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LA CUTE

La cute è un ORGANO avente le seguenti caratteristiche:


 superficie: 1.6 - 2 m^2
 spessore: variabile tra 0.5 e 5 mm
 peso nell’adulto: circa 5 kg
 colore: variabile secondo etnia, costituzione, sesso…
 struttura: estensibile ed elastica

Sulla superficie cutanea si trovano: PIEGHE (che possono essere MUSCOLARI o ARTICOLARI); CRESTE (IMPRONTE
DIGITALI); ORIFIZI (sbocchi dei follicoli piliferi, delle ghiandole come ANNESSI CUTANEI)

Funzioni della cute:


Barriera, termoregolazione, metabolica, immunologica, eliminazione ed assorbimento di sostanze, organo di senso e
di relazione

La struttura della cute :

1. EPIDERMIDE
(epitelio pavimentoso pluristratificato cheratinizzato)
È uno strato epiteliale pluristratificato non vascolarizzato, formato da 90% di cheratinociti e 10% da cellule ospiti. Il
suo nutrimento dipende dalla diffusione di metaboliti ed ossigeno dallo strato più superficiale del derma.
L’epidermide ha uno spessore che varia da 50 µm Ed è costituita da cinque diversi strati cellulari.

- strato corneo
- strato lucido (presente solo nel palmo della mano e nella pianta del piede)
- strato granuloso
- strato spinoso
- strato basale

Le cellule ospite dell’epidermide sono:


• MELANOCITI: produzione di melanina
• CELLULE DI LANGERHANS E LINFOCITI T: attivazione dei fenomeni immunologici
• CELLULE DI MERKEL: meccanorecettori

2. GIUNZIONE DERMO-EPIDERMICA
È una membrana semi permeabile irregolare presente tra epidermide e derma e consente il passaggio di sostanze
nutritive nell’epidermide.

3. DERMA
(strato di tessuto connettivo)
È composto da tessuto connettivo fibrosoconnettivo e contiene vasi sanguigni, linfatici, terminazioni nervose
annessi cutanei; inoltre conferisce flessibilità, elasticità, turgore e termoregolazione.

4. IPODERMA O STRATO SOTTOCUTANEO


Unisce la cute ai tessuti sottostanti.

LE FERITE
La ferita è una soluzione di continuo dei tessuti molli, recente, ad eziologia traumatica, con tendenza alla guarigione
spontanea.
Le principali tipologie di ferite, classificate in base al tempo di guarigione, sono:
 Le ferite acute: tipo di ferite che hanno una spontanea tendenza alla guarigione e le più comuni sono le ferite
chirurgiche
 Le ferite croniche: tipo di ferite che non hanno una tendenza spontanea alla guarigione e sono lesioni cutanee
che non guariscono entro 8-10 settimane dal trauma.
Inoltre queste ferite si dividono a loro volta in:
 PIAGA: soluzione di continuo presente da tempo, caratterizzata da una lenta tendenza alla guarigione
 ULCERA: soluzione di continuo di vecchia data senza tendenza alla guarigione spontanea; deriva da una serie
di patologie di origine vascolare e principalmente si forma sugli arti.

CLASSIFICAZIONE DELLE FERITE

1. PERCORSO E PROFONDITÀ
 superficiale: comprende strato cutaneo e sottocutaneo
 profonda: coinvolge strato fasciale strutture anatomiche sottostanti
 penetrante: tramite tra ambiente esterno e grandi cavità (cranica, toracica, addominale)
 interna: interessa organi interni a prescindere dal coinvolgimento delle strutture parietali (traumi chiusi)

2. CAUSA DETERMINANTE
o ferita da taglio
o ferita da punta
↳ trapassante: attraversa completamente un segmento corporeo
↳ penetrante: raggiunge cavità cerebrale, toracica o addominale
↳ transfissa: la ferita penetrante presenta oltre al foro di entrata anche quello di uscita

3. ALTRE
 ferite da punta e da taglio: E inferta da agenti vulnerando di particolari quali pugnali, spade, lance nei quali si
combinano l’azione di pressione e quella di strisciamento. È potenzialmente pericolosa perché è in grado di
raggiungere più facilmente i piani anatomici profondi e le grandi cavità.
 ferita lacera: secondaria ad un’azione di taglio, strappamento o stiramento. Si presenta edematosa con vaste
ecchimosi, aree necrotiche, margini irregolari e, spesso, scarsamente sanguinante. Ha una spiccata tendenza
all’infezione e richiede una accurata toilette chirurgica.
 ferita contusa: è una conseguenza di oggetti smussi esercitata con energia sufficiente a vincere l’elasticità dei
tessuti ma non quella dei vasi. L’area appare fortemente edematosa con ampie aree ecchimotiche.
 ferita lacero-contusa: questo tipo di ferita, che combina la natura di quelle lacere e di quelle contuse,
rappresenta la lesione di natura traumatica più frequente. È particolarmente soggetta all’iniezione e a tempi
lunghi di guarigione con esiti cicatriziali talora gravi.
 ferita da arma da fuoco: ferita dovuta all’azione vulnerante dei proiettili delle armi da fuoco

CONTAMINAZIONE/INFEZIONE DELLE FERITE


 pulite (non c’è segno di infezione)
 pulite-contaminate (presenta contaminazione batterica)
 contaminate
 sporche

SANGUINAMENTO O STRAVASO EMATICO


Perdita ematica secondaria ad un danno dei vasi, di gravità variabile, che diffonde nello spessore di tessuti e/o cavita.

CLASSIFICAZIONE DEL SANGUINAMENTO


 PETECCHIE (1-2 mm) → con emorragia capillare per aumento della pressione arteriosa o trombocitopenia
 PORPORA (3 mm) → secondaria a traumi, vasculiti e fragilità vascolare
 ECCHIMOSI (1-2 cm) → secondaria ad un trauma contusivo/chirurgico e definita anche livido
 EMATOMA (>2 cm) → simile a ecchimosi ma con più sangue in un organo, tessuto o spazio.

EMATOMA: eziopatogenesi
 TRAUMI: la forza vulnerante agisce sul vaso arterioso/venoso (ematomi da sezione diretta di un vaso) o sul
tessuto/organo (lacerazione indiretta dei vasi come nell'ematoma muscolare, epatico, splenico, cerebrale)
 rottura patologica di alcuni vasi già alterati da eventi morbosi (infezione, tumori, aneurismi)
 disordini della coagulazione (piastrinopenia, emofilia)
 terapie con anticoagulanti
 interventi chirurgici (ematoma delle ferite chirurgiche)

EMATOMA: evoluzione
L’ematoma può andare incontro a risoluzione spontanea o persistere richiedendo il trattamento chirurgico.

EMATOMA: complicanze
 comprensione di tessuti contigui o lacerazione degli stessi (rottura)
 ascessualizzazione (complicanza infettiva, cioè si può infettare)
 fibrosi dei tessuti e formazione di calcificazioni patologiche nel contesto del tessuto

GUARIGIONE DELLA FERITA


La guarigione della ferita è un insieme di processi biologici che determinano la riparazione di un tessuto leso con la
formazione della cicatrice.

CRONOLOGIA

FASE EMOSTATICA FASE INFIAMMATORIA FASE PROLIFERATIVA FASE DI MATURAZIONE O


RIMODELLAMENTO
A 12h dal trauma: A 2-5 gg dal trauma A 5-6 gg dal trauma 21 gg-2 anni; la cicatrice è
formazione del coagulo avviene la formazione del avviene la comparsa delle formata da connettivo
temporaneo tessuto di granulazione. fibre collagene e del neoformato, vasi
- coagulazione del sangue - proliferazione delle tessuto cicatriziale neoformati, epitelio
- migrazione nel sito della cellule endoteliali cutaneo neoformato
(neoangiogenesi) a) differenziazione
lesione delle cellule delle fibre collagene
dell’infiammazione - proliferazione dei
che contraendosi
(leucociti) fibroblasti riducono l’ampiezza
- formazione di una rete (collagenogenesi) dei margini della
di fibrina che costituisce - proliferazione dei ferita
l’impalcatura del nuovo macrofagi e formazione b) proliferazione
tessuto del sistema reticolo- dell’epitelio di
rivestimento
endoteliale

MODALITÀ DI RIPARAZIONE

1) PRIMA INTENZIONE
Ferite chirurgiche lineari, a margini netti, non complicate da ematomi, necrosi, infezioni. I margini e lo spazio
che residua, puramente virtuale, tessuto cicatriziale
2) SECONDA INTENZIONE
Ferite con grandi perdite di sostanza, a margini irregolari, necrotiche, inquinate. Il processo di guarigione inizia
dal fondo della ferita (tessuto di granulazione) e procede dal basso verso la superficie. È una modalità lenta
che richiede medicazioni continue.

3) TERZA INTENZIONE
Si determina nelle ferite chirurgiche suturate normalmente ma sede di infezioni nel decorso post operatorio
o nelle ferite originariamente infette che non possono essere suturate nell’immediato.

FATTORI CHE INFLUISCONO SULLA GUARIGIONE DELLE FERITE


 FATTORI GENERALI: età, sesso, razza, costituzione, squilibri ormonali, malattie del metabolismo, malattie
sistemiche, ipo-avitaminosi
 FATTORI LOCALI: forma e dimensioni, sede, contaminazione, edema, formazione di ematomi, necrosi, tecnica della
sutura inadeguata, materiale di sutura non adatto

ANALISI DEI FATTORI GENERALI E LOCALI CHE INFLUENZANO LA GUARIGIONE DELLE FERITE
1) ETÀ
L’età avanzata è uno dei maggiori fattori di rischio perché il processo di guarigione della ferita è rallentato per
una alterata risposta nella sintesi del collagene e nella neoangiogenesi che determina un ritardo nella
riepitelizzazione.

2) SESSO
Gli ormoni sessuali possono influenzare il processo di guarigione della ferita giustificando una differente
risposta nei due sessi;
 Nel sesso maschile il testosterone e i suoi metaboliti (5a-diidrossitestosterone) promuove l’infiammazione e
quindi, un rallentamento del processo di guarigione della ferita.
 Nel sesso femminile gli estrogeni hanno effetti anti-infiammatori, nelle donne i bassi livelli di estrogeni è la
maggiore influenza del testosterone sarebbero la causa del ritardo di processi riparativi tessutali.

3) ALCOL
L’abuso di alcol rallenta i processi riparativi (contrazione della neoangiogenesi) ed eleva l’incidenza delle infezioni
(riduzione locale nel reclutamento di neutrofili).

4) FUMO
Il fumo attiva il sistema nervoso ed il rilascio di epinefrina che induce vasocostrizione, ischemia, ridotto apporto di
O2; la nicotina aumenta la viscosità ematica (riduzione dell’attività fibrinolitica) e l’aggregazione piastrinica, il
monossido di carbonio, contenuto nel fumo di una sigaretta determina ipossia del tessuto.

5) NUTRIZIONE
Il glucosio è fondamentale per la produzione di ATP che fornisce energia per i processi di neoangiogenesi e
deposito di tessuto neoformato; molto importante è anche il bilancio proteico. Le vitamine A-C-E sono elementi
fondamentali per gli equilibri biochimici e molecolari della riparazione tissutale, così come alcuni amminoacidi
quali: l’arginina (indispensabile per la deposizione del collagene, la neoangiogenesi è la contrazione della ferita),
la glutammina (fonte principale di energia metabolica per la proliferazione di fibroblasti, linfociti, cellule epiteliali
e macrofagi).

6) FARMACI
Gli antinfiammatori (corticosteroidei e FANS) ostacolano la guarigione della ferita (ridotta proliferazione di
fibroblasti e sintesi del collagene, riduzione della resistenza tensile della ferita, rischio maggiore di infezione); i
chemioterapici ritardano la migrazione cellulare all’interno della ferita, riducono la formazione del collagene e la
proliferazione dei fibroblasti, inibiscono la contrazione della ferita.

7) DIABETE
Determina un generico rallentamento dei processi di guarigione della ferita ed un rischio maggiore di infezione; i
pazienti diabetici soffrono di un diffuso danno vascolare che determina una riduzione della perfusione ematica
tessutale, ipossia prolungata e quindi, insufficienza angiogenesi.

8) STRESS
La fisiopatologia dello stress prevede una disgregazione del sistema immunitario ed una alterata fase
infiammatoria; i soggetti stressati dimostrano severe alterazioni del lifestyle (insonnia, depressione, disturbi
alimentari, abuso di alcol e droghe…).

9) OBESITÀ
L’organo adiposo secerne una grande varietà di sostanze bioattive chiamate adipochine; un’elevata
concentrazione di adipochine influenza negativamente la risposta immunitaria; nel paziente obeso è presente una
diffusa ipossia periferica che influenza negativamente i processi di guarigione tessutale ed eleva il rischio di
infezione, il soggetto obeso è frequentemente afflitto da uno stato di stress, ansia e/o depressione.

PROTOCOLLO TERAPEUTICO DELLE FERITE

1) ESAME CLINICO
 Storia clinica dell’evento traumatico: verificare se esistono fattori che possono interferire sulla guarigione della
ferita (difetti della coagulazione, diabete, alterazioni immunitarie, malattie renali o epatiche, alterazioni
circolatorie periferiche, assunzioni di corticosteroidi)
 Ispezione della ferita: verificare se coesistono compromissione vascolare, muscolare, nervosa, fratture o
lussazioni, la vitalità dei tessuti, la presenza di corpi estranei

2) PROFILASSI ANTITETANICA
Classificazione delle ferite in funzione della maggiore o minore suscettibilità all’iniezione tetanica:
 Ferite non a rischio: recenti (< di 6 ore), superficiali (< di 1 cm), pulite, lineari con margini netti, senza lezioni vascolo-
nervose, senza segni di infezione
 Ferite a rischio: non recenti (> di 6 ore), profonde (> di 1 cm), contaminate, lacere con margini necrotici o contusi,
denervate e/o ischemiche, infette

3) PROFILASSI ANTIRABICA

SPECIE ANIMALE VALUTAZIONE E DISPONIBILITÀ TRATTAMENTO


DELL’ANIMALE
Animali domestici (cani, gatti..) Apparentemente sano, ha morso Nessun trattamento (salvo che
perché molestato, reperibile e l’animale manifesti sintomi
controllabile per 10 gg durante l’osservazione)
Animali domestici (cani, gatti..) Morto dopo l’incidente Nessun trattamento in attesa
della valutazione autoptica
Animali domestici (cani, gatti..) Non disponibile per l’operazione Proposta di vaccinazione
(valutare le lg se rischio
aumentato: l’animale ha morso
spontaneamente, ferita estesa al
volto o alle mani, interessamento
di mucosa
Animali selvatici (volpi, tassi, l’esposizione è avvenuta in italia Nessun trattamento
cervi..) centro-meridionale (zone esenti
da rabbia silvestre)
L’esposizione è avvenuta in zona Vaccinazione con o senza lg
alpina
Bestiame, roditori (topi, ratti, Valutazione caso per caso
conigli, lepri I morsi di roditori non richiedono
quasi mai il trattamento
antirabbico

4) PROFILASSI ANTIBIOTICA
 Flogosi dei tessuti circostanti la ferita (celluliti)
 Ferite contaminate in pazienti immunodepressi
 Ferite estese nella porzione centrale della faccia (per prevenire la diffusione dell’iniezione alle meningi attraverso
il circolo venoso)
 Pazienti con malattie valvola di cardiache (prevenzione della endocardite batterica)
 Pazienti portatori di protesi (prevenzione della infezione protesica)
 Ferite degli arti inferiori in presenza di linfedema (terreno ideale per i microrganismi)
 Ferite sporche
 Morso umano (la saliva umana contiene alte concentrazioni di batteri aerobi e anaerobi gram+ e gram-)

5) TERAPIA LOCALE
 PULIZIA DELLA FERITA: il metodo migliore consiste nel lavaggio, ad alta pressione con una siringa, della ferita
con soluzione fisiologica allo 0,9%.
 DISINFEZIONE DEI TESSUTI PERIFERICI: pulire i margini della ferita ed i tessuti limitrofi con detergenti (acqua
e sapone, benzina, etere) e trattarli con antisettici.
 SUTURA E MEDICAZIONE: la sutura è un atto chirurgico che ha la finalità di avvicinare, fino a farli combaciare,
i margini del tessuto che presenta discontinuità della superficie anatomica.
LA TEORIA DEI VETTORI DI FORZA
Quando un agente vulnerante o un atto chirurgico, interrompe il continuum anatomico, l’equilibrio tra le forze attive
sul tessuto viene alterato e quindi la risultante dei vari vettori di forza, ormai diversa da zero, causa la retrazione dei
margini della ferita.

LE SUTURE
Finalità delle suture:
 Azione meccanica: tende a contrastare le forze che provocherebbero la diastasi dei margini della ferita ovvero le
forze muscolo-elastiche dei tessuti;
 Azione di isolamento: la sutura crea una barriera tra tessuti cruentati, e sostanze liquide, agenti infettanti, corpi
estranei.

Caratteristiche delle strutture:


Bordi netti, emostasi completa, perfetto affrontamento dei margini! Assenza di corpi estranei interposti, congrua
tensione dei punti.

La rimozione dei punti di sutura va definita in base all’aspetto clinico della ferita è alla regione anatomica:
 Nelle ferite genericamente integre i punti possono essere rimossi dopo ~ 8 gg
 In aree sensibili (volto, dorso delle mani, collo..) La rimozione dei punti deve avvenire il prima possibile (decubito
dei fili di sutura)
 In aree soggette a forti sollecitazioni motorie (ginocchio, gomito, dorso..) La rimozione deve avvenire dopo ~ 12 gg
(I PUNTI POSSONO ESSERE RIMOSSI ANCHE GRADUALMENTE)

Complicanze delle suture:


 DEISCENZA: separazione dei margini suturati (si riapre la ferita)
 infezione: uso di materiale di sutura non appropriato, nodi di sutura troppo grossi, eccessiva quantità di tessuto
pinzato
 GRANULOMA: modesta infezione della sutura, irritazione meccanica o biochimica del materiale di sutura
 FISTOLIZZAZIONE ED ESPULSIONE ED MATERIALE DI SUTURA: il filo si fa strada verso la superficie e viene espulso
attraverso un piccolo tragitto fistoloso

LA MEDICAZIONE
La medicazione è la procedura che, mediante l’utilizzo di materiali e farmaci, favorisce la riparazione di una lesione
spontanea, traumatica, chirurgica

Obiettivi della medicazione: nascondere la ferita, agire da barriera fisica, isolamento termico, giusto grado di umidità,
permettere scambi gassosi, rimuovere essudati e tossine, prevenire le infezioni

DISINFETTANTI O ANTISETTICI
Il disinfettante è una sostanza ad azione germicida, destinata ad essere utilizzata su materiali o oggetti;
L’antisettico è una sostanza ad azione germicida, a bassa tossicità e non irritante, indicata per l’applicazione su tessiti
viventi.
 Disinfettanti e antisettici di basso livello: sono capaci di distruggere diversi batteri e alcuni virus e miceti; composti
dell’ammonio quaternario ed i fenoli in soluzione detergente, la clorexidina e gli iodofori in soluzione detergente.
- non sono in grado di eliminare i bacilli tubercolari e le spore batteriche
 Disinfettanti e antisettici di livello intermedio: sono in grado di distruggere tutti i batteri, la maggior parte dei virus
e dei miceti e di inattivare il mycrobacterium tubercolosis; composti da alcol etilico e isopropilico al 70-90% ed i
derivati fenolici. - non hanno una azione sicura sulle spore
 Disinfettanti ed antisettici di alto livello: sono capaci di distruggere tutti i microrganismi in qualsiasi forma
organizzativa ad eccezione di alcune spore batteriche; composti da gluteraldeide al 2%, il perossido d’idrogeno al
6%, gli ipocloriti, l’acido peracetico allo 0,2%. - le soluzioni antisettiche di utilizzo ospedaliero su cute e mucose
hanno livelli bassi o intermedi di attività
SOLUZIONI PER IL CLEANSING DELLA FERITA CHIRURGICA
No: mercurocromo, betadine, amuchina, acqua ossigenata, antisettici generici
Si: soluzione fisiologica 0,9%, ringer lattato

LE MEDICAZIONI AL TRATTAMENTO LOCALE ANTISEPSI


 È l’eliminazione parziale dei germi dalla ferita attraverso l’uso di antisepsi.
 Va attuata solo su lesioni infette limitatamente al periodo in cui l’infezione si manifesta, in quanto tutto gli antisettici
modificano i fattori deputati alla riparazione tissutale e rallentano la cicatrizzazione.

LE FERITE DIFFICILI
La ferita è una soluzione di continuo dei tessuti molli, recente, ad eziologia traumatica, con la tendenza alla guarigione
spontanea

LE FERITE CRONICHE O DIFFICILI


lesioni da decubito, ulcere (venose, ischemiche, miste), ulcere diabetiche, ulcere post-traumatico, ulcere post-ustione,
ulcere post-chirurgiche, ulcere post-radiodermiti, ulcere da chemioterapici, necrosi post-settica

LA PIAGA DA DECUBITO O ULCERA DA PRESSIONE


La piaga da decubito o ulcera da pressione è una perdita di sostanza che tende a risolversi ma il tempo di guarigione è
proporzionale allo stato clinico del paziente, alla superficie lesa e ai protocolli di cura adottati;
è una lesione che può coinvolgere la cute ed i piani sottostanti (muscolo ed osso), si sviluppa nelle zone soggette a
traumi, sfregamenti e prolungata compressione.

 Eziopatogenesi: pressione del peso corporeo sulle prominenze ossee.


 Incidenza: in Italia i malati sono circa 2.500.000
 Mortalità collerata: 8%

REGIONI ANATOMICHE A RISCHIO


 POSIZIONE SUPINA: occipite, scapola, sacro, talloni
 POSIZIONE LATERALE: orecchio, processo dell’acromion, gomito, trocantere, condilo medio-laterale, talloni
 POSIZIONE PRONA: gomito, orecchio, guancia, naso, seno, genitali, cresta iliaca, patella, dita.

IDENTIFICAZIONE SOGGETTI A RISCHIO

Scala di Norton tabella A


1 2 3 4
Condizioni generali Pessime Scadenti Discrete Buone
Stato mentale Poco vigile, Confuso Disorientato Lucido e orientato
stuporoso,
comatoso
Capacità di Costretto nel letto Costretto sulla Cammina con Normale
camminare sedia appoggio
Capacità di Immobile Molto limitata Leggermente Normale
muoversi nel letto limitata
Incontinenza Doppia Abituale (urine) Occasionale No

Scala di Norton tabella B


Diagnosi clinica di diabete 1
Diagnosi clinica di ipertensione arteriosa 1
Ematocrito basso (< 38 g/dl) 1
Albuminemia bassa 1
Temperatura corporea (> 37 gradi) 1
Uso di 5 o più farmaci 1
Modificazione dello stato mentale nelle prime 24h con 1
comparsa di confusione mentale o letargia

Norton plus = tab A + tab B. Punteggio: 18-20 rischio assente/ 15-17 rischio lieve/ <14 rischio elevato

STADIAZIONE

 Stadio 1: eritema della cute, edema locale, desquamazione superficiale


 Stadio 2: lesione a spessore parziale che coinvolge l’epidermide ed il
derma
 Stadio 3: lesione a tutto spessore della cute , danno o necrosi del tessuto
sottocutaneo esteso alla fascia muscolare
 Stadio 4: lesione a tutto spessore con necrosi della cute e danno di muscoli, tendini e ossa

LE ULCERE
L’ulcera è una lesione di vecchia data che, nel tempo, può coinvolgere l’epidermide, il derma, il tessuto muscolare e
l’osso. Si osserva prevalentemente a carico degli arti inferiori e non ha tendenza alla guarigione spontanea; il sintomo
principale è il dolore intermittente (87% dei casi) o cronico (13% dei casi).

CLASSIFICAZIONE
50% venose - 15% miste - 10% arteriose - 10% diabetiche - 15% cause rare (neoplasie, vasculiti…)

ULCERA VENOSA
secondaria ad insufficienza calcolare con ipertensione venosa (65-70% di tutte le ulcere vascolari degli arti inferiori);
le sedi elettive sono: regione retro-malleolare interna e mediale inferiore della gamba, possono essere anche a
manicotto.

ULCERA ARTERIOSA
secondaria a patologie che provocano la riduzione del flusso ematico arterioso > 80-85; le sedi elettive sono: la punta
dei piedi o tra le dita, i malleoli laterali, le zone soggette a traumi o sfregamenti.

ULCERA MISTA
caratterizzata dalla compartecipazione della componente arteriosa e venosa (ischemia tessutale periferica+
ipertensione venosa); l’ulcera mista si distingue in ulcera mista a predominanza venosa e ulcera mista a predominanza
arteriosa

Stadiazione:
1. Eritema e cute integra
2. Ulcera superficiale
3. Ulcera profonda senza interessamento della fascia muscolare
4. Ulcera a tutto spessore (cute, fascia, muscolo, ossa)

ULCERA DIABETICA
è una lesione secondaria a traumi o pressioni locali collerata con la neuropatia/microangiopatia presenti nella malattia
diabetica; colpisce il 15% dei pazienti diabetici. Si osserva prevalentemente a carico delle dita e/o della pianta del
piede.

Classificazione di Wagner
1) Nessuna lesione
2) Ulcera superficiale
3) Ulcera profonda (cute, sottocute, osso)
4) Osteite, osteomielite, ascesso
5) Gangrena del dito o delle dita
6) Gangrena del piede
7) È importante trattare adeguatamente le ferite difficili perché una lesione che non guarisce: compromette in
modo grave la salute del paziente, compromette in modo grave la qualità della vita, determina costi di gestione
molto alti.

FERITE DIFFICILI: DIAGNOSI, PROTOCOLLO TERAPEUTICO, GESTIONE DEL PAZIENTE

Diagnosi
1) Anamnesi ed esame obiettivo locale (storia del paziente, quanto tempo ha la ferita, quando è successo);
2) Analisi dei fattori locali che ostacolano la guarigione;
3) Indagini diagnostiche e strumentali (screening di laboratorio, biopsia, radiologia..)
4) Consulenze specialistiche

Osservazione clinica
 LESIONE GIALLA:
Il tessuto leso può presentarsi sotto forma di slough (materiale che aderisce al letto della lesioni in filamenti,
ammassi inspessiti o come mucillagine);
 SLOUGH (GIALLO, BEIGE, BIANCASTRO):
Mix di tessuti devitalizzati, materiale cellulare di sfaldamento, essudato, leucociti e batteri; se è
presente una gran quantità di globuli bianchi, lo slough tende ad
assumere un aspetto cremoso di colore giallo.
 LESIONE VERDE:
Presenza di infezione che può diffondersi ai tessuti profondi causando cellulite, fasciate necrotizzante,
osteomielite, setticemia con un elevato rischio di mortalità;
 LESIONE NERA:
Indica necrosi secca, presenta una prevalenza di tessuto necrotico, quindi morto; il tessuto devitalizzato ha la
tendenza a disidratarsi e forma uno strato ispessito, duro, coriaceo, di colore marrone o nero, che aderisce
saldamente al letto o ai margini della lesione;
 LESIONE ROSSA:
Tessuto vitale; presenza di tessuto di granulazione sano che ha un colore osso vivono rosa profondo perché molto
vascolarizzato; è un segnale evidente che la riparazione tissutale sta progredendo normalmente;
 LESIONE ROSA:
Lesione guarita; segno clinico della riepitelizzazione (aree di colore roseo traslucido sopra il tessuto di
granulazione, costituite da cellule epiteliali migranti dai bordi periferici della lesione);

Le ferite difficili sono lesioni croniche perché il sistema di riparazione è bloccato perché:
 I fibroblasti depongono matrice extracellulare abnorme ed incongrua;
 L’infezione della lesione determina il blocco della riparazione;
 I fattori di crescita vengono disattivati dalle proteasi di origine batterica;

PROTOCOLLO DIAGNOSTICO T.I.M.E.


Definisce le caratteristiche cliniche della ferita difficile, individuando gli elementi da correggere e gli interventi più
appropriati per promuovere la riparazione tissutale; questo protocollo quasi sempre aiuta la ferita difficile e migliora
la lesione.
T. Tessuto necrotico o devitalizzato (escara dura, depositi di fibrina)
I. Infezione/infiammazione (segni locali o sistemici di infezione e/o infiammazione
M. Macerazione/secchezza (eccesso di essudato, macerazione dei margini della ferita o secchezza)
E. Epidermide (mancata progressione dei margini della ferita in assenza di necrosi, infezione, essudato)

E.O.L. TESSUTI NON VITALE O CARENTE


Diagnosi fisiopatologica Difetti della matrice e residui cellulari che ostacolano la guarigione

Interventi clinici Debridement della lesione


Effetti attesi Fondi della lesione deterso, ripristino della funzionalità della matrice
extracellulare
Risultati Letto della lesione vitale
E.O.L. INFEZIONE O INFIAMMAZIONE
Diagnosi fisiopatologica Elevata carica batterica o infiammazione prolungata: ↑citochine pro-
infiammatorie; ↑attività proteasica; ↓attività dei fattori di crescita;

Interventi clinici Terapia antibiotica locale/sistemica; antinfiammatori; inibitori della proteasi

Effetti attesi Riduzione della carica batterica o controllo dell’infiammazione: ↓citochine


pro-infiammatorie; ↓attività proteasica; ↑attività dei fattori di crescita;

Risultati Controllo dell’infezione e dell’infiammazione

E.O.L. MACERAZIONE E SECCHEZZA


Diagnosi fisiopatologica Secchezza= migrazione lenta delle cellule epiteliali
Essudato in eccesso= macerazione dei margini della ferita

Interventi clinici Ripristinare il giusto grado di umidità e/o correggere l’eccesso essudato

Effetti attesi Migrazione delle cellule epiteliali, riduzione dell’edema, controllo


dell’essudato e prevenzione dei fenomeni di macerazione

Risultati Bilancio dei fluidi (essudato)

E.O.L. EPIDERMIDE CON MARGINI NON PROLIFERATIVI O SOTTOMINATI

Diagnosi fisiopatologica Cheratinociti non migranti; cellule non responsive e anormalità nella matrice
extracellulare o nell’attività della proteasi

Interventi clinici Nuovi criteri diagnostici e/o terapeutici


Effetti attesi Migrazione dei cheratinociti e presenza di cellule responsive; ripristino di un
appropriato profilo della proteasi

Risultati Margini epiteliali in attività proliferazione

TERAPIA

Valutazione polispecialistica dello stato di salute generale del paziente e applicazione di specifici protocolli di cura
utili al trattamento del quadro clinico locale.

Nutrizione:
Il monitoraggio e la supplementazione dei fattori nutrizionali sono aspetti essenziali della riparazione tessutale
cutanea; parametri nutrizionali: età, sesso, altezza, peso, malnutrizione/obesità, malattie sistemiche e co-morbilità,
caratteristiche cliniche della ferita difficile

Protocollo nutrizionale:
1. IDRATAZIONE
Nel paziente con una ferita difficile e/o anziano la corretta idratazione è fondamentale per la guarigione; una corretta
idratazione orale giornaliera non dovrebbe essere inferiore a 1600ml/24ore.

Quantitativo raccomandato quotidiano (QRQ)


Standard 1 QRQ= 30 ml/kg peso corporeo
Standard 2 QRQ= 1ml/kcal consumate nelle 24 ore
Standard 3 QRQ= 100ml per i primi 10kg di peso, 50 ml per i successivi 10kg di peso corporeo, 15ml/kg
per ogni kg rimanente di peso
2. DIETA IPERCALORICA
Il fabbisogno proteico è maggiore nel paziente con ferite difficili rispetto al soggetto normale
 Soggetto sano: 0,8gr di proteine/kg/die
 Paziente con ferita difficile: 1,0-1,5gr di proteine/kg/die
La carenza proteica ritarda la riparazione tessutale

3. INTEGRATORI ALIMENTARI

HBM (β-idrossi- β-metilbutirrato: metabolita della Riduce la degradazione proteica muscolare,


leucina aumenta l’anabolismo proteico, ha un effetto anti-
infiammatorio
Glutamina (amminoacido condizionatamente Stimola la sintesi del collageno, supporta la sintesi
essenziale) proteica, sostiene l’integrità della barriera
intestinale e la risposta immunitaria
Arginina (amminoacido non essenziale) Supporta la funzione immunitaria e la sintesi
proteica, stimola sintesi e deposizione di collagene
Vitamine A e C Determinati nella deposizione del collagene e nel
controllo del danno ossidativo cellulare
Zinco È coinvolto nella regolazione dei sistemi enzimatici,
immunocompetenza e formazione di tessuto
collagene
Ferro Essenziale nell’emoglobina per il trasporto dell’O2

TRATTAMENTO LOCALE

1) PREPARAZIONE DEL LETTO DELLA FERITA - WOUND BED PREPARATION (WBP)


Può essere definita come la gestione della ferita difficile necessaria per rimuovere le barriere locali che
ostacolano i processi riparativi e per promuovere l’azione dei presidi terapeutici.
L’obiettivo della WBP è trasformare una lesione cronica in acuta e prevede 3 fasi

Controllo della carica batterica


 Minimizzare l’uso di antisettici (effetti avversi sulle cellule)
 Usare gli antibiotici in maniera appropriata (per ridurre la selezione di ceppi resistenti ed evitare fenomeni di
sensibilizzazione o reazioni allergiche loca)

Debridement
Rimuove le condizioni favorenti l’infezione, facilita la riparazione tissutale, migliora la valutazione clinica
della lesione.

 DEBRIDEMENT OSMOTICO:
La iperosmolarità di alcune medicazioni o preparati A base di zucchero favoriscono lo sbrigliamento delle
aree necrotiche ed il controllo della carica batterica (es. di prep. di Knutson: 20 parti di zucchero, 5 parti di
betadine pomata, 2 parti di iodopovidone soluzione chirurgica)

 DEBRIDEMENT ENZIMATICO:
Utilizza le collagenasi di origine batterica, animale, vegetale. L’azione proteolitica si basa sulla rottura dei
ponti di collagene denaturato e conseguente rimozione del tessuto necrotico. È utile per la rimozione di
frammenti necrotici.

 DEBRIDEMENT AUTOLITICO:
È un processo naturale che viene favorito dall’utilizzo di specifiche e differenti medicazioni che garantiscono
il mantenimento di un ambiente umido. È utile per la toilette di aree con necrosi gialla.
 DEBRIDEMENT BIOLOGICO (MAGGOT THERAPY):
Specifiche larve di mosca opportunamente preparate, vengono applicate sulla lesione per 2-3 gg con una
medicazione occlusiva per mantenerle in situ.; le principali azioni terapeutiche della maggot therapy sono
toilette della lesione, azione battericida, attivazione dei meccanismi della riparazione tessutale.

 DEBRIDEMENT CHIRURGICO:
Si realizza con la chirurgia tradizionale o con sistemi meccanici; è controindicato nei pazienti con ulcere
arteriose/piede diabetico per l’insufficiente apporto vascolare locale. Questo tipo di Debridement è urgente
nei casi di necrosi settica, si pratica con tecnica esangue e nelle lesioni estese va eseguito in più tempi, il
tessuto necrotico va rimosso centralmente lasciando un bordo periferico per non compromettere i tessuti
sani circostanti.
Gestione dell’essudato

2) TECNICHE ANCILLARI - (elastocompressione, angioplastica, ossigenoterapia iperbarica, VAC,


carbossiterapia, terapia del dolore)

 ELASTOCOMPRESSIONE:
Tecnica di scelta per la cura e la prevenzione delle ulcere da stasi venose e linfatiche. Il meccanismo di azione
si basa sull’aumento della pressione interstiziale per controbilanciare l’aumentata pressione veno-linfatica e
capillare. È fondamentale per migliorare il ritorno venoso.

 ANGIOPLASTICA:
L’intervento turgido è finalizzato alla riva scolarizzazione degli arti inferiori (ulcere vascolari arteriosi); è
necessario quando i valori pressori sono <50mmHg alla caviglia, <30mmHg all’alluce ed è presente dolore
incoercibile da oltre 2 settimane o una ulcera ulcera/gangrena delle dita del piede.

 OSSIGENOTERAPIA IPERBARICA:
Consente un metabolismo aerobico di ridurre le concentrazioni di acido lattico mediante metabolizzazione
ossidativa e ridimensionare edema e ischemia tissutale. Possiede capacità anti fettine ed è determinante nel
demarcare la cosiddetta zona grigia migliorando la vitalità dei tessuti scarsamente ossigenati.

 VACUUM ASSISTED CLOSURE THERAPHY (VAC):


Il meccanismo di azione prevede una pressione negativa controllata è localizzata che favorisce i processi di
guarigione. La VAC equilibra gli essudati, ripristina valori di pressione e di flusso capillare fisiologico, stimola
la granulazione, riduce edema e carica batterica, favorisce la formazione del tessuto di granulazione e la
neoangiogenesi.

 CARBOSSITERAPIA:
È una tecnica, ampiamente diffusa in medicina, che prevede la somministrazione, per via sottocutanea, di
anidride carbonica (CO2) allo stato gassoso. L’efficacia terapeutica è collerata con la capacità di migliorare
macro e microcircolo periferico alla lesione, incrementando la disponibilità locale di O2 utile per la
riparazione tessutale.

3) MEDICAZIONI AVANZATE del WBP


Le medicazioni avanzate sono materiali e mezzi di copertura che hanno elevate caratteristiche di
biocompatibilità; esse creano un ambiente umido, favoriscono il Debridement è la corretta gestione degli
essudati, inoltre migliorano il microambiente biologico delle ferite e accelerano il processo riparativo
fisiologico.

MEDICAZIONI TRADIZIONALI VS AVANZATE


Assorbimento dei liquidi fino all’essiccamento Mantenere un microambiente umido
Emostasi Rimozione essudati e materiale necrotico
Antisepsi Mantenere una temperatura costante
Protezione dalle infezioni Permeabilità all’ossigeno
Occultamento della ferita Protezione dalle infezioni
Maneggevoli e non traumatiche alla rimozione

Medicazioni avanzate
Medicazioni a contenuto salino puro, medicazioni in alginato puro, medicazioni in alginato composto, medicazioni in
idrocolloidi puri, medicazioni in idrocolloidi associati ad altre sostanze, medicazioni in carbossimetilcellulosa,
medicazioni in gel idrofilo, medicazioni in gel idrofilo puro, medicazioni in gel idrofilo associato ad altre sostanze,
medicazioni (film) in poliuretano puro, medicazioni (schiume) in poliuretano puro, medicazioni (schiume) in
poliuretano associato ad altre sostanze, medicazioni in silicone puro, medicazioni in silicone associato, medicazioni in
argento puro, medicazioni in argento associato ad altre sostanze, medicazioni in carbone attivo puro, medicazioni in
carbone attivo associato ad altre sostanze, medicazioni in collagene di origine animale, medicazioni in collagene di
origine animale puro, medicazioni in collagene di origine animale associato ad altre sostanze, medicazioni a base di
antisettici.
L’utilizzo delle medicazioni avanzate garantisce una sensibile riduzione dei costi di gestione del paziente per: la
prolungata permanenza in sede della medicazione, la riduzione degli accessi ospedalieri, l’ottimizzazione
nell’impiego del personale sanitario.

Medicazioni avanzate: CONTROINDICAZIONI


 Sanguinamento in
 Presenza di tratti fistolosi non definiti
 Allergia ai componenti della medicazione
 Tumori cutanei
 Gangrena umida

4) CHIRURGIA PLASTICA
Si avvale di numerose possibilità ricostruttive singole (lembi fasciocutanei, miocutanei, liberi) o combinate
(innesti+lembi locali etc)

FERITE E INFEZIONE
1. CONTAMINAZIONE:
Tutte le ferite possono essere contaminate ma la concentrazione delle colonie batteriche non interferisce o
ostacola la riparazione tessutale.

2. COLONIZZAZIONE:
La flora batterica ha una concentrazione maggiore ma non determina l’infezione della ferita.

3. CONTAMINAZIONE CRITICA:
Stadio intermedio fra colonizzazione e infezione conclamata, quindi ritardo della guarigione.

4. INFEZIONE:
La carica batterica determina danni cellulari e reazioni immunologiche nell’ospite; quindi, la guarigione della
ferita è interrotta.

GESTIONE DEL PAZIENTE


 Organizzazione capillare a livello del territorio/domicilio: MMG, Ambulatori polispecialistici, Case della
Comunità e ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) in grado di intercettare i bisogni dei malati.
 Potenziare la figura ed il ruolo dell'Infermiere di Comunità.
L’INFEZIONE CHIRURGICA
Le Healthcare-Associated Infections (HAI), denominate anche infezioni nosocomiali, sono infezioni che
coinvolgono il paziente nel corso della degenza ospedaliera o dopo la dimissione, non antecedenti o in fase
di incubazione al momento del ricovero.

-Si definisce post-chirurgica ogni infezione che si manifesta entro 30 giorni dall’intervento chirurgico.
-Se la chirurgia prevede l’uso di protesi o dispositivi medici, il periodo si prolunga a 12 mesi.

Il rischio di Infezione Chirurgica (R) è quantificabile con l’equazione:


R= Carica batterica contaminante X Virulenza
Resistenza dell’ospite

EPIDEMIOLOGIA
 Infezione delle vie urinarie ~42%
 Infezione della ferita ~40%
 Infezione delle vie respiratorie ~14%
 Setticemie ~4%

LE INFEZIONI POST-CHIRURGICHE
Sono la causa principale di morbilità e mortalità in chirurgia. Esse sono comunemente polimicrobiche,
spesso con prevalenza di anaerobi.

La batteriologia dell’infezione post chirurgica segnala, in prima istanza, una prevalenza di batteri Gram+
(strafilococchi).
Successivamente la flora microbica viene sovvertita dai Gram- resistenti agli antibiotici comuni (evento
spesso correlato con la degenza ospedaliera).

PRINCIPALI PATOGENI RESPONSABILI DI INFEZIONI CHIRURGICHE


(NNIS – National Nosocomial Infections Surveillance – USA)
Staphylococcus aureus 20%
Strafilococchi coagulasi neg 14%
Enterococcus spp 12%
Escherichia coli 8%
Psudomonas aeruginosa 8%
Enterobacter spp 7%
Proteus mirabilis 3%
Klebsiella pneumoniae 3%
Candida albicans 3%

L’INFEZIONE DEL SITO CHIRURGICO


Sono circa 40% delle infezioni dei pazienti ospedalizzati; sono una spia di morbilità, di mortalità e di
aumento dei costi per il protrarsi della degenza e la possibile antibiotico-resistenza.
La vigilanza delle ferite chirurgiche è la priorità assistenziale in termini epidemiologici ed economici.
GUARIGIONE DELLA FERITA
È un complesso processo di ricostruzione tissutale che si articola in fasi progressive (emostasi, angio-
collageno-plasia, formazione e rimodellamento della cicatrice) e coinvolge differenti tipi cellulari
(macrofagi, leucociti, fibroblasti, cellule endoteliali).

Fattori condizionanti:

INFEZIONE
Malattie metaboliche
Epatopatie
Stato nutrizionale
Tensione dei margini
Vascolarizzazione
Terapie farmacologiche (cortisonici, chemioterapici)
Patologie cutanee (radiodermiti, linfedema)
Assetto immunitario

INFEZIONE DELLA FERITA CHIRURGICA


(Surgical Site Infections – SSIs)
Classificazione:
1. Infezione della sede di incisione chirurgica. (Superficial incisional SSI).
2. Infezione dei tessuti immediatamente sottostanti. (Deep incisional SSI).
3. Infezioni degli spazi e degli organi profondi. (Organ or Space SSI).

ISC SUPERFICIALE
L’infezione si verifica entro 30 giorni dall’intervento chirurgico e coinvolge cute e sottocute.

SINTOMATOLOGIA CLINICA
a) Eritema , edema, dolore e/o tensione della ferita, febbre.
b) Secrezione purulenta della ferita.
c) Identificazione microbiologica del microrganismo.
d) Una minima infiammazione o secrezione attorno ai punti di sutura non deve essere considerata
come ISC.

ISC PROFONDA
L’infezione si verifica entro 30-90 giorni dall’intervento chirurgico e coinvolge fascia e parete muscolare.

a) Secrezione purulenta e profonda della ferita.


b) Deiscenza profonda della ferita (spontanea o chirurgica).
c) Febbre (>38°C), eritema edema, dolore o tensione della ferita, malessere generale.
d) Ascesso o altra evidenza d’infezione, diagnosticato con esame istopatologico o altre indagini
diagnostiche, che coinvolge la zona incisionale profonda.

ISC SPAZIO/ORGANO
L’infezione si verifica entro 30-90 giorni dall’intervento chirurgico e coinvolge qualsiasi distretto corporeo
manipolato chirurgicamente ad esclusione della cute, della fascia o della parete muscolare.

a) Pus da un drenaggio in un organo o spazio (drenaggio in aspirazione, drenaggio toracico…)


b) Microrganismi identificati con metodi microbiologici.
c) Ascesso o altro tipo di infezione, diagnosticato con indagini strumentali e istopatologiche, che
coinvolge lo spazio sotto fasciale o un organo.

INFEZIONE CHIRURGICA E DEL SITO CHIRURGICO


Fattori di rischio:

1) AMBIENTE OPERATORIO

 CONTAMINAZIONE ESOGENA =
 FONTE: Operatore, staff, strumenti chirurgici, ambiente.
 SEDE: Naso, cute.
 MICRORGANISMI: S. aureus, S. epidermidis, P. aeruginosa, Klebsiella, Enterobacteriacee.
 MODALITÀ: Aria, contatto.

 CONTAMINAZIONE ENDOGENA =
 FONTE: Paziente.
 SEDE: Naso-faringe, cute, tubo digerente, vagina.
 MICRORGANISMI: S. aureus, S. epidermidis, Enterobacteriacee, E. faecalis.
 MODALITÀ: Aria, contatto.

Nella maggioranza dei casi le infezioni post-chirurgiche sonno correlate con la diffusione batterica
endogena (autoinfezione).

2) PAZIENTE

 ETÀ = >50 anni <2% >66 anni >3%


 L’età è determinante nella incidenza delle infezioni post-chirurgiche per la fisiologica, progressiva di
organi e tessuti.
 L’invecchiamento della popolazione determina un aumento degli interventi chirurgici e, dunque,
del Risk Index.

 STATO NUTRIZIONALE =
 Lo stato di nutrizione del paziente è un importante fattore di riscio per l’infezione post chirurgica.
 La denutrizione e l’obesità determinano anomalie nel sistema immunitario ed alterazioni
fisiopatologiche multiviscerali.
⬇️
Le complicanze della malnutrizione:
1. Pressione arteriosa bassa
2. Perdita della massa muscolare, riduzione della funzionalità cardiaca e respiratoria
3. Atrofia degli organi viscerai
4. Riduzione dell’assorbimento intestinale
5. Alterazione della termoregolazione (ipotermia)
6. Ipocalcemia (osteoporosi)
7. Compressione della funzionalità renale
8. Edemi periferici (ipoproteinemia)
9. Amenorrea (blocco dell’ovulazione)
10. Difee immunitarie ridotte e maggiore suscettibilità ad infezioni
11. Apatia , fatica e depressione

La malnutrizione nell’anziano:
1. MALNUTRIZIONE PRIMARIA: regime alimentare non adeguato, influenzato da fattori fisiologici,
patologici, socio-economici ed ambientali.
2. MALNUTRIZIONE SECONDARIA: alterazione della funzione digestiva, ridotto assorbimento
intestinale, trasporto sanguigno inefficace, scarsa metabolizzazione dei nutrienti.

Nell’anziano la malnutrizione insoge più facilmene rispetto alle altre fasce di età anche perché
l’organismo riduce molte delle sue capacità fisiologiche determinando una modifica della
composizione corporea quali:
a) Rapporto massa magra/ massa grassa a favore del tessuto adiposo.
b) Riduzione dell’idratazione complessiva.
c) Riduzione della mineralizzazione ossea.

Le complicanze dell’obesità:
1. Sindrome metabolica.
2. Diabete mellito.
3. Malatte cardiovascolari.
4. Malattie del fegato e della cistifellea.
5. Reflusso gastrosofageo.
6. Apnea ostruttiva del sonno.
7. Anomalie del sistema riproduttivo (infertilità, basso livello sierico di testosterone negli uomini,
sindrome dell’ovaio policistico nelle donne).
8. Tumori (in particolare cancro del colon e della mammella femminile).
9. Artrosi, patologie tendinee e fasciali.
10. Patologie della cute (intertrigine).
11. Problemi sociali, economici e psicologici.

Rischio di infezione della ferita chirurgica:


 Paziente normopeso = 3,8 - 7,6%
 Paziente malnutrito/ obeso = 11,6 – 26,9%

Malattie concomitanti e stili di vita:


 Malattie concomitanti (diabete, malattie immunitarie congenite o acquisite) ed erronei stili
di vita , elevano il rischio di complicanze settiche post-operatorie.
 Farmaci (steroidei o immunosoppressivi).
 Neolasie.
 Alcolismo, tabagismo.

3) INTERVENTO CHIRURGICO

La sorveglianza epidemiologica dimostra che l’incidenza delle infezioni post-chirurgiche varia,


nell’ambito della stessa patologia, da ospedale a ospedale, da chirurgo a chirurgo, da paziente a
paziente.

Chirurgia:
 PULITO: Intervento nel corso del quale non si riscontra flogosi o inquinamento batterico,
eseguito in presenza delle regole di asepsi.
 PULITO-CONTAMINATO: Intervento in una sede anatomica con inquinamento batterico e
rischio di infezione.
 CONTAMINATO: Intervento condotto in presenza di flogosi acuta o con evidente
contaminazione.
 SPORCO-INFETTO: Intervento effettuato in presenza di materiale purulento.
INTERVENTO CHIRURGICO RISCHIO DI INFEZIONE MICRORGANISMI PROBABILI
Strafilococchi (aureo e coagulasi negativi)
Chirurgia pulita <5% Streptococchi
Enterobacilli Gram-
Enterobacilli Gram-
Chirurgia pulito- 10% Enterococchi
contaminata Stafilococco aureo
Anaerobi (Bacteroides spp, Clostridi, etc.)
Enterobacilli Gram-
Enterococchi
Chirurgia contaminata ≥30-40% Stafilococco aureo
Streptococchi
Anaerobi (Bacteroides spp, Clostridi)
Enterobacilli Gram-
Enterococchi
Chirurgia sporca o infetta ≥30-40% Stafilococco aureo
Streptococchi
Anaerobi (Bacteroides spp, Clostridi)

Esiste una correlazione lineare tra durata dell’intervento e rischio infezione post-operatoria.

CHIRURGIA (ORE) % INFEZIONE


0-1 1,3%
2 2,8%
3 4%

Esiste una correlazione lineare tra l’esperienza del chirurgo, la tipologia di intervento ed il rischio di
infezione post-operatoria.

CHIRURGIA ESP. ALTA ESP. MEDIA ESP. BASSA

Pulita 0,2% 2% 3%
Pulito-contaminata 2-15% 10-45% 20-70%
Contaminata, sporca, infetta 75% 80% 100%

4) DEGENZA

La degenza pre e post operatoria è un fattore di rischio per le infezioni.

DEGENZA (GG) % INFEZIONI


0-1 1,2
2-6 2,1
14-20 3,4

PREVENZIONE DELLE INFEZIONI IN CHIRURGIA


1) FASE PRE-OPERATORIA
 PRE-OPERATORI =
a) Evitare la tricotomia del sito chirurgico (in base alle linee guida OMS, peli e capelli non dovrebbero
essere rimossi a meno che non interferiscano con la procedura chirurgica).
b) La tricotomia deve essere realizzata con rasoi elettrici monouso (i rasoi a lama aumentano il rischio
di infezioni rispetto lla depilazione o alla rimozione)
c) Doccia preoperatoria con saponi antisettici.

 PROFILASSI ANTIBIOTICA =
La profilassi riduce la morbilità ed il consumo di antibiotici.

Caratteristiche dell’antibiotico:
1. Azione battericida, in vitro ed in vivo, verso i possibili microrganismi contaminati peruno
specifico intervento.
2. Azione selettiva per i microrganismi.
3. Bassa tossicità per l’ospite.
4. Poco costoso.

L’ antibiotico profilassi deve essere di breve durata per:


1. Attenuare la tossicità del farmaco.
2. Contenere le resistenze batteriche.
3. Ridurre i costi.

Per avere la massima efficacia profilattica l’antibiotico deve essere presente nella sede chirurgica
prima della colonizzazione batterica e persistere per tutta la durata dell’intervento.
Somministrazione alla più alta dose terapeutica.

Tempi di somministrazione:
1. Dose preoperatoria: 30-60’ prima dell’incisione chirurgica.
2. Dose intraoperatoria: durata dell’intervento (≥ al doppio dell’emivita dell’antibiotico impiegato
in profilassi).
3. Dose postoperatoria: mai oltre le 24h.

Antibiotico resistenza:
È accertato e accettato che l’uso scorretto degli antibiotici favorisce l’antibiotico-resistenza, ovvero
la capacità di batteri, di parassiti, di virus e di funghi di proliferare e di diffondersi nonostante la
presenza di molecole antimicrobiche.

Nel 2014 è stato stimato che a livello mondiale cinque nazioni se sei presentavano una prevalenza
di antibiotico-resistenza (ad es. 50% alle cefaosporine di terza generazione) in ambiente
ospedaliero.

Entro il 2050, 10 milioni di decessi saranno riconducibili all’antibiotico-resistenza e 100 trilioni di


dollari delle produzioni economiche mondiali saranno perse per contenerne i danni.

Secondo la WHO (World Health Organization) i principali batteri responsabili dell’antibiotico-


resistenza sono: Enterococcus spp, Staphylococcus aurreus, Klebsiella penumoniae, Acinobacter
baumannii, Pseudomonas aeruginosa e Enterobacter spp (denominati ESKAPE). La loro
caratteristica è l’abilità di sviluppare alti livelli di resistenza a molteplici antimicrobici restringendo
la scelta terapeutica e aumentando la morbilità e la mortalità.

Le infezioni indotte da Clostridium difficile e dalla Candida sono maggiormente riscontrabili durante
la cura antibiotica.
Il CDC (Centers for Disease Control and Prevention) stima che il Clostridium difficile sia responsabile
di ~500.000 malattie e 15.000 decessi ogni anno.

2) FASE PERI-OPERATORIA

 PREPARAZIONE DEL CAMPO OPERATORIO =


La Clorexidina al 2% + Alcol Isopropilico al 70% è l’agente antibatterico piùefficace di tutti
quelli con cui è stata comparato (ad es. Povidone ioduro).

 LA CLOREXIDINA AL 2% + ALCOL ISOPROPILICO AL 70% DIMOSTRA =


Forte azione antibatterica e alta capacità di legame con la cute. Il composto non
vieneinattivato da materiale purulento, sangue e fluidi corporei.

Dopo aver applicato l’antisettico si raccomanda di attendere almeno 3’ per permettere alla cute di
asciugarsi ed evitare il ristagno del disinfettante. L’efficacia residuale del peparato nel contrastare
la crescita batterica raccomanda di non lavare la Clorexidina della cute del paziente per almeno 6h
dopo l’intervento.

3) FASE POST-OPERATORIA

Le azioni incluse in questa fase hanno lo stesso scopo di ridurre il rischio che microrganismi possano
entrare in contatto con la ferita.

L’igiene delle mani è obbligatoria (prima e dopo), ogni volta che la ferita è ispezionata o la
medicazione viene sostituita.

Utilizzare la tecnica asettica “no touch” per l’ispezione della ferita e/o i cambi della medicazione.

1. Non rimuovere la medicazione della ferita nelle 48h successive all’intervento chirurgico (fatto
salve specifiche necessità)
2. Non toccare le aree critiche della ferita.
3. Preparare una area di superficie che riduca il rischio di contaminazione dell’equipaggiamento
sterile.
4. Uso di protezioni personali.

Per la ferita chirurgica si dovrebbero utilizzare medicazioni “moderne” (garantiscono una


copertura adeguata impermeabile a virus e batteri, permeabilità ai gas, stabilità termica,
l’assorbimento dei fluidi, microambiente umido), per determinare condizioni utili alla guarigione.

CONCLUSIONI
1. L’infezione chirurgica è un equilibrio instabile tra i microrganismi esterni e l’ospite.
2. La percentuale delle infezioni post-chirurgiche è sottostimata perché molto spesso si manifestano a
distanza dalla chirurgia e sfuggono alla valutazione statistica.
3. Identificazione dei pazienti a rischio, chirurgia condotta “lege artis”, rigorosa applicazione dei dettati
della prevenzione, sono gli strumenti a disposizione del personale sanitario per contastare l’infezione
post-chirurgica.
4. L’incidenza della infezione chirurgica è uno dei principali indici di qualità dell’assistenza.
USTIONI E CONGELAMENTI
Casi di ustioni sono documentati in alcune pitture rupestri risalenti a più di 3500 anni fa.
Il Papiro Edwin Smith descrive trattamenti a base di miele e balsamo di resina (è il più antico trattato di
medicina giunto fino a noi).
I cinesi utilizzavano le foglie di tè (600 a.C).
Lardo e aceto erano consigliati da Ippocrate di Coo.
Vino e mirra consigliati da Aulo Cornelio Celso.
Nel 1500 il chirurgo francese Ambroise Paré fu il primo a classificare le ustioni secondo diversi gradi.
Guillaume Dupuytren nel 1832 amplia la classificazione a sei livelli di gravità.
1843 a Londra nasce il primo ospedale per ustionati.
Durante la Prima guerra mondiale Henry Drysdale Dakin e Alexis Carrel usano soluzioni di ipoclorito di sodio
(antisettico, sporicida, fungicida, virucida) per la pulizia e la disinfezione delle ustioni e delle ferite.

EPIDEMIOLOGIA
Sono ~11 milioni l’anno i casi di ustione grave in tutto il mondo con 300.000 decessi.
In Italia ~100.000 l’anno, 10.000 ricoveri e 500 decessi.
~90% dei casi si verifica nei paesi in via di sviluppo (sovraffollamento, modo non sicuro di cucinare i cibi); il
60% delle ustioni mortali si verifica nel Sud- est asiatico (11,6 casi / 100.000 abitanti).

Gli infortuni avvengono:


 Nel 70% ambiente domestico,
 Nel 15% ambito professionale,
 Nel 10% infortunistica stradale,
 Nel 5% cause diverse.

USTIONE
È una soluzione di continuo della cute che riconosce diversi gradi di profondità, un causale interessamento
della superficie corporea e agenti eziologici diversi.

CAUSE
 CALORE SECCO: fiamma, oggetti a temperature elevate;
 CALORE UMIDO: acqua, vapore, liquido (>36°C)
 FRIZIONE: ruota dentata, corda, fili metallici, asfalto;
 RADIAZIONE: sole, fulmine;
 SOSTANZE CHIMICHE: acidi (solforico, nitrico, fluoridrico, cloridrico) ed alcali (soda caustica,
detergenti per forni);
 ENERGIA ELETTRICA

DANNO
Dipende dal tempo di applicazione e dalle temperature: un liquido a temperature relativamente basse (60-
70°C) richiede un tempo di applicazione maggiore, rispetto ad uno bollente per provocare lo stesso effetto
lesivo.
Quando l’estensione e la profondità dell’insulto ipertermico coinvolgono in modo grave tutto l’organismo
(malattia da ustione).

CRITERI DI VALUTAZIONE
Per definire una ustione e la prognosi quoad vitam e quoad valetudinem è necessario valutare alcuni,
fondamentali parametri.

1. ESTENSIONE
Esistono numerose tabelle per determinare l’estensione della cute ustionata in relazione alla
superficie corporea totale (TBSA).
Il metodo più semplice è la regola del 9 di Alexander Wallace, di rapido utilizzo, soprattutto per una
prima classificazione sul luogo dell’incidente.

LA SCALA DI WALLACE
testa e collo 9%
arto superiore destro 9%
arto superiore sinistro 9%
arto inferiore destro 18%
arto inferiore sinistro 18%
regione anteriore del tronco 18%
regione posteriore del tronco 18%
genitali 1%

Nei Centri Grandi Ustionati si utilizzano tabelle più complesse con percentuali esatte rappresentate
da ogni segmento corporeo in base all’età.
La più utilizzata è la tabella di Charles Lund e Netwon Browder (1944).

2. PROFONDITÀ
È correlata con la temperatura dell’agente ustionante e con la durata del contatto.
Un tempo classificata in 3 gradi, oggi è subordinata a precisi criteri istologici che distinguono le
ustioni in:
a) SUPERFICIALI (epidermiche, dermiche superficiali);
b) PROFONDE (dermiche profonde, a tutto spessore).

USTIONE EPIDERMICA DI I GRADO


È caratterizzata da una diffusa vasodilatazione con aumento della permeabilità capillare e una
sintomatologia clinica che prevede: dolore di tipo urente, eritema, modesto edema degli strati più
profondi della cute. Presenta slaminamento dello strato corneo, edema dermico, dilatazione
vasale.
Segno clinico: eritema.
È reversibile e guarisce in pochi giorni senza esiti (sono possibili iperpigmentazioni transitorie).

USTIONE DERMICA SUPERFICIALE II GRADO


È caratterizzata da eritema, edema, flittene (bolla) e dolore intenso. L’azione lesiva è maggiore con
danni irreversibili di molti elementi cellulari dello strato malpighiano.
Tipica espressione: bolla o flittene, dovuta dallo scollamento degli strati dell’epidermide per la
pressione dei liquidi trasudati (il liquido appare dapprima sieroso e dopo qualche giorno può
assumere una consistenza gelatinosa).

USTIONE DERMICA PROFONDA II GRADO


Si differenzia dalla superficiale perché il danno coinvolge l’epidermide, il derma medio e le strutture
nervose superficiali rendendo meno intenso il dolore e il bruciore.
Le aree disepitelizzate sono biancastre e non sono infrequenti le escare, espressione di un danno
più grave.
La guarigione spontanea richiede, in media, più di 4 settimane con esiti cicatriziali gravi.

USTIONE A TUTTO SPESSORE III GRADO


È caratterizzata dalla necrosi, a tutto spessore, dei tessuti.
Il dolore non è un sintomo rilevante ed è presente solo alla periferia dell’area necrotica.
L’evoluzione varia in rapporto all’estensione ed alla profondità.
La guarigione spontanea è sempre compromessa da gravi cicatrici patologiche.

3. LOCALIZZAZIONE
Può assumere un ruolo prognostico determinante in relazione all’importanza funzionale ed estetica
della regione anatomica coinvolta.
Sono definite aree di crisi: volto e collo, ascelle, pieghe del gomito, mani, regione sacro-genito-
perineale, arti inferiori.

4. ETÀ DEL PAZIENTE


Le ustioni sono non tollerate agli estremi della vita e la percentuale di mortalità, anche per lesioni
circoscritte, nei bambini (pochi mesi) e negli adulti (>65 anni), è molto elevata.

5. LESIONI ASSOCIATE E/O MALATTIE CONCOMITANTI


Sono elementi di grande importanza per la prognosi di una ustione (patologie dell’apparato
cardiovascolare, renale, diabete, obesità, alcolismo, fratture, etc…)

6. INALAZIONE DI FUMO, OSSIDO DI CARBONIO, GAS TOSSICI


(monossido di carbonio, prodotti della combustione, vapore -> danno termico diretto del tratto
sup. delle vie aeree) è responsabile della maggior parte dei decessi perché la sofferenza polmonare
è più importante di quanto non sia l’estensione della ustione.
Aumento della mortalità 30-40%.

CLASSIFICAZIONE CLINICA DELLE USTIONI

MINORI  II grado <15%


 III grado <2%
MEDIA GRAVITÀ  II grado comprese tra 15% – 30%
 III grado <10% (eccetto mari, faccia, piedi ed organi
genitali)
 II grado >30%
 III grado di viso, mani, piedi >10%
Ustioni complicate da:
GRAVISSIME a) Danno all’apparato respiratorio
b) Danno grave al tessuto molle
c) Fratture
 Folgorazioni

MALATTIA USTIONE
È caratterizzata da una sequenza di eventi fisiopatologici che possono essere riassunti in:

1) FASE SHOCK
È definito secondario (ipovolemico e settico)
È caratterizzato da agitazione, sete, vomito, polso piccolo e frequente, ipotensione, dispnea,
oliguria.
La patogenesi è correlata con l’azione del calore sulla cute che provoca:
 Coagulazione massiva del sangue,
 Danno all’endotelio dei capillari,
 Abbassamento della pressione colloidosmotica,
 Aumentata capacità dell’albero circolatorio,
 Diminuzione della pressione idrostatica capillare.
Il danno a carico dei globuli rossi si determina con modalità diverse:
a) Coagulazione intravasale ed emolisi immediata (riduzione del numero degli eritrociti,
liberazione di emoglobina ed emoglobiburia);
b) Emolisi ritardata (può osservarsi dopo 24h come conseguenza di un danno parziale dei
globuli rossi).

La fase shock è compresa entro limiti di tempo variabili tra 2-5 giorni.

2) FASE TOSSICA-INFETTIVA
Coincide con la comparsa della febbre ed i meccanismi patogenetici sono: intossicazione e
l’infezione.

Elementi caratterizzanti l’intossicazione sono:


a) L’assorbimento di sostanze del disfacimento cellulare (istamina);
b) Le alterazioni metaboliche (iperpotassiemia secondaria, emolisi, necrosi, alterato
metabolismo degli elementi cellulari).

La sepsi è una complicanza obbligata della malattia ustione: batteri Gram+ (staf. Aureo, strep.
anemolitico e beta emolitico), Gram- (alcune specie di proteus, piocianeo, coli), anaerobi (clost.
tetani).

La sintomatologia si manifesta nel IV-V giorno:


Febbre continua, cefalea, nausea, turbe di ritmo cardiaco, ipotensione, ematemesi e melena (ulcera
gastrica di Curling) ed evolve verso la sepsi conclamata con febbre di tipo continuo-remittente o
intermittente.

La durata e la gravità della fase tossica-infettiva è correlata con il quadro clinico e l’appropriatezza
del protocollo terapeutico.

3) FASE IPOPROTEINEMICA-DISTROFICA
L’elemento caratterizzante è la cachessia riconducibile ai gravi disordini metabolici e nutrizionali
della malattia ustione (anemia, disvitaminosi, carenza proteica).

Clinicamente presenta:
Febbricola, astenia, adinamia muscolare, anemia marcata, anoressia, dimagrimento.

La distrofia generale si ripercuote anche localmente con un tessuto di granulazione pallido e


anemico facile preda di processi infettivi.

TERAPIA DELLE USTIONI


Il protocollo si avvia necessariamente nel primo soccorso secondo i principi ATLS (Advanced Trauma Life
Support) e lo schema ABCDE articolandosi, in base ai criteri classificativi, su una terapia medica ed un
trattamento chirurgico.

ATLS= è un programma sviluppato dall’American College of Surgeons, oggi adottato da 51 paesi nel
mondo, finalizzato alla preparazione di medici e infermieri per fornire un approccio standarizzato, basato
sull’evidenza clinica, per il trattamento pazienti politraumatizzati.

Formule per la terapia infusionale:


BSA: Burned Surface Area
TBSA: Total Body Surface Area
Tutte le formule per lo shock sono efficaci ma l’unico indicatore di certezza è il controllo costante della
diuresi (cateterizzazione) che nell’adulto, deve essere mantenuta tra 30 e 50 ml/h: se il valore scende, la
somministrazione di liquidi deve essere aumentata, al contrario, se la diuresi supera i 75 ml/h è necessario
ridurre il volume complessivo.

SCHEMA DI WOLFERTH – PESKIN (DIURESI)

ETÀ VALORI STANDARD


<1 anno 8-20 ml/ora
1-4 anni 20-25 ml/ora
4-10 anni 25-30 ml/ora
>10 anni 30-50 ml/ora

La terapia medica della malattia ustione prevede una valutazione attenta anche del regime dietetico per la
peculiare condizione di ipermetabolismo correlato con l’evento termico e per la necessità di un apporto
energetico utile per i processi riparativi tessutali.

Un’ ustione del 40% di TBSA determina un consumo metabolico 2 volte maggiore della spesa energetica del
metabolismo basale.

LA DIETA DI CURRERI

ADULTO 25 cal. Kg di peso corporeo + 40 cal. punto % di BSA


BAMBINO 60 cal. Kg di peso corporeo + 35 cal. punto % di BSA

La terapia chirurgica dell’ustione è un insieme di interventi medici e chirurgici posti in essere in base alle
condizioni generali e locali del paziente.

CLASSIFICAZIONE APPROCCIO CLINICO DETERSIONE E ANTISEPSI COPERATURA


DISINFEZIONE
Ustioni Medicazione Soluzione fisiologica Creme idratanti
superficiali
Ustioni a Exeresi dei tessuti Clorexidina Pomate Garza + paraffina
spessore parziale necrotici Betadine antisettiche Medicazioni
Amuchina avanzate
Ustioni a tutto Exeresi + WBP Come sopra + enzimi litici Pomate Innesti cutanei
spessore Unguento salicilico, VAC/ antisettiche Coltura
Vista cheratinociti
Sostituti cutanei

L’approccio chirurgico al paziente ustionato si prefigge di:


1. Prevenire l’infezione locale e la sepsi;
2. Ridurre la produzione di tossine;
3. Prevenire le complicanze locali e generali;
4. Promuovere la riparazione tessutale ed una cicatrizzazione fisiologica;
5. Ridurre il numero degli interventi ricostruttivi;
6. Abbattere i costi.

L’escarotomia e la fasciotomia sono provvedimenti chirurgici di emergenza certamente aggressivi ma talore


indispensabili per la prognosi quoad vitam e quoad valetudienem del paziente.
Le ustioni circonferenziali al torace o alle estremità e le escare coriacee che ne derivano sono una
minaccia grave per la vita e per la funzione degli arti:
 Le ustioni circonferenziali al torace possono ridurre la funzione e determinare una insufficienza
respiratoria grave.
 Le ustioni circonferenziali alle estremità sindromi da intrappolamento, necrosi ed ischemie.

TRATTAMENTO CHIRURGICO E SUPERFICIE CORPOREA USTIONATA

USTIONI <30% TBSA -Toilette chirurgica del tessuto necrotico.


-Copertura con autoinnesti.
USTIONI 30%-60% TBSA -Toilette chirurgica del tessuto necrotico.
-Copertura con autoinnesti, omoinnesti da cadavere, sostituti cutanei.
USTIONE >60% TBSA -Toilette chirurgica del tessuto necrotico.
-Copertura con autoinnesti, omoinnesti da cadavere, sostituti cutanei.

RIABILITAZIONE PSICO-FISICA
(Post Traumatic Stress Disorder)
È importante ricorrere precocemente alla fisioterapia ed all’utilizzo di guaine e supporti elastocompressivi,
presidi terapeutici indispensabili per conservare o ripristinare funzione ed estetica delle regioni anatomiche
lese.
Molto spesso per il paziente ustionato è necessario anche un supporto psicologico specialistico durante la
convalescenza e la terapia riabilitativa.

CONGELAMENTI ED IPOTERMIA
(sono comunemente associati)

CONGELAMENTO
Lesione locale che interessa una o più regioni anatomiche del corpo (naso, orecchie, le dita delle mani e dei
piedi) conseguente all’azione del freddo.

IPOTERMIA O ASSIDERAMENTO
Quadro clinico che coinvolge tutto l’organismo

FATTORI CORRELATI CON IL DANNO DA BASSE TEMPERATURE


1. Temperatura
2. Tempo di esposizione
3. Umidità
4. Altitudine
5. Ventilazione
6. Comorbilità (soggetto con diverse patologie)
7. Abbigliamento

Il congelamento si manifesta quando la temperatura scende a -3,9°C (<25°F) anche se la resistenza dei
tessuti viventi è differente (nervi, muscoli e vasi sono particolarmente sensibili mentre cute, connettivo,
tendini e osso sono più resilienti).

DANNO DA BASSE TEMPERATURE – FISIOPATOLOGIA


La patogenesi delle lesioni da freddo riconosce essenzialmente 2 meccanismi:
a) Formazione di cristalli di ghiaccio intra ed extracellulari (disidratazione intracellulare ->
iperosmolarità -> riduzione del volume -> morte cellulare);
b) Vasocostrizione con conseguente vasoparalisi e trombosi.

L’effetto citolesivo aumenta con il diminuire della temperatura e con il tempo di esposizione.
Negli strati di ipotermia e congelamento è possibile distinguere una sintomatologia generale ed un quadro
clinico locale.

La sintomatologia generale prevede turbe della funzione:


1. Cardiaca
2. Respiratoria
3. Encefalica
4. Renale

SEGNI CLINICI GENERALI

1° GRADO: piena coscienza, brividi e agitazione, tachicardia e tachipnea (temp. Centrale 35-32°C);
[cianosi, edema, anestesia, eritema]

Il brivido
È un particolare tipo di tremore involontario, di origine riflessa, a carattere spesso ritmico e accessionale, a
carico di gran parte dei muscoli scheletrici e associato a vasocostrizione, senso di freddo e orripilazione
(piloerezione o pelle d’oca).È una reazione dell’organismo che determina un aumento dell’attività
muscolare e, dunque, la produzione di calore utile per mantenere costante la temperatura corporea.

2° GRADO: sonnolenza/ confusione, falso benessere, bradipnea, polso aritmico (temp. Centrale 32-28°C);
[flittene]

3° GRADO: incoscienza, segni vitali difficilmente percettibili se non con strumentazione (temp. Centrale
28-24°C);
[necrosi]

4° GRADO: assenza segni vitali, asistolia o fibrillazione o altre alterazioni (temp. Centrale <24°C -> morte
apparente);
[gangrena]

5° GRADO: (temp. Centrale <15°C -> morte).

COSA FARE
1. Isolare il paziente da freddo e umidità e rimuovere indumenti bagnati e/o stretti.
2. Riscaldare le parti congelate e il corpo in modo graduale (acqua con temperatura tra 35-40°C,
indumenti o con le mani senza strofinare).
3. Proteggere le parti lese con cotone idrofilo.
4. Somministrare bevande zuccherate e calde.
5. Rimuovere ogni ostacolo alla circolazione sanguigna.
6. Controllare, se possibile, frequenza cardiaca e respiratoria.
7. Trasferire il paziente in ospedale.

COSA NON FARE


1. È sconsigliato frizionare le parti interessate con mani, alcol o neve (aumenta la dispersione del
calore residuo e aggrava il danno tessutale).
2. Evitare se possibile il riscaldamento con fonti di calore secco (fuoco, aria calda, etc… di cui non si
può controllare la temperatura e possono procurare ustioni).
3. Evitare aumenti troppo repentini della temperatura corporea.
4. Non rompere le bolle eventualmente presenti.
5. Non somministrare farmaci, droghe, sigarette o alcolici (vasodilatazione periferica e ulteriore
perdita di calore).

TERAPIA MEDICA
Somministrazione di farmaci per os ed ev (ibuprofene e oppiacei e.v.) per velocizzare il riscaldamento del
paziente.
Utili sono la somministrazione di vitamina C, acido acetilsalicilico, creme a base di aloe (ogni 6 ore).

LA CHIRURGIA
(sbrigliamento, amputazione) Deve essere differita (giorni, settimane) fino a quando non si rendano
chiaramente evidenti la demarcazione, la formazione di escare e la necrosi dei tessuti.

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