C.I. Sistematica IV
Gli agenti infettivi coinvolti nelle ID sono numerosi e sono parzialmente correlati con la sede
del deficit immunitario.
Non è possibile affidarsi esclusivamente a questo ma è possibile, analizzando la causa
eziologica dell’infezione, ipotizzare la sede del danno. Se abbiamo un deficit dell’immunità
cellulo-mediata, in particolare dei linfociti T CD4 (i veri registi della risposta immunitaria cit.)
qualunque sia l’agente patogeno che entra in gioco, può trovare una condizione favorevole
per causare una malattia; in caso di deficit a livello dell’immunità umorale possiamo avere
in particolare infezioni virali e batteriche, mentre per avere infezioni micetiche deve essere
danneggiato in particolare il sistema macrofagico; un deficit del complemento porterà a
infezioni batteriche.
(vedi la Figura 1 per chiarirti le idee ma non serve
spaccarsi troppo la minchia testa, basta avere un po’
chiaro chi fa cosa nel SI e quindi che cosa succede se
quel sistema fa cilecca)
Figura 1
Immunodeficienze primitive
La prevalenza delle ID primitive è difficile da valutare a causa della difficoltà nella diagnosi.
Abbiamo delle ID molto diffuse come il Deficit selettivo di IgA (1 caso su 500-2.500) oppure
l’Immunodeficienza Comune Variabile (1 su 5.000-10.000) che riguarda l’immunità
specifica, oppure il Deficit di mieloperossidasi (1 su 500-600) che riguarda l’immunità innata
in quanto manca la capacità di killing. Tutte le altre forme oltre a queste 3 sono rare.
In corso di ID primitiva c’è un aumentato rischio di insorgenza di malattie autoimmuni. Il
meccanismo non è noto ma si crede che le infezioni ricorrenti inducano un fenomeno di
mimetismo molecolare con attivazione dei linfociti T contro il self (lo spiegherà quando farà
le malattie autoimmuni).
Le immunodeficienze primitive si classificano in:
1. ID combinate: il danno è riscontrabile a carico dei linfociti T e B
2. ID da prevalente deficit anticorpale: con carenza di B o della funzione helper dei T
3. Sindromi con ID ben definita
4. Altre malattie da ID primitiva
5. Malattie congenite o ereditarie associate con ID
6. Deficit delle funzioni complementari
7. Deficit delle funzioni fagocitarie
(Tutta la classificazione non gli interessa nel dettaglio, vuole che ci ricordiamo quando
sospettare un’immunodeficienza, cosa fare per fare una diagnosi iniziale e ricordarsi che le
ID possono manifestarsi a vari livelli della risposta immunitaria)
Le immunodeficienze combinate sono malattie nelle quali sono coinvolti sia i linfociti T che
i B. Sono delle malattie estremamente gravi che colpiscono la prima infanzia, subito dopo
che le IgA e le IgG della madre hanno perso il loro effetto, al punto che entrano in DD con
l’AIDS congenito e l’unico approccio terapeutico è il trapianto midollare da donatori
istocompatibili.
Abbiamo numerosi tipi diversi di ID combinate, ad esempio abbiamo le ID combinate da
deficit della catena g o della catena e del CD3 (il CD3 è una proteina presente solo sui T che
è strettamente connesso col TCR, quindi possiamo avere un TCR funzionante che
riconosce l’epitopo antigenico ma poi non è capace di trasdurre il segnale all’interno del
citoplasma per il deficit di CD3). Analogamente possiamo avere un deficit di ZAP-70, di TAP-
2, dell’MHC di Classe II ecc. Tutte queste cause sono rare.
Nell’agammaglobulinemia o Sindrome di
Bruton abbiamo un’alterazione del
cromosoma X che causa il deficit di una
tirosin chinasi necessaria per trasdurre il
segnale per la maturazione del pre-B a livello
midollare. Vi è una quasi totale mancanza di
linfociti B e Ig mentre i T sono nella norma.
Questi soggetti vanno incontro a frequenti infezioni da piogeni, solitamente a carico
dell’apparato respiratorio.
Possiamo avere dei deficit delle sottoclassi delle IgG, si associano spesso ad una
diminuzione o assenza delle IgA, abbiamo infezioni polmonari ricorrenti e vengono trattati
con terapia sostitutiva con Ig ev.
Atre malattie da ID primitiva: Sono ID descritte in casi sporadici sulla cui patogenesi le
conoscenze sono ancora molto limitate (non le ha fatte)
1. Deficit primitivo di CD4
2. Deficit primitivo di CD7
3. Deficit di IL-2
4. Deficit di molteplici citochine
Malattie congenite o ereditarie associate con immunodeficienza: (non le ha fatte)
Per quanto riguarda i deficit delle funzioni complementari, questi possono causare una
carente funzione di immunoprotezione (sono condizioni rare) oppure possiamo avere più
frequentemente un deficit dell’inibitore del C1, in questo caso avremo una continua
attivazione del sistema del complemento con la produzione di anafilotossine (C3a, C5a etc)
che possono portare a episodi di angioedema e parliamo di angioedema ederitario.
Angioedema ereditario: C1-INH si lega alle subunità proteolitiche C1r e C1s del complesso
C1. La sua deficienza determina la comparsa di episodi intermittenti di edema a livello
cutaneo e delle mucose, dovuti ad un eccesso di un frammento proteolitico di C2, detto “C2
chinina”. Inoltre C1-INH controlla altre serinesterasi plasmatiche, quali la callicreina e il
Fattore XII della coagulazione. (non l’ha fatto)
Per quanto riguarda i deficit delle funzioni fagocitarie, questi vengono classificati in:
Deficit numerici dei neutrofili
- Neutropenie congenita grave
- Neutropenia ciclica grave
Deficit di motilità
- Difetti di Adesione Linfocitaria (LAD1 e LAD2)
- Sindrome di Chediak-Higashi
- Deficit dei Granuli specifici
- Sindrome di Schwachman
Deficit di “killing”
- Malattia granulomatosa cronica
- Deficit di glucosio-6-fosfato-deidrogenasi dei neutrofili
- Deficit di mieloperossidasi
- Deficit della formazione dei granuli secondari
- Deficit del Complesso IFN-gR/IL-12R
Nb. La classificazione non l’ha fatta
Difetto di adesione leucocitaria -LAD: (non l’ha fatto) Costituisce una rara ma grave forma
di ID con infezioni da funghi e batteri particolarmente a livello del tratto digerente.
LAD-I: ID autosomica recessiva dovuta ad un deficit di espressione del CD18 sulla
membrana dei leucociti
LAD-II: ID dovuta alla mancata sintesi del fucosio con incapacità a formare il ligando delle
selectina E (sialil-Lewis X)
Malattia granulomatosa cronica (CGD): (non l’ha fatta) Rara ID primitiva dovuta al difetto
della NAPDH ossidasi a cui consegue l’incapacità di produrre l’anione superossido
necessario per l’attività battericida delle cellule della linea mielo-monocitica (2/3 dei casi
recessiva legata al sesso, nel restante 1/3 autosomica recessiva)
Sintomi: infezioni recidivanti sostenute da funghi o batteri catalasi-positivi (Stafilococchi,
E.coli, Klebsiella, Serratia, Nocardia, Aspergillus) che tendono a cronicizzare e formare
granulomi in varie sedi (cute, apparato respiratorio, ossa).
Prognosi: Migliorata con l’uso di antibiotici
Terapia: Antibiotici, IFN-g e trapianto midollare
Le immunodeficienze secondarie sono quelle che colpiscono dei soggetti che alla nascita
hanno un sistema immunitario perfettamente funzionante ma che a un certo punto della loro
vita vanno incontro a un’ID a causa del verificarsi di un evento esterno.
Le cause di ID sono diverse, più numerose e più frequenti di quelle primitive e possono
verificarsi con quadri più o meno gravi.
Tra le cause possiamo trovare: infezioni virali (tipicamente HIV); neoplasie ematologiche o
solide che causano danno sia direttamente sia indirettamente, attraverso cioè il trattamento
della patologia, come la radioterapia o la chemioterapia che hanno come scopo quello di
eliminare cellule in attiva proliferazione come le cellule neoplastiche ma uccidono anche le
cellule del SI; farmaci immunosoppressori come quelli usati nel trattamento delle patologie
autoimmuni.
Una cosa che piace molto al buon Manetti è sottolineare che i paesi nei quali la preva-
lenza dell’infezione è maggiore, sono anche quei paesi nei quali la spesa sanitaria per il
contrasto della malattia è quasi inesistente, su tutti i paesi africani. Altra cosa è che nei
paesi occidentali una persona HIV+ ha un’aspettativa di vita quasi paragonabile a quella di
una persona sana, mentre nei paesi poveri ci sono centinaia di migliaia di morti ogni anno.
Oggi la modalità di trasmissione più frequente è quella sessuale, seguita da quella ema-
tica, la via materno-fetale e quella attraverso l’allattamento sono praticamente assenti nei
paesi occidentali mentre sono estremamente frequenti nei paesi in via di sviluppo.
Per decidere quando iniziare una terapia antiretrovirale dobbiamo valutare alcuni punti
chiave:
- la carica virale
- il numero di T CD4+
- lo stato clinico (sintomatico o asintomatico
L’obiettivo della terapia antiretrovirale non è quella di eradicare il virus, poiché una volta
che si è integrato nel genoma non si stacca più, ma bensì quello di sopprimere quanto più
possibile la carica virale in modo tale che il SI possa ripristinare in parte i CD4.
Gli ostacoli alla terapia sono riassunti dall’immagine:
Fondamentale è l’aderenza alla terapia, pertanto è molto importante instaurare un rapporto
di fiducia col paziente perché basta che salti anche solo una somministrazione per rendere
sub-ottimale la terapia e favorire l’insorgenza di resistenze.
Esistono numerosi farmaci ma non gli interessano, basta sapere che esistono gli inibitori
nucleosidici della trascrittasi inversa (NRTI), gli inibitori delle proteasi (PI), inibitori della fu-
sione (Fusion inhibitors) e inibitori dell’integrasi. Le opzioni sono numerose e la terapia è
composta da cocktail di più farmaci.
Quasi tutti questi farmaci hanno degli effetti collaterali anche piuttosto fastidiosi che sono
poi quelli che spingono il paziente ad un’aderenza non ottimale alla terapia.
Gli effetti collaterali sono legati alla classe e anche al singolo farmaco e possono essere:
anemizzazione, danni epatici, pancreatite, rash cutanei, resistenza all’insulina, lipodistrofia
ecc. Gli ultimi farmaci che sono stati sviluppati hanno degli effetti collaterali molto minori, è
cambiata anche la somministrazione che è diventata molto più comoda per il paziente men-
tre prima doveva assumere anche molte compresse nel corso del giorno.
18/03/2021 Tassi - Picciau
INDAGINI DI LABORATORIO PER LO STUDIO DELLE ID
Questo approccio diagnostico è quello che dobbiamo avere ogni volta che sospettiamo
un’immunodeficienza, sia essa primaria o secondaria.
Il paziente nel quale sospettiamo un’immunodeficienza è un soggetto che va incontro a
ricorrenti infezioni, difficilmente eradicabili, sostenute da patogeni atipici.
Quando sospettiamo un’immunodeficienza procediamo per step con indagini di primo
livello, seguite poi da eventuali indagini di secondo livello.
Le indagini di secondo livello sono esami che si fanno se non siamo riusciti a individuare
la causa dell’immunodeficienza. Sono indagini complesse che non tutti i laboratori fanno e
che vanno a studiare la morfologia e la funzionalità delle varie componenti del SI
studiando dettagliatamente i B, i T e le funzioni
fagocitarie.
L’emocromo con formula leucocitaria è un esame che dà diverse informazioni, quello che
ci interessa per lo studio delle immunodeficienze è la parte relativa ai leucociti.
Il valore normale della concentrazione di leucociti è 4.500-11.000/µl, con i neutrofili che
rappresentano il 60%, i linfociti il 20-40%, i monociti e gli eosinofili il 10% e i basofili quasi
in tracce.
Se vogliamo valutare la morfologia delle cellule, dopo aver fatto l’emocromo, facciamo uno
striscio di sangue e osserviamo il preparato al microscopio. Il riscontro di una grande
quantità di cellule immature farà pensare ad una patologia ematologica.
Le proteine del complemento che possiamo dosare routinariamente sono il C3, C4, e
l’inibitore del C1. In caso di deficit del C3 e del C4 possiamo avere infezioni ricorrenti
sostenute da batteri. Il riscontrare viceversa una carenza di C1 inibitore porta invece non
tanto a fenomeni di immunodeficienza ma ad angioedema al volto, alle labbra, talvolta con
interessamento laringeo. Quest’ultima patologia prende il nome di edema di Quincke
(nella pronuncia la e è muta).
È molto importante richiedere il test per verificare l’infezione da HIV. Questo test è un
ELISA di tipo estremamente sensibile ma non molto specifico, pertanto avremo un certo
numero di falsi positivi, motivo per cui ogni positivo sarà sottoposto ad un Western Blot,
altamente specifico. La risposta che avremo sarà quindi una risposta di certezza.
Per quanto riguarda i linfociti T possiamo fare una valutazione quantitativa e una
funzionale.
In generale questi esami si fanno tutti assieme e quindi quando vogliamo conoscere
quanti linfociti abbiamo dobbiamo richiedere la tipizzazione linfocitaria per: CD3 che
sono i T, CD 4 e CD 8 che sono le due sottopopolazioni di T, CD 19 che sono i B e CD 16
e CD 56 che sono le cellule natural killer.
Il marcatore tipico del linfocita T maturo è il CD 3, poi ci interessano i CD 4 e CD 8 che in
condizioni fisiologiche sono mutuamente esclusivi, infatti i doppi positivi e i doppi negativi
sono associati a fasi di maturazione nel timo, se troviamo dei cluster in circolo dobbiamo
pensare a forme neoplastiche. Un altro marcatore che tutti i linfociti maturi hanno è il TCR
e che può essere usato in casi particolari per vedere se abbiamo una proliferazione
monoclonale.
Lo studio quantitativo si fa sempre con anticorpi monoclonali come per i B.
La funzionalità dei T si valuta osservando la loro capacità di proliferare in risposta a
stimolazione con un antigene noto.
25-03-2021
MALATTIE ALLERGICHE
Definiamo come malattie allergiche quelle condizioni nelle quali abbiamo delle risposte del
sistema immunitario caratterizzate un’iperreattività nei confronti di antigeni che se inducono
la risposta di IgE vengono chiamati allergeni e che di per sé sono assolutamente innocui.
Queste risposte sono caratterizzate dalla produzione di IgE, una classe di anticorpi poco
comune nel nostro plasma ma che rivestono un ruolo cruciale nelle allergie.
Gli allergeni sono glicoproteine o molecole di altro tipo (ad es. dei farmaci) capaci di coniu-
garsi con proteine dell’organismo.
La reazione allergica può essere divisa in ipersensibilità immediata e reazioni di fase tardiva
che possono cronicizzare un certo tipo di reazione e possono modificare anche la struttura
di un tessuto o di una mucosa, come ad esempio nell’asma.
L’azione finale che un allergene esplica sul nostro organismo, una volta che abbiamo le IgE
già prodotte, è il rilascio di mediatori ad opera di mastociti e basofili. Queste cellule hanno
la capacità di legare il frammento Fc delle IgE ad un recettore di membrana ad alta affinità
chiamato Fc-epsilon receptor di tipo I (FcεRI), una volta che è avvenuto questo legame, le
porzioni variabili (frammenti Fab) possono legarsi con gli allergeni. Una volta che l’allergene
si è legato contemporaneamente con due IgE presenti sulla membrana del mastocita, que-
sto segnale spinge la cellula ad attivarsi e che nell’immediato si traduce nella degranula-
zione.
Affinché ci sia la degranulazione non è sufficiente che le IgE siano legate al mastocita ma è
necessario che ci sia anche l’allergene posto a ponte tra i due anticorpi presenti sulla mem-
brana cellulare.
Le IgE sono delle im-
munoglobuline simili
alle IgG con la diffe-
renza che il fram-
mento Fc ha un domi-
nio in più (Cε4).
Nel momento in cui l’allergene si è legato alle IgE di membrana si attiva una cascata di
secondi messaggeri col segnale che arriva all’interno del nucleo dove avremo l’attivazione
di fattori di trascrizione, quindi la sintesi di nuove proteine; un’altra via è quella che porta
alla secrezione di metaboliti dell’acido arachidonico che possono portare alla genesi del
processo flogistico. Entrambe queste vie però richiedono del tempo, l’evento più semplice,
che avviene immediatamente è la liberazione di Ca2+ e quindi il rilascio al di fuori della cel-
lulare dei granuli, costituiti da numerose molecole ad azione vasoattiva.
Nella sintesi dei mediatori mastocitari abbiamo la liberazione di acido arachidonico ad opera
della fosfolipasi A2 e in modo particolare viene attivata la via che porta alla sintesi dei leu-
cotrieni.
Riassumendo, i processi si manifestano in due modi:
- un’azione rapida, col rilascio di sostanze vasoattive come l’istamina che porta alle ma-
nifestazioni precoci come il broncospasmo e l’edema per la fuoriuscita di soluti
- un’azione lenta, con l’attivazione della via della sintesi dei leucotrieni che porta ad effetti
infiammatori a lungo termine, come ad esempio il rimodellamento della struttura della
mucosa bronchiale e quindi ad una flogosi cronica delle vie aeree o della cute
La flogosi allergica a livello tissutale richiama altre cellule come ad esempio i granulociti
eosinofili, abbiamo inoltre rimodellamento tissutale per l’ispessimento della membrana ba-
sale, formazione di nuovo collagene e quindi alla fine abbiamo una mucosa che tende ad
essere meno efficace nella sua funzione rispetto a quella di un soggetto non allergico.
Nello schema seguente ci sono tutti gli attori che contribuiscono alla flogosi allergica.
Th2 è il regista di tutto il processo, il linfocita B è l’operaio produttore delle IgE, varie cito-
chine come l’IL-4 vista prima, l’IL-13 fondamentale per la sintesi di IgE, IL-9 nell’ipersecre-
zione di muco a livello delle cellule mucipare, l’IL-5, fattore di crescita degli eosinofili e poi i
fibroblasti che con la produzione di collagene portano a quadri di fibrosi.
Confrontando la mucosa bronchiale di un sog-
getto normale con quella di un soggetto asmatico
sono evidenti le alterazioni prodotte dalla flogosi
cronica che colpisce questo distretto.
Possiamo infatti evidenziare un epitelio più
spesso e più irregolare, un infiltrato di cellule
mono o polinucleate e un aumentato spesso della
membrana basale rispetto al soggetto non aller-
gico.
Nelle forme allergiche IgE-mediate, i linfociti Th2 giocano un ruolo centrale. Questa condi-
zione è dovuta a due componenti: una genetica e una ambientale.
I geni coinvolti sono numerosi e abbiamo principalmente due condizioni che concorrono a
determinare la malattia: overespressione di geni che favoriscono lo sviluppo di cellule Th2,
ipoespressione di quelli che reprimono lo sviluppo dei Th2.
Oltre alle alterazioni genetiche, i fattori che possono influenzare l’insorgenza di allergie sono
i fattori ambientali che iniziano fin dall’ambiente uterino e che poi proseguono nell’ambiente
post-natale.
Negli ultimi decenni c’è stato un notevole incremento della prevalenza dell’allergia nei paesi
occidentali (circa il 20-30% della popolazione ha una qualche forma di allergia), questo non
può essere dovuto ad una selezione genetica perché implicherebbe un’altissima frequenza
di mutazioni e perché non c’è alcun vantaggio selettivo degli atopici rispetto ai non atopici,
questo ci dice che devono essere inevitabilmente implicati dei fattori ambientali.
Anni fa era in voga l’ipotesi che la causa dell’aumento della prevalenza delle allergie fosse
l’aumento dell’inquinamento atmosferico, oggi l’opinione prevalente è che questo sia dovuto
alla riduzione delle infezioni nel corso dell’infanzia. Questa ipotesi prende il nome di “ipotesi
igienica”.
La logica che sta dietro a questa ipotesi è che le infezioni stimolano la proliferazione di Th1,
una cellula che produce interferone gamma e non IL-4 e che pertanto non possono portare
allo shift e alla produzione di IgE. Vivere in un ambiente più pulito, con i bambini soggetti a
meno infezioni fa sì che non ci sia lo shift verso Th1 ma verso Th2 perché il SI non ha
patogeni da contrastare ma inizia a reagire nei confronti di antigeni innocui, cioè gli allergeni,
con tutte le manifestazioni cliniche tipiche.
Le allergopatie possono essere classificare in base agli allergeni responsabili:
1. Allergopatie da inalanti (tipicamente pollini, acari, derivati epidermici di animali)
2. Allergopatie da alimenti
3. Allergopatie da veleno di imenotteri (api, vespe, calabroni ecc.)
4. Allergopatie da farmaci
5. Allergopatie da contatto (nichel, lattice ecc.)
Gli acari della polvere sono degli allergeni molto comuni, con una capacità allergizzante
particolarmente elevata, sono quelli che per primi vengono a contatto con i bambini e quelli
verso cui per primi si ha la risposta da parte delle IgE. Nei soggetti monosensibili, cioè quei
soggetti che per la prima volta si sensibilizzano per un allergene, l’allergene in questione è
tipicamente l’acaro della polvere se il soggetto è un bambino.
Gli acari della polvere vivono nelle abitazioni di tutti, concentrati in particolar modo in certi
ambienti estremamente favorevoli per la loro sopravvivenza come ad esempio i materassi,
i cuscini e la biancheria in generale.
Il soggetto non è allergico all’animale intero ma solitamente alle sue feci, alla sua cuticola,
a prodotti cutanei una volta che è morto ecc. L’acaro si nutre di prodotti che trova nella
polvere, quindi forfora, derivati epidermici di animali o umani.
Nei soggetti allergici è fondamentale la pulizia degli ambienti domestici usando l’aspirapol-
vere dotata di filtro HEPA, vanno inoltre eliminati tutti quegli oggetti sui quali la polvere si
raccoglie come i tappeti, i tendaggi, la moquettes, i peluches. Un’altra buona norma è quella
di areare l’ambiente in quanto gli sbalzi di temperatura tendono ad uccidere gli acari e a
sanificare l’ambiente domestico.
I derivati epidermici di animali sono un’altra tipologia di allergeni molto diffusa e i più fre-
quenti sono quelli di cane, gatto e cavallo. Abbiamo anche degli allergeni emergenti come
il coniglio o il criceto. (Lui parla anche dell’allergia al topo, riscontrata da lui in un tecnico di
laboratorio che lavorava con gli animali da esperimento).
Gli scarafaggi sono i cugini maggiori degli acari. L’allergia non è nei confronti dello scara-
faggio ma nei confronti dei loro prodotti.
Un allergene molto importante di origine vegetale è il lattice che viene usato ampiamente
anche in ambito medico e al quale dobbiamo sempre prestare attenzione in quanto l’allergia
a questo prodotto è molto diffusa.
15/04/21
RINITE ALLERGICA
La manifestazione più comune di malattia allergica è la rinite allergica che si associa molto
spesso ad un coinvolgimento della congiuntiva quindi sarebbe più corretto definirla rinocon-
giuntivite allergica.
È sempre necessario ricordare che l’allergia non è una patologia d’organo ma rimane sem-
pre una patologia sistemica anche se in certi soggetti si manifesta in un certo distretto cor-
poreo piuttosto che in un altro.
La rinite allergica è un’affezione della mucosa delle vie aeree nasali caratterizzata da iper-
sensibilità a sostanze esogene (allergeni) mediata da IgE e da una flogosi cronica che si
mantiene da sola.
Abbiamo una flogosi che interessa prevalentemente ma non esclusivamente, la mucosa
delle prime vie aeree (naso, seni paranasali) e a livello di questa mucosa abbiamo un’infil-
trazione di eosinofili, mastociti degranulati, specie nel momento in cui il soggetto è a contatto
con l’allergene, possiamo trovare anche linficiti B, plasmacellule, fino alla possibilità di rin-
venire dei veri e propri follicoli linfatici. L’infiltrazione di cellule infiammatorie riguarda tutto il
tratto dell’albero respiratorio, anche nei casi in cui abbiamo un soggetto con sola asma
bronchiale o sola rinite allergica.
Quando parliamo di flogosi allergica parliamo di un quadro che nelle situazioni più gravi
porta alla comparsa di sintomi ma anche nelle fasi intercorrenti tra un episodio acuto e l’altro
di rinite, abbiamo sempre quella che viene definita come un’infiammazione minima persi-
stente. In questi soggetti il contatto con l’allergene scatena l’episodio di rinite o di asma, in
condizione “basale” la persona mantiene comunque un certo livello di ipersensibilità della
mucosa che risposta a stimoli aspecifici; questo spiega la possibilità di scatenare la sinto-
matologia anche in condizioni come ad esempio il passaggio da un ambiente freddo ad uno
caldo, ecc.
La rinite può essere classificata utilizzando la classificazione ARIA dell’OMS.
La differenza tra intermittente e persistente è la durata, sia come numero di giorni all’interno
della settimana, sia come numero di settimane durante la quale la rinite persiste.
Da un punto di vista della gravità può essere classificata in forma lieve o in forma grave a
seconda dell’impatto sulla vita sociale.
Non tutte le riniti sono su base allergica, possiamo avere riniti allergiche, infettive oppure
indotte da farmaci o altri. I dati clinici che ci permettono di differenziare tra una forma aller-
gica e una infettiva è la durata, quelle infettive durano poco tempo e poi il tipo rinorrea che
in quelle infettive sarà purulenta. È meno facile fare DD con una rinite infettiva virale che
infatti può mimare una rinite allergica, in tal caso bisogna osservare altri segni e sintomi,
come la febbre, la faringodinia ecc.
La rinite farmaco-indotta riguarda in particolare un tipo di farmaco che a Manetti non piace
per niente, cioè i vasocostrittori (come ad esempio il Vicks Sinex), spray nasali che danno
benessere al paziente perché lo fanno respirare meglio ma che spesso diventano oggetto
di abuso e che portano dopo un po’ di tempo ad un effetto paradosso, in cui il farmaco rende
la parete del vaso meno reattiva e quindi il soggetto andrà incontro, solitamente quando si
metterà a letto, a una forte vasodilatazione delle arteriole nasali, con conseguente rinite.
Questi farmaci si possono usare ma per periodi di tempo molto molto brevi, come ad esem-
pio in caso di rinite infettiva.
La diagnosi differenziale della rinite allergica va fatta con patologie importanti, soprattutto
se l’ostruzione è monolaterale, in quanto ci potremmo trovare di fronte a tumori maligni, una
gnanulomatosi di Wegener (nota oggi col nome di granumolatosi con poliangioite) o atresia
delle coane. Importante tenere a mente che la rinite allergica è quasi sempre bilaterale.
Un’altra patologia importante è la poliposi nasale, associata spesso ad un quadro di rinite.
Quando la flogosi è cronica, in particolare all’interno dei seni paranasali, può diventare tal-
mente esuberante da creare dei polipi che tendono a fuoriuscire a livello degli osti e a inva-
dere le cavità nasali, causando ostruzione fino alla fuoriuscita dalla narice.
La poliposi nasale è parte di una triade composta da polipi nasali, asma bronchiale e intol-
leranza ai salicilati al punto che la somministrazione di ASA scatena una crisi di asma bron-
chiale. In questa forma non è mai stata dimostrata una vera e propria flogosi allergica ma
oggi sappiamo che sicuramente entrano in gioco cellule di tipo Th2 con la produzione di IL-
5 e la produzione di questo fattore fondamentale per la crescita degli eosinofili porta a un
forte incremento di queste cellule a livello dei polipi, ma anche la produzione dell’IL-4. Il
trattamento è fatto con steroidi topici che hanno una funzione nelle fasi iniziali di malattia,
con la chirurgia che però non è mai risolutiva in quanto i polipi tendono a dare recidive in
tempi rapidi e con dei farmaci biologici come il Mepolizumab (nome commerciale Nucala) e
il Dupilumab (nome commerciale Dupixen). Il Mepolizumab è un anti-IL-5 per cui blocca il
fattore che permette la proliferazione degli eosinofili; il Dupilumab è un anticorpo anti-recet-
tore IL-4 e IL-13, che hanno un recettore comune.
La diagnosi di rinite allergica si fa a partire dall’anamnesi. Da un punto di vista anamnestico
andremo a chiedere se il soggetto presenta episodi di rinite o asma bronchiale in una certa
stagione, se ha quadri di ostruzione mono o bilaterale, se la rinite è associata a congiuntivite,
se ha notato che questi episodi compaiono in presenza di animali, piante, assunzione di
farmaci ecc.
All’EO andremo a ispezionare la congiuntiva e la mucosa nasale che si presenterà come
eritematosa.
Successivamente dovremo fare una diagnosi eziologica e questo lo faremo con le prove
allergologiche cutanee.
Se troviamo una persona monosensibile1 (spesso un bambino) potremo fare una terapia
iposensibilizzante specifica, quella che viene chiamata comunemente “vaccino”, per deviare
la risposta immunologica nei confronti di quell’allergene in modo tale che la risposta non sia
solo IgE mediata ma compaiano anche delle IgG e quindi la persona possa “guarire” in un
certo senso. Da un punto di vista genetico il soggetto resterà suscettibile a sviluppare aller-
gie ma quantomeno nei confronti di quell’allergene e solo quello, potremo avere una remis-
sione. La terapia col vaccino dura 3-5 anni ma se non si ottengono benefici dopo un anno
si interrompe. Il farmaco è a totale carico dell’assistito e costa alcune centinaia di euro
all’anno.
Dopo le reazioni cutanee possono essere fatte delle indagini radiologiche come la RMN dei
seni paranasali quando sospettiamo anche una sinusite o una poliposi.
Possono essere fatti dei test sierologici che consistono nel dosaggio delle IgE per quell’al-
lergene. La differenza tra i test cutanei e quelli sierologici è data dal fatto che i test cutanei
possono dare dei falsi negativi, mentre il dosaggio delle IgE è molto più sensibile. Nei test
cutanei il controllo si fa con l’istamina che deve necessariamente causare una reazione
apprezzabile dal medico, se invece non c’è nessuna reazione allora il test è inattendibile,
solitamente perché il soggetto sta assumendo un antistaminico.
Il trattamento di un soggetto con rinite allergica è costituito da diverse strategie:
• Allontanamento dell’allergene, quando questo è possibile
• Terapia farmacologica con steroidi e antistaminici, spesso per via topica
• Immunoterapia, se possibile, quanto prima possibile
1
Il soggetto monosensibile che non viene trattato avrà un’evoluzione tale per cui col tempo diventerà aller-
gico a nuove cose in quanto abbiamo già una predisposizione ad essere allergico, l’allergia nei confronti di
un allergene farà sì che a livello linfonodale si abbia essenzialmente la stimolazione dei Th2 che porta a pro-
duzione di IL-4, quindi un microambiente che favorirà lo switch isotipico di altri B e di altri T e di conse-
guenza avremo una marcia allergica.
Nei soggetti con forma lieve intermittente, solitamente la terapia è quella igienica e quella
con antistaminico orale o topico, dalle forme moderate-gravi intermittenti andremo a intro-
durre lo steroide nasale, farmaco fondamentale per cercare di spegnere la flogosi cronica.
Vari farmaci hanno effetti diversi su quella che è la sintomatologia, ad esempio gli antista-
minici avranno un’ottima risposta per gli starnuti, la rinorrea, il prurito e i sintomi oculari ma
avranno un effetto quasi nullo sull’ostruzione causata dalla flogosi. I corticosteroidi invece
hanno un ottimo effetto su tutti i sintomi tranne quelli oculari.
I cromoni non si usano quasi più, i decongestionanti nasali non gli piacciono.
CONGIUNTIVITE ALLERGICA
ASMA BRONCHIALE
Quando abbiamo come effetto finale la flogosi allergica, possiamo avere o una forma acuta
in cui il sintomo (ostruzione le-
gata alla contrazione della mu-
scolatura liscia e all’edema) è
dato dalla liberazione di istamina
e altre sostanze vasoattive da
parte dei mastociti dopo che
hanno legato l’allergene sulle loro
IgE di superficie, oppure una
forma cronica in cui le cellule in-
fiammatorie (eosinofili, neutrofili
e linfociti) portano ad un danno
graduale con l’ostruzione legata
al danno epiteliale, all’ispessi-
mento della membrana basale e
all’iperplasia del muscolo liscio.
L’asma bronchiale si presenta con episodi di dispnea parossistica, spesso notturna, a pre-
valenza espiratoria, di variabile intensità associata a tosse secca o con scarso escreato
mucoso e respiro sibilante.
All’EO del torace sono presenti rumori secchi (fischi e sibili) diffusi a tutto l’ambito polmo-
nare, questo riscontro varia con la gravità della sintomatologia perché possiamo avere dei
sibili solamente auscultabili, fino a soggetti con un silenzio respiratorio a causa dello spasmo
bronchiale particolarmente serrato. Nelle forme più gravi il paziente si presenterà in decubito
ortopnoico, subcianotico e sudato a causa dell’ipossiemia ipercapnica.
Nei soggetti con asma bronchiale severa abbiamo un torace iperinsufflato con l’aria intrap-
polata all’interno dei polmoni.
L’andamento clinico può essere stagionale, subcontinuo o continuo e negli intervalli tra una
crisi e l’altra può essere o del tutto asintomatico o può presentare manifestazioni cliniche di
iperreattività bronchiale legata alla flogosi minima persistente e quindi avremo dispnea da
sforzo, forti profumi ecc.
La gravità dell’asma viene valutata facendo ricorso a vari parametri, basta la presenza di
una caratteristica di gravità per far rientrare il paziente in quella categoria.
Quando trattiamo l’asma dobbiamo mirare al controllo totale e persistente dei sintomi.
Se otteniamo il controllo dei sintomi, compresa la riduzione della flogosi minima persistente,
sarà più probabile evitare le esacerbazioni e sarà possibile mantenere la funzione polmo-
nare il più vicino possibile ai livelli di normalità.
È necessario avere come obiettivo anche la qualità della vita del paziente, dobbiamo infatti
cercare di far sì che possa vivere la sua vita normalmente, compresa l’attività fisica.
I cardini del trattamento dell’asma bronchiale sono i seguenti:
1. Coinvolgere il paziente nella gestione della malattia
2. Valutare la gravità dell’asma monitorando la sintomatologia e la funzionalità polmo-
nare
3. Evitare l’esposizione a fattori di rischio
4. Effettuare un’appropriata terapia farmacologica cronica coinvolgendo il paziente in
modo tale da aumentare l’aderenza
5. Riconoscere e trattare prontamente le esacerbazioni
6. Incoraggiare un regolare controllo medico
Le linee guida dicono che il trattamento deve essere mirato a sopprimere l’infiammazione a
livello delle vie aeree.
Stabilito questo punto fermo, i farmaci corticosteroidei per via inalatoria sono i più importanti.
Per la somministrazione di questi farmaci esistono numerosi device diversi che funzionano
in modo diverso, fondamentalmente abbiamo dei dispositivi che nebulizzano il farmaco ed
è necessario coordinare la pressione della bomboletta con l’inizio dell’ispirazione, mentre
altri riducono il farmaco in polvere che poi la persona inala. Al momento della prescrizione
è necessario tenere conto anche di questo aspetto altrimenti perderemo l’aderenza alla te-
rapia o per un cattivo utilizzo del device o per la frustrazione del paziente che non riesce a
usarlo. Il modo migliore è quello di prescrivere il farmaco, mostrare come usare il device e
farlo provare al paziente davanti a voi. (lui insiste molto sul coinvolgimento del paziente)
I farmaci a disposizione sono i corticosteroidi inalatori, i ß2-agonisti inalatori a lunga durata
d’azione (LABA) e a breve durata d’azione (SABA), a questi possiamo affiancare dei corti-
costeroidi sistemici, degli antimuscarinici/anticolinergici (LAMA) come il tiotropio, o dei far-
maci biologici come l’Omalizumab (anti-IgE), il Mepolizumab (anti-IL-5) e Dupilumab (anti-
recettore IL-4 e IL-13), anticorpi monoclonali usati nelle forme resistenti ai corticosteroidi.
I farmaci devono essere utilizzati gradualmente a seconda della gravità della malattia.
Si può usare anche l’immunoterapia specifica (ITS) con estratti allergenici quando le altre
terapie hanno fallito e in soggetti monosensibili.
22/04/2021
SHOCK ANAFILATTICO
Caso clinico
Cristina B. 34 anni.
Rinocongiuntivite subcontinua dall’età di 20 anni.
Dall’età di 30 anni occasionali episodi (2-3 all’anno) di orticaria diffusa, talvolta associata ad
angioedema al volto, con insorgenza entro 2 ore dal pasto e durata inferiore a 24 ore assu-
mendo antistaminici per os.
Da 6 mesi tali episodi si ripetono ogni 2-3 settimane.
Un mese prima della visita aveva avuto uno shock anafilattico.
A distanza di circa un’ora dal pranzo era comparso prurito generalizzato e lesioni pomfoidi
diffuse. (Il pomfo è l’elemento principe dell’orticaria). Nell’arco di pochi minuti era comparso
angioedema del volto.
La paziente aveva assunto 1 cp di antistaminico e il marito le aveva praticato un’iniziezione
di betametasone 4 mg im.
Rapidamente il quadro era peggiorato con la comparsa di difficoltà respiratoria e senso di
soffocamento.
All’arrivo dei sanitari la paziente presentava dolore precordiale e marcata ipotensione
(90/40), tachicardia, sudorazione algida, pallore e dispnea ingravescente con “tirage” e al-
terazione dello stato di coscienza.
All’ECG aveva un sottoslivellamento del tratto ST, quindi un quadro già di ischemia.
Il quadro era evoluto rapidamente verso uno shock anafilattico conclamato.
Le alterazioni fisiopatologiche che compaiono nel corso di uno shock anafilattico IgE me-
diato sono:
Il soggetto che va incontro a shock anafilattico è sensibile a quell’allergene, cioè ha già le
IgE specifiche legate alla superficie dei mastociti, quando l’allergene si lega agli anticorpi si
ha la degranulazione e il rilascio in circolo di mediatori vasoattivi come l’istamina e abbiamo
un doppio effetto, uno sul micro e uno sul macrocircolo.
Sul microcircolo c’è un’aumentata permeabilità capillare, un’inadeguata perfusione capil-
lare, la formazione di trombi; sul macrocircolo avremo un deficit di ritorno venoso e una
ridotta gittata cardiaca.
Il cuore tende a contrastare questa ridotta gittata cardiaca con un aumento della frequenza.
Tutto questo porta ad un quadro di ipossia a livello tissutale con un deficit di funzionalità
della cellula che può andare incontro a morte.
Tutte queste turbe conducono ad un circolo vizioso che si autoalimenta e senza il nostro
intervento può andare solo a peggiorare, con un alto tasso di mortalità.
L’aspetto fisiopatologico che conduce al pomfo è l’aumentata permeabilità capillare a livello
cutaneo.
Con anafilassi bifasica si intende una condizione nella quale dopo un primo episodio, se-
guito da un miglioramento clinico che dura circa 4-6 ore, il paziente presenta un nuovo epi-
sodio di anafilassi. Per questo motivo dobbiamo tenere in osservazione il paziente per al-
meno 12 ore visto che spesso il secondo episodio è di più difficile trattamento rispetto al
primo.
Nei bambini la causa di anafilassi maggioritaria è quella legata agli alimenti (60%), seguita
da quella ai farmaci (20%), nell’adulto i farmaci rappresentano il 64%, gli alimenti il 18% e
le punture di insetti il 5%.
Le punture di insetti, in particolare degli imenotteri, rappresentano una quota nettamente
minoritaria rispetto ai farmaci o agli alimenti ma sono molto pericolose perché spesso si
verificano in luoghi nei quali i soccorsi impiegano diverso tempo ad arrivare.
Tornando al caso clinico di Cristina B. sappiamo che circa 10 anni prima aveva avuto alcuni
episodi di asma bronchiale in primavera.
5 anni prima aveva avuto due episodi di orticaria dopo l’iniezione di diclofenac e da allora
non aveva assunto più FANS. In questi episodi di orticaria spesso etichettati come orticaria
allergica da FANS in realtà non entrano in gioco dei meccanismi immuno-mediati e quindi
non sarebbero da considerare come delle manifestazioni di malattia allergica.
Allergia al nichel.
Seguiva una dieta libera.
L’ipotesi diagnostica è quella di una reazione allergica agli alimenti.
Le reazioni avverse agli alimenti possono essere divise in reazioni tossiche che interessano
tutti gli individui e sono dose-dipendenti (caffeina, allucinogeni, solanina, insetticidi ecc.) e
reazioni non tossiche che sono quelle che ci interessano.
Tra le reazioni non tossiche abbiamo quelle a patogenesi immunologica (IgE-mediate e non
IgE-mediate) e quelle a patogenesi non-immunologica, cioè le intolleranze alimentari.
Nelle forme IgE-mediate la forma più comune è la sindrome allergica orale o l’iperreattività
gastrointestinale; a livello cutaneo abbiamo l’orticaria/angioedema oppure l’orticaria indotta
da esercizio fisico, in questo caso particolare abbiamo comunque una reazione allergica ma
i sintomi compaiono solo se il soggetto fa attività fisica; più rare sono le forme di rinocon-
giuntivite o di asma bronchiale.
Abbiamo anche delle forme cellulo-mediate e tra tutte emerge la celiachia nella quale non
abbiamo degli anticorpi contro un certo alimento ma abbiamo la presenza di cellule specifi-
che per la gliadina a cui possono accompagnarsi la presenza di anticorpi anti-endomisio e
anti-transglutaminasi.
Nella gastroesofagite eosinofila è più rara la presenza di IgE specifiche mentre nella mucosa
gastroesofagea troviamo un abbondante infiltrato di eosinofili. Questa manifestazione è le-
gata prevalentemente alla presenza di linfociti Th2 che producono eccessive quantità di IL-
4 (fattore di shift isotipico per la produzione di IgE) e IL-5 (fattore di crescita per gli eosinofili).
L’enterocolite da proteine colpisce i bambini nella prima infanzia e si manifesta con vomito
anche importante, diarrea, flogosi rettale fino al ritardo della crescita. È stato notato che
l’allontanamento di cibi proteici come il latte, le uova, il frumento e la carne possono portare
ad un miglioramento, è come se ci fosse una reazione allergica nei confronti di questi ali-
menti. La dimostrazione della presenza di linfociti specifici non è una cosa tecnicamente
facile e viene fatta solo in pochi centri di ricerca mentre la ricerca delle IgE specifiche è
quasi sempre negativa.
Praticamente tutti gli alimenti possono indurre una reazione allergica in soggetti predisposti
ma ci sono alcuni cibi che più frequentemente sono associati all’allergia.
Tra i vegetali molto importanti sono le profiline, componenti del citoscheletro di diversi ve-
getali e pertanto un soggetto allergico a questo componente può manifestare l’allergia man-
giando vegetali anche molto diversi tra loro, ad esempio fragole, ananas, arachidi, mele ecc.
Possiamo avere delle proteine associate a malattie delle piante, proteine di accumulo come
alcune albumine, oppure proteine con funzione di difesa (Lipid transfer proteins), particolar-
mente presenti nei semi, nei fagioli, nelle arachidi e nei legumi, quest’ultime sono termosta-
bili e pertanto sono degli allergeni molto importanti.
Per quanto riguarda gli animali i cibi che più frequentemente danno allergia sono il latte, le
uova e i crostacei.
L’allergia ai crostacei merita un approfondimento perché è molto frequente e molto spesso
è associata all’allergia agli acari della polvere (tipicamente allergia a Der p 1), anche se non
tutti i soggetti allergici agli acari sono allergici anche ai crostacei. In alcuni soggetti l’allergia
agli acari della polvere è mirata verso Der p 10 che altro non è che la tropomiosina presente
anche a livello dei muscoli dei crostacei, questo causa una cross-reaction tra acari e crosta-
cei ma anche altri animali come le lumache.
Nel caso delle allergie al latte sono frequentemente coinvolte la lattoglobulina e le caseine,
nel caso dell’uovo l’albume causa allergia molto più del tuorlo.
Una cosa di cui dobbiamo tenere conto è la cross-reattività clinica, cioè l’allergia ad un certo
alimento che è associata anche ad un altro, un esempio tipico è quella tra il latte di mucca
e quello di capra (lui ha citato questa cosa solo per curiosità).
PROCEDURE DIAGNOSTICHE
Esistono numerosi test diagnostici per le reazioni avverse agli alimenti, alcuni sono metodi
standardizzati, altri sono inappropriati, altri non validati e altri ancora sperimentali. Noi dob-
biamo concentrarci su quelli standardizzati.
I metodi standardizzati sono basati su una ferrea documentazione scientifica, c’è una pro-
vata efficacia (valutata confrontandoli col gold-standard che è il DBPCF, cioè il food chal-
lenge in doppio cieco contro placebo) e una provata sicurezza.
Nell’anamnesi è importante interrogare il paziente nel modo più preciso possibile, cercando
di non perdere niente, cioè senza andare dritti per la nostra strada, trascurando dettagli che
potrebbero essere fondamentali.
Dobbiamo chiedere se ha una storia di allergie, ad esempio da inalanti oppure se ha già
avuto altre manifestazioni allergiche legate ad alimenti.
Se la manifestazione è comparsa dopo uno sforzo fisico, che può essere legato ad uno
sport, al ballo, ad un hobby o al lavoro.
I test cutanei (Skin Prick Test SPT) sono ampiamente usati, hanno VPP < 50% rispetto al
DBPCFC e VPN > 95% rispetto al DBPCFC quindi la negatività a questi test fa quasi deca-
dere l’ipotesi diagnostica di una reazione avversa agli alimenti IgE-mediata mentre la loro
positività è “suggestiva” di allergia ad un certo alimento ma non dirimente.
L’intradermo reazione si fa molto raramente e viene ancora utilizzata solo per il test di alcuni
farmaci solubili o in certi casi per il veleno di imenotteri.
Le prove allergiche cutanee si eseguono versando alcune gocce di un preparato contenente
l’allergene probando nella regione volare dell’avambraccio, dopodiché la cute viene punta
in maniera superficiale con un ago e dopo si osserva la reazione cutanea dopo circa 10
minuti.
Quando si fa uno SPT si inserisce anche l’istamina che viene utilizzata come controllo, se
non compare il pomfo in corrispondenza dell’istamina allora il test non è valido o per un’ese-
cuzione non corretta o perché il soggetto ha assunto un antistaminico nei giorni precedenti.
Gli SPT si basano sull’utilizzo di preparati commerciali contenenti gli allergeni e durante il
processo di estrazione ci potrebbe essere stata la perdita di alcune potenzialità antigeniche,
in particolare in caso di allergeni termolabili di vegetali. Per risolvere questo problema
possiamo usare la metodica denominata Prick by Prick che consiste nella puntura del ve-
getale in questione con un ago e poi con la puntura dell’avambraccio del paziente con lo
stesso ago. Per il resto la metodica è la stessa.
Le diete di eliminazione sono molto importanti poiché, una volta che abbiamo identificato
l’alimento sospetto non ci rimane che eliminarlo, se una volta che abbiamo eliminato
l’alimento notiamo una diminuzione delle manifestazioni cliniche, allora abbiamo la con-
ferma che quel cibo aveva una sua funzione nell’indurre la reazione.
Il successo della dieta dipende dalla nostra capacità di identificare correttamente l’allergene
e dall’abilità del paziente di mantenere la dieta completamente libera da un dato allergene.
La dieta oligoallergenica permette di condurre il paziente ad uno stato basale nel quale non
ci sono manifestazioni allergiche, a quel punto è possibile introdurre degli alimenti per fare
dei test di scatenamento in modo tale da capire cosa causa la manifestazione.
I metodi inappropriati sono quegli esami che possono essere efficaci e propri per la diagnosi
di altre malattie ma sono inefficaci per la diagnosi di reazione avversa agli alimenti e sono:
• Dosaggio delle immunoglobuline e sottoclassi
• IgG specifiche per alimenti
• Immunocomplessi per alimenti
• Eosinofili nel sangue
• Misurazione della PA
• Esami ematochimici
I metodi non validati, spesso definiti come “alternativi” o “complementari”, sono dei test inef-
ficaci e talvolta non sicuri ma che nonostante questo sono ampiamente usati anche da me-
dici. Dobbiamo starne sempre alla larga.
Una volta che abbiamo fatto la diagnosi l’unica terapia efficace è la totale eliminazione
dell’alimento in ogni sua forma.
Non sempre questo è facile, soprattutto nel caso di una sensibilizzazione alle proteine del
latte poiché sono presenti in tantissimi alimenti, lo stesso per quanto riguarda il nichel che
è presente in molti alimenti vegetali.
A Cristina B. venne prescritta una dieta priva di latte e derivati, porre attenzione agli alimenti
contenenti nichel e salicilati, tenendo un apposito diario e valutare quali alimenti possono
essere assunti senza manifestazioni; evitare l’assunzione di FANS; norme igieniche am-
bientali per acari.
Un kit d’emergenza in caso di shock anafilattico costituito da:
• Adrenalina (Fastjekt) im
• Clorfenamina (Trimeton) 10 mg 1 fl im
• Metilprednisolone (Merol, Urbason) 250 mg 1 fl im
(Ahimè manca la primissima parte della lezione perché la registrazione è iniziata in ritardo,
incollo questa parte presa dalle vecchie sbobine, certe cose sono state dette altre no)
Le reazioni avverse ai farmaci possono essere classificate in 5 tipi diversi:
• Tipo A: prevedibili sulla base delle caratteristiche farmacocinetiche e sono dose di-
pendenti.
• Tipo B: non prevedibili sulla base delle caratteristiche del farmaco ma legate ad una
reazione immunomediata. (sono quelle che ci interessano)
• Tipo C: prevedibili sulla base delle caratteristiche chimiche del farmaco o dei suoi
metaboliti.
• Tipo D: effetti a lungo termine (teratogenicità, cancerogenicità)
• Tipo E: reazioni conseguenti all’interruzione del farmaco (es. l’interruzione brusca di
corticosteroidi può portare ad un’insufficienza surrenalica).
Quando parliamo di reazioni allergiche dobbiamo come al solito seguire la seguente no-
menclatura:
DIAGNOSI
Per arrivare alla diagnosi la cosa più importante è l’anamnesi che deve essere scrupolosa
ecc, sempre la solita roba.
Dopo l’anamnesi è necessario procedere con le prove allergologiche cutanee che pos-
sono essere effettuate o con lo SPT o con l’intradermoreazione del farmaco. Questi test
possono esporre il paziente al rischio di reazione anafilattica e quindi devono essere fatti
in ambiente specialistico e dopo aver sospeso i beta-bloccanti da un paio di giorni, altri-
menti l’adrenalina può non funzionare a dovere.
Il valore predittivo degli SPT dipende dal farmaco che viene testato:
Eccellente Soddisfacente Imprecisato
Penicilline Vaccini Sulfamidici
Miorilassanti Ormoni MdC iodati
Siero eterologo Protamina Chinolonici
Enzimi Oppiacei FANS
Il dosaggio delle IgE specifiche viene fatto in vitro e permette di studiare la risposta immu-
nitaria a certi farmaci, sostanzialmente le penicilline e pochi altri.
Il vantaggio di andare a dosare le IgE specifiche è che per il paziente non c’è nessun ri-
schio, c’è risparmio di tempo e può essere fatto anche in presenza di ulcere cutanee; lo
svantaggio cruciale è legato al basso numero di farmaci disponibili.
Il patch test è un test di scelta per quadri di tipo eczematoso oppure con una dermatite da
contatto. Deve essere eseguito con molta cautela in quei pazienti che hanno avuto vascu-
liti sistemiche o SJS.
I vantaggi del patch test sono diversi: possono essere utilizzate tutte le forme commerciali
dei farmaci; riproducono i meccanismi immunologici coinvolti nelle reazioni avverse da far-
maci cutanee; sono sicuri; hanno un’elevata specificità.
Gli svantaggi sono: i farmaci commerciali non sono puri ma contengono diversi eccipienti;
possono causare manifestazioni allergiche gravi, fino all’anafilassi; hanno una sensibilità
bassa (50% circa).
Il test di trasformazione linfocitaria in vitro (LTT) prevede l’isolamento delle cellule T dal
sangue, cellule che poi verranno messe a contatto con i vari farmaci, se le cellule hanno
un recettore specifico nei confronti di questi antigeni, avremo un’attivazione con la conse-
guente produzione di IL-5 e IFN-g che potranno poi essere dosati.
È utile nell’esantema maculopapulare generalizzato, nell’esantema bolloso, nell’AGEP.
In alcuni casi è occasionalmente positivo in corso di epatite, nefrite, orticaria e angioe-
dema. Raramente avremo una risposta positiva in caso di vasculiti.
Il test di provocazione è il gold-standard perché riguarda tutto il farmaco, non il solo princi-
pio attivo. In questo modo è possibile verificare la presenza di anafilassi anche senza le
IgE specifiche perché magari il soggetto non è allergico al principio attivo ma a un qualche
eccipiente, oppure è allergico a un qualche metabolita.
I testi di provocazione sono molto utili perché ci permettono di:
1. Disporre di farmaci alternativi in caso di provata ipersensibilità (altri antibiotici in
soggetti allergici ai beta-lattamici per es.)
2. Escludere una cross-reattività di farmaci correlati in soggetti con provata ipersensi-
bilità (cefalosporine in pazienti allergici alla penicillina, FANS alternativi in pazienti
allergici all’ASA)
3. Escludere un’ipersensibilità in caso di anamnesi non suggestiva di allergia a far-
maci e in pazienti con sintomi non specifici (sintomi vagali in caso di anestesia lo-
cale)
4. Stabilire una diagnosi definitiva in soggetti con anamnesi positiva di ipersensibilità a
farmaci con test allergologici negativi, non conclusivi o non disponibili (esantema
maculopapulare in terapia con ampicillina e test allergologici negativi).
06/05/21
Gli imenotteri sono un ordine di insetti che comprende oltre 120.000 specie diffuse in tutto
il mondo, quelli che interessano a noi però sono solo quelli che hanno la capacità di pungere
e di iniettare il veleno. Da un punto di vista clinico quelli che ci interessano maggiormente
sono le api, le vespe e i gialloni, in secondo luogo i calabroni e i bombi.
Il pungiglione dell’ape è seghettato pertanto una
volta che l’insetto ha punto, non riesce più ad
estrarlo e mentre vola via il pungiglione rimane
nella cute assieme alla sacca velenifera.
Le vespidi hanno un pungiglione “liscio” pertanto
pungono e poi estraggono l’aculeo.
Questi insetti pungono quando vengono disturbati,
se sentono il nido minacciato o se trovano estranei
nei “corridoi” di raccolta del polline.
Le api pungono una sola volta e poi muoiono, pertanto in quella puntura iniettano tutto il
veleno che hanno, le vespe, invece, potendo pungere più volte, iniettano poco veleno per
volta. Come causa di reazione allergica non è importante la quantità di veleno.
Chi sa già di essere allergico deve metter in atto delle norme per ridurre il rischio di punture
di insetti
All’interno del veleno di imenotteri ci sono due grosse componenti: le amine vasoattive e
una serie di glicoproteine che possono fungere da allergene.
Nel momento in cui l’insetto punge e inietta il veleno, le amine vasoattive saranno alla base
della reazione locale caratterizzata da prurito, irritazione, vasodilatazione e la comparsa del
pomfo.
Il problema è quando quel soggetto ha avuto più punture di imenotteri e ha sviluppato delle
IgE specifiche nei confronti di uno o più allergeni che tipicamente sono la ialuronidasi, la
mellitina e le fosfolipasi A e B.
Possiamo avere delle reazioni a patogenesi immunologica (IgE mediate e non) e a patoge-
nesi non immunologica (tossica).
La classificazione di Mueller ci permette di decidere a chi fare una vaccinazione, scelta non
scontata visto che è un trattamento costoso per il SSN e non molto piacevole per il paziente
che con una discreta frequenza deve recarsi in ambulatorio per sottoporsi al trattamento,
quindi dobbiamo essere ben certi che questo tipo di trattamento sia realmente utile per il
paziente.
Se le reazioni locali limitate sono fisiologiche e interessano tutti i soggetti che vengono punti
da un imenottero, grande attenzione deve essere posta sulle reazioni locali estese e ancora
di più sulle reazioni sistemiche.
In ogni caso se ci troviamo di fronte ad una reazione sistemica (ivi comprese anche le rea-
zioni locali estese), è opportuno somministrare al paziente 0,5 mg di adrenalina IM.
Non facciamo grandi differenze tra reazioni locali estese ma la facciamo tra reazioni locali
e locali estese. Se nelle reazioni locali non mi preoccupo di intraprendere una terapia vac-
cinale, di fronte a una reazione locale estesa è necessario suggerire al paziente questo
trattamento anche perché è molto probabile che la successiva puntura possa scatenare una
reazione sistemica e questa non va “per gradi” ma può comparire direttamente un IV grado.
La prevalenza delle reazioni a punture di imenotteri è del 3-26% per quanto riguarda le
reazioni locali, 0.5-7.5% per quanto riguarda quelle generalizzate. Tra gli apicoltori la pre-
valenza è molto più alta, 14-35% “Ma non ho mai conosciuto un apicoltore che abbia smesso
di fare quel lavoro perché allergico. Amano, amano davvero le loro api”.
Nella popolazione generale le reazioni severe sono 2 casi su 100.000 abitanti/mese, sem-
brano poche ma il problema è che spesso le punture avvengono in luoghi lontani dagli ospe-
dali o poco raggiungibili dai mezzi di soccorso, come ad esempio durante una scampagnata.
In Italia ogni anno abbiamo circa 15 decessi ma è un valore probabilmente sottostimato.
I fattori di rischio per una reazione sistemica grave sono:
• Precedenti reazioni locali estese o sistemiche gravi in quanto è molto probabile che
ad una successiva puntura la reazione sia ancora più grave.
• Breve intervallo tra due punture successive in quanto se la prima puntura è avvenuta
molto tempo fa i mastociti sono “scarichi” di IgE sulla loro membrana, mentre se la
puntura è recente sui mastociti troveremo una grande abbondanza di IgE specifiche.
• Elevato numero di precedenti punture, perché in questo caso i linfociti sono sempre
pronti a produrre IgE e perché abbiamo molte IgE già pronte, con un meccanismo
simile a quello del punto precedente.
• Età avanzata del paziente e patologie cardiovascolari concomitanti.
• Uso di beta bloccanti o ACE-inibitori perché l’uso di questi farmaci inibisce l’azione
dell’adrenalina.
• Mastocitosi con aumentata capacità di degranulare.
• Breve intervallo tra puntura e inizio dei sintomi sistemici (< 30 minuti).
1
Non tutto quello che ha detto è proprio evidence-based, guardati bene il trattamento dell’anafilassi da UpTo-
Date o altre fonti, anche perché se ti troverai di fronte a una persona in shock anafilattico ci sono ottime
probabilità che la prima cosa che farai sarà cagarti sotto e già quello non aiuterà, se poi non conoscerai la
terapia è probabile che la persona possa morire davanti ai tuoi occhi. (consiglio personale)
In caso di reazioni locali estese o sistemiche e presenza di IgE specifiche
per veleno di imenotteri deve essere prescritto un autoiniettore di adrenalina
da usare se:
• Sospetto edema della glottide
• Sintomi cardiovascolari (shock anafilattico)
• Asma bronchiale
• Angioedema viscerale (dolori gastrointestinali)
DIAGNOSI
La ricerca in vitro è molto precisa e sicura per il paziente, può essere fatta già dopo 4 setti-
mane dalla puntura, le IgE specifiche prodotte in seguito alla puntura rimangono in circolo
in maniera abbondante per circa 1 anno.
Un altro esame importante è il dosaggio della triptasi mastocitaria perché questo enzima
aumenta solo in caso di reazione allergica e non per una reazione dovuta alle amine va-
soattive del veleno dell’imenottero.
L’immunoterapia deve essere continuata per almeno 5 anni, con la possibilità di farla per
tutta la vita in quei soggetti che hanno un particolare rischio, come ad esempio gli apicol-
tori.
Quando facciamo immunoterapia specifica abbiamo due fasi, una di induzione e una di
mantenimento.
La fase di induzione può prevedere diversi schemi, uno convenzionale che va avanti per 2
mesi, “cluster”, “rush” e “ultra-rush” che accorciano i tempi fino ad un solo giorno.
Il prof ha sempre usato e sempre userà lo schema convenzionale, che permette di arrivare
al dosaggio massimo consentito in maniera sicura. Una volta raggiungo il dosaggio mas-
simo di 100 mcg/dose, lo continueremo per tutto il tempo necessario.
Schemi molto rapidi vengono usati in quei pazienti che hanno avuto una reazione allergica
grave durante la stagione di maggiore rischio per le punture, cioè quella dell’impollina-
zione. In questi soggetti vogliamo arrivare all’immunizzazione in poco tempo perché otte-
nerla in 12 settimane li può esporre a un grande rischio anche a causa del grande numero
di IgE specifiche che sono state prodotte nel corso della prima manifestazione.
L’ITS è riconosciuta come l’unica cura “salva vita” ed è in grado di assicurare al paziente
una protezione pressoché totale dalle reazioni.
13/05/2021
Quando si parla di malattie autoimmuni si parla di patologie che coinvolgono il sistema im-
munitario nella sua interezza ma il fulcro della reazione è rappresentato dai linfociti T. Se
questo aspetto è importante da un punto di vista patogenetico, da un punto di vista diagno-
stico noi andiamo invece a cercare gli autoanticorpi presenti a livello plasmatico.
La principale caratteristica del sistema immunitario è quella di reagire con una varietà
enorme di antigeni diversi mediante recettori specifici (TCR e BCR).
Durante il processo di maturazione dei linfociti T e B si possono generare in maniera casuale
delle cellule con capacità di riconoscere antigeni autologhi (self).
Normalmente il sistema immunitario non si attiva in presenza di antigeni autologhi, il fatto di
riuscire a rispondere nei confronti del self è il presupposto affinché si possa parlare di au-
toimmunizzazione e di malattie autoimmuni.
La tolleranza immunologica è la
mancanza di risposta nei con-
fronti di un antigene indotta dalla
precedente esposizione dei linfociti allo stesso antigene in particolari condizioni microam-
bientali. Viene distinta in tolleranza centrale e periferica.
Quando parliamo di tolleranza centrale l’esempio più importante è quello che si realizza a
livello timico.
I precursori timici giungono dal midollo osseo alla corticale timica, in questa sede la prima
cosa a cui vanno incontro è la proliferazione cellulare, l’aumento del numero e il riarrangia-
mento per quanto riguarda i geni capaci di indure il TCR, prima g-d, se questo non andrà a
buon fine allora inizieranno a riarrangiare i geni per formare recettori a-b. Nel momento in
cui si è formato questo recettore si procederà col secondo step.
Se il recettore non si forma, quella cellula andrà incontro ad apoptosi.
Se il recettore si forma è importante che il futuro linfocita T abbia la capacità di reagire con
l’MHC, altrimenti non potrà mai avvenire il riconoscimento dell’antigene stesso. Nel mo-
mento in cui ho un’incapacità di interazione con l’MHC autologo, queste cellule andranno
incontro ad apoptosi, il fenomeno è quello della selezione positiva, cioè vengono selezionati
solo quei linfociti capaci di interagire con l’MHC.
In contemporanea avviene anche la selezione negativa, cioè le cellule epiteliali timiche (che
sono cellule presentanti l’antigene) esprimono il gene AIRE che è capace a sua volta di far
esprimere a queste cellule, molecole che possono appartenere a diversi tessuti dell’organi-
smo della persona, in modo tale che i futuri T possano venire a contatto con questi antigeni
self; a questo punto se il futuro T riconosce in modo stretto l’antigene self, allora sarà un
linfocita pericoloso che dovrà essere eliminato e andrà incontro a morte. Dal timo usciranno
solo i linfociti T capaci di riconoscere l’MHC ma che non reagiscono nei confronti del self.
Fattori ambientali responsabili della perdita della tolleranza e dello sviluppo dell’autoimmu-
nità.
I più importanti sono i fattori ormonali, come dimostra anche il fatto che certe malattie au-
toimmuni sono molto più frequenti nelle donne, come ad esempio il LES nel quale il rapporto
donne:uomini è 9:1.
Abbiamo anche i traumi e l’ischemia, come l’uveite post-traumatica nella quale dopo il
trauma ad un occhio è possibile trovare dopo un po’ di tempo, un danno anche all’occhio
controlaterale non coinvolto nel trauma, dovuto alla formazione di anticorpi anti-cornea, anti-
uvea ecc.
Varie infezioni possono essere correlate a malattie autoimmuni, essenzialmente attraverso
il mimetismo molecolare. In questo fenomeno il linfocita T al quale è stato presentato un
certo batterio, induce l’attivazione di altri linfociti T capaci di riconoscere un epitopo antige-
nico presente su una proteina dell’organismo stesso che casualmente condivide la stessa
sequenza dell’antigene
batterico o virale. Una
volta che i linfociti sono
stati attivati in questo
modo andranno ad attac-
care anche il self.
Gli esempi di mimetismo
antigenico sono estremamente numerosi e ancora non tutti sono stati identificati né piena-
mente compresi.
La differenza tra gli antigeni contro i quali abbiamo autoanticorpi patogenetici e quelli contro
i quali abbiamo autoanticorpi non patogenetici è che i primi sono extracellulari, mentre i
secondi si trovano all’interno della cellula. Questo è dovuto al fatto che gli autoanticorpi non
hanno la capacità di penetrare all’interno della cellula.
20/05/2021
Un grosso capitolo degli autoanticorpi sono quelli che riconoscono antigeni all’interno del
nucleo; questo non vuol dire che gli anticorpi riescono a legare una struttura all’interno del
nucleo in una cellula vitale, ma che quando una cellula va incontro a morte e si ha libera-
zione di materiale nucleare, questo funziona come autoantigene nei confronti del quale dei
linfociti B reagiscono.
Abbiamo anche
numerosi anti-
corpi rivolti
contro compo-
nenti presenti
all’interno del
citoplasma
della cellula.
Le cellule verdi
sono delle cel-
lule tumorali
che vengono
usate per fare
questi test dia-
gnostici ed esistono delle cellule specifiche per testare gli anticorpi anti-nucleo e quelli
anti-citoplasma, che si colorano in maniera diversa a seconda della sede degli antigeni.
Nella foto vediamo degli antigeni presenti a livello citoplasmatico, in caso di antigeni nu-
cleari avremmo visto il nucleo colorato intensamente di verde.
Nella tiroidite di Hashimoto abbiamo la distruzione della ghiandola tiroidea da parte di lin-
fociti T CD 8 e NK e la liberazione di antigeni quali la tireoperossidasi e la tireoglobulina
con la formazione di anticorpi rivolti contro queste due sostanze, in particolare si sviluppe-
ranno gli anti-TPO. La prevalenza degli anticorpi anti-TPO è 60-90%. Questi anticorpi ci
servono moltissimo quando dobbiamo fare la diagnosi poiché se abbiamo un quadro di
ipotiroidismo e troviamo questi anticorpi, la diagnosi di tiroidite di Hashimoto è già pratica-
mente fatta e a quel punto, per monitorare il paziente, misuriamo periodicamente gli or-
moni tiroidei e il TSH ma non più gli anticorpi, tanto il loro titolo non è correlato con l’anda-
mento della malattia. (Geppe si commuove quando sente queste cose)
In caso di morbo di Basedow gli anticorpi sono rivolti contro il recettore del TSH e la loro
azione su questo recettore è solitamente quella di mimare l’azione del TSH reale e quindi
stimolano la produzione di ormoni tiroidei. La risposta della tiroide è a feedback negativo
quindi viene inibito il rilascio di TSH dall’ipofisi, anche se questo poi non cambia la situa-
zione in quanto la stimolazione della ghiandola è comunque esercitata dagli anticorpi pre-
senti sul TSH-R che non risentono del feedback negativo. (In altri casi questi anticorpi
bloccano l’azione del TSH causando ipotiroidismo ma lui non l’ha detto)
In corso di gastrite cronica atrofica possiamo avere degli anticorpi rivolti contro la pompa
protonica presente sulle cellule parietali dello stomaco.
Nell’anemia perniciosa abbiamo gli anticorpi anti-fattore intrinseco che quindi non legan-
dosi più alla B12 non ne facilita l’assorbimento, portando ad un’ipovitaminosi e la presenza
di un’anemia megaloblastica.
Nel diabete mellito di tipo 1 possiamo avere degli anticorpi rivolti contro le beta-cellule
pancreatiche. Questo all’esordio, una volta che queste cellule del pancreas vengono di-
strutte, non essendoci più materiale antigenico, gli anticorpi possono diminuire nel tempo
fino a scomparire.
Il senso è che diverse malattie autoimmuni che colpiscono un organo, sono marcate da
degli anticorpi specifici per quell’organo.
Nelle malattie non organo specifiche la situazione è diversa in quanto gli anticorpi sono ri-
volti contro dei bersagli presenti in numerose cellule, tessuti e organi diversi.
Se nelle malattie d’organo gli anticorpi sono specifici per quella patologia, in quelle siste-
miche gli stessi anticorpi possono essere associati con una maggiore o minore specificità
a diverse patologie.
In corso di lupus eritematoso sistemico praticamente tutti i soggetti hanno anticorpi anti-
nucleari, molti quelli anti-DNA; gli anticorpi anti-Sm (che ritentrano tra le cosiddette pro-
teine nucleari estraibili, quindi anticorpi non cromatinici) hanno una bassa prevalenza ma
un’alta specificità; gli anticorpi anti-ribonucleoproteina (RNP) sono importanti perché se
presenti ad alto titolo, sono indicativi di connettivite mista; gli anticorpi anti-SSA si riscon-
trano in corso di lupus ma con maggior specificità in corso di sindrome di Sjögren; gli anti-
corpi anti-istoni spesso sono associati al lupus da farmaci; gli anticorpi anti-fosfolipidi sono
presenti in forma isolata in corso di sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi.
Gli anticorpi che maggiormente vengono dosati per l’artrite reumatoide sono il fattore reu-
matoide (degli anticorpi anti-IgG) e gli anticorpi anti-CCP (peptidi ciclici citrullinati) comu-
nemente chiamati anti-citrullina. Se il fattore reumatoide è presente in quasi tutte le forme
di AR, è altamente non specifico in quanto è presente in moltissime malattie autoimmuni e
in certe patologie infettive, gli anticorpi anti-citrullina invece sono molto specifici.
In corso di sclerosi sistemica possiamo avere due forme, limitata o diffusa. Se troviamo gli
anticorpi anti-centromero saremo di fronte ad una forma limitata, viceversa se troviamo gli
anticorpi anti-Scl-70, allora avremo una forma diffusa. Entrambi questi anticorpi sono spe-
cifici ma la loro prevalenza non è molto elevata.
Nella polimiosite dermatomiosite abbiamo anticorpi anti-t-RNA sintetasi di diversi tipi e non
sono molto facili da evidenziare, anche se molto specifici.
Dobbiamo sempre essere sospettosi quando vediamo un paziente che presenta il cosid-
detto fenomeno di Raynaud poiché può essere associato a Sclerosi sistemica.
Il paziente racconta che se si espone al freddo, le dita delle mani diventano bianche, suc-
cessivamente bluastre e poi con il ritorno alla temperatura normale tendono ad assumere
un colore rossastro, questa triade è dovuta ad alterazioni a livello del microcircolo e prende
il nome, appunto, di fenomeno di Raynaud.
Queste alterazioni posso essere studiate a livello morfologico usando la capillaroscopia a
livello del letto ungueale. In soggetti che hanno il fenomeno di Raynaud associato a malattie
autoimmuni, vediamo una disposizione irregolare dei capillari, con vaso più o meno dilatati,
più o meno occlusi, tortuosi.
Se abbiamo un fenomeno di Raynaud in una donna giovane che riferisce l’insorgenza da 6
mesi – un anno, dobbiamo sempre essere estremamente sospettosi, richiedere la capilla-
roscopia e poi dobbiamo richiedere la presenza di alcuni autoanticorpi.
Nel sospetto di una malattia autoimmune sistemica, in particolare nella SSc possiamo tro-
vare anticorpi anti-centromero, anti-topoisomerasi I (Scl-70) ma non solo, in alcuni casi que-
sti possono essere totalmente negativi, quindi dobbiamo continuare a scavare.
Altri anticorpi importanti sono quelli rivolti contro antigeni nucleolari come la fibrillarina, tutte
le RNA polimerasi ecc, questi antigeni sono nel nucleolo e la loro positività, anche in caso
di negatività di quelli associati alla cromatina, può essere utile per confermare la diagnosi di
sclerosi sistemica.
Il western blot è sconsigliato per la diagnostica routinaria ma può essere utile per la ri-
cerca. La distinzione tra un antigene e l’altra sul foglio di nitrocellulosa può essere molto
difficile e infatti è un esame operatore-dipendente e di difficile esecuzione.
Nella forma granulare abbiamo una positività più grossolana nel nucleo
in interfase, opposta a quella omogenea nelle cellule in duplicazione
perché non si colora il materiale cromatinico ma degli antigeni nucleari
associati alla cromatina.
Gli anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili sono gli ANCA e sono presenti in particolare in
corso di vasculite.
Possiamo avere degli anticorpi rivolti contro la mieloperossidasi MPO o la proteinasi terza
PR3. Se fissiamo i neutrofilo in etanolo abbiamo la distribuzione della MPO a ridosso della
membrana nucleare, mentre la PR3 rimane distribuita uniformemente nel citoplasma.
Questa immagine è tipica della presenza di anticorpi anti PR3 con la fluore-
scenza diffusa piuttosto uniformemente in tutto il citoplasma e pertanto parle-
remo di presenza di cANCA o anticorpi citoplasmatici.
Di fronte ad un so-
spetto clinico di LES il
percorso da seguire è
quello dell’immagine.
Si richiedono gli anti-
corpi anti-nucleari
(ANA) e quelli anti-fo-
sfolipidi (a-PL). LA sta
per lupus anticoagu-
lans che è una meto-
dica diversa per evi-
denziare gli anticorpi
anti-fosfolipidi.
Se sono presenti gli
ANA è necessario an-
dare a tipizzare questi
anticorpi.
In questo modo andremo in maniera più precisa verso una diagnosi di lupus.
È sempre necessario tenere a mente che la presenza di anti-RNP ad alto titolo, oltre che al
lupus, sono associati alla connettivite mista che presenta delle caratteristiche assimilabili al
lupus, all’artrite reumatoide e alla sclerosi sistemica.
Se abbiamo una positività per anticorpi anti-fosfolipidi possiamo essere di fronte ad un LES
ma se invece i criteri diagnostici del lupus non sono rispettati possiamo essere di fronte ad
una sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi con trombosi, aborti ricorrenti ecc.
In corso di gravidanza gli anticorpi tendono ad aumentare il loro titolo e infatti in passato si
sconsigliava alle donne
malate di LES di avere fi-
gli, oggi queste donne
possono portare avanti
una gravidanza a patto
che siano sottoposte ad
un monitoraggio conti-
nuo e che non siano in
una fase di attività della
malattia. (La freccia in-
dica il momento del
parto)
ARTRITE REUMATOIDE
Nelle malattie epatobiliari autoimmuni dobbiamo differenziare l’autreattività come evento se-
condario dall’autoimmunità come evento primario.
Parliamo di autoreattività come evento secondario ad esempio in caso di infezione da HBV,
condizione nella quale i linfociti T attaccano gli epatociti infettati dal virus, distruggendoli.
Parliamo di autoreattività piuttosto che autoimmunità in quanto il sistema immunitario at-
tacca il virus, il danno tissutale è un effetto collaterale dell’aggressione contro il patogeno.
Esame
All’esame Manetti è un po’ imprevedibile, chiede le cose che ha
spiegato a lezione e poi può chiedere anche cose un po’ a caso.
Riguarda sicuramente: la celiachia dalle lezioni della Dore;
l’emocromo e le anemie dalle sbobine della III di Fozza;
il COVID-19, facendo nello specifico la sequenza temporale della
malattia, la diagnosi e la terapia; le dermato/polimiositi da dove preferisci.
Altre domande random oltre a queste ci potranno essere, non
preoccuparti troppo, sono cose che quasi certamente avrai già sentito
e in ogni caso Manetti è un cucciolo e non ha nessun interesse a metterti
in difficoltà, quindi prenditi il tuo tempo, ragiona, parla con lui e andrà bene.