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INNESTI E LEMBI
Per INNESTO (o graft) si intende il trapianto di uno o più tessuti, o di una parte di essi,
prelevati da una sede originaria, interrompendo le connessioni vascolari, in una sede
ricevente.
Si distinguono in:
- SEMPLICI, quando costituiti da un solo tessuto (cute, mucosa, derma, tendine,
muscolo, fascia, nervo, osso, cartilagine, adipe).
- COMPOSTI, quando costituiti da più tessuti.
- CONTINUI, quando il prelievo dell’innesto è delle stesse dimensioni della zona da
ricoprire.
- DISCONTINUI, se l’innesto non copre tutta la perdita di sostanza (le zone non
coperte possono cicatrizzare secondariamente partendo dai margini dell’innesto).
Si distinguono, in base al soggetto donatore e ricevente:
1) AUTOINNESTI, il donatore ed il ricevente sono la stessa persona;
2) OMOINNESTI, il donatore ed il ricevente appartengono alla stessa specie:
- ISOinnesti se il donatore ed il ricevente hanno identica antigenicità (gemelli
monocoriali);
- ALLOinnesti se l’antigenicità è simile;
3) ETEROINNESTI, donatore e ricevente appartengono a specie diverse (ormai in
disuso, erano usati per il trattamento dei grandi ustionati, ad esempio con cute di
maiale);
La principale indicazione all’uso di omo ed etero innesti sono i grandi ustionati.
Si distinguono, in base all’uso che se ne fa:
1) ISOTOPICI, il tessuto viene usato per colmare una perdita di sostanza di un tessuto
identico in altra sede;
2) ETEROTOPICI, il tessuto viene invece utilizzato in sostituzione di un altro tessuto
(cartilagine in sostituzione della struttura fibrosa tarsale, cute in sostituzione di
mucosa del cavo orale, ecc.);
INNESTI DI CUTE
L’innesto di cute viene usato in caso di:
- ustioni
- traumi
- escissioni di tumori e nevi giganti
Mentre è controindicato se vi è esposizione di tessuti nobili (osso e strutture nervose) pieghe
di flessione (l’innesto va incontro a retrazione cicatriziale durante l’attecchimento) o unità
estetiche.
In base allo spessore del lembo è possibile distinguere:
- INNESTI A SPESSORE PARZIALE, possono essere prelevati a mano libera o
tramite DERMATOMO manuale o elettrico, da zone cutanee ben deterse, distese e
ampie come superficie antero laterale di coscia, regione glutea o inguinale. Nel caso
in cui sia necessario coprire una vasta zona corporea, si può inserire il tessuto
prelevato in un “mesher” o “mesh graft”, che pratica incisioni longitudinali estendendo
il prelievo a rete ed aumentandone la superficie da 2 a 10 volte.
1) EPIDERMICI (Ollier-Thiersh) di spessore compreso tra 0,2 e 0,25 mm,
comprende epidermide e porzione superiore delle papille dermiche.
2) DERMO EPIDERMICI A PICCOLO SPESSORE (Blair-Brown) di spessore
compreso tra 0,3 e 0,4 mm, comprende epidermide e strato papillare del
derma.
3) DERMO EPIDERMICI A MEDIO SPESSORE (Padget) di spessore compreso
tra 0,5 e 0,6 mm, comprende epidermide e derma fino al confine con lo strato
reticolare.
VANTAGGI E SVANTAGGI
- ampia disponibilità di tessuto
- processo di attecchimento meno indaginoso e più rapido
- guarigione spontanea della sede del prelievo
—
- maggior tendenza a discromie
- maggiore tendenza alla retrazione
- insufficiente copertura degli strati profondi
- scarso risultato estetico
- INNESTI A TUTTO SPESSORE (Wolfe-Krause) di spessore compreso tra 0,8 e 1
mm, comprendono epidermide e derma. Il prelievo viene effettuato a mano libera con
un bisturi. Le sedi di prelievo sono quelle zone in cui sarà meno visibile il danno
estetico, ovvero quelle in cui l’elasticità dei tessuti consentirà una guarigione per
prima intensione: la superficie interna del braccio, la regione sovraclaveare, inguinale
e retroauricolare.
VANTAGGI E SVANTAGGI
- minor tendenza alla discromia
- minor tendenza alla retrazione
- buona copertura dei piani profondi
- buon risultato estetico
—
- processo di attecchimento più indaginoso e più lungo
- scarsa disponibilità di tessuto
ATTECCHIMENTO DELL’INNESTO
Un innesto è per definizione privo di vascolarizzazione propria e viene detto “attecchito”
quando stabilisce connessioni vascolari con la zona ricevente.
L’attecchimento segue 3 fasi:
1) fase dell’IMBIBIZIONE (24-36 ore) in cui l’innesto viene nutrito dall’imbibizione sierica
del fondo (presenza di glucidi e proteine nell’interfaccia innesto / area ricevente),
maggiore è lo spessore dell’innesto e più difficoltosi saranno i processi di
angiogenesi. L’innesto a spessore sottile è immobilizzato (tramite medicazione
compressiva, “moulage”) per 4 giorni, quello a tutto spessore per 6 giorni circa.
2) fase dell’ANGIOGENESI o inosculazione vascolare (24-72 ore), in questa fase i vasi
dell’innesto non più sottoposti all’inibizione da contatto proliferano, finchè non si
connettono con i vasi della zona ricevente.
3) fase della CONTRAZIONE (6-12 mesi) in cui l’innesto va incontro rimodellamento e
retrazione cicatriziale (anche in parti sensibili, come le palpebre) e a possibili
variazioni cromatiche.
Le cause più comuni di mancato attecchimento sono:
- ematomi
- infezioni
- inadeguatezza del fondo
- insufficiente immobilizzazione
COLTURA DI CHERATINOCITI
E’ un metodo di copertura da utilizzare nel caso di grandi superfici scoperte, temporaneo o
definitivo. L’innesto viene prodotto dalla coltura di cute autologa per 15 giorni circa, con
superficie iniziale di 2 cm2.
INNESTI DI DERMA
Vengono usati per rinforzare la parete addominale in laparoceli o deficit muscolari. Il prelievo
viene effettuato con dermatomo o a mano libera previa disepitelizzazione della zona
prescelta.
Ovvi esistono materiali biologici eterologhi di origine bovina, il collagene sottoposto a vari
trattamenti diviene liquido e può essere iniettato dove necessario a ripristinare deficit
volumetrici.
INNESTI DI MUCOSA
La sede di prelievo più comune è il vestibolo buccale, meno frequentemente la mucosa
nasale o vaginale. Gli innesti di mucosa vengono usati per rimpiazzare deficit mucosi.
Il processo di attecchimento è quasi identico agli innesti cutanei. Anche se gli innesti di
mucosa tendono maggiormente a retrarsi durante l’attecchimento, per questo motivo la
sostanza innestata dovrebbe essere sovrabbondante rispetto al vuoto da colmare.
INNESTI DI ADIPE
La sede di prelievo è solitamente la regione ipogastrica o glutea. Si può prelevare solo adipe
o anche derma e iniettare il materiale in zone di deficit volumetrico per ristabilire la normale
anatomia. Data la spiccata tendenza a riassorbire, sarebbe bene anche in questo caso
ipercorreggere il difetto.
INNESTI DI FASCIA
La fascia è un tessuto altamente resistente e l’unico usato nel trattamento plastico della
paralisi del nervo facciale, nella ptosi palpebrale e in neurochirurgia come sostituto della
dura madre.
L’innesto è prelevato tramite un FASCIOTOMO a livello della fascia lata (struttura
connettivale esterna della coscia) mediante piccole incisioni o a cielo aperto.
INNESTI DI MUSCOLO
Vengono usati per riparare minus muscolari a livello facciale. I tessuti donatori sono
solitamente i muscoli estensori brevi delle dita del piede o dal palmare lungo. Per evitare che
il muscolo vada incontro ad atrofia, è bene denervare il muscolo tempo prima e rinnervare
durante l’apposizione dell’innesto.
INNESTI DI TENDINE
Sono usati spesso in traumatologia della mano e dell’arto superiore per ristabilire la
continuità di tendini con monconi troppo distanti per essere riaccostati direttamente. Il tendini
vengono prelevati a livello delle dita del piede o del palmare lungo, con l’accortezza di non
ledere il suo rivestimento esterno o il suo peritendine.
INNESTI DI VENA
Il vaso donatore è prelevato dalle vene della superficie dorsale della mano o più spesso
dalla vena safena. L’innesto venoso può essere usato per sostituire un vaso venoso ma
anche un vaso arterioso (con il tempo la muscolatura vasale venosa si “arterializza”).
Particolare attenzione va posta alla direzione del flusso, in quanto la presenza di valvole
nell’innesto potrebbe ostacolare il flusso sanguigno.
INNESTI DI NERVO
Vengono usati per riparare perdite di sostanza che riguardano i nervi periferici.
Secondo SUDDON e SUNDERLAND esistono diversi gradi di lesione nervosa:
- NEUROAPRASSIA (1° grado di SUDDON e SUNDERLAND): temporanea lesione
del rivestimento mielinico di un nervo che guarisce spontaneamente con restituzio ad
integrum.
- ASSONOTMESI (2° grado di SUDDON e SUNDERLAND): soluzione di continuo
dell’assone ma integrità del tubo endoneurale, la rigenerazione è spontanea.
- NEUROTMESI (3° grado di SUDDON e 3°, 4° e 5° grado di SUNDERLAND):
sezione completa dell’assone e della fibra nervosa (nel 3° il perinevio è integro, nel
4° è danneggiato, nel 5° completamente sezionato).
Le sedi di prelievo sono il nervo surale e femorale.
INNESTI D’OSSO
Vengono usati negli esiti di fratture comminute o con perdita di sostanza ossea per dare un
sostegno maggiore specie in particolari regioni, come il dorso del naso.
Gli innesti ossei possono essere:
- di sola CORTICALE
- di sola SPONGIOSA
- COMBINATI di corticale e spongiosa
Vengono prelevati dalla superficie antero mediale della tibia (per gli innesti corticali), dalla
cresta iliaca (per gli innesti corticali e spongiosi) o dalle coste (per gli innesti corticali e
spongiosi).
Un dubbio si pone sulla scelta di prelevare il periostio con l’innesto, allo scopo di facilitare
l’attecchimento dopo il trapianto, o lasciare il periostio in sede per favorire la rigenerazione
tissutale del sito di prelievo.
L’innesto osseo è infatti gravato da una serie di svantaggi:
1) notevole dolore post operatorio nella sede di prelievo
2) fratture precoci
3) rischio di infezione
4) possibile riassorbimento
INNESTI DI CARTILAGINE
Vengono prelevate dalle cartilagini costali e usate per sostituire con trapianto isotopico le
cartilagini nasali e auricolari o come trapianto eterotopico in sostituzione della struttura
fibrosa tarsale.
L’attecchimento è semplice in genere.
Per LEMBO (o flap) si intende il trapianto di uno o più tessuti o una parte di essi,
mantenendo la connessione vascolare con l’area donatrice. Questo è il motivo per cui i
lembi, aventi vascolarizzazione autonoma non hanno bisogno di contrarre rapporti vascolari
con la zona ricevente e non vanno incontro a fenomeni di “attecchimento” in senso stretto.
Il lembo è stabile nel tempo, non va incontro a sofferenza caratteristica dell’innesto che ne
causa la retrazione.
Le indicazioni al loro utilizzo sono:
1. l’esposizione di tessuti nobili: arterie, vene, tendini, strutture capsulo-legamentose,
articolazioni, scheletro
2. danno a carico di pieghe di flessione
I lembi sono classificati a seconda di:
- VASCOLARIZZAZIONE:
1) LEMBI ASSIALI o a vascolarizzazione prestabilita, sono lembi in cui i vasi
hanno decorso prevedibile (lembo inguinale o ipogastrico irrorato dall’arteria
iliaca circonflessa superficiale).
2) LEMBI RANDOM o casuali in cui le dimensioni del peduncolo vengono
ampliate per contenere una più alta percentuale di vasi (anche venosi).
3) LEMBI LIBERI (microchirurgici): si trasferisce il lembo a distanza
interrompendo le connessioni vascolari con l’area donatrice e
anastomizzando microchirurgicamente vasi sezionati a vasi di dimensioni
idonee sull’area ricevente (“FREE FLAP”).
E’ possibile trasformare un lembo random in assiale: durante il prelievo si delimita
perifericamente il lembo con profonde incisioni, senza scollarlo dai piani profondi, si
suturano i margini in modo da dilatare il circolo residuo e favorire la neoangiogenesi.
- SEDE D’ORIGINE:
1) LEMBI IN VICINANZA, allestiti nel caso in cui il tessuto delle zone adiacenti
la perdita di sostanza sia sufficiente a ricoprire il gap.
2) LEMBI A DISTANZA, possono essere diretti, ovvero prelevati in un unico
tempo operatorio (lembo addominale da intascamento, in cui la cute
addominale viene usata per colmare perdita di sostanza di mano o braccio, o
il lembo a gambe incrociate in cui la cute di gamba o coscia viene usata per
colmare una perdita di sostanza della gamba controlaterale) o indiretti (lembi
tubulati, bipeduncolati), per cui serve autonomizzare il lembo in più sessioni e
rimodellarlo infine a livello dell’area ricevente.
- MOVIMENTO:
1) avanzamento
2) rotazione
3) traslazione
- FORMA:
1) LEMBI PIANI, rettangolari, quadrangolari, triangolari, curvilinei, mono, bi e
trilobati.
2) LEMBI TUBULATI sono bipeduncolati a distanza, per il loro allestimento si
eseguono 2 incisioni parallele sulla cute da innestare, si scolla tutta la cute ivi
compresa e si suturano i margini della sede di prelievo, per evitare di
mantenere i tessuti sottostanti esposti. Quindi i margini del lembo si suturano
tra loro mantenendo la cute all’esterno e il lembo verrà poi trasferito a
distanza.
La scelta di una particolare forma permette una riparazione fedele della zona
ricevente e condiziona il tempo di spostamento del lembo da una parte all'altra, come
nel caso dei lembi bilobati a livello nasale.
- PEDUNCOLO:
1) PERMANENTE in cui il peduncolo non viene reciso dopo il loro trapianto.
2) TEMPORANEO in cui il peduncolo viene reciso dopo che le connessioni
vascolari con l’area ricevente si sono stabilite.
3) DERMICO, usati ad esempio in tecniche di mastoplastica per l’innalzamento
dell’areola.
4) SOTTOCUTANEO, ad esempio il lembo temporale, irrorato dall’omonima
arteria.
5) VASCOLARE, detti ad isola, in cui il peduncolo è costituito da soli vasi.
Per i lembi del viso il rapporto tra lunghezza del lembo e dimensioni del peduncolo
può essere di 1:1, mentre per i lembi degli arti inferiori il rapporto è di 3:1 o 4:1.
- FLUSSO:
1) DIRETTO
2) INVERTITO
- COMPOSIZIONE TISSUTALE: raramente un unico tessuto costituisce il lembo (es.
lembi muscolari), mentre solitamente più tessuti vengono prelevati dalla sede
donatrice (es. lembi pluritissutali) ma la denominazione del lembo dipende dal
tessuto predominante:
1) cutanei
2) dermici
3) dermo adiposi
4) ghiandolari
5) mio cutanei (il lembo di muscolo gracile è indicato nel caso di ricostruzione di
lembi lunghi, ad esempio a livello dei flessori dell’avambraccio)
6) fascio cutanei (il lembo radiale è il più usato per la ricostruzione a livello del
tendine d’achille)
7) osteo composti (il lembo di perone vascolarizzato è il più impiegato nelle
ricostruzioni ossee lunghe come la ricostruzione di mandibola o tibia e
traumatismi con importanti perdite di sostanza, avendo una duplice
vascolarizzazione - endomidollare ed arcuata - e non causando la sua
asportazione, avendo l’accuratezza di lasciare almeno 7-8 cm a livello distale,
danni a livello locale o instabilità della caviglia)
Spesso si decide di includere il tessuto sottostante al lembo prelevato per garantire
una migliore vascolarizzazione, ad esempio: i tessuti sovrafasciali vengono prelevati
includendo la fascia nel lembo; i lembi asportati da zone sovramuscolari tendono ad
essere asportati insieme al muscolo (sempre che la sua funzione non sia essenziale)
per migliorarne la vitalità.
PATOLOGIA NEOPLASTICA
della CUTE
Le precancerosi sono delle lesioni che compaiono prima del tumore cutaneo vero
e proprio. Si suddividono in:
Precancerosi Obbligate
Precancerosi Facoltative
PRECANCEROSI OBBLIGATE
Sono lesioni cutanee nelle quali la trasformazione verso una neoplasia è da
considerare come un epifenomeno, un’evoluzione naturale che avviene in uno
spazio di tempo più o meno breve.
Le precancerosi obbligate si distinguono in due gruppi:
1. Ereditarie
- Xeroderma Pigmentoso è una malattia della cute a trasmissione ereditaria
autosomica recessiva, a penetranza incompleta, caratterizzata da un
aumento incredibile della fotosensibilità. E' dovuta ad un difetto enzimatico di
una ligasi del DNA. I neonati, appena vengono esposti per le prime volte alla
luce solare, cominciano a presentare delle alterazioni cutanee a carattere
discromico e cheratosico (efelidi e delle lentiggini, proliferazioni della linea
melanocitaria, ipercheratosi, cheratosi attiniche o cheratosi solari). Nelle fasi
avanzate il paziente, non sottoposto a trattamenti e follow-up sulle cheratosi
attiniche, si ricoprirà di carcinomi squamocellulari con fenomeni distruttivi e
invasivi.
- Epidermodisplasia Verruciforme (Malattia di Lewandowsky Lutz): è una
condizione sporadica o autosomica recessiva. Il paziente in questo caso ha
un abnorme suscettibilità alle infezioni da Human Papillomavirus ed in
particolare dei sierotipi 5 , 8, 17, 20. Questi pazienti sin dai primi mesi di vita
vanno incontro a ripetute infezioni da HPV che si manifestano sul piano
cutaneo sottoforma di verruche. La cute si presenta cosparsa di lesioni
verrucose di piccole dimensioni, singole o confluenti a placche ma diffuse, e
anche se poco visibili interessano aree estese di cute. Nel soggetto di razza
nera la papula si sarà depigmentata e assumerà un aspetto biancastro e
cheratosico. Un’epidermide diffusamente danneggiata dal virus dell’ HPV
presenta un aspetto chilocitosico diffuso a quasi tutte le cellule
dell’epidermide. Ogni singola lesione va incontro a degenerazione
neoplastica diventando carcinoma spinocellulare.
2. Acquisite
- Cheratosi Attinica è a carico della cute mentre la Cheilite Attinica è il suo
equivalente a carico delle sedi mucose delle labbra. La lesione non è in realtà
molto specifica: si tratta infatti di lesioni maculo papulose, rotondeggianti, di
colorito vagamente eritematoso, ricoperte da squame biancastre o grigiastre,
aderenti all’epidermide che se rimosse meccanicamente danno adito a
sanguinamento abbondante. Nei casi più gravi di cheratosi attinica si trovano
quasi tutti i carcinomi spinocellulari infiltranti e invadenti. Il corno cutaneo
epiteliomatoso che in realtà è una cheratosi attinica in cui la proliferazione
epidermica assume questa vegetazione a corno. E' una lesione vegetante al
di sotto di cui si trova un carcinoma squamocellulare o spinocellulare.
- Leucoplachia è una lesione della mucosa del cavo orale, di colorito
biancastro localizzata nella mucosa in genere geniena con forma triangolare
con l’apice rivolto in corrispondenza della commissura e la base verso il
fornice posteriore, che insorge generalmente nell’età senile ed è molto rara
nei giovani. Il suo aspetto clinico varia in relazione alla sua fase evolutiva e
alla sua fase di stato. Inizialmente si presenta come un imbiancamento della
mucosa a superficie liscia mentre nelle fasi successive la lesione tende ad
infiltrare e quindi ad assumere un aspetto acciottolato e mammellonato fino
ad arrivare a lesioni francamente verrucose. Nelle fasi avanzate compaiono
ulcere erosive e quant’altro, per la trasformazione maligna concomitante.
- Radiodermiti: sono delle lesioni dermatologiche che insorgono in sedi esposte
a radiazioni ionizzanti, in genere a seguito di radioterapia postoperatoria per
tumori a carico di organi e apparati. La cute radiodermica appare
diffusamente secca, xerotica e ricoperta dalle lesioni verrucose e vegetanti
che vanno incontro a trasformazione carcinomatosa.
La Radiodermite cronica Tardivo-Professionale si presenta nei soggetti che
per attività professionale stavano esposti alle radiazioni ionizzanti: radiologi e
tecnici di radiologia. Si notavano lesioni soprattutto a carico delle sedi distali
del dorso delle mani (scomparsa dei peli nelle falangi distali e alterazione
delle unghie, distrofiche)
- Cheratosi Arseniacali lesioni presenti sul palmo delle mani di soggetti esposti,
per attività lavorativa e professionale, all'arsenico. La lesione è sempre
piuttosto monotona e ripetitiva, di tipo cheratosico, singola, circoscritta,
confluente e con un aspetto verrucoso e proliferativo centrale.
- Lichen Scleroatrofico è una patologia autoinfiammatoria su base autoimmune
caratterizzata dalla formazione di anticorpi che vanno a localizzarsi a livello
della giunzione dermoepidermica e ne determinano la degradazione con
conseguente accumulo di un infiltrato infiammatorio cellulare a ridosso della
membrana basale. Clinicamente si presenta con lesioni inizialmente
lenticolari e maculose, di colorito biancastro, singole che rapidamente
tendono a confluire determinando la formazione di ampie aree e placche a
contorni irregolari e a superficie liscia e lucida. Se sono localizzate in
corrispondenza dell’ostio vaginale o del’uretra rispettivamente nei due sessi si
verifica atresia dell’ostio vaginale e stenosi uretrale. In prossimità della
fossetta navicolare si possono avere lesioni maculose e lenticolari di colorito
biancastro, che appare completamente chiusa e quasi collabita. Quindi oltre
all’evoluzione tumorale (carcinoma verrucoso o carcinoma squamocellulare: il
carcinoma verrucoso ha meno tendenza all’invasività linfonodale mentre lo
spinocellulare invade immediatamente i linfonodi loco-regionali), la malattia
può dare i danni di tipo funzionale e meccanico.
PRECANCEROSI FACOLTATIVE
Sono una serie varia e non omogenea di patologie, in genere costituite da
processi infiammatori cronici come il lupus eritematoso discoide, le ulcere varicose, le micosi
profonde e fenomeni cicatriziali che nel corso della loro evoluzione possono trasformarsi in
carcinoma.
CARCINOMI IN SITU
Si tratta di tumori maligni che rimangono confinati per un tempo più o meno
breve o più o meno lungo nell’ambito dell’epidermide.
Non superano la giunzione dermoepidermica.
Per quanto l’istopatologia del tumore sia maligna con le mitosi, le atipie e le
proliferazioni cellulari, la lesione essendo confinata all’epidermide non darà mai
metastasi perchè l’epidermide non è vascolarizzata.
Solo in un secondo momento in tempi variabili, il carcinoma può superare la
membrana basale e diventare un carcinoma invasivo progredendo verso il basso.
I carcinomi in situ sono rappresentati da:
Malattia di Bowen: è dovuta all’esposizione cronica ai raggi ultravioletti e
quindi a fotoesposizione cronica; interessa le sedi fotoesposte come il viso,
le mani e, soprattutto nel sesso femminile, gli arti inferiori. La lesione si
presenta come una chiazza di forma vagamente rotondeggiante di colorito
eritematoso con limiti molto netti e definiti, appena rilevata sul piano
cutaneo e spesso sormontata da squame aderenti. Dal punto di vista
istologico, la lesione presenta una caratteristica: le cellule dell’epidermide
che sono ordinate secondo degli strati, nel morbo di Bowen si presentano
come dei dadi che sono stati mescolati e gettati e quindi sono distribuiti in
modo causale, con una completa disorganizzazione citoarchitetturale.
Eritroplasia di Queyrat (variante mucosa della malattia di Bowen): con
tale termine si intende: carcinoma in situ che interessa la mucosa genitale
maschile.
Si presenta come una placca rossa, a limiti ben definiti, leggermente
rilevata, con superficie spesso vellutata, talvolta dolente e pruriginosa.
La malattia non colpisce i maschi circoncisi. Probabilmente un ruolo
importante è giocato dall’HPV.
Papulosi Bowenoide: è indotta dalla infezione virus oncogeni (HPV 16 e 18).
Clinicamente si manifesta sottoforma di papule rotondeggianti, multiple,
leggermente rilevate, in genere di colorito bruno o pigmentate sulle regioni
genitali e paragenitali (asta, glande, vulva e regione pubica). In casi gravi è
interessata la regione perineale.
Malattia di Paget: lesione eritematosa lievemente rilevata coperta da una
fine desquamazione simil-eczematosa del capezzolo e dell’areola
mammaria al di sotto di cui è presente un carcinoma duttale infiltrante.
Esiste una variante di Paget extramammario che si localizza in genere
nelle zone genitali, zona perianale e perineali. Questa forma è associata a
carcinomatosi del retto o carcinomi annessiali della sede in cui si localizza.
La caratteristica della malattia di Paget sia mammaria che extramammaria
è quella di trovare nel contesto del tumore epidermidale la presenza di
cellule a citoplasma chiaro con un pattern immunoistochimico particolare,
grandi e rotondeggianti a citoplasma chiaro che prendono il nome di
cellule di Paget.
CARCINOMI INVASIVI
I carcinomi invasivi sono i basocellulari e spinocellulari ( nei nuovi testi gli
anatomipatologi non li chiamano più epiteliomi) o squamosi.
Una terza varietà e la variante verrucosa del carcinoma che ha delle sedi di
localizzazioni particolari e tipiche.
CARCINOMA BASOCELLULARE
E’ un tumore epiteliali in cui l’elemento costituente la neoplasia ricorda dal
punto di vista morfologico le cellule dello strato basale donde il nome (che non è legato
all’istogenesi perchè non deriva da cellule dello strato basale, ma da cellule embrionali
localizzate a livello di una zona del follicolo pilifero che sta nel contesto dell’epidermide).
In assoluto è il più frequente tumore maligno della cute. Insorge dopo la quarta
decade di vita e la sede più frequentemente colpita è il viso, rara è invece la
localizzazione palmo-plantare.
E’ un tumore maligno perchè ha una proliferazione cellulare atipica che nel
decorso aggredisce i tessuti limitrofi dando metastasi per continuità e per
contiguità (mentre metastatizzano molto raramente per via ematica o linfatica e
se lo fanno, le metastasi giungono ai linfonodi loco regionali).
Dal punto di vista clinico vengono suddivisi in superficiali, rilevati, ulcerosi e
pigmentati.
1. Le forme superficiali come dice la stessa parola non sono rilevate e quindi stanno
nello stesso piano della cute. Possono avere morfologie cliniche estremamente
differenti:
- forme eritematose
- forme eczematose ricoperte da squamocroste
- forme con squamocroste ancora più evidenti
- forme eritematose con piccole abrasioni e lesioni minime.
C’è un dato clinico che accumuna sempre e costantemente tutte le forme del
carcinoma basocellulare: l’orletto periferico.
Esso appare netto e rilevato rispetto alla cute sana circostante. E’ come se fosse
un orletto formato da micropapule, tipo le perle di una collana disposte l’una
accanto all’altra.
2. Le forme rilevate si sollevano rispetto al piano cutaneo e comiciano ad essere
papulose, nodulari, micronodulari con la superficie mammellonata.
Un segno tipico del carcinoma basocellulare rilevato è la presenza di teleangectasie sulla
sua superficie.
3. La forma ulcerativa è sicuramente la forma più aggressiva del basocellulare.
Essa si trova a formare lesioni minime dette “a colpo d’unghia” dove il paziente
riferisce la presenza di una piccolissima escoriazione (una crosticina che sanguina e
non guarisce mai). Si localizza prevelentemente nel viso. Si trovano anche casi di
grandi lesioni centrali che sono di più facile diagnosi (ad es. sul cuoio capelluto la
presenza di una lesione ulcerata a bordi netti ci fa sospettare un carcinoma
basocellulare ulcerato).
4. I basocellulari pigmentati rivestono un’importanza fondamentale nella diagnostica
perchè sono dei simulatori o dei mimi del melanoma. Se ci si trova difronte ad una
lesione pigmentata, bruna, scura e nodulare si può pensare alla possibilità di un
melanoma. Questa lesione può essere un carcinoma basocellulare quando l’orletto
periferico è evidente.
CARCINOMA SPINOCELLULARE
Il carcinoma spinocellulare è formato da elementi costitutivi che ricordano le
cellule dello strato epidermico spinoso, insorge più tardivamente e meno
frequentemente del carcinoma basocellulare.
Prende origine da alcuni stipiti di cellule dello strato basale dell’epidermide.
Ha spiccatissima predilezione per le aree fotoesposte.
Si distinguono forme primitive che insorgono ex novo su cute sana (è anche possibile la
localizzazione a cavallo tra mucosa ed epidermide orale e rettale) e forme che insorgono su
precancerosi (malattia di Bowen, eritroplasia di Queyrat, ecc.).
Le forme primitive si distinguono in ordine di frequenza in:
- forme ulcero-vegetanti: neoformazioni infiltrative di consistenza dura, incassate nei
tessuti, a superficie ulcerata, con perdita di sostanza, con fondo mammellonato,
ricoperto da vegetazioni spesso cheratosiche e a bordi in distinti ed erosi, duri e
ispessiti, i bordi sono indistinti e non netti.
- forme rilevate: si presentano procidenti sul piano cutaneo e possono assumere
aspetto vario, spesso come neoformazioni nodulose apprezzabili palpatoriamente,
altre volte l’adesione nodulare rilevata è ricoperta da un’induito squamocrostoso,
oppure (come nella cheratosi attinica), il rilievo è centrato da una massa cornea che
si manifesta sottoforma di corno cutaneo.
- forme superficiali: aspetto modicamente vegetante o papillomatoso e sono tendenti
ad infiltrare i tessuti sottostanti.
Nell’aspetto istologico dello spinocellulare risalta all’occhio questa massa proliferante che
all’interno tende a cheratinizzare e quindi a ricreare lo strato corneo allo stesso modo
dell’epidermide nelle condizioni normali.
CARCINOMA VERRUCOSO
E’ una proliferazione esofitica di aspetto verrucoso. Si localizza elettivamente
alle superfici acroposte, quindi superfici palmo - plantari e ai genitali. raramente
a livello del cavo orale dove prende il nome di papillomatosi orale florida.
L’immagine istologica del carcinoma verrucoso è molto particolare perchè ricorda
la forma delle “fiamme dell’inferno”.
PATOLOGIA MALFORMATIVA
della MAMMELLA
- MAMMELLA TUBEROSA: il seno tuberoso si caratterizza per alterazioni nella
morfologia della ghiandola mammaria che tende a svilupparsi in maniera anomala
assumendo una forma stretta e lunga, spesso definita, appunto "tuberosa" o
"tubulare".
Le malformazioni che caratterizzano il seno tuberoso possono manifestarsi già dalle
prime fasi di sviluppo della donna, quindi fin dall'adolescenza.
Il seno tuberoso si manifesta a causa di uno sviluppo anomalo del tessuto mammario
che tende ad accumularsi e concentrarsi nella zona dietro l'areola, assumendo la
tipica forma.
Si pensa che possano avere un ruolo nell'eziologia della malformazione l'esposizione
a inquinanti ambientali e gli eventuali ormoni assunti con l'alimentazione.
1. TIPO 1: vi è una mancanza di tessuto mammario localizzata soprattutto nei
quadranti interni e inferiori della mammella.
2. TIPO 2: mancanza di tessuti nei quadranti inferiori del seno, con areole più o
meno dilatate (generalmente si manifesta in seni di dimensioni
medio-piccole).
3. TIPO 3: mancato sviluppo del tessuto mammario in tutti i quadranti, con un
seno che appare “proiettato in avanti”. L'areola non necessariamente è
dilatata.
4. TIPO 4: è la forma più grave e si caratterizza per una severa mancanza dello
sviluppo del tessuto mammario in tutti i quadranti del seno (così come
avviene nel tipo 3). L'areola non assume mai forma e dimensioni normali, ma
può occupare l'intero seno.
Le principali metodiche e tecniche impiegate in chirurgia estetica per trattare il seno
tuberoso sono generalmente effettuate durante l’età adulta, attendendo la completa
formazione delle mammelle e comprendono interventi di:
- MASTOPESSI
- MASTOPLASTICA ADDITIVA
- LIPOFILLING
- TECNICHE COMBINATE
dei GENITALI
- IPOSPADIA: L'ipospadia è una malformazione urogenitale caratterizzata
dall'apertura anormale dell'uretra sulla faccia inferiore del pene e dall'incurvamento in
basso di quest'ultimo organo.
E' il risultato di un difetto di saldatura tra i margini della doccia che si forma alla faccia
inferiore del pene in seguito a vacuolizzazione della lamina epiteliale.
L'ipospadia può essere anteriore (50%), media (20%) o posteriore (30%).
La posizione coronale del meato uretrale è in assoluto la più comune ed è associata
ad una cute prepuziale a “ventaglio” e alla corda penis.
- EPISPADIA: L'epispadia è l'apertura abnorme dell'uretra sulla faccia dorsale del
pene e dall'incurvamento del pene verso l'alto.
E' il risultato della mancata saldatura delle labbra della doccia uretrale dovuto a
vacuolizzazione della lamina epiteliale che si trova però affondata profondamente sul
pene a livello della faccia superiore. Ne consegue che la doccia avrà sede sulla
faccia inferiore del pene e non più su quella superiore.
1. L'epispadia può essere peno-pubica: quando il pene (che è corto e contratto)
presenta un solco che distalmente mette capo ad una fossa imbutiforme al
cui fondo si apre l'uretra posteriore.
2. L'epispadia è detta balanica: quando, invece, l'apertura uretrale è sulla faccia
dorsale ma alla base del glande.
La diagnosi già alla nascita avviene e queste malformazioni possono essere
correlate anche a criptorchidismo o ad ernie inguinali (a volte esami strumentali
servono a valutare altre alterazioni dell'apparato urinario e genitale).
del CRANIO
- LABIOPALATOSCHISI: è una malformazione a carico della chiusura del bottone
cefalico, con un'incidenza complessiva di 1:2000 nella razza nera e di 1:1000 nella
razza bianca, si manifesta più spesso a sinistra (⅔ dei casi). LABIOSCHISI è
caratterizzata da fissurazione del labbro superiore in posizione paramediana, mono o
bilaterale, la PALATOSCHISI invece è la fissurazione del palato che mette in
comunicazione la cavità orale e le cavità nasali.
Secondo la più popolare classificazione, di Kernahan Stark, distinguiamo:
1. schisi del palato primario (labbro e premascella), unilaterale o bilaterale,
completa o incompleta;
2. schisi del palato secondario duro e molle, completa o incompleta uni o
bilaterale;
Le 2 malformazioni possono presentarsi anche in associazione.
1. la LABIOschisi è molto frequente, si manifesta circa in 1:1750 nati vivi, con
predilizione per il sesso maschile.
L’eziopatogenesi è in parte data da una predisposizione genetica, su cui
fattori ambientali, specialmente l’esposizione a teratogeni prenatali
(specialmente infezioni virali contratte nelle prime settimane di gestazione,
radiazioni ionizzanti, altre malattie materne) o a sostanze tossiche, si
sommano causando deficit vascolari e alterazioni della migrazione del
mesoderma all’interno delle strutture ectodermiche normalmente congiunte.
Embriologicamente la formazione del labbro superiore, dell’arcata mascellare
fino al foro incisivo, si ha quando i 2 processi mascellari ed il processo fronto
temporale si uniscono lungo la linea mediana, tra la 5° e la 7° settimana di
vita intrauterina.
La labioschisi può essere distinta in 3 forme cliniche:
- completa: interessa il labbro a tutto spessore raggiungendo il vestibolo
nasale
- incompleta: la schisi non coinvolge il labbro per tutta la sua altezza
- cicatriziale o frustra: la cute e la mucosa appaiono indenni ma il
muscolo orbicolare è interrotto
La labioschisi è caratterizzata da:
- dislocazione della narice
- appiattimento e slargamento del naso
- filtro e arco di cupido del lato sano stirati verso sopra
Le problematiche associate a labioschisi sono divise in immediate e tardive:
immediatamente si può presentare difficolta alla suzione, oltre alle evidenti
alterazioni estetiche, tardivamente esiti cicatriziali e deformità del naso.
La correzione chirurgica viene proposta precocemente, all’età di 3-6 mesi,
con tecnica di Le Mesurier, di Tennison o di Millard, sulla base della familiarità
del chirurgo con una o l’altra. Esse si basano sul concetto di Z plastica, per
evitare fenomeni di retrazione cicatriziale e un miglior recupero delle strutture
da ricongiungere. Di fondamentale importanza è la ricostruzione del muscolo
orbicolare.
2. la PALATOschisi si manifesta più spesso nel sesso femminile e occorre
quando una delle noxae patogene già citate colpisce un soggetto
geneticamente predisposto e si manifesta con schisi del palato duro e molle
(palato secondario) isolatamente o in associazione a schisi del palato
primario (labbro e premaxilla).
Clinicamente la fissuraione può coinvolgere in parte o interamente il palato
dal foro incisivo all’ugola.
Questa malformazione immediatamente causa problemi all’alimentazione
che, vista la comunicazione oro nasale non permette l’instaurarsi della
depressione endo-orale alla base della suzione. Oltre a predisporre
all’instaurarsi di fenomeni flogistici a carico delle vie aeree (per la mancata
umidificazione e riscaldamento dell’aria), a polmoniti ab ingestis e problemi di
ordine fonatorio, ortodontico ed estetici.
La correzione chirurgica va effettuata ad 1 anno di vita usando diverse
tecniche per il palato duro (tecnica di Stricker, di Veau-Wardill-Kilner, di Von
Langenbeck) e per il molle (tecnica di Furlow), per far sì che la fonazione
possa avvenire normalmente ma evitando che cicatrici troppo precoci
arrestino o interferiscano con il successivo sviluppo del palato.
Le alterazioni comprendono:
- deviazione del setto nasale e della piramide nasale
- appiattimento dell’ala del naso
- appiattimento del filtro labiale, dell’arco di cupido e deformità a fischio
(possono trarre beneficio dal trattamento con acido ialuronico)
- procheilia del labbro inferiore
- prognatismo
- occlusione dentale con deformità di terza classe
Il trattamento si basa sull’allestimento di lembi mucosi laterali alla schisi,
isolati con le loro arterie e traslati lungo la linea mediana.
Per il palato duro si usano innesti ossei prelevati dalla cresta iliaca.
Anche a seguito di intervento chirurgico possono permanere (secondarie a
patologie infettive):
- fistole del palato
- insufficienza velofaringea
del COLLO
- CISTI E FISTOLE LATERALI: Le fistole che derivano dal 2° arco e dal secondo
2° branchiale. Possono essere complete se sboccano superiormente in faringe e
inferiormente sulla cute del collo, o incomplete (cieche) se sboccano unicamente a
livello cutaneo (cieche esterne) o faringeo (cieche interne).
Le cisti si pongono solitamente a livello dell’osso ioide lungo il decorso della fistola e
si dividono sulla base dell’epitelio di rivestimento in: epidermoidi, mucoidi (epitelio
cilindrico secernente), dermoidi (epitelio pluristratificato pavimentoso con annessi
pilo-sebacei) e amigdaloidi (tessuto linfatico). Altra localizzazione tipica è a livello
della biforcazione carotidea (sulla parete di cui aderiscono saldamente).
Nella maggiorparte dei casi l’orifizio cutaneo è posto lungo il decorso del muscolo
SCM ed ha un diametro di circa 1-2 mm da cui fuoriesce liquido filante salivare o pus
(quando batteri piogeni colonizzano la zona).
La diagnosi differenziale si deve porre nei confronti di altre tumefazioni laterali del
collo (tumefazioni linfonodali di varia natura).
Tra le fistole laterali ricordiamo anche quelle auricolari e preauricolari, in cui si forma
un breve tramite a fondo cieco (1-2 cm di lunghezza) situato sul trago, sul lobulo o
alla base dell’elice del padiglione auricolare.
Dal 1° arco branchiale possono originarsi anche piccole appendici fibrocartilaginee
solitamente situate davanti al trago, o più raramente in prossimità dello SCM sul collo
o sulla guancia: i fibrocondromi preauricolari o appendici fibrocartilaginee del collo.
Per tutte queste condizioni la terapia è chirurgica e consiste nell’exeresi delle cisti,
delle appendici fibrocartilaginee o nell’asportazione del tramite fistoloso per le fistole.
- CISTI E FISTOLE MEDIANE: possono localizzarsi a qualunque livello della
linea mediana tra la fossetta sovrasternale e la base della lingua lungo tutto il
decorso del dotto tireoglosso (segno della migrazione tiroidea durante la vita
embrionale dalla radice della lingua alla cartilagine tiroidea, tra secondo e quarto
anello tracheale). La sede più comune è a livello ioideo.
La persistenza del dotto tiroideo, che normalmente dovrebbe involvere al 4° mese di
vita prenatale, può dare origine a cisti e fistole mediane. L’orifizio cutaneo delle fistole
ha diametro di 1-3 mm e può sboccare a livello cutaneo esterno o internamente a
livello del forame cieco della lingua. La parete delle cisti è formata da epitelio
cilindrico muco secernente, di solito.
La diagnosi differenziale si fa con adeniti o strutture tiroidee ectopiche.
La terapia è chirurgica e consiste nell’exeresi della cisti e asportazione del tramite
fistoloso, cute circostante l’orifizio cutaneo e porzione di osso ioide interessato.
delle ESTREMITÀ
Le malformazioni della mano comprendono 4 gruppi di malformazioni:
1) per difetto (assenza di un arto: amelia, della mano: acheiria, di un dito: ectrodattilia,
di una falange: ectrofalangia, del metacarpo: mectrometacarpia; iposviluppo della
mano: microcheiria; accorciamento delle falangi, delle dita o del metacarpo:
brachifalangia, brachidattilia, brachimetacarpia;)
2) per eccesso (polidattilia e polifalangia, macrodattilia, aracnodattilia)
3) da mancata divisione (sindattilia e sinostosi interfalangea)
4) da errore di forma o errore tra i rapporti stabiliti (clinodattilia, deviazione dell’asse, e
clamptodattilia, dita flesse inestensibili, tra cui la mano torta congenita)
- SINDATTILIA: è una malformazione caratterizzata dalla fusione parziale o totale di
2 o più dita. Si osserva anche a livello delle dita del piede, in forma isolata o in un
contesto sindromico. Colpisce circa 1/5000 nati, senza prevalenza di sesso ma con
predilizione per gli arti sinistri e in ordine di frequenza il 3° e il 4° dito , il 4° e il 5° dito
o più raramente il 2° ed il 3°.
Se ne conoscono 3 forme cliniche:
- cutanea (lassa)
- fibrosa
- ossea
A seconda che la fusione interessi solo la cute, il sottocute e i tessuti molli o anche i
segmenti ossei.
Si distinguono anche forme:
- parziali (prossimali e distali)
- totali
Nelle forme ossee l’intervento chirurgico di riparazione viene anticipato rispetto al
solito (normalmente si può decidere di intervenire tra i 6 ed i 24 anni), in età
prescolare (anche prima dei 18 mesi) e si procede con la ricostruzione della plica
interdigitale usando lembi cutanei di vicinanza prelevati dalla faccia palmare e
dorsale della mano.
Se non operata è possibile riscontrare alterazioni osteoarticolari (nuove
malformazioni acquisite) dovute al trascinamento del dito più lungo da parte di quello
più corto (clinodattilia) e alterazioni della funzionalità prensile.
- POLIDATTILIA: è una malformazione per eccesso di numero in cui si ha la
presenza di uno o più raggi digitali o parti di essi. Questa malformazione è
abbastanza frequente e viene classificata a seconda della localizzazione del dito in
sovrannumero in:
- forma radiale o pre assiale (ad esempio con allargamento della falange
distale e biforcazione e sepimentazione del’unghia o presenza di un dito vero
e proprio extra), si trasmette con carattere autosomico recessivo.
- forma ulnare o post assiale, ha carateristiche simili alla forma radiale ma non
si trasmette secondo autosomia recessiva.
- a dita intercalate (forma mediana), è la più rara, si manifesta spesso in
associazione a sindattilia del dito sovrannumerario con le dita adiacenti.
La terapia della malformazione è la rimozione chirurgica che ha lo scopo di
preservare il raggio digitale il cui assetto funzionale è migliore asportando l’elemento
sovrannumerario per ristabilire anche l’estetica della mano.
Alcune polidattilie vengono classificate in maniera diversa per quanto riguarda la
duplicazione del pollice, dito fondamentale per la prensilità della mano. La correzione
chirurgica in questo caso deve essere effettuata “aprendo” l’articolazione per
verificare se esista solo un manicotto articolare, individuare nervi e strutture vascolari
e tendinee e solo in seguito procedere alla ricostruzione.
ALTRI TUMORI
TUMORI BENIGNI: mioma, lipoma, adenoma
TUMORI MALIGNI:
SARCOMI
I sarcomi sono tumori maligni rari che originano nei tessuti connettivi e possono quindi
interessare muscoli, ossa, cartilagine, tendini, strati profondi della pelle, vasi sanguigni e
tessuto adiposo. Li possiamo distinguere in 3 macro-categorie:
1. Sarcomi ossei
2. Sarcomi dei tessuti molli (osteosarcomi, miosarcomi)
3. Tumori stromali gastrointestinali
L’osteosarcoma origina dai precursori degli osteoblasti, che non riescono ad evolvere in
cellula matura e rimangono bloccate ad uno stato immaturo e precanceroso.
Si manifesta generalmente nel periodo di massima crescita dell’osso e per questo colpisce
le parti terminali delle ossa lunghe (femore, ossa del braccio), ma non sono escluse altre
sedi come ginocchio, bacino, spalla e mandibola (queste soprattutto negli anziani).
I sintomi sono: tumefazione, dolore e mobilità dei denti.
La diagnosi viene effettuata mediante ortopantomografia con raggi X (nel caso specifico di
mandibola e mascella), rx, tac e risonanza magnetica.
La terapia dell’osteosarcoma prevede prima l’esecuzione della chemioterapia
(chemioterapia neoadiuvante) e in seguito l’asportazione chirurgica.
Questo approccio permette il ricorso a interventi chirurgici meno demolitivi e migliora la
prognosi dei pazienti, aumentando la sopravvivenza.
CLASSIFICAZIONE TNM
La classificazione TNM dei tumori maligni è un sistema internazionale per la classificazione
delle neoplasie, a partire da cui si può ricavare lo stadio della malattia
Vengono considerati 3 parametri: T, N, M, ognuno dei quali descrive determinate
caratteristiche del tumore:
- Lettera T: indica le dimensioni del tumore primario. Il valore di questo parametro varia
da 1 (tumore piccolo) a 4 (tumore grande). La lettera T può essere affiancata dalla
sigla "is" (Tis), nel caso in cui il tumore sia in situ. Se la lettera T è seguita dalla
lettera "x" (Tx) significa che non è possibile valutare la dimensione del tumore.
- Lettera N: indica il coinvolgimento dei linfonodi che si trovano nelle vicinanze del
tumore. Il valore di questo parametro va da 0 (nessun linfonodo coinvolto) a 3 (molti
linfonodi coinvolti). Anche in questo caso, se la lettera N è seguita dalla lettera "x"
(Nx) significa che non è possibile determinare la quantità di linfonodi coinvolti.
- Lettera M: indica la presenza di metastasi. Può assumere valore 0 (nessuna
metastasi) o valore 1 (presenza di metastasi).
MALOCCLUSIONI
Il termine “occlusione” si riferisce letteralmente ai contatti tra i denti delle arcate antagoniste
sia in una posizione statica che dinamica.
La “gnatologia” studia gli organi o apparati collegati all'occlusione dentaria.
L’occlusione dentale è guidata dall’articolazione temporo-mandibolare (ATM), tra il condilo
mandibolare (che si trova al termine del processo condiloideo della mandibola) e la cavità
glenoidea dell’osso temporale. Tra i due capi ossei dell’articolazione è interposto un disco
fibro-cartilagineo (menisco).
I movimenti di occlusione vengono effettuati dai denti dell’arcata inferiore (in quanto la
mandibola è mobile, mentre l’osso mascellare è fisso), e sono:
- Movimento centrico (o movimento in centrica): è il normale movimento di apertura e
chiusura permesso della bocca.
- Movimento protrusivo (o movimento in protrusiva): è il movimento di spinta in avanti
della mandibola, guidato dai denti incisivi. Questo viene eseguito durante la
deglutizione della saliva. Gli incisivi, in condizioni fisiologiche, entrano in contatto
solo quando c’è questo tipo di movimento, mentre non entrano in contatto nei
movimenti di lateralità, nei movimenti in centrica o quando la bocca è chiusa.
- Movimento di lateralità (o movimento eccentrico): i movimenti di lateralità destra e
sinistra sono guidati dai canini, infatti si parla di guida canina. In condizioni
fisiologiche durante i movimenti di lateralità i canini scorrono gli uni sugli altri senza
interferenze. In condizioni non fisiologiche invece il primo premolare è “troppo
addossato” al canino, per cui durante i movimenti di lateralità il canino sbatte sul
premolare (si parla di trauma occlusale). Se il trauma occlusale è cronico porta alla
degenerazione dell’osso alveolare con conseguente retrazione gengivale (detta
recessione gengivale) che porta all’ esposizione della radice del premolare.
Si parla di “malocclusione” dentale quando i denti dell'arcata superiore non sono
perfettamente allineati con quelli dell'arcata inferiore. In altri termini, la malocclusione
dentale è un anomalo rapporto tra i denti della mascella e quelli della mandibola.
La presenza di malocclusioni può causare problemi di varia natura:
- Funzionali (disturbi della fonazione, della masticazione, della deglutizione o della
respirazione).
- Odontoiatrici (i denti disallineati possono portare a un aumentato rischio di carie e
malattia parodontale).
- Articolari (disturbi dell’articolazione temporo-mandibolare).
- Estetico/sociali.
EZIOLOGIA:
La causa più comune è la presenza di precontatti dentali, altre cause più rare sono tumori,
fratture della mandibola e bruxismo.
CLINICA:
La classificazione della malocclusione più utilizzata è la classificazione di Angle.
Questa classificazione è basata sulla posizione della cuspide mesio-vestibolare del primo
molare superiore rispetto al solco mesio-vestibolare del primo molare inferiore:
- Occlusione fisiologica: la cuspide mesio-vestibolare del primo molare superiore è
alloggiata nel solco mesio-vestibolare del primo molare inferiore.
- Malocclusione di classe I: la cuspide mesio-vestibolare del primo molare superiore è
alloggiata nel solco mesio-vestibolare del primo molare inferiore (come
nell’occlusione fisiologica), tuttavia i denti anteriori al primo molare si presentano
storti e disallineati.
- Malocclusione di classe II: la cuspide mesio-vestibolare del primo molare superiore è
alloggiata anteriormente al solco mesio-vestibolare del primo molare inferiore.
Questa malocclusione si associa prognatismo.
- Malocclusione di classe III: la cuspide mesio-vestibolare del primo molare superiore
è alloggiata posteriormente al solco mesio-vestibolare del primo molare inferiore.
Questa malocclusione si associa progenismo.
DIAGNOSI E TERAPIA:
La diagnosi si avvale di CEFALOMETRIA, TELERADIOGRAFIA, TC e gipsometria (calco).
Il trattamento ortodontico-chirurgico si svolge in 3 fasi:
1. La prima fase è definita ortodonzia prechirurgica e dura, a seconda della complessità
del caso, da 6 a 18 mesi in cui si utilizza un apparecchio ortodontico fisso vestibolare
o linguale.
2. La seconda fase è rappresentata dall’intervento chirurgico effettuato dal chirurgo
maxillo-facciale al termine dell’ortodonzia prechirurgica. Durante l’intervento, detto di
chirurgia ortognatica, il chirurgo riposiziona, con un intervento di osteotomia, una o
entrambe le ossa mascellari (mandibola e mascellare superiore) determinando il
raggiungimento di una buona occlusione dentaria e di un’equilibrata estetica facciale.
3. A questo punto rientra in gioco l’ortodontista che può iniziare, di solito un mese dopo
l’intervento chirurgico, la terza ed ultima fase del trattamento, definita ortodonzia
postchirurgica, che ha lo scopo di perfezionare i rapporti occlusali tra le due arcate
dentali e che ha una durata media di circa 6 mesi