiamo uno scivolamento senza frattura della In queste si associa una frattura della porzione ossea prossimale
testa omerale. rispetto al distacco ipofisario.
Anche qua va rimessa in sede posizionando fili di kirschner per
procedere all’immobilizzazione.

DISTACCO EPIFISARIO DI TIPO 2


Tibia e falange
A livello della falange si intravede un periostio
spesso. Chiaramente se questo si interpone
poi non si riuscirà a ricollocare la porzione
dislocata nel suo alloggio. La stessa cosa può
avvenire nella frattura di tibia. Nell’immagine il
verde rappresenta periostio, si vede come si
interpone tra le porzioni ossee e la cartilagine
di accrescimento non avrà contatto con la
porzione ossea sottostante per cui si avrà
un’ipoplasia di questa zona.

66
Altri casi di Salter 2 con associazione di tipo 1. Vengono trattati cruentemente con l’inserimento di
fili: viene inserito in questo caso un filo endo-midollare del perone mentre sulla tibia sono incrociati.
I fili sono percutanei e vengono successivamente rimossi.

DISTACCO EPIFISARIO DI TIPO 3

Interessamento della cartilagine di accrescimento con frattura che si presenta su l’osso sottostante.
È presente il distacco e la frattura è verso il basso. Vediamo come nel malleolo esterno abbiamo
una Salter 1 per la presenza di un minimo scivolamento.

DISTACCO EPIFISARIO DI TIPO 4

immagine riassuntiva 2
 Necessita di una riduzione anatomica
 In caso di piccoli frammenti: fili per stabilizzare
 Un avvitamento diretto parallelo alla cartilagine di accrescimento

67
Sono delle fratture trans-cartilagine di accrescimento in quanto interessano sia l’osso sovrastante e
sottostante. In questo caso è stata trattata con due viti con necessità di riduzione anatomica. Questa
zona è soggetta a crescita, se creo delle alterazioni morfologiche su un osso che deve crescere poi
crescerà in una direzione piuttosto che un’altra, determinando delle problematiche durante la
crescita.

DISTACCO EPIFISARIO DI TIPO 5

Le tipo 5 sono le più gravi e per fortuna le più rare. In queste non si ha una frattura ma avviene uno
schiacciamento, conseguenti a cadute dall’alto con un impattamento della cartilagine di
accrescimento. Le cellule muoiono e questa porzione non va incontro a crescita, determinando
l’instaurarsi di un epifisiodesi.
In questi casi il trattamento è minimo: si proverà a trattare il pz ma avvenendo impatto tra i due
monconi ossei probabilmente la cartilagine di accrescimento è stata irrimediabilmente danneggiata.

COMPLICAZIONI
È chiaro che nei distacchi possiamo andare
incontro ad un aumentato rischio di lesioni
nervose e vascolari (es. nel cavo popliteo).
Un distacco epifisario con grande spostamento e
meccanismo in iperestensione (nei 10% dei casi
interessa la tibia) è considerata un’urgenza!

Sempre valutare se son presenti deficit nervosi:

 Neuroprassia da stiramento
 Manovre di riduzione delicate (soprattutto nelle trazioni in varo)

NB: non presentano nessuna implicazione chirurgica nell’immediato.

68
In questo quadro vediamo un’estensione del
femore che si porta lateralmente e
posteriormente. I condili si portano a questo
livello, si trovano distalizzati, lateralizzati e
probabilmente in sede posteriore. È chiaro
che dobbiamo subito valutare polsi e lo statico
popliteo esterno. Verificare il polso pedidio e
valutare se il nervo è danneggiato, chiedendo
al pz di tirare su il primo dito e dorsi-flettere il
piede.

In questo caso è stata effettuata una riduzione


della frattura (avevamo un distacco epifisario
e una Salter di tipo 2)
Facciamo una fissazione con fili di kirschner
sul femore e una vite sulla tibia. Dopo di che
valutiamo il recupero: valutiamo se è
avvenuta un’epifisiodesi parziale o totale
perché questo comporterà deficit di crescita.

Se invece l’epifisiodesi è periferica questo cosa comporta? Una porzione della cartilagine non cresce
più mentre una porzione continua a crescere. Questo causa un’alterazione di direzione, con un
eterometria nel 25% dei casi. Quando è presente un’epifisiodesi di questo tipo possiamo:

 Creare una epifisiodesi controlaterale (la causiamo noi), chiaramente non lo facciamo sul
bambino in giovane età ma se è al termine dell’accrescimento, possiamo farlo decidendo di
arrestare la crescita.

69
 Allungamento. Esistono diversi modi, soprattutto la fissazione esterna che ci permette di
allungare gli arti, fatta anche in condizioni di nanismo.

Nei difetti di asse possiamo fare:

 Desepifisiodesi è difficile da praticare se le cellule sono danneggiate


 Osteotomia
Sono tutte cause di un non ritorno alla normalità per perdita delle cellule di accrescimento dalla
cartilagine.

Epifisiolisi a destra e a sinistra.


Qua vediamo come il paziente è trattato con fili di kirschner
sia a dx che a sn, dove lo abbiamo posto anche sul malleolo
posteriore.
Alterazioni che possiamo avere nei distacchi epifisari:
Vediamo come sia angolato diversamente. Allora facciamo
osteotomia del femore distale e lo portiamo all’asse normale.

FRATTURE DI GOMITO
Sono sempre fratture molto complesse in virtù di come l’articolazione del gomito è composta. Un
trauma di gomito, anche in assenza di fratture, lasciato immobilizzato, con molta probabilità andrà
incontro ad una rigidità del gomito, che il più delle volte si manifesta come dolorosa quando andiamo
a trazionare per cercare di contrastare le rigidità sviluppate. Un esempio sono le fratture di radio
distale, ovvero le fratture di polso: se vengono trattate con apparecchi gessati brachio-metacarpali,
il cui tempo di tenuta osservato è mediamente di 25 gg, il gomito seppur sano rimarrà immobilizzato

70
per quest’arco di tempo, per cui una volta tolto il gesso, il paziente sarà in grado di flettere, estendere
e prono supinare, ma avrà difficoltà ad estendere totalmente il suo gomito e portarlo totalmente in
flessione.
Quello che stiamo per vedere sono delle fratture complesse di gomito e i loro trattamenti, soprattutto
in pazienti anziani (seppur questi trattamenti potrebbero essere effettuati anche in un paziente
giovane), in modo da comprendere l’importanza della mobilizzazione precoce, il che non vale solo
per il gomito ma per tutte le articolazioni.

Nell’immagine (in alto a sx) notiamo radio, ulna e omero distale. Rappresenta una frattura
scomposta pluriframmentaria.
Possiamo usare diversi tipi di trattamento: nell’immagine (alto a dx) vediamo il posizionamento di
una placca mediale, di una laterale e di un filo a otto insieme a due fili di Kirschner. Questo è
un cerchiaggio con configurazione Zuggurtung: ci si è resi conto che con questa conformazione
ad otto si possono trasformare le forze di trazione in forze di compressione, per cui possono essere
usate sia nel gomito che nel ginocchio. In queste articolazioni, infatti, si esercitano delle forze molto
importanti, per esempio sulla rotula da un lato abbiamo il quadricipite con il suo legamento
quadricipitale e dall’altra il legamento rotuleo, che esercitano elevate forze in trazione a carico della
rotula. Se andassimo a posizionare una placca, dovremmo immobilizzare la rotula, perché le forze
di trazione sarebbero troppo forti da permettere un movimento. Per cui, sul gomito in caso di frattura
dell’olecrano o nel ginocchio se interessata la rotula, il posizionamento di questo tipo di
cerchiaggio, quando andiamo a mobilizzare l’articolazione, trasforma le forze di trazione in
forze di compressione, facendo concentrare il carico al suo centro e quindi favorendo la
riparazione della frattura. Nell’ immagine non è raffigurata solo una frattura di olecrano, ma una
complessa di omero, dove probabilmente il cerchiaggio eseguito serve per stabilizzare l’ulna, con
anche l’aggiunta di tante viti intraframmentarie.
Altro esempio di fratture di omero, ma in questo caso, invece di fare la sintesi sempre pensata nel
rispetto dei tessuti, abbiamo deciso di posizionare un fissatore esterno articolato. Il pz con questo
tipo di costrutto può iniziare a muovere il braccio precocemente, in modo da non sviluppare le temute
rigidità.

71
Di tutte le fratture, quelle del gomito
rappresentano il 7%. Delle fratture del
gomito, quelle dell’omero distale
rappresentano 33%. Le trans-colonnari
(le peggiori) rappresentano il 10%.

All’American Academy, hanno analizzato


questo tipo di fratture, cercando di valutare
il miglior trattamento, non tanto da un
punto di vista radiografico, in quanto è
chiaro che questi costrutti siano ottimi, ma
da un punto di vista di ripresa funzionale
del paziente e delle lesioni cutanee che
noi causiamo per posizionare le
placche. Oltretutto, con il posizionamento
di tutte queste placche e viti su un paziente
osteoporotico con cattiva qualità ossea, c’è
sempre un rischio di fallimento
dell’impianto, motivo per il quale tendiamo
a mantenere il paziente immobilizzato.
Le fratture di omero avvengono soprattutto nell’fascia di età tra 12-19 e sopra gli 80 anni.
Possiamo anche usare un trattamento incruento,
che in un 68% dei casi viene descritto con risultati
buoni ed eccellenti, ma in realtà il paziente anziano
riesce a riprendere in parte le sue attività. A
prescindere, se noi trattiamo comunque dei
pazienti incruentemente con quel tipo di fratture
andranno sicuramente incontro a riduzione della
funzionalità.

Approccio chirurgico alle fratture


precedentemente viste in radiografia: in questo
caso abbiamo una troclea omerale di cui si capisce
ben poco l’anatomia del gomito. Bisogna fare un
accesso per posizionare le placche laterale e
mediale.
In letteratura si è visto come i pazienti più
anziani, a causa della loro qualità ossea,
abbiano risultati peggiori rispetto ai pazienti
più giovani.

72
Oltre alle fratture sintetizzabili con delle
placche o viti piuttosto che con un fissatore
esterno (ovvero quelle di cui abbiamo finora
parlato), esistono le fratture non
sintetizzabili, quando abbiamo una
distruzione tale che la superficie articolare
non è ricostruibile. In questi casi viene
messa una protesi, per esempio una
protesi di gomito, anche se in realtà i
risultati con questa non è mai ottimale, per
cui si tende ad evitarla preferendo la sintesi.

Riduzione di minima delle fratture di gomito:


utilizziamo delle viti che vanno a ricompattare i nostri
frammenti, per poi fare un costrutto con fissatore
esterno che protegge la nostra sintesi mininvasiva. La
paziente appena operata nella foto può comunque
iniziare a muovere il suo gomito.
Questo è possibile farlo, perché il gomito è una
cerniera, per cui quando siamo in sala operatoria a
studiare le radiografie, il radiogramma che cerchiamo
è quello che ci permette di identificare la troclea e con
il filo di Kirschner dobbiamo passare esattamente al
centro della troclea, cosicché il fissatore esterno andrà
a sostituire l’articolazione del gomito, essendo lui ad
articolarsi al suo posto, permettendo alla frattura di
guarire mentre il paziente muove il suo arto.

Nell’immagine vediamo la
troclea con l’amplificatore di
brillanza, al cui esatto centro
posizioneremo il filo.

73
La tecnica chirurgica è quella di un
amplificatore con un filo montato: ci portiamo
al centro della troclea e una volta che
individuiamo la zona lo inseriamo. Di tutto
l’intervento, la parte più complessa è questa,
centrare il punto di rotazione esatto è difficile. Se
invece di metterlo nell’esatto punto di rotazione,
mi accontento di inserirlo 1mm fuori dal centro di
articolazione, quel gomito non si potrà articolare,
in quanto il centro di rotazione non cadrà più sul
fissatore che ho montato, ma continuerà ad
avere rapporti con l’articolazione naturale, e
quindi sarà tutto bloccato e risulterà inutile il
fissatore che ho montato.

Immagine
intraoperatoria, con il
trapano mi porto a
livello della troclea per
posizionare il filo.

Altre immagini intraoperatorie dove si posiziona a carico


dell’omero e l’ulna le fish con la fissazione esterna. Vediamo l’ulna
che riconosciamo dall’olecrano.

Casi clinici:
Questo tipo di chirurgia non è ancora molto diffusa, per cui bisogna conoscere le nuove armi a
disposizione per queste patologie.

74
Caso 1:
Fissatore esterno articolato di gomito e di polso,
con cui questa signora potrà svolgere le sue attività
quotidiane senza essere immobilizzata. Per questa
frattura avrebbe dovuto mettere un gesso brachio-
metacarpale insieme ad un bendaggio in modo da
rimanere in adduzione per almeno 30 gg. Così
invece, possiamo iniziare una mobilizzazione
precoce.

Vediamo come l’anatomia non viene rispettata del tutto, in


quanto la porzione non si articola benissimo, ma essendo una
porzione extrarticolare la signora può benissimo riprendere a
muovere le sue braccia, non andando ad instaurarsi quelle
rigidità legamentose delle quali abbiamo parlato in precedenza
e che si sviluppano tenendo il nostro arto immobilizzato.
Caso 2:
Esempio di alcuni trattamenti che venivano
precedentemente usati: si cercava di prendere ogni
singolo frammento con dei fili e poi si immobilizzava il
gomito per 30 gg. Alla fine di questi trattamenti molto
probabilmente il paziente neppure guarisce, e va anche
se trattato nel giusto modo a sviluppare delle rigidità. In
questa signora abbiamo posizionato un fissatore esterno
articolato di gomito e nel post-operatorio già riesce a
flette ed estende. La presenza ancora delle medicazioni
indica che i tramiti sono aperti; quindi, non ci troviamo
molto distanti dall’intervento.
Caso 3:
Paziente in post-operatorio che flette ed estende il
gomito con una frattura complessa di gomito; quindi,
questo tipo di costrutto (il fissatore esterno) è utile e non
dobbiamo temerlo.

Una volta tolto il


fissatore esterno, la signora potrà flettere ed estendere il
proprio gomito.

75
Caso 4:
Sintesi di minima con delle viti canulate. Dopo di
che abbiamo fissato il fissatore esterno con le viti
del fissatore sull’omero e sull’ulna. Le viti da
fissazione esterna vanno dall’esterno verso
l’interno, per cui il rischio è solamente di
infezioni superficiali che se trattate
adeguatamente e con igiene di tessuti,
presentano un rischio di infezione profonda
basso.

Una volta tolto il fissatore la signora fletteva ed


estendeva il suo gomito. Per questo tipo di fratture i
risultati sono eccezionali. Normalmente con delle
placche facciamo sicuramente dei costrutti più belli
rispetto a questi, ma la condizione di
immobilizzazione fa sì che il paziente non possa
tornare alla mobilità originaria.
Caso 5:
Abbiamo usato viti canulate, e inserito i fili con una configurazione a x (immagine in basso a sx).
Dopo di che abbiamo immobilizzato il tutto con il fissatore, e una volta rimosso il paziente fletteva ed
estendeva il suo gomito. Questo è come appare radiograficamente il gomito (immagine in basso a
dx).

Caso 6:
Frattura intraorticolare, con inserimento di viti a
sintetizzare la porzione intraorticolare per poi
posizionare il fissatore. Immagini intraoperatorie, dove
noi anche per controllare che il costrutto vada bene,
flettiamo ed estendiamo il gomito. È chiaro che se
abbiamo posizionato male il filo che passa per il centro
di rotazione questo movimento non sarà possibile. Il
centro di rotazione naturale è quello che abbiamo
creato noi e questo farà sì che il fissatore non possa far
estendere e flettere l’arto del paziente. L’unica cosa
antiestetica sono i tramiti, ma in un paziente che si è
fatto questo tipo di frattura, i problemi sono ben altri.

76
Caso 7:
Anche se il paziente è corpulento, abbiamo deciso di
metter un fissatore, per cui vediamo come la
distanza del costrutto e cute è abbastanza minima. Il
paziente presenta anche un chiodo di omero. Per cui
probabilmente in passato ha fatto una frattura di
omero prossimale che è stata sintetizzata con
chiodo. Il problema in questo caso è che le viti della
placca non potrebbero essere inserite se all’interno
c’è un chiodo, non avendo la possibilità di avere una
tenuta a quel livello. Per cui in questo caso ci ha
aiutato il fissatore, passandolo a fianco al chiodo.
In Sardegna la fissazione esterna non è molto
diffusa, per cui bisogna informare il paziente,
inizialmente contrario a questo trattamento,
convincendolo del fatto che con questo tipo di
costrutto può riprendere a fare le sue attività
quotidiane.
Gestione post-operatoria: è fondamentale che i
medici abbiano un buon rapporto con i pazienti e che
efficacemente spieghino sia il danno sia il piano di
trattamento. In modo che il paziente non interpreta
delle cose che solo apparentemente possono
sembrargli negative e quindi si evita che si rivolga ad
altre figure per episodi di ‘’malpractice’’.
Esempi di zone del nostro corpo dove a seguito di una frattura
si è posizionato un fissatore esterno: vediamo fissatore di
omero, di femore, di gamba. Vediamo un paziente con
fissatore di gamba che inizia subito a fare il kinetec. Il
fissatore non è la soluzione a tutto, ma spiega
l’importanza della mobilizzazione precoce delle
articolazioni sottoposte a danno.
Altri esempi che dimostrano che non c’è una limitazione della
mobilizzazione dell’arto, non è necessaria la mobilizzazione
passiva per iniziare, ma il paziente può già lavorare
attivamente sulle sue articolazioni.
Vediamo paziente con fissatore di gomito bilaterale,
teoricamente avremmo dovuto mettergli due bendaggi in
adduzione che non gli avrebbero consentito di muoversi. In
questo caso invece muove i suoi gomiti senza dolore.

Vediamo i tramiti sulla cute, prezzo da pagare trascurabile per


poter permettere via di accesso a quella articolazione.
Vediamo come appare radiograficamente l’osso con i fori dopo
la rimozione delle nostre viti.

77
MALATTIE DELL’APPARATO LOCOMOTORE – Lezione 5
17/05/2022

EPIFISIOLISI

L’epifisiolisi dell’anca è caratterizzata dallo scivolamento reciproco del nucleo epifisario


prossimale del femore (testa femorale) e della metafisi prossimale del femore (collo femorale)
per diminuita resistenza meccanica.
È una patologia che colpisce soprattutto gli adolescenti, in particolare i maschi sovrappeso
sono più colpiti rispetto alle femmine.
L'entità dello scivolamento può essere valutata attraverso radiografie.

L'anca è una enartrosi, caratterizzata da superfici contrapposte a forma di sfera, piena e cava
rispettivamente. Quindi avremo l’acetabolo o cotile, una cavità vuota che accoglie la testa
femorale.
Questo tipo di articolazione permette questi movimenti con queste gradazioni: Flessione 120°
Estensione 15°
Abduzione 45°
Adduzione 10°
Extrarotazione 45°
Intrarotazione 45°

L’acetabolo grazie al suo ciglio acetabolare e alle componenti legamentose, fa sì che questo
tipo di articolazione sia particolarmente stabile.
In questi pazienti nonostante la componente legamentosa, tendinea e muscolare, avviene lo
scivolamento della testa e quindi la dislocazione dalla sua posizione originaria.

Componente muscolare:

Anteriormente l’articolazione è stabilizzata dal muscolo


iliaco che insieme allo psoas vanno ad inserirsi a livello
del piccolo trocantere.

Posteriormente è presente il piccolo gluteo, il muscolo


piriforme e i muscoli extrarotatori tra cui gemello superiore,
gemello inferiore, otturatore interno e il quadrato.
Da sottolineare la vicinanza della articolazione dell'anca a
queste strutture muscolari e il rapporto che queste strutture
muscolari hanno con strutture vascolari e nervose, come il
nervo femorale e sciatico.
Questo è molto importante perché negli interventi che si affacciano su questo distretto
anatomico, come per esempio interventi di posizionamento di protesi d’anca, dovremmo porre
particolare attenzione.

La diagnosi deve essere tempestiva per poter intervenire chirurgicamente bloccando lo


scivolamento ed evitando complicazioni precoci e tardive.

78
Epidemiologia
 Riguarda soprattutto il periodo adolescenziale (presenza di cartilagine di accrescimento)
 In media è colpito un'adolescente su 10.000
 Più frequente nei paesi sviluppati, rara nei paesi del terzo mondo
 Rapporto maschi-femmine 2:1
 I ragazzi vengono colpiti in un'età che va dai 10 ai 17 anni con una media di 14 anni
 le ragazze tra gli 8 e i 15 anni con una media di 12
 c'è una netta associazione con l'obesita giovanile (i bambini sovrappeso sono il 50%)
 la sindrome adiposo-genitale
 una genesi traumatica (presente solo nell’epifisiolisi acuta)
 oppure nessun trauma specifico (epifisiolisi cronica con dolore localizzato all'anca e alla coscia)
 è presente una bilateralità nel 20-50% dei casi (molti chirurghi quando si trovano di fronte a un
epifisiolisi marcata a volte stabilizzano preventivamente l'anca controlaterale anche se ancora
non è presente uno scivolamento visibile)
 Casi asintomatici (incidenza più alta) peggiori perché ritardano la diagnosi e quindi il trattamento
e la prognosi peggiora.

Fisiopatologia

Dal punto di vista anatomo-patologico è presente un danno della zona ipertrofica della
cartilagine di accrescimento con il distacco in questa sede.
Normalmente la zona delle cellule a riposo costituisce l’80% di questo strato, mentre
nell’epifisiolisi va a costituire soltanto il 15 30%.
La zona ipertrofiche è allargata ma con gruppi disorganizzati, quindi le cellule non hanno la
classica disposizione a colonna ma si dispongono in maniera disorganizzata definita a grappolo
d'uva.
I condrociti inoltre sono separati da una matrice che risulta immatura e che ha una bassa
percentuale di proteoglicani.
Tutto questo fa sì che ci sia una diminuita resistenza meccanica della cartilagine di
accrescimento e ciò favorisce lo scivolamento.
Questo causerà poi una sinovite reattiva della articolazione con infiltrazione linfocitaria e
conseguente flogosi.

Eziologia

L'eziologia è tutt'oggi sconosciuta però sappiamo che c'è una disorganizzazione tissutale con
alterata produzione di matrice e collagene che porterebbe a debolezza della zona di
ancoraggio, favorendo lo scivolamento.
C’è quindi una zona a minor resistenza dove condizioni di sovrappeso, traumatismi e
microtraumi favoriscono lo scivolamento.
Ci sono altri aspetti da considerare:
Disendocrinie (come l'ipotiroidismo, ipogonadismo, anormalità GH, tumore pituitario...) in quanto
si è visto come i pazienti che abbiano delle alterazioni ormonali di questo tipo manifestino
epifisiolisi nel 7% dei casi.
Squilibrio nel rapporto tra GH e testosterone.

79
Anormalità immunologiche (aumenti dei livelli plasmatici e sinoviali di IG, elevati livelli sinoviali
di frazione C3 del complemento) per cui è opportuno richiedere indagini di tipo immunologico.
Fattori meccanici come il sovrappeso e un'eccessiva retroversione del collo

Classificazione clinica

 Epifisiolisi acuta: si manifesta in meno di 3 settimane, solitamente segue ad un trauma, è molto


rara
 Epifisiolisi cronica: si manifesta in più di 3 settimane, nel 85-90% dei casi, più subdola perché a
differenza della acuta, non sempre c'è un segnale di allarme cioè un dolore tale da richiedere un
controllo ortopedico.
 Epifisiolisi acuta su cronica (esacerbazione) nel 10 15% dei casi. Il paziente ha le tipiche
alterazioni anatomopatologiche, ma non è ancora avvenuto lo scivolamento. L’epifisiolisi si
manifesterà in seguito ad un trauma.
È chiaro che nel caso sia acuta lo spostamento sarà brutale, immediato, e provocherà un forte
dolore; lo spostamento è invece progressivo nella patologia cronica.

Classificazione funzionale

Da un punto di vista funzionale si può classificare l’epifisiolisi come:


 Epifisiolisi stabile: non avvengono movimenti reciproci tra collo e testa al controllo radiografico, il
paziente riesce a deambulare, è presente un callo.
 Epifisiolisi instabile: avvengono movimenti della testa rispetto al collo, il paziente lamenta dolore
alla deambulazione, è possibile l'evidenza del callo come nel primo caso ma a volte a causa dei
movimenti non può raggiungere una maturazione efficiente.

Clinica

Dolore localizzato all'inguine, a volte irradiato alla coscia e al ginocchio.


L'arto in atteggiamento di extrarotazione e flessione: si esegue il test di Thompson che consiste
nel flettere l'arto controlaterale ai massimi gradi e il paziente avendo dolore e avendo una
retrazione delle strutture atteggerà in flessione anche l'arto affetto.
Dolore alle manovre di intra rotazione
L’extra rotazione in flessione passiva sarà proporzionale allo scivolamento.

Diagnosi radiologica
Per la diagnosi è necessaria una Rx in proiezione antero-posteriore e una latero-laterale: si
osserva l’aspetto dell’epifisi slargato e irregolare nei bordi e l’aumento della densità metafisaria.
La proiezione laterale è la più importante perché oltre a mostrare lo spostamento (che potrei
vedere in antero-posteriore) evidenzia uno spostamento posteriore della testa femorale. SE lo
scivolamento è di vecchia data, si potrà notare la presenza di callo con arrotondamento dei
bordi.

80
In queste immagini sono presenti le cartilagini di
accrescimento a contatto col grande trocantere e a
contatto col nucleo epifisario che è la testa femorale.

Sono necessarie delle radiografie assiali dell'anca, in


questo modo oltre ad avere un quadro anteroposteriore
vedrò come, in proiezione inguinale, la testa sia collocata
nella giusta posizione o meno.
In questo caso vediamo come la testa è scivolata e non
segue l'andamento del collo.

Nell’ immagine a dx si nota la posizione della testa


quando è correttamente posizionata e nei vari gradi
scivolamento.

Classificazione radiologica

Da un punto di vista radiologico le classificheremo come: leggere, moderate e gravi . Nella


leggera è presente un angolo collo testa < di 30 °(’angolo è quello di South Wick) Nella
moderata l’angolo è compreso tra i 30 e i 50 °
Nella grave l’angolo va oltre i 50 °.
Si utilizza l’angolo testa-diafisi (angolo di South
Wick) nelle radiografie del bacino eseguite in
antero- posteriore (AP) e nella proiezione
laterale a rana (Frog-Leg).

Da cosa è composto l’angolo? Tracciamo una


linea retta perpendicolare alla testa del femore
e un'altra retta che passa per la diafisi
femorale,
tra le due linee la differenza di angolo tra l'anca patologica e l’anca sana mi darà l'angolo di
South Wick.

Inoltre, tramite questi gradi, si può valutare la


presenza di uno scivolamento assoluto o di
uno scivolamento percentuale valutando
appunto l'angolo testa collo.

Se la radiografia non è sufficiente si effettua


una TC o una RMN. In questo caso posso
notare con RMN lo spazio presente tra il collo
femorale e la testa, è presente anche edema
sia a livello prossimale che della testa.

81
Trattamento

 Gesso: ora è poco usato; da problemi nei bambini obesi; maggiore incidenza di necrosi e
condrolisi
 Fissazione con una vita singola
 Fissazione con pins multipli
 Epifisiodesi con trapianto osseo
 Osteotomie di riallineamento

Mentre la fissazione con vite singola e con pin multipli è poco invasiva, la fissazione con
Epifisiodesi e in particolare con osteotomia di riallineamento è un intervento molto invasivo.

In questa immagine sono state stabilizzate le teste con


dei pin, impedendo così un ulteriore scivolamento. A
volte (come in questo caso), la testa è ben posizionata,
quindi si inseriscono i pin preventivamente.
In molti centri, prima si cerca di ridurre la testa
portandola in posizione e poi la si stabilizza, perché
comunque un ragazzo che guarisce con la testa in una
posizione non corretta, andrà sicuramente incontro a un
intervento di anca precoce.

(N.B. Non bisogna confondersi con le tre viti della


frattura mediale del femore che ne richiede sempre 3)

Rischi
 Condrolisi
 Rigidità
 Necrosi epifisaria, soprattutto nelle forme acute, perché si ha un traumatismo dei vasi
 Diminuzione della distanza tra il trocantere e la rima articolare: le forze sono alterate e il range
di movimento sarà estremamente limitato con insufficienza degli abduttori
 Diminuzione della lunghezza dell'arto interessato: ci sarà un collo con testa che avranno una
posizione in varo e di conseguenza l'arco sarà accorciato
Un altro tipo di alterazione documentata avveniva soprattutto in passato. Ci sono stati diversi
casi di viti che sporgevano oltre la testa femorale danneggiando il cotile.

Fondamentale perché gli esiti siano minimi è una diagnosi precoce in modo da far sì che lo
scivolamento sia minimo, le deformità siano lievi e quindi gli esiti minori.

82
IL POLITRAUMA

Il politrauma è un insieme di patologie, non solo di tipo ortopedico e traumatologico, ma che


vanno a coinvolgere tutti i sistemi, dal sistema vascolare, nervoso, agli organi interni.
È una patologia devastante, con un'altissima percentuale di morte, colpisce specialmente i
pazienti giovani perché svolgono attività a maggior rischio rispetto all'anziano.
In passato si parlava di early total care, cioè della precoce stabilizzazione di tutte le fratture. Poi
si è visto che un trattamento precoce in un paziente politraumatizzato può portare ad un
innalzamento dei lattati e peggiorare il quadro clinico generale, sistemico.
Per questo motivo, oggi si opta per una stabilizzazione della frattura, vengono svolte procedure
che hanno la precedenza, dopodiché l'ortopedico-traumatologo agisce in seconda battuta.

Queste sono alcune immagini di pz con politrauma in cui


si notano dispositivi di fissazione esterni.

Il politrauma è il trauma di più organi appartenenti a più


apparati, quindi dobbiamo avere un approccio
multidisciplinare.

Si distingue:
-L’emergenza che è un intervento atto a salvare la vita del paziente, bisogna agire
immediatamente o nel più breve tempo possibile (6h)
-L’urgenza invece serve per salvare la funzione del paziente e non è differibile se non in tempi
brevi (6-12h). Definita differibile se eseguita entro 12-24h.

L'emergenza comprende qualunque tipo di lesione con complicanze di tipo vascolare. Quindi
nel caso di una lesione vascolare, l'ortopedico stabilizzerà la frattura con un fissatore esterno
temporale che si applica in breve tempo, dopodiché interverranno il chirurgo vascolare e gli
specialisti che si occupano della lesione interessata.

Le urgenze non differibili comprendono:


-le fratture vertebrali mieliche: fratture vertebrali nelle quali ho un interessamento del muro
posteriore della vertebra che quindi tenderà protrude nel canale midollare. Questo può dare
una sofferenza midollare con quindi deficit periferici agli arti inferiori, se per esempio è una
frattura mielica lombare. In questi casi il paziente va portato immediatamente in sala dove verrà
effettuata una decompressione (si amplia il canale vertebrale, si eliminano le lamine in modo
che il midollo spinale possa riavere il suo spazio).
-le fratture di bacino instabili
-le fratture esposte
-lussazioni di grandi articolazioni
-distacchi epifisari

83
Le fratture di bacino instabili sono chiaramente delle urgenze non differibili perché i vasi
possono comunque sanguinare senza delle forze muscolari che possano effettivamente creare
delle resistenze. Quindi le fratture di bacino sanguinano moltoe possono dare un’anemizzazione
veloce nel paziente politraumatizzato. Allo stesso modo le fratture esposte sono sempre
urgenze non differibili perché avendo una frattura di femore esposta significa che una porzione
del femore del nostro paziente esce fuori dalla sua coscia, oppure che ha un taglio tale da
creare un’esposizione del suo femore. Le infezioni sono tempo dipendenti. Per questo motivo in
questi pazientiè fondamentale che la terapia antibiotica sia impostata da subito, secondo alcuni
giàin ambulanza.

Quindi nel caso di fratture chiuse instabili oppure di lesioni di questo tipo dove si possono avere
lesioni nervose vascolari o praticamente un’ amputazione, è chiaro come il danno sia tempo
dipendente. Dobbiamo cercare di restituire alle strutture un continum e in questo modo possiamo
cercare di salvare l’arto del paziente.
Le fratture del bacino, come le fratture articolari, le classifichiamo come urgenze differibili. Ma
attenzione: sono fratture chiuse stabili perché, come abbiamo detto, le fratture nelle quali c’è
un’instabilità del bacino il nostro intervento deve essere immediato. Non tanto dal punto di vista
di sintesi permanente del bacino ma di stabilizzazione della frattura. Quindi quando il paziente
arriva a un politrauma ci sonodelle fasi che noi dobbiamo seguire:
La prima fase sarà l’arrivo al DEA.
Che cosa fare? dobbiamo intervenire sul dolore del paziente che sarà molto sofferente. Nel
caso in cui si debba intervenire precocemente facciamo:
- una sedazione con intubazione
-un controllo frequente e stabile della volemia, con un catetere venoso centrale per esempio.
(Perché dobbiamo considerare tutto da un punto di vista sistemico.)
-effettuiamo un’ immobilizzazione provvisoria
-radiografie delle zone che reputiamo a rischio e
-risonanze magnetiche e delle tac di controllo. E’ importante anche fare un’ ecografiadell’
addome per vedere che non ci siano dei sanguinamenti in atto.

84
Per quanto riguarda la stabilizzazione precoce non si tratta solo di utilizzare il fissatore esterno,
nel senso che una frattura di bacino instabile una volta arrivata in ospedale io la posso
stabilizzare con il mio fissatore esterno e permettere ai miei colleghi di agire e di salvare la vita
al paziente. Ma immaginate un paziente che ha un incidente in moto, voi vedete che avrà delle
lesioni e che la normale morfologia del bacino sarà alterata. Esiste il tipod, che è praticamente
una struttura elastica che viene messa intorno al bacino in modo da evitare il sanguinamento
perché, come abbiamo detto, se il bacino si è fratturato e la sinfisi si è aperta, o comunque
l’ampiezza del bacino è cambiata, è chiaro che un sanguinamento a quel livello non avrà
alcuna resistenza quindi è fondamentale stabilizzare la nostra frattura richiudendo il bacino. Se
vi trovate in una situazione di emergenza non avete, chiaramente, un tipod però una cosa che
si può avere è un lenzuolo, che posiziono a livello dei trocanteri, tenendoli e noi lo applichiamo
praticamente dai trocanteri in su , sul bacino, senza esercitare particolare forza. E’ chiaro che
se è fratturato e stringiamo troppo rischiamo di fare ancora più danno, però possiamo, con una
tensione non troppo forte, stringere il nostro lenzuolo e stabilizzare il paziente fino al tragitto
all’ospedale. Questa manovra è fondamentale che ogni medico la sappia fare .
Quindi seconda fase:
-bisogna trattare entro 6 ore, nei casi di urgenza, tutti i trattamenti differibili;
- entro 12 ore tutti i trattamenti chirurgici differibili.
Nella terza fase: 24 48 ore- stabilizzazione delle funzioni vitali e poi
valutazioni diagnostiche per arrivare poi alla quinta giornata alla osteosintesi dellenostre
fratture.
Per quanto riguarda la traumatologia osteoarticolare noi ci dobbiamo occuparedelle:
-lussazioni delle fratture chiuse;
-delle fratture esposte e
-delle amputazioni
Questa ad esempio è una lussazione di
spalla, la superficie glenoidea della
scapola e la testa omerale che non è
sul suo asse.
Posso vedere delle lussazioni di anca,
delle lussazioni di gomito , di
ginocchio, di vertebre nel caso siano
cervicali o anche delle lussazioni di
polso. Sono molto frequenti anche a
livello delle interfalangee.
Esistono e capita di vederle
abbastanza spesso anche lussazioni
metatarso falangee.
Il trattamento di una lussazione deve
avvenire sempre in urgenza.

85
Questa è l’immagine di un paziente che ha una spalla lussata.
Ci sono varie tecniche , alcune richiedono più forza altre
meno forza. Una tecnica è quella di tirare la spalla del
paziente e cercare comunque di far scavalcare la
superficie glenoidea, che si è posta in posizione anomala,
in modo da far rientrare la nostra articolazione , ma esiste
anche
un’altra tecnica che richiede molta meno forza dove
portiamo l’arto del paziente in abduzione. Il paziente è
sveglio e non ha alcun tipo di narcosi. In questi casi
quindi adducendo l’arto del paziente lo portiamo ad un
livello tale da effettuare poi una extra rotazione e in
questi casi se la muscolatura del paziente è abbastanza
rilassata la testa omerale rientra in sede . Questo tipo di
manovre va fatto dopo che Il paziente ha effettuato una
radiografia. Se giocando a calcio il vostro amico cade e si
lussa la spalla il consiglio è di non tirare quella spalla perché se per sbaglio ha una frattura
/lussazione di testa omerale potete danneggiare dei nervi quindi è fondamentale sempre prima
fare una radiografia.
Nelle lussazioni c’è un’urgenza immediata perché ci può essere undanno vascolare neurologico
o un danno funzionale residuo.

Se vediamo questa radiografia notiamo come lanostra testa femorale con il nostro femore siano
fuori dal loro alloggio acetabolare. In più nell’immagine si nota anche una dilatazione della
sinfisi pubica. Accade spessonelle partorienti.

In questo caso invece abbiamo una spondilolisi che ha causato uno scivolamento delle vertebre.

Ora è chiaro come questo sia il canale midollare dove passa il midollo spinale quindi è
importante sapere che uno spostamento di una vertebra in questo modo può creare una
decapitazione del nostro midollo ed essendo queste delle vertebre cervicali potrebbe dare un
quadro di tetraplegia.
86
Questa è una frattura di bacino dove
vediamo una frattura bilaterale dell’osso iliaco.

Queste sono invece delle fratture dei solchi vertebrali. Quindi in questo caso vediamo come il
corpo vertebrale sia fratturato.
È intaccato il muro posteriore cioè questo frammento se si spostasse posteriormente potrebbe
andare a creare una compressione a livello del midollo spinale e andremo incontro a una
frattura di tipo mielico, perché le fratture vertebrali le distinguiamo in Mieliche è amieliche. Le
più gravi sono le mie mieliche.
Come in questo caso abbiamo una porzione che protrude nel canale vertebrale, frequente negli
incidenti automobilistici o nei traumi sportivi.

Quindi noi che cosa facciamo?


Abbiamo, immaginate, un canale che
riduce il proprio diametro, perché una
porzione della vertebra lo invade.

Non possiamo andare a lavorare


direttamente nella porzione di vertebra
perché è la porzione posteriore del
corpo ma la porzione posteriore del
corpo è la porzione anteriore del
canale.
Rimuoviamo le lamine posteriori,
ampliamo il canale e possiamo
stabilizzare con delle barre
decomprimendo quella porzione.

87
Tra le fratture di bacino distinguiamo le fratture del cotile
perché queste danno più che altro un impegno funzionale, al contrario delle altre che possono
creare delle lesioni comunque con enormi sanguinamenti. Quelle del cotile più che altro sono
difficili da ridurre e devono avere una sintesi di un certo tipo ma comunque non le classifichiamo
come instabili.
Poi abbiamo le fratture dell’anello pelvico. Sono naturalmente più gravi: questo paziente aveva
una frattura ischio pubica – ileopubica. Vediamo come sia fratturato anche l’ileo e quindi è
chiaro che questo tipo di fratture creino un’instabilità a livello del bacino e questo fa sì che la
mortalità sia molto elevata.

88
Vediamo un altro caso in cui abbiamo sempre una diastasi della sinfisi pubica anche maggiore
ed è chiaro che tutta la muscolatura in questo caso viene danneggiata. I legamenti vengono
danneggiati e anche i vasi che passano in quella zona.
Quando noi effettuiamo delle manovre dobbiamo stare attenti a non creare più danni di quelli che
ci sono già. Le fratture dell’ anello pelvico hanno una mortalità del 28%, i 2/3 arrivano in pronto
soccorso con un’emorragia non dominabile e 1/3 presso la terapia intensiva per interessamento
multiorgano.
Le fratture dell’anello pelvico hanno in più delle lesioni associate, cioè
-nell’85% c’è una frattura delle ossa lunghe;
-nel 62% abbiamo delle lesioni toraciche, coste e vertebre dorsali,
-46% craniche;
-29% addominali,
-12% urinarie,
-6% vascolari.
Dividiamo le fratture dell’anello pelvico in: stabili e instabili.
Esiste una classificazione che le divide in tipo A stabile; tipo B instabilità rotatoria e
tipo C instabilità rotatoria e verticale.
Nelle fratture stabili è bene attuare un trattamento conservativo.
Ancora oggi è molto utilizzato e il paziente deve rimanere a riposo per unatrentina di giorni e
può guarire bene.
Invece le instabili vanno stabilizzate inizialmente con un fissatore esterno e dopodiché con
delle placche. Si fa un accesso addominale con
l’ esposizione delle fratture e poi stabilizzazione . La stabilizzazione chirurgica però non è la
sola cosa che dobbiamo fare: dobbiamo controllare lo stato dello shock , dobbiamo proteggere i
tessuti molli e immobilizzare il nostro paziente in modo sicuro per poi consentirgli un precoce
carico.

89
Qui la nostra testa femorale ha sfondato la lamina quadrilatera. Questo tipo di frattura è la
classica frattura da cruscotto durante un incidente in macchina. Non ha in realtà nessun trauma
ma sbatte il ginocchio contro il cruscotto e quindi il femore sfonda l’acetabolo. In questo caso si
è optato per una sintesi.

Che cosa fare nelle fratture chiuse?


-riduzione con l’allineamento;
-distrazione del sito di frattura e
-immobilizzazione provvisoria che, sarebbe meglio fare con una fissazione esterna
temporanea. A volte avviene anche con una trazione . Nelle fratture chiuse poi di tipo
pluriframmentario devo sempre controllare che non ci siano delle lesioni vascolari quindi devo
controllare i polsi periferici e l’emorragia; stabilizzo poi la frattura e rivascolarizzo.
Fratture esposte: il paziente ha la sua frattura esposta, arriva in ambulanza e già là dovrebbe
fare l’antibiotico, per prevenire assolutamente l’infezione.
Fare un’abbondante lavaggio a carico della zona esposta e poi stabilizzare la
frattura .
Abbiamo già parlato del grado di esposizione quindi la percentuale diesposizione nelle
-Grado 1 è dello 0-2%;
-Grado 2 va dal 2 al 7% ,
-Grado 3A : 7%
-3 B: 10 -50 %
-3 C: 25-50 % .

Se ricordate bene la differenza tra queste due è principalmente il fatto che nelle 3Cabbiamo
anche un coinvolgimento vascolare e nervoso.
Quindi grado 1: terapia antibiotica immediata ; detersione della ferita; trazione trans- scheletrica o
fissatore esterno e osteosintesi differita.
Nel grado 2: terapia antibiotica immediata; detersione della ferita (abbondante lavaggio);
recentazione dei margini e stabilizzazione della ferita con un fissatore esterno. I vantaggi del
fissatore esterno sono molteplici: sicuramente la versatilità d’impiego, la facilità di applicazione
e la permanenza in situ fino a consolidazione avvenuta.

Questo è un tipo di costrutto conpontaggio


del ginocchio: abbiamo le viti prossimali sul
femore e le distali sulla superficie mediale
della tibia.
Poi abbiamo i gradi 3 b e 3 c dove abbiamo
un coinvolgimento non solo dell’osso ma
anche delle strutture vascolari nel caso sia
una 3c. Nel caso di amputazioni traumatiche
dobbiamo valutare il reimpianto. Nel senso
che, se la lesione è netta,
avrò una percentuale di attecchimento del mio
reimpianto molto maggiore. Invece nel caso di
uno sbandamento, frequente per esempio in
un lavoratore che sta utilizzando un trapano e
il guanto rimane incastrato nel trapano, è
molto difficile perché non avrò una lesione
netta dei vasi ma avrò uno strato e di
conseguenza diventa molto difficile la
ricostruzione, se non impossibile. Quindi in
più nel caso di amputazioni di arto c’è il rischio di rivascolarizzazione perché è chiaro che si
creano molti radicali dell’ossigeno, lattati e sostanze che nascono per la mancanza di
ossigenazione in quella zona. Tutti quei fattori dannosi vengono immessi in circolo e possono
90
anche causare dei danni renali perché poi dai reni verranno filtrati. Quindi nel caso di
amputazione bisogna centralizzare il paziente in un centro dedicato, fare una stabilizzazione
ossea poi mioraffie, tenoraffie, neuroraffie e anastomosi vascolari.

Questo invece è un caso di stabilizzazione di una colonna dove anche in questo caso aveva un
interessamento del muro posteriore, lo abbiamo stabilizzato con delle barree delle viti.
Nel paziente nel quale noi mettiamo il fissatore esterno è fondamentale la cura delle viti del
fissatore che, come abbiamo detto, vanno dall’esterno verso l’interno . Si effettua la
disinfezione, si tolgono le aree di sofferenza e non si avranno particolari problemi. Non va
medicato tutti i giorni ma anche ogni 5.
Quando abbiamo un paziente politraumatizzato è chiaro che spesso i risultati non
corrispondono allo stato di salute che il paziente aveva prima del trauma. Ciò che è
importante è valorizzare i risultati ottenuti perché comunque stiamo parlando di un paziente che
non ha fatto una protesi d’anca perché voleva mantenere il 100% del proprio livello ma stiamo
parlando di un paziente che stava bene e ha avuto un trauma che ha messo a rischio la sua
vita e noi con i nostri colleghi oltre a salvare la vita del paziente abbiamo salvato le funzioni
degli arti.

Questa per esempio era la frattura di femore


come quella che abbiamo visto prima ed era
stato posizionato un fissatore esterno per
stabilizzare. Questo è un fissatore esterno
permanente quindi il paziente lo terrà a circa 30-
40 giorni, fino a guarigione. Dopo i 30 giorni di
solito lo dinamizziamo così vediamo la
formazione del callo. Dinamizzare significa
permetterequalche movimento in più e dopodiché
si toglie definitivamente a 40-50 giorni.
Queste sono delle fratture esposte in politrauma
quindi paziente politraumatizzato, frattura di
branca e ileopubica- ischio pubica con frattura di
tibia e perone.
Lo scopo di noi ortopedici e traumatologi è
stabilizzare il paziente perché venga curato nei
migliori dei modi . Perciò posizioniamo un
fissatore esterno di tibia e un fissatore

Questo è a 170 giorni e il paziente ha recuperato bene sia la flessione della gamba che la
flessione della coscia. Questi pazienti però hanno bisogno di sangue per questi interventi
quindi una strategia è quella di recuperare il sangue del paziente. Per la gestione del trauma è
fondamentale il gioco di squadra. Abbiamo un’altra frattura bilaterale di osso iliaco.
Poi è fondamentale l’adeguato piano riabilitativo perché anche in questi pazienti è
fondamentale la ripresa precoce della mobilizzazione. Questo paziente, anche se con un
trofismo muscolare non brillante, siamo riusciti a rimetterlo in piedi e ha ripreso a camminare.

91
92
MALATTIE DELL’APPARATO LOCOMOTORE – Lezione 6
19/05/2022
Gazzola-Pedretti

CASI CLINICI POLITRAUMA


1) Pz giunto in ps in seguito ad incidente stradale,
con una frattura diafisaria di femore e una lesione
a livello cranico in sede frontale.
In casi come questo, ovvero di un pz
politraumatizzato sottoposto ad un trauma
maggiore, non bisogna pensare solo all’apparato
locomotore, ma ad un possibile danno di tutti i
sistemi.
In questo caso, in ps viene fatta una tc cranio (è
sempre necessario farla in caso di trauma cranico
o comunque di trauma maggiore). La tc indica un
piccolo focolaio contusivo-emorragico
cortico/sottocorticale di circa 5 mm in sede frontale
sx (non è un sanguinamento importante dal punto
di vista quantitativo, ma, essendo la scatola
cranica un contenitore chiuso, anche piccoli
aumenti di volume, aumentano di molto la
pressione, potendo causare dei danni irreversibili).

Prima di tutto ci si concentra su questo focolaio, seguendo la lista dei problemi, che
bisogna sempre stilare quando un pz politraumatizzato arriva alla nostra attenzione.
L’obiettivo è utilizzare tutte le armi a disposizione per contrastare il problema.
In questo caso:
 Frattura diafisaria di femore
 Trauma cranico commotivo
 Focolaio emorragico frontale anteriore
 Ecofast negativo
 No lesioni cutanee (ovvero non ci sono fratture esposte)
Bisogna posizionare un fissatore esterno temporaneo: l’intervento è durato 20 minuti,
durante i quali sono stati effettuati il posizionamento di quattro viti da fissazione esterna,
due a monte e due a valle, e la loro stabilizzazione con delle barre in carbonio. Dopo di
che il pz ha potuto eseguire tutti gli esami del caso. Il posizionamento di questo fissatore
non è concepito per portare a guarigione il pz, ma ha il solo scopo di stabilizzarlo e darci il
tempo di eseguire tutti gli esami, per poi fare una sintesi di tipo definitivo.
A 24 h: si ripete la tc cranio: in questo caso il focolaio risulta stabile, possono dunque agire
gli ortopedici.
In sesta giornata: si posiziona un chiodo endomidollare: il pz può dunque avere il carico
concesso, deambulare e iniziare la riabilitazione. Non ha controindicazioni alla
deambulazione se non per cause che vadano oltre la frattura del femore.
A 45 giorni: il chiodo è ancora in sede, la frattura sta guarendo e, da un punto di vista
clinico, il pz sta in piedi, intra ed extra-ruota femori ed anche. In questo caso il pz utilizzava
ancora il bastone, non perché gli servisse, ma per una sensazione di sicurezza e stabilità.
Gli ortopedici lo sconsigliano, soprattutto in là nel tempo, perché abituarsi ad esso può
93
determinare una modificazione del sagittal balance (volgarmente: rischio di camminare
storti).

A 120 giorni: la rx mostra il femore guarito, il pz va molto bene

2) Pz 62aa, trauma del torace e dell’addome


Tc: frattura scomposta del femore prossimale (fino alla regione intertrocanterica, ma si
estende anche in sede diafisaria) e frattura del bacino
Quadro generale: non ottimale
Procedendo in ordine, bisogna stabilizzare prima il bacino per il rischio di sanguinamento.
In questo caso si posizionano delle viti da fissazione esterna a livello delle spine iliache e,
con un pontaggio, si stabilizza. Il pontaggio è stato effettuato con barre in carbonio. In
questo caso è stato fatto un pontaggio anche sul femore, per stabilizzarlo. La frattura è
dunque stata stabilizzata in soli 18 minuti (ricordiamoci però che, per quanto appaia “bella”,
non può guarire con questo costrutto).
Questo trattamento è necessario, non richiede tempi lunghi e permette al pz di eseguire in
sicurezza tutti gli altri esami che necessariamente dovrà fare.
Dopo 6 giorni: vista la stabilizzazione del quadro generale, gli ortopedici hanno effettuato
un incavamento endomidollare, con un chiodo lungo. Visto che la frattura era molto
scomposta (intertrocanterica, ma estesa alla diafisi) il chirurgo ha posizionato due
cerchiaggi in titanio, posti intorno al femore in modo tale da ridurre le porzioni
particolarmente scomposte. Posizionando un cerchiaggio, bisogna stare molto attenti
perché a ridosso del femore passa l’arteria femorale che noi non vediamo, dal momento
che l’accesso è laterale. Esiste uno strumento che permette di passare dall’altra parte del
femore, ma l’operatore si accorge di essere a contatto con l’osso solo manualmente.
Allontanandosi troppo dalla struttura ossea si rischia di “prendere” qualche vaso e di
mandare in ischemia l’arto.
A 45 giorni: alla rx si vede il callo, il pz è andato molto bene ed è ritornato alla sua vita
quotidiana.

3) Donna investita con lesione splenica, lesione epatica, sanguinamento arterioso


retroperitoneale,
frattura dell’orbita, emorragia subaracnoidea
Nonostante sia polifratturata, ci sono altre priorità su cui agire.
Fratture: bacino, sacro e tibia. Diastasi pubica.
Lista dei problemi:
 Lesioni emorragiche addominali
 Lesioni emorragiche retropoeritoneali
 Pz instabile
 Frattura di bacino instabile
 Frattura di gamba con esposizione
Nell’ordine sono state effettuate: splenectomia, rafia del secondo e del terzo segmento
epatico,
sutura della vagina da ore 9 a ore 15 (quindi la frattura del bacino è da considerarsi esposta),
legatura dell’ipogastrica.
Bisogna ricordarsi delle priorità del politraumatizzato:
 Salvare la vita
 Salvare l’arto
 Salvare la funzione

94
In passato si parlava di early total care, ovvero di trattare il politraumatizzato nel minor
tempo possibile, anche dal punto di vista ortopedico. Poi si è visto che ragionare in termini
di priorità aumenta la sopravvivenza dei pz politraumatizzati, perché questo approccio
permette di stabilizzarli in poco tempo e in maniera mininvasiva. Se invece si agisce in
modo tale da stabilizzare del tutto precocemente (early total care), si procurano delle
lesioni cutanee, muscolari e vascolari, cui conseguono ipossia dei tessuti, aumento dei
lattati e quindi un peggioramento del quadro sistemico del pz.
In questo caso l’ortopedico si occupa della sutura della vagina da ore 9 a ore 15, della
frattura esposta di bacino, della stabilizzazione di quest’ultimo e della gamba.
Posizionamento del fissatore esterno della gamba: 20 min (la curva di apprendimento per
il posizionamento del fissatore temporaneo è breve; bisogna studiare dove metterlo e le
strutture che passano lì vicino per evitare di creare danni)
Elementi pontaggio del bacino: viti da fissazione esterna, morsetti (che si stringono anche a
mano), barre in carbonio maneggevoli.
La pz riesegue le tc con il fissatore posizionato: le fratture del sacro si sono ridotte, è stata
chiusa la sinfisi pubica, è stata stabilizzata la tibia con il fissatore a ponte.
Immagine. La frattura della tibia è ridotta molto bene: i monconi sono a contatto, la frattura
è allineata, c’è la rotazione. È comunque importante ricordare che SOLO posizionando un
fissatore permanente, una placca o un chiodo, abbiamo un minimo di movimento tale da
favorire la
formazione del callo. Il fissatore temporaneo permette movimenti più ampi, quindi non
permetterà mai la guarigione di una frattura, a meno che il pz non venga tenuto allettato, ma
ci sono dei rischi anche in quest’ultimo caso. Dunque, mai trattare un temporaneo come
permanente.
La pz lamentava un forte dolore anche al ginocchio, al quale è stata fatta una tc (dopo aver
stabilizzato bacino e tibia). Alla tc si è infatti evidenziata anche una frattura
pluriframmentata del piatto tibiale, che è poi stata stabilizzata anch’essa con il fissatore
esterno. Con uno strumento apposito (specifico per le fratture articolari con affossamento)
si è passati dalla diafisi per sollevare la porzione di avvallamento del piatto tibiale,
dopodiché si posizionano le viti. In questo caso il fissatore temporaneo è stato sostituito
con un fissatore permanente che permette la guarigione della frattura.
Con i fissatori posizionati, la pz ha iniziato la riabilitazione attiva e passiva a letto.
24 giorni: la pz è stata messa in piedi, cosa che non sarebbe mai potuta accadere senza la
fissazione del bacino.
65 giorni: deambulazione con doppio bastone, con fissatore esterno ancora montato. La sua
rimozione è stata effettuata ambulatorialmente, anche perché la rimozione delle viti del
fissatore temporaneo non è complessa. Se però il pz è particolarmente sensibile si può
effettuare una lieve sedazione.
3 mesi: le fratture hanno fatto il callo, la sinfisi è rimasta chiusa e la gamba sta guarendo
bene.

150 giorni: deambulazione senza ausili, la frattura di bacino è rimasta composta, in


anteroposteriore e laterale tibia e perone sono guariti molto bene. La riparazione non è
anatomica, ma le cose importanti nelle diafisarie sono lunghezza, rotazione e asse.
La stabilizzazione di bacino e ossa lunghe serve per facilitare la cura del pz, il recupero della
95
funzione non è l’obiettivo primario. Bisogna ricordarsi di essere in team: medico del ps,
radiologo e tecnici di radiologia, chirurgo generale, ortopedico e gli anestesisti. All’inizio si
valutano: rachide cervicale, vie aeree e ventilazione, circolazione (emorragie: causa del
40% dei decessi per trauma, la più importante causa di morte prevenibile). Se il pz muore
per emorragia, la causa viene definita di “approccio multidisciplinare”, perché qualcuno ha
pensato più alla propria specializzazione, lasciando in secondo piano il lavoro in team. La
riduzione della mortalità per causa grave, evidenziata nel periodo più recente, è dovuta
soprattutto a radicali modifiche della gestione
dell’emorragia acuta e all’aggressiva prevenzione delle sue complicanze: emostasi rapida,
prevenzione della coagulopatia e compressione dei foci comprimibili. Il politrauma ha
quindi un’elevata mortalità per shock emorragico che possiamo ridurre trattando
l’emorragia precocemente.
L’ecofast ci permette di valutare eventuali sanguinamenti addominali, i polmoni. È
fondamentale anche l’imaging.
Cosa influenza il nostro shock? Per esempio: interruzione dell’anello pelvico per frattura del
bacino-
-> ipovolemia ed eventuale emorragia-->ipossia, acidosi, danni estesi a cute ed organi,
ischemie intestinali, fratture di ossa lunghe e della colonna.
FATTORI CHE INFLUENZANO LA SOPRAVVIVENZA DEL PZ POLITRAUMATIZZATO

 Trasporto extraospedaliero: ambulanza, elicottero devono ridurre al minimo il tempo di


raggiungimento dell’ospedale
 Trauma team
 Damage control: termine coniato dalla marina militare americana per descrivere
come reagire alle incursioni nemiche, ovvero prima salvare la vita e poi occuparsi
della funzione degli arti danneggiati
Fondamentali sono anche il timing dell’osteosintesi e la terapia primaria generale.
In caso di instabilità pelvica: stabilizzare il bacino. Ci sono casi in cui l’anello pelvico non è più
rispettato (alterazione della doppia C): una delle cause più frequenti dello shock emorragico nel
trauma grave. Esiste una classificazione che aiuta a capire l’entità della frattura del bacino è quanto
bisogna preoccuparsi in base ai danni riportati dal bacino, in base ai quali aumenta o diminuisce la
sua instabilità.

96
Es: pz con frattura dell’acetabolo, dell’osso iliaco, ileopubica e ischiopubica bilaterali e dell’ala
iliaca. È un pz con pelvi instabile, ad alto rischio di sanguinamento. Fondamentale Hb, volemia,
valori pressori al fine di salvaguardarne la vita.
Lenzuolo tpod: permette di stabilizzare il bacino. Il lenzuolo va fatto passare sopra i trocanteri,
non va teso eccessivamente e chiuso anteriormente al pz. La rx dimostra come la diastasi della
sinfisi pubica possa molto migliorare con il solo impiego del lenzuolo, successivamente sostituito
con un fissatore esterno o con il pelvic clamp (poco utilizzato) che non si serve di barre
autonome.

In sala operatoria è inoltre fondamentale riscaldare il pz per l’elevato rischio di ipotermia, dal
momento che le lesioni esposte determinano un’enorme perdita di calore.
Es. frattura sotto lesione esposta (la trattiamo con la classificazione di Gustilo)

 Stabilizziamo la frattura
 Terapia antibiotica precoce
 Lavaggio abbondante delle ferite
 Fissatore esterno (NO placca perché rischio sovra infezione con osteomielite): stabilizza la
frattura e
permette un’eventuale riparazione vascolare
Se i vasi sono massivamente danneggiati (es. sguantamento) si può dover ricorrere
all’amputazione
dell’arto del pz, perché se l’arto va in necrosi, si ha liberazione di ROS ed elementi necrotici,
che possono andare incontro a embolizzazione e causare la morte del pz. Spesso, anche
quando la lesione è al terzo distale di gamba, l’amputazione si fa al terzo prossimale perché è
necessario dare una copertura al
moncone che non sia solo cutanea perchè non potrei posizionare la protesi, la quale andrebbe a
contatto
con l’osso creando ulcere e quindi forte dolore.
Nel caso di amputazione da 12,5 cm a 17,5 cm sotto la superficie articolare, possiamo ribaltare il
polpaccio, creando una sorta di cuscino che permetta al pz di deambulare precocemente perché
dà un appoggio morbido sulla protesi che posizioniamo.
Ci sono però anche lesioni che si possono recuperare, nonostante siano subentranti, ovvero
caratterizzate dal dover gestire neutrofili attivati, mediatori chimici, emboli grassosi, contenuto
midollare che può andare in circolo. In questi casi l’anestesista ha un ruolo centrale.
L’ortopedico stabilizza le ossa lunghe per facilitare la cura del paziente e cercare di ottenere poi

97
il recupero della funzione.

Esempi:
 pz intubato con un fissatore d’omero
 pz con fissatore a ponte su ginocchio e tibia
 pz con fissatore Ilizarov (permanente)

Il timing è fondamentale: l’iter diagnostico e il trattamento delle lesioni più gravi devono avvenire
entro le 24 h. Se ciò non avviene c’è un problema organizzativo: il timing ci dà informazioni sul
come si lavora
all’interno di una certa struttura.
La stabilizzazione definitiva precoce della frattura è benefica (entro 24h), ma questo rientra
nell’early total care, perché aumenta i tempi di anestesia, la circolazione dei lattati, il rischio di
ipotermia, di infezione, di acidosi, di coagulopatia, dunque di sanguinamento maggiore -->
aumento della risposta infiammatoria e quindi aumentato danno sistemico del pz. Si parla di
Triade killer:

 acidosi
 ipotermia
 coagulopatia
Si è deciso infatti, nei pz con frattura a diversi segmenti, per la stabilizzazione temporanea e,
solo in un secondo momento, la stabilizzazione permanente dal punto di vista ortopedico. La
priorità è valutare la stabilità del paziente politraumatizzato: valutazione temperatura interna,
indici della coagulazione, lattati e ossigenazione (emogas). È il principio del damage control:
non mi preoccupo di aggiustare le lesioni ossee, ma mi limito a stabilizzarle, per ridurre i tempi
operatori. Dopodiché il fissatore esterno temporaneo viene convertito in una sintesi definitiva
(chiodo, placca o fissatore esterno definitivo).
Es. px con frattura della branca ileopubica e ischiopubica, frattura dell’ala sacrale
All’arrivo in ps è stato fatto un ecofast (avendo un trauma maggiore, non si fa solo la rx del bacino,
ma
anche eco addominale)
Il chirurgo generale è intervenuto sull’ematoma sottoglissoniano del secondo e terzo segmento,
con abbondante quantità di sangue in tutti i recessi all’apertura del peritoneo, presenza di
lacerazioni epaticche al sesto e settimo segmento, no sanguinamento splenico, ematomi multipli
omentali
Procedura: legamento gastrocolico. Si era rotta l’arteria epatica: questa era la priorità rispetto
alle fratture. Se infatti non si fosse indagato il distretto addominale, limitandosi a trattare le
fratture, il pz sarebbe morto.
Sono stati posizionati due drenaggi, dopo posizionamento di un fissatore temporaneo al bacino,
successivamente (dopo 5 giorni) sostituito con una placca della sinfisi pubica.
A 10 giorni: il pz è stato verticalizzato e a 11 giorni ha iniziato a deambulare con il deambulatore.

98
Osteonecrosi

Dell’osteonecrosi in realtà abbiamo già parlato quando abbiamo fatto le fratture mediali di
femore, ma l’osteonecrosi non colpisce soltanto le epifisi prossimali del femore ma
colpisce altre porzioni ossee che sono:
 l’epifisi omerale
 l’astragalo e lo scafoide (che dal punto di vasta percentuale sono le più frequenti sedi di
osteonecrosi per cause non traumatiche)
 il semilunare
 la rotula
 l’epifisi dei metacarpi e dei metatarsi

Questo avviene per diverse cause:


un’ischemia arteriosa, emboli che
vanno a occludere i vasi oppure cause
traumatiche es. un danno diretto dei
vasi della circolazione periferica: nel
caso della frattura del femore
prossimale la circolazione di tipo
terminale con le arteriole epifisarie
laterali vengono danneggiate e questo
porta ad una necrosi della testa del
femore.

Per valutare l’osteonecrosi noi


dobbiamo prima di tutto
conoscere l’anatomia delle
nostre ossa quando stanno
bene; successivamente ci
rendiamo conto, anche perché il
paziente lamenta dolore, di
alterazioni morfologiche che
queste ossa hanno sia su loro
stesse sia sulle ossa con le quali
hanno contatto come
l’osteonecrosi del carpo.

Quindi abbiamo un’interruzione dell’apporto ematico che porta ad una necrosi cellulare
con ripercussioni anche sulla matrice quindi sulla componente inorganica. Una
caratteristica, per esempio, dell’osteonecrosi del femore è che quando noi abbiamo un pz
con un osteonecrosi del femore prossimale e lo portiamo in sala, perché non riesce più a
caricare su quell’arto e dobbiamo sostituirlo con una protesi, notiamo come la cartilagine
piuttosto che essere dura si può asportare come una buccia d’arancia cioè il femore in
quella porzione, a causa dell’osteonecrosi, ha perso totalmente le sue caratteristiche.

L’osteonecrosi ha delle fasi biologiche che sono:


-la necrosi
-la rivascolarizzazione e riabitazione connettivale: sostituzione dell’osso necrotico con osso
neoformato (creeping substitution) 2-3 mesi.
(questo è il motivo per il quale quando abbiamo un’osteonecrosi cerchiamo di togliere il carico, un
pz viene da noi con dolore all’anca facciamo fare una RMN vediamo un edema molto importante
con iniziali segni di osteonecrosi, la prima cosa che dobbiamo fare è togliere il carico al pz perché
99
se riesce ad attraversare questa fase senza “danneggiare” l’osso possiamo comunque recuperare
una parte maggiore dell’articolazione. Da un punto di vista clinico associamo il togliere
temporaneamente il carico alla somministrazione di acido clodronico ovvero bifosforati che
servono ad aumentare la densità ossea)
-riassorbimento:
i) processo riparativo incompleto, infatti, la maggior parte dell’area necrotica non
viene
riassorbita
ii) indebolimento dell’osso spongioso e subcondrale
iii) frattura osteocondrale
-osteogenesi:
vi) 4-6 mesi
iv) Osteogenesi diretta dal connettivo neoformato
v) penetrazione di formazioni vascolari
-evoluzione tardiva

È chiaro che comunque un’articolazione che subirà un’osteonecrosi avrà anche le vie delle
modifiche morfologiche che porteranno ad un’artrosi di tipo precoce.

La necrosi però non avviene tutta insieme, ci sono delle tempistiche in base ai tessuti
interessati. I diversi tessuti vanno incontro a questo tipo di alterazione con tempistiche
differenti: Midollo ematopoietico entro 24h; Endoteli entro 48h; Osteoblasti e osteoclasti
dopo 48h; Adipociti 3gg; Osteociti 7gg.

Le fasi biologiche della riparazione


dell’osteonecrosi saranno quindi
inizialmente la necrosi cellulare, dopo
di che una neoangiogenesi e una
differenziazione delle cellule
mesenchimali fino alla sintesi di
tessuto osseo; ciò nonostante, le
differenziazioni che avverranno
potranno comunque portare ad
un’alterazione strutturale del nostro
osso.
Quando avviene il riassorbimento una
parte può comunque rimanere vitale
ma la porzione maggiormente
interessata dall’osteonecrosi perderà
le sue proprietà funzionali e spesso
anche morfologiche.

Questo è l’evoluzione tardiva di un’osteonecrosi


della testa femorale quindi inizialmente io alla
RMN vedrò un quadro di questo tipo cioè vedo
un edema localizzato alla testa dopo di che
avverrà una frammentazione e se il pz avrà
sottoposto l’articolazione a carico
successivamente potrò notare anche un
appiattimento della testa femorale.

100
Quindi una volta che il nostro osso è sottoposto a carico in una osteonecrosi aumenterà il rischio
di frattura; quindi, di frammentazione della zona necrotica perché questa non avrà la consistenza
corretta dell’osso né della cartilagine con un crollo della zona necrotica nella spongiosa vitale
circostante (frattura dello strato di passaggio tra osso necrotico e vitale). La cartilagine articolare
naturalmente avrà un distacco dall’osso necrotico e questa è anche la spiegazione per la quale in
sala operatoria noi riusciamo ad asportarla come una buccia d’arancia.

 se la lesione è piccola e l’attività riparatrice è rapida (età infanto-giovanile) la sostituzione


dell’osso necrotico è completa
 se invece l’attività riparatrice è lenta (età adulta) il pz sottopone l’articolazione al carico e
avviene una deformazione dell’osso non avremo di sicuro una restitutio ad integrum.

Quadro clinico:
L’osteonecrosi inizia spesso in maniera asintomatica poi
però il dolore diventa improvviso acuto e continuo, il pz
viene alla nostra attenzione per questo motivo, lamenta
un forte dolore all’anca o un forte dolore al polso.
Alcune osteonecrosi si adattano anche al periodo
storico: per esempio la sindrome di Kienbock che è la
necrosi del semilunare era un’osteonecrosi molto rara,
in passato venina ai muratori che intonacavano perché
portavano il loro polso in iperestensione e il
semilunare, con questo movimento, viene a trovarsi
schiacciato tra il capitato e la superficie radiale; ora
questa patologia è ancora molto rara ma molto più
frequente rispetto al passato grazie al crossfit perché
alzando il bilanciere con un iper estensione del polso
aumenta la tensione a carico del semilunare quindi nel crossfit ad alti livelli o anche nello sportivo
amatoriale che sottopone il suo polso a carichi eccessivi questo tipo di osteonecrosi è diventata
più frequente.

Qua (a sx) abbiamo delle anche che sono andate in


contro ad osteonecrosi.
Questa (a dx) è un’evoluzione a distanza abbiamo
già visto come la trazione della cartilagine articolare
e quindi della morfologia non sarà lineare e porterà
ad un’artrosi precoce.
In questo caso riconosciamo una sclerosi dei tetti
acetabolari, una deformazione della testa con
sclerosi e formazione di osteofiti marginali.

Non è soltanto l’anca ad essere colpita, nell’arto inferiore abbiamo parlato anche dell’astragalo ma
anche delle osteonecrosi localizzate a livello del ginocchio per questo motivo in alcuni casi noi
chirurgicamente con l’artroscopia possiamo fare delle microperforazioni nelle necrosi non molto

101
spinte ma comunque demarcate in modo da cercare di far arrivare i mediatori totipotenti che
possono ripristinare la vitalità di quella zona.

 Necrosi Post-traumatica

Le zone maggiormente colpite sono quelle che hanno una circolazione terminale senza anastomosi
che sono: l’epifisi prossimale del femore, lo scafoide carpale e l’astragalo.
Anche in una lussazione dell’anca è possibile che avvengano dei danni
vascolari.

Questo è un carpo, quindi tornando a quanto detto prima


questo è lo scafoide e in questo caso il pz avrà avuto una
frattura del terzo medio dello scafoide e questo spesso può
portare ad una necrosi.

Caso clinico: Un pz di 80 anni è venuto in ambulatorio


raccontando di aver avuto una frattura dello scafoide quando
aveva 7 anni non trattata, dopo 60anni aveva un’artrosi
generalizzata del carpo, praticamente non si riconoscevano più
le ossa del carpo perché nel caso in cui ci sia una lesione
ossea
di questo tipo a livello del carpo che viene riassorbita abbiamo anche dei danni legamentosi che
portano ad una migrazione delle ossa carpali, portando quindi a dei conflitti e causando un’artrosi
radio-carpica e un’artrosi delle ossa del carpo stesso.

Questa è una frattura dell’astragalo che ha portato poi ad


un’osteonecrosi dovuta appunto ad un danno della sua
vascolarizzazione.

 Necrosi Atraumatiche

Non sempre i tipi di necrosi sono traumatiche, possono essere anche atraumatiche perché
comunque gli emboli e le alterazioni vascolari non avvengono soltanto per cause traumatiche.
o Idiopatiche: che noi non sappiamo spiegare
o Iatrogene: queste sono abbastanza frequenti e il pz se le causa non volutamente ma
consciamente, generalmente è un pz anziano o un pz sui 60 anni che si rende conto che le
sue funzionalità stanno diminuendo, magari non riesce a correre come prima o non riesce
ad andare in bicicletta e quindi prende autonomamente del cortisone per migliorare la sua
condizione sportiva e diminuire il dolore sistemico, si sente indubbiamente meglio fin
quando non compare un dolore all’anca, quando arriva al controllo mostra un’osteonecrosi
della testa femorale. Le iatrogene sono frequenti perché i pz si autosomministrano dei
farmaci. Ci sono anche pz che per artrite reumatoide o altre cause fanno terapia con il
cortisone e purtroppo possono andare incontro a queste complicazioni
o Le dislipidemie
o La malattia di Gaucher

102
o L’embolia grassosa
o L’anemia falciforme
o Radiazioni ionizzanti
o Collagenopatie
o Alcolismo

Classificazione:
 Idiopatica
 Secondarie asettiche:
 per decompressione atmosferica, durante le immersioni con bombola se la
decompressione dal fondo verso la superficie è troppo veloce l’azoto disciolto nel
sangue torna troppo velocemente allo stato gassoso e può dare ischemie cerebrali o
altri danni ischemici. Un danno ischemico che può dare sempre l’azoto è l’occlusione
dei vasi periferici che quindi porterà ad una necrosi di alcune zone specialmente quelle
con circolazione di tipo terminale.
 Da trauma
 Da cortisone
 Da anemia falciforme
 Da morbo di gaucher
 Da terapia radiante
 Secondaria settiche:
 come la necrosi tubercolare caseosa
 la necrosi da piogeni

Le sedi più frequenti sono:


• l’epifisi prossimale del femore
• semilunare morbo di Kiemboch
• condilo femorale mediale
• l’epifisi prossimale dell’omero
• oltre all’astragalo.

Diagnostica per immagini:


Fondamentale è prima di tutto l’RX successivamente la RM dove vedo dei focolai osteonecrotici.

Osteonecrosi asettica della testa femorale:

Come Trattarla: inizialmente tolgo il carico al pz, dopo


somministro dei farmaci per la mineralizzazione
ossea quindi i bifosforati (di solito si usa l’acido
clodronico). Nella fase avanzata se avvengono delle
deformazioni importanti che non permettono una
corretta articolazione si può effettuare
un’osteotomia o delle perforazioni. Infine, nella fase
tardiva dobbiamo sostituire l’articolazione che è
andata incontro all’osteonecrosi.

103
Osteonecrosi Idiopatica:

Patogenesi: displasia articolare anche minime dell’anca,


etilismo, aterosclerosi perché abbiamo l’obliterazione di alcuni
vasi, obesità, iperglicemia, alterazione della coagulazione e
microtraumi.

L’incidenza nella popolazione è dello 0,1%, il 3% di


queste alterazioni colpisce l’anca. Il sesso maschile è più
colpito e l’età va dai 40 ai 60 anni maggiormente.

La manifestazione clinica ha un esordio


subdolo dopo il pz lamenta un dolore acuto.
Non riesce ad usare il suo arto e in quel
caso noi iniziamo le nostre valutazioni
ipotizzando patologie reumatologiche ma i
suoi esami saranno negativi; chiediamo
allora l’RX e spesso soprattutto nelle fasi
iniziali possiamo non notare delle alterazioni
radiografiche mentre è molto utile la RMN
che ci mostra un edema della zona
interessata e quindi anche delle alterazioni
più fini della morfologia del nostro segmento osseo. Notiamo una linea di demarcazione
radiotrasparente rispetto all’osso circostante e nella fase di riabitazione una zona necrotica con
chiazze radiotrasparenti cioè delle zone che si stanno riprendendo. Potrà anche avvenire un crollo
della zona necrotica con deformazione del nostro osso. Nella fase tardiva l’osso andrà incontro ad
artrosi.

Necrosi asettica da decompressione atmosferica:


per la decompressione atmosferica l’O2 e la CO2 ritornano in soluzione invece l’azoto tende a
mantenere lo stato gassoso e questo provoca un’embolia gassosa e quindi un’ischemia e necrosi
dei tessuti.
Il fenomeno avviene nei tessuti ricchi di lipidi: SNC, mesentere e midollo osseo delle ossa lunghe
danneggiando la vitalità dell’osso. Questo provoca violenti dolori, collasso cardiocircolatorio,
dispnea, emoftoe, epistassi, acufeni, dolori violenti alle grandi articolazioni, edema polmonare e
paraplegia (quadro generale da malattia da decompressione).

Quadro all’RX: notiamo delle aree di addensamento midollare (depositi calcifici intorno al tessuto
necrotico) perché la necrosi dal punto di vista radiologico mantiene sempre l’aspetto di edema
localizzato al segmento osseo che noi studiamo. C’è una manifestazione all’RX anche dopo 2-3
anni dall’esordio dell’embolia.

104
La patogenesi della necrosi asettica post-
traumatica, come da una frattura o da
lussazione, vedrà l’interruzione dell’apporto
vascolare sdei vasi che passano nel periostio,
di quelli che passano all’interno della capsula
articolare e di quelli che passano a carico dei
legamenti. La regione ossea esclusa dal circolo
va in necrosi.

Patogenesi della necrosi da cortisone:


trombosi ostruttiva dei piccoli vasi arteriosi da
microembolia lipidica; in realtà questo tipo di
farmaco da delle alterazioni vascolari tali da
poter comunque portare il pz a rivolgersi al
medico in maniera tardiva, perché il pz con
dolore aumenterà la dose di cortisone non
rivolgendosi al medico.

Necrosi da morbo di Gaucher: è una tesaurismosi a carattere familiare con disordine del
metabolismo degli sfingolipidi, accumulo di cellule di Gaucher negli spazi midollari, si formano
degli emboli che occludono il sistema vascolare con necrosi dei territori ossei esclusi dal circolo.
La manifestazione clinica è in età infantile e giovanile e le localizzazioni più frequenti sono la testa
del femore e la diafisi con una deformazione tipica “a fiasca”.

Necrosi da anemia falciforme: abbiamo un intasamento del vaso con necrosi della zona a
valle dell’interruzione del circolo e questo avviene anche nella microdrepanocitosi o nella
malattia di Silvestroni-Bianco che è la stessa cosa.

Patogenesi: abbiamo un blocco della circolazione a


valle del segmento occluso quindi l’ambiente è
povero di O2e questo porterà alla formazione di
aggregati insolubili di Hb (tactoidi).

La manifestazione clinica non è correlata all’età,


colpisce qualunque distretto epifisario e metafisario e
va incontro a frequenti complicanze settiche
(osteomielite da salmonella).

Abbiamo fatto con l’università di Sassari uno studio dove in Africa questa patologia è più diffusa
che in Italia e abbiamo visto come soggetti giovani con questa patologia vanno più
frequentemente incontro a osteonecrosi della testa femorale.

105
Necrosi da terapia radiante: avverrà per un deficit
sia midollare sia per una distruzione delle cellule
proliferanti in generale con un’occlusione dei vasi e
una persistenza dell’attività osteoclastica che porterà
ad un danno osseo.

Manifestazione clinica: nel bambino la terapia


radiante porta ad un arresto della maturazione
encondrale, nell’adulto ad un arresto della necrosi
ossea; può favorire anche le fatture di collo femore
portando alla fibrosi delle zone trattate con la
radioterapia.

Necrosi settica da piogeni: se noi abbiamo un patogeno in circolo che si può portare a livello
periferico e alcuni aggregati di questi patogeni vanno ad occludere i vasi posizionandosi nelle sedi
dove la vascolarizzazione è terminale questo porta ad un’osteonecrosi. Questo avviene secondo
una patogenesi ben precisa: una fase iniziale con iperemia ed essudazione e nidi ascessuali a
carico dei segmenti interessanti nel connettivo midollare; una fase florida con confluenza degli
ascessi negli spazi midollari, nei canali di Havers e in sede sottoperiostale; un’occlusione vasale e
successivamente la necrosi dei territori a valle esclusi dal circolo.
Un pz (es. un bambino) con questa patologia manifesta segni e sintomi come dolore periferico,
non userà l’arto quindi impotenza funzionale, e noi vedremo all’RX un quadro di sequestro osseo
con aree di aspetto eburneo con vallo di rarefazione e reazione osteosclerotica circostante.

Necrosi caseosa: data dalla tubercolosi che colpisce anche le ossa

Obbiettivi della terapia:


Fondamentale la diagnosi precoce, evitare la demarcazione dell’area necrotica e cercare di far
riprendere il nostro segmento osseo con dei trattamenti che portino alla rivitalizzazione della zona.

Trattamento:
 incruento: estensione del carico o onde d’urto (I-II stadio)
 trattamento chirurgico: con perforazioni o degli innesti ossei vascolarizzati (stadio I-II),
oppure nelle fasi in cui il nostro osso è più compromesso con delle osteotomie e innesti
ossei vascolarizzati (stadio III), altrimenti dovremmo optare per una sostituzione protesica
(stadio IV).

106
Malattia di Kiemboch: è la necrosi asettica del semilunare. Alla RMN il semilunare appare di un
colorito diverso rispetto alle ossa del carpo mostrate nella risonanza magnetica dovuto all’edema
osseo per iniziale l’osteonecrosi.
Queste alterazioni vascolari porteranno poi ad un collasso del semilunare che avviene soprattutto
nei casi in cui abbiamo un minus di ulna, questo aumenta il sovraccarico tra la superficie del radio
distale e il capitato contro il semilunare; si è visto come anche la forma del semilunare faccia in
modo che le pressioni a suo carico aumentino e portino ad un osteonecrosi dell’osso.

Nel 1966 veniva descritto come una forma


alterata del semilunare potesse portare ad una
di lesione di questo tipo. Quindi la forma
squadrata e quella rettangolare creano dei
maggiori contatti con la superfice radiale e del
capitato che portavano a sofferenza di tipo
osseo. Si è anche studiato come agire nel caso
in cui avessimo una necrosi di questo osso:
quando noi ci rendiamo conto che è presente la
necrosi del semilunare ma senza corruzione
della sua morfologia quello che possiamo fare è
togliere il carico al pz, limitare la mobilizzazione
attiva sotto carico, somministrare i fosfonati.

Come detto prima anche questo osso


nonostante in alcune varianti abbia delle
circolazioni terminali in altri casi presenta
comunque delle anastomosi.

Il soggetto più colpito in questo caso è quello


giovane anche per il tipo di eziopatogenesi:
l’iperestensione del carpo sotto carico quindi
sportivi o lavoratori manuali. Il dolore ha un
esordio insidioso perché inizia in modo modesto
e diventa via via ingravescente; il pz si rende
conto di avere una ridotta forza di presa e una
limitazione dei movimenti in flesso-estensione.

Diagnosi strumentale:
effettuo una rx del carpo che spesso soprattutto nelle fasi iniziali non è dirimente. Con la
necrosi del semilunare all’rx non vedrò un quadro franco dell’osteonecrosi a suo carico ma
vedrò il minus di ulna e dovrò sapere che il minus di ulna porta ad un maggior rischio di
osteonecrosi del semilunare

107
Effettuo la scintigrafia ossea: la scintigrafia mi mostra, con un’alta sensibilità,
l’osteonecrosi del semilunare ma ha lo svantaggio di essere poco specifica e in più ha una
modesta risoluzione (mi serve solo per capire
che lì effettivamente c’è un’area di necrosi o
un sovraccarico o un edema ma non mi aiuta
a fare una diagnosi più precisa).
Effettuo la RMN: questa è ottima perché mi
permette di fare una corretta diagnosi
soprattutto in fase precoce e mi permette di
avvantaggiarmi sui quattro stadi di
osteonecrosi del semilunare che verrebbe
diagnosticato più lentamente e con un
danneggiamento maggiore.

Alla RMN in T1 studio prevalentemente i grassi, in


T2 la componente liquida e questo mi aiuta a
discriminare il tipo di lesione a carico di quest’osso;
vediamo come il semilunare in T1 appaia nero
mentre in T2 appare bianco rispetto alle ossa del
carpo.

Esistono vari tipi di classificazioni: in linea generale via via il nostro osso diventerà meno vitale
quindi collasserà su sé stesso e sulle altre ossa del carpo portando ad una degenerazione
delle altre ossa con un’artrosi delle ossa del carpo con presenza di osteofiti e cisti
degenerative.
(le slide sulla classificazione a lezione le ha saltate sono state aggiunte per completezza)

108
Trattamento Conservativo: () Trattamento Chirurgico: ()
Il trattamento chirurgico cambia a
seconda dello stadio in cui ci
troviamo. Consiste o
nell’asportazione del semilunare con
intervento di artroplastica in
sospensione: rimuoviamo il nostro
osso posizioniamo dei tendini al suo
interno e creiamo delle tensioni in
modo da mantenere gli spazi della
filiera del carpo oppure, se questo
non è possibile, si fa un’artrodesi
delle ossa carpiche in modo da
permettere al pz di svolgere le sue
attività in maniera più limitata quindi
con un’escursione del polso minore
però senza dolore.

109
110
MALATTIE DELL’APPARATO LOCOMOTORE – Lezione 7
24/05/2022
DIANA- SCAVO

Ernia discale
Definizione e introduzione
L’ernia del disco viene definita come una fuoriuscita di materiale discale che protrude o si proietta
all’interno del canale midollare e che da una sintomatologia di tipo nervoso. Oltre il canale midollare
può interessare anche i neuroforami dando irradiazione agli arti inferiori.
Pur essendo una patologia che sembra interessare soltanto una porzione limitata del corpo, può
presentarsi con diversi quadri funzionali e con diverse caratteristiche morfologiche, che viste e
valutate agli esami diagnostici ci permettono di identificare la patologia che affligge il paziente.
Circa l’80% degli individui, durante la vita, manifesta almeno un episodio di lombalgia e/o
lombosciatalgia con lombocruralgia quindi, è fondamentale riuscire a identificare la patologia con
una corretta diagnosi e con un approccio che sarà diverso a seconda della tipologia di paziente che
ci troviamo davanti.
Il paziente quando arriva in ambulatorio solitamente non è preciso nel definire la localizzazione e il
tipo di dolore che sente e le difficoltà aumentano di fronte a un paziente con patologie psichiatriche.
Però i disturbi psichici non proteggono il soggetto da malattie organiche, quindi, se ci troviamo di
fronte a un paziente di questo tipo, che si rivolge a noi in maniera non adatta, che non ci dà le
corrette informazioni o che non risponde a ciò che domandiamo non dobbiamo cercare di liberarcene
il prima possibile, ma anzi dobbiamo prenderla come una sfida e cercare di acquisire con varie vie
le informazioni che ci servono, altrimenti il rischio è quello di non fare una diagnosi adeguata. Per
questo motivo è necessario studiare bene queste patologie in modo da poterle diagnosticare
mediante approcci differenti e disegnati ad hoc per ogni paziente.

Anatomia del rachide lombosacrale


È costituito da 5 vertebre lombari e dall’osso sacro e tra una vertebra e
l’altra vi sono i dischi intervertebrali. È importante conoscere la morfologia
delle vertebre di ogni livello, perché a questa si associano i diversi tipi di
patologie del rachide. Ad esempio, il tipico mal di schiena lombare può
essere dovuto a diverse cause, infatti il paziente potrà riferire dolore alla
schiena perché un disco vertebrale invade il canale vertebrale come nel
caso dell’ernia discale, o successivamente a una frattura per proiezione
del muro posteriore del corpo vertebrale nel canale vertebrale, oppure per
un sovraffaticamento delle faccette articolari il paziente riferisce di avere
dolore alla flessione del tronco.
Nella proiezione laterale delle vertebre lombari vediamo il neuroforame,
da cui fuoriesce il nervo c il punto che nel caso in cui l’ernia sia
intraforaminale sarà compresso, evocando una sintomatologia nervosa.

111
Il disco è formato da una
componente fibrosa esterna e
un nucleo polposo interno e lo
possiamo paragonare a uno
pneumatico, dove il battistrada
esterno rappresenta lo strato
fibroso esterno e la camera
d’aria interna rappresenta il
nucleo polposo. Quest’ultimo è
formato per l’80% da acqua e
da mucopolisaccaridi e questo
fa sì che agisca come
ammortizzatore attraverso dei
meccanismi di disidratazione e
reidratazione a seconda dei
movimenti che vengono svolti.
Quindi il disco riesce ad assorbire e ridistribuire le fibre in ugual modo quando è funzionalmente
attivo, ma a causa dei sovraccarichi e dei movimenti ripetuti nel tempo si può avere un
danneggiamento come alterazioni dello strato fibroso esterno fino all’estrusione del nucleo polposo
interno.

Nell’anatomia ha una certa importanza il legamento longitudinale posteriore perché ha un ruolo ben
definito nella patogenesi dell’ernia del disco: inizialmente può contenere la protrusione discale ma
successivamente può essere perforato dall’ernia, oppure l’ernia può migrare dissecandolo
inferiormente senza perforarlo.

Lombalgia
La lombalgia può essere causata da diverse patologie ortopediche, ma anche da patologie non
ortopediche. Per quando riguarda quelle ortopediche abbiamo:

 frattura di vertebra lombare con protrusione del muro posteriore e invasione del canale
vertebrale. Questo causa un deficit periferico con un dolore importante e rappresenta
un’urgenza chirurgica perché se questo frammento osseo danneggia il midollo si possono
avere delle lesioni con deficit non recuperabili.

112
 una spondiloestesi che consiste in uno scivolamento di
L5 su S1. In questi casi si può creare un effetto
ghigliottina sul midollo, quindi, bisogna stare attenti ai
pazienti con questa problematica soprattutto se non è
degenerativa ma traumatica.
 patologie oncologiche come un osteoblastoma
 una spondilodiscite, ovvero un’infiammazione di
vertebre e dischi vertebrali.

Quando davanti a una lombalgia tutti gli esami


come RX TC RMN sono negativi dobbiamo
indagare con altri esami come, ad esempio, un
eco addome per valutare la presenza di altre
patologie come una pancreatite, un aneurisma
aortico, affezioni del rene, perché possono
causare un dolore che il pz riferirà come
posteriore e quindi confondibile con una
lombalgia.

Si è inoltre notato che una grossa percentuale di questi pazienti possiede di base una componente
ansiogena o uno stato dell’umore piuttosto basso, infatti, spesso trovano il momento adatto per
rivolgersi al medico in seguito a forti dispiaceri come lutti in famiglia: l’abbassamento del tono
dell’umore determina un peggioramento del dolore. Questo fatto ci aiuta anche a capire come mai
gli antidepressivi possono avere un ruolo nel controllo della patologia dolorosa a carico della
schiena.

Ma se l’80% degli individui durante l’arco della vita sviluppa una lombalgia e/o una sciatalgia o una
cruralgia, allora perché non siamo una popolazione di invalidi?
Perché la lombalgia e la lombosciatalgia rispondono ai trattamenti sia conservativi che chirurgici e
molto spesso regrediscono col tempo. Quest’ultima possibilità capita spesso di osservarla nel
giovane, perché i dischi intervertebrale sono più idratati quindi, maggiore è il volume e maggiore
sarà lo spazio che occuperà all’interno del canale vertebrale. Di conseguenza il rapporto, in caso di
deidratazione (come avviene progressivamente con l’invecchiamento), sarà maggiore e quindi il
volume occupato all’interno del canale vertebrale andrà a ridursi, e la patologia e la sintomatologia
potranno regredire.

113
Eziopatogenesi

L’ ernia discale si sviluppa con la fuoriuscita del nucleo


polposo attraverso l’anello fibroso e con la conseguente
compressione del nervo o del midollo spinale. È una
patologia molto frequente soprattutto tra i 30 e 50 anni. I
livelli più interessati sono L4/L5 e L5/S1 e costituiscono il
90% di tutte le ernie del disco.
Quindi il normale processo evolutivo tende a presentarsi
durante la 3° decade di vita ed è dato da una minore
stabilità alle sollecitazioni meccaniche quindi, il nostro
paziente ci riferirà principalmente due tipi di episodi:

 un episodio acuto dove sollevando in maniera non adeguata un grosso carico ha iniziato a
manifestare dolore
 un episodio cronico dove con piccoli lavori quotidiani e ripetute sollecitazioni traumatiche
quotidiane si è instaurato un dolore con probabile irradiazione all’arto inferiore che va
peggiorando. Questo porta a una lacerazione della componente fibrosa con fuoriuscita del
nucleo polposo.

Fattori di rischio:

 le occupazioni sedentarie: infatti la posizione seduta fa sì che un grosso carico sia presente
soprattutto a livello lombare, e ancora di più se si tende ad adottare la flessione del bacino.
Per questo motivo è importante sedersi con la schiena dritta.
 L’inattività fisica: questo è dato da una mancanza di qualità della muscolatura addominale e
lombare, perciò, c’è un maggior carico a livello osseo e questo fa sì che possa aumentare il
rischio di ernia del disco.
 Il sovrappeso
 La guida prolungata e costante di veicoli a motore (questo lo vediamo spesso nei camionisti).
 Lavori a rilevato impegno fisico.
Le diverse posizioni gravano in maniera differente a carico del segmento lombare con una maggior
pressione a carico dei dischi intervertebrali.

114
Da un punto di vista topografico distinguiamo l’ernia
dal bulging, dove per quest’ultimo si intende una
protrusione del nucleo polposo quando questo è
ancora contenuto all’interno dell’annulus fibroso, ma
comunque questa protrusione, che interessa circa il
25% della circonferenza, può dare una
sintomatologia.

L’ernia discale può essere classificata come protrusa o espulsa:

 protrusa quando la componente che si affaccia nel canale midollare è inferiore a quella che
è presente nella sua localizzazione di base
 espulsa quando i rapporti dimensionali sono invertiti, ovvero la quantità di disco erniato è
superiore a quella che si trova nell’origine.
Ancora possiamo descrivere più tipologie di ernie discali:

 Ernia contenuta: abbiamo la rottura dell’annulus ma l’ernia è contenuta attraverso il


legamento longitudinale posteriore. Nonostante questo, abbiamo un’impronta sul sacco
durale.
 Ernia protrusa: abbiamo la rottura dell’annulus e un atteggiamento del legamento
longitudinale posteriore con un’impronta maggiore della nostra ernia a livello della dura e del
midollo spinale o della cauda.
 Ernia espulsa: l’ernia si libera completamente dalla sua posizione originaria e si proietta
totalmente nel canale midollare.
 Ernia sottoligamentosa: non abbiamo danneggiamento del legamento longitudinale
posteriore ma l’ernia lo disseca e si porta inferiormente.

115
Il dolore da compressione del disco sulla radice nervosa ha una genesi multifattoriale.
Abbiamo

 dei fattori meccanici:


1. diretti: il nucleo polposo comprime il nervo spinale e a causa del danneggiamento
o del sollecitamento delle fibre nervose, il paziente manifesterà dolore.
2. Indiretti: la compressione riguarda i vasi afferenti oppure i vasi venosi causano un
blocco del reflusso venoso e anche questo fa sì che il paziente manifesti dolore a
livello del rachide per sofferenza ischemica delle fibre nervose.

 dei fenomeni infiammatori sia neurali che perineurali: cellulo-mediati oppure umorali.
Riguardo alla reazione infiammatoria c’è una teoria secondo la quale il nucleo polposo,
sviluppandosi all’interno della sua cavità, durante il suo sviluppo non viene a contatto con
le cellule dell’immunità, perciò nel momento in cui abbiamo una protrusione del nucleo
polposo, quel materiale non viene riconosciuto come self e questo crea una reazione del
sistema immunitario con imbibizione dei tessuti, mobilizzazione delle cellule
infiammatorie che fa sì che ci sia un ulteriore motivo per cui il paziente lamenta dolore, a
causa sia dell’invasione delle arteriole afferenti che arrivano sia per l’occlusione delle
vene.
Il tratto lombare e quello cervicale sono colpiti in modo elettivo da queste affezioni poiché
costituiscono i segmenti rachidei dotati di maggiore mobilità.
La comparsa di un’ernia può avere dei tempi brevi o può essere un processo degenerativo che va
avanti negli anni. In base a questa differente patogenesi si distinguono:

 ernie del disco molli: quelle nelle quali abbiamo un’esclusione del nucleo polposo, quindi
come dice il nome il disco sarà a appunto molle,
 ernie del disco dure: quelle che rappresentano l’esito evolutivo di una discopatia
degenerativa. Sono quasi principalmente localizzate a livello cervicale.

Valutazione ambulatoriale
In primis osserviamo il paziente come fa ingresso nello studio e vediamo se zoppica, se tocca la
regione interessata dove manifesta dolore, se è in grado di salire sul lettino. Poi chiediamo come è
avvenuto l’esordio del dolore, quindi se è insorto dopo aver fatto uno sforzo acuto importante oppure
se la sintomatologia è progressivamente peggiorato nel tempo. Chiediamo se il dolore è localizzato
alla regione lombare o se si irradia alla coscia anteriormente o posteriormente, se si irradia alla
gamba o se arriva fino al piede.

116
Di solito il dolore è aggravato

 da attività quotidiane che il paziente prima svolgeva normalmente


 dal sollevare carichi
 dalla posizione seduta
Mentre il dolore sarà alleviato

 dal riposo
 dalla posizione supina
 dal tenere le anche e le ginocchia flesse
Quando chiediamo al paziente di localizzare il dolore dobbiamo spronarlo a indicarcelo nel miglior
modo possibile perché in base alla zona che il paziente riferirà noi potremmo identificare l’origine
del dolore e il livello in cui si trova l’ernia del disco o la patologia discale che sta creando quel tipo di
sintomatologia. L’irradiazione avviene in base ai dermatomeri e il paziente riferirà dolore, disestesie
o anestesie in una determinata zona.
Quelle che vediamo più spesso sono quelle localizzate al dermatomero di

 L4 la cui irradiazione riguarda la superficie anterolaterale della coscia e latero mediale della
gamba sulla cresta tibiale
 L5 la cui irradiazione riguarda la superficie posterolaterale della coscia, anterolaterale della
gamba, superficie dorsale del piede e dell’alluce
 S1 superficie la cui irradiazione riguarda la superficie posteriore della coscia, posteriore della
gamba, superficie laterale del piede e quinto dito.
Questi non sono da sottovalutare perché ci possono aiutare a quantificare il danno nervoso del
paziente, anche perché a seconda del danno motorio alcuni di questi sono delle urgenze.
Un esame che facciamo sempre a questi pazienti è quello di flettere e far estendere il piede, far
estendere le dita e soprattutto l’alluce e in questo modo valutiamo L5 e S1. Vediamo che un’ernia
localizzata a quel livello con una compromissione nervosa impedirà al paziente l’estensione del
primo dito e delle dita. Se un paziente giovane ci dice che quel tipo di sintomatologia è comparsa da
uno o due giorni dobbiamo subito portare il paziente in sala perché c’è ancora la possibilità di
recuperare quel deficit. Se invece il paziente ci riferirà che manifesta questo deficit da un anno, ma
non si è mai rivolto a un medico, l’urgenza si perde perché ormai il danno nervoso si sarà instaurato.
In base al livello interessato sono interessati diversi muscoli:

 nel caso di L4 il quadricipite e il tibiale anteriore


 nel caso di L5 il medio gluteo, l’estensore comune delle dita e l’estensore proprio
dell’alluce
 nel caso di S1 il grande gluteo, il peroneo e il gastrocnemio.
Un altro segno tipico di questi deficit è il piede cadente nei pazienti che hanno un deficit acquisito.
In tutti questi pazienti è importante evocare i riflessi perché in base ai riflessi ci rendiamo conto se
c’è o meno un danno nervoso:

 riflesso rotuleo per L3 e L4


 riflesso achilleo per S1
Ci saranno diversi test che dovremo effettuare sul paziente per valutare che si tratti di una vera
lombalgia, lombosciatalgia o lombocruralgia e non di una patologia dell’anca o del ginocchio. Spesso
il paziente non va dal medico riferendo un dolore alla schiena ma riferisce un dolore al ginocchio
che sale sulla coscia e poi va dietro nell’area lombare, non viceversa.
La manovra di Lasègue, la manovra di Wassermann, sono i test che ci aiutano a identificare la
lombalgia con irradiazione sciatalgica e cruralgica. Una manovra importante è quella del Test di
117
Valleix, che consiste nella palpazione del nervo sciatico: si schiaccia a livello del gluteo seguendo
lo sciatico posteriormente e lateralmente nella coscia, fino alla porzione del perone prossimale. Il
paziente che avrà una sciatica sarà molto sintomatico per questo tipo di test, mentre sarà
completamente asintomatico il paziente che non ha un’irradiazione al nervo sciatico.

La sindrome della Cauda è per fortuna meno frequente rispetto a quelle localizzate L5-S1 o L4-L5.
Un’alterazione di questo tipo richiede un intervento chirurgico entro 24h o al massimo 48h, ma prima
comunque viene fatta meglio è perché rischiamo che quel deficit nervoso poi possa permanere. In
questi casi possiamo avere un’ipoestesia perineale con alterazioni che possono modificare
completamente la vita dell’individuo, perché poi questi pazienti manifesteranno globo vescicale,
possono perdere comunque il controllo diciamo.
Le indagini che dobbiamo svolgere prima del ricovero saranno prima di tutto finalizzate a identificare
la diagnosi (sono indagini che possiamo fare anche durante il ricovero però per questioni aziendali
è bene fare tutto prima del ricovero) quindi una corretta anamnesi , poi un corretto esame obiettivo,
dopo dovremo fare approfondimenti diagnostici e iniziamo con delle Radiografie , che ci mostreranno
principalmente una riduzione dello spazio intervertebrale e a quel punto dobbiamo chiederci se
abbiamo una protrusione del disco al livello del canale, considerando che lo spazio intervertebrale
è ridotto e che fra le 2 vertebre è comunque presente un disco. Dobbiamo valutare il nostro paziente
da un punto di vista neurologico per esempio con i riflessi, valutare se sono presenti altre patologie
sistemiche (questo con l’anamnesi). Dopo la nostra radiografia dobbiamo effettuare o una TC o un
Risonanza magnetica ; diciamo che la TC ci aiuta di più a studiare il quadro osseo, quindi nel caso
in cui noi vogliamo valutare un’ernia del disco è bene chiedere una RMN perché è questa che ci
aiuta a valutare i tessuti molli , per di più la RMN ci aiuta anche a valutare l’idratazione dei dischi
(esempio del giovane che presenta un’ idratazione importante del disco e anche nel paziente meno
giovane nei quali con la RMN posso vedere se l’ernia che sta protrudendo è particolarmente idratata)
e posso in questo modo somministrare dei farmaci che permettono una deidratazione di quel disco
e quindi una decompressione del canale, ove possibile naturalmente .

118
Quando il paziente viene con dolore e io richiedo una radiografia non so effettivamente se quel
dolore sia dato da una protrusione discale o da una frattura vertebrale , in realtà non faccio diagnosi
solo con la RX ma la farò con l’anamnesi, per esempio: un paziente traumatizzato che stava bene
fino al giorno prima mi fa pensare che possa avere una frattura vertebrale , se è un paziente che
invece ha sollevato un carico e ha manifestato una sintomatologia algida sono più propenso a
pensare che possa essere un’ernia discale. Oltre alle radiografie in antero-posteriore e latero-
laterale è importante effettuare effettuare delle RX dinamiche soprattutto nei casi di Listesi vertebrale
quindi gli scivolamenti delle vertebre.
La TC mi aiuta per una migliore definizione dell’osso ma significa anche radiazioni ionizzanti su quel
paziente,quindi soprattutto nel caso di ernia discale effettuerò una RMN, mentre se sono più
propenso per una frattura vertebrale quello che farò sarà prima di tutto una RX, che non sempre mi
aiuta per vedere se il muro posteriore invade il canale midollare, allora effettuo una TC perché
comunque mi dà un’idea reale del danno osseo e quindi vedrò se delle componenti dell’osso si
affacciano nel canale midollare , una volta effettuato questo se mi rendo conto che effettivamente
una porzione del muro posteriore si affaccia eccessivamente nel canale midollare effettuerò una
RMN perché questa aiuta a valutare i tessuti molli e farà vedere se c’è un alterazione del midollo
spinale.
Le ernie del disco le possiamo classificare anche in base alla loro localizzazione:

119
Oltre a questo la diagnosi può essere effettuata anche con l’elettromiografia che ci aiuta a valutare
il grado di compromissione di quella radice nervosa perché se io penso che ci sia effettivamente una
grossa compromissione, un grosso bulging, l’ernia sta veramente comprimendo in maniera
importante il nervo interessato e con l’elettromiografia io potrò valutare effettivamente il grado di
conduzione del nervo e in più potrò fare anche una diagnosi differenziale, perche è chiaro che se un
paziente ha una protrusione erniaria con un danno a livello di un nervo il nervo sarà localizzato a
quella zona, a differenza per esempio della neuropatia diabetica in cui ho un risparmio della
muscolatura e dei nervi paraspinali e dei segni più gravi di denervazione radicolare.
Il trattamento dei pazienti che hanno un’ernia del disco può essere di tipo conservativo o chirurgico.
TRATTAMENTO CONSERVATIVO
Naturalmente il riposo, il problema è che ai nostri tempi con la quotidianità che tutti noi abbiamo il
riposo è praticamente impossibile perché quando diciamo al paziente “ lei dovrebbe fare riposo” il
paziente risponde che deve lavorare e non può riposare, quindi nella maggior parte dei casi non
viene effettuato dai pazienti.
La terapia farmacologica si fa per gradi:
- inizialmente prescriveremo paracetamolo e FANS ma questi riducono l’infiammazione,
aiutano più che altro a supportare il paziente prima della regressione della sintomatologia
- se questo non avviene possiamo dare paracetamolo associato a oppioidi deboli o tramadolo
sempre per il controllo del dolore , bisogna dire che il paracetamolo e gli oppioidi hanno un
effetto sinergico e quindi questi farmaci in combinazione aiutano spesso il paziente a
sopportare a superare il periodo nel quale sono afflitti dal dolore.
- Per quanto riguarda gli sterodi , ossia il cortisone, viene prescritto per un differente motivo
e cioè che è un forte antinfiammatorio che fa si che avvenga una deidratazione a carico del
disco e quindi come abbiamo detto una riduzione del suo volume. Spesso anche con un ciclo
breve di steroidi, di corticosteroidi, di cortisone noi possiamo deidratare la nostra ernia e il
paziente ha una regressione della sintomatologia.
- i miorilassanti in realtà hanno una efficacia sempre più dubbia e per fortuna si sente sempre
meno il paziente con una sciatica che dice di aver fatto il muscolin o il dicloreum perché in
questi casi a poco serve.
- Poi ci sono invece dei farmaci che agiscono da neurotrofici e stabilizzanti neurali e ci aiutano
per la sintomatologia neuronale che arriva dal nervo quindi arriva propriamente dalla
sofferenza del nostro nervo e questi sono il pregabalin e il cabapentin , con questi farmaci
noi riusciamo a risolvere la maggior parte dei casi di irritazione nervosa periferica;
- poi come abbiamo detto prima gli antidepressivi , questi li utilizziamo in una categoria di
pazienti più ristretta ma comunque grazie all’aumento della sintesi di serotonina e oppioidi
endogeni fanno si che il dolore sia più lieve.
Abbiamo parlato quindi del trattamento conservativo farmacologico ma in questi pz noi utilizziamo
anche un trattamento conservativo con degli ortesi, cioè dei tutori, che non sono degli stabilizzatori
come la muscolatura per questo è fondamentale che non vengano utilizzati durante tutte le h24
perché anzi causano una ipotrofia muscolare e poi una volta rimossi portano a un peggioramento
della sintomatologia; comunque aiutano il paziente durante le attività funzionali più impegnative e
quindi nel paziente particolarmente sintomatico possono essere un adeguato supporto.
Abbiamo anche le terapie fisiche consistono principalmente nel
- potenziamento della muscolatura addominale e dorsale

120
poi abbiamo i trattamenti mini invasivi che possiamo utilizzare come le
- infiltrazioni epidurali con cortisone , quindi andiamo a infiltrare per esempio i neuroforami e
quindi andiamo a somministrare nella porzione”di sofferenza” l’antinfiammatorio cortisonico,
che spesso diamo per bocca, e questo porta a una remissione dei sintomi
- ci sono anche altre terapie come la fisioterapia strumentale come la magnetoterapia, gli
ultrasuoni,l’elettroterapia .
mentre le manipolazioni si è visto in letteratura come sono da evitare perché una manipolazione non
corretta, soprattutto nelle mani di personale non esperto, può aumentare la protrusione del disco e
peggiorare la sintomatologia e il quadro clinico del paziente.

TRATTAMENTO CHIRURGICO
Il trattamento chirurgico invece può essere: classico e mini invasivo.
Quello classico è la discectomia standard e la micro discectomia. Il nostro paziente non ha risposto
al paracetamolo, ai FANS, al cortisone, gabapentin, oppiacei, e allora dobbiamo intervenire
chirurgicamente. Verrà valutato dagli anestesisti fino all’arrivo in sala. In sala sarà presente il primo
e il secondo chirurgo, la strumentista, l’anestesista,
l’infermiere di anestesia e l’infermiere di sala.

È importante avere in sala operatoria il microscopio


operatore, un letto operatore adeguato e la
strumentazione chirurgica (fa vedere il tavolo
operatorio allestito per un’ernia discale, con la
tipologia di strumenti).

In sala operatoria viene effettuata la scheletrizzazione:


effettuiamo un taglio sulla linea mediana fino a visualizzare i
processi spinosi, effettuiamo la scheletrizzazione dei processi
spinosi fino ad arrivare alla porzione di ernia che ci interessa
e poi con uno strumentario dedicato asportiamo la porzione di
ernia. C’è uno stretto contatto tra l’ernia e i nervi, e le
colorazioni non sono nitide come nei libri, quindi è essenziale
avere una valutazione attraverso ad esempio un
elettrofisiologo che analizza i dati dei nervi mentre noi
effettuiamo l’intervento. È fondamentale avere anche il
microscopio e un chirurgo esperto.
Come si presentano clinicamente i pazienti con questo tipo di
problemi e poi che cosa avviene? Circa l’85% dei pazienti con
ernia discale acuta lombare migliora in circa 6 settimane; il
70% in 4 settimane, perché una volta che noi eliminiamo la
compressione dal nervo/dal canale midollare servirà del tempo e della terapia per far riprendere in
maniera ottimale i nervi che erano stati interessati. Come già detto è da effettuare in emergenza per
la sindrome della cauda equina, per deficit motori in progressione acuta (ad esempio il paziente che
121
va al controllo per lombalgia con irradiazione che non dorsi flette il piede da un giorno). L’intervento
comunque non è esente da complicazioni:

 può avvenire la lesione di strutture nervose (1% avrà una lesione nervosa, quel nervo non
funzionerà più), quindi dei risvolti medico legali importanti in chi effettua questo tipo di
chirurgia.
 La perforazione del legamento longitudinale anteriore avviene in maniera asintomatica nel
12% dei casi.
 È possibile che si sviluppino delle disciti.
 Si possono verificare tromboflebiti e trombosi, ma la letteratura ci dice che con una corretta
terapia possiamo evitarle, quindi questi pazienti effettueranno terapia con Clexane, Inhixa,
comunque terapie epariniche che riducono il rischio di tromboflebite e trombosi venosa
profonda.
Abbiamo visto quindi diversi tipi di trattamenti conservativi.
Le complicanze più comuni della microdiscectomia, in cui usiamo un accesso più piccolo:

 È presente una percentuale che va da 0,9 a 5% per le infezioni della ferita superficiale.
 1% infezioni profonde della ferita.
 Un deficit motorio aumentato rispetto al pre-operatorio dell’1/8%, cioè che oltre al deficit
che il paziente poteva manifestare all’esame obiettivo, questo può aumentare dall’1
all’8% in questi interventi in caso di complicazioni.
 La lacerazione durale può andare dallo 0,3 al 13% che aumenta al 18% nei re-interventi,
perché dopo qualsiasi intervento chirurgico si formano delle aderenze, del tessuto
fibroso che tende a inglobare le diverse strutture che sono presenti nelle vicinanze,
quindi quando andiamo a re-intervenire, divaricando con i divaricatori gli strati
superficiali, se quel tessuto fibroso ha fatto delle aderenze con il tessuto durale, c’è il
rischio di strappare il tessuto durale con delle conseguenze importanti.
Per quanto riguarda gli outcome:
o A 1 anno il 73% ha una risoluzione della lombo sciatalgia, e il 63% della lombalgia.
o A 5-10 anni il 62% per entrambi.
o A 5-10 anni 86% migliorati e 14% peggiorati o uguali. Questi pazienti hanno oltre al
bagaglio di dolore lombare anche un certo bagaglio psicologico a volte. Un paziente
depresso avverte il dolore diversamente da un paziente che si rende conto di un
recupero funzionale di un certo grado anche se non totale e riesce ad apprezzare di
più ciò che ha acquisito.
L’incidenza complessiva delle complicanze va dal 3 al 6%, un rischio di re intervento dal 3 al 15%,
con un rischio di mortalità a 30 giorni di 0,5/1,5 su 1000 pazienti operati. In età pediatrica questo tipo
di patologia è assolutamente più raro e i pazienti che vengono al controllo hanno per lo più tra i 10
e i 30 anni con lo 0,4% di incidenza e il 78% di buoni risultati. La sindrome della cauda equina è
un’emergenza e dobbiamo agire subito. Anche per un deficit motorio ingravescente dobbiamo
portare immediatamente il paziente in sala operatoria per rimuovere la causa di compromissione
nervosa. Mentre le indicazioni elettive al trattamento (cioè arriva il paziente con lombo sciatalgia, lo
metto in lista e lo opero) sono: una sintomatologia riferita con irradiazione, una diagnosi strumentale
che mi mostra un’ ernia che sta comprimendo un nervo o è comunque estrusa nel canale midollare
e un quadro clinico ed esame obiettivo positivi. Posso decidere se effettuare il trattamento
mininvasivo o classico. Mininvasivo non vuol dire sempre migliore. La letteratura ci fa vedere come
possiamo agire per via mininvasiva per la maggior parte delle patologie vertebrali. Ciò nonostante
la mininvasività deve essere fatta da un chirurgo molto abile nella chirurgia open, perché la visione
e il campo di azione sono minori. È chiaro che nelle spondilolistesi o comunque in quelle patologie
122
del rachide che interessano diversi livelli non potrò usare l’accesso mininvasivo, ma dovrò fare
l’accesso classico. Quindi non è importante se mininvasivo o classico ma è bene dare la corretta
indicazione su dove usare il trattamento open e dove quello mininvasivo. In un intervento appropriato
abbiamo: dolore all’arto inferiore, imaging positivo, deficit neurologici maggiori. Quando dobbiamo
operare il paziente dobbiamo informarlo che è possibile una guarigione spontanea, quando questa
non avviene ci rendiamo conto che questa è un’ernia che raramente potrà andare incontro a una
remissione dei sintomi. Nei casi meno gravi effettuiamo un trattamento conservativo, negli altri diamo
indicazione per un trattamento chirurgico. Nel post-operatorio non è opportuno limitare la mobilità
del soggetto, perché non stiamo effettuando un’artrodesi, non abbiamo sovvertito l’anatomia del
paziente (abbiamo effettuato l’accesso, rimosso l’ernia dal canale midollare, ma non abbiamo creato
dei danni strutturali ). Quindi possiamo dire al paziente che può riprendere gradualmente le proprie
attività quotidiane , magari con un fascia lombare di supporto, da utilizzare nelle attività più
impegnative, e poi un programma intensivo di riabilitazione. La scomparsa della sintomatologia
algica senza intervento è possibile, quindi quando diamo l’indicazione lo dobbiamo sempre tenere a
mente.
Casi: risonanza magnetica dove vediamo l’ernia che
invade il canale midollare creando una stenosi a
questo livello con una sofferenza.
Con una proiezione assiale ci rendiamo conto che
un’ernia di questo calibro se presente a livello del
neuro forame può dare un quadro nervoso periferico
importante, questo paziente avrà una sciatalgia a
destra a causa della compressione a carico del nervo.

(Proiezione assiale)

Il controllo a 3 mesi, in questo caso non siamo intervenuti.

123
Questa è un’extraforaminale, quindi l’ernia protrude oltre il
neuro forame. In questo caso agendo con una mininvasiva
abbiamo effettuato una rimozione dell’ernia.

Nella radiografia vediamo


ben poco di queste ernie,
ma ci serve per valutare i
peduncoli (cerchietti che
vediamo qua) che ci
aiutano più che altro a
posizionare le viti per effettuare un’artrodesi nei casi in cui ci sia
un’instabilità della colonna. Nella radiografia non vediamo l’ernia
discale ma è chiaro che se lo spazio intervertebrale normale è
questo e a questo livello abbiamo questa riduzione dello spazio
intervertebrale avrà schiacciato la vertebra e probabilmente avremo una protrusione posteriore
della stessa.

124
MALATTIE DELL’APPARATO LOCOMOTORE – Lezione 8
26/05/2022

Fratture rachide Dorsolombare e stenosi canale vertebrale

Per quanto riguarda le fratture del rachide sono fratture che vediamo frequentemente in pronto
soccorso e sopratutto d’estate perché comunque le cause possono essere le più disparate
come incidenti automobilistici magari scaturiti dall’ alcool ma possono succedere anche in
gommone, in tuffi da rocce, ecc.
ANATOMIA COLONNA :
-7 vertebre cervicali
-12 vertebre dorsali
-5 vertebre lombari
-5 vertebre sacrali

La curvature:
LORDOSI cervicale
CIFOSI dorsale
LORDOSI lombare

Nei bambini queste curvature sono maggiormente rappresentate, se sono presenti in fase di
sviluppo non ci dobbiamo allarmare però andrà seguito.
Importante e anche l’anatomia della SINGOLA VERTEBRA perché da qui possiamo capire le
patologie che possono affliggerla:

-corpo vertebrale
-peduncolo: importante per il chirurgo perché permette di aggredire la vertebra con accesso
posteriore, quello che facciamo è inserire infatti Trocar che passano tra i peduncoli e ci
permettono di effettuare una cifoplastica o vertebroplastica. Nei casi in cui ci fosse invece in
rachide particolarmente instabile, sempre attraverso i peduncoli noi possiamo posizionare viti
che verranno successivamente stabilizzate con delle barre.
-processi trasversale
-processi articolari: importanti nella sintomatologia dolorosa del rachide perché in artrosi di queste
che si sviluppa a causa di un over-uso oppure in pz particolarmente predisposti, fa si che un
artrosi in questa zona che viene accentuata durante tutti i movimenti di flessione ed estensione
del rachide, porti progressivamente a un peggioramento.

125
-processi spinosi
-lamine: nei casi in cui il muro posteriore del corpo vertebrale dovesse invadere il canale
midollare, noi tramite la laminectomia (monolaterale o bilaterale) possiamo effettuare una
decompressione del canale e quindi restituire un corretto diametro al canale con beneficio sulla
sintomatologia antalgica e sulla funzionalità del midollo.
Da ricordare anche che l’anatomia delle singole vertebre varia dalla zona, per esempio le dorsali
hanno le articolazioni anche per le coste.
Questo invece è come appare una vertebra lombare quindi se noi agissimo per via posteriore
effettueremo una scheletrizzazione del processo spinoso per poi poter aggredire la vertebra
attraverso i peduncoli. Nel caso in cui poi si effettui un artrodesi (fusione vertebre che noi
aggrediamo) dobbiamo danneggiare le cartilagini articolari in modo che avvenga la fusione.
Questo è come appare il sacro e il coccige, lo dividiamo in colonne, quindi avremo delle
colonne laterale e la cresta mediale e poi il disco intervertebrale, ma importanti sono gli
apparati legamentosi perché è fondamentale la stabilizzazione della nostra colonna data
appunto da questi legamenti, ecco perché se abbiamo una frattura non possiamo fare solo una
Radiografia e pensare solo a un danno osseo ma indagare anche sui legamenti che sono
-legamento longitudinale anteriore
-legamento longitudinale posteriore
-forame intervertebrale (dove insorgono i nervi)
-capsula per le faccette articolari
-legamento giallo
-legamento interspinoso: viene rimosso durante
la scheletrizzazione quando eliminiamo tuttii processi spinosi

VASCOLARIZZAZIONE
E’ presente nel canale vertebrale un fitto plesso venoso che in casi di congestione vascolare può
portare a sofferenza midollare e quindi a quadri antalgici.
Circonda il midollo spinale e poi ci sono anche dei vasi afferenti che sono le arteriole.

Per quanto riguarda poi le emergenze, ne abbiamo parlato anche ieri, in questa immagine
vediamo lo stretto rapporto che ha il disco con il nervo che passa attraverso la sua emergenza, ed
é chiaro come un’alterazione del disco, una frattura vertebrale o comunque anche le faccette
articolari, infatti qui vediamo un artrosi interapofisaria, possono causare una sintomatologia algica
da compressione nervosa.
Vedendo una RM possiamo vedere che il nostro midollo non arriva fino a S5 e anche la
distribuzione dei dermatomeri non è uguale nell’embrione rispetto all’adulto.
Infatti vediamo come alla nascita il nostro midollo si ritira, abbiamo una migrazione di questo
mentre le radici nervose si estendono ed andranno poi a innervare quei dermatomeri che si
portano fino agli arti inferiori.
Il nostro midollo spinale è circondato da diversi strati che sono la pia madre, l’aracnoide e la dura
madre.
Quando noi effettuiamo un intervento, dopo la scheletrizzazione quello che vediamo è la dura
madre che é porzione più superficiale.
Di solito nella chirurgia spinale nella quale non sono presenti delle alterazioni intradurali come
delle neoformazioni ma dobbiamo effettuare solamente una decompressione, non c'è la
necessità di invadere la dura. Noi la vediamo ma dobbiamo cercare di non lesionarla, anche
126
perché questo comporterebbe la perdita liquido cerebrospinale con tutto ciò che ne
conseguirebbe.
Qui ci son immagini oblique che ci servono molto nel caso, come abbiamo visto la scorsa
lezione, delle spondilolistesi, ovvero nel caso di scivolamento di vertebra; questo avviene
perché oltre le alterazioni ossee possiamo avere anche un’alterazione legamentosa che nelle
solite posizioni radiografiche (anteroposteriore e laterolaterale) non sarebbero visibili mentre in
quelle dinamiche e oblique possiamo visualizzarle.
Denis ha diviso, per classificare in maniera più semplice le alterazioni vertebrali, i nostri segmenti
vertebrali in colonne.
Quindi abbiamo:
1) Colonna anteriore : - legamento longitudinale anteriore - ⅔ anteriori corpi vertebrale
- porzione anteriore anulus fibroso;

2) Colonna centrale : - legamento longitudinale posteriore - ⅓ posteriore corpo -


porzione posteriore anolus fibrosus ;

3) Colonna posteriore : - arco neurale - processi spinosi - legamento flavum- faccette


articolari .

La classificazione di Magerl invece é basata sulle caratteristiche morfologiche del trauma:

A) Traumi in compressione : fratture corpo vertebrale, la frattura più classica che


abbiamo visto, abbiamo un avvallamento della vertebra con dei frammenti;
B) Traumi in distrazione : frattura processi trasversi con allungamento della distanza tra
gli elementi vertebrali posteriori. Nella proiezione vedrò i processi spinosi che si
allontanano;
C) Traumi in torsione : sono molto caratteristiche, descrive fratture verificatesi in seguito a
torsioni assiali che spesso sovrappongono delle lesioni di tipo A e di tipo B e cioè
potremo vedere un taglio obliquo che interessa la nostra vertebra col disco che
rappresenta il quadro peggiore.
Ogni gruppo contiene 3 gruppi e ogni gruppo a sua volta 3 sottogruppi, con qualcheeccezione.

Le fratture da compressione (TIPO A) a loro volta son divise:


1) fratture da impatto: sono le più comuni e sono quelle che possiamo trattare più spesso
conservativamente. Un avvallamento con assenza di interessamento del muro
posteriore, non troppo pronunciato, possiamo portarlo a guarigione con un busto, che
può essere ad esempio a 3 punti ed eseguendo un pontaggio della zona fratturata
avremo una guarigione a circa 90 giorni.

127
Fratture causate da traumi DA COMPRESSIONE: le più comuni sono LE FRATTURE DA
IMPATTO
che sono quelle che possiamo trattare più spesso conservativamente. Le fratture come queste
che vediamo possiamo portarle a guarigione con un busto a tre punti( nel caso sia una vertebra
alta come la L1 o la D12) e in questo modo effettuiamo un pontaggio della zona fratturata e in
90 giorni il nostro paziente andrà a guarigione. È fondamentale parlare chiaro col paziente nel
senso che ,prima le fratture vertebrali causavano l’allettamento del paziente nel senso che o si
posizionavano dei busti che vedremo più avanti,oppure si consigliava al paziente il riposo
assoluto. Con i busti attuali possiamo dire al paziente di svolgere le normali attività quotidiane
,naturalmente senza sollevare particolari carichi ,e la frattura avrà un tempo di guarigione di 90
giorni. Dopo 90 giorni rimuoveremo il busto e potrà tornare alle normali attività che svolgeva
prima. Per chiarezza nei confronti del paziente la radiografia dirà”Avvallamento di L1, riduzione
in altezza di L1.” Nei controlli successivi al posizionamento del busto a 30 giorni a due mesi e a
tre mesi,per verificare che non ci sia un peggioramento, il radiologo scriverà”quadro invariato
rispetto al precedente controllo” nel caso vada tutto bene. Questo significa che il paziente ha
fatto la sua terapia,non vediamo peggioramento,ma il paziente dice”io mi son fratturato, mi
stanno trattando,ma non è cambiato niente”. E’ quindi importante dire al paziente che quando è
invariato è segno positivo,mentre se non rispetta le nostre indicazioni( si toglie il busto per fare
delle camminate piuttosto che per sedersi a
mangiare,) abbiamo un peggioramento
dell’avvallamento vertebrale,il che non va bene
perché può esitare in una compressione midollare.
Sempre nei traumi da compressione, le fratture a
split (A2) le fratture da scoppio(A3)

-I TRAUMI DA DISTRAZIONE : dove,abbiamo detto,


possiamo notare l’allontanamento dei processi
spinosi,e in questo caso abbiamo la lesione sia dei
legamenti sia della vertebra oppure possiamo avere
anche delle distrazioni ossee quindi una sezione trasversa che attraversa il processo spinoso e
la vertebra ,oppure una distrazione posteriore con distruzione anteriore e in questi casi abbiamo
uno scivolamento di questo tipo. Per maggior chiarezza vedete come nella tipoB1 la distanza tra
questi due processi spinosi sia maggiorerispetto alle altre.
Per quanto riguarda invece
-IL TRAUMA IN TORSIONE : come abbiamo detto prima, è molto caratteristico,e quindi abbiamo
quelle rotazioni con una frattura di tipo A rotazioni con frattura di tipo B
Le fratture con rotazione che hanno un’ immagine radiologica molto chiara perché ,in questo
caso,vediamo due vertebre sovrapporsi nelle quali il canale midollare sarà una porzione a
fianco ad un’altra porzione di canale, quindi è chiaro come si avrà una decapitazione del canale
midollare perché se noi facciamo una trasversa,vedremo la nostra vertebra sottostante che sta a
fianco alla vertebra allo stesso livello. Quindi i più comuni traumi vertebrali sono: le A1 di tipo
semplice, le A2 da split e le A3 da scoppio. Le semplici fra cui da compressione,di alcune ne
abbiamo parlato, sono stabili quindi il paziente se segue le nostre indicazioni può evitare
l’intervento oppure possiamo trattare con metodiche meno invasive che vedremo dopo,quindi

128
abbiamo una lesione isolata della colonna anteriore, causata da un meccanismo di
flessione,che raramente si associa a deficit neurologici perché è lontana dalle emergenze
nervose e dal canale midollare. Quindi nelle tipo A1 : abbiamo la perdita di altezza vertebrale
anteriore..con conseguente angolazione di meno di 5° ,nelleA1-2 abbiamo la perdita di altezza
vertebrale anteriore con conseguente angolazione di più di 5°e nelle A1-3 abbiamo il crollo del
corpo vertebrale, con perdita simmetrica dell’asse vertebrale come si osserva nelle vertebre di
pazienti osteoporotici che hanno avuto più fratture vertebrali.
Nelle tipo A2 invece vediamo come avviene lo split della vertebra ,sono quindi quelle vertebre
che vengono definite spaccate in due, quindi con una lesione sagittale o coronale
,quindi
,le A2-2 formano split ,
le A2-3 in(self-fracture…)……in cui la parte centrale del corpo è schiacciata e in cui il disco
intervertebrale si inserisce tra le due porzioni ossee. Questo tipo di frattura non può guarire
perché i disco non permette ai due frammenti ossei di toccarsi . Le più caratteristiche ,
le fratture da scoppio,: in genere la colonna anteriore e media da meccanismi di
compressione, la colonna posteriore può essere danneggiata in compressione laterale o
rotazione. Si associa ad una cifosi posttraumatica , comparsa di progressivi segni neurologici
correlati all’instabilita. Questo perché, come vediamo nel danno della nostra vertebra alcuni
frammenti possono andare a ridurre l’ampiezza del canale midollare oppure danneggiare
l’emergenza nervosa. é chiaro come in questo caso abbiamo invasione del canale midollare
con tutte le conseguenze neurologiche.
Le tipoA3 si dividono anch’esse in sottogruppi . le A3-1 che son fratture da scoppio incomplete
con scoppio dell’altezza superiore e inferiore del corpo,
le A3-2 sono fratture da scoppio con scoppio di metà della vertebra e la frattura sagittale del
resto,oppure le fratture da scoppio completo in cui abbiamo questo quadro che è presente a
carico di tutta la vertebra e quindi è chiaro come il corpo della vertebra risulti particolarmente
frammentato e possa di conseguenza andare ad influire sulle strutture nervose che si trovano
nelle vicinanze.
Le A3-3 le possiamo suddividere in un altro sottogruppo che sono le(22:54……fracture), fratture
da scoppio complete assiali.
Questo è un esempio di questo tipo di fratture, questo è quello che dicevamo prima, una vertebra
risulta affianco all’altra, è chiaro che qui quindi c'è stato un danno midollare.
Nel tipo B rottura posteriore principalmente legamentosa nelle B1, poi abbiamo le B2 con una
rottura posteriore principalmente ossea e poi le B3 con una rottura anteriore attraverso il disco,
quindi abbiamo un danno legamentoso che poi si estende al nostro disco anteriormente.
Le B1 quindi sono un tipo di frattura posteriore a predominanza legamentosa e queste possono
avvenire per una pressione con sub-lussazione, una lussazione anteriore del nostro corpo
vertebrale vedete qua dal disegno quelle che avviene a livello delle emergenze e quindi del
canale midollare e le fratture articolari bilaterali è chiaro che determinano uno scivolamento nelle
fratture di questo tipo.
Nelle fratture di tipo B2 abbiamo invece una rottura della porzione posteriore di tipo ossea,
quindi abbiamo una rottura trasversale delle due sponde, una rottura trasversale del disco,
oppure una rottura del corpo vertebrale del tipo A, questa e una frattura di Shanz che avviene nel
rachide toracico e vi è una lesione orizzontale del corpo vertebrale passando per l'arco
posteriore; ed è causata da una brusca flessione.
Mentre le tipo B3 sono rotture anteriori attraverso il disco, possono avvenire per
iperestensione con sub-lussazione, iperestensione con spondilo distesi oppure una lussazione
posteriore; il contrario rispetto a quello che ci siamo detti prima.

129
Lesioni frequenti nei pazienti con spondilite anchilopoietica è correlata con rigidità rachidea, è
chiaro che se il rachide del paziente ha perso la sua elasticità a causa di una patologia
reumatica ha un quadro di maggior rigidità si assocerà una minore elasticità e quindi in caso di
traumi in flessione o estensione questo si potrà danneggiare più facilmente.
Le tipo C sono fratture invece verificatasi in seguito a torsioni assiali e che spesso sono
sovrapposte a lesione A e B e le dividiamo in C1, C2, C3.
Le C1 di tipo A fratture con rotazione, le C2 di tipo B frattura con rotazione ma abbiamo un
attraversamento del disco, mentre nelle rotation (?) abbiamo quel quadro obliquo
interessamento di più vertebre e di più porzioni vertebrali come del corpo del disco e dei
legamenti che appunto causano quei quadri complessi.
Le tipo C2 sono quelle di tipo b più rotazione.
Nel caso invece di fratture di tipo C3 le dividiamo C3-1 frattura aperta o C3-2 frattura obliqua. E’
fondamentale in questi pazienti una valutazione clinica, quindi dobbiamo conoscere il
meccanismo della frattura, questo cambia anche in base al paziente che abbiamo davanti,un
paziente anziano osteoporotico può causare la frattura di 3 vertebre anche cadendo dalla sedia.
Fondamentale per questi pazienti è in prima linea effettuare una RX di controllo.
Successivamente se pensiamo ad un interessamento midollare o dei tessuti molli facciamo una
RM, mentre se per esempio il nostro paziente arriva in pronto soccorso con un frattura
vertebrale all rx e ci sembra interessato il muro posteriore prima della RM noi chiederemo un TC
perché ci indicherà se il nostro muro posteriore osseo è intaccato e in che misura la porzione
ossea si sta proiettando nel canale midollare.
I segni radiografici di instabilità sono: la dislocazione, l'allargamento dello spazio interlaminare,
l'ampliamento della distanza interpeduncolare e l'ampliamento delle faccette articolari e il
disallineamento del muro posteriore.
Per chiarezza quando noi facciamo un intervento, come una stabilizzazione le strutture che e le
immagini radiografiche che ci interessano sono quelle che mostrano i peduncoli,quindi
attraverso i peduncoli possiamo posizionare i nostri trocar (per esempio per una cifoplastica),
oppure le nostre viti per la stabilizzazione di quella porzione del rachide.
Quindi con l’analisi radiologica possiamo valutare lesione da compressione secondo la
classificazione di Muller, le lesioni anteriori isolate, quindi con un affossamento cuneiforme o
con la separazione o con lo scoppio, attraverso anche l’aumento dello spazio interpeduncolare.
Poi sempre con l’analisi radiologica possiamo valutare le lesioni legamentose quindi quelle di
tipo B1 con un aumento dello spazio interspinoso e con la sublussazione delle articolari e le
lesioni fosse B2 dove abbiamo lo spostamento orizzontale delle lamine dell’istmo con un
disallineamento del muro vertebrale posteriore. In questo caso, in questa radiografia vediamo
una spondilolistesi traumatica, cioè abbiamo avuto una frattura dell’istmo con scivolamento di L5
su S1, quindi è chiaro che se il canale midollare seguiva questa linea ipotetica che segue le
vertebre, in questo caso ha subito un brusco restringimento che può causare dei danni neurali.
Sempre secondo l’analisi radiologica nelle lesioni di tipo C abbiamo lo scivolamento delle
spinose, quindi le vedrò disallineate; una lussazione articolare unilaterale perché appunto
l’articolazione tra una vertebra e l’altra si posizionerà su un piano di proiezione differente e poi
naturalmente una deformità rotatoria dei corpi vertebrali. Lesioni gravi legate a un trauma
complesso dove si uniscono rotazione, compressione e distrazione; quindi abbiamo in questo
caso l’appiattimento della nostra vertebra, una vertebra plana. Diciamo che mentre in questo il
paziente è stato più fortunato, se vedete l'asimmetria del canale è comunque integra nonostante
questo mio quadro particolarmente ha valutato che ci sia un interessamento del muro posteriore,
in questo caso questo d’allineamento tra le vertebre ci suggerisce che comunque ci sia stato
sicuramente un danno midollare. Come ci comportiamo con le fratture da accostamento? Quindi

130
abbiamo detto prima appunto che le metodiche sono un po’ cambiate rispetto al passato; prima
uno dei metodi era questo strumento che sembra più uno strumento di tortura nel quale
attraverso una trazione si distraeva la vertebra fratturata e dopodiché si posizionava un gesso;
ma non stiamo parlando di 100 anni fa; per questo tipo di trattamento ad esempio in alcuni
ospedali ad esempio all’ospedale civile di Sassari ma anche ad Alghero meno di 30-40 anni fa, si
utilizzavano e ci sono ancora i lettini per mettere il paziente in ipertensione e posizionare i busti
gessati, quindi questo paziente dovrà tenere questo busto gessato per mesi fino a guarigione
della frattura. Diciamo che questo è cambiato nel tempo quindi oltre ad esistere dei busti più
comodi come il busto a 3 punti o lo spinovert che si usa nei casi di fratture vertebrali più alte
dove una fascia lombare non basta, abbiamo anche altri strumenti di tipo chirurgico come
vertebroplastiche, circoplastiche. Questa per esempio è una vertebra trattata con
vertebroplastica. Quindi praticamente che cosa si fa? Attraverso quei trocar di cui parlavamo
prima si attraversano i peduncoli e si inserisce il cemento il PMMA, il polimetilmetacrilato, e
questo causa una reazione che lo porta velocemente ad indurirsi; perchè noi quando lo
iniettiamo è liquido e questo fa sì che la solidità di quella vertebra sia ripristinata; e questo fa sì
che il paziente possa tornare in maniera più agile a svolgere le proprie attività quotidiane senza
tenere indossato il busto; e quindi questo serve per un ritorno del paziente alle capacità
funzionali primarie, una massimizzazione delle sue funzioni e un minimizzazione dell’impatto sui
costi, perché per tenere un paziente con un busto per 90 giorni significa che non andrà a
lavorare quel paziente per 90 giorni, dunque ci sono dei costi per la società che sono importanti.
In presenza di un deficit neurologico però questo non basta e dobbiamo agire chirurgicamente in
altri modi; quindi questa per esempio è una frattura cervicale con lesione del canale midollare e
quindi che cosa facciamo? Cerchiamo una scheletrizzazione e dopodiché stabilizziamo le nostre
vertebre con delle viti e delle barre. Questo è un altro caso e vediamo l’estensione che in questo
caso ha questo costrutto e lo utilizziamo nei pazienti neurologicamente normali ma con lesioni
spinali instabili oppure con lesioni neurologiche non progressive; quindi dobbiamo utilizzare la
nostra riduzione aperta il prima possibile in modo da decomprimere le strutture interessate. La
lesione deve essere definita chiaramente prima dell’intervento, perché se avrò un trattamento in
base a ciò che vedo però ho valutato male il paziente, avrò dunque un trattamento sbagliato e
quindi il paziente non andrà incontro a guarigione. Quindi quando io effettuo una
vertebroplastica, devo effettuare innanzitutto una radiografia e se vediamo in queste due
vertebre per esempio è presente un avvallamento; queste sono fratture vertebrali, a volte al
posto di frattura vertebrale nei referti leggerete avvallamento vertebrale. Ma effettivamente
soprattutto nel paziente anziano osteoporotico possono esserci diverse vertebre con degli
avvallamenti e dovrete sapere l’età di quella frattura, perché voi non sapete se si è fratturato il
giorno prima, il mese prima o un anno prima, perché come abbiamo detto una volta che la
frattura è stata stabilizzata mantiene lo stesso aspetto; allora in questi casi ci aiuta la risonanza
magnetica. La risonanza magnetica ha in queste sequenze una diversa captazione dell’edema e
quindi ci mostra che quella frattura è giovane, è fresca; quindi che cosa significa? Perché è così
importante vedere che quella frattura è una frattura che si è appena sviluppata oppure è una
vecchia frattura? Perché come abbiamo detto prima il PMMA che noi iniettiamo è liquido, quindi
se noi cerchiamo di iniettare il nostro cemento in una vertebra che era fratturata in precedenza,
le vertebre sono dure, hanno osso spongioso all’interno quindi sarà impossibile riempirle con del
cemento.
Nella frattura “fresca” invece, grazie al fatto che le trabecole saranno danneggiate o comunque
la vertebra avrà perso la sua solidità, sarà possibile iniettare il nostro cemento. Quando vi è
anche un interessamento del canale vertebrale questo potrebbe non bastare, perciò sarà
necessario effettuare un’artrodesi vertebrale o comunque una decompressione; quindi prima di

131
tutto effettuiamo la nostra scheletrizzazione seguita da i vari step che si concludono con la
stabilizzazione ossea (solitamente con approccio posteriore, quando questo non è sufficiente
per garantire la stabilizzazione si associa all’intervento posteriore anche un intervento anteriore
posizionando delle “cage” che garantiranno una maggior stabilità) utilizzando due viti
peduncolari a monte, due a valle per poi unire il costrutto con delle barre, vedremo come la
vertebra anche se fratturata riprenderà la sua posizione, il canale midollare risulterà di nuovo
libero. *Mostra disegni di 40/50 anni fa che avevano lo scopo di illustrare il posizionamento del
paziente per potergli mettere il gesso, esso tende ad abbracciare tutto il busto creando non
poche problematiche soprattutto in pazienti anziani con la formazione di piaghe e maggiormente
in alcuni periodi dell’anno come l’estate*.
Per quanto riguarda la guarigione abituale da fratture da affossamento si utilizza un “busto a tre
punti” (chiamato così perché ha una presa sternale, una lombare e una pubica) che garantisce
una certa mobilità al paziente togliendo comunque il carico dalle strutture vertebrali.
-Avvallamento di T12 = gli avvallamenti del passaggio dorso-lombare sono molto frequenti
soprattutto nei lavoratori manuali perché è una parte di transizione dove si scarica il carico in
maniera considerevole e quindi spesso si va incontro a questo tipo di fratture;
Spesso abbiamo come risultato di più fratture la cifosi perché naturalmente perdiamo il
bilanciamento sagittale dovuto alla perdita anche della corretta proiezione dell’asse che le
vertebre normalmente ci garantiscono. Nei casi di fratture trattate conservativamente, in cui una
frattura vertebrale non guarisce in maniera ottimale e in più non essendo stata effettuata
un’artrodesi, può avvenire che la vertebra soprastante “affondi”,
Il paziente in questo caso può essere anche rimasto asintomatico ma vediamo come il
disallineamento può far sì che ci siano dei danni molto probabili.
I disturbi neurologici li abbiamo già visti legati a ernie del disco, e sappiamo che i nostri
dermatomeri seguono diverse vie a seconda del livello interessato; è quindi fondamentale
nell’eventuale trattamento chirurgico liberare il canale midollare, ridurre le deformazioni, e
stabilizzare le fratture.
Il tempo posteriore è quello che privilegiamo, diciamo che a volte questo non basta e quindi
dobbiamo effettuare o un tempo anteriore e uno posteriore, oppure oltre che la laminectomia
decompressiva, effettuare anche una stabilizzazione con una sintesi per esempio con delle viti e
delle barre, o a volte anche con un trapianto osseo.

Qua vediamo un caso clinico con frattura di D7 su D8, e questo è come ci è apparso sia
radiograficamente sia dopo l’accesso open. Quindi il paziente in questo caso ha poi sviluppato
paraplegia perché ha danneggiato il midollo spinale. Abbiamo stabilizzato le vertebre con delle
viti e delle barre, e decompressione posteriore e osteosintesi con due placche.

132
In questo caso avevamo invece la spondilodistesi, che abbiamo visto prima, in cui abbiamo ridotto
(dettaglio più tecnico) ora col tempo gli accessi mini invasivi son più frequenti, e scivolamenti di
questo tipo danno ancora un indicazione per l’accesso classic open, e effettuare la riduzione di
lussazione di L5 su L1 e osteosintesi con barre e viti.

133
Qui vediamo compressione di cauda equina e non è stata effettuata artrodesi, le barre di
harrington permettono una distrazione dei vari spostamenti.

Abbiamo le placche di Roy-camille che si associano a delle viti intervertebrali. E in basso


abbiamo un artrodesi di L5 su L1, un frammento di proietta anteriormente uno posteriormente
e anche qui abbiamo effettuato artrodesi posteriore.

134
Abbiamo parlato del disco intervertebrale, delle fratture vertebrali, e un altro argomento
importante è la stenosi del canale vertebrale. L’anatomia delle strutture e dei legamenti è chiara;
Le varie strutture che servono a circondare quelle ossee quindi processi trasversi, faccette
articolari, dischi Intervertebrali col suo nucleo, le articolazioni interapofisarie (molto importanti
perché un artrosi marcata di queste può causare un restringimento del canale midollare
soprattutto nei casi più gravi, una loro ipertrofia dovuta a osteofiti o degenerazione artrosica può
poi ridurre lo spazio causando stenosi). Le emergenze nervose e la protezione data dalle
membrane del midollo sono fondamentali. (Spazio epidurale, subdurale, subaracnoideo, e
subpiale). (vedi slide con ripasso anatomia).

135
STENOSI CANALE LOMBARE:
Non è altro che un restringimento del canale spinale che aumenta la pressione a livello del
sacco durale e delle radici spinali causando:
-dolore cronico
-deficit sensitivo-motori
-Claudicatio neurogena intermittente

L’ampiezza del canale è di:


-normale 15mm;
-Relativamente stretta tra 13-14mm;
-Molto stretta <12mm.

Abbiamo diverse porzioni che possono essere interessate:


-zone interarticolari
-somato-arcali
-del canale radicolare

Questo tipo di problema non è recente ma ha una lunga storia, già si descriveva questo
quadro con sintomi correlati in passato (1909-1997), è nota anche una sindrome detta s. Di
Verbiest.

Le cause congenite:
-nanismo acondroplasico (raro)
- brevità peduncoli

Le cause acquisite:
-Degenerazione disco intervertebrale
-Osteofitosi (osteofiti che restringono il canale)
-Spondilodistesi degenerative

CLINICA
-Claudicatio neurogena, parestesie arti inf, dolore lombosacrale glutei e arti che peggiora
con sforzo.
La flessione del rachide in avanti riduce la sintomatologia, da seduto non ha dolore.
La causa del dolore è un ingorgo vascolare, è compromesso l’efflusso venoso.
Dobbiamo sempre escludere che ci siano Neoplasie, sindromi della cava, fratture, aneurismi
e altre patologie non ortopediche.

136
Praticamente la spondilodistesi non è altro che un difetto della parte intra articolare che
consiste in un'interruzione o allungamento senza separazione della parte ossea che unisce i
processi articolari superiori e inferiori. Possono essere di due tipi differenti, le forme
congenite e le forme acquisite.
Diciamo che quando abbiamo delle spondilodistesi congenite il quadro sarà sfumato perché
comunque il canale e le strutture neurali avranno avuto tutte le condizioni di svilupparsi e di
adeguarsi all'alterazione morfologica. Mentre nel caso sia la condizione traumatica significa
che avviene una frattura e quindi uno scivolamento e quindi un danno più probabile alle
strutture nervose. Anche in questo caso effettuerò degli esami strumentali quali
rx,tac, risonanza magnetica e anche l'elettromiografia che mi aiuta a capire se ci sono dei
danni neuronali periferici.

TRATTAMENTO
Il trattamento può essere:
- non chirurgico quindi riposo o infiltrazioni di steroidi
-esercizio fisico
- chirurgico
è chiaro che nei casi in cui la stenosi è serrata dobbiamo a chirurgicamente,
per esempio con una decompressione, come abbiamo parlato per i restringimenti del canale
midollare.
Diciamo che il principio di azione chirurgico è lo stesso con lo scopo di decomprimere le
strutture sofferenti. Quindi in questo caso è stata effettuata una laminectomia dove il
chirurgo con accesso open ha posizionato delle viti che poi sono state stabilizzate con delle
barre. Abbiamo una cascata degenerativa di questi pazienti quindi spesso abbiamo una
degenerazione di scale quindi (non si capisce) del nucleo e dell’anulus fibroso che poi
ipertrofia delle apofisi dei processi articolari ed ispessimento del legamento giallo. Tutto
questo contribuisce al restringimento del canale vertebrale.
I sintomi sono esacerbati sia durante l’estensione del
rachide sia durante la deambulazione.
Diciamo che in passato si utilizzavano degli spaziatori interspinosi ovvero spaziatori che
venivano messi tra i processi spinosi ma ora sono meno utilizzati. Questi danno subito
sollievo quindi si pensava che fosse un trattamento rivoluzionario ma in realtà si è visto che
andando a lavorare in trazione sulla colonna posteriore nel tempo crea un sovraccarico
anteriore della vertebra, per questo ora non si usano più di tanto se non in casi
particolarmente indicati.

DIAGNOSI
-La clinica
-Immagini rx

E poi esiste una enorme variabilità di trattamenti che non sto ad indicarli tutti però vi dico che
oggi oltre al tipo di trattamenti sono cambiati e sono stati aggiunti anche materiali rispetto al
passato come per esempio titanio, carbonio, si usa anche l’argento perché l’argento che
riveste il titanio associa le proprietà meccaniche del titanio all’attività antibatterica
dell’argento.
L’importante é comunque che tutti questi siano biocompatibili e permettano una
stabilizzazione dinamica, cioè non stabilizziamo il paziente per tenerlo immobile ma il pz
dovrà riprendere nelle sue attività dove possibile.

137
In alcuni casi possiamo utilizzare una tecnica mini invasiva che oggi è molto usata perché
comunque genera un danno muscolare molto minore ed una ripresa del pz più veloce. Con
le (spondilolistesi) è meglio fare l’accesso open o meglio così dice la letteratura però
comunque se ho una stenosi del lume vertebrale e devo fare una laminectomia dovrò fare
un accesso open per poter liberare il midollo spinale.
Aldilà del trattamento usato ciò che ci interessa è stabilizzare le vertebre, ripristinare il
canale midollare, risolvere la stenosi e quindi far regredire la sintomatologia dolorosa del pz

138
MALATTIE DELL’APPARATO LOCOMOTORE – Lezione 9
Paganello/Sulas
31/05/2022

LE MALFORMAZIONI CONGENITE

Le malformazioni congenite sono delle alterazioni dello scheletro determinate da una


inibizione o deviazione dello sviluppo degli abbozzi embrionali. Possono essere causate da:
- fattori intrinseci: meccanici, genetici, metabolici
- fattori estrinseci teratogeni: farmaci come l’ isotetrinoina che viene utilizzato per
combattere l’acne. È quindi pericolosa la sua assunzione in maniera non
controllata, soprattutto in età adolescenziale, o in età fertile della donna poiché il
farmaco dà effetti negativi per la crescita del feto.

Dunque è fondamentale agire in maniera preventiva su quelli conosciuti; per esempio


sappiamo che un’infezione da toxoplasma o virus della rosolia nella donna in gravidanza,
specialmente fino al terzo mese di gravidanza può dare delle alterazioni del feto cosi come
anche le radiazioni ionizzanti. Questo è il motivo per il quale se farete un mestiere che vi
esporrà alle radiazioni (es. anestesiste), in caso di gravidanza, sarete congedate da questo
tipo di operazioni.

Nell’embrione umano di 8 settimane gli abbozzi cartilaginei dello scheletro sono formati, e le
malformazioni che comportano l’assenza di uno o più segmenti, causate da quei fattori di cui
abbiamo parlato, è possibile che abbiano agito prima di quel periodo. Per questo motivo
dobbiamo stare attenti soprattutto nel proteggere la donna da infezioni nel primo mese di
gravidanza.

La classificazione che utilizziamo per le malformazioni è di tipo morfologico o topografico, a


seconda appunto della morfologia e della localizzazione della malformazione.

Abbiamo quindi:
- malformazioni dello scheletro assile:
1) anomalie numeriche: agenesia totale di una vertebra, agenesia del sacro,
vertebra sovrannumeraria, costa sopranumeraria;
2) anomalie morfologiche: spina bifida, somatoschisi, emispondilo, apofisi
spinosa sopranumeraria, agenesia del Soma, spondiloschili, diastematomielia;

Per quanto riguarda le anomalie della segmentazione:


- sinostosi vertebrali, segmentazione trasversale del soma, segmentazione basale
dell’ odontoide, sinostosi costali;

Per quanto riguarda le anomalie della differenziazione regionale abbiamo:


- anomalie complesse: sindrome di Kippel Feil, che è un difetto di formazione e
differenziazione delle vertebre cervicali: questi pazienti hanno un aspetto
caratteristico poiché in questi soggetti avviene la fusione delle vertebre;

139
Abbiamo poi le malformazioni degli arti:
- ectromelie trasversali;
- amelia: assenza totale degli arti;
- focomelia: assenza o accorciamento del segmento prossimale ;
- emimelia: assenza del segmento distale;
- ectromelie longitudinali: tra cui
- aplasia del raggio esterno dell’arto superiore: avremo quindi un’assenza del radio
o della sua parte distale oppure assenza del radio, scafoide, trapezio e quindi della
porzione laterale distale dell’arto superiore;
- aplasia del raggio interno dell’arto superiore: assenza dell’ulna o delle componenti
ossee che caratterizzano la porzione mediale distale dell’arto superiore e quindi
ulna, piramidale, piriforme, uncinato, 3/4/5 metacarpo e 3/4/5 dito;
- mano a pinza: assenza 2/3/4 metacarpo e delle corrispondenti dita, oppure delle
sole dita;
- aplasia del raggio esterno dell’arto inferiore: assenza totale o parziale del perone
oppure l’assenza del perone, 4/5 metatarso e delle corrispondenti dita;
- aplasia del raggio interno dell’arto inferiore: assenza della tibia o della sua parte
distale. È chiaro che se abbiamo un ectromelia longitudiale dove manca il perone
questa sarà meno grave di un’ aplasia nella quale l’osso che manca è la tibia. Può
esserci anche un’assenza della tibia, del 1 /2 metatarso e delle corrispondenti dita.

Abbiamo poi anomalie di volume:


- ipertrofia congenita poliostotica o monostotica
- emipertrofia congenita

Tra le anomalie di segmentazione troviamo:


- sinostosi omero - radio-ulnare
- sinostosi omero – radiale
- sinostosi omero - ulnare
- sinostosi radio – ulnare
- sinostosi delle ossa carpali
- sinostosi delle ossa del bacino
- sinostosi tibio – peroneale
- sinostosi delle ossa del tarso

PIEDE TORTO CONGENITO

Per quanto riguarda il piede torto congenito non è una malformazione singola ma presenta un
gruppo di malformazioni congenite del piede presenti dalla nascita e questo ci permette, grazie
alla sua morfologia caratteristica, un range di azione abbastanza precoce visto che maggiore
è la precocità, migliore sarà l’esito questo può essere un dato a nostro favore.
Quindi il piede torto congenito è caratterizzato da un atteggiamento vizioso, cioè molte delle
sue alterazioni non sono riducibili. C’è un’ alterazione dei rapporti reciproci tra le ossa che lo
compongono cui si associano alterazioni capsulari e legamentose.

140
Esistono 4 forme di piede torto congenito:
- Il piede equino varo addotto supinato, che costituisce il 75% di tutti i piedi torti e che
ha un’incidenza di 1-3 casi ogni 1000 nati vivi;
- Il piede talo valgo;
- Il piede reflesso valgo;
- Il piede metatarso addotto.

E’ chiaro che nello studio di queste malformazioni voi verrete più spesso a contatto comunque
con dei concetti come l’equinismo, il valgismo, il talo e questo vi aiuterà poi nello studio anche
delle altre patologie, in quanto non potete conoscere le malformazioni del piede torto
congenito se non avete chiari questi concetti.

Tornando al piede torto: si caratterizza per la deviazione del piede verso l’interno, con
equinismo e supinazione del calcagno su lussazione dell’astragalo, che diviene sporgente sul
lato esterno del piede cioè dal lato controlaterale, se non trattato le caratteristiche diventano
rigide e il soggetto appoggia il lato esterno e la deambulazione avviene con zoppia (9:45),
appoggerà praticamente la porzione esterna del piede. Il piede equino varo addotto supinato
colpisce maggiormente il sesso maschile e può manifestarsi da un lato come da entrambi i
lati.
Equino = punterà verso il basso distalmente

141
L’eziologia è tuttora sconosciuta, numerose sono le ipotesi:
- alcune ipotesi sono dei disordini neuromuscolari, perché si pensa che alcuni muscoli
abbiano una trazione durante le fasi precoci pre nascita piuttosto che delle displasie
muscolo scheletriche o delle sindromi polimalformative.

- alcune teorie prevedono anche che questa malformazione sia dovuta a un


malposizionamento del piede all’interno della cavità uterina, poiché nel periodo che va
dalla sesta all’ottava settimana il piede presenta delle caratteristiche simili a quelle del
piede torto congenito, ossia equinismo, supinazione del calcagno e adduzione
dell'avampiede, tuttavia questa teoria è confutata dal fatto che in nessuna delle fasi
dello sviluppo si osservano le deformità a carico dello collo dell’astragalo.

- un’altra teoria prevede l’alterata composizione delle fibre collagene dei legamenti,
quindi si ipotizza una reazione fibrosclerotica di tali tessuti a uno stimolo primario che
porta a un vizioso posizionamento delle ossa tarsali.

- un’altra ipotesi invece è quella di un abnorme abbozzo germinale dell’astragalo che


determinerebbe le tipiche deformità che si osservano nel piede, cioè tenderà a
sublussarsi lateralmente portando quindi le altre ossa del tarso ad assumere una
posizione scorretta

- Un’altra teoria prevede lo squilibrio neuromuscolare con difetto dell’azione dei peronei
che potrebbe essere la principale causa della deformità

Detto questo l’eziopatogenesi rimane multifattoriale, non escludendo i fattori genetici e


considerando che è presente una certa familiarità.
Dal punto di vista anatomopatologico si osservano equinismo e supinazione del calcagno con
inversione del piede e deviazione plantare di scafoide e cuboide, la deformità principale è

142
determinata dalla posizione dell’astragalo che presenta sublussazione esterna, guarderà
esternamente con la sua faccia posteriore e guarderà medialmente con la sua testa ???
(13:13) nell’articolazione tibiotarsica.

Oltre alle alterazioni ossee e articolari abbiamo anche delle alterazioni di tipo legamentoso,
capsulari e tendinee, queste rappresentano uno stato alla riduzione soprattutto via via che ci
allontaniamo dal momento della nascita e quindi dal trattamento precoce, tanto più il
trattamento sarà precoce e tanto maggiori saranno le possibilità di ridurre il piede torto.

Per quanto riguarda la diagnosi viste le caratteristiche morfologiche è di facile identificazione


essendo presente alla nascita e quindi possiamo agire da subito sia con le manovre sia con i
diversi trattamenti che vediamo tra poco per una correzione di tipo manuale, tramite
determinati esercizi o tramite immobilizzazione tramite gessetti. In questi pazienti è importante
valutare la presenza di altre deformità, perché spesso si associa alla displasia congenita
dell’anca o alla spina bifida.
Possiamo iniziare, anche se la morfologia è chiara già alla nascita, con uno studio ecografico,
questo ci aiuta a rilevare questa condizione prima della nascita e a intervenire
tempestivamente.

I fattori prognostici sono:


- la riducibilità
- I solchi di retrazione
- la morfologia del piede

143
Quindi, questo era un piede equino che con le nostre manovre riusciamo a ridurre, quì c’era
un varismo calcaneale, dopo la manovra il piede è di nuovo allineato, nell’adduzione
dell'avampiede, in questo caso correggibile e nella rotazione interna, in questo caso questo
piede torto era riducibile.
Le pliche di retrazione sono un segno negativo, e in questo caso il piede è anche corto e
tozzo, questo rappresenta un fattore prognostico negativo.

La classificazione in base alla morfologia: dobbiamo osservare le varie deviazioni, anche se


questa teoria ci si è resi conto non avere particolare importanza dal punto di vista prognostico.
Infatti questa classificazione che cosa ci diceva prima?

1. Primo grado: piede inclinato rispetto alla base della gamba meno di 90 gradi

2. Secondo grado: piede che arriva ad una deviazione di 90 gradi

3. Terzo grado: piede con una deviazione maggiore di 90 gradi

Tuttavia non si è dimostrata utile nella previsione prognostica e quindi è stata abbandonata.

Quella che fa attualmente da caposaldo è la valutazione delle rigidità della deformità. Quindi
in base alla riducibilità abbiamo:

1. Primo tipo: non rigido, posturale, con riducibilità completa

2. Secondo tipo: rigido, con deformità moderata e riducibilità considerevole

3. Terzo tipo: rigido, con deformità severa, riducibilità parziale

4. Quarto tipo: non riducibile

Dimeglio, al quale dobbiamo attribuire questo tipo di classificazione, ha attribuito uno score a
4 tipi di deformità: 1. (?) 2. Varismo 3. Supinazione 4. Adduzione

La gravità in base alla riducibilità di questi atteggiamenti…

A questo punteggio possiamo sommare altri 4 punti, in basse alla presenza di una plica
cutanea posteriore, una plica cutanea mediale, un cavismo accentuato o uno scarso tropismo
dei muscoli del polpaccio.

Quindi il punteggio totale viene attribuito a 4 tipi di piede torto congenito:

1. Primo grado: (da 1 a 4 punti) piede benigno, rappresenta solo il 20% dei casi.

2. Secondo grado: (da 5 a 9 punti) piede moderato, rappresenta il 33% dei casi.

3. Terzo grado: (da 10 a 14 punti) piede grave, rappresenta il 35% dei casi.

144
4. Quarto Grado: (da 15 a 20 punti) piede molto grave, rappresenta il 12% dei casi

145
Trattamento

Il trattamento si è modificato molto nel tempo, si è passati anche ad una fase dove la maggior
parte dei piedi torti venivano trattati chirurgicamente. Poi via via si è visto che il trattamento
conservativo dava ottimi se non migliori risultati rispetto a quello chirurgico e senza i rischi ai
quali doveva andare incontro il piccolo paziente dovuti alla chirurgia.

Quindi distinguiamo: un trattamento conservativo funzionale con delle mobilizzazioni


correttive e fissaggio della correzione ottenuta con utilizzo di cerotti e docce di posizione, un
metodo conservativo con immobilizzazione e un metodo chirurgico.

Il metodo conservativo funzionale appartiene maggiormente alla scuola francese.

Il metodo francese, ideato da Dimeglio e da S…(?)

Il metodo Ponsetti, per la sua semplicità e scarsissima dispendiosità, ha ormai raggiunto


diffusione mondiale ed è quello maggiormente utilizzato.

146
Facciamo un po’ di luce anche sul metodo francese:

147
definito metodo funzionale, consiste nel posizionamento di cerotti e delle manipolazioni o con
aggiunta di valve, che potranno essere cambiate molto frequentemente.

Nonostante avvenga una parziale immobilizzazione, sono permessi dei movimenti al piede (al
contrario del metodo Ponsetti).

148
Le mobilizzazioni sono passive e lo stiramento delle strutture legamentose deve essere
eseguito con gradualità per non causare danni.

Tra le manovre abbiamo la derotazione del blocco calcaneo-pedidio, per una correzione
globale del piede. Questo come avviene? Si stabilizza la gamba rispetto al ginocchio e si posta
il piede all’esterno, mantenendolo allineato con la mano.

Dopodiché si può
eseguire la
decoaptazione dello
scafoide, che porta ad un
riallineamento dell’arto
interno. In questo modo
stabilizziamo il retropiede,
l’astragalo (in questo caso
il medico lo fa con la mano
sinistra) e si scivola con il
pollice sino allo scafoide
in basso e leggermente
verso l’esterno.

Un’ altra manovra è quella


dello stiramento e
l’allungamento del
tendine di Achille, questo
corregge l’equinismo. Si
fissa il meso piede e si tira
il calcagno verso il basso.

Stiramento della plica


medio-tarsica: questo
corregge l’adduzione
dell’articolazione medio-
tarsica e l’eventuale
sforzo di retrazione
fibroso. Stabilizziamo il
retropiede e si traziona in
avanti il primo metatarso.

I materiali che ci servono per questo tipo di manovre (metodo francese) sono: cerotti,
bendaggi, valve e gessi funzionali.

149
I problemi di questo trattamento è che il paziente può andare incontro a recidive e immaginate
il dispendio di energie, anche degli specialisti che quasi quotidianamente devono rapportarsi
con questi pazienti eseguendo particolari manovre. Inoltre spesso i pazienti non vivono vicino
all’ospedale, insomma, varie motivazioni che rendono questo tipo di metodo difficile da
eseguire rispetto al metodo Ponsetti.

150
In un’ottima percentuale di casi anche non chirurgicamente questo tipo di malformazione può
comunque essere ridotta. Il metodo Ponseti consiste invece nel posizionamento di gessetti. È
una tecnica manipolativa cioè dobbiamo effettuare delle manipolazioni in seguito alle quali
posizionare degli apparecchi gessati femoro-podalici. A ginocchio flesso una volta a
settimana/ ogni 10 giorni fino a al raggiungimento della massima extrarotazione. Quindi come
ci comporteremo nei primissimi giorni l’ortopedico provvederà con modellamenti manuali a
correggere il varismo e l’adduzione del piede, fondamentali rimangono le nostre manovre. I
modellamenti devono essere graduali e a tappe il bambino non dovrebbe piangere anche se
è utopistico. Ottenuto il modellamento e un certo grado di correzione, posizioneremo un gesso
femoro podalico cioè un gesso che va dal piede al femore, sarà flesso a 90 gradi al ginocchio
in modo che l’apparecchio non si possa sfilare e per rilasciare anche meglio il tricipite surale
perché come abbiamo detto il piede è in equinismo, di conseguenza abbiamo un
accorciamento del tendine di achille, e quindi se noi immobilizziamo in questo modo il nostro
arto inferiore del paziente avremo un rilasciamento di questi muscoli.

Dopo 10 giorni l’apparecchio verrà rimosso e si procederà ad un successivo modellamento e


nuova immobilizzazione in gesso. questo anche perché può diventare incongruente vista la
rapida crescita del bambino. Poi il bambino tende a muoversi, il gesso può non essere di
ottima qualità e dopo una decina di giorni il gesso potrebbe anche perdere la sua tenuta e
questo renderebbe vano il trattamento. Per l’equinismo residuo si deve procedere con una
correzione chirurgica entro i primi due o tre mesi di vita mediante terotomia sottocutanea del
tendine di achille cioè abbiamo detto noi posizioniamo il nostro gesso per ridurre le tensioni
presenti a livello del tendine, ma se questo non dovesse bastare si fanno delle terotomie cioè
si incide il tendine d’achille in modo che le sue fibre si rilascino ed il piede possa assumere

151
una posizione diversa da quella dell’equinismo e che vada più vicino alla sua posizione
naturale. Correzione avvenuta la il gesso può essere sostituito con lo scopo di mantenere la
correzione stessa da tutori ortopedici come il tutore di Dennis-Brown, è da tenere la notte fino
ai tre, quattro anni d’età onde evitare recidive.

Praticamente sono due scarpine tenute insieme da una porzione in alluminio e che aiutano a
mantenere il piede nella corretta posizione. Quando il trattamento inizia tardivamente perché
i genitori si devono riprendere dal trauma, o sono confusi per le diverse scuole di pensiero, si
ha una retrazione molto più importante dei tessuti molli ed è necessario effettuare altri
interventi chirurgici anche sull’apparato capsulare per favorire l’allungamento del tendine
d’achille. Bisognerà fare il trattamento con l’apparecchio gessato però con una probabilità di
restituzione di alcune deformità in posizione naturale più scarsa. Quando noi facciamo queste
manovre dobbiamo stare attenti a quello che facciamo noi stessi perché esiste il meccanismo
a schiaccianoci cioè noi dobbiamo ridurre la sublussazione dell’astragalo, ma quando
riduciamo l’equinismo e quindi portiamo dorsalmente la porzione distale del piede c’è il rischio
che venga esercitata una forza eccessiva a carico della testa dell’astragalo, della porzione
articolare dell’astragalo e questo pùò portare un appiattimento che viene schiacciato tra la
tibia ed il calcagno.

152
Le tecniche chirurgiche sono molteplici una delle più caratteristiche è ‘intervento di Codivilla
che è anche l’intervento storico e più conosciuto che prevedeva un doppio accesso posteriore
e mediale dal quale si otteneva un allungamento con la tecnica a z del tendine achilleo , la
capsuolotomia posteriore per l’articolazione tibio tarsica e dell’astragalo, incisione del
legamento peroniero astragalico e peroniero calcaneare, allungamento a z del tendine del
tibiale posteriore del flessore lungo dell’alluce al di sotto del malleolo mediale e la
capsulotomia dell’articolazione astragalo scafoidea mediale con incisione del legamento a y.
Tutti questi interventi venivano eseguiti per la correzione del piede torto congenito , ora se noi
riusciamo a eseguire precocemente una diagnosi, utilizzando il metodo Ponseti ed i gessetti
possiamo evitare anche al pz questi interventi che sono molto invasivi che determinano una
retrazione fibrosa cicatriziale.

153
Un altro intervento è quello di Turco dove si effettua il release delle parti molli posterolaterali
e mediali e poi si fa la riduzione dell’articolazione astragalo scafoidea con un filo di kirschner
mantenuto durante l’immobilizzazione gessata. Le complicanze a distanza di tempo dagli
interventi possono essere ipercorrezione con formazione di piede valgo pronato rigido,
degenerazione articolare tarsale, importante tasso di recidiva dovuto a retrazione cicatriziale
successiva agli interventi chirurgici.

Il piede talo valgo pronato è un altro tipo di piede torto con una malformazione opposta a
quella precedentemente citata per il piede equino varato e supinato. Abbiamo il bambino col

154
dorso del piede nei casi più gravi toccherà anteriormente la tibia però questa alterazione
posturale del piede è facilmente correggibile e non è rigida. Il piede si presenta che già in
opposta all’equino varo supinato, abbiamo una massima flessione dorsale e la flessione
plantare è possibile solo passivamente, ma questo è positivo perché significa che noi
manipolandolo possiamo restituirgli la corretta posizione. Questo tipo di malformazione può
essere mono o bilaterale l’associazione non è rara con il piede talo valgo e la displasia
congenita dell’anca oppure il piede talo valgo da un lato e equino dall’altro lato. Il trattamento
è meno invasivo dell’equino, anche se questo tipo di alterazione tende alla correzione
spontanea ma in alcuni casi si può ricorrere all’utilizzo di docce gessate che mantengono il
piede in flessione per 20-30 giorni.

155
Un altro tipo di malformazione è l metatarso addotto varo La porzione dell’avampiede è
addotta è caratteristica solo limitata all’avampiede è molto frequente, e abbiamo una
deviazione verso l’interno dei metatarsi e delle dita ma è assente la deformità in equinismo.
Nell’ 85 percento dei casi la risoluzione è spontanea, nelle deformità rigide il trattamento è
necessario, deve essere precoce. Esso consiste in apparecchi manuali e posizionamento di
apparecchi gessati di contenzione per 3 o 4 mesi.

Un altro tipo di malformazione è il piede reflesso valgo, questa è una rara e grave deformità
congenita ove abbiamo un’ inversione della volta longitudinale. Il trattamento è analogo a
quello del piede equino varo addotto supinato, co dei modellamenti manuali, posizionamento
di apparecchi gessati, tenotomia achillea, capsulotomia per distendere le retrazioni

156
legamentose e nelle forme inveterate un artrodesi cioè una correzione delle articolazioni con
atteggiamento vizioso. I risultati sono mediocri e spesso permane un certo tipo di
malformazione.

Un altro tipo di malformazione congenita o acquisita è quella del torcicollo congenito è una
deviazione rotatoria del capo, tendinea, con lateralità del capo e ci sono diversi tipi di ipotesi
del perché avvenga : ipotesi per la quale c’è una retrazione muscolare sia un atteggiamento
scorretto in cavità uterina, sia patologie autoimmuni, ciò che sappiamo è che ce ne sono di
diversi tipi di torcicollo congenito: il miogeno, il più frequente determina una retrazione fibrosa
dello sternocleido, un accorciamento con minore elasticità della pozione sternale e questo fa
si che ci sia un atteggiamento viziato del capo in rotazione e flessione verso il lato affetto è
prevalente la destra e il sesso femminile.

Per quanto riguarda le teorie abbiamo quella meccanica posizione abnorme del feto in utero
che porta ad ischemia di quella pozione con retrazione fibrosa e sembra essere questa la
teoria con maggior credito perché ne erano presenti molte come quella traumatica cioè

157
successivamente ad un trauma si forma un ematoma e che accadesse una retrazione
cicatriziale che portasse a questo tipo di formazione una tendinite infiammatoria a carico di
una delle due inserzioni.

Da un punto di vista dell’anatomia patologica sappiamo che la porzione più colpita è quella
sternale, spesso però si riscontra anche la retrazione del capo clavicolare. alla nascita talvolta
è presente un ematoma, un’ infiltrazione emorragica a livello muscolare e questo in realtà
potrebbe far pensare la presenza di quest ematoma pur in sintonia con la teoria meccanica
potrebbe farci pensare che essendoci un ematoma possa avvenire anche una retrazione
fibrosa aggiuntiva. La sintomatologia è un’inclinazione obbligata del capo sul lato colpito e la
contemporanea rotazione verso il lato opposto. Essendoci una retrazione delle strenocleido.
È possibile palpare il lato affetto sulla parte affetta perché è presente come una corda
sottocutanea,, può esserci emiatrofia dello scheletro del cranio facciale dovuta a questa
posizione obbligata ed eventuale scoliosi cervicale secondaria al persistere di questa
malformazione la radiologia è indispensabile per discriminare un’ alterazione muscolare da un
‘ossea per esempio a carico dei corpi vertebrali il trattamento deve essere intrapreso appena
posta la diagnosi e si basa sull’esecuzione di esercizi di stretching dello sternocleido eseguiti
di genitori nelle prime fasi, questo anche perché cosi il bambino di abitua alla manipolazione.
Dobbiamo sollecitare il bambino a tenere una postura opposta e questo ci aiuta a risolvere
quest’ alterazione, altrimenti si effettua la tenotomia delle porzioni sternale e clavicolare
questo intervento è sconsigliato nei primi due o tre anni di vita perché c’è rischio di recidiva.

Dopo l’intervento è necessario posizionare una minerva per mesi che ingloba il capo il collo
la testa ed il torace e avrà delle caratteristiche che permetteranno di acquisire una posizione
opposta rispetto a quella viziata. Dopo la rimozione sono necessari due o tre mesi di
fisiochinesi terapia. L ‘intervento ha migliori risultati se eseguito a 5 o 6 anni.

Torcicollo congenito osseo è raro


ed è dovuto ad anomalie
congenite delle vertebre cervicali.
Abbiamo sinostosi unilaterale
atlanto occipitale, emispondilie,
associazione di sinostosi e aplasie
vertebrali come nella malattia di
Klipper-Feil, 1 su 50000 individui
nati. Il trattamento è cruento ma
non è correttivo perché il problema
è osseo ma aiuta a non
aggravarsi. il torcicollo acquisito
origine osteo articolare deriva da
processi infiammatori acuti e
cronici che interessano il lato (o vasto?) cervicale o può derivare da fattori traumatici discorsivi
della colonna cervicale, come da incidente stradale con flesso estensione repentina.

Abbiamo anche il torcicollo acquisito di origine varia o sintomatico derivante da astigmatismo,


diplopia, disturbi labirintici, mastoidei, epilessia, ascessi, miopatie ed isterismo . E’ necessario
il trattamento dell’affezione primaria. Per i problemi visivi non riuscendo a mettere bene a
fuoco vengono adottati atteggiamenti posturali scorretti.

158
MALATTIE DELL’APPARATO LOCOMOTORE – Lezione 10
01/06/2022
Morato - Michelini

Paralisi Ostetriche.
Definizione e anatomia

Parliamo di lesioni nervose che si manifestano in conseguenza di un trauma sofferto dal neonato in
occasione del parto che interessano nella quasi totalità dei casi l’arto superiore.
Quindi, durante il parto un neonato viene spinto con forza dalle contrazioni uterine attraverso il
canale del parto contornato da strutture ossee del piccolo bacino. C’erano ipotesi che anche il forcipe
potesse danneggiare l’arto, ora nella pratica comune l’utilizzo del forcipe è poco diffuso essendoci
lesioni di questo tipo; la spinta delle contrazioni contro le pareti ossee rimane la causa più
accreditata. Quando bisogna disimpegnare le spalle tenendo la testa tra le mani con una manovra
di inclinazione rotatoria, si possono verificare dei movimenti di trazione sulla spalla che rimane
praticamente bloccata dalle ossa del bacino, viene quindi stirata verso il basso causando uno
stiramento sul plesso brachiale che può essere lesionato.

Da un punto di vista anatomico sappiamo che il plesso brachiale appartiene al sistema nervoso
periferico, è formato dai rami anteriori dei nervi cervicali quinto, sesto, settimo e ottavo (C5-C8), dal
ramo anteriore del primo nervo toracico (T1) e dai rami anastomotici dei nervi quarto cervicale (C4)
e secondo toracico (T2).

I tronchi primari sono:


 tronco primario superiore: ramo anteriore di C5-C6 e ramo anastomotico discendente di C4
 tronco primario medio: continuazione diretta di C7
 tronco primario inferiore: dato dall’unione di C8 e T1 I
tronchi secondari sono:
 tronco posteriore
 laterale
 mediale
Per quanto riguarda i rami collaterali abbiamo quelli dorsali e ventrali:
 quelli dorsali sono il nervo dorsale della scapola, il toracico lungo, il sottoscapolare superiore
e inferiore e il toraco-dorsale
 i ventrali sono il nervo succlavio, il nervo del muscolo grande e piccolo pettorale, nervo
scapolare

159
I rami terminali sono: il nervo ascellare e radiale, il
muscolocutaneo e mediano, l’ulnare, il nervo cutaneo
mediale del braccio e dell’avambraccio.
Di alcuni di questi nervi, come il nervo circonflesso, è
importante conoscere bene l’anatomia perché, oltre ad avere
un ruolo in questo tipo di patologia, possono essere
danneggiati durante l’accesso deltoideo nel posizionamento
di una placca per le fratture prossimali di omero. L’anatomia
del passaggio di questi nervi dobbiamo conoscerla anche per
gli interventi e per evitare dei deficit conseguenti alla nostra
azione.

Quindi, la paralisi ostetrica del nervo brachiale è una lesione


traumatica delle radici spinali che vanno da C5 a T1 ed è
dovuta ad un’eccessiva trazione esercitata durante il parto
quando le spalle del bambino stanno attraversando il canale;
il plesso viene stirato tutte le volte che la spalla e la testa
vengono allontanate una dall’altra oltre il fisiologico, cioè quando abbiamo delle strutture rigide che
fanno in modo che la trazione, quindi la forza che allontana la spalla, sia superiore a quella alla quale
il bambino è comunemente esposto.

Epidemiologia
Incidenza di 0,4-4 ogni 1000 nati vivi, è maggiore nei maschi ed il lato colpito è prevalentemente
quello destro. Il meccanismo è quello di uno stiramento di uno o più componenti del plesso brachiale.
Ci sono dei fattori predisponenti che saranno, visto che dipende dall’attraversamento del canale del
parto, delle cause materne, fetali o l’utilizzo del forcipe.
Cause materne: vizi strutturali del cingolo pelvico, contrazioni uterine scoordinate, oligoidramnios,
parto precipitoso. Fattori fetali: macrosomia, ipotonia, sbarramento degli arti superiori nella
presentazione podalica, la presenza di briglie amniotiche, presentazioni anomale.
L’arto destro è interessato nel 59,7% dei casi mentre il sinistro nel 39,5%, l’interessamento bilaterale
è dello 0.8%.

Anatomia patologica
L’anatomia patologica di queste lesioni è varia perché dipende dal tipo di lesione che subiranno le
formazioni nervose. Abbiamo:
 Neuroaprassia: è la contusione nervosa semplice, vi è perdita della funzione ma non
dell’integrità anatomica dei cilindrassi (è un semplice stiramento delle fibre nervose con
edema). Questo tipo di alterazione la possiamo avere anche nell’adulto, per esempio in un
paziente che viene sottoposto alla chirurgia spinale dove in qualche modo noi stiriamo il
nervo, oppure in caso di una frattura dell’omero in cui c’è un accorciamento longitudinale
dell’osso e noi durante l’intervento dobbiamo riposizionare i segmenti nella corretta
posizione; in questi casi possiamo causare uno stiramento nervoso, ma se avviene una
neuroaprassia attraverso cortisonici e fisioterapia possiamo con il tempo recuperare la
funzione motoria di quel nervo.
 Assonotmesi: abbiamo l’interruzione dei cilindrassi, la porzione distale dei cilindrassi
degenera mentre il neurilemma è integro. Quindi abbiamo uno stiramento e torsione delle
fibre ed una emorragia intra ed extra neuronale.

160
 Neurotmesi: abbiamo un’interruzione completa dell’elemento nervoso (cilindrasse, guaina,
neurilemma), se è presente un’avulsione di questa struttura e non effettuiamo una
riparazione del nervo questo andrà incontro a degenerazione Walleriana.

Fisiopatologia

Utilizziamo la classificazione secondo Sunderland:


 Grado 1: corrisponde alla neuroaprassia di Seddon, è prevedibile un recupero spontaneo
entro qualche settimana;
 Grado 2: è un’interruzione dell’assone, corrisponde ad una assonotmesi di Seddon ed è
prevedibile un recupero in 4-5 mesi;
 Grado 3: corrisponde alla neurotmesi di Seddon quando è intatto il perinevrio;
 Grado 4: corrisponde alla neurotmesi di Seddon quando è intatto solo l’epinevrio;
 Grado 5: perdita completa della continuità del tronco nervoso, corrisponde alla neurotmesi di
Seddon;

Rigenerazione del nervo: inizia dopo pochi giorni e procede alla velocità di 1mm al giorno, dipende
dalla dislocazione meccanica dei monconi ed è condizionata dalla quantità di connettivo presente
intorno al nervo, più è presente più lenta sarà la crescita. Per esempio, quando ci troviamo di fronte
a lesioni da taglio del polso, con una lesione anche del nervo, è importante quando eseguiamo la
riparazione che i punti di sutura non siano tesi perché se
il nervo è trazionato non va incontro a guarigione (bisogna
rispettare la posizione delle fibre nervose).

L’evoluzione del quadro anatomo-patologico è


caratterizzata da una retrazione cicatriziale del plesso
brachiale, una retrazione dei muscoli colpiti, una
retrazione ed inspessimento della capsula articolare ed
una ipoplasia e deformità degli elementi ossei ed
articolari. Il plesso non potrà generare uno stimolo muscolare, il muscolo non eserciterà una trazione
sulle strutture ossee e queste andranno incontro a dei quadri di demineralizzazione.

161
Classificazione topografica
Abbiamo lesioni di tipo superiore o di Erb-Duchenne (C5-C6), lesioni di tipo medio o di Fumarola
(C7), di tipo inferiore o di Dejerine (C8-T1), lesioni totali del plesso (C5 a T1).

1. Paralisi di tipo radicolare superiore o di ERB-DUCHENNE

Meccanismo di lesione: l’allontanamento della testa dalla spalla con un


movimento di reclinazione e rotazione controlaterale.
Segni: l’arto superiore sarà ipoplasico e cadente; il gomito esteso per
lesione muscolare degli abduttori e dei flessori, intraruotato per lesione
dei muscoli extrarotatori, pronato per lesione dei supinatori; il polso
flesso per lesione degli estensori radiale e ulnare del carpo. Quindi gli
antagonisti dei muscoli innervati dalle porzioni danneggiate avranno la
meglio. Riflessi: assenti bicipitale, radiale e di Moro, sarà presente la
prensione palmare.
Il recupero dipende dal livello della lesione: può esserci un recupero a 1
mese, se si tratta subito il paziente ed esegue fisioterapia c’è una ripresa
già dal terzo mese ed una guarigione a 6 mesi. Quindi, se trattato
accuratamente il paziente ha un certo margine di ripresa.

Rappresenta la forma più frequente (70%), sono lese le radici superiori del plesso (C5-C6) con
interessamento totale del nervo circonflesso e del nervo muscolo-cutaneo (il circonflesso lo troviamo
a livello del deltoide e si rischia di danneggiare ogni volta che facciamo un intervento di
posizionamento di placca con un accesso trans-deltoideo). Avremo una paralisi di:
 Muscolo deltoide e sopraspinoso con assenza di abduzione ed elevazione del braccio
(immaginate il paziente che si procura una frattura di omero, bisogna fare particolarmente
attenzione perché in questo caso la colpa della perdita della funzione sarebbe nostra)
 Muscolo sottospinoso e piccolo rotondo con assenza di extra-rotazione
 Muscolo bicipite, brachiale anteriore e lungo supinatore con assenza della flessione e
supinazione dell’avambraccio
Abbiamo inoltre un interessamento parziale del nervo radiale con ipovalidità del muscolo tricipite,
del brachioradiale e dell’estensore lungo del pollice. Vi sono dei disturbi della sensibilità sulla
superficie esterna del deltoide, dovuti al territorio del nervo circonflesso e del muscolo-cutaneo.

Nel neonato noteremo che l’arto sarà immobile, il gomito esteso, l’avambraccio pronato per la
prevalenza dei muscoli rotatori interni e dei pronatori; saranno presenti solo movimenti delle dita e
avrà un’ipotonia muscolare (sollevando il neonato l’arto ricade). Il riflesso di Moro è presente solo dal
lato sano e la motilità della spalla è più ampia della controlaterale perché non ha protezione. Dopo
l’età neonatale il braccio è intra-ruotato, il gomito è flesso e l’avambraccio in pronazione.
L’elevazione dell’arto si compie con anteposizione del braccio (segno del trombettiere) e l’extra-
rotazione continua ad essere limitata.

2. Lesioni di tipo medio (paralisi isolata di C7 di Fumarola)

Meccanismo di lesione: trazione forzata dell’arto atteggiato in elevazione.


Segni: gomito leggermente flesso per deficit parziale del tricipite, lieve flessione del polso per deficit
degli estensori del carpo e degli estensori delle dita. Le limitazioni sono l’estensione di avambraccio,
polso e dita della mano.

162
3. Paralisi di tipo radicolare inferiore o di Dejerine

Meccanismo di lesione: trazione forzata dell’arto in elevazione, ma è un tipo di lesione rara perché i
tronchi nervosi non presentano connessioni con le corrispondenti apofisi e quelle presenti sono
comunque meno strette rispetto a quelle della porzione superiore. In questo caso abbiamo una
lesione di C7, C8, T1 con interessamento del nervo ulnare, mediano e parte del nervo radiale, con
paralisi dei muscoli flessori ed estensori della mano, dell’eminenza tenar e ipotenar. Vi è quindi una
pronazione dell’avambraccio con flessione della mano e delle dita.
Segni: mano ad artiglio (per deficit dei flessori del polso, delle dita e dei muscoli intriseci della mano),
funzione della spalla conservata. Il riflesso di prensione palmare è assente, sono presenti turbe della
sensibilità dell’avambraccio e della mano. Questo tipo di lesione è presente anche nella Sindrome
di Horner dove abbiamo ptosi, miosi e pallore della mano.

4. Lesione totale di C5-T1

Ha una frequenza del 20%, sono lese tutte le radici del plesso brachiale e sono colpiti tutti i muscoli
dell’arto superiore. L’arto risulta intra-ruotato e l’avambraccio pronato; il palmo della mano ruotato
verso l’interno e in fuori; il polso e le dita flesse. L’arto è abbandonato lungo il corpo ed il paziente
avrà un’anestesia totale e areflessia.
Segni: paralisi flaccida, deficit sensoriale fino alla
spalla e braccio inerte (il paziente non lo può utilizzare
in nessuna maniera).

Recupero: l’articolazione della spalla è la più colpita.


Un’iniziale attività dei flessori delle dita e un grado di
attività sulle funzioni motorie in questi pazienti ha dei
risultati peggiori di chi presenta lesioni isolate, si ha un
miglioramento più lento e spesso incompleto; quando
avviene la rigenerazione spesso avviene in maniera
disordinata con rigidità e segni atipici.

Diagnosi
La diagnosi generalmente avviene subito dopo il parto
ed è clinica (ci rendiamo conto dell’atteggiamento che
il neonato assume). Spesso è associata a frattura della
clavicola, Sindrome di Horner, paralisi superiore
estesa a C4 con possibile paralisi del nervo frenico o
una paralisi superiore estesa a C7.
Quindi a questo punto facciamo un bilancio: nel neonato cerco movimenti spontanei, vedo quali
atteggiamenti assume, quali sono i movimenti riflessi, i disturbi del collo e l’ampiezza articolare.
Valuto ogni 1-2 mesi il recupero ed un’eventuale indicazione operatoria, se il paziente ha una lesione
importante e non sembra avere una buona prognosi allora si interviene chirurgicamente. Nel
bambino si esegue una valutazione dell’arto superiore, dobbiamo cercare la presenza di possibili
rigidità, di possibili movimenti innaturali, di contrazioni, di alterazioni funzionali e morfologiche.

Terapia
La terapia può essere sia riabilitativa che chirurgica, la riabilitazione da ottimi risultati soprattutto nel
bambino, naturalmente se abbiamo lesioni parziali perchè nelle totali si agisce chirurgicamente.
Esiste la microchirurgia ricostruttiva: l’ortopedico effettuerà un ripristino della continuità del nervo

163
attraverso delle microsuture, grazie a questo procedimento si effettuerà poi la riabilitazione fisica e si
riuscirà a riprendere quelle abilità motorie che altrimenti non si sarebbero riguadagnate.
Per quanto riguarda la riabilitazione, il bambino affetto da lesione ostetrica del plesso brachiale
necessita di un l’intervento che deve essere adattato alla fase di sviluppo psicomotorio, è un
intervento precoce finalizzato alla prevenzione di deformità secondarie (se io ho una lesione del
plesso brachiale e non la tratto per molto tempo avrò poi una degenerazione fibrosa della capsula,
dei legamenti, ipotonia e delle ripercussioni anche a livello osseo). L’intervento è protratto nel tempo:
0-16 anni con finalità preventive e funzioni variabili in base alle caratteristiche della lesione e agli
obiettivi raggiungibili. Se facciamo questo tipo di interventi nel paziente giovane abbiamo delle
possibilità di ripresa funzionale maggiori.

Obiettivi della riabilitazione: prevenire dei vizi posturali, rigidità articolari (nella lesione il bambino, o
l’adulto che non è stato trattato, assume una posizione errata dell’arto superiore che può portarlo a
degli atteggiamenti posturali scorretti e di conseguenza a dei dolori correlati ad una contrattura della
muscolatura, ad un alterato sagittal balance); la mobilizzazione deve essere dolce altrimenti
danneggiamo ciò che abbiamo guadagnato (abbiamo una struttura estremamente delicata che è il
nervo che cerca di riprendersi, se noi infiammiamo quella zona l’edema potrebbe danneggiarlo).
Attività psicomotorie: il paziente deve fare esperienze tattili e propriocettive, la stimolazione precoce
va effettuata con pazienza e deve essere sistematica, prima a livello della mano e poi ci portiamo
via via prossimalmente.

Trattamento riabilitativo
Da 0 a 1 anno:
- Accoglienza e comunicazione con i genitori (fondamentale dialogare con i parenti del
paziente, spiegare ai genitori perché eseguiamo un determinato trattamento);
- Anamnesi con cartella clinica descrivendo la lesione, la sede e l’estensione;
- Osservazione, dobbiamo vedere che posizione assume il bambino, quale atteggiamento il
bambino fa assumere all’arto superiore, quali muscoli adotta;
- Valutazione sulla motilità spontanea, tono muscolare, riflessi primitivi, sensibilità cutanea,
visiva e uditiva (importante controllare i riflessi in questi pazienti o in un qualunque paziente
che abbia subito un trauma perché ci danno indicazione di un possibile danno nervoso e a
che livello questo si trovi).

Da 1-2 anni:
- Attività in posizione prona (prendere un giochino posto davanti, sollevare il capo);
- Attività dell’arto leso sulla linea mediana (mano-bocca, mano-viso);
- Giochi relazionali e sensoriali con l’adulto che coinvolgano l’arto leso, questo è un ottimo
esercizio che spesso fa meravigliare anche il clinico perché il paziente fa dei movimenti che
non ci aspetteremo;
- Tecniche neuromotorie come strisciamento (attivazione dei muscoli del cingolo scapolare e
dorsali) o rotolamento;
- Tecniche neuromotorie: facilitazione della coordinazione dell’attività muscolare del collo,
spalle e arti superiori, questo serve anche perché si è visto che l’attivazione dell’arto
controlaterale fa in modo che ci sia un buon recupero anche sull’arto leso.
Dopodiché effettueremo una terapia di mantenimento al fine di evitare le retrazioni soprattutto a
livello del cingolo scapolare, prevenire la rigidità articolare, l’atrofia muscolare e la decalcificazione
ossea (se vado in ipotrofia muscolare avrò decalcificazione, soprattutto a livello delle tuberosità
omerali e delle inserzioni muscolari dell’omero). Sono fondamentali gli esercizi propriocettivi, quelli
conoscitivi di apprendimento sensitivo-motorio; dobbiamo anche lavorare su altre funzioni come
l’equilibrio, una postura corretta e la deambulazione. Effettueremo degli esercizi come la mano dietro
la nuca, dietro la schiena, toccare la bocca con le mani e la prensione.

Tra 3-5 anni:


- Esercizi conoscitivi per il controllo spaziale, per il senso di posizione e per l’equilibrio
cinestetico del tronco e dell’arto superiore (lavoro sul movimento dell’arto nello spazio);
164
- Esercizi di bimanualità;
- Esercizi per l’acquisizione di informazioni di spazio (lo stimolo tattile è importante per la
crescita del bambino), direzione, di pressione e di peso;
- Monitoraggio e trattamento se presente della scoliosi (può portare ad alterazioni posturali
che possono creare delle rigidità tali da attivare degli atteggiamenti viziosi);
- Esercizi di controllo del carico;
- Deambulazione con oscillazione degli arti (importante perché c’è attivazione del cingolo
scapolare);
- Esercizi di coordinazione combinati degli arti superiori con gli arti inferiori.
Tra 5-10 anni:
- Esercizi di equilibrio (tavoletta oscillante sulla quale il bambino è messo in posizione eretta);
- Esercizi di coordinazione (mano-naso, mano-viso);
Tra 10-16 anni:
- Esercizi di abilità, velocità, forza, resistenza e capacità coordinative per l’autonomia nella vita
familiare e sociale (rispetto a quello che avveniva qualche decennio fa, dove si pensava di
non poter fare niente nel caso di una paralisi ostetrica, ci rendiamo conto che eseguire un
trattamento riabilitativo continuativo con un follow-up severo ci permette di raggiungere ottimi
risultati).

Il grado e la quantità del recupero dipendono dal tipo e dalla gravità della lesione che il bambino ha,
il tempo di recupero varia tra 1 e 18 mesi (nelle lesioni non particolarmente gravi possiamo ottenere
buoni risultati anche abbastanza velocemente), c’è un miglior recupero nelle paralisi alte. La paralisi
dei muscoli parascapolari (perché c’è lesione delle radici prima della formazione dei tronchi nervosi)
e la Sindrome di Horner peggiorano la prognosi.
È necessario il miglioramento dell’assistenza ostetrica e dell’osservazione del medico; negli anni
prima del 1970 il recupero avveniva nel 7-40% dei casi (significa che in letteratura dei centri hanno
descritto che nel loro ospedale il 7% dei loro pazientini si riprendeva dalla paralisi ostetrica, mentre
altri centri hanno detto 40%, ci rendiamo conto dell’importanza di essere un centro che sa gestire
questo tipo di lesioni). Ad oggi il 95.7% ha un recupero completo.
L’indicazione all’intervento microchirurgico (chiamato così perché dovrebbe essere sempre utilizzato
il microscopio) deve essere precoce (3°-4° mese) poiché la successiva comparsa di segni parziali
di recupero può essere ingannevole; questi segni che ci possono far credere che ci possa essere
una ripresa, in realtà ci fanno solo ritardare il trattamento.
Le paralisi totali hanno sempre dei benefici dopo un intervento in quanto i segmenti prossimali
acquisiscono un recupero valido, anche se l’estensione attiva del gomito appare spesso incompleta.
Rispetto al quadro iniziale, un intervento ci aiuta ad avere una ripresa anche nei casi dove il
trattamento conservativo non è sufficiente, questo perché con la mancanza di continuità non può
esistere una ripresa di quel nervo. La differenza sostanziale risiede nella qualità dei risultati e nella
possibilità di apportare un maggior contingente di fibre nervose per il recupero funzionale della
mano. Questo è giustificato dal fatto che nel plesso brachiale abbiamo dei nervi importanti sui quali
possiamo anche agire in maniera diretta (è chiaro che in un neonato nel quale agiamo sulle
terminazioni nervose periferiche e su un’innervazione di muscoli come gli interdigitali, questo tipo di
intervento non darà magari dei risultati che può dare a monte perché questi si danneggiano anche più
rapidamente). Quindi, l’intervento ci offre ottime prospettive in senso di miglioramento.

165
OSTEOCONDROSI

Sono un gruppo di patologie a carico dei nuclei di ossificazione (ne abbiamo parlato anche
nell’epifisiolisi), che colpiscono durante la fase di accrescimento.
Si ha una degenerazione con necrosi e una diminuzione delle resistenze meccaniche del nucleo di
ossificazione, questo porta naturalmente ad un quadro patologico. Ha un decorso lento, benigno
con regressione della necrosi, riparazione e definitiva ossificazione.
L’incidenza tra il 20-40% tra 9-12 anni e del 30-50% tra 12-15 anni.

Tipologie di osteocondrosi
 Epifisi prossimale del femore: Morbo di Perthes
 Apofisi tibiale anteriore: Morbo di Osgood-Schlatter (abbastanza diffusa)
 Apofisi posteriore del calcagno: Morbo di Sever
 Epifisi distale del femore: Morbo di Konig
 Epifisi distale del 2°-3° metatarso: Morbo di Freiberg
 Scafoide tarsale: Morbo di Kohler
 Corpo vertebrale: Morbo di Scheuermann

Osteocondrite primitiva dell’anca o malattia di Legg-Calvè-Perthes

Degenerazione del nucleo della testa femorale, è chiaro che avremo una deformità di questa
porzione del femore prossimale. Lo classifichiamo come un incidente vascolare durante
l’accrescimento. La sofferenza vascolare causa una necrosi che altera l’accrescimento dell’estremo
superiore del femore, si ha necrosi con potenziale riparazione (nel senso che avviene una
riparazione a seguito del processo necrotico, ma quest’anca sottoposta comunque ad un carico
continuo presenterà delle deformità che porteranno ad una evoluzione della patologia).

166
La frequenza del morbo di Perthes è maggiore tra 3- 10
anni ed ha un picco di incidenza tra 4 e 7 anni, è più grave
nel bambino più grande ed è più frequente nei maschi. Nel
15-20% dei casi è bilaterale.

Sintomi: zoppia, dolore inguinale/gonalgia (sintomatologia


dolorosa dell’anca), limitazione abduzione ed intra-
rotazione, retrazione degli adduttori, amiotrofia. Quando
noi ci troviamo di fronte un bambino di 3-10 anni con questi sintomi è importante eseguire una
radiografia perché i sintomi sono simili a quelli dell’epifisiolisi.

Manovra di Thomas: è positiva solo nella prima fase, si esegue anche nel sospetto di epifisiolisi.
Porto in flessione l’arto interessato e anche l’altro segue la flessione, non rimane quindi in
estensione. Notiamo anche mettendo il paziente in posizione prona che ha un deficit nell’intra-
rotazione, cioè mentre una gamba arriverà quasi a 45° l’altra invece avrà un’intra-rotazione limitata.
Un altro test che possiamo fare è una valutazione dell’abduzione che sarà deficitaria perché appunto
la superficie articolare risulta danneggiata. Possiamo notare un’amiotrofia perché il bambino ha
dolore, non utilizza quell’arto e vedremo che un quadricipite sarà meno trofico del controlaterale.

La diagnosi è radiografica, vedrò sia una riduzione dell’altezza della testa femorale che un quadro
degenerativo a carico del nucleo di accrescimento. Talvolta, soprattutto nelle fasi iniziali, può
capitare che il bambino nonostante abbia dolore e i test positivi abbia una Rx negativa, allora in
questi casi si effettua una RMN (non espone il bambino a radiazioni come la TC); la scintigrafia è
l’esame più sensibile però è già più invasiva per un bambino.

Classificazione di Catterall
Secondo questa classificazione abbiamo
diverse fasi evolutive: fase di necrosi,
ricostruzione e rimodellamento. Chiaro è
che se il rimodellamento avviene su una
necrosi che non ha alterato la superficie
articolare, oppure su una necrosi che ne ha
determinato una modifica importante
avremo un quadro prognostico molto
diverso.

167
La malattia in media ha una durata variabile tra 18 e 30 anni.
 Fase di necrosi: dobbiamo conservare la motilità, detendere gli adduttori e se possibile
considerare la trazione a letto (immaginate però un bambino che deve passare il tempo
trazionato al letto);
 Fase di ricostruzione: dobbiamo guidare la ricrescita mantenendo la testa centrata nel cottile;
 Fase di rimodellamento: è presente spesso la perdita della sfericità, la posizione sarà
eccentrica e quindi può richiedere l’intervento chirurgico;

Questo è come il tutore di Atlanta permette di tenere gli arti inf in abduzione e quindi centrare la testa
femorale nel cottile oppure bisogna fare intervento chirurgico con osteotomie di centrazione, viene
sezionato il femore prossimale e viene centrata la testa all’interno del cottile.

Per gli esiti, se la testa è sferica e ben centrata nel cottile non svilupperà artrosi, se invece assume
una morfologia ovoide svilupperà artrosi verso i 50-60 anni, se la testa è deforme sviluppa artrosi
verso i 30-35 anni, questo significa che in questi pz dobbiamo posizionare una protesi totale d’anca
a 30-35 anni e può succedere ancora oggi in quei pz che non vengono trattati durante le fasi in cui
possiamo fare ancora qualcosa. Commento delle immagini di esiti, ci sono aree radiopache e
significa che ci sono alterazioni della struttura: rx di pz di 33 anni, alterazione del centro di rotazione,
la testa di questo femore è inclinata rispetto al centro di rotazione, il bacino non è allo stesso livello,
per questo è importante valutare anche la perpendicolare alla bis-ischiatica.

Malattia di Osgood-Schlatter

La malattia di Osgood-Schlatter è un’affezione che ha come sede


la tuberosità tibiale, dove c’è inserzione del legamento rotuleo: è
un legamento molto robusto che passando a ponte sulla rotula si
lega al legamento quadricipitale e questo crea una forza tale da
far soffrire la tuberosità tibiale rendendola una zona più fragile.
Queste alterazioni sono frequenti soprattutto tra i 10-13 anni,
soprattutto durante attività sportiva, spesso bilaterale, la
tuberosità tibiale è sporgente con dolore alla pressione e alla
estensione forzata, c’è abduzione dei frammenti cartilaginei,
notiamo all’ rx come un distacco della tuberosità per il tirare verso
l’alto del legamento.

168
La prognosi è benigna anche se restano delle deformità, c’è sviluppo normale della tuberosità tibiale,
l’ossificazione inizia a 7-9 anni e va centrifugamente verso il focolaio distale poi le placche di crescita
si saldano e verso i 15 anni nelle ragazze/18 nei ragazzi abbiamo l’epifisiodesi fisiologica e saldatura.
All’esame obiettivo noteremo delle alterazioni con tumefazione dolorosa alla palpazione ma anche
dolorabilità, dolore all’estensione del ginocchio contro resistenza perché reclutiamo in questo modo il
quadricipite e avremo dolore all’allungamento.
Da un punto di vita radiologico vediamo un aspetto sfumato in corrispondenza della tuberosità (rostro
epifisario), troviamo come la presenza di una zona erosa dell’osso epifisario subcondrale e spesso
capita di vedere una zona di frammentazione dell’inserzione legamentosa; in più può avvenire
lo spostamento anteriore del becco rostrale e raramente si stacca quella porzione con avulsione
completa.
Alla RM possiamo notare un edema del legamento, quindi aspetto sfumato, zona erosa, corpi
intralegamentosi filamentosi e raramente avulsione completa.
Trattamento: i bambini spesso fanno attività sportiva e così la situazione può peggiorare, bisogna
sospenderla. Non si blocca il ginocchio con gesso per 4-6 settimane, soprattutto non si fa in bambini
di età 10-13 anni; si può fare immobilizzazione per avere guarigione più rapida ma non deve essere
totale perché altrimenti si va a dare rigidità dell’articolazione. Bisogna evitare sforzi eccessivi e sports
più violenti per 3-4 mesi e soprattutto corticosteroidi che vengono infiltrati fanno stare meglio il
bambino però rallentano l’ossificazione e possono far perdere di trofismo le porzioni legamentose
con danni maggiori e irreparabili.
L’evoluzione avviene spontaneamente in 12-18 mesi ed è sempre favorevole, è più lunga se non si
immobilizza.
Sequele: vedremo tuberosità tibiale più sporgente (dismorfismo), ma non ci sono alterazioni
funzionali. Alcuni suggeriscono di togliere chirurgicamente con scalpello questo dismorfismo (ci sono
diverse scuole, alcuni lo fanno), ma in quella posizione si ancora il legamento rotuleo e l’intervento
potrebbe danneggiarlo (l’alterazione è solo estetica).
Complicanze della patologia non ancora stabilizzata sono: cronicità (che è sempre poco dolorosa),
ma anche l’aspetto inestetico che abbiamo già detto e ci può essere retrazione del legamento rotuleo
con conseguenze a livello femore-rotuleo (raramente).
Quando abbiamo distacco importante della tuberosità possiamo intervenire con delle viti per
ancorare la porzione che ha avuto il distacco, è necessario il trattamento chirurgico.

Malattia di Sinding-Larsen-Johansen

La malattia di Sinding-Larsen-Johansen presenta alterazione del legamento rotuleo e questa


affezione colpisce il ragazzo di 10-13 anni con dolori meccanici durante lo sforzo; i sintomi sono
simili all’Osgood. La si può confondere con una sdr rotulea ma in questo caso abbiamo un dolore
preciso nella punta inferiore della rotula; all’rx vedremo delle piccole modifiche della punta della
rotula e un quadro di piccoli distacchi ed erosioni.
L’evoluzione è favorevole col riposo (12-18 mesi) e il trattamento è lo stesso della malattia
precedente.
Ci sono complicanze gestionali e le sequele si valutano con radiografie a distanza (di solito non
rilevanti). Non è da confondere con altri quadri di traumatismi alla rotula (dal polo inf della rotula alla
tuberosità tibiale c’è legamento rotuleo mentre qua abbiamo il tendine quadricipitale; se c’è
infiammazione cronica a livello tendineo ci può essere un’ipercaptazione di calcio e spesso vediamo
quadri di ossificazione a livello dell’inserzione dei tendini; quadro simile lo si può notare nel pz attivo
dove ci può essere infiammazione della cuffia dei rotatori (l’infiammazione dei muscoli della cuffia è
spesso di tipo cronica).

169
Malattia di Sever-Blenke

C’è osteoporosi del calcagno, colpisce bambini di 8-13 anni, evoluzione di 2 anni, bambino
manifesterà dolore al calcagno.
(Altre immagini con frammentazione ed erosioni).
I quadri clinici prevedono una borsite retroachillea con
tumefazione in sede achillea all’esame obiettivo:
facciamo sdraiare il pz e valutiamo la continuità del
tendine d’Achille (pz è sdraiato prono e palpiamo il tendine
d’Achille; altro test che si fa: si fa presa sul polpaccio con
contrazioni in maniera da richiamare il piede verso il
tendine).
Tendinopatia dell’inserzione dell’achilleo: dobbiamo stare
particolarmente attenti perché questo quadro
infiammatorio dovuto a questa alterazione del calcagno
può essere tanto grave da interessare il tendine a livello
della regione periachillea e viene danneggiato rendendolo meno resistente (il tendine appare
grigiastro perché è infiammato e fisiologicamente deve sopportare sollecitazioni importanti).

Osteocondrosi di Freiberg

C’è localizzazione a livello del secondo o terzo metatarso e all’rx vediamo aberrazione della testa; si
può trattare cruentando la zona in modo da permettere la guarigione (pulizia articolare), molti adulti
però non si accorgono di avere la patologia quindi senza manifestazione.

Osteocondrosi di Kohler

C’è localizzazione a livello dello scafoide tarsale, soprattutto tra i 3 e 10 anni e la prevalenza è
soprattutto nei maschi; il trattamento è prevalentemente il riposo e possiamo utilizzare in questo
caso uno stivaletto gessato perché ci permette di non dare il carico sull’osso e non si formano
deformazioni che porterebbero ad artrosi tarsale precoce.

Malattia di Scheuermann

La malattia di Scheuermann è invece caratterizzata da un’eccessiva cifosi toracica con angolo di


Cobb maggiore a 45 gradi con deformità di 5 gradi o più e abbiamo interessamento di 3 o più vertebre
adiacenti (spesso t7 e t9), l’eziologia è sconosciuta con incidenza di 0.5-3% sulla popolazione
generale; è prevalente nel sesso maschile ed è presente una certa familiarità.
L’ernie di Schmorl sono praticamente delle lesioni benigne (non c’entrano con le osteocondrosi), ma
essendo molto diffuse sono ubiquitarie nella popolazione generale.
Il trattamento può essere sia conservativo sia chirurgico, si possono utilizzare dei busti che ci aiutano
a ottenere buoni risultati ma spesso c’è scarsa compliance (busto è rigido e va portato per 18-20 ore
e spesso i genitori per primi non lo fanno tenere ai figli impedendo di fare il trattamento conservativo);
è utile far svolgere attività sportiva (togliendo il busto per quelle ore). Il trattamento chirurgico invece
è raro, solo se la cifosi è spinta e magari può dare ridotta espansione polmonare.

170
SCOLIOSI

Ci sono le curvature del rachide normale, sul piano assiale notiamo assenza di rotazione rispetto
all’asse longitudinale o di torsione intravertebrale; sul piano sagittale c’è lordosi cervicale e lombare,
cifosi toracica e sacrale; sul piano frontale (coronale) c’è assenza di deviazioni laterali rispetto alla
linea mediana.

La scoliosi invece è dismorfismo/deformità caratterizzato da deviazione permanente sul piano


frontale della colonna vertebrale e si accompagna a rotazione vertebrale. Spesso pz vengono con
atteggiamenti posturali scorretti (ad es. perché tengono lo zaino su una sola spalla) che mimano una
scoliosi anche perché si accompagnano magari a contratture muscolari con l’instaurarsi di quadri
fissi.

Bisogna valutare eziologia, sede della vertebra e direzione dx o sx ed entità secondo i gradi di Cobb.

Ci sono alterazioni strutturali e non strutturali.

Questi ultimi sono gli atteggiamenti scoliotici: deviazioni laterali solo sul piano frontale con assenza
alterazioni vertebrali, la curva sparisce sotto carico ed è correggibile sul lato della convessità;
effettuerò radiografie col pz che fa movimenti laterali e vediamo il ripristino della normale morfologia
del rachide. In questi casi la motilità del rachide è integra e dobbiamo spronare il pz ad avere una
postura corretta e il test di Adams sarà negativo. Le scoliosi non strutturali possono essere primitive o
secondarie come le eterometrie agli arti inferiori o patologie di vario tipo (es. alterazioni agli arti inf e
il pz compensando col bacino potrebbe avere una spalla più bassa dell’altra). Le secondarie possono
essere di tipo psichico, secondarie a radicolopatie, a flogosi, ad eterometrie agli arti inf, a contratture
muscolari.

Nelle strutturali sono presenti deviazioni laterali del rachide e sul piano sagittale sono presenti
accentuazioni delle normali curve o sostituzioni delle stesse in senso opposto; la rotazione delle
vertebre e la torsione ha ripercussione sulle strutture adiacenti, ad es. a livello costale c’è curvatura
che si ripercuote a livello toracico (deformità toracica) quando c’è torsione e rotazione
intervertebrale. Le caratteristiche delle scoliosi strutturali sono delle alterazioni sul piano sagittale,
frontale, assiale, con mancata correzione nei radiogrammi in posizione supina e in bending laterale.
Quando facciamo piegare il pz in avanti a ginocchia estese per valutare eventuali curvature vedremo
un gibbo irriducibile con grado di rigidità e se donna è importante sapere se ha già avuto le prime
mestruazioni perché si è visto che successivamente c’è un picco di crescita e questo, se non stiamo
trattando già la scoliosi, può portare a un peggioramento della stessa nella giovane pz.

171
L’eziologia è idiopatica nel 95% dei casi, negli altri casi abbiamo neuropatie (poliomielite) o miopatie
(distrofie muscolari) o cause congenite nel difetto di formazione nelle vertebre. Nella
neurofibromatosi è spesso presente la scoliosi.

C’è classificazione di Mac Ewan per le scoliosi congenite dove abbiamo:

 difetti di formazione parziali (vertebra cuneiforme) o completi (emivertebre),


 difetti di segmentazione unilaterali (con una barra non segmentata) o bilaterali (con una
fusione),
 forme non classificabili (es. alterazione con deformità parziale a cuneo o l’assenza della
porzione complementare alla vertebra interessata che porta a deviazione con sviluppo di
scoliosi)

Abbiamo altre cause come malattia del mesenchima (es. sdr di Marfan), malattie reumatiche, traumi,
osteocondrodisplasie, malattie metaboliche, tumori e infezioni.

La scoliosi idiopatica può essere infantile (0-3 anni), giovanile (3-10) e dell’adolescenza; l’infantile si
risolve spontaneamente (autolimitante) mentre l’evolutiva è la forma più grave, peggiora con
l’accrescimento e prima insorge la malattia e peggiore sarà la prognosi, di solito progredisce di 5
gradi all’anno ed è fondamentale trattarla con dei corsetti.

La classificazione può essere anche in base a età, topografia, grado di Cobb, grado di strutturazione.
Per la topografia abbiamo necessità della localizzazione della vertebra apice con cui possiamo
valutare la vertebra col maggior grado di deformazione (in base a rotazione e distanza della vertebra
dall’asse longitudinale). Valutiamo poi le curve cervicali, cervicotoraciche, toracica, lombare e
lombosacrale.

Il tipo di corsetto da utilizzare varia a seconda del segmento di rachide interessato, quando si valuta
pz con scoliosi è importante valutare le curvature.

Il metodo di Cobb è il grado di inclinazione della curva scoliotica che è espresso dall’angolo formato
dalle due perpendicolari alle rette tangenti rispettivamente alla limitante superiore della vertebra
terminale craniale e alla limitante inf della vertebra terminale caudale. Questo ci permette di valutare
il grado di curvatura laterale al controllo rx: prendo la vertebra col maggior grado di inclinazione
superiormente (cranialmente) e inferiormente (caudale), traccio le perpendicolari e ottengo l’angolo
di Cobb. L’angolo può essere sotto i 20 gradi (piccola entità), oltre i 40 gradi diventa media entità, oltre
i 70 c’è soprattutto nelle patologie neuromuscolari. Esiste il metodo di Ferguson per valutare il grado
dell’inclinazione della curva scoliotica ed è espresso dall’angolo formato dalle rette che uniscono il
centro delle due vertebre “terminali” col centro della vertebra “apicale”, quest’ultima di solito coincide
col centro della curva scoliotica: l’intersecarsi delle due perpendicolari avviene nel massimo della
curva. Metodo di Moo: si valuta entità di rotazione dei peduncoli vertebrali, più spostati sono i
peduncoli maggiore è il grado di rotazione.

Dobbiamo determinare il grado di strutturazione quando il rachide presenta due o più curve e
dobbiamo definire quali siano le curve primitive e quali le compensatorie: il nostro pz magari arriva a
13 anni e facciamo follow up dopo 6 mesi per decidere se mettere il busto ma se dopo 6 mesi il
genitore non lo porta e arriva dopo 3 anni faremo rx e vedremo che ci può essere scoliosi di
compenso, spesso toracica (avviene scompenso controlaterale dovuto alla curva maggiore).

172
Incidenza:

Alterazioni funzionali sono presenti spesso nei bambini e sono presenti fino al 13% dei bambini delle
scoliosi strutturali.

Storia naturale:

La scoliosi strutturale va trattata precocemente e seguita con follow up stretti (6 mesi-1 anno) con
rx su griglia in modo da valutare i vari angoli e bisogna anche valutare i fattori di rischio evolutivi
delle curve soprattutto dell’età evolutiva e in caso di bambini con genitori molto alti (possono avere
più tempo di crescita in cui sviluppare deformità peggiore). Si devono valutare anche sede
topografica e tipo di alterazioni geometriche; anche valutare età anagrafica, età scheletrica, stato
scheletrico e lo spurt puberale.
Si utilizza l’indice di Risser che va a valutare anche la maturità scheletrica e si basa sull’evoluzione
e saldatura (all’rx quando vedremo o un nucleo di accrescimento che indicherà che è ancora possibile
una crescita, invece quando nonostante la scoliosi minore di 20 gradi noteremo una chiusura con
maturazione completa della crescita possiamo stare più tranquilli). Le curve toraciche sono più
predisposte a peggiorare rispetto alle altre e dobbiamo valutare i fattori di rischio in toto (biologici,
meccanici).

Trattamento:

Il trattamento può essere conservativo o chirurgico; il primo consiste in busti, sono rigidi e bloccano il
processo evolutivo con azione stabilizzante e correttiva, esistono diversi tipi. Il Milwaukee per le
scoliosi toraciche e toracolombari; toraciche e toracolombari sono trattate con il Lionese, il Boston
Brace è per toracolombari e lombari.

I busti sono prodotti in plastica rigida, a volte anche colorati per renderli più accettabili da un puntodi
vista estetico.

Il trattamento chirurgico prevede posizionamento di barre e viti per ridurre le curve e una curvatura
molta accentuata può essere ridotta, anche in caso di doppie curvature.

Immagini con es. di casi operati.

173
MALATTIE DELL’APPARATO LOCOMOTORE - Lezione 11
07/06/22
Carta- Battistini

Durante la lezione di oggi parleremo di tre argomenti diversi tra loro che sono Osteoporosi,
Osteomielite e Morbo di Paget, tre patologie diverse tra loro (e con età di esordio differente) però
tutte colpiscono le ossa. L’osteoporosi la troveremo in diverse fasi dell’età ed esiste una
classificazione in base alla quale si riconosce, il morbo di Paget e l’osteomielite si discostano invece
da questo tipo di classificazione.
Osteoporosi
Sappiamo che l’osso è un tessuto dinamico e metabolicamente attivo, cioè le sue cellule sono attive
e troviamo anche una composizione di fibre collagene di tipo I e di idrossiapatite. È composto per il
20% da acqua, il 45% da idrossiapatite e il 35% da sostanza inorganica.
Il metabolismo osseo viene regolato da diversi fattori che possono essere di tipo ormonale,
biochimico, biomeccanico, cellulari e patologici.
La neo deposizione ossea dipende da un equilibrio che si trova in natura tra riassorbimento e
deposizione ossea: ogni volta che avviene il riassorbimento oppure la deposizione avviene anche
un rimodellamento. Abbiamo: cellule osteogeniche come precursori, gli osteoblasti, poi gli
osteoclasti e gli osteociti (che sono la forma matura degli osteoblasti) e infine gli elementi emopoietici
del midollo osseo.
Gli osteoblasti sono delle cellule immature metabolicamente attive che producono osteoide quindi
sono le responsabili della deposizione, quando la loro attività sta per venire a termine alcuni
osteoblasti si differenziano in osteociti: questi hanno dei prolungamenti citoplasmatici e sono immersi
all’interno della matrice ossea. Hanno il controllo extracellulare sulla concentrazione del calcio e del
fosforo e in più agiscono nel processo di rimodellamento per via cellulo-mediata in risposta a stimoli
locali.
Gli osteoclasti invece appartengono ad un’altra famiglia di cellule, sono multinucleate e sono i
responsabili del riassorbimento osseo e questo tipo di attività è anche influenzata da fattori di tipo
ormonale oltre che cellulare.
Quindi abbiamo tre tipi di osso: l’osso immaturo, l’osso trabecolare e l’osso corticale. Ognuna di
queste tipologie ha delle caratteristiche ben precise e questo anche perché le diverse tipologie
hanno una differente resistenza biomeccanica.
- Trabecolare: rete di lamelle nei cui interstizi è presente il midollo osseo

Vediamo qua il triangolo di Ward che abbiamo già visto nelle fratture di femore prossimale
dovute ad osteoporosi, la trabecolatura è meno densa rispetto alle zone circostanti, e
174
vediamo anche come appare la corticale e l’osso spongioso.
Le trabecole sono orientate in modo da dare un supporto meccanico quindi
perpendicolarmente alle forze esterne. Il metabolismo osseo è costantemente regolato da
una serie di fattori ormonali: ormone paratiroideo, vitamina D e la calcitonina. Oltre questi
abbiamo diverse proteine e fattori di crescita che ci aiutano nella maturazione e nella

differenziazione dell’osso maturo.


In cosa consiste l’osteoporosi: è una riduzione della massa ossea e in questo modo si deteriora
anche l’architettura ossea quindi le lamelle verranno a mancare da un punto di vista quantitativo, la
resistenza dell’osso verrà meno e sarà più suscettibile alle fratture.
Epidemiologia: colpisce circa 200 milioni di donne in tutto il mondo, 1/3 con età tra i 60 e i 70 anni, i
restanti 2/3 dagli 80 anni in su. In Europa il 40% delle donne in età media e il 15% degli uomini andrà
incontro a fratture di tipo osteoporotico.
Vediamo quali sono le fratture favorite dalla presenza dell’osteoporosi: le fratture del femore
prossimale, le fratture del polso, vertebrali e anche dell’omero prossimale.
Ci sono diverse associazioni nate per prevenire questo tipo di alterazione morfo- strutturale e
funzionale che colpisce l’osso e questo perché è una patologia che sembra quasi una malattia che
con il tempo viene un po' a tutte le donne e a tutti gli uomini oltre una certa età e questo fa si che la
patologia sia sotto diagnosticata, sotto riconosciuta e sotto trattata o inadeguatamente ricercata.

Non dobbiamo sottovalutare però che le fratture del femore prossimale in seguito a traumi nel
soggetto osteoporotico aumentano la mortalità e il numero di ospedalizzazioni, risulta essere quindi
fondamentale un’adeguata prevenzione.
Patologia ad eziopatogenesi multifattoriale in cui si determina una riduzione della massa ossea, sia
della componente minerale che dell’osteoide.
175
Vediamo in quest’immagine come appare una vertebra normalmente: la struttura con le trabecole
hanno una certa densità a differenza della vertebra osteoporotica in cui questa densità viene meno
e le forze che potranno danneggiare la struttura di conseguenza saranno minori.
- Osteoporosi primarie: si dividono in osteoporosi di tipo I post-menopausale e di tipo II senile.
La prima è associata ad una ridotta quantità di estrogeni, riscontrabile nel 5-29% delle donne,
compare all’inizio della menopausa e la perdita ossea è molto accentuata nel periodo
perimenopausale. Interessa prevalentemente l’osso trabecolare e abbiamo degli effetti
particolarmente evidenti a livello della zona vertebrale.
Per quanto riguarda invece la senile colpisce entrambi i sessi oltre i 70 anni, può interessare
fino al 6% del totale della popolazione anziana e in questo caso abbiamo una perdita di osso
che interessa sia il trabecolare che quello corticale. Le fratture possono interessare non solo
la colonna vertebrale, il femore prossimale, il bacino ma anche estendersi ad altri segmenti
ossei visto anche la generalizzazione di questo tipo di osteoporosi. In seguito a questo si
possono verificare le complicanze che abbiamo già detto: tutte quelle fratture che spesso
comportano ospedalizzazione del pz con spese sanitarie che sociali.

- Le osteoporosi di tipo secondario sono invece dovute a:


1) Malattie Endocrine: ipogonadismo, un’ipercortisolismo, iperparatiroidismo, tutte
alterazioni del turn over di ormoni fondamentali come ad esempio la calcitonina. Oppure
alterazioni epatiche dove abbiamo un deficit della vit. D.
2) Ematologiche: patologie destruenti come ad esempio le mielo-linfoproliferative, mieloma
multiplo o la talassemia. In questi casi abbiamo alterazioni strutturali dovute ad un
processo di differenziazione che tenderà favorire la proliferazione piuttosto che la
differenziazione.
3) Patologie dell’app. gastroenterico: come la celiachia piuttosto che le infiammatorie
croniche epatiche, le malattie infiammatorie croniche GI fanno si che si creino
malassorbimenti e di conseguenza una riduzione dei nutrienti che aiutano il normale
sviluppo dell’osso e di conseguenza si sviluppa la patologia.
4) Malattie reumatiche e renali.
Ci sono comunque un’infinità di condizioni, visto la patologia sistemica che è l’osteoporosi, che
possono determinare questo tipo di alterazioni, non meno il pz che fa un eccessivo utilizzo di fumo
e alcool in cui possiamo avere un quadro dipendente da questo tipo di assunzione.
176
Se vediamo con la Dexa o con la più comune MOC la densità ossea vediamo come le fratture
osteoporotiche sono causa di morbosità e di mortalità: si attiva un circolo vizioso in quanto il paziente
si frattura e di conseguenza esegue meno attività fisica, si muoverà meno, si potrà anche nutrire
meno a causa dal dolore provocato dalla frattura e questo porta a demineralizzazione ossea perché
l’osso sarà meno stimolato dal punto di vista biomeccanico. Il tutto porterà il pz ad andare ancora
più facilmente incontro ad altre fratture.

Abbiamo inoltre un’alterazione (in seguito all’allettamento, al dolore prolungato e per le fratture che
si manifestano in maniera sequenziale) della presenza sociale di questi pz che spesso vanno
incontro ad un abbassamento del tono dell’umore.

1) Fratture vertebrali: spesso nel referto possiamo leggere ‘avvallamento vertebrale’. Risulta
inoltre fondamentale vedere se è citato il muro posteriore perché un suo interessamento può
portare la porzione posteriore della vertebra ad affacciarsi nel canale midollare determinando
un quadro di compressione. Nel caso invece di avvallamenti, per esempio, delle fratture
vertebrali multiple, potremmo andare incontro a quadri di cifosi, di addome protrudente, ma
anche alterazioni funzionali. Pensiamo infatti ad un pz con importanti cifosi che può essere
così accentuata da ridurre l’escursione diaframmatica e di conseguenza alterare le sue
capacità respiratorie per cui facciamo alcune stabilizzazioni in quanto il loro quadro
respiratorio può essere alterato anche in modo grave.
L’incidenza della deformità aumenta in base all’età: prima è simile nei due sessi, dopodiché
abbiamo un aumento delle deformità del periodo 60 agli 80 nella donna, infine tendono ad
equipararsi nuovamente.
177
2) Le fratture di femore hanno necessità di correzione chirurgica: se è di tipo sottocapitata
dovremo mettere artroprotesi o un’endoprotesi in base alle attività funzionali del pz, in caso
invece di fratture basicervicali o pertrocanteriche dovremo utilizzare un chiodo
endomidollare. Questo tipo di fratture aumenta la mortalità ad un anno in questi pazienti, di
cui una grossa percentuale comunque non sarà in grado comunque di recuperare
completamente: un trattamento e una riabilitazione precoci aiutano a ridurre sia la disabilità
che la mortalità.

3) In questa radiografia vediamo una frattura del radio distale in antero-posteriore, in realtà
se vediamo bene è fratturato anche lo stiloide lunare. Questo genere di fratture possiamo
trattare conservativamente con degli apparecchi gessati sia con fissatori esterni sia, nel caso
in cui ci sia un interessamento articolare, faremo una sintesi con placca.
Le fratture del radio distale le troviamo sia nell’uomo che nella donna, inoltre nell’ultimo
periodo (probabilmente anche per una riduzione dell’attività fisica in bambini di una certa età)
abbiamo osservato un aumento delle fratture di polso che hanno necessitato di trattamenti,
anche conservativi, con un tipo di alterazioni morfologiche delle fratture differente rispetto
alle precovid.

4) Fratture di omero prossimale: abbiamo detto che nel pz osteoporotico aumenta la


comminuzione della frattura e quindi renderà il trattamento più difficile perché il chirurgo
dovrà ridurre più frammenti e di conseguenza gli interventi possono diventare più
impegnativi. Si stima che rappresentino il 4-8% di tutte le fratture,
nelle persone di età superiore ai 40 anni rappresentano il 76% di tutte le fratture dell’omero.
Per quanto riguarda il trattamento le possiamo trattare o con una fissazione esterna o con
dei chiodi endomidollari nel caso in cui sia preservato il trochite. Al contrario nel caso in cui
sia necessario reinserire il trochite possiamo utilizzare delle placche perché è necessario
che venga riposizionato nella sua sede originale.

178
Descrizione slide:
- Vediamo una frattura pertrocanterica che tratteremo con un chiodo endomidollare
(trattamento più frequente) o comunque con vite e placca.
- Nelle fratture sottocapitate e cervicali possiamo utilizzare un’endoprotesi come questa, se il
pz ha una bassa attività funzionale, oppure un’artropotesi nel caso in cui avesse un’alta
attività funzionale, indipendentemente dall’età.
- Frattura vertebrale: qua avevamo dei trocars che passano dentro i peduncoli, poi abbiamo il
cemento che serve a stabilizzare la frattura.
- Frattura di polso trattate con gesso oppure in altri casi utilizziamo la placca per sintetizzare.
- In fondo una frattura di perone e di tibia trattata con placca e viti.
Osteomielite
Passiamo ora ad un altro tipo di patologia che è l’osteomielite: processo infettivo che colpisce l’osso,
indipendente dall’età del pz. Abbiamo due forme cliniche: l’osteomielite acuta e una forma cronica
nella quale la acuta ha una progressione e una stabilizzazione delle lesioni.
Forma acuta ematogena: i foci si vanno a depositare in diversi segmenti ossei, questo tipo lo
osserviamo soprattutto nei bambini. Sono due volte più frequenti delle artriti acute e si tratta di
un’infezione ossea batterica (gli stafilococchi, anche per localizzazione, sono i più frequenti).
Estrema gravità, dobbiamo agire precocemente e cercare di raggiungere il più velocemente possibile
una risoluzione. In genere nel bambino colpisce ginocchio, anca e spalla mentre quando si verifica
nell’adulto andrà a colpire soprattutto il femore, rachide e il piede. Se colpisce il rachide andiamo
incontro a spondilodiscite che è un’infezione a carico del corpo e del disco vertebrale.
Nei giovani adulti l’osteomielite è rara, favorita da patologie croniche o frequentemente in soggetti
che fanno uso di droghe per via ev.. In questi pz qualsiasi localizzazione è possibile perché il germe
viene direttamente inoculato in circolo. Nell’ adulto invece per un’infezione urinaria da Gram- che si
diffonde. La possiamo trovare in pz che soffrono di insufficienza vascolare grave e nel pz diabetico
perché spesso si creano ulcere su un substrato deficitario che favorisce l’attecchimento
179
dell’infezione. È necessaria, infatti, una porta di entrata per i germi che può essere una lesione
cutanea come i foruncoli, dei foci tonsillari o dentari e dei traumi (fratture esposte). Sarà quindi
fondamentale effettuare un adeguato lavaggio con disinfezione. Grazie alla successiva diffusione
ematogena andrà poi a colpire le regioni metafisarie per la massiva irrorazione sanguigna e le
articolazioni anche sinoviali.
Da un punto di vista anatomo patologico abbiamo, nei segmenti dove avviene l’insulto, un’ostruzione
dei vasi che alimentano quel settore osseo. Di conseguenza, per necrosi ossea, l’osso non viene
riassorbito e quindi abbiamo un sequestro, come una zona di isolamento: si formerà un involucro
osseo addensato intorno al sequestro.

Descrizione slide: In queste immagini vediamo un midollo colmo di cellule infiammatorie ma senza
distruzione ossea nello stadio precoce, in quello avanzato vediamo come i linfociti polinucleati si
trovano intorno all’osso necrotico e iniziano delle zone di erosione enzimatica. Vediamo infine la
presenza di pus, midollo osseo e osso in necrosi.
Successivamente ci sarà la formazione dell’ascesso all’interno dell’osso, il pz inizierà ad avere una
febbre ondulante, astenia, pallore e dolore in sede e in quest’ultima anche gonfiore, quindi edema,
arrossamento e infiammazione e calore articolare visibili all’e.o. Il dolore in questi pz sarà presente
anche in seguito ad una palpazione superficiale.
Da un punto di vista clinico valutiamo la batteriemia con colture ematiche per cercare di isolare il
batterio che sta causando la febbre e in più valuteremo i principali indicatori dell’infiammazione
(Calor, etc.). Gli esami ematochimici ci indicheranno un Ves aumentata e un PCR elevata, spesso
è presente anche un’elevazione della procalcitonina e una leucocitosi per cui faremo le colture e in
seguito all’antibiogramma valutare quali antibiotici sono maggiormente indicati contro quel germe
(generalmente si tratta di uno S. Aureus).

180
Abbiamo poi la fase di ascesso periostale e in questo caso possiamo identificare la zona con una
Rx o con una RMN o la TC, cercare attraverso una guida ecografica se l’osteomielite ha delle
porzioni sottofasciali, un’aspirazione del pus e con ciò che aspiriamo effettuare un’antibiogramma.
La radiologia nello stadio iniziale sarà negativa perché non abbiamo una erosione ossea che avviene
invece nelle fasi successive dove vediamo una nuvola con una reazione del periostio.

Queste sono delle rx nelle quali è presente l’osteomielite del calcagno e questa alterazione
radiografica sarà avvalorata dalla scintigrafia, mentre l’eco ci mostra l’ascesso, lo scollamento del
periostio e l’edema a carico dei tessuti molli.

181
Nella scintigrafia ossea polifasica vediamo l’iperfissazione delle
diverse zone dove è presente l’infezione; questo esame non ci
permette uno studio morfologico particolarmente adeguato, ma
comunque possiamo associarlo poi all’utilizzo di una Tac o di una
risonanza magnetica.

La risonanza magnetica mostra la presenza dell’ascesso e


l’estensione del processo infettivo, qui lo vediamo in sede
interapofisaria. Vediamo: l’osteomielite, l’ascesso delle parti
molli e poi ancora osteomielite a carico dell’osso.

TERAPIA
TRATTAMENTO ANTIBIOTICO
Il trattamento deve essere successivo all’acquisizione dell’antibiogramma. Dobbiamo effettuare una
terapia di tipo parenterale perché questo tipo di infezione è di difficile eradicazione e quindi sono
necessari antibiotici specifici e a dosaggi elevati. Il trattamento per alcune infezioni può essere per
os e prolungarsi anche fino a sei mesi.
Stiamo parlando di infezioni sia GRAM + che GRAM – e anche infezioni tubercolari. Immaginate la
malattia di Pott che è una tubercolosi vertebrale nella quale ci troviamo di fronte al bacillo di Koch
che necessita di una terapia antibiotica nella quale dobbiamo utilizzare un ventaglio di diversi
antibiotici che agiscono insieme al fine di eradicare il bacillo. La guarigione è ottenuta con un
trattamento antibiotico precoce, che deve essere mirato, adeguato e prolungato nel tempo.

Cosa accade senza trattamento?


Nell’evoluzione verso la fase di stato abbiamo un sequestro (la separazione delle zone ossee
mortificate) e una ricostruzione ossea intorno alla lesione.
Nelle forme di osteomielite cronica invece si formerà una fistola che farà in modo che il pus possa
uscire all’esterno: è chiaro quindi che i pazienti saranno maggiormente a rischio di andare incontro
a sepsi.

182
Questa è un’altra immagine di un’evoluzione non trattata:
abbiamo una fistola con la fuoriuscita di materiale
purulento. Avremo di conseguenza un’osteite cronica ed un
eczema cutaneo.

Questo tipo di patologia crea un’alterazione morfologica e strutturale dell’osso, con un ispessimento
anche della corticale circostante. In questi casi per eradicarla noi dobbiamo rimuovere le porzioni
ossee infette, se non è stata sufficiente la terapia antibiotica.

TRATTAMENTO CHIRURGICO: SEQUESTRECTOMIA

Qui vediamo questa paziente nella quale


abbiamo rimosso le parti ossee nelle quali era
presente l’infezione al fine di eradicarla.

Un altro caso: un paziente giovane che si è presentato alla nostra attenzione con un braccio caldo,
edematoso, arrossato e si nota in questa posizione un’erosione della
corticale ossea.
Abbiamo aspirato del pus, è stato effettuato l’antibiogramma e poi il
trattamento antibiotico. Aveva necessariamente una necrosi ed una
ricostruzione ossea perché l’osso è metabolicamente attivo e va
incontro ad un rimaneggiamento. Comunque, in caso di eradicazione
del germe possiamo andare incontro ad esiti positivi.

183
Questo è dopo l’operazione: gli hanno rimosso quella
porzione infetta dove il ragazzo ha sviluppato il callo ed
è guarito

Quindi, dobbiamo effettuare l’exeresi del sequestro, il raschiamento di tutti i tessuti necrotici
lasciando solo l’osso sano. Spesso quando abbiamo questo tipo di infezioni è bene andare a vedere
se il canale osseo si è obliterato e in quei casi liberarlo.
L’osso deve essere lasciato esposto per i lavaggi.
Spesso a seguito di questi trattamenti non
eseguiamo una sutura stretta ed estetica, come
facciamo normalmente per le ferite chirurgiche,
perché è necessario che il materiale infetto possa
uscire all’esterno. Quindi, spesso questo tipo di
cicatrici guarisce per seconda intenzione. In
questo caso vediamo infatti il tessuto con la ferita
aperta, poi via via con medicazioni e con l’avanzamento dei lembi si arriverà alla chiusura della ferita
per seconda intenzione.
Purtroppo, spesso, dopo questo tipo di trattamenti, il germe riesce comunque a nascondersi e noi,
con la nostra chirurgia e il nostro trattamento antibiotico, non siamo in grado di stanarlo e può
verificarsi di nuovo un quadro infettivo.

COMPLICAZIONI

Le complicazioni sono parecchie perché abbiamo l’interessamento dei tessuti molli, dell’osso, della
corticale, della spongiosa. Parecchie localizzazioni ossee nello stesso tempo sono possibili (altre
metafisi, vertebre). Nel caso in cui poi i batteri avessero una diffusione sistemica potremmo andare
incontro ad una sepsi, un’insufficienza renale o comunque un quadro di insufficienza multiorgano.
Si possono formare ascessi a distanza come nel cervello, nel polmone, negli organi pieni.

COMPLICAZIONI LOCALI

184
Questa è un’altra radiografia dove vediamo un
interessamento massivo di un omero nel quale era presente
un’infezione della diafisi (pandiafisite) che poi si è estesa
anche all’epifisi prossimale.
N.B. si ha l’artrite quando l’infezione si localizza in sede
articolare.

Può colpire anche le cartilagini di coniugazione con delle


epifisiodesi. Se ricordiamo quello che accade in caso di un
danno, anche leggero, durante un trauma nei nuclei di accrescimento, capiamo bene che il processo
infettivo a carico di questi può creare delle alterazioni sia nei nuclei di crescita arrestandoli, sia
creando delle alterazioni di crescita a livello dello stesso nucleo con quindi delle deformità.
In questo caso il paziente aveva avuto un quadro infettivo a livello del gomito, poi alle radiografie
successive dopo il trattamento abbiamo una scomparsa del condilo esterno dell’omero.

Abbiamo parlato dell’osteite cronica perché naturalmente avremo una fistola a secrezione continua
che va verso l’osso quindi questo porterà ad un’infiammazione cronica. Nella forma cronica il quadro
clinico è peggiore. Vedremo alla radiografia delle lacune ossee con un ascesso centrale che è
l’ascesso di Brodie.

N.B. quando il paziente ha un quadro di infezione a carico dell’osso è fondamentale il trattamento


chirurgico con l’evacuazione dell’ascesso perché finché noi non elimineremo chirurgicamente quella
porzione che fa da involucro a quei batteri sarà impossibile eradicarli con la terapia antibiotica.

OSTEITE DEFORMANTE o MORBO DI PAGET

È una patologia che colpisce l’osso e crea un’alterazione nel riassorbimento e nella deposizione
ossea.
In questo tipo di patologia abbiamo che la deposizione ossea sia indipendente dal carico meccanico,
cioè la deposizione non avviene per supportare un determinato carico, ma in maniera disordinata.

185
La prima descrizione è stata fatta da Sir James Paget nel 1876 e lui l’aveva chiamata ‘osteitis
deformans’.
Questo è il primo paziente descritto con il morbo di Paget. Vediamo sia la
forma della tibia che del femore.

È una patologia cronica ed è caratterizzata da un’alterazione del


processo di rimodellamento osseo. Abbiamo due caratteristiche
principali a riguardo del rimodellamento osseo: una è che non è finalizzato
al mantenimento dell’integrità strutturale dell’osso e quindi
dell’efficienza biomeccanica; la seconda è che avviene ad un ritmo
esagerato e disordinato.

EPIDEMIOLOGIA
Dal punto di vista epidemiologico, è raro sotto i 50 anni, il rapporto M/F è maggiore nel maschio
(3:2).
Abbiamo un buon numero di forme asintomatiche e soprattutto di forme monostotiche, cioè che
colpiscono un solo osso.
L’incidenza stimata è del 4% nei soggetti di età superiore ai 50 anni e del 10% nei soggetti molto
anziani. In Italia abbiamo una prevalenza dell’1% nella popolazione sopra i 55 anni, con maggiore
prevalenza nella regione Campania.

EZIOLOGIA
Da cosa dipende questa patologia? Ci sono diverse teorie, ma una di queste è che ci sia una
disregolazione a livello genico e che questa disregolazione possa essere causata da dei virus, come
per esempio dei paramixovirus perché all’interno degli osteoclasti pagetici abbiamo delle inclusioni
che assomigliano a quelle del paramixovirus. In alcuni è stata anche osservata la presenza del DNA
del morbillo. È poi da verificare se siano delle osservazioni in pazienti della popolazione generale o
se effettivamente siano legate alla patologia.
Sono state osservate in questi pazienti elevate concentrazioni sieriche di IL-6 e alcuni di questi
individui sono geneticamente più predisposti alle infezioni virali: familiarità della malattia di Paget
(15-30% dei pazienti pagetici presenta almeno un parente di primo grado con la stessa malattia).
Da un punto di vista delle mutazioni geniche si è visto un’alterazione del gene codificante RANKL
sul braccio lungo del cromosoma 18. Abbiamo quindi un’aumentata espressione della citochina con
un’attivazione aumentata degli osteoclasti e un maggiore riassorbimento osseo. Abbiamo poi
un’aumentata espressione del gene codificante OPG con aumento della forma inattiva di OPG e
anche del gene codificante il sequestosoma I, una proteina che attraverso NF-kB media la
differenziazione degli osteoclasti. Quindi ci troveremo difronte ad un quadro di aumentata
proliferazione e una differenziazione che invece diminuisce.

186
Questa alterazione dell’equilibrio
differenziazione/proliferazione l’abbiamo già
sentita per quanto riguarda i tumori: qualsiasi
cellula che ha un aumento della propria
proliferazione a discapito della differenziazione
avrà una probabilità di de-differenziarsi maggiore e
quindi di sviluppare una neoplasia.
Come agiscono le varie interleuchine, fattori di
crescita sulla cellula stromale con l’attivazione dei
vari geni che portano appunto alla differenziazione,
all’attivazione, all’inibizione dell’apoptosi degli
osteoclasti.
L’eziopatogenesi prevede un’infezione virale e i virus coinvolti sono: virus lenti, il paramixovirus, il
virus respiratorio sinciziale e il virus del cimurro.
E poi c’è una predisposizione genetica: infatti si è visto come il 14% di questi pazienti abbia una
certa familiarità. Poi in realtà la familiarità può essere anche legata alle alterazioni geniche; quindi,
si ha una ereditarietà di quelle alterazioni geniche.
Tramite microscopia elettronica sono stati trovati degli inclusi intranucleari dei virus del gruppo del
morbillo. È chiaro che nella popolazione generale che viene a contatto con quel tipo di virus, nel
caso in cui io faccio una ricerca in cellule comunque seppur patologiche, devo fare una chiara
distinzione tra la presenza di quell’incluso nella popolazione generale e la presenza nel soggetto
patologico.
Diciamo che sono teorie che meriterebbero maggiori approfondimenti.
Per quanto riguarda poi la predisposizione genetica, dei recenti studi di biologia molecolare hanno
indicato un coinvolgimento di più geni, tra i quali il rank e Sequestrosoma 1.

FISIOPATOLOGIA
Da un punto di vista fisiopatologico, abbiamo parlato di un aumento del riassorbimento osseo e di
un aumento della neoformazione ossea che è in grado di compensare l’eccessivo riassorbimento.
Il fatto è però che quella deposizione non ha le stesse caratteristiche biomeccaniche dell’osso sano.
Le fasi del morbo di Paget sono 3:
1. Fase OSTEOPOROTICA, OSTEOLITICA o DISTRUTTIVA
2. Fase MISTA
3. Fase OSTEOPLASTICA o SCLEROTICA

187
Quindi: un’aumentata vascolarizzazione, un aumentato volume dell’osso, a discapito di un’efficienza
biomeccanica e di resistenza al carico ridotte. Tutto questo porta a tumefazione calda e ad una
compressione delle strutture nervose. Immaginiamo che venga colpito il forame otturatorio del
bacino: se si crea un’iper-deposizione ossea nel contorno di quel forame, le strutture nervose o le
strutture in generale che passano al suo interno potranno essere danneggiate. L’osso andrà incontro
a deformità, sarà più prono a fratturarsi e nel momento in cui colpisce delle strutture articolari o peri-
articolari sarà più facile che sviluppi un’osteoartrosi secondaria.
Ecco questo è un bacino con morbo di Paget:
vedete la via della deposizione, ma questo tipo
di deposizione non ha alcuno scopo
biomeccanico. All’interno di questa radiografia
vediamo le diverse fasi: vediamo una fase
MISTA, dove vediamo delle zone litiche, ma
anche delle zone sclerotiche; poi una fase
OSTEOLITICA che sono queste zone
radiotrasparenti e infine una fase
OSTEOCLASTICA dove vediamo che è
particolarmente sclerotico l’osso. Se facciamo
un confronto con il femore prossimale vediamo
come la trabecolatura sia completamente
diversa dalla quantità ossea presente in questo bacino.

Da un punto di vista anatomo-patologico


vediamo una struttura a mosaico palladiano,
quindi delle alterazioni ossee microscopiche.
Poi abbiamo delle trabecole ossee che saranno
scarsamente mineralizzate.

MANIFESTAZIONI CLINICHE
188
Abbiamo delle forme monostotiche che colpiscono un solo osso lungo, poi le forme poliostotiche che
invece colpiranno più ossa.
La localizzazione scheletrica è per il 60-65% a carico della pelvi e dell’anca, per il 40% a carico del
femore, il 34% colpisce il rachide, il 31% il cranio e il 23% l’omero.
Ci sono varie caratteristiche d’esordio: dolore osseo al movimento, dolore articolare, la tumefazione
calda. In realtà poi i sintomi sono molto variabili in base alla zona colpita. Se avrò una localizzazione
peri-nervosa avrò un deficit a carico di quei nervi in particolare. In più, nel caso in cui sia colpito il
cranio avrò per esempio un aumento del volume del cranio. Dipende anche dal tipo di deposizione:
se in zone di carico è chiaro che potrà portare ad un aumentato rischio di fratture.

Quindi il quadro clinico è caratterizzato da: dolore osseo, dolore articolare e le deformità.
Abbiamo poi un’inclinazione delle ossa lunghe perché non svolgeranno più la loro funzione
biomeccanica; all’inizio avremo un aumento della attività osteoclastica e nel momento in cui poi
avviene la deposizione ossea, avverrà in maniera disorganizzata e quindi queste ossa nelle fasi
terminali avranno un aspetto come la tibia ‘a sciabola’ o il femore a ‘bastone pastorale’.

Questa è una deformità ‘a sciabola’. Si può anche


notare un aumento volumetrico della gamba,
perché è presente un edema, un quadro
infiammatorio a carico di quell’arto e in più
l’alterazione morfologica dovuta all’alterata
deposizione ossea in quel segmento. Questo
paziente aveva un Paget monostotico di tibia.

189
Questa è una deformità più accentuata che ci aiuta a capire il grado che possono
raggiungere queste deformità.

Questa invece è una localizzazione cranica: un’ipertrofia della volta cranica, un’ipertrofia mascellare
e questi pazienti, di conseguenza, presentano una facies leonina.

COMPLICANZE
1. Fratture, perché l’osso è alterato dal punto di vista della resistenza biomeccanica

2. Complicanze neurologiche: la sordità e la paralisi dei nervi cranici, perché essendo colpite
diverse porzioni ossee è chiaro che nel momento in cui colpisce il cranio, quelle alterazioni
di volume potranno alterare i vari canali ossei

3. Alterazioni retiniche: sono presenti delle strie angioidi a livello retinico

4. Complicanze reumatologiche: l’osteoartrosi primitiva e/o secondaria alle deformità ossee


pagetiche
N.B. dobbiamo essere in grado di differenziare il dolore pagetico da quello artrosico
Ci può essere, inoltre, un’associazione con la gotta (descritta dallo stesso James Paget) e
condrocalcinosi (pseudogotta); spesso vi è iperuricemia asintomatica

5. Alterazioni cardiache e renali (rare): può essere dovuto ad un aumento dell’afflusso


ematico a carico delle ossa pagetiche dove possiamo avere un interessamento dello
scheletro maggiore del 50%; questo aumento della vascolarizzazione allo scheletro creerà
delle zone di minor afflusso, con di conseguenza un’insufficienza cardiaca congestizia ad
alta gittata, ipercalciuria e/o litiasi renale (spesso asintomatiche)

6. Alterazioni neoplastiche: la più temibile complicanza della malattia di Paget è


l’osteosarcoma, che è presente in meno dell’1% dei pazienti ed è più frequente nelle forme
poliostotiche. Come in tutte le patologie nelle quali abbiamo un aumento della proliferazione
e una diminuzione della differenziazione, questo tipo di processo può poi protendere sempre
190
più verso un aumento della proliferazione a discapito della differenziazione. I pazienti che
presentano una trasformazione neoplastica della malattia accusano forte dolore nelle sedi
interessate, che si presentano tumefatte. La fosfatasi alcalina è molto aumentata. Dal punto
di vista istologico, la neoplasia può avere i caratteri dell’osteosarcoma, del condrosarcoma o
del tumore giganto-celluare

DIAGNOSI
Facciamo la diagnosi attraverso esami strumentali: Rx, Tac, scintigrafia.
Ricordiamo le varie fasi: le prime fasi prevalentemente litiche, poi la fase mista e infine la fase
sclerotica dove abbiamo l’ispessimento delle ossa.

Alcune radiografie: una tibia, un femore


prossimale e il cranio.

Questa è invece una porzione osteolitica con dei margini sclerotici a


livello delle vertebre.

191
Poi con la scintigrafia (si usa bifosfonato marcato con Tc99)
vediamo invece la localizzazione perché è aumentato il
metabolismo, di conseguenza aumenterà la captazione.
Vediamo le diverse localizzazioni che la malattia ha in questo
paziente: bacino, rachide e cranio.

Per quanto riguarda la diagnosi bioumorale, valuteremo gli indici di riassorbimento osseo:
l’idrossiprolina urinaria, l’escrezione urinaria cross-links del collageno, il rapporto del calcio con la
creatinina a digiuno a livello urinario. Poi valutiamo gli indici di formazione ossea: la fosfatasi
alcalina (ALP) sierica totale o ALP osso-specifica; alcuni studi indicano anche l’osteocalcina sierica
ma il suo studio non è ancora di significato univoco.

Fondamentale è la biopsia ossea. Noi abbiamo con la biopsia ossea la certezza diagnostica, ma da
sola non è indicativa per il MdP. È necessaria soprattutto per quanto riguarda la diagnosi con
l’osteosarcoma perché serve una diagnosi precoce.

TERAPIA
Una volta arrivati alla diagnosi, bisogna effettuare, con un adeguato follow-up, una terapia con
bisfofonati, in modo da dare un’adeguata differenziazione e deposizione ossea anche con la
patologia in atto. I bisfofonati che vengono utilizzati sono: l’ETIDRONATO e il NERIDRONATO, oltre
che il RISEDRONATO.

Il bisfofonato ideale deve avere una dimostrata capacità d’azione sul turnover osseo ed una
dimostrata capacità di avere un effetto rapido e persistente. Per questo utilizziamo il
NERIDRONATO, che è un aminobifosfonato e quindi si lega all’osso, cosa che non fa invece il
CLODRONATO, che noi utilizziamo per esempio per l’osteoporosi o nel paziente a rischio di frattura

192
osteoporotica. Inoltre, il bifosfonato deve avere una dimostrata capacità di ridurre le recidive, di
arrestare la progressione della malattia e nel prevenire le complicanze. In più dobbiamo avere
anche un farmaco che ci permetta un’adeguata compliance del paziente, tollerabilità ed efficacia
nella pratica clinica (terapia e.v. rispetto a quella per os). Infine, occorre una dimostrata accettabilità
del rapporto costi-benefici.
Dobbiamo seguire i nostri pazienti con dei follow-up costanti, sia da un punto di vista di valutazione
ematica, sia da un punto di vista terapeutico.

193
MALATTIE DELL’APPARATO LOCOMOTORE - Lezione 12
9/06/2022

Il prof ci mostra alcuni strumenti per avere contezza del peso e della stabilità dei diversi costrutti.
STRUMENTI:
- Barra da fissatore esterno temporaneo. Si può aprire e chiudere con le mani, quindi è un
costrutto molto meno stabile rispetto ad altri tipi.
- Fissatore esterno permanente da polso
- Fissatore articolato da gomito
- Placca da metacarpo
- Chiodo da femore (convessità del femore che va verso l’alto)
- Chiodo da tibia (convessità molto più stretta, prossimale e poi andrà rettilinea)

Argomenti che tratteremo oggi:


- Pat. Legamentosa del ginocchio
- Morbo di Dupuytren
- Tumori Ossei
Il ginocchio oltre ad essere l’articolazione presente tra il femore e la tibia e il femore e la rotula, quindi
data da segmenti ossei che si articolano tra loro, è anche un’articolazione che prende per la maggior
parte della sua stabilità dai legamenti presenti. Quindi avremo una colonna centrale, data
comunque dai legamenti crociati e poi delle colonne laterali che non sono altro che il collaterale
laterale e il collaterale mediale.
Sappiamo che ci sono 3 superfici articolari che permettono quindi la flesso-estensione e la rotazione
di questa articolazione.
Quindi avremo:
- i legamenti centrali,
- i legamenti collaterali,
- i menischi che si interpongono all’interno della superficie articolare
- la capsula articolare che riveste l’articolazione.

Per quanto riguarda le lesioni capsulo-legamentose, tutti


questi punti sono fondamentali per un corretto trattamento
e per una restitutio ad integrum, o quasi, di un paziente
che subisce una di queste lesioni.

194
Anatomia del ginocchio

Abbiamo l’articolazione femoro-


rotulea, la femoro-tibiale e poi i
collaterali che permettono una
flessione di questa articolazione
di 130°

È permesso un movimento di rotolamento e


di scivolamento.

Abbiamo un robusto apparato capsulo


legamentoso per attutire i traumi quotidiani.
I menischi
Laterale e mediale che si frappongono tra la
superficie del femore e quella della tibia.
Il menisco mediale ha una forma a “C”,
mentre il menisco laterale ha una forma a
“O”.
Questa è un’immagine artroscopica; tramite
le artroscopie, con un mappatore, colpiamo
la superficie cartilaginea e vediamo, anche
macroscopicamente, i vari gradi di lesione,
anche della cartilagine (sopra condilo
femorale e sotto piano tibiale, mentre
semiluna che si vede qui è il menisco)

195
Il menisco però non è uguale in tutte le sue parti.
Infatti, è composto da:
- una parte non vascolarizzata, che è quella che si accentra al centro dell’articolazione,
- mentre la sua radice è vascolarizzata.

Vediamo bene in questo studio come siano presenti dei vasi alla sua base, mentre all’apice ne è
sprovvisto.

È questo il motivo per il quale le lesioni che si formano alla base possono andare incontro a
guarigione fibrosa, mentre quelle all’apice non andranno incontro a guarigione.

Altre immagini artroscopiche, dove vediamo come il


menisco protrude verso la cavità bipolare e noi
possiamo palparlo. Con il palpatore noi andiamo sotto,
come in questo caso, e se il menisco segue il nostro
palpatore, con una buona probabilità ha avuto una
rottura, un distacco, dalla propria vite.

Immagini di Risonanza Magnetica dove vediamo il tipico


aspetto triangolare che ci aspettiamo per i menischi.

196
Funzione dei menischi

Preparato anatomico dove vediamo il


menisco a C mediale e il menisco a O
laterale.

P.A.P.I (punto d’apice postero inferiore) P.A.P.E (punto d’apice posteriore esterno)

Il punto postero inferiore, dove abbiamo il In questo punto abbiamo il terzo


muro meniscale mediale, il legamento posteriore menisco esterno, il tendine del
posteriore obliquo e il tendine m. muscolo popliteo e il legamento popliteo
semimembranoso. arcuato.

Legamento Crociato Anteriore (LCA)

Il legamento crociato anteriore è


famoso, anche tra chi non è del
mestiere, perché va spesso incontro a
rottura, soprattutto nello sportivo.
Quando questo avviene abbiamo i
diversi gradi di instabilità, perché con
l'ausilio del legamento crociato è
preservata la stabilità passiva del
ginocchio sul piano sagittale.

197
Non è un unico fascio, ma è composto da 3
diversi fasci:
- Un fascio Antero-mediale, che si tende
in flessione;
- Un fascio postero-laterale, che si tende
in estensione;
- Un fascio intermedio

Inserzione tibiale
Inserzione femorale

Il margine di inserzione è semicircolare a Immagine artroscopica, immagine che


convessità posteriore. solitamente vediamo quando in una
ricostruzione di crociato dobbiamo vedere il
punto nel quale noi dobbiamo far passare il
crociato che stiamo impiantando.

Funzioni del LCA

- Controllo traslazione tibiale anteriore


- Controllo iperestensione
- Controllo rotazione tibiale interna
- Controllo varo/valgo (aiutato in questo da alcuni
altri legamenti)
- Controllo della stabilità in estensione

198
Il Legamento Crociato Posteriore (LCP)

Fa sempre parte del PIVOT


centrale, ma risponderà a
diversi test di positività o di
negatività.

Ha un’inserzione e un’origine differenti da quelle del L.C.A.

Posizione e Anatomia
- Il LCP è teso dallo spazio inter-glenoideo della tibia allo spazio intercondiloideo del femore,
ruotato lungo il suo asse.
- Ha la forma di una clessidra.
- La sua posizione posteriore lo maschera all’esame per via anteriore.
- La lunghezza media del LCP è di 38 mm. La sua superficie di sezione è 1,5-2 volte più estesa
di quella del LCA.
- Il suo diametro medio è di 13 mm.
- È un’entità unica composta di molti fasci, ognuno con una sua specificità funzionale
Inserzione tibiale del LCP
È situata sulla superficie retro-
spinale, dietro alle inserzioni
dei menischi mediale e laterale.
Il suo attacco si prolunga in
basso e indietro sulla zona
superiore della depressione
posteriore che continua la
superficie retro-spinale.
La sua area d’attacco va da 1 a 2 cm², orientata a 45° e misura mediamente 25 mm d’asse maggiore
verticale e 13 mm di larghezza.
Ha la forma di un rettangolo arrotondato agli angoli.

199
Inserzione femorale del LCP
L'inserzione del LCP si
colloca sulla faccia
assiale del condilo
mediale.
Ha una forma semilunare
o a ventaglio.
Deborda sulla superficie
apicale della gola
intercondiloidea e ricopre una grande porzione della superficie della gola.
La superficie di attacco contorna il bordo del condilo a 2 mm dalla superficie cartilaginea.
La superficie d’inserzione misura più di 30 mm lungo il suo asse maggiore.
Il diametro antero-posteriore del LCP a ridosso della sua inserzione femorale è mediamente di 32
mm (Girgis).

Controllo del LCP


- Controllo traslazione tibiale posteriore
- Controllo rotazione tibiale esterna
- Controllo varo/valgo

L’ innervazione molto importante in


questi legamenti perché sono ricchi di
recettori che aiutano la propriocettività e quindi anche la
collocazione nello spazio.

200
Meccanismi di stabilizzazione dei quattro principali legamenti del ginocchio

Stabilizzazione Stabilizzazione secondaria


Legamenti
primaria
LCA Spostamento tibiale anteriore Rotazione tibiale interna
LCP Spostamento tibiale posteriore Rotazione tibiale esterna
Abduzione e rotazione tibiale
LCM Spostamento tibiale anteriore
interna
Spostamento tibiale anteriore
LCL Adduzione
e posteriore

Epidemiologia
Da un punto di vista
epidemiologico ci sono
100.000 lesioni/anno in USA,
soprattutto nella terza decade
di vita (26 anni); il 70% di
lesioni sono da attività sportiva
e le donne hanno un rischio da
2 a 8 volte maggiore rispetto
agli uomini.

Eziologia

- Il calcio è causa di rottura nel 50%


dei casi;
- Lo sci è causa di nuove rotture di
crociato anteriore;
- La corsa, essendo pochi i cambi
di direzione nella corsa, questo fa si
che questo tipo di lesioni avvenga in
minor misura.

201
Cofattori
Naturalmente abbiamo dei cofattori che sono:
- Cofattori di tipo anatomico, cioè una predisposizione dovuta all’anatomia del ginocchio e
dell’inserzione e origine di quel legamento;
- Cofattori di tipo ormonale;
- Iperlassità;
- Tipo di allenamento;
- Livello di attività;
- Tipo di attrezzature

Meccanismo Traumatico

Indiretto: cambio di direzione repentino.

Lesioni
- Lesioni centrali (LCA e LCP)
- Lesioni periferiche
 LCM
 LCL
 Strutture postero-mediali
(PAPI)
 Strutture postero-laterali
(PAPE)
 Strutture antero-laterali
(capsula, collaterali, ecc.)

Gradi di distorsione (diverso danno e diverso trattamento):


- Distorsioni di I grado, semplice distensione o distrazione senza rottura di
alcuni fasci dei legamenti interessati

202
- Distorsioni di II grado, lacerazione legamentosa parziale

- Distorsioni di III grado, lacerazione legamentosa


totale o avulsione legamentosa dalla inserzione ossea.

Se ricordate avevamo già parlato di questo quando


avevamo parlato dei danni legamentosi. Cioè
specialmente nel giovane o nello sportivo, dove i
legamenti sono particolarmente robusti, può capitare che
piuttosto che rompersi il legamento avvenga un distacco,
Patogenesi
un’avulsione da una sola inserzione ossea.
- Valgo rotazione esterna
- Varo-rotazione interna
- Iperestensione
- Contrazione violenta del quadricipite in iperflessione
- Trauma da cruscotto
Diversi tipi di lassità:
- Lassità dirette (lassità su un solo piano dello spazio)
- Lassità rotatorie (aumenta il movimento rotatorio del ginocchio per lesione periferica e del
pivot)
- Lassità combinate (traslazione anteriore combinata del piatto mediale e laterale)

203
Esame obiettivo
Ci fa decidere sul trattamento e ci fa capire che cosa il paziente ha. Ci serve per fare una corretta
diagnosi per impostare poi il trattamento più adatto.

1. TEST DEL CASSETTO ANTERIORE: facciamo flettere il ginocchio al paziente e tiriamo


verso di noi la gamba per vedere se è stabile o
meno.
2. TEST DI LACHMAN: la gamba ha un
grado di flessione minore, circa 20-30°. Con la
mano destra posizionata sul femore e la sinistra
sulla tibia effettueremo dei movimenti in antero-
posteriore per valutare la stabilità del ginocchio
del nostro paziente.

LASSITÀ POSTERIORE DIRETTA


- LCP
- Entra in tensione oltre i 30° di
flessione
- Principale stabilizzatore del
ginocchio assiale
- Forza tensile e carico di rottura
circa doppio del LCA

Eziologia
La lesione isolata del LCP è causata dal trauma diretto in corrispondenza dell’epifisi prossimale della
tibia a ginocchio atteggiato in flessione

Esame Obiettivo:
Test del cassetto posteriore, dove notiamo morfologia del
ginocchio alterata.

204
Diagnosi:
- Radiografie dinamiche
Test
- In varo
- In valgo
Dove vediamo che esercitando dei test in varo e in valgo avremo che la rima articolare si può aprire
molto più del normale perché non c’è una contenzione legamentosa.

- RMN

Ci aiuta a visualizzare i menischi, i legamenti, la presenza di edema osseo e altro.


Nei casi in cui vediamo un esame di rottura di crociato anteriore e dobbiamo portare il paziente in
sala operatoria è bene fare anche una risonanza magnetica. Così da avere un imaging che ci mostri
la rottura.
Trattamento
Diversi tipi di distorsione e quindi utilizzeremo diversi tipi di trattamento.
1. Conservativo, lesioni non particolarmente gravi (lesioni periferiche)
- distorsioni di tipo I
- distorsioni di tipo II
Trattamento:
- bendaggi elastici
- tutori articolati

2. Chirurgico (lesioni centrali)


- distorsioni di tipo I
- distorsioni di tipo II
Trattamento:
Ricostruzione del LCA o attraverso:
- trasposizione tendine rotuleo
- trasposizione tendini zampa d’oca
Trattamento delle distorsioni benigne

205
Si può prescrivere l’impiego di una ginocchiera asportabile a scopo antalgico per qualche giorno. I
principi del trattamento:
- Trattamento antalgico ed antinfiammatorio.
- Mobilizzazione rapida del ginocchio
- Carico appena tollerato.
- Rinforzo del quadricipite e degli ischio-crurali.

Lesioni meniscali
Fino a pochi anni fa si effettuava la meniscectomia totale, il paziente era felice e senza dolore. Ma
questo solo per qualche anno, in media.
Il paziente, infatti, veniva alla nostra attenzione lamentando dolore, blocchi meniscali e sensazione
di scatto. Poi, dopo la meniscectomia totale il paziente non lamentava più quel tipo di problemi
perché il problema veniva eliminato alla radice; però il rimuovere totalmente il menisco fa sì che non
ci sia più quel mezzo che dissipava l’energia e il peso tra il femore e la tibia, quindi la nostra
articolazione andrà più velocemente incontro ad artrosi.
Per questo attualmente, quando un paziente ha una lesione chirurgica dei menischi si effettua una
meniscectomia parziale. Rimuoviamo soltanto il pezzo danneggiato e lasciamo il resto del menisco.
Nel caso in cui queste lesioni avvengano in un paziente particolarmente giovane e siano delle lesioni
suturabili, cioè siano delle lesioni piccole, possiamo suturare la lesione meniscale.
Lesioni meniscali:
- Abbiamo lesioni isolate o associate a lesioni legamentose
- 2/3 di tutte le lesioni interne del ginocchio
- il menisco mediale risulta leso più spesso di quello laterale (rapporto 7/1)
- più frequenti nel sesso maschile

Meccanismo di lesione
La lesione traumatica di un menisco è sempre causata da un trauma distorsivo, mai da un trauma
diretto.
- passaggio dalla semiflessione all’estensione e sollecitazione in valgo e rotazione esterna
- passaggio dalla semiflessione all’estensione e sollecitazione in varo e rotazione interna
- passaggio dalla posizione accosciata (iperflessione) all’estensione
- iperestensione (“calcio a vuoto”)

Lesione menisco interno


- interessa soprattutto il corno posteriore
- fissurazione longitudinale
- rottura a “manico di secchio”, dà più fastidio, perché la porzione di menisco si aggetterà
medialmente; quindi, il movimento fa sì che si possa interporre tra i capi articolari
206
Lesione menisco esterno
- interessa soprattutto il corpo
- fissurazioni trasversali a partenza dal margine libero
- meno frequenti le lesioni del corno posteriore
Diagnosi Clinica
- anamnesi di trauma distorsivo
- episodi di blocco articolare
- sensazione di cedimento del ginocchio
- sensazione interna al ginocchio di scroscio
- idrarti recidivanti
- dolore
Sintomatologia
- dolore nei punti di inserzione o sul
- decorso dei legamenti interessati
- tumefazione dell’articolazione
- eventuali segni di lassità articolare
Esame Obiettivo
- palpazione emirime articolari
- grinding test (in compressione)
- test di Appley (in distrazione)

Diagnosi Strumentale
- radiografia standard (esclusione di lesioni scheletriche e corpi mobili)
- RMN
- artroscopia diagnostica

Trattamento:
Le lesioni meniscali vengono oggi trattate mediante tecnica artroscopica
- sutura meniscale
- meniscectomia parziale
- meniscectomia totale, quasi mai utilizzata, viene riservata a quei casi in cui c’è una lesione
totale e inveterata

207
MALATTIA DI DUPUYTREN

Lesione in Sardegna piuttosto diffusa.


Non è altro che una retrazione della nostra
fascia palmare con una proliferazione
nodulare che porta ad una retrazione delle
dita della mano.
Quindi causa una perdita di funzionalità.

Epidemiologia
- Origine genetica, infatti spesso è bilaterale, spesso chi è affetto ha un parente malato
- Trasmissione autosomica dominante a penetranza variabile
- Influenze ambientali
- Spesso si associa al morbo di Ledderhose, stessa patologia ma a carico del piede.
- Prevalenza maschile dal 2:1 a 10:1
- Uguale rapporto nei diabetici 1:1
- Colpisce alla quinta decade per gli uomini e sesta per le donne
- Esordio tra 40 e 65aa
- Può interessare le nocche, la fascia plantare del piede e la fascia di Buck del pene
Patologia molto invalidante. Inizialmente i pazienti riferiscono come di un cordone che gli dà fastidio.
Dopodiché gradualmente abbiamo una retrazione delle dita.
Ci sono dei fattori che favoriscono lo sviluppo di questa patologia. Fattori che potremmo definire
proinfiammatori. Questi sono:
- Alcolismo o epatopatia
- Epilessia (gardrenale)
- Diabete mellito
- Fumo di sigaretta
- HIV
- Traumi locali
- Iperlipemia
208
Questo è ciò che si fa. Si visualizza la fascia
palmare e si nota che ha perso la sua linearità
e ha formato dei noduli.

Patogenesi
Proliferazione fibrosa tessuto sottucutaneo palmare. Proliferazione
di fibroblasti e miofibroblasti nativi ed aumentata sintesi di matrice
extracellulare dovuta ad una serie di fattori di crescita

- Noduli e cordoni palmari


- Noduli Garrod (nocche)
- Deformità secondarie

Questo è un chiaro esempio di questa patologia. La flessione


delle dita può arrivare al punto di dare delle lesioni vascolari che
portano all’amputazione delle dita. Quindi è fondamentale
diagnosticare la patologia, così da assegnare un adeguato follow-
up e un corretto trattamento.

Localizzazione
- Prossimalmente o distalmente alla piega palmare distale
- Alla base del IV, V e III dito
- Fascia IFP e più raramente IFD
Ci sono diversi tipi di grado di malattia di Dupuytren e in base a questo possiamo utilizzare differenti
trattamenti.
1. Stadio iniziale
- Ispessimento e nodularità fascia
palmare e/o digitale
- Collagene tipo III e fibroblasti

209
2. Stadio attivo
- Noduli veri e propri
- Inizia la retrazione
- Collagene III e IV + miofibroblasti
- La cute distale si sbianca durante
l’estensione ed in seguito
aderisce alla fascia sottostante
- Inizio formazione cordoni

3. Stadio avanzato
- Noduli tendinei
- Grave contrattura delle articolazioni
- Collagene I orientato in fasci
longitudinali e fibrociti

In Italia a livello regionale, sono presenti diversi centri che hanno a disposizione delle collagenasi.
Queste attraverso delle iniezioni locali, permettono lo scioglimento di questi cordoni fibrosi.
Nei casi più gravi il collagene ha un livello di organizzazione tale che la collagenasi ha poco effetto
sui noduli fibrosi e in più si è visto come chirurgicamente, tornando ad operare pazienti trattati con
la collagenasi, l’anatomia è modificata, perché ci saranno delle alterazioni dovute all’iniezione di
quelle sostanze.
Quadro Clinico
Esordio
- subdolo
- callosità del palmo della mano
Periodo iniziale
- formazione del nodulo
- talora dolenzia locale.
- localizzazione a livello della testa del 4°-5°- 3° metacarpale
Periodo di Progressione
- più o meno rapido in relazione all'evolutività individuale
Periodo di Stato
- periodo terminale in cui le lesioni sono da tempo stabilizzate
- la stabilizzazione delle lesioni non necessariamente coincide con stadi avanzati di deformità

210
STADI

Trattamento
Conservativo
- Non sono stati trovati trattamenti validi
- Iniezioni steroidi, utili solo per ridurre il dolore, non hanno alcuna azione sulla progressione
della patologia
- Iniezioni collagenasi
- Somministrazione vit E
- Ultrasuoni
- Radioterapia
- Laserterapia
Chirurgico
- Fasciotomia
- Fasciectomia

Linee guida per la terapia chirurgica


- 30° retrazione MCF
- 15° retrazione IFP
STADIO 1 STADIO 2 STADIO 3 STADIO 4

- Impossibilità a mettere la mano in tasca, appoggiarla a piatto sul tavolo o congiungerla con
l’altra
Interventi
- Aponeuretomia-Fasciotomia
- Aponeurectomia-Fasciectomia parziale
- Aponeurectomia-Fasciectomia totale

211
Incisioni
- Incisioni palmari
- Incisioni digitali
- Incisioni digito-palmari

Requisiti incisioni
- Dare ampia luce
- Evitare cicatrici longitudinali retraibili
- Consentire alle dita di raggiungere l’estensione completa
- Consentire rapida e buona cicatrizzazione

Fasciotomia: Tecnica di Luck


Identifichiamo il nostro
cordone e poi attraverso
l’accesso iniziamo a svolgere
l’operazione (agevola il
chirurgo durante la
progressione dell’intervento,
perché si possono creare dei
lembi triangolari che posso
ribaltare e permettono
un’ottima visione di quello che
è sottocute)

Fasciectomia
Incisioni

212
Incisione di Tubiana
Fasciectomia con tecnica di Skoog (meno
utilizzata)

prevede un’incisione laterale e poi ci si


estende medialmente

Incisione di Bruner

Si effettua un accesso a zeta che separa le falangi fino alla superficie


palmare e da lì scollo la mia fascia palmare e rimuovo la parte patologica

Post-Operatorio
Posizionerò una medicazione, un tutore per 7 giorni circa.
Ma il paziente dovrà muovere le dita della mano, questo perché dobbiamo evitare che si creino delle
retrazioni che potrebbero far perdere al paziente la corretta mobilità delle dita.
Faciectomia
- Medicazione compressiva
- Tutore palmare
- Drenaggio per 24-48h
- Mano non declive per 48h
- Medicazione dopo una settimana: continua con tutore ma inizia movimenti attivi articolazioni
dita
- Rimozione punti e tutore dopo 2 settimane
- Dopo 3 settimane, esercizi moderati
Complicanze
- Ematoma
- Infezione
- Necrosi
- Gonfiore
- Rigidità
- Turbe nervose
213
- Perdita flessione
- Sezione arteria e/o nervo digitale
- Perdita di sostanza
- Recidiva (IFP)

TUMORI DELLO SCHELETRO


Abbiamo metastasi, che sono organizzazioni secondarie di tumori primari, ma oltre queste in campo
ortopedico vediamo anche tumori primitivi. Rappresentano il 5% di tutti i tumori ossei e sono più
frequenti prima dei 20 anni.

Classificazione dei tumori


Prima distinzione
fondamentale da fare
è quella tra tumori
benigni e maligni.
Questo perché i primi
hanno un
accrescimento lento,
sono capsulati e
hanno una
morfologia cellulare
tipica, hanno un
accrescimento
espansivo, ma non
infiltrativo, sono cioè
localizzati e
circondati dalla
propria capsula e
hanno dei limiti netti
rispetto agli ambienti
circostanti.
Mentre la neoplasia maligna ha un accrescimento rapido, hanno una morfologia cellulare atipica
indifferenziata, un accrescimento infiltrativo, metastatizzante e i limiti spesso indistinti rispetto ai
tessuti circostanti, la loro proliferazione è talmente veloce che non rende possibile la formazione
della capsula.
Quadro Clinico
Il paziente arriva da noi con:
- Dolore, non sempre rappresentato
- Tumefazione della zona
- Alterazioni dovute ad espansione o infiltrazione tumorale (fratture, deformità, deficit
vascolari, deficit nervosi etc.)
- (Febbre)
Dobbiamo effettuare una diagnosi differenziale, questa la possiamo fare in base alle caratteristiche
del paziente. Quindi:

214
- Età
- Localizzazione e sede
- Aspetto radiografico delle lesioni
Caratteristiche radiologiche dei tumori benigni
- Margini ben definiti
- Orletto sclerotico
- Aspetto omogeneo
- Non aspetto infiltrativo
- Accrescimento lento

Caratteristiche radiologiche dei tumori maligni

- Margini sfumati
- Aspetto disomogeneo
- Aspetto infiltrativo
- Accrescimento rapido

Diagnosi
- Clinica, valutazione del dolore, della tumefazione e deformità;
- Radiografia
- Diagnostica per immagini approfondita (TAC, scintigrafia, RMN, arteriografia, etc.)
Utili anche per la strategia chirurgica
- Biopsia, ci dà un quadro chiaro della patologia che abbiamo difronte
Scintigrafia
- Tutti i tumori attivi mostrano un ipercaptazione
- I tumori maligni in genere captano di più
- Nei tumori maligni utile per valutare l’estensione extrascheletrica
- Scintigrafia total-body per valutare metastasi

215
TUMORI BENIGNI: SERIE OSTEOGENICA
- Osteoma
- Osteoma osteoide
- Osteoblastoma

OSTEOMA OSTEOIDE
Ha una morfologia caratteristica, ha cioè un “nidus” centrale di tessuto osteoide circondato da una
zona di iperostosi reattiva. Rappresenta l’11% dei tumori benigni e il 5% di tutti i tumori primitivi.

Localizzazione:
Predilige la diafisi di ossa lunghe:
- femore (30%)
- tibia (27%)
- omero (10%)
È spesso riscontrabile anche nella spongiosa di ossa corte:
- vertebre (7%)
- calcagno (4%)

216
Epidemiologia
- Età: 10 - 30
- Sesso: M/F = 2/1
Sintomatologia: Dolore sordo prevalentemente notturno che recede con l’uso di salicilati.
Spesso questi pazienti non rispondono alla terapia con FANS, ma rispondono a quella con salicilati.
Esami strumentali:
- TAC per:
- esatta localizzazione
- estensione della lesione
- dimensioni e sede del nidus
- RMN
- nidus: segnale di alta intensità in T1
- sclerosi reattiva: bassa intensità in T1
Trattamento chirurgico: consiste nell’ablazione dell’osteoma osteoide. Può avvenire anche con
termoablazione.
Sotto AG, e asepsi chirurgica, introduzione di un filo sotto controllo TAC poi exeresi del nido
Materiale per la exeresi del nido

OSTEOBLASTOMA
L’osteoblastoma è una lesione benigna della serie osteogenica. Colpisce nella seconda decade di
vita più i maschi che le femmine (3:1) e ha una localizzazione prevalentemente di tipo vertebrale
dorsale.
Clinica:
- Dolore di lunga durata associato a tumefazione soffice
- Atteggiamento scoliotico o atrofia muscolare nella regione tumorale
- Deficit neurologici se vi è crescita nello speco vertebrale
- Zoppia nelle localizzazioni all’arto inferiore

Caratteristiche Istologiche:
- Tessuto osteoide disposto irregolarmente tra tessuto fibro-vascolare lasso
- Grande quantità di osteoblasti che circonda l’osteoide
- Figure mitotiche molto numerose ma NON sono presenti mitosi atipiche

217
Caratteristiche Radiologiche: a livello vertebrale tende a rigonfiare l’osso. Nel 50% dei casi sono
presenti ossificazioni.

Trattamento: nella colonna vertebrale è necessaria un’ampia escissione con decompressione


neurale ed artrodesi.
I scelta: curettage ed innesti
II scelta: resezione in blocco con un bordo marginale ed innesti

TUMORI BENIGNI: SERIE CARTILAGINEA


1. FIBROMA CONDROMIXOIDE

2. CONDROMA
Neoplasia benigna costituita da cartilagine ialina
ben differenziata. Rappresenta il 25% dei tumori
benigni e il 12% di tutti i tumori primitivi. Si localizza
nelle ossa lunghe di mani e piedi e metacarpi e
falangi (50%) e nel femore e omero (13 %).
Sintomatologia: più del 50 % asintomatici. Dolore
dopo attività fisica.
Patogenesi: si sviluppa da residui di cartilagine
eterotopica derivati dal piatto epifisario di
accrescimento, durante lo sviluppo encondrale
dell’osso.
Aspetto radiografico: lesione tondeggiante e irregolare.
Trattamento: osservazione, ma se il pz ha sintomatologia importante: Curettage + innesto
osseo. Tendenza alle recidive.
Condromatosi multiple (malattia di Ollier, sindrome di Maffucci): aumentando il numero di
lesioni il rischio di trasformazione maligna è del 30-40%.

3. CONDROBLASTOMA
Neoformazione benigna. Colpisce la II decade di vita (M/F: 1.5/1). Interessamento elettivo
dell’omero prossimale, femore distale e tibia prossimale.
Clinica: dolore localizzato, tumefazione, fratture patologiche. Biologia: Neg.

218
Anatomia Patologica: tessuto friabile rosso-brunastro con concrezioni calcifiche spezzettato
in lobuli cartilaginei ed interrotto da zone emorragiche (presenza di condroblasti e cellule
giganti).
Rx: area di osteolisi eccentrica ovalare polilobata sepimentata a delimitazione netta
contenente calcificazioni a zolle multiple talora accompagnata da tumefazioni, la cui crescita
si arresta al termine dello sviluppo scheletrico del paziente.

4. ESOSTOSI OSTEOCARTILAGINEA o OSTEOCONDORMA


Neoformazione ossea aggettante, sessile o peduncolata con impianto a livello della
spongiosa ossea metafisaria, provvista di un cappuccio cartilagineo, la cui crescita si arresta
al termine dello sviluppo scheletrico del paziente (diffuso nei bambini).
Localizzazione: Metafisi distale di femore, Metafisi prossimale di tibia, Metafisi prossimale di
omero.
Trattamento: niente se piccolo e asintomatico oppure resezione chirurgica.
Evoluzione: l’accrescimento dell’esostosi
si arresta con il raggiungimento della
maturità scheletrica. La trasformazione
condrosarcomatosa è rara (c/a 1%).
L’incidenza di trasformazione maligna è
molto più alta nella malattia delle esostosi
multiple.

Malattia delle esostosi multiple: patologia eredo-


familiare caratterizzata dalla formazione di
esostosi multiple e simmetriche nello scheletro di
derivazione cartilaginea con tendenza ad
arrestarsi al termine dell’accrescimento
scheletrico.
Rischio di trasformazione maligna 15%. L’aumento
di volume della lesione nell’età adulta è segno di
degenerazione. Per monitorare le lesioni è utile
una scintigrafia periodica (ipercaptazione).

TUMORI BENIGNI: SERIE FIBROCARTILAGINEA


1) Fibroma non ossificante
2) Fibroma desmoide
3) Tumore a cellule giganti
Tumore osseo primitivo costituito da cellule mononucleate e cellule giganti multinucleate con
fenotipo simile agli osteoclasti. È benigno ma molto aggressivo. Età: 20-40. Localizzazione:
Metaepifisi ossa lunghe (soprattutto ginocchio).

219
Anatomia Patologica: tumore bruno forse per accumulo di emosiderina secondario a ripetuti
versamenti emorragici intraparenchimali. Istologicamente in uno stroma fibroso con cellule
fusiformi ed ovoidali si repertano numerose cellule giganti multinucleate.
Clinica: scarsa dolenzia spontanea e tumefazione. Trasformazione maligna nel 10-20% dei
casi.

Rx standard:
- Lesione litica, spesso “a carta geografica”, con margini netti
senza orletto sclerotico
- A volte aspetto multiloculato “a bolle di sapone”
- Corticale assottigliata, espansa e interrotta con massa
nelle parti molli (trasformazione maligna ???) D.D. con cisti
aneurismatica

Trattamento:
- Curettage
- Resezione marginale
- Resezione ampia
- Curettage + adiuvanti locali

TUMORI OSSEI MALIGNI


SARCOMA OSTEOGENICO
Definizione: Tumore maligno ad alto grado costituito da cellule mesenchimali che producono
osteoide e osso immaturo. Età: max 10-30aa. Colpisce maschi (54%) e femmine (46%).
Varietà istologiche: Osteoblastica, Condroblastica, Fibroblastica, A piccole cellule.
Localizzazione soprattutto metafisi e diafisi: prossimale di tibia, distale di femore, prossimale di
omero (spalla e ginocchio). Il tumore se diffuso può determinare frattura.
Può essere primitivo (diffuso principalmente prima di 21aa) e secondario (più comune sopra i 60aa).
È secondario a Paget, irradiazioni e dedifferenziato (evoluzione di un benigno, con delle zone di
sclerosi e delle zone addensate).

Manifestazioni cliniche:
- Dolore (di solito il primo sintomo)
- Tumefazione
- Termotatto positivo
- Reticolo venoso superficiale
- Articolarità ridotta
- Aumento della VES e della fosfatasi alcalina (marker di rimaneggiamento osseo)
- Fratture patologiche

220
Rx:
- Osteolitico, osteoaddensante o misto
- Reazione periostale a sole radiante
- Triangolo di Codman
- Immagine «en feu d'herbe» e ossificazione delle
parti molli
- Attenzione alle forme iniziali: piccola zona
gommata e piccola reazione periostea in
corrispondenza di una zona densa

Tipologie:
- Litico
- Addensante
- Misto
- Proliferativo
- Centrale (estensione verso l’interno)
- Sovracorticale (estensione verso l’esterno)
TAC: mezzo di analisi topografica
RMN: analisi dell’invasione delle parti molli
Scintigrafia: iperfissazione
L’arteriografia mostra la vascolarizzazione molto elevata (tumore che può sanguinare)
Biopsia: vedo un canale di cellule neoplastiche dal sito del tumore verso l’esterno. Bisogna utilizzare
dei canali di sicurezza: quando effettuo una biopsia e quel tumore si rivela patologia maligna
dobbiamo fare una resezione dei tessuti peribiopsia perché abbiamo contaminato.
Ricerca delle metastasi Polmoni (radiografie e TAC).

Trattamento:
- Chemioterapia preoperatoria: la chemioterapia è il punto centrale del trattamento. Si usa
Polichemioterapia sequenziale di lungo corso 3 o 4 gg al mese per 6 - 12 mesi (Adriamicina, cis-
platino, metotrexate). 1 o 2 cicli prima dell’intervento chirurgico.
- Chirurgia: Amputazione / Resezione in blocco e ricostruzione / Valutazione istologica per
quantificare la necrosi
- Chemioterapia postoperatoria

Prognosi: sopravvivenza del 15 % a 10 anni senza chemio, 70 % a 10 anni con chemio (sarcoma
osteogenico non metastatico e dello scheletro appendicolare). Recidive locali 2 - 3 % dopo
amputazione 5 % dopo chirurgia “limb salvage”.

221
CONDROSARCOMA
Definizione: Tumori maligno con differenziazione cartilaginea. Età: 30-50aa, colpisce maschi (57%)
e femmine (43%)
Varietà istologiche:
- G1
- G2
- G3
- Mesenchimale
- A cellule chiare
- Dedifferenziato
Localizzazione soprattutto metafisi e diafisi: ossa lunghe
(femore), cingolo pelvico, cingolo scapolare.

Manifestazioni cliniche:
- Condrosarcoma
- Dolore profondo ed intermittente
- Tumefazione
- Rare le fratture patologiche

RX:
- Lesione intra-ossea osteolitica a carta geografica
- Calcificazioni diffuse, irregolari sotto forma di granuli, noduli o anelli radiopachi
- Corticale erosa, assottigliata ed interrotta
- Debole reazione periostale

Condrosarcoma secondario: in seguito a Condroma (condromatosi multipla) e Esostosi


osteocartilaginea (Esostosi multiple)
Trattamento: Resezione ampia o radicale. Elevato rischio di recidive locali. Insensibile alla radio e
chemioterapia.

SARCOMA DI EWING
Definizione: Tumore maligno scarsamente differenziato composto da piccole cellule rotonde.
Colpisce soprattutto la razza bianca. Predilige lievemente il sesso maschile (62%). 85 % dei casi tra
i 5 e i 25 anni.
Localizzazione soprattutto diafisi ossa lunghe ma anche tronco.
Manifestazioni cliniche:
- Dolore
- Tumefazione
- Termotatto positivo
- Febbre
222
- Aumento della VES e delle lattico deidrogenasi

Rx:
- Osteolisi a margini sfumati con aspetti infiltranti o a tarlatura
- Corticale interrotta con massa extraossea
- Reazione periostale a bulbo di cipolla nelle localizzazioni diafisarie

Evoluzione rapida e metastatizza facilmente al polmone, scheletro e linfonodi. Nel 70 % dei casi
stadio EW II e 20 % dei casi metastasi a distanza (EW IV).
Trattamento: chirurgia (non con protesi ma con chiodo e cemento ), chemioterapia e radioterapia.

TUMORI DEL RACHIDE


- Extradurali (30%)
Tumori benigni: emangioma, osteoma osteoide, osteocondroma, osteoblastoma.

Emangioma:
Lesione benigna a crescita lenta che origina dai capillari e/o plessi venosi. È la lesione
benigna più comune della colonna vertebrale. La maggior parte degli emangiomi epidurali si
manifesta come estensione secondaria di un emangioma osseo. La maggior parte è
asintomatico e viene scoperto casualmente. Maschi 40% Femmine 60%. 40-50 anni. Aspetto
«tigrato» a palizzata caratteristico degli angiomi vertebrali.

RMN: la maggior parte è circoscritta, ben


definite nel corpo vertebrale ed hanno un
segnale iperintenso sia inT1 che inT2.
TC: lesione lucente con tipica densità “a
pois” che rappresenta una grossolana
trabecolatura verticale.
Rx standard: focolai litici con trabecolatura a
nido d'ape o spesse striature verticali.

Tumori maligni: Cordoma, Linfoma, Sarcoma (Osteosarcoma, Condrosarcoma, Mieloma


Multiplo), Metastasi

Cordoma:
Origina dai residui intraossei della notocorda. Massa grossolana, di aspetto gelatinoso,
lobulata ad invasività locale. Solitamente, ma non frequentemente, origina nella porzione
mediale del rachide in qualsiasi posizione dal clivus al coccige.
RMN: disomogeneità, predomina un basso segnale in T1 ed un segnale pari o superiore al
CSF su PD e T2
TC: lesione litica che determina una distruzione della base cranica o del sacro. Presenta una
componente mista solida e cistica. Calcificazioni presenti nel 30 -70% dei casi.

223
Linfoma:
LNH < 85 %. Età media 58 anni. Forte predominanza maschile.
RMN: tipicamente ipointenso in T1 e iperintensità disomogenea inT2.
TC: non specifica, distruzione dell’osso ed iperostosi.

Osteosarcoma:
Rappresenta il 20 % di tutti i sarcomi ma raramente colpisce il rachide. Si manifesta con
maggiore frequenza sullo scheletro sottoposto a precedenti radiazioni o in pazienti con
morbo di Paget. Caratterizzato da zone osteolitiche e sclerotiche con calcificazione della
matrice.

Condrosarcoma:
Tumori maligno con differenziazione cartilaginea. La frequenza è la metà rispetto
all’osteosarcoma. Può derivare dalla degenerazione maligna di osteocondromi solitari o di
esosotosi multiple ereditarie. Lesione litica con margini sclerotici e calcificazione della
matrice ad anello e ad arco. Talvolta si associano masse dei tessuti molli.

Mieloma Multiplo:
Proliferazione monoclonale di cellule plasmatiche maligne che interessa il midollo osseo. Si
localizza più frequentemente al rachide.
RMN: Il segnale è vario, alcune lesioni si manifestano con una ipointensità adiacente al
midollo e isointensità o iperintensità se comparate al muscolo in T1. Sono tipicamente
iperintense in T2.
TC: lesioni litiche focali o diffuse.

Metastasi:
Rappresentano di gran lunga le neoplasie maligne extradurali più frequenti. Negli adulti 1/2
delle metastasi del rachide con compressione del midollo spinale originano da una neoplasia
mammaria, polmonare o prostatica. Negli adulti le metastasi si localizzano solitamente nella
parte posteriore del corpo vertebrale.
RMN: molto sensibile nella rilevazione delle metastasi vertebrali. Il pattern più comune è
rappresentato da lesioni litiche caratterizzate da un basso segnale inT1 ed un alto segnale
inT2
TC: distingue bene le lesioni litiche da quelle blastiche
SCINTIGRAFIA: molto sensibile, sebbene non specifica, nel rilevare metastasi ossee

- Intradurali (70%): originano all’interno della dura ma all’esterno del midollo spinale.
1. Extramidollari (65%): Tumori benigni (Meningioma e Tumori delle guaine nervose come
Schwannoma e Neurofibroma)

Meningioma:
Tipicamente tumore benigno a lento accrescimento. Meningiomi aggressivi e
degenerazioni maligne sono estremamente rare. E’ secondo solo ai tumori delle guaine
nervose come frequenza. Il sito più comune è rappresentato dal rachide toracico.
RMN: la maggior parte sono isointensi con il midollo spinale sia in T1 che in T2, si
accrescono moderatamente; molti possiedono un’ampia base di attacco durale.
TC: possono comparire come una massa extradurale o a forma di “manubrio” che risulta
isodenso o moderatamente iperdenso se paragonato al muscolo.

224
Tumori delle guaine nervose:
Schwannoma: lesione lobulata, grossolanamente incapsulata, ovale o rotonda e ben
circoscritta. Nasce in maniera eccentrica rispetto al nervo di origine.
Neurofibroma: lesione non capsulata, fusiforme, meno delineata. Solitamente non si
riesce a separarla dal nervo di origine. Sono i più comuni tumori extramidollari intradurali.
La maggior parte originano dalle radici sensitive dorsali.

RMN: la maggior parte risultano isointensi se paragonati al midollo spinale inT1 ed


iperintensi inT2, quasi tutti aumentano di volume.
TC: mostra l’erosione dell’osso, la densità varia andando da ipodensa a leggermente
iperdensa.
Rx standard: erosione dei peduncoli e slargamento del neuroforame.

Metastasi:
Rare. Le metastasi nello spazio subaracnoideo possono originare o meno dal Sistema
Nervoso Centrale. La lesione metastatica raramente si diffonde alle leptomeningi spinali.
Lo spazio lombosacrale rappresenta il sito dove si localizzano più frequentemente le
metastasi. Le lesioni multiple sono piuttosto frequenti e possono manifestarsi come
lesioni nodulari o infiltranti.
RMN: può essere normale senza l’uso del contrasto, l’incremento del segnale è
solitamente drammatico anche nelle lesioni di piccole dimensioni.
TC: presenza di diversi patterns quali depositi nodulari o a placche, massa lombosacrale
focale, aggregazione e concentrazione nelle radici nervose ispessite e manica
obliterazione del neuroforame.

2. Intramidollari (35%) e Cisti e altre lesioni simil-tumorali: lesioni del midollo spinale. La
maggior parte sono lesioni ad alta malignità. Il 90-95 % sono gliomi; > 95 % dei gliomi
sono ependimomi e astrocitomi a basso grado.

Tumori benigni (molto rari)

Tumori maligni: Ependimoma, Astrocitoma, Emangioblastoma, Metastasi


Ependimoma:
Origina dalle cellule della linea ependimale del canale centrale. Le cellule degli
ependimomi sono tipicamente intramidollari. Spesso si ha una degenerazione cistica ed
emorragia. C’è una tipica espansione simmetrica del midollo spinale. Rappresenta il più
comune tumore intramidollare negli adulti 60 % dei tumori spinali gliali.
RMN: mostra un ampliamento della massa del midollo o del filum terminale. La maggior
parte delle lesioni sono isointense rispetto al midollo in T 1 ed iperintense in T 2. La
presenza di una iperintensità ai margini del tumore è indice di un ependimoma. Danno
tutti precocemnte un forte enhancement.
TC: Può mostrare un allargamento non specifico del canale o una distruzione ossea

Astrocitoma:
La maggior parte sono tumori a basso grado. Comuni sono la formazione di cisti
intratumorali e l’associazione con la siringoidromielia. 30 % dei gliomi del midollo spinale,

225
il tumore spinale più comune nei bambini. Il rachide cervicale è la sede maggiormente
interessata. Causa dolore rachideo e scoliosi dolorosa nei bambini.
RMN: segnale da isointenso a leggermente ipointenso in T1 ed iperintenso inT2.
TC: può mostrare un canale aumentato di dimensione.
Rx standard: spesso normale o può mostrare solo una lieve scoliosi.

Emangioblastoma:
Tumore raro che ha un caratteristico nodulo altamente vascolarizzato con una cisti
estesa che slarga diffusamene il midollo. Il sintomo di esordio è rappresentato da
modifiche della sfera sensitiva, c’è una tipica compromissione della sensibilità
propriocettiva. 1/3 dei pazienti con un emangioblastoma del midollo spinale hanno anche
una Sindrome di von Hippel-Lindau.
RMN: spesso mostra espansioni midollari diffuse con iperintensità in T2 e sono prive di
flusso. È comune la formazione di cisti o la siringoidromieilia. I noduli tumorali hanno un
forte enhencement
Angiografia: massa altamente vascolarizzata con una macchia tumorale densa,
prolungata e prominenti vasi drenanti

Cisti e masse simil-tumorali:

Siringoidromielia:
Cavità cordale patologica contenente Liquor Cefalorachidiano. Può essere confusa con
tumori del midollo spinale. Imaging: espansione midollare focale o diffusa.
RMN: area cistica con ipointensità in T1 ed iperintensità in T2
TC: area ben delineata di ipodensità nel midollo spinale, non enhancement.

Sclerosi Multipla:
Il midollo spinale può essere interessato molto precocemente. Si ha la formazione di
placche che si localizzano soprattutto nel midollo dorsolaterale e non rispettano i limiti tra
sostanza bianca e sostanza grigia. Più frequente nel sesso femminile. Si verifica
precocemente una specifica predilezione per il midollo spinale cervicale. Più
tardivamente le placche si distribuiscono uniformemente.
RMN: la lesione intramidollare in T2 appare iperintensa, scarsamente delineata con una
o più estroflessioni; nella sequenza T1 si può apprezzare una atrofia midollare diffusa o
focale. Le lesioni acute determinano un effetto massa e si intensificano dopo contrasto.

Mieliti trasverse:
Anche chiamate “Mielopatie acute trasverse”. Non una vera patologia ma una sindrome
clinica con cause diverse. Lieve preferenza per il midollo spinale del tratto toracico. Il
coinvolgimento multilivello è tipico di queste mieliti.
RMN: normale nella metà dei casi nella fase acuta e non specifica nel resto. Gli elementi
più comuni in T1 sono rappresentati da uno slargamento focale del midollo spinale
mentre in T2 si apprezza una iperintensità scarsamente delineata.

226

Potrebbero piacerti anche