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Immunologia
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16-03-2017

INTRODUZIONE IMMUNOLOGIA GENERALE


Siamo esseri viventi e riusciamo a stare al mondo in equilibrio con esso in quanto siamo in grado di lottare
contro altri esseri viventi per la sopravvivenza.

Abbiamo diverse armi di difesa:

Barriere chimiche e fisiche;


Fisiche: cute e mucose, costituite da diversi strati epiteliali, specializzate, come la mucosa
bronchiale con le sue ciglia vibratili, o i cheratinociti della cute che producono lo strato
squamoso. Altri mezzi di protezione fisica sono funzionali, come ad esempio il flusso di
urina, la tosse ecc.
Chimiche: pH gastrico, pH urinario, pH cutaneo

Possono essere anche facilmente superate, è sufficiente una ferita, una riduzione del pH
gastrico, della funzione delle ciglia vibratili ad esempio in un fumatore ecc.. In tutti questi casi
abbiamo una maggiore facilità per agenti esterni di arrivare e permanere all'interno del nostro
organismo.

Sistema immunitario: costituito da cellule, molecole e organi. La differenza dagli altri apparati è
che il sistema immunitario e ubiquitario, presente in qualsiasi regione del nostro corpo. (Da questo
punto di vista sono presenti analogie con il sistema nervoso e con quello endocrino).

Ci sono ovviamente dei punti del nostro organismo in cui le cellule del sistema immunitario non riescono ad
arrivare, come le valvole cardiache, o non devono arrivare, come la cornea, il cristallino e gli altri mezzi
diottrici dell'occhio.

Quando parliamo di reazione immunologica parliamo di ogni reazione che mette in atto il sistema
immunitario in risposta ad un agente, che potrà essere esterno, o autologo, autoantigene.

Nella maggior parte dei casi la risposta immunologica è efficace, benigna e autolimitante, e ha come
risultato l'allontanamento della noxa dall'organismo, con danno d'organo o tissutale minore possibile.

In altri casi la risposta immunologica diventa essa stessa particolarmente aggressiva e dannosa per
l'organismo, assumendo un significato patogeno.

CENNI STORICI
Il concetto di immunità è molto antico; già diversi secoli prima dei vaccini, in Cina si era intuito il concetto
di immunizzazione.

Si praticava nei bambini, ad esempio per il vaiolo, una profilassi rudimentale che consisteva nell'inalazione
di polveri ricavate dal pus delle lesioni cutanee dei soggetti malati. Si notò una maggiore probabilità di
guarigione e forme di malattia meno severe rispetto ai soggetti non sottoposti a questa pratica.
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Ovviamente i cinesi non sapevano che in quel pus era presente il virus del vaiolo, che la pratica
dell'essiccazione lo uccideva lasciandone intatti gli antigeni proteici e che questi venivano poi a contatto
nell'inalazione con il sistema immunitario dei bambini. Questo causava una risposta immunitaria che
rendeva le difese del bambino pronte a fronteggiare un nuovo incontro col patogeno.

Su queste basi totalmente empiriche si è dovuto aspettare alla fine del ‘700, dopo Jenner, per iniziare ad
indagare in modo più scientifico i meccanismi alla base dell'immunità.

Sempre attraverso l'osservazione Jenner notò la presenza di un vaiolo umano e di un vaiolo vaccino, meno
virulento, di cui si ammalavano gli allevatori a contatto con gli animali. In questi allevatori le epidemie di
vaiolo avevano un'incidenza minore per mortalità e morbilità. Jenner inoculò nel sottocute di un bambino il
pus non essiccato di lesioni da virus vaccino e, dopo un mese, quello da virus umano; fortunatamente il
bambino sopravvisse e nacque così la pratica della vaccinazione.

Oggi il vaccino si pratica sia per profilassi da agenti infettivi che tossici, come la tossina tetanica e difterica.
Sono indiscussi i benefici che le vaccinazioni hanno portato, con una drastica riduzione della mortalità per
tutte le patologie sottoposte a profilassi vaccinica e delle loro complicanze, oltre che della loro incidenza.
Un calo delle vaccinazioni (nei paesi in guerra, o in lotta contro l'idiozia) causa un ritorno nella popolazione
di queste patologie, e quindi un aumento delle complicanze a esse correlate e della loro mortalità.

I vaccini sono sicuramente presidi medici, e come tutti i presidi medici non sono esenti da rischio. La
percentuale di encefalite da vaccino del morbillo è di circa 1 su un milione di dosi somministrate. La
percentuale di encefalite da morbillo è di 1 su mille soggetti affetti.

Quindi il rapporto rischio/beneficio tra morbillo e suo vaccino è mille volte a favore del vaccino.

L'immunologia è una scienza relativamente recente. Da Jenner a Pasteur con la sua pastorizzazione passò
un altro secolo circa. Dal ‘900 in poi, di pari passo con i progressi tecnologici, si ebbero tutta una serie di
scoperte fondamentali, dagli anticorpi all'MCH (anni '50), dalla tolleranza immunitaria ai linfociti T (anni
'70). Andando avanti dal '70 al 2000, nell'arco di nemmeno 30 anni, si sono avute tantissime altre nuove
scoperte e acquisizioni.

Antigeni
Sono strutture proteiche, glucidiche, lipopolisaccaridiche, e acidi nucleici, che possono essere riconosciute
dal nostro sistema immunitario. Possono essere:

Esogeni: prodotti di agenti patogeni, dell'alimentazione, inalanti, farmaci, tumori.

Endogeni: auto-antigeni, contro cui il sistema immunitario reagisce nelle patologie autoimmuni.

Sistema immunitario
_1. Classificazione
Una classificazione scolastica e classica lo divide in: Immunità innata (non specifica)
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Immunità acquisita (specifica)


È una classificazione estremamente limitata, in quanto non tiene conto delle continue e fondamentali
interazioni tra questi due compartimenti.

I vari compartimenti dell'immunità innata son già presenti alla nascita. L'immunità acquisita, con i suoi
recettori, deve formarsi, non è già pronta in origine.

L'immunità innata è destinata a riconoscere, in modo grossolano, un numero limitato di molecole


estranee, quelle presenti ad esempio su tutti i gram-. La cosa importante è percepire e bloccare prima
possibile l'agente patogeno. Queste informazioni son già scritte nel nostro DNA, quindi non c'è una varietà
molto elevata di questi recettori.

La cosa è diversa per l'immunità acquisita o specifica. Le cellule che la compongono vengono distinte in
linfociti B e linfociti T.

I linfociti T riconoscono l'antigene tramite un recettore detto TCR (T-Cell Receptor), i linfociti B lo
riconoscono tramite il BCR, meglio conosciuto come immunoglobulina, Ig.

Questi due recettori, a differenza di quelli dell'immunità innata, vanno incontro ad una fortissima
variabilità e riarrangiamento. All'interno del DNA abbiamo diversi alleli che durante la fase di maturazione
si ricombinano e si modificano in modo diverso tra di loro.

Le cellule dell'immunità innata, NK, macrofagi ecc sono già presenti in forme di vita primitive, come
invertebrati, anfibi ecc, mentre l'immunità specifica compare solamente nei vertebrati. Le classi di
immunoglobuline aumentano di numero all'aumentare della complessità degli organismi, fino ad arrivare al
massimo nei mammiferi.

Schema del meccanismo di azione del sistema immunitario.

_2. Risposta Immunitaria


Ipotizziamo una banale ferita cutanea. All'interno della ferita si ha la contaminazione da parte di
microorganismi.

Le prime cellule in grado di affrontare questi microorganismi nelle primissime fasi sono cellule ad azione
monocito-macrofagica (cellule di Langherans nella cute, cellule dendritiche, polimorfonucleati, come i
neutrofili).

Queste cellule, facenti tutte parte dell'immunità innata, sono essenziali nell'attivazione dell'immunità
acquisita. Mentre i linfociti B si attivano semplicemente al contatto delle loro Ig di membrana con
l'antigene, i linfociti T, più esigenti, per attivarsi hanno la necessità che l'antigene venga loro presentato
dalle APC, cellule presentanti l'antigene, prevalentemente cellule fagocitiche.

Gli antigeni presentati sono legati prevalentemente alle molecole MHC di classe II.

MHC: Complesso Maggiore di Istocompatibilità


Ne esistono diversi tipi: i principiali sono di classe I e classe II:

1. Gli MHC di classe II sono presenti prevalentemente sulla membrana delle cellule presentanti
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l'antigene, quindi macrofagi, monociti, cellule di Langherans, microglia ecc.,


2. l'MHC di classe I è presente su tutte le cellule nucleate del nostro organismo, quindi non è
presente sugli eritrociti.

A distanza di tempo avremo in questo modo l'attivazione dei linfociti T, che porta alla produzione di alcune
molecole solubili, chiamate citochine in generale, linfochine perché prodotte da queste cellule. Una di
queste è ad esempio l'interferone gamma, che ha azione in feedback positivo sulla cellula presentante
l'antigene, rendendola capace di produrre più radicali dell'ossigeno, aumentandone la citotossicità e la
capacità di intervenire sul patogeno distruggendolo.

---Per far sì che la APC reagisca all IFN gamma dovrà presentare il recettore adatto sulla sua membrana.
Questo concetto è fondamentale per capire il sistema immunitario. Tutta la risposta immunitaria avviene
tramite il riconoscimento di ligandi con i loro recettori. Recettori non per forza specifici per un singolo
ligando. Un ligando può infatti legarsi a più di un recettore, con maggiore o minore affinità, quindi i
meccanismi di modulazione e le possibili combinazioni sono davvero sterminati ed estremamente
complessi.---

Oltre ai linfociti T e B abbiamo i cosiddetti linfociti T regolatori, che modulano la risposta immunitaria anche
in senso negativo, ma ancora i granulociti, le cellule epiteliali stesse ecc, e in tutto questo scenario abbiamo
sempre un equilibrio tra tollerabilità della risposta e sua efficacia (molte patologie sono dovute più agli
effetti citotossici di un'abnorme risposta immunitaria che alla virulenza del patogeno, vedi TBC).

_3. Cellule e molecole del Sistema Immunitario


Tutte le cellule dell'immunità maturano a livello del midollo osseo.

Qui, a partire dalle cellule staminali totipotenti, in grado di differenziarsi nelle tre linee, serie rossa, bianca e
piastrine, si ha via via la specializzazione fino all'acquisizione delle caratteristiche di maturità. A questo
punto la stragrande maggioranza di queste cellule fuoriescono dal midollo già mature e pronte a entrare in
circolo per svolgere la loro azione. I linfociti T devono invece migrare al timo per completare la loro
maturazione.

I monociti-macrofagi hanno la capacità di fagocitare i microorganismi, distruggerli mediante la


formazione del fagolisosoma e esporre i loro antigeni sulla membrana dopo il legame con l'MHC di
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classe II, e presentarli ai linfociti T. Assumono vari nomi a seconda delle sedi (Microglia nel SNC,
cellule di Kuppfer nel fegato, Mesangio nel rene, Istiociti nel connettivo).
Contemporaneamente queste cellule sono attivate, cioè producono alcune molecole invece che
altre, e sono in grado di portare avanti meccanismi di killing sfruttando radicali dell'ossigeno,
lisozima, lattoferrina, proteasi e altro. Sono le cellule che agiscono nelle primissime fasi della
risposta immunitaria.
La differenza tra i macrofagi e le cellule dendritiche presentanti l'antigene è che queste hanno una
capacità mille volte superiore rispetto ai macrofagi di presentare l'antigene.

Le molecole utilizzate dalle cellule dell'immunità innata per riconoscere gli antigeni sono i TLR, toll-
like receptor (una ventina di isoforme, ognuna specializzata in strutture diverse, come i TLR-9

riconoscono gli acidi nucleici), gli scavenger receptor, i recettori per le lectine, CD14; sono tutti
recettori capaci di riconoscere strutture antigeniche ripetitive sulla superficie dei patogeni, come
l'LPS dei gram-, la flagellina dei protozoi (riconosciuta dai TLR-5) ecc

Altri recettori importanti presenti sulla membrana di queste cellule sono i recettori per la frazione
Fc delle immunoglobuline, il frammento costante, comune a tutte le immunoglobuline di una
stessa classe, differente tra le diverse classi.
La presenza di questo recettore amplifica enormemente la capacità di risposta di queste cellule, e
la fa evolvere in senso di immunità acquisita, perché ai recettori per il frammento Fc si legheranno
complessi antigene-anticorpo (anticorpi prodotti dai linfociti B) di una determinata classe attivando
i fagociti in modo più specifico contro una determinata noxa, rendendoli effettori della risposta
immunitaria acquisita.

Il legame ligando-recettore attiva ovviamente tutta una serie di reazioni a cascata all'interno della
cellula, che culminano con modificazioni a livello nucleare, con la sintesi proteica di citochine,
chemochine e altri fattori paracrini, con l'attivazione del citoscheletro per i movimenti ameboidi e
la fagocitosi.
Non è necessario conoscere tutte le citochine prodotte da queste cellule, e in generale tutte quelle
coinvolte nella risposta immunitaria, perché sono tante, ripetitive, e agiscono in modo complesso e
su più vie; su alcune è però necessario soffermarsi, come sull'IL-12.
Questa citochina è prodotta dalle cellule macrofagiche una volta attivate dal legame con una noxa,
ed è essenziale per l'intervento di un tipo particolare di linfocita T. Altre citochine importanti da
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ricordare sono quelle pirogene, come l'IL-1 e l’IL-6, che agiscono sul centro di termoregolazione
con un risettaggio della temperatura corporea.
Le chemochine sono un'altra importantissima classe di molecole. La cosa importante da sapere di
queste è la loro differenza con le citochine: le citochine hanno un'azione funzionale, ognuna ha la
propria funzione, spesso sovrapposta, pirogenica, attivante questa o quella classe di cellule ecc.. Le
chemochine sono invece molecole solubili che tendono a creare un gradiente di concentrazione,
sono in grado di accumularsi in un determinato punto e sono quindi responsabili del grandiente
chemiotattico.
Hanno la capacità di far muovere le cellule, solo le cellule che hanno il recettore per quella
chemochina.
Quindi in soldoni le cellule con i recettori per le chemochine tenderanno a muoversi in direzione
delle cellule che producono le chemochine.

Ruolo delle chemochine


Perché una ferita sulla mano ad esempio causa l'ingrossamento di un linfonodo ascellare? Cosa fa
muovere una cellula di Langherans dalla cute della mano al linfonodo ascellare per presentare l'antigene?

Una cellula di Langherans esprime normalmente tutta una serie di molecole di adesione che la tengono
ferma e intercalata tra gli strati più basali dell'epidermide. Il contatto col patogeno in caso di ferita,
patogeno riconosciuto tramite ad esempio un TLR-4, causa tutta una serie di modificazioni intracellulari e
nucleari, che esitano nell'espressione di molecole come l'IL-12, che è però inutile in questo contesto,
perché non ho ancora linfociti T nella sede della lesione.

Ma avranno attivato anche la via che porta all'inibizione delle molecole di adesione, quindi le cellule di
Langherans si troveranno libere di muoversi, ma ancora senza una direzione. Avranno però attivato anche
l'espressione genica per la sintesi dei recettori per le chemochine e la loro esposizione sulla membrana.

Le chemochine vengono prodotte a livello dei vasi linfatici, con un gradiente prossimo-distale, dai
linfonodi (più alto), fino alla periferia (più basso): questo porterà alla migrazione della cellula di Langherans
nel circolo linfatico, e piano piano tenderà a muoversi verso il linfonodo, presentando l'antigene ai linfociti
T, attivandoli con l'IL-12.

Le chemochine hanno un'azione complessa, detta pleomorfa: ogni chemochina può riconoscere diversi
recettori e ogni recettore può riconoscere diverse chemochine, anche se con affinità diversa. È quindi un
network, una rete molto complessa.

Nel nostro organismo abbiamo circa 600 stazioni linfonodali, alcune più superficiali e raggiungibili, altre
profonde, come i linfonodi mediastinici, pre e para aortici ecc.

Una volta che la cellula di Langherans avrà raggiunto la stazione linfonodale attiverà 2-3 classi specifiche di
linfociti T, quelle specifiche per quel particolare antigene.

Questa attivazione significherà proliferazione, inibizione della produzione di molecole di adesione e il


rilascio in circolo di questi linfociti. Una volta in circolo quando arriveranno nei pressi del sito della lesione
interverranno ancora una volta le chemochine con il loro gradiente a far si che possano avvenire quei
processi di marginazione, rotolamento, adesione all'endotelio e diapedesi che permettono ai linfociti T di
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raggiungere il sito di lezione.

Le cellule NK, Natural Killer, sono


importantissime nella difesa contro cellule
trasformate, i tumori, e contro le infezioni
virali. Normalmente hanno dei recettori capaci
di riconoscere e interagire con le molecole
dell'MHC di classe I.
Se questi auto-antigeni sono normali e ben
formati si legano, si distaccano, e non si atti-
vano.
Se, al contrario, queste molecole sono
modificate, o perché la cellula è neoplastica, o
perché eterologa (trapianti), o perché è infettata da un certo virus, le NK lo riconoscono modificato
e si attivano. Attivandosi producono perforine, e altre molecole che causano la lisi osmotica della
cellula e la sua necrosi.

Oltre a tutto ciò abbiamo l'immunità acquisita, un sistema decisamente più perfezionato e fine nella
risposta, a differenza della grossolanità dell'immunità adattativa.

Il midollo osseo e il timo sono considerati organi linfatici primari, i linfonodi, l'anello del Waldeyer con le
adenoidi e le tonsille palatine, le MALT, la milza, le placche del Peyer, sono tutti organi linfatici secondari.
Sono cioè colonizzati da linfociti T e B già maturi.

I linfociti T terminano la loro maturazione nel timo. Il timo è un organo mediastinico la cui unità
funzionale è il lobulo, costituito da una corticale è da una midollare. La corticale è più scura,
maggiormente nucleare, con un numero molto maggiore di cellule, rispetto alla midollare, dove si
possono invece riconoscere i corpuscoli di Hassal.

Di linfociti T esistono i CD4+, i CD8+, possono esistere i doppi positivi, e in alcune fasi della
maturazione anche i doppi negativi.
Un'altra differenza tra linfociti è data dal loro recettore, il TCR, che può essere o alfa-beta o
gamma-delta
Sulla loro funzione posso riconoscere linfociti Th-1, particolarmente citotossici, o i Th-2 coinvolti in
una risposta di tipo umorale con la produzione di immunoglobuline.

I linfociti B viceversa sono linfociti con la funzione di produrre immunoglobuline delle diverse classi:
IgA, IgE, IgG e IgM.

I recettori fondamentali di queste cellule sono il TCR e il BCR (immunoglobuline). I TCR non sono
una ventina di sottotipi come i TLR dei fagociti, sono 10^6 specificità diverse. Ogni linfocita ha la
capacità di riconoscere quel singolo antigene, quel singolo epitopo antigenico.

Ad esempio nella reazione contro lo streptococco vengono coinvolti più linfociti, ognuno
specializzato nel riconoscimento di un singolo epitopo antigenico streptococcico.
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Nei confronti di antigeni batterici abbiamo una risposta che tira in gioco prevalentemente linfociti
CD4+. I CD8+ sono deputati a rispondere prevalentemente ai virus.
Una differenza importante tra i CD8 e i CD4 è la molecola capace di presentargli l'antigene. Mentre
i CD4 necessitano di una presentazione tramite MHC di classe II, i CD8 tramite quello di classe I, non
a caso un'infezione virale può interessare tutte le cellule del nostro organismo, che presentano
l'MHC di classe I, che lega gli antigeni virali presenti nel citoplasma della cellula e li espone sulla
membrana.

Anche i linfociti B sono dotati del MHC di classe II come tutte le cellule presentanti l'antigene.

Le immunoglobuline sono eterodimeri costituiti da quattro catene, due catene pesanti legate tra
loro, due catene leggere legate tra loro, e ognuna legata ad una catena pesante.
Nel caso in cui queste Ig funzionino da recettore presentano anche una coda in porzione COOH
terminale transmembrana che ne permette l'ancoraggio sulla membrana dei linfociti B.

I TCR sono invece formati da un dimero, due catene ancorate alla membrana.
Entrambi questi recettori presentano una porzione costante, comune tra tutti, e una porzione
variabile o ipervariabile in zona NH terminale, estremamente diversa da un recettore all'altro e che
permette di giustificare questa enorme specificità del repertorio immunologico.

2 lezione - 03-2017

Immunità umorale
Fra le varie componenti dell'immunità acquisita esiste anche quella costituita dai linfociti B, i quali sono
capaci di secernere le Ig, complessi proteici costituiti da quattro catene proteiche, due pesanti e due
leggere.
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Gli anticorpi si legano agli antigeni sia nella fase di riconoscimento che nella fase effettrice delle risposte
umorali.

L’interazione dell’antigene con gli anticorpi espressi sulla superficie dei linfociti B rappresenta la fase di
riconoscimento dell’immunità umorale

Nella fase effettrice gli anticorpi secreti si legano agli antigeni. L’eliminazione dell’antigene richiede spesso
la cooperazione di componenti dell’immunità innata (complemento, macrofagi, cellule NK, mastociti)

_Struttura delle Ig
La porzione COOH terminale può possedere una porzione trans-membranaria che permette alla Ig di
rimanere ancorata alla membrana della cellula e costituire quindi un recettore per il linfocita. Quando
questa porzione viene scissa abbiamo la sintesi
delle immunoglobuline solubili.

Quindi la porzione trans-membrana è presente


solo in quelle Ig che fungono da recettore.

Riconosciamo nelle Ig tre parti:


- un frammento Fc
- due variabili
- una porzione centrale cerniera.

A livello della zona NH terminale, nelle porzioni


variabili dove avviene il riconoscimento con
l'antigene, la composizione della catena
amminoacidica presenta una certa variabilità, e in delle zone ben precise
abbiamo una iper-variabilità.

In queste zone il tipo di amminoacido che si viene a localizzare è diverso


da un'immunoglobulina all'altra (in posizione 26, 53, 70, 96 ecc).
Vengono definite appunto regioni ipervariabili.

Nella conformazione primaria queste regioni si trovano estremamente


distanti tra loro, ma nella conformazione terziaria vengono a trovarsi
molto vicine.

Bisogna immaginare le due porzioni variabili delle Ig come le due mani, e


le porzioni ipervariabili come le punte delle dita, che, a seconda della sequenza primaria, avranno una
conformazione diversa.

È sufficiente cambiare un aminoacido in queste porzioni per modificare in modo significativo la tasca di
riconoscimento dell'immunoglobulina.

In questo modo si ottiene una diversità nella funzione di riconoscimento delle varie immunoglobuline. Una
diversità che non inficia il frammento Fc che più o meno rimane uguale nelle diverse classi di
immunoglobuline.
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La funzione della zona cerniera è importante, perché ogni


Ig è bivalente, ha due frammenti FAB ed è capace di
riconoscere due epiteti antigenici, ma questi non sono
posizionati in modo appropriato per poter essere
riconosciuti da una Ig a struttura fissa, è la Ig stessa che
deve adattarsi a riconoscere questi epitopi.

La Ig è quindi costituita in modo quasi perfetto per


riconoscere l'antigene nella zona FAB, nel modo più
appropriato possibile grazie alla zona cerniera, e per
svolgere una funzione legata alla presenza del frammento
Fc.

_Classificazione delle Ig
Le immunoglobuline sono cinque classi (IgA, IgE, IgG, IgD, IgM), le IgG sono quelle maggiormente
rappresentate, le IgE sono tracce (si dosano addirittura in U/L), più consistenti nei soggetti atopici.

Nell'ambito delle varie classi, per le IgG o le IgA si riconoscono diverse sottoclassi.

1. Le IgG hanno quattro sottoclassi, IgG1, IgG2, IgG3 e IgG4, le IgA due. Le IgG1 sono la sottoclasse più
rappresentata e sono dei monomeri.
2. le IgA si presentano come dimero, unite da una struttura di raccordo (Gentile Marco Fadda), sono
presenti nel siero ma si trovano più abbondanti a livello delle mucose, a livello quindi dell'apparato
digerente, del respiratorio, dei genitali. Sono una sorta di vernice che ricopre la porzione più
apicale dell'epitelio.

3. le IgM sono più voluminose, sono pentameri e rappresentano i recettori dei linfociti naive, appena
fuoriusciti dal midollo osseo e che ancora non hanno avuto un priming e ricevuto l'antigene. Questa
classe di linfociti presenta IgM di membrana è solamente in un secondo momento andranno
incontro ad un processo chiamato switch isotipico, cioè il cambiamento di isotipo, e a seconda
dell'ambiente e dei segnali diventeranno IgA, IgG o IgE.
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4. Le IgE sono importanti in corso di infezioni parassitarie e malattie allergiche.

All'elettroforesi sierica, rappresentazione delle


proteine nel nostro siero distribuite in una piastra
carica (le proteine del siero si separano in base alla
carica e al peso molecolare), il primo picco è dato
dall'albumina, proteina maggiormente presente a
livello plasmatici e a minor peso molecolare.

A seguire le alfa 1, le alfa 2 le beta e le gamma


globuline.

A livello del picco delle gamma globuline e in parte anche delle beta ritroviamo le immuno-globuline,
soprattutto le IgG, le IgA tendono a migrare più verso il picco delle beta.

_Legame antigene-anticorpo
Possiamo essenzialmente distinguere due tipi di funzioni delle immunoglobuline.

Un tipo richiede essenzialmente la presenza del sito di riconoscimento, la regione FAB.

La stragrande maggioranza delle altre funzioni richiedono la presenza di un'immunoglobulina intera, non
alterata, presente in tutte le sue componenti. Tra queste funzioni abbiamo ad esempio l'attivazione del
complemento, fenomeni di opsonizzazione, di citotossicità, l'ipersensibilità per quanto riguarda le IgE, la
capacità di passare o meno attraverso la barriera placentare, di trovarsi nel latte materno.

A seconda del legame tra antigene e anticorpo si potranno avere dei determinanti antigenici diversi.

1. Per esempio un antigene, normalmente riconosciuto da un anticorpo specifico, qualora venisse


denaturato e si trovasse nella sua struttura primaria, non sarebbe più riconosciuto come tale
dall'anticorpo. Si parla in questo caso di determinante conformazionale.
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2. Se viceversa l'anticorpo è capace di riconoscere determinati amminoacidi, vicini tra loro nella
sequenza primaria, anche se si denaturasse l'antigene l'anticorpo riconoscerebbe sempre la
sequenza aminoacidica e vi si legherebbe. Si parla in questo caso di determinante lineare.

3. Talvolta addirittura con la denaturazione della proteina si vengono a creare dei nuovi determinanti
antigenici, a causa dell'esposizione di sequenza che nella conformazione naturale della proteina
sarebbero state nascoste e non in grado di legarsi ad un eventuale anticorpo.

4. Oppure ancora si possono creare nuovi determinanti perché durante la denaturazione si ha una
rottura della struttura proteica.

Sindrome allergica orale

Tutto questo ovviamente si traduce nella realtà sul paziente, in modo pratico, ad esempio in una manifestazione
allergica chiamata sindrome allergica orale.

Il paziente racconta di reazioni allergiche immediate dovute al contatto di un alimento come ad esempio la mela con
la mucosa orale. Questo sarà dovuto al contatto di un antigene, presente sulla buccia o nella polpa della mela, che
viene a contatto con le IgE della mucosa orale.

Ma se gli si chiederà se ad esempio la torta di mele gli crei problemi il paziente magari risponderà di no. Nella torta la
mela è cotta, quindi l'antigene è denaturato e l'anticorpo non è più capace di riconoscerlo.

Oppure viceversa può succedere che un soggetto che mangi una mandorla cruda non abbia problemi, ma che
manifesti la reazione allergica mangiando una mandorla tostata.

La tostatura denatura una determinata proteina, magari slatentizzando degli epitopi presenti o creandone nuovi.

Il legame tra l'antigene e l'anticorpo non è un legame covalente, è un insieme di legami deboli, legami a
idrogeno, forza di Van del Walls ecc, tutte forze che tendono a tenere le due strutture proteiche l’una
vicino all'altra, il tutto correlato con la distanza a cui queste
proteine si possono trovare.

Maggiore sarà la capacità di essere complementari l'uno con


l'altro maggiore sarà la possibilità di avvicinare queste
strutture e far entrare in gioco tutte le forze e tenere
l'anticorpo fortemente legato al suo antigene. Diciamo
anticorpo, ma potrebbe essere qualsiasi altro recettore, ad
esempio un TCR.

Se la conformazione non è perfettamente complementare


avremo sì delle forze di attrazione, ma anche di repulsione, e
quindi un'affinità minore, quell'anticorpo nei confronti di
quell'epitopo antigenico non si legherà in modo appropriato.

In generale i linfociti T sono capaci di riconoscere, tramite il TCR, antigeni di natura proteica, riconoscono
dei peptidi presentatigli dagli MHC di classe I o II.

Gli anticorpi viceversa son capaci di riconoscere non soltanto proteine ma anche altre strutture, come un
mucopolisaccaride, strutture solubili o meno, un acido nucleico, uno zucchero o un grasso.
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_Produzione delle Ig
Come vengono prodotti gli anticorpi? I linfociti B
naive, appena usciti dal midollo, sono già in grado di
riconoscere un antigene.

Nel momento in cui incontrano l'antigene la prima


volta, vanno incontro ad un fenomeno di attivazione
che consiste in un aumento della proliferazione e del
numero dei linfociti, e in una specializzazione in
plasmacellula.

Questi linfociti B si trovano poi anche sotto l'azione


dei linfociti T: se abbiamo un microambiente dove i
B si trovano con i T in un bagno di IL-2, queste cellule
diventano capaci di shiftare la loro capacità di
produrre anticorpi da IgM a IgG. Se invece si trovano
in un bagno di IL-4 divengono capaci di produrre igE,
con il TGFß e a volte IL-5, IgA.

Il tipo di immunoglobuline prodotto dipende quindi dal tipo di linfociti T che si trovano in quel momento
accanto ai B, e dal tipo di citochina prodotta.

La fase di shift isotipico è definitiva. Una volta che quella linea cellulare sceglie la sua via di differenziazione
sotto influenza e controllo dei linfociti T non può più tornare indietro, perché durante le fasi di shift si ha
una ricombinazione a livello genico e i domini che codificano per le IgM vengono in qualche modo eliminati
totalmente a favore del dominio che codifica per la Ig finale che potrà essere IgG, IgA o IgE.

Il legame così stretto tra linfociti B e T viene reso ancora più stabile dalla presenza di altri co-recettori, uno
in particolare è il legame che si forma tra CD40 e CD40L (ligando).

La presenza di questo legame è fondamentale affinché si abbia la maturazione e una attiva proliferazione e
differenziazione del B.

Infatti quando è presente una mutazione a livello del co-recettore CD40 o del suo ligando, si ha un quadro
di immunodeficienza chiamato sindrome da iper-IgM. Questi soggetti non saranno in grado di shiftare, di
modificare isotipo, è produrranno solo IgM, che sono meno affini rispetto alle igG e danno un quadro di
protezione minore.
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Quando ci si infetta con virus o batterio ecc abbiamo nella prima settimana più o meno l'attivazione di
queste cellule, che inizieranno a produrre anticorpi. Quindi la prima risposta sarà di tipo IgM, che si attiverà
e sarà dosabile nel siero dopo un paio di settimane: raggiungerà un certo livello, non elevatissimo, e poi
piano piano tenderà a calare. Questa è la risposta primaria, che tutti noi abbiamo al primo incontro con un
antigene.

Se per caso successivamente si incontrasse nuovamente quell'antigene verranno riattivate quelle cellule,
che saranno prima di tutto aumentate di numero, perché come sappiamo una delle prime fasi
dell'attivazione consiste nella proliferazione, saranno poi già pronte, avranno già riconosciuto l'antigene la
prima volta e già scelto che tipo di Ig produrre, ci sarà già stato lo shift, e saranno inoltre molto più attive e
responsive, già dopo una settimana vedremo un picco di risposta, che sarà più alto è più duraturo, talvolta
per tutta la vita.

Da medici si andranno a dosare le diverse classi di immunoglobuline sul siero, ad esempio IgM e IgG per
capire se si ha un'infezione recente o se si ha già incontrato un antigene. L'esempio più lampante di queste
indagini è ad esempio la ricerca dell'infezione in gravidanza del virus della rosolia. Le IgG passano la barriera
placentare, le IgM no, il virus della rosolia sì. Questo fa capire perché è importante avere ben chiari questi
concetti introduttivi di immunologia.

Per riassumere:

1. Un linfocita B naive, che incontra l'antigene, in presenza dell'effetto stimolante, helper, dei linfociti T CD4 che
non a caso si chiamano helper, andrà incontro a:
espansione clonale e proliferazione;
produzione di anticorpi.

2. Il linfocita B è capace di legare l'antigene con le sue Ig di membrana, endocitare questo complesso,
distruggerlo all'interno del citoplasma, processarlo e in parte legarlo all'MHC di classe II, che viene esposto
sulla membrana.
Questo perché il linfocita B è dotato di MHC di classe II, e si comporta come una cellula presentante
l'antigene nei confronti del linfocita T.

3. Successivamente si avrà lo shift isotipico.

4. Infine aumento dell'affinità e della memoria immunologica di questi linfociti.


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_Funzioni delle Ig
1. Neutralizzazione di batteri, tossine e altri antigeni;
2. Opsonizzazione (capacità di favorire la fagocitosi);
3. Attività citolitica;
4. Attivazione del complemento;
5. Protezione fetale e neonatale.

Non tutte le classi di Ig presentano le stesse funzioni.

1. NEUTRALIZZAZIONE DI ANTIGENI

La neutralizzazione è l’unica funzione effettrice degli


anticorpi interamente legata all’interazione con
l’antigene; essa non richiede la partecipazione delle
regioni costanti della catena pesante. La neutralizzazione
si può ottenere con il solo frammento Fab ed è
indipendente dall’isotipo.

L'azione neutralizzante degli anticorpi si esplica ad esempio con le tossine, con il legame tra gli anticorpi e il
loro sito di legame. Questo accade ad esempio per le IgG specifiche per la tossina tetanica, ma anche per
quella difterica. Queste IgG rendono impossibile il legame di questa tossina con il suo recettore a livello
nervoso.

Questa azione è immediata, ed è il principio, ad esempio in questo caso, della profilassi anti-tetanica con
l'anti-tossina: si somministra cioè un siero con anticorpi anti-tossina tetanica. Dopo questa profilassi si
dovrà anche vaccinare il soggetto per fare in modo che produca lui stesso questi anticorpi.
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2. OPSONIZZAZIONE

I fagociti, di cui fanno parte macrofagi, cellule dendritiche ecc, riconoscono l'antigene tramite i TLR, Toll-like
receptors, lo legano e lo internalizzano andando poi ad innescare la risposta immunitaria.

Gli anticorpi prodotti dal linfocita B attivato contro quell'antigene si vanno a legare, tramite il loro
frammento Fc, su dei recettori presenti sulle cellule fagocitarie.

I TLR non sono tantissimi numericamente, e hanno inoltre delle capacità di riconoscimento davvero limitate
e generiche (il TLR-4 riconosce ad esempio tutti i batteri che hanno il lipo-polisaccaride di membrana).
Invece il legame dell'anticorpo sulle cellule fagocitarie le rende estremamente specifiche e aggressive nei
confronti di quel determinato antigene.

Il recettore fagocitico che lega gli anticorpi sul frammento Fc si chiama Fc-γ-receptor, o alfa o epsilon a
seconda del tipo di immunoglobulina legata. È un recettore ad alta affinità di legame.

Quindi si avrà un'enorme espansione, da parte di queste cellule, della loro capacità di riconoscere quel
determinato antigene, è quindi di endocitarlo ed eliminarlo.

È un sistema di potenziamento della fagocitosi. I recettori per Fc espressi dai fagociti favoriscono la
fagocitosi delle particelle opsonizzate e trasmettono all’interno della cellula segnali che ne stimolano le
potenzialità battericide (radicali dell’ossigeno)

3. ATTIVITÀ CITOLITICA

L'altra funzione importante ma legata ad un meccanismo molto simile all'opsonizzazione è la cosiddetta


citotossicità anticorpo mediata. Se l'antigene non è un batterio ma una grossa cellula, magari la cellula di
un trapianto o eterologa, gli anticorpi si legheranno sugli antigeni presenti sulla membrana della cellula e il
loro frammento Fc esposto all'esterno verrà riconosciuto dagli stessi recettori ad alta affinità Fc receptors,
presenti questa volta su cellule ad azione citolitica, come le NK, natural killer.

Una volta attivata questa cellula è in grado di lisare quella bersaglio, che era stata rivestita da questi
anticorpi.

Perché però le NK riconoscono e si legano proprio a questi anticorpi legati a loro volta sulla cellula target e
non i legano ad esempio sulla miriade di anticorpi circolanti presenti sul siero? Perché nel momento in cui
una proteina si lega ad un'altra si avrà un cambio conformazionale, è qualcosa cambierà nella sua struttura
terziaria, e quel frammento Fc risulterà accessibile ai recettori delle cellule NK.

4. ATTIVAZIONE DEL SISTEMA DEL COMPLEMENTO

Sistema costituito da tante molecole presenti nel siero, non


ancora attivate, che tendono ad attivarsi a cascata. In questo
momento ci interessa sottolineare la via classica di
attivazione, ma sono importanti e vanno conosciute anche le
altre.

Gli anticorpi legati ad un antigene cambiano la loro struttura


terziaria, il frammento Fc si modifica e diventa capace di legare
la prima componente del complemento, cioè il C1. Questo si
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modifica a sua volta e si lega al C4, che si scinde in C4b e C4a, poi C2, C3 è così via. Non interessano i
dettagli.

Il concetto importante dev’essere che da questa attivazione sequenziale alla fine si attivano tante altre
proteine e si vengono a creare dei veri e propri pori, assemblando alla fine il C9, con la successiva lisi
osmotica della cellula, batterio ecc.

Non tutte le immunoglobuline vengono a fissare il complemento, ma solo le IgG e le IGM

Durante la fase di attivazione del complemento si vengono anche a liberare dei frammenti, C5a, C3a e altri,
e questi vanno a legarsi a dei recettori presenti ad esempio sulle superfici dei macrofagi, dei mastociti,
comportandone l'attivazione.

Se si attiva il complemento con un immunocomplesso poi la cascata del complemento va avanti da sola,
quindi potenzialmente se non si riuscisse a bloccare l'attivazione del complemento la produzione di questi
frammenti attivi C3a C5a, che vengono chiamati non a caso anafilo-tossine, si possono creare dei fenomeni
di immuno-patologia come orticaria, angioedema ecc.

Esistono dei sistemi che portano all'inattivazione del complemento agendo a livelli diversi, a livello di C1,
C3, C4, della formazione del complesso C9 ecc.

Una proteina importante è l'inibitore di C1, la C1 esterasi.

Edema di Quincke
Esiste una patologia chiamata edema di Quincke, o edema angio-neurotico, caratterizzata dalla carenza di questo
inibitore. I soggetti con questa carenza non sono più capaci di bloccare l'attivazione del complemento e vanno a
fenomeni di angioedema importanti, che interessano gli stati più profondi della cute a differenza del pomfo
dell'orticaria, sono più diffusi e possono andare ad interessare anche le mucose, orale, palpebrale, genitale, ecc.

È una condizione pericolosa un'altra vada ad interessare la mucosa della laringe, causando l'occlusione della rima
della glottide. In questi casi si inocula al paziente in emergenza un inibitorie di C1.

5. PROTEZIONE IMMUNOLOGICA FETALE E NEONATALE

Un'altra funzione importante delle Ig è la capacità, legata alle IgA, di passare l'epitelio a livello delle
mucose, e venire secreta a livello della
porzione apicale.

Queste sono quindi le prime Ig che un


agente infettante vede nel momento in cui
giunge a contatto con la mucosa, enterica,
bronchiale ecc. Un'altra secrezione
importante che le contiene è il latte.

Il latte materno rappresenta un aiuto per il


bambino anche dal punto di vista di
protezione immunologica.

Infine non tutte le Ig sono capaci di passare la barriera placentare, le igM no le IgG sì.
19

Se ho mancanza di IgG nella madre questo può rappresentare un problema nel caso di infezione in
gravidanza, perché le IgM da sole non riescono a passare, essendo pentameri, quindi non danno una
appropriata protezione al feto.

Le IgG sono poi prodotte in quantità sicuramente maggiori rispetto alle IgM, e questo aiuta a proteggere il
bambino.
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IMMUNODEFICIENZE
Abbiamo visto cosa succede quando funziona il sistema immunitario, ora vedremo cosa succede quando non funziona.

In generale si parla di immunodeficienza quando una o più funzioni del sistema immunitario non sono
adeguate o sono carenti.

Ci si accorge dell'immunodeficienza quando ci si trova davanti ad infezioni ripetute, difficili da curare,


sostenute da germi tendenzialmente opportunisti, normalmente non patogeni, come ad esempio una
candidosi estremamente aggressiva, oppure un'insorgenza maggiore di neoplasie, dovute generalmente a
virus con azione oncogena, come il linfoma di Burkitt, o il cranio-faringioma, sostenuto dal virus di Epstein
Barr.

L'immunocompromissione non permette di combattere nè il virus nè l'oncogenesi.

Classificazione
Si può classificare l'immunodeficienza in:

Umorale, se interessa un deficit di produzione di anticorpi


Cellulo-mediata, se sono interessati i linfociti T, le cellule NK,
Del sistema fagocitario, se sono interessate cellule dendritiche macrofagi ecc,
Del complemento.

Ognuno di questi sistemi può essere alterato, talvolta è sufficiente una mutazione puntiforme, ad esempio
a carico della proteina ZAC-60 legata al TCR, che rende tutti i linfociti T ciechi, incapaci di riconoscere gli
antigeni, per cui tutto il sistema immunitario può essere annientato da una mutazione che interessa un
singolo amminoacido.

Sulla base dei tipi di infezione a cui andrà incontro il soggetto si può sospettare il livello di alterazione.

Ad esempio un deficit dell'immunità cellulo-mediata, sostenuta da linfociti T, posso avere un'alterazione a


più livelli: risposta contro batteri, virus, ma anche alterazioni secondarie a livello umorale, con un deficit di
produzione di anticorpi da mancato stimolo dei linfociti B.

Possiamo distinguere ancora le immunodeficienze in:

1. Primitive: legate a alterazioni nei fenomeni di ontogenesi del sistema immunitario,


Si tratta di un numero veramente enorme di forme, sia perché possono interessare tutte le diverse
branche, ma anche perché ogni giorno emergono mutazioni nuove. In genere ogni singola patologia
è poco rappresentata, ci possono essere 4-5 casi in tutto il mondo, e spesso particolarmente gravi.

2. Secondarie: forme che esordiscono in un soggetto fino ad una certa età senza particolari problemi,
che secondariamente ad una neoplasia, alla terapia di una malattia autoimmune, ad un'infezione
virale, ad esempio HIV, o Hepstein-Barr, malnutrizione, potrà essere, anche per un breve periodo,
immunodeficiente.
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Epidemiologia
Quando si va a vedere quanti sono i casi di soggetti con immunodeficienza sono ovviamente le
immunodeficienze secondarie le più diffuse. Sono molti di più i soggetti con un tumore, con un quadro di
immunosoppressione, con un quadro quindi più o meno grave di immunodeficienza secondaria, rispetto a
soggetti con una rara mutazione genica o difetti di ontogenesi del sistema immunitario che presentano una
immunodeficienza primaria.

1. IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE
Classificazione
È un caos. Sono molto complesse e tradiscono la difficoltà di classificazione. Ogni giorno si trovano
mutazioni nuove e diverse.

Questa è la classificazione ufficiale:


1. ID combinate
2. ID da prevalente deficit anticorpale
3. Sindromi con ID ben definita
4. Altre malattie da ID primitiva
5. Malattie congenite o ereditarie associate con ID
6. Deficit delle funzioni complementari
7. Deficit delle funzioni fagocitarie

In generale possiamo dividerle in immunodeficienze che colpiscono il sistema B o il sistema T, da deficit del sistema
anticorpale, alcune associate a sindromi malformative, deficit di funzione complementare ecc
Ci interessano solo le più importanti, e molte sono patologie da iper-specialist.
La cosa più importante è senz’altro sospettare che ci sia un'immunodeficienza. Il medico di base dev’essere la figura
più attenta, la prima che percepisce che c’è qualcosa che non va, e inizia l'iter diagnostico.

Ci sono due tre quadri che sono in assoluto i più frequenti, sono:

Deficit selettivo di IgA, carenza solo di IgA;


Immunodeficienza comune variabile: soggetti che per vari motivi non sono in grado di produrre Ig;
Deficit di mieloperossidasi, MPO, con un'alterazione della funzione fagocitaria.
In alcuni casi i quadri di immunodeficienza primitiva si possono associare ad un incremento delle malattie
autoimmuni, o anche ad un incremento dei tumori a carico dei linfociti, i linfomi. Questo perché il nostro
sistema immunitario sviluppa una tolleranza verso il self, e una aggressione verso il non self.
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Può capitare ad esempio in caso di infezioni batteriche, che un epitopo antigenico sia molto simile a
molecole self, autologhe e si venga a creare una risposta immunitaria sia verso l'antigene che verso l'auto-
antigene simile.

È quello che si chiama mimetismo molecolare. È un fenomeno per il quale il sistema immunitario viene
confuso, e innescato e attivato contro il self.

Non a caso in corso di immunodeficienze si possono avere anemie autoimmuni, tiroiditi autoimmuni,
perché questi soggetti fanno passare antigeni più facilmente all'interno del proprio organismo, e si può più
facilmente verificare quel fenomeno di molecolar miming

1.1 Immunodeficienze combinate


Nelle immunodeficienze combinate si ha sia l'alterazione dei linfociti B sia dei T.

Determinano infezioni molto gravi che colpiscono la prima infanzia, spesso portando a morte. Interessano
una singola molecola, un singolo recettore, ma che sono componenti chiave per l'attivazione del nostro
sistema immunitario.

Tra queste abbiamo:

Immunodeficienza grave combinata legata al cromosoma X


Immunodeficienza grave combinata autosomica

Nel primo caso non viene prodotta una catena gamma di un recettore di citochine.

I recettori per citochine sono normalmente costituiti da due catene, gamma, comune a tutti, e alfa,
specifica per ogni singola citochina.

Se non si ha la sintesi della catena gamma questi linfociti, T o B che siano, non sono più in grado di sentire
la presenza di queste citochine, in particolare della IL-2, che un tempo non a caso veniva chiamata T cell
growth factor, senza di essa i linfociti T non riescono a crescere nelle piastre di coltura.

Nel secondo caso, autosomico recessivo, il quadro clinico è sempre lo stesso, la differenza è che il danno
non è sulla catena gamma ma sulla proteina JACK 3, impegnata nella trasduzione del segnale. Quindi alla
fine il risultato sarà sempre lo stesso, e cioè una mancata risposta all'azione delle citochine.

1.2 Immunodeficienze da deficit anticorpale


Nelle immunodeficienze da prevalente deficit anticorpale si è più fortunati, perché in questo caso si può
avere anche una terapia appropriata, anche se non in tutti i casi, perché ad esempio nel deficit di IgA non si
possono somministrare.

La terapia consiste nella somministrazione delle Ig mancanti. Oggi come oggi esiste anche un altro metodo
di somministrazione, quello sottocutaneo. Questo può essere effettuato dal paziente stesso nella sua
abitazione, e non in ambiente ospedaliero come quella endovenosa, in cui si devono valutare eventuali
reazioni avverse.
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Sindrome da iper IgM, è presente una


mutazione a livello del co-recettore CD40 o del
suo ligando, si ha un quadro di
immunodeficienza chiamato sindrome da iper-
IgM. Questi soggetti non saranno in grado di
shiftare, di modificare isotipo, è produrranno
solo IgM, che sono meno affini rispetto alle igG
e danno un quadro di protezione minore.

Carenza di sottoclassi di IgG (rara), spesso sotto


diagnosticate e difficili da diagnosticare a causa
di IgG ai limiti della norma alle elettroforesi,
richiede l'esecuzione dei dosaggi specifici.

Immunodeficienza comune variabile con carenza grave di Ig. In questi soggetti oltre alla terapia
con le Ig, in caso di infezioni batteriche su deve ricorrere ad una adeguata terapia antibiotica,
perché quel soggetto da solo non è in grado di debellare i batteri.

Deficit selettivo di igA, il quadro più frequente, 1/500 nella popolazione generale.
Le manifestazioni cliniche più importanti di questi soggetti sono diarrea, dolori addominali,
infezioni del tratto gastroenterico o a livello dell'apparato respiratorio.
Normalmente questi soggetti sono però asintomatici. Questo deficit è legato alla mancanza dello
switch isotipico. Questi soggetti o non riescono a produrre TGFß, o non hanno il recettore, o
mancano altri meccanismi che portano alla fine alla produzione di igA.
Solitamente la carenza di IgA è un riscontro clinico occasionale, mentre si eseguono esami ad
esempio per la ricerca di anticorpi anti endomisio o anti tissue glutaminasi per un sospetto di celiachia.
Quando si eseguono questi esami si richiede sempre anche il dosaggio delle IgA perché si vuole
essere certi che la negatività degli anticorpi dosati ero la celiachia non sia un falso negativo dovuto
al fatto che il soggetto non produce proprio IgA.
Nel caso di riscontro occasionale bisogna tenere questi soggetti sotto controllo, rivederli dopo
pochi mesi, perché potrebbero sviluppare dolori articolari, artriti migranti, fenomeno di Raynaud,
ecc, che sono tutti segnali dello sviluppo di una malattia autoimmune.

1.3 Altre immunodeficienze primarie


Tra le immunodeficienze primarie abbiamo ancora

Deficit della c1 esterasi con angioedema


Deficit dell'attività macrofagica, con alterazioni del killing, della motilità, della citotossicità.
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5/04/2017

2.IMMUNODEFICIENZE SECONDARIE - HIV


Esistono situazioni in cui si possono avere delle immunodeficienze secondarie, le quali interessano soggetti
che acquisiscono una situazione in cui il sistema immunitario non è ben funzionante in un secondo
momento e non in correlazione con la nascita.

Tali situazioni sono dovute a varie cause che rappresentano nel loro insieme un capitolo molto più ampio e
molto più frequente rispetto alle primitive.

Possono essere secondarie a:

neoplasie, sia tumori solidi ma in modo particolare tumori ematologici;


iatrogene: dovute a terapie immunosoppressive o radianti. Sono effettuate anche contro i tumori, per
esempio una chemioterapia che deve inibire la proliferazione cellulare, purtroppo però cellule in attiva
proliferazione sono anche le cellule del sistema immunitario, quindi avremo una riduzione della
proliferazione a livello midollare, timico, linfonodale con conseguente perdita della funzione del
sistema immunitario.

malattie da perdita proteica: malassorbimento, malnutrizioni


infezioni di diverso genere, come la tubercolosi, l’infezione da virus di Epstein Barr che spesso causa
situazioni di immunodeficienza secondaria transitoria. Per arrivare infine al principe delle
immunodeficienze secondarie che è HIV, il virus dell’immunodeficienza umana.

Cenni storici di HIV


Nei primi anni 80 si cominciarono a vedere delle situazioni un po’ particolari, soprattutto negli Stati Uniti in cui i
medici si resero conto che c’erano dei soggetti generalmente giovani, di sesso maschile, con una maggiore frequenza
omosessuali che presentavano delle situazioni di immunodeficienza acquisita. Persone che fino a quel momento erano
state assolutamente bene e che poi cominciavano a sviluppare delle infezioni che non riuscivano ad essere contenute
e anche se venivano trattate e risolte con un antibiotico, a distanza di poche settimane o mesi recidivavano.

Non solo infezioni recidivanti, ma anche infezioni sostenute da germi normalmente non patogeni (es. candida), così
detti opportunisti che si presentavano solamente nel momento in cui il sistema immunitario degli individui risultava
non funzionante.

Si manifestavano non solo quadri di infezione, ma anche quadri di neoplasie, come il sarcoma di Kaposi, linfomi,
neoplasie che si sapevano essere correlate ad un’infezione virale. Per esempio il virus di Epstein Barr è causa del
linfoma di Burkitt, il sarcoma di Kaposi dovuto ad un virus appartenente alla famiglia degli herpes virus e così via:
tumori correlati a virus oncogeni.

Allora in quel periodo fu coniato il termine di AIDS, sindrome da immunodeficienza acquisita. (Quando si parla di
sindrome si parla di una situazione in cui abbiamo un insieme di sintomi, per esempio in una sindrome influenzale si
ha febbre, cefalea, faringodinia, tosse, ecc.)
25

Erano presenti una serie di sintomi caratterizzati principalmente dalle suddette infezioni, correlate a quadri di
immunodeficienza acquisita e in più si aveva il riscontro laboratoristico di infezione da HIV, cioè veniva ritrovata la
presenza di anticorpi diretti contro questo virus (poteva anche essere ricercata la presenza della proteina p24 che è
una proteina tipica del virus, ma generalmente la diagnosi veniva fatta con il riscontro di anticorpi).

Negli anni 80 veniva visto un po’ come la peste del secolo. Si aveva quel sentore di un’infezione che potesse essere
trasmessa, di un virus che potesse essere inoltre difficilmente controllato. Un virus che allora non era conosciuto e che
quindi portò ad un notevole stato di paura.

HIV è originato dalla fusione di più virus. Nell’arco del tempo alcuni agenti virali che attaccavano specie diverse di
scimmie si sono trovati all’interno di un unico scimpanzé, qui i genomi dei due virus si sono in parte fusi tra di loro.
Questa è una cosa che succede abitualmente, il materiale genetico di organismi viventi diversi può normalmente
fondersi. Pensate che circa l’8% del nostro genoma è di origine virale, per esempio la sincitina che è una proteina
importante per la funzione del sincizio trofoblasto è di origine virale.

A ogni modo all’interno di questo animale la fusione di questi genomi può dare origine a un virus nuovo. Questo virus
può avere due possibilità, o si adatta bene con quell’ambiente quindi è capace di replicarsi, di sopravvivere e dunque
nasce una nuova specie oppure non sopravvive. Purtroppo si è verificata la prima ipotesi e il virus è sopravvissuto.
(scene di dolore straziante)

A un certo punto questo virus è passato in un qualche modo dall’animale all’uomo e purtroppo è riuscito a
sopravvivere nell’uomo (stessa ipotesi di prima, o vive nell’uomo o non vive).

Altri virus come per esempio il FIV, il virus dell’immunodeficienza felina non infetta l’uomo perché l’uomo non ha i
recettori per interagire con questo virus, purtroppo l’uomo ha i recettori per poter interagire con HIV.

Caratteri di HIV
HIV appartiene alla famiglia dei lentivirus, è un virus molto piccolo, molto semplice, formato da un paio di
catene di RNA a singola elica, da qualche proteina importante per la sua replicazione, tutto avvolto
all’interno di un core proteico e tutto questo racchiuso in un doppio strato lipidico di origine cellulare, che
deriva da cellule umane.

Il rivestimento lipidico è tempestato da queste


spikes, queste proteine che sono gp120 e gp41, e
sono le due proteine che rappresentano la chiave
che servirà per entrare nella serratura che è
presente in alcune cellule umane.

Questa serratura è rappresentata da CD4, questo


significa che tutte quelle cellule che hanno questa
molecola sulla loro superficie hanno il ligando per
la gp120.

Le cellule che hanno CD4 sono i linfociti CD4 e poi


un’altra popolazione che presenta CD4 a bassa
espressione cioè i monociti-macrofagi.

Anni fa furono eseguiti alcuni esperimenti in cui un


26

fibroblasto, che non possiede CD4 (i blasti non hanno CD4 di membrana), veniva messo a contatto con il
virus e non si infettava. Se trans infettati con il genoma che serve per trascrivere e produrre il CD4, ci si
aspetta che abbiano CD4 di membrana e che si infettino, ma questi non si infettavano ugualmente. Questo
significa che CD4 era importante (necessario), ma non sufficiente per avere un’infezione. Successivamente
è stato visto che per avere un’infezione e la penetrazione del virus all’interno della cellula è importante che
ci siano anche dei corecettori.

Questi corecettori sono essenzialmente due: il CXCR4 e il CCR5. Sono due recettori per chemochine.

Solamente quelle cellule che esprimono sia CD4 che uno di questi altri corecettori possono essere infettate.

In natura esistono delle coppie sessualmente attive in cui uno dei due partner è sieropositivo e l’altro è
sieronegativo, che per loro scelta hanno rapporti sessuali non protetti, quindi tendenzialmente sono a
rischio di infettarsi, che però non si infettano. È stato visto che c’è una mutazione a livello di CCR5, quindi
questo recettore è modificato per cui non può legare in modo appropriato gp120 e quindi non si ha
l’infezione.

Questo non significa che queste persone sono protette per sempre, perché esistono anche altri recettori,
però hanno una minore probabilità di infettarsi.

Domanda: Ma non si è provato a lavorare con tecniche di biologia molecolare per modificare questi recettori?
Risposta: Esistono dei farmaci che agiscono su CCR5 e che quindi riducono l’infezione, quindi sì ci hanno lavorato
eccome.

Il genoma di HIV è un genoma piuttosto semplice e piccolo, è formato da un gene POL che codifica per una
serie di enzimi, da un gene ENV che codifica per le strutture di rivestimento proteiche, e poi tutta un’altra
serie di geni di controllo.

Una di queste proteine che è fondamentale per la replicazione del DNA, cioè la trascrittasi inversa, è un
enzima che funziona male e fa tantissimi errori. Questo risulterà un vantaggio per il virus.

_Ciclo replicativo HIV


Nel momento in cui si ha un’infezione, in cui il
virus entra a contatto con l’organismo e trova il
suo recettore CD4 allora gp120 si lega, si avvicina
alla cellula e a quel punto interviene la proteina
gp41 che è una proteina fusogena che permette la
fusione della membrana virale con la membrana
cellulare.

A questo punto tutto il contenuto che è presente


all’interno del virus viene iniettato nel citoplasma
cellulare, quindi: il core, le varie proteine
enzimatiche, il genoma virale.
27

A questo punto la prima proteina che entra in gioco è la trascrittasi inversa, che a partire da uno stampo di
RNA riesce a creare una catena di DNA, dopodiché sulla catena di DNA si forma un’altra catena di DNA e si
avrà dunque un DNA a doppia elica.

Il DNA a doppia elica può passare all’interno del nucleo e grazie a un altro enzima, sempre di origine virale
che è un’integrasi (un’endonucleasi), si integra all’interno del genoma umano.

Da quell’instante in poi è un tutt’uno col genoma, non esiste la possibilità di dividerli, di eradicare quel virus
da quella cellula. Questo è il punto chiave.

La suddetta cellula è nella stragrande maggioranza dei casi un linfocita CD4, ma può trattarsi anche di una
cellula macrofagica ecc. Questo linfocita può fare la sua vita normale, può quindi proliferare, può replicarsi,
può rimanere quiescente ecc.

Generalmente si replica o perché viene attivato da un antigene specifico o all’interno del linfonodo dove c’è
una grossa produzione di IL-2, la quale è un fattore attivante la replicazione del linfocita T. In quel
momento si attiva anche la replicazione del DNA virale; di conseguenza le cellule figlie conterranno il pro-
virus, l’informazione per replicare il virus.

Quando questa zona di genoma, per vari motivi, si attiverà e verrà prodotto RNA anche l’RNA virale potrà
essere prodotto.

L’ RNA virale verrà trasformato in proteine, generalmente sono poliproteine che verranno scisse da
proteasi e si formeranno le varie proteine costitutive, quelle del core virale, le proteine enzimatiche ecc., il
tutto si addenserà vicino alla membrana plasmatica e per gemmazione si avrà la produzione di una serie di
nuovi virioni che andranno a infettare altre cellule.

_Effetti citopatici HIV


All’interno di un soggetto vengono prodotti ogni giorno da 50 a 500 miliardi di nuovi virioni ed è sufficiente
un virus per poter infettare un nuovo individuo.

In questo processo queste cellule soggette a attivazione, replicazione, gemmazione di tutti questi virioni
vanno incontro a fenomeni di sofferenza per azione citopatica diretta del virus, e a lungo andare si avrà una
lisi osmotica della cellula.

Ma si potrà avere anche un’azione del sistema immunitario, dei linfociti CD8 che riconoscono queste
proteine virali sulla membrana di CD4 e inducono loro (i CD8) la lisi cellulare. Quindi un’azione indiretta,
che può essere mediata anche da cellule NK. Si avrà quindi una riduzione del numero dei linfociti CD4
28

Storia naturale dell’infezione

Nella prima fase in cui il soggetto si è infettato si avrà un aumento esponenziale della replicazione virale e
una diminuzione del numero dei linfociti CD4.

Nelle prime settimane di infezione acuta clinicamente il soggetto può non avere nulla o al limite un po’ di
febbricola, ma comunque quadri assolutamente aspecifici oppure eventualmente dolori addominali, una
linfadenopatia, una splenomegalia; questo può passare inosservato o essere scambiato per sindrome
influenzale o per mononucleosi. Questo quaadro tende generalmente nell’arco di qualche settimana a
risolversi.

Si avrà anche un coinvolgimento del sistema immunitario, su CD8 in particolare. Si avrà anche produzione
di anticorpi, ma sia l’attività di CD8, sia l’attività di anticorpi diretti contro il virus non sono efficaci a
controllare la malattia, il virus è dentro il genoma.

Domanda: La produzione di anticorpi dove si localizza nell’arco del tempo?


Risposta: Non prima di due settimane, anche un po’ prima ma non sono rilevabili.

Dopo un paio di settimane si comincia a rilevare qualche anticorpo, questo è importante per la diagnosi. Se
si ha un sospetto che un rapporto avuto il giorno prima possa aver dato origine ad un’infezione, si dosano
gli anticorpi il giorno dopo e si trovano, è ovvio che non siano legati al rapporto del giorno prima, ma erano
già presenti. Per essere certi che quella produzione di anticorpi sia legata ad un determinato evento devo
per lo meno aspettare un paio di settimane.
29

Normalmente se si vuole fare diagnosi legata ad un evento sospetto avvenuto pochi giorni prima, si fa un
prelievo di sangue, si ricercano gli anticorpi ma dopo un mese o due si ripete il prelievo. Si ripeterà un’altra
volta dopo sei mesi.

Si può avere una finestra più o meno ampia dove si può dosare la produzione di questi anticorpi, ma non
esiste finestra così ampia al di sopra dei sei mesi: se dopo sei mesi quel soggetto è negativo allora non è
infetto.

La produzione di virus può essere 0, 1000, 30000, raggiunge un plateau più o meno soggettivo. Tanto più
basso è il livello di produzione di virus che si raggiunge, tanto più lunga sarà la fase di latenza clinica.

Da dopo la fase acuta il paziente non avrà assolutamente alcun sintomo, sarà una persona totalmente
normale che vive la sua vita perfettamente ignaro di ciò che sta albergando.

I linfociti CD4 raggiungono livelli più bassi rispetto ai valori normali, ma possono mantenere questi valori,
che comunque sono sempre nel range di normalità, per mesi o anni. Il virus può anche essere non dosabile
o a bassa carica, ma in ogni caso se non si hanno sintomi non si ha neanche il motivo di andare a fare
particolari test ecc.

Questo periodo può durare anni (da pochi a una decina). Esistono persone che dopo 15 anni di infezione
pur avendo gli anticorpi contro HIV, continuano ad avere il virus indosabile e i CD4 nella norma. Questo non
vuol dire che non sono infettati, lo sono eccome e possono infettare.

Dopo un periodo di latenza clinica (non di latenza virologica), in cui il virus comunque tende a replicarsi,
quando il sistema immunitario risulterà particolarmente abbattuto allora cominceranno anche le
manifestazioni cliniche, quelle infezioni secondarie, opportunistiche che caratterizzano il quadro di
sindrome da immunodeficienza acquisita.

Le manifestazioni cliniche posso andare avanti per mesi, per anni fino a che il soggetto non va incontro ad
infezioni opportunistiche particolarmente gravi o tumori che lo porteranno alla morte.

La morte quasi sempre non è da HIV, ma HIV causa un’immunodeficienza che causa poi una bronchite (per
esempio da streptococco), una sepsi ecc. che porteranno al decesso.

Epidemiologia
Al mondo ci sono milioni di persone che hanno l’infezione da HIV, la maggior parte è localizzata a livello
dell’Africa sub sahariana e probabilmente non solo perché il virus ha avuto origine lì, ma anche per altri
motivi.

Il numero di soggetti che si infettano tutti i giorni è un numero piuttosto cospicuo, si parla di diverse
migliaia di persone. Non c’è nessuna correlazione o prevalenza di sesso, il rapporto maschio/femmina è
analogo.
30

In Africa la prevalenza di HIV è elevatissima, ma la spesa che viene dedicata per l’infezione in Africa è
bassissima. Quell’alta prevalenza (30.000.000-90.000.000) che si osserva in questi paesi è legata quasi
sicuramente ad un rapporto molto sfavorevole per il controllo e la prevenzione di HIV.

Purtroppo per contrastare questo virus, una volta che si contrae l’infezione, le spese necessarie sono
particolarmente elevate, ma sostenibili alle nostre latitudini e insostenibili in altri paesi. La spesa per la
terapia antiretrovirale per un soggetto infetto da HIV è di circa 1000 euro al mese.

Per avere un controllo dell’infezione in svizzera viene utilizzato circa l’1% del PIL di quello stato, per avere lo
stesso livello di controllo dell’infezione in paesi sub sahariani si deve investire il 300% del PIL.

_Vie di trasmissione di HIV

La trasmissione di HIV avviene per:


Via sessuale: via vaginale, anale, oro-genitale. Questo perché il virus si trova a livello delle
secrezioni vaginali, del liquido pre-coitale dell’uomo, del liquido spermatico.
Via ematica: il sangue contiene HIV, contiene i CD4.
Allattamento: il latte materno contiene HIV, l’allattamento al seno in questi casi è assolutamente
sconsigliato.

Via materno-fetale: donne in gravidanza possono trasmettere il virus al feto, in modo particolare al
momento del parto quando abbiamo la così detta commistio sanguinis. Una donna positiva in
gravidanza ha una probabilità di trasmettere HIV al bambino nel 25% dei casi. Per ridurla se la
donna sta eseguendo terapia antiretrovirale deve continuare a farla, se non la sta eseguendo deve
iniziare a farla, il parto dovrà essere un cesareo dove il rischio di commistione di sangue è
praticamente zero e il bambino appena nato inizierà a fare la terapia antiretrovirale anche se non si
sa se è infetto fino a che non si ha la certezza che non ci sia l’infezione.

Nei primi mesi il bambino avrà gli anticorpi, ma sono quelli che gli ha dato la madre, che sono
passati attraverso la placenta. Se questi anticorpi permangono dopo sei mesi allora non sono più
quelli materni, ma sono del bambino.

L’uso del profilattico, dal costo di 1 euro, è fondamentale nei rapporti tra persone che non hanno una
buona conoscenza l’uno dell’altro, evitando così l’infezione e la conseguente spesa per la terapia
antiretrovirale. La terapia non cura la malattia, ma la controlla. Oggi la terapia di controllo ha ottimi
risultati, ma la guarigione è lontana nonostante gli studi interessanti degli ultimi tempi.

_Distribuzione demografica
All’inizio degli anni 80 la distribuzione dell’infezione era nel 60% a carico di tossicodipendenti, il 20-30%
soggetti omosessuali e rarità in soggetti eterosessuali non tossicodipendenti.
31

Questo rappresentò un grosso problema,


perché le persone non tossicodipendenti e
non omosessuali non consideravano la
possibilità di poter contrarre l’infezione e
in più certe persone venivano
letteralmente ghettizzate.

Il virus non ha nulla a che vedere con le


abitudini sessuali delle persone, tanto che
oggi la situazione risulta invertita e il
rischio maggiore di avere una infezione da
HIV risiede nei rapporti di tipo
eterosessuale.

Quand’è che un individuo sa di avere l’infezione da HIV? Nel 64% dei casi lo sa nel momento in cui
compaiono i sintomi, ma dal momento in cui viene contratta l’infezione fino alla comparsa dei sintomi
possono passare mesi ma anche dieci anni.

In questo periodo il soggetto potrebbe aver avuto diversi rapporti sessuali e di conseguenza c’è il rischio di
aver trasmesso l’infezione. Dunque il rischio di contrarre l’infezione nella popolazione generale non è così
basso.

Diagnosi
_Ricerca dell’infezione
La diagnosi va fatta essenzialmente ricercando anticorpi anti HIV.

Esistono due tipi di test che vengono fatti in serie:


ELISA: un test di screening, molto sensibile, quindi un risultato negativo è veramente negativo. Non
si può dire però che un risultato positivo sia veramente HIV, ma potrebbe essere qualcos’altro.

Western Blot: un test di conferma a cui sottopongo i positivi ad ELISA. È un test altamente
specifico. Permette di decifrare anticorpi diretti contro varie proteine del virus. Se si nota un
bandeggio che evidenzia anticorpi diretti contro gp24, gp120, gp41 siamo sicuri che il soggetto ha
un’infezione da HIV.

È fondamentale fare entrambi i test. È importante ricordare al paziente che questi test possono essere
eseguiti in forma anonima. Può farlo anche un minorenne, ma se è positivo la risposta viene data in
presenza di un genitore, questo perché la legge non pensa che un minorenne sia adatto a gestire il
trattamento per cui ha bisogno di essere guidato.

Il test è assolutamente gratuito.


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_Analisi dell’immunodeficienza
Clinicamente il paziente è un individuo che si ammala molto facilmente. Ha un quadro che richiama a
un’immunodeficienza. Bisogna, quindi, fare delle indagini per capire il quadro del sistema immunitario:

INDAGINI DI PRIMO LIVELLO


Elettroforesi (bisogna vedere che tipo di proteine il soggetto può produrre),
Dosaggio delle diverse classi di Immunoglobuline (e le sottoclassi),
Emocromo (numero di globuli bianchi e lo studio di ogni popolazione lifocitaria CD3, T, B, CD44,
NK).
Dosaggio del complemento.
Test per l’infezione da HIV. Test da ipersensibilità cutanea (che ora ha perso terreno). Sono dei
testi in vivo in cui si usano una decina di antigeni diversi a cui un soggetto con immunodeficit non
risponderà o risponderà massimo a uno o due.

INDAGINI DI SECONDO LIVELLO:


Studio qualitativo e quantitativo dei linfociti: attraverso l’elettroforesi sierica si studiano i picchi delle
globuline; quel che interessa è il picco delle γ globuline perché contiene le immunoglobuline
(agammaglobulinemia o ipogammaglobulinemia sono degli indizi). Normalmente la maggior parte delle
Ig prodotte sono IgA ma vanno tutte a livello delle mucose. Delle IgG si dosano le quattro sottoclassi
(IgG 1, 2, 3, 4) le 1 sono le più rappresentate, 1 e 3 fissano il complemento e riconoscono antigeni
proteici. Le 2 riconoscono antigeni carboidratici, le 4 sono le meno rappresentate ma che sono
protagoniste di malattie da iperproduzione di IgG4 che sono caratterizzate da fibrosi a vari livelli.
Questi test non riescono a mettere in evidenza tutti i quadri di immunodeficienza. Bisogna andare a
ricercare il tipo di linfociti circolanti perché il numero può essere nella norma ma potrebbero essere tutti B
e nessun T o viceversa.

Citofluorimetria: il citofluorimetro permette di mettere in fila i globuli bianchi, che vengono intercettati
da un raggio laser. La luce avrà due reazioni: passa oltre disegnando il contorno della cellula o la
riflessione a 90°. Si avranno le dimensioni della cellula (il cono d’ombra) e la complessità della cellula
(direttamente proporzionale alla quantità di luce riflessa). Quindi ci sono cellule piccole e semplici,
grandi e semplici, grandi e complesse (linfociti, monociti, granulociti). Si può analizzare ciascuna di
queste cellule (es. solo i linfociti e se queste cellule sono marcate con anticorpi monoclonali diretti
contro molecole presenti esclusivamente in una certa popolazione cellulare (Linfociti T CD3, e poi CD4 e
CD8. Linfociti B CD19 e CD20. NK CD16 e CD56) ed evidenziarle con un colore diverso. Si possono,
dunque, tipizzare le cellule e studiarne la funzione (es. la produzione di citochine) e la proliferazione in
confronto di uno stimolo aspecifico (IL2 ecc.) con cui proliferano tutti i linfociti oppure una stimolazione
antigene-specifica per esempio un paziente che ha una candidosi ricorrente si può vedere se i suoi
linfociti T riconoscono la candida.

Altri metodi:
Stratificazione del sangue su una sostanza che ha una densità intermedia tra bianchi e rossi. Si
mette il tutto a centrifugare e ci sarà una separazione tra rossi che sono sul fondo, il siero in
alto e i bianchi in mezzo. I bianchi potranno essere ulteriormente separati e analizzati.
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Cell Sorting in cui se passa una cellula marcata in un modo particolare essa viene caricata
elettricamente.

Terapia
Agli inizi degli anni 90 come terapia veniva impiegato un inibitore della trascrittasi inversa. Questo farmaco
agiva inibendo la replicazione virale per qualche mese, poi subentravano delle resistenze e dopo qualche
anno il virus riiniziava a replicare, CD4 diminuiva e si andava incontro ad infezioni ecc.

_Indicazioni
Si prendono in considerazione due parti: la carica virale ovvero la quantità di RNA virale presente che è
direttamente proporzionale al numero di copie virali e la conta dei T CD4+. Si può avere una carica elevata
di virus, una carica bassa e se si è fortunati anche indosabile:

Se la carica è elevata (oltre le 20-30-50 mila copie) bisogna iniziare la terapia immediatamente.
Se la carica è bassa bisogna chiedersi, visto che il virus è poco attivo o non si trova, quanto danno
ha già fatto. Allora si dosano i CD4+. Se questi sono al di sotto di 300-500 cellule per μl, il sistema
immunitario è compromesso e bisogna iniziare la terapia.

Ma se la carica virale è bassa e il sistema immunitario presenta ancora dalle 800 cellule per μl
(normali), ma il soggetto ha, per esempio, un’infezione da candida nell’orofaringe il sistema è
compromesso qualitativamente sebbene sia numericamente normale in questo caso bisogna
intervenire con la terapia perché la clinica evidenzia un quadro di immunodeficienza.

_Obiettivi terapeutici
L’obiettivo della terapia NON è l’eradicazione del virus. I farmaci che si hanno a disposizione oggi
permettono di mantenere bassa la replicazione virale e di conseguenza permettono al sistema
immunitario di ripristinare la sua funzione; i B nel midollo e i T nel timo possono cercare di ripristinare le
condizioni antecedenti all’infezione.

Tutto questo porta a un miglioramento della qualità della vita, riduzione di malattie e della mortalità
(meno infezioni batteriche), i pazienti devono, però, stare attenti a non avere rapporti sessuali non protetti.
Non devono infettare gli altri. Un soggetto con infezione da HIV, se fa la terapia adeguata in modo
adeguato, ha un’aspettativa di vita sovrapponibile a un individuo senza l’infezione.

A causa della grande quantità di errori della trascrittasi inversa, è possibile che il 99% dei prodotti della
replicazione siano mal fatti e mal funzionanti, poco infettanti. Ma quell’1% potrebbero essere costituito da
virus che sopravvive anche in presenza del farmaco. Cioè se il farmaco è un inibitore della trascrittasi
inversa ma il virus appartenente a quell’1% che ha una trascrittasi inversa geneticamente modificata
(funzionante) il farmaco non inibirà quella replicazione. Per ridurre la probabilità di avere questo tipo di
mutazioni bisogna fare una terapia presto a dose piena e a lungo. È essenziale sopprimere subito e
totalmente il virus (lo stesso discorso vale per i batteri e le resistenze agli antibiotici o chemioterapici).
L’agente infettivo svilupperà mutazioni resistenti solo in seguito all’incontro con il farmaco. Nel caso
dell’HIV, a causa dell’enorme capacità replicativa del virus, il rischio di resistenze è molto alto. Se la
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compliance non è ottimale (ovvero l’adesione al paziente alla terapia), il rischio di resistenze è enorme, con
l’aumento del numero di virioni resistenti.

Nel 1995 fu sintetizzato un inibitore delle proteasi. Quindi una triplice terapia: 2 inibitori di trascrittasi
inversa + 1 inibitore di proteasi. Agire sul virus da più parti vuol dire ridurre in modo esponenziale (e non
sommatorio) la probabilità di sviluppare resistenze. Successivamente c’è stata opportunità di dosare la
presenza delle resistenze.

Un paziente può presentare farmaco-resistenze prima dell’inizio della terapia se la persona che gli ha
trasmesso il virus aveva già sviluppato le resistenze. Ci sono persone che non hanno rispetto del prossimo.
Perché mentre prima, senza la terapia, era facile capire se una persona avesse l’AIDS osservando l’aspetto
fisico, ora grazie alla terapia non è possibile e deve essere la persona affetta ad avvertire il partner. Non
tutti hanno questo rispetto e si trasformano in bombe a orologeria. Talvolta questo problema è dato dal
fatto che alcuni non sanno con che malattia hanno a che fare. Altre volte è la società che spinge il
sieropositivo a nascondere la sua patologia trattandolo come un appestato, a partire dal personale
sanitario. Bastano dei guanti per essere al sicuro. Non è possibile avere contagio con un bacio o una stretta
di mano. Se si trova una siringa per terra e questa c’è da più di 15 minuti il virus sarà già morto. Ci sono altri
virus più resistenti e temibili da questo punto di vista che non vengono mistificati in questo modo.

Quindi la malattia consta di tre attori: Il soggetto, il virus e il farmaco. I farmaci hanno degli effetti
collaterali e il soggetto tende a non aderire al 100% spalancando le porte alle resistenze. Un tempo i
farmaci erano diversi (alcuni da prendere a stomaco pieno, altri a stomaco vuoto, altri vicini tra loro, altri
lontani) e l’aderenza alla terapia era davvero difficoltosa. Oggi ci sono compresse contenenti anche tre
farmaci e la terapia efficace è più semplici.

_Farmaci Antiretrovirali
I farmaci sono diversi tra i quali:
Inibitori della trascriptasi inversa.

Inibitori Nucleosidici.
Inibitori della proteasi.
Inibitori della fusione (si legano e agiscono a livello della gp41).

inibitori delle integrasi, di “recente” intoduzione, si legano a livello del recettore.

Nella sua drammaticità l’HIV ha aperto la strada verso una terapia nei confronti dei virus (HCV, HBV, HIV
ecc.) mentre prima l’infezione da virus era lasciata quasi esclusivamente al proprio destino.

EFFETTI COLLATERALI:
Gastralgia.
Diarrea.
Reazioni allergiche cutanee (orticaria, dermatite).
Tra i più gravi ci sono quelli legati agli inibitori delle proteasi che portano a un aumento dell’acido
urico e dunque calcolosi renale.
Aumento del grasso centrale (addome globoso, gibbo di bufalo) a scapito di quello periferico,
lipodistrofia.
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26-4-2017

MALATTIE ALLERGICHE - GENERALITÀ


Definizione
La definizione di allergia non è molto chiara, a volte si parla di allergia quando si ritrovano le IgE in circolo,
ma non tutte le forme allergiche sono in realtà IgE mediate, è il caso ad esempio delle allergie alimentari.

In generale si parla di reazione allergica quando abbiamo un’iper-reattività (frequentemente ma non


sempre IgE mediata) del sistema immunitario nei confronti di antigeni, i cosiddetti allergeni, che
generalmente non sono dannosi.

L’identificazione delle IgE è relativamente recente, risale a circa 50 anni fa. Altri attori fondamentali della
flogosi allergica sono i mastociti, gli eosinofili, i Th2 e l’IL-4, fattore di switch isotipico.

Ogni volta che abbiamo una flogosi allergica IgE mediata, si deve sempre pensare che l’obiettivo finale delle
IgE è incontrare l’allergene.

Flogosi allergica
N.B. ERRORE spesso fatto agli esami segnalato dal professore: le IgE una volta prodotte si legano tramite il loro
frammento Fc al recettore presente sulla superficie dei mastociti e successivamente avviene la degranulazione.
Questo non è vero, le cose accadono in altro modo:

In generale, nel caso un soggetto abbia una qualunque allergia, quando per la prima volta entra in contatto
con l’allergene, si sensibilizza, ovvero vengono solo prodotte le IgE contro quel determinato antigene
attraverso una serie di passaggi che coinvolgono diverse cellule e meccanismi (che verranno descritti in
seguito). Una volta prodotte, le IgE vengono immesse in circolo e si legano al mastocita; il legame avviene
tra il recettore presente sulla superficie del mastocita e il frammento Fc delle IgE. Questo legame NON
determina la degranulazione del mastocita!

La condizione perché ciò avvenga si verifica nel momento in cui il soggetto allergico incontra per una
seconda volta l’allergene: quando questo accade, l’allergene si va a legare ad almeno due IgE legate a loro
volta al mastocita (a tal proposito è importante ricordare che le due IgE devono essere specifiche per lo
stesso allergene) e si forma così un ponte tra l’allergene e le due IgE. Solo questa è la condizione che
determina la degranulazione.

Quindi al primo incontro con l’allergene si producono le IgE che si legano al mastocita, agli incontri
successivi l’allergene lega le IgE che son legate al mastocita e questo degranula liberando tutte le sostanze
vasoattive.

Esempio: se si sottopone un soggetto allergico alle graminacee, al prick test nel mese di gennaio,
ovviamente si formerà il pomfo, che sta ad indicare che egli possiede le IgE contro le graminacee, legate ai
mastociti. Ma in gennaio le graminacee non producono pollini, quindi quel soggetto allergico non avrà la
sintomatologia data dalla degranulazione del mastocita, perché non c’è nessun allergene legato alle IgE!
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Il concetto quindi è che non basta avere la formazione delle IgE e il legame di queste ai mastociti per
causare degranulazione, serve proprio il legame dell’allergene alle IgE legate a loro volta al mastocita.

ECCEZIONE: DEGRANULAZIONE DA IgG


Esistono anche casi in cui i mastociti degranulano in assenza dell’allergene, un esempio è la forma di
orticaria autoimmune. I mastociti in questo caso si legano al frammento Fc di una classe di Ig, per esempio
le IgG, che possono essere dirette contro:
- le IgE: IgG si mette a ponte fra due IgE contigue (specifiche per un qualsiasi tipo di allergene) mimando
la funzione dell’allergene e legandosi tramite due regioni variabili, così il mastocita degranula.

- il recettore per il frammento Fc delle IgE: due recettori vengono legati dalle IgG e si forma un ponte che
scatena la degranulazione

_Formazione delle IgE


Quali sono i meccanismi che, al primo incontro con l’allergene, portano alla formazione di IgE?

Quando l’allergene penetra per la prima volta nell’organismo, esso va a legarsi con le IgM di membrana,
costituenti parte del recettore BCR specifico dei linfociti B. Nell’ipotesi di un successivo incontro con
l’allergene, il linfocita B entrerà in contatto con un linfocita Th2/T-naive, responsabile della produzione di
IL-4 e allora avverrà lo switch isotipico delle IgM a IgE:
1. il linfocita B lega l’allergene tramite il recettore immunoglobulinico IgM (presente sulla sua
superficie);
2. il complesso IgM-allergene viene internalizzato;
3. l’allergene viene processato e successivamente ri-esposto sulla superficie esterna della cellula,
legato al MHC II di cui sono dotati i linfociti B;
4. il linfocita Th2/T naive riconosce l’MHC II che porta l’allergene e vi si lega saldamente;
5. Th2 produce IL-4;
6. IL-4 si lega al linfocita B determinando lo switch isotipico da IgM a IgE.

Da ciò si può dedurre come sia necessaria per la formazione delle IgE la presenza di IL-4 e, a monte, un
differenziamento dei linfociti T verso Th2, gli unici capaci di produrla.

Non è detto che il linfocita T che lega il B presentante l’allergene sia sempre naive, in realtà può essere già
differenziato a Th2 da un incontro precedente, ma il legame con questo tipo di antigene (in questo caso
l’allergene), lo indirizza verso la produzione di IL-4; nel caso in cui il linfocita T sia naive e il linfocita B gli
presentasse l’allergene, questo potrà reagire solamente producendo IL-4 e quindi prendendo la via
differenziativa Th2.

Il differenziamento verso la via Th1 o Th2 si mette in evidenza quando un linfocita B lega un antigene di natura
batterica: il legame lo indurrà a produrre IL-12, perciò quando un linfocita T naive riconoscerà l’antigene sul MHC II del
linfocita B legandosi a questo, si differenzierà in Th1 e produrrà IFN γ, fattore che blocca la sintesi di IL-4, rendendo
impossibile lo switch isotipico da IgM verso IgE.

I geni dell’IL-4 e dell’IFN γ viaggiano in parallelo ma si influenzano in senso inibitorio. Se un linfocita T si differenzia in
Th2, col passare del tempo diventerà sempre più capace di produrre IL-4 e sempre meno invece saprà produrre IFN γ,
quindi la produzione di quest’ultimo sarà inibita nel caso prevalga la prima, e viceversa.
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Tutti questi eventi si verificano nei linfonodi o all’interno di follicoli a livello tissutale o comunque dove sia
presente una struttura linfatica simil-linfonodale.

Nel caso in cui l’antigene non sia di origine proteica, i linfociti T non lo riconoscono e quindi non seguono
reazioni allergiche. In realtà potrebbero anche verificarsi, perché in quel linfonodo dove sta avvenendo una
reazione sono presenti anche linfociti B e Th2, e se il linfocita B specifico per il batterio della tubercolosi che
si trova nel linfonodo in quel momento, vede un’ IL-4 potrebbe favorire lo switch isotipico da IgM a IgE.

_Meccanismo d’azione IgE


Quando l’allergene ha legato l’IgE accadono tre eventi significativi:

1. Degranulazione: i granuli contengono amine vasoattive preformate; nel momento in cui avviene il
segnale, contemporaneamente le membrane dei granuli si fondono tra di loro e la membrana
citoplasmatica si fonde con quest’unica grande membrana dei vari granuli e il mastocita degranula, si
svuota improvvisamente di tutto il suo contenuto;

2. Attivazione della cascata dell’acido arachidonico: questa porta alla formazione dei leucotrieni. Essi
hanno un ruolo rilevante nelle reazioni allergiche, ad esempio in corso di asma o rinite, in quanto
mantengono lo stato della flogosi attivo; ciò esprime il razionale nelll’utilizzo di farmaci antileucotrienici
come lo zafirlukast;

3. Sintesi proteica: fra i protidi sintetizzati, rientrano le IL-4 prodotte che mantengono un microambiente
a livello locale favorente il perpetuarsi dello stato flogistico.

Tra il legame dell’allergene alle IgE legate al mastocita, a quando compaiono i sintomi, passano pochi
minuti.

_Effetti dei mediatori mastocitari


Dopo la degranulazione e l’immissione in circolo di mediatori come istamina, leucotrieni e citochine, si
verificano i seguenti effetti:

IMMEDIATI: - broncospasmo,
- edema,
- angioedema delle labbra,
- pomfo,
- crisi di starnuti,
- aumento della peristalsi intestinale con colica addominale,
- diarrea,
- gastralgia,
- vasodilatazione con aumento della permeabilità capillare,
- broncocostrizione e crisi asmatica;
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TARDIVI Sono condizioni che richiedono l’intervento di altre cellule quali eosinofili, neutrofili, linfociti
stessi; viene così a essere ulteriormente prodotta IL-4 che facilita la formazione di fibrosi,
come spiegato di seguito.

In una mucosa bronchiale normale si trova l’epitelio ricco di cellule caliciformi mucipare; in
un soggetto asmatico abbiamo l’epitelio gravemente danneggiato, contenente nuclei di
cellule linfocitarie; ci può essere infiltrazione ed edema nella sottomucosa ma soprattutto
abbiamo un ispessimento, una fibrosi marcata della membrana basale.

Questo è il sottofondo sul quale si basa la cronicità dell’asma: la crisi dispnoica è un quadro
acuto, intermittente; il danno invece è cronico, persistente, ci son solo momenti e periodi in
cui essendo amplificato, provoca la sintomatologia tipica della malattia.

Se si fa una biopsia a livello della mucosa bronchiale, si ritroveranno tutti questi elementi
cellulari. Se si prelevano secrezioni con uno scovolino a livello della mucosa nasale, si
strisciano su un vetrino e si colora il preparato, si riscontreranno molti eosinofili; una flogosi
allergica è quella dove si trovano i Th2, che non significa solo presenza di IL-4, ma anche di IL-
5, cioè vuol dire che sono coinvolti gli eosinofili. Si possono trovare anche mastociti,
plasmacellule e così via.

Eziologia: Ipotesi Th2 nella flogosi allergica


Il fatto di essere allergici o meno dipende da fattori genetici, e ce ne sono tanti: saper produrre IgE, saper
produrre IL-4, quantità di IL-4, avere un recettore per IL-4 più o meno prono al legame con questa ecc.

Questo grafico mostra le reazioni a due fattori


di un soggetto allergico e di uno non allergico.
• ascissa: IFN γ
• ordinata: IL-4
• ogni puntino rappresenta un linfocita T

A. Riquadro in alto a destra: Stimolazione


dei linfociti del soggetto allergico con
Derp 1, cioè l’allergene principale del
Dermatophagoides pteronyssinus (l’acaro
della polvere): si osserva che le cellule
sanno produrre enormi quantità di IL-4 ma
poco IFN γ e quindi si deduce che siano
Th2.

B. Riquadro in basso a destra: Stimolazione


dei linfociti del soggetto non allergico con
Derp 1: si osserva produzione di IFN γ, quindi il 30 - 40% dei linfociti sono Th1.

Questo non deve meravigliare perché per il soggetto non allergico, l’acaro è un antigene come un altro, non
ha cioè evocato una reazione con produzione di IgE e ciò rende ragione del fatto che il livello di IL-4 da egli
prodotto sia praticamente nullo.

Se gli stessi soggetti vengono stimolati con streptochinasi, un antigene batterico, ci si aspetta una risposta
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Th1, ma in realtà quello allergico risponde anche con una piccola produzione di IL -4: il suo microambiente
è stato capace di far esistere in lui dei linfociti che producano IL-4.

È quindi. Per avere una risposta Th2 è importante l’allergene ma anche il fattore genetico (geni per le
citochine, per i secondi messaggeri etc.)(: è ovvio che un figlio che nasce da due genitori allergici, avrà una
probabilità di essere anch’esso allergico, del 50 - 60%.

Da non sottovalutare i fattori ambientali quali ambiente intrauterino e ambiente post nascita. Alcuni
ormoni, estrogeni e altri, sono importanti per differenziare i linfociti T in Th2; una buona riuscita della
gravidanza è favorita da una buona risposta Th2.

Una risposta nei confronti di antigeni virali e altro inducono la produzione di IL-12, fattore favorente lo
sviluppo di una risposta protettiva nei confronti di batteri, ma non nei confronti di microrganismi che
richiedono una risposta Th2. Chi produce molta IL-12 e quindi IFN γ, non avrà produzione di IL-4.

_Fattori ambientali: l’ipotesi igienica


Sembra che l’inquinamento abbia favorito l’allergia. Un asmatico che si trovi in una strada particolarmente
trafficata può avere una crisi asmatica.

“Le allergie sono aumentate perché è diminuita la tubercolosi”. Con questa frase “sarcastica”, si intende
dire che la minor esposizione a batteri e agenti patogeni secondaria a un miglioramento delle condizioni di
vita ha favorito, come conseguenza, il dilagare delle allergie, per cui molti più soggetti risultano affetti da
allergie rispetto al passato.

L’ipotesi igienica è stata formulata in seguito a diversi studi genetici ed epidemiologici: nel momento in cui
si contrae un’infezione da batteri endocellulari, si avrà l’attivazione dell’APC e produzione di IL-12 e quindi
di IFN γ da parte dei Th1.

Quasi un secolo fa, in periodo di guerra, le condizioni igieniche lasciavano a desiderare; noi adesso siamo
molto più fortunati, c’è molta più precauzione e condizioni migliori, per questo motivo il bambino nelle
prime fasi della sua vita non dà molti stimoli al suo sistema immunitario che deve lavorare in un ambiente
dove il livello di IFN γ è più basso e quindi ci sarà una prevalenza di Th2 con produzione di IL-4. Questo si
traduce con un numero maggiore di persone interessate dall’allergia, circa il 25 - 30%.

Diversi studi hanno dimostrato che lo stile


di vita rurale protegge dallo sviluppo di
allergie; i secondogeniti sono meno proni
dei primogeniti a sviluppare allergie,
perché? Perché i primogeniti che fuori da
casa, da grandi, contraggono influenze,
infezioni batteriche e simili, contagiano i
secondogeniti che sono appena nati e
questi si prendono di tutto in poco tempo
rispetto al primogenito. Paradossalmente
questa sembrerebbe una fortuna poiché
riduce lo sviluppo di allergie.
40

Gli allergeni
Da un punto di vista chimico gli allergeni sono generalmente glicoproteine, che possono essere
termostabili, termolabili, idrosolubili, di peso molecolare modesto; si può essere allergici al pelo di gatto, di
cane, di topo, di cavallo, all’acaro della polvere, agli scarafaggi, ai pollini.

Di seguito si analizzano i principali:

ACARI
Gli acari non sono visibili ad occhio nudo; le nostre abitazioni ne sono stracolme. Hanno l’abitudine di
cibarsi di materiale organico, come forfora, peli ecc. Vivono bene a un certo tasso di umidità, infatti stanno
molto a loro agio nei materassi.

La cosa importante, qualora si faccia uso di insetticidi, è comunque rimuovere l’acaro morto, perché anche
ammazzato continua ad essere un allergene fastidioso per i soggetti allergici.

Non tenere animali domestici (cane, gatto, cavallo) può prevenire l’invasione degli acari, che si cibano di
peli; i tendaggi pesanti, i tappeti, la moquette sono tutti ricettacoli di acari perché son difficili da pulire.

È importante aprire le finestre e far arieggiare, far entrare il sole perché gli sbalzi di temperatura uccidono
gli acari. Prediligono la primavera e l’autunno, ma la loro presenza è costante.

SCARAFAGGI
Sono i cugini degli acari e spesso succede di ritrovarli quando si fanno lavori di ristrutturazione nelle case e
a quel punto scatenano la reazione nei soggetti allergici.

POLLINI
I pollini hanno una produzione stagionale. Ne
esistono di tantissimi tipi, in Sardegna ad esempio
c’è notevole prevalenza della parietaria. La
caratteristica di tutte queste piante è
l’impollinazione anemofila, cioè che utilizza come
tramite di dispersione il vento.

Queste piante per loro natura producono un’enorme


quantità di pollini piccolissimi che vengono dispersi
nell’ambiente. Chi è allergico sa che il periodo
peggiore durante la primavera sono i giorni
successivi alle piogge: l’indomani col sole i fiori
sbocciano e si aprono liberando tutto il polline
imprigionato. Inoltre durante le giornate umide il
grano del polline si apre e in quel momento tutti gli
allergeni contenuti vengono liberati.

Non tutte le regioni italiane sono uguali. Per esempio


la parietaria a Firenze è una piantina come un’altra,
come le graminacee, può dar fastidio un paio di mesi
in primavera; viceversa nelle regioni costiere, mediterranee, più a sud, la parietaria è diffusissima e fiorisce
41

da febbraio fino a novembre, quindi parlare di allergia stagionale per


la parietaria, in Sardegna, non ha molto senso.

La betulla e il cipresso hanno un periodo di impollinazione più limitato


e fioriscono nei primi mesi dell’anno. A causa forse dei cambiamenti
climatici si è osservato un inizio del periodo di impollinazione sempre
più precoce nell’arco degli anni per la betulla.

Il diametro delle particelle determina l’entità della reazione allergica: i


pollini di dimensioni maggiori di 10 µm si fermano a livello delle alte
vie aeree, quelli più piccoli invece scendono a livello bronchiale.

MICOFITI
Altro allergene importante sono i micofiti, le muffe. I principali sono: aspergillo, cladosporium, alternaria.
Talvolta possono essere riscontrate altre allergie particolari in casi particolari, ad altre muffe. Normalmente
le spore tendono ad essere presenti nell’ambiente in periodi caldi /caldo - umidi.

LATTICE
Il lattice è un altro materiale che causa reazioni allergiche: derivato dalla pianta “Brasiliensis”, oggi viene
utilizzato nella produzione di tantissimi elementi: guanti chirurgici, preservativi, cerotti, materassi, boccagli
delle maschere da sub.

RINITE ALLERGICA
La rinite allergica è una malattia diffusa in tutto il mondo. Dal punto di vista istopatologico, a livello della
mucosa nasale, si trova la stessa identica situazione osservata per la mucosa bronchiale, il danno è
esattamente lo stesso (fibrosi della lamina basale, danneggiamento dell’epitelio).

La nostra mucosa nasale - bronchiale è un continuum, quindi se si valuta l’ispessimento della membrana
nasale e quella bronchiale, osserviamo una corrispondenza.

_Classificazione
Il modo migliore per classificare la rinite è dividerla in:
Intermittente: se dura meno di 4 settimane, con episodi limitati a 4 giorni per ciascuna settimana;
Persistente: se dura da più di 4 settimane tutti i giorni.
Sulla base della “gravità” della reazione, si identificano tre gradi:
• Lieve
42

• Moderato
• Grave: può essere disturbato il sonno, il lavoro, la frequenza scolastica ecc.

_Eziologia
Non tutte le riniti sono su base allergica,
hanno alcune caratteristiche che le
differenziano. Quella su base allergica si
presente con rinorrea, senso di ostruzione
nasale, prurito, starnutazioni.
La rinorrea può essere acquosa nelle forme
virali, muco - purulenta in quelle batteriche
dove prevale il senso di ostruzione. Esistono
anche le forme di rinite vasomotorie, che si
confonde un po’ con l’allergia da acari:
compare la mattina al risveglio, quando si
passa da un ambiente caldo ad uno freddo, ma gli acari non ne sono responsabili.
Altra forma assolutamente importante è quella farmaco - indotta. In Sardegna molte persone che hanno il
naso chiuso, con senso di ostruzione, sentono subito la necessità di respirare bene e acquistano in farmacia
Rinazina o Sinex e lo spruzzano nel naso. Appena spruzzato, il farmaco aiuta a respirare, ma a lungo andare,
l’abuso di questi farmaci che son vasocostrittori, determina una condizione in cui senza utilizzare il farmaco
non si riesce più a respirare bene da soli.

Infiammazione minima persistente

Se il soggetto ha la rinite ma non l’asma bronchiale, osservo comunque un danno a livello della mucosa
bronchiale, anche in assenza di sintomi.
Il concetto è quello di infiammazione minima persistente: un soggetto allergico, che presenta
l’infiammazione a livello di entrambe le mucose, ha sempre e comunque un certo grado di sintomatologia
dovuta a una flogosi persistente, seppur
minima.
Quando si parla di asma bronchiale, si parla di
una patologia con flogosi cronica, caratterizzata
da bronco costrizione, generalmente reversibile
con o senza farmaci e iper reattività bronchiale.
Se si è allergici al gatto, per esempio, e si sente
un forte profumo, si ha una stimolazione delle
terminazioni nervose che sono esposte a causa
di un danneggiamento dell’epitelio bronchiale e questo suggerisce che non si esce mai dalla condizione sintomatica.

Una volta che un soggetto asmatico inizia a fare terapia con steroidi e broncodilatatori, la porta avanti tutta la vita.
43

_Diagnostica:

_Trattamento
C’è anche chi, in un soggetto con rinite,
prescrive spray preventivamente,
nell’eventualità che si presenti l’asma,
“cosa che non mi trova assolutamente
d’accordo! Nel momento in cui si
presentano i sintomi si dà il farmaco, non
prima!”.

Col vaccino ci si può “immunizzare”, ma


solo nel caso in cui il soggetto sia
monosensibile, perché il vaccino è
monospecifico: se si hanno troppe allergie
non si può fare un insieme di vaccini
ognuno contro allergene X! E il vaccino in tale caso dev’essere fatto nei primi anni di vita.

_Infiammazioni associate
Alla rinite si possono anche associare forme di congiuntivite;

Congiuntivite allergica: è un’affezione della mucosa congiuntivale caratterizzata da ipersensibilità a


sostanze esogene (allergenini) mediata da IgE e con flogosi cronica automantenentesi.

Generalmente chi ha rinite, nello stesso periodo ha anche prurito agli occhi, lacrimazione, arrossamento,
irritazione.

Altra forma di rinite allergica esuberante è la cheratocongiuntivite primaverile, che colpisce i bambini fra i
10 e 15 anni ed è caratterizzata da ipertrofia a livello della congiuntiva tarsale.
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10-3-2017

ASMA BRONCHIALE
Definizione
È una malattia infiammatoria cronica caratterizzata da bronco-ostruzione reversibile (al contrario di BPCO)
e iperreattività bronchiale. Questi sono i cardini. (da dire all'esame)

L’elemento cardine è la flogosi. Quali sono i fattori che portano a ciò? Atopia, (allergia verso inalanti
perenni o stagionali, pelo del gatto, acaro, polline). Essa, di per sé, può causare, se molto importante,
ostruzione bronchiale. Una persona con un’allergia seria, con alte IgE sieriche verso un allergene e che si
trova a contatto con esso, ha una risposta mastocitaria molto importante.

Si può avere anche una flogosi subliminale, non talmente intensa da causare direttamente
broncocostrizione, ma che causa a livello bronchiale una situazione su cui qualsiasi altro stimolo aggiuntivo
anche banale, come trovarsi al supermercato con forti profumi, una risata o in un ambiente con aria fredda
o umida, può agire scatenando una tosse (questo dato si troverà frequentemente nei pazienti, che stanno
bene tutto sommato).

Epidemiologia
Impatto sulla società: varia a seconda delle popolazioni. È correlato a allergeni, atopia, stimoli aggiuntivi.
Un ambiente (anche lavorativo) molto inquinato è una situazione che può portare alla comparsa dell’asma.
I paesi occidentali sono molto colpiti (vedi ipotesi igienica) e nell'arco degli anni c'è stato un aumento di
frequenza delle manifestazioni allergiche, soprattutto di asma bronchiale.

L'albero respiratorio è uno, è molto frequente che il soggetto con asma abbia anche manifestazioni
rinocongiuntivitiche. È vero anche il contrario: il soggetto con rinite può sviluppare poi asma (40% dei casi)
(non bisogna però trattare la rinite come se fosse asma).

_Fattori di rischio
Endogeni: familiarità, sesso, atopia, etnia africana.

Ambientali: allergeni perenni (es la parietaria che in Sardegna ha una fioritura lunga), infezioni respiratorie
virali da bambini (es VRS), fumo, irritanti ambientali, GERD e obesità.

Tipologie di asma
Oggi si parla anche di fenotipo di asma, dal momento che le cellule coinvolte, riscontrabili con una biopsia,
possono essere diverse.

Ci sono forme marchiate da Th2, alta produzione IL-4, niente IFN. Questo tipo prevale nelle forme di asma a
insorgenza giovanile, nei bambini con broncospasmo o asma vera e propria.

Nelle altre forme non IgE-mediate, lavorative, post infettive, prevalgono i Th17: essi sono capaci di
produrre IL-17.
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Se trovo eosinofili nell’escreato o nel BAL avrò maggiore responsività ai corticosteroidi. I neutrofili indicano
scarsa responsività

Patogenesi e Istopatologia
A livello istologico si riscontra: ispessimento membrana basale, iperplasia epiteliale e un aumentato
infiltrato infiammatorio mucosale.

La patogenesi è tipica delle reazioni IgE-mediate. Si ricordi che le IgE sono responsabili della forma
immediata (io allergico al gatto sono in una stanza con lui ho immediatamente la reazione). Tuttavia è la
flogosi mucosa che porta al riarrangiamento di tutta la mucosa, con un ispessimento e fibrosi.

Nel processo sono coinvolti eosinofili, citochine e chemochine e recettori relativi.

Sintomatologia
Quadri estremamente diversi, talvolta l’unica manifestazione è la tosse secca che può manifestarsi in
alcune situazioni con irritanti aspecifici. Oppure durante la notte ha una dispnea con broncocostrizione, di
tipo espiratorio.

E se fosse inspiratorio? Fate aprire la bocca, può essere un corpo estraneo. L'asma all'inizio è
prevalentemente espiratorio. Un tirage è altro, edema glottide etc, una ostruzione alta in linea di massima.

Il paziente è seduto sul letto o appoggiato alla finestra. Nelle forme più gravi è a letto con dispnea
importante, ha sia di tipo inspiratorio che espiratorio, con segni importanti alle estremità.

L'esacerbazione notturna è data dalla prevalenza in queste ore del tono vagale.

C'è una gradazione di gravità.

Diagnosi
ANAMNESI

L’anamnesi è importantissima; si indaga la presenza di atopia, gli ambienti in cui è avvenuta la crisi, la
presenza di episodi in precedenza, assunzione farmaci come fans (asma da aspirina).

Un soggetto con reazione ai salicilati, episodi di asma bronchiale potrebbe avere anche un altro
segno: poliposi nasale.

E.O.

Torace iperespanso: l'aria è intrappolata, non riesce ad essere espulsa, aumenta il volume
Iperfonesi percussoria
Fischi e sibili espiratori diffusi su tutto l'ambito polmonare

ESAMI STRUMENTALI necessari per confermare la diagnosi


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Spirometria: evidenzia un quadro ostruttivo: riduzione FEV1. Esso si riduce anche in corso di bpco, ma
nell'asma è reversibile.

Ci sono casi in cui la spirometria non evidenzia problemi, la reversibilità non fa vedere nulla è già al 100%.
In tal caso faccio un test di provocazione con metacolina. Induco così broncocostrizione. Nell'asmatico la
dose necessaria è minore rispetto a quella del soggetto sano evidenzio così l’iperreattività bronchiale.

ESAMI LABORATORIO

A questo punto è necessario stabilire la causa, anche in funzione del trattamento: prove allergologiche
cutanee, dosaggio IgE specifiche sieriche.

CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA GRAVITÀ

Importante quantizzare il grado di bronco-ostruzione, per aggiustare il trattamento terapeutico

Come si classifica? Sulla base di sintomi e indici spirometrici

Intermittente: episodi meno


frequenti di 1/settimana; la
sintomatologia altera
relativamente la vita del
paziente a livello di attività
fisica, lavorativa.
Persistente: il soggetto li
presenta episodi più frequenti di
1/settimana, anche qui con un
certo grading; essi influenzano le
nomali attività quotidiane.

Terapia
_Obiettivi nel trattamento a lungo termine
Ottenere e mantenere il miglior risultato possibile tramite: il controllo dei sintomi, la prevenzione
degli episodi di asma o delle esacerbazioni, il mantenimento della funzione polmonare il più vicino
possibile ai livelli di normalità deve stare bene Se a tal fine è sufficiente uno spray inalatorio
steroideo faccio quello. Se sono necessari gli steroidi e.v. faccio quelli. Devo azzerare la flogosi.
Controllandola, il decadimento della funzionalità respiratoria/età sarà parallelo ai soggetti sani.

Ridurre la variazione giornaliera di PEF


Mantenere normali livelli di attività fisica
Evitare gli effetti avversi dei farmaci
Prevenire lo sviluppo di una ostruzione irreversibile se la mantengo la flogosi a zero evito la
“strutturazione” della mucosa bronchiale.
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Prevenire la mortalità per asma

Domande

Ma i broncodilatatori da soli? Al tempo in cui studiava il prof c'era una diatriba tra i sostenitori dei corticosteroidi
(immunologi, che sapevano che fossero il miglior infiammatorio) e gli pneumologi che non li vedevano di buon occhio
e usavano solo broncodilatatori. C'era un ragazzo di Salerno,, obeso col puffer di ventolin, ne faceva fuori 2/2-3gg, era
tachicardico e non riusciva più a alzarsi dal letto. Iniziato a fare gli steroidi (e calato di peso) ha iniziato a stare bene.

La terapia si mantiene anche dopo molto tempo che passano i sintomi? Dipende dalla causa, se è allergico al cipresso
si fa la terapia, il paziente sta bene, cesso la terapia, sta ancora bene e non ha iperreattività bronchiale. Dovrei fare un
test spirometrico con metacolina e se negativo interrompere la terapia. Se conosco il paziente, a seconda dell’agente
eziologico posso sospenderla in alcuni periodi dell’anno.

_Principi di trattamento
1. Coinvolgere il paziente nella gestione della malattia. Non limitarsi alla classica ricetta, questo sarà l'asso
nella manica: se conoscono la malattia la sanno gestire meglio, saranno più soddisfatti e forse li vedrete
meno, anche perché avranno meno dubbi. I 10 minuti spesi la 1a volta sono un investimento per i 2/3
mesi successivi;
2. Valutare la gravità dell’asma monitorando la sintomatologia e la funzionalità polmonare. Anche gli
stessi pazienti devono sapere come gestire la malattia, quando e se ridurre il trattamento, o prevedere
situazioni in cui si starà male (es se faccio una corsa e ho la tosse secca tanto bene le cose non vanno).
3. Evitare l’esposizione a fattori di rischio come fumo o altri irritanti;
4. Effettuare una appropriata terapia farmacologica cronica: l’uso dei glucocorticoidi inalatori è un punto
chiave, a dosaggi globalmente bassi ma localmente alti senza effetti collaterali degli steroidi per via
sistemica
5. Trattare prontamente le esacerbazioni
6. Incoraggiare un regolare controllo medico

_Farmaci utilizzati
FARMACI DI FONDO

Corticosteroidi inalatori e B2-agonisti a breve o lunga durata d’azione.

Cromoni e metilxantine venivano usati prima: i primi hanno scarso effetto, le metilxantine effetti
collalterali cardiaci.

Antileucotrieni: possono aiutare in particolare nell’asma da sforzo e da aspirina. In questi casi danno un
certo beneficio.

FARMACI SINTOMATICI
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Nelle forme di asma intermittente con episodi di poco tempo posso usare da soli i broncodilatori. (Da
questo livello di gravità in poi sempre lo steroide)

Le forme steroido-resistenti si trattano con immunosoppressori e numalizumab, anticorpo anti-IgE. È


somministrato 1 volta al mese e ha risultati ottimi. Ha però un alto costo.

_Immunoterapia specifica
Si tratta di un vaccino: inietto un allergene per via sublinguale o sottocute: attraverso il dosaggio e la via di
somministrazione ottengo una stimolazione delle IgG (e non IgE) e dei Treg specifici. Deve essere fatta per
4-5 anni con somministrazioni settimanali.

Devo sceglier il paziente giusto: in un poliallergico si pone una scelta (non posso vaccinarlo per tutti gli
allergeni); ricadrà su un allergene perenne, ma se è allergico a più allergeni perenni non potrà avere
particolari benefici clinici.

Se invece è monosensibile faccio il vaccino per l’antigene cui è sensibile e “90 volte su 100” avrò ottimi
risultati, non più broncospasmo e una rinite meno accentuata. Inoltre evito la “marcia allergica” che
comporta anche le polisensibilizzazioni: a livello linfonodale, quando avviene la reazione (allergica) verso un
allergene, ho la produzione di IL-4. Essa favorisce lo sviluppo delle reazioni Th2 mediate anche contro
antigeni banali come l’acaro della polvere. Col vaccino evito tutto questo.

Messaggio finale: quando il prof era studente si moriva di asma. Una volta capito che era una malattia
infiammatori e trovati i farmaci giusti, si è cambiato il destino: oggi c’è la terapia inalatoria, fattibile anche
a casa o l’immunoterapia specifica.
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REAZIONI AVVERSE AGLI ALIMENTI- ALLERGIE


ALIMENTARI
La trattazione si articolerà attraverso 4 fasi:

1. Descrizione di un caso clinico

2. Generalità sulle reazioni avverse agli alimenti

3. Procedure diagnostiche

4. Principali indicazioni terapeutiche

1.Descrizione di un caso clinico


QUADRO CLINICO ALLA PRIMA VISITA
una signora giovane, con rinocongiuntivite, diatesi allergica, che dall'età di 30 anni (4 anni prima
dell’osservazione medica) manifestava orticaria, talvolta anche angioedema di mucose e zone lasse, ad
insorgenza ravvicinata ai pasti, durata breve, 3-4 ore, con episodi inizialmente occasionali che poi piano
piano sono aumentati di frequenza; riferisce di aver avuto, il mese prima della visita, uni shock anafilattico:

dopo un’ora dal pranzo manifestava prurito generalizzato, lesioni pomfoidi e orticaria diffusa; in
pochi minuti compariva angioedema al volto. Assume 1 cp di antistaminico e il marito le pratica
iniezione di Bentelan: acqua fresca, in pochi minuti sopraggiunge sensazione di soffocamento e
all’arrivo di ambulanza presentava dolore precordiale, sottoslivellamento S-T, ipotensione
importante, tachicardia, sudorazione algida, pallore, iniziali segni di perdita di conoscenza .

C’è stata una degranulazione generalizzata, con vasodilatazione generalizzata quindi inadeguata
irrorazione alle cellule periferiche, liberazione cataboliti vasodilatanti ad aggravare la situazione. Chiaro
come sia necessario in questi casi ripristinare pressione, circolazione ed evitare danni tissutali

//

excursus: Shock anafilattico


_Principali caratteri del quadro clinico conclamato:
Cardiovascolari Ipotensione, tachicardia, polso piccolo e frequente, aritmie

Sistema nervoso Perdite coscienza e sensorio


Respiratori Broncospasmo con dispnea
Gastrointestinali Nausea, vomito diarrea
Urinari Oliguria
Cutanei Vasocostrizione, pallore, prurito

_Sintomi premonitori di una reazione sistemica


È importante riconoscere i sintomi prodromici, prima che a situazione si metta male,
Prurito, calore diffuso;
Arrossamento a livello cutaneo con vasodilatazione, con presenza o meno di orticaria;
50

Angioedema su labbra e lingua;


Sensazione di congestione nasale: acqua dal naso, naso ostruito;
Broncospasmo: costrizione alla gola;
Cambiamento del tono della voce (edema glottide).
Sono tutte manifestazioni che devono far pensare male.

_Fattori prognostici negativi


Soggetto che ha già avuto episodi pregressi di shock, magari con un graduale aumento di frequenza e
gravità.
Presenza di concomitante asma bronchiale
Rapidità insorgenza: tanto più è breve il periodo tra l’assunzione dell’ allergene (di imenottero, pesca,
farmaco) e l’inizio dei sintomi, tanto peggiore è l’evoluzione e la gravità dell’episodio.
Ritardo di inizio della terapia: più è lungo peggiore è la prognosi

ANAFILASSI BIFASICA:

Quando il paziente si presenta al medico, al pronto soccorso, è importante che ci rimanga almeno 12 ore.
C’è un quadro di nuovo episodio dopo poche ore dalla risoluzione del primo, stavolta più grave e meno
controllabile. Se vuole andarsene firma, sennò non lo si deve dimettere.

_Cause di anafilassi:
Variano con l’età: nel bambino prevalgono da alimenti, nell’adulto da farmaci

L’episodio di shock da insetti è il 5% (nell’adulto np). Sembra nel complesso una quota piccola, ma è
gravata da un alto rischio, perché capita in situazioni in cui il soggetto è da solo: in campagna, nei
boschi, ambienti senza altre persone e dove non può essere soccorso, a differenza dei casi da
alimenti o farmaci. Se c’è una perdita coscienza è più facile che si incorra nell’exitus.

Fine excursus.

//

QUADRO ANAMNESTICO ESSENZIALE

Questa signora riferiva alcuni episodi 10 anni prima di asma bronchiale da pollini, 5 anni fa episodi orticaria
dopo Voltaren, da allora non ne aveva più assunto FANS, patch test positivi ai metalli e sino a quel
momento praticava una dieta libera.

L’ipotesi era che fosse allergica a qualche alimento.


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2.Generalità su reazioni avverse da alimenti


L’esistenza di reazioni ad alimenti era nota già a Ippocrate e ai romani: alcuni soggetti stavano male dopo
aver mangiato alcuni elementi innocui per la popolazione generale: il soggetto aveva dunque qualcosa di
particolare.

La prevalenza copre il 2% della popolazione, non eccezionale ma rilevante, (significa che a Sassari 2000
c.ca).

È un capitolo con cui si avrà a che fare nella professione (il 30% della pop è allergica e il 70% pensa di esserlo).

_Classificazione
Tossiche: tutti i soggetti se assumono quella determinata sostanza stanno male; sono dose dipendenti:
amanita falloide, è un veleno. Non si analizzeranno.

Non tossiche: riguardano solo alcuni soggetti. Si distinguono in:

o Allergie: entra in gioco il sistema immunitario; possono essere:

IgE mediate

Non IgE mediate (più difficili da evidenziare)

o Intolleranze alimentari: fattori farmacologici, enzimatici, es favismo, deficit lattasi. Assumendo


grosse quantità lattosio può avere problemi intestinali, dolori addominali, diarrea etc. Non
sono rilevanti le quantità di lattosio nelle pillole dei medicinali, lo sono quelle in un bicchiere di
latte, questo perché è dose dipendente (torna in gioco la compliance e l’informazione dei
pazienti)

_Sintomi:
Nelle Ig-mediate ci può essere: interessamento gastroenterico: dal cavo orale al colon; manifestazioni
cutanee come orticaria e angioedema; rinite, asma (una manifestazione respiratoria legata unicamente
all’allergia alimentare è però rarissima da vedere, è più facile che ci sia una dispnea associata ad una
reazione anafilattica); quadri di anafilassi generalizzata, talvolta indotta da esercizio fisico: situazioni in cui il
paziente sa di essere allergico es. alla pesca, la mangia e non ha problemi, va a ballare e niente. Se mangia
pesca e va a ballare avrà manifestazioni orticarioidi.

Ci sono forme cellulo-mediate, una è il morbo celiaco: la celiachia è una reazione immuno-mediata al
glutine in soggetti geneticamente predisposti, portatori degli aplotipi HLADQ2 e DQ8, presentanti anticorpi
anti-glutine, anti-endomisio e anti-transglutaminasi, ma non IgE.

Ci sono poi quadri misti con anche IgE specifiche, anche se non giustificano tutto, es DA, Gastroenterite
eosinofila.

Si vedano (molto rapidamente) le varie forme nel dettaglio:

Forme GI
52

Il quadro più semplice di IgE mediata è la Sindrome allergica orale. Il paziente mangia un alimento
(generalmente un vegetale), inizia ad avere starnuti, prurito alla lingua, le labbra si gonfiano e si
manifestano problemi del cavo orale, il resto niente). Classica domanda da fare: ma se mangia lo stesso
alimento dopo averlo cotto ha problemi? No. Questa discrepanza indica una sensibilizzazione verso
allergeni nella loro struttura nativa, conformazionale; le IgE riconoscono l’allergene intero, che di solito è
termolabile, dopo la cottura no. Spesso sono allergeni presenti sia sul frutto che nei pollini:. Durante la
primavera questi soggetti lamentano starnutazione e in quel periodo una maggior facilità di queste
manifestazioni.

Gastroenterite immediata: il soggetto mentre sta mangiando o poco dopo ha nausea, vomito, dolori
addominali, diarrea. Venisse fatta la biopsia della mucosa gastrica si troverebbero mastociti degranulati.

Nelle forme con ricchezza di eosinofili a livello della mucosa non sempre si riesce a trovare l’allergene
responsabile. Si possono trovare le IgE specifiche, ma non tuto passa attraverso di esse, cominciamo ad
avere forme miste in cui parte delle reazioni avverse avviene mediante altri tipi cellulari.

Enteriti da proteine, tipiche dei bambini: vomito, diarrea soprattutto, dolori addominali; non trovi mai le
IgE. Si ottengono risultati e miglioramenti dei sintomi evitando alimenti di natura animale. Questi col tempo
possono essere nuovamente riassunti

Forme cutanee

Orticaria: quadro del genere, pomfi anche grossi, potenzialmente


ad aspetto figurato, con tendenza a confluire. Tendono ad essere
fugaci, di poche ore ed a non ripresentarsi nei gg successivi.
L’orticaria è un mondo: vi sono forme spontanee e croniche (6
settimane è il cut-off temporale), forme in cui il pomfo è a
capocchia di spillo, morbiliforme, durano 20-30 min, è la
colinergica che niente c’entra con gli allergeni alimentari. Ci sono
poi forme di orticaria fisica: da dermografismo, vibratoria (tipica
di che usa martello pneumatico), da freddo, caldo, acquagenica;
forme associate a vasculite, che durano settimane, a malattie
autoimmuni, a quadri di post-infezione. Tutto ciò associato o
meno ad angioedema.

Dermatite Atopica: altra manifestazione cutanea in cui il


bambino o l’adulto ha eczema, con vescicolette pruriginose
segnate da lesioni da grattamento e una tendenza ad andare
incontro alla lichenificazione. Diffusa più o meno ovunque. Sia
il paziente con DA che quello orticaria cronica hanno una
qualità di vita scarsa.
53

_Eziologia delle reazioni avverse


I principali allergeni alimentari possono essere vari, di natura animale, contenuti in latte, uova, crostacei,
molluschi, pesci, o di natura vegetale: da noi prevalgono le rosacee (pesche albicocche ciliegie), frutta
secca, arachidi, nocciole.

Oggi si sa anche che dei vari allergeni presenti in un certo alimento alcuni sono termolabili, altri
termostabili e possono dare sintomi diversi. Ciò che si trova nei semi sono allergeni molto stabili al calore e
ad altre variazioni dell’ambiente, ciò si sposa con la funzione del seme: mentre la polpa è labile e serve per
attirare l’animale che poi mangerà il frutto, il seme deve essere depositato con le feci a distanza, dovrà
passare tutto il canale digerente e poi deve rimanere integro nella sede finale per dare origine alla pianta.

Alcuni alimenti possono presentare cross-reattività. Se sono allergico al latte di mucca devo stare attento
anche al formaggio pecorino: la latto-globulina è presente in entrambi.

Nel bambino latte, arachidi, uova, soia e grano sono il 90% dei responsabili. Negli adulti l’85% è coperto da
pesce, crostacei, arachidi.

3.Procedure diagnostiche
Quando si ha davanti un soggetto che racconta dei sintomi esaminati dobbiamo pensare a cosa è allergico. I
rischi sono due:

1. non trovare la causa, mandarlo via col rischio che possa poi avere uno shock anafilattico;

2. mandar via il paziente con indicazioni a non mangiare quasi nulla: per un eccesso di precauzione
viene tolto tutto. I pazienti poi non sanno cosa mangiare e come gestirsi. Fondamentale arrivare
alla diagnosi corretta.

I test diagnostici comprendono metodi standardizzati e non.

_Metodi standardizzati
I primi sono: discorso anamnestico (già con questa faccio quasi la diagnosi), i test servono solo a
confermare il sospetto. Ci sono test in vivo validissimi, come lo Skin Prick Test, Prick by Prick, Patch Test,
diete ad eliminazione o se possibile le diete di stimolazione (che si fanno in ambienti controllati). Nei test
in vitro doso le IgE specifiche, misuro la liberazione di istamina.

ANAMNESI ALLERGOLOGICA

L’anamnesi allergologica deve essere particolarmente accurata: se paziente riferisce di un episodio di


orticaria dopo mangiato, devo capire cosa ha mangiato e se magari prima o dopo ha assunto aspirina;
capire se il paziente con angioedema assume costantemente ACE-inibitore per il trattamento
dell’ipertensione (bloccano le bradichinine): caratteristicamente hanno angioedemi intermittenti mai
associati ad orticaria.
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TEST IN VIVO

Skin Prick Test: di semplice svolgimento, l’unica accortezza è che per i 3-4 gg prima il soggetto non assuma
antistaminico, sennò è inutile. Quindi sulla regione volare deposito prima gocce dei vari allergeni e poi con
un ago, che cambio ogni volta, sollevo un lembo di epidermide. Se dopo 5-10 minuti ho il pomfo, il soggetto
avrà le IgE specifiche (che causano la degranulazione dei mastociti).

Se è tutto negativo e non mi fido sul fatto che abbia interrotto l’antistaminico, metto l’istamina, come
controllo positivo. Se al contrario ho 20/20 positivi, non ci credo, ci deve essere una iperreattività cutanea:
userò della fisiologica o pungo senza nulla; se si sviluppa il pomfo anche lì allora il test non è valido.

Il VPN è molto alto (95%): se il test è fatto bene, se es. per il latte è negativo, lui non è allergico al latte.
Viceversa, il VPP è del 50%: in caso di positività ad un antigene non è detto che quello sia la causa. Mi deve
qui aiutare la clinica: se è positivo al latte e la mattina ha preso un cappuccino e non ha avuto problemi, il
latte difficilmente sarà il problema. Viceversa se è stato male.

Prick by Prick: caso particolare è quando ho un soggetto con sindrome allergica orale, che sospetto essere
allergico alla mela, pungo e non vedo nulla prick by prick: pungo con un ago la mela e con lo stesso la
pelle. Così utilizzo un allergene nativo, fresco. È estremamente frequente vedere una positivizzazione con
questa variante. I centri organizzati hanno dei preparati con ad es. pezzetti di frutta fresca cosicchè si salta
il prick classico.

Questi due test sono validi per indagare le risposte IgE-mediate.

Patch Test: utilizzati se la causa è cellulo-mediata, legata spesso ai contaminanti dell’alimento. Un esempio
è il nichel, i 3° metallo per frequenza sulla crosta terrestre. Tutto ciò che ha radici lo può assorbire, il grano
lo concentra molto nella crusca. I soggetti avranno disturbi intestinali all’assunzione di alcuni alimenti.
Fortunatamente l’allergia non è IgE-mediata (dove basterebbero piccole quantità di allergene per
importanti reazioni). Le reazioni si hanno spesso combinando alimenti che lo contengono, ad es. pasta
(grano) al pomodoro con tonno in scatola metallica, nichel, fagioli, nichel, pane integrale, nichel,
profiteroles al cioccolato, nichel. Si alza da tavola e avrà problemi. Non associandoli si riesce invece a
gestire efficacemente il problema.

I patch test verificano queste reazioni. CI sono dei cerotti con cellette, in cui è depositato un allergene. I
cerotti son tenuti adesi per almeno 48 h con lettura a 48, 72, 96h. Se il soggetto è positivo compare
l’eczema, una lesione vescicolare, pruriginosa, più o meno estesa.

Cromo, cobalto, nichel, parabeni: li posso trovare nei miei alimenti come inquinanti

Diete di eliminazione o provocazione: se sospetto che un soggetto possa avere sintomi correlati a un
alimento glielo levo per un periodo es. di 1 mese e mezzo. Se la sintomatologia cambia radicalmente ho
anche ottenuto una prova clinica. Identificato l’alimento devo toglierlo. Nelle strutture adeguatamente
organizzate posso anche fare il challenge in doppio cieco con placebo. In una cialda do o l’alimento o la
sostanza inerte, un medico valuta la reazione lamentata o presentata. È il gold standard, più teorico che
pratico. Si può fare più facilmente un challenge in aperto, si fa nei bambini di solito in cui sospetto allergia
al latte (necessario in quanto il latte difficilmente sostituibile).
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TEST IN VITRO

RAST, dosaggio IgE specifiche

Dosaggio IgE totali: in generale, nel sospetto di una reazione allergica non dicono nulla, non hanno senso da
richiedere. Le situazioni in cui si può avere un loo incremento sono varie. Come i linfomi, alcolismo, mieloma a IgE.

_Metodi non standardizzati


Si sottolineano il Citotest, Vegatest: sono bufale che costano moltissimo, con 0 risultato, come i tarocchi.
Da bandire.

4.Principali indicazioni terapeutiche


Sia che dica di introdurre che evitare un alimento devo essere certo, sennò faccio solo danno. Soprattutto
nel bambino che poi potrà mostrare difficoltà di accrescimento.

La signora iniziale aveva Skin Prick Test positivi per latte, lattalbumina, caseina di mucca e capra.
Stranamente aveva avuto risultati negativi per il latte a precedenti dosaggi RAST. La diagnosi era di orticaria
angioedema IgE mediata da latte totale eliminazione tutto ciò che lo contiene: formaggi, burro,
mozzarella, salmone affumicato.

Quando si trova scritto negli ingredienti “idrolisati” spesso sono di caseina, che possono contenere l’allergene
responsabile; si riscontrano anche in creme come fissan.

Oggi si corrono meno certi rischi, dato che eventuali tracce di qualcosa sono sempre segnalati sulle
confezioni dei prodotti, tutto è dichiarato, anche spesso quando non è detto che ci siano.

Questi soggetti devono avere con sé un kit di emergenza:

Adrenalina in primis: è il farmaco principe, da fare assolutamente nel soggetto con shock
anafilattico. Il paziente che sta per averlo ha delle fiale predisposte, delle penne pre-riempite (fast
jekt): il paziente leva il cappuccio, appoggia sul quadricipite, l’ago entra con lo scatto, conta sino a
10. Questo non è il salvavita definitivo, è un estintore contro un incendio. Se non c’è risposta in 5
min se ne fa un’altra, un’altra, un’altra mantenere il circolo.

Clorfenamina

Metilprednisolone

Contattare immediatamente il PS

Appena questi pazienti arrivano la prima cosa da fare è prendere la vena, o la prendi subito o non la prendi
più, perché si collassano.

TERAPIA FARMACOLOGICA

Cromoni (di dubbia utilità)

Antistaminici: trimeton
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Cortisonici: alti dosaggi, 4 mg di Bentelan non fanno nulla. Non risolvono lo shock in atto, ma i
sintomi a distanza

Immunosoppressori

Tenere il paziente in osservazione per almeno mezza giornata, il resto sono chiacchiere.

La tipa è stata rivista dopo, ha avuto altro angioedema ma legato a frittelle toscane, fatte di riso bollito nel
latte, poi episodi di nausea vomito….ma perché era incinta.. era diventata mamma.
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17-05-17

REAZIONI AVVERSE A FARMACI: APPROCCIO CLINICO


Quando noi vediamo una reazione conseguente alla somministrazione di un farmaco dobbiamo cercare di
capire

1. Quali sono le caratteristiche cliniche della reazione, come si presenta, se è una reazione sistemica
o localizzata, reazione cutanea, ecc.
2. Potremmo cercare di ipotizzare i meccanismi patogenetici alla base, talvolta possiamo immaginare
che si tratti di una reazione IgE-mediata, o che quel determinato quadro di vasculite possa essere
dato da una reazione da immunocomplessi, e poi
3. Infine capire qual è il farmaco che entra in gioco, perciò qual è l’eziologia della reazione.

1. Caratteristiche cliniche
_Manifestazioni Cutanee
Le manifestazioni cutanee che noi possiamo avere a seguito della
somministrazione di un farmaco possono essere varie: si può
andare da un banale prurito talvolta sine materia (ossia senza
particolari lesioni sulla cute), ad un quadro di rash eritematoso vari
tipi di esantema (maculare, papulare, bolloso), o un quadro di
orticaria/angioedema quindi con interessamento anche delle zone
più profonde del derma.

Possiamo avere anche quadri che cominciano ad essere più gravi


con delle lesioni papulose che rientrano nel quadro della AGEP, la
pustolosi esantematosa generalizzata, eritemi polimorfi che
ricordano un quadro post-erpetico con lesioni cutanee di diverso
aspetto vescicolare, eczematoso, lesioni in fase di guarigione e
altre in fase attiva, o anche un quadro di dermatite da contatto in
caso di utilizzo di un farmaco topico (crema, pomata, unguento,
ecc.) che può essere o meno scatenato ad esempio
dall’esposizione al sole: ci sono infatti alcuni farmaci topici che se
utilizzati su un paziente che poco dopo si espone al sole
determinano una reazione da fotosensibilità.

Oppure un altro quadro ancor più grave è la presenza di porpora o


petecchie, quindi una lesione vasculitica vera e propria con danno
alla parete dei vasi, o pemfigo quindi lesioni vescicolari bollose,
particolarmente estese. E anche la sindrome di Stevens-
Johnson/TEN in cui si ha un quadro simile ad un’ustione, con
lesioni vescicolari importanti, flittene generalizzato che può
interessare anche le mucose e con un alto tasso di mortalità.
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SOMIGLIANZA CON MALATTIE INFETTIVE


Se io utilizzo un antibiotico per una certa malattia
infettiva e si presentano delle lesioni come quelle nelle
foto affianco (un eritema diffuso e una lingua a fragola)
sono sicuro che è una reazione al farmaco, o è
un’evoluzione della malattia infettiva?

Se si tratta dell’evoluzione della malattia infettiva è


importante conoscere i meccanismi con cui si presenta la
malattia e la sua evoluzione, mentre se si tratta di una
reazione al farmaco è ovvio che dobbiamo interrompere
l’assunzione del farmaco.

_Manifestazioni Sistemiche
Oltre alle manifestazioni cutanee che abbiamo visto possiamo avere anche dei sintomi sistemici:

- a carico delle vie respiratorie come rinocongiuntivite e asma


bronchiale;

- a carico del rene, come glomerulo nefrite o nefrite


interstiziale;

- a carico del sistema emopoietico come anemia,


piastrinopenia, CID;

- lesioni a livello del SNC e SNP: in corso di terapia con Indinavir


o comunque farmaci inibitori delle proteasi si possono avere
come effetti collaterali delle neuropatie di tipo sensitivo
essenzialmente con parestesie e altre manifestazioni;

- a carico dell’apparato cardiovascolare come tachicardia,


aritmia e shock anafilattico. (Non c’è da meravigliarsi infatti
se dopo l’assunzione di una beta-lattamina in un soggetto che
sapeva già di essere allergico ci sia non solo una reazione locale (orticaria e angioedema) ma anche
un quadro più esteso come uno shock anafilattico.

- a carico dell’apparato gastroenterico, nausea, vomito (ematemesi), dolore addominale e


flatulenza, diarrea, ecc.;

- a carico del fegato: quando si ha una risposta nei confronti di un virus dell’epatite, si ha un quadro
di epatite perché il sistema immunitario (in modo particolare i linfociti CD8) riconoscono antigeni
virali che si affacciano sulla membrana dell’epatocita, dopo averli riconosciuti eliminano non solo il
virus ma anche l’epatocita, ed è per questo che si ha un quadro di epatite virale legata alla risposta
del sistema immunitario nei confronti del virus. Analogamente se su quest’epatocita ho adeso un
farmaco che il mio sistema immunitario riconosce come estraneo e magari con una risposta di tipo
CD8 ho un quadro di epatite da farmaci.
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_Quali sono i test di laboratorio che possono esserci utili? (Quadri laboratoristici)
Anamnesi: detta legge, grazie ad essa possiamo sapere che farmaco è stato utilizzato, da quanto
tempo il paziente lo sta utilizzando, quanto tempo è percorso tra l’assunzione del farmaco e la
comparsa della reazione. Teniamo presente che il tempo che intercorre può essere variabile,
possiamo avere uno shock anafilattico o un angioedema a distanza di mezzora (e generalmente
queste sono reazioni di tipo IgE-mediato) oppure possono passare diverse ore o diversi giorni e in
questi casi le reazioni non saranno shock o angioedema ma magari esantema, sindrome di Steven-
Johnson o lesioni di tipo vasculitico.

Emocromo, può mettere in evidenza quadri di anemia, piastrinopenia, linfopenia o meno. Un


quadro di anemia si può avere in un soggetto che prende un farmaco, ad esempio un antibiotico:
questo si lega al globulo rosso, c’è una risposta del sistema immunitario principalmente anticorpo-
mediata, ma anche cellulo-mediata e quindi ho la sua lisi e un quadro di anemia. Lo stesso
ragionamento per quanto riguarda la piastrinopenia o linfopenia.

Enzimi epatici, ci dicono se è presente o meno un quadro di danno epatico.

Test di Coombs, è un test che mette in evidenza anticorpi anti-globuli rossi, (ad esempio io posso
avere un’anemia di tipo autoimmune, quindi anticorpi diretti contro un antigene posto sulla
membrana del globulo rosso, questi anticorpi si legano al globulo rosso, si fissa il complemento e il
globulo rosso va incontro a lisi). Esistono due tipi di Test di Coombs, il diretto e l’indiretto.

Il diretto vede se i globuli rossi del paziente hanno anticorpi legati sulla loro superficie,
mentre l’indiretto ricerca eventuali anticorpi presenti nel siero capaci di legarsi al globulo
rosso.

Mettiamo di avere un soggetto con un’anemia emolitica di tipo autoimmune, sia il Test di
Coombs diretto che l’indiretto saranno positivi, mentre in un soggetto con anemia emolitica
da reazione a farmaci il Test di Coombs diretto sarà positivo e l’indiretto negativo, perché
nell’indiretto io prendo il siero del paziente ma i globuli rossi non del paziente, e di
conseguenza questi anticorpi che non sono diretti contro i globuli rossi ma son diretti contro
il farmaco che nel paziente è legato al globulo rosso.

ANA (Anticorpi anti-nucleari), non danno grosse informazioni salvo casi particolari in cui ho un
aumento della produzione degli ANA in soggetti che fanno una terapia con anticorpi anti-TNF o
Interferone, ma questo non deve trarre in inganno perché il paziente non ha né un Lupus né una
malattia da anticorpi anti-nucleari ma semplicemente è un effetto collaterale di terapie come
quelle citate.

Immunocomplessi circolanti, li posso andare a ricercare se ho un quadro di vasculite da


immunocomplessi in cui trovo questi aggregati nel siero (riscontrerò in tal caso una contemporanea
ipocomplementemia).

2.Meccanismi patogenetici
Classificazione ADR

A. Tipo A (augmented), prevedibili sulla base delle caratteristiche del farmaco, sono reazioni dose
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dipendenti, ad esempio un eccesso di cortisone o antidolorifici potrà portare ad effetti collaterali


legati all’uso eccessivo del farmaco.

B. Tipo B (bizarre), reazioni che non compaiono in tutti i soggetti, ma solo in quelli che hanno un
quadro di ipersensibilità, che hanno una risposta generalmente immuno-mediata nei confronti del
farmaco e che non sono assolutamente prevedibili. (posso prevedere che un paziente avrà
gastralgia se assume 5 cp di aspirina in due ore, ma non posso prevedere che un paziente che
assume 1 cp di antibiotico abbia uno shock anafilattico).

C. Tipo C (chemical), prevedibili sulla base delle caratteristiche chimiche del farmaco e dei suoi
metaboliti.

D. Tipo D (delayed), effetti a lungo termine come teratogenicità o cancerogenicità, ad esempio


neuropatia dall’uso prolungato di alcuni inibitori della trascrittasi inversa.

E. Tipo E (end of dose), reazioni conseguenti l’interruzione del farmaco, ad esempio l’uso prolungato
degli steroidi inibisce la funzione corticosurrenalica, e se improvvisamente quest’assunzione cessa,
le ghiandole surrenali sono a riposo e non producono la quantità fisiologica degli steroidi portando
a un quadro di iposurrenalismo.

Nei casi presi in considerazione, essenzialmente il Tipo B, possiamo avere dei quadri di ipersensibilità che
possono essere di tipo

A. immunomediato (reazioni allergiche classiche) Nell’ambito di queste i meccanismi patogenetici


possono essere vari:
o cellulo-mediato
o anticorpo-mediato,
IgE-mediato
non IgE-mediato.

B. non-immunomediato (legate a meccanismi non immunologici, ad esempio di tipo enzimatico,


come ciò che accade in soggetti G6PDH carenti).
Un richiamo sul meccanismo IgE-mediato: abbiamo le IgE, assunzione del farmaco, incontro delle IgE legate al
mastocita basofilo con il farmaco, degranulazione e tutto ciò che in questi soggetti può avvenire: orticaria, shock
anafilattico, ecc.

_Tipologie di Ipersensibilità
REAZIONI TIPO II
Ssono quelle in cui abbiamo essenzialmente anticorpi fissanti il complemento
(IgG o IgM), che si legano al farmaco, il quale magari si trova legato ad altre
cellule (globuli rossi, piastrine, linfociti, o a livello renale nella parete dei vasi) e
dal legame dell’antigene del farmaco con l’anticorpo si ha la formazione di
immunocomplessi a cui si lega il complemento e questa è la condizione per cui
si può andare incontro a quel fenomeno di formazione di pori e lisi osmotica
della cellula.
61

Quindi in questo caso avremo poi un’anemia di tipo emolitico.

REAZIONI TIPO III


In altri casi il farmaco per esempio si lega agli anticorpi, si formano degli
immunocomplessi che diventano instabili a livello del circolo, precipitano nelle
pareti dei vasi più piccoli, ad esempio nei glomeruli renali, qui inizia lo stesso
meccanismo di fissazione del complemento, richiamo di cellule infiammatorie
che hanno sulla loro parete sia i recettori del frammento Fc degli anticorpi, sia
recettori per le varie componenti del complemento, e quindi la formazione di un
sito di flogosi con danno a livello della parete vascolare e di conseguenza una
reazione di tipo vasculitico (tipo III).

REAZIONI TIPO IV
Reazione di tipo cellulo-mediato, son state classificate in più
sottocategorie, in cui varie cellule entrano in gioco, come le Th1,
quindi linfociti CD4+ che producono IFN-gamma,
caratteristicamente ritrovati su biopsie a livello di quadri bollosi,
oppure Th2, in un quadro di esantema maculopapulare, o ancora
possiamo avere delle lesioni in cui troviamo linfociti CD8, che
producono perforine, granzyme, enzimi tossici per la cellula
bersaglio, o ancora cellule che son capaci di produrre citochine e
chemochine e richiamano in sede neutrofili. Ad esempio IL-8
capace di richiamare in sede granulociti neutrofili e in associazione
presentano lesioni pustolose.

Tutto questo può essere dimostrato a livello di lesioni bioptiche


dove con esame immunoistochimico andiamo a identificare le cellule.

//

Il lavoro a destra, nonostante sia datato (1999),


permette di evidenziare la risposta cellulo-mediata:
in questo soggetto vedevamo che, se le cellule
mononucleate nel sangue del soggetto (quindi
linfociti e CPA come i monociti) venivano messi in
presenza di Penicillina, Amoxicillina o Ampicillina
(farmaci delle beta-lattamine), si presentava la
produzione di enormi quantità di IL-4, IL-5 o IL-13,
quindi vedevamo un quadro di tipo Th2. Quindi a
livello delle cellule T è presente questo quadro di
tipo Th2, mentre ci aspettiamo a livello dei linfociti
B la produzione di IgE.

E infatti questi erano dei soggetti con quadri


importanti di IgE, in cui quest’esperimento ha dimostrato che non solo abbiamo una risposta B di tipo
anticorpo IgE-mediato, ma abbiamo anche una risposta di tipo T, cellulo-mediata.
62

3.Quale farmaco è responsabile? Test per la diagnosi di ADR


Non è facile la diagnostica per una reazione a farmaci. La possibilità di avere materiale per poter ricercare
una reazione IgE-mediato è piuttosto limitata.

Per esempio una ricerca delle IgE nel siero in vitro essenzialmente viene fatta nei confronti di farmaci che
appartengono alla famiglia delle beta-lattamine, quindi due metaboliti della penicillina, l’amoxicillina,
l’ampicillina e una cefalosporina. Poi in alcuni casi possono essere ricercati nei confronti dell’insulina o
dell’eparina, ma ci fermiamo li.

Sicuramente ancora meno per quanto riguarda i test in vivo: esistono anche in questo caso dei metaboliti
che potrebbero essere utilizzati per andare a testare la presenza di IgE nei confronti di farmaci della
famiglia delle beta-lattamine.

_Anamnesi
L’anamnesi c’è molto d’aiuto, deve essere scrupolosa anche perché avendo poco dell’altro dobbiamo
basarci molto sulla storia del paziente. Per esempio, se io ho avuto una reazione all’ampicillina e
all’amoxicillina e successivamente ho la necessità di usare una cefalosporina, posso farlo? Forse si e forse
no, sono farmaci che a livello molecolare hanno componenti molto simili. Se ho una reazione nei confronti
dell’anello beta-lattamico (che può essere uguale in diversi farmaci di questa famiglia) nessun farmaco di
quella famiglia può essere idoneo, se invece ho delle IgE dirette verso le catene laterali che sono diverse tra
un antibiotico e l’altro potrei avere la speranza di utilizzare altri farmaci della stessa famiglia senza avere
reazione.

Se volessimo valutare se il soggetto ha una reazione all’anello o ad un’altra porzione della molecola, lo si fa testando il
farmaco sul paziente oppure facendo esami sierologici?

Risposta: Esami sierologici che possano darci questa risposta non ne esistono. Potrebbe aiutare l’anamnesi: se per
esempio il paziente ha utilizzato due farmaci della stessa famiglia con lo stesso anello beta-lattamico e radicali diversi
ed ha avuto la reazione per entrambi verosimilmente siamo sull’anello beta lattamico.

Valutare il background allergologico del paziente. Se è la prima volta che utilizza quella famiglia di farmaci
non posso prevederlo. Potrei per esempio, se tra ampicillina e amoxicillina ho, a livello sierico IgE elevate in
entrambe e non ce le ho per la penicillina e neanche per la cefalosporina, e i primi due antibiotici hanno dei
punti in comune che non hanno gli altri, potrebbero essere questi a causare la reazione, però ricordiamoci
che stiamo parlando degli antibiotici beta-lattamici, quindi io questo lavoro posso farlo solo su questa
limitatissima famiglia di antibiotici.

Comunque se ho un paziente che ha già una storia di reazioni avverse verso un farmaco, bisogna pensarci
due volte prima di andare a prescrivergli un farmaco della stessa famiglia.

Valutare compatibilità della sintomatologia con una reazione allergica. Generalmente non è frequente
trovare soggetti che hanno una vera reazione IgE-mediata a più famiglie. Se ha una reazione IgE mediata ad
un chinolonico il problema sta sui chinolonici, talvolta possono esserci delle reazioni che non sono immuno-
mediate legate a altre cause che possono essere presenti all’assunzione di più antibiotici, però
generalmente non sono IgE mediate.

È importante anche la cronologia dei sintomi: se assumo un farmaco oggi posso avere il sintomo ora, a
distanza di qualche ora ma anche a distanza di qualche giorno.
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Talvolta può capitare che un soggetto dopo 3-4 ore dall’assunzione di un farmaco riferisce di aver avuto un
angioedema, ecco due cose banali: quando ho preso l’aspirina? Dopo pranzo. Siamo sicuri che sia l’aspirina
e non una reazione avversa ad un alimento?

Se si tratta di una persona anziana che ha preso l’aspirina bisogna chiedersi se è anche iperteso, se dovesse
esserlo bisogna chiedersi se fa uso di ACE-inibitori, se si bisogna chiedersi se l’angioedema è accompagnato
da orticaria o se c’è solo angioedema, se c’è solo l’angioedema isolato è molto più probabile che sia da ACE-
inibitore, e non è IgE-mediata (assunzione di altri farmaci)

_Test cutanei standardizzati


Dal punto di vista delle prove allergologiche cutanee essenzialmente i test possibili sono tre: prick test,
patch test e intradermoreazioni.

INTRADERMOREAZIONE
L’intradermoreazione è un’iniezione intradermica del farmaco che deve essere fatta non con il farmaco
intero ma diluito in dosi via via a scalare. Se io ho un soggetto che ha avuto una reazione per esempio ad
una beta-lattamina ed ha una polmonite, ovviamente dovrò prescrivere un antibiotico e inizierò a pensare
a un antibiotico che non avrà a che fare con le beta-lattamine, ad esempio un chinolonico o un macrolide,
utilizzerò di questi prodotti in diluizioni scalari, partirò da 1/10000 e farò delle iniezioni intradermiche,
bastano 50 microlitri, e se mi compare un pomfo a 1/10000 mi fermo subito, sennò potrebbe essere a
1/1000, sennò 1/100, se non compare niente arrivo fino all’intero, e se la reazione in quel caso è negativa il
soggetto non ha IgE nei confronti di quel farmaco.

È sempre bene far precedere questa procedura da un Prick test, che è meno sensibile
dell’intradermoreazione ma è anche più sicuro, infatti con l’intradermoreazione e la dose intera posso
rischiare di avere delle reazioni importanti.

Generalmente quando si deve fare un test sarebbe bene che fossero interrotti i beta-bloccanti, questo
perché se dovesse esserci uno shock anafilattico, l’iniezione di adrenalina necessaria al paziente non agirà
perchè il beta bloccante blocca gli effetti dell’adrenalina.

SKIN PRICK TEST


Il valore predittivo di questi SPT per i vari farmaci è sicuramente buono per quanto riguarda penicilline,
miorilassanti, enzimi, ecc. soddisfacente per altri come i vaccini, ormoni, oppiacei, ecc, mentre i mezzi di
contrasto iodato, FANS, non hanno senso, hanno un valore predittivo imprecisato, per esempio anche per i
FANS come per gli ACE-inibitori non siamo di fronte a una reazione IgE-mediata, quindi è inutile che io
faccia un test cutaneo nella speranza di vedere un pomfo perché non ci sono IgE.

Anche nei soggetti che hanno avuto reazioni ai mezzi di contrasto per esempio per risonanza, si hanno
reazioni che in realtà non sono delle vere e proprie reazioni IgE-mediate, e non esistono dei test in vitro o in
vivo verso queste reazioni non immuno-mediate.

PATCH TEST
Anche i patch test possono essere utilizzati, ma è molto probabile che risultino negativi, nonostante ciò
sono descritti e possono essere utilizzati, ed evidenziano una risposta cellulo-mediata, se è positiva
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potremmo avere un eritema (anche se un eritema e basta non la considero propriamente una risposta
positiva), potremo avere lesioni vescicolari, reazioni eczematose, talvolta riescono anche ad ulcerarsi o
avere reazioni più importanti.

_Test in vitro
DOSAGGIO IgE SPECIFICHE
Potrebbe essere fatto per svariati farmaci (ACTH, ampicillina, amoxicillina, penicillina, cefaclor, insulina,
protamina, ecc.) ma da un punto di vista pratico ci limitiamo a quei 4-5 metaboliti delle beta-lattamine.

LTT: TEST TRASFORMAZIONE LINFOCITARIA


Nei laboratori di terzo livello, cioè particolarmente attrezzati per fare questi test, si possono fare anche i
cosiddetti Test di trasformazione linfocitaria in vitro, cioè dei test in cui io prendo i linfociti del paziente, li
incubo in presenza di farmaci in diluizione, e vado
a vedere a distanza di 48/72/96 ore la presenza di
una risposta proliferativa all’interno del pozzetto.

Tutto viene fatto in queste piastre da 96 pozzetti,


e dopo averle messe in coltura vado a vedere se
ho proliferazione, nel pozzetto si vedrà il fondo
costellato di tante cellule, si evidenziano dei
clump di proliferazione, cioè delle zone in cui
questi linfociti tendono ad addensarsi tra loro, in
realtà non si stanno addensando ma stanno
proliferando.

Se si vuole quantizzare la proliferazione, l’unico modo è inserire Timidina triziata in coltura, la timidina
verrà incorporata all’interno del DNA in fase di proliferazione, lavando via l’eccesso e rimanendo solamente
con le cellule, viene messo in un beta-counter e a quel punto si evidenzia una radioattività diversa e se c’è
una forte proliferazione aumenterà la radioattività nel pozzetto, e questo mi permetterà di quantizzare il
grado di proliferazione.

Oppure, recuperando il supernatante di queste colture, si può anche andare a vedere la produzione di
citochine (IL-4, IL-5, INFgamma, ecc.), infatti oggi con 20 microlitri con particolari apparecchiature è
possibile dosare citochine per una ventina di tipi diversi.

Questo test è frequentemente positivo se abbiamo reazioni cutanee, se abbiamo episodi di anafilassi,
quindi quadri di tipo IgE-mediato.

Sarà invece raramente positivo in caso di vasculiti, di necrosi epidermiche, ecc.

Riassumendo: possiamo avere delle reazioni avverse ai farmaci di tipo immuno-mediato in cui entrano in
gioco delle IgE, oppure altri anticorpi o immunocomplessi fissanti il complemento o meno, oppure reazioni
di tipo cellulo-mediato. In altri casi in farmaco stesso può attivare il complemento, può avere una reazione
bradichinino simile, può permettere la liberazione spontanea di istamina, di leucotrieni, ed in questi casi ho
comunque dei quadri orticarioidi.
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_Test di provocazione
Il gold standard alla fine è l’esposizione del paziente al farmaco, questo perché io comunque posso avere
una reazione al principio attivo del farmaco, o ad un eccipiente, o ad un metabolita dopo che il farmaco è
passato nel fegato, non è cosi facile affrontare questa problematica, perciò somministrando il farmaco al
paziente vedrò o meno se avrà la reazione.

L’utilità starà nel:

RICERCARE FARMACI ALTERNATIVI E ESCLUDERE CROSS-REATTIVITÀ


È ovvio che non si darà il farmaco ad un soggetto che ha avuto uno shock anafilattico, o una Sdr di Lyell,
però posso utilizzare questa metodica per testare farmaci alternativi, se il paziente ha bisogno di un
antibiotico ed ha avuto uno shock anafilattico con lo Zimox (amoxicillina) e con una penicillina, allora il
paziente non prenderà neanche più una caramella per paura di prendere compresse.

Quindi stiamo parlando più che di soggetti ansiosi, di soggetti maltrattati, e dobbiamo fargli riacquistare
fiducia nei confronti dei farmaci, dobbiamo fargli capire che l’allergia non è ai farmaci in generale ma a quel
farmaco. Quindi questi test di esposizione, che in genere sono test di esposizione orale, in cui si fanno
assumere dosi crescenti del farmaco in più volte, sono utili per farci una diagnosi in sicurezza sulla
possibilità di far assumere quel farmaco a quel paziente.

Se io somministro un’amoxicillina ad un paziente che ha avuto una reazione all’amoxicillina, ed ha


nuovamente la reazione, sono certo che è quello, ma in questi casi in genere basta l’anamnesi, non è
necessario somministrarlo nuovamente.

Quando possiamo avere dei risultati falsi negativi?

Quando il paziente sta assumendo in questo momento antistaminici, corticosteroidi, se è trascorso


troppo tempo dalla reazione (se la reazione la si è avuta 10 anni fa verosimilmente oggi quel
farmaco si può riassumere perché le IgE ormai sono ridotte, anche se era una reazione IgE-
mediata).

ANAMNESI NON SUGGESTIVA DI ALLERGIA


Spesso capitano pazienti che riferiscono di aver avuto in infanzia reazioni ad esempio alla Tachipirina, e da
allora non hanno più assunto il farmaco. Prima cosa la Tachipirina in genere non dà reazioni IgE-mediata, e
seconda cosa queste reazioni non IgE-mediate, non immuno-mediato, possono capitare a tutti noi: può
capitare che oggi si abbia la reazione e domani no allo stesso farmaco, possono essere dose dipendente, o
associati all’assunzione contemporanea di alcol, di gamberoni, o quello che volete, mille concause.

In questi soggetti generalmente lo faccio il test di esposizione orale alla Tachipirina, proprio per far capire
che questo farmaco può essere riutilizzato.

STABILIRE DIAGNOSI DEFINITIVA CON ANAMNESI SUGGESTIVA


Talvolta capita che a suo tempo abbia dato una reazione una beta-lattamina, e le beta-lattamine son quei
farmaci che più di frequente danno reazioni di tipo IgE-mediate, però magari dalla storia non mi convince,
magari son convinto che potrebbe riassumerlo, o il paziente stesso ha bisogno di quel farmaco perché un
batterio che presenta è sensibile solo a quello.

Allora cosa si fa, si fa il test di esposizione orale, ovviamente non compare reazione, non gli dico subito
che può riassumerlo, perché se lui ha i B della memoria, io con il test che ho fatto li sto stimolando quindi
magari sto inducendo la formazione di nuove IgE, a distanza di un mese vado a fare un dosaggio delle IgE
66

specifiche, se le trovo alte ho indotto la produzione di nuove IgE e ci fermiamo li, se le trovo basse rifaccio
un test di esposizione orale, se anche a questo punto sono basse il paziente lo può riprendere.

//

Questa slide è solo per far capire come dalla storia di una reazione avversa a farmaci, piano piano si debba
arrivare a dare una risposta, o può
assumere quel farmaco, oppure se
ho una conferma della reazione
allergica a quel farmaco,
quest’ultimo deve essere
assolutamente bandito.

Nella provincia di Sassari siamo


500 mila persone, se aggiungiamo
Oristano arriviamo a 700 mila, su
questa popolazione si può
prevedere una quota di 70 mila
persone che possono avere una
reazione avversa a farmaci, un
numero molto elevato che si
spalma su tutti i medici che spesso
si trovano molto in difficoltà.
67

ALLERGIA AGLI IMENOTTERI


DIGRESSIONE ENTOMOLOGICA SUGLI IMENOTTERI
Gli imenotteri sono un grande ordine di insetti, ma
quelli che a noi interessano particolarmente son
quelli che appartengono alla famiglia delle api, il
bombo e la famiglia delle vespe.

Una delle differenze tra le apidi e le vespidi è il


pungiglione, mentre le vespidi hanno un pungiglione
più o meno lineare, quindi possono pungere e
fuggire, le apidi hanno un pungiglione simile ad un
amo, e una volta che pungono non riescono ad
estrarlo, e questa caratteristica permette di capire, dopo essere stati punti, se è stata una vespa o un ape,
perché in un caso il pungiglione rimane in sede e l’ape è morta a poca distanza da noi, mentre nell’altro le
vespe possono pungere e ripungere più volte.

Pungono quando sono costrette, ad esempio quando si va, anche incautamente, a disturbarle o quando ci
si trova nel cosiddetto corridoio di raccolta del polline, che le api attraversano dal campo dei fiori
all’alveare, oppure quando si guida in moto con la visiera aperta ed entra dentro, o se per esempio se ci si
muove senza rendersi conto di avere un’ape poggiata, e il nostro movimento le minaccia.

Una delle diversità di questi veleni è la quantità che viene iniettata dal diverso animale, l’ape ne
somministra una quantità decisamente superiore, ma una vespa (il “giallone”)per esempio ha anche
un’altra caratteristica, che è quella di richiamare le compagne mediante la liberazione di ferormoni, per cui
se io vengo punto in prossimità di un nido, c’è un’alta probabilità che venga punto anche da altre.

PROFILASSI
Se un soggetto è allergico a questi veleni deve essere molto molto prudente, quindi le norme da seguire
sono:

- Evitare l’uso di abiti sgargianti e neri - Bonificare da personale specializzato i


- Evitare cosmetici profumati nidi di imenotteri
- Evitare il giardinaggio e coprirsi - Evitare movimenti bruschi in presenza di
adeguatamente imenotteri
- Non avvicinarsi a fiori o frutta matura
- Non camminare scalzi nei prati
- Usare cautela quando si cucina o si
mangia all’aperto
- Essere cauti nel praticare sport all’aperto
- Tenere i rifiuti ben chiusi
- Tenere chiusi i finestrini dell’auto
- In moto indossare casco con visiera e
guanti
- Applicare zanzariere alle finestre di casa
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Reazioni al veleno degli imenotteri


IL VELENO
Cosa è presente nel veleno? Chi è stato punto sa che è doloroso, che si ha una reazione locale, un pomfo, un
eritema locale. Questo accade perché il veleno contiene istamina, serotonina, efedrina, e altre sostanze
vasoattive che comunque sia stimolano le terminazioni nervose, danno dolore, causano vasodilatazione,
edema e il pomfo.

Se contenesse solo queste sostanze si avrebbero problemi solo dopo esser punti da uno sciame di api, il
problema è che ci sono altre sostanze: proteine, in particolare Mellitina, Fosfolipasi, che sono proteine nei
confronti dei quali il soggetto sviluppa IgE specifiche, quindi quando il soggetto viene per l’ennesima volta
punto da questi insetti, in presenza di questi antigeni in circolo si ha liberazione di sostanze vasoattive di
derivazione mastocitaria, basofila.

CLASSIFICAZIONE PATOGENETICA
Le reazioni possono essere a patogenesi immunologica e prevalentemente IgE-mediate, le quali insorgono
rapidamente, comunque entro 1 ora e regrediscono rapidamente se adeguatamente trattate; oppure a
patogenesi non-immunologica (tossiche), le quali sono causa di reazioni locali o sistemiche in relazione al
numero di punture, la morte può sopraggiungere anche a distanza di giorni.

CLASSIFICAZIONE DI MUELLER
Abbiamo due tipi di reazioni, quelle locali (che non sono quelle che abbiamo tutti ma sono locali estese) che
sono reazioni da più di 10 cm di diametro e che durano più di 24 ore, per esempio a seguito di una puntura
nel polso si ha tutto l’avambraccio edematoso, in questo caso è una reazione locale, non ho né shock né un
interessamento sistemico, ma una locale estesa.

Oppure posso avere una reazione sistemica che possono andare da un’orticaria diffusa e un senso di
malessere ad un quadro in cui ho anche un angioedema, sensazione di quasi broncospasmo, e nel grado
successivo dolori addominali, diarrea, fino ad arrivare al quadro classico con un interessamento del sistema
cardiovascolare, con shock anafilattico, perdita di coscienza, ecc.

Sono reazioni di gravità crescenti.

Reazioni locali estese


Edema locale con diametro >10 cm e durata >24 ore

Reazioni sistemiche

Grado I Orticaria diffusa, malessere, ansia

Grado Idem + 2 dei seguenti: angioedema, costrizione toracica, nausea, vomito, diarrea, dolore
II addominale, vertigini

Grado Idem + 2 dei seguenti: dispnea, broncospasmo, stridore laringeo, secchezza delle fauci,
III disfonia, disfagia, disartria, obnubilamento, angoscia con senso di morte imminente
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Grado Idem + 2 dei seguenti: cianosi, ipotensione, collasso, perdita di coscienza, incontinenza
IV sfinterica

Abbiamo già detto parlando dello shock anafilattico che il 5% dei quadri di shock anafilattico sono legati a punture di
insetti, e abbiamo anche detto che questo 5% verosimilmente è causa di un maggior numero di decessi, proprio perché
può avvenire lontano da un mezzo di soccorso.

Generalmente le reazioni locali sono abbastanza frequenti su tutti coloro che possono essere punti, le
sistemiche meno frequenti, più frequenti in chi ci sta per lavoro vicino a questi insetti, però tutti questi dati
alla fine probabilmente sono sottostimati.

Si potrebbe pensare che 15 decessi ogni anno in Italia siano pochi, si muore molto di più per altre cause,
però attenzione, non è un numero da sottovalutare anche perché è possibile fare qualcosa a livello di
prevenzione.

FATTORI PROGNOSTICI SFAVOREVOLI (A cosa bisogna stare attenti?)


• Precedenti reazioni locali estese o sistemiche gravi
• Breve intervallo di tempo tra due punture successive (la prima puntura sensibilizza e aumenta la
produzione di IgE e la seconda sfrutta l’aumento delle IgE che c’è stato dalla prima)
• Elevato numero di precedenti punture
• Elevata concentrazione di IgE specifiche
• Età avanzata
• Patologie cardiovascolari concomitanti
• Uso di beta bloccanti o ACE-inibitori
• Mastocitosi sistemica con elevati valori basali di triptasi
• Breve intervallo tra puntura e inizio dei sintomi sistemici (<30 minuti), ma anche la lunghezza
dell’intervallo tra l’inizio dei sintomi e l’intervento medico.

Diagnosi
ANAMNESI
Mi serve per capire
- che tipo di imenottero ho davanti grazie a varie caratteristiche (permanenza del pungiglione, numero di
punture), ma soprattutto capire qual è l’allergene verso il quale ho avuto una reazione avversa,
importante se devo fare un vaccino al soggetto (mentre per le graminacee o parietaria non c’è la
rimborsabilità della regione, per questi sì, perché viene considerato come un vero e proprio farmaco
salvavita) Quindi in tutti questi soggetti che hanno una reazione avversa di tipo locale estesa o sistemica
è indicata la vaccinazione.
- Tempo di comparsa della sintomatologia: Quanto più precoce è la comparsa dei sintomi tanto più grave
può essere la reazione!
- Tipologia delle manifestazioni cliniche (classificazione di Mueller)
- Attività del paziente
- Patologie concomitanti
- Terapie in atto
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- Trattamento di emergenza effettuato

RICERCA IgE SPECIFICHE IN VITRO E IN VIVO

Trattamento
_Cosa fare una volta punti
Se è un’ape il pungiglione rimane, l’importante è non prenderlo con due dita per
estrarlo, perché cosi facendo lo si spreme iniettando anche il veleno residuo,
bisogna quindi cercare di sollevarlo. È importante anche raffreddare la zona
punta per favorire una vasocostrizione, evitare di massaggiarlo. L’importante è
agire per prevenire o comunque trattare tempestivamente un quadro di shock
anafilattico.

_Terapia a breve termine in caso di shock anafilatico


• Posizionare il paziente in Trendelemburg (sollevare le gambe del paziente, favorire il ritorno venoso)
• Incannulare una vena (prima che si abbia vasocostrizione) e infondere glucosata al 5% o soluzione
fisiologica
• Adrenalina 0,3-0,5 mg i.m. (nei bambini 0,3 mg) ripetibile ogni 5-20 minuti, (viene fatta intramuscolare
perché permette un migliore assorbimento rispetto ad un sottocutaneo, generalmente si fa a livello del
quadricipite) o se il paziente ha l’adrenalina autoiniettabile l’utilizzo di quest’ultima (adrenalina sotto
forma di penna già diluita e pronta per essere iniettata dal paziente stesso, anche dopo l’utilizzo della
autoiniettabile è ovviamente consigliato rivolgersi ad un medico)
• Mantenere la pervietà delle vie aeree
• Ossigenoterapia
• Corticosteroidei e antistaminici per via parenterale a alto dosaggio (questi è bene farli per via
endovenosa, vi dissi che esiste quel quadro di anafilassi bifasica: lo steroide e l’antistaminico non mi
salvano la vita se ho uno shock anafilattico, ma riduce la probabilità di avere questa presenza di
anafilassi bifasica)
• Ospedalizzazione per lo meno per 24 ore (più a lungo in caso di reazione tossica sistemica)

_Immunoterapia specifica
Esistono diversi metodi per iniziare a fare una vaccinazione, lo schema convenzionale è quello classico, in
cui a distanza più o meno settimanale, a distanza di 4-5 giorni, si inizia da una concentrazione molto molto
bassa, pari a 0.01 microgrammi per ogni singola dose, poi passa a 0.1, 1, e cosi via crescendo fino ad
arrivare alla dose massima di 100 microgrammi.

Quello che noi consideriamo “dosaggio protettivo” è proprio quello dei 100 microgrammi.
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Oggi sappiamo che i meccanismi con il quale l’immunoterapia riesce a proteggere sono vari, abbiamo da un
lato un incremento delle risposte T regolatorie, dall’altro abbiamo l’aumento della produzione delle IgG,
che non si legano all Fc receptor, quindi non causano una degranulazione mastocitaria, ma anzi rimuovono
il veleno legandolo. A lungo andare con la vaccinazione possiamo osservare un calo della concentrazione
delle IgE.

Esistono degli schemi cluster, in cui in 1-2 settimane si riesce a raggiungere il dosaggio protettivo di 100
microgrammi, fino ad arrivare agli estremi degli schemi ultra-rash in cui nell’ambito dello stesso giorno si
fanno più dosi fino ad arrivare alla dose di 100 microgrammi.

Prof consiglia: I dosaggi rash e ultra-rash li sconsiglio, perché il sistema immunitario ha


bisogno di tempo per produrre IgG e per indurre la risposta T regolatoria; non si può
accelerare in modo improprio questa cosa. Alcuni colleghi utilizzando questi schemi hanno
avuto reazioni anafilattiche.

Esempi di schemi di ITS

//

Risulta quindi fondamentale in questi soggetti che hanno avuto un episodio grave in risposta alla puntura di
imenottero, fornirgli sia il kit d’emergenza (adrenalina autoiniettabile, cortisone, antistaminico) ovviamente
con tutte le istruzioni per farlo (e sarebbe bene non fossero mai soli in questi momenti), ma soprattutto
istruirli ad effettuare l’immunoterapia specifica, un vaccino, perché è l’unica arma che abbiamo a
disposizione per cambiare il destino di questi soggetti.
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24/05/2017

AUTOANTICORPI: RUOLO NELLE PATOLOGIE AUTOIMMUNI


La lezione si suddivide in tal modo:

1. Generalità sulla tolleranza immunitari ed autoimmunizzazione


2. Malattie autoimmuni e principali autoanticorpi
3. Principali tecniche per l’individuazione degli autoanticorpi

Generalità sulla tolleranza immunitaria ed autoimmunizzazione


Il sistema immunitario è potenzialmente capace di riconoscere anche ciò che è nostro(self) e questo non va
bene. Nella stragrande maggioranza dei casi questo avviene tramite un meccanismo cellulo-mediato (es i
linfociti CD8 che riconoscono una struttura antigenica sulla cellula tiroidea). Andare a ricercare questi
linfociti T CD8 che riconoscono la tiroide è teoricamente possibile, ma dal punto di vista pratico e
diagnostico è altamente improbabile.
Però per fortuna abbiamo a disposizione la parte umorale. Il sistema immunitario produce anticorpi, di
questi molti risultano rinvenibili nel siero del paziente e facilmente dosabili, possono essere
tranquillamente stoccati e dosati anche a distanza di tempo. Sono decisamente un materiale molto più
utilizzabile in un laboratorio di diagnostica.

_Tolleranza immunologica
La specificità di un recettore non è legata, come si credeva 30 anni fa, all’antigene. Prima si credeva che nel
momento in cui un linfocita incontrava l’antigene, sullo stampo di questo si modellava il recettore: non è
così.
La specificità di un recettore è legata ad un meccanismo del tutto random. Nel momento in cui un linfocita
T o B effettore è capace di riconoscere l’antigene, può attivarsi e sviluppare una risposta, ma può anche,
tramite meccanismi di tolleranza centrale o periferica, inibire la sua risposta.

CONCETTO DI TOLLERANZA
Si parla di tolleranza centrale (domanda d’esame) nel
momento in cui sia a livello midollare sia a livello
timico si ha la selezione di quei linfociti che sono sì
attivi e sì capaci di avere un recettore funzionante,
cioè di interagire con MHC di classe 1 e di classe 2 a
seconda che siano CD8 o CD4 , ma nello stesso tempo
deve essere un recettore che non sia in grado di
attivarsi in modo così stretto e così affine in
quell’ambiente, cioè nell’ambiente timico.
All’interno del timo io non devo avere un’
iperattivazione linfocitaria, altrimenti il rischio è che
siano dei linfociti capaci di riconoscere qualcosa di
autologo.
Quando questo meccanismo fallisce (qualche linfocita
sfugge o per altre mille cause), allora si ha un secondo
round, entrano in gioco quei meccanismi di
tolleranza periferica.
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I meccanismi di tolleranza periferica, al contrario, si esplicano e funzionano a livello dei tessuti, a livello
linfonodale, al dì fuori degli organi linfatici primari.

MECCANISMI DELLA TOLLERANZA


Quando un linfocita T matura a livello timico, dopo che ha sviluppato il suo TCR, il primo evento a cui va
incontro è la selezione positiva, cioè deve essere in grado di riconoscere l’MHC. Dopodiché va incontro alla
selezione negativa.
Le cellule presentanti l’antigene (in questo caso epiteliali timiche) presentano vari peptidi ai linfociti
maturanti, peptidi originati grazie alla funzione del gene AIRE (AutoImmune REgulator) che permette
potenzialmente l’espressione degli antigeni dei tessuti periferici a livello timico.
Tutti quei linfociti che “vedono” un peptide ci si legano; se sono particolarmente affini verso uno self, è
evidente che lo sono verso qualcosa che non dovrebbero nemmeno “vedere”, perciò vanno incontro ad
apoptosi. Questo è il meccanismo principale di tolleranza a livello centrale, in questo caso timico.
Quando questi linfociti fuoriescono dal timo possono ancora essere sottomessi ad un controllo, o per
mezzo di un’inattivazione funzionale che va sotto il nome di anergia oppure per mezzo di una vera e
propria delezione tramite meccanismi di fas /fas ligando o per mezzo di meccanismi di soppressione dovuti
e legati alle cellule T regolatorie (T-reg).
Il meccanismo di anergia è legato al fatto che, quando un linfocita T in periferia, a livello linfonodale, si
attiva, ha bisogno di riconoscere:
- col suo TCR, un peptide ben presentato da una cellula professionista, una presentante l’antigene
(come una cellula dendritica, un macrofago, una cellula di Langherans, un linfocita B).
- molecole costimolatorie tramite i corecettori: si deve formare la sinapsi immunologica (struttura
piuttosto serrata, ben aderente che permette al linfocita di attivarsi, di esprimere molecole di
superficie, di produrre citochine, di attivare di rimando la cellula presentante, di instaurare un
cross-talk con essa) .
Quando la presentazione non è ottimale, magari con un peptide che si lega a un MHC su una cellula non
presentante l’antigene ma una cellula, ad esempio, tiroidea, questa non attiverà i corecettori specifici come
la cellula presentante l’antigene e il linfocita T specifico riceverà segnali parziali inibitori che portano alla
sua anergia. IL T è anergico in quell’istante ma anche in futuro. Inoltre mancheranno quei segnali
stimolatori ad esempio di tipo citochinico, dati dall’innesco, come nel caso di un virus, dei meccanismi
dell’immunità innata.
Ci sono poi dei sistemi di inibizione della risposta verso un determinato antigene che passano attraverso i
Treg.
Tutto questo porta sia all’attivazione ma anche al fisiologico spegnimento della risposta. Perché se questo
non avvenisse ci sarebbe una cronicizzazione della flogosi, quindi non solo malattia autoimmuni, ma flogosi
cronica (come nel corso di epatite B cronicizzata).

_Autoimmunizzazione
Ci sono dei processi legati a fenomeni genetici o ambientali che portano a un superamento di questa
protezione nei confronti del self. Cioè in un soggetto particolare, con un particolare aplotipo MHC-II, delle
infezioni particolari o un danno tissutale particolare, il sistema immunitario inizia a rispondere anche nei
confronti del self.
Un esempio legato a meccanismi genetici ha come protagonista il gene AIRE, un gene mutato e quindi non
funzionante che avrà ripercussioni a livello timico. Nel timo non vengono espressi i peptidi codificati da
questo gene e i linfociti, non vedendo il messaggio di questi durante la fase di sviluppo, non vanno in
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apoptosi durante la selezione e possono


andare in circolo. In questo modo ci saranno
nell’organismo dei linfociti capaci di attivare
una risposta nei confronti degli antigeni
autologhi.
Questi soggetti vanno incontro a malattie
autoimmuni, talvolta anche molto gravi ad
esempio la APECED.
Anche nei modelli murini ci sono dei modelli
in cui il gene fas è mutato e il topo va
incontro a malattie autoimmuni. Nell’uomo
ci son altri esempi, ad esempio mutazioni per
i geni codificanti il recettore del TNF o delle
caspasi.
Ma non solo fattori genetici, anche altre interazioni, ad esempio di ormoni, è emblematico il caso del LES il
quale ha un’incidenza estremamente superiore tra le donne rispetto agli uomini (9:1). Oppure in corso di
traumi, ischemie, danni tissutali, infezioni,
Traumi: nel corso di Uveite Simpatica a seguito di un danno a livello del bulbo oculare c’è una
liberazione di antigeni (che il sistema immunitario non vedeva) verso cui può rispondere i linfociti si
attivano contro il cristallino e anche l’occhio contro laterale può essere danneggiato.
Ci sono dei linfociti che difendono contro agenti infettivi, ma alcuni di questi presentano proteine che
hanno delle sequenze amminoacidiche molto simili a peptidi autologhi: ci sarà una risposta sia contro
l’agente infettivo, ma anche contro quelle strutture proprie dell’individuo presentanti questi peptidi molto
simili (nel pancreas, nel SNC, nelle articolazioni ecc.). Questo meccanismo è detto Mimetismo Molecolare
Queste cellule che proliferano e acquisiscono la capacità di produrre citochine, anticorpi e altro, portano a
una malattia di tipo autoimmune.
Un esempio: In soggetti con gastrite cronica autoimmune sono stati isolati i linfociti T: si è notato
che rispondevano contro antigeni autologhi presenti nella pompa protonica, ma erano capaci di
attivarsi anche contro antigeni dell’Helicobacter Pilori.
Questo non avviene in tutti i soggetti, ma questi devono essere in qualche modo predisposti.

Malattie autoimmuni e principali anticorpi


Le malattie autoimmuni sono tante e sono
difficilmente catalogabili.
Per esempio nel Basedow ci sono anticorpi
stimolanti diretti contro il TSH-r che portano
a una iperproduzione di ormoni tiroidei,
quindi questi anticorpi diretti contro un solo
organo.
Viceversa nel LES gli anticorpi sono diretti
contro tantissimi organi perché gli anticorpi
tramite i quali si esplica l’azione sono, per
esempio, gli antinucleo, presenti ovunque.
Mentre la cirrosi biliare è difficile da
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catalogare, perché è diretta contro le vie biliari ma gli anticorpi implicati sono gli anti-mitocondriali che
sono presenti ovunque.
Gli anticorpi possono essere distinti in:
Marcatori di malattia – Non marcatori di malattia
Patogenetici – non patogenetici
Ad esempio ci sono dei marcatori come il fattore reumatoide, un’ IgM diretta contro una IgG, che possono
essere presenti in tantissime patologie (Il fattore reumatoide non è per niente specifico per l’artrite
reumatoide).
Ci sono altri che invece sono molto specifici, ad esempio anticorpi diretti contro il recettore dell’Acetilcolina
indicano la miastenia gravis.
L’anti-TSHR, anti-insulina, anti-fattore intrinseco (anemia perniciosa), tutti questi sono marcatori di
malattia. Ma sono anche patogenetici, nel senso che se questi vengono iniettati in animali da esperimento,
questi ultimi contrarranno la specifica malattia.
Altre volte ci sono anticorpi che marcano più o meno la malattia ma che non sono patogenetici (nel LES,
nella cirrosi biliare). Non riprodurranno la patologia nel modello animale. Questo perché gli anticorpi
antinucleo, gli anticorpi antimitocondri sono diretti contro antigeni intracellulari e dunque non raggiungibili
dal sistema immunitario umorale, a differenza dei recettori che sono antigeni esterni.
Gli anticorpi patogenetici possono essere usati per capire il grado di gravità della malattia, più ce ne sono e
più è grave la condizione.

_Principali anticorpi
Immunofluorescenza Indiretta su cellule HEp-2, cellule derivate da un carcinoma laringeo e poi messe in coltura e
quindi presenti in tutto il mondo.

Gli anticorpi possono evidenziare sia il nucleo sia il citoplasma. Nel citoplasma ci sono delle strutture
potenzialmente bersaglio come mitocondri, ribosomi ecc. Esistono, dunque tanti tipi di anticorpi diretti
contro vari antigeni di diverse strutture:

Antigeni Nucleari (ANA) divisi in:


a) Associati alla cromatina (DNA, Istone, Nucleosoma,
Topoisomerasi).
b) Non cromatinici detti ENA (anti-sm, anti-
ribonucleoproteina, anti-SSA, anti-SSB).
c) Nucleolari (RNA polimerasi)
d) Della membrana del nucleo
e) Correlati a (ed espressi durante) solo alcune fasi del ciclo
cellulare

Antigeni Citoplasmatici:
a) Associati al Citoscheletro (Actina, Vimentina).
b) Associati al fuso mitotico (Centrioli, proteine del fuso)
c) Altri organuli citoplasmatici (Mitocondri, Ribosomi, tRNA
sintetasi Jo-1)
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_Anticorpi nelle principali malattie autoimmuni


ORGANO-SPECIFICHE
In un soggetto con tiroidite di Hashimoto, (con aumento di peso, edemi declivi, obnubilamento, stipsi, non
tollera il freddo ecc) avrà TSH alto, fT3- fT4 bassi e anticorpi anti-TPO estremamente elevati. Il trattamento
consisterà negli ormoni tiroidei. Dopo qualche mese bisognerà controllare il TSH, sicuramente non gli anti-
TPO, i quali servono solo per la diagnosi.
(Così come una donna che ha un quadro di osteopenia, diagnosticato tramite MOC e altri esami, dopo la terapia con
Calcio ecc. non ha alcun senso rifare la MOC: o la situazione si è normalizzata grazie alla terapia e alora bisogna
continuarla, oppure ancora no e allora è comunque necessario continuare la terapia)

Nel diabete mellito di tipo 1 solo all’esordio perché dopo un periodo di tempo gli anticorpi non ci saranno
più per l’esaurimento dell’antigene.

SISTEMICHE
Nel LES ce ne sono diversi, alcuni quasi sempre presenti (come gli ANA), altri più rari come gli anti-sm che
però sono estremamente specifici.
Nell’artrite reumatoide il fattore reumatoide e il peptide anti-citrullina.
Sindrome di Sjogren anticorpi anti-SSA e SSB.
Nella connettivite mista sono molto importanti gli anticorpi anti-ribonucleoproteina quando sono presenti
ad alto titolo, in questo caso sono quasi patognomonici.
Nella Sclerosi Sistemica ci sono gli anti-centromero e gli anti-topoisomerasi (anti-Scl70) . Questi non si
trovano in contemporanea. Gli anti-Scl70 si associano alla variante diffusa, gli anti-centromero si associano
alla variante limitata (CREST). La differenza tra le due è il coinvolgimento della sclerosi cutanea che nella
forma limitata riguarda gli arti mentre nella forma diffusa anche il tronco. Quindi non una differenza di
organi interni, anche se la forma diffusa è più aggressiva.
Spesso l’esordio della sclerosi sistemica è il fenomeno di Raynaud che è il cambiamento di colore in seguito al
contatto delle dita delle mani con superfici fredde. Questo può avere tante cause diverse.

Ad esempio una donna di trent’anni che lo lamenta da quando ha 5 anni, e una che lo lamenta da quando ha
28 anni, la più preoccupante delle due è la seconda. In entrambi i casi si farà la capillaroscopia che mette in
evidenza i capillari del letto ungueale (in questo punto i capillari sono paralleli alla cute). Normalmente l’ansa
capillare ha un aspetto a forcina con un generale aspetto a pettine regolare. Se questa struttura è modificata,
allora ci sono dei forti sospetti per diverse patologie tra cui la sclerosi sistemica .

Può succedere di avere all’ELISA la negatività per alcuni anticorpi anti-nucleo e la positività
all’immunofluorescenza in cui il nucleo è integro. È, dunque, essenziale fare la richiesta giusta al
laboratorio, conoscendo i mezzi del laboratorio stesso. Per esempio capita di fare diagnosi clinica di sclerosi
sistemica con positività di anticorpi anti nucleo lari all’immunofluorescenza e non all’ELISA.

_Autoimmunità e gravidanza
Ci sono delle patologie autoimmuni legate ai Th1 che durante la gravidanza tendono alla remissione (come
l’artrite reumatoide), altre legate ai Th2 in cui c’è un peggioramento di alcune condizioni. Questo perché in
gravidanza c’è una fisiologica immunosoppressione legata a incremento di Th2 a discapito dei Th1. Ad
esempio nel LES c’è un aumento di produzioni di anticorpi, che poi calano dopo il parto. Ci possono essere
delle complicanze tra cui parti anticipati, lupus neonatale con blocco di branca a livello cardiaco. Ma questo
non vuol dire che una donna con Lupus non possa avere una gravidanza. Anche perché l’attività della
malattia non è sempre uguale e questo rispecchia un trattamento farmacologico differente a seconda della
condizione, se la malattia lo permette si può stare anche senza farmaci. Quindi bisogna consigliare un
concepimento nei periodi di scarsa attività della malattia, anche perché i farmaci in questione ad alte dosi
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sono teratogeni. La gravidanza sarà seguita con grande attenzione, ma è possibile avere un figlio. Bisogna
far capire a questi pazienti che la loro sarà una vita normale.

Principali tecniche per l’individuazione degli autoanticorpi


Immunofluorescenza Indiretta:
Il gold standard per la ricerca per gli anticorpi ANA. Ha un basso costo, rapida esecuzione e lettura. L’unico
problema è il fatto di essere operatore-dipendente (è estremamente utile se l’operatore è competente). I
substrati sono dei vetrini con antigeni presenti in ogni pozzetto. Nel pozzetto si mette il siero del paziente
che se presenta gli anticorpi specifici contro quell’antigene. Si usa, poi, un antisiero, siero di capra legato a
isotiocianato di fluoresceina (FITC) e diretto contro le Immunoglobuline umane. Grazie al FITC le sostanze
saranno fluorescenti al microscopio. E quindi ci saranno pattern diversi:

a) Omogeneo: nuclei delle cellule in interfase omogeneamente colorati,


quadri positivi per gli anticorpi anti-cromatina;

b) Punteggiato: con nucleoli e placca


equatoriale negativa, la positività extracromatinico (quadro tipico di anti-ssa
e –ssb);

c) Centromerico: i centromeri sono evidenziati (sclerosi sistemica limitata).

d) Altre volte ci possono essere quadri misti e molti altri quadri come
anticorpi anti DNA. Sulle HEb-2 ci può essere una colorazione citoplasmatica.
78

ELISA:
Molto semplice e automatizzabile; quantitativa.

ImmunoBlot:
Esame multiparametrico, molto simile all’ELISA, con l’unica differenza che
nella striscia di cellulosa nelle singole posizione si depone un antigene
diverso, una volta che viene messo il siero ci saranno varie risposte, che
saranno visibili come variazioni di colore, da confrontare con un controllo.
Ha una buona sensibilità e specificità ed è di facile esecuzione, tuttavia è
operatore dipendente e qualitativa

_Flowchart per la ricerca di ANA


1) Ricerca su cellule HEb-2.
Se è positiva analizzo il…
2a) …Pattern
3a) Titolo, ovvero la positività con il massimo di diluizione.
4a) Categorizzare, capire quale antigene specifico è coinvolto.
Se invece è negativa:
2b) o ci si ferma, oppure se le disponibilità economiche sono elevate si può fare un test ELISA che
nel 5-10% dei casi può recuperare delle positività, per esempio con gli anti-SSA (che è un antigene
molto labile).

_ANCA
Altri anticorpi sono gli ANCA (anti-neutrophil cytoplasmic antibodies). Fissando i neutrofili in formalina si
bloccano tutte le strutture citoplasmatiche evidenziati all’immunofluorescenza. Se i neutrofili sono fissati in
etanolo, che permette alla cellula di vivere per un breve tempo e alle molecole citoplasmatiche di
muoversi, alcuni enzimi, come la mieloperossidasi hanno una carica elettrica opposta a quella della
membrana nucleare e a quindi si avvicinano al nucleo; altri come la proteinasi III, rimangono nel citoplasma.
Quindi con etanolo si avrà un’immunofluorescenza dinamica. Ecco dunque la differenza tra anticorpi c-
ANCA (citoplasmatici), quindi che non si avvicinano al nucleo e p-ANCA (perinucleari)
79

Info: la sbobinatura seguente è dell’anno scorso: non è stata spiegata quest’anno

1/6/2016

MALATTIE SISTEMICHE ED EPATOPATIE AUTOIMMUNI

MALATTIE SISTEMICHE AUTOIMMUNI


Verranno di seguito trattate più approfonditamente alcune malattie autoimmuni sistemiche, iniziando da quella che è
forse la malattia autoimmune per eccellenza : il lupus eritematoso sistemico (LES).

Lupus Eritematoso Sistemico


_Quadro anticorpale
Per quanto riguarda questa patologia andiamo a
rivedere gli autoanticorpi maggiormente
rappresentati:
Alcuni, come gli ANA (anticorpi anti-nucleari),
identificati tramite l’immunofluorescenza indiretta
(IFI) su cellule HEp-2, sono da considerare quasi dei
marcatori: non si tratta di marcatori con una vera e
propria specificità per il lupus, ma è frequentissimo
(98% di prevalenza) ritrovarli in corso di lupus.
In breve, è molto raro trovare un lupus senza
anticorpi anti-nucleari, soprattutto al momento della
diagnosi e nelle fasi di recrudescenza della patologia.
Abbiamo anche anticorpi Anti-dsDNA, Anti-istoni e
tanti altri (in particolare gli anticorpi Anti-Sm) che,
pur presentandosi con una frequenza minore,
presentano un’altissima specificità per il lupus. Questi infatti si trovano molto raramente in altre patologie
autoimmuni.
Tra gli anticorpi invece diretti contro strutture citoplasmatiche troviamo gli anti-linfociti, gli anti-eritrociti e
gli anti-piastrine. Questo genere di anticorpi sono in realtà diretti contro strutture di superficie che si
trovano all’esterno di queste cellule e sono la causa della pancitopenia che molto spesso si riscontra in
corso di LES. È possibile anche riscontrare un’anemia, una linfopenia e una trombocitopenia a seconda degli
autoanticorpi presenti nel siero. Gli anticorpi vanno ad attaccare queste cellule del sangue, si ha la
formazione di immunocomplessi, la fissazione del complemento e a questo segue un meccanismo citolitico
che porta alla deplezione di queste cellule.

_Manifestazioni cliniche
Nel momento in cui il lupus emerge non sempre si manifesta in modo del tutto evidente. Ciò che rende
difficile la diagnosi di questa patologia, soprattutto all’inizio, è che i sintomi che la paziente riferisce sono di
carattere sistemico, aspecifici:
astenia;
facile affaticabilità;
80

febbricola;
dolori articolari: molto diversi rispetto a quelli dell’Artrite Reumatoide. Questa è infatti
caratterizzata da un processo infiammatorio che colpisce inizialmente le piccole articolazioni in
modo simmetrico e successivamente coinvolge le altre articolazioni maggiori attraverso un
processo additivo . Invece in corso di Lupus troveremo un’artralgia, ovvero la presenza di dolore
articolare che si può anche alleviare nel tempo, può coinvolgere sia le grandi che le piccole
articolazioni, ed è caratterizzato da un fenomeno di migrazione del dolore.
manifestazioni cutanee: classicamente si parla dell’eritema a farfalla. Questa lesione interessa
alcune parti del volto come la zona geniena, il dorso del naso, la fronte. In realtà questa
manifestazione non si riscontra nell’intera totalità dei casi (prevalenza dell’85% ).
altre manifestazioni con frequenza via via minore (neurologiche, cardiopolmonari, renali ecc.).
Anni fa giunse alla mia osservazione una paziente con una manifestazione di orticaria, non correlata ad
alcuna sensibilizzazione allergica e, dopo una serie di esami ematochimici e strumentali, l’unico dato che si
riscontrò fu un valore di ANA leggermente alterato. Sempre in quell’occasione si registrarono anche dei
valori di Anti-dsDNA particolarmente elevati, tuttavia questa paziente non aveva nessun’altra
manifestazione della patologia, niente che potesse farci pensare ad un Lupus, NIENTE. Per 5 anni gli
anticorpi anti-dsDNA rimasero elevati, l’orticaria scomparve, ma al 5° anno…….la paziente si ammalò di
pericardite e pleurite. Altri accertamenti, accompagnati da altre manifestazioni più classiche portarono da lì
a poco a formulare la diagnosi di LES.

_Diagnosi
Per arrivare alla diagnosi di LES è necessario che si presentino almeno 4 dei seguenti criteri:
Da notare gli ultimi due:
alterazioni immunologiche
anticorpi anti-nucleari, in particolare anticorpi anti-
dsDNA: essendo questi molto presenti in corso di lupus, molto
spesso si troveranno evidenziati all’immunofluorescenza. Se
viene evidenziato il DNA è evidente che sarà evidenziato anche
il nucleo cellulare, quindi una positività degli anticorpi anti-
nucleari. In tal modo, già con anti-dsDNA positivi, soddisfo
necessariamente 2 dei 4 criteri che mi occorrono per fare
diagnosi. Basta che la paziente abbia artralgie e fotosensibilità
che sono in grado di fare diagnosi di LES.
Manifestazioni generali, aspecifiche come l’orticaria, VES aumentata, febbricola ecc.. non sono presenti tra
i criteri diagnostici da considerare, ma sono solo delle spie che ci indicano che quel soggetto ha qualcosa
che non va, qualcosa per cui è il caso ampliare gli accertamenti.
Avere 4 criteri su 11 ci fa fare diagnosi di certezza, ma classicamente può capitare che vengano
soddisfatti 3 criteri su 11 e questo ci permette di parlare tranquillamente di alta probabilità di LES.
Per quanto riguarda la fotosensibilità vi ricordo di essere sempre stringenti con i vostri pazienti e assicurarvi
sempre che non si espongano direttamente al sole, ma utilizzino sempre delle protezioni solari.

ITER DIAGNOSTICO
Quando avete il sospetto che una paziente possa essere affetta da Lupus, perché magari presenta qualche
sintomo aspecifico, ricordate che non è necessario richiedere una batteria di esami a caso senza
81

discriminare quali possano essere utili e


quali no (emocromo, indici di flogosi, tutti
gli autoanticorpi ecc.), ma invece basta
richiedere:
gli ANA, specificando il test di
immunofluorescenza indiretta, e
anticorpi anti-fosfolipidi (Anti-PL)
e Lupus Anticoagulant (LA) (in
realtà questi ultimi non sono altro
che anticorpi Anti-PL, ciò che
cambia è la metodica
laboratoristica che viene utilizzata
per ricercarli)

A questo punto posso avere più possibilità:


a) Se la ricerca di questi anticorpi è negativa allora è altamente improbabile che la paziente sia affetta da
Lupus.
b) Se invece abbiamo una positività degli ANA allora andrò a dosare in maniera più specifica il gruppo di
anticorpi Anti-dsDNA e il gruppo degli ENA e, a seconda della risposta, avrò diverse probabilità.
Se ottengo una positivizzazione degli Anti-dsDNA allora avrò alte probabilità di trovarmi di fronte ad
un LES (ricordiamo che una positività degli ANA comporta il soddisfacimento di 2 su 4 dei criteri
maggiori che ci permettono di fare diagnosi);
Se ho invece la positivizzazione del gruppo degli ENA allora è probabile che mi trovi di fronte ad una
patologia autoimmune sistemica, ma posso pensare al LES solo dopo aver escluso altre patologie di
tipo sistemico (Sjogren, connettiviti miste ecc.);
c) La presenza degli anticorpi Anti-PL ci indica la possibilità di avere un LES, ma anche la possibilità di
avere una sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi, sempre che siano presenti le manifestazioni tipiche di
questa.

//
Questi esami mi permettono quindi di fare diagnosi, tuttavia posso sfruttare anche altri tipi di esami
laboratoristici per evidenziare la compromissione di alcuni organi e tessuti (esami di funzionalità renale,
emocromo per evidenziare la pancitopenia o la riduzione selettiva di alcune componenti cellulari, l’esame
delle urine).
Allo stesso modo posso anche andare a
dosare più volte nel tempo gli anticorpi Anti-
dsDNA perché, come appare da questi studi
nella slide, vi è una particolare linearità tra
quantità di anticorpi circolanti e ripresa di
malattia. In particolare questi pazienti studiati
erano pazienti che avevano un
interessamento renale, in cui la
concentrazione degli anticorpi Anti-DNA, la
formazione di immunocomplessi, la fissazione
del complemento e quindi la presenza di una
glomerulonefrite potevano andare di pari
passo secondo un rapporto causa-effetto.
82

*Questo non è invece la regola per altri tipi di manifestazioni (in realtà anche per quanto riguarda la
compromissione renale si preferisce utilizzare altri parametri come la proteinuria, la clearance della
creatinina) e per indagare i periodi di ripresa della patologia si va a valutare gli indici di flogosi come la VES,
la PCR ecc. Le uniche situazioni in cui dovrete richiedere la concentrazione degli autoanticorpi per
monitorare l’andamento della malattia è per quegli autoanticorpi patogenetici, che causano in maniera
diretta la patologia (es. anticorpi anti recettore per l’acetilcolina - Anti-AChR - in corso di miastenia gravis).

Questo lavoro invece giustifica il monitoraggio nel tempo degli autoanticorpi di primo riscontro che si
ritrovano nel siero delle pazienti perché, anche se non ancora presenti delle manifestazioni evidenti, la
patologia potrebbe sempre innescarsi in seguito. Queste in passato erano delle raccomandazioni che
venivano date su base empirica, ma che oggi hanno riscontro in diversi studi.
Sono studi effettuati su dei veterani di guerra
americani, i quali annualmente facevano degli
esami sierologici e il cui siero non veniva buttato,
ma stoccato in sieroteche. Tra questi risultò che
più di un centinaio avevano sviluppato un Lupus.
Gli autori sono quindi andati a ritroso a
controllare i livelli di auto-anticorpi nei sieri che
avevano conservato nel tempo e hanno scoperto
che già nei 5 anni precedenti alla diagnosi questi
soggetti presentavano una buona percentuale di
autoanticorpi e, avvicinandosi al momento della
diagnosi, questa percentuale tendeva ad
aumentare. Questa è la dimostrazione che
effettivamente, quando riscontriamo in un
paziente degli autoanticorpi a titolo medio-alto (1:2500,1:1200) allora è obbligatorio seguire questo
paziente perché è altamente probabile che sviluppi qualche patologia. Allo stesso tempo non devono
spaventarci ANA a titolo 1:80, 1:160 (è abbastanza basso come titolo) perché in questo caso può trattarsi di
condizioni benigne o addirittura fisiologiche (febbre, invecchiamento).

Sclerosi Sistemica
Stesso discorso vale per la sclerosi sistemica
(SSc): un paziente raramente lo troverete a
uno stadio così avanzato da avere già le mani
“bloccate”, ma avrete un paziente che ha per
esempio un fenomeno di Raynaud di ultima
insorgenza (persone di trent’anni d’età che
presentano questa sintomatologia da
massimo 3,4 anni).
Per confermare il vostro sospetto non
dovrete che dosare gli ANA.
La risposta potrà quindi essere:
_Positiva
ANA con un quadro di tipo Speckled
83

(granulare): qui andiamo poi a tipizzare gli ENA e abbiamo la possibilità di trovare degli anticorpi
anti-topoisomerasi (Scl-70). Già all’immunofluorescenza il laboratorista può sospettare di trovarsi
di fronte ad anticorpi anti-Scl-70 perché il loro aspetto è abbastanza caratteristico:
immunofluorescenza granulare in tutto il nucleo con un rinforzo perinucleolare. Questi anticorpi
sono caratteristici della variante diffusa della sclerosi sistemica.

ACA (anticorpi anti-centromero): si riconoscono benissimo all’immunofluorescenza. Possiamo, se


proprio vogliamo avere un’analisi di certezza, andare a valutare se gli anticorpi che si sono colorati
sono proprio quelli diretti contro la proteina Cenp-B e quindi fare diagnosi di variante limitata di
sclerodermia.

La presenza di ANA Nucleolari e Anti-Centriolo non costituisce un elemento importante quanto i


precedenti, ma sono comunque anticorpi utili per poter confermare la diagnosi. Inoltre la loro sola
positività, accompagnata ai sintomi tipici della sclerosi sistemica, anche in assenza dei classici
autoanticorpi della SSc, ci permette di fare diagnosi.
_Negativa la diagnosi di SSc è improbabile.

[Ricordatevi sempre, quando richiedete il dosaggio degli ANA e degli ACA , di specificare
che l’esame deve comprendere l’analisi con l’immunofluorescenza su cellule Hep-2 perché
altrimenti non verranno evidenziati nemmeno gli ANA Nucleolari né gli Anti-Centriolo]

Artrite Reumatoide
Un'altra malattia degna di particolare interesse è l’artrite reumatoide (AR). Si tratta di una patologia
estremamente invalidante che in passato veniva riconosciuta in una fase già molto avanzata, solo quando
sopraggiungevano le manifestazioni cliniche come l’artrite simmetrica. Oggi invece dobbiamo cercare di
scoprire la patologia più precocemente possibile in modo tale da poter intervenire e bloccare o comunque
ridurre la progressione della malattia.
In passato era tutto basato sulla clinica, sugli esami strumentali come la radiografia delle articolazioni, che
tuttavia mostrava segni di positività solo quando lo spazio intra-articolare iniziava a ridursi, quando la
cartilagine era già interessata da un processo infiammatorio, in seguito a osteoporosi iuxta-articolare
(interessamento dei capi ossei che circondano l’articolazione in esame), oppure in seguito alla formazione
dei geodi alle estremità ossee.
Per quanto riguarda gli esami di laboratorio l’unico parametro che ci poteva venire incontro era il così detto
fattore reumatoide (anticorpi IgG, IgM diretti contro il frammento Fc delle IgG), il quale è
caratteristicamente presente in tantissime patologie, presenta infatti una bassa specificità e un’alta
sensibilità.

_Ruolo degli anti-CCP


Sono stati testati vari altri autoanticorpi con risultati non proprio soddisfacenti, ma pochi anni fa un gruppo
di olandesi riuscì ad identificare degli anticorpi diretti contro la citrullina, un amminoacido derivante dalla
L-arginina deamidata. Questi ricercatori costruirono un vero e proprio kit per poter effettuare la ricerca di
anticorpi diretti contro peptidi ciclici citrullinati, ovvero peptidi stabilizzati ricchi di citrullina. La presenza di
questi autoanticorpi (Anti-CCP) si rivelò assolutamente specifica di artrite reumatoide, molto più del fattore
reumatoide, con una sensibilità comunque buona.
84

In uno studio del 2004 a cui prese parte il prof ci si pose l’obiettivo di studiare e comprendere il significato
di questi autoanticorpi: dal punto di vista della specificità non registrammo grandi novità: dosando gli
autoanticorpi anche in pazienti affetti da Lupus, polimiosite, artrite reumatoide ecc. e in soggetti sani, si
confermò che la positività agli Anti-CCP si riscontrava per distacco soprattutto nei soggetti affetti da artrite
reumatoide (AR).
All’interno della popolazione di soggetti affetti da AR notammo una grande variabilità: si passava da una
assoluta negatività agli Anti-CCP a livelli ‘ccccezionalmente elevati; una situazione simile suggeriva che non
tutti gli affetti da AR dovessero essere positivi agli Anti-CCP.
Furono messe al vaglio varie ipotesi per spiegare questa eterogeneità. La prima possibilità presa in
considerazione suggeriva che la concentrazione di Anti-CCP dipendesse dalla durata della malattia e dal
tempo trascorso dall’insorgenza di questa; Per verificare la veridicità di tale ipotesi, gli stessi pazienti affetti
da AR furono divisi in due categorie: early, con diagnosi di AR da meno di un anno, e chronic, con diagnosi
di AR effettuata da più di un anno (in un caso anche 20 anni).
Nonostante la divisione in questi due gruppi,
10000
all’interno degli early e all’interno dei chronic
permaneva l’esistenza di forti positivi e forti Anti-CCP antibodies (U/ml)
negativi agli Anti-CCP, di conseguenza questa
1000
prima ipotesi era da scartare.
In seguito, attraverso valutazioni principalmente
ecografiche, venne evidenziato in ognuno dei 100
pazienti il grado di compromissione delle
articolazioni e la gravità delle lesioni derivanti p = ns
dalla patologia; questo permise di dividere i 10
0 1 2 3
Early RA Chronic RA
pazienti in tre sottocategorie all’interno delle
categorie early e chronic:
soggetti senza danno osseo;
soggetti con osteoporosi iuxta-articolare;
soggetti con lesioni tipiche.

A questo punto si scoprì che…… la maggior parte


dei soggetti che non avevano lesioni ossee
mostrava una negatività agli Anti-CCP, mentre la maggior parte dei soggetti con lesioni tipiche riportava
una forte positività. Tutto ciò era indipendente dalla durata della malattia.
Dunque un soggetto, indipendentemente dal fatto che abbia l’AR da pochi giorni o da 20 anni, può essere o
meno positivo agli Anti-CCP. Potremmo affermare che è possibile individuare tra i soggetti affetti da AR due
distinte popolazioni, Anti-CCP-positivi e Anti-CCP-negativi. Gli Anti-CCP-positivi hanno una predisposizione a
sviluppare lesioni ben più gravi rispetto agli anti-CCP-negativi.
È utile ricordare che la noxa iniziale dell’AR è ancora sconosciuta ma porta allo sviluppo di un processo
infiammatorio a livello dell’articolazione e all’attivazione di enzimi come il PAD (peptidil arginina deaminasi)
che portano alla formazione di peptidi citrullinati; questi peptidi non vengono riconosciuti come self e
attivano una risposta di tipo B con la conseguente formazione di immunocomplessi, fissazione del
complemento, processi di fagocitosi, opsonizzazione ecc. Questa amplificazione del processo infiammatorio
porta all’attivazione di nuovi PAD e si ha il perpetuarsi di un vero e proprio circolo vizioso.

Proprio per questo motivo gli Anti-CCP sono un indice attendibile dell’aggressività del processo
infiammatorio a carico delle articolazioni più che un indice diagnostico.
85

Questo risultato fu importante perché proprio in quel periodo iniziarono a entrare in commercio i
cosiddetti “farmaci biologici”, come gli Anti-TNF, che rivoluzionarono la terapia di reumatismi come l’AR.
All’epoca la terapia dell’AR prevedeva l’utilizzo iniziale di farmaci più blandi come i FANS, seguiti dai
corticosteroidi e, in caso di risposta non adeguata, farmaci più impegnativi come i biologici.
I risultati che sono stati esposti sopra chiariscono che questo è concettualmente sbagliato: in un paziente
di nuova data, con lesioni lievi ma positivo agli Anti-CCP, è opportuno non temporeggiare ma attaccare
subito con farmaci biologici, in quanto quel soggetto è predisposto a sviluppare una forma di AR aggressiva,
che potrebbe essere bloccata con una terapia altrettanto aggressiva.
Non solo: nei parenti di soggetti affetti da AR, il riscontro di una positività agli Anti-CCP denota un’elevata
probabilità dell’insorgenza della malattia nel breve periodo.
In sintesi, Gli Anti-CCP hanno un importante valore prognostico, predittivo e ci permettono di scegliere la
terapia più opportuna.

MALATTIE EPATOBILIARI AUTOIMMUNI


Le epatiti virali e da farmaci hanno una patogenesi immunologica: in entrambi i casi abbiamo un farmaco
non riconosciuto dal sistema immunitario o un frammento virale esposto sulle superficie dell’epatocita che
innescano una reazione citolitica secondaria e quindi l’epatite.
Quando parliamo di malattie epatobiliari autoimmuni l’autoreattività immunologica è l’evento primitivo
nella patogenesi di queste affezioni e l’epatocita costituisce il bersaglio primario del sistema immunitario.
Classicamente si prendono in considerazione tre forme:

Epatite autoimmune (Tipo 1, Tipo 2);


Cirrosi biliare primitiva;

Colangite Sclerosante.
Inoltre esistono delle forme overlap date dalla sovrapposizione di questi quadri, come forme concomitanti
e miste di epatite autoimmune e cirrosi biliare.

Epatite Autoimmune
In questa patologia l’agente eziologico è sconosciuto, in quanto si è già arrivati all’esclusione di un’epatite
virale, da farmaci o da alcool.
Istologicamente abbiamo una flogosi a livello degli spazi portali che può superare le membrana limitante e
arrivare a coinvolgere il lobulo con un infiltrato plasmacellulare e un’abbondante produzione di
immunoglobuline. L’infiammazione cronica porta a una fibrosi del tessuto epatico e sovvertimento della
struttura lobulare fino a una franca cirrosi epatica.
La necrosi degli epatociti porterà a:
un innalzamento dei livelli di enzimi epatici come AST e ALT;
un modesto aumento della bilirubina (che come GGT e Fosfatasi Alcalina è più che altro un indice di
colestasi);
una diminuzione dei livelli di albumina, indice della ridotta attività di sintesi epatica;
86

un marcato aumento delle γ-globuline, dunque un’ipergammaglobulinemia policlonale tipica delle


reazioni autoimmuni con spiccata componente umorale. Non di rado possono associarsi infatti
anche altre manifestazioni di autoimmunità, ad esempio una tiroidite autoimmune.

_Anticorpi e tipologie
Esistono diversi autoanticorpi che caratterizzano l’epatite autoimmune, quelli più frequenti e meritevoli di
particolare attenzione, sono gli anti-nucleari (ANA), anti-muscolo liscio (SMA), anti-microsomi epatici e
renali (LKM-1), gli LC-1 e gli ANCA.
Trovarsi di fronte a un’epatite autoimmune con positività per ANA e SMA o a un caso con positività per LC-1
e/o LKM-1 non è analogo, ma ci permette di delineare due diverse forme di epatite autoimmune.
Tale distinzione non è puramente accademica, ma è ricca di implicazioni cliniche:
- l’epatite di Tipo 1 presenta positività di ANA e SMA, è caratteristica dell’adulto e presenta una
prognosi migliore rispetto alla…
- epatite di Tipo 2, che denota positività per LKM-1 e/o LC-1, colpisce anche la popolazione
pediatrica e porta a cirrosi epatica con una frequenza doppia rispetto al Tipo 1 (80% contro il 40%
dei casi).
Ai fini della diagnosi dunque è fondamentale la biopsia epatica (con il quadro istologico descritto in
precedenza) e i dati di laboratorio (profilo epatico, ricerca di anticorpi ecc.)
La ricerca degli anticorpi è un
passaggio fondamentale in termini
di diagnosi differenziale: il
ritrovamento ad esempio degli
anticorpi anti-mitocondrio (AMA)
deve farci dubitare della diagnosi di
epatite autoimmune, poiché sono
patognomonici della cirrosi biliare
primitiva, con una specificità
superiore agli Anti-DNA in corso di
lupus; stesso discorso va fatto nel
caso di una positività a virus o
un’anamnesi positiva per consumo
elevato di alcool, stupefacenti o
farmaci: sono tutte condizioni che ci
portano ad abbandonare la diagnosi
di epatite autoimmune. Esistono
score diagnostici specifici basati
proprio sui passaggi elencati (vedi IAHG).

Cirrosi Biliare Primitiva


È una patologia autoimmune a eziologia sconosciuta caratterizzata, dal punto di vista istopatologico, da un
infiltrato plasmacellulare localizzato a livello dei dotti biliari, che porta al quadro di una colangite
eventualmente estendibile agli interi spazi portali, con un risultante quadro di cirrosi. I dotti biliari appaiono
ostruiti e “soffocati” dall’infiltrato immunitario, situazione che determina una colestasi.
87

È una patologia rara, che colpisce la popolazione adulta e anziana, spesso indolente, poiché non è
particolarmente aggressiva ma mostra una notevole durata di malattia. In un quarto dei casi è totalmente
asintomatica, nel resto dei casi i sintomi frequentemente riferiti sono astenia e un fastidioso prurito sine
materia legato alla colestasi, che non regredisce con l’ausilio degli antistaminici, non accompagnato da
alterazioni cutanee, caratteristico soprattutto dei pazienti di lunga data. Talvolta sono riscontrabili
manifestazioni extraepatiche come una cheratocongiuntivite secca simile a quella della Sindrome di
Sjogren.

_Laboratorio
Dal punto di vista laboratoristico, è caratteristica l’alterazione degli indici di colestasi;
Gli anticorpi da ricercare, come anticipato, sono gli anti-mitocondrio (AMA), ma spesso viene rilevata una
positività agli anticorpi anti-nucleo tipici della patologia, ovvero gli Anti-MND (Anti-Multiple Nuclear Dots),
che rappresentano l’aspetto tipico all’immunofluorescenza degli Anti-Sp100; dunque quando si parla di
Anti-MND e Anti-Sp100 ci si sta riferendo alla medesima cosa. Tra gli anticorpi anti-nucleo caratteristici
troviamo anche gli anticorpi anti-lamina nucleare, ovvero gli Anti-gp210. Come al solito è fondamentale per
fare diagnosi l’esame istologico su frammento bioptico.
//
Dal punto di vista terapeutico è controllabile abbastanza banalmente con l’acido ursodesossicolico, che
porta alla fluidificazione della bile.

Colangite Sclerosante Primitiva


Questa patologia è ancora più rara delle precedenti, interessa i dotti biliari (anche di grosso calibro),
portando all’occlusione di questi; possono esserne affetti anche i bambini, condizione che richiede un
urgente trapianto di fegato.
Il dotto biliare è caratterizzato da stenosi che fanno assumere un aspetto “a rosario”.

_Anticorpi
Gli autoanticorpi più caratteristici di questa affezione sono quelli diretti contro il citoplasma dei granulociti
neutrofili (ANCA).
A tal proposito, è utile ricordare che se si esegue l’esame dell’immunofluorescenza su neutrofili fissati in
formalina si avrà una positività citoplasmatica, se viene eseguito su etanolo si ha una positività
citoplasmatica o perinucleare a seconda che gli anticorpi in esame siano diretti contro l’MPO (positività
perinucleare, p-ANCA) o la Proteinasi 3 (positività citoplasmatica, c-ANCA). Questo è valido nella situazione
più comune, ovvero nel caso in cui gli antigeni siano citoplasmatici.
Tuttavia in rari casi, la fluorescenza potrebbe apparire perinucleare su neutrofili fissati in etanolo ma anche
su neutrofili fissati in formalina. Questa situazione potrebbe lasciare interdetti e meravigliati, ma la
spiegazione più semplice e logica è che in questo caso gli anticorpi sono diretti contro un antigene della
membrana nucleare, non del citoplasma; pertanto in questo caso la definizione di p-ANCA perderebbe ogni
significato, in quanto l’antigene non è citoplasmatico. Forse sarebbe meglio usare, di fronte a una
situazione simile, il termine “p-ANNA”, ovvero anticorpi diretti contro l’apparenza perinucleare di antigeni
della membrana nucleare dei granulociti neutrofili.
88

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